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Tiziana Momigliano
IL LATINO
CON GIOIA
LEZIONI DI UNA PROFESSORESSA
OMAGGIO
A TIZIANA MOMIGLIANO
(Torino, 5 marzo 1911 - Milano, 17 dicembre 2004)
di Giampiera Arrigoni
Ancor prima di conoscerla sapevo che era ‘la professoressa’. Suo fratello Ar-
naldo l’aveva citata ai miei allievi, che gli chiedevano consiglio sul loro futuro,
come l’esempio più riuscito dello scontato e deprezzato lavoro di professores-
sa. Da quando la conobbi (nel 1986) ho cominciato a capire il perché. Lungi
da qualsiasi tipo di retorica, si vantava però di aver addestrato i suoi allievi alla
concisione con i suoi famosi esercizi di riassunto in x parole. Per il resto aveva
tutta la naturalezza e la spontaneità di chi ha trovato la sua strada nel lavoro.
Coltivava con cura i rapporti con i suoi ex allievi, che ancora la ricordavano
e le facevano visita coi bambini, ma aveva avuto anche allievi più grandi, poi
diventati amici devoti. Negli ultimi anni, quando incominciò a scrivere le sue
memorie, era solita citarmi la frase del suo preside che, sentendola insegnare
di passaggio nel corridoio, l’aveva invidiata perché «si divertiva a insegnare» 1.
Eppure era severa di modi e di indole, fulminea e inesorabile nel giudicare se
stessa prima degli altri, un’osservatrice finissima e una lettrice appassionata
1
L’episodio è da lei ricordato anche nella chiusa delle sue memorie (scritte negli ulti-
mi due anni di vita per la nipote Anna Laura Lepschy Momigliano): Cronaca di una vita…
di un’insegnante [titolo postumo], «Il Caragliese» (Quindicinale di Caraglio e della Valle
Grana) XXVII, 17 (28 settembre 2006), p. 13: «Voglio concludere questi ricordi con il pen-
siero di un preside della Tiepolo. A mia insaputa egli si fermava davanti alla porta aperta
della mia aula e ascoltava mentre facevo lezione. Un giorno mi disse che aveva notato il
mio modo divertito di stare con i ragazzi. Era vero: io mi divertivo, sia con gli allievi cultu-
ralmente più preparati, sia con quelli che per primi in famiglia affrontavano la scuola media
e io dovevo cercare di scoprire quali fossero le loro capacità e le loro attitudini».
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1.
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(Saul Bellow il suo autore preferito, ma anche Claudio Magris, Primo Levi e
Tomasi di Lampedusa).
Negli ultimi anni mi aveva parlato delle sue lezioni di latino scritte per la
rivista «La Scuola Media» e pubblicate, a cadenza mensile, dall’ottobre 1972
al maggio 1973, di cui possedeva le copie. Mi aveva pregato di procurarle le
fotocopie di una lezione che le mancava. Non ricordava più di aver scritto la
lezione Ottava sulla morte e i riti funebri, che ho scoperto dopo la sua morte
facendo i controlli in biblioteca in vista della pubblicazione. Evidentemente ci
teneva. Le ricordavano i pomeriggi passati in casa a preparare i passi da tradur-
re e da utilizzare come spunto per insegnare (insieme a grammatica e sintassi)
anche la vita dei Romani.
L’originalità di queste sue Lezioni mi parve subito evidente tanto che le
fotocopiai e ne regalai una copia ad una mia allieva divenuta insegnante, che
ha iniziato ad utilizzarle apprezzandone la modernità. Tiziana ne fu contenta:
l’insegnamento del latino alla sua maniera continuava.
Nella sua professione di insegnante si proponeva di risvegliare l’entusia-
smo, fugare la passività e insegnare con gioia il latino. Sono tratti che emer-
gono anche da quella che abbiamo chiamato la sua «Premessa metodologica»
(p. 35):
2
Nelle sue memorie ritorna sull’argomento: «L’aggettivo ‘facoltativo’ per molti era in-
teso non come libertà di scelta a iscriversi, ma come libertà dall’impegnarsi o meno nel suo
studio» («Il Caragliese», p. 13).
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3
Superando «la cerchia troppo ristretta dei puri scrittori classici», come scrive nella
Prefazione, p. VIII.
4
Seconda lezione, pp. 56-57.
5
Settima lezione, p. 134.
6
Polyb. VI 56, 6-14: la spiegazione che egli dà di questo fenomeno è all’insegna di
un pragmatismo diremmo machiavelliano, ma la sua conclusione è che la religione degli
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antichi a Roma è utile, ha la sua logica, il suo fondamento e la sua utilità pratica assai più
delle critiche dei moderni ad essa refrattari. Un po’ diversamente l’aristocratico sofista Cri-
zia (Vorsokratiker 88 B 25).
7
Sall. De con. Catil. 12, 3.
8
Cic. De nat. deor. II 8. Cfr. anche De har. resp. 19 sed pietate ac religione atque hac
una sapientia, quod deorum numine omnia regi gubernarique perspeximus, omnes gentes
nationesque superavimus. I Greci non vedevano diversamente i Romani: Posidonio fr. 81
Theiler = fr. 266 Edelstein-Kidd = FGrHist 87 F 59; Dion. Hal. Ant. II 18-19.
9
Terza lezione, p. 65.
10
«Premessa metodologica», p. 37.
11
Vd. Quarta lezione, p. 98.
12
T. Momigliano, Caraglio, «Subalpina» (Rivista mensile illustrata) III, 5 (maggio 1930),
pp. 19-24, in part. p. 20. Sono grata alla comune amica Vittorina Casasso Martino per aver-
mi fatto conoscere questo articolo.
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13
Cfr. Terza lezione, p. 75; Quarta lezione, p. 93; Quinta lezione, p. 111; Sesta lezione,
p. 123; Settima lezione, pp. 138-139.
14
Prima lezione, p. 42.
15
Analoga ammirazione riserva a Sallustio per il suo stile «asciutto e stringato»: Seconda
lezione, p. 63.
16
Sesta lezione, pp. 120-121.
17
H.-I. Marrou, Histoire de l’éducation dans l’antiquité, Paris 1948, 3a ediz. 1954, trad. it.
Roma 1950. Cito dalla trad. it. Roma 1966 (2a trad. it. sulla 6a francese), pp. 310-312 (il pa-
dre), 314-317 (exempla). Ora vd. A. Corbeill, Education in the Roman Republic: Creating
Traditions, in Y.L. Too (Ed.), Education in Greek and Roman Antiquity, Leiden - Boston -
Köln 2001, pp. 261-287.
18
Sesta lezione, pp. 115 e 122-123.
11
1.
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19
Settima lezione, p. 137.
20
Già citati nella Quinta lezione sull’economia, p. 108 (Associazioni di categoria).
21
Terza lezione, p. 75: «Ma perché i ragazzi sappiano che la guerra in ogni tempo ha
sempre recato sofferenza e lutti, noi riportiamo anche un altro passo di Livio […]».
22
Come ricorda la neolaureata Tiziana, nel 1937 supplente all’Istituto Magistrale «De
Amicis» di Cuneo, nelle sue memorie, «Il Caragliese», p. 10: «Nella sala professori ero timoro-
sa e me ne stavo in disparte. Le insegnanti erano tutte di ruolo e affiatate tra loro […] ebbi
contatto con alcune di esse e scoprii che la mia ritrosia era stata scambiata per superbia».
12
1.
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ebrea durante l’ultimo periodo fascista, lezioni private come istitutrice (per
vivere) e quindi, dopo la guerra, incarichi annuali fino ai sospirati «trienni di
continuità». Ma lasciamo a lei stessa la parola:
Quando mi ero laureata [il 15 dicembre 1936 in Letteratura italiana],
ambivo a insegnare in un liceo, poi gli avvenimenti mi avevano tra-
volta. 23
E gli avvenimenti saranno le leggi razziali del 1938, che a poco a poco strin-
gono la morsa attorno alla popolazione ebrea d’Italia (40.000 persone circa),
rendendole progressivamente impossibile la vita 24. Tiziana ha presentimenti
inquietatanti di quel che sta per succedere e il suo intuito suggerisce a lei, che
aveva studiato con lena e passione, di anteporre il piacere al dovere:
Io avrei dovuto studiare per il prossimo concorso, ma la campagna
antisemita iniziata nei quotidiani 25 mi dava la certezza che non vi
avrei mai partecipato. Andavo in battello alle isole e alle località più
note del lago [stava insegnando a Intra nell’anno scolastico 1937-38];
la domenica al Mottarone, sciavo con i colleghi veneti; incontravo al
23
«Il Caragliese», p. 13.
24
Interessante ricordare qui la testimonianza di un cugino di Tiziana, Eucardio Mo-
migliano, il cui libro (il primo del genere in Italia) Storia tragica e grottesca del razzismo
fascista, Milano, Mondadori, 1946, è il resoconto lucido e preciso di una persona che fu
antifascista e perseguitata dal regime fin dal 1923. Su Eucardio (Monesiglio, Cuneo, 1888 -
Milano, 1970), avvocato di professione poi perseguitato dai fascisti come antifascista e
riciclatosi (per forza, ma ottenendo grande successo, anche internazionale) come biografo,
si veda il profilo (a firma E.L.) pubblicato come Premessa al libro citato. Una messa a punto
in G. Arrigoni, Identità e memoria: la «Singolare esperienza» di Eucardio Momigliano, ora
in Il mio cuore è a Oriente. Studi di linguistica storica, filologia e cultura ebraica dedicati a
Maria Luisa Mayer Modena, a cura di F. Aspesi, V. Brugnatelli, A.L. Callow, C. Rosenzweig,
Milano 2008, pp. 591-602.
25
I primi segnali dell’antisemitismo compaiono sulla stampa italiana nel 1937, special-
mente dopo il novembre 1937, e soprattutto dopo il viaggio di Hitler a Roma (maggio 1938).
La Germania preme e Mussolini deve ubbidire: il 14 luglio 1938 esplode l’antisemitismo ita-
liano, diramato su tutti i giornali, secondo gli ordini di Berlino (si tratta del cosiddetto «Ma-
nifesto degli scienziati razzisti» o «Manifesto della razza», apparso anonimo su «Il Giornale
d’Italia» il 14 luglio 1938, su cui vd. ora: G. Israel - P. Nastasi, Scienza e razza nell’Italia fa-
scista, Bologna, Il Mulino, 1998, in part. p. 210 ss.; R. Maiocchi, Scienza italiana e razzismo
fascista, Firenze, La Nuova Italia, 1999, pp. 225-241). Il 19 luglio viene creata, presso il Mini-
stero dell’interno, una Direzione della Demografia e della Razza. Mussolini (con improvviso
voltafaccia) cerca di convincere gli Italiani in discorsi pubblici (a Forlì, luglio 1938; a Trieste,
settembre 1938) che il razzismo è un’invenzione sua, che egli non imita nessuno, che è in
relazione con la conquista dell’Impero (1936) e la stampa unanime inneggia alla nuova po-
litica antisemita del regime: vd. Eucardio Momigliano (Storia tragica, supra, nt. 24), pp. 45,
48-49, 53-59 (altri particolari e puntualizzazioni in Israel - Nastasi e Maiocchi).
13
1.
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26
«Il Caragliese», p. 10.
27
«Il Caragliese», p. 10. Dall’agosto del 1938 si susseguono i decreti: prima contro gli
ebrei stranieri poi (3 settembre 1938) contro gli ebrei italiani (Eucardio Momigliano, supra,
nt. 24, p. 69). Prosegue Eucardio (ibidem): «[…] il consiglio dei ministri, con decreto d’ur-
genza, decide che tutti gli insegnanti ed allievi israeliti delle scuole italiane di ogni ordine
e grado siano cacciati, dall’asilo infantile fino all’università. Sono pure esclusi dalle acca-
demie, dagli istituti e associazioni di cultura, scientifiche e letterarie e dalle biblioteche ed
archivi». L’esecuzione del decreto ebbe inizio il 16 ottobre 1938. Tutto fu poi trasferito nella
grande legge razzista del 17 novembre 1938 (Eucardio, p. 85). Alcune correzioni ai dati di
Eucardio apporta M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione,
Torino, Einaudi, 2000, in part. pp. 196 (nt. 303), 211 (nt. 362).
28
Vd. la lettera di Arnaldo Momigliano a Ernesto Codignola del 14 settembre 1938 pub-
blicata in A. Momigliano, Pace e libertà nel mondo antico, a cura di R. Di Donato, Scandicci
(Firenze) 1996, n. 16, pp. 157-160. Ora ampia documentazione in L. Polverini, Momigliano
e De Sanctis, e L. Cracco Ruggini, Gli anni di insegnamento a Torino, in L. Polverini (a
cura di), Arnaldo Momigliano nella storiografia del Novecento, Roma 2006, rispettivamente
pp. 20-23 e 121-123.
29
«Il Caragliese», p. 10.
30
«Il Caragliese», p. 12.
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31
Il nome di entrambe era rimasto lo stesso (per non tradirsi), il cognome era Gatti.
Tiziana («Il Caragliese», p. 10) parla di una carta d’identità con falso cognome ottenuta con
l’aiuto di un impiegato del Comune di Monza.
32
Rinaldo De Benedetti (Cuneo, 1903 - Milano, 1996). Particolarmente interessanti le
sue Memorie di un Nonagenario (inedite), che ho potuto leggere grazie alla squisita corte-
sia della figlia Anna De Benedetti Fuertos, ora edite col titolo Memorie di Didimo, Milano,
Scheiwiller, 2008. Un profilo biografico-intellettuale e l’elenco completo delle opere di
questa originale figura di ingegnere, giornalista, divulgatore scientifico, scrittore e poeta
si possono leggere in R. De Benedetti, Sonetti Vespertini, Prefazione di M. Hack, con uno
scritto di P. Bianucci, Milano, Scheiwiller, 2006, pp. 125-134.
33
Su Mario Vinciguerra, pubblicista e scrittore, vd. Enciclopedia Italiana, Appendice
III 1949-1960, Roma 1961, p. 1097; Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza, s.v.
Vinciguerra Mario VI (1989), p. 399; G. Ferro, Milano capitale dell’antifascismo, Milano,
Mursia, 1985, pp. 47, 72-73, 164, 169, 179-180; A. Carioti, Vinciguerra azionista girondino,
Presentazione a M. Vinciguerra, I Girondini del ’900 e altri scritti politici, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 2005, pp. 5-35 (ringrazio della segnalazione il collega di Storia contemporanea
prof. Ivano Granata).
34
«Le mie voci portavano il nome di Vinciguerra, ma segretamente era custodito il mio»,
esclama con complicità e fierezza nelle sue memorie («Il Caragliese», p. 10). Dizionario
letterario Bompiani delle opere e dei personaggi, voll. I-IX, Milano 1946-1950 + 3 voll. di
Appendici, Milano 1964-1979. L’opera è stata recentemente ristampata con integrazioni (a
volte banali), ma senza lo splendido apparato iconografico, Milano, Bompiani 2005, voll. I-
XII, rist. Milano, RCS, 2006. Le 49 voci di Tiziana (sigla T.M.) sono tutte conservate.
15
1.
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nel 1941 per la Marzocco di Firenze, un libro a tratti di chiara ispirazione fa-
scista, ma a basso tasso di fascistizzazione, che merita di essere studiato per
molteplici motivi 35.
Nelle sue memorie Tiziana accenna brevemente (e con modestia) alla sua
collaborazione alla Enciclopedia della donna, pubblicata dalla casa editrice
milanese Bianchi-Giovíni 36. Io ho potuto consultare solo la seconda edizione
riveduta ed ampliata, a cura di Bianca Ugo, uscita nel 1946 37. Le voci vere e
proprie sono intitolate «Il repertorio della donna» e occupano ben 782 pagine
(pp. 206-987). I lemmi sono i più svariati e trattano di cucina, piante, malat-
tie, sostanze chimiche, casa, gioielli, animali, lavori a maglia e a ricamo, feste
(Natale, Ognissanti, Pasqua – compresa la Pasqua ebraica – Quaresima, Roga-
zioni), razze. La voce Ripetizioni sembra contenere qualche traccia che porta
a Tiziana nel dire che lo scopo delle ripetizioni deve essere quello di porre
l’alunno in grado di fare da sé, e assai probabilmente autobiografica è l’osser-
vazione finale: «Il ripetitore che viene in casa sia trattato su un piano di perfetta
uguaglianza». Anche la voce Severità ricorda molto le convinzioni di Tiziana
quando afferma: «Nell’educazione la severità deve essere più sostanziale che
esteriore. Essa deve consistere soprattutto nella rigorosa coerenza (il no sia
no; il sì sia sì); nell’indulgenza verso i piccoli falli senza conseguenza, ma nel
rigore verso quelli più gravi o che, pur non essendo tali, rivelano un atteggia-
mento inferiore dell’animo; nell’esempio morale sempre palese; e, infine, nella
capacità di poter fare a meno dei castighi». Particolarmente brillante, in questa
Enciclopedia, è l’insieme delle molte voci dedicate alla sfera morale o al saper
vivere. Denotano una buona dose di anticonformismo (data l’epoca), di intelli-
gente ironia e di superiorità intellettuale, perfino di disincantata lucidità, non-
ché una certa dose di tatticismo, tutte qualità che non mancavano a Tiziana.
Basta scorrere ad esempio le voci Generosità, Ipocrisia, Lealtà, Morale, Onestà,
Onore, Orgoglio, Paura, Perdono, Pettegolezzo, Pregiudizio, Prodigalità, Pun-
35
Annota Tiziana («Il Caragliese», p. 10): «Per merito di Vinciguerra, l’editore Marzocco
di Firenze mi fece scrivere un testo di storia per il ginnasio inferiore. Conobbi più tardi
Silvia Spallanzon [probabile errore di battitura] che mi aveva fatto da prestanome e la rin-
graziai. Mi disse l’imbarazzo di avere accettato delle felicitazioni che non le erano dovute».
Silvia Spellanzon era figlia del giornalista antifascista (fin dal 1924) e storico del Risorgi-
mento Cesare Spellanzon (Venezia, 1884 - Milano, 1957).
36
«Il Caragliese», p. 10: «Ugo Dèttore si era licenziato dalla Bompiani e aveva creato la
“Bianchi Giovíni” che non ebbe lunga vita […]. Dèttore fece compilare in gran parte da me e
da qualche altro collaboratore un’“Enciclopedia della donna”».
37
A sua volta ristampata a Bergamo, Arti Grafiche, 1949. Questa edizione comprende
alcuni saggi iniziali, tra cui uno di Dèttore (La donna nella casa, nella famiglia, nella vita
sociale, pp. 7-52) e uno della moglie Bianca Ugo (100 consigli pratici per l’educazione dei
figli, pp. 169-203), che sono di sicuro interesse per la ‘storia delle donne’.
16
1.
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a tiziana momigliano
Nel 1954 è di ruolo alla scuola media di Mortara (40 km da Milano), la soddisfa-
zione mitiga le fatiche ed i disagi:
Mi alzavo alle cinque del mattino e con due tram raggiungevo un va-
gone vetusto, con panche di legno, maleodorante e poco illuminato.
L’edificio della scuola media di Mortara era stato un convento, ogni
aula si riscaldava con una stufa di maiolica: la sua manutenzione era
affidata all’insegnante. Per fortuna i miei alunni erano più abili di me
nel caricarla di legna! I ragazzi erano figli di agricoltori e la scuola era
il loro punto di aggregazione. La frequentavano con piacere ed erano
orgogliosi di avere un’insegnante milanese. Io con loro dimenticavo
il disagio e la fatica del viaggio. Il preside era convinto che avrei fatto
molte assenze, invece non mancai neppure un giorno. 40
Negli anni 1954-58 è la volta di Sesto San Giovanni (all’inizio una classe con
molti ripetenti) dove insegna con occhio vigile, equilibrato, comprensivo:
38
I Martinitt sono gli orfani o fanciulli abbandonati ospiti dell’omonimo istituto che
prese il nome da una delle prime ubicazioni dell’orfanatrofio nei pressi della chiesa (non
più esistente) di S. Martino agli Orfani. Unitamente alle Stelline (le fanciulle orfane o ab-
bandonate) i Martinitt furono sempre molto sostenuti dai Milanesi (anche con lasciti e do-
nazioni). Dal 1932 in via Pitteri 56 a Milano, l’istituto (che nel 1997 si è fuso con le Stelline)
si è recentemente trasferito in via Rubattino; attualmente assiste specialmente extra-comu-
nitari.
39
«Il Caragliese», p. 11.
40
«Il Caragliese», p. 11.
17
1.
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a tiziana momigliano
Il terzo anno [1961-62] fui chiamata in sede perché una collega aveva
vinto il concorso di preside e lasciava libera la sua cattedra. L’inse-
gnante aveva fatto un mito di se stessa e convinto gli alunni che non
esistesse alcuna più colta e preparata di lei. Il mio arrivo, all’inizio del
terzo anno, fu accolto malissimo; la classe era sempre in fermento. Un
giorno trovai la cattedra cosparsa di riso per disprezzo. Feci ripulire,
senza rivolgermi al<la> preside perché avrebbe significato ammettere
la mia sconfitta. Avevo capito che molti ragazzi si rivolgevano a lei
per nulla rassegnati alla sua sostituzione. Ero però convinta che con il
tempo lei sarebbe stata assorbita dai compiti della presidenza e avreb-
be allontanato gli alunni. Questo avvenne pur tra molte difficoltà.
Qualcuno dei contestatori alla fine dell’anno mi attestò la sua stima. 43
41
«Il Caragliese», pp. 11-12.
42
«Il Caragliese», p. 12.
43
«Il Caragliese», p. 12.
18
1.
omaggio
a tiziana momigliano
Come si vede, Tiziana spronava i suoi allievi a dare il meglio di sé. Nel 1966-67
torna finalmente alla «Tiepolo», media femminile prima e poi maschile («Avevo
maggiore esperienza con i ragazzi») e lì rimane nei successivi trienni, rinun-
ciando ad un posto al liceo «Volta» (in rivolta) di Milano per cui aveva avuto la
nomina («Mi paragonavo a una ventenne che aveva sognato un giovane marito
e a sessant’anni si sarebbe dovuta sposare un anziano vedovo e malandato») e
rimase «serena» coi suoi ragazzi alla «Tiepolo» fino alla pensione (10 settembre
1981), a 70 anni. Uno dei suoi ragazzi della «Tiepolo» ebbe un’idea felice, la
fotografò come realmente la viveva, come la professoressa:
Alla fine del terzo anno, a mia insaputa, mi fece una fotografia: alle
spalle avevo la lavagna e sulla cattedra il registro aperto. Me la mandò
l’anno successivo dal fratello che divenne pure mio allievo. Era molto
bella. 45
La foto è stata a lungo nello studio di Tiziana ed ora troneggia di contro al fron-
tespizio, grazie alla gentilezza dell’avv. Paolo Finzi, l’autore del ritratto.
Milano, gennaio 2007
44
«Il Caragliese», p. 12.
45
«Il Caragliese», p. 13.
19
TORNARE ALL’ANTICO
Le lezioni sul latino di Tiziana Momigliano
di Massimo Gioseffi
1
Ricordo, senza pretesa di completezza, alcuni tra i più importanti strumenti di lavoro,
dei quali non avrò modo di tornare a fare parola in seguito (altri ne saranno menzionati nel
corso dell’intervento): la serie genovese di convegni e volumi denominati Latina Didaxis;
periodici particolarmente attenti alle problematiche dell’insegnare, come «Aufidus. Rivista
di scienza e didattica della cultura classica» o «Docere. Rivista di didattica delle lingue classi-
che»; l’italiano «Scholia», che ha un supplemento esplicitamente dedicato al tema; la raccolta
di percorsi didattici a cura di D. Puliga, Percorsi della cultura latina. Per una didattica so-
stenibile, Roma, Carocci, 2003. Ampia rassegna bibliografica, a cura di R. Luzzi, in «BStudlat»
37 (2007), pp. 215-254.
2
A. Giordano Rampioni, Manuale per l’insegnamento del latino nella scuola del 2000.
Dalla didattica alla didassi, Bologna, Pàtron, 1998, p. 14.
3
Stampate sulla rivista «La Scuola Media», fra l’ottobre del 1972 e il maggio del 1973.
21
1.
tornare
all’antico
Diverse le ragioni che giustificano la scelta. Prima fra tutte, la sensazione che
i manuali e i prontuari finora pubblicati si interessino soprattutto alla trasmis-
sione della cultura e della letteratura latina, o al più della cultura attraverso la
letteratura latina. Ma la scaletta di insegnamento tradizionale – che nulla vieta,
e anzi sarebbe auspicabile venisse ripensata in futuro, ma che tale attualmente
è e rimane – suppone che l’insegnamento della letteratura e l’approccio diretto
agli autori facciano seguito a un periodo di circa due anni dedicati allo studio
della lingua latina, strumento imprescindibile per quell’approccio e quella let-
tura 4. Impressione generale è perciò che la battaglia, se battaglia ha da essere,
si combatta già, se non addirittura sostanzialmente, proprio in quei primi due
anni, e che lì si debba vincerla o perderla in modo spesso irreparabile. Inutile
pertanto, e forse perfino dannoso, promettere uno studio appassionante della
letteratura, se in precedenza si è ucciso l’interesse dello studente. Si corre in-
fatti il rischio di fondare l’apprendimento su un atto di fede, col pericolo che,
quando si giunge all’agognato traguardo, venga solamente confermata – una
volta di più! – l’idea, già fin troppo diffusa, che il latino sia materia pesante e
noiosa, incapace di appagare le aspettative di chi si vede costretto a studiarlo.
È dunque allo studente ginnasiale o delle classi equivalenti che si deve guarda-
re in prima battuta, è in lui che si deve accendere l’interesse per la cultura anti-
ca, è lì che si gioca la partita per il futuro degli insegnamenti classici: particolare
ben noto e sottolineato un po’ in tutti i saggi di recente pubblicazione, ma tra-
scurato o affrontato con qualche arrendevolezza allorché dalle affermazioni di
principio si passa all’esemplificazione pratica. Ecco allora una prima risposta al
quesito di partenza circa la pubblicazione che qui si presenta: è difatti a chi fre-
quenta il ginnasio o il biennio degli istituti superiori che si possono indirizzare
le lezioni di Tiziana Momigliano, a suo tempo pensate per uno studente della
scuola media inferiore. E, in questa prospettiva, a giustificare l’idea di ripropor-
re tali pagine è il loro sostanziale interesse intrinseco. Com’è ovvio, a distanza
di oltre trent’anni ci sono alcuni aggiustamenti da apportare, resi necessari
dall’avvenuto trascorrere del tempo. È però evidente che l’autrice è sfuggita
alla trappola di identificare l’esercizio sul testo con la sua traduzione (la tradu-
zione per lei è solo un momento, importante ed essenziale, ma non esaustivo,
dell’approccio al testo) e ancor più a quella di identificare gli esercizi con frasi
o brani avulsi dal loro contesto e dal loro contenuto: come se fossero soltanto
uno strumento linguistico – la frase portatrice di difficoltà o di una particolari-
4
Si tratta di un antico retaggio della riforma Gentile, che pure proclamava la necessità
di «immergersi nel mondo classico, quale vive nei testi degli scrittori antichi, senza più
preoccupazioni di astratta grammatica».
22
1.
tornare
all’antico
5
N. Flocchini, Insegnare latino, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1999, p. 192;
M.-P. Pieri, La didattica del latino. Perché e come studiare lingua e civiltà dei Romani,
Roma, Carocci, 2005, p. 25.
6
La scuola, del resto, ha progressivamente eliminato una serie di cognizioni che un
tempo si acquisivano fin dai suoi gradini più elementari. Non si dimentichi che la maggior
parte dei liceali (qualche volta perfino degli studenti universitari) non conosce quel con-
glomerato di aneddoti esemplari e moraleggianti di ambito antico – forse discutibili, ma
che costituivano una base di sapere comune, oggi dispersa. Da questo punto di vista, certe
affermazioni della Momigliano sull’argomento suonano un po’ troppo apodittiche e sicure
di sé, e probabilmente andranno riaggiustate nella viva pratica.
23
1.
tornare
all’antico
7
E. Riganti, Lessico latino fondamentale, Bologna, Pàtron, 1989.
8
Op. cit., pp. 41-81.
9
Ivi, p. 17. Sul tema, vd. anche F. Marchese, La livella, il bue, la raucedine. L’insegna-
mento linguistico del latino, oggi, «Chichibio» 42 (2007), p. 2.
10
Relativamente numerosi, ormai, i volumi e gli articoli sulla scuola italiana e la sua
evoluzione dall’unità d’Italia ad oggi. Mi limito perciò a rimandare gli interessati alla guida
24
1.
tornare
all’antico
bibliografica di A. Gaudio, La storia della scuola italiana e delle sue riforme, «Nuova secon-
daria» 17 (2000), pp. 55-58, e al recentissimo A. Balbo, Insegnare latino. Sentieri di ricerca
per una didattica ragionevole, Novara, UTET Università, 2007, pp. 3-24.
11
E che una norma del genere fosse promulgata in data semifestiva appare sintomatico
di molte cose …
12
Nel testo del legislatore, per l’esattezza, si parlava di «rafforzamento dell’educazione
linguistica attraverso un più adeguato sviluppo dell’insegnamento della lingua italiana, con
riferimenti alla sua origine latina e alla sua evoluzione storica»; di fatto, però, la riforma del
1977 venne intesa più o meno dovunque come la soppressione dell’insegnamento del lati-
no nella media inferiore.
13
Ottimo riassunto, di questi e altri modelli grammaticali, nel recente e già menzionato
volume di Balbo, Insegnare latino cit., pp. 55-86.
25
1.
tornare
all’antico
Quali allora, in definitiva, i meriti – e quali i limiti – di queste pagine? Fra i me-
riti va senz’altro annoverata l’idea, precorritrice sui tempi, che il mondo greco-
latino sia «storia da insegnare in senso complesso: è storia politica, economica,
giuridica, di mestieri, di arti, di opere varie» 14. S’è poi detto come la Momi-
gliano non riduca mai la grammatica a materia pura, astratta, svincolata da un
testo. Si parte sempre da una fonte, non necessariamente letteraria, ma in ogni
caso da una materia viva, da una pagina che racconta, o consente di racconta-
re, una storia e di utilizzare il piacere per l’affabulazione, così forte negli adole-
scenti, come arma per penetrare nella loro curiosità. Ciò non cancella lo studio
della grammatica, naturalmente, ma lo subordina alla comprensione del brano
proposto e lo finalizza costantemente a quello scopo. Nel contempo, il singolo
testo, il singolo brano vengono inseriti in un percorso più ampio, nel quale ac-
quisiscono un interesse parziale ed esemplificativo, che invita a guardare oltre
il passo in questione e l’immediato contesto, per cercare di cogliere il nesso, il
problema che è alla base dei testi suggeriti o – a seconda dei casi – dell’opera
da cui il passo in questione è ricavato. Il procedimento, articolato attraverso
otto percorsi a cadenza mensile (ma altri se ne potranno sviluppare), punta
perciò non alla memorizzazione di una regola, magari sottratta da qualsiasi
applicazione effettiva, ma allo sviluppo di quella che oggi chiameremmo la
«memoria a lungo termine». Sviluppo ottenuto facendo leva su una serie di stru-
menti complementari – etimologie, riferimenti visivi, testi documentari, storia
locale, enfasi sulle parole che si vogliono ricordate – così da consentire la pro-
gressiva costruzione di un vocabolario e di un sistema grammaticale, secondo
un procedimento realizzato per tappe e di nascosto, senza proporlo mai come
14
E. Andreoni Fontecedro, Premesse ideologiche e metodologiche per una didattica del
latino, in AA.VV., Il latino e il greco nella scuola oggi. Esigenze e strumenti per la didattica,
Foggia, Atlantica, 1985, pp. 3-11; cfr. anche Giordano Rampioni, op. cit., p. 20.
26
1.
tornare
all’antico
fine del lavoro svolto, ma avendolo ben presente come risultato implicito di
quella presentazione di dati e di situazioni che appare invece l’intento essen-
ziale delle lezioni. Un simile comportamento non esclude ovviamente la ripeti-
zione e la variazione del già detto, attraverso l’ampliamento delle informazioni
acquisite, in attesa di una sistemazione che venga dalla pratica prima che dalla
teoria, e che sia sempre corollario, non fine primario, dell’agire del docente.
Perché ciò diventi possibile, ci vogliono però due presupposti di partenza: il
primo, una classe disposta a farsi coinvolgere nel gioco e a seguirne lo svilup-
po con continuità – ma questo è forse già un risultato, più che una premessa. Il
secondo, un insegnante capace di reggere il gioco, ossia di operare una scelta
fra molte e differenti possibilità, individuando termini e situazioni chiave, sen-
za presunzione di completezza, ma con l’abilità e la competenza di capire per
tempo che cosa serve e che cosa no, cosa è immediatamente utile e cosa può
essere differito nel tempo – oltre che di individuare fra una miriade di testi a
disposizione, tutti ugualmente interessanti o tutti ugualmente morti, a seconda
di come li si presenta, quelli che potranno davvero far breccia nell’animo degli
studenti. E in quanto ho detto si riconoscono i pregi e i limiti della proposta.
Un pregio, senza dubbio, è la presenza costante dei testi, presentati come vivi,
inseriti in una problematica che era la problematica dell’autore al momento
della loro stesura, e in un tema più generale, che riguarda noi tutti, e che è la
conoscenza di un ‘altro e diverso da sé’, come è il mondo latino: tema che il
docente – per il tramite dei testi – viene quotidianamente costruendo. Ulteriori
motivi di vanto sono poi l’importanza concessa alla realtà extralinguistica, la
costante contestualizzazione dei brani presentati, il risalto dato al contenuto del
singolo brano o all’opera da cui il brano è tratto, senza dimenticare per questo
le annotazioni grammaticali (grammatica e stilistica qui vanno sempre di pari
passo). E ancora: se la traduzione non è, a questo punto, uno scopo a sé stan-
te, ma solo uno strumento di avvicinamento al testo – tradurre è soltanto una
fase del capire – ne consegue che la Momigliano può proporre in larga misura
traduzioni proprie, che servano da guida e da stimolo. Senza bisogno di grandi
discorsi di principio viene così incoraggiata, prima con l’esempio, poi con l’au-
tonomo esercizio, la capacità di decifrare (e quindi anche di tradurre) il testo,
la sensibilità, anzi, al decifrare (e quindi anche al tradurre), con tutti i proble-
mi e le difficoltà che questo comporta. Quanto alle annotazioni grammaticali,
non mancano, s’è detto. Sono tuttavia ridotte all’essenziale, mai disgiunte dalla
lettura degli auctores, considerate uno strumento, non uno scopo autonomo:
dal caso specifico si passa perciò con naturalezza alla sistemazione dei molti
casi possibili, e mai il contrario. Nella costruzione che si viene così a ottenere,
privilegiati risultano declinazioni e lessico, anche se non fanno difetto le rima-
nenti nozioni, morfologia e sintassi in primis: sfoltite però, ridotte a casi reali,
a quanto risulta frequenzialmente importante. E anche in questo, va aggiunto,
27
1.
tornare
all’antico
l’autrice gioca in anticipo sui tempi (penso a quella che è stata, qualche anno
più tardi, la «didattica breve»). Non basta: la Momigliano, s’è ribadito più volte,
propone solo un’esemplificazione. Nelle scelte operate, tutte di pregio, ma
tutte a loro volta modificabili, va messa in risalto soprattutto l’importanza con-
cessa ai Realien, che nelle sue pagine davvero convivono con l’apprendimento
della lingua, gli uni essendo naturale e indispensabile supporto dell’altra, e vi-
ceversa: in un procedimento dove lingua e contenuto hanno pari dignità e con-
tinua possibilità di dialogo, anche se non identica priorità nella costruzione dei
percorsi. A questo riguardo, segnalo la parte non indifferente concessa all’epi-
grafia, di nuovo in anticipo sui tempi 15: non solo perché le epigrafi offrono, a
volte, un latino sintatticamente semplificato, e dunque in teoria più accessibile
agli studenti, ma anche perché epigrafi (latine, o in latino) si trovano, in Italia,
pressoché dovunque, il che facilita la possibilità di collegare lo studio di una
lingua morta con l’ambiente entro il quale gli adolescenti vivono e si muovono.
E ancora: le epigrafi, se opportunamente scelte e presentate, offrono una te-
stimonianza di vita vissuta, testimonianza diretta, o quantomeno diversamente
filtrata dalle convenzioni rispetto alla letteratura. E anche questo può essere un
mezzo efficace per suscitare l’interesse dei giovani, alieni in genere da tutto ciò
che sappia di pagina scritta, ma non da quanto profuma di vita reale.
In un simile edificio ci sono anche delle crepe, se non proprio delle vere inesat-
tezze. Ne segnalo qualcuna: ad esempio, non sempre la costruzione proposta
è rigorosa, i pronomi – per fare un caso specifico – appaiono utilizzati prima di
essere spiegati, senza che l’autrice fornisca indicazioni su quale sia il compor-
tamento da adottare in simili casi (il docente traduce e basta, oppure anticipa e
gioca poi di rimessa? C’è semplicemente un ordine da ripensare, o che altro?).
Inoltre, ed è questa forse la pecca maggiore, i testi prescelti sono spesso sem-
plificati e riadattati. Procedimento inevitabile, s’è visto, dato il pubblico al qua-
le l’opera si rivolge, ma pur sempre spiacevole – perfino a constatare che nella
maggioranza dei casi si tratta di una riscrittura che riguarda solo alcuni elementi
accessori, ritenuti troppo difficili o divaganti. Ho però l’impressione che, anche
così, i brani suggeriti siano più complicati di quanto non sia possibile proporre
oggi in classe: l’autrice immagina una scolaresca attenta e disciplinata, in grado
di ricordare e di collegare; classe che, se esiste, andrà costruita, senza darla per
scontata. E in questo il ruolo dell’insegnante dovrà essere forte, molto più forte
di quello che, probabilmente, ci si prospettava all’inizio degli anni Settanta. In
ogni caso, ai testi prescelti vanno riconosciute alcune doti fondamentali, come
15
O. Tappi, L’insegnamento del latino. I testi latini e la loro lingua nell’educazione
moderna, Torino, Paravia scriptorium, 2000, p. 49.
28
1.
tornare
all’antico
16
Ma, a volte, anche allo spostamento di termini all’interno della frase per rendere più
chiaro il costrutto, o alla semplificazione di strutture sintattiche ritenute troppo complesse.
17
O meglio: una lingua, quella dei testi a noi noti, che non è mai stata una lingua dav-
vero ‘viva’, e che non è mai esistita, salvo che nei testi a noi noti …
18
Cfr. l’intervista rilasciata da chi scrive ad A. De Palma, in «Chichibio» 41 (2007), p. 3;
oppure le diverse opinioni raccolte alla pagina internet «Quale latino per la scuola del terzo
millennio?», a cura di R. Carnero, pubblicata nel febbraio 2007 sul sito di «Treccani scuola»
(www.treccani.it/site/Scuola/nellascuola/area_lingua_letteratura/archivio/latino/index.htm).
19
E. Garin, L’educazione in Europa (1400-1600), Roma, Laterza, 1957, p. 281; nella
stessa prospettiva (pur riferendosi ad altro), F. Fortini, Poetica in nuce. 1962, in L’ospite
29
1.
tornare
all’antico
Come si vede, a conti fatti è la parte degli esercizi a sembrare, in generale, più
discutibile; ma è proprio quella che già in partenza si sa che dovrà essere rifatta
ex novo da ciascun insegnante, sulla base di quanto il modello gli suggerisce
e l’esperienza gli consiglia – nonché della scolaresca che si troverà, volta per
volta, a fronteggiare. Del resto, che un testo di questo tipo sia da mettere conti-
nuamente alla prova nella pratica quotidiana dell’insegnamento è un dato che
risulta ovvio, una considerazione esplicita fin dalle affermazioni preliminari
della Momigliano. Lo strumento per farlo ora c’è: ed è questa la scommessa
sulla quale puntare.
ingrato primo (ora in Saggi ed epigrammi, Milano, Mondadori, 2003, p. 963): «Le forme
morte, purché ben morte, sono da preferirsi alle innovazioni».
30
Premessa
metodologica
premessa
metodologica
35
premessa
metodologica
che più era aderente all’indole del latino e in questa analisi ci insegnavano a
cogliere l’energia della lingua stessa. Allora soltanto, nella traduzione dei testi,
l’uso degli astratti, i concetti generici e gli specifici, la sistemazione delle parole
e dei membri del periodo non erano più semplici rompicapo, ma diventavano
sussidio prezioso per riuscire a interpretare un autore.
Cerchiamo dunque pure noi, sin dall’inizio, di suscitare l’interesse dei ra-
gazzi, onde impedire la loro fuga anche solo mentale: non esigiamo troppe
regole e dedichiamo invece una gran parte del tempo disponibile alla lettura
dei testi. Li leggeremo e li tradurremo insieme ed essi costituiranno sempre il
punto di partenza per ogni nostro discorso.
Se i ragazzi impareranno a riconoscere l’espressione più efficace e più adat-
ta per sottolineare una situazione o per manifestare un sentimento, se essi
si abitueranno a rilevare come spesso un verbo o un sostantivo traggano la
loro forza e la loro origine dai modi stessi della vita romana (per esempio i
fenomeni naturali, la coltivazione dei campi, le condizioni del corpo umano),
essi si sentiranno maggiormente partecipi di questa cultura e saranno attratti a
rilevare l’uso delle più frequenti metafore. Poi, nelle letture fatte in classe e a
casa, completeranno questo studio lessicale e magari esamineranno espressio-
ni analoghe della lingua italiana per vedere se esse, trasferite e conservate sino
ai nostri giorni, abbiano mantenuto uguale vigore.
Noi in questo modo accosteremo l’alunno al testo e sarà poi il testo stesso
che gli darà la coniugazione esatta del verbo, il caso che il verbo regge, nonché
la desinenza del nome o del pronome all’ablativo o all’accusativo richiesti per
completare quella determinata struttura. Avremo così creato anche le premesse
per uno studio metodico della morfologia e della sintassi.
Piano di lavoro
Qui, quale esempio per un piano di lavoro annuale, proponiamo otto argo-
menti che costituiranno il punto di partenza per la ricerca dei modi di espres-
sione. Essi sono:
1. La semplicità dei costumi romani nei tempi più antichi della repubblica.
2. Le magistrature, i comizi e le elezioni.
3. La vita militare e la guerra durante la repubblica.
4. Le vie di comunicazione: le strade e i porti.
5. La vita economica di Roma: il commercio e l’industria.
6. I ragazzi e la loro educazione presso i Romani durante la repubblica e sotto
l’impero.
7. I vari generi di spettacoli.
8. La concezione della morte. I riti e i monumenti funebri.
36
premessa
metodologica
La scelta è stata originata dal desiderio di offrire aspetti essenziali della vita
pubblica e di quella privata. Le testimonianze saranno prese sia dagli autori di
prosa e di poesia sia dalle epigrafi. Queste ultime sono documenti molto validi
per la conoscenza di avvenimenti e consuetudini ed è bene che gli alunni ne
facciano oggetto di lettura. Pensiamo inoltre che in tutto il territorio italiano,
persino nei paesi più sperduti, si trovino disseminate lapidi romane con iscri-
zioni di vario genere e la loro presenza potrebbe essere utilizzata per rendere
più efficace lo studio di questa civiltà e della sua lingua e per ricollegare la sto-
ria della regione in cui si trova la scuola a quella dei lontani progenitori latini.
Nulla è più interessante dei documenti della romanità scoperti nelle province.
Noi ci ripromettiamo, nel corso di queste lezioni, di offrirne qualche esempio,
per invitare i colleghi a ricercare nei musei cittadini, nelle pareti delle chiese
o degli edifici, ove talvolta sono murate, le eventuali iscrizioni scoperte nelle
località in cui insegnano.
Metodo di lavoro
All’inizio daremo dunque per ogni argomento due o tre brevi testi latini; essi
saranno semplificati con opportuni tagli per renderli accessibili alle capacità
dei nostri alunni, ma si cercherà di mantenere intatta la forza espressiva e il
ritmo che guida il periodare latino.
Dallo spunto offerto dai brani proposti, la conversazione si allargherà quin-
di ad abbracciare altri aspetti riguardanti lo stesso argomento e gli alunni sa-
ranno chiamati a concorrervi con il ricordo delle nozioni di storia apprese nel
primo anno e che riguardavano i modi di vivere, le credenze, le istituzioni e le
tappe della conquista di Roma.
Per quanto riguarda la morfologia elementare e le nozioni di sintassi, di cui
è fatto cenno nelle disposizioni ministeriali, la conoscenza degli elementi della
proposizione e del periodo dovrebbe scaturire dalle stesse letture dei brani
proposti e di altri che potranno essere offerti agli alunni nel corso della lezio-
ne. Nel tradurre insieme con gli alunni, faremo prima la verifica delle nozioni
acquisite l’anno precedente e nello stesso tempo inizieremo a far rilevare nelle
strutture dei brani letti l’uso dei vari pronomi, dei gradi degli aggettivi, dei ver-
bi attivi e passivi, la funzione delle congiunzioni che reggono le proposizioni
secondarie, l’importanza degli avverbi per la coloritura dei concetti. Dopo aver
trovato alcune volte ripetuto un pronome, un aggettivo, un nome declinato in
vari casi, oppure una forma verbale diversificata secondo i tempi e le persone,
si potrà benissimo richiedere al ragazzo che completi la declinazione o coniu-
ghi il tempo del verbo in tutte le sue persone. Uguale metodo sarà pure usato
per quegli elementi di sintassi del periodo che formano il corredo abituale di
regole nello studio del latino nella scuola media.
37
premessa
metodologica
38
Prima lezione
La semplicità
dei costumi romani
nei tempi più antichi
della repubblica
L. Quinctius Cincinnatus, omnium consensu, dictator creatus est. Ille, spes uni‑
ca imperii populi Romani, trans Tiberim agrum colebat. Ibi legati eum operi
agresti intentum rogaverunt ut togatus mandata senatus audiret. Ille togam pro‑
pere e tugurio proferre uxorem Raciliam iubet.
Postquam, absterso sudore, toga velatus processit, dictatorem eum legati gra‑
tulantes consalutant, in urbem vocant, terrorem in exercitu exponunt. Navis
Quinctio publice parata est, qua Tiberim transvectus est. Populi frequentia sti‑
patus, deductus est domum.
Rid. da Livio, Ab Urbe condita III 26
40
1.
la semplicità dei costumi romani
nei tempi più antichi della repubblica
Lucio Quinzio Cincinnato venne creato dittatore all’unanimità. Egli, unica spe
ranza per l’imperium del popolo romano, stava coltivando il campo oltre il
Tevere. A lui, intento nel lavoro agreste, i legati ivi chiesero che, indossata la
toga, ascoltasse le disposizioni del senato. Cincinnato prega la moglie Racilia di
portargli in fretta dalla capanna la toga.
Dopo che, asciugatosi il sudore, Cincinnato l’ebbe indossata, e si fu fatto avanti,
i legati, congratulandosi con lui, lo salutano dittatore, lo invitano a Roma, gli
dicono del terrore che sgomenta l’esercito. D’ordine del senato una barca fu
preparata per Quinzio, con cui traghettò il Tevere. Accolto da una gran folla di
popolo, venne condotto a casa.
41
1.
la semplicità dei costumi romani
nei tempi più antichi della repubblica
Gli scrittori latini di ogni epoca, tentando di spiegare il sorgere del grande
impero con Roma capitale, la sua espansione nella penisola e più tardi nel
mondo, trovarono concordi la soluzione del problema nelle qualità morali dei
Romani stessi e nella eccellenza delle loro istituzioni.
Ora è indubbio che le cause del successo di Roma sono più complesse e
hanno origini più profonde: la critica moderna ha sfatato gran parte di questa
leggenda. Tuttavia, poiché la tradizione storica e letteraria romana ha sempre
considerato la grandezza e la potenza di Roma come un premio concesso dagli
dèi ai suoi cittadini per ricompensarli delle loro virtù, noi, mentre leggiamo gli
scritti di Livio, di Seneca, di Ovidio e di Giovenale qui sopra citati, rinunciamo
per un istante a vedere con occhio critico quanto ci è offerto da questi testi e
accettiamo come veritiera la rappresentazione forse un po’ retorica, ma viva
e pregnante dei costumi dei padri che venne indicata dai Romani stessi come
origine e causa del loro splendore.
L’accettazione di questa tradizione, senza contestarne né sostenerne l’au
torità, è anche l’unico modo per godere quella commozione che è alla base di
ogni racconto.
Il brano di Livio che noi proponiamo per primo è assai noto. Riguarda Cin
cinnato e la sua nomina a dittatore. Di proposito abbiamo fatto questa scelta
perché i ragazzi, che conoscono la leggenda, non avendo la preoccupazione
di capire che cosa si stia raccontando, possano essere più liberi per cogliere
l’atteggiarsi dell’espressione latina. Faremo anzitutto rilevare come i fatti siano
narrati con estrema concisione, senza commenti. Durante i primi tempi della
repubblica i Romani erano continuamente in guerra con i popoli che abitavano
sulle alture circostanti. Fra i nemici più acerrimi erano gli Equi che, in questa
occasione, erano riusciti ad accerchiare gli accampamenti romani e a mettere
in pericolo Roma stessa.
Come sempre, in momenti di difficoltà i Romani sopprimono il consolato
ed eleggono un dittatore, Lucio Quinzio Cincinnato. La notizia della nomina
viene portata da due legati al prescelto che sta lavorando il suo campo, posto
sulla riva opposta del Tevere. I legati, prima di conferire con lui, gli chiedono
di indossare la toga, poi, comunicata la decisione del senato, lo conducono
con loro in città, attraversando il fiume su una barca traghetto.
Vi è una grande laconicità nel racconto di Livio, ma in questa stringatezza
è insito il pensiero di offrire un modello di vita esemplare, ma non inconsueto
dei Romani antichi. Cincinnato, come tutti i suoi concittadini, era un agricol
tore e, quando era libero dalla guerra e dalle occupazioni di stato, coltivava
il proprio campo e portava al pascolo le sue greggi. La difesa della patria era
però il sommo dovere di ciascun Romano, quindi, al primo richiamo, ognuno
abbandonava le proprie occupazioni, indossava le armi e dava tutto se stesso
per la vittoria.
42
Costruita in pietra o mattoni uniti con mal-
ta, la casa romana, a un solo piano, aveva
vari ambienti distribuiti intorno a un corti-
letto. Nelle più antiche case l’ornamenta-
zione interna è ancora povera; tutto è con-
cepito in funzione delle necessità pratiche
della vita domestica. La casa romana con-
serverà a lungo questo aspetto di ambiente
chiuso e appartato che riflette assai bene il
carattere individualistico e il culto della
famiglia della prima società romana.
La dignità di cittadino libero non veniva meno, anche se la vita di ogni gior
no trascorreva in umili occupazioni, ma la toga, indossata da Cincinnato prima
di aprire il discorso con i rappresentanti ufficiali della repubblica, è un indizio
molto significativo per penetrare nell’intimo del mondo romano. La toga era
infatti il mantello che indossavano i cittadini aventi pieni diritti, era il simbolo
della dignità dell’uomo politico e della superiorità del popolo nato all’impero.
Virgilio infatti scrive nell’Eneide (libro I 282): Romanos rerum dominos, gen‑
temque togatam. Di questo indumento tanto dignitoso e bello, quanto poco
pratico, i Romani si sbarazzavano appena si trovavano in famiglia e lontano dal
mondo ufficiale, ma, per esercitare un pubblico ufficio, esso era di rito; di qui
la richiesta dei messaggeri a Cincinnato, perché indossi la toga per ascoltare le
loro parole.
Uguale semplicità di costumi è rappresentata dai pochi versi di Giovenale,
che noi abbiamo proposto. Anche qui il personaggio che si porta ad esempio è
piuttosto noto. Si tratta di Curio Dentato che venne sorpreso dagli ambasciatori
sanniti venuti a proporre la pace, mentre stava mangiando dei legumi in una
scodella di legno. A quei legati che erano venuti carichi di doni, pare che egli
abbia risposto che preferiva comandare a chi possedeva, piuttosto che posse
dere egli stesso. E appunto per sottolineare quanto modeste fossero le esigen
ze di vita di questo personaggio, Giovenale lo rappresenta avvezzo a prepa
rare egli stesso la sua parca cena: Parvo quae legerat horto ipse focis brevibus
ponebat holuscula, in cui desideriamo soprattutto mettere in evidenza quel
parvo che dà inizio al periodo proprio per sottolineare la frugalità di questo
personaggio che coglieva egli stesso nell’orto i prodotti e li poneva a cuocere
sul focolare. Notiamo pure di passaggio l’espressione focis brevibus che vuol
intendere che una piccola fiamma era sufficiente per la cottura di così vile cibo,
ma dalla fiamma, per metonimia, l’aggettivo viene trasposto al focolare stesso
che diventa «piccolo» per dare un ulteriore tocco al quadro della vita familiare
di Curio Dentato.
Curio Dentato è passato alla leggenda forse soltanto perché i Sanniti sono
entrati nella sua casa mentre egli stava consumando il suo modesto pasto. Il
poeta Giovenale, quasi a sostenere che la stessa frugalità informava la vita di
tutti i Romani antichi, anche i più illustri, si affretta pochi versi dopo a ricor
dare che la carne compariva sui loro deschi soltanto nei giorni festivi oppure
per solennizzare il compleanno di qualche familiare. Era per lo più quella che
avanzava dai sacrifici che venivano fatti agli dèi, in tali occasioni. A quelle
riunioni di congiunti, venivano puntuali alla mensa anche i membri che nello
stato avevano raggiunto le più alte cariche ed erano stati acclamati trionfatori
sui campi di battaglia. E poiché, quando la patria non esigeva il loro contribu
to, essi, come Cincinnato o come Curio Dentato, solevano trascorrere la loro
giornata nei campi, non disdegnavano di presentarsi al banchetto, ancora por
44
1.
la semplicità dei costumi romani
nei tempi più antichi della repubblica
tando sull’omero la vanga che era loro servita per dissodare la terra sulle ripide
alture circostanti.
Il terzo brano, di Seneca, descrive la casetta di Scipione l’Africano a Literno
(Liternum) 1, dove il vincitore di Zama trascorse gli ultimi anni della sua vita e
dove pare che sia stato sepolto. L’abitazione era costruita di pietra squadrata,
un muro di cinta ne definiva i confini e l’acqua di una cisterna, spesso fangosa,
alimentava il piccolo e oscuro bagno, in cui Scipione astergeva il sudore del
proprio corpo, quando ritornava stanco dalle fatiche dei campi. Dunque anco
ra, dopo la Seconda guerra punica, le abitudini dei Romani si erano conservate
modeste.
Anche se ci si era un po’ allontanati dalla primitiva capanna circolare con il
tetto di paglia che aveva costituito la prima abitazione romana, l’aspetto appa
riva assai disadorno. L’esterno, fatto di pietre, in genere non aveva finestre, ma
presentava, come unica apertura, la porta d’ingresso, L’interno era costituito
da un atrio, munito di un foro centrale, destinato a raccogliere l’acqua piovana
della cisterna. Intorno era un numero più o meno grande di stanzette destinate
ai vari usi (Fig. 1).
Né più lussuosi erano i templi degli dèi, come ci testimonia l’ultimo do
cumento, offerto da Ovidio, nei Fasti, in cui celebra i motivi delle ricorrenze
festive. Egli ricorda che la statua di Giove stava a stento nel tempio situato in
Campidoglio e che i fulmini, attributo della maestà e della potenza del Dio,
così come il resto della statua, erano soltanto di umile creta. Non senza un
senso di nostalgia, il poeta, che scriveva ai tempi di Augusto, rammenta come
là tutto intorno ove egli vedeva statue preziose, marmi e gemme, un tempo,
agli albori della repubblica, crescessero verdi prati e i senatori non disdegnas
sero di pascere le greggi. In questa pace agreste si era formata la grandezza
di Roma.
Fu soltanto nell’età successiva alla morte di Silla che si diede l’avvio in
Roma a un’architettura più solida e più artistica che richiese l’uso dei marmi
sia come materiale di costruzione, sia per fattura di architravi, fregi, statue, co
lonne ecc. Prima di quel tempo l’umile arenaria oppure il legno servivano ad
abbellire sia i templi sia le costruzioni private.
1
Cfr. A. de Franciscis, Enciclopedia dell’Arte Antica, s.v. Liternum, IV (1961), p. 661
(G.A.).
45
1.
la semplicità dei costumi romani
nei tempi più antichi della repubblica
Leggiamo insieme
Dopo aver illustrato ai ragazzi gli aspetti più evidenti della civiltà romana an
tica, contenuti nei brani citati, inizieremo un’analisi un po’ particolareggiata
del lessico di ciascun testo, sia per trarne le forme più consuete del dire latino,
sia per dedurne norme grammaticali e sintattiche. La lettura dei testi, opportu
namente guidata, costituisce infatti il modo più semplice e più immediato per
accostare gli allievi alle strutture linguistiche. Essa offre anche il vantaggio di
mantenere un’impronta unitaria alla lezione: il discorso grammaticale si pre
senta infatti come la prosecuzione e il completamento del discorso sulla civiltà.
L’insegnante partirà dall’interesse suscitato negli allievi per gli usi e le consue
tudini romane per inserire in questo contesto i costrutti e le espressioni che via
via si presenteranno.
Le nostre sono ovviamente soltanto ipotesi di lavoro: ogni insegnante deve
senza dubbio tener conto delle capacità intellettuali dei suoi alunni e della pre
parazione che essi hanno avuto nell’anno precedente.
Nel racconto di Livio, troveremo nelle prime parole già una espressione inte
ressante: Q. Cincinnatus dictator creatus est. Diremo ai ragazzi che è un tipico
esempio di linguaggio usato nella vita politica, per annunciare la nomina dei
consoli, dei dittatori o di altri magistrati. Il verbo creare, che qui è usato al
perfetto passivo, poteva anche essere sostituito con il verbo legere che nel
suo significato usuale corrisponde al nostro italiano «scegliere». Possiamo qui
già anticipare alla scolaresca che i tempi composti dei passivi si coniugano, in
latino, usando una voce del verbo esse accompagnata dal participio perfetto
che si declina come un aggettivo della prima classe. Se infatti dovessimo dire
che Pompeo e Crasso vennero eletti consoli, scriveremmo: Cn. Pompeius et
L. Crassus consules creati sunt.
Una espressione consimile, ma usata in forma attiva, la troviamo più sotto,
nel medesimo brano: Dictatorem eum legati consalutant. Il verbo consalutare
è pure esso del linguaggio ufficiale e intende salutare un magistrato con il ti
tolo che gli compete per la carica che gli è stata concessa. Naturalmente esso
regge il doppio accusativo; uno determina la persona che viene salutata, l’altro
la carica conferita. Se volessimo volgere al passivo la proposizione suddetta, ne
ricaveremmo la seguente: Is salutatus est dictator a legatis. I due accusativi al
passivo sono diventati due nominativi e il costrutto è diventato uguale a quello
in cui si dice che Cincinnato è eletto dittatore.
Ed ecco ora un’altra locuzione che sempre fa parte del linguaggio politico:
rogaverunt ut togatus mandata senatus audiret. Gli ambasciatori, arrivati nel
campo, vedono Cincinnato che sta lavorando, lo pregano di indossare la toga
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la semplicità dei costumi romani
nei tempi più antichi della repubblica
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esempi di esercizi 1 2 3 4
Ed ecco ora alcuni esempi di esercizi che potranno essere assegnati ai ragazzi,
come completamento dell’esame del testo, sempre tenendo conto del grado di
preparazione della scolaresca.
Passiamo ora alla lettura del secondo brano. È questo un testo poetico e co
me tale dovremo presentarlo agli alunni. Faremo osservare come il linguaggio
abbia carattere più allusivo, i costrutti siano meno regolari, taluni vocaboli
risultino più ricercati. L’esame del primo verso, Curius parvo quae legerat hor‑
to, ci permetterà di porre subito l’accento sull’uso del pronome relativo, qui
concordato con holuscula che è un sostantivo neutro plurale della seconda
declinazione.
Ugualmente importante è pure l’espressione moris erat quondam festis ser‑
vare diebus, in cui si sottolinea il moris erat (letteralmente in italiano «era di co
stume»), seguito da un verbo di modo infinito. Altre locuzioni affini potrebbero
essere mos erat, consuetudo erat ecc.
Altri due versi ci permettono di far conoscere l’uso del participio presente,
che è pressoché sconosciuto nella nostra lingua. Sicci terga suis, rara penden‑
tia crate, dice Giovenale e più sotto ancora erectum referens a monte ligonem.
Pendentia è il participio presente del verbo pendere, referens del verbo refer‑
re. Il participio presente in latino si comporta quasi come un aggettivo della
seconda classe a una sola terminazione (ha soltanto l’ablativo singolare in ‑e,
anziché in ‑i) e può sostituire sia il gerundio presente italiano sia una propo
sizione relativa. Nel tradurre pendentia che viene riferito alle terga seccate del
porco (una specie di prosciutto), noi potremo rendere bene il concetto latino
con una relativa: «che pendono dal graticcio a larghe maglie». Per referens, l’in
terpretazione più giusta sarà invece «recando la vanga dal monte ritta sull’ome
ro», in altri termini, useremo dunque il gerundio.
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Quali espressioni tipiche della vita romana sottolineiamo ora festis diebus,
«durante le solennità», titulo ter consulis (functus), «console per tre volte», dicta‑
toris honore functus, «che aveva ricoperto la carica di dittatore». Functus è un
participio perfetto. Il verbo fungor regge l’ablativo e significa «adempiere, com
piere, esercitare una funzione»; per quanto riguarda invece il termine honor
ricordiamo che esso ha lo stesso significato del vocabolo «onore» italiano, ma è
anche la carica, il dovere che, compiuto, ci dovrà procurare questo onore.
esempi di esercizi 1 2 3 4
· Raccogliere tutti gli aggettivi comparsi nel testo e raggrupparli secondo le classi
a cui appartengono. Prepararsi a saper ripetere con ordine le loro declinazioni.
· Cercare, con l’aiuto del manuale di grammatica, il paradigma dei verbi che qui
ricorrono numerosi e dividerli a seconda delle coniugazioni. Su questi verbi
esercitarsi per riconoscere con sicurezza i vari tempi dell’indicativo.
· Con l’aiuto del manuale di grammatica, preparare la declinazione del pronome
relativo qui, quae, quod.
Esaminiamo ora il brano di Seneca e avvertiamo gli alunni anzitutto che questo
filosofo, vissuto ai tempi di Nerone, usa un periodare più snello, più asciutto,
oseremmo quasi dire più simile a quello delle nostre lingue moderne.
La prima struttura in cui ci imbattiamo è vidi villam Scipionis lapide quadra‑
to extructam. Extructam è un participio perfetto all’accusativo femminile singo
lare del verbo extruere; esso si forma dal supino e si declina come un aggettivo
della prima classe; lapide quadrato è un complemento di mezzo. Un sinonimo
di lapis, lapidis, potrebbe essere saxum che si ritrova pure assai frequente.
Murum circumdatum silvae ci offre un altro esempio di participio perfetto
e si deve tradurre «il muro messo intorno alla selva». Se invece volessimo far ri
levare che la «selva era circondata da un muro», potremmo usare silvam circum
datam muro, in cui muro diventerebbe un complemento di mezzo. Espressio
ne simile è cisternam aedificiis ac viridibus subditam, «la cisterna attorniata da
edifici e da alberi».
Sottolineiamo poi gli aggettivi angustum, tenebricosum, tam sordido, tam
vile che tutti stanno a descrivere la povertà di quella dimora.
Anche in questo passo, noi troviamo espressioni consuete a rappresentare
le fatiche dei campi: fessum laboribus rusticis, in cui il termine labor ha il valo
re di «fatica, travaglio».
Altre due locuzioni sono: se exercebat opere che ancora vuol dire «lavorava»
e terram subigebat che corrisponde al nostro «vangava la terra».
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esercizi di riepilogo
Per una corretta traduzione gli alunni potranno servirsi delle espressioni sulle
quali ci siamo soffermati nel nostro lavoro precedente di analisi dei testi, oppure
potranno essere guidati a trovare locuzioni affini.
· Il contadino, nei giorni festivi, riposa nella sua piccola casa circondata da verdi
prati.
· Il pastore fa uscire dal recinto il gregge e lo pascola nelle selve vicine.
· L’agricoltore, munito della vanga, dissoda il suo campo.
· Cincinnato ritorna al suo tugurio, posto al di là del fiume Tevere, e coltiva nuo-
vamente il suo podere.
· Il console comanda ai nemici vinti di consegnare gli ostaggi.
· Cesare, conducendo con sé l’esercito, passò il fiume Rubicone.
· Nel compleanno di un familiare, i Romani offrivano agli dèi una vittima e cele-
bravano un banchetto.
· Il bagno ritempra il corpo, stanco dalle fatiche agresti.
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