Beruflich Dokumente
Kultur Dokumente
Bernard Stiegler e il rinnovamento della questione estetica
Roberto Barbanti
Fra i molteplici meriti di Bernard Stiegler uno dei principali è quello di portare un contributo
sostanzioso al movimento di pensiero che ripropone la questione estetica, mettendola al centro del
dibattito filosofico e politico tramite un’analisi precisa e profonda che la lega e, dunque, la ‘com
pone’1 con le dinamiche della memoria umana e tecnica.
Con questo breve testo, a partire dalle problematiche sviluppate da Stiegler, vorrei mostrare la
complessità e la ricchezza di alcune interrogazioni e posizioni teoriche che si articolano attualmente
attorno a tale questione cercando di mettere in evidenza talune implicazioni di cui la problematica
estetica è portatrice. Vorrei, per altro, mostrare come la questione dell’arte e del suo divenire si possa e
si debba porre oggi all’interno di quella estetica, pena altrimenti il rischio di un’autonomizzazione
negativa dell’universo artistico che lo conduce ad un’impasse creativa ed etica fondamentale.
Il rifiuto dell’estetica
Assistiamo oggi ad un rinnovato interesse per la questione estetica che viene riproposta come
antecedente e determinante per ogni altro tipo di interrogazione politicofilosofica. L’estetica, in
effetti, sembra assumere un ruolo capitale che, per così dire, rovescia le precedenti concezioni di cui
veniva fatta oggetto. Fra queste, al di là del dibattito estetologico che certamente non ha mai smesso di
riflettervi2, alcune mi sembrano di particolare interesse proprio perché si sono radicate ben al di là di
questo solo ambito di ricerca disciplinare per divenire una sorta di luogo comune il cui postulato
teorico di fondo è riconducibile a quell’insieme di posizioni facenti « dell’esperienza estetica […] una
sottocategoria del mondo »3. Questi assunti teorici si riferiscono essenzialmente a delle concezioni di
ordine materialistico volgare e scientista, le quali si sono mostrate sostanzialmente incapaci di dare
una qualsivoglia autonomia a tale problematica. La dimensione estetica è stata, in effetti, di volta in
volta subordinata sia alla struttura materiale, economicotecnica, sia all’oggettività della prova
scientifica che si suppone essere indifferente ad ogni particolarità di ordine sensibile o percettivo.
Forzando un po’ le cose, in modo forse leggermente caricaturale, si potrebbe affermare che queste
concezioni considerano la sensibilità, il sensorio stesso e di conseguenza l’arte come sovrastrutture, in
quanto risultato meccanico di dinamiche storiche soggiacenti ben più potenti e fondamentali, o ancora
luogo di una soggettività non fondata e non fondante, di fatto inutile ad una lettura rigorosa del
mondo, vale a dire inessenziale alla definizione dell’epistemé.
1
«…c’est là une question de méthode. Il ne faut pas raisonner par opposition, mais par composition. Les termes
que j’ai employés, je, nous, diachronie, synchronie désignent des entités qu’il faut distinguer sans les opposer, et
qui sont toujours en train de composer. » [« Si tratta di una questione di metodo. Non bisogna ragionare per
opposizione, ma per composizione. I termini che ho impiegato, io, noi, diacronia, sincronia designano delle
entità che bisogna distinguere senza opporle, e che sono costantemente in composizione.»]
Bernard Stiegler, Aimer, s’aimer, nous aimer. Du 11 septembre au 21 avril, Paris, Galilée, 2003, p. 36. Il
riferimento metodologico utilizzato da Stiegler è dunque chiaro: si tratta, in effetti, di ‘comporre’ e non di ‘op
porre’.
2
Per una sintesi critica delle diverse posizioni sulla questione (essenzialmente per quel che riguarda l’ambito
francofono), si veda: Jacques Rancière, Malaise dans l’esthétique, Paris, Galilée, 2004.
3
«… l’on fait de l’expérience esthétique […] une souscathégorie du monde» Bernard Stiegler, De la misère
symbolique 1. L’époque hyperindustrielle, Paris, Galilée, 2004, p. 18 (nota 1).
Page 1 sur 19
Roberto Barbanti Stiegler/Millepiani/Barbanti
Un analogo rifiuto o sottovalutazione dell’estetica si è storicamente verificato anche in ambito
artistico. Questo rifiuto, che ha caratterizzato tutto il XX secolo, deve essere compreso nella
complessità che gli è propria, pena altrimenti il concepirlo in termini unilaterali: positivizzandolo fino
all’apologia oppure denigrandolo fino alla sua demonizzazione. Le prassi e le ideologie artistiche
stesse si sono, in effetti, fatte portatrici di questo deprezzamento dell’estetica che hanno al contempo
esternato e interiorizzato. A partire dagli inizi del ’900, con i Futuristi e in modo dichiarato con
Duchamp, diviene storicamente dominante nell’arte una concezione di questa stessa che la porta ad
autonomizzarsi dall’universo estetico. In breve l’arte viene concepita e praticata come emancipata dal
sensibile, dall’espressività e financo dalla base sensoriale stessa.
Ciò che invece viene esplicitamente dichiarato dalle Avanguardie storiche e dalle Neoavanguardie
è la fondamentale valenza politica del fenomeno artistico e del fare arte che si spinge fino al limite di
pensarla come un veicolo privilegiato del processo rivoluzionario: dai Dadaisti berlinesi ai Surrealisti
fino a Fluxus e ai Situazionisti, la trama narrativa di un’insubordinazione sociale e di un progetto
utopico si stende, difatti, quasi ininterrottamente.
Parlare, dunque, del rinnovo della questione estetica significa comprendere e situare questa
problematica in un ambito di riflessione complesso che affonda le proprie radici al contempo nel
pensiero filosofico ed epistemologico, nelle prassi artistiche del Novecento, così come nella sensibilità
comune e nelle ideologie diffuse nel corpo sociale le quali, a seconda dei casi, risultano essere di
queste stesse teorie e prassi antiestetiche sia l’espressione banalizzata che il retroterra legittimante.
La novità che caratterizza l’attuale ritorno alla problematica dell’estetico è, per quanto mi riguarda,
inerente al manifestarsi di due circostanze maggiori: da un lato il fatto che essa avvenga in ambiti
disciplinari diversi, talvolta estremamente distanti e non usi a questo tipo di riflessione, come ad
esempio la filosofia politica e la biologia; dall’altro, sul versante artistico, il fatto che si ritorni a fare i
conti con questo tipo di interrogazioni spesso, come abbiamo affermato, escluse, snobbate e denigrate
da gran parte dei movimenti e delle personalità artistiche del Novecento.
Quest’ultimo punto meriterebbe un’attenzione tutta particolare poiché il rapporto tra estetica ed arte
non è solamente fondatore di quest’ultima, ma resta comunque un ambito di riferimento, concettuale
ed empirico, ricco e fondamentale che alimenta incessantemente la riflessione estetica stessa. Ma su
questo rapporto arte/estetica tornerò brevemente in seguito nell’ultima parte del testo.
Per analizzare i diversi aspetti di novità dell’attuale rilettura del fenomeno estetico dobbiamo
innanzitutto considerare la nozione d’estetica stessa la quale deve essere compresa nelle differenti
accezioni che ne determinano i molteplici significati.
Questo vocabolo (e questa disciplina), che come è noto appare in ambito filosofico tedesco a metà
del XVIII secolo4, rinvia ad una sorta di arcipelago semantico che può essere ricondotto a tre ordini di
problematiche distinte sebbene interrelate: si parla di estetica quando sono in gioco le idee di
percezione/sensibilità, di arte e di bellezza.
Ogni occorrenza di questi termini differenti ci situa di fatto nell’ambito della riflessione estetica e
ci legittima a introdurne il concetto. Ed è proprio all’insieme di queste problematiche
sensibilità/percezione, arte e bellezza che è orientata la riflessione di Bernanrd Stiegler, il quale nella
sua opera le affronta in un’unico ed ampio movimento di pensiero che le compone organicamente
elaborandole, al contempo, singolarmente. Stiegler, che ha da poco lasciato la direzione dell’IRCAM
4
Fra i numerosi testi scritti sull’argomento, si veda la chiara sintesi realizzata da Carole TalonHugon nel
suo libro: L’Esthétique, Paris, PUF, 2004.
Page 2 sur 19
Roberto Barbanti Stiegler/Millepiani/Barbanti
per occupare la funzione di direttore dello sviluppo culturale al Centro Pompidou di Parigi e che è
stato anche direttore dell’INA5, ci parla, infatti, del sentire collettivo, di ecologia dei media e di arte
riportando queste problematiche a quel loro comune denominatore che è il politico6.
Bernard Stiegler e la questione estetica
La questione estetica per Bernard Stiegler rinvia alle modalità del costituirsi delle coscienze e
dunque alla dimensione politica in tutto il suo spessore esistenziale, individuale e collettivo. L’estetica
è dunque l’aisthésis, la sensazione, e la questione estetica è quella del sentire e della sensibilità in
generale7. Questa concezione dell’estetico in quanto sentire insieme o comune sentire 8, e in quanto
«sistema delle forme a priori che determina ciò che si dà a sentire»9 Stiegler la condivide con il
filosofo Jacques Rancière il quale, come lui, lavora da anni sulla problematica del «partage du
sensible» (la condivisione del sensibile), vale a dire su quella «esthétique première»10 (estetica prima)
che è la base stessa di ogni rapporto politico così come di ogni possibile pratica artistica propriamente
detta.
Ciononostante, Stiegler rimprovera a Rancière di non aver saputo tener conto di alcune
modificazioni epocali.
«Jacques Rancière scrive Stiegler ha giustamente ricordato che la ‘politicità’ è sensibile, vale a
dire che la questione politica è immediatamente estetica. Stranamente, però, ha dimenticato che
all’epoca industriale la sensibilità, martellata ossessivamente dal marketing è divenuta la posta in
gioco di una vera e propria guerra le cui armi sono le tecnologie e le cui vittime sono le singolarità,
individuali o collettive (‘culturali’), a tal punto che si sviluppa una immensa miseria simbolica.» 11
5
L’IRCAM (Institut de Recherche et de Coordination Acoustique / Musique) è uno dei centri di ricerca musicale
più prestigiosi e noti al mondo legato al Centro culturale nazionale francese George Pompidou. L’INA (Institut
National de l’Audiovisuel) è la struttura nazionale francese di coordinazione e documentazione per l’attività
audiovisiva. Si veda la breve biografia di questo autore proposta da Manola Antonioli nel suo testo, «Bernard
Stiegler : la società iperindustriale» (Millepiani, n° 29, Giugno 2005, pp. 3955), che è anche un’utile
introduzione al pensiero del filosofo francese.
6
«Or la question politique est essentiellement la question de la relation à l’autre dans un sentir ensemble […] Et
l’essentiel de la lutte économique internationale se mène sur ce front » [«Ora la questione politica è
essenzialmente la questione della relazione all’altro in un sentire insieme, … E l’essenziale della lotta economica
internazionale si conduce su questo fronte»]. Bernard Stiegler, De la misère symbolique 1. L’époque…, op. cit.,
pp. 1819.
7
«La question politique est une question esthétique, et réciproquement : la question esthétique est une question
politique. J’emploie ici le terme esthétique dans son sens le plus vaste, où l’aisthésis est la sensation, et où la
question esthétique est donc celle du sentir et de la sensibilité en général.» [«La questione politica è una
questione estetica, e reciprocamente: la questione estetica è una questione politica. Impiego qui il termine
estetica nel suo senso più vasto, laddove l’aisthésis è la sensazione e la questione estetica è dunque quella del
sentire e della sensibilità in generale.»] Ibidem, p. 17.
8
«Ce que j’entends par esthétique, c’est primordialement le sentir en tant qu’il constitue une relation, relation à
moimême, relation à un autre, aux autres.» [ «Ciò che intendo per estetica è primordialmente il sentire in quanto
costituisce una relazione, relazione a me stesso, relazione a un altro, agli altri»] Bernard Stiegler et al., «La
fonction relationelle du beau», Art Press, n. 301, mai 2004, pp. 4953.
9
Jacques Rancière, Le partage du sensible. Esthétique et politique, Paris, La Fabriqueéditions, 2000, p. 13.
10
Ibidem, p. 14.
11
«Jacques Rancière a justement rappelé que la ‘politicité’ est sensible, c’estàdire que la question politique est
d’emblée esthétique. Mais il a étrangement ignoré qu’à l’époque industrielle la sensibilité matraquée par le
marketing est devenue l’enjeu d’une véritable guerre, dont les armes sont des technologies, et dont les victimes
Page 3 sur 19
Roberto Barbanti Stiegler/Millepiani/Barbanti
sont les singularités, individuelles ou collectives (‘culturelles’), au point que se développe une immense misère
symbolique.» Bernard Stiegler, De la misère symbolique 1. L’époque…, op. cit., p. 19.
12
«Kulturindustrie» («industria culturale») è il titolo di un saggio apparso in: Max Horkheimer et Theodor
Wiesengrund Adorno Dialektik der Aufklärung. Philosophische Fragmente, New York, Social Studies
Association, 1944 et 1969. Come affermano gli autori nella «Prefazione» del 1969 la prima edizione de La
Dialettica della Ragione è stata pubblicata nel 1947 presso Querido ad Amsterdam.
Per la critica di Stiergler alle posizioni di Adorno e Horkheimer si veda: La Technique et le Temps 3 (Capitolo
1) ; «L’Hyperindustrialisation de la culture et le temps des attrapenigauds. Manifeste pour une ‘écologie de
l’esprit’», Art Press, «Internet all over» (hors série) novembre 1999, pp. 4162.
13
«Le processus d’individuation capitaliste et industriel est entré en contradiction avec luimême et tend à
s’autodétruire par une baisse tendancielle d’énérgie libidinale, qui se traduit par une perte d’individuation.» [«Il
processo d’individuazione capitalista e industriale è entrato in contraddizione con sé stesso e tende ad
autodistruggersi attraverso un abbassamento tendenziale dell’energia libidinale che si traduce in una perdita
d’individuazione.»] Bernard Stiegler, «Contre la concurrence, l’émulation», Le Monde Diplomatique, n° 615,
Juin 2005, pp. 2223.
14
Bernard Stiegler, De la misère symbolique 2. La catastrophè du sensible, Paris, Galilée, 2005, p. 16 e sgg.
15
Per i riferimenti bibliografici delle opere di questi due autori a cui Stiegler fa riferimento e per un’introduzione
a queste problematiche si veda il già citato articolo di Manola Antonioli .
16
Su come Stiegler concepisce la catastrofe si veda: Mécréance et discrédit 1. La décadence des démocraties
industrielles, Paris, Galilée, 2004, p. 18 e sgg ; De la misère symbolique 2. La catastrophè…, op. cit.
Page 4 sur 19
Roberto Barbanti Stiegler/Millepiani/Barbanti
ampiamente dibattuto. Valga per tutte la teoria Deleuziana dell’emergere delle «sociétés du contrôle» 17
(società del controllo), teoria in gran parte condivisa da Stiegler il quale vi apporta nuovi e probanti
elementi di riflessione. Mi sembra che, allo stato attuale dei fatti, l’analisi enunciata da Deleuze, di un
controllo sociale terribilmente accresciuto grazie alle macchine ciberneticoinformatiche, sia
difficilmente confutabile. Le divergenze semmai si potranno avere sulle reali possibilità e/o sulle
modalità e strategie fattuali di uscita da queste società del controllo. A questo proposito Stiegler, pur
consapevole delle enormi difficoltà, sembra relativamente ottimista e risolutamente deciso a «lottare
contro un processo che è il tentativo, nientemeno, di liquidare il ‘valore spirito’, come diceva
Valéry»18.
Ultramedialità
Se riassumiamo brevemente, il nucleo fondamentale dell’analisi stiegleriana si articola attorno alla
questione estetica il sentire comune, il sentire in comune e alle attuali mnemoteletecnologie le
quali, dominate dalle tecniche di vendita imperanti nell’Occidente dagli anni 1930 in poi, hanno
modificato la nostra relazione esteticopolitica con il mondo. Producendo degli «oggetti temporali
industriali»19, il cui flusso si dispiega e coincide con il fluire temporale della coscienza stessa, queste
tecnologie determinano e controllano il costituirsi della sensibilità e dello spirito sincronizzando e
omogeneizzando le singole interiorità in un divenire che non è più né individualità né comunità, ma
solamente produzione di un « disgusto generalizzato »20.
Stiegler vede in questa miseria del simbolico un fattore drammatico e propone una nuova «ecologia
dello spirito»21 e dei media. Egli sembra voler cogliere l’occasione della mutazione in atto nei media,
riguardante il passaggio dalla dimensione analogica verso quella di una digitalizzazione integrale che
alla fine li unificherà, per favorire lo sviluppo di una nuova democrazia e di una nuova forma di
intelligenza collettiva.
Per altro il più vasto disastro ecologico è pensato dall’autore come conseguenza di questo processo
di depauperamento delle coscienze poiché, come egli afferma: «il contrario significherebbe che
l’avvelenamento generalizzato dei corpi e degli spiriti è esso stesso una fatalità, un flagello
inspiegabilmente caduto dal cielo, cosa che sicuramente non è.»22
A partire da questi aspetti vorrei ora introdurre qualche ulteriore elemento di riflessione riguardante
quelli che mi sembrano essere, come spero di aver fatto rilevare in questa mia rapida esposizione, tre
nuclei problematici fondamentali del pensiero di Stiegler. Affronterò, dunque, nell’ordine la questione
(I) delle mnemoteletecnologie, (II) quella estetica e infine (III) quella ecologica.
17
Gilles Deleuze, Pourparlers. 19721990, Paris, Minuit, 1990. Si vedano in particolare le pagine 236238.
18
«lutter contre un processus qui n’est rien de moins que la tentative de liquider la ‘valeur esprit’, comme disait
Valéry». Bernard Stiegler, De la misère symbolique 2. La catastrophè…, op.cit., p. 16.
19
Per una breve sintesi dell’autore su «les objets temporels industriels», si veda: Bernard Stiegler, De la misère
symbolique 1. L’époque…, op. cit., pp. 4649.
20
Bernard Stiegler parla ripetutamente di questo soggetto. Si veda ad esempio: «Un dégoût généralisée» in
Philosopher par accident…, op. cit., p. 103; « Créer le dégoût » in De la misère symbolique 1. L’époque…, op.
cit., p. 73.
21
« L’Hyperindustrialisation de la culture…», Art Press, op.cit., pp. 4162.
22
«L’inverse signifierait que l’empoisonnement généralisé des corps et des esprits est luimême une fatalité,
un fléau inexplicablement tombé du ciel, ce qui n’est certainement pas le cas.» ibidem, p. 44.
Page 5 sur 19
Roberto Barbanti Stiegler/Millepiani/Barbanti
Anche per quanto mi concerne questi tre aspetti mnemoteletecnologie («i canali di trasmissione
tecnica spaziotemporale» secondo la definizione datane da A. A. Moles) 23, dimensione estetica e
realtà ecologica sono profondamente interrelati e vanno dunque concepiti nella complessità che li
compone e li determina reciprocamente.
Il punto di partenza dal quale muoverò per quest’analisi comune, in sintonia con i riferimenti e il
procedere analitico di Stiegler stesso, è la modificazione strutturale della tecnica avvenuta nel XIX
secolo. Quest’epoca è portatrice non solo delle nuove forme di memoria tecnica visiva (fotografia e
cinema) e acustica (fonografo), ma anche di quel complesso processo d’industrializzazione su larga
scala che riguarda la produzione chimica e gli albori dell’elettricità. Ciò che era dunque d’ordine
immateriale (il suono, le immagini) si “deposita” su dei supporti concreti (i quali, in questo caso, non
sono altro che dei “contenitori” generici e neutri) o “transita” su questi (l’elettricità), e ciò che invece
era d’ordine materiale e tangibile (le differenti sostanze) viene scomposto e ridotto alla sua dimensione
molecolare (la chimica). In entrambi i casi materia ed energia sono rese ancor più disponibili allo
sfruttamento industriale e alla mercificazione, ma, al di là di questo, ciò che forse deve essere
considerato con maggiore attenzione poiché generalmente sostanzialmente trascurato è il fatto che
questo processo porta ad una sorta di composizione e scomposizione, di dissolvimento e
sedimentazione della materia e degli eventi i quali sembrano autonomizzarsi, vale a dire allontanarsi
da ogni relazione univoca e necessaria ad uno spaziotempo dato.
L’energia elettrica, in effetti, agendo precisamente sul piano spaziotemporale fa della terra,
secondo Marshall McLuhan, un unico grande villaggio planetario. La chimica assume come suo
«assioma la presenza di affinità specifiche fra atomi di elementi diversi» 24 il che significa che le
differenti sostanze sono prese in considerazione e trattate per quanto hanno di comune, cioè
d’indifferenziato, tra loro. Infine, per quanto riguarda l’immagine o il suono, assistiamo ad un eguale
“spaesamento”: in ambito acustico R. Murray Schafer parla a questo proposito di «schizofonia», un
fenomeno di cui l’autore situa l’origine negli ultimi decenni del XIX secolo 25.
A partire dalla seconda metà del XX secolo, tre nuove dimensioni si aprono allo sfruttamento
industriale umano: l’informazione, l’atomo e il gene. Il paradigma epistemologico che predominerà da
questo momento in poi è quello ciberneticoinformazionale 26 il quale ha ampiamente orientato le
23
A. A. Moles, Les Musiques Experimentales, Zurich, Éditions du cercle d’art contemporain, 1980.
24
[«La chimie a pris comme axiome la présence d’affinités spécifiques entre atomes de divers éléments.»]
Michel Serrer et Nayla Farouki (sous la rirection de), Le Trésor. Dictionnaire des Sciences, Paris, Flammarion,
1997, p. 146 (articolo: «Chimie»).
25
Di questo neologismo Schafer da la seguente definizione: «Schizophonie (du grec: schizo, fendre, et phône,
voix, son). J’ai employé ce terme pour la première fois dans Le Nouveau Paysage Sonore (The New
Soundscape) où il désignait la séparation entre un son original et sa reproduction éléctroacoustique. Un son
original est lié aux mécanismes qui le produisent. L’électroacoustique permet d’en obtenir des copies que l’on
destine à d’autres lieux et à d’autres moments. J’ai donné au phénomène cette appellation aux consonances
“pathologiques” pour faire ressortir le caractère aberrant de son développement au XXe siècle». [«Schizofonia
(dal greco: schizo, scindere, e phône, voce, suono. Ho impiegato questo termine la prima volta nel mio The New
Soundscape dove designava la separazione fra un suono originale e la sua riproduzione elettroacustica. Un suono
originale è legato ai meccanismi che lo producono. L’elettroacustica permette di ottenerne delle copie che
vengono destinate ad altri luoghi e ad altri momenti. Ho dato al fenomeno questa denominazione a consonanza
‘patologica’ per mettere in rilievo il carattere aberrante del suo sviluppo nel XX secolo»] R. Murray Schafer, Le
Paysage Sonore, Paris, Lattes, 1979, p. 376. (Traduzione italiana : Il paesaggio sonoro, Milano, Ricordi
Unicopli, 1985).
26
Si veda a questo proposito il libro di Céline Lafontaine: L’empire cybernétique. Des machines à penser à la
pensée machine, Paris, Seuil, 2004.
Page 6 sur 19
Roberto Barbanti Stiegler/Millepiani/Barbanti
ricerche, i modelli e le prassi tecnoscientifiche modellando profondamente anche i modi del pensiero
diffuso e le ideologie dominanti. Questo paradigma presuppone un elemento astratto l’informazione,
il codice come soggiacente ad ogni tipo di realtà concreta e in qualche modo anche esaustivo di
questa stessa. Sebbene per certi aspetti rovinoso, perché intrinsecamente riduzionista (il codice
genetico non è l’organismo e l’algoritmo non è il fenomeno che formalizza), questo paradigma ci
indica una cosa di grande interesse: il fatto, cioè, che la dimensione fisicomateriale, intendendo per
dimensione fisicomateriale la concretezza percettibile delle cose e dei fenomeni, sembra cambiare di
statuto. Essa, difatti, diviene “comprensibile”, nel senso riduttivo e tecnicista di codificabile e
manipolabile, a partire solamente da alcune sue proprietà soggiacenti di ordine informazionale, astratto
ed impercettibile. Queste proprietà assumono progressivamente un carattere fondamentale e prioritario
nelle diverse forme di produzione industriale con conseguenze di grande portata.
Per altro, come sappiamo, l’aspetto calcolante e numerico, si estende alle immagini acustiche e
retiniche le quali si “emanciperanno” rispettivamente dal fenomeno vibratorio e da quello luminoso
per divenire totalmente concettuali, vale a dire delle matrici binarie attualizzate in realtà sensibili
audiovisive da degli algoritmi dedicati. Paradossalmente questa accresciuta astrazione produce una
sorta di maggior “oggettualizzazione” di queste immagini rispetto alla fase analogica precedente, non
nel senso di una accresciuta materialità di queste, ma in quello di una superiore manipolabilità che le
renderà più disponibili, montabili e smontabili a piacimento. Il suono e l’immagine, due fenomeni
impalpabili e transitori, assumono in questo modo delle caratteristiche “stabili”. Un qualsiasi evento
acustico o visivo può, in effetti, non solo essere “inciso” su disco o immagazzinato su altri supporti,
ma la frazione di secondo di un fotogramma o di un campione audio può essere riprodotta, cancellata,
parzialmente trasformata o modificata totalmente intervenendo a piacimento su qualsivoglia suo
parametro costitutivo. Questa “stabilità” è tale che è possibile creare dei veri e propri ambienti e
contesti virtuali, come per le immagini tridimensionali e interattive, dei quali noi siamo i “contenuti”.
Un uguale controllo è riscontrabile per quanto riguarda l’infinitamente piccolo dell’universo
atomico con le conseguenze devastanti a livello macroscopico che conosciamo o per la
manipolazione del codice genetico nel programma che dà origine a nuovi essenti. Che si tratti dunque
di informazioni e immagini, atomi o geni possiamo constatare l’esistenza e l’esigenza di una forma di
controllo accresciuto e inedito che si applica a dei fenomeni le cui caratteristiche immediate sono
l’impermanenza e l’impercettibilità. Esistono, di conseguenza, delle modalità codificabili che ci
permettono di produrre e riprodurre, costruire o decostruire, la realtà delle cose e degli eventi più
effimeri ed evanescenti, così come di agire fattualmente su questi cambiandone le scale di grandezza e
i livelli operativi d’intervento o ancora di predeterminarne il divenire.
Ciò che accomuna l’insieme di questi diversi accadimenti riguarda una trasformazione sostanziale
del modo di produrre e la natura di questa produzione. In altri termini assistiamo ad una
trasformazione radicale del medium. Questo termine va inteso qui nel senso di una cosa che è la
mediazione materiale tra l’essere umano e il mondo, quello che i greci chiamavano technê, vale a dire
ciò che non viene al mondo spontaneamente, ma è frutto della capacità di produzione umana: lo
strumento tecnico e l’opera d’arte. Ora la specificità di questo medium è per l’appunto quella di potersi
estendere a delle molteplici manifestazioni del reale che erano precedentemente inaccessibili (come i
suoni e le immagini) e al contempo di “scomparire” in quanto fenomeno materiale macroscopico e
percettibile per dissolversi in dimensioni e dinamiche che sono di ordine molecolare, atomico,
energetico, informazionale, microscopico, infinitesimale, ecc. La produzione industriale in tutte le sue
componenti (dall’agricoltura all’alimentazione, dalla metallurgia all’edilizia, dalla biochimica
all’informatica, ecc.) è strutturalmente orientata e determinata da questo processo che diviene il suo
asse portante costitutivo fondamentale.
Page 7 sur 19
Roberto Barbanti Stiegler/Millepiani/Barbanti
Per definire questa nuova fase storica, nella quale siamo oggi totalmente immersi, e lo straordinario
elemento di novità che la caratterizza, ho coniato il neologismo ultramedia27 prendendo dunque il
medium, e i suoi inediti mutamenti, come riferimento sostanziale per sintetizzare le qualità specifiche
della nuova determinazione tecnostorica nella quale attualmente evolviamo. Tengo a precisare che
così facendo non intendo appiattire e ridurre la complessità del reale a una sua sola componente (in
questo caso il medium, il fenomeno tecnico, cadendo dunque in una concezione puramente
tecnicistica), ma stabilire solamente un riferimento sostanziale e fattuale dal quale originare la mia
analisi.
La realtà ultramedia è dunque quella in cui ciò che viene socialmente prodotto (il prodotto stesso e
le modalità della produzione) necessita di maggiore controllo e produce maggiore controllo avendo al
contempo tendenza a sottrarsi al controllo. Questo avviene non solo per ragioni intrinseche
(l’accresciuta complessità del sistema implica una sua accresciuta fragilità e imprevedibilità) ma anche
perché ed è questo un punto fondamentale per l’estetica e per il politico si tratta di un processo che
sfugge al sensorio in quanto non risponde più a nessuna legge percettiva costituita poiché gli eventi
hanno luogo senza che una loro possibile identificazione spaziotemporale possa darsi, vale a dire che
questo processo si è, almeno in parte, autonomizzato. Siamo così confrontati a due dinamiche
essenziali che si manifestano con le seguenti modalità: da un lato il medium (nelle sue componenti
fondamentali e fondanti) sembra scomparire e indifferenziarsi, perché aldilà (ultra) di ciò che è
umanamente sensorialmente identificabile; e dall’altro, a causa e grazie a questa sua natura orientata
alla dimensione immateriale e generica, questo medium si manifesta in una sorta di eccesso (ultra)
perché è portato a permeare ogni aspetto della realtà forgiandola secondo le sue regole e modalità
d’essere. Questo medium, cioè queste tecnologie, agiscono costantemente, per così dire, sia per
eccesso (pervasività, profusione e dismisura) che per difetto (disparizione e impercettibilità).
Le mnemoteletecnologie: tecnologie della memoria e della trasmissione (I)
Questo nuovo medium (o ultramedium, come l’ho definito) si caratterizza, dunque, in modo
radicalmente differente dai media precedenti. Vorrei rapidamente considerare quattro aspetti maggiori
che a mio avviso rappresentano degli elementi di novità sostanziali. Questi riguardano: (a) certe
specificità intrinseche che lo costituiscono; (b) il rapporto che esso instaura con il corpo; (c) le
modalità con cui predispone la nostra presenza al mondo; e (d) la relazione che impone alla
dimensione estetica, vale a dire al sentire/percepire. Per ragioni di economia e chiarezza espositiva
affronterò queste problematiche a partire dalle mnemoteletecnologie, ma gli elementi di analisi che
enuncerò hanno una valenza più vasta che può essere estesa anche agli altri media.
In relazione alle specificità intrinseche (a), una caratteristica fondamentale è attinente al fatto che il
medium mnemoteletecnologico non ha più fondamentalmente alcuna caratteristica. Esso, infatti, è,
per così dire, un nuovo congegno privo di ogni specificità la cui vocazione materiale è quella di
27
Ne ho scritto a molteplici riprese a partire dall’inizio degli anni 1990. Si veda, ad esempio: «Al di là
dell’estetica: Ultramedialità e PoEticità» in Mario Costa (a cura di), Nuovi media e sperimentazione d’artista,
Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1994, pp. 103108; «L’art technocyber : la dérive technicienne de l’esprit
utopique de l’art du XXe siècle. L’utopie à l’époque de l’ultramédialité» in Roberto Barbanti et Claire Fagnart
(sous la direction de), L’art au XXe siècle et l’utopie, Paris, l’Harmattan, 2000, pp.121174; «‘Ultramédialité’ :
un concept appliqué à l’art», Communication & Langages, N° 127, mars 2001, pp. 7895; «Ultramédialité et
question éthique», Ligeia, N° 45464748, juilletdécembre 2003, pp. 3843; Visions techniciennes : de
l’ultramédialité dans l’art, Nîmes, Théétète, 2004.
Page 8 sur 19
Roberto Barbanti Stiegler/Millepiani/Barbanti
tendere verso una standardizzazione universale senza più contenuto alcuno28. Nell’ambito di queste
tecnologie il telefono cellulare è un esempio probante: nella sua propensione a diventare jukebox,
macchina fotografica, telecamera, terminale internet, agenda elettronica e perfino, in misura minore,
televisore, si evidenzia bene che l’orientamento è verso strumenti privi di ogni specificità e di
qualsivoglia contenuto proprio. Ma già la macchina fotografica o il fonografo, che oggi si ritrovano
contenuti e accorpati alla funzione telefonica, erano strumenti che in quanto tali non avevano più un
contenuto specifico (il fonografo, come il disco o il magnetofono non possiede un proprio timbro
particolare, un registro musicale dato, una forma materiale precisa e necessaria come è il caso, ad
esempio, per il violino o il clarinetto; lo stesso vale per la macchina fotografica) poiché atti ad
accogliere qualsiasi tipo di contenuto.
Questi non rinviano più come era il caso per i vecchi media, strumenti e utensili tecnici (il
pennello o il pianoforte, la freccia o il martello, paradossalmente, poco importa) a un « savoir faire »,
a una abilità e manualità propria, vale a dire a delle competenze precise e specifiche. E ciò non
soltanto per delle ragioni di vendita (la convivialità in quanto possibilità d’utilizzazione immediata e
generalizzata permette una commercializzazione più rapida), ma anche perché gli aspetti cognitivi
legati all’uso dello strumento sono troppo complessi per poter essere gestiti dal singolo utilizzatore e
devono dunque essere assunti in proprio dalla macchina stessa. Questa caratteristica, che è inerente al
fenomeno tecnoscientifico in quanto tale e che ha, di conseguenza, un valore generale, induce tra le
altre cose (b) una nuova relazione con il corpo e con le sue abilità divenute secondarie e in prospettiva,
secondo questa logica, inessenziali29.
D’altra parte la crescente integrazione tra i vari media e precisamente quelli telecapaci (in grado
cioè di operare da lontano, di trasmettere a distanza), provoca una particolare relazione con la località
e l’esteriorità. L’individuo è costantemente stimolato, e dunque orientato, a connessioni da e verso un
altrove. Ne consegue il fatto che egli è sempre più portato, anche sensorialmente, a situarsi in questo
altrove stesso. La relazione col mondo esperito direttamente (c) (la propria presenza nel e al mondo)
ne risulta, in questo modo, artificialmente alterata così che il soggetto sembra allontanarsene
percettivamente ma anche affettivamente e intellettualmente. Questo straniamento, che è stato
variamente analizzato e che certamente riguarda numerosi altri aspetti, non rinvia solamente alla
questione dello “spettacolo” (laddove rappresentazione e vita, significante e referente, soggetto e
predicato, ecc., si “confondono” divenendo indistinguibili) analizzata dai Situazionisti, ma pone il
problema fenomenologico diretto di un’assenza a se stessi e agli altri. Che si sia in riva al mare con gli
auricolari MP3, in macchina ascoltando la radio, in treno guardando un DVD o discutendo al cellulare,
in realtà, poco importa. Quest’ultimo esempio è, per altro, significativo poiché chiunque può
facilmente verificare come lo spazio acustico del vagone, che è uno spazio pubblico per eccellenza,
venga insensibilmente occupato da persone che agiscono e reagiscono come se stessero parlando nella
solitudine del salotto di casa propria. Certo si può pensare a una questione di pessima educazione, ma
dobbiamo riflettere su questi comportamenti pensandoli anche come sintomo del modo in cui le
tecnologie della distanza operano concretamente sul nostro modo di percepire il mondo circostante,
dunque sulle nostre forme di socializzazione più immediate. Non a caso si tratta di reazioni spontanee
e immeditate proprie a quanti sono più esposti a questo tipo di patologie da straniamento30.
28
La già citata definizione datane da A. A. Moles parla, non a caso, di «canali di trasmissione tecnica spazio
temporale» indicandone esattamente questo carattere generico di contenitore vuoto.
29
In quest’ottica e su un piano più generale, certe patologie attuali, come l’obesità, potrebbero forse essere
analizzate come una prima forma di pandemia, vale a dire una modalità epidemica senza limiti di spazio e
temporalmente rapida nel diffondersi, di carattere ultramediale.
Page 9 sur 19
Roberto Barbanti Stiegler/Millepiani/Barbanti
Questione estetica (II)
In effetti, una conseguenza fondamentale delle tecnologie ultramediali è una sorta di deprivazione
esteticopercettiva: esse portano ad isolarci nel mondo e dal mondo. Abbiamo visto come le mnemo
teletecnologie influiscono sul problema della presenza e ho accennato sopra alle analisi di Stiegler
riguardanti la televisione e più in generale gli «oggetti temporali industriali», nel divenire del processo
d’individuazione, ma un ulteriore elemento di chiarificazione può essere apportato affrontando la
questione di queste tecnologie a partire dalla materialità del mondo e dal ruolo che il sensorio vi gioca
attualmente.
Il mondo ci sfugge e la capacità di percezione vi è essenzialmente annichilita (d). Sul piano
materiale, in effetti, i nostri sensi sono incapaci di percepire la realtà quale essa è fabbricata e
costituita dal processo di produzione industriale oggi socialmente dominante.
Questa realtà ci pone in modo nuovo di fronte alla questione estetica. Se Stiegler aveva
rimproverato a Rancière di non tener sufficientemente in conto le modificazioni dovute all’impatto del
marketing e all’utilizzazione industriale della sensibilità, mi sembra che Stiegler stesso non rilevi fino
in fondo la nuova realtà fondamentale alla quale il sensorio, a causa dell’impatto di queste nuove
tecnologie sul mondo, si trova confrontato. Lo ripeto, il sensorio è neutralizzato. Non nel senso,
beninteso, di un’improvvisa incapacità percettiva che avrebbe colpito gli umani (come accade, a causa
della cecità, nel libro di Saramago) 31, ma nel fatto fondamentale che non è più atto a percepire la realtà
quale questa è prodotta dall’attività umana. L’attività industriale, costituitasi su questo piano
ultramediale, ha delle conseguenze dirette e radicali sul mondo il quale si ritrova “prodotto” e
modificato su dei piani totalmente impercettibili poiché aldilà delle soglie assolute di percezione
umana. Certo il sensorio è sempre stato limitato nella sua capacità di percepire la realtà circostante. La
radioattività del corpo umano (poiché i nostri corpi sono radioattivi), ad esempio, non sembra essere
mai stata captata e rilevata dai nostri sensi 32. Ma allorquando questa radioattività è generata e prodotta
artificialmente in quantità persistenti ed esuberanti da industrie e governi che hanno interessi
economici e militari, dunque politici e parziali, specifici, allora tutto cambia poiché questa radioattività
diventa una posta in gioco precisa con effetti e conseguenze precise e decise che dipendono dalla
scelta umana. Senza entrare nel merito della questione del chi, del come e per quali scopi opera queste
scelte, resta comunque il fatto che la radioattività non è percepibile e che la possibilità di percepirla
dipende da esperti, da strumenti, da conoscenze e da volontà (di volta in volta esplicite: le leggi; o
implicite: gli interessi e i centri di potere) che non sono né immediatamente disponibili né facilmente
acquisibili né, tanto meno, alla portata di chiunque. Ora il sensorio è quell’apparato biologico, di cui
grosso modo ogni individuo è stato dotato in eguale misura, capace di farci prendere coscienza del
mondo e di orientarci in esso per permetterci di sopravvivervi. La filogenesi si dà dunque a partire da
questa base comune pressoché “identica” che è l’apparato percettivo. Per comprendere meglio questa
problematica, dobbiamo porre la questione estetica nel contesto evolutivo dell’umanità. Se, in effetti,
30
Si pensi, per avere un’ulteriore conferma di questa patologia da straniamento agli incidenti stradali causati
dall’utilizzazione del telefono cellulare. Il conducente sta guidando, ma è altrove: assorbito intellettualmente,
emotivamente e finanche sensorialmente nella conversazione in atto.
31
José Saramago, Cecità, Torino, Einaudi, 1996. In questo grande libro del premio Nobel per la Letteratura
1998, si tratta di un’improvvisa epidemia che priva progressivamente tutti della vista tranne una donna che
rimane sola testimone del degrado dell’umano che ne consegue.
32
Non tengo volutamente conto di tutte le questioni inerenti a problematiche quali l’aura e più in generale la
percezione sottile della realtà corporea degli individui che ritroviamo nelle diverse tradizioni culturali come
forma intuitiva della conoscenza.
Page 10 sur 19
Roberto Barbanti Stiegler/Millepiani/Barbanti
concepiamo il sentire e il percepire umani come il risultato del divenire della specie, delle successive
fasi di adattamento, ovvero degli “accomodamenti” operati da questa per esistere, persistere e
integrarsi nel configurarsi globale e sistemico del mondo, allora dobbiamo convenire sul fatto che il
sensorio è il primo “strumento democratico” che gioca un ruolo fondamentale nella dinamica sociale.
Nel lungo processo coevolutivo della specie umana in rapporto alle altre specie e alla più vasta realtà
circostante, il sensorio umano si è via via forgiato per permettere una sopravvivenza nel mondo:
ponendoci con questo in una relazione alla lettera “sensata”. I sensi sono senso: cioè orientamento,
azionereazione, significato e finanche ragione. Ora questi sensi sono stati, come il buon senso
cartesiano, ugualmente accordati a ogni membro della specie fino a che il modo di produzione sociale
non li ha detronizzati per renderli di fatto inoperanti rispetto al loro ruolo biologico ed evolutivo di
posizionamento e consapevolezza nel/del mondo attorno.
Ritengo che la problematica estetica debba essere ripensata a partire da questa realtà che ha delle
conseguenze considerevoli non soltanto, come ho cercato di mostrare, e come è ovvio, sul piano
percettivo ma anche su quello politico e artistico. Nella realtà attuale, ancor prima di prendere in
considerazione gli effetti politici nefasti di un certo uso delle mnemoteletecnologie sullo psichismo
collettivo (Stiegler) o di tener conto della semplice possibilità ad esistere socialmente (cioè la
possibilità di accedere allo statuto di soggetto politico riconosciuto ed effettivo), data o rifiutata a
seconda del ruolo di visibilità che la società stessa assegna ai suoi membri (Rancière), dobbiamo
riflettere su questo fatto nuovo e capitale: l’impossibilità a percepire in quanto tale. Evidentemente
parlare di democrazia in una realtà così edificata e determinata significa non comprendere, o non voler
volutamente prendere in considerazione, la condizione materiale quale questa si configura e si dà
attualmente. Vorrei proporre un solo esempio. Si pensi ai casi irrisolti di gravissime malattie infantili
rilevati nell’ultimo decennio in alcune scuole della periferia parigina. Si è scoperto che sugli
insediamenti delle scuole, situate in zone diverse, sorgevano precedentemente delle aziende che vi
avevano abbandonato e seppellito dei rifiuti di varia natura chimica e radioattiva i quali erano stati,
dunque, letteralmente “insabbiati” sotto le fondamenta delle nuove costruzioni scolastiche 33. Il
sensorio in questo caso non aveva segnalato nulla a nessuno così come nulla continua ad indicarci sul
tasso di ozono nell’aria, di pesticidi nell’acqua potabile, di conservanti e additivi nei cibi, o ancora
della presenza di amianto in ufficio o in casa, dei campi elettromagnetici per strada, ecc. Basti pensare
che circa 100 000 nuove molecole di sintesi sono state create dall’industria e che queste sono nella
quasi totalità xenobiotiche, cioè estranee alla vita 34. Nessuna possibilità di identificarle e nessuna
capacità di prevederne le interazioni sistemiche, che si produrranno con gli altri elementi naturali e fra
33
Ad esempio la scuola materna ed elementare di NogentsurMarne sotto la quale erano sepolti, fin dagli anni
1960, i rifiuti di un’azienda farmaceutica o ancora il caso della scuola materna Franklin Roosevelt di Vincennes,
con più casi mortali nel periodo 19951999, costruita su un vecchio insediamento delle officine Kodak. Un
numero considerevole di inchieste epidemiologiche e ambientali non è stato (ovviamente) in grado di stabilire le
ragioni precise di questi tassi patologici anormali. La complessità delle interazioni molecolari e delle sinergie
ambientali è tale che il bandolo della matassa è perduto. Resta il fatto che sono i bambini cioè gli organismi più
fragili che pagano con la vita questa deliberata incuria, così come gli anziani o i malati pagano ugualmente un
elevato tributo all’inquinamento cittadino dovuto al traffico automobilistico. Ma la lista di queste patologie è
ovviamente molto più lunga e impressionante e riguarda ogni essere umano e vivente (ad esempio il numero di
tumori rilevati in Francia nel periodo 19782000 è in aumento del 63% passando da 170 000 nuovi casi nel 1978
a 278 000 nel 2000) come i premi Nobel per la medicina François Jacob e Jean Dausset hanno segnalato
proponendo «l’Appel de Paris» lanciato dall’Unesco il 7 Maggio 2004 (www.appel.artac.info).
34
Si veda a questo proposito : Aldo Sacchetti, L’uomo antibiologico, Milano, Feltrinelli, 1990.
Page 11 sur 19
Roberto Barbanti Stiegler/Millepiani/Barbanti
esse stesse, ci è data. Ciò implica dunque accrescimento, necessità e, allo stesso tempo, diminuzione di
controllo.
Ecco un aspetto di grande rilievo, sebbene trascurato, di come si configura attualmente la questione
politica, cioè il modo comune di sentire il mondo (ma in questo caso sarebbe più appropriato dire di
come il mondo si sottrae al sentire comune) e la possibilità data a ognuno di parteciparvi. Tornerò tra
breve sulla questione artistica.
Dimensione ecologica (III)
Da quanto esposto finora, mi sembra emergere con chiarezza che la problematica tecnica e quella
estetica risultano essere intimamente correlate a quella ecologica. Se vogliamo riappropriarci della
politica, cioè del nostro comune sentire e di un destino consapevolmente e collettivamente deciso,
allora dobbiamo riappropriarci del mondo dandoci gli strumenti adeguati a questo tipo di
partecipazione, individuale e collettiva, al mondo stesso. La consapevolezza estetica del mondo, della
nostra presenza e appartenenza ad esso, è dunque un modo d’essere politico fondamentale e un
obbiettivo da perseguire. La dimensione ecologica è anche e soprattutto la capacità di operare una
mediazione adeguata tra noi e il mondo atta a farci prendere coscienza del nostro grado d’implicazione
e di dipendenza da questo, così come della complessità dei fenomeni che lo costituiscono, ivi
compreso il suo attuale divenire ultrasensoriale.
Le informazioni estetiche sono essenzialmente dei messaggi cognitivi che ci permettono
d’integrarci alla realtà della vita. In questo senso si tratta di messaggi che hanno una valenza
relazionale e pragmatica, e dunque etico/politica. Così concepite l’estetica e l’etica risultano essere
profondamente legate.
Ogni analisi che si limiti a prendere in conto unicamente gli aspetti epifilogenetici 35, vale a dire
tecnici, è dunque destinata a essere concettualmente deficitaria. Considerare solamente il problema
tecnico ciò che, preso nelle sue implicazioni globali, potrebbe essere definito come la dinamica della
tecnosfera senza prendere in conto fino in fondo le problematiche inerenti alla semiosfera 36 (cioè
estetiche) e alla biosfera, alle quali dobbiamo aggiungere quelle inerenti alla noosfera 37, significa
35
«L’épiphylogenèse, c’est le processus de production de ce que j’appelle des rétentions tertiaires, pour les
distinguer des rétentions primaires et secondaires définies par Husserl.» [«L’epifilogenesi, è il processo di
produzione di ciò che chiamo le ritenzioni terziarie, per distinguerle dalle ritenzioni primaire e secondarie
definite da Husserl.»] Bernard Stiegler, De la misère symbolique 1. L’époque…, op. cit., p. 78. La ritenzione
primaria corrisponde alla percezione diretta dei fenomeni e quella secondaria alla memoria di questi.
36
Con il termine semiosfera mi riferisco alla seguente definizione: «La sémiosphère est une sphère tout comme
l’atmosphère, l’hydrosphère, et la biosphère. Elle pénètre dans tous les coins ces autres sphères, en incorporant
toutes les formes de la communication : sons, odeurs, mouvements, couleurs, formes, champs électriques,
radiations thermiques, ondes de toute espèces, signaux chimiques, toucher, etc. Bref, des signes de vie.»
[«La semiosfera è una sfera come l’atmosfera, l’idrosfera e la biosfera. Essa penetra in ogni angolo queste altre
sfere, incorporandone tutte le forme di comunicazione: suoni, odori, movimenti, colori, forme, campi elettrici,
radiazioni termiche, onde di ogni specie, segnali chimici, tatto, ecc. In breve, dei segni della/di vita.»] Jesper
Hoffmeyer, Signs of meaning in the univers, Bloomington & Indianapolis, Indiana University Press, 1996
(1993), p. VII (citato da Augustin Berque, Écoumène. Introduction à l’étude des milieux humains, Paris, Belin,
2000, p. 121).
37
Il concetto di noosfera è stato elaborato da Pierre Teilhard de Chardin che lo ha definito in questi termini : «De
Noos, esprit : sphère terrestre de la substance pensante» [«Da Noos , spirito : sfera terrestre della sostanza
pensante»] (Teilhard de Chardin, L’Avenir de l’Homme, Paris, Seuil, 1959, p. 181). Teilhard de Chardin lo
riprende dal suo grande amico, il matematico e filosofo Édouard Le Roy, che l’aveva introdotto nel 1927 nei
suoi corsi al Collège de France. Édouard Le Roy faceva, a sua volta, riferimento alle ricerche dello scienziato
Page 12 sur 19
Roberto Barbanti Stiegler/Millepiani/Barbanti
amputare fin dall’inizio la nostra analisi delle sue componenti fondamentali e imprescindibili
condannandoci dunque a un’impasse teorica irrimediabile 38.
Non posso qui sviluppare adeguatamente questo tema, ma vorrei rammentarne un aspetto che mi
sembra particolarmente significativo in quanto ci mostra l’interrelazione che esiste tra le scienze
naturali, la questione estetica e la dimensione ecologica/politica. Così facendo mi ripropongo di
ritornare su quanto affermato all’inizio a proposito del rinnovato interesse che la questione estetica
solleva anche nell’ambito delle scienze naturali, e mostrare come i biologi, e più in generale le scienze
del vivente (ma non solo), si interessino alla questione.
L’estetica, in effetti, appare ampiamente necessaria anche alla ricerca scientifica poiché questo
«sentire in comune», questo «sentire comune» riguarda un essere al mondo e nel mondo che è proprio
ad ogni essente: tutte le specie viventi del pianeta sono ugualmente coinvolte in un interscambio
dinamico comunicativo e qualitativo di cui la vita è portatrice, dispensatrice e dipendente in modo
assolutamente generale. L’estensione del concetto di estetica aldilà di un punto di vista meramente
antropocentrico, è di grande importanza e non implica un allontanamento dalle questioni inerenti
l’umano, al contrario, questa visione allargata permette di riavvicinarci alla base stessa dell’umano
perché nel tessuto interrelato e interdipendente della realtà ogni componente è intimamente legata alle
altre. La complessità del vivente e l’essenza qualitativa del suo divenire intrinseco è dunque la base
alla quale fanno riferimento numerosi ricercatori nelle scienze naturali e il fatto che il fenomeno
umano vi sia strutturalmente implicato induce anche una valenza politica diretta.
Per approfondire tale questione rinvio alle ricerche di Enzo Tiezzi il quale ha scritto sull’argomento
dei testi fondamentali39. In questa sede vorrei limitarmi a evidenziare come questo autore riconduca la
questione estetica in ambito biologico mostrandoci come nella coevoluzione degli esseri i messaggi
estetici giochino un ruolo fondamentale. Questi messaggi, d’ordine qualitativo (i sapori, gli odori, i
ritmi, ad esempio) incidono e determinano gli interscambi che intercorrono all’interno della stessa
specie e tra questa e le altre, fornendo così una trama estetica indispensabile al vivente e alla sua
comprensione. Gli aspetti estetici, cioè percettivi, non restano puramente esteriori al configurarsi e al
divenire dei differenti organismi che popolano il pianeta, ma al contrario si sedimentano nel tempo
creando progressivamente specie distinte con patrimoni differenti e capacità molteplici e diversificate.
Questo spiega perché noi non percepiamo gli ultrasuoni e i cani sì o ancora la ragione per la quale le
api vedono dell’ultravioletto laddove noi vediamo solamente del bianco. La ricchezza delle forme, dei
colori, dei suoni, dei modi di comunicazione non è un di più della natura, ma il modo stesso di esistere
di questa nel dispiegarsi del suo divenire. La biodiversità non è un pullulare caotico, intercambiabile e
sostituibile, senza senso, ma l’aggiustamento progressivo, interrelato e necessario dell’insieme di
queste realtà, frutto di miliardi di anni di evoluzione, che non sono comprensibili isolatamente, ma
necessitano una visione olistica, sistemica e complessa. Ecco perché l’estetica si trasforma anche in
fisiologia, biologia, neurologia, botanica, zoologia, ecc. Ed ecco la ragione per la quale ogni
russo Wladimir Vernadsky il quale ne aveva esposto i risultati in un ciclo di lezioni tenute alla Sorbona negli
anni 1922 e 1923 (si veda : Wladimir Vernadsky, La Biosphère, Paris, Diderot Éditeur, (1926) 1997).
38
È questa la posta in gioco di un approccio complesso, sistemico e olistico, e dunque non riduzionista, a queste
problematiche. Numerosi approcci metodologici rimangono in effetti profondamente incapaci di cogliere la
complessità dei fenomeni rimanendo sostanzialmente legati a una concezione epistemologica meccanicistica.
39
Si veda : Enzo Tiezzi, Tempi storici, tempi biologici, Milano, Garzanti, 19841992; Enzo Tiezzi, Fermare il
tempo. Un’interpretazione esteticoscientifica della natura, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1996 ; La
bellezza e la scienza, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1998. Per una sintesi delle posizione dell’autore: «Le
trame del tempo tra estetica e biodiversità» in Roberto Barbanti e Luciano Boi (a cura di), Le dinamiche della
bellezza. Pensieri e percorsi estetici, scientifici e filosofici, Rimini, Raffaelli, 2005, pp. 393405.
Page 13 sur 19
Roberto Barbanti Stiegler/Millepiani/Barbanti
intervento arbitrario, esteriore e brusco in questo ambito e a questi livelli, che non tenga conto di
questa realtà, implica la modificazione degli equilibri basilari e con ciò stesso la creazione di
condizioni d’impoverimento e di rottura alla lunga invivibili per gli esseri umani.
Tiezzi introduce la questione estetica in quanto questione fondamentale per un rinnovamento
epistemologico atto a comprendere e ad affrontare le sfide del presente, mostrando come le scienze del
vivente (e più in generale l’insieme delle scienze naturali poiché anche la fisica, sottomessa alla
temporalità, è concepita come evolutiva) necessitino un nuovo approccio che non sia meramente
quantitativo, ma che tenga conto anche degli aspetti qualitativi: vale a dire estetici ed etici. È
impossibile capire, in effetti, qualsivoglia organismo senza tenere conto delle relazioni che lo
costituiscono, lo determinano e ne permettono il divenire. Questo nuovo approccio epistemologico è
anche un nuovo approccio politico poiché, mostrando l’inconsistenza di ogni visione determinista che
pretende conoscere il divenire del mondo (ciò che le cosiddette “scienze esatte” presumevano di poter
fare), apre lo scenario della sua costruzione all’avventura umana e alla sua responsabilità etica. Come
affermò Ilya Prigogine, premio Nobel per la chimica del 1977, in una conferenza alla sede dell’Unesco
di Parigi nel settembre 1998: «Noi arriviamo alla concezione di un mondo in costruzione. Questa
concezione rompe con la gerarchia tradizionale delle scienze. Le scienze dure parlavano di certezze.
Era molto spesso il modello, lo scopo supremo delle scienze umane. Le scienze umane quali
l’economia o la sociologia possono ora riferirsi ad altri modelli.
In un universo che non è più un universo di certezze, noi ristabiliamo anche la nozione di valore.
Che cosa potrebbe significare, in effetti, la nozione di valore in un mondo determinista?» 40
E poco più oltre aggiungeva: «La natura è più ricca, più inaspettata, più complessa di quello che
avevamo immaginato all’inizio del secolo. Senza dubbio vedremo, nel secolo che viene, svilupparsi
una nuova nozione di razionalità nella quale ‘ragione’ non sarà più associata a ‘certezza’ e
‘probabilità’ a ‘ignoranza’.»41
I valori etici ed estetici, cioè gli aspetti qualitativi del divenire, non sono quindi un aspetto
eccedente ed esterno al costituirsi del nostro futuro collettivo, ma una sua componente essenziale e, in
definitiva, decisiva. Da qui la responsabilità etica ed estetica di ogni individuo ivi compresi, e sarei
tentato di dire soprattutto, gli artisti.
La questione dell’estetica e dell’arte
È in questo contesto globale che mi sembra opportuno e necessario ricondurre la questione
artistica. Concluderò dunque brevemente con alcune riflessioni inerenti all’arte, ambito nel quale,
come ho affermato all’inizio di questo testo, la questione estetica riemerge con forza.
40
«Nous arrivons à la conception d’un monde en construction. Cette conception rompt avec la hiérarchie
traditionnelle des sciences. Les sciences dures parlaient de certitudes. C’était bien souvent le modèle, le but
suprême des sciences humaines. Les sciences humaines telles l’économie ou la sociologie peuvent maintenant se
référer à d’autres modèles.
Dans un univers qui n’est plus un univers de certitudes, nous rétablissons aussi la notion de valeur. Que pourrait
signifier, en effet, la notion de valeur dans un monde déterministe ?»; «La nature est plus riche, plus inattendue,
plus complexe que l’on avait imaginé au début de ce siècle. Sans doute verronsnous au siècle qui vient se
développer une nouvelle notion de rationalité, dans laquelle ‘raison’ n’est plus associée à ‘certitude’ et
‘probabilité’ à ‘ignorance’.» Ilya Prigogine, «Pluralité des futurs et fin de certitudes» in Arnaud Spire, La
penséePrigogine, Paris, Desclée de Brouwer, 1999, p. 197.
41
Ibidem.
Page 14 sur 19
Roberto Barbanti Stiegler/Millepiani/Barbanti
Va innanzitutto premesso che l’estetica nei termini affrontati sopra, vale a dire quelli riguardanti i
messaggi sensoriali e percettivi del vivente 42, ha ben poco o nulla a che vedere con la problematica
dell’estetica filosofica postasi a partire dal XVIII secolo in Europa. Per altro non è mia intenzione
trovare una base biologica né all’arte né alla bellezza definendone una volta per tutte in modo
“oggettivo” i contenuti.
Aldilà di tutto ciò, alcuni fatti vanno comunque rilevati per la loro portata inedita in correlazione al
mutato contesto storico ed epistemologico del presente. Ne citerò due che mi sembrano
particolarmente significativi anche perché rinviano ad approcci e a concezioni differenti e contrastanti:
si tratta della questione della bellezza naturale e di quella posta da un insieme di lavori che sono stati
accomunati sotto varie etichette quali “arte transgenetica” o “arte biotech”.
Un primo elemento riguarda, dunque, il rinnovato interesse che si verifica attorno alla questione
della bellezza naturale43. Da circa due secoli, da quando Hegel, cioè, ne aveva decretato
l’insignificanza rispetto alla bellezza artificiale, la bellezza naturale è caduta nell’oblio.
Progressivamente svincolata dalle riflessioni e dalle prassi artistiche, il suo abbandono ha creato le
premesse necessarie al disarmo concettuale di ogni opposizione al degrado del mondo: una realtà,
questo degrado, che è divenuta, ormai, pressoché compiuta e sotto gli occhi di tutti. Su questo piano
abbiamo assistito e assistiamo ad una nuova sensibilità e presa di coscienza di alcuni artisti che hanno
saputo esprimere in modo complesso, differenziato e ricco la necessità di un ritorno al mondo
naturale44, e all’urgenza di «lasciarlo essere», permettendone il dispiegarsi: si pensi a Joseph Beuys, a
John Cage o ancora ad Hamish Fulton, NilsUdo, Frans Krajcberg, per fare qualche nome.
Certamente a questo riguardo resta molto da fare e da riflettere se consideriamo le tendenze
artistiche attualmente dominanti, economicamente e istituzionalmente parlando 45. Artisti come Jeff
Koons o Damien Hirst46 non sembrano voler esternare attraverso la loro produzione la consapevolezza
42
Come si può dedurre, da quanto scritto finora, ho volutamente tralasciato ogni distinzione tra sensazione,
percezione e sentimento prendendo la nozione di estetica nella totalità del suo spettro semantico di “sentire
percepire”.
43
Per una limpida e approfondita sintesi riguardante l’estetica della natura si veda il libro di Paolo D’Angelo,
Estetica della natura. Bellezza naturale, paesaggio, arte ambientale, RomaBari, Laterza, 2001.
44
Con «mondo naturale» non voglio indicare uno stato originario, vergine e immutabile della natura. Il concetto
di natura è storicamente determinato, e dunque relativo, così come per altro la natura stessa la quale subisce e
reagisce alle molteplici attività umane ed è dunque inscritta, anche per questa ragione, in un processo dinamico.
Questa constatazione porta talvolta a posizioni teoriche ambigue ed estreme che giungono fino ad affermare
“l’inesistenza della natura”. Considerata esclusivamente sotto questa angolazione, e dunque concepita come un
artefatto risultato delle innumerevoli modificazioni apportate dagli umani, essa diviene un’entità vaga ed
evanescente. Credere che la natura non esiste più, come si sente affermare da varie parti, è pertanto un errore. Si
pensi, ad esempio, alla fine delle riserve naturali di petrolio. Si tratta di un dato irrefutabile: un assoluto. Questo
è dunque uno degli innumerevoli casi dove il mondo naturale ci ricorda con chiarezza persuasiva la sua forza di
“oggettività”.
45
Mantengo la distinzione tra economico e istituzionale sebbene questa sia d’ordine quasi puramente formale
poiché dal punto di vista sostanziale queste due dimensioni si sono, a partire dagli anni 1960, sempre più
integrate. Per quanto riguarda l’arte attuale mercato e musei sembrano, in effetti, appartenere, nonostante la
distinzione di facciata, ad un solo ed unico processo in un gioco delle parti sapientemente orchestrato fra i due.
46
Cito, non a caso, Jeff Koons e Damien Hirst perché si tratta dei due artisti che godono attualmente di maggior
fama internazionale e che hanno concretizzato nel 2004 i più consistenti proventi finanziari. Con la vendita
all’asta di 27 lotti Jeff Koons ha realizzato in questo solo anno, sul mercato degli Stati Uniti, un introito globale
di 14 878 563 euro, mentre Damien Hirst ha globalizzato, nel medesimo periodo, 16 181 024 euro di transazioni
unicamente sulla piazza di Londra vendendo 211 lotti. Fonte : http://web.artprice.com (Giugno 2005)
Page 15 sur 19
Roberto Barbanti Stiegler/Millepiani/Barbanti
di questa indigenza estetica del mondo, essendo in ciò espressione adeguata degli strati sociali e
intellettuali che rappresentano e che in loro si riconoscono. Ma aldilà di tutto questo essi non sono
altro che il riflesso di un’ambiguità sostanziale che è propria all’eredità storica del XX secolo e che
sembra riflettersi e persistere anche nel XXI.
In questo senso, ritengo che l’apporto delle avanguardie storiche e delle neoavanguardie vada
riconsiderato per capirne la ricchezza e i limiti. Marcel Duchamp è stato, per delle ragioni che non
analizzerò, ma che mi sembrano storicamente giustificate e direi necessarie, il fautore risoluto di un
distacco dall’estetico (il lato «fisico», «animale», «retinico»); al contempo egli è stato anche colui che
con la sua opera ha mostrato e lavorato attivamente alla dimensione spirituale dell’arte denunciandone
le derive funzionalistiche e mercantili 47. Da qui derivano un certo numero di ambiguità e di
contraddizioni che mi sembrano molto più proprie al periodo storico che alle poetiche dei vari artisti.
L’epoca ultramediale impone una nuova “prospettiva” storico/artistica. Riassumendo e semplificando
si può dire che Duchamp ha saputo mostrare come l’opera d’arte, con l’avvento del XX secolo, non
fosse più atta a rappresentare il mondo e come, in fondo, il suo statuto fosse mutato. Egli avverte ed
anticipa la «guerra estetica» di cui parlerà Stiegler indicando chiaramente la posta in gioco del nuovo
sentire comune modificato dalla tecnica e manipolato dai poteri.
Prendendo degli oggetti industriali (i suoi ready made: uno sgabello e una ruota di bicicletta, uno
scolabottiglie, una pala per spalare la neve, un attaccapanni, ecc.) e firmandoli in quanto opere, egli
mostra chiaramente l’intrusione definitiva della “Tecnica” nel fare artistico. L’opera tradizionalmente
intesa, è superata e Duchamp è colui che ne tematizza il nuovo statuto ultramediale. Così facendo egli
proietta il fenomeno artistico dalla dimensione estetica a quella etica. L’arte diviene, di conseguenza,
una questione di scelta, comportamento, attitudine, modalità d’essere. Al contempo, distaccatasi in
parte o totalmente dalla sua base estetica, vale a dire dalla relazione diretta e privilegiata con la
dimensione del sentire/percepire, essa si astrae dal mondo tramutandosi e autonomizzandosi in cosa
mentale, codice, linguaggio, realtà immateriale, evento comunicazionale, stratagemma mass
mediatico. In ambedue i casi, che si tratti del suo aspetto pragmaticoesistenziale o di quello astratto
concettuale, la figura antimetaforica dell’eccesso tende a dominare. Prese progressivamente nel vortice
spettacolare queste due tendenze vengono, difatti, letteralizzate e portate all’estremo. Il continuo
rilancio al rialzo della posta in gioco, reso possibile dallo sradicamento avvenuto rispetto all’estetico,
appare per entrambe come l’unica prospettiva praticabile, inverandosi, dunque, nei fatti. La nozione di
ultramedialità si dà qui come dinamica della dismisura. Si tratta, in effetti, di andare incessantemente
aldilà di ogni limite precostituito, ma questo superamento non avviene però sulla base di una scelta
47
Valga per tutte quanto pronunciato dall’artista in una conferenza tenutasi a Hofstra (Germania) il 13 Maggio
1960, che sintetizza in modo inequivocabile la sua posizione. «Credo che oggi più che mai l’artista abbia una
funzione parareligiosa da compiere: mantenere accesa la fiamma di una visione interiore di cui l’opera d’arte
sembra essere, solo per il profano, la traduzione più fedele.» E poco più oltre: «Oggi l’artista è un curioso
serbatoio di valori paraspirituali in opposizione assoluta con il FUNZIONALISMO quotidiano per il quale la
scienza riceve l’omaggio di una cieca ammirazione. Dico cieca perché non credo all’importanza suprema di
queste soluzioni scientifiche che non toccano neanche i problemi personali dell’essere umano.» [«Je crois
qu’aujourd’hui plus que jamais l’Artiste a cette mission parareligieuse à remplir : maintenir allumée la flamme
d’une vision intérieure dont l’œuvre d’art semble être la traduction la plus fidèle pour le profane». «Aujourd’hui
l’Artiste est un curieux réservoir de valeurs paraspirituelles en opposition absolue avec le
FONCTIONNALISME quotidien pour lequel la science reçoit l’hommage d’une aveugle admiration. Je dis
aveugle, car je ne crois pas en l’importance suprême de ces solutions scientifiques qui ne touchent même pas aux
problèmes personnels de l’être humain.»] (Marcel Duchamp, Duchamp du signe, Paris, Flammarion, 1975, pp.
237238).
Page 16 sur 19
Roberto Barbanti Stiegler/Millepiani/Barbanti
deliberata, ma a causa della forza d’inerzia intrinseca del processo stesso il quale è stato espressamente
innescato e costruito secondo questa finalità.
Un caso particolare di questo eccesso, sebbene ancora relativamente poco conosciuto, è
rappresentato da quel movimento artistico che si è sviluppato, verso la fine del XX secolo, attorno alle
tecnologie del vivente. Ne tratterò brevemente venendo dunque al secondo fatto specifico, enunciato
sopra, riguardante il rapporto tra la questione estetica e l’arte.
Gran parte degli artisti che si sono avventurati in questo tipo di pratiche provenivano dalle arti
tecnologiche: computer, comunicazione, esperienze multimediali. Negli anni 198090, con lo sviluppo
planetario del mercato informatico/telematico, l’arte eponima s’imporrà come una delle attività
artistiche più dinamiche. Gli algoritmi del vivente (genetici, probabilistici, caotici, frattali) entreranno
nella produzione di suoni e immagini, con risultati artistici inediti e non di rado interessanti. Verso la
metà del decennio 1990 la problematica del vivente, già impostasi sul piano tecnoscientifico e nel
dibattito epistemologico e filosofico, apparirà in ambito artistico, non più però nei termini algoritmico
matematici e metaforici precedenti, ma in modo fattuale. Il progetto di creare degli esseri chimerici per
fini estetici incomincia a “prendere corpo”.
Il movimento dell’arte biotech48 ha risvegliato l’insieme dei fantasmi propri all’arte: il mito del
demiurgo e della creazione, l’opera d’arte totale, l’arte che diviene vita, il potere dello spirito sulla
materia, lo scultore che le dà vita, ecc. L’artista francese Orlan dichiarerà il 22 Marzo 2001 al giornale
Le Monde : «Il ruolo del demiurgo si è trasferito; non appartiene più all’artista ma allo scienziato, il
quale sa creare l’umano. Questo potere lancia una grande sfida agli artisti. L’avanguardia non è più
nell’arte. Essa è nella genetica, nella biologia.»49
Questa affermazione, che non manca certo di fondamento, illustra chiaramente il fascino che la
tecnoscienza, nella sua dichiarata volontà di potenza, esercita attualmente. Al contempo essa mostra
anche l’inconsistenza teorica e la povertà estetica implicitamente a monte di tutto ciò.
Cosa significa, in effetti, dire che «l’avanguardia non è più nell’arte, ma nella genetica»? Significa
concepire sia l’arte che la vita esclusivamente dal punto di vista della prodezza operativa. Pensare al
processo creativo solamente nei suoi aspetti applicativi, assoggettandolo dunque al principio di
potenza e di exploit, è estremamente semplificatorio e pone il concetto stesso di arte in uno stato di
subordinazione strutturale rispetto al fenomeno tecnico, dissolvendola, di fatto, in esso. La creatività
così definita, si riduce alla sola capacità di materializzare e produrre. Questa vocazione alla
realizzazione cieca di ogni possibile è l’appannaggio della tecnoscienza la cui essenza è quella di
essere una scienza assolutamente applicativa, vale a dire una scienza il cui principio primo è quello di
passare all’atto. Del tutto estranea a qualsivoglia valenza etica o estetica la tecnoscienza riconduce la
questione della scelta, cruciale per ogni divenire artistico ed umano, a quella della pura fattibilità.
L’arte, adeguandosi a questo tipo di visione, perde definitivamente la sua specificità; il suo apporto
originale al mondo, che è essenzialmente inerente alla scelta cioè alla capacità di dare forma e senso,
decade.
48
Diversi sono coloro che hanno aderito a queste pratiche producendo delle opere che sicuramente non mancano
d’interesse e che hanno il merito di rendere palesi le immense problematiche, etiche e non solo, legate alle nuove
scienze tecnologiche applicate al vivente. A parte Edward Steichen considerato come un pioniere, ecco alcuni
nomi che, da posizioni differenti e con obbiettivi talvolta contrastanti, operano attualmente nell’ambito di questa
forma espressiva: Art Orienté objet (Marion LavalJeantet et Benoît Mangin), Joe Davis, George Gessert,
Natalie Jeremijenko, Eduardo Kac, Marta de Menezes, SymbioticA/TC&A.
49
«Le rôle du démiurge s’est déplacé: il n’appartient plus à l’artiste mais au scientifique, qui sait créer de
l’humain. Ce pouvoir lance un grand défi aux artistes. L’avantgarde n’est plus dans l’art. Elle est dans la
génétique, elle est dans la biologie.» Le Monde, 22 Mars 2001, p. 31.
Page 17 sur 19
Roberto Barbanti Stiegler/Millepiani/Barbanti
Va detto, per altro, che la nozione militare di avanguardia mal si applica alla vita la quale non è
composta di reparti più avanzati o più arretrati, ma è invece un tessuto interrelato e interdipendente di
eventi (certo su piani e scale di grandezza molteplici, con tempi e ritmi differenti, con priorità e
sinergie specifiche e reciprocamente implicate) comprensibili nel delicato equilibrio dinamico che li
accomuna e li coproduce.
In sintesi, dunque, pensare in questi termini significa da un lato concepire il fenomeno artistico
unicamente come la manifestazione di un risultato spettacolare totalmente sganciato non solo dalle
tradizionali problematiche dell’arte, ma anche da qualsivoglia specificità dell’arte stessa; e dall’altro
non tener conto della lezione della complessità. Non si tratta qui di negare la pertinenza delle
affermazioni di Orlan poiché appare evidente che la capacità innovativa e inventiva, lo stupore e
finanche lo scandalo stesso appartengono oggi molto più spesso agli ingegneri genetici che agli artisti.
Si tratta, invece, di mostrare la povertà sostanziale di questo approccio e di questa prospettiva se
considerati dal punto di vista estetico ed artistico. La proiezione, parziale e interessata, dei nostri
fantasmi attuali nelle combinazioni ricombinanti di materiale genetico può apparire sensata solamente
in una logica estetica svuotata della sua sostanza, vale a dire amputata dei suoi legami qualitativi con
gli altri essenti. I pesciolini rossi fosforescenti 50, che fanno compagnia ai bambini la notte nel buio
inquietante delle loro camerette, possono essere apprezzati esclusivamente in questa concezione
puerile che concepisce la funzione estetica come una modalità separata e autonoma sprovvista di ogni
implicazione, responsabilità e relazione con il mondo. L’unica finalità immaginabile in questo
approccio è il grado di stupore e soddisfazione immediato capace di promuovere. Tutta la
problematica sembra potersi riassumere nella semplice affermazione seguente: piace ai bimbi! dunque
va bene.
La base di questa concezione è una visione riduzionistica. Questa raggiunge il suo parossismo nelle
posizioni di un altro artista. In un suo testo del 1999 Eduardo Kac, che ha fatto dell’arte transgenetica
la sua attività principale, scrive : «Suggerisco che l’arte transgenetica è una nuova forma d’arte basata
sul ricorso alle tecniche dell’ingegneria genetica al fine di trasferire dei geni sintetici agli organismi, o
di trasferire del materiale genetico naturale da una specie ad un’altra, il tutto avendo come scopo di
creare dei nuovi esseri viventi. La genetica molecolare permette all’artista di organizzare i genomi
vegetali e animali e di creare così delle nuove forme di vita. L’essenza di questa nuova forma d’arte è
definita non solamente dalla genesi e dalla crescita di una nuova pianta o di un nuovo animale, ma
soprattutto dalla natura della relazione tra l’artista, il pubblico e l’organismo transgenetico. L’opera
d’arte transgenetica può essere portata a casa, sia per essere piantata nel giardino sia per essere allevata
in quanto animale da compagnia. Essendo dato che almeno una specie in via d’estinzione scompare
quotidianamente per sempre, suggerisco che gli artisti possano contribuire alla biodiversità mondiale
inventando delle nuove forme di vita.»51
50
Nel Gennaio 2004 sono stati commercializzati negli USA i primi animali transgenetici da compagnia. Si tratta
di pesci OGM, battezzati GLOFish, venduti a 5 dollari l’unità dalla società Yorktown Technologies di Austin
(Texas). Questi pesci sono il frutto delle ricerche dell’Università nazionale di Singapore. Il loro patrimonio
genetico, appositamente modificato, li rende fosforescenti e dunque visibili al buio.
51
«Je suggère que l’art transgénique est une nouvelle forme d’art basée sur le recours aux techniques de
l’ingénierie génétique afin de transférer des gènes synthétiques aux organismes, ou de transférer du matériel
génétique naturel d’une espèce à une autre, le tout dans le but de créer des êtres vivants inédits. La génétique
moléculaire permet à l’artiste d’organiser les génomes végétal et animal et de créer ainsi de nouvelles formes de
vie. L’essence de cette nouvelle forme d’art est définie non seulement par la genèse et la croissance d’une
nouvelle plante ou d’un nouvel animal, mais surtout par la nature de la relation entre l’artiste, le public et
l’organisme transgénique. L’œuvre d’art transgénique peut être apportée à la maison, soit pour être plantée dans
Page 18 sur 19
Roberto Barbanti Stiegler/Millepiani/Barbanti
Aldilà del tono generale di questa dichiarazione, che tratta la questione «di creare dei nuovi esseri
viventi» con disinvolta spensieratezza axiologica, vorrei soffermarmi sull’ultima frase che mi sembra
particolarmente significativa della generale mancanza di fondatezza dell’insieme delle proposizioni
enunciate da questo autore. La sola idea di potersi sostituire al divenire naturale e ai suoi risultati (le
differenti specie, frutto di una storia coevolutiva di miliardi di anni), rimpiazzando in modo meccanico
e puramente quantitativo una specie scomparsa con un’altra arbitrariamente prodotta, è un non senso
grottesco nei confronti del quale qualsiasi argomentazione razionale risulta inutile. Attraverso questo
discorso si manifesta invece un’altra problematica ben più importante e fondamentale: vale a dire il
ruolo della coscienza nel cosmo e la sua capacità di trasformazione fattuale del mondo. Su questo
piano mi sembra che siamo ancora lontani dall’aver compreso il modo in cui la mente e la sua
componente operativa devono o possono intervenire nella complessità del reale. I danni ormai evidenti
e ineludibili che un industrialismo sfrenato, basato sulle capacità operative tecniche e
tecnoscientifiche, ha provocato e provoca, dovrebbero indurci ad una accresciuta riflessione e a
maggiori cautele.
In questo senso la questione estetica è capitale poiché la consapevolezza del legame cognitivo e
vitale con il mondo, che essa rappresenta ed esige, è necessaria alla scienza nella sua ricerca di una
conoscenza più approfondita, ricca e proficua ed è anche ciò che può fornire il solo orientamento
possibile alle sue applicazioni tecnologiche. Come scrive Enzo Tiezzi, in un breve capitolo del suo
libro La bellezza e la scienza, intitolato «Ritorno all’estetica»: «Estetica rimanda etimologicamente a
sensibilità. Il processo di apprendimento estetico prevede, contemporaneamente, l’uso delle nostre
capacità razionali e dei nostri sensi: è quindi un processo di conoscenza scientifico profondo e
completo»52.
Questo ritorno all’estetica vale anche per l’arte e per il suo divenire, pena altrimenti il rischio di un
autismo profondo che la conduce ad un’impasse creativa ed etica fondamentale. Ritornare al
sentire/percepire significa comprendere la complessità e le ragioni del mondo sbarazzandosi di ogni
effetto di moda e abbandonando ogni logica spettacolare.
Il sonno della ragione è oggi nel disorientamento estetico di cui siamo tutti vittime e ancora una
volta questo stato d’incoscienza produce mostri.
***
le jardin ou pour être élevée en tant que compagnon. Étant donnée qu’au moins une espèce en voie d’extinction
disparaît à jamais quotidiennement, je suggère que les artistes puissent contribuer à accroître la biodiversité
mondiale en inventant de nouvelles formes de vie.» Eduardo Kac, «L’art transgénique» (1999) in Louise
Poissant, Interfaces et sensorialité, Québec, Presses de l’Université du Québec, 2003, pp. 176177.
52
Enzo Tiezzi, La bellezza e la scienza, Milano, Raffaello Cortina, 1998, p. 139.
Page 19 sur 19