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Maurizio Blondet
09/04/2007
La liberté guidant le peuple, di Eugène Delacroix (1830), Museo del Louvre, Parigi
Succede che uno, mentre si prepara ad andare in vacanza per qualche giorno, peschi dagli
scaffali un vecchio libro da rileggere e scopra, con suo stupore, che è attualissimo.
Il sottotitolo, «Le rovine del giacobinismo», penso basti a spiegare perché Mathieu non sia un
filosofo citato nei giornali né nei salotti.
Quando un libro vecchio di 30 anni resta «attuale», ciò significa che i problemi che pone sono
ancora tra noi, e non sono stati non dico risolti, ma nemmeno affrontati.
E questa è una tragedia italiana: ma d’altra parte rende più facile il compito di chi, come il
sottoscritto, è un semplice divulgatore.
Invece di intricarsi in definizioni complesse, parte da ciò che tutti noi diciamo ogni giorno.
5) In un Paese civile non si defeca sul marciapiede, gli alunni non insultano i professori, eccetera,
eccetera.
Per adesso, sorvoliamo sui contenuti specifici della nostra quotidiana lamentela.
Ciò che diciamo quando attacchiamo la solfa: «In un Paese civile certe cose non succedono»,
riconosciamo che la civiltà è un sistema di inibizioni.
E qui si tratta di civiltà nel senso meno ambizioso, quella che i tedeschi chiamano «Zivilization»,
non quella che chiamano «Kultur».
Noi sappiamo che nella nostra civiltà, un movimento d’opinione potente, anzi egemone, incita a
«liberarsi da ogni tabù», ad essere «trasgressivi».
A dire il vero, non è che questi neogiacobini non abbiano una loro lista di divieti, che
preferiscono, e che vogliono imporre a tutti.
2) In un Paese civile non circolano treni ad alta velocità né ci sono centrali nucleari.
8) In un Paese civile la proprietà privata viene proibita (versione comunista del giacobinismo).
Che ve ne pare?
E’ la differenza tra il diritto «naturale», quello che ogni uomo onesto legge dentro di sé, senza
bisogno che glielo imponga lo Stato, e il diritto «positivo», quello imposto di punto in bianco
dall’alto, e che diventa legge dello Stato la quale vieta ciò che prima si poteva fare.
Ora è più urgente far notare che la lista numero 2 è più lunga, e non a caso: essendo arbitraria,
può allungarsi all’infinito secondo le paturnie del gruppo di potere dominante.
E la cosa strana è che gli estensori della lista numero 2 amano chiamarsi «libertari», e tuonare
contro le forze oscurantiste, come la Chiesa, che ci imprigionano nei «tabù».
Se l’avranno vinta loro, il nostro diventerà un Paese «dove certe cose possono succedere», dove
«può succedere di tutto».
Per esempio che i magistrati ti facciano arrestare nel cuore della notte e ti lascino marcire in
galera. O che intercettino le telefonate di tutti noi, in cerca di indizi per cui accusarti di qualcosa.
C’è un paese dove può succedere che un senatore a vita ottantenne, che consuma cocaina, non
si dimetta.
Dove c’è una grande libertà per l’eutanasia, l’omosessualità e i bulli, e domani per i dittatori o la
classe collettivamente dittatoriale.
Difatti, la società che i neogiacobini vogliono instaurare, è quella «senza inibizioni»: dove ci si
può permettere letteralmente di tutto, a patto di avere il potere e i mezzi.
Perchè chi non ha i mezzi né il potere vede restringersi le sue libertà e possibilità.
Ma almeno ricordiamoci che un Paese dove «certe cose possono succedere» non è un Paese
civile. E che il rischio è di diventare un Paese dove «può succedere tutto», anche che la polizia ti
arresti nel cuore della notte e ti faccia sparire.
Maurizio Blondet
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