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La civiltà come inibizione

Maurizio Blondet

09/04/2007

La liberté guidant le peuple, di Eugène Delacroix (1830), Museo del Louvre, Parigi

Succede che uno, mentre si prepara ad andare in vacanza per qualche giorno, peschi dagli
scaffali un vecchio libro da rileggere e scopra, con suo stupore, che è attualissimo.

Il libro di cui parlo è stato pubblicato nel 1980.

Ne è autore il filosofo Vittorio Mathieu, e il titolo è: «Cancro in Occidente».

Il sottotitolo, «Le rovine del giacobinismo», penso basti a spiegare perché Mathieu non sia un
filosofo citato nei giornali né nei salotti.

Il giacobinismo, sotto sempre nuove forme, impera, e non tollera critici.

Quando un libro vecchio di 30 anni resta «attuale», ciò significa che i problemi che pone sono
ancora tra noi, e non sono stati non dico risolti, ma nemmeno affrontati.

E questa è una tragedia italiana: ma d’altra parte rende più facile il compito di chi, come il
sottoscritto, è un semplice divulgatore.

Gli basta copiare.

Ciò che copia è ignoto alla società.

Cosa dice qui Mathieu?

Molte cose; fra le quali, nientemeno, definire cos’è la civiltà.

Tema difficilissimo, ma il filosofo torinese lo risolve con una semplicità sconcertante.

Invece di intricarsi in definizioni complesse, parte da ciò che tutti noi diciamo ogni giorno.

«In un Paese civile, queste cose non accadrebbero».

Che cosa non accade, o non deve accadere?

Fate voi, scegliete quel che vi pare.

1) In un Paese civile, non si tirano i sassi dai cavalcavia.

2) In un Paese civile non si torturano gli accusati per farli confessare.


3) In un Paese civile, i magistrati non mettono in galera imputati prima che siano riconosciuti
colpevoli.

4) In un Paese civile, non si deportano intere popolazioni.

5) In un Paese civile non si defeca sul marciapiede, gli alunni non insultano i professori, eccetera,
eccetera.

Per adesso, sorvoliamo sui contenuti specifici della nostra quotidiana lamentela.

Ciò che diciamo quando attacchiamo la solfa: «In un Paese civile certe cose non succedono»,
riconosciamo che la civiltà è un sistema di inibizioni.

Un sistema armonioso di inibizioni che rendono possibile la convivenza civile.

E qui si tratta di civiltà nel senso meno ambizioso, quella che i tedeschi chiamano «Zivilization»,
non quella che chiamano «Kultur».

Eppure, c’è chi predica la liberazione da tutte le inibizioni.

Noi sappiamo che nella nostra civiltà, un movimento d’opinione potente, anzi egemone, incita a
«liberarsi da ogni tabù», ad essere «trasgressivi».

Questo movimento, il neo-giacobinismo radicale, ci invita dunque a tornare incivili.

A dire il vero, non è che questi neogiacobini non abbiano una loro lista di divieti, che
preferiscono, e che vogliono imporre a tutti.

Facciamo qualche esempio:

1) in un Paese civile non si fuma.

2) In un Paese civile non circolano treni ad alta velocità né ci sono centrali nucleari.

3) In un Paese civile non si impedisce a due maschi che si amano di sposarsi.

4) In un Paese civile è vietato alle donne portare un fazzolettone in testa.

5) In un Paese civile non si vieta di drogarsi.

6) In un Paese civile non si condanna l’eutanasia.

7) In un Paese civile, la Chiesa non deve esistere, e nemmeno la religione.

8) In un Paese civile la proprietà privata viene proibita (versione comunista del giacobinismo).
Che ve ne pare?

C’è una differenza decisiva tra le due liste di divieti.

E’ la differenza tra il diritto «naturale», quello che ogni uomo onesto legge dentro di sé, senza
bisogno che glielo imponga lo Stato, e il diritto «positivo», quello imposto di punto in bianco
dall’alto, e che diventa legge dello Stato la quale vieta ciò che prima si poteva fare.

Lascio a voi la riflessione su questa distinzione.

Ora è più urgente far notare che la lista numero 2 è più lunga, e non a caso: essendo arbitraria,
può allungarsi all’infinito secondo le paturnie del gruppo di potere dominante.

E la cosa strana è che gli estensori della lista numero 2 amano chiamarsi «libertari», e tuonare
contro le forze oscurantiste, come la Chiesa, che ci imprigionano nei «tabù».

E libertari infatti i giacobini radicali lo sono, in un senso terribile.

Se l’avranno vinta loro, il nostro diventerà un Paese «dove certe cose possono succedere», dove
«può succedere di tutto».

Per esempio che i magistrati ti facciano arrestare nel cuore della notte e ti lascino marcire in
galera. O che intercettino le telefonate di tutti noi, in cerca di indizi per cui accusarti di qualcosa.

C’è un paese dove può succedere che un senatore a vita ottantenne, che consuma cocaina, non
si dimetta.

Dove c’è una grande libertà per l’eutanasia, l’omosessualità e i bulli, e domani per i dittatori o la
classe collettivamente dittatoriale.

Difatti, la società che i neogiacobini vogliono instaurare, è quella «senza inibizioni»: dove ci si
può permettere letteralmente di tutto, a patto di avere il potere e i mezzi.

Perchè chi non ha i mezzi né il potere vede restringersi le sue libertà e possibilità.

Dove il senatore cocainomane non viene perseguito, ma il fumatore viene criminalizzato.

Ma almeno ricordiamoci che un Paese dove «certe cose possono succedere» non è un Paese
civile. E che il rischio è di diventare un Paese dove «può succedere tutto», anche che la polizia ti
arresti nel cuore della notte e ti faccia sparire.

Senza alcuna inibizione, senza il minimo «tabù».

Il KGB era una polizia molto trasgressiva.


Il seguito alle prossime puntate, vacanze permettendo.

Maurizio Blondet

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