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L'ESISTENZA DI DIO

Grazie Mamma Celeste che ci vuoi ottenere grande sapienza per poter contemplare
più in profondità il Mistero di Dio e per saper confutare con più efficacia coloro che
avversano tale verità

Esiste Dio? Certamente, risponderà la maggior parte di noi, ma non sono pochi coloro che
mettono in discussione ciò che noi credenti diamo per scontato. Pertanto ci proponiamo di
fornire una risposta esauriente, che possa soddisfare anche e soprattutto coloro che hanno
difficoltà ad accettare ciò che per noi è un dato di fatto ovvero che Dio esiste veramente!

PERCHE' CREDIAMO IN DIO

Una domanda tutt’altro che scontata! Questa pone le sue radici nella storia stessa dell’uomo
che da sempre si è dimostrato interessato alla ricerca delle radici della propria esistenza.

Perché?

Perché ogni uomo desidera raggiungere la felicità, la vita piena, l’amore, perché tutti gli esseri
umani in quanto finiti si scontrano con l’inevitabile ed inspiegabile morte, perché la vita pur
essendo bellissima è anche segnata dal male (ingiustizia, violenze, menzogne…). L’insieme di
queste realtà ha posto da sempre l’uomo dinnanzi ad alcune fatidiche domande esistenziali.
“Chi ci ha creati? Perché viviamo? Dove andremo?”.

Domande che trovano la loro risposta solo in Dio.

Mentre l'umanità dalle sue origini, guidata dalla ragione che la fede confermava, ha affermato
l'esistenza di Dio e gli ha sempre innalzato altari e templi, ed anche l'umanità di oggi, ove la
violenza non lo impedisce, manifesta la sua comune credenza in Dio, non sono mancati e non
mancano pensatori che negano l'esistenza di Dio: da Democrito, che per primo pronunciò la
frase fatale: “Non est Deus naturae immortalis” agli odierni negatori di Dio e suoi avversari.
Da qui nasce l’esigenza di una risposta apologetica, sia per confutare l'avversario, sia per
confermare il credente di fronte al dubbio imprudente che talora può affiorare alla sua
coscienza nelle alterne vicende della vita.

Perchè crediamo in Dio?


di don Tullio Rotondo

Crediamo in Dio perché Dio stesso ci attira a sé e ci si vuole far conoscere; ecco la verità
principale: Dio ci attira alla conoscenza di Lui stesso.

Se non ci accorgiamo di questo è perchè non vediamo…siamo ciechi in certo modo.

Ora, attraverso queste mie parole e poi anche più generalmente Dio ti vuole attirare a
conoscere Lui. Il punto è che noi siamo chiusi, il punto è che noi non ci accorgiamo del Signore
che ci parla, siamo chiusi alla luce che Egli ci dona, abbiamo bisogno del Maestro che ci guida a
conoscere come Dio ci parla e che ci fa conoscere veramente Dio: e questo Maestro è Gesù.

Con il peccato originale la nostra intelligenza si è oscurata e noi abbiamo difficoltà a


salire a Dio che è Luce, abbiamo difficoltà a ricevere questa Luce, facciamo scudo alla
luce divina.

Come facciamo scudo?


Anzitutto appunto con il disordine interiore che è in noi, con la mancanza di preghiera, con
la mancanza di lettura delle S. Scritture, con l’insincerità, con l’attaccamento ai piaceri
del senso (piaceri della gola e sessuali soprattutto); il Signore ci attira a diventare spirituali e
noi invece rimaniamo carnali. La conoscenza di Dio implica partecipazione, in certo modo,
alla vita di Dio; il Rivelarsi di Dio a noi implica anche un certo nostro modo di vivere, implica
una certa nostra perfezione .

Rifletti

Anzitutto tu vivi sempre secondo la verità che porti nell’intelligenza, agisci sempre secondo la
verità che la tua coscienza ti presenta ?
Sei coerente con quello che dici, sei coerente con le tue idee ?
Usi un doppio giudizio quando giudichi gli altri e quando giudichi te?
E la tua coscienza, la tua intelligenza su quali verità si basa ?
Chi ti ha insegnato quelle verità?
Dio ti attrae a Cristo, ma forse tu non te ne rendi conto, sei immerso nelle cose del mondo, Dio
ti attrae a visitare i santuari, a visitare i luoghi nei quali Dio stesso ha operato prodigi ma noi
tante volte ce ne stiamo nelle nostre case o nei nostri ambienti e ci lasciamo guidare da altri
dei, da altri maestri.
A chi credi?
A quali persone presti la tua fede?
A chi hai prestato fede nel tuo studio a professori che ti hanno riempito la testa di affermazioni
atee o agnostiche?
Considera che oggi ateismo, agnosticismo e anticristianesimo sono praticamente diffusissimi,
tu probabilmente sei una persona che ha avuto falsi maestri di questo genere. Ti devi
depurare, devi cambiare, devi prenderti i veri maestri, anzi il vero Maestro: Gesù!

Dio ti vuole donare la conoscenza di Lui stesso, come ha fatto con tanti santi che poi hanno
fatto grandi miracoli pensa a S. Pio da Pietrelcina, pensa a s. Francesco, a s. Caterina.

Hai mai preso parte a un fatto miracoloso?


Sei mai stato alla s. Messa?
Hai mai fatto un ritiro nel silenzio, passando qualche giorno in preghiera?
Lo sai che il demonio esiste?
Sei mai stato ad una preghiera di liberazione?

Ecco Dio vuole farti fare esperienza della sua potenza, devi destarti dal "sonno stanco
dell'anima" e muoverti, perchè la cosa più importante in questa vita è conoscere Dio …amare
Dio ….conoscere Cristo Dio uomo!!
Ecco la cosa più importante nel mondo è conoscere Dio e amarlo!

Vedi …Dio vuole che tu lo metta al primo posto nella tua vita, allora ti si fa conoscere
particolarmente! Nota che conoscere Dio non arreca un vantaggio a Dio nella sua divina
natura, Egli è sommamente perfetto. Conoscere Dio è necessario a te, per il tuo bene. Ecco,
dunque, Dio ti sta parlando attraverso queste mie parole, ti sta attirando a fare questo
cammino verso Lui . Considera che il cammino in Cristo Dio è un cammino di fede : Dio stesso
vuole donarti questa fede e tu devi fare la parte tua per riceverla; camminare nella fede
significa appoggiarsi e obbedire a Cristo anche se talvolta non riusciamo a capire perché ci
dice, camminare nella fede non è vedere tutto con chiarezza, il vedere con chiarezza ci sarà
nella visione beata, nel Cielo, ma oggi vediamo nello specchio e attraverso enigmi.

Sappi però che più cresci nel cammino di fede, più vivi nella volontà di Dio in modo
perfetto, più il Signore ti si manifesta , come accadeva s. Pio da Pietrelcina, a s. Caterina
da Siena , a s. Brigida etc.

Dunque : sei pronto iniziare? Dio ti sta attraendo. Ma anche il mondo, satana, la tua carne ti
attraggono, Dio verso la conoscenza di sé e verso la santità ; satana, il mondo e la carne
ti spingono al peccato, alla incredulità, all’agnosticismo.
A te la scelta tra le due vie. Forse finora ai scelto sempre la seconda e se è così sappi che la
tua inclinazione abituale è cattiva, devi farti forza e il Signore ti dà questa forza. Dio ti dà tutto
in Cristo: luce intelettuale, sapienza, carità:

Ricordati: conoscere Dio e amarlo in Cristo dipende da te.

CHI NEGA L'ESISTENZA DI DIO

1) I materialisti. Essi affermano: tutto è materia, tutto viene dalla materia e ad essa ritorna.
Ecco la dottrina che deve sciogliere tutti gli enigmi, contentare tutti i bisogni, soddisfare a tutte
le aspirazioni. Su una concezione materialistica della realtà si basa anche l'ateismo del Rensi
che, nelle prime pagine della sua Apologia dell'ateismo, dà questa definizione dell'Essere:
“Essere significa ciò che si può vedere, toccare, percepire. E' soltanto ciò che può essere visto,
toccato, percepito” (pag. 15); e prosegue spiegando: “quel può non va inteso nel senso che
esista solo ciò sopra cui sia effettivamente possibile mettere l'occhio e la mano, ma nel senso
che anche quando questo fatto non possa accadere, pure la cosa che è deve possedere una
natura tale per cui sia per sé suscettibile di essere vista, toccata, percepita” (pag. 1516). Ora,
siccome soltanto l'essere materiale ha tale natura, il Rensi conclude che Dio, come essere
spirituale, non esiste. Ma, quanto categorica, altrettanto falsa è la definizione di essere data
dal Rensi: al contrario, essere dice solamente ciò che esiste o può esistere, sia
materiale, come il mondo che vediamo, sia spirituale, come per es. la nostra anima..

2) I monisti e panteisti, che dicono di ammettere Dio, ma lo identificano col mondo e quindi
praticamente lo negano. A ragione disse il Gratry: “Il panteismo è l'ateismo più una
menzogna”. Si distingue il panteismo realistico di Scoto Eriugena, Giordano Bruno, Spinoza,
ecc., e il panteismo idealistico della filosofia post-kantiana con Fichte, Schelling, Hegel, e in
Italia con Croce, Gentile, Carabellese, ecc.
Il Gentile per es. scrive: “Dio non può essere tanto Dio che non sia lo stesso uomo” (2) e “Dio
è spirito; ma è spirito in quanto l'uomo è spirito; e Dio e l’uomo nella realtà dello spirito sono
due e sono uno; sicché l'uomo è veramente uomo soltanto nella sua unità con Dio (...) e Dio
da parte sua è il vero Dio in quanto è tutt'uno con l'uomo che lo compie nella sua essenza”(3).
E' vero che talora afferma la distinzione tra Dio e uomo, ma la spiega, piuttosto, come
distinzione di termini astratti nell’unica realtà concreta che è la sintesi 4 secondo i principi
dell'idealismo che abbiamo altrove esposto (Lez. VI).
Orbene il panteismo non è accoglibile, perché Dio, per sua natura infinito, immutabile
e perfettissimo, non può identificarsi né con la realtà materiale né col nostro spirito
che sono realtà finite, mutabili e imperfette.

CHI DUBITA DELL'ESISTENZA DI DIO

Dubitano dell'esistenza di Dio anche gli agnostici, i quali dichiarano impossibile sciogliere
razionalmente il problema religioso. La questione dell'esistenza e della natura di Dio –
affermano – supera le forze della nostra debole mente: Dio non può essere oggetto di scienza.
L'agnosticismo è, in fondo, un atto di sfiducia nelle forze della ragione, sfiducia che
nasce da una falsa concezione del valore e dei limiti della conoscenza razionale. Secondo
questa impostazione, noi non possiamo oltrepassare il mondo sensibile, e siccome Dio
non cade sotto l'esperienza sensibile, non lo possiamo in alcun modo raggiungere.
Dimostrando l’esistenza di Dio dimostreremo come dalle cose sensibili possiamo
razionalmente raggiungere una realtà sovrasensibile e lo vedremo meglio provando
di fatto l'esistenza di Dio.

E' POSSIBILE ARRIVARE A DIO CON LA RAGIONE?


E' possibile arrivare a Dio con la ragione, dimostrarne l'esistenza, ma la sola dimostrazione
valida è quella a posteriori, cioè dagli effetti alle cause. E' questa la vera via, che, unica, ci
conduce sicuramente a Dio, la via degna dell'uomo dotato di ragione, la via additataci già da S.
Paolo:
“Invisibilia enim Ipsius a creatura mundi per ea quae facta sunt, intellecta conspiciuntur” (Ep.
ad Rom., 1, 20), raccomandata e consacrata autorevolmente nelle dichiarazioni solenni della
Chiesa, nonché seguita costantemente non solo dai grandi apologeti cristiani, ma anche dai più
illustri teisti di qualunque epoca, scuola e religione.
Considerando i fatti reali che cadono sotto la nostra esperienza sensibile, noi vedremo che non
c'è modo di interpretarli razionalmente senza ammettere Dio, poiché:

1) la natura delle cose che costituiscono il mondo esige un Dio Creatore;

2) l'ordine che regna in tutto l'universo esige un Dio sapiente e ordinatore;

3) la voce di tutti i popoli proclama unanimemente un Dio supremo Signore.

Questi argomenti, studiati e discussi nel corso di lunghi secoli, hanno convinto le menti più
elette dell'umanità; se certi moderni non ne percepiscono la forza, non è per difetto di luce
della verità, ma per molte cagioni che, rendono le menti indisposte: tali sono le prevenzioni
contrarie, la mancanza di attenzione, la scarsezza di ingegno, l'affetto che l'intelletto lega, l'uso
di seguire gli altri fra i quali si vive, il non volere essere trascinati a conseguenze temute e la
particolare inclinazione a studi più materialmente determinati nei fatti storici e nei fenomeni
sensibili, apprendendo quasi avvolto di nebbia tutto ciò che si presenta come ragione astratta”.

LE PROVE METAFISICHE DELL'ESISTENZA DI DIO

Le prove metafisiche sono quelle che poggiano sui primi ed universali principi della ragione, e
che pertanto hanno un valore assoluto causando nella mente un'adesione perfetta (certezza
metafisica).
Gli argomenti metafisici, se ben compresi, costituiscono sempre la dimostrazione più bella e
più solida dell'esistenza di Dio. Tra le più celebri forme in cui queste sono proposte, vi sono le
cinque vie di S. Tommaso (Summa theol., I, q. 2, a. 3) con le quali si prova l'esistenza di Dio,
come primo motore immobile, prima causa incausata, essere necessario, essere
perfettissimo, sapientissimo ordinatore.

Prendiamo in considerazione la terza che in un certo qual modo riassume anche le altre.

Dio è Essere necessario

1) L'universo è un complesso di esseri contingenti.

2) Ma l'essere contingente esige l'Essere necessario come sua prima causa.

3) Dunque oltre l'universo esiste un Essere necessario, creatore dell'universo, che è Dio.

L'universo è un complesso di esseri contingenti.

Per spiegare questa prima affermazione basta guardare a ciò che ci circonda, l’universo che
scorgiamo sensibilmente è composto da un’infinità di cose: noi uomini, gli animali, le piante, i
minerali, gli astri, le cellule, gli elementi chimici, gli atomi e così via… Tutti questi esseri,
compreso l’uomo (come abbiamo detto) non sono necessari. Perché?
Perché necessario è soltanto ciò che necessariamente è (quindi non può non essere) e
che necessariamente è quello che è (quindi non può mutarsi). Invece tutte le cose che
compongono l'universo sono mutabili e di fatto continuamente mutano. I viventi nascono,
crescono e muoiono; e durante la loro vita si evolvono e si modificano sempre. Le sostanze
inorganiche sono ugualmente soggette a continue trasformazioni. Tutto in natura è soggetto a
trasformazioni. Dunque tutti gli esseri che costituiscono l'universo sono contingenti.

Ma l'essere contingente esige l'Essere necessario come sua prima causa.

L’uomo in quanto contingente può essere e non essere. Per esempio alla natura dell'uomo
appartiene la razionalità (per cui un uomo senza razionalità è assurdo) ma non appartiene alla
natura dell'uomo la bontà, per cui può essere buono e cattivo. Se per sua natura l'essere
contingente è indifferente ad essere e a non essere, vuol dire che non ha in sé la ragione
sufficiente della propria esistenza; ed allora è chiaro che questa sua esistenza deve
averla ricevuta da un altro, cioè ci deve essere un altro ente che sia la ragione sufficiente
della sua esistenza, la causa che l'abbia determinato ad essere. Questa causa che l'ha
determinato ad essere o è un essere contingente o è un essere necessario. Se è
contingente, neppure esso ha in sé la ragione sufficiente della propria esistenza, che
perciò deve essere causata da un altro essere; e riguardo a questo si riproduce la
medesima questione. Orbene non si può procedere all'infinito nella serie delle cause
essenzialmente subordinate, altrimenti si avrebbe una serie infinita di anelli che stanno sospesi
senza un fulcro di attacco, si avrebbe, cioè, una serie infinita di specchi che riflettono la luce
senza un corpo per sé lucente, una somma di zeri che, per quanto prolungata, non può dare
l'unità.

Dunque ci deve essere un essere necessario

Un essere che abbia in sé la ragione sufficiente del proprio essere e che sia ragione sufficiente
di tutti gli altri, causa prima dell'universo. Ed allora è evidente la conclusione: oltre l'universo
esiste un Essere necessario, creatore dell'universo, che è appunto DIO.

LE PROVE FISICHE DELL'ESISTENZA DI DIO

Uno dei fenomeni che più colpisce chi si pone a contemplare lo spettacolo della natura è
l'ordine che vi riluce, ordine meraviglioso e costante. Di qui la mente arguta della gente
semplice trae uno degli argomenti più profondi per risalire a Dio, argomento che lo scienziato
analizza e perfeziona dandogli forma di rigorosa dimostrazione scientifica. Così provarono
l'esistenza di Dio Platone, Aristotele, Cicerone fra i pagani; così nei tempi cristiani usarono
questo argomento i primi apologeti, i Padri lo ampliarono eloquentemente e S. Tommaso lo
espose in forma nitida e rigorosa nella sua Summa, così come tutta la sua scuola lo espose e lo
difese. Anche i razionalisti ne sentirono la forza. Voltaire diceva: «L'universo mi imbarazza e io
non posso sognare che questo orologio esista e non abbia orologiaio».
L'argomento si può brevemente riassumere nella seguente affermazione: nella natura esiste
un mirabile ordine teleologico. Dunque necessariamente esiste una suprema intelligenza
ordinatrice. Ma questa intelligenza ordinatrice deve essere anche creatrice dell'universo.
Dunque esiste un Dio creatore e ordinatore dell'universo.

L'ordine del cosmo

Esso ci appare chiaramente considerando la scala degli esseri dai più semplici ai più complessi.

1) Regno vegetale. Un piccolo seme: uno dei tanti di quei minuscoli granellini sparsi nella
natura: quale mirabile ordine nella sua struttura, nel suo progressivo sviluppo, nella
formazione della pianta! Basti pensare al rivestimento protettivo dei semi o alle diverse forme
che questi assumono per raggiungere zone favorevoli alla crescita (ad es. a forma di elica per
planare vorticosamente) oppure alla straordinaria varietà di pollini tutti straordinariamente
diversi se visti al microscopio elettronico. E ancora…la disposizione delle foglie lungo il picciolo
secondo un ciclo determinato in modo da ricoprirsi il meno possibile e che tutte possano
ricevere la maggior quantità di luce. «Se voi mi volete salvare da una miserabile morte –
scriveva Darwin ad un botanico – ditemi perché l'angolo fogliare è sempre di 1/2, 1/3,
2/5, 3/8 (...) e non mai diverso. Basterebbe questo solo fatto per fare impazzire
l'uomo più tranquillo». Disposizioni non meno complesse e sapienti si trovano nei fiori per
favorire l'impollinazione di piante diverse e impedire l'autofecondazione, che sarebbe nociva
alla specie per il manifestarsi di caratteri difettosi; disposizioni ancor più mirabili per
assicurare, ottenuta la fecondazione e la formazione dei semi, la disseminazione in modo che
non cadano tutti in un terreno sterile e ombroso, ma siano trasportati in terreno adatto e sia
assicurata la sopravvivenza della specie…. E quanto altro ancora si potrebbe dire!

2) Regno animale. Dai più minuscoli viventi ai più complessi ed evoluti. La struttura
dell'organismo, i vari organi della nutrizione, della riproduzione, del movimento, della
sensazione; la loro adattabilità secondo l'ambiente e le circostanze o nei casi di malattia; tutto
ciò presenta un evidente finalismo. I mirabili istinti in virtù dei quali gli animali agiscono e
operano con tanta sicurezza, precisione e perfezione di mezzi, risolvendo con la massima
semplicità i problemi più difficili: le formiche (organizzazione del lavoro), le api (la struttura
dell'alveare), i ragni (l'ingegnosa costruzione della tela), gli uccelli (il nido, la cura della prole)…
Organi, tessuti, cellule e apparati specializzati, non possono essere frutto del caso!

3) L’uomo. Il corpo e le sue parti: sono milioni di cellule differenziate fra loro, riunite in
tessuti diversi che formano i vari organi, ciascuno dei quali sapientemente costituito per la sua
funzione che esercita spontaneamente, naturalmente, senza che ce ne accorgiamo. La mirabile
struttura dei singoli organi; l'orecchio, l'occhio (Newton diceva che chi ha fatto l'occhio
dell'uomo doveva conoscere bene le leggi dell'ottica), ecc. Il grande anatomista americano
Alexis Carrell, in un libro che ebbe grande successo, L'uomo, questo sconosciuto, cita molti
esempi di tali meraviglie nel corpo umano e conclude: «L'esistenza di una finalità
nell'organismo è innegabile: tutto avviene come se ogni organo conoscesse i bisogni
presenti e futuri dell'insieme e si modificasse secondo questi».

4)La terra. La sua posizione rispetto al sole (per una temperatura conveniente alla vita); il
duplice moto di rotazione e di traslazione (per l'avvicendarsi dei giorni e delle notti, per
l'alternarsi delle stagioni a vantaggio dei viventi); le terre glaciali e la zona torrida (per i
dislivelli di temperatura necessari per le correnti benefiche dell'aria e degli oceani), la presenza
di acqua e terra sapientemente distribuite, la salinità delle acque regolata da un ben preciso
ciclo…

5) L’universo. Gli astri: il loro numero, la loro grandezza, la loro distanza, i movimenti che
compiono, ecc.

I vari regni della natura sono l'uno all'altro subordinati armonicamente per il bene universale.
Ordine e subordinazione hanno sempre colpito i più geniali osservatori. Già Aristotele
scriveva: «Tutto nell'universo è sottoposto a un determinato ordine (...) Le cose non
vi sono disposte in modo che una non abbia alcun rapporto con l'altra, che anzi tutte
sono in relazione fra loro, concorrono con perfetta regolarità ad un unico risultato. Si
verifica nell'universo quello che vediamo in una casa ben governata».

Colui che stabilisce l'ordine è Dio

a) Ordinare i mezzi al fine è proprio del solo intelletto. Infatti, per adattare qualche cosa
al fine è necessario conoscere il fine. Ma conoscere tutto questo è solo degli esseri intelligenti.
Quindi la finalità non può spiegarsi se non si ammette una mente ordinatrice; perciò l'universo,
così mirabilmente ordinato, esige una mente ordinatrice. L'argomento è semplicissimo; come
dinanzi a un orologio, a una statua, ad una macchina, l'intelletto non può rifiutarsi
dall'affermare l'esistenza di un'intelligenza che è la causa di quell'ordine, quanto più dinanzi
all'universo così complesso e tuttavia ordinato.

b) Ma questa intelligenza ordinatrice non è nell'universo. Infatti, non può essere nella
materia inorganica, né nelle piante, né negli animali, in quanto tutti esseri materiali, mentre
l'intelligenza, è prerogativa dell'essere spirituale. Neppure può trattarsi dell’intelligenza
dell'uomo, perché l'ordine del mondo esisteva prima che esistesse l'uomo, e l'uomo è
tanto lontano dall'essere ordinatore del mondo che si considera genio chi ha scoperto (non
creato) qualche nuova meraviglia già esistente nell'universo. Dunque, l'intelligenza
ordinatrice del mondo è l'intelligenza di un Essere spirituale distinto dall'universo.

c) Ma dobbiamo ancora osservare che l'ordine dell'universo non è puramente un ordine


estrinseco e accidentale, bensì intrinseco ed essenziale, che risulta dalla natura stessa
delle cose; per cui, chi ha ordinato il mondo deve averlo anche creato, deve avere costituito in
quel determinato modo e per quel determinato fine tutti gli esseri che lo compongono e le loro
parti. Dobbiamo dunque concludere che il supremo ordinatore del mondo è anche il creatore
dell'universo, è Dio. Esiste dunque un Dio creatore e ordinatore dell'universo.

Così, questa è la conclusione di tutti i grandi scienziati che non chiudono gli occhi dinanzi alle
bellezze dell'universo e che sanno, spogliandosi dei pregiudizi, guardare in faccia la verità.

Il grande naturalista Linneo diceva: «Il Dio eterno, il Dio immenso, sapientissimo e
onnipotente è passato dinanzi a me. Io non l'ho veduto in volto, ma il riverbero della
sua luce ha ricolmato di stupore l'anima mia. Io ho studiato qua e là le tracce dei suo
passaggio nelle creature e in tutte le sue opere, anche le più piccole, le più
impercettibili: quale forza, quale sapienza, quale immensa perfezione»;

Newton: «L'astronomia trova ad ogni passo la traccia dell'azione di Dio»; e

Keplero terminava la sua opera così: «Ti ringrazio, o mio Creatore e Signore, di tutte le
gioie che mi hai fatto gustare nell'estasi in cui mi ha rapito la contemplazione delle
opere della Tua mano. La grandezza di queste io mi sono studiato di proclamare
dinanzi agli uomini, e ho posto cura di far conoscere quanta sia la Tua sapienza, la
Tua potenza, la Tua bontà».

LA VOCE DELLA COSCIENZA

Oltre agli argomenti che abbiamo svolto finora, molti ancora solitamente se ne portano, a
conferma della verità dimostrata; ne accenneremo due:

1) Argomento eudemonologico (dal termine greco che significa felicità). L'uomo sente un
desiderio naturale di felicità che i beni finiti non possono saziare: il desiderio di un bene
sommo, senza limiti, puro, senza mescolanza di mali e capace di soddisfare tutti i
nostri bisogni. E' un fatto di esperienza che è facile constatare. Ma questo desiderio non può
essere vano, perché se – al contrario di tutte le altre tendenze naturali, che possono
raggiungere il loro fine – questo desiderio dell'uomo fosse frustrato, l'uomo, re del creato,
sarebbe l'essere più infelice della terra. Dunque esiste questo bene puro, infinito, capace
di saziare il desiderio naturale dell'uomo: esiste Dio.

“Fecisti nos ad Te, Domine, et inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te”. (S.
Agostino, Confessiones).
2) Argomento deontologico (dal termine greco che significa dovere), secondo il quale
dall'esistenza della legge morale, in due modi possiamo risalire fino a Dio.

a) C'è una legge morale che si impone alla nostra condotta, indipendentemente da ogni
nostra soddisfazione e vantaggio, da ogni pericolo esterno, anche della vita, in modo
assoluto, universale, in tutti i tempi in tutte le età e presso tutti i popoli. Ora, una tale legge
domanda un legislatore supremo e universale, cioè Dio. Infatti, quella legge non è
fondata nella ragione, che la scopre ma non la crea; non nell'istinto, che spesso si oppone alla
legge; e neppure negli altri uomini, che da quella stessa legge sono dominati. Essa non può
che fondarsi, dunque, su un essere superiore a tutti: Dio.

b) L'argomento è rafforzato dalla necessità della sanzione. Il bene e il male meritano


premio e castigo; ma non sono sufficienti le sanzioni di questa vita; è dunque necessaria una
sanzione ordinata da un giudice ultramondano. Senza Dio il reo potrà vantarsi di aver violato
l'ordine impunemente, il giusto avrà vanamente sofferto e il suo grido contro lo scandalo
dell'empietà trionfante si sarà perduto nel deserto. Ancora una volta la coscienza proclama
l'esistenza di Dio.

DIO E IL PROBLEMA DEL MALE

Una delle più comuni difficoltà contro l'esistenza di Dio, e in particolare contro la Sua
Provvidenza, è l'esistenza del male nel mondo.

Come si concilia l'esistenza di Dio con l'esistenza del male? Ecco il problema.

Vi è chi lo risolve negando semplicemente l'esistenza di Dio: ma erroneamente, perché


l'esistenza di Dio è evidentemente provata, e la difficoltà di conciliarla con l'esistenza del male
non dà il diritto di metterla in dubbio.

Vi è anche chi ha supposto che, accanto a Dio, principio del Bene, esista un essere
maligno principio del male, indipendente da Lui e a Lui contrario; la terra sarebbe il
teatro della lotta fra questi due primi princìpi. Ma anche questa soluzione (di non pochi
antichi: Manichei, ecc.) è allo stesso modo erronea, perché non si può dare un essere che non
dipende da Dio, il quale è necessariamente unico principio e creatore di tutto.

Altri, allora, pur ammettendo l'esistenza di Dio, ne hanno negato la Provvidenza,


affermando che Dio non si interessa del mondo, avendo abbandonata a se stessa l'opera
delle sue mani. Soluzione erronea anche questa, perché contraria agli attributi divini, specie al
Suo amore per le creature, amore che è l'unica ragione della creazione.

Per altra via si deve dunque trovare la conciliazione tra l'esistenza di Dio e il fatto del male nel
mondo. Per facilitare la soluzione del problema giova distinguere il male fisico e il male morale.

Il male fisico è dovuto all'essenza finita delle cose di cui si compone l'universo ed al corso
normale e ordinario delle leggi della natura. Non ripugna quindi a Dio, come non ripugna il
dolore che al male fisico suole accompagnarsi; il rendere l'uomo, e in generale l'animale,
sensibile agli agenti nocivi è spesso mezzo provvidenziale per la conservazione della vita nella
natura; la morte stessa degli individui è necessaria per dare posto alle nuove generazioni.

La colpa, poi, cioè il male morale, è effetto della manchevole volontà dell'uomo: essa non è
voluta da Dio, ma solo permessa, perché Dio vuole che liberamente lo rispettiamo e lo amiamo
e non vuole fare violenza alla nostra volontà.
Ma – si osserva – Dio non potrebbe, con la Sua Provvidenza, impedire il male? E se lo
può, perché non lo impedisce?

Sì, parlando in termini assoluti, lo potrebbe impedire e se, nonostante questo, lo permette,
vuol dire che nella Sua infinita sapienza vede che è meglio permetterlo. Senza volere
penetrare più in là di quel che alle nostre deboli forze è concesso (S. Paolo esclamava: “ O
altezza della scienza di Dio: Come sono imperscrutabili i Tuoi giudizi!”: Ep. ad Rom., 11, 33),
abbiamo dalla ragione, e più ancora dalla fede, gli elementi per rispondere alla domanda.

L'immortalità dell'anima ci dona la certezza naturale (confermata dalla fede) di una vita
futura ed eterna, alla quale la vita presente è ordinata e nella quale i desideri del nostro cuore
saranno soddisfatti, a meno che la giustizia non esiga la pena del male da noi compiuto. Alla
luce di questa verità, per cui la vita dell'uomo si inizia nel tempo ma si continua
nell'eternità, deve essere risolto il problema del dolore, che acquista, nella
Provvidenza divina, una mirabile finalità. Il dolore, innanzi tutto, distacca l'uomo dalle
cose terrene e lo avvicina a quelle eterne; se, nonostante le frequenti infelicità della terra, così
pochi pensano all'eternità, quanti sarebbero quelli che si ricorderebbero del loro ultimo fine, se
nella vita non vi fossero che gioie? Inoltre, il dolore fa sì che l’uomo possa espiare: chi, nella
vita, non ha mai trasgredito la legge del Signore? L'infinita misericordia di Dio è sempre
disposta a perdonare, ma la Sua giustizia esige una riparazione, un compenso per l'ordine
morale rovesciato, e il dolore ristabilisce quest'ordine purificando l'anima che si è ribellata a
Dio. Infine il dolore santifica, perché attraverso la prova del dolore l'uomo si merita quella
felicità eterna che Dio vuol donarci quale premio da conquistare col sacrificio e con la lotta,
sostenuti dalla pace della coscienza e dalla gioia del cuore con cui Dio conforta il giusto nelle
pene della vita.
Così la ragione, ed assai meglio la fede, mostrano nel dolore la paterna Provvidenza di Dio che
“non turba mai la gioia dei Suoi figli se non per prepararne loro una più certa e più grande”
(Manzoni).

L'ESISTENZA DI DIO

Se l'essere di Dio sia una verità indubitabile [1][3]

Si domanda anzitutto se l'essere di Dio sia una verità indubitabile. Che sia così si dimostra
seguendo una triplice via.
La prima è questa: ogni verità naturalmente impressa in tutte le menti è indubitabile.

— La seconda è la seguente: ogni verità proclamata da ogni creatura è indubitabile.

— La terza via è questa: ogni verità certissima ed evidentissima in se stessa è indubitabile.

Quanto alla prima via si procede in questo modo; dimostrando con argomenti di autorità e di
ragione che l'essere di Dio è impresso in tutte le menti razionali.

1. Giovanni Damasceno, nel primo libro (De fide orthod.), al capitolo terzo, afferma che: «La
cognizione dell'esistenza di Dio è impressa naturalmente in noi ».

2. Cosi Ugo di San Vittore (De Sacram. p. iii, c. i) sostiene che: «Dio ha regolato a tal punto la
nozione di sé presente nell'uomo che, siccome egli non avrebbe mai potuto comprenderne
l'essenza nella sua totalità, non ne potesse almeno ignorare l'esistenza ».

3. Parimenti Boezio (iii De consol., prosa 2): « È impresso nelle menti degli uomini il desiderio
del vero e del bene »; ma il desiderio del vero bene presuppone la conoscenza di esso, perciò
nelle menti degli uomini sono impresse la nozione del vero bene ed un desiderio di ciò che è
sommamente desiderabile. E questo bene è Dio; dunque ecc.
4. Agostino in più passi del De Trinitate (ix, 2, 2, ss.; xii, 4, 4 nss.; xiv, 8, ll ss.), dice che
l'immagine consiste nella mente, nella notizia e nell'amore, e che il carattere di immagine si
scopre nell'anima in relazione a Dio; se dunque è naturalmente impressa nell'Anima
l'immagine di Dio, l'anima ha naturalmente innata la conoscenza di Dio. Ma la prima
cosa che si conosce di Dio è la sua esistenza; dunque la conoscenza di essa è naturalmente
innata nella mente umana.

5. Aristotele (ii, Poster., 15) afferma che « non sarebbe conveniente che possedessimo cose
nobilissime e non lo sapessimo »; perciò, essendo l'esistenza di Dio una verità
nobilissima, presentissima a noi, non è conveniente che tale verità rimanga nascosta
all'intelletto umano.

6. Inoltre: è innato nelle menti degli uomini un desiderio di sapienza, poiché, dice
Aristotele (i, Metaf., I): « Tutti gli uomini per natura desiderano sapere »; ma la
sapienza sommamente desiderabile è quella eterna; perciò è profondamente insito
nella mente umana il desiderio di tale sapienza. Ma, come si è detto prima, non c'è
amore se non di ciò che è in qualche modo conosciuto; perciò è necessario che una qualche
nozione di quella somma sapienza sia impressa nella mente umana. Ma questo è in primo
luogo sapere che Dio stesso o quella sapienza esiste.

7. Inoltre, il desiderio della beatitudine è insito a tal punto in noi che a proposito di
nessuno si può dubitare se voglia o no essere beato, come dice in più passi Agostino
(De Trin. XllI, 3, 3; 4, 7 ss.; 20, 25); ma la beatitudine consiste nel sommo bene che è
Dio; perciò, se tale desiderio non può esistere senza una qualche notizia, è necessario che tale
nozione mediante la quale si conosce che esiste il sommo bene, ossia Dio, sia impressa nella
stessa anima.

8. È impresso pure nell'anima un desiderio di pace ed impresso a tal punto che lo si


ricerca anche nel suo contrario; e questo desiderio non può essere neppure tolto ai
dannati ed ai demoni, secondo quanto si dimostra nel libro diciannovesimo del De
civitate Dei (13,lss.). Se, dunque, la pace di una mente razionale non si trova se non
in un ente immutabile ed eterno ed il desiderio presuppone una nozione od una
conoscenza, la conoscenza di un ente immutabile ed eterno è innata nello spirito
razionale.

9. Inoltre, è insito nell'anima l'odio della falsità; ma ogni odio nasce dall'amore;
perciò è molto più radicato nell'anima l'amore della verità e specialmente di quella
verità per la quale l'anima è stata fatta. Se dunque Dio è la verità prima, consegue
necessariamente che la nozione della prima verità è insita nell'intelligenza razionale.
— Che l'odio dell'errore, poi, sia insito nella mente umana, appare dal fatto che nessuno vuol
essere ingannato, come dice Agostino nel libro decimo delle Confessioni (23, 33 ss.). — Che
l'odio sia causato dall' amore mostra ancora Agostino nel libro quattordicesimo del
De civitate Dei (7, 2); nessuno infatti odia qualcosa se non perché ama il suo
opposto.

10. Inoltre, è impressa nell'anima razionale la conoscenza di sé, perché l'anima è


presente a se stessa e conoscibile per se stessa; ma Dio è presentissimo all'anima e
conoscibile per se stesso; perciò è impressa nella stessa anima la nozione del suo
Dio. Se tu dicessi che non è la stessa cosa perché l'anima è proporzionata a sé ma Dio non è
proporzionato all'anima, risponderei: la tua obiezione non vale, perché se la proporzionalità
fosse necessaria alla conoscenza, l'anima non giungerebbe mai alla conoscenza di Dio poiché
non può essere paragonata a Lui né per natura, né per grazia, ne per gloria.
Con queste ragioni, dunque, si dimostra che l'esistenza di Dio è una verità indubitabile
naturalmente impressa nell'intelligenza umana; nessuno infatti dubita se non di ciò di cui non
possiede una conoscenza certa.
Questo si dimostra per la seconda via così; ogni verità proclamata da tutte le
creature è indubitabile; ma ogni creatura proclama l'esistenza di Dio. — Che, poi,
ogni creatura proclami Resistenza di Dio, si dimostra in base a dieci aspetti delle
cose ed a proposizioni immediatamente evidenti.

11. La prima è questa: se c'è l'ente che vien dopo c'è l'ente che vien prima poiché
l'ente che vien dopo dipende da quello che vien prima; se dunque vi è l'insieme degli
enti che vengono dopo, e necessario che vi sia un primo ente. Se, pertanto, è
necessario ammettere un prima e un poi nelle creature, è necessario che l'insieme
delle creature implichi e proclami l'esistenza di un primo principio.

12. Inoltre, se esiste un ente che dipende da un altro, esiste anche l'ente che non dipende da
un altro, poiché nulla può far passare se stesso dal non essere all'essere; dunque, è necessario
che vi sia una prima ragion d'essere che è nell'ente primo, il quale non è stato prodotto da un
altro. Se dunque l'ente che dipende da un altro è detto ente creato e l'ente che non
dipende da un altro è detto ente increato ed è Dio, tutti i diversi tipi di ente implicano
l'esistenza di Dio.

13. Inoltre, se vi è l'ente possibile deve esserci l'ente necessario perché il possibile
dice indifferenza all'essere e al non essere; ma non può un ente essere indifferente ad
essere e a non essere se non in virtù di qualcosa che è pienamente determinato all'essere. Se
dunque l'ente necessario che non ha assolutamente alcuna possibilità di non essere è soltanto
Dio ed ogni altro ente ha qualche possibilità di non essere, ogni differente tipo di ente implica
l'esistenza di Dio.

14. Inoltre, se vi è un ente relativo deve esserci anche l'ente assoluto poiché il
relativo non è tale se non rispetto all'assoluto; ma l'ente assoluto non può essere
detto dipendente da nessun altro se non perché non riceve nulla da un altro; e questo
è l'ente primo; mentre ogni altro ente ha una qualche dipendenza; quindi è necessario che
ogni differente tipo di ente implichi l'esistenza di Dio.

15. Inoltre, se vi è un ente limitato o parziale vi è l'ente che è assolutamente, perché


l'ente parziale non può né essere, né essere concepito se non per mezzo dell'ente
che è assolutamente; e l'ente limitato non può esistere ed essere concepito se non in
virtù dell'ente perfetto, come la privazione non si concepisce se non per mezzo del positivo.
Se pertanto ogni ente creato è parziale, solo l'ente increato è ente che è assolutamente e
perfetto; perciò è necessario che ogni diverso tipo di ente implichi e supponga l'esistenza di
Dio.

16. Inoltre, se vi è un ente ordinato ad altro deve esserci un ente autosufficiente,


altrimenti non esisterebbe il bene; ma l'ente autosufficiente non è se non quell'ente di cui non
può esservi migliore, cioè lo stesso Dio; perciò, poiché la totalità degli altri enti è ordinata a lui,
la totalità degli enti implica l'esistenza e la nozione di Dio.

17. Inoltre, se vi è un ente per partecipazione deve esserci un ente per essenza,
perché la partecipazione non si riferisce se non a qualcosa di posseduto
essenzialmente da qualcos' altro poiché ogni predicato accidentale si riconduce a un
predicato essenziale; ma qualunque ente diverso dall'ente primo che è Dio, ha l'essere per
partecipazione, mentre solo Lui ha l'essere per essenza.

18. Inoltre, se vi è l'ente in potenza deve esserci l'ente in atto poiché la potenza non
può passare all'atto se non in virtù di un ente in atto e la potenza non sarebbe tale se
non potesse passare all'atto; se, dunque, quell'ente che è atto puro e non ha in sé
alcuna possibilità non può essere che Dio, è necessario che ogni ente diverso dal
primo implichi l'esistenza di Dio.
19. Inoltre, se vi è un ente composto deve esserci un ente semplice perché il
composto non ha l'essere da sé ed è perciò necessario che abbia la sua origine da un
ente semplice ma l'ente semplicissimo, che non ha in sé alcuna composizione, non
può essere che l'ente primo; perciò ogni altro ente implica Dio.

20. Inoltre, se vi è un ente mutevole deve esserci un ente immutabile, perché,


secondo quel che prova Aristotele (Fis. viii, 5; Metaf. xi, 7), il moto proviene da un
ente immobile e ha per fine un ente immobile; se, dunque, l'ente del tutto
immutabile non può essere se non quell' ente primo che è Dio e gli altri enti creati
per il fatto stesso di essere creati sono mutevoli, è necessario che l'esistenza di Dio
sia inferita da ogni differente tipo di ente.

Da questi dieci presupposti necessari ed evidenti si inferisce che tutti i diversi tipi o
zone dell'ente implicano e proclamano l'esistenza di Dio. Se, dunque, ognuna di
queste verità è indubitabile, è necessario che l'esistenza di Dio sia una verità
indubitabile.

La medesima conclusione è dimostrata per la terza via così: ogni verità così certa da
non poter essere negata senza contraddizione è una verità indubitabile; ma
l'esistenza di Dio è tale; dunque ecc. La maggiore è immediatamente evidente, la
minore si dimostra in vari modi.

21. Infatti Anselmo, nel capitolo quarto del Proslogio, dice: « Ti ringrazio. Signore
buono, poiché quello che prima credevo per tuo dono, ora lo capisco per influsso
della tua luce, sicché, se anche non volessi credere che tu esisti, non potrei non
saperlo ».

22. E questa verità è provata da Anselmo come segue: Dio è ciò di cui non si può
pensare il maggiore; ma ciò che non può essere pensato non esistente è più vero di
ciò che può essere pensato non esistente; dunque, se Dio è ciò di cui non si può
pensare il maggiore. Dio non può essere pensato non esistente.

23. Inoltre, l'ente di cui non si può pensare il maggiore è di tale natura che non può
essere pensato se non esiste anche nella realtà; poiché se esistesse nel solo pensiero
non sarebbe l'ente di cui non si può pensare il maggiore; dunque, se un tale ente è
pensato, è necessario che esista in realtà in tal modo da non poter essere pensato
non esistente.

24. Ancora Anselmo (Prosl. 5) affermia : « Tu sei tutto ciò che è meglio esista piuttosto
die non esista »; ma ogni verità indubitabile è migliore di ogni verità dubbia; perciò a Dio
si deve attribuire piuttosto l'essere indubitabile che l'essere dubitabile.

25. Inoltre Agostino dice nei Soliloqui (i, 8,5) che nessuna verità può essere vista se
non nella prima verità; ma la verità nella quale è vista ogni altra verità è
sommamente indubitabile; perciò l'esistenza di Dio non è solo una verità
indubitabile, ma anche una verità di cui non si può pensare nulla di più indubitabile;
dunque è una verità tale da non poter essere pensata non esistente.

26. Agostino (Sol. I, 15, 27 ss.; II, 2,2; e 15,28) dimostra questa stessa verità come
segue: tutto ciò che si può pensare si può anche enunciare; ma in nessun modo si
può enunciare che Dio non esiste senza affermare insieme che Dio esiste. E questo si
dimostra come segue: poiché se non vi è alcuna verità è vero che non c'è la verità, e,
se è vero queste, esiste qualche verità e, se esiste qualche verità, esiste la verità
prima, pertanto, se non si può affermare che Dio non esiste non lo si può neppure
pensare.
27. Quanto maggiore e più universale è una verità tanto è più nota; ma questa verità
con la quale si dice che esiste il primo ente è la prima fra tutte le verità sia
nell'ordine ontologico che in quello logico; perciò è necessario che essa stessa sia
certissima ed evidentissima. Ma la verità degli assiomi e delle proposizioni più universali è a
tal punto evidente a causa della loro priorità che essi non possono essere pensati come
inesistenti; pertanto nessuna intelligenza può pensare che la stessa prima verità non esista o
dubitare della sua esistenza.

28. « Nessuna proposizione è più vera di quella nella quale la stessa proprietà è
predicata di se stessa » (Boezio, Periherm. Arìstot., i, 14); ma quando dico che Dio è,
l'essere detto di Dio è identico con Dio perché Dio è il suo stesso essere; dunque
nessuna proposizione è più vera ed evidente di quella che dice: Dio è, dunque
nessuno può pensare che essi sia falsa o dubitarne.

29. Inoltre nessuno può ignorare che questa proposizione: l'ottimo è ottimo, sia vera, oppure
pensare che sia falsa; ma l'ottimo è un ente completissimo ed ogni ente, per il fatto stesso di
essere completissimo, è anche in atto; pertanto, se l'ottimo è ottimo, l'ottimo è. — Similmente
si può argomentare: se Dio è Dio, Dio è; ma l'antecedente è vero a tal punto che non può
essere pensato non esistente; pertanto l'esistenza di Dio è una verità indubitabile [...].

rispondo. Per la comprensione delle cose predette occorre notare che una cosa si dice
indubitabile per privazione del dubitabile; ora il dubitabile si dice in due sensi: o per il
discorso della ragione o per difetto di ragione. Il primo modo di intendere riguarda il
conoscibile ed il conoscente; il secondo modo di intendere solo il conoscente. Dubitabile nel
primo senso è detta qualche verità perché le manca il carattere di evidenza o in sé, o in
rapporto ad un medio probante, o in rapporto all'intelletto che apprende. Ma in nessuno di
questi modi di intendere manca la certezza a questa verità che è l'esistenza di Dio.

È certo infatti allo stesso intelletto conoscente che la conoscenza di questa verità è
innata nella mente razionale in quanto la mente ha carattere di immagine grazie alla
quale sono insiti in lei il naturale desiderio, la nozione e la memoria di Colui ad
immagine ilei quale è stata creata e verso il quale tende naturalmente per poterne
essere beatificata.

La verità dell' esistenza di Dio è ancora più certa in rapporto alla ragione probante.
Infatti tutte le creature, sia considerate secondo le loro proprietà positive che difettive, con
voci altisonanti proclamano l'esistenza di Dio del quale hanno bisogno a causa della loro
mancanza di perfezione e dal quale ricevono perfezione. Per cui secondo la loro maggiore o
minore perfezione proclamano alcune con grande, altre con maggiore, altre con grandissima
voce che Dio esiste.

E tale verità è anche certissima in sé per il fatto che è una verità prima e
immediatissima nella quale non solo la nozione del predicato è contenuta nel
soggetto, ma è lo stesso l'essere che è predicato e il soggetto di cui è predicato.
Perciò, come ripugna sommamente al nostro intelletto l'unire termini differentissimi fra loro,
perché nessun intelletto può pensare che qualche cosa esista o non esista al tempo stesso, così
ripugna la divisione di qualche cosa che è totalmente uno e indiviso; per cui, come è
evidentissimamente falso che una stessa cosa esista e non esista, o che esista in modo sommo
o non esista affatto, così è una verità evidentissima che il primo e sommo ente esiste. —
Pertanto, se si ritiene indubitabile ciò che toglie ogni dubbio per discorso della ragione,
l'esistenza di Dio è una verità indubitabile poiché, sia che l'intelletto penetri in se stesso, sia
che esca fuori di sé, sia che guardi sopra sé, se procede razionalmente conosce con certezza
ed indubitabilmente l’esistenza di Dio.

Se poi si considera l'indubitabile nel secondo senso, in quanto cioè toglie il dubbio
che deriva da un difetto di ragione,allora si può concedere che per un difetto degli
uomini qualcuno possa dubitare clic Dio esiste, e ciò per un triplice difetto
dell'intelletto conoscente:

1) o quanto all'atto dell'apprendere,

2) o quanto all'atto del giudicare,

3) o quanto all'atto di ricondurre a un primo principio. —

1) Quanto all'atto dell'apprendere, il dubbio si inserisce quando il significato del nome


Dio non è assunto in modo reno e nella sua pienezza ma solamente per qualche suo
aspetto, come hanno fatto i pagani i quali pensavano che Dio fosse tutto ciò che era superiore
all'uomo e poteva prevedere in qualche modo il futuro e perciò credevano che gli idoli fossero
dei e li adoravano come dei perché davano talvolta responsi veritieri sul futuro. —

2) Quanto all'atto del giudicare, il dubbio si ha quando il giudizio è parziale, come


quando lo stolto vede che non si fa manifestamente giustizia dell'empio e ne conclude che non
esiste provvidenza nell'universo e, perciò, che non esiste in esso un rettore primo e sommo
come Dio eccelso e glorioso. —

3) Similmente, quanto al difetto nel ricondurre a un primo principio: il dubbio


subentra quando un intelletto carnale non sa arrivare se non sino a quello che i sensi
mostrano, vale a dire, alle realtà corporee; per il qual motivo alcuni ritennero che questo
sole visibile che occupa un posto preminente fra le creature corporee fosse Dio, perché non
erano capaci di giungere sino alla sostanza incorporea, né sino ai primi principi delle cose. — E
così nella proposizione Dio esiste può sorgere un dubbio causato da un difetto dell'intelletto
che apprende, o che giudica, o che riconduce a un primo principio; e secondo un tale modo
difettoso di intendere, qualche intelletto può pensare che Dio non esiste, perché esso non
comprende con sufficiente integrità il significato del termine Dio. — Ma quell'intelletto che
comprende appieno il significato di questo nome: Dio e ritiene che Dio è ciò di cui
non si può pensare il maggiore, non solo non dubita che Dio esiste, ma anche in
nessun modo può pensare che Dio non esiste. Perciò dobbiamo ammettere come vere
le ragioni che lo dimostrano esistente.

La contemplazione di Dio per mezzo della sua immagine impressa nelle potenze dell'anima[2]
[4]

1. Poiché i due gradi precedenti, guidandoci a Dio attraverso le sue orme per mezzo delle quali
Egli risplende in tutte le sue creature, ci hanno condotti sino al punto di rientrare in
noi, nel nostro spirito nel quale risplende l'immagine divina, ora, in terzo luogo, rientrando in
noi stessi e lasciando fuori l'atrio, dobbiamo sforzarci di vedere Dio come in uno
specchio, nel santo[3][5]3, nella parte anteriore del tabernacolo; lì la luce della verità brilla
come un candelabro di fronte alla nostra mente nella quale risplende l'immagine della
beatissima Trinità.

Entra, dunque, dentro di te e osserva con quale ardore la tua mente ama se stessa;
ora, essa non potrebbe amarsi se non si conoscesse e non potrebbe conoscersi se
non avesse il ricordo di sé, poiché la nostra intelligenza non apprende se non ciò che
è presente alla nostra memoria; vedi, perciò, non con l'occhio della carne, ma con
quello della ragione, che la tua anima possiede una triplice potenza. Considera le
attività e i rapporti di queste tre potenze e potrai vedere Dio in te stesso come nella
sua immagine, il che significa vedere in uno specchio « in aenigmate ».

2. L'attività della memoria consiste tiri ritenere e rappresentare non solo le realtà presenti,
corporee e temporali, ma anche le realtà che si susseguono, che sono semplici ed eterne.
— Infatti la memoria ritiene il passato col ricordo, il presente con l'apprensione e il futuro con
la previsione. — Ritiene anche le cose semplici, cioè i principi delle quantità continue e discrete
come il punto, l'istante e l'unità senza cui sarebbe impossibile il ricordare o il pensare quelle
cose che da essi hanno principio. — Ritiene anche i principi e gli assiomi delle scienze come
realtà eterne e in modo eterno poiché mai può dimenticarli sin tanto che conserva l'uso della
ragione, e se li sente nominare, non può non approvarli e concedere ad essi il suo assenso, e
non come se li percepisse di nuovo, ma come se li riconoscesse come innati e familiari.
Per convincersene basta proporre a qualcuno « Il principio di non contraddizione » (Arist., i ,
Post. ,10) od il principio: « II tutto è maggiore della parte», o qualunque altro principio che la
« ragione interiormente» non può contraddire. Ritenendo attualmente tutte le cose temporali,
ossia il passato, il presente e il futuro, la memoria porta in sé l'immagine dell'eternità il cui
presente indivisibile si estende a tutti i tempi. — Con la capacita di ritenere le cose semplici, la
memoria dimostra di possedere non solo la possibilità di essere informata dalle immagini
esteriori, ma anche da un principio superiore, possedendo in se stessa delle forme semplici che
non possono entrare per le porte dei sensi e delle fantasie sensibili. — Ritenendo i principi e gli
assiomi delle scienze, essa dimostra di possedere una luce immutabile sempre presente a sé,
nella quale si ricorda delle verità che non cambiano mai. — E così, dalle attività della memoria
risulta che l'anima stessa è immagine e similitudine di Dio, a tal punto presente a sé ed avente
Dio così presente da poterlo comprendere in un atto ed essere «potenzialmente capace di
possederlo e di parteciparne » (Agostino, De Trin. xiv, 8, 11).

3. L'attività della potenza intellettiva, poi, consiste nel comprendere il significato dei termini,
delle proposizioni e delle argomentazioni. — Ora l'intelletto comprende il significato
dei termini quando apprende mediante la definizione che cosa è una cosa. Ma ogni definizione
si fa per mezzo di termini generali, e questi si definiscono per mezzo di termini ancor più
generali, sinché si arriva alle nozioni supreme e generalissime senza le quali non possono
essere definiti neppure i concetti più specifici. Se dunque non si conosce che cos'è l'ente per
sé, non si può conoscere adeguatamente la definizione di alcuna sostanza specifica. E l'ente
per sé non può essere conosciuto se non in unione con le sue proprietà che sono: unita, verità
e bontà. L'ente, poi, può essere pensato: parziale o completo, imperfetto o perfetto, in potenza
o in atto, come modo di essere o come ente simpliciter, come parziale o totale, transeunte o
permanente, condizionato o incondizionato, come misto al non essere o come ente puro, come
dipendente o assoluto, successivo o antecedente, mutevole o immutabile, semplice o
composto; e siccome « le privazioni ed i difetti non possono essere conosciuti se non per
mezzo di concetti positivi» (Averroè, De Anima, text. 25), il nostro intelletto non si rende conto
pienamente del concetto di nessun ente creato se non ha l'idea dell'ente purissimo,
attualissimo, completissimo e assoluto che è l'ente senza altre aggiunte ed eterno, nel quale si
trovano nella loro purezza le ragioni di tutte le cose. Come, dunque, l'intelletto potrebbe
sapere che quest' ente è manchevole e incompleto se non avesse alcuna cognizione dell'ente
privo di ogni difetto? Lo stesso dicasi delle altre proprietà ricordate. Diciamo, poi, che il nostro
intelletto intende veramente le proposizioni, quando sa con certezza che sono vere; e saper
questo vuol dire che non può ingannarsi in quella conoscenza.
Esso sa, infatti, che quella verità non può essere diversa e che, dunque, è immutabile. Ma
poiché la nostra mente è mutevole, essa non potrebbe vedere quella verità risplendere
immutabilmente se non con l'aiuto di una luce che risplende immutabilmente, la quale non può
essere una creatura mutevole. Esso conosce dunque in quella luce che illumina ogni uomo
veniente in questo mondo, la quale è vera luce, il Verbo che fin dal principio è presso Dio
(Giov. 1,1 e 9).

Il nostro intelletto percepisce veramente una conseguenza quando vede che la conclusione
segue necessariamente dalle premesse. E questo può vedere non solo quando le premesse
sono necessarie, ma anche quando si riferiscono a realtà contingenti come: « se un uomo
corre, un uomo si muove». Ed il nostro intelletto percepisce questo rapporto necessario non
solo a proposito di enti, ma anche a proposito di non enti. Come infatti quando un uomo esiste,
segue: « se un uomo corre, si muove », questa proposizione condizionale vale anche se un
uomo non esiste.

La necessità di tale conseguenza non deriva pertanto dall'esistenza materiale della cosa,
perché essa è contingente, né dall'esistenza della cosa nella nostra anima, perché allora
sarebbe una finzione se non esistesse nella realtà; ma deriva da un modello che è nell'arte
eterna, in virtù della quale le cose hanno un ordine e un rapporto fra loro modellato sulla
rappresentazione di quell'arte eterna. Ogni intelligenza dunque che ragiona con verità, dice
Agostino nel De vera Religione (39, 72), è illuminata da quella verità eterna e ad essa si sforza
di pervenire. — Da ciò appare manifestamente che il nostro intelletto è unito alla stessa verità
eterna poiché non può cogliere con certezza nessuna verità se quella verità non gliela insegna.
Tu puoi dunque vedere, riflettendo su di te, questa verità che ti istruisce se le passioni e i
fantasmi sensibili non tè lo impediscono frapponendosi come nubi fra tè e il raggio della verità.

4. L'operazione della facoltà che porta alla scelta si esplica nella deliberazione, nel giudizio e
nel desiderio. — La deliberazione consiste nel ricercare che cosa sia meglio, se questo o
quest'altro. Ma il meglio non può essere definito tale se non in rapporto all'ottimo; ed il
rapporto consiste nella maggiore o minore somiglianza di esso rispetto all'ottimo; nessuno
dunque sa se una cosa è migliore di un'altra se non sa che essa è più simile all'ottimo. E
nessuno sa se essa è più simile a un'altra se non conosce quest'altra; infatti non posso sapere
se un tale è simile a Pietro se non so chi è o non conosco Pietro. Pertanto la nozione del
sommo bene è necessariamente impressa in chiunque debba deliberare.

Ma non si arriva a un giudizio certo sulle cose da deliberare se non in virtù di una legge. E
nessuno giudica con certezza secondo una legge se non è certo che quella legge è retta e che
egli non deve giudicare di essa. Ora la mente umana giudica se stessa ma non può giudicare la
legge per mezzo della quale essa giudica; perciò quella legge è superiore alla mente umana la
quale giudica mediante questa in quanto le è impressa. Ma niente è superiore alla mente
umana se non Colui che l'ha creata; pertanto l'attività deliberativa, se agisce in piena
consapevolezza, quando giudica attinge alle leggi divine.
Il desiderio ha per oggetto principale ciò che sommamente lo attira. E sommamente attira quel
che sommamente si ama; ma quel che sommamente si ama è la felicità; e la felicità non si
possiede se non nel fine ottimo e ultimo, perché il desiderio umano non tende se non al bene
sommo o a ciò che ad esso conduce o possiede una qualche immagine di quello.
Tanto grande è l'attrattiva del sommo bene che la creatura non può amare nulla se non per il
desiderio di esso. E si inganna ed erra quando prende l'immagine e il simulacro per
la vera realtà.

Vedi, dunque, come l'anima è vicina a Dio e la memoria, con le sue operazioni, conduce
all'eternità, l'intelligenza alla verità, la volontà alla somma bontà.

5. L'ordine, l'origine e i mutui rapporti di queste facoltà, ci conducono alla stessa beatissima
Trinità. — Infatti, dalla memoria nasce l'intelligenza come sua prole, perché noi abbiamo
intelligenza quando l'immagine che è nella memoria si riflette in quel vertice dell'intelletto e
diventa parola; dalla memoria e dall' intelligenza, poi, sgorga l'amore come loro nesso. Queste
tre facoltà, cioè: la mente generatrice, il verbo e l'amore,corrispondono nell'anima, alla
memoria, all'intelligenza e alla volontà e sono consustanziali, coeguali, contemporanee e
compenetrantesi a vicenda. Se, dunque, Dio è perfetto spirito, possiede memoria, intelligenza
e volontà, possiede anche il Verbo generato e l'Amore risultante, i quali sono necessariamente
distinti poiché uno è generato dall'altro e non essenzialmente o accidentalmente ma
personalmente.

Pertanto quando la mente considera se stessa, allora, come per mezzo di uno specchio, si
eleva verso la contemplazione della beata Trinità, del Padre, del Verbo e dell'Amore, delle
tre persone coeterne, coeguali e consustanziali, esistenti ciascuna nelle altre senza contendersi
con esse, ma essendo tutte e tre un solo Dio.

La contemplazione dell'unità divina nel suo primo nome che è l'essere[4][6]

1. Possiamo contemplare Dio non soltanto fuori e dentro di noi, ma anche sopra di noi; fuori di
noi attraverso l'orma che Egli ha lasciato nelle creature, dentro di noi attraverso
la Sua immagine impressa nella nostra anima, e sopra di noi attraverso il lume che è segnato
sulla nostra mente che è la luce della Verità eterna dalla quale « la nostra mente è
immediatamente informata» (Agostino, De div. quaest. lxxxiii, 51, 2-4). Coloro che si sono
esercitati nel primo grado sono già entrati nell'atrio che si trova davanti al tabernacolo; coloro
che si sono esercitati nel secondo grado sono entrati nel santo; coloro che sono passati per il
terzo grado entrano con il Sommo Sacerdote nel santo dei santi dove, sopra l’ arca si trovano i
Cherubini di gloria ad adombrare il propiziatorio; e questi Cherubini rappresentano i due modi
o gradi per mezzo dei quali noi possiamo contemplare le invisibili ed eterne perfezioni di Dio; il
primo riguarda gli attributi essenziali di Dio, l'altro le proprietà delle persone divine.

2. Il primo modo. anzitutto e principalmente, ci fa fissare lo sguardo nello stesso essere ed


affermare che il primo nome di Dio è: Colui che è. Il secondo modo ci fa fissare lo sguardo nel
bene in sé ed affermare che questo è il primo nome di Dio. Il primo si riferisce essenzialmente
al vecchio Testamento che proclama soprattutto l'unità dell'essenza divina per il fatto che fu
detto a Mosè: Io sono colui che sono (Esodo 3, 14). Il secondo modo di intendere si riferisce al
nuovo Testamento in cui si determina la pluralità delle persone divine nella formula del
battesimo che viene dato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo (Matt. 28,19).
Ecco perché il nostro maestro Cristo, volendo condurre alla perfezione evangelica il giovane
che aveva osservato la legge, attribuisce principalmente ed esclusivamente a Dio il nome di
buono. Nessuno, dice, è buono se non Dio solo (Luc. 18,19).
[...].

3. Chi desidera dunque contemplare le invisibili percezioni di Dio nell'unità della sua essenza,
rivolga anzitutto il suo sguardo verso l'essere e vedrà che esso è così certo che non può essere
pensato non esistente, perché lo stesso purissimo essere non si presenta se non mettendo
pienamente in fuga il non-essere — così come il nulla non è se non la piena fuga dell'essere —.
Come, dunque, il nulla assoluto non possiede niente dell'essere né delle sue proprietà, così e
inversamente, l'essere non possiede nulla del non essere, né in atto né in potenza, né secondo
verità, né secondo il nostro giudizio. Ora, poiché il non essere è la privazione dell'essere, il non
essere non può essere conosciuto dalla nostra intelligenza se non mediante l’essere; l'essere,
invece, non è concepito in rapporto ad altro poiché tutto ciò che è conosciuto o è conosciuto
come non ente o come ente in potenza, oppure come ente in atto. Se, dunque, il non-ente non
può essere concepito se non mediante l'ente e l'ente in potenza se non mediante l'ente in atto
e l'essere esprime il puro atto dell'ente, ne segue che l'essere è ciò che è primariamente
concepito e quell'essere è atto puro. Ma questo non è l'essere particolare perché quest'ultimo è
un essere limitato in quanto misto a potenza, né l'essere analogo perché non possiede attualità
in quanto non esiste neppure. Perciò il puro essere in atto non può essere che l'essere divino.

4. È una strana cecità quella del nostro intelletto il quale non riflette su quello che vede prima
di ogni altra cosa e senza il quale non può conoscere nulla. Ma, come l'occhio
intento ad osservare le varie differenze dei colori, non vede la luce grazie alla quale può vedere
il resto e, se la vede non se ne rende conto, così l'occhio della nostra mente intento ad
osservare gli enti particolari ed universali non avverte l'essere per eccellenza che è al di là di
ogni genere, benché esso gli si presenti per primo ed attraverso di esso conosca le altre cose.
Per cui appare proprio vero che « l'occhio della nostra mente si comporta nei confronti
delle realtà più evidenti della natura come l'occhio del pipistrello di fronte alla luce »
(Aristot., Metaf. Il, 1) perché, abituato alle tenebre degli esseri creati ed alle immagini delle
realtà sensibili, quando vede la luce dell'essere supremo gli sembra di non vedere nulla e non
capisce che questa stessa oscurità è la più grande illuminazione della nostra mente, come
accade all'occhio cui sembra di non vedere nulla quando vede la luce pura.

5. Considera, dunque, se puoi, l'essere purissimo e ti accorgerai che esso non può essere
pensato come derivato da altro e che perciò deve essere necessariamente pensato come
assolutamente primo, tale che non può venire ne dal nulla né da un altro. Cosa infatti potrebbe
considerarsi per sé se lo stesso essere non esiste per sé e non è da sé? —

Tale essere ti apparirà come assolutamente privo di non essere e quindi senza principio e
senza fine, cioè eterno. —
Ti apparirà come non avente in sé altro che lo stesso essere e quindi a nulla unito, cioè
semplicissimo. —

Ti apparirà come esente da ogni possibilità poiché ogni possibile in qualche modo ha in sé del
non essere e ti apparirà quindi come attualissimo. —
Ti apparirà privo di ogni possibile difetto e quindi come
perfettissimo. —

Ti apparirà, infine, esente da ogni possibile diversità e quindi sommamente uno.


Pertanto l'essere puro, semplice ed assoluto, è l'essere primario, eterno, semplicissimo,
attualissimo, perfettissimo e sommamente uno.

Note

3 Quaestiones disputatae. De mysterio Trinitatis, q. i, art. 1; Opera, V, pp. 45-50.

4 Itinerarium mentis in Deum, cap. iii, Opera, v, pp. 303-305.

5 Qui san Bonaventura si riferisce alle tre parti in cui era diviso il
« tabernacolo » di Mosè contenente l'arca dell'alleanza simboleggiata
dalle tavole della legge e di cui si parla in Esodo 26. Tali parti erano:

l'atrio, che per Bonaventura simboleggia il mondo sensibile; il santo,


che simboleggia l'anima umana; ed il santo dei santi, che simboleggia
la visione mistica di Dio

6 Itinerarium mentis in Deum, cap. v, nn. 1-5; Opera v, pp. 308-309.

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[1] 3 Quaestiones disputatae. De mysterio Trinitatis, q. i, art. 1; Opera, V, pp. 45-50.

[2][4] Itinerarium mentis in Deum, cap. iii, Opera, v, pp. 303-305.

[3][5] Qui san Bonaventura si riferisce alle tre parti in cui era diviso il
« tabernacolo » di Mosè contenente l'arca dell'alleanza simboleggiata
dalle tavole della legge e di cui si parla in Esodo 26. Tali parti erano:

l'atrio, che per Bonaventura simboleggia il mondo sensibile; il santo,


che simboleggia l'anima umana; ed il santo dei santi, che simboleggia
la visione mistica di Dio

[4][6] Itinerarium mentis in Deum, cap. v, nn. 1-5; Opera v, pp. 308-309.

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