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convivium

assisiense

5
Itinera Franciscana
P. Maranesi - L. Lehmann - C. Vaiani - E. Scognamiglio

un testo identitario
Metodo e temi di lettura
della Regola di Francesco d’Assisi

a cura di Andrea Czortek

Cittadella Editrice - Assisi


© Cittadella Editrice - Assisi
www.cittadellaeditrice.com
1a edizione: settembre 2013

ISBN 978-88-308-????-?

Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di
ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma
4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra Siae, Aie, Sns e
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18 dicembre 2000. Le riproduzioni per uso differente da quello personale potranno avve-
nire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata dall’editore.
Pietro Maranesi
Alla ricerca dell’“intentio Francisci”.
Approccio storico critico
della Regola Bollata

Ogni documento che viene dalla storia costituisce


per il lettore una sfida relazionale. Esso infatti offre solo
brandelli di una vicenda passata, che, però, può toccare
ancora la situazione esistenziale del lettore. Se poi il testo
costituisce la solidificazione di una vicenda umana che
riguarda esplicitamente e direttamente l’interlocutore,
l’impegno si fa più intenso e arduo. In questo caso, si può
davvero dire che il testo ha un forte “inter-esse”, cioè
“si pone tra” l’autore e il lettore, istaurando tra i due una
reale continuità. È il caso indubbiamente della Regola
bollata che Francesco ha lasciato ai suoi frati per dare
forma alla loro esperienza comunitaria vissuta nel nome
del Vangelo. Essa infatti è ancor oggi professata da molti
come testo di riferimento ideale per vivere l’esistenza
cristiana in relazione alla vicenda di Francesco e dei suoi
primi compagni.
La sfida relazionale offerta dal testo, però, chiede la
fatica della comprensione. Non si può infatti mai dimen-
ticare che quel documento non fu scritto per noi, ma per
i contemporanei a Francesco. Il testo per sua natura è
fondamentalmente sincronico, cioè non intende parlare
a noi ma a delle persone legate all’autore da una precisa
contemporaneità culturale e storica. Il prodotto testua-
le dunque parla di un contesto, in un contesto e ad un
12 Pietro Maranesi

contesto condiviso integralmente tra le parti, di cui esso


voleva diventare il legame e mediatore, cioè l’elemento
di “inter-esse”. A partire da questo primo livello, il testo
di fatto ha acquistato poi anche una valenza diacronica,
si è esteso cioè nel tempo, venendo ad interessare uomini
collocati in un contesto spazio-temporale molto diverso
da quello originale. Di fatto la Regola, lungo i secoli,
venne a porre in contatto, in relazione, vissuti non più
tra loro omogenei, ma distanti nel tempo e per cultura.
Cambiando la posizione tra le parti cambia l’interesse
del testo. Di conseguenza si modifica la modalità di in-
telligenza (intus-legere) del testo, in una fatica che deve
trovare ogni volta il metodo adeguato per fare emergere
l’interesse del suo contenuto. Insomma, oggi più che ieri
la lettura della Regola di Francesco ha bisogno di un ap-
proccio metodologico adeguato alla natura del testo.
Tenendo presente, dunque, la distinzione qui proposta
tra un “interesse sincronico” e “interesse diacronico”, si
può e si deve individuare l’affermarsi lungo la storia di
due diversi metodi “ermeneutici” di leggere la Regola,
motivati e causati da due diverse comprensioni della na-
tura di quel testo. Il primo proponeva un approccio “let-
terale” della Regola a causa della sua natura “rivelata”,
il secondo invece una lettura storico-critica, guardando
alla sua origine esclusivamente in chiave “storico-reda-
zionale”.
La prima metodica è stata di fatto quella proposta agli
inizi della vicenda francescana, quando cioè si era ancora
in un clima essenzialmente sincronico tra scrittore e let-
tore. La sostanziale contemporaneità culturale tra le parti
permetteva una stabilità e ovvietà interpretativa del testo,
assicurata e favorita dal presupposto di una sua origine
“rivelata” direttamente da Dio. Il prodotto finale di tale
lettura era l’individuazione sicura di “norme” (giuridiche)
fisse e certe per regolare l’esistenza.
Alla ricerca dell’“intentio Francisci” 13

Il secondo approccio, articolato sul metodo storico-cri-


tico, è invece quello avvertito oggi come assolutamente
necessario per superare la distanza temporale e culturale
del testo; tale analisi si appoggia su di una irrinunciabile
consapevolezza circa la natura del testo, il quale non
verrebbe dall’alto (rivelato), ma dal basso, cioè da un
processo redazionale nel quale sono stati coinvolti degli
uomini con il loro vissuto personale e relazionale. Le
scelte da essi fatte e fissate nella Regola non possono es-
sere comprese se non dopo aver ricostruito quel contesto,
produttore del testo; in tale processo di fatto l’interprete
deve innanzitutto diventare “contemporaneo” all’autore
per entrare in quella sincronicità vissuta dagli uomini di
quel tempo. Solo dopo aver fatto questo salto indietro,
egli può tornare al suo mondo, per ascoltare in forma
diacronica quale sia l’“interesse” di quella vicenda per la
propria situazione.
I due approcci costituiranno l’oggetto dei due momenti
del nostro tentativo di analisi. Innanzitutto vorremo ricor-
dare i criteri ermeneutici adottati dai frati agli inizi nella
loro lettura della Regola, accolta come testo “rivelato” da
Dio a Francesco e da osservare, dunque, alla lettera. Nel
secondo punto invece ci sposteremo nella nostra epoca
per mostrare quali conseguenze ermeneutiche si svilup-
pano dalla consapevolezza che il testo ha una natura e una
origine esclusivamente storica.

I.  L’approccio al testo degli inizi:


un testo rivelato

Il metodo di lettura applicato alla Regola indubbia-


mente dipende, come si è già affermato, dal giudizio
che si dà circa la sua natura testuale. Per lungo tempo
14 Pietro Maranesi

il presupposto con il quale si leggeva quel testo aveva


rappresentato una certezza condivisa sostanzialmente
da tutti: esso possedeva una natura rivelata. Questo giu-
dizio generale giustificava una lettura esclusivamente
giuridica, tesa a trovare e fissare una normativa precisa e
definitiva per regolare la vita dei frati. Tuttavia, un tale
approccio ermeneutico ha avuto bisogno, fin da subito, di
altri due “strumenti testuali” esterni alla Regola, necessari
per interpretarla e viverla. Nei due paragrafi che seguono
vorremo occuparci separatamente dei due aspetti, cioè
della natura rivelata della Regola e delle due serie di testi
necessari per “rendere possibile” l’utilizzo di quella for-
ma giuridica nella vita dei frati.

1. Un presupposto diversamente condiviso:


testo rivelato da Dio

I racconti sul processo formativo della Regola, presen-


ti nelle biografie dedicate a Francesco nei primi decenni
della storia minoritica, sono caratterizzati da un dato di
fatto molto particolare e diremmo anche strano: su questa
vicenda essi offrono pochissime e insicure informazioni.
La costatazione certamente più sorprendente viene dalla
lettura della Vita prima di fra Tommaso da Celano, testo
ufficiale richiesto dal papa Gregorio IX per onorare la
memoria del Santo. Non a caso l’opera del Celano si
colloca cronologicamente tra la canonizzazione di Fran-
cesco nel 1228 e la traslazione del suo corpo nella basilica
papale, avvenuta due anni dopo. Tuttavia, nonostante la
sua ufficialità, nel racconto di Tommaso regna un silenzio
totale sulla Regola e la sua origine.
La fonte in cui emergono per la prima volta alcune
indicazioni, seppure vaghe, sul testo giuridico dei frati
minori è offerta dalla Leggenda dei tre compagni, uno
Alla ricerca dell’“intentio Francisci” 15

scritto anonimo prodotto tra il 1241 e il 1246, verosimil-


mente da un frate di Assisi1. Trattando la questione della
proibizione ai frati dell’utilizzo del denaro, il racconto
biografico inserisce la seguente notizia:
Disprezzò tutte le cose transitorie e soprattutto il denaro, tanto
che in tutte le sue regole raccomandava soprattutto la povertà e
sollecitava tutti i frati ad evitare il denaro2.

Subito dopo, quasi si fosse accorto di aver dato un’in-


formazione non solo troppo generale ma anche ancora
sconosciuta e assente nella sua biografia, l’autore aggiun-
ge: «Egli infatti scrisse più Regole e le sperimentò prima
di comporre quella definitiva, che lasciò ai fratelli»3. Le
interessanti notizie restano però troppo vaghe.
Il primo racconto in cui sono offerte delle informazio-
ni più dettagliate sulla scrittura della Regola è contenuto
nella Compilazione di Assisi, importante e problematica
raccolta di testi vari su Francesco, tra i quali alcuni le-
gati alle memorie dei primi compagni4. L’episodio, che
appartiene sicuramente ai «brani cosiddetti “leonini”»5,
contiene tre interessanti notizie. La prima costituisce
l’inquadramento generale della vicenda, stabilendo gli
antefatti e la collocazione del luogo in cui avvenne l’epi-
sodio legato alla Regola:
Dimorava il beato Francesco sopra un monte assieme a frate
Leone di Assisi e Bonizo da Bologna per comporre la Regola,

1
Molta è la bibliografia su questo testo. Rinviamo soltanto al breve ma
interessante lavoro di F. Accrocca, La leggenda trium sociorum: una peculiare
attenzione all’umanità di Francesco, in Frate Francesco 71 (2005), 543-574.
2
3Comp 35: FF 1438.
3
Ivi: FF 1439.
4
Cf. CAss 17: FF 1563. Per rinvii bibliografici su questa complessa raccolta
di memorie cf. F. Accrocca, La Compilatio Assisiensis, ovvero la voce dei com-
pagni, in Frate Francesco 75 (2009), 485-519.
5
Su questi testi vedere il paragrafo “I brani leonini” ivi, 494-499.
16 Pietro Maranesi

giacché era stata perduta la prima, che egli fece scrivere, amma-
estrato da Cristo6.

Oscura e imprecisa resta la notizia fornita dal testo


dello smarrimento di una Regola precedente, evento che
di fatto rese necessaria la sua riscrittura, compiuta da
Francesco durante un periodo di solitudine e preghiera su
di un monte (che, secondo la ripresa di questi fatti da par-
te di Angelo Clareno, sappiamo essere Fonte Colombo)7.
L’obbiettivo indiretto del racconto è chiaro: sottolineare
il ruolo unico ed esclusivo di Francesco nella scrittura
del testo, situazione parallela a quella di Mosè sul monte
Oreb. La seconda notizia, oltre a confermare il legame
con l’evento biblico della consegna della Legge fatta
da Dio a Mosè, costituisce il vero interesse del racconto
biografico. La scrittura-rivelazione della Regola avvenne
dentro un duro clima polemico nel quale, di fatto, si ripe-
teva l’opposizione del popolo ebraico alla prima stesura
delle tavole8. Per impedire la promulgazione di quel testo,
probabilmente troppo rigoroso, i ministri, attraverso il
vicario Elia, fanno sapere a Francesco che «non vogliono

6
CAss 17: FF 1563.
7
Nel suo Libro delle tribolazioni, datato intorno al 1325-1330, Angelo Clare-
no offre un lungo e articolato racconto della storia della Regola dove, in un clima
narrativo fortemente polemico espresso nella contrapposizione netta tra France-
sco e i suoi frati contrari alla scrittura della Regola, sono riportate alcune notizie
assenti nelle altre fonti. Tra queste appunto è indicato il luogo della compilazione
e anche si parla di un furto della Regola da parte dei frati e non genericamente di
uno smarrimento: «Mentre questo Mosè è in comunione con Dio, frate Elia con
dei suoi seguaci e alcuni ministri si agitano e fremono; dato che non ardiscono
contrariarlo apertamente, sottraggono furtivamente, o di nascosto, la Regola
al sant’uomo di Dio frate Leone, che la custodiva per affidamento del Santo e
la nascondono, pensando così di impedire il santo proposito di san Francesco:
presentare al sommo pontefice la Regola, scritta secondo la parola rivelatagli da
Cristo dal cielo, per ottenere l’approvazione» (FF 2179).
8
In questa forte natura polemica del racconto Felice Accrocca intravvede un
indizio sicuro della sua origine leonina (cf. Accrocca, La Compilatio Assisiensis,
494-495).
Alla ricerca dell’“intentio Francisci” 17

sentirsi obbligati ad essa e che tu la faccia per te e non per


loro»9. La terza fondamentale notizia dell’origine della
Regola è la sua natura rivelata, aspetto risolutivo per in-
terpretare e giudicare la polemica tra i frati e Francesco.
«La voce di Cristo», udita «nell’aria» dai ministri andati
da Francesco insieme ad Elia, fu chiara e risolutiva:
Francesco, nulla vi è di tuo nella Regola, ma tutto quello che
vi è in essa è mio. E voglio che sia osservato alla lettera, alla
lettera, alla lettera! Senza commenti, senza commenti, senza
commenti!10

La Regola non è di Francesco ma di Cristo, e allora


ogni opposizione da parte dei frati era inaccettabile, e
quel testo doveva essere osservato alla lettera e senza
commenti.
È possibile avere una corretta valutazione storica
di questo racconto della Compilazione solo se si tiene
presente la situazione polemica che si stava sviluppando
all’interno dell’Ordine negli anni in cui nascono quei
testi. Il contesto è abbastanza conosciuto. Sappiamo in-
fatti che una serie di memorie su Francesco, prodotte dai
tre compagni di Francesco, Leone, Ruffino e Angelo, fu
inviata verso il 1246 al ministro generale Crescenzio da
Jesi in risposta alla richiesta fatta dal capitolo generale
del 1244 di raccogliere la memoria di Francesco. Tutti i
racconti sarebbero stati passati poi a Tommaso da Celano
per la scrittura di una nuova Vita ufficiale sul Santo. Il
contesto polemico dominante non solo in quel racconto
sulla composizione della Regola, ma anche in molti al-
tri testi leonini presenti in quella raccolta, testimonia il
disaccordo che alcuni settori dell’Ordine vivevano nei
confronti delle novità concesse soprattutto in materia di

9
CAss 17: FF 1563.
10
Ivi.
18 Pietro Maranesi

povertà dalla bolla Ordinem vestrum, inviata nel 1245


dal papa Innocenzo IV in risposta ai dubbi dei frati sulla
lettura della Regola11. Contro alcune novità interpretative
apportate dal testo pontificio, le memorie dei compagni
non solo proclamavano l’intangibilità della Regola per
la sua natura rivelata, ma anche condannavano l’atteg-
giamento dell’Ordine che di fatto ricalcava quanto ave-
vano già fatto i ministri nella loro opposizione al testo di
Francesco. Quello che stava avvenendo vent’anni dopo la
morte di Francesco costituiva un tradimento della volontà
di Francesco e una disubbidienza da parte dei ministri alla
voce divina di Cristo.
Di tutto questo materiale narrativo trasmesso dalla
Compilazione per raccontare la consegna della Regola
non c’è traccia nella Vita seconda scritta da Tommaso da
Celano. L’autore, incaricato dal capitolo di scrivere una
seconda vita, non impiegò quei racconti. Tuttavia non
volle lasciare sotto silenzio, come aveva fatto nella prima
opera, l’evento. L’unico episodio dedicato da Tommaso
alla scrittura della Regola riporta non solo informazioni
nuove rispetto alla Compilazione ma anche un diverso
clima generale tra Francesco e i suoi frati.
La prima notizia, quella collegata al contesto generale
dell’evento, rinvia ad una storia redazionale che stava
coinvolgendo tutti i frati nell’elaborazione del testo:
Al tempo in cui i frati tenevano adunanze per discutere la confer-
ma della Regola, il Santo, che era molto preoccupato della cosa,
fece questo sogno12.

A questa allusione ad un possibile lavoro corale tra i


frati nella preparazione del testo, in vista della sua appro-

11
Cf. G. G. Merlo, Nel nome di san Francesco. Storia dei frati minori e del
francescanesimo fino agli inizi del XVI secolo, Milano 2003, 170-171.
12
2Cel 209: FF 799.
Alla ricerca dell’“intentio Francisci” 19

vazione – un’operazione nella quale anche Francesco era


fortemente impegnato13 – il biografo fa seguire il raccon-
to di una visione avuta da Francesco, in cui egli veniva
incoraggiato nel lavoro intrapreso. Durante la notte, nel
sogno, gli sembrava di «aver raccolto da terra sottilissime
briciole di pane e di doverle distribuire a molti frati»14;
e subito dopo una voce celeste gli comanda: «France-
sco, con tutte le briciole forma una sola ostia e dalla da
mangiare a chi vuole». La mattina, dopo aver narrato il
sogno ai suoi frati, egli, durante la preghiera, ricevette
il significato della visione notturna mediante una nuova
voce celeste: «Francesco le briciole sono le parole del
vangelo, l’ostia la regola, la lebbra l’iniquità». Difficile
interpretare questa serie di notizie fornite da Tommaso.
In ogni caso, nel testo celanense è eliminata ogni notizia
del clima polemico e di opposizione tra i frati e Francesco
dominante invece il testo della Compilazione. È chiaro
che la nuova biografia ufficiale su Francesco non poteva
utilizzare materiale narrativo che ponesse in disaccordo
o conflitto i ministri e Francesco.
Nonostante questa esigenza di ufficialità, che finiva
per guidare la penna di Tommaso, l’autore chiude il suo
episodio con un testo “strano”, nel quale si avverte in-
dubbiamente una forma non celata di rimprovero ai suoi
frati:
Per quanto riguarda la fedeltà che avevano giurata, i frati di quel
tempo non la ritenevano dura o gravosa, ma erano prontissimi
a fare in tutto più del dovere. Del resto, è chiaro che non vi può
essere tiepidezza o pigrizia dove lo stimolo dell’amore sprona
sempre più in alto15.

13
Il testo latino afferma «de huiusmodi negotio vehementer sollicito» (Fontes
franciscani, 209, 624).
14
2Cel 209: FF 799.
15
Ivi.
20 Pietro Maranesi

Alla lettura del testo l’impressione è netta: sotto le lodi


de «i frati di quel tempo», ossia del tempo di Francesco,
vi era un indiretto ma chiaro richiamo da parte di Tom-
maso “ai frati del suo tempo”, ai quali rimproverava la
mancanza di amore per la Regola, ritenuta forse da loro,
contrariamente a quelli del tempo di Francesco, «dura e
gravosa». Mentre per la Compilazione l’opposizione alla
Regola da parte dei ministri era già in atto all’inizio, per
Tommaso, al contrario, i primi frati avevano vissuto un
così grande amore per la Regola da essere un richiamo o
forse un rimprovero ai frati delle generazioni successive.
In fondo si può dire che anche nel Celano, in forma meno
diretta e polemica, si avverte una tensione e un giudizio
nei confronti dei suoi confratelli, rimproverati in qualche
modo di “tiepidezza e pigrizia”, conseguenze dirette del
poco amore per la Regola.
L’ultimo livello narrativo su questo evento è offerto
dalla Leggenda maggiore di Bonaventura il quale, come
fanno le altre due precedenti fonti biografiche, dedica
alla storia formativa della Regola un unico numero16.
Al contrario, alla narrazione dell’evento delle stimmate
è dedicato l’intero capitolo XIII. La diversa ampiezza
testuale concessa ai due episodi permette di misurare il
differente valore attribuito da Bonaventura ad essi per
l’autocoscienza dell’Ordine.
Il testo redatto dal Santo biografo è il risultato di un
articolato lavoro in cui egli da una parte riunisce le due
tradizioni precedenti, la Compilazione e la Vita seconda
di Celano, e dall’altra si preoccupa di aggiungere ulteriori
informazioni storiche, con le quali creare tre stadi reda-
zionali della scrittura della Regola.

16
Cf. LegM, IV 11: FF 1082-1085.
Alla ricerca dell’“intentio Francisci” 21

Il racconto è aperto da una notizia generale di estremo


interesse:
Ormai l’Ordine si era molto esteso e perciò Francesco si propone-
va di far confermare in perpetuo da papa Onorio la forma di vita
già approvata dal suo predecessore, papa Innocenzo17.

Si trattava dunque di stendere un testo che sostituisse


quello breve presentato nel 1209 a Innocenzo III. La
grandezza dell’Ordine richiedeva la stesura di una Regola
ben più ampia e finalmente approvata dalla Chiesa.
Il primo passaggio narrativo nel ricostruire questo pro-
cesso è assunto dalla tradizione del Celano, raccontando
dell’intervento di Dio nel confermare Francesco sulla
bontà e necessità di una Regola. L’episodio della visione
notturna delle briciole e dell’ostia è praticamente ripreso
quasi alla lettera dalla Vita seconda di Tommaso18.
Il lavoro di scrittura, che si sviluppa a partire da questo
incoraggiamento divino, ha dei caratteri evidentemente
redazionali:
Seguendo le indicazioni avute in visione, volle, prima di farla
approvare, ridurre a forma più compendiosa la Regola, che aveva
steso con lunghe e abbondanti citazioni del Vangelo19.

L’informazione offerta qui dal biografo sembrerebbe


rinviare al passaggio che effettivamente è avvenuto tra
la Regola non bollata, composta di ben 24 capitoli, e la
Regola bollata abbreviata a soli 12 capitoli. Se tale fosse
la notizia nascosta sotto le parole di Bonaventura, essa
lascerebbe pensare che il passaggio dall’una all’altra re-
dazione avvenne per una questione di ampiezza del testo

17
Ivi: FF 1082.
18
Cf. Ivi: FF 1082.
19
Ivi: FF 1083.
22 Pietro Maranesi

e non, come vedremo, per problemi di giudizio sulla sua


validità.
Nella seconda parte della narrazione il Santo biografo
impiega la tradizione della Compilazione riguardo alla
scelta di Francesco di rifugiarsi su di un monte per la
stesura del testo:
Perciò, guidato dallo Spirito santo, salì su un monte con due com-
pagni e là, digiunando a pane e acqua, dettò la Regola, secondo
quanto gli suggeriva lo Spirito divino durante la preghiera20.

Tra questo e il precedente episodio si avverte con


nettezza una sorta di rottura narrativa. L’autore non si
accorge infatti dell’incongruenza tra le due notizie: pri-
ma aveva parlato di un processo redazionale di semplice
abbreviamento di un testo già composto, poi aggiunge la
decisione presa da Francesco di andare da solo sul monte
per la scrittura del testo.
Nella costruzione dell’episodio sul monte, Bonaventu-
ra rimane sostanzialmente fedele alla trama degli eventi
narrati dalla Compilazione, ripetendo anche la doppia
scrittura del testo: lo smarrimento della Regola, conse-
gnata al vicario dopo che era disceso dal monte, obbli-
gherà Francesco a tornare nella solitudine dove «subito la
rifece in tutto uguale alla precedente, come se ricevesse le
parole dalla bocca di Dio»21. La ripesa del materiale pre-
cedente non impedisce tuttavia all’autore della Leggenda
maggiore di operare due significativi interventi redazio-
nali. Innanzitutto vi è la preoccupazione di precisare la
natura fortuita dello smarrimento del primo testo, avve-
nuta, contrariamente a quanto affermerà invece cent’anni
dopo Angelo Clareno22, “per trascuratezza” (“incuria”)

20
Ivi: FF 1084.
21
Ivi.
22
Cf. nota 7.
Alla ricerca dell’“intentio Francisci” 23

del vicario23. La precisazione del Santo biografo prepa-


ra direttamente il secondo elemento narrativo in cui si
distacca dalla fonte della Compilazione; a differenza di
quanto era detto in quel racconto, infatti, per Bonaventu-
ra, non vi era stata nessuna opposizione da parte dei frati
nel ricevere la Regola composta da Francesco.
La conclusione offerta dalla Leggenda maggiore costi-
tuisce il punto di arrivo sintetico dell’obbiettivo narrativo
perseguito da Bonaventura nell’intera pericope:
Per stimolare i frati a osservare con fervore, diceva che lui non
ci aveva messo niente di propria iniziativa, ma tutto aveva fatto
scrivere così come gli era stato rivelato da Dio24.

Pur in continuità con quanto si leggeva nella Compi-


lazione assisiense, questo testo di chiusura perde alcuni
elementi costitutivi di quella fonte. Mentre in essa le
parole erano messe in bocca a Cristo per rimproverare
aspramente i frati contrari al testo della Regola, nel-
la Leggenda bonaventuriana non solo esse non hanno
un’origine divina, essendo parole esortative rivolte da
Francesco ai suoi frati, ma anche sono prive di ogni ac-
cento polemico. Le intenzioni che muovono il ministro
generale dell’Ordine nella sua rielaborazione sembrereb-
bero essere chiare. Se infatti per le memorie dei compagni
la collocazione della “rivelazione” della Regola dentro un
clima fortemente polemico doveva giustificare la loro op-
posizione al processo evolutivo dell’Ordine, rimproverato
di sviluppare una pericolosa e indebita interpretazione del
dettato giuridico, per Bonaventura invece la natura sacra
del testo costituiva solo il motivo obbligante rivolto ai
frati di una “osservanza fervorosa” della Regola, ma non
l’impedimento tassativo di non fare commenti al testo.

23
LegM, IV 11: FF 11084.
24
Ivi.
24 Pietro Maranesi

Un tale divieto Francesco non l’aveva mai affermato. Per


Bonaventura la Regola, proprio per la sua natura sacra,
non doveva trasformarsi in motivo di contesa, ma doveva
restare strumento di unione e di pace tra i frati, come lo
era stato fin dall’inizio.
Ma perché il testo divenisse fonte di unità e concordia
occorreva che si aggiungessero ad esso altri due testi:
le interpretazioni ufficiali inviate dalla Sede apostolica
all’Ordine e le Costituzioni generali prodotte dall’Ordine
per integrare la Regola stessa.

2. Il metodo giuridico nella lettura del testo: bipolarità


del testo

La natura rivelata della Regola, affermazione da tutti


condivisa e proclamata, ha condotto di fatto i frati a due
diverse soluzioni nell’approccio ermeneutico. La prima
lettura è quella letterale rappresentata dalla tradizione
della Compilazione. Tale metodo può essere visto come
la diretta applicazione di quanto lo stesso Francesco ave-
va stabilito alla fine del Testamento, dove, alludendo ad
un’origine “divina” della Regola, chiedeva ai suoi frati
per obbedienza un modo specifico di lettura:
E a tutti i miei frati, chierici e laici, coman­do fermamente, per
obbedienza, che non inseriscano spiegazioni nella Regola e in
queste parole dicendo: «Così si devono intendere»; ma, come il
Signore mi ha dato di dire e di scrivere con semplicità e purezza
la Regola e queste parole, così cercate di comprenderle con sem-
plicità e senza commento e di osservarle con sante opere sino
alla fine25.

25
Test 38-39: FF 130.
Alla ricerca dell’“intentio Francisci” 25

Origine semplice da Dio e interpretazione semplice dei


frati, senza glossa e senza commento, erano per il Santo
tra loro strettamente legate26.
L’altra tradizione è quella rappresentata dalla visione
ufficiale dell’Ordine. L’origine “divina” del testo, nel
quale Francesco non aveva posto nulla di proprio se-
guendo unicamente la rivelazione di Dio, rappresentava
il motivo per richiedere ai frati il “fervore” nella sua
osservanza. Tuttavia ciò non impediva una certa forma
di interpretazione, perché una pura osservanza letterale
forse non era possibile. Questa tradizione, che potremmo
chiamare “bonaventuriana”, ha di fatto adottato un dop-
pio livello di lettura, dove il secondo era completamento
del primo.
Innanzitutto, per rispettare l’intangibilità del testo e il
divieto di una lettura formalmente interpretativa, l’Ordine
fin dagli inizi aveva trovato la soluzione in un approccio
di tipo strettamente giuridico. Il dettato della Regola
fu sezionato in base a gradi diversi di obbligatorietà
giuridica secondo le diverse richieste in essa contenute,
distinguendo così tra precetti moralmente obbliganti sotto
peccato mortale e consigli esortati ai frati senza però va-
lore obbligante. Un caso emblematico di un’applicazione
sistematica di tale approccio è stato il Tractatus de prae-
ceptis del ministro generale Consalvo di Balboa27. La rie-
laborazione giuridica della Regola effettuata dal Generale
fu composta in occasione della bolla Exivi de paradiso
del 1312 (quarto testo ufficiale interpretativo della Rego-
la inviato dalla Sede apostolica ai frati minori) e ad essa

26
Cf. P. Maranesi, L’eredità di Frate Francesco. Lettura storico-critica del
Testamento, Assisi 2009, 315-319.
27
Su tutto questo cf. P. Maranesi, Nescientes litteras. L’ammonizione della
Regola francescana e la questione degli studi nell’Ordine (sec. XIII-XVI), Roma
2000, 187-189.
26 Pietro Maranesi

allegata come testo da leggere pubblicamente insieme alla


bolla; la proposta di Consalvo di fatto diventerà il metodo
“normale” nell’affrontare la spiegazione della Regola.
Nell’elaborazione del Tractatus vennero individuati sei
tipi di richieste giuridiche secondo il loro diverso valore
obbligante28: innanzitutto vi erano otto precetti formali
che obbligavano (precepta) ad una stretta osservanza, poi
dodici precetti non formali, ma anch’essi obbliganti (pra-
eceptis equipollentia), inoltre sette che erano introdotti
dall’espressione «teneantur» e avevano forza di precetto,
ancora dodici «admonitiones» che esortavano i frati a fare
il bene, ma non erano precetti, sei «admonitiones» che
aiutavano a fuggire il male, e infine sei, chiamate «libe-
rales», senza particolare valore di osservanza. In tal modo
veniva offerta ai frati una riordinazione della Regola che
avrebbe permesso loro una più facile memorizzazione del
testo e dunque una più efficace osservanza.
Il secondo intervento ermeneutico può essere compreso
come un doppio completamento necessario al precedente
approccio. Sebbene letta in forma strettamente giuridica
e senza commenti, la Regola presentava una doppia serie
di insufficienze. Il primo genere di questioni inerenti alla
sua lettura riguardava i dubbi (dubia) interpretativi conte-
nuti nel testo normativo. La natura rivelata non eliminava
la presenza di una serie di perplessità nella comprensione
del senso di alcuni passi. Per risolvere queste domande vi
era un’unica possibilità: rivolgersi alla Sede apostolica.
Il susseguirsi di quattro importanti bolle esplicative della

28
Le intenzioni programmatiche dell’approccio sono esposte nel prologo del
lavoro: «Regula nostra fratres charissimi non videatur vobis confusa, pro eo quod
precepta et consilia et ea que sunt in ea hinc inde sunt dispersa. Ideo non abbre-
viando regulam hanc sed mutando de loco ad locum illam, precepta ad precepta et
consilia ad consilia et sic de aliis, totam ipsam regulam ad faciliorem memoriam
habendam ad certa puncta quamvis difficiliter utiliter tamen (ut estimo) vobis
redditurus» (Tractatus de praeceptis, 194).
Alla ricerca dell’“intentio Francisci” 27

Regola nell’arco di meno di novanta anni (Quo elongati


di Gregorio IX del 1230, Ordinem vestrum di Innocenzo
IV del 1245, Exiti qui seminat, di Nicolò III del 1279 e
infine Exivi de paradiso di Clemente V del 1312), indi-
ca con chiarezza quanto difficili e forse insormontabili
fossero le difficoltà connesse alla comprensione del testo
“sacro” per la vita dei frati. Nell’autocoscienza dell’Ordi-
ne le bolle pontificie divennero ben presto parti integranti
della stessa lettura del Regola.
A questo primo genere di problemi nella lettura del
testo si legava un secondo aspetto, connesso alla sua
progressiva incapacità della Regola di poter “normaliz-
zare” un Ordine ben più grande e complesso di quello a
cui di fatto si era rivolta all’inizio con le sue decisioni di
vita. Aspetti nuovi, non previsti dal testo di Francesco, si
aggiungevano di continuo alla vita dell’Ordine, novità ed
esigenze a cui il testo normativo non poteva rispondere.
Come poter ovviare a questi enormi “buchi” legislativi?
Nel 1239, nel famoso capitolo di Roma in cui frate Elia
venne dimesso da generale e venne eletto il maestro di
Parigi Alberto da Pisa, si evidenziò la necessità di redige-
re delle Costituzioni, cioè delle norme scelte ed emanate
dal Capitolo generale dell’Ordine per rispondere ai vari
aspetti della vita dei frati; ed ad esse tutti erano chiamati
ad obbedire al pari della Regola. Non è facile seguire la
storia redazionale dei testi che si susseguirono dalla prima
stesura del 1239 fino a quella presentata e approvata nel
capitolo di Narbona del 1260, frutto dell’elaborazione
effettuata dal giovane ministro generale Bonaventura da
Bagnoregio, eletto nel Capitolo tre anni prima29. È molto
probabile che fin dalle prime stesure i frati avessero sol-

29
Cf., per una ricostruzione di questo primo periodo di produzione delle
costituzioni, P. Maranesi, Le costituzioni minoritiche: una identità in cammino,
in Italia francescana 84 (2009), 232-247.
28 Pietro Maranesi

levato serie perplessità sulla legittimità e sul bisogno di


norme emanate dai frati da affiancare alla Regola. Tale
operazione non rappresentava forse il riconoscimento che
il testo normativo fosse da solo insufficiente per la vita
dei frati? Che queste domande serpeggiassero ancora al
tempo di Bonaventura lo mostra, a mio avviso, il conte-
nuto del prologo scritto da quest’ultimo in apertura delle
sue Costituzioni.
Poiché, come dice il Sapiente, dove non c’è siepe, la proprietà
viene saccheggiata, per custodire illeso il prezioso possesso del
regno dei cieli, dove si entra attraverso lo spirito di povertà, è ne-
cessario circondarlo con la siepe della disciplina. Le osservanze
regolari, infatti, non costituiscono affatto un inutile criterio di
comportamento, non solo per il fatto che favoriscono la con-
cordia, il decoro e la custodia della vita spirituale, ma, soprat-
tutto, come avviene il più delle volte, in quanto si mantengono
nell’alveo della sostanziale perfezione e purezza della Regola
professata30.

La risposta offerta da Bonaventura per giustificare non


solo il bisogno delle Costituzioni, ma anche la loro com-
patibilità con la Regola, è precisa e risolutiva: osservare
con attenzione e fedeltà le norme delle Costituzioni (“os-
servanza regolare”) significava per i frati essere sicuri di
restare «nell’alveo della sostanziale perfezione e purezza
della Regola professata»31. L’intangibilità della Regola
non era infranta dalle Costituzioni, perché esse non erano
niente altro che l’articolazione di quel testo: l’osservanza
fedele delle norme approvate dal Capitolo significava
osservare la sostanza Regola.
Se da una parte i “dubia” interpretativi della Regola e
i suoi limiti giuridici per la vita dei frati non eliminavano

Costituzioni generali dell’Ordine dei Frati Minori, Prol. 1, in: San Bo-
30

naventura, Opuscoli francescani/1, Roma 1993 (Sancti Bonaventurae Opera,


XIV/1), 127.
31
Cf. quanto osservo in Le costituzioni minoritiche, 242-243.
Alla ricerca dell’“intentio Francisci” 29

o non contraddicevano la sua natura “rivelata”, dall’altra


essi avevano reso necessario l’introduzione di due nuove
serie di testi da affiancare al testo normativo fondamenta-
le. Tuttavia le bolle pontificie e le Costituzioni dell’Ordi-
ne non ponevano in discussione la natura “sacra” e “rive-
lata” del testo; esse erano solo a servizio della Regola per
esplicitarne e garantirne l’intangibilità e la fissità.

II.  La consapevolezza odierna:


un testo redatto

L’approccio oggi impiegato nella lettura della Rego-


la è stato fondamentalmente rinnovato da una precisa
consapevolezza: quella relativa alla sua natura “redazio-
nale”. Esso, cioè, è il risultato di un processo evolutivo,
frutto di un complesso confronto e scontro tra modalità
diverse di pensare e di realizzare in concreto l’identi-
tà del gruppo dei frati minori. La comprensione della
Regola dunque non può essere ridotta ad una semplice
lettura giuridica, ma deve affrontare la fatica di ricollo-
care il testo dentro il suo contesto storico. In pratica, la
ricostruzione del processo storico che ha condotto alla
Regola bollata obbliga di fatto a riformulare la domanda
ermeneutica di fondo: non più o non soltanto quale sia
il suo contenuto specifico, ma innanzitutto e soprattutto
quale siano state le intenzioni che hanno dato vita a quei
contenuti.

1.  I dati storici di un processo redazionale

Che la Regola non sia un prodotto ricevuto da Fran-


cesco direttamente da Dio a Fonte Colombo, è attestato
30 Pietro Maranesi

da chiari indizi storici32. La breve ricostruzione che si


tenterà di questo processo obbligherà, in seconda battuta,
a porre una domanda apparentemente tanto strana quanto
importante: chi è l’autore del testo.

a) La questione storica del passaggio dalla Rnb alla Rb

Come si è già rilevato, le biografie non ci forniscono


informazioni precise sui motivi che spinsero Francesco a
scrivere la prima Regola del 1221. L’unica informazione,
molto vaga, viene – come si è detto – da Bonaventura, che
lega la stesura della prima Regola alla situazione di un
Ordine oramai “molto esteso”, ma che non aveva ancora
un testo normativo approvato dalla sede apostolica.
Notizie più articolate e precise invece vengono dalla
Cronaca scritta verso il 1262 dal frate minore Giordano
da Giano per narrare gli inizi dell’Ordine in Germania33.
Il Capitolo del 1221, quello in cui venne presentato anche
il testo della Regola non bollata, costituisce in qualche
modo il punto di partenza della narrazione di Giordano.
In esso infatti Francesco invitò i suoi frati a riorganizzare
una seconda spedizione per impiantare l’Ordine in Ger-
mania dopo il fallimento del precedente tentativo, tre anni
prima. Per raccontare quell’evento, però, il cronista sente
il bisogno di riprendere gli antefatti, ricordi che gettano
una preziosa luce sulle tensioni interne alla fraternità,

32
Molto si è scritto su questo. Qui vorrei solo riassumere i risultati principali
della ricerca. Per studi più articolati rinvio alla presentazione di F. Accrocca,
Un cantiere aperto. «Travagli redazionali delle Regole “di” Francesco», in La
Regola di frate Francesco. Eredità e sfida, a cura di P. Maranesi e F. Accrocca,
Padova 2012, 20-56, e anche P. Maranesi, Francesco d’Assisi e i frati minori.
Nascita ed espansione di un’esperienza religiosa, Assisi 2012, 64-82.
33
Ampi stralci di quel resoconto storico è pubblicato in FF 2320-2412, la
parte per noi interessante si trova nei nn. 8-16: in FF 2330-2341.
Alla ricerca dell’“intentio Francisci” 31

connessi poi alla stesura della Regola non bollata. I fatti


sono relativamente semplici. Nel 1219 Francesco aveva
voluto realizzare il suo sogno di andare in Terra Santa34.
Durante la sua assenza alcuni frati assunsero delle deci-
sioni che in qualche modo toccavano e trasformavano ele-
menti costitutivi dell’identità del gruppo35. Un frate laico,
senza chiedere permesso al vicario che Francesco aveva
lasciato a presiedere alla fraternità in sua assenza, decise
di recarsi dal Santo per richiamarlo in Italia. I problemi
emersi durante il breve periodo di lontananza di France-
sco evidenziavano una importante necessità: un testo che
facesse superare le diverse interpretazioni nei confronti
di uno stile di vita ancora privo di una Regola normativa
uguale per tutti, e soprattutto definitiva.
Nel suo racconto frate Giordano, in particolare, rife-
risce di una importante decisione assunta da Francesco
appena tornato in Italia. Invece di affrontare subito i pro-
blemi, sceglie di recarsi immediatamente dal papa Onorio
con una richiesta specifica per un motivo molto preciso:
Tu mi hai dato molti papa (protettori). Dammene uno solo al
quale, quando ho necessità, possa parlare e che in vece tua ascolti
e risolva in problemi miei e del mio Ordine36.

All’offerta del papa di scegliere lui stesso un protetto-


re, Francesco chiede e ottiene Ugolino cardinale di Ostia,
famoso canonista e presenza importante nella curia roma-
na. Inizia il rapporto giuridico e di amicizia tra Francesco
e il Cardinale. Con l’entrata in scena del Cardinale il rac-
conto di Giordano diventa estremamente interessante per
il nostro intento:

34
Cronaca 10: FF 2332.
35
Ivi 11: FF 2333.
36
Ivi 14: FF 2337.
32 Pietro Maranesi

Avendo dunque il beato Francesco riferito al Signore di Ostia,


suo papa, le cause del suo turbamento, egli immediatamente
revocò la lettera a frate Filippo, e frate Giovanni con i suoi fu
vergognosamente espulso dalla Curia. E così, con il favore di
Dio, i turbolenti furono subito calmati e il beato Francesco ri-
strutturò l’Ordine secondo i suoi ordinamenti. Vedendo poi che
frate Cesario era esperto in Sacra Scrittura, affidò a lui il compito
di ornare con parole del Vangelo la Regola che egli stesso aveva
concepito con semplici parole. [...] Il beato Francesco poi, senza
indugio, indisse a Santa Maria della Porziuncola il capitolo gene-
rale. Pertanto nell’anno del Signore 1221, il 23 maggio, indizione
XIV, nel santo giorno della Pentecoste il beato Francesco celebrò
il capitolo generale a Santa Maria della Porziuncola37.

Le informazioni offerte dal cronista sono di assoluto


interesse. La prima riguarda il ruolo strategico del cardi-
nale Ugolino. Dal racconto di Giordano si può supporre
che l’esperto canonista avrà fatto notare a Francesco l’ur-
genza per il suo Ordine di un testo normativo che fosse
unico per tutto il gruppo e approvato dalla Chiesa. Biso-
gnava stendere una Regola che rendesse canonicamente
obbligante quanto era stato confermato solo oralmente da
Innocenzo III nel 1209. È molto probabile che Francesco
si sia messo subito al lavoro e nel Capitolo del maggio
del 1221, un anno dopo il suo incontro con il Cardinale,
presenta il testo della Regola non bollata.
I caratteri testuali di questa stesura lasciano intravve-
dere, senza gravi difficoltà, la presenza di diversi strati
redazionali di norme che rinviano agli inizi stessi della
fraternità. La natura composita del testo permette di ipo-
tizzare un lavoro redazionale da parte di Francesco nel
quale egli riprende quelle norme che, lungo gli anni, la
fraternità si era date per affrontare e risolvere i problemi
che di volta in volta andava incontrando. Un’informazio-
ne molto utile sulle modalità specifiche di questo probabi-

37
Ivi 14-16: FF 2337-2339.
Alla ricerca dell’“intentio Francisci” 33

le processo formativo di un corpo normativo della frater-


nità viene da una lettera del 1216, inviata ad un amico in
Francia da parte di Giacomo da Vitry, venuto in Italia per
essere consacrato vescovo. Egli, raccontando del stupore
da lui provato per l’incontro di uomini e donne veramen-
te evangelici chiamati «frati minori e sorelle minori»38,
aggiunge alcuni caratteri della vita degli uni delle altre;
riguardo ai «frati minori» riferisce della loro abitudine di
ritrovarsi annualmente in uno stesso posto dove, «avva-
lendosi del consiglio di persone esperte, formula[va]no
e promulga[va]no le loro leggi sante e confermate dal
signor papa»39. È molto probabile che dei 24 capitoli che
compongono il testo presentato al Capitolo del 1221, i
primi 17 siano strettamente legati a quel materiale antico,
elaborato lungo gli anni precedenti40; gli ultimi invece,
quelli cioè che vanno dal capitolo 18 al 23, sono da con-
siderare uno strato redazionale più direttamente legato al
periodo di preparazione immediata del testo.
Nella ricostruzione della storia redazionale di quel
primo testo un ruolo particolare va assegnato all’ultimo
Capitolo, nel quale si è indubbiamente davanti ad un
contenuto “strano” per un testo giuridico. In esso, dopo
aver esortato e quasi implorato per tre volte i suoi frati ad
apprendere a memoria e osservare fedelmente le parole
contenute il quella forma di vita, Francesco cambia tono
per assumerne uno fortemente precettivo, richiedendo
formalmente un atto di obbedienza ai suoi frati:
E da parte di Dio onnipotente e del signor Papa, e per obbedienza
io, frate Francesco, fermamente comando e ordino che nessuno

38
Giacomo da Vitry, Lettera del 1216, 8: FF 2205.
39
Ivi, 11: FF 2208.
40
Sulla divisione cronologica dei diversi strati testuali non vi è del tutto
accordo. Per Accrocca la parte antica si limita ai capitoli 1-14 (cf. Un cantiere
aperto, 21).
34 Pietro Maranesi

tolga o aggiunga scritto alcuno a quelle cose che sono state scritte
in questa vita, e che i frati non abbiano un’altra Regola41.

È chiaro: la proibizione imposta da Francesco di volere


un’altra Regola rinvia a serie difficoltà da parte di larghi
settori dell’Ordine nei confronti di quel testo. Ne sono
prova gli sviluppi successivi. Solo dopo due anni, il San-
to scriverà un altro testo! Che cosa era successo di così
importante da ribaltare quanto egli aveva richiesto per
obbedienza? La risposta va cercata nell’ipotesi, appunto,
di una conflittualità interna ai frati, che si opponevano
all’accoglienza di quel primo testo.
Le fonti non permettono di avere notizie certe su que-
ste possibili tensioni. Giordano da Giano non riferisce
nulla dell’origine del secondo testo: egli era in Germania
e i fatti che stavano avvenendo in Italia due anni dopo non
interessavano la sua cronaca. I biografi, come si è visto,
parlano di una riscrittura del testo a causa del suo smarri-
mento, avvenuto, secondo Bonaventura, per sbadataggine
da parte del vicario Elia, ma senza una conflittualità tra
Francesco e i suoi frati. In ogni caso, per le fonti biografi-
che tra il primo e il secondo testo non vi fu una sostanzia-
le diversità: la riscrittura del testo avvenne per rivelazione
di Dio mediante una forma di quasi dettatura.
I dati che invece si ottengono dal confronto diretto tra
le due regole impediscono di pensare ad una “irenicità”
del processo. Forse, un episodio indicativo del clima di
contrasto tra Francesco e i settori dirigenziali nei confron-
ti della Regola è presente nel racconto del capitolo delle
Stuoie, evento offerto dalla sola Compilazione di Assisi
e da essa posto immediatamente dopo il racconto, da noi
già utilizzato, dell’opposizione dei frati alla scrittura del
testo. In quel grande incontro generale, in cui nel maggio

41
Rnb XXIV 4: FF 73.
Alla ricerca dell’“intentio Francisci” 35

del 1222 si ritrovarono insieme alla Porziuncola quasi


cinquemila frati, i ministri e i frati dotti, rivolgendosi
all’aiuto del cardinal Ugolino, avrebbero voluto convin-
cere Francesco a dar loro una “Regola” che permettesse
di vivere in modo più ordinato la loro esistenza, cioè a di-
ventare più un “ordine” e smettere di essere “fraternità”42.
L’opposizione del Santo alla richiesta fu irremovibile,
rivendicando per sé e i suoi frati la vocazione alla pazzia
evangelica, scelta che di fatto significava la volontà di
restare fedele alla forma antica di vita della primitiva
fraternità43. Insomma: il testo della Regola non bollata,
composto già da un anno, era oggetto di forti discussioni.
E mentre per Francesco l’antico testo era irrinunciabile
per la fedeltà alla vocazione ispiratagli da Dio, per larghi
settori esso doveva essere riformulato secondo nuovi cri-
teri e nuove esigenze.
Secondo il racconto della Compilazione, in quel Ca-
pitolo Francesco riuscì ad imporre il suo “modo pazzo”
di vivere. In realtà le cose furono ben diverse: un anno
dopo quegli avvenimenti e a due anni dalla stesura della
Rnb egli scriverà un nuovo testo per nulla simile al prece-
dente. Nella profonda e radicale rielaborazione effettuata
con Regola, bollata dalla Chiesa nel 1223, non si assisterà
solo ad una drastica riduzione della quantità testuale (da
24 a soli 12 capitoli), ma anche a cambiamenti e impor-
tanti novità nei contenuti stessi della Regola. Che cosa era

42
Cf. CAss 18: FF 1564.
43
Famose e forti sono le parole di Francesco riferite dalla fonte agiografica:
«Fratelli, fratelli miei, Dio mi ha chiamato per la via dell’umiltà e mi ha mostrato
la via della semplicità. Non voglio quindi che mi nominiate altre regole, né quella
di sant’Agostino, né quella di san Bernardo o di san Benedetto. Il Signore mi ha
detto che questo egli voleva: che io fossi nel mondo un ‘‘novello pazzo’’: e il
Signore non vuole condurci per altra via che quella di questa scienza! Ma per
mezzo della vostra stessa scienza e sapienza Dio vi confonderà. Io ho fiducia nei
castaldi del Signore, di cui si servirà per punirvi. Allora, volenti o nolenti, farete
ritorno, a vostro vituperio, al vostro stato» (ivi).
36 Pietro Maranesi

avvenuto? A mio avviso, il processo che fa passare dalla


Rnb alla Rb è da legare strettamente al lavoro redazionale
effettuato dai “due autori” del testo definitivo.

b)  La questione dell’autore della Rb

è sicuro che la Rb non fu la riscrittura alla lettera, per


opera di una rivelazione divina, del testo smarrito acci-
dentalmente dai frati. La Regola del 1223 sarà invece un
nuovo prodotto redazionale, frutto della collaborazione di
due autori: Francesco e Ugolino.
La paternità di Francesco del testo definitivo è in-
contestabile. La Regola dei frati minori approvata dalla
Chiesa rappresenta uno dei pochissimi testi legislativi
“firmati” dall’autore. “Io frate Francesco” risuona esplici-
tamente in apertura del testo44 e si ripete spesso lungo i 12
capitoli nei verbi di esortazione o di comando formulati in
prima persona singolare45. Dunque, la scrittura della Rb,
nonostante il fermo comando – con il quale Francesco
chiudeva il testo precedente – di non voler avere un’altra
Regola, non è stata sentita dal Santo come un’operazione
contro la sua volontà. La Rb era “la sua Regola”. È quanto
afferma lo stesso Francesco, quasi per smentire possibili
voci contrarie, nel suo Testamento, quando ricorda ai
suoi frati: «il Signore mi ha dato di dire e di scrivere con
semplicità e purezza la Regola»46.
Accanto a questa prima serie di notizie riguardanti la
sicura paternità di Francesco, abbiamo anche una seconda
importante informazione storica, altrettanto chiara e pre-
cisa. Nel bolla Quo elongati il papa Gregorio IX, prima

Cf. Rb I, 2-3: FF 76.


44

Cf. Rb III, 10: FF 85; IV, 1: FF 87; IX,3: FF 99; X, 7: FF 103; XI, 1: FF
45

105; XII, 3: FF 108.


46
Test. 39: FF 130.
Alla ricerca dell’“intentio Francisci” 37

di rispondere ai “dubia” dei frati sulla Regola, premette


una serie di notizie autobiografiche relative alla relazione
speciale da lui avuta con Francesco:
a motivo della lunga familiarità che lo stesso Santo ebbe con noi,
abbiamo conosciuto più pienamente la sua intenzione, e inoltre
fummo a lui vicini durante la stesura della predetta Regola e nel
presentarla alla Sede apostolica per ottenerne la conferma, quan-
do eravamo in una carica inferiore47.

Due sono le notizie importanti consegnate da Gregorio


ai frati. La prima riguarda la “lunga familiarità”, cioè la
profonda amicizia che lo legò al Santo. Questo legame
di stima reciproca, tra due uomini molto diversi tra loro,
aveva permesso al Cardinale di conoscere Francesco nel
suo modo di pensare e di progettare la vita, cioè gli aveva
fatto conoscere l’“intentio Francisci” quale importante
presupposto per le decisioni che avrebbe poi prese nella
sua lettera papale. La seconda fondamentale notizia, quasi
prova e verifica della precedente, concerne la collabora-
zione diretta del Cardinale alla stesura della Regola, che
ne era diventato poi anche il promotore risolutivo della sua
approvazione papale. Quest’ultima doppia informazione
costituisce, a mio avviso, l’indizio più interessante per
avanzare una risposta alle domande sopra aperte riguardo
alle cause del passaggio dalla Regola non bollata a quella
bollata. Solo il Cardinale poteva porsi di fronte a Francesco
e convincerlo della necessità di un’altra Regola, rinnovata
e diversa da quella preparata e “imposta” dal Santo ai suoi
frati con l’obbedienza di non volerne un altra. Il Cardinale,
forte della sua autorità ecclesiastica, della sua competenza
canonistica e della sua amicizia con il Santo, avrà a lungo
parlato con Francesco per mostrare, probabilmente, che il
testo della Rnb guardava troppo agli inizi e non era capace

47
Gregorio IX, Quo elongati, 3: FF 2731.
38 Pietro Maranesi

di intercettare le novità evolutive dell’Ordine. I frati mini-


stri avevano in parte ragione! Ed egli, dalla sua posizione
di protettore dell’Ordine, capiva le loro perplessità e le
condivideva. Ma non solo! L’alto prelato avrà ricordato a
Francesco anche il bisogno da parte della Chiesa di poter
disporre di frati preparati ed efficaci nella loro attività
apostolica a vantaggio di quella riforma propugnata dal
concilio Lateranense IV celebrato nel 1215. Occorreva
dunque riscrivere la Regola, non solo utilizzando criteri
più strettamente giuridici che correggessero soluzioni pre-
cedenti contrarie al diritto canonico, ma anche includendo
nuove scelte più adeguate alle novità evolutive dell’Ordine
e alle esigenze pastorali della Chiesa.
Mi immagino, infine, che per convincere definitiva-
mente il riluttante Francesco, Ugolino gli abbia proposto
una scrittura a due mani: Francesco doveva rappresentare
l’anima carismatica, quella degli inizi, da mantenere nel
testo quale ideale di fondo, mentre il Cardinale avrebbe
garantito il momento istituzionale, in dialogo con le nuo-
ve prospettive degli sviluppi dell’Ordine e delle esigenze
di riforma della Chiesa.

c)  Alcuni sondaggi sulla storia redazionale

La collaborazione tra i due “autori” del testo rende


ragione perfettamente sia delle conferme sia delle tante
e importanti novità presenti nel testo del 1223 rispetto
a quello del 1221. La lettura comparata dei due scritti
testimonia indubbiamente un costante lavoro redazionale
tra due diverse prospettive nel ripensare la forma di vita
dei frati minori48.

48
Quanto qui accenno di fatto presuppone il lungo studio da me già proposto
qualche anno fa: Il travaglio di una redazione. Le novità testuali della Regola
Alla ricerca dell’“intentio Francisci” 39

In forma molto sintetica, si può ritenere che nell’in-


contro-scontro tra le due penne compilatrici della Regola
bollata si assista a quattro diversi generi di interventi re-
dazionali nella rielaborazione del vecchio testo: a) ripresa
di capitoli interi, apportando però anche importanti rifor-
mulazioni (Rb 1, 2, 3); b) ricombinazioni di passi tratti
da diversi capitoli della vecchia Regola per dar vita ad un
nuovo capitolo (Rb 6 e 10); c) mantenimento di una parte
delle vecchie formulazioni e soppressione di altre (Rb 9
e 12); d) riscrittura con poche dipendenze dal precedente
(Rb 4, 5, 7). Qui non è il caso di analizzare nel dettaglio
i tanti indizi/prove di una precisa e costante storia reda-
zionale del testo. Vorremo solo offrire un sondaggio di
questo processo assumendo i primi versetti del capitolo 2
della Regola bollata49.
Nella sua globalità il testo riprende il capitolo parallelo
del testo precedente, mantenendo i tre grandi temi con i
quali era già stata affrontato il difficile ambito dell’ac-
coglienza dei nuovi membri nella fraternità: i criteri per
l’accettazione (Rb 1-8), il noviziato (Rb 9-10) e infine lo
stato del professo perpetuo (Rb 11-17). Il brano più inte-
ressante per avere uno spaccato della storia redazionale
avvenuta nel passaggio dalla Rnb 2 al testo della Rb 2 ri-
guarda la prima tematica, quella sicuramente più delicata
e importante per le conseguenze nella vita della fraternità,
connessa ai criteri di accoglienza dei nuovi membri. Il
confronto sinottico tra i due testi è lo strumento più effi-
cace per un tale approccio:

bollata indizi di un’evoluzione, in Miscellanea Francescana 109 (2009), 61-89,


353-384.
49
Per un’analisi completa cf. ivi, 65-70. Per un commento generale del capi-
tolo cf. L. Lehmann, Un percorso di iniziazione, in La Regola di frate Francesco,
231-283.
40 Pietro Maranesi

Rnb II Rb II
1
Si quis divina inspiratione volens 1
Si qui voluerint hanc vitam
accipere hanc vitam venerit ad accipere et venerint ad fratres
nostros fratres, nostros,
benigne recipiatur ab eis.
2
Quodsi fuerit firmus accipere
vitam nostram, multum caveant
sibi fratres, ne de suis temporalibus
negotiis se intromittant,
sed ad suum ministrum, quam mittant eos ad suos ministros
citius possunt, eum repraesentent. provinciales,
quibus solummodo et non
aliis recipiendi fratres licentia
concedatur.
3
Minister 2
Ministri
vero benigne ipsum recipiat et
confortet
1) et vitae nostrae tenorem sibi 1) vero diligenter examinent eos
diligenter exponat. de fide catholica et ecclesiasticis
sacramentis.
3
Et si haec omnia credant et velint
ea fideliter confiteri et usque
in finem firmiter observare, 4et
uxores non habent vel, si habent,
et iam monasterium intraverint
uxores vel, licentiam eis dederint
auctoritate diocesani episcopi,
voto continentiae iam emisso, et
illius sint aetatis uxores, quod non
possit de eis oriri suspicio,
2) 4 Quo facto, praedictus, si 2) 5 dicant illis verbum sancti
vult et potest spiritualiter sine Evangelii, quod vadant et vendant
impedimento, omnia sua vendat omnia sua et ea studeant
et ea omnia pauperibus studeat pauperibus erogare.
erogare. 6
Quod si fecere non potuerint,
3) 5Caveant sibi fratres et minister sufficit esi bona voluntas.
fratrum, quod de negotiis suis 3) 7Et caveant fratres et eorum
nullo modo intromittant se; 6neque ministri, ne solliciti sint de rebus
recipiant aliquam pecuniam neque suis temporalibus, ut libere faciant
per se neque per interpositam de rebus suis, quidquid Dominus
personam. inspiraverit eis.
Alla ricerca dell’“intentio Francisci” 41

Facciamo delle brevissime considerazioni per eviden-


ziare le principali novità del nuovo testo rispetto a quello
di partenza. La prima importante novità (Rnb II, 1-2, Rb
II, 1) concerne la negazione alla fraternità, a differenza di
quanto era espresso nel primo testo, di ogni possibilità di
esprimere un giudizio preliminare di adeguatezza nei con-
fronti di coloro che bussavano alla porta: solo il ministro
aveva questo potere. Inoltre si trasforma radicalmente il
metodo di accoglienza imposta al ministro nei confronti
dei richiedenti. Nel testo precedente (Rnb II, 3) si asseriva
che il ministro doveva ripetere di fatto il procedimento
che avevano già adottato i frati nel primo incontro: la
benignità nell’accoglienza con la preoccupazione di far
conoscere poi al nuovo arrivato il loro tenore di vita.
Quest’ultima richiesta rinvia sicuramente ad uno stadio
iniziale della fraternità, ancora abbastanza sconosciuta
e dunque accorta nell’evitare ai richiedenti il rischio di
malintesi nell’abbracciare qualcosa che non conoscevano.
Nel nuovo testo (Rb II, 2-4) si ribalta completamente la
procedura: non era il ministro che doveva far conoscere
ai richiedenti lo stile di vita dell’Ordine (i frati minori
erano oramai conosciuti da tutti e sicuramente da coloro
che bussavano per essere accolti), ma dovevano essere
questi a farsi conoscere, garantendo di essere cattolici e
di possedere le condizioni giuridiche per essere accolti
(non essere sposati, o aver sistemato la moglie in mo-
nastero). Il resto della normativa (Rnb II, 4-6; Rb 5-7)
invece resta sostanzialmente uguale al testo precedente: il
nuovo membro era invitato a rinunciare ad ogni suo ave-
re regalandolo ai poveri; i frati, da parte loro, dovevano
disinteressarsi completamente del modo con cui i nuovi
fratelli si liberavano dei loro beni.
Indubbiamente, nella rielaborazione del testo era inter-
venuto un giurista animato da una doppia preoccupazio-
ne: eliminare ogni forma “democratica” nell’accoglienza
42 Pietro Maranesi

dei nuovi membri, riservandola al solo ministro, ed


evitare il rischio di far entrare uomini inadeguati a quella
vita sia perché non cattolici sia perché anagraficamente
non liberi.
Il breve sondaggio basta da solo a mettere in evidenza
quanto la Rb costituisca una elaborazione dialettica tra
due diverse sensibilità. Nel testo sopra proposto domina
indubbiamente la penna del giurista, che vuole e deve
correggere e riformulare un’ipostazione che presentava
non poche problematicità di carattere canonistico. In altri
testi invece, più forte ed evidente è la penna di Francesco,
come ad esempio il capitolo 1050. Insomma, Francesco e
Ugolino rappresentavano due punti di vista diversi nel
guardare l’unico ideale minoritico: l’uno forte di una
intuizione e l’altro responsabile di una istituzione. E si
erano alleati nella rielaborazione del testo.
La rivendicazione di Francesco fatta nel suo Testa-
mento di essere l’autore diretto della Regola, prodotto di
quanto il Signore gli aveva concesso di scrivere51, non
va letta allora come una specie di negazione di questa
complessa storia redazionale, ma l’attestato che quel pro-
cesso testuale, che va dalla Rnb alla Rb, non era sentito
dal Santo come il tradimento di un’identità vissuta agli
inizi e fissata nei primi testi prodotti dalla fraternità. Al
contrario, nella Regola approvata dalla Chiesa Francesco
riconosceva la presenza ancora di quell’intuizione evan-
gelica donatagli agli inizi da Dio e “da Lui” riformulata
nel nuovo testo. Insomma, si può quasi dire che il proces-
so redazionale, inizialmente non voluto da Francesco ma

50
Per le specifiche novità del testo cf. P. Maranesi, Il travaglio di una re-
dazione. Le novità testuali della Regola bollata indizi di un’evoluzione (seconda
parte), in Miscellanea Francescana 109 (2009), 367-379; per un commento arti-
colato all’intero capitolo cf. P. Maranesi, La relazione tra fratelli, in La regola
di frate Francesco, 507-549.
51
Cf. Test. 39: FF 130.
Alla ricerca dell’“intentio Francisci” 43

impostogli dai fatti, è riconosciuto, alla fine, dal Santo


come il modo specifico attraverso cui Dio gli aveva dato
di scrivere e riscrivere il testo. E allora si può concludere
che il Santo nel Testamento di fatto riconosce e procla-
ma che la rivelazione di Dio, da cui era nato il testo,
non era stata un evento venuto dall’alto, sotto forma di
“dettatura”, ma dal basso attraverso un processo umano
relazionale-redazionale condizionato dalle novità degli
eventi e dalle diversità delle visioni tra i componenti di
quella storia.

2. Il metodo storico critico nella sua interpretazione:


l’intentio Francisci

Si è già detto all’inizio di questo studio che il valore di


un testo è misurato dalla sua capacità di mettere in comu-
nicazione l’autore con il lettore. È questo incontro che fa
del testo uno strumento vitale, capace di arricchire la vita
ponendola in contatto con un’altra vita. In ciò consiste il
fondamentale “inter-esse” della Regola, perché essa pone
la nostra vicenda in relazione con quella di Francesco.
Nello stesso tempo, la consapevolezza della natura storica
di quel prodotto giuridico obbliga oggi il lettore ad im-
piegare un approccio capace di fare di quello scritto uno
spazio di incontro tra due situazioni culturali e storiche
tanto diverse tra loro.

a) Il valore del testo nel suo e nel nostro contesto:


l’intenzione dell’autore

La ricostruzione dell’intenzione dell’autore costitui-


sce uno degli obiettivi essenziali del moderno approccio
critico dell’esegesi testuale. E allora, si potrebbe dire che
44 Pietro Maranesi

il mondo francescano abbia in qualche modo precorso i


tempi, anticipando in qualche modo ciò che nell’esegesi
di un documento, e specialmente di quello biblico, costi-
tuisce la domanda fondamentale posta al testo. Detto ciò
occorre però notare anche una particolarità nell’esegesi
francescana della Regola: se da un parte la categoria er-
meneutica dell’intenzione dell’autore è stata da sempre
utilizzata, nel nostro contesto è cambiato l’approccio
per raggiungerla. Infatti, se tale obbiettivo, nell’approc-
cio a un testo “rivelato” dall’alto, si risolveva mediante
una lettura statica e fissa del contenuto stesso, oggi,
consapevoli del processo redazionale subìto dal testo
normativo dei frati minori, esso deve essere perseguito
muovendo da una nuova prospettiva che va dal basso
di una idealità-identità verso l’esplicitarsi dinamico di
successive riscritture. Più in particolare: l’intenzione è da
rintracciare attraverso la ricostruzione di quelle tensioni
ancora evidenziabili nel confronto storico critico tra lo
scritto di partenza e quello di arrivo. E in questo contesto
occorre ricordare che il tragitto redazionale sviluppatosi
dalla Rnb non si è compiuto o esaurito neanche nella Rb
ma è giunto fino al Testamento, ultimo atto di una lunga
e faticosa elaborazione identitaria52.
Ricostruire l’intenzione dell’autore quale spazio te-
stuale di un incontro esistenziale con un uomo, significa
dunque riascoltare quelle complesse vicende e le tensioni
che ancora sono testimoniate dal confronto sinottico
tra i tre livelli redazionali. L’intenzione di Francesco
va ritrovata e ascoltata sia nella sua ostinazione a voler
fare della Rnb l’unico e assoluto testo di riferimento, sia
nella sua capacità di rimettersi in cammino affiancato dal

52
Su quanto si dirà si tengano presenti le riflessioni finali che ho fatto nel mio
Il sogno di Francesco. Rilettura storico-tematica della Regola dei Frati Minori
alla ricerca della sua attualità, Assisi 2011, 93-104.
Alla ricerca dell’“intentio Francisci” 45

Cardinale per riscrivere una nuova Regola, ma anche nel


suo bisogno finale di redigere un ennesimo testo, prima
della morte, con il quale offrire ai suoi frati uno strumen-
to interpretativo per leggere la Regola. Il Francesco che
“interessa” è quello sparpagliato e presente nei tre livelli
redazionali, quali passaggi ripetuti di un unico dipanarsi
di una idealità che deve incarnarsi dentro una storia fatta
da e di uomini.
C’è un ennesimo fattore di fondamentale importanza
da tener presente in questo approccio. Sia la Rnb che la
Rb appartengono al genere letterario giuridico; esse cioè
non contengono un’elaborazione consapevole dell’in-
tenzione degli autori ma propongono solo delle norme
quali “incarnazione” di quelle idealità. I frati, per seco-
li, non hanno mai cercato di indagare cosa appartenga
all’intenzione di Francesco e cosa a quella di Ugolino.
I due momenti, secondo la natura “rivelata” del testo,
non esistevano. Le norme erano un prodotto che veniva
dall’alto e rappresentavano semplicemente l’intenzione
di Francesco; dunque esse dovevano essere osservate
semplicemente e alla lettera. È chiaro che in quel conte-
sto culturale, ritenendo il prodotto normativo di origine
divina e percependo quel prodotto come sufficiente per
la “normalizzazione” della vita minoritica, l’approccio a
quel testo era di tipo fisso e letterale.
Oggi, oltre alla consapevolezza di un ampio processo
storico di confronto-scontro tra visioni diverse avvenuto
nella rielaborazione della Rb, percepiamo una totale in-
sufficienza e incapacità da parte di quelle norme a guidare
nella concretezza quotidiana la vita evangelica dei frati
nel mondo contemporaneo. La nostra doppia coscienza
nei riguardi della Regola, di essere cioè di fronte ad un
prodotto “storico” e anche giuridicamente insufficiente
per dare risposte precise all’oggi della vita, obbliga ad
un nuovo approccio al testo. Per usare una metafora, oc-
46 Pietro Maranesi

corre girare il tappeto e capire quali siano state le logiche


nascoste che hanno fatto scegliere in quel tempo quelle
norme. Insomma, oggi più che ieri occorre ritornare
all’intentio Francisci distinguendola dalle forme giuri-
diche fissate dalla Regola. Infatti, mentre quelle norme
specifiche per noi hanno perso il loro valore normativo,
l’intenzione che in quel contesto aveva condotto a quelle
scelte resta ancora il riferimento identitario per la rifor-
mulazione oggi di scelte capaci di adeguare quell’ideale
al nostro contesto.

b)  Quella mappa sul nostro territorio

Una mappa indica un obbiettivo da raggiungere, fis-


sando dei tragitti e dei percorsi precisi ma relativi alla
situazione contingente del territorio su cui ci si deve
muovere. Se si volesse tradurre questa metafora, ponen-
dola in relazione alla storia di quel processo redazionale,
potremmo dire che il nostro obbiettivo ermeneutico è rap-
presentato dalla ricostruzione del sogno che ha animato
l’esistenza di Francesco insieme ai suoi frati. Ciò è pos-
sibile, però, solo ritornando alla mappa di allora, rappre-
sentata non semplicemente dalla Regola ma da tutti i testi
di Francesco ad essa relativi, letti quali testimoni di una
riscrittura plurima di tragitti diversi. Con essi si trattava di
dare forma a quel sogno per incarnarlo dentro le diverse
esigenze di un territorio culturale ed ecclesiale cangiante.
Dunque, la storia ci ha comunicato questa mappa antica e
relativa a quel territorio. E ci domandiamo: Per noi essa
è diventata inutile o può costituire un riferimento ancora
efficace53?

53
Nelle pagine del lavoro precedentemente citato ponevo la domanda: «Un
sogno ancora possibile?» (ivi, 102-104).
Alla ricerca dell’“intentio Francisci” 47

Il nostro territorio è fortemente diverso da quello


di Francesco e del suo Ordine degli inizi, un territorio
culturale, economico, sociale e religioso che, possiamo
affermare, era restato sostanzialmente invariato e uguale
a se stesso per tanti secoli. Negli ultimi cento anni vi è
stata, invece, un’accelerazione vertiginosa delle novità
socio-culturali e scientifiche avviate nel secolo XIX,
fino a produrre una radicale trasformazione del mondo
occidentale nel suo modo di pensare e vivere. Coscienti
di questa rivoluzione del nostro territorio e della natura
storica del testo della mappa lasciataci da Francesco, oc-
corre attuare un doppio lavoro nella lettura della Regola:
da una parte ricostruire l’intenzione evangelica che ha
mosso Francesco, e dall’altra proiettare quel progetto
ideale sul nostro territorio contemporaneo, per fare di
esso un possibile riferimento “orientativo” nella scelta
di adeguati tragitti per la nostra esperienza. Tralasciati
quei tragitti (norme) nati tanti secoli fa e che sono stati
adeguati per uno spazio e un tempo medievale, il sogno
di Francesco dovrebbe ridare il coraggio di tentare scelte
“di senso” rinnovate e adeguate per questa generazione.
Ripetere alla lettera quel dettato giuridico significherebbe
perdere il vero contenuto che occorre invece riascoltare
quale vero “inter-esse” del testo: l’intenzione di France-
sco nel vivere il Vangelo. Essa è l’anima di una vicenda
che chiede di trovare in ogni epoca la sua forma adeguata
mediante scelte intelligenti e coraggiose.

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