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I GRADI DELLA MIMESI NELLA LETTERA AI GALATI

La miscellanea in onore dell’amico e collega M. Buscemi m’offre l’opportunità di tornare


sulla Lettera ai Galati, a cui entrambi abbiamo dedicato anni di ricerca1. In altre occasioni mi sono
soffermato sulla mimesi (più che semplice “imitazione”)2 nella Lettera ai Filippesi3 e ai Romani4 e
ho proposto di rivedere il modo tradizionale d’intenderla nelle lettere paoline5. Questa si deve non
all’autorità, bensì alla conformazione tra Cristo, Paolo e le sue comunità; risalta in situazioni di
pericolo per l’evangelo di Paolo; è riconoscibile in forma esplicita, quando compare il verbo
μιμεῖσθαι e la relativa famiglia lessicale, o in forma implicita attraverso la reiterazione di modelli da
imitare. La mimesi paolina (e non solo) si distingue secondo due forme principali: in quanto
rappresentazione di un evento del passato ripresentato per chiarire una situazione attuale; e in
quanto processo imitativo tra persone umane quando subentra l’imitazione nelle differenze. Per
questo non è l’etica a produrre l’imitatio Christi o Pauli, ma la mimesi innesta un naturale processo
etico in coloro che sono conformati a Cristo.
A prima vista l’assenza del verbo μιμεῖσθαι e del suo campo semantico nella Lettera ai
Galati sembra escludere il motivo dell’imitazione retorica o artistica e umana6. In realtà, nonostante
la carenza del linguaggio esplicito, riteniamo che in alcuni momenti topici della lettera risalti il
paradigma della mimesi nei suoi diversi gradi. Cerchiamo di cogliere tali gradi d’imitazione e le
loro funzioni, considerando per acquisita la disposizione della lettera, proposta in passato7.

1. Mimesi come rappresentazione ed esemplarità (Gal 2,15-21)

La prima forma di mimesi che si riscontra nella Lettera ai Galati è di tipo misto: è
rappresentazione di un evento passato che si riproduce nel presente; ed esemplarità umana di Paolo
nei confronti dei destinatari. I due gradi della mimesi – rappresentativa ed esemplare – confluiscono
nel paragrafo di Gal 2,15-21. Tuttavia la mimesi in quanto rappresentazione argomentativa è
funzionale a quella esemplare e personale tra Paolo e i Galati. Vediamo in che modo sono
rapportate fra loro.
Al culmine della narrazione di Gal 1,13–2,21 Paolo ricorre alla mimesi o alla
rappresentazione per additare se stesso come modello da imitare. Il curriculum vitae percorso in Gal
1,13–2,21 parte dalla fase precristiana (cf. Gal 1,13-14), giunge a quella in Cristo (cf. Gal 1,15–
2,14) di Paolo e si chiude con il famoso incidente di Antiochia (cf. Gal 2,11-14). Più che di una

1
Oltre al poderoso commentario di A.M. Buscemi, Lettera ai Galati. Commentario esegetico, SBFA 63, Jerusalem,
Franciscan Press, 2004; cf. Id., “Libertà e Huiothesia. Studio esegetico di Gal 4,1-7”, in LA 30 (1980) 93-136; Id.,
“Struttura della Lettera ai Galati”, in ED 34 (1981) 409-426; Id., “Lo sviluppo strutturale e contenutistico di Gal 6,11-
18”, in LA 33 (1983) 153-192; Id., “Gal 1,1-5: struttura e linea di pensiero”, in LA 31 (1990) 71-102.
2
Per diversi fraintendimenti sedimentati nella storia, siamo ancora obbligati a utilizzare il termine “mimesi” al posto dei
più semplici “imitazione” o di “esemplarità”. Soprattutto nel caso della mimesi umana, il soggetto che la sperimenta
non esprime una riproduzione secondaria o di minore valore rispetto all’originale, ma una che si declina con
l’assimilazione reciproca nelle differenze che permangono rispetto al modello da seguire.
3
A. Pitta, “Mimesi delle differenze nella Lettera ai Filippesi”, in RivB 57 (2009) 347-370.
4
A. Pitta, “The Degrees of Human Mimesis in the Letter to the Romans”, in F. Bianchini - S. Romanello (edd.), Non mi
vergogno del Vangelo, Potenza di Dio. FS. J.-N. Aletti, AnBib 200, G&BPress, Roma 2012, 221-238.
5
Sulla mimesi nelle lettere paoline, oltre alla bibliografia riportata nei miei contributi summenzionati cf. D.W.
Ellington, “Imitating Paul’s Relationship to the Gospel: 1Corinthians 8.1–11.1”, in JSNT 33 (2011) 303-315.
6
Sulla mimesi esplicita nelle lettere paoline cf. 1Ts 1,6-7; 2,14; 2Ts 3,7-9; 1Cor 4,16; 11,1; Rm 6,17; Fil 3,17; Ef 5,1;
1Tm 1,16; 4,12; Tt 2,6-8; 2Tm 1,13.
7
A. Pitta, Disposizione e messaggio della Lettera ai Galati, AnBib 131, Roma 1992; Id., Lettera ai Galati.
Introduzione, versione e commento, SOC 9, EDB, Bologna 20093.
narrazione apologetica o difensiva8, quella di Gal 1,13–2,21 è, a nostro modesto parere, una
periautologia con cui Paolo si propone di presentare se stesso come modello da imitare9. Contro i
Galati che desiderano sottomettersi alla Legge mosaica per migliorare la loro condizione di credenti
in Cristo, Paolo racconta la propria vita: è passato dalla sottomissione alla Legge alla fede in
Cristo10. Naturalmente non mancano tratti apologetici, ma la natura principale e la relativa finalità
della sezione autobiografica di Gal 1–2 ci sembra più periautologica che apologetica11. Il momento
della svolta nella periautologia si verifica con Gal 1,15-16, quando l’Apostolo ricorda l’irruzione di
Dio nella sua esistenza per rivelargli il suo Figlio affinché lo evangelizzasse fra i gentili12.
A fungere da filo conduttore della periautologia è il motivo della χάρις, introdotto già
nell’esordio generale di Gal 1,6-10 (v. 6), e ripreso nei momenti decisivi della narrazione e nella
mimesi conclusiva. Mentre i Galati stanno per rivolgersi così in fretta dalla grazia di Dio che li ha
chiamati a essere in Cristo (cf. Gal 1,6), Paolo ricorda che è stato chiamato da Dio per grazia (cf.
Gal 1,15). In occasione dell’assemblea di Gerusalemme (cf. Gal 2,1-10) Giacomo, Cefa e Giovanni
riconoscono la grazia conferita da Dio a Paolo e a Barnaba di evangelizzare i gentili (cf. Gal 2,9).
Per questo la grazia chiude l’intera sezione puntando l’attenzione sulla via della giustificazione: per
mezzo della grazia o per la fede e non con la Legge mosaica (cf. Gal 2,21)13.
In quanto rappresentazione, la mimesi di Gal 2,15-21 si trova al culmine dell’incidente di
Antiochia e prosegue nello stesso contesto, senza soluzione di continuità. Mentre Paolo rimprovera
Pietro che, con il suo comportamento, costringe i gentili a vivere da giudei (cf. Gal 2,14), innesta la
mimesi incentrata sulla giustificazione per la grazia e/o per la fede in Cristo e non per mezzo delle
opere della Legge (cf. Gal 2,15-16). Lo stesso incidente di Antiochia echeggia nella mimesi di Gal
2,15-21 poiché riflette la situazione di Pietro e di quanti nel Giudaismo hanno prima abbandonato le
regole di purità alimentari sulla comunione di mensa tra giudei e gentili per poi tornare a separarsi
dai gentili, confermandosi come trasgressori (cf. Gal 2,17-18)14.
La natura e la funzione della mimesi in Gal 2,15-21, rispetto alla periautologia di Gal 1,13–
2,14, dovrebbe escludere le ipotesi di quanti considerano la complessa proposizione di Gal 2,1615 o

8
Se la narrazione di Gal 1,13–2,14 fosse di tipo forense (apologetica o categorica), sarebbe stata ripresa nelle prove
successive di Gal 3,1–5,12, mentre in seguito subentra soprattutto la topologia della figliolanza abramitica, a cui non si
accenna in precedenza.
9
Sulle peculiarità della periautologia o del vanto di sé nelle lettere paoline cf. “Il “discorso del pazzo” o periautologia
immoderata? Analisi retorico-letteraria di 2 Cor 11,1–12,18”, in Bib 87 (2006) 493-510.
10
Oltre ai contributi con cui in passato ho cercato di dimostrare la natura periautologica di Gal 1,11–2,21, sulla
funzione esemplare della sezione cf. D. Garlington, “«Even we have Believed». Galatians 2:15-16 revisited”, in CTR 71
(2009) 3-28 (in particolare p. 4).
11
Cf. fra gli altri T. Wiarda, “Plot and Character in Galatians 1–2”, in TynB 55.2 (2004) 231-252.
12
Sulla natura e la funzione di Gal 1,13–2,14 non vedo l’alternativa tra la periautologia e l’origine divina
dell’apostolato di Paolo, che invece sostiene J.-N. Aletti, New Approaches for Intepreting the Letters of Saint Paul.
Collected Essays Rhetoric, Soteriology, Christology and Ecclesiology, SB 43, G&BPress, Roma 2012, 220 a favore
della seconda prospettiva per Gal 1–2. L’una non esclude l’altra; anzi se Paolo sottolinea l’origine divina del suo
apostolato è per presentare se stesso come modello da imitare, sostenuto dall’origine gratuita del suo vangelo e
dell’apostolato.
13
Per sostenere la prospettiva dell’apologia dell’evangelo in Gal 1–2, contro quella della difesa dell’apostolato paolino
e dell’autobiografia esemplare, D. Hunn, “Pleasing God or Pleasing People? Defending the Gospel in Galatians 1–2”, in
Biblica 91 (2010) 24-49 ignora del tutto il filo conduttore della “grazia” che attraversa la sezione e ne favorisce la
prospettiva esemplare. Come possa poi l’evangelo essere difeso se riscontra la sua origine in un evento rivelativo e
quindi non verificabile, se non per gli effetti, è un ostacolo così rilevante che D. Hunn non affronta.
14
Sulle relazioni tra la mimesi di Gal 2,15-21 e l’incidente di Antiochia in Gal 2,11-14 cf. fra gli altri J.-N.
Aletti, Justification by Faith in the Letters of Saint Paul Keys to Interpretation, Studia AnB 5, G&BPress,
Roma 2015, 54-56.
15
A. Vanhoye, Lettera ai Galati. Nuova versione, introduzione e commento, LBNT 8, Paoline, Milano 2000,
68; M. Rastoin, Tarse et Jérusalem. La double culture de l’Apôtre Paul en Galates 3,6–4,7, AnBib 152,
P.I.B., Roma 2003, 45.
l’intero paragrafo di Gal 2,15-21 come propositio o tesi generale della lettera16. A ben vedere i
criteri per identificare la tesi principale della lettera non trovano riscontri nelle proposizioni di Gal
2,16 e di Gal 2,16-2117: queste sono più di natura analettica che prolettica; non sono affatto
semplici, ma complesse dal versante contenutistico; e sono collegate direttamente a Gal 2,14-15 da
cui dipendono18. Tra l’altro sarebbe come annunciare una tesi ancora da dimostrare, che lascerebbe
subito il posto all’apostrofe di Gal 3,1-5 con cui Paolo rimprovera aspramente i destinatari
accusandoli di stoltezza19: il modo più inappropriato per convincere i destinatari a condividere le
proprie scelte. Piuttosto, pur introducendo le tematiche della giustificazione, della fede e della
Legge mosaica, la pericope di Gal 2,15-21 è relazionata più a quanto precede che a ciò che segue.
Mai come in questo caso, è opportuno distinguere un tema da una tesi, poiché anche se una
tesi può contenere una o più tematiche, non tutte le tematiche possono essere scelte come tesi, ma
soltanto quelle che rispondono alla criteriologia della retorica antica e di quella paolina che abbiamo
appena richiamato20. Non a caso l’opzione per Gal 2,16 o per 2,15-21 come tesi generale è
sostenuta da quanti considerano la tematica della giustificazione come centrale nella Lettera ai
Galati21, mentre a nostro avviso è funzionale a quella della filiazione divina, come segnaleremo fra
poco. In questa prospettiva si comprende l’esemplarità della mimesi di Paolo in Gal 2,15-21: egli
che è passato dalla Legge alla grazia (senza che quella sia considerata abrogata) dovrebbe indurre i
Galati a non transitare dalla grazia alla Legge e alla circoncisione. In tal caso Gesù Cristo sarebbe
morto invano!
La terza parte di Gal 2,16-21 vede il passaggio dalla mimesi retorica, che collega la pericope
all’evento di Antiochia (vv. 17-18), alla mimesi personale che relaziona Cristo a Paolo e ai credenti.
La complessa proposizione di Gal 2,19-20 vale per chi, come Cristo, è morto alla Legge mediante la
Legge stessa (e non a causa di essa) e vive per Dio (cf. Rm 6,7-11). Con la riproduzione della vita
di Cristo in Paolo si verifica lo stesso processo: si muore alla Legge che non ha più potere su chi è
morto (cf. Rm 7,1-6), per mezzo della Legge secondo la quale “maledetto chi pende dal legno” (cf.
Gal 3,13 con la citazione di Dt 21,23). Tuttavia l’ ἐγώ di Gal 2,19-20 è non soltanto autobiografico:
estende i suoi orizzonti a tutti i credenti in Cristo che, mediante lo Spirito, sperimentano la vita di
Cristo in loro. In tal modo la mimesi antropologica si esprime nella sua dimensione massima: a

16
Su Gal 2,15-21 come propositio principale della lettera cf. il commentario pionieristico dal versante retorico di H.D.
Betz, Galatians. A Commentary on Paul’s Letter to the Churches in Galatia, Hermeneia, Fortress Press, Philadelphia
1979,113-114; e in seguito P.C. Onwuka, The Law, Redemption and Freedom in Christ, An Exegetical-Theological
Study of Galatians 3,10-14 and Romans 7,1-6, TG ST 156, P.U.G., Roma 2007. Fra quanti hanno criticato in dettaglio
la proposta di Betz cf. P.H. Kern, Rhetoric and Galatians. Assessing an Approach to Paul’s Epistle, SNTS MS 101,
University Press, Cambridge 2004, 106-109.
17
Si deve a J.-N. Aletti, l’importanza delle propositiones retoriche nelle lettere paoline. Cf. J.-N. Aletti, “La présence
d’un modèle rhétorique en Romains: Son rôle et son importance”, in Bib 71 (1990) 1-24; Id., “La dispositio rhétorique
dans les épîtres pauliniennes. Propositions de méthode”, in NTS 38 (1992) 385-401.
18
Purtroppo anche l’ultima edizione critica di Nestle-Aland28, Novum Testamentum Graece, Deutsche
Bibelgesellschaft, Stuttgart 2012, 581 continua a porre un punto in alto tra Gal 2,15 e Gal 2,16 lasciando sospeso il v.
15 come un anacoluto o ellittico del verbo, mentre una semplice virgola rende fluido e naturale il passaggio fra i due
versetti. Il testo che ne consegue dovrebbe essere il seguente: 15 ἡμεῖς φύσει Ἰουδαῖοι καὶ οὐκ ἐξ ἐθνῶν ἁμαρτωλοί, 16
εἰδότες [δὲ] ὅτι οὐ δικαιοῦται ἄνθρωπος ἐξ ἔργων νόμου… (Noi per natura Giudei e non da gentili peccatori, sapendo
però che non è giustificato uomo dalle opere della Legge…). Nella sua traduzione e nella delimitazione della pericope
anche Buscemi, Galati, 196-197 considera unitaria la pericope di Gal 2,14b-21.
19
L’apostrofe di Gal 3,1-5 si collega a quella iniziale di Gal 1,6-10 e alla successiva di Gal 4,7-11; e come le altre
apostrofi dal versante retorico ha la funzione di creare uno stacco rispetto a quanto precede e d’introdurre la sezione
successiva della lettera. Sulla funzione introduttiva di Gal 3,1-5 (-6) rispetto a quanto segue cf. fra gli altri D.J. Moo,
Galatians, Baker Academic, Grand Rapids 2013, 180-181.
20
Dopo un quarantennio di studi improntati alla retorica-letteraria, sui criteri per identificare una o più propositiones
nelle lettere paoline torneremo con A. Pitta, “Form and Content of the Propositio in Pauline Letters: The case of Rom
5.1-8.39”, in RB p.v.
21
Nonostante l’ormai nota New Perspective proposta da J.D.G. Dunn ed N.T. Wright sulla separazione o la
partecipazione nel popolo dell’alleanza, la centralità della giustificazione per la fede contro le opere (e non solo della
Legge) è stata riproposta da M.C. de Boer, Galatians. A Commentary, WJK, Louisville 2011, 139 e Moo, Galatians,
157-158.
causa dell’amore di Cristo, la sua vita di risorto prosegue in quella di Paolo e di quanti considerano
la vita presente come situazione di morte alla Legge mediante la Legge.
L’impatto sui destinatari della lettera è dirompente: se i credenti in Cristo di origine giudaica
(come Pietro e Paolo) sono morti alla Legge, quanto più quelli di origine gentile, come appunto i
Galati, dovrebbero considerarsi al di fuori dell’economia della Legge e della circoncisione, ma
soltanto in quella della grazia e della fede in Cristo. Collocata idealmente nel contesto dell’incidente
di Antiochia, la mimesi retorica e antropologica di Gal 2,15-21 si rivolge e interpella i credenti della
Galazia sulle scelte che stanno per compiere nel loro percorso di fede.

2. La mimesi di Abramo e della sua storia (Gal 3,6-7; 4,29-31)


Il secondo apporto della mimesi nella Lettera ai Galati si verifica all’inizio della seconda
dimostrazione di Gal 3,1–4,7: Καθὼς Ἀβραὰμ ἐπίστευσεν τῷ θεῷ, καὶ ἐλογίσθη αὐτῷ εἰς
δικαιοσύνην· γινώσκετε ἄρα ὅτι οἱ ἐκ πίστεως, οὗτοι υἱοί εἰσιν Ἀβραάμ (Gal 3,6-7). Riteniamo che
la proposizione di Gal 3,6-7 costituisca la tesi contenutistica principale della lettera, che specifica
quella generale di Gal 1,11-12 sull’origine divina dell’evangelo paolino. In pratica Paolo intende
dimostrare che come e poiché Abramo credette a Dio e gli fu accreditato per la giustizia, così coloro
che provengono dalla fede sono figli di Abramo.
La natura consequenziale e conclusiva della particella ἄρα in Gal 3,7 ha un’importante
funzione deittica22, poiché segnala il punto su cui si concentra l’attenzione di Paolo: dimostrare che
si diventa figli di Abramo (e di Dio) per la fede. Ed è per questa consequenzialità che la giustizia è
accredita ad Abramo e alla sua discendenza. Dunque la giustizia/giustificazione è funzionale alla
figliolanza abramitica o divina e non il contrario. Da questo punto di vista la tesi contenutistica
principale di Galati è diversa da quella successiva della Lettera ai Romani (cf. Rm 1,16-17), dove la
figliolanza abramitica (cf. Rm 4,1-25 con l’ampia spiegazione di Gen 15,6) o divina è funzionale
all’universale giustificazione per la salvezza di chiunque crede.
La mimesi umana in Gal 3,6-7 risalta per il duplice significato che la congiunzione καθώς
svolge in Gal 3,6: denota non un semplice paragone (“come”) o un confronto, ma assume nel
contempo funzione causale (“poiché”). Possiamo asserire che come e poiché la fede di Abramo è
l’unica condizione per accreditare la giustizia, così si diventa figli di Abramo poiché si segue nella
traiettoria della sua fede. Se si diventa figli di Abramo seguendo il tracciato della sua fede, egli
diventa prototipo della discendenza divina per la fede e non per la semplice generazione o
appartenenza etnica23.
Su tale funzione della mimesi di Abramo in Galati è opportuno precisare che Paolo dimostra
l’economia della fede non contrapponendola alla Legge mosaica, bensì interpretandola secondo il
paradigma della Legge e con la Scrittura alla mano. Di fatto la citazione indiretta di Gen 15,6 in Gal
3,6 precede e non segue sia la norma sulla circoncisione (cf. Gen 17,15-27), sia la promulgazione
della Legge, che sopraggiunge 430 anni dopo la promessa divina fatta ad Abramo (cf. Gal 3,17). Se
la Legge non è contro le promesse è perché non appartiene al suo statuto conferire la vita (cf. Gal
3,21), ma a Dio con le sue promesse; prima fra tutte “la promessa dello Spirito” o lo Spirito
promesso (genitivo epesegetico, in Gal 3,14) che estende la benedizione di Abramo ai gentili.
La funzione esemplare della vicenda di Abramo prosegue a proposito della sua discendenza,
in Gal 4,21–5,1 puntando l’attenzione su due forme di figliolanza: quella della schiava e quella
della libera (cf. Gal 4,22). Nella parte conclusiva del paragrafo risalta una nuova forma di mimesi

22
Come al solito, Paolo tende a non rispettare le funzioni delle congiunzioni e delle particelle nella sintassi greca. In tal
caso mentre ci si attenderebbe la congiunzione οὖν (dunque) ricorre alla particella ἄρα (pertanto) che dimostra come
avesse premura di trarre subito una conclusione perentoria dalla citazione diretta di Gen 15,6 riportata in Gal 3,6.
23
Aspetto rimarcato da S. Butticaz, “Vers une anthropologie universelle? La crise galate: fragile gestion de l’ethnicité
juive”, in NTS 61 (2015) 514 : “La fidélité du patriarche n’est pas générative. En clair : le patriarche n’est pas
premièrement présenté dans sa fonction d’ancêtre des Judéens, mais comme un modèle de foi en analogie duquel sont
situés les croyants de Galatie !”.
umana: ἀλλ᾽ ὥσπερ τότε ὁ κατὰ σάρκα γεννηθεὶς ἐδίωκεν τὸν κατὰ πνεῦμα, οὕτως καὶ νῦν. ἀλλὰ τί
λέγει ἡ γραφή; ἔκβαλε τὴν παιδίσκην καὶ τὸν υἱὸν αὐτῆς· οὐ γὰρ μὴ κληρονομήσει ὁ υἱὸς τῆς
παιδίσκης μετὰ τοῦ υἱοῦ τῆς ἐλευθέρας. διό, ἀδελφοί, οὐκ ἐσμὲν παιδίσκης τέκνα ἀλλὰ τῆς
ἐλευθέρας (Gal 4,29-31). Ora la mimesi umana assume un duplice dinamismo: quello negativo del
figlio secondo la carne che perseguitava e continua a perseguitare il figlio secondo lo Spirito (v.
29); e quello positivo dei credenti in Cristo che sono diventati figli secondo Isacco e sono figli della
libera (vv. 28.31). Così Paolo rilegge la storia di Isacco e d’Ismaele per applicarla, oltre il tempo, ai
credenti in Cristo.
Anche in questo caso si ripete la storia della salvezza per evidenziare che in vista della
realizzazione della promessa abramitica sono possibili non due tipi di figliolanza, ma c’è soltanto la
figliolanza di chi, come Isacco, è libero poiché è figlio della libera. L’impatto della mimesi umana
di Gal 4,21–5,1 sui destinatari è incisivo: per la libertà sono stati liberati da Cristo e non possono
sottomettersi al giogo della schiavitù (cf. Gal 5,1). L’insistenza sui due tipi di figliolanza abramitica
– della schiava e della libera – è il tratto della mimesi umana che maggiormente risalta in Gal 4,21–
5,1 e veicola la modalità allegorica con cui Paolo rilegge la storia della salvezza in funzione dei
destinatari della lettera.

3. L’identità condivisa (Gal 4,12-20)

Tra le due fasi della storia di Abramo e della sua famiglia (Gal 3,1–4,7; 4,21–5,1) è
collocato l’excursus di Gal 4,12-20, dedicato al racconto della prima evangelizzazione di Paolo in
Galazia. Così introduce il paragrafo autobiografico di Gal 4,12-20: Γίνεσθε ὡς ἐγώ, ὅτι κἀγὼ ὡς
ὑμεῖς, ἀδελφοί, δέομαι ὑμῶν. οὐδέν με ἠδικήσατε (v. 12). Spesso la proposizione è stata interpretata
nel paradigma del de amicitia24. Il modello può essere sostenuto, ma a nostro parere, andrebbe
inquadrato in quello della genitorialità paolina, che è dominante25: τέκνα μου, οὓς πάλιν ὠδίνω
μέχρις οὗ μορφωθῇ Χριστὸς ἐν ὑμῖν (Gal 4,19). Secondo il paradigma della maternità, Paolo
considera suoi figli i Galati, per i quali è disposto a soffrire di nuovo le fasi della gestazione
affinché Cristo sia formato in loro.
Fra le due proposizioni di Gal 4,12 e 4,19 si delinea il modello della mimesi antropologica o
umana tra Paolo e i Galati26. Da una parte l’Apostolo è diventato come i destinatari poiché li ha
evangelizzati gratuitamente, senza chiedere alcuna sottomissione alla Legge; dall’altra i Galati sono
diventati come lui perché sono “in Cristo” soltanto per l’adesione della fede, senza ricorrere alla
Legge e alla circoncisione. Alla proposizione di Gal 4,12 si può applicare quanto Paolo comunica ai
Corinzi: τοῖς ἀνόμοις ὡς ἄνομος, μὴ ὢν ἄνομος θεοῦ ἀλλ᾽ ἔννομος Χριστοῦ, ἵνα κερδάνω τοὺς
ἀνόμους (1Cor 9,21).
L’evocazione della genitorialità paolina dimostra, nuovamente, che la mimesi umana non
scaturisce dall’autorità di chi domanda di essere imitato, bensì dalla conformità o dall’affinità
elettiva tra il modello, il processo imitativo e il destinatario. I Galati sono esortati a imitare Paolo
non per la sua autorità di apostolo, pur presente quando si è trattato di rimproverarli (cf. Gal 3,1-
5)27, ma per l’intimità genitoriale che si è stabilita fra loro in occasione della sua prima
evangelizzazione in Galazia.

24
Betz, Galatians, 221; A.M. Buscemi, “Gal 4,12-20: un argomento di amicizia”, in LA 34 (1984) 72-88; Id., Galati,
412-413.
25
1Ts 2,7-8.11; 1Cor 3,1-2; 4,15.17; 2Cor 6,13; Fm 10-12; Fil 2,22; Ef 4,14; 1Tm 4,5; 2Tm 2,1-2. Per una visione
sinottica della genitorialità paolina cf. A. Pitta (coll. F. Filannino - A. Landi), Sinossi paolina bilingue, San Paolo,
Cinisello Balsamo 2013, 292-293.
26
Tratto segnalato già da A. Vanhoye, Galati, 115.
27
Sulla natura e la funzione dell’autorità apostolica di Paolo cf. J.H. Schütz, Paolo e l’anatomia dell’autorità
apostolica, Paideia, Brescia 2011 (orig. ingl. 2007), che tra l’altro dedica particolare attenzione all’autorità apostolica di
Paolo in Gal 1–2.
Paradossale, ma molto espressiva, è la metafora evocata in Gal 4,19. Di per sé chi forma nel
proprio corpo un figlio soffre le doglie del parto. Invece ora, mentre i Galati sono chiamati a
formare Cristo in loro, è Paolo stesso a soffrire come una madre per le doglie della gestazione.
Risalta, in tal modo, la profonda intimità tra Paolo e i destinatari, nonostante sia rimasto per pochi
mesi in Galazia28 (tra il 49 e il 52 d.C.): un’intimità dovuta alla formazione di Cristo in loro e,
ancora una volta, non soltanto a sentimenti di amicizia (per quanto profondi!) tra Paolo e i Galati.
Nel paradigma della imitatio Pauli assume particolare rilevanza il linguaggio dello “zelo” in
Gal 4,17-18: ζηλοῦσιν ὑμᾶς οὐ καλῶς, ἀλλὰ ἐκκλεῖσαι ὑμᾶς θέλουσιν, ἵνα αὐτοὺς ζηλοῦτε· καλὸν
δὲ ζηλοῦσθαι ἐν καλῷ πάντοτε καὶ μὴ μόνον ἐν τῷ παρεῖναί με πρὸς ὑμᾶς. Più che alludere a una
semplice gelosia, con valore negativo per gli avversari e positivo per la relazione tra Paolo e i
Galati, il verbo può essere ben inteso nel contesto dell’emulazione o del processo imitativo tra il
genitore e i propri figli29. La proposizione è costruita con il gioco linguistico dell’antanaclasi o della
ripercussione retorica: mentre gli avversari cercano (ζηλοῦσιν) i Galati non per il bene, ma per
escluderli (dal bene), affinché imitino il loro modo d’intendere la relazione tra Cristo e la Legge,
Paolo li rimprovera perché non lo imitano (ζηλοῦσθαι) per il bene, né continuano a imitarlo da
quando non è più presente in Galazia.

4. Conclusione

Altrove abbiamo precisato che la mimesi umana emerge soprattutto in condizioni di


minaccia o di pericolo per la propria identità culturale e religiosa30. La lettera ai Galati è dettata da
Paolo in situazioni di pericolo per il suo evangelo fra le comunità cristiane fondate in Galazia. I
destinatari stanno per passare a un vangelo alternativo al suo, che non può neanche dirsi tale (cf.
Gal 1,6-7), rischiando di vanificare la prima evangelizzazione di Paolo (cf. Gal 4,11) e il suo
contenuto incentrato sulla portata salvifica della morte e risurrezione di Cristo (cf. Gal 2,21).
Nonostante la carenza del linguaggio tipico della mimesi, nella Lettera ai Galati abbiamo
riscontrato tre segmenti della mimesi: in quanto rappresentazione di un evento passato (l’incidente
di Antiochia), attualizzato per suscitare l’esemplarità nei destinatari (cf. Gal 2,15-21); come
imitazione riproduttiva di Abramo e della sua discendenza (cf. Gal 3,5-6; 4,28-31); e come
emulazione o “zelo” per l’identità cristiana condivisa tra Paolo e i destinatari della lettera (cf. Gal
4,12-20). I tre segmenti che abbiamo evidenziato partono dal passato (l’incidente di Antiochia; la
storia di Abramo e della sua discendenza; e la prima evangelizzazione di Paolo in Galazia) per
attualizzarsi nel presente e indurre i Galati alla mimesi di Paolo e del suo evangelo. In tal modo
l’evangelo si riproduce in contesti diversi, assumendo nuovi tratti di originalità che non tradiscono
la mimesi originaria, ma la rendono vitale per i valori che comunica.
La sequela di Gesù, tipica della sua vita pubblica e delle relazioni con i suoi discepoli, si
trasforma in processo imitativo nelle prime comunità cristiane. Principale artefice per tale processo
è Paolo che reinterpreta la relazione con Cristo come mimesi nelle differenze31. La mimesi
argomentativa o artistica si declina con quella umana o antropologica; anzi è in funzione di
quest’ultima che Paolo rilegge il passato prossimo e remoto per recuperare le relazioni minacciate
con le comunità della Galazia. L’evangelo si diffonde per originale e intima imitazione di chi
condivide la stessa identità credente.

28
Sulla prima evangelizzazione della Galazia condividiamo la posizione classica: si verificò in occasione del secondo
viaggio missionario: tra il 49 e il 52 d.C., mentre la Lettera ai Galati fu inviata tra il 56 e il 57 d.C. da Corinto o da
Efeso.
29
Sul paradigma dell’emulazione o dell’imitazione zelante cf. B.J. Lappenga, “Misdirected Emulation and Paradoxical
Zeal: Paul’s Redefinition of ‘the Good’ as Object of ζῆλος in Galatians 4,12-20”, in JBL 131 (2012) 775-796.
30
Pitta, “Mimesi delle differenze nella Lettera ai Filippesi”, 360-370.
31
Tratto ben evidenziato da tempo da H.D. Betz, Nachfolge und Nachahmung Jesu Christi im Neuen Testament, Mohr
Siebeck, Tübingen 1967.
Antonio Pitta
Pontificia Università Lateranense
antoniopittaa@libero.it
Roma

Abstract

Il linguaggio esplicito della mimesi argomentativa e antropologica manca nella Lettera ai


Galati. Tuttavia, vi si riscontrano in modo implicito tre momenti topici in cui Paolo ricorre a
entrambe le forme di mimesi. In Gal 2,15-21 la mimesi o la rappresentazione del discorso tenuto da
Paolo in occasione dell’incidente di Antiochia serve a evidenziare che l’intera autobiografia di Gal
1,13–2,21 si propone d’indurre i Galati a imitare Paolo nell’adesione alla grazia di Dio. In Gal 3,5-6
e 4,28-31 subentra la mimesi della storia di Abramo e la sua discendenza per dimostrare che si
diventa figli di Abramo seguendo la stessa fede e non per mezzo della Legge mosaica e la
circoncisione. In Gal 4,12-20 Paolo ricorda la prima evangelizzazione in Galazia per esortare i
Galati a seguire il suo esempio non soltanto quando era presente fra loro, ma anche quando è
assente e di fronte alle seduzioni dei suoi avversari. In situazioni di pericolo per i valori che
caratterizzano la propria identità religiosa, come l’evangelo, la grazia e la libertà, soltanto la
mimesi, intesa come riproduzione originale del modello da imitare, permette la loro trasmissione.

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