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Tra tutte le loas di Salazar y Torres, questa è in assoluto la più lunga. Si struttura,
come abbiamo visto, come una sequenza di scene che aumentano progressivamente il
numero di personaggi presenti sul palcoscenico: una struttura che si ritrova in tutte le altre
loas dell'autore. Tuttavia, l'azione drammatica (intesa come dinamica di forze alleate e/o
contrastanti che modifica una situazione data)9 è praticamente inesistente: l'unico
embrione di azione consiste nella disputa tra Día e Edad, arbitrata da Alegría.
Questo schema, in cui alla disputa tra due o più personaggi allegorici segue
l'intervento di un terzo personaggio, che svolge la funzione di arbitro, si ritrova in quasi
tutte le altre loas cortigiane di Salazar y Torres. Nella loa per También se ama en el
abismo (1670) sono il Merito e la Fortuna a disputarsi l'onore dei festeggiamenti,
riconosciuto poi ad entrambi dalla figura arbitrale che è qui la Spagna. Nella loa per Los
juegos olímpicos (1673) sono Aurora, Zenit e Sera a disputarsi la ghirlanda festiva, che
verrà infine attribuita al Giorno, arbitro della disputa e figura che riassume in sé i meriti
dei tre contendenti. Nella loa per El Mérito es la corona (1674) la disputa si accende tra
i quattro elementi e le rispettive quattro divinità (Giove, Giunone, Venere e Cibele), e
l'arbitro sarà Amore. Nella loa per El encanto es la hermosura (1675) contendono Cielo
e Terra ma riescono ad accordarsi senza necessità dell'intervento di un terzo.
Si è detto, a ragione, che questo schema drammatico riflette le esigenze della musica,
in quanto la contesa fra due o più personaggi permette l'introduzione di un contrappunto
musicale a due o più voci10. Non a caso, ognuno dei personaggi allegorici che partecipa
alla disputa canta e spesso è a sua volta accompagnato e sostenuto da un intero coro: ce
lo dicono le didascalie di scena, sebbene, per quel che riguarda le commedie di Salazar y
Torres, la musica di accompagnamento sia andata perduta.
Tuttavia, a me pare che questa elementare impalcatura drammatica abbia anche
un'altra importante motivazione, di carattere fondamentalmente ideologico. A ben
vedere, infatti, la funzione del personaggio-arbitro che risolve in concordia la discordia è
la stessa del monarca: questi, nella visione panegirica della festa di Corte, è l'arbitro dei
destini del Paese e il garante di una concordia armoniosa tra le sue varie componenti. Si
tratta ovviamente di una visione fortemente edulcorata della dialettica storica; lo dimostra
tra l'altro il fatto che le dispute che si mettono in scena in queste loas festive non nascano
mai da una vera contrapposizione di idee e di intenti. I personaggi sono tutti d'accordo
nel celebrare le glorie della monarchia, e quello che si contendono è soltanto il privilegio
della celebrazione.
La contesa non può avere quindi alcun rilievo sul piano dell'azione; lo avrà invece
sul piano del discorso, poiché stimolerà ciascuno dei personaggi che partecipano alla
disputa a un esercizio di bravura retorica. Ognuno deve infatti argomentare come meglio
sa e può, in favore del suo maggior diritto a partecipare alla celebrazione. L'isotopia
dominante ed esclusiva di queste argomentazioni è dunque, sempre e comunque, quella
del panegirico, quanto più concettoso e iperbolico possibile. La stessa isotopia organizza
gli interventi di tutti gli altri personaggi che successivamente entrano in scena, anche di
quelli che non partecipano direttamente alla disputa fittizia.
Di conseguenza, il linguaggio si mantiene sempre su un registro serio; lo stile si
colloca palesemente a un livello elevato, mutuando alcuni tra i ricorsi più tipici della
poesia lirica dell'epoca. Abbondano in particolare metafore, giochi di parole, strutture
correlative, parallelismi e chiasmi, iperboli, antitesi... insomma tutto l'arsenale retorico
che caratterizza le espressioni poetiche delle feste barocche11. Non esiste un registro
comico, colloquiale, lo stile medio è bandito; mancano del tutto personaggi assimilabili
al gracioso.
È questa una evidente conseguenza della circostanza di rappresentazione delle loas.
Infatti le situazioni e i personaggi comici non mancano in altre due loas conservate di
Salazar y Torres: la loa per la commedia El amor más desgraciado, Céfalo y Pocris, e la
loa per la commedia La mejor flor de Sicilia Santa Rosolea. La prima fu pensata per una
festa privata, organizzata dai duchi di Alburquerque; la seconda precedeva una
rappresentazione religiosa (dunque non festiva né di Corte) e fu scritta per la compagnia
di Félix Pascual, che «entró a representar con ella en Madrid». Si tratta dunque di una
tipica loa di apertura di stagione, che mette in scena, presentandoli, tutti gli attori della
compagnia teatrale.
In questi due testi, trovano spazio anche alcuni fra i principali luoghi comuni che
caratterizzavano alle sue origini il genere loa, come la richiesta del silenzio o il topos
della laus urbis, cioè la lode della città nella quale la compagnia tiene le sue
rappresentazioni. Notiamo anche, per contrasto con le loas cortigiane, la scarsa
importanza che assume la componente musicale, e l'assenza di elementi coreografici
come balli e cori danzanti. Inoltre, e d'accordo con la diversa circostanza di
rappresentazione, queste due loas non necessitano di attrezzature particolari per la loro
messa in scena.
In realtà, neanche la loa per la commedia Elegir al enemigo, probabilmente la prima
che Salazar y Torres scrisse per una festa di Corte, si serve di questi meccanismi; la minor
complessità scenografica si supplisce però con una grande ricchezza musicale e
coreografica che manca alle due loas non cortigiane del nostro autore. Col passare degli
anni, tuttavia, Salazar y Torres sembra più incline a servirsi, per la messa in scena delle
sue loas cortigiane, dei macchinari che il teatro di palazzo poteva mettergli a
disposizione.
Tra tutti questi macchinari, il drammaturgo si serve soltanto di quello che gli
consente il movimento degli attori dall'alto verso il basso e viceversa (il cosiddetto
pescante). Inoltre, lo utilizza soltanto nelle scene di apertura della loa, quando un numero
variabile di personaggi allegorici (da un minimo di uno a un massimo di sei) sale verso
l'alto o scende sui palcoscenico. Spesso, in questo movimento, i personaggi hanno il
compito di aprire il sipario. Altre volte il sipario si apre da solo e in modo più complicato,
come nella loa che precede El mérito es la corona (1674). Il sipario qui è composto da
finte nuvole che si aprono una ad una mentre dall'alto scende l'Aurora che sparge intorno
a sé fiori ed uccelli. L'Aurora poi risale mentre scendono al centro Amore, e ai lati Giove,
Giunone, Cibele e Venere; contemporaneamente, dalle quinte escono quattro cori, uno
con torce, uno con giunchi, uno con mazzi di fiori, uno con cappelli di piume12.
È questo il massimo di complicazione scenica che possiamo trovare nelle loas di
Salazar y Torres; non moltissimo, peraltro, a confronto con la ricchezza e fastosità
scenografica che avevano sfoggiato Solís e Calderón già nel decennio precedente. Le loas
composte da questi autori prevedevano infatti sipari di diversi colori, l'apparizione in
scena di emblemi statici o animati (automi o statue con lemmi latini e castigliani), fondali
prospettici, e il movimento in senso verticale dei personaggi non solo all'inizio ma per
tutta la durata della loa13. Sulla base delle indicazioni contenute nei testi a noi pervenuti,
mi sembra quindi di poter concludere che per Salazar y Torres le componenti più
importanti di una loa cortigiana sono l'espressione verbale, musicale e coreografica;
meno importanti appaiono invece lo sfarzo e la complicazione scenografica, cara a tanti
suoi contemporanei.
3. Vorrei ora tornare per un momento a soffermarmi sui tratti peculiari che
caratterizzano la loa cortigiana, quale si presenta nel teatro di Salazar y Torres. Vorrei
infatti chiarire quali sono gli elementi che questo tipo di loa eredita dalla tradizione
propria del genere, e quali invece sono elementi nuovi, che si discostano dalla tradizione.
Consideriamo, innanzitutto, l'assenza di una azione drammatica vera e propria. Si
tratta di un dato tipico del genere: la loa, fin dalle sue origini, non è pensata come brano
teatrale che mette in scena una storia, quanto piuttosto come un vero e proprio discorso
retorico che funga da esordio alla commedia. Con questo, non voglio certo negare alla
loa il suo statuto di genere teatrale; elementi pienamente teatrali sono infatti -fin dai primi
esemplari del genere- la circostanza della recitazione, il necessario ricorso alla gestualità
dell'attore, ed eventualmente a un suo travestimento. Voglio solo sottolineare come, nella
loa, non accada mai nulla, a differenza di quanto avviene nella commedia e in un altro
genere del cosiddetto teatro breve, l'entremés. Nella loa, eventualmente, si «raccontano»
brevi storielle ed aneddoti, ma non si «rappresentano».
Lo stesso possiamo dire della loa cortigiana, da cui peraltro sono banditi anche
storielle ed aneddoti perché il panegirico esclude, come abbiamo già detto, tutte le forme
tradizionali di comicità e di intrattenimento. Peraltro, nella loa cortigiana, non c'è più
come nelle prime loas un solo attore, che può valersi solo della sua abilità di recitazione
e al massimo di uno strumento musicale. Gli attori, come abbiamo già notato, sono molti,
riccamente vestiti, accompagnati da una musica di tipo orchestrale, e spesso neanche
entrano in scena sui loro piedi, ma volteggiando in aria. Questi attori tuttavia -come è
tipico della loa- non danno vita a una azione drammatica: non «fanno» nulla, «parlano»
soltanto. Una conferma dell'assenza di azione la si può vedere schematizzando il
movimento scenico: gli attori entrano tutti in scena uno dietro l'altro, in una sorta di
struttura a telescopio per cui il palcoscenico si riempie sempre di più, fino al Tutti finale
danzato e cantato, senza svuotarsi mai. È del tutto assente la dinamica entrate/uscite che
caratterizza il movimento scenico di un'azione drammatica. Il palcoscenico pieno di
personaggi che stanno fermi può dare un effetto di staticità eccessiva? Vi si pone rimedio
con i movimenti della danza.
Si tratta dunque -come alle origini della loa- di un teatro essenzialmente statico, di
parola, non di azione. La parola ha però ora finalità completamente diverse. Non serve
più, come nei primi testi del genere, a chiedere attenzione e rispetto: si dà infatti per
scontato che il pubblico di Corte sia ben diverso dal pubblico eterogeneo e irrequieto dei
corrales. Non serve più neanche a divertire, per le stesse ragioni. Deve solo lodare: si
amplifica quindi, fino ad invadere tutto il testo, quella funzione epidittica che la loa aveva
avuto fin dalle sue origini, quando, per conquistarsi la benevolenza del pubblico, gli
rivolgeva lodi ora più ora meno concettose. Oltre alla parola, poi, nella loa cortigiana
acquistano un'importanza straordinaria i segni iconici, che devono suscitare meraviglia e
ammirazione. Il personaggio della loa non solo parla, ma «si mostra», e spesso usa la
parola per spiegare ciò che può non risultare chiaro con la semplice ostensione di sé: in
una parola, «si spiega».
Mi sembra che a questo punto si imponga una ulteriore riflessione. Alcuni tratti
costitutivi del modello della loa cortigiana, quale ci appare dalle loa di Salazar y Torres,
sono indubbiamente affini a elementi tradizionali del genere. È come però se questi
elementi tradizionali fossero stati deformati e ingigantiti, a tal punto che ci viene davvero
da chiederci se questa loa cortigiana sia assimilabile, strutturalmente, alla loa che ha
accompagnato i primi decenni della Comedia Nueva.
E se il modello della loa cortigiana fosse un altro? Se il modello fossero le
manifestazioni parateatrali della festa barocca, primo fra tutti il «carro» festivo? 14 La
messa in scena spettacolare, il gran numero di attori, la presenza di personaggi allegorici
o mitologici, la musica... sono tutti elementi tipici del gusto cortigiano per il fasto teatrale.
Un gusto che non è una novità del XVII secolo, ma che al contrario viene da lontano: dai
primi esperimenti di un teatro di Corte, dalle prime testimonianze di manifestazioni
festive cortigiane nel '50015. E la profluvie di personaggi che commentano e spiegano il
proprio carattere allegorico? Non ci ricordano la voga degli emblemi non solo nella
letteratura, ma anche e soprattutto nelle feste barocche? E le dispute fittizie tra i
personaggi delle loas di Salazar y Torres, non ci ricordano le justas poetiche delle feste
barocche? Anche nel nostro caso si tratta di dibattiti puramente retorici, in cui le posizioni
a confronto non sono veramente e seriamente contrapposte.
Ed è infine la stessa ideologia che pervade la loa cortigiana ad essere intrinsecamente
omogenea alla festa barocca. La loa, come la festa, celebra la monarchia e l'ordine sociale
esistente. La loa abbozza una situazione di discordia quasi a scopo apotropaico, per
esaltare poi meglio la concordia di tutti gli elementi dell'universo a lode e gloria della
monarchia. Così la festa propone situazioni di competitività che possano dar sfogo alle
tensioni tra individui e tra classi sociali, per poi assicurare in modo sempre più saldo la
coesione sociale, la concorde accettazione dello statu quo16.