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Teatro breve e feste di palazzo: le

«loas» cortigiane di Agustín de Salazar


y Torres
Fausta Antonucci

Università di Roma III

1. Chiunque abbia studiato storia del teatro, o si interessi comunque di teatro, sa


come siano accreditate e plausibili le ipotesi che vedono, alle radici di questa espressione
fondamentale dell'arte umana, il suo legame con la festa rituale. Un legame -quello fra
teatro e festa- che perdura, più documentato, anche in tempi relativamente più vicini a
noi, nel Medioevo, nel Rinascimento, nell'età barocca: quando le rappresentazioni teatrali
nascevano e si realizzavano nel seno di situazioni festive sia religiose, sia profane. Solo
a partire dal tardo '500 il teatro inizia ad avere, in tutta Europa, una sua fisionomia
autonoma, con la nascita delle prime compagnie di attori professionisti e l'affermarsi di
una stagione teatrale relativamente svincolata dalle ricorrenze festive; il che non esclude
che continui ad essere estremamente forte il legame fra l'esercizio dell'arte teatrale e
alcune ricorrenze festive sia religiose sia profane. Con questo mio intervento vorrei
esplorare un caso particolare dei rapporti fra teatro e festa in questo periodo di transizione:
quello che si stabilisce tra una parte importante del teatro spagnolo del XVII secolo e
situazioni festive che interessavano i regnanti e di riflesso tutta la Corte: nascite,
battesimi, matrimoni, compleanni, onomastici, guarigioni da malattie...
Il collegamento fra teatro e feste di palazzo si stabilisce, nella penisola iberica, già
nel 500: si pensi al rapporto che legava Gil Vicente alla Corte reale portoghese, o a quello
che legava Juan del Encina alla Corte dei duchi d'Alba. Tuttavia, la composizione di opere
teatrali da rappresentare a palazzo in occasione di ricorrenze festive diventa una pratica
abituale e diffusa solo dopo il 1621, a partire cioè dal regno di Filippo IV1. Il
drammaturgo riceve l'incarico di comporre l'opera, che verrà poi rappresentata in uno
spazio teatrale allestito in un ambiente di Corte. Dapprima saranno palcoscenici montati
all'aperto nei giardini di Lerma o di Aranjuez o del Buen Retiro2; poi, dal 1640, si
sfrutteranno le risorse che offre il Coliseo del Buen Retiro, teatro coperto, costruito con
la consulenza dello scenografo italiano Cosimo Lotti, e dotato di un imponente apparato
di macchinari che permettevano una messa in scena estremamente complicata3.
Le commedie composte per queste ricorrenze festive sono dunque decisamente opere
«su commissione»; e portano traccia della circostanza per cui sono state scritte nel
messaggio ideologico che trasmettono, nella tematica utilizzata, nell'impostazione
scenografica pensata per la ricchezza di mezzi che il teatro di Corte poteva offrire.
Tuttavia, i riferimenti circostanziali non sono mai cosi espliciti ed eccessivi da impedire
una ulteriore fruizione dell'opera al di là della circostanza effimera che le ha dato origine.
Tanto è vero che la maggior parte delle commedie composte per feste di corte sono state
in seguito rappresentate più e più volte, anche in circostanze non festive e a distanza di
anni.
Più strettamente connessa alla circostanza festiva è invece quella sorta di
introduzione alla commedia che è la loa. Questo è il nome che si afferma, a partire dagli
ultimi anni del secolo XVI, per indicare ciò che prima si chiamava «prólogo» o
«introito»: un brano recitato da uno degli attori, a volte con accompagnamento musicale,
per conquistare la benevolenza del pubblico con un'accorta mescolanza di lodi e di falsa
modestia, e ottenerne il silenzio necessario allo svolgimento della rappresentazione.
Nel tempo la loa come sottogenere teatrale ha subito molti cambiamenti: dapprima
breve e recitata da un solo attore, poi via sempre più lunga, e spesso recitata da due o più
attori. Un altro cambiamento importante è quello che riguarda il collegamento con la
commedia. L'antico prologo, le primissime loas, nonché le loas composte per
rappresentazioni religiose, erano strettamente connessi all'opera che introducevano.
Invece, alla fine del XVI secolo, con la nascita della Comedia Nueva, nel teatro di corral
di argomento profano, la loa si rende indipendente, tanto da poter essere utilizzata
indifferentemente per questa o quell'opera teatrale4. Nel teatro di Corte, però, la loa torna
ad avere una connessione strettissima non solo con la commedia rappresentata, ma anche
con la circostanza di rappresentazione: è quindi difficile che possa essere riutilizzata in
una rappresentazione successiva o, peggio ancora, come introduzione a una commedia
totalmente diversa da quella per la quale era stata composta. Non a caso, le edizioni coeve
di commedie composte per occasioni festive cortigiane, non sempre riportano, insieme al
testo della commedia, quello della loa; e non si danno neppure casi di pubblicazione
separata e antologica di questo tipo di loas, cosa che invece avveniva nella prima metà
del Seicento per le loas cosiddette «di uso ripetuto», che cioè potevano essere usate per
introdurre qualsiasi commedia di argomento profano5.
Il corpus di loas scritte in occasione di feste di palazzo, soprattutto nella seconda
metà del XVII secolo, e a noi pervenute, è comunque abbastanza ampio, e comprende
testi di Calderón, Solís, Salazar y Torres, Juan Bautista Diamante, Bances Candamo, per
nominare solo alcuni autori tra i più importanti e più fecondi. L'estensione di questo
corpus ha consentito di individuare alcuni tratti ricorrenti che definiscono il carattere
specifico assunto dal genere loa nell'ambito del teatro festivo di Corte. Si tratta di veri e
propri atti unici di una certa estensione, che prevedono la comparsa in scena di numerosi
attori, l'utilizzo di complicati macchinari scenici e di una scenografia spesso altrettanto
complicata, l'intervento di musicisti e di cori di cantanti. Sulla scena appaiono solo
personaggi allegorici o mitologici; il tema è quello della celebrazione della monarchia
nella persona del festeggiato (o della festeggiata)6.
Una volta stabilito questo quadro generale, rimane lo spazio per studiare più da
vicino come ogni singolo drammaturgo attualizzi in modo differente e peculiare le
coordinate che gli servono da codice di riferimento. Ho scelto per questo studio le loas
di Agustín de Salazar y Torres, drammaturgo oggi poco studiato e conosciuto. Un oblio
ingiusto perché la sua produzione teatrale non è indifferente né per qualità né per quantità,
nonostante la sua vita sia stata molto breve, di soli 33 anni (1642-1675). Le sue opere
teatrali verranno pubblicate postume, nel 1681, da Don Juan de Vera Tassis, lo stesso che
pubblicherà poi anche le commedie di Calderón.
Ebbene, in questa edizione delle opere di Salazar y Torres, intitolata Cythara de
Apolo7, ogni commedia -tranne una- è preceduta dalla sua loa. Abbiamo quindi un campo
di osservazione relativamente vasto, comodamente riunito: otto loas, quasi tutte
facilmente databili, comprese tra il 1664 e il 1675, sei delle quali sono state scritte per
rappresentazioni festive di Corte8. Possiamo studiare i caratteri specifici di questi testi
teatrali, e, in special modo, mettere in evidenza quali di questi caratteri sono da ascrivere,
in ultima analisi, non tanto alla particolare occasione festiva per cui è stata scritta l'opera
teatrale, quanto ad alcuni aspetti tipici in generale del modello della festa pubblica
barocca.
2. Le occasioni festive per le quali Agustín de Salazar y Torres compone le sue
commedie -e le relative loas- sono le ricorrenze di compleanno dei regnanti. Al
compimento del terzo e del nono anno di età di Carlo II scrive Elegir al enemigo e
También se ama en el abismo (rappresentate il 6 novembre 1664 e 1670). In quattro
occasioni celebra invece il compleanno della regina madre Mariana de Austria (22
dicembre) con le commedie Thetis y Peleo (1670), Los juegos olímpicos (1673), El mérito
es la corona (1674), El encanto es la hermosura o la segunda Celestina (che Salazar y
Torres iniziò a scrivere nel 1675, e che fu completata da Vera Tassis e rappresentata
postuma nel 1676).
La prima delle loas che ci sono pervenute è dunque quella composta per la commedia
Elegir al enemigo. La riassumo brevemente, in quanto è un buon esempio del modello
cui rispondono tutte le loas di questo autore. Dai due lati opposti del palcoscenico entrano
in scena Edad e Día, vestiti come cacciatori con arco e frecce. Cantano in contrappunto
versi correlativi dai quali si deduce che intendono entrambi celebrare qualche importante
ricorrenza relativa alla monarchia spagnola; ciascuno dei due rivendica per sé l'onore
esclusivo della celebrazione. Quando il confronto verbale sta per degenerare in scontro,
entra in scena Alegría, che espone cantando il motivo della ricorrenza (il terzo
compleanno del principe) e concilia Edad e Día sostenendo il buon diritto di entrambi al
festeggiamento. A dimostrazione di ciò, li esorta a chiamare in scena le quattro parti del
giorno e i quattro continenti, «sudditi» del Día, le quattro stagioni e i quattro elementi,
«sud-iti» della Edad. Uno dopo l'altro, entrano quindi ballando e cantando questi quattro
gruppi di quattro figure allegoriche. Alegría li invita tutti a cantare e a comporre un ballo
figurato, al termine del quale i quattro gruppi si devono scomporre e ricomporre secondo
un altro tipo di affinità: Aurora, Primavera, Europa, Terra; Zenit, Estate, Africa, Fuoco;
Sera, Autunno, Asia e Aria; Notte, Inverno, America e Acqua. Alegría dimostra quindi,
visivamente, che alle quattro parti del giorno corrispondono le quattro stagioni, che ai
quattro continenti corrispondono i quattro elementi, e che dunque l'apparente diversità tra
Edad e Día e fra i quattro gruppi è solo «unión estrecha».
A questa dimostrazione visiva segue una dimostrazione ragionata che punta a
ribadire come tutti i personaggi allegorici in scena abbiano diritto di partecipare al
festeggiamento. I quattro continenti, perché riconoscono tutti la sovranità del monarca
spagnolo; i quattro elementi, perché ciascuno di essi è l'ambiente naturale di uno dei
quattro blasoni imperiali (Leone, Aquila, le colonne d'Ercole con il lemma Plus Ultra, i
fulmini). Ancora più complesso il panegirico concettoso che spiega la solidarietà delle
quattro parti del giorno e delle quattro stagioni nel festeggiamento. La Primavera porta
tre ghirlande di fiori che sono i tre anni del principe, ed è assimilabile all'Aurora, parte
del giorno con la quale si soleva designare per metafora la persona di Mariana de Austria.
L'Estate trionfa nel segno del Leone, durante il quale il Sole (emblema del Re) dà il
massimo del suo calore; parallelamente, lo Zenit ha anch'esso diritto a festeggiare perché
il principe Carlos è nato a mezzogiorno. L'Autunno festeggia perché il principe è nato a
novembre, e la Sera perché porta una stella luminosa che -fuor di metafora- è Margarita,
sorella del principe. L'Inverno, infine, è assimilabile alla Notte, ricca di stelle, che sono
le dame di corte. Ma Alegría interviene cantando: le dame sono vere e proprie divinità, e
la comparazione con le stelle è insufficiente a lodarle. E allora perché Notte e Inverno
dovrebbero avere anch'esse diritto a festeggiare? Ma per un motivo evidente: perché la
commedia che si è apprestata per la festa inizia di notte, con un naufragio causato dalle
tempeste invernali. Tanto è vero che già risuonano in scena, da dietro le quinte, i richiami
e i lamenti dei naufraghi. Ma prima che la commedia abbia inizio, tra il plauso generale,
bisogna ripetere ancora una volta il canto panegirico che ha punteggiato tutta la loa:

Ya, glorioso Carlos,


a tu edad felice
se postran las Horas,
los Años se rinden;
y aun es leve alfombra
a tu tierna planta
África y Europa,
América y Asia;
porque tu dominio
glorioso avasalla
la Tierra y el Fuego,
el Aire y el Agua.

Tra tutte le loas di Salazar y Torres, questa è in assoluto la più lunga. Si struttura,
come abbiamo visto, come una sequenza di scene che aumentano progressivamente il
numero di personaggi presenti sul palcoscenico: una struttura che si ritrova in tutte le altre
loas dell'autore. Tuttavia, l'azione drammatica (intesa come dinamica di forze alleate e/o
contrastanti che modifica una situazione data)9 è praticamente inesistente: l'unico
embrione di azione consiste nella disputa tra Día e Edad, arbitrata da Alegría.
Questo schema, in cui alla disputa tra due o più personaggi allegorici segue
l'intervento di un terzo personaggio, che svolge la funzione di arbitro, si ritrova in quasi
tutte le altre loas cortigiane di Salazar y Torres. Nella loa per También se ama en el
abismo (1670) sono il Merito e la Fortuna a disputarsi l'onore dei festeggiamenti,
riconosciuto poi ad entrambi dalla figura arbitrale che è qui la Spagna. Nella loa per Los
juegos olímpicos (1673) sono Aurora, Zenit e Sera a disputarsi la ghirlanda festiva, che
verrà infine attribuita al Giorno, arbitro della disputa e figura che riassume in sé i meriti
dei tre contendenti. Nella loa per El Mérito es la corona (1674) la disputa si accende tra
i quattro elementi e le rispettive quattro divinità (Giove, Giunone, Venere e Cibele), e
l'arbitro sarà Amore. Nella loa per El encanto es la hermosura (1675) contendono Cielo
e Terra ma riescono ad accordarsi senza necessità dell'intervento di un terzo.
Si è detto, a ragione, che questo schema drammatico riflette le esigenze della musica,
in quanto la contesa fra due o più personaggi permette l'introduzione di un contrappunto
musicale a due o più voci10. Non a caso, ognuno dei personaggi allegorici che partecipa
alla disputa canta e spesso è a sua volta accompagnato e sostenuto da un intero coro: ce
lo dicono le didascalie di scena, sebbene, per quel che riguarda le commedie di Salazar y
Torres, la musica di accompagnamento sia andata perduta.
Tuttavia, a me pare che questa elementare impalcatura drammatica abbia anche
un'altra importante motivazione, di carattere fondamentalmente ideologico. A ben
vedere, infatti, la funzione del personaggio-arbitro che risolve in concordia la discordia è
la stessa del monarca: questi, nella visione panegirica della festa di Corte, è l'arbitro dei
destini del Paese e il garante di una concordia armoniosa tra le sue varie componenti. Si
tratta ovviamente di una visione fortemente edulcorata della dialettica storica; lo dimostra
tra l'altro il fatto che le dispute che si mettono in scena in queste loas festive non nascano
mai da una vera contrapposizione di idee e di intenti. I personaggi sono tutti d'accordo
nel celebrare le glorie della monarchia, e quello che si contendono è soltanto il privilegio
della celebrazione.
La contesa non può avere quindi alcun rilievo sul piano dell'azione; lo avrà invece
sul piano del discorso, poiché stimolerà ciascuno dei personaggi che partecipano alla
disputa a un esercizio di bravura retorica. Ognuno deve infatti argomentare come meglio
sa e può, in favore del suo maggior diritto a partecipare alla celebrazione. L'isotopia
dominante ed esclusiva di queste argomentazioni è dunque, sempre e comunque, quella
del panegirico, quanto più concettoso e iperbolico possibile. La stessa isotopia organizza
gli interventi di tutti gli altri personaggi che successivamente entrano in scena, anche di
quelli che non partecipano direttamente alla disputa fittizia.
Di conseguenza, il linguaggio si mantiene sempre su un registro serio; lo stile si
colloca palesemente a un livello elevato, mutuando alcuni tra i ricorsi più tipici della
poesia lirica dell'epoca. Abbondano in particolare metafore, giochi di parole, strutture
correlative, parallelismi e chiasmi, iperboli, antitesi... insomma tutto l'arsenale retorico
che caratterizza le espressioni poetiche delle feste barocche11. Non esiste un registro
comico, colloquiale, lo stile medio è bandito; mancano del tutto personaggi assimilabili
al gracioso.
È questa una evidente conseguenza della circostanza di rappresentazione delle loas.
Infatti le situazioni e i personaggi comici non mancano in altre due loas conservate di
Salazar y Torres: la loa per la commedia El amor más desgraciado, Céfalo y Pocris, e la
loa per la commedia La mejor flor de Sicilia Santa Rosolea. La prima fu pensata per una
festa privata, organizzata dai duchi di Alburquerque; la seconda precedeva una
rappresentazione religiosa (dunque non festiva né di Corte) e fu scritta per la compagnia
di Félix Pascual, che «entró a representar con ella en Madrid». Si tratta dunque di una
tipica loa di apertura di stagione, che mette in scena, presentandoli, tutti gli attori della
compagnia teatrale.
In questi due testi, trovano spazio anche alcuni fra i principali luoghi comuni che
caratterizzavano alle sue origini il genere loa, come la richiesta del silenzio o il topos
della laus urbis, cioè la lode della città nella quale la compagnia tiene le sue
rappresentazioni. Notiamo anche, per contrasto con le loas cortigiane, la scarsa
importanza che assume la componente musicale, e l'assenza di elementi coreografici
come balli e cori danzanti. Inoltre, e d'accordo con la diversa circostanza di
rappresentazione, queste due loas non necessitano di attrezzature particolari per la loro
messa in scena.
In realtà, neanche la loa per la commedia Elegir al enemigo, probabilmente la prima
che Salazar y Torres scrisse per una festa di Corte, si serve di questi meccanismi; la minor
complessità scenografica si supplisce però con una grande ricchezza musicale e
coreografica che manca alle due loas non cortigiane del nostro autore. Col passare degli
anni, tuttavia, Salazar y Torres sembra più incline a servirsi, per la messa in scena delle
sue loas cortigiane, dei macchinari che il teatro di palazzo poteva mettergli a
disposizione.
Tra tutti questi macchinari, il drammaturgo si serve soltanto di quello che gli
consente il movimento degli attori dall'alto verso il basso e viceversa (il cosiddetto
pescante). Inoltre, lo utilizza soltanto nelle scene di apertura della loa, quando un numero
variabile di personaggi allegorici (da un minimo di uno a un massimo di sei) sale verso
l'alto o scende sui palcoscenico. Spesso, in questo movimento, i personaggi hanno il
compito di aprire il sipario. Altre volte il sipario si apre da solo e in modo più complicato,
come nella loa che precede El mérito es la corona (1674). Il sipario qui è composto da
finte nuvole che si aprono una ad una mentre dall'alto scende l'Aurora che sparge intorno
a sé fiori ed uccelli. L'Aurora poi risale mentre scendono al centro Amore, e ai lati Giove,
Giunone, Cibele e Venere; contemporaneamente, dalle quinte escono quattro cori, uno
con torce, uno con giunchi, uno con mazzi di fiori, uno con cappelli di piume12.
È questo il massimo di complicazione scenica che possiamo trovare nelle loas di
Salazar y Torres; non moltissimo, peraltro, a confronto con la ricchezza e fastosità
scenografica che avevano sfoggiato Solís e Calderón già nel decennio precedente. Le loas
composte da questi autori prevedevano infatti sipari di diversi colori, l'apparizione in
scena di emblemi statici o animati (automi o statue con lemmi latini e castigliani), fondali
prospettici, e il movimento in senso verticale dei personaggi non solo all'inizio ma per
tutta la durata della loa13. Sulla base delle indicazioni contenute nei testi a noi pervenuti,
mi sembra quindi di poter concludere che per Salazar y Torres le componenti più
importanti di una loa cortigiana sono l'espressione verbale, musicale e coreografica;
meno importanti appaiono invece lo sfarzo e la complicazione scenografica, cara a tanti
suoi contemporanei.
3. Vorrei ora tornare per un momento a soffermarmi sui tratti peculiari che
caratterizzano la loa cortigiana, quale si presenta nel teatro di Salazar y Torres. Vorrei
infatti chiarire quali sono gli elementi che questo tipo di loa eredita dalla tradizione
propria del genere, e quali invece sono elementi nuovi, che si discostano dalla tradizione.
Consideriamo, innanzitutto, l'assenza di una azione drammatica vera e propria. Si
tratta di un dato tipico del genere: la loa, fin dalle sue origini, non è pensata come brano
teatrale che mette in scena una storia, quanto piuttosto come un vero e proprio discorso
retorico che funga da esordio alla commedia. Con questo, non voglio certo negare alla
loa il suo statuto di genere teatrale; elementi pienamente teatrali sono infatti -fin dai primi
esemplari del genere- la circostanza della recitazione, il necessario ricorso alla gestualità
dell'attore, ed eventualmente a un suo travestimento. Voglio solo sottolineare come, nella
loa, non accada mai nulla, a differenza di quanto avviene nella commedia e in un altro
genere del cosiddetto teatro breve, l'entremés. Nella loa, eventualmente, si «raccontano»
brevi storielle ed aneddoti, ma non si «rappresentano».
Lo stesso possiamo dire della loa cortigiana, da cui peraltro sono banditi anche
storielle ed aneddoti perché il panegirico esclude, come abbiamo già detto, tutte le forme
tradizionali di comicità e di intrattenimento. Peraltro, nella loa cortigiana, non c'è più
come nelle prime loas un solo attore, che può valersi solo della sua abilità di recitazione
e al massimo di uno strumento musicale. Gli attori, come abbiamo già notato, sono molti,
riccamente vestiti, accompagnati da una musica di tipo orchestrale, e spesso neanche
entrano in scena sui loro piedi, ma volteggiando in aria. Questi attori tuttavia -come è
tipico della loa- non danno vita a una azione drammatica: non «fanno» nulla, «parlano»
soltanto. Una conferma dell'assenza di azione la si può vedere schematizzando il
movimento scenico: gli attori entrano tutti in scena uno dietro l'altro, in una sorta di
struttura a telescopio per cui il palcoscenico si riempie sempre di più, fino al Tutti finale
danzato e cantato, senza svuotarsi mai. È del tutto assente la dinamica entrate/uscite che
caratterizza il movimento scenico di un'azione drammatica. Il palcoscenico pieno di
personaggi che stanno fermi può dare un effetto di staticità eccessiva? Vi si pone rimedio
con i movimenti della danza.
Si tratta dunque -come alle origini della loa- di un teatro essenzialmente statico, di
parola, non di azione. La parola ha però ora finalità completamente diverse. Non serve
più, come nei primi testi del genere, a chiedere attenzione e rispetto: si dà infatti per
scontato che il pubblico di Corte sia ben diverso dal pubblico eterogeneo e irrequieto dei
corrales. Non serve più neanche a divertire, per le stesse ragioni. Deve solo lodare: si
amplifica quindi, fino ad invadere tutto il testo, quella funzione epidittica che la loa aveva
avuto fin dalle sue origini, quando, per conquistarsi la benevolenza del pubblico, gli
rivolgeva lodi ora più ora meno concettose. Oltre alla parola, poi, nella loa cortigiana
acquistano un'importanza straordinaria i segni iconici, che devono suscitare meraviglia e
ammirazione. Il personaggio della loa non solo parla, ma «si mostra», e spesso usa la
parola per spiegare ciò che può non risultare chiaro con la semplice ostensione di sé: in
una parola, «si spiega».
Mi sembra che a questo punto si imponga una ulteriore riflessione. Alcuni tratti
costitutivi del modello della loa cortigiana, quale ci appare dalle loa di Salazar y Torres,
sono indubbiamente affini a elementi tradizionali del genere. È come però se questi
elementi tradizionali fossero stati deformati e ingigantiti, a tal punto che ci viene davvero
da chiederci se questa loa cortigiana sia assimilabile, strutturalmente, alla loa che ha
accompagnato i primi decenni della Comedia Nueva.
E se il modello della loa cortigiana fosse un altro? Se il modello fossero le
manifestazioni parateatrali della festa barocca, primo fra tutti il «carro» festivo? 14 La
messa in scena spettacolare, il gran numero di attori, la presenza di personaggi allegorici
o mitologici, la musica... sono tutti elementi tipici del gusto cortigiano per il fasto teatrale.
Un gusto che non è una novità del XVII secolo, ma che al contrario viene da lontano: dai
primi esperimenti di un teatro di Corte, dalle prime testimonianze di manifestazioni
festive cortigiane nel '50015. E la profluvie di personaggi che commentano e spiegano il
proprio carattere allegorico? Non ci ricordano la voga degli emblemi non solo nella
letteratura, ma anche e soprattutto nelle feste barocche? E le dispute fittizie tra i
personaggi delle loas di Salazar y Torres, non ci ricordano le justas poetiche delle feste
barocche? Anche nel nostro caso si tratta di dibattiti puramente retorici, in cui le posizioni
a confronto non sono veramente e seriamente contrapposte.
Ed è infine la stessa ideologia che pervade la loa cortigiana ad essere intrinsecamente
omogenea alla festa barocca. La loa, come la festa, celebra la monarchia e l'ordine sociale
esistente. La loa abbozza una situazione di discordia quasi a scopo apotropaico, per
esaltare poi meglio la concordia di tutti gli elementi dell'universo a lode e gloria della
monarchia. Così la festa propone situazioni di competitività che possano dar sfogo alle
tensioni tra individui e tra classi sociali, per poi assicurare in modo sempre più saldo la
coesione sociale, la concorde accettazione dello statu quo16.

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