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Michelina Tenace -Lo Spirito Santo in noi ci divinizza

Pnêuma (in greco), ruah (in ebraico), spirito, è l'organo della comunione con il
trascendente. Se già è difficile parlare della Santissima Trinità, quanto più dello
Spirito Santo in sé. (fonte)

La teologia della divinizzazione porta come parola chiave l'"essere divino": il


riferimento incluso nella parola è Dio. Non qualsiasi dio, ma il Dio Tri-Uno. La
divinizzazione parte da una teo-logia che è contemplazione e confessione di fede
nella Trinità. Dio è il Padre: la divinizzazione sviluppa la dottrina della creazione
dell'uomo ad immagine; Dio è il Figlio: la divinizzazione sviluppa il legame tra
incarnazione e redenzione; Dio è lo Spirito Santo: la divinizzazione approfondisce
l'aspetto dinamico, storico, escatologico, personalizzante della relazione tra uomo
e Dio nella vita del cristiano inserito nella Chiesa.

La teologia della divinizzazione contiene quindi un annuncio della trasformazione


ontologica e cosmologica nella progressiva "acquisizione" dello Spirito Santo
secondo le parole di san Serafino di Sarov. "Senza lo Spirito Santo Dio è lontano,
Cristo rimane nel passato, il vangelo è una lettera morta, la Chiesa una semplice
organizzazione, l'autorità un dominio, la missione una propaganda, il culto una
evocazione, l'agire umano una morale da schiavi.. Ma nello Spirito Santo il cosmo
è elevato e geme nelle doglie del parto del regno, Cristo risuscitato è presente, il
vangelo è potenza di vita, la Chiesa significa comunione, l'autorità un servizio, la
missione una pentecoste, la liturgia è un memoriale e un’anticipazione, l'agire
umano è divinizzato" (21).

Spirito: apofatismo e comunione


Pnêuma (in greco), ruah (in ebraico), spirito, è l'organo della comunione con il
trascendente. Se già è difficile parlare della Santissima Trinità, quanto più dello
Spirito Santo in sé. "Spirito" è meno facile da definire che "Padre" o "Figlio".
Perciò si parla dello Spirito parlando delle sue manifestazioni, del suo effetto, della
sua opera. Lo Spirito si manifesta, si percepisce. Ma non ci sono parole per
esplicitare la sua Persona. C'è una difficoltà reale legata alla parola stessa: spirito
"corrisponde a diversi significati. Prima di tutto lo Spirito Santo. Si chiamano poi
spirito anche le virtù dello Spirito Santo. Spirito è anche l'angelo buono, spirito è
il demonio, spirito è l’anima, spirito è l'intelligenza, spirito è il vento, spirito è
l'aria" (22).
Non ci sono definizioni dogmatiche riguardo al legame tra lo Spirito Santo e
l'uomo. Nonostante la tradizione cristiana non possa essere capita senza questo
legame, tuttavia ha sempre preferito parlare dei frutti e dell'opera dello Spirito
Santo, più che della sua Persona. È almeno quanto ha scelto di fare Ireneo, che
parla di economia e di "economie", al plurale, confessando così il dogma della
Trinità senza mai "definirlo".
Un' antropologia pneumatica
Lo spirito applicato all'uomo è ciò che testimonia la sua origine in Dio. Nell'uomo
è l'elemento orante che grida "Abba". Perciò è il Testimone della nostra
costituzione per e da una relazione. San Paolo ci ricorda che "lo Spirito stesso
attesta al nostro spirito che noi siamo figli" (Rm 8,16). A questa nozione della
filiazione (ciò che fa Dio) corrisponde la nozione di partecipazione (ciò che siamo
chiamati a fare noi) a causa dei beni grandissimi che abbiamo ricevuto affinché
diventassimo "partecipi della natura divina" (2Pt 1,4). Nella filiazione, come nella
partecipazione alla vita, noi siamo in quanto possediamo lo Spirito.

Lo Spirito dice all'uomo da dove viene (origine divina) e dove va, dandogli le
primizie del regno. L'uomo che ospita lo Spirito è a sua volta ospite e pellegrino
sulla terra (cf Eb 11,13), deve fare un passaggio, vivere la pasqua e, a seconda di
come la vive, imprime in sé e nel mondo cosmico il vero volto dello Spirito. Il
significato ritenuto dalla fede lega lo Spirito - attraverso il soffio di vita - alla realtà
della santificazione dell'uomo, ossia alla vita e alla testimonianza dell’'amore nel
mondo creato.

Spirito di Dio, spirito dell'uomo


La parola spirito assume due significati complementari e legati fra loro. Nella
tricotomia, secondo la quale l'uomo risulta composto di corpo, anima e spirito (cf
1Ts 5,23), lo spirito indica ciò che, pur appartenendo all'umano, si può aprire al
divino e permette nell'uomo intero l'azione dello Spirito Santo stesso per una
conformità data dalla creazione tra lo spirito dell'uomo e lo Spirito divino. Lo
spirito rappresenta tutto l'uomo e ne riflette l'identità. Già in san Paolo le parole
"carne" e "spirito" hanno un significato globale; "carne" indica la creatura intera,
nella sua fragilità e precarietà, come anche la creatura che tende a chiudersi in se
stessa. Proprio perché rappresenta la creatura come unità di se stessa, si può dire
di un'intelligenza che è "carnale", anche dell'intelligenza più astratta e acuta. Lo
spirito indicherà quindi, all'opposto, l'atteggiamento della creatura che come unità
si apre allo Spirito Santo, quando lo Spirito Santo afferra tutta la creatura, tramite
l'apertura dello spirito, facendo sì che il corpo stesso possa essere un "corpo
spirituale", ossia una realtà di totale trasparenza e manifestazione dello Spirito
Santo.

Il tralcio e la vite
Si possono introdurre varie sfumature per dire il contatto fra spirito e Spirito.
Quando lo si fa, lo scopo è quello di affermare nell'uomo la realtà del dono fattogli
dalla creazione di essere immagine di Dio, dono gratuito di cui l'uomo può disporre
liberamente, anche per staccarsi da Dio. Perciò non c'è identità tra spirito e Spirito.
Lo Spirito è Dio e, come tale, come Persona, distinto dall'uomo. Avendo ricevuto
lo Spirito di Dio, l'uomo lo possiede come spirito umano non estraneo, non confuso
con Dio, ma ad immagine e somiglianza di Dio Spirito. In che cosa consiste la
somiglianza del nostro spirito con lo Spirito? Nel vivere della stessa vita, della
stessa "sostanza". Lo Spirito è comunione, vita, santità, amore. Quando l'uomo
vive secondo tale spirito, il suo spirito e quello di Dio sono "un solo spirito" (cf Ef
4,4). "Tutto ciò che tocca lo Spirito Santo diventa santificato" (23).

C'è una pagina della Scrittura che potrebbe aiutare a capire la distinzione e l'unione
fra spirito e Spirito. In Gv 15, il Signore afferma di essere la vite, mentre noi siamo
i tralci. Se si potesse guardare cosa avviene all'interno di un tralcio, si vedrebbe
che la linfa che lo alimenta è la stessa che costituisce la vite. Ma il tralcio è
indipendente dalla vite: può staccarsi e, se si stacca dalla vite, per un po' di tempo
continua a dar segni di vita, fa germinare persino qualche foglia. Ma l'uva (la vita
eterna) non ci sarà mai, perché il succo che sta nel tralcio, senza diretto legame con
la vite, non porta frutto. Perciò san Paolo insiste tanto sulla verifica dei frutti dello
Spirito, perché sono i frutti dello spirito dell'uomo che si realizza come frutto
dell'unione con lo Spirito Santo. Il tralcio caduto in terra, per non morire, deve
essere reinnestato sulla vite. Allora può riprendere vita, proprio per la sua
conformità costitutiva con la natura della vite.

Questa pagina del vangelo è la base dell'antropologia che considera lo Spirito come
dono gratuito di sé che Dio ci fa, ed è perciò principio di vita eterna, ma soltanto
nella libera adesione da parte dell'uomo alla relazione con Dio. "Egli è santo, santo
per natura: perché noi, se siamo santi anche, lo siamo tuttavia non per natura, ma
per partecipazione, per esercizio e per preghiera" (24).
Colui che è stato formato ad immagine di Dio, è stato fatto vivo per la
comunicazione dello Spirito Santo e della conformazione a lui nella santità e nella
vita. "Questo soffio che Mosè dice essere stato donato all'uomo da Dio, Cristo
dopo la risurrezione lo ha rinnovato in noi quando ha soffiato sugli apostoli
dicendo: ricevete lo Spirito Santo, affinché, riformati secondo la prima immagine,
noi diventassimo conformi al Creatore per la comunicazione dello Spirito Santo"
(25).

Lo spirito che Dio ci ha dato con la creazione, Cristo ce lo ridona in pienezza. Il


Verbo è la vita. Lo Spirito è vivificante. Lo Spirito è Colui che dà la vita sempre:
agisce in ogni momento, rimanda sempre al Figlio, rivela il Figlio mentre rimane
nascosto, in eterna kenosis, in attesa della piena manifestazione di Cristo, in attesa
che gli uomini si manifestino come figli. Allora anche lo Spirito si manifesterà a
noi come Persona della comunione del Padre con il Figlio e di noi con il Padre e
con il Figlio. Come Persona consustanziale al Padre e al Figlio, lo Spirito è per noi
dono-persona affinché viviamo dentro ad una relazione costante, ininterrotta. Lo
Spirito è quindi in noi la relazione pura, come capacità e come attualità, come
memoria della relazione che sta all'origine ed alla fine, come ciò che fa la nostra
identità, ciò che non cambia, ciò che rimane di noi. L'io più profondo di noi è l'io
eterno. E lo spirito. Paradossalmente, possiamo affermare che noi siamo epifania
dello Spirito: quando il nostro spirito si unisce allo Spirito, noi viviamo
l'applicazione salvifica del dogma della divinoumanità. "L’unifìcazione totale ha
per scopo di rianimare l'homoîosis o somiglianza divina. Tale sarà l'opera
dell'Amore ipostasiato. L'uomo riceve per grazia ciò che Dio ha per natura; questo
al fine di diventare per grazia ciò che Dio è per natura, ossia ogni Carità, perché
Dio è amore" (26).

La concezione dell'uomo, della sua creazione e del suo destino, è inseparabile dalla
teologia dello Spirito Santo. L’uomo è per creazione terra vivificata dall'alito
divino. Tutta la creazione vive dello stesso principio. Perciò attraverso lo Spirito
possiamo essere sicuri di poter gustare come anticipo il regno di Dio, già in questa
creazione, e tale gusto è possibile quando il rapporto dell'uomo con il creato, con
la vita come tale, viene vissuto come un rapporto nello Spirito: tutto è trasfigurato
quando l'uomo diventa "spirituale". Lo Spirito ristabilisce ogni relazione nella
verità, perché è in sostanza la relazione stessa.

Spirito come noûs: conoscenza e amore


Nelle sfumature terminologiche che hanno aiutato a unire ed a distinguere lo spirito
dell'uomo e lo Spinto Santo, ci sono da ricordare almeno due feconde tradizioni,
delle quali ciascuna avvicina lo spirito ad un aspetto dell'uomo che lo rende
"immagine somigliante" al Dio Spirito: il noûs e il cuore.

Quando si dice spirito nel linguaggio comune si pensa alla testa, all’intelligenza;
ma la parola ruah che esprime lo spirito in ebraico, è il soffio della vita, e questo
rimane il riferimento più sicuro per capire lo spirito. Ciò di cui abbiamo bisogno
oggi, dopo una lunga storia di intellettualismo fallito che ci voleva assimilare a
Dio tramite la ragione illuminata, è pensare l'uomo in rapporto alla vita, un uomo
vivificato nella relazione, un uomo unificato dal di dentro. Il noûs, diverso da
mens, ratio, intellectus, nella visione tricotomica (corpo, anima, spirito)
rappresenta lo spirito ma come spiritus agostiniano, l'apex mentis dei teologi
medievali, l'uomo interiore di Taulero, ciò che nell'uomo è deiforme. "Il noûs,
"occhio dell'intendimento", è il depositario nell'anima dell'eikòn (icona immagine)
di Dio, l'ostensorio segreto della sua immagine trina: l'effige del Figlio impressa
col sigillo dello Spinto Santo, unzione del Padre. Si può dunque dire che il noûs è
l'organo di apprendimento della conoscenza-intuizione carismatica e non un
semplice prolungamento della ragione discorsiva" (27). La tradizione che ha
sviluppato l'identità tra spirito e noûs ha sottolineato che l’intelligenza che si è
allontanata da Dio è la stessa che accoglie Dio e reintegra l'uomo nella somiglianza
divina. Il noûs si può considerare nella struttura della persona elemento di
divinizzazione, in quanto nel cristianesimo l'amore è anche razionalità. Si può
parlare perciò di "gnosi pneumatica", perché il noûs-spirito fa sì che la conoscenza
sia spirituale, quindi sia amore. A dire il vero, per tutta la tradizione mistica
cristiana, l’amore e la conoscenza non erano mai separati: il vero amore di Dio si
identifica con la conoscenza e questa è "perfezione della Sapienza" (28).
La stessa Lot-Borodine fa notare che da quest'alta considerazione per il noûs che
raggiunge Dio (per via della conoscenza-amore) si può capire la stima che la
Chiesa greca ha sempre avuto per i contemplativi, considerandoli al di sopra del
controllo della ragione dogmatizzante della chiesa. Si può capire anche il primato
dell'apofatismo sul catafatismo, in quanto la ragione discorsiva e logica è meno
della ragione intuitiva e visionaria. Interessante anche che Lot-Borodine parli di
orazione "mentale" del Nome di Gesù (29). La preghiera è comunque una vita del
noûs nella relazione con Dio, per cui l'attività del noûs orante è il rovescio positivo
dell'attività dell'intelletto razionale che ha introdotto il peccato. Ci sarà quindi
sempre un legame tra noûs, preghiera e conversione, non a caso detta metanoia (da
noûs). Se la causa del peccato è legata ad un disordine iniziale della parte
ragionevole, la deificazione è legata allo sforzo ascetico del noûs che si trasforma
in conoscenza-amore e visione. "Il cammino procede per: purificazione,
illuminazione, unione trasformante, deificazione partecipata o théosis... Già da
quaggiù la visione ontologica è data ai cuori puri... Ma vedere Dio significa
conoscerlo tramite una intellezione sovrarazionale, al di sopra di ogni conoscenza,
significa penetrare in lui tramite l'intuizione d'amore; contemplazione-possesso
che fa partecipare lo spirito creato, non all'incomunicabile essenza divina, ma alle
sue energie che da essa procedono manifestandola. E per vivere tale
partecipazione, bisogna aver purificato prima l'essere intero di cui "il cuore
intelligente" rimane il centro" (30). "Il "cuore intelligente" è la punta estrema del
noûs trasfigurato" (31).
Il cuore, luogo dello Spirito

Nell'antropologia si cerca di indicare un centro che dica la grandezza della


creatura: il noûs dice la centralità e la grandezza in termini di intelligenza. Ma si
potrebbe dire la grandezza in termini di forza fisica, di ardore combattivo. Questi
sono gli eroi, super-uomini dotati comunque della virtù di unificare tutto intorno
ad un agire, come i pensatori sono dotati della virtù di unificare tutto intorno ad un
pensiero.

Ma nel modo di vedere biblico, l'uomo è grande per la conoscenza (certo, il


Sapiente è grande), o per l'ardore (un Re come Davide è grande), a condizione che
visione e ardore siano dell'uomo intero. Negli autori della Filocalia si trovano
sempre insieme queste sfumature dell'antropologia. C'è un'antropologia più legata
all'intelletto, quella, ad esempio, di Evagrio Pontico che, come intellettuale di
Costantinopoli, anche una volta diventato monaco rimane un intellettuale e
continua a dare il primo posto all'intelligenza. Invece, in molti altri autori, ad
esempio nelle omelie attribuite a Macario l'Egiziano (lo Pseudo Macario), la più
grande importanza è attribuita al cuore, secondo un linguaggio propriamente
biblico per cui, in base alla vita spirituale, l'intelletto è destinato a scendere nel
cuore, e la fatica dell'asceta è di unire l'intelletto al cuore: la radice vivificante
dell’intelletto è il cuore, santuario chiuso, tempio, dimora dello Spirito Santo, di
Dio. Dove c'è carità, lì c'è Dio. L'intelletto è una luce iniziale che pian piano si
disperde; bisogna che scenda nel santuario chiuso dove ci sono solo le candele
accese, come in una chiesa. La luce di queste candele, in questo santuario, rivela
l'immagine di Dio e riporta l'uomo alla somiglianza.

La tradizione che ha sviluppato la vicinanza tra spirito e cuore voleva sottolineare


l'aspetto unificante della vita dello Spirito nell'uomo: il cuore è il centro, il paradiso
dell'unione con Dio che avviene tramite l'amore e che unisce nella persona tutte le
facoltà. Cuore non significa sentimento (come amore non significa sentimento),
ma un reale dinamismo centrale della persona capace di raccogliere, unificarsi,
aprirsi ad un Altro e di unirvisi. "È l'Amore concepito come estasi dello spirito che
tocca la riunificazione totale dell'essere. Unificazione che è già una unione
trasformante. Perché il noûs, organo di intellezione divino modo diventa il cuore
puro, centro ontologico di tutta la vita soprannaturale" (32).

L'amore è intelligenza che conosce e rende simili a Dio. "L'amore di Dio, unico
bene dell'anima, possiede per definizione delle proprietà conoscitive di un ordine
superiore, di un ordine a parte, l'ordine pneumatico. Tale amore è conoscenza
immediata al di sopra di ogni conoscenza e questo perché ricrea l'unità originaria
dell'essere, rendendolo simile a Dio. Viene così rinnovata e approfondita la
conoscenza secundum dilectionem di sant'Ireneo. Conoscenza non per amore
soltanto, ma conoscenza nell'atto di amore, o conoscenza illuminata e illuminante"
(33). Infatti "la carità è lo stato superiore dell'anima ragionevole". "Ogni carne si
realizzerà nella gioia, grazie alla somiglianza [...] con l'archetipo divino. Ma la
carità soltanto può portare alla perfezione lo spirito rendendolo come Dio, cioè
deificarlo. Tutto il pathos dell'energia erotica consiste in questo" (35).

"L'uomo deve vivere secondo lo spirito, il composto umano deve divenire tutto
spirituale, acquistare la somiglianza [...] L"'unione dello spirito con il cuore", la
"discesa dello spirito nel cuore", lo "spirito che custodisce il cuore", queste
espressioni ritornano continuamente nella letteratura ascetica della Chiesa
d'oriente. Senza il cuore, centro di tutte le attività, lo spirito è impotente. Senza lo
spirito, il cuore rimane cieco, privo di direzione. Bisogna dunque trovare un
rapporto armonico tra lo spirito e il cuore per organizzare, per edificare la persona
nella grazia, perché la via dell'unione non è un processo incosciente [...]. Nel suo
cammino di unione con Dio, l'uomo riunisce nel suo amore il cosmo disgiunto dal
peccato affinché sia finalmente trasfigurato dalla grazia"(36). Nel profondo del
cuore non c'è solo un "inconscio biografico" sempre pronto ad esplodere.
Un'antropologia che accetta che il centro dell'uomo sia il cuore non può più
definire la religione come nevrosi, secondo quanto sosteneva Freud: la nevrosi
piuttosto proviene dall'assenza del senso religioso, come patologia che deriverebbe
dall'assenza di cuore.

Vale la pena rileggere questa pressante esortazione di sant'Agostino: "Tornate al


vostro cuore! Dove andate così lontano se non a cercare da voi stessi la vostra
perdita? Dove andate su questa via così solitaria? Smarrirete la retta via
vagabondando così. Tornate. Dove? Tornate al Signore. Affrettati, torna
rapidamente al tuo cuore tu che come esule hai vagato lontano: non conosci te
stesso e vuoi conoscere Colui che ti ha fatto? Torna, torna al tuo cuore... Dice
infatti l'Apostolo...Siano illuminati gli occhi del vostro cuore (Ef 1,18). Torna al
tuo cuore: vedrai allora l'idea che ti sei fatta di Dio, perché nel tuo cuore è
l'immagine di Dio. Nell'intimo dell'uomo abita Cristo, nell’intimo di sé l'uomo
rinnova l'immagine di Dio e nell'immagine riconosce il suo Creatore"(37).

La divinizzazione in poche parole


Gregorio Nazianzeno, per rispondere a coloro che contestavano la divinità dello
Spirito Santo, si mette a far l'elenco delle parole che nella Sacra Scrittura si
riferiscono allo Spirito e dice di fremere alla ricchezza di tali parole. E poi
conclude: "Ho pensato che il meglio è di lasciare le immagini e le ombre che sono
ingannatrici e tanto lontane dalla verità [...] e di attenermi a poche parole, di
prendere per guida lo Spirito e di custodire fino alla fine l'illuminazione che ho
ricevuto da lui e che è una vera compagna, ed intanto di continuare il mio cammino
in questa vita" (38). La dottrina della divinizzazione si potrebbe limitare a queste
poche parole.
"Il fine della vita cristiana è l'acquisizione dello Spirito Santo" (39).
"È lui il Cristo che ha preso la nostra carne e ci ha donato lo Spirito divino..."(40).
"Affrettati a diventare partecipe dello Spirito Santo" (41).
"Questo Spirito è Dio e ci procura tutti i beni [...] Spirito divino che è precisamente
l'Amore" (42).

Note
(21) Ignace IV, Patriarche D'Antioche, La résurrection et l'homme d'aujourd'hui,
Paris 1981, pp. 36-37.
(22) Giovanni Damasceno, De fide orthodossa, lib. 1, cap. XIII.
(23) Cirillo di Gerusalemme, Cat. Myst., V, 7.
(24) Cirillo di Gerusalemme, Cat. Myst., V, 20.
(25) Cirillo di Alessandria, Thesaurus, PG 75, 584.
(26) M. Lot-Borodine, op. cit., p. 143.
(27) Ibid., p. 44.
(28) Cf. Massimo il Confessore, Quaest. ad Thalas., Prol., PG 90, 257.
(29) M. Lot-Borodine, op. cit., p. 182.
(30) Ibid., p. 68.
(31) Ibid., p. 179.
(32) Cf. ibid., p. 157.
(33) Ibid., p. 151.
(34) Massimo il Confessore, De Carit., 1,4.
(35) M. Lot-Borodine, op. cit., p. 145.
(36) V. Lossky, La teologia mistica della Chiesa d'Oriente, Bologna 1985, p. 194.
(37) Tractatus in evangelium Johannis, 18,10.
(38) Gregorio Nazianzeno, Orationes 27-31, SC 250 (1978), pp. 335-339 e 341-
343.
(39) I. Gorainoff, Séraphim de Sarov, Abbaye de Bellefontaine 1973, p. 182.
(40) Syméon le Nouveau Théologien, Hymnes, vol. III, SC 196 (1973), XLIV, vv.
342-346.
(41) Guillaume de Saint-Thierry, Le miroir de la foi, SC 301 (1982), p. 191.
(42) Syméon le Nouveau Théologien, Hymnes, vol. II, SC 174 (1971), XXIV, vv.
359-367.

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