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Pnêuma (in greco), ruah (in ebraico), spirito, è l'organo della comunione con il
trascendente. Se già è difficile parlare della Santissima Trinità, quanto più dello
Spirito Santo in sé. (fonte)
Lo Spirito dice all'uomo da dove viene (origine divina) e dove va, dandogli le
primizie del regno. L'uomo che ospita lo Spirito è a sua volta ospite e pellegrino
sulla terra (cf Eb 11,13), deve fare un passaggio, vivere la pasqua e, a seconda di
come la vive, imprime in sé e nel mondo cosmico il vero volto dello Spirito. Il
significato ritenuto dalla fede lega lo Spirito - attraverso il soffio di vita - alla realtà
della santificazione dell'uomo, ossia alla vita e alla testimonianza dell’'amore nel
mondo creato.
Il tralcio e la vite
Si possono introdurre varie sfumature per dire il contatto fra spirito e Spirito.
Quando lo si fa, lo scopo è quello di affermare nell'uomo la realtà del dono fattogli
dalla creazione di essere immagine di Dio, dono gratuito di cui l'uomo può disporre
liberamente, anche per staccarsi da Dio. Perciò non c'è identità tra spirito e Spirito.
Lo Spirito è Dio e, come tale, come Persona, distinto dall'uomo. Avendo ricevuto
lo Spirito di Dio, l'uomo lo possiede come spirito umano non estraneo, non confuso
con Dio, ma ad immagine e somiglianza di Dio Spirito. In che cosa consiste la
somiglianza del nostro spirito con lo Spirito? Nel vivere della stessa vita, della
stessa "sostanza". Lo Spirito è comunione, vita, santità, amore. Quando l'uomo
vive secondo tale spirito, il suo spirito e quello di Dio sono "un solo spirito" (cf Ef
4,4). "Tutto ciò che tocca lo Spirito Santo diventa santificato" (23).
C'è una pagina della Scrittura che potrebbe aiutare a capire la distinzione e l'unione
fra spirito e Spirito. In Gv 15, il Signore afferma di essere la vite, mentre noi siamo
i tralci. Se si potesse guardare cosa avviene all'interno di un tralcio, si vedrebbe
che la linfa che lo alimenta è la stessa che costituisce la vite. Ma il tralcio è
indipendente dalla vite: può staccarsi e, se si stacca dalla vite, per un po' di tempo
continua a dar segni di vita, fa germinare persino qualche foglia. Ma l'uva (la vita
eterna) non ci sarà mai, perché il succo che sta nel tralcio, senza diretto legame con
la vite, non porta frutto. Perciò san Paolo insiste tanto sulla verifica dei frutti dello
Spirito, perché sono i frutti dello spirito dell'uomo che si realizza come frutto
dell'unione con lo Spirito Santo. Il tralcio caduto in terra, per non morire, deve
essere reinnestato sulla vite. Allora può riprendere vita, proprio per la sua
conformità costitutiva con la natura della vite.
Questa pagina del vangelo è la base dell'antropologia che considera lo Spirito come
dono gratuito di sé che Dio ci fa, ed è perciò principio di vita eterna, ma soltanto
nella libera adesione da parte dell'uomo alla relazione con Dio. "Egli è santo, santo
per natura: perché noi, se siamo santi anche, lo siamo tuttavia non per natura, ma
per partecipazione, per esercizio e per preghiera" (24).
Colui che è stato formato ad immagine di Dio, è stato fatto vivo per la
comunicazione dello Spirito Santo e della conformazione a lui nella santità e nella
vita. "Questo soffio che Mosè dice essere stato donato all'uomo da Dio, Cristo
dopo la risurrezione lo ha rinnovato in noi quando ha soffiato sugli apostoli
dicendo: ricevete lo Spirito Santo, affinché, riformati secondo la prima immagine,
noi diventassimo conformi al Creatore per la comunicazione dello Spirito Santo"
(25).
La concezione dell'uomo, della sua creazione e del suo destino, è inseparabile dalla
teologia dello Spirito Santo. L’uomo è per creazione terra vivificata dall'alito
divino. Tutta la creazione vive dello stesso principio. Perciò attraverso lo Spirito
possiamo essere sicuri di poter gustare come anticipo il regno di Dio, già in questa
creazione, e tale gusto è possibile quando il rapporto dell'uomo con il creato, con
la vita come tale, viene vissuto come un rapporto nello Spirito: tutto è trasfigurato
quando l'uomo diventa "spirituale". Lo Spirito ristabilisce ogni relazione nella
verità, perché è in sostanza la relazione stessa.
Quando si dice spirito nel linguaggio comune si pensa alla testa, all’intelligenza;
ma la parola ruah che esprime lo spirito in ebraico, è il soffio della vita, e questo
rimane il riferimento più sicuro per capire lo spirito. Ciò di cui abbiamo bisogno
oggi, dopo una lunga storia di intellettualismo fallito che ci voleva assimilare a
Dio tramite la ragione illuminata, è pensare l'uomo in rapporto alla vita, un uomo
vivificato nella relazione, un uomo unificato dal di dentro. Il noûs, diverso da
mens, ratio, intellectus, nella visione tricotomica (corpo, anima, spirito)
rappresenta lo spirito ma come spiritus agostiniano, l'apex mentis dei teologi
medievali, l'uomo interiore di Taulero, ciò che nell'uomo è deiforme. "Il noûs,
"occhio dell'intendimento", è il depositario nell'anima dell'eikòn (icona immagine)
di Dio, l'ostensorio segreto della sua immagine trina: l'effige del Figlio impressa
col sigillo dello Spinto Santo, unzione del Padre. Si può dunque dire che il noûs è
l'organo di apprendimento della conoscenza-intuizione carismatica e non un
semplice prolungamento della ragione discorsiva" (27). La tradizione che ha
sviluppato l'identità tra spirito e noûs ha sottolineato che l’intelligenza che si è
allontanata da Dio è la stessa che accoglie Dio e reintegra l'uomo nella somiglianza
divina. Il noûs si può considerare nella struttura della persona elemento di
divinizzazione, in quanto nel cristianesimo l'amore è anche razionalità. Si può
parlare perciò di "gnosi pneumatica", perché il noûs-spirito fa sì che la conoscenza
sia spirituale, quindi sia amore. A dire il vero, per tutta la tradizione mistica
cristiana, l’amore e la conoscenza non erano mai separati: il vero amore di Dio si
identifica con la conoscenza e questa è "perfezione della Sapienza" (28).
La stessa Lot-Borodine fa notare che da quest'alta considerazione per il noûs che
raggiunge Dio (per via della conoscenza-amore) si può capire la stima che la
Chiesa greca ha sempre avuto per i contemplativi, considerandoli al di sopra del
controllo della ragione dogmatizzante della chiesa. Si può capire anche il primato
dell'apofatismo sul catafatismo, in quanto la ragione discorsiva e logica è meno
della ragione intuitiva e visionaria. Interessante anche che Lot-Borodine parli di
orazione "mentale" del Nome di Gesù (29). La preghiera è comunque una vita del
noûs nella relazione con Dio, per cui l'attività del noûs orante è il rovescio positivo
dell'attività dell'intelletto razionale che ha introdotto il peccato. Ci sarà quindi
sempre un legame tra noûs, preghiera e conversione, non a caso detta metanoia (da
noûs). Se la causa del peccato è legata ad un disordine iniziale della parte
ragionevole, la deificazione è legata allo sforzo ascetico del noûs che si trasforma
in conoscenza-amore e visione. "Il cammino procede per: purificazione,
illuminazione, unione trasformante, deificazione partecipata o théosis... Già da
quaggiù la visione ontologica è data ai cuori puri... Ma vedere Dio significa
conoscerlo tramite una intellezione sovrarazionale, al di sopra di ogni conoscenza,
significa penetrare in lui tramite l'intuizione d'amore; contemplazione-possesso
che fa partecipare lo spirito creato, non all'incomunicabile essenza divina, ma alle
sue energie che da essa procedono manifestandola. E per vivere tale
partecipazione, bisogna aver purificato prima l'essere intero di cui "il cuore
intelligente" rimane il centro" (30). "Il "cuore intelligente" è la punta estrema del
noûs trasfigurato" (31).
Il cuore, luogo dello Spirito
L'amore è intelligenza che conosce e rende simili a Dio. "L'amore di Dio, unico
bene dell'anima, possiede per definizione delle proprietà conoscitive di un ordine
superiore, di un ordine a parte, l'ordine pneumatico. Tale amore è conoscenza
immediata al di sopra di ogni conoscenza e questo perché ricrea l'unità originaria
dell'essere, rendendolo simile a Dio. Viene così rinnovata e approfondita la
conoscenza secundum dilectionem di sant'Ireneo. Conoscenza non per amore
soltanto, ma conoscenza nell'atto di amore, o conoscenza illuminata e illuminante"
(33). Infatti "la carità è lo stato superiore dell'anima ragionevole". "Ogni carne si
realizzerà nella gioia, grazie alla somiglianza [...] con l'archetipo divino. Ma la
carità soltanto può portare alla perfezione lo spirito rendendolo come Dio, cioè
deificarlo. Tutto il pathos dell'energia erotica consiste in questo" (35).
"L'uomo deve vivere secondo lo spirito, il composto umano deve divenire tutto
spirituale, acquistare la somiglianza [...] L"'unione dello spirito con il cuore", la
"discesa dello spirito nel cuore", lo "spirito che custodisce il cuore", queste
espressioni ritornano continuamente nella letteratura ascetica della Chiesa
d'oriente. Senza il cuore, centro di tutte le attività, lo spirito è impotente. Senza lo
spirito, il cuore rimane cieco, privo di direzione. Bisogna dunque trovare un
rapporto armonico tra lo spirito e il cuore per organizzare, per edificare la persona
nella grazia, perché la via dell'unione non è un processo incosciente [...]. Nel suo
cammino di unione con Dio, l'uomo riunisce nel suo amore il cosmo disgiunto dal
peccato affinché sia finalmente trasfigurato dalla grazia"(36). Nel profondo del
cuore non c'è solo un "inconscio biografico" sempre pronto ad esplodere.
Un'antropologia che accetta che il centro dell'uomo sia il cuore non può più
definire la religione come nevrosi, secondo quanto sosteneva Freud: la nevrosi
piuttosto proviene dall'assenza del senso religioso, come patologia che deriverebbe
dall'assenza di cuore.
Note
(21) Ignace IV, Patriarche D'Antioche, La résurrection et l'homme d'aujourd'hui,
Paris 1981, pp. 36-37.
(22) Giovanni Damasceno, De fide orthodossa, lib. 1, cap. XIII.
(23) Cirillo di Gerusalemme, Cat. Myst., V, 7.
(24) Cirillo di Gerusalemme, Cat. Myst., V, 20.
(25) Cirillo di Alessandria, Thesaurus, PG 75, 584.
(26) M. Lot-Borodine, op. cit., p. 143.
(27) Ibid., p. 44.
(28) Cf. Massimo il Confessore, Quaest. ad Thalas., Prol., PG 90, 257.
(29) M. Lot-Borodine, op. cit., p. 182.
(30) Ibid., p. 68.
(31) Ibid., p. 179.
(32) Cf. ibid., p. 157.
(33) Ibid., p. 151.
(34) Massimo il Confessore, De Carit., 1,4.
(35) M. Lot-Borodine, op. cit., p. 145.
(36) V. Lossky, La teologia mistica della Chiesa d'Oriente, Bologna 1985, p. 194.
(37) Tractatus in evangelium Johannis, 18,10.
(38) Gregorio Nazianzeno, Orationes 27-31, SC 250 (1978), pp. 335-339 e 341-
343.
(39) I. Gorainoff, Séraphim de Sarov, Abbaye de Bellefontaine 1973, p. 182.
(40) Syméon le Nouveau Théologien, Hymnes, vol. III, SC 196 (1973), XLIV, vv.
342-346.
(41) Guillaume de Saint-Thierry, Le miroir de la foi, SC 301 (1982), p. 191.
(42) Syméon le Nouveau Théologien, Hymnes, vol. II, SC 174 (1971), XXIV, vv.
359-367.