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Tutti questi racconti si collocano (o partono) in un Allora o in un In principio perché siano archetipi o modelli di
riferimento per coloro che li accostano; si presentano come un tentativo di andare al cuore, alla radice autentica del
mistero del mondo, non solo a livello temporale quanto soprattutto esistenziale; sono racconti di origine perché
fondano e spiegano il presente.
Questa è – grosso modo – la traduzione italiana delle prime cinque parole della
Bibbia. Tutti le conosciamo e tutti abbiamo sempre pensato che queste parole si
riferiscono al racconto della creazione dello spazio, del tempo e del mondo da parte di
Dio. Il libro di Carlo Enzo, in base a precisi riferimenti linguistici e a comparazioni
con l’intero corpo letterario della Bibbia ebraica, propone invece un’interpretazione
nuova, le indica come l’inizio di un “codice di vita” scritto in linguaggio simbolico,
rivolto ad un tipo d’uomo nuovo, un giusto, che si deve distinguere da tutti gli altri
giusti (di 310 mondi diversi[5]) perché destinato alla Torah. Per comprendere ciò è
necessario partire dalle interpretazioni tradizionali, numerose e spesso distanti tra
loro, anche per via delle traduzioni nelle diverse lingue storiche che ci hanno
tramandato il testo biblico: ebraico, aramaico, greco, latino, italiano. Tutte queste
traduzioni si succedono l’un l’altra nel corso della storia a partire dall’ebraico Ma il
testo ebraico originario si ispira – forse – ad altri testi, diversi per lingua, luogo ed
epoche storiche in cui sono stati redatti; questi testi, a loro volta, sono il risultato finale
(talvolta approssimativo o sintetico) di una lunga e complessa tradizione orale durata
non si sa quanto e andata probabilmente in gran parte perduta. La Bibbia
ebraica,[6] come oggi la conosciamo, fu fissata dagli Ebrei di Palestina agli inizi
dell’era cristiana.[7] E’ dunque essenziale conoscere i criteri con cui sono state scritte e
poi tradotte le parole che costituiscono questo libro; e magari sapere anche da chi e
quando. Ma ritornando a quanto di scritto ci ha lasciato la tradizione, dobbiamo
chiederci: con quali criteri sono state realizzate le diverse traduzioni della Bibbia e,
nel caso che stiamo esaminando, di queste prime cinque parole del Genesi? E, in linea
generale, come leggere questo testo?[8] E soprattutto: l’interpretazione della dottrina
contenuta in questo libro (e in particolare in Genesi 1-3) è in grado di dimostrare che
essa è ancora valida per un abitante di questo pianeta oppure, come tante altre, ha fatto
il suo tempo, fa parte delle tante dottrine religiose sul mondo e sull’uomo?
L’interpretazione tradizionale
Secondo l’interpretazione tradizionale, le prime cinque parole del Genesi costituiscono
l’inizio del racconto di creazione del mondo, attribuito alla fonte sacerdotale (P), che
intende fornire una classificazione logica ed esauriente degli esseri, creati in una
settimana che si conclude col sabato (shabbat, cioè cessò).[9] L’interpretazione ufficiale
della Chiesa[10] ci è data dal testo della Bibbia detta della CEI, del 1971, la cui
versione italiana è stata curata da un gruppo di biblisti sotto la direzione di F. Vattioni.
Il testo è accompagnato da una guida, la celebre Bible de Jerusalem, del 1984, opera
dei migliori esegeti cattolici francesi. La traduzione è stata fatta a partire dai testi
originali ebraico, aramaico e greco. Per l’ebraico si è seguito il testo Masoretico ™.
L’interpretazione della CEI afferma che le parole iniziali del Genesi aprono il racconto
della creazione degli esseri viventi da parte di Dio, secondo un ordine crescente di
dignità, fino all’uomo, immagine di Dio e re della creazione. Il testo utilizza una scienza
ancora in fasce. Non bisogna ingegnarsi a stabilire concordanze tra questo quadro e la nostra
scienza moderna, ma piuttosto leggervi, sotto una forma che porta l’impronta della sua epoca, un
insegnamento rivelato, con valore permanente, su Dio, unico, trascendente, anteriore al mondo,
creatore […]. Il testo afferma che ci fu un inizio del mondo: la creazione non è un mito
atemporale: essa è integrata nella storia, di cui è l’inizio assoluto (vedi Allegato 1). Il racconto
del Genesi 1 – 2, che culmina in Adamo creato direttamente da Dio, per la Chiesa
sarebbe la prefigurazione del nuovo Adamo, Gesù Cristo, Figlio di Dio, attraverso il
quale ha inizio l’umanità nuova; e attraverso il quale si aprono per l’umanità cieli nuovi
e terre nuove.
Nuove proposte esegetiche
Dopo il Concilio Vaticano II si allargarono in certo qual modo le maglie
dell’interpretazione biblica e frotte di esegeti e studiosi si gettarono a capofitto nello
studio di ciò che, fino allora, era considerato un pericoloso tabù. Le conseguenze sono
state spesso nefaste e confuse e non pochi studiosi di genio hanno finito col rasentare
l’eterodossia o abbandonare l’abito sacerdotale! Dopo l’entusiasmo iniziale, gli
studiosi oggi procedono con armi esegetiche più obiettive e prudenti ma con risultati
spesso di grande valore. Molti hanno cominciato a leggere la Bibbia (e Genesi in
particolare) con maggiore attenzione alla lingua originale, l’ebraico, al contesto storico
e narrativo (il mondo semitico del II/I millennio a. C.), senza preclusioni o preconcetti
religiosi. Secondo l’esegetica moderna, con un’attenta lettura letterale, le prime
cinque parole della Genesi potrebbero essere interpretate in questo modo:
A partire da quel momento (bereshit) dà inizio (bara’) la pluralità di Dio (El-hoim) all’universo (ai cieli e alla terra) [ordinato (aggiunta del r.)].
Bereshit corrisponderebbe infatti all’espressione da quel momento in poi e quindi indicherebbe non un inizio ma una
continuazione.
Bara’ è verbo che indica mettere ordine ad una cosa, cominciare una cosa nuova; è singolare ed è sempre associato all’azione di
Dio; e quindi non significa creare da nulla ma mettere ordine, far sì che una cosa assuma un aspetto nuovo rispetto a
quello precedente.
El-hoim indicherebbe non Dio ma la divinità propria di ogni popolo del medioriente; è costituito da El o Il con la
desinenza plurale hoim: sarebbe cioè il complesso degli dei semiti e/o la potenza di El in tutti i suoi aspetti. El
significherebbe Lui, il Signore, l’Essere supremo, indicato con un pronome dimostrativo corrispondente al latino Il-est (egli è)
= Ille; in arabo è Al-lah. Il nome dell’El di Israele sarà Ja-whè, ovvero: Io sono – chi è, rivelato a Mosé da El sul monte
Oreb.[11] I cieli e la terra, rappresentano infine l’universo nella sua totalità. Si tratterebbe di un’espressione tipicamente
semitica che semplificava i concetti complessi con l’opposizione di due termini: se cielo e Terra indica il complesso
dell’universo, l’albero del bene e del male indica la conoscenza del tutto, l’uomo e la donna indicano l’umanità intera
e così via.
Fatto salvo il senso religioso e sacro dato dalla Chiesa al testo biblico, gli esegeti sono
dunque propensi ad interpretare il racconto della creazione, proposto in Genesi 1 – 2,
come un momento di inizio per l’umanità in cui la forza creatrice di Dio mette ordine
all’universo e ne finalizza il senso, rappresentato dalla nascita della vita, di cui l’uomo
sarebbe il punto di arrivo in quanto ne diventa la coscienza consapevole. Attraverso
l’uomo si realizzerebbero i cieli nuovi e le terre nuove.
Midrash, dalla radice DaRaSh (che significa ricercare), è la spiegazione del testo sacro fornita dagli antichi maestri dei
testi biblici; la spiegazione (o meglio interpretazione) era fornita attraverso gli stessi libri biblici.[14]
Questa investigazione non può essere fatta senza la conoscenza della lingua (e della
“forma” in cui questa lingua è stata scritta), che non è semplicemente la lingua ebraica,
ma la lingua ebraica propria di questo Libro sacro (vedi allegato 2). Genesi 1-4 è come
la struttura originaria della storia di Israele, il luogo dello svelamento del suo disegno,
quello in cui tutta la storia di questo popolo trova il suo senso, il suo linguaggio, la sua
finalità.
Presso i popoli che hanno inventato il pensiero metafisico, il concetto di creazione è
soprattutto quello di un Dio che realizza in essere un universo partendo dal nulla.
Presso i popoli mesopotamici, invece,creare indica l’azione che chiama all’apparire le
modalità di esistenza mai apparse prima. Creare un mondo e un uomo è inventare per un
popolo una modalità di esistenza nuova rispetto a quelle che già ci sono. Ovvero: tra
gli Elohim mesopotamici che hanno creato uomini e mondi diversi, l’Elohim di Israele
– YHWH – ha dato una nuova modalità di esistenza, una diversa qualità di vita al suo
popolo. Gli Elohim sono gli Dei dei popoli mesopotamici, un dio per ciascun popolo;
sono Enti pensati dai popoli al di sopra degli uomini; che abitano sopra i cieli di
ciascun popolo e che hanno i desideri, i pensieri, i sentimenti, i progetti, le scelte, le
decisioni, che ciascun popolo sente, produce, esprime durante lo svolgimento e in
funzione del suo esistere. In Genesi 1-4, pertanto, non si intende parlare dell’azione
del Dio dell’essere, che fa apparire dal niente l’universo come si mostra agli occhi di
coloro che lo abitano, bensì si intende parlare dell’invenzione, in una zona della
Terra, di cieli nuovi e di terra nuova, di nuovi regni dei giusti e di nuove comunità che li
generano, di un mondo nuovo come nuovo modo di vivere! Si tratta di una creazione
non dall’assenza di ogni esistenza ma dall’assenza di quella forma di esistenza o di
modo di vivere; mentre esistono altri universi e altri mondi e altri modi di vivere. In
definitiva, in Genesi 1-4 al verbo creare è dato il significato di progettare, nell’ente
che è questa piccola Terra, un nuovo modo di esserci per l’uomo, un mondo mai visto
prima, migliore di tutti gli altri che già esistono, un mondo esclusivo per il popolo
dell’Elohim YHWH. Attraverso questa chiave interpretativa Carlo Enzo analizza le
prime cinque parole che ci interessano:
‘eLoHiM: plurale grammaticale di eLoHa, nome comune, designa tutto quanto è ritenuto divino, cioè potente e vero
presso un popolo. Può essere soggetto sia di un verbo plurale che singolare. Può indicare sia YHWH che il Dio o gli
Dei di altri popoli. Non può essere tradotto con Deus, ovvero Dio, perché il volume di senso che un tale sostantivo
veicola per un uomo dell’Occidente gli è estraneo (ovvero l’essere assoluto, che esiste di per sé, che non esiste in
virtù di ciò che esiste già, che non ha un rapporto necessario con l’esistente, ma ne è indipendente, quindi assoluto).
In greco è tradotto impropriamente theòs, in latino Deus, nel Targum palestinese “figlio di YHWH”. In questo primo
versetto del Genesi designa tutta la Divinità dei popoli che nella Bibbia hanno “cieli e terra” e un aDaM.
‘eT Ha-ShaMa-YiM We’eT Ha’-aReTs: l’espressione indica l’insieme non di due “luoghi” ma delle due dimensioni, delle
due condizioni di esistenza proprie del mondo dell’aDaM, con tutto ciò che ciascuna contiene. Non designa pertanto le
cose che formano il cielo astronomico e la Terra come pianeta; è quanto genera l’aDaM con il suo buon operare; e
non comprende gli inferi (She’ol) opera dell’aDaM malvagio (altra condizione d’esistenza e non luogo geografico).
ShaMa-YiM è il nome che l’Elohim dà allo scudo che separa le acque che sono in alto dalle acque che rimangono in
basso. E’ il luogo in cui appaiono il luminare maggiore e minore, Dio e la sua RuaCh (spirito), il re e la regina, il
padre e la madre, il forte e il debole, i giusti e i potenti. E’ il luogo in cui l’aDaM è destinato a salire per diventare
stella e dar vita a quel “regno dei cieli” che è sinonimo di “regno dei giusti”.
aReTs : è il nome che l’Elohim dà all’asciutto; è la totalità degli elementi che costituiscono il “mondo” degli Elohim,
il “sicuro” dentro al quale crescerà l’aDaM e sul quale potranno “salire” tutti i viventi. Il termine, da solo, indica
anche nazione, popolo, comunità. Sulla eReTs, l’aDaM coltiva la sostanza adamica e custodisce la conoscenza del
suo Elohim.
Conclusione
Confrontando le diverse proposte di interpretazione, mi sembra di poter concludere
che le prime cinque parole che danno inizio al racconto biblico del Genesi ci vogliono
parlare non tanto della creazione dell’universo ex nihilo[16] quanto della “creazione di
un nuovo universo”, diverso da quelli esistenti prima, espressione di una vita in
evoluzione di cui l’uomo è il punto momentaneo di arrivo, e la vita è un’esigenza
stessa della creazione; e nell’uomo, soltanto nell’uomo, nel progresso libero e
indefinito della sua coscienza, questa esigenza di creazione si afferma. L’uomo
esprime il significato e l’essenza più profonda della vita, costituisce il “termine” e il
“fine” dell’evoluzione stessa. Questa sarebbe allora la nuova creazione.
Arrivati alla fine di questa relazione non possiamo che riproporci la domanda
iniziale: vale ancora la pena metterci di fronte a questo antico testo, vale la pena
sobbarcarci di questa improba fatica linguistica, storica, antropologica, culturale per
interpretare la dottrina contenuta in questo libro (e in particolare in Genesi 1-3)? E’ un
messaggio ancora valido per un abitante di questo pianeta oppure, come tante altre
dottrine, ha fatto il suo tempo, fa parte delle tante rivelazioni sul mondo e sull’uomo
che non hanno più alcun impatto con le nostre urgenze quotidiane? Potremmo
rispondere prendendo in prestito le parole di Romano Madera, nell’introduzione al
libro di Carlo Enzo:
“Solo continuando a tornare su queste pagine, avvicinandole con nuove parole, le
rivelazioni o i miti originari possono continuare a vivere per noi e intessere, con noi, la
storia presente…”.
Lo dimostra quali possibili nuove interpretazioni possono scaturire già dall’analisi
documentata e approfondita della lingua in cui il racconto biblico è stato scritto. Come
ha scritto A. Rosmini[17], dalla Sacra Scrittura noi impariamo che Dio fu il primo a
nominare le diverse realtà create, applicando a ciascuna un proprio nome, affinché
ognuna fosse interamente conoscibile dall’uomo. Col crearle le aveva rese percettibili
all’uomo, ma col nominarle le aveva rese conoscibili. Così Dio, nella prima istituzione
del linguaggio umano, lo ordinò a due scopi e lo stabilì quasi mediatore tra i due
grandi ordini delle cose visibili e di quelle invisibili; in questo modo il primo scopo
del linguaggio fu di rendere intelligibile l’universo sensibile; il secondo scopo fu
quello che il linguaggio fosse il mezzo attraverso il quale l’uomo trapassasse oltre i
confini dell’universo sensibile. E da qui, prendendo il volo, pervenisse a conoscere
cose maggiori, che non cadevano sotto i suoi sensi ma che erano per lui sommamente
importanti, fine ultimo di tutto il senso della sua esistenza e della sua compiuta felicità.
“Non è qui in questione” – continua Romano Madera – “il rapporto fede-scienza, non
si vuole in alcun modo accennare alle polemiche fra creazionisti ed evoluzionisti; non
si vuole in alcun modo confutare o discutere o contrapporre qualsiasi indagine e
concezione scientifica: né la teoria del big bang né la sua confutazione, né le possibili
nuove scoperte sulla massa del neutrino e sulle sue implicazioni cosmologiche. Nulla
di tutto ciò può in alcun modo toccare il senso dell’affermazione di fede che ci fa
riconoscere come creature di Dio in un mondo di creature di Dio” .
Un’altra conclusione mi sembra altresì opportuna, questa volta tratta dalle parole di H.
Bergson, nel suo studio sull’evoluzione creatrice precedentemente citato:
“Come il più piccolo granello di polvere è solidale con tutto il nostro sistema solare,
ed è trascinato con esso in quel movimento indiviso di discesa che è la materialità
stessa; così tutti gli esseri organici, dal più umile al più elevato, dalle prime origini
della vita sino ad oggi, e in tutti i luoghi come in tutti i tempi, non fanno che
manifestare in modo sensibile un impulso unico, inverso al movimento della materia e,
in se stesso, indivisibile. Tutti gli esseri viventi sono congiunti insieme, e tutti cedono
alla medesima formidabile spinta. L’animale ha il suo punto di appoggio nella pianta,
l’uomo nell’animalità, e, l’umanità intera – nello spazio e nel tempo – è come un
immenso esercito che galoppa al fianco di ciascuno di noi, avanti e dietro a noi, in una
carica travolgente, capace di rovesciare tutte le resistenze e di superare moltissimi
ostacoli, forse anche la morte”.
Allegato I
Genesi 1 è il luogo privilegiato della dottrina cosmologica e antropologica delle
Chiese cristiane, che il Catechismo della Chiesa Cattolica così sintetizza:
La prima parola della Bibbia è Bereshit.
Cosa significa in ebraico? Ovvero, quale senso ha per un ebreo di oggi e quale senso
poteva avere per un ebreo dell’età di Cristo, per un ebreo dell’età di Davide ( 1000 a .
C.) o per un ebreo dell’età di Mosè ( 1250 a . C)?.
Bereshit in ebraico è scritta con questi caratteri [ב ראשית18] (si legge da destra verso sinistra).
in greco è reso con εν αρχη
( ראשrash) significa testa, capo, causa agente e quindi potenza in essere che si esprime nel
divenire.
La traduzione greca è αρχη = sommità, causa prima, origine, capo. In
latino: principium deriva da prin– capio = prendo per cominciare, derivato
di princeps composto da pris e mo e seguito da cap (che prende il primo posto). Ma non
si tratta solo di etimologia: a renderne più complessa la lettura e l’interpretazione,
bisognerebbe tener presente la triplice modalità di lettura suggerita dallo studioso
Fabre d’Olivet nel suo lavoro “La lingua ebraica restituita” [19]. Costui, a pag. 46, afferma, a
proposito della parola ב ראשית:
“… questa parola, nel posto in cui si trova, offre tre sensi distinti di lettura e
interpretazione: uno proprio, l’altro figurato e il terzo geroglifico”
Era il metodo dei sacerdoti egizi. La stessa parola assumeva, a secondo delle loro
intenzioni, uno dei tre sensi, quelli che Eraclito
definisce parlante, significante, occultante. I primi due erano oratori, il terzo non esisteva
che per gli occhi e non si usava che scrivendo. Le nostre lingue moderne sono del tutto
inidonee a far sentire questo modo. Dopo aver dato il senso proprio e figurato della
parola, lo studioso prova a darci quello geroglifico:
“La parola ראשsulla quale si eleva il modificativo ב ראשית, significa sì la testa, ma solo in senso
restrittivo e particolare. In senso più lato e generale essa significa il principio. Ora, cos’è un
principio? Dirò in che modo lo avevano concepito i primi autori della parola ראש. Essi avevano
concepito una sorta di potenza assoluta, per mezzo della quale ogni essere relativo è costituito
come tale e avevano espresso la loro idea attraverso il segno potenziale ( אaleph) e il segno
relativo ( שshin) riuniti. Nella scrittura geroglifica esso veniva rappresentato da un punto al centro
di un cerchio סּ. Il punto centrale, che dispiega la circonferenza, era l’immagine del principio. La
scrittura letterale rendeva il punto con אe il cerchio con סo ש. La lettera (סsamek) rappresentava il
cerchio sensibile, la lettera שrappresentava il cerchio intelligibile (che veniva rappresentato alato
o contornato di fiamme). Un principio così concepito era, in senso universale, applicabile a tutte
le cose, tanto fisiche che metafisiche; ma in senso più restrittivo veniva applicato al fuoco
elementare; e, secondo che la parola radicale אשvenisse assunta in senso proprio o figurato, stava
a significare il fuoco sensibile o intelligibile, il fuoco della materia o dello spirito. Prendendo
quindi questa stessa parola אשe facendola reggere dal segno del movimento proprio e
determinante ( רresh), si otteneva un composto ראש, cioè, in linguaggio geroglifico, ogni
principio dotato di movimento proprio e determinante, di forza innata, buona o cattiva. Questa
lettera רsi potrebbe rappresentare, in scrittura sacra, con l’immagine di un serpente, in piedi
oppure secante il cerchio. Nel linguaggio ordinario si vedeva in ראשun capo, una guida, la testa di
ogni essere o cosa; nellinguaggio figurato si intendeva il primo motore, un principio agente, un genio
buono o cattivo, una volontà retta o perversa, un demone ecc.; nel linguaggio geroglifico si segnalava
il Principio primo universale, di cui non era consentito divulgare la conoscenza”.
L’esempio proposto, pur se in modo approssimativo e confuso, rende evidente la
difficoltà di interpretare un testo antico senza l’adeguata conoscenza linguistica; e per
il testo biblico questo è tanto più vero visto che il testo greco appare molto lontano da
quello ebraico, giacché la lingua ebraica, quando il testo greco fu redatto, era stata
sostituita dall’aramaico e non era più usata come lingua comune da almeno trecento
anni.
AA. VV. La Bibbia di Gerusalemme, EDB, Bologna 1988
Bibbia ebraica, a cura di Rav Dario Disegni
Carlo Enzo, Abramo dove sei?, Saggiatore, Milano 2002
Genesi 1 – 11, a cura di Gianni Cappelletto, Edizioni Messaggero, Padova 2000
Fabre-d’Olivet, La lingua ebraica restituita, a cura del collettivo officina
Munk E., La voix de la Torah, Genèse, Ed. Colbo
Testa E., Introduzione – Storia primitiva, Marietti, 1969
Soggin, J. A., Genesi 1- 11, Marietti 1991
Westermann C., Genesi, Commentario, Piemme, 1990
Enrico Bergson, L’evoluzione creatrice, Signorelli, Roma, 1980
Massimo Baldacci, Prima della Bibbia, Mondatori, 2000
Giacomo Devoto, Avviamento alla etimologia italiana, Mondadori, 1985
Jhon L. McKenzie, Dizionario biblico, Cittadella editrice, 1981
[1] Intendiamo la parola al femminile perché tale è il genere in italiano e tale in greco. Quando si
dice il Genesi si intende Il libro della Genesi. Pertanto non si può dire Il libro del Genesi.
[2] Sono infatti dei versi con un ritmo cadenzato e ripetitivo, dal tono solenne, tipico
delle celebrazioni cultuali; una sorta di poema liturgico, vero inno al Principio che dà
inizio al mondo in cui viviamo.
[3] Cfr. Enrico Bergson, L’evoluzione creatrice, Signorelli, Roma, 1980. In questo
testo il filosofo parla dell’uomo come culmine dell’evoluzione; il suo modo di
conoscere (attraverso l’intelligenza, attraversola ragione, attraverso l’intuizione) si
esprime con modalità e intensità diverse lungo la linea dell’evoluzione della vita.
[4] Uso il termine nella sua accezione contemporanea.
[5] Cfr. Ginzberg, L. Le leggende ebraiche (1925), Adelphi, vol. I, X
[6] In ebraico è chiamata Tanakh, parola costituita dalle iniziali dei libri che la
compongono:
T = Torah, cioè Legge. Corrisponde al Pentateuco.
N = Nebh’im, cioè Profeti
K = Ketubh’im, cioè Agiografi
[7] Questo testo palestinese tuttavia non ci è pervenuto, ma è probabile che si rifacesse a
redazioni precedenti tra le quali, le più importanti furono, in ordine, quella del primo regno (IX
/VIII a. C.), quella post esilica (VI /V a. C.), infine quella di Esdra, redatta tra il 400 e il 300 a .
C. L’attuale versione ebraica del testo biblico parte da quella masoretica (TM), fissata nei secoli
VIII e IX della nostra era dai rabbini ebrei. Il testo latino della nostra Bibbia, detto Vulgata, è
stato scritto da San Girolamo nel IV secolo e si rifà a quello greco promulgato in età ellenistica
per gli ebrei della diaspora e chiamato dei Settanta (non dal numero degli scrittori, che erano
cinque, ma dal consiglio del Sinedrio che l’aveva approvato).
[8] Alcuni studiosi suggeriscono una metodologia che prevede tre momenti centrali:
– lettura del testo: analisi della struttura narrativa (lettura sincronica) con la ricerca di eventuali
tradizioni teologiche (lettura diacronica);
– interpretazione: per far emergere i significati culturali e religiosi del testo;
– applicazione dei significati emersi alla vita di ogni giorno, cercando di prolungare nell’oggi i
significati del testo mediante l’analogia delle situazioni
[9] Il primo testo scritto della Bibbia ebraica, che chiameremo da ora in poi del
Tanakh, secondo la tradizione (Graf e Welhausen) parte da quattro documenti
posteriori all’epoca di Mosé (XIII secolo a. C.):
1. Tradizione Jahvista (J), redatta nel IX secolo a. C. in Giuda
2. Tradizione Eloista (E), redatta nell’VIII secolo a. C. in Israele
3. Tradizione Deuteronomista (JED), redatta dopo il re Giosia (640- 609 a . C.)
4. Tradizione Sacerdotale (P), redatta dopo l’esilio babilonese ( 537 a . C.)
Dopo il 722 a . C. J ed E furono fusi in un unico testo.
Oggi si ritiene che tutte queste tradizioni risalgano a fonti orali molto più antiche e
sono considerate cristallizzazioni di correnti di tradizioni che hanno origini non
conosciute e che sono continuate a sgorgare per centinaia di anni.
La sovrapposizione delle diverse tradizioni è ancora rintracciabile nelle redazioni
definitive; vi sono infatti:
2 racconti di creazione
2 genealogie di Caino
2 racconti del diluvio
2 testi del decalogo
4 calendari liturgici e così via.
[10] Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica, ed. 1992, al punto 115 e seguenti si
afferma che la Sacra Scrittura va letta secondo diversi sensi: letterale, spirituale,
allegorico, morale, anagogico. E’ compito degli studiosi contribuire alla più profonda
intelligenza ed esposizione del senso della Sacra Scrittura, per contribuire a maturare il
giudizio della Chiesa (ma nuovamente sottoposto, in ultima istanza, al suo giudizio).
[11] L’espressione proclamata con forza da YHWH fu “Ehyeh asher ehyeh”, tradizionalmente
tradotta con “Io sono colui che sono”. Interessante ci appare – tra le tante shakespeariane
astruserie – l’interpretazione di Harold Bloom (Gesù e Jahvè, Rizzoli, 2006): “Io sarò presente
ogni qualvolta e ovunque sarò presente”.
[12] Cappelletto Gianni, Genesi (Capitoli 1 – 11), Messaggero di Sant’Antonio, 2000)
[13] Nelle prime sette tavolette d’argilla dell’Enuma Elish, conservate nel British
Museum, sono descritte la creazione dei cieli e della terra e di tutto ciò che vi è in essa,
compreso l’uomo (nelle prime sei tavolette), e la lode al dio Marduk (settima tavoletta)
che nel settimo giorno si riposò (cessò ogni suo lavoro).
[14] Vedi SPINOZA, Baruch, Trattato teologico-politico, Einaudi 1972, pagg. 185-228
[15] E’ il nome dell’uomo e del mondo (aDaMaH) di Genesi. Non va confuso con
l’uomo di altri mondi, con l’uomo sinonimo di specie umana o con il maschio della
specie umana. ‘aDaM è l’uomo degli Elohim e di YHWH, quello che si sono scelti e
al quale hanno affidato l’elaborazione del loro progetto del mondo.
‘aDaMaH è la sostanza adamica (il corrispondente femminile di ‘aDaM) che una
‘eReTs o un ‘aDaM devono venerare, servire, coltivare per raggiungere la dimensione
di nazione o di uomo che piace a Dio.
[16] “Il mito non conosce alcuna creazione dal nulla […]. Il mito presuppone sempre
un caos dai cui elementi prende forma l’opera della creazione” . Creazione dal nulla e
auto-limitazione di Dio, in G. Scholem, Concetti fondamentali dell’ebraismo, Marietti,
Genova 1896.
[17] A. Rosmini, Teodicea, Città Nuova, 1977, pagg. 90-91
[18] Secondo il Fabre-d’Olivet la scrittura ebraica ha tre diversi modi di essere letta:
due sono sonori ed uno visivo; i primi due hanno significato letterale e figurale, il
terzo ha significato geroglifico.
[19] Fabre d’Olivet, La lingua ebraica restituita, Parigi 1825. Traduzione italiana a
cura di Maria Luisa Mazzini, Arché, Milano, 1980