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STUDI VERDIANI

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istituto nazionale di studi verdiani


parma 2014
STUDI VERDIANI 24 (2014)

Direttore responsabile Emilio Sala


Comitato scientifico Fabrizio Della Seta, Anselm Gerhard, Roger Parker,
Alessandro Roccatagliati, Emanuele Senici, Mary Ann Smart
Tutti i saggi pubblicati in questo volume sono stati sottoposti a processo di
double blind peer-review
Redazione Alessandro Turba
Impaginazione Davide Stefani
Tipografia Mattioli 1885 S.p.A. (Fidenza)
Distribuzione Casalini Libri
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Printed in Italy
Autorizzazione del Tribunale di Parma n. 3 del 17.01.1986
«A shared sense of personal tragedy»
I volti femminili di Verdi
di Bianca De Mario

Susan Rutherford, Verdi, Opera, Women, Cambridge, Cambridge Univer-


sity Press («Cambridge Studies in Opera», series ed. by Arthur Groos), 2013,
293 pp., isbn 9781107043824. £ 65.00 / $ 99.00.

«Le lodi imbarazzavano Verdi, la critica lo irritava […]. Per Verdi, la rap-
presentazione dal vivo dell’evento operistico superava il discorso: le pa-
role non potevano sostituire adeguatamente la musica o l’immediatez-
za della performance».1 Come spiega Susan Rutherford, il contratto che
Verdi firma non è quello con gli storici o con i critici, ma con il pubblico
e l’attualità dell’evento performativo: è la rappresentazione di un’opera,
la sua piena realizzazione nell’hic et nunc, a poter trasmettere la stessa
intensità che egli sente nell’atto della composizione. La domanda, che
da subito l’autrice si pone e che guida l’intera indagine, è allora come
sia possibile avere accesso all’attualità della rappresentazione quando
questa risiede in un passato così lontano.2 Una definizione, quella di pre-
sentness, difficile da rendere adeguatamente nella nostra lingua: qualco-
sa che condensa in un’unica formula tanto l’idea dell’unicità temporale,
dell’irripetibilità di una performance operistica, quanto il concetto di
presenza fisica e compartecipazione, rituale e ritualizzata, a un evento
dal vivo – la liveness, oggi tanto discussa.3

1 «Praise embarrassed Verdi; criticism irritated him […]. For Verdi, the liveness of
the operatic event superseded discourse: words could not adequately substitute for mu-
sic, or for the immediacy of performance»: Susan Rutherford, Verdi, Opera, Women,
Cambridge, Cambridge University Press, 2013, p. 1. Traduzioni italiane mie.
2 «How can we access that “presentness” when it lies so far in the past?»: ibid.
3 Si vedano, tra i più recenti contributi in materia: Philip Auslander, Liveness.

Performance in a Mediatized Culture, New York, Routledge, 20082 (1a ed.: 1999); Ver-
254 de mario

Appellandosi agli scritti pionieristici sulla recezione di Verdi, di cui


è autrice Blanche Roosvelt, cantante americana e giornalista,4 la Ru-
therford si propone di tracciare una topografia artistica e sociale di una
comunità nel passato.5 Questa mappa esplora a tutto tondo l’universo
femminile verdiano e riguarda le eroine nate dalla sua fantasia e pla-
smate attraverso la musica; la loro incarnazione da parte delle cantanti
sul palco; il loro riflesso nell’uditorio femminile; l’impatto sul pubblico
– compreso quello maschile – e la loro rielaborazione in termini erme-
neutici e più profondamente epistemologici; infine, l’adozione e la resti-
tuzione, da parte del compositore stesso, di ritratti femminili profonda-
mente aderenti alla realtà locale e radicati nell’immaginario culturale
dell’Italia ottocentesca.
Tutt’altro che monolitiche e uniformemente inattive, le eroine ver-
diane inquietano per la loro attitudine equivoca verso i codici ricono-
sciuti dalla femminilità dell’epoca, persino nei momenti di intimo sa-
crificio o nei loro atti di grazia, inadeguati o eccessivi. Pur circoscritte
dalle costrizioni sociali e politiche dell’epoca, le immagini che Verdi
contribuisce a modellare, aderenti all’estetica del conflitto e dell’effetto,
si nutrono dello spirito e degli avvenimenti del tempo. Al tempo stesso,
lo spettatore e – in questo caso particolare, ma non in via esclusiva – la
spettatrice agiscono come co-produttori engagés, impegnati nell’evento
teatrale, che viene esperito attivamente attraverso una vasta gamma di
dettagli selezionati consapevolmente e un’altra più profondamente as-

di in Performance, ed. Alison Latham and Roger Parker, Oxford, Oxford University
Press, 2001; Emanule Senici, Il video d’opera “dal vivo”. Testualizzazione e “liveness”
nell’era digitale, in «Il Saggiatore musicale», xvi/2 (luglio-dicembre 2009), pp. 273-312;
E. Senici, Porn Style? Space and Time in Live Opera Videos, Melina Esse, Don’t Look
Now: Opera, Liveness, and the Televisual, Christopher Morris, Digital Diva. Opera
on Video, in «The Opera Quarterly», xxvi/1, (Winter 2010), rispettivamente a pp. 63-80,
81-95, 96-119, e Roger Parker, Giuseppe Verdi’s “Don Carlo(s)”: “Live” on dvd, in «The
Opera Quarterly», xxvi/4 (Autumn 2010), pp. 603-614.
4 Blanche Roosvelt Tucker Machetta, Verdi, Milan and “Othello”. Being a

Short Life of Verdi, with letters written about Milan and the new opera of “Othello”:
represented for the first time on the stage of La Scala theatre, February 5, 1887, London,
Ward and Downey, 1887.
5 È quanto aveva fatto con Mozart, seppur con un’attenzione più accentrata sulla dram-

maturgia operistica, il lavoro di Kristi Brown-Montesano, Understanding the Women


of Mozart’s Operas, Berkeley, Los Angeles, University of California Press, 2007. L’indice del
testo mostra varie analogie con alcuni degli argomenti che tratterà anche la Rutherford: la
donna assalita, la seduzione e la liberazione, il potere politico e la vendetta, il ruolo di mo-
glie e madre, la condivisione femminile nello spazio intimo di una “sorellanza” (sisterhood).
i volti femminili di verdi 255

similata a livello inconscio. Entrambi questi processi contribuiscono a


una mimesi aristotelica, nozione trasferita dall’interprete allo spettato-
re, in cui emozione e ragione lavorano in maniera congiunta.6
Volto pubblico della società italiana, i teatri d’opera offrono una va-
sta galleria di personaggi, attori e spettatori: per esempio, Maria Luigia
d’Asburgo-Lorena, seconda moglie di Napoleone, poi Duchessa di Par-
ma, Piacenza e Guastalla, concepisce il Nuovo Teatro Ducale (l’odierno
Regio di Parma) come un’estensione del proprio salotto; 7 Alexandrine
d’Alopeus, figlia di un conte svedese stabilitasi in Italia, consuma la sua
storia d’amore con Albert de la Ferronays – raccontata en feuilleton,
giorno per giorno, nei suoi diari – nei palchetti del San Carlo, sulle note
dell’Anna Bolena, de La muette de Portici e de La gazza ladra; 8 l’ano-
nima corrispondente del «Giornale di scienze, letteratura ed arti per la
Sicilia» descrive una strepitosa performance della Malibran – proprio in
quest’ultimo allestimento rossiniano – come qualcosa di appassionante
al punto tale da veicolare l’idea di una possessione collettiva.9 Le indiffe-
renti, le diplomatiche, le simpatiche, le platoniche o le plebee, come le de-
finiva il portiere del Teatro Ducale, Alessandro Stocchi,10 sono, in realtà,
spettatrici le cui vicende individuali possono risultare illuminanti per la
storia della recezione e per quella del costume e della mentalità.
L’autrice entra, così, nel vivo della trattazione, seguendo un criterio
tematico che, forse non a caso, s’intreccia spesso con una prospettiva

6 Esplicito è il riferimento alla teoria elaborata da Bruce McConachie, che offre


una metodologia di indagine opposta alla lettura brechtiana della Ubersfeld: cfr. Bru-
ce McConachie, Doing Things with Image Schemas: The Cognitive Turn in Theatre
Studies and the Problem of Experience for the Historians, in «Theatre Journal», liii/4
(December 2001), pp. 569-594, e Id., Engaging Audiences: a Cognitive Approach to Spec-
tating in the Theatre, New York, Palgrave Macmillan, 2008, con Anne Ubersfeld, Re-
ading Theatre, trans. Franck Collins, Toronto, University of Toronto Press, 1999.
7 S. Rutherford, Verdi, Opera, Women, pp. 14-17.
8 Ivi, pp. 17-21.
9 «Yesterday evening she sang for the last time, but the enthusiasm she aroused is

impossible to describe. One cannot convey the proper idea of it, because such was the
emotion, and so strongly and powerfully felt, that it is difficult to find the right words.
A single man does not express [such feeling]. It requires hundreds and thousands of
people together invaded and possessed at the same time by the same sentiment», S.
Rutherford, Verdi, Opera, Women, p. 21, dal «Giornale di scienze, letteratura ed arti
per la Sicilia», ix/117 (settembre 1832), pp. 312-320.
10 Cfr. Alessandro Stocchi, Diario del Teatro Ducale di Parma dell’Anno 1841,

compilato del portiere al palcoscenico, Parma, Giuseppe Rossetti, 1842, cit. in S. Ru-
therford, Verdi, Opera, Women, pp. 14-16.
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cronologica, proponendo l’esplorazione, attraverso un ampio e variegato


ventaglio di personaggi (fittizi o reali), di alcune situazioni topiche del te-
atro d’opera: War, Prayer, Romance, Sexuality, Marriage, Death, Laughter.
I volti della guerra
«La guerra sfidava le definizioni di genere».11 La figura della guerriera
non era una novità nel genere, al limite una rivisitazione della tradizione
letteraria e musicale italiana che aveva visto in Bradamente e Clorinda i
suoi prototipi. Certo i mutamenti nelle convenzioni teatrali e operistiche
avevano contribuito con il nuovo secolo al declino dell’eroina guerriera,
i cui ultimi modelli musicali erano stati offerti dalla Semiramide di Ros-
sini, nel 1823, e dalla Caritea, regina di Spagna di Mercadante nel 1826.
L’insistenza sulla fragilità femminile di quegli anni ignorava tuttavia la
realtà sociale di molte donne dei ceti più bassi, il cui lavoro era assimila-
bile a quello maschile.
Come spiega la Rutherford, ogni eroina verdiana è, del resto, «in uno
stato di “guerra”» e si trova a dover far fronte a conflitti nella società o
nella sua cellula primaria, la famiglia.12 Che le loro armi siano reali ed
esplicite, come per Giovanna d’Arco od Odabella, nascoste e insidiose,
come quelle di Lady Macbeth, Elvira e Gulnara, o semplicemente meta-
foriche, nei casi di Lucrezia ed Hélène, esse investono di un nuovo dina-
mismo la scrittura di Verdi. L’immagine di Abigaille che, brandendo la
spada, giura vendetta doveva sicuramente provocare un certo scompiglio
in quel 1842 che, dopo i fallimentari moti degli anni Trenta, vedeva alcuni
stati italiani ancor più assoggettati alla politica accentratrice dell’Austria.
Se è vero che la censura esercitava il proprio controllo sulla vita cul-
turale del paese, non si può negare che il teatro restava il luogo in cui le
realtà politiche potevano trovare una più sottile e profonda articolazio-
ne: le opere verdiane degli anni Quaranta catturano infatti la crescen-
te bellicosità di alcune parti della società italiana; quelle del decennio
successivo condividono il cordoglio degli oppressi, mentre tra il 1860
e il 1870 si fa invece più forte l’istanza anticlericale. Scritti tutti, tran-
ne due, nel periodo del Risorgimento, è noto, come già dimostrato dai
numerosi studi di Roger Parker e Lucy Riall, che i lavori di Verdi siano
intrisi, più o meno consciamente, di una dialettica del conflitto, il tan-
to discusso Zeitgeist risorgimentale.13 La questione, a cui è dedicato un

11
«War challenged the gender definitions»: S. Rutherford, Verdi, Opera, Women, p. 33.
12
Ivi, p. 26.
13 La Rutherford si rifà, in modo particolare, a: Roger Parker, Studies in Early

Verdi 1832-1844: New Information and Perspectives on the Milanese Musical Milieu and
i volti femminili di verdi 257

approfondimento di diverse pagine, avrebbe forse potuto essere, alme-


no in parte, sintetizzata, con un diretto riferimento ai più recenti saggi
dello stesso Parker e di Axel Körner, dedicati proprio al “Verdi politico”
e alla politica culturale nell’Italia liberale.14 Ciò detto, non si può fare a
meno di notare che gli ultimi contributi in questa direzione precedano
di pochissimo la pubblicazione di questo testo ed è del resto innegabile
che la cornice contestuale offerta dalla Rutherford sia fondamentale per
poter delineare con maggior chiarezza le linee del fenomeno descritto e
il ruolo ricoperto dalla donna in questo quadro.
Mezzo di distrazione della popolazione dai più seri problemi legati
all’attualità, i teatri d’opera non possono esimersi dal portare la vita po-
litica del paese nelle questioni più pratiche di allestimento. È il caso di
Augusta Albertini, prima donna ne I masnadieri del 1849 a Modena: ri-
conosciuta come una simpatizzante “nemica” per avere ricevuto un dono
di 1000 lire da alcuni ammiratori austriaci, fu denigrata dal pubblico del
Comunale, che rifiutò di applaudirla.15 Le pubbliche manifestazioni di
approvazione o disapprovazione assunsero evidenti coloriture politiche
che culminarono con la trasformazione del teatro in un campo di batta-
glia e la successiva chiusura della stagione. Non solo cavie o vittime della
politica culturale, le donne divengono ispiratrici, salvatrici e guerriere.
Alla prima categoria appartengono le pioniere del femminismo, co-
loro che, attraverso attività letterarie e giornalistiche, diffondono, per
dirla con Banti, l’idea della donna come simbolo del Risorgimento:
Luisa Amalia Paladini, Isabella Rossi, Giannina Milli, Giulia Molino-
Colombini; Cristina Trivulzio di Belgioioso, che, in esilio a Parigi, fon-
da la «Gazzetta italiana»; Caterina Percoto, scrittrice che documenta le
atrocità dell’esercito austriaco in Friuli nel 1848; Margaret Fuller, gior-
nalista del «Tribune» che descrive l’ascesa e la caduta della Repubblica di

the Operas from Oberto to Ernani, New York, London, Garland, 1989; Id., «Arpa d’or
dei fatidici vati»: the Verdian Patriotic Chorus in the 1840s, Parma, Istituto nazionale
di studi verdiani, 1997; Lucy Riall, Garibaldi: Invention of a Hero, New Haven, Yale
University Press, 2007; Ead., The Italian Risorgimento: State, Society and National Uni-
fication, London, Routledge, 1994; Alberto Mario Banti, La nazione del Risorgimen-
to. Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita, Torino, Einaudi, 2000; Id., Il
Risorgimento italiano, Roma, Bari, Laterza, 2004.
14 Si veda a questo proposito «The Journal of Modern Italian Studies», 17/4 (2012),

Special Issue, Opera and Nation in Nineteenth-Century Italy, contenente alcuni impor-
tanti saggi di Axel Körner, Carlotta Sorba, Emanuele Senici, Mary Ann Smart, Jutta
Tœlle. Assai utile è anche Axel Körner, Politics of Culture in Liberal Italy, New York,
London, Routledge, 2009.
15 S. Rutherford, Verdi, Opera, Women, pp. 32-33.
258 de mario

Roma.16 Realtà a cui la Hélène de Les Vêpres siciliennes si ispira e offre, al


contempo, un immaginario fertilissimo: nella sua ballata, richiesta dai
soldati francesi, incoraggia il popolo siciliano ad armarsi e a preparare
una insurrezione contro i francesi. Ispiratrice di un’azione rivoluziona-
ria che parlava alla coscienza italiana, l’opera ebbe una storia assai trava-
gliata prima di poter essere rappresentata nel nostro paese, nel 1860. Non
solo: il vocabolario musicale di Hélène era lo stesso usato da Odabella
nella sua cavatina («Allor che i forti corrono», Attila), ricca di intervalli
ampi, arpeggi e moduli ritmici ormai riconosciuti dall’ascoltatore come
topoi di battaglia. A riprova dell’efficacia di questo modello e del suo
influsso sul pubblico, Rutherford riporta l’episodio di Tina Whitaker,
figlia del patriota siciliano Alfonso Scalia, esule a Parigi quando si tenne
la prima dei Vêpres, nel 1855: il pubblico dell’Opéra, pieno di esiliati ita-
liani, esplose in applausi e grida di approvazione – da non dimenticare il
fatto che quell’anno si trovassero a Parigi i fratelli Venosta, Carlo Man-
cini e Saule Mantegazza, gruppo di giovani radicali milanesi.17
La Lucrezia de I due Foscari è l’emblema della categoria delle salva-
trici, cui faranno seguito, pagando lo scotto sulla propria pelle, Alzira,
Luisa, Leonora e molte altre eroine verdiane. I nomi di Teresa Manin e
Giuseppina Perlasca ci riportano invece dalla fiction alla vita reale, ri-
cordandoci le vicende di due donne che tentarono il tutto per tutto per
salvare i mariti.18 Proprio allora, tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli
anni ’50, nascono i primi circoli femminili, in cui esperienze di questo
tipo potevano essere accolte, condivise e occultate da un’intima comu-
nità di genere: ciò che si definisce sin dalle prime pagine come il «senso
condiviso della tragedia personale», in riferimento alla teoria mediatica
del “realismo emozionale” di Ian Ang.19
La violenza femminile della più audace guerriera verdiana, Odabella,
sarà omessa o semplicemente ignorata dalla critica coeva, spostando l’at-
tenzione su questioni di vocalità o di attorialità dell’interprete. La ragione

16
Ivi, p. 34.
17
Ivi, pp. 35-40.
18 Ivi, pp. 46-49.
19 Sul realismo emozionale, cfr. Ian Ang, Watching “Dallas”. Soap Opera and the

Melodramatic Imagination, London, Methuen, 1985. Rutherford rimanda, inoltre, a Ca-


rolyn Byrley: «the pleasure of affect for audiences were derived from a shared sense of
personal tragedy, allowing them to empathize at an emotional level with the pain as-
sociated with familiar renditions of domestic dysfunction» (Carolyn M. Byrley and
Karen Ross, Women and Media. A Critical Introduction, Oxford, Wiley-Blackwell,
2006, p. 59; cit. in S. Rutherford, Verdi, Opera, Women, p. 22).
i volti femminili di verdi 259

principale per cui un personaggio come questo, o peggio, come quello di


Giovanna d’Arco, passasse il vaglio della censura, più che l’ambientazione
in un passato “esoticizzante”, sembra essere piuttosto, ai nostri occhi, la
completa cecità della critica – in prevalenza maschile – riguardo tali que-
stioni. È tale indifferenza, o, piuttosto, assenza di focus, ad amplificare
l’altro volto dell’aggressività: il senso di colpa. Se la ribellione conduce
spesso a una liberazione delle sue protagoniste, d’altra parte queste eroine
non di rado portano con loro una forma di disagio dato dalla trasgressio-
ne di un modello accettato dalla società – che, come nel caso di Abigaille,
culmina a volte nel sacrificio autoimposto. I numerosi esempi di cronaca
riportati dall’autrice dimostrano che, nonostante questa cecità di facciata,
un numero sempre più alto di guerriere popolasse le pagine dei giornali.
Tra gli assalti milanesi di Luisa Battistotti Sassi in abiti maschili 20 e i 200
volontari raggruppati dalla Belgioso a Napoli per le Cinque Giornate di
Milano,21 una delle storie più drammatiche è certamente quella di Maria
Conti, Ernesta e Selene Galli.22 Dopo aver assistito, con un certo diverti-
mento, alla derisione di Annetta Olivari, figlia di un guantaio che aveva
esposto la bandiera austriaca, le tre giovani furono arrestate e condannate
a 40 colpi di frusta – il massimo consentito dalla legge era di 50 colpi.
In questa rapsodica marcia tra finzione e realtà la Rutherford segue
allora il percorso di Verdi: laddove le guerriere non possono ancora vin-
cere con la loro opposizione, si dilata lo spazio per un’altra lotta, quella
contro la religione. Dalle ribelli messe a tacere la lente si sposta poi sulle
vittime dell’oppressione.
Devozione e spiritualità
È nella preghiera che si condensa l’immagine della supplica, luogo riser-
vato quasi esclusivamente al genere femminile e momento teatrale effi-
cace tanto in termini estetici – per ciò che concerne la mise en scène nel
gioco on- e offstage ed i conseguenti effetti musicali – quanto in termini
ermeneutici – l’opera come espressione del rapporto cultura-religione e
della spiritualità femminile.
Il rapporto di Verdi con la religione e il suo ateismo, se così si può
definire, hanno poco a che fare con questo: 23

20 Ivi, p. 54.
21 Ivi, p. 56.
22 Ivi, p. 65-66.
23 Anche in questo caso il riferimento principale è R. Parker, «One priest, One

Candle, One Cross»: Some Thoughts on Verdi and Religion, in «Opera Quarterly», xii/1
(1995), pp. 27-34.
260 de mario

Quale che fosse il credo personale del compositore, la religione nelle ope-
re di Verdi svolgeva funzioni simili a quelle che giocava nella vita italia-
na di tutti i giorni; poteva essere fonte di conforto e soccorso in momenti
di crisi personale, o manifestazione di una virtù ideale a cui la società
terrestre poteva solo aspirare, a volte rappresentando persino un senso di
modernità e progresso; poteva essere una forza conservatrice oppressiva,
che gettava scompiglio nella vita degli individui attraverso tradizioni e
potere rigidi e ciechi; o semplicemente poteva rappresentare una parte
ordinaria, ma costante, del tessuto sociale e della vita quotidiana.24
Il caso del «Salve, Maria!» di Giselda è sintomatico: musicalmente sem-
plice, centrata sull’umanità della Vergine, ma con un marcato senso
di ritualità e di audacia nelle armonie nella parte finale, il brano ebbe
un’accoglienza controversa. Se da una parte il suo canto potrebbe essere
accolto come emblema della rassegnazione femminile,25 dall’altra il trat-
tamento musicale rivela il suo modo di intendere la fede e la famiglia in
maniera del tutto non convenzionale. Questo emergerà chiaramente nel
rondò alla madre, «O madre, dal ciel soccorri al mio pianto»: la richiesta
di perdono per essersi innamorata di un pagano, qualcosa che va contro
la religione e il credo dei patriarchi. La figura della madre – dunque della
donna – è al centro della narrazione e della drammaturgia, un fatto im-
portante su cui la teologia cattolica, dapprima fautrice di una concezione
negativa e diabolica del genere femminile, punterà fortemente, in un pe-
riodo di grande perdita di consenso. Enrichetta Caracciolo è l’incarna-
zione di questo scricchiolamento nel credo femminile: costretta alla mo-
nacazione, scappò dal convento e visse clandestinamente da patriota.26
La forza del destino, così come Il trovatore, Aida e Don Carlos, ri-
velano invece una divinità impotente ai travagli dell’umanità dove la
preghiera diviene speranza di morte e si trasforma in vere e proprie
maledizioni. Con Otello, poi, la fede di Desdemona si trasforma nuo-
vamente, oscillando di continuo tra le nozioni di ideale e reale: la sua

24 «Whatever the composer’s personal beliefs, religion in Verdi’s opera fulfilled


similar functions to those it performed in daily Italian life; it could be the source of
comfort and succor in moments of personal crisis; or the manifestation of an ideal virtue
to which earthly society could only aspire, representing at times even a sense of the mo-
dern and progressive; or an oppressive conservative force, wreaking havoc on individual
life through rigid, blind power and traditions; or simply an unremarkable but constant
part of the social fabric and daily life»: S. Rutherford, Verdi, Opera, Women, p. 71.
25 Si veda Francesco Izzo, Verdi, the Virgin and the Censor: The Politics of the Cult

of Mary in “I lombardi alla prima Crociata” and “Giovanna d’Arco”, in «Journal of the
American Musicological Society», lx/3 (2007), pp. 557-98.
26 Si veda S. Rutherford, Verdi, Opera, Women, p. 82.
i volti femminili di verdi 261

purezza spirituale si realizza attraverso la purezza del canto, qualcosa di


strettamente connesso all’esperienza corporea della sofferenza inflitta.
Anche Desdemona è simbolo di un cambiamento, quello cui si appelle-
rà, solo nel 1895, padre Giovanni Semeria che esortava le donne a lasciare
le mura domestiche e dedicarsi all’azione sociale.27
Gli «amori difficili» di Verdi
È con l’abbandono delle trame epiche ed eroiche degli anni Quaranta
che Verdi inizia a porre l’attenzione sull’amore e sulla passione, in senso
più prettamente romantico. Quali che siano le cause, le eroine di questo
periodo si trovano a negoziare i propri desideri su di un terreno estrema-
mente ostile: l’amore è quella forza che, incoraggiando la formazione di
legami oltre i confini familiari, nazionali, religiosi ed etnici, può mettere
a repentaglio l’ordine sociale.
La cronaca del tempo è cosparsa di episodi sintomatici a riguardo
a cui non si sottraggono nemmeno personaggi storici. Esemplare è la
storia della già citata Maria Luigia: figlia di Francesco ii d’Austria, fu
destinata in sposa a Napoleone Bonaparte che, ancora senza eredi, aveva
deciso di annullare il matrimonio con Joséphine de Beauharnais e cre-
are un legame con il paese che aveva sconfitto ad Austerlitz. Le lettere
di Maria Luigia al padre e i diari sono testimoni del suo sconforto e dei
suoi timori a riguardo, consapevole di essere il sacrificio umano per que-
stioni che la trascendevano. Dopo l’esilio dell’imperatore, da cui ebbe
un figlio, Maria Luigia, ormai duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla,
iniziò una relazione clandestina, con il Conte von Neipperg, che le diede
tre figli e che, dopo la morte del marito, poté sposare.28 Gli scritti di Ma-
ria Cristina di Belgioioso, separatasi dal marito a cui si era legata all’età
di sedici anni, sono poi vere e proprie considerazioni sull’indipendenza
femminile e sulla ricerca della felicità.29
Nonostante i primi movimenti femministi condannino l’idealizzazione
dell’amore romantico in quanto mezzo per soggiogare e perpetuare il sistema
matrimoniale, la Rutherford spiega che, paradossalmente, i sentimenti gene-
rati dalla valorizzazione dell’amore romantico all’interno della società apri-
rono la strada delle donne verso la contestazione del controllo patriarcale. Nel
1856 Pietro Thouar sarà tra i primi a parlare apertamente della possibilità di
scelta delle figlie in tema di matrimoni – possibilità da lui esclusa.30 La liber-

27 Ivi, p. 92.
28 Ivi, pp. 96-98.
29 Ivi, pp. 98-99.
30 Ivi, pp. 99-100.
262 de mario

tà di scegliere un marito secondo la legge dell’amore è il motivo pervadente


della letteratura e della cultura teatrale del tempo, anche tra le opere di Verdi.
Miller teme per la felicità della figlia ma non per questo le nega di
unirsi al misterioso Carlo. Vero è che le eroine verdiane, non a caso, rara-
mente commettono l’errore di innamorarsi di qualcuno inferiore al loro
status sociale – e infatti Manrico si scoprirà essere il fratello del Conte di
Luna. In Verdi le unioni tra amanti sono, in realtà, messe a repentaglio
più da fattori etnici, nazionali e religiosi che economico-sociali.
Unica eccezione è il Simon Boccanegra: l’unione del corsaro con la
figlia del patrizio Fiesco è talmente inaccettabile da togliere dalla scena
Maria, che muore, inascoltata, già nel Prologo. Simone, vent’anni dopo,
ritrovata la figlia perduta, vivrà la stessa situazione, dovendo cioè accet-
tare che l’amato di Amelia sia suo nemico. La ragazza, descritta come
modesta e quieta, richiede in realtà il piglio del soprano lirico, soprat-
tutto nelle scene d’amore, un esempio di come «even the most nun-like
of women, in Verdi’s imagination, can be transformed by love into a bla-
zing crusader».31 D’altra parte Boccanegra dimostra che i padri possono
imparare dagli errori di altri padri e, in punto di morte, sarà lui stesso a
benedire l’unione di Gabriele e Amelia.
Non è però possibile parlare di amore senza parlare di sessualità e sul
controllo maschile esercitato a tal proposito. L’abbandono alle fantasie
amorose è, esso stesso, un atto di ribellione che, spesso, conduce all’infeli-
cità. Si pensi a Gilda: le sue arie trasognate sono l’incarnazione dell’inno-
cenza sessuale e ai suoi occhi le parole del suo seduttore sono sinceri segni
di devozione. Gilda e Leonora nella finzione verdiana, così come le “eroi-
ne” reali della cronaca del tempo, saranno vittime di un amore proibito.
I codici dell’onore
Il pericolo più grande rappresentato dall’amore era dunque proprio la ses-
sualità, certamente non di pertinenza femminile. I versi di Violetta sulla
voluttà dell’amore sono quanto di più ardito si potesse concepire in un’o-
pera. Esempi concreti dimostrano tuttavia che, proprio in quel tempo,
nuove idee cominciassero a circolare anche in Italia, si pensi per esempio
a Charles Fourier, secondo cui la repressione morale esercitata sui senti-
menti non faceva altro che esacerbare le differenze: le donne, private della
libertà d’amore, erano costrette a vivere in una ipocrisia obbligata.32

31Ivi, p. 102.
32Si vedano ivi, p. 112, e Charles Fourier, Des trois groupes d’ambition, d’amour
et de famillisme, in Id., Manuscrits de Fourier, Parigi, 1849.
i volti femminili di verdi 263

Il coinvolgimento dell’opera con queste tematiche era palpabile ma


trasversale. Il palco stesso, spiega l’autrice, è un’arena in cui vari elementi
contribuiscono alla creazione di un’atmosfera pruriginosa: l’esposizione
di corpi, maschili e femminili, la lunga identificazioni di attrici e corti-
giane, la fantasia stessa della performance. Il contatto fisico era comun-
que limitato. Verdi stesso non si espone molto in questo senso: la richie-
sta mossagli da Borsi di aggiungere una nuova aria a Gilda viene rifiutata
proprio perché l’unico momento per farlo richiederebbe di aggiungere
una scena in cui Gilda è a letto con il Duca.33 Certo si potrebbe trattare di
una mossa strategica di Verdi – non certo un puritano – per limitare un
ritocco al suo testo, ma è comunque un dato che indica quanto lontani si
fosse da una scelta tale. Ciò che non può essere mostrato, si può comun-
que far ascoltare: l’inaspettata doppia cadenza nel duetto di Gilda e del
Duca nell’atto primo, dimostra la Rutherford, è un bacio metaforico.34
Uno studio approfondito è condotto anche sui personaggi di Amne-
ris ed Eboli, quest’ultima importante in particolar modo perché, accanto
al concetto di seduzione, deve essere considerata alla luce di una que-
stione ancor più delicata nella sfera sessuale: lo stupro. Se il termine “se-
duzione” presuppone spesso un atto di violenza, allora è lecito chiedersi,
come già faceva Elizabeth Hudson, se Gilda fosse stata semplicemente
sedotta o piuttosto violata.35 Il punto di vista offerto dall’autrice si spinge
nella spiegazione della complessità dell’intendere un tale crimine nella
società ottocentesca. Considerato più come un delitto verso l’onore e le
virtù sociali, anziché contro il corpo e la psiche, come tale veniva punito.
Un uomo accusato di stupro poteva scegliere fra diversi tipi di pene, se
così si possono definire: prendere in moglie la donna violentata, assu-
mersi la responsabilità pecuniaria di eventuali nascite, finire in carcere
per un periodo variabile in base all’epoca. Molte delle vittime si trovava-
no dunque costrette, loro malgrado, a continuare una relazione sessuale
successiva allo stupro. Il clamore che, anche all’epoca, Rigoletto destò,
più che contribuire a un’apertura del dialogo sulla questione, divenne
tuttavia un monito sui pericoli di una distorsione femminile.
La prostituzione è, in fondo, l’altra faccia di questa medaglia, laddove
essa sia intesa, come spesso accadeva, come caduta in disgrazia di una
giovane che ha perduto la verginità prima del matrimonio. Una Traviata

33 Lettera a Borsi dell’8 settembre 1952; S. Rutherford, Verdi, Opera, Women, p. 113.
34 Ivi, p. 114.
35 Ivi, p. 121, con riferimento a Elizabeth Hudson, Gilda seduced. A Tale Untold,

in «Cambridge Opera Journal», iv/3, pp. 229-51.


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era dunque tanto più rischiosa, quanto più forte la capacità di attrazione
della sua musica. Qui la Rutherford non sdegna di soffermarsi sul tanto
discusso problema del rapporto tra questo personaggio e la realtà perso-
nale di Verdi: se infatti è vero che il compositore delle Roncole sarebbe
inorridito davanti a un paragone tra la Strepponi e una prostituta, la sua
necessità di giustificare la natura della sua relazione, come dimostra una
sua lettera a Barezzi, proprio del 1853, è indice di un’autoconsapevolezza
dei costumi e della morale coevi.
Topos sempre più diffuso a quell’epoca, sebbene non sia possibile af-
fermare che la popolarità dell’opera abbia apportato un contributo signi-
ficativo al dibattito, è un fatto che, dagli anni ’60, in poi la legislazione in
materia fu implementata e l’idea della prostituzione come un martirio
causato dal vizio maschile si fece sempre più strada. Fuori discussione
è d’altra parte il fatto che questa tematica abbia alimentato un dibattito
ben più ideale: la libertà della donna. Una fra tante (1878) di Emilia Viola-
Ferretti (“Emma”), La missione della donna (1884) di Virgina Paganini
e Senz’amore (s.d.) della Marchesa Colombi, rappresentano un ulteriore
passo avanti in questa direzione. La Teresa (1886) di Neera comprenderà,
poi, le possibilità dell’amore proprio assistendo a una performance di
Rigoletto, simbolo, ancora una volta, dell’influenza dei modelli verdiani
sulla cultura e sulla vita sociale.
Mogli, adultere, madri
Non sono poche le memorie ottocentesche di scrittrici o personaggi più
o meno illustri che narrano la propria vita matrimoniale. Per molte si
tratta di un brusco risveglio dal loro personale romanzo adolescenziale.
L’evasione da una trappola in cui si è costrette diviene pertanto l’adulte-
rio. L’autrice cita Mantegazza quando sostiene che l’ipocrisia di quell’età
non risiedeva tanto nel fatto che il tradimento non esistesse, quanto nel
rifiuto di riconoscere che il sistema dei matrimoni combinati fosse la
causa principale delle relazioni illecite.36 Un fatto tanto più vero per le
donne – peraltro punite più severamente.
In ambito operistico l’adulterio non è comune soltanto per interesse
sociale, ma soprattutto per le potenzialità drammaturgiche che permet-
te. La preferenza accordata dall’opera all’adulterio femminile è del resto
sintomatica di un’epoca in cui gli uomini sposati delle classi medio-alte
associano alle relazione domestiche le concessioni sessuali offerte da
amanti, serve e prostitute.
36 Paolo Mantegazza, The Physiology of Love and Other Writings, ed. Nicoletta
Pireddu, Engl. trans. David Jacobson, Toronto, University of Toronto Press, 2007.
i volti femminili di verdi 265

L’esempio verdiano più lampante è la Lina di Stiffelio. Se la critica mo-


derna legge l’opera come una storia di adulterio, i commentatori ottocen-
teschi, più consapevoli dell’ipocrisia del linguaggio coevo nella codifica
dell’atto sessuale, identificano con qualche difficoltà la natura della rela-
zione tra Lina e Raffaele. Il riferimento all’atto nel libretto è incerto e, an-
che in questo caso, l’azione resta così velata da lasciare in dubbio se si trat-
ti di un tradimento o di uno stupro. Salendo le scale in ginocchio, Lina
era l’immagine lampante della fallen woman, riabilitata, perdonata. La
colpa di cui questo personaggio, schiacciato dal rimorso, si carica, risiede
nelle convinzioni secondo le quali una relazione extramatrimoniale, al
di là della natura più o meno violenta che questa avesse, era strettamente
connessa al piacere sessuale. In base a questo Lina sarebbe emotivamente
innocente – come lei stessa spiega – ma sessualmente colpevole.
Le vicende di Enrichetta di Lorenzo illuminano di una nuova pro-
spettiva la sessualità femminile. Fuggita da Napoli, dove lascia un mari-
to detestato e tre figli, per stare con Carlo Pisacane, la donna ripensa al
proprio passato come a una forzata prostituzione e alla rinnovata libertà
come la riscoperta di un piacere che pensava riservato all’uomo. Al con-
trario, il matrimonio di Maria Clotilde di Savoia con Jérôme Bonaparte,
programmato in ogni suo dettaglio addirittura da Cavour, che si preoc-
cupava di far stringere ai Savoia dei solidi legami con i francesi, fu un
vero disastro che culminò con la separazione.
Altro aspetto strettamente connesso al matrimonio è la maternità. L’i-
dentità della “madre italiana”, con le qualità di fiero possesso ed esclusione
paterna, come spiega l’autrice riferendosi agli studi di Marina D’Amelia, va
definendosi proprio in questo periodo.37 L’opera tuttavia fa ricorso meno
spesso al ruolo della madre, rispetto a quanto avvenga per quello del padre,
figura prominente dell’opera italiana. Non si tratta forse solo di un’assenza
dovuta all’enfasi posta sulla sovranità,38 quanto di una questione dramma-
turgica: le dispute padre vs figlia, senza l’intervento salvifico di una madre,
avrebbero guadagnato maggiore efficacia e potenza drammatica. La ma-
dre defunta, dunque santificata dalla morte, assume invece una funzione
importante poiché si rende accessibile attraverso l’atto di preghiera.
Azucena è, senza dubbio, la madre per antonomasia. I due atroci cri-
mini al centro de Il trovatore, uno commesso contro una donna, l’altro
da una donna, provocano due vittime innocenti. Queste morti inutili
37 Marina D’amelia, La mamma, Bologna, Il Mulino, 2005.
38 Martha Feldman, The Absent Mother in Opera Seria, in Siren Songs: Represen-
tations of Gender and Sexuality in Opera, ed. Mary Ann Smart, Princeton, Princeton
University Press, 2000, pp. 29-46.
266 de mario

daranno vita a delle inesorabili vendette. Estremamente significativo è il


racconto, offerto dal punto di vista di un uomo, prima, e di una donna,
poi. È proprio la conquista di questo spazio della narrazione a proiettare
l’ascoltatore nell’alterità, passando dalla parte degli oppressi.
La separazione da un figlio, dovuta a un errore umano o a quella
che era sentita come una necessità, è un evento di cui sono piene le cro-
nache del tempo. La già citata Enrichetta di Lorenzo inorridì quando,
dopo essere stata a lungo accusata di aver abbandonato i tre figli grandi,
avuti dal primo marito, le fu chiesto dalla famiglia di rinunciare al bam-
bino che aspettava dall’uomo con cui era fuggita per amore, Pisacane.
La Strepponi è poi il caso più lampante: madre di tre figli avuti da due
diversi uomini, prima della relazione con Verdi, la donna fu costretta a
darli tutti in adozione, per diventare poi la madre adottiva della picco-
la Maria Filomena, figlia di un cugino di Verdi. Ma la maternità della
Strepponi è un argomento che resta ancora oscuro, racchiuso nell’inti-
mità di una donna di cui ci sfuggono ancora molti contorni.
L’estremo sacrificio
Queste infinite sfaccettature dell’amore non possono che portare ad
un’inevitabile estremo, la morte. Non tutte le eroine di Verdi muoiono,
soltanto la metà. E dove questo accade, la causa è proprio l’amore, nella
maggior parte dei casi. In un contesto come quello italiano ottocente-
sco la rappresentazione nell’opera della morte di giovani eroine si pone
come mezzo di superamento di un trauma sociale: un modo di elabo-
razione del lutto e delle emozioni a esso connesse. Legate al genere sono
anche le cause della morte: prevalgono suicidi e omicidi – questi quasi
tutti per mano dell’amato – una sola è invece la morte per ragioni politi-
che, quella di Giovanna d’Arco. Come spiega l’autrice:
Mentre nelle opere precedenti, i momenti di intensità scaturivano da
una straordinaria agilità vocale, adesso avevano origine da giochi piro-
tecnici emotivi. La morte, in quanto una delle più grandi crisi umane,
era il luogo per l’esibizione del sentimento.39
L’esperienza della morte, vissuta attraverso una serie di rituali sociali,
vista nell’ottica di valori religiosi e prospettive filosofiche diverse dalle
odierne, raramente avveniva come una sorpresa. La sua considerazione

39 «While in earlier operas, moments of intensity had arisen from extraordinary

vocal athletics, now they stemmed from emotional pyrotechnics. Death, as one of the
greatest crises in human life, was the locus for displays of feeling», S. Rutherford,
Verdi, Opera, Women, p. 179.
i volti femminili di verdi 267

come momento facente parte della vita ne giustificava la sua natura pub-
blica, in casi più estremi come una forma di spettacolo.
Accanto alla morte pubblica di Giovanna d’Arco, che mischia ele-
menti dei due mondi, beatificando nella musica l’eroina, Luisa Miller
concepisce la morte come un lieto fine ritardato per coloro il cui amore
è ostacolato in vita; vi è poi la morte privata di Gilda, tra silenzi e parole
non dette; la morte per malattia di Violetta, cui la protagonista stessa
si oppone in virtù della carica vitale del suo rinnovato amore; la mor-
te degli amanti come avviene ne La forza del destino, e, infine, il caso
di Desdemona, in apparenza così pronta all’estremo sacrificio, in realtà
ostinatamente riluttante ad esso.
Le «donne nuove»
Questa toccante cadenza risolve su una chiusura che va, in maniera ras-
sicurante, oltre la morte: il riso, una netta asserzione di autonomia, un
segno di rivincita. Dalle risate private di Paolina Leopardi, si passa alle
risate pubbliche delle donne del quartetto di Falstaff : Alice, Meg, Na-
netta e Mrs Quickly. Nelle opere precedenti il riso poteva spettare solo
alle “altre”, al coro di schiave nell’harem de I lombardi o alle streghe
del Macbeth. Le donne, in Falstaff, sono invece un gruppo coeso, sono
simboli della richiesta di un cambiamento, di un più libero approccio
all’amore e alla sensualità.
L’ultimo decennio del secolo si prepara, dal suo canto, a introdurre
una diversa immagine della donna, la «donna nuova», colei che prende
coscienza dei propri diritti politici e legali, che può avere accesso all’e-
ducazione superiore e alle professioni, colei che riconosce e lotta per la
propria libertà. Anche nelle professioni musicali: Carlotta Michela Senesi,
Adelaide Nagel e Emma Carelli sono i primi esempi di donne-impresario.
In conclusione, la Rutherford si chiede se quella «Vittoria!», fieramente
cantata nel Falstaff, sia davvero stata raggiunta da Verdi. La sua ultima
opera non sortì l’effetto sperato: il pubblico italiano era ormai pronto ad ac-
clamare la Manon di Puccini e a leggere il primo studio di genere per mano
di Maria Majocchi Plattis (in arte “Jolanda”), Le donne dei poemi di Wa-
gner. 40 Il secolo ormai si chiudeva e Verdi, attento sì ai cambiamenti, ma
forse ormai restio ad alcuni di essi, vedeva discendere la propria parabola.
Sebbene il suo ritratto delle donne fosse spesso denso dei pregiudizi
dell’epoca, il compositore cercò di sfidare i limiti di questi confini, ad-

40 Jolanda [Maria Majocchi Plattis], Le donne dei poemi di Wagner, Milano,


Kantorowicz, 1893.
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dentrandosi nelle pieghe dell’animo femminile con grande compassio-


ne. I volti delle sue donne, che trovavano riflesso nelle spettatrici dell’e-
poca, sollevarono domande sulla realtà quotidiana, sulle donne reali e
sulla loro presenza attiva nella società.

In apertura, la Rutherford si chiede se sia davvero necessario un altro
libro sullo scaffale dell’Istituto nazionale di studi verdiani. La risposta
è che questo libro è necessario anche sugli scaffali dei centri di studi
italiani, di storia sociale, di storia del costume e della mentalità. Densis-
simo di fatti di cronaca, pagine memoriali, studi di genere, di filosofia
e di psicologia sociale, questo testo, che oscilla di continuo tra finzione
e realtà, è in grado di ricostruire, con dovizia di particolari, l’immagi-
ne e l’immaginario della donna nell’Ottocento italiano. Sa, insomma,
ricreare quel senso di condivisione che non si limita alla coscienza di
una «tragedia personale» ma ad una più profonda e toccante definizione
d’identità al di sopra dei ruoli.

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