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A piedi nudi

La sveglia era suonata alle sette come tutte le


mattine, Ivan doveva
alzarsi; era il giorno dell'esame. Si svegliò ancora
intorpidito che
tremava per il freddo, si lavò e si vestì
macchinalmente, dopodiché
prese il caffè e scambiò due parole da automa
con la madre. Salì la
rampa di scale che portava in camera sua e si
diresse verso l'angolo in
cui teneva le scarpe, dietro il letto. Quando vide
che queste non erano
al solito posto, rimase fermo come intontito;
dopo un minuto
d'orologio, resosi conto che effettivamente le
scarpe non c'erano, si
riprese dal torpore e incominciò a cercarle per
tutta la stanza
rabbiosamente, spostando il letto, la sedia e il
mobilio. Le scarpe non
c'erano e la stanza era stata messa a soqquadro.
Ivan scese le scale imprecando per l'inattesa
perdita di tempo; quello
destinato a prepararsi era contato al minuto e
non c'era il minimo
margine d'errore perché aveva ottimizzato il tutto
per dormire più a
lungo possibile.
La madre era uscita di casa per andare al lavoro
e aveva appiccicato un
post-it giallo sul frigorifero: "Ti ho lasciato la
pasta da scaldare per
pranzo", Ivan lo lesse dopodiché ebbe un gesto
di stizza per aver perso
altro prezioso tempo inutilmente.
Si mise a cercare nella scarpiera, aprì i cassettoni
in fretta e furia, ma
rimase di stucco quando vide che tutti e tre gli
scompartimenti erano
vuoti.
Ora, non solo non aveva trovato il paio di scarpe
che cercava, ma erano
sparite anche le altre paia, almeno quattro, di cui
due estive. Era
Dicembre inoltrato, ma Ivan avrebbe senz'altro
messo su le scarpe
estive se solo le avesse trovate. Si girò di scatto
e guardò l'orologio
appeso alla parete: non c'era più tempo, se
voleva arrivare in tempo per
l'esame, avrebbe dovuto uscire così scalzo
com'era. L'alternativa era di
starsene a casa e non dare l'esame, ma Ivan,
che aveva studiato
diligentemente, non volle nemmeno pensarci.

Guardò le calze bianche di spugna ai suoi piedi,


si fece f

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4 commenti di: Marco Oliverio

Agonia di un istante
Viene il ratto silenzioso, passi brevi ma decisi.
Appena appena sento il ticchettio dei suoi passi
che lentamente scandiscono la mia rovina.
Atterrito aspetto. È vicino, sempre più vicino,
sento già il suo respiro affannoso e il suo muso
solleticare i miei piedi. Non devo fare nessun
movimento. Atterrito esito. Vorrei con un calcio
scagliarlo via, lontano dai passi miei. Ma lui è li,
che si disseta del mio sudore e banchetta delle
mie paure. Non respiro. Si avvinghia alle mie
gambe ed inizia la sua scalata. Tremo. Questo
non fa altro che aumentare la sua presa; le sue
unghie sprofondano sempre più nella carne.
Vorrei urlare. Ma il grido mi si soffoca in gola.
Ora è sul mio petto; il cuore palpita talmente
forte e veloce che, la bestia sobbalza ad ogni
battito. Sto per vomitare. Ora è sulla spalla,
digrigna i denti nel mio orecchio: vuol farmi
impazzire. Quasi svengo. Ansimo a bocca
spalancata; ideale per ricevere più ossigeno o,
per fornire un'entrata ad un gigante roditore. Il
pelo, viscido, sulla mia lingua, le zampette che
graffiano la mia gola. I conati si fanno sempre
più forti, così come sempre più prepotente è il
tentativo del ratto di infilarsi nelle mie viscere.
Dalle mie labbra pende la sottile coda del mio
ospite e, come fosse uno spaghetto che viene
risucchiato... Puff! Scompare... Il dolore vero è in
gola, poi nella trachea, lui scava, scava e scava
ancora. Ma ora, che si trova all'interno del mio
petto, non scava più. Sono ben altre le lame che
usa per farsi spazio: denti, lunghi, affilati, che
riuscirebbero a tagliare il ferro. Le mie interiora
sono burro a confronto. Tossico. Se prima era
saliva ora è sangue quello che esce dalla mia
bocca. Devo dunque morire così? Mentre mi
pongo questa domanda, in ginocchio, dinanzi ad
una pozza di sangue, così scuro che posso
specchiarmici, qualcosa si impossessa del mio
braccio. Una forza sovraumana lo spinge verso la
mia bocca, e ancor prima ch'io possa
rendermene conto la mia mano è gia in

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2 commenti di: Giovanni Graff

Raccogliendo l'essenza
La strada che percorro è così polverosa e
accidentata che per quanto mi sforzi di
camminare dritta, m'inclino su quell'alito che
mendico in preziosi minuti che tu mi dedichi.
Il fuoco che s'accende è devastante, altissime
fiamme bruciano il mio corpo, per poi lasciare a
terra solo fuliggine spazzata via dal vento.
A tratti mi sento ubriaca di felicità per poi errare
senza meta, cerco di chiudere tutte le porte ma,
sono così sfinita che questo affare così
turbolento, veglia su lacrime calde e ancora
ferme sulle guance che le tue labbra, asciugano
prima che esse cadono.
Mi piacerebbe essere indifferente, svagata,
indolente, annoiata e provare un'avventura
galante ma, temo che sia una schiocchezza.
Come posso pensare anche per un solo istante,
cadere in questa trappola che non m'appartiene,
è così forte questo odore di passione, che non ho
nessun dubbio se non da parte tua, licenziare
questa magia del dolore.
Affollati sono i miei pensieri, passo da un
equilibrio sorvegliato ad un disordine mentale,
che solo una lucida ragione, mi trattiene
d'abbreviare la vita.
Il cuore mi si spacca è come una ferita seria, è
astuto non vuole rimarginarsi, combattuta lascio
che questo dolore affidi alla mia mente, ciò che
io non sono in grado di fare.
Quando sto con te è una magica sospensione di
sussurrati colloqui e quelle mani che misurano
l'ampiezza di questo amore.
Sono incerta nel proseguo ma, so già che ad un
tuo cenno mi offrirò palpitante e mi piegherò al
tuo fascino, raccogliendo l'essenza di quella
bellezza straordinaria, segreta, D'AMANTE.

5 commenti di: augusta

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