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Nives Maria Salvo

I Prefetti della provincia di Torino


N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

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I Prefetti della provincia di Torino

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Pubblicazione della Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno

La revisione dei testi è stata curata dall’Ufficio Studi della SSAI

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Indice

Prefazione del Direttore della Scuola Superiore dell’Amministrazione


dell’Interno 7

Nota del Prof. Nicola Tranfaglia 9

Introduzione 11

Ringraziamenti 13

Nota metodologica 15

Quattro passi sulla Storia 17

Le Biografie 27

Bibliografia 138

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Prefazione

Questa raccolta di biografie ripercorre la vicenda dei


Prefetti di Torino in un arco temporale particolarmente
interessante che va dall’Unità d’Italia al termine della
seconda guerra mondiale ed è frutto di un’attenta ed
accurata indagine.
Il lavoro si colloca in un contesto denso di avvenimenti
di grande valore storico da cui emerge la centralità di
Torino, città protagonista del dibattito preunitario e prima
capitale del Regno d’Italia.
La raccolta, grazie all’approfondita e rigorosa ricerca
delle fonti, restituisce, seppure con un “approccio
periferico”, un quadro ricco di toni e di particolari che
evidenzia come i Prefetti, interpreti attenti delle complesse
realtà locali e promotori dello sviluppo sociale ed
economico del territorio, abbiano svolto le delicate funzioni
assegnate anche in circostanze impreviste, frangenti a volte
drammatici, epoche storiche contraddistinte da profondi
mutamenti di cui, in qualsivoglia modo, sono stati
protagonisti, restando sempre saldamente ancorati al ruolo
di fedeli “servitori dello Stato”.
L’Autrice utilizza, come chiave di lettura, l’intreccio
tra le biografie e gli eventi del tempo. Le storie di vita, la
provenienza politica, l’evoluzione delle carriere, i
particolari incarichi conferiti, le destinazioni di servizio
mettono in luce uno spaccato storico con profili inediti e
stimolanti spunti di riflessione da cui trarre elementi
preziosi per una interpretazione dei passaggi cruciali
dell’evoluzione dell’Amministrazione dell’Interno.
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E’ per questo che la Scuola, sempre attenta alla


valorizzazione di lavori di ricerca su tematiche di interesse
per l’Amministrazione, ha scelto di pubblicare questo
volume di indubbia rilevanza storiografica, che potrà
costituire uno strumento in più per cogliere appieno il ruolo
dei Prefetti nella storia del nostro Paese.

Emilia Mazzuca

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Ho letto con attenzione il volume sui Prefetti della Provincia


di Torino e voglio dire che si tratta di un libro nuovo e
interessante su uomini che hanno difeso le Leggi del nostro
Paese.

Spero che il libro possa essere letto dai nostri giovani.

Torino, aprile 2013

Prof. Nicola Tranfaglia

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Introduzione

La pubblicazione da me curata e rivista dall’Università di


Torino, ha l’obiettivo di far conoscere alle nuove
generazioni le personalità di coloro che hanno ricoperto il
ruolo di Prefetto di Torino - nell’arco temporale che va dal
1861 fino all’8 settembre 1943 - alcune delle quali divenute
anche protagoniste della Storia d’Italia.

Usando un topos della comunicazione si può dire che un


libro di biografie sui Prefetti è un libro di biografie sui
Prefetti, serve a mettere chi lo legge sull’avviso ad
attendersi di leggervi anche la Storia. La storia dei Prefetti
di Torino attraversa come il filo di un’impuntura la vicenda
della Storia torinese e si snoda attraverso le tappe
fondamentali della costruzione di un'Italia unita e più
moderna e quelle della sua crescita.

Sin dalle prime pagine si respira un clima suggestivo, c’è un


fervore di cose nuove. E’ lo sfondo dove si susseguono
eventi divenuti poi storici ed episodi minimi che nessun
manuale ha mai registrato, ed è anche in questa mescolanza
di cifra che sta l’attrattiva del volume.

Il testo contiene anche alcuni materiali raccolti o redatti per


l’occasione: note, cronache di quotidiani dell’epoca,
curiosità culturali, che permettono di immergersi nella
realtà della Storia d’Italia in cui volta per volta si trova a
vivere il Prefetto.
Certamente un’Italia vista da Torino e con “occhi torinesi”.
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Il Regno d’Italia fu uno Stato nuovo per il carattere


nazionale, ma fu anche la continuazione del Regno di
Sardegna, da cui ricevette la dinastia, lo Statuto e parti
cruciali dell’ordinamento legislativo, amministrativo,
militare, finanziario, burocratico, scolastico.

Da Torino, con una politica estera misurata su uno


scacchiere internazionale, si sono rese possibili le
condizioni politiche e materiali per l’avvio delle guerre per
l’indipendenza nazionale.

Ancora Torino è la sede del dibattito politico preunitario, la


prima sede di accoglienza dei molti italiani esuli, che si sono
affiancati alle personalità locali di prima grandezza
nell’intento di fare l’Italia.

Per tutte queste ragioni Torino è un punto di partenza molto


speciale.

Nives Maria Salvo

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Ringraziamenti

Questo volume è il frutto del contributo di più persone.

Ringrazio:
• Il Prefetto di Torino, Alberto Di Pace;
• Il Prefetto Giuseppe Forlani, per le informazioni e la
documentazione sui Prefetti raccolta durante la sua
permanenza in servizio a Torino. Sono sue in
particolare le notizie sul Prefetto Vincenzo Ciotola
confluite nell'articolo "Il Prefetto di Torino durante i
drammatici giorni del settembre 1943", pubblicato
sulla rivista Instrumenta;
• Il Prefetto Claudio Gelati per l’incoraggiamento
all’iniziativa;
• L’Archivio Storico della Città di Torino,per le
immagini del Prefetto Vincenzo Ciotola e del
proclama del Prefetto Giuseppe Pasolini;
• La Stampa per le notizie sui Prefetti;
• Il Prof. Umberto Levra, ordinario di Storia del
Risorgimento presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università di Torino, e Presidente del Museo
Nazionale del Risorgimento Italiano, per l’aiuto a
inquadrare le personalità di alcuni Prefetti del
Risorgimento e a selezionare la bibliografia;
• Il Prof. Nicola Tranfaglia, storico e professore
emerito di Storia dell'Europa e del Giornalismo
all'Università di Torino, che ha rivisto il testo con
cura e attenzione.

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• Un ringraziamento particolare, insieme ad un


ricordo, va anche al Prefetto Giuseppe Amelio,
prematuramente scomparso un anno fa che era stato
sia Capo di Gabinetto sia Vicario di questa
Prefettura, per aver riletto le prime bozze, fornito i
primi consigli e la prima bibliografia.

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Nota Metodologica

La primavera scorsa il Prefetto Alberto Di Pace mi chiese di


avviare una ricerca sui Prefetti di Torino, per allestire la
sezione dedicata alle loro biografie creata ad hoc sul sito
della Prefettura.

Quanto recuperato risultò ricco ed interessante, anche per


l’equilibrio tra le quantità di informazioni associate a
ciascun Prefetto, ma andava analizzato. Mi dedicai, quindi,
ad un lavoro di scelta e organizzazione di tale materiale
reperito dall’Istituzione, dall’Archivio di Stato, del Comune,
del Senato, della Stampa, da vecchie cronache, da scritti
degli stessi Prefetti.

A quel punto il lavoro richiedeva un esperto che fornisse


qualche consiglio su fonti e strumenti metodologici.
Umberto Levra e Nicola Tranfaglia, storici di indubbia
capacità divulgativa furono scelte naturali.

Quindi l’ipotesi di trarre un volume per raccogliere e


conservare quanto recuperato, trovò il sostegno del Prefetto
Di Pace. Incoraggiamento all’idea di un volume con quelle
peculiarità venne anche da alcuni ex Prefetti di Torino.

Fatto quanto era necessario la pubblicazione acquistò


l’assetto attuale.

Scritto in linguaggio semplice e immediato e corredato di


note e di fotografie, il libro si sgrana in 35 biografie,

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raccontate in stile narrativo, a scopo conoscitivo e


divulgativo.

Si divide in due parti: Prefetti dell’Italia liberale e


dell’Italia fascista. Ciascuna scheda biografica riporta
informazioni sulla nascita, sugli studi, sulla carriera e sui
principali avvenimenti della loro vita. Sullo sfondo vi si può
scorgere il mutare dei tempi, della politica e anche
dell’Istituzione prefettizia.

Un libro è un libro, ma se sollecita uno sguardo partecipe


del cittadino verso la storia e la cultura di un’Istituzione
dello Stato, fa una buona azione.

A tutti un pensiero riconoscente per l’aiuto prestato alla


riuscita della sua pubblicazione.

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Quattro passi sulla Storia

Quando nel 1848, Cavour affermava: “Mi interessa fare


l’Italia! Per mia fortuna o per mia disgrazia io non riesco mai
a pensare a cose impossibili!”, forse non ha ancora in mente
l’Italia unita, di certo però pensa almeno all’estensione
territoriale del regno piemontese. Progetto che dopo la sconfitta
della prima guerra d’indipendenza sembra solo un sogno, ma
qualche anno dopo le cose cominciano a cambiare, fino a
quando, all’inizio del 1861, il tempo per l’Unificazione volge
al bello. Il 17 marzo a Torino re Vittorio Emanuele II nel suo
discorso inaugurale del Parlamento assume per sé e suoi
successori il titolo di Re d’Italia e conferma Cavour alla guida
del governo. Per giungere a Palazzo Carignano, sede del
Parlamento, il Sovrano percorre lentamente piazza Castello ed
un tratto di via Accademia delle Scienze, mentre una folla di
sudditi grida “Viva il Re!”, Viva “l’Italia!”. Il clima è
suggestivo. Accanto ai fedeli sudditi piemontesi ci sono sudditi
napoletani e lombardi, veneti e romani e toscani. Alla
cerimonia partecipa anche il Marchese e Senatore Carlo
D’Adda, patriota ed anello di congiunzione di Cavour con i
lombardi, e Prefetto della provincia di Torino, il primo del
Regno d’Italia. Accanto a lui ci sono Cavour, Garibaldi, Verdi
e Manzoni, De Sanctis e Settembrini, Guerrazzi e Bixio,
d’Azeglio e La Marmora, Cajroli, Ricasoli, Poerio, Fanti,
Cialdini, Cadorna. Certo, tutti Senatori di nomina regia, ma il
nuovo Stato non può avere rappresentanza migliore. Il 4
maggio 1861, pochi giorni dopo lo storico scontro in aula a
Palazzo Carignano tra il Generale Garibaldi e Cavour, sul
futuro di migliaia di soldati garibaldini protagonisti della
liberazione del Regno delle Due Sicilie, in Prefettura a Torino

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nasce ufficialmente il primo esercito italiano, un esercito


professionale che non accoglie garibaldini, ma ufficiali formati
nelle accademie. Nel frattempo proseguono i lavori per la
costruzione del nuovo Parlamento, perché quello Subalpino,
troppo piccolo, non ce la fa ad ospitare tutti i parlamentari del
nuovo Regno. Ma mentre a Torino si opera con i muri, a Parigi
si opera con le intese segrete. Napoleone III, per ritirare il suo
presidio da Roma, vuole la garanzia che lo Stato italiano non
vada a occupare la città del Papa, e la migliore garanzia è
quella di una capitale al centro della Penisola che tolga a
chiunque l’idea di insediarsi sui Sette Colli. La Convenzione
del 15 settembre 1864 negoziata alla chetichella, all’insaputa
del Re e del Parlamento, tra l’imperatore dei Francesi, il
bolognese Marco Minghetti presidente del Consiglio, il
fiorentino Ubaldino Peruzzi ministro dell’Interno e vero deus
ex machina, il napoletano d’adozione Silvio Spaventa
segretario generale del ministero dell’Interno (che il futuro
presidente del Consiglio La Marmora qualche mese prima,
nella sua veste di Prefetto di Napoli definisce “una canaglia”,
ricambiato con l’appellativo di uomo della “camorra
militare”), contiene anche il codicillo segreto, che toglie a
Torino il ruolo di capitale. Svelato dalla Gazzetta Ufficiale di
Bottero il 18 settembre alimenta nei torinesi un’effervescenza
crescente che nei giorni seguenti sfocia in tragedia. Il Prefetto
di Torino, Giuseppe Pasolini, è fuori città, il Sovrano è a caccia
a Sommariva Perno e rientra nella notte del 22 settembre a
“luttuosi avvenimenti avvenuti”. Il 23 settembre, sotto la spinta
della pressione piemontese, ma anche perché sin dall’inizio lo
sopportava malvolentieri, il Re dimissiona il governo Minghetti
e incarica il generale Alfonso La Marmora di formare un nuovo
ministero. Cade il Prefetto Pasolini, uomo del Minghetti;
prende il suo posto il Prefetto Carlo Cadorna, già Deputato del
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Parlamento Subalpino, e con lui il Re lancia un messaggio alla


Sinistra liberale. Con Cadorna e La Marmora il Re intende
rassicurare i piemontesi con un governo di piemontesi e di
prestigio militare. Dall’estate del 1865 si avvertono con
chiarezza i passi indietro fatti dalla città: dopo la partenza
definitiva della corte, del Parlamento, del governo,
dell’apparato ministeriale, di numerosi uffici pubblici, della
zecca, di società e banche, e con la parziale smobilitazione
delle officine statali addette alla produzione di armi e di
materiale ferroviario (le stesse il cui ampliamento il governo
aveva deciso nell’estate 1861), con la più generale riduzione
dell’attività nell’edilizia, nell’artigianato, nel commercio. La
camaleontica comunità piemontese orfana della capitale si
butta nei lavori al traforo del Frejus, cercando là il proprio
futuro. L'aveva pensato Giuseppe Medail, l'aveva voluto
Cavour, con Napoleone III, l'avevano attuato gli operai dei due
versanti con tredici anni di scavo. E’ inaugurato il 18 settembre
1871 a Bardonecchia alla presenza del Prefetto Radicati Talice
di Passerano. Quattro settimane più tardi parte il primo treno
per Parigi, alle 7,35 del mattino, compiendo il percorso in
meno di 24 ore. Torino aveva trovato l'Europa! E se Travet
aveva perso la via di Roma, stavano per arrivare le tute blu e
dietro di loro i Prefetti, come Paolino Taddei, capaci di
reinterpretare il loro ruolo entrando nelle questioni di
mediazione e di pacificazione sociale e di prevenzione di
conflitti legati a problematiche connesse a un mondo del lavoro
e della produzione che in maniera sempre più consapevole
sostiene le proprie legittime rivendicazioni. Prima, però, i loro
predecessori avevano affrontato il nemico numero uno della
società moderna: Pio IX, che tra sé e il Risorgimento aveva
frammesso l’Allocuzione. Dopo le prime tendenze riformatrici,
attribuite anche all’amicizia con Giuseppe Pasolini, il Papa del
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“Sillabo” e del “non expedit”, che dalle speranze neoguelfe del


Primato era trapassato alla visione più rigorosa e ascetica
dell’isolamento papale e della contrapposizione cattolica al
mondo moderno e alla civiltà laica e razionale, capitola a Porta
Pia, dopo la sconfitta di Napoleone III. Alla storica breccia, il
20 settembre 1870 partecipa anche il marchese Alessandro
Guiccioli, che entra trionfante in Roma, consapevole che era
stato conseguito il più importante obiettivo del processo di
unificazione: sottrarre Roma allo Stato Pontificio per farne la
capitale del nuovo Regno. Ma il Papa Mastai Ferretti,
avversario di tanti Prefetti del Regno, ha anche molte qualità.
Inoltre in pochi uomini la capacità di sorridere di se stessi è
così forte come nel vecchio Pontefice: alle cannonate di Porta
Pia sorridendo ai prelati pallidi e angosciati, mostra la sua
tabacchiera e celia: “Qui non entreranno!” Probabilmente
nessuno era più persuaso di lui già prima del 1870 della fatale
caduta del potere temporale. Ma laicizzare lo Stato per renderlo
più moderno e politicamente più stabile erano gli obiettivi della
politica audace e liberale di Cavour. Alle ire di Pio IX si era già
esposto Carlo Cadorna con un insieme di norme per
ridimensionare il potere temporale dello Stato pontificio,
ottenere uno Stato libero dal clericalismo, proclamare Libera
Chiesa in Libero Stato, non riservare privilegi alle strutture
ecclesiastiche e distinguerle dalle strutture dello Stato. Il
Prefetto Giovanni Minghelli Vaini si scontra con le scuole
salesiane, che nascono a Torino negli anni del suo mandato, i
cui insegnanti erano, però, privi dei titoli richiesti dallo Stato.
Dell’istruzione degli italiani si occupa invece Angelo Bargoni,
nella sua veste di ministro della Pubblica Istruzione. Tra le
alternative che mette a punto per modificare il quadro
istituzionale vanno menzionate le scuole superiori femminili,
fondate da alcuni comuni, tra i quali Torino, e sussidiate dal
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governo secondo le disposizioni della sua circolare ministeriale


del 9 luglio 1869, frutto della collaborazione con Pasquale
Villari. Egli inoltre da Torino appoggia la Legge Coppino (11
luglio 1877). Anni prima, tra il 1861 e il 1863 nel suo giornale
“Il Diritto” voce del movimento garibaldino, aveva affrontato
anche i problemi del modello amministrativo da adottare per il
nuovo Stato. Mentre sta nascendo infatti la politica è già divisa
tra centralismo e federalismo, tra chi teme la disgregazione
dello Stato appena unificato e chi invece vuole valorizzare le
autonomie locali e rendere più agile e liberale la macchina
dello Stato. Interviene sul tema come ministro dell'Interno
Carlo Cadorna. Ad imporsi sarà il modello di impostazione
centralistico affidato a Prefetti di nomina regia che ricalca
quello già in vigore in Piemonte, una scelta funzionale allo
sviluppo del nuovo Stato, ma anche condizionata dalla paura di
compromettere l’unità territoriale appena raggiunta. “La logica
non trionfa sempre nel mondo, e nemmeno nelle camere
legislative”, rumoreggia Minghetti, ma intanto la coesione del
nuovo Stato è ancora a rischio. Ed è soprattutto dal sud che
arrivano i segnali più preoccupanti. A Torino il 17 marzo 1861
il giorno della proclamazione del Regno d’Italia Cavour riceve
da Napoli notizie drammatiche: dilagare di incendi, saccheggi e
rivolte. E’ l’esplosione del brigantaggio. Protestano i contadini
ma anche masse di ufficiali e sottufficiali sbandati dell’esercito
borbonico non integrati nell’esercito italiano, che tornando a
casa non trovano più la patria, perlomeno non quella per cui
avevano combattuto. Il mezzogiorno diviene un vero teatro di
guerra contadina. La risposta di Torino è una repressione
violenta e sistematica, contro i briganti, nostalgici dei borboni e
del potere temporale del Papa. Per reprimere definitivamente il
movimento, che assomiglia sempre di più ad una guerra civile,
ci vorranno dieci anni. La combatteranno, tra gli altri, i Prefetti
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Carlo Torre e Bartolomeo Casalis. Cavour non amava le


soluzioni rivoluzionarie (e quella di Garibaldi nel Sud era stata
una soluzione rivoluzionaria), ma da vero giocatore durante la
spedizione dei Mille, non vuole lasciare il tavolo e da Torino
segue gli eventi con apprensione. Cavour non vuole fermare
Garibaldi e per controllarlo dal Piemonte manda suoi emissari,
tra i quali anche Bartolomeo Casalis, Angelo Bargoni e
Camillo Caracciolo. Successivamente viene esteso a tutto il
Regno d’Italia il sistema carcerario precedentemente in vigore
nel Regno di Sardegna, che prevede la pena di morte. Giovanni
Minghelli Vaini si distingue per alcuni scritti in materia e viene
nominato Ispettore penitenziario e membro della commissione
ministeriale d’inchiesta sulle carceri giudiziarie napoletane.
Prosegue anche il processo di unificazione legislativa e
giudiziaria, con l’estensione degli ordinamenti e dei codici
legislativi precedentemente in vigore nel Regno di Sardegna.
Nel 1878 muore Vittorio Emanuele II, stroncato da una
polmonite nella sua nuova residenza romana al Quirinale.
Torino si batte strenuamente perché il re venga sepolto a
Superga, insieme ai suoi avi, ma il nuovo re in pectore decide
di seppellire le spoglie nel Pantheon. Torino scossa e lacerata è
anche rimasta acefala, il Prefetto Angelo Bargoni siede al
Governo e anche il Sindaco è assente. Qualcuno cerca di
tagliare il nodo con la proposta di una “salma pendolare”, in
continua trasferta tra la vecchia capitale del regno sabaudo e la
nuova capitale del regno d’Italia. Come dice Carducci cinque
anni dopo, “dietro il popolo nuovo, risorto dal lungo sonno
della storia, vi era sempre un “vecchio” popolo di frati, di
briganti, di ciceroni, di cicisbei”. Ma il Sovrano è l’unico vero
simbolo dell’Unità d’Italia, continuamente minacciata, e per
difenderla si ricorre alla costruzione del mito del Re
Galantuomo. Il Prefetto Guiccioli si fa prontamente relatore del
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progetto di legge per l'erezione del monumento a Vittorio


Emanuele II, a Roma. Ne viene costruito uno anche a Torino,
se ne interessa il Prefetto Bargoni. Ci vollero 20 anni per
inaugurarlo, fra ritardi polemiche e interventi giudiziari. In
tutta la seconda metà dell’800 una terribile epidemia di colera
prende il posto nell’immaginario popolare che aveva avuto due
secoli prima la peste e scatena inevitabili riflessi sull’ordine
pubblico. Ad affrontarli c’è il Prefetto e Capo della Polizia
Ottavio Lovera di Maria, alle prese anche con il movimento
contadino di La boje. Successivamente la protesta sociale di
fine ‘800 è fronteggiata con durezza dal Prefetto Ferdinando
Ramognini, anche lui Capo della Polizia e seguace di Crispi.
All’epoca dei fasci siciliani Giolitti, che non ne condivide i
modi, lo sostituisce e lo manda Prefetto a Torino, poi con il
nuovo governo Pelloux i tentativi autoritari proseguono per
tutto il 1899. Ai disordini lo Stato risponde con lo stato
d’assedio: nel 1898 a Milano, durante la cosiddetta “protesta
dello stomaco”, il Prefetto Antonio Winspeare viene messo da
parte, a disposizione, mentre il Generale Bava Beccaris,
nominato Regio Commissario Straordinario, ordina di sparare
cannonate sulla folla, provocando una strage. A conclusione di
questo drammatico periodo il re Umberto I (che aveva decorato
Beccaris con la gran croce dell'Ordine militare di Savoia) sarà
assassinato a Monza il 29 luglio 1900. Quando invece il 28
ottobre 1922, dopo la Marcia su Roma, il Prefetto e ministro
dell’Interno Paolino Taddei chiederà al Re di firmare lo stato
d’assedio, il Re si rifiuterà di firmarlo. Finisce lo Stato
liberale. Nell’agosto 1917 il Prefetto Taddei aveva sostituito
Antonio Winspeare alla guida della Prefettura di Torino, teatro
di gravi moti popolari contro la guerra. Prima di entrarvi, nel
1915 ad analizzare lo “spirito pubblico della popolazione
torinese” era stato il neutralista Jacopo Vittorelli, che Salandra
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aveva sostituito con Verdinois. Anche Giannetto Cavasola si


era schierato tra i neutralisti. Tra il 1922 e il 1926, quando il
partito fascista comincia a imperversare con tutte le sue
pulsioni illiberali, in quegli anni cruciali della storia d’Italia, tra
il delitto Matteotti e le leggi eccezionali, a Torino il Prefetto
Enrico Palmieri subentrato agli inizi del 1923 a un uomo come
Carlo Olivieri, che a Bari nei giorni dello sciopero legalitario
del luglio 1922 aveva aperto la città alle squadre di Caradonna
e che a Torino assiste al teppismo delle squadre di
Brandimarte, cerca piuttosto di rimuovere le preoccupazioni
dei fiancheggiatori e di reclutare consensi fra le frange più
incerte del partito liberale e di quello popolare. Si lancia verso
la fasticizzazione dell’Amministrazione comunale e su ordine
di Mussolini si scaglia contro Gobetti, fondatore del giornale
“Rivoluzione Liberale” e contro Gramsci, fondatore del
giornale “Ordine Nuovo”. Nel 1926 tutto diventa fascista. Si
imbavaglia la stampa, si disfano le forze democratiche, i partiti,
si distruggono le organizzazioni socialiste. Ma il Prefetto
Agostino D’Adamo non ci sta, almeno non del tutto, e dopo
l’attentato a Mussolini a Bologna ostacola da Torino la nuova
ondata squadristica, bloccando in Prefettura il telegramma del
segretario fascista, Augusto Turati, che incita le federazioni
fasciste alla punizione sommaria dei responsabili, e predispone
un adeguato servizio di polizia a presidio delle sedi dei partiti,
dei giornali e delle abitazioni private di singoli antifascisti.
Tuttavia, nei giorni successivi, esegue disciplinatamente le
direttive del Capo della Polizia Arturo Bocchini che anticipano
le disposizioni di legge sull'abolizione dei partiti e della libertà
di stampa. Solo apparentemente contraddittorio il suo
comportamento porta all'evidenza il termine estremo
dell'incompatibilità tra una concezione tradizionale delle
funzioni del Prefetto e il nuovo sistema di potere della dittatura
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fascista. Il 9 maggio 1936 Benito Mussolini ancora al potere


dichiara dal balcone di Piazza Venezia, in un discorso
radiotrasmesso in tutte le piazze del Paese, che conquistata
l’Etiopia “l’Italia ha finalmente il suo Impero”; il Prefetto
Cesare Giovara (anche Podestà di Torino) si occupa della
partecipazione dei funzionari torinesi all’adunata e della
trasmissione dei dati della manifestazione. Successivamente,
invece, il “vecchio arnese giolittiano” Prefetto Pietro Baratono,
così lo definiva il federale di Torino Gazzotti, defenestra il
Podestà Sartirana, vecchia camicia nera, e la sua
amministrazione. Ma le cose peggiorano. Se Mussolini qualche
tempo prima diceva a Montanelli:“Il razzismo è una cosa da
biondi”, ora cambia idea e il 15 luglio 1938 i giornali rendono
pubblico il “Manifesto della razza”, che attraverso un puro
falso storico, assimila gli italiani mediterranei alla pura razza
nordica, affermando che la popolazione italiana è nella sua
totalità di origine ariana e al punto 9, che “gli ebrei non sono di
razza italiana”. A Torino il 4 gennaio 1939 la circolare (n.
Gab. 185) di applicazione del R.D.L. 17 novembre 1938 n.
1728, recante provvedimenti per la difesa della razza italiana,
che vieta i matrimoni misti e stabilisce i criteri per la
classificazioni dei nati da unioni interrazziali, porta la firma del
Prefetto Carlo Tiengo. Il cerchio si stringe sugli ebrei, e sul
diritto alla cittadinanza. Tuttavia, qualche anno dopo, nell’aria
si respira qualcosa di nuovo: gli italiani cominciano ad alzare il
tiro. Il 5 marzo 1943 le maestranze della Fiat Mirafiori di
Torino sfidano la polizia del Prefetto Francesco Palici di Suni
mettendosi in sciopero, subito imitati da altre fabbriche di
Torino, poi dagli operai della Pirelli e della Falck di Milano,
fino a che in breve centotrentamila operai incrociano le braccia.
Mussolini colpito al cuore ricorre al Prefetto Carlo Tiengo e lo
nomina Ministro delle Corporazioni, tentando un recupero. Se
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il dissenso contro il regime e la guerra diviene palpabile,


nell’ottobre 1942 è il generale Montgomery, in Africa, a dare
scacco matto alla razza ariana. Poi lo sbarco degli anglo-
americani nel luglio 1943 segna la fine del fascismo. In quei
quarantacinque giorni badogliani a Torino è il Prefetto
Vincenzo Ciotola a prendersi cura della città e quando al
momento dell’8 settembre nel Paese non vi è più un’autorità
che comanda, non vi è più Stato, il Re è fuggito, manca un
Governo e chi possa dar ordini, è ancora il Prefetto Ciotola a
dare prova di coraggio. Il suo ultimo rapporto (n. Gab. 18909
del 16 settembre 1943) all’“Illustre Ministro dell’Interno”,
prima di essere messo agli arresti dai tedeschi che avevano
occupano la città, (pubblicato nelle pagine dedicate alla sua
biografia), è diventato oggi una pagina di Storia da non
dimenticare. Non potremmo capire la ripresa successiva se non
ci rifacessimo a questi antecedenti, a figure, tra cui anche
quella del Prefetto Ciotola che, quasi come numi tutelari,
hanno difeso la democrazia italiana in quel periodo di profonda
crisi morale e intellettuale.

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

LE B AFIE
Carlo D'Adda
Giuseppe Pasolini
Carlo Cadorna
Carlo Torre
Costantino Radicati Talice di Passerano
Vittorio Zoppi
Angelo Bargoni
Camillo Caracciolo Di Bella
Giovanni Minghelli Vaini
Bartolomeo Casalis
Ottavio Lovera Di Maria
Antonio Winspeare
Carlo Municchi
Ferdinando Ramognini
Giannetto Cavasola
Alessandro Guiccioli
Giovanni Gasperini
Jacopo Vittorelli
Edoardo Verdinois
Paolino Taddei
Carlo Olivieri
Enrico Palmieri
Secondo Dezza
Agostino D'Adamo
Raffaele De Vita
Luigi Maggioni
Umberto Ricci
Agostino Iraci
Cesare Giovara
Giovanni Oriolo
Pietro Baratono
Carlo Tiengo
Francesco Palici di Suni
Dino Borri
Vincenzo Ciotola

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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Carlo D’Adda

Marchese di Pandino e di Cassano e


Conte di Casatisma, Senatore,
Governatore e Prefetto di Torino.
Illustre esponente del mondo politico e
culturale milanese è protagonista delle
guerre di indipendenza. Nasce a Milano
il 24 novembre 1816, figlio cadetto del
marchese Febo e di Leopolda
Khevenhüller, Contessa di Casatisma.
Il padre, già consigliere di Stato e Cavaliere della Corona di
ferro, alla Restaurazione austriaca conserva gli uffici e diviene
fino a vice presidente del Governo di Lombardia. Fu allievo del
Parini, che gli dedicò l’ode alla Musa e cugino del Conte
Federico Confalonieri, per il quale dopo la condanna firmò la
supplica per grazia. Al contrario, Carlo è di tendenze liberali,
repubblicano, almeno inizialmente, e democratico. Presto
emancipato, dopo la morte del padre, alla soglia della laurea in
giurisprudenza rinuncia a laurearsi per non prestare con la
formula d'uso una sorta di giuramento di fedeltà all'imperatore.
Una ribellione generazionale e culturale, frutto del clima
romantico in cui è cresciuto. Moderato, non ha velleità
cospirative o rivoluzionarie. Aspira al rinnovamento e alla
crescita della società civile e partecipa alla lotta politica alla
sua maniera di intellettuale. Diviene interlocutore e punto di
riferimento di politici e aristocratici, riconosce l’importanza di
una fiorente agricoltura, come dell'industria diffusa e rispettata,
della morigeratezza come dell'istruzione sparsa ovunque,
soprattutto mediante scuole minori per la classe più numerosa.
Guadagna l'attenzione di eminenti personalità del tempo tra le

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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

quali Camillo Cavour, che conosce nel 1843 presso Cristina di


Belgioioso in Francia, e del quale si fa successivamente
interprete presso i lombardi, Bettino Ricasoli, Massimo
d'Azeglio, che conosce nel 1845, Giuseppe Mazzini. Partecipa
dell’esigenza propriamente correntiana di inserirsi nel
movimento pubblicistico milanese, con posizioni filantropiche
che incrociano le istanze sociali di cui è permeata la cultura
lombarda. Nella fase prerivoluzionaria ormai innestatasi a
Milano, nell’autunno 1847 aderisce alla soluzione albertista.
Imparentato con i Borromeo, i Turati, i Visconti, i Calvi, gli
Orcesi, si congiunge all’aristocrazia alla quale, per unanime
consenso, si riconosce una funzione dirigente e s’impegna
nell'organizzare manifestazioni e pronunciamenti dell'opinione
pubblica, anche attraverso il Club dell'unione e il noto caffè
della Cecchina. Solo dopo gli eccidi del 3 gennaio prende
ferma posizione contro gli Austriaci e respingendo
l'esortazione al compromesso del Cattaneo si convince
dell'utilità di predisporre la difesa armata del popolo,
divenendo allora largo di sovvenzioni e aiuti al Correnti. Di lì a
poco, nella prima quindicina di febbraio, per sfuggire
all’arresto ripara a Torino. L’esigenza di intessere contatti
diretti con Carlo Alberto è ormai giudicata improrogabile e di
ciò si fa interprete nella capitale sarda. Prima e dopo lo scoppio
delle “Cinque giornate di Milano” avvia trattative con
personalità del seguito di Carlo Alberto e poi con il sovrano
stesso, già destinatario di periodiche relazioni da Milano. Dopo
una rapida corsa a Milano, il 26 marzo è nuovamente a Torino
dove era stato nominato capitano del reggimento di cavalleria
Novara. L’indomani gli giunge, però, la designazione del
governo provvisorio nella capitale sarda, poi con
l’approvazione della legge sul regime transitorio della
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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Lombardia cessa la sua missione ufficiale. Dopo l’armistizio


Salasco sceglie la strada dell'esilio e a partire dal novembre
1848 dimora a lungo in Francia dove si limita ad un ruolo di
osservatore critico. Non ha, però, ripensamenti sulla funzione
della monarchia e del Piemonte, anzi ne approva pienamente
orientamenti e scelte. Con l’amnistia nel 1850 rientra
definitivamente nella sua casa milanese che trasforma in un
polo di aggregazione per la corrente filopiemontese degli
“albertisti”, coagulando intorno al suo salotto soprattutto
esponenti dell'aristocrazia, coadiuvato in questo dalla moglie,
la nipote Maria Falcò Valcarcel Pio di Savoia (1826-1893), che
sposa alla fine del 1846. Il suo sforzo maggiore, mentre va
crescendo il seguito di Cavour, è quello di garantire la tenuta e
la compattezza delle classi alte, messe un po' in forse dal
viaggio di Francesco Giuseppe prima e ancor più poi dalla
venuta dell'arciduca Massimiliano, che sembrano schiudere
nuovi spiragli d'intesa con l'Austria. All'atto della liberazione
della città si dedica alla costituzione del partito
liberalconservatore. Dalla fine del 1859, dopo la cacciata degli
austriaci dalla Lombardia, è Governatore e poi Prefetto di
Torino, governatorato reso prestigioso dalla vicinanza ai vertici
dello Stato, ma povero d'ascendenza sulla città. Fra le sue
incombenze anche quella, ufficiosa, di far da tramite nella fase
delicata della transizione al nuovo regime fra la Lombardia e il
ministero o la corte. Si dimette il 13 marzo 1862, alla
formazione del Governo Rattazzi, per manifesta
incompatibilità con il nuovo Gabinetto. Dal febbraio 1860 era
divenuto anche Senatore del Regno, così come di schietta
ispirazione governativa era stata nel 1861 anche la sua
chiamata al consiglio d'amministrazione delle Ferrovie
lombarde e dell'Italia centrale (più tardi Alta Italia).

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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

Rientrato a Milano ricopre importanti cariche pubbliche.


Muore a Milano il 25 giugno 1900.
Tra le sue onorificenze ricordiamo quelle a Gran cordone
dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e Grande Ufficiale
dell'Ordine della Corona d'Italia.

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Giuseppe Pasolini

Conte e politico di prima grandezza


nel Risorgimento romagnolo, uomo di
fiducia del ministro Minghetti,
Presidente del Senato e Prefetto di
Torino, nel difficile momento in cui si
rende pubblica la notizia che il
“testimone” di capitale del Regno
d'Italia passa a Firenze. Nasce a
Ravenna l'8 febbraio 1815, registrato
con il nome di Giuseppe Francesco Leonardo Apollinare,
figlio del Conte Pier Desiderio, storico e uomo politico, e di
Amalia dei Conti di Santacroce. Sposa Antonia Bassi. Studia
agricoltura e scienze naturali e sociali, viaggia in Europa ed
è con l’amico Minghetti tra i principali esponenti del partito
liberale moderato nazionale nello Stato Pontificio. Nel 1845
entra in amicizia con il cardinale Mastai e proprio all’azione
di questa amicizia si attribuisce la tendenza riformatrice che
Pio IX mostra durante i primi tempi del suo pontificato.
Istituita la Consulta di Stato nel 1847 è nominato Consultore
per Ravenna. Efficace promotore del progresso agricolo è tra
i primi laici chiamati dal Papa a far parte del governo nel
1848, in qualità di ministro del Commercio, Agricoltura,
Industrie e Belle Arti. Dopo l'allocuzione del 29 aprile, con
cui Pio IX si dissocia dalla guerra contro l'Austria, si dimette
dall'ufficio insieme agli altri ministri laici, ed entra a far
parte dell’Alto Consiglio Romano, in qualità di
vicepresidente, su posizioni liberaleggianti. Avvenuta la
restaurazione dell'assolutismo pontificio, vive per lo più a
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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

Firenze e fa della sua casa un centro di eminenti patrioti


toscani e di altre parti d’Italia e di alcuni illustri politici
stranieri quali lord Minto, Lord John Russell e sir Henry
Elliot, della cui amicizia i liberali italiani cercano di giovarsi
a favore delle sorti dell’Italia.In occasione del viaggio di Pio
IX nelle Romagne, nel 1857, tenta invano di indurlo a
ritornare sulla via delle riforme. Confaloniere di Ravenna
(1857-59), ha gran parte nel preparare l'annessione della
Romagna al regno di Vittorio Emanuele II, Senatore dal
1860, ricopre anche la carica di Vicepresidente e dal 1876,
per pochi giorni,di Presidente, sino alla morte. E’
Governatore e poi Prefetto di Milano e dal 31 marzo 1862
Prefetto di Torino. Dopo le dimissioni del ministro Rattazzi
è nominato ministro degli Esteri nel gabinetto Farini, dall'8
dicembre 1862 al 24 marzo 1863. Per il periodo in cui è
ministro degli Esteri, la Prefettura è retta dal consigliere
delegato Radicati Talice. Poco dopo è inviato in missione
politica in Inghilterra e in Francia (luglio-settembre 1863 e
dicembre 1863-febbraio 1864). Dal 31 marzo 1864 torna
all’Ufficio di Prefetto di Torino, quindi il governo gli affida
una missione politica a Firenze. Rientra a Torino per gestire
i difficilissimi giorni del settembre 1864, quando diviene
pubblica la notizia dello spostamento della capitale a
Firenze(1).
Dopo che Vittorio Emanuele per trarsi d'impiccio, sulla
spinta della pressione piemontese ma anche perché sin
dall'inizio lo sopportava malvolentieri, intima al primo
ministro Minghetti di andarsene, si dimette e il 1° febbraio
1865 lascia la Prefettura, proprio quando la forte ostilità

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

popolare si esprime ancora in piazza in occasione del gran


ballo a corte del Carnevale del 30 gennaio(2).
Il 13 ottobre 1866 è Commissario del Re a Venezia liberata
per l’instaurazione del governo nazionale e dal 9 dicembre
1866assume in quella città la titolarità di Prefetto, fino al 4
aprile 1867. Negli anni che seguono si astiene dalla vita
pubblica. Muore a Ravenna il 4 dicembre 1876.
Nel corso della sua carriera raccoglie diversi riconoscimenti:
riceve il Gran cordone dell'Ordine dei SS. Maurizio e
Lazzaro e l’onorificenza di Grande Ufficiale dell'Ordine
della Corona d'Italia.
(1)
Il 22 settembre del 1864 in Piazza San Carlo e la precedente in Piazza Castello
erano rimasti sul selciato in tutto 28 morti, altri 24 erano deceduti dopo i ricovero
negli ospedali; i feriti furono 159, più o meno gravi, civili e appartenenti agli allievi
carabinieri e al Diciassettesimo e Sessantaseiesimo reggimento di fanteria. Alcuni
dimostranti, appresa la notizia del trasferimento della capitale, erano scesi in
piazza ad esprimere la rabbia per la perdita del lavoro e per gli interessi economici
minacciati e avevano lanciato dei sassi contro la porta della Questura, allora sita
sul fondo della Piazza San Carlo. Ne era uscito un funzionario di polizia, seguito
dagli allievi carabinieri (un battaglione risiedeva a fianco della Questura). Questi
ultimi senza i rituali 3 squilli di tromba spararono colpi di fucile contro i
manifestanti. Tutt'intorno ai lati della piazza stavano seduti ufficiali della fanteria
che sentendo gli spari e ignari della situazione pensarono che gli spari arrivassero
dai manifestanti e così anche la Polizia. Gli allievi carabinieri spararono per primi
seguiti dagli ufficiali di fanteria che si spararono tra di loro e sulla popolazione
inerme: tant'è che tra i morti i militari furono 4 e i feriti 29, tutti colpiti da armi da
fuoco in dotazione al Regio esercito.(Storia di Torino, G. Einaudi Editore, 2001-
Vol. VII “da Capitale politica a capitale industriale”).
(2)
La goccia che fa traboccare il vaso, dopo un susseguirsi di manifestazioni di
disoccupati per vari giorni del gennaio 1865, è l’infelice decisione del re di
confermare il tradizionale ballo di carnevale a Corte il 30 gennaio, al quale invita
tutta la buona società torinese. Il Consiglio comunale, offeso per la mancanza di
sensibilità dopo il recente lutto cittadino, rifiuta al completo di prendervi parte e
anche i vuoti tra gli altri invitati sono vistosissimi, e dalla piazza antistante
numerosi sono i torinesi che fischiano Vittorio Emanuele II. Questi, ritenendosi a

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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

sua volta offeso, lascia seccatissimo la sera del 3 febbraio la città “ormai
decapitalizzata” (come allora si diceva a Torino) per Firenze, dove inizialmente
aveva fatto conto, di recarsi solo in primavera, in concomitanza con il trasferimento
degli apparati dello Stato. L’8 febbraio acconsente a ricevere a San Rossore il
sindaco e alcuni consiglieri municipali, che fanno ammenda del rifiuto a
partecipare al ballo a Corte, invitando il sovrano, con un appello firmato da
migliaia di piemontesi, a tornare ancora un po‘ di tempo a Torino, esprimendo con
dignità e fermezza la frustrazione che pervadeva il capoluogo piemontese. Essa è
rinnovata pubblicamente nella imponente e mesta commemorazione dei caduti di
Torino, un anno dopo, il 22 settembre 1865, con modesti disordini.

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

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Su concessione dell’Archivio Storico della Città di Torino”, Fondi Vari


E’ fatto divieto di riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo

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N IVES M AR IA SAL VO

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Carlo Cadorna

Nobile, Avvocato, ex Deputato del


Parlamento Subalpino, Presidente
della Camera dei Deputati, Vice-
Presidente del Senato, Prefetto,
Magistrato, Ministro dell’Interno e
della Pubblica Istruzione,
Diplomatico, Presidente del Consiglio
di Stato. Esempio di fungibilità
politico-amministrativa della classe
dirigente d'origine piemontese. Nasce a Pallanza, oggi
Verbania, sulle rive del Lago Maggiore l’8 dicembre 1809,
da una famiglia di nobili e militari. Il padre Luigi, era
colonnello dell'esercito sardo, ma dimissionario dopo
l'occupazione francese del Piemonte; la madre la marchesa
Virginia Bossi, sorella del patriota Benigno Bossi,
condannato a morte in contumacia, dopo i moti del 1821.
Fratello maggiore del generale Raffaele Cadorna e zio di
Luigi, destituito a Caporetto, laureato in legge nel 1830 a
Torino, buon avvocato, magistrato a Novara e Casale, si
unisce a Giovanni Lanza, Urbano Rattazzi, Vincenzo
Gioberti ed entra in contatto con gli ambienti liberali
torinesi. Interviene su diverse testate con articoli di
argomento sociale ed economico e fonda a Torino il
periodico "Album letterario e scientifico", particolarmente
attento ai temi dell'educazione popolare e degli asili infantili,
che nella vicina Lombardia proprio in quegli anni vengono
promossi da Ferrante Aporti. Contribuisce all’istituzione

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

della Società agraria piemontese. Anela al nuovo e nel 1848


fonda anche "Il Carroccio" insieme a Lanza e Mellana dove
scrive articoli patriottici. E' convinto fautore dell'unità
nazionale che subisce lo scacco cocente della sconfitta di
Novara. E’ nelle sue mani che quella sera, a Palazzo Bellini,
Carlo Alberto consegna l'atto di abdicazione, prima di partire
per l'esilio di Oporto. Collaboratore di Cavour, Presidente e
relatore di varie commissioni parlamentari, fra cui quella del
Bilancio (in tale veste fa adottare dal Parlamento la regola
della votazione dei bilanci preventivi dello Stato), Presidente
della Camera dei deputati dal 1857 al 1858, Ministro della
Pubblica Istruzione nei Governi Gioberti e Chiodo, è
Senatore (29 agosto 1858), e di nuovo ministro della
Pubblica Istruzione con Cavour (1858), anche al fine di
allargare al centro sinistra le basi della maggioranza,
Consigliere di Stato (1859), Vice Presidente del Senato (27
marzo1865), Ministro dell'Interno dopo Mentana (gennaio
1868). Favorevole alla soppressione di alcune congregazioni
religiose, nemico del potere temporale del Papa, malvisto dai
gesuiti, malgrado le pressioni familiari affinché si dimostri
meno aspro con Pio IX non mitiga la sua intransigenza.
Tuttavia si riconosce nelle teorie dell'Opus Dei e nella
sostanza dell'enciclica «Rerum Novarum» di Leone XIII.
Nel 1855 è nominato relatore della Commissione incaricata
dell’esame del disegno di legge sulla soppressione di
conventi e comunità religiose e in tale veste esprime una
compiuta visione liberale dei rapporti fra Stato e Chiesa
ispirata alla libertà di coscienza e alla separazione fra sfera
civile e religiosa (secondo la formula “Libera Chiesa in
Libero Stato”). Si pronuncia apertamente in favore del
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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

matrimonio civile e nel 1879 sostiene in una relazione


preliminare in Senato il progetto di legge - poi caduto - sulla
precedenza obbligatoria del matrimonio civile sul rito
religioso. In politica economica si orienta in favore della
politica d’intervento statale per la creazione delle
infrastrutture; interviene nel dibattito sul problema allora
assai vivo delle ferrovie per sostenere la necessità di un
collegamento fra Genova e l'Europa centrale e scrive anche
un grosso saggio “Della strada ferrata da Genova alla
Svizzera ed in specie del tronco d'essa da Novara al Lago
Maggiore”, Torino 1853. E’ membro della commissione di
studi legislativi proposta da Farini il 16 maggio 1860 per
l'esame dei progetti sull'ordinamento amministrativo dello
Stato preparati dallo stesso Farini e poi da Minghetti.
Avversario dell'ordinamento regionale, come Presidente
della commissione governativa per la riforma
dell'amministrazione centrale e periferica e successivamente
come ministro dell'Interno presenta diversi progetti di legge
e di regolamenti per il potenziamento del decentramento
burocratico in favore dei Prefetti e per la definizione dei
poteri politici, amministrativi e finanziari delle Prefetture.
Poiché alle sue proposte sono apportate modifiche che egli
non vuole accettare, il 10 settembre 1868 si dimette dal
ministero, pubblicando uno scritto, “Le seicento delegazioni
governative” (Firenze 1868), in cui riassume i motivi di
validità del suo progetto di legge. Questo è discusso - con le
modifiche apportate - fra il dicembre del 1868 e il marzo del
1869 insieme con quello presentato dal Cambrai-Digny sulle
intendenze di finanza provinciali. Il 1° giugno 1865, giorno
in cui Firenze diventa Capitale del Regno d’Italia, il Re

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

lanciando un messaggio alla Sinistra liberale lo nomina


Prefetto di Torino. Si adopera per il trasloco a Firenze delle
Camere e della maggior parte degli uffici ministeriali,
mentre si conclude così anche il terzo aspetto della
lacerazione rispetto all’identità tradizionale della città: dopo
la funzione di Capitale e il rapporto con la dinastia, ora viene
meno quello con l’apparato centrale dello Stato. Svolge il
suo ufficio con equilibrio e con moderazione e senza
ricorrere a spiegamenti di forza pubblica, tanto che anche le
manifestazioni promosse il 20 e 21 settembre in ricordo dei
morti dell'anno precedente si svolgono nella massima
compostezza. Esaurito il suo compito, presenta le dimissioni,
accettate il 1° settembre 1865, e nel novembre di quello
stesso anno riprende il suo posto al Consiglio di Stato.
Conclusa l’esperienza politica, nell’aprile 1869 sostenuto da
Menabrea diventa plenipotenziario per la negoziazione e
sottoscrizione di trattati e convenzioni con potenze estere: tra
questi le trattative sulla negoziazione della neutralità italiana
nella guerra franco-prussiana, che consentirà poi la
liberazione di Roma. Tornato in patria nel febbraio 1875,
diventa Presidente del Consiglio di Stato. Muore a Roma il 2
dicembre 1891.
Tra le sue onorificenze ricordiamo quelle a Gran cordone
dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e Gran cordone
dell’Ordine della Corona d’Italia.

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Carlo Torre

Conte di Caprera, Avvocato,


Senatore, Governatore poi Prefetto.
Moderato, per lui il progresso è
essenzialmente un fatto di libertà,
poiché libera nuove energie e forze
inespresse. Nasce a Benevento,
territorio pontificio in mezzo al
reame di Napoli, il 19 agosto 1812,
figlio di Giovanni e Maria Giuseppa
Fallace. Sposa Caterina Tessa. E’ il primo Prefetto di Torino
nato nel sud del Paese ed anche il primo a non essere nobile
al momento della nascita, lo sarà solo dal 3 maggio 1874 per
volontà regia. Conseguita la laurea in legge all’Università di
Napoli, torna a Benevento, dove contribuisce ad
apparecchiare i nuovi tempi esponendo alcune coraggiose
riforme atte a mitigare i bisogni della popolazione. Convinto
della ricchezza naturale del Mezzogiorno,nel 1846 pubblica
l'opuscolo “Su i bisogni della Provincia Beneventana”
- Roma Bertinelli -, una dettagliata denuncia dei limiti delle
condizioni sociali ed economiche che affliggevano quel
territorio, abbrutito da secoli di malgoverno e troppo lontano
dal Papato. Pubblica tra altri scritti anche un corso di scienza
politica e di diritto costituzionale, che dà alla luce nel 1860.
Negli anni precedenti l’Unificazione in seguito alle riforme
di Pio IX è nominato capitano di una delle tre compagnie
della Guardia Civica di Benevento. A causa del suo spirito
democratico si attira ben presto i sospetti della polizia
borbonica. Divenuto membro dell’amministrazione civica, si
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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

scontra con il Delegato Apostolico rivendicando l’autonomia


delle deliberazioni comunali dal suo oppressivo controllo,
inimicandosi, così, anche quella papale. Costretto a
dimettersi negli anni che seguono si dedica a una cauta ma
efficace propaganda liberale, orientata verso il “partito
dell'Ordine di unità nazionale monarchica”. Il 25 settembre
1860 Garibaldi, entrato a Napoli, lo nomina Governatore di
Benevento, che durante il suo mandato diventerà provincia.
Fronteggia l’ostilità del clero, quella dei ceti alti, contrari
alla nuova forma istituzionale, nonché quella dei
rappresentanti delle province limitrofe, mentre vede
profilarsi i primi episodi di brigantaggio. Nel 1861 è
Prefetto di Lecce e poi di Cagliari, dove si rende benemerito
per utili innovazioni igieniche e sociali, e uguale attività
presta ad Ancona, nel 1863, colpita da una grave epidemia di
colera. Per i suoi meriti nel 1865 è nominato Senatore del
Regno. Dal 18 settembre di quell’anno al 3 ottobre 1867 è
anche Prefetto di Torino, non del tutto placata dai noti
avvenimenti. Alla caduta del Governo Rattazzi, domanda “di
essere posto in aspettativa per motivi di salute”(1) dopo aver
ricevuto(2) una “lettera ghiacciata” da Cirillo Monzani,
Segretario generale del Ministero dell'Interno e fedelissimo
di Rattazzi, che gli annunzia “che il ministro aveva bisogno
di disporre della Prefettura di Torino, mettendo a sua
disposizione le altre”. Dal 25 febbraio 1868 è Prefetto di
Milano, dove l’8 aprile 1876 conclude la carriera. Muore a
Benevento il 29 marzo 1889.
Tra i suoi numerosi riconoscimenti ricordiamo: il Gran
cordone dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro,
l’onorificenza di Grande Ufficiale dell'Ordine della Corona
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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

d'Italia, quella di Commendatore dell'Ordine della Legione


d'onore (Francia) e il Gran Cordone dell'Ordine di S. Anna
(Russia).
(1)
Carteggio politico, di Michelangelo Castelli, Roux e C., Torino 1891, vol. 2°, p.
261
(2)
Secondo quando Giacomo Dina scrive a Michelangelo Castelli

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Costantino Radicati Talice di Passerano

Conte di Passerano, discendente dal colonellato di


Casalborgone, Avvocato, Consigliere Delegato, Prefetto.
Nasce a Torino il 19 marzo 1822. Eredita il nome Talice
dallo zio Vincenzo, (che aveva sposato Maria Teresa
dell'avv. Carlo Domenico Talice) e il titolo comitale dalla
madre, la nobile Giustina di Ignazio Felice Alpini di Veveri,
con Regio Assenso. Sposa la figlia di Emilio Faà di Bruno,
Luigia. A Torino è Intendente generale, Viceprefetto e
Prefetto dal 13 febbraio 1868 al 28 giugno 1871, data in cui
è sostituito da Vittorio Zoppi. Nove anni prima, quando il
Conte Pasolini è ministro degli Affari esteri, (8 dicembre
1862-24 marzo 1863) regge la Prefettura di Torino come
consigliere delegato. Nell'ottobre 1867, quando è “silurato”
il prefetto Torre, si trova ad affrontare un'emergenza di
ordine pubblico, come reggente, in attesa del nuovo
titolare(1). In quei frangenti Zoppi, appena trasferito da
Brescia a Novara, è inviato in missione a Torino. Dopo un
mese Zoppi rientra a Novara ed egli ottiene il formale
incarico di reggenza l’8 dicembre 1867 e dal 13 febbraio
1868 la nomina a Prefetto e la titolarità della sede. A Torino
nel settembre 1870 cerca di dissuadere il Sindaco Cesare
Valperga di Masino dalle sue intenzioni di ritirarsi con
effetto immediato dalla carica(2), ma a dicembre, all’insegna
dell’entusiasmo per Roma Capitale e dell’ottimismo per i
segnali di ripresa soprattutto in campo economico della vita
cittadina, iniziatisi a manifestare già da un anno e ai quali
l’auspicio di nuove e positive conferme viene
dall’inaugurazione del traforo del Frejus, diviene Sindaco
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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

Felice Rignon. Il 28 giugno 1871 è collocato a riposo a 49


anni su sua stessa domanda e per motivi di salute. Il perché è
spiegato nella lettera scritta a Lanza da Alessandro Buglione
di Monale il 22 giugno 1871, in cui emerge anche la
tensione di quegli anni tra Palazzo Civico e Prefettura(3) .
(1)
Castelli riferendosi alle agitazioni di piazza dei garibaldini nei giorni di Mentana,
scrive a Dina: “Il Conte Radicati se la cava benissimo, ma bisogna ricordarsi
sempre che, dopo le giornate di settembre in Torino, la polizia non è libera come in
altre città e la memoria di quei tristi giorni vuole sempre essere portata in calcolo
ed è troppo funesta …. alla parola di azione tutte le buone intenzioni sono soffocate
dalla paura di mali maggiori e si dice: meglio le grida che il sangue”. (Carteggio
politico cit, vol. 2° pp. 298 e 307).
(2)
(C. Radicati Talice di Passerano Ac. Valperga di Masino, 16 settembre 1870, n.
176, n AM, mazzo 497. fsc. 12).
(3)
“E' cosa altamente deplorabile che l'Autorità di Sicurezza Pubblica non dia
importanza al fatto di essersi rotti i selciati il che a memoria d'uomo succede in
Torino per la prima volta. La violenza usata col lanciar sassi per me è sempre cosa
gravissima quand'anche insignificanti fossero i guasti materiali, ma qui non sono
punto leggeri e basti dire che più di dieci case furono prese a sassate e che per
riparare la facciata del Palazzo del marchese Pallavicini-Crespi si lavorò durante
due giorni. Ma d'altra cosa ancora maggiormente mi duole ed è che il sig. Prefetto
non abbia capita la necessità assoluta di far sì che nessun inconveniente si
verificasse onde non dare al partito clericale buono in mano per dire che non avvi
libertà per coloro che professano principii religiosi; a me nulla importa che si siano
fatti arresti dopo che i disordini furono commessi, avrei voluto che si disponessero
le cose in modo che non potesse nascere l'occasione di arresto e la cosa era
agevolissima. Confermo quanto ho detto a Vostra Eccellenza circa la mancanza
assoluta di provvedimenti di precauzione. Alle 10 di sera il Questore non era
nemmeno in ufficio e non si trovavano in Santa Cristina che otto uomini di bassa
forza per un caso qualsiasi. Nessuna, assolutamente nessuna pattuglia per le vie: il
conte Radicati pretende che si erano mandate là dove si presumeva esservi pericolo:
ebbene in niun luogo si potevano temere disordini quanto in via Bogino dove abita
il teologo Margotti (casa Fossati già Sommarica) e non solo non vi era sorveglianza
ma è in tal luogo precisamente che si cominciarono le sassate. Che dire poi del Sig.
Prefetto che alle 10 e un quarto era al Caffè Fiorio al solito, e si può dire
permanentemente suo convegno e nulla sapeva di quanto avveniva a Torino! Quindi
l'Eccellenza Vostra farà opera santa nel dare a questa città altro capo di Governo e
di Amministrazione. (…) Torino è stanca di non essere governata e di trovarsi così

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

male amministrata: si credeva che almeno per quest'ultimo rispetto il conte Radicati
avrebbe potuto soddisfare, dal mio canto ebbi sempre altra opinione, ma la
pubblicazione testè fatta dal Ministero dell'Interno circa i lavori delle Prefetture
riguardanti le Amministrazioni comunali hanno fatto cadere ogni illusione: questa
provincia è tra quelle dove avvi maggiore arretrato, maggiore disordine. La
Eccellenza Vostra non ignora certo quanto abbia scapitato l'autorità del prefetto
rispetto al Municipio di Torino al quale egli si studia di fare una gretta opposizione,
per lo più di forma anziché di sostanza, senza che poi egli sia in grado di
sorreggerlo con assennati consigli quando ve ne potrebbe essere il bisogno.
Impertanto credo sia opportuno assai secondare le istanze che diconsi fatte dal sig.
Conte Radicati pel suo collocamento a riposo”. (Le carte di Giovanni Lanza, vol. 7,
Torino 1938, pp. 131-133).

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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

Vittorio Zoppi

Conte di Valle delle Grazie,


Senatore, Governatore, Prefetto.
Nasce a Cassine nel 1819 da una
delle più antiche famiglie del contado
di Alessandria. Il nonno Ottavio era
stato Maire di Alessandria sotto
l'Impero e aveva sposato Isabella de'
Porzelli dei Conti della Valle delle
Grazie. Il padre Giovanni Antonio
aveva servito nell'esercito con il grado di maggiore, la madre
Matilde Calcamuggi de' Ferrufini era figlia dell'ultimo Conte
di Cascinagrossa. La sorella Clementina sposa Raffaele
Cadorna, allora maggiore del Genio Lombardo destinato a
divenire famoso per la “presa di Roma”. A 42 anni sposa la
sedicenne Maria Roissard de Bellet di famiglia nizzarda (suo
padre era Comandante generale dei Carabinieri). Dopo la
laurea a Torino in Diritto civile ed ecclesiastico nel 1841
intraprende la carriera amministrativa come volontario non
retribuito - secondo l'uso del tempo - nell'Amministrazione
provinciale dell'Interno. Dopo tre anni è nominato Applicato
di carriera superiore a Mortara, nel 1845 va ad Annecy come
Sottointendente generale, quindi, dopo un periodo trascorso
al ministero, regge l'Intendenza dell'Ossola, per essere poi
addetto quale Consigliere a Novara e Alessandria. Promosso,
non ancora trentenne, Intendente di 2° classe, presta servizio
ad Alghero, Benneville, Mondovì. Nel 1858 è Capo
divisione a Torino, l'anno dopo Intendente generale a
Bergamo appena liberata dagli austriaci.
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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

E’ Vice-governatore a Pavia e, nel 1860, a Milano con


Massimo d'Azeglio e Giuseppe Pasolini. Nel dicembre 1860
regge la Prefettura di Brescia, l'anno dopo è Governatore a
Salerno (provincia di Principato Citeriore). Prefetto, a
seguito della riforma Ricasoli, riveste l'incarico, dopo
Salerno, a Messina, Brescia, Novara e infine per due volte a
Torino. La prima dal 7 novembre all'8 dicembre 1867, in
qualità di reggente, (Dina scrive a Castelli: “Non domando
come sarà accolto chè Torino non bada ai prefetti”),
mantenendo le funzioni di Prefetto di Novara, la seconda dal
28 giugno 1871. Nel novembre è anche nominato Senatore
contemporaneamente al cognato Raffaele Cadorna.Tiene
corrispondenza con Lanza, Minghetti, Cantelli, Peruzzi,
Sella, Bonghi, Spaventa, Vigliani, Spantigati e altri. Laico
ma non “irriducibile”, pur senza mancare ai doveri verso lo
Stato, tiene ottimi rapporti personali con Don Bosco e in
punto di morte riceve dalla Curia Romana l’apostolica
benedizione. Nell’ottobre 1872 Giovanni Lanza, allo scopo
di contenere la prevalenza della stampa della Sinistra,lo
incarica del progetto di fondazione di un nuovo giornale
governativo a Torino, idea che gli rilancerà anche Minghetti,
ma fallisce la missione(1).
Nel dicembre 1872 sostiene, senza successo l’elezione del
candidato governativo Pio Rolle, nel collegio di Torino I,
che era stato di Cavour, contro Casimiro Favale, suscitando
l’irritazione di Lanza e nell’aprile 1873 quella del candidato
Giuseppe Allasia Consigliere di Stato e già prefetto e
segretario generale con il ministro Chiaves, contro il
candidato Roberto Morra di Lariano, questa volta con esiti
positivi. Alcuni gravi episodi di malversazione avvenuti in
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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

Questura, a quel tempo incardinata nella Prefettura, gli


provocano polemiche e critiche per una colpa in vigilando.
In combutta con alcuni appaltatori il Questore Vincenzo
Bignami ed altri funzionari truffano lo Stato, gonfiando le
forniture alimentari e di corredo, provocando un danno
erariale di alcune decine di migliaia di lire. Il processo
dinanzi alla Corte d’Assise si conclude con dure condanne.
L’ex Questore Bignami è condannato ad otto anni di
reclusione(2). Nessun provvedimento invece è preso contro di
lui(3).
Alla caduta del Governo Minghetti (18 marzo 1876), data
della catastrofe parlamentare della Destra, secondo
Benedetto Croce, chiede le dimissioni e le ottiene dal 19
aprile. Ricopre ancora importanti cariche amministrative in
Alessandria e il 18 febbraio 1892 il Re gli rinnova il titolo di
Conte. Si spegne in Alessandria in tarda età il 23 novembre
1907.
(1)
A quel tempo tre erano i quotidiani torinesi con una certa diffusione: la Gazzetta
del Popolo, la Gazzetta di Torino e la Gazzetta Piemontese, che diviene poi La
Stampa.
(2)
In una lettera Giovanni Codronchi Argeli, Segretario generale presso il Ministero
dell’Interno, riferendosi a Zoppi scrive: “Si discuterà della questione colla calma
maggiore, e coi più grandi riguardi all’uomo egregio, che rese segnalati servizi al
paese, e la onorabilità del quale è superiore a qualunque sospetto”.
(3)
Tuttavia Minghetti scrive a Cantelli: “Senza punto mettere in dubbio la sua onestà
bisogna pur dire che egli era di quelli che “oculos habent est non videbant” (M.
Minghetti, Copialettere 1873-1876, Roma, ISRI, 1978, vol. 2°, pag. 784).

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Angelo Bargoni

Avvocato, ex Deputato, Senatore,


giornalista, Prefetto, Ministro della
Pubblica Istruzione. Nasce a
Cremona il 26 maggio 1829, figlio di
Antonio e Maria Ceretti. Nonostante
le modeste origini può iniziare gli
studi universitari a Pavia, grazie ad
un sussidio raccolto dalla nobildonna
Antonietta Scotti Robolotti. Nel 1851
si laurea in giurisprudenza
all’Università di Cremona, con una dissertazione, poi
pubblicata, Dell'educazione del popolo, nella quale sostiene
l'obbligatorietà della scuola primaria, l'istituzione di asili
gratuiti e un’adeguata istruzione della donna, diretta a
preparare quest'ultima ai suoi compiti di educatrice nella
famiglia e nella società. In occasione della concessione dello
statuto di Carlo Alberto scrive un modesto inno popolare,
musicato dal maestro Ruggero Manna. Volontario nella
prima guerra d’indipendenza, combatte in difesa della
Repubblica romana e alla sua caduta rientra a Cremona. Nel
1853, sospettato per i suoi contatti con i promotori del
tentativo insurrezionale mazziniano a Milano, è costretto a
fuggire e ripara a Genova dove entra in relazione con
Mordini, Pilo, Calvino e dirige il settimanale “La Donna”,
voce del gruppo mazziniano genovese degli emigrati. Le sue
tendenze radicali e le sue convinzioni repubblicane non gli
impediscono, dopo il Congresso di Parigi, di approvare la
politica cavouriana e di assumere un atteggiamento
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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

possibilista, se non proprio di collaborazione, verso il


governo sardo. Si adopera per agevolare l’arruolamento dei
volontari per la seconda guerra d’indipendenza, alla quale
tuttavia non partecipa per motivi di salute, e dopo lo sbarco
di Garibaldi in Sicilia raccoglie fondi per le spedizioni
successive. E’segretario prima di Depretis, poi di Antonio
Mordini, che si succedono nella carica di prodittatori
dell’isola, impegnandosi nella preparazione delle leggi e
nella semplificazione e applicazione di quelle vigenti. Con la
fine del Governo di Mordini termina anche la sua
permanenza a Palermo. Rientrato a Torino, fornisce al
partito garibaldino una prudente linea di indirizzo attraverso
il giornale “Il Diritto”, che dirige dal 1861 al 1863. Essa
prevede: unità, ma decentramento (se non le regioni del
Minghetti, qualche cosa di simile con garanzie per la
saldezza del nuovo Stato), unificazione legislativa ma varietà
negli ordinamenti locali e libertà d'insegnamento, all’interno.
Difesa dei principi d’indipendenza e libertà delle nazioni,
amicizia con la Francia, alleanza con l'Inghilterra e
vagheggiamento futuri Stati Uniti d'Europa, in campo
internazionale. Dal 1863 al 1871 torna nuovamente
all’impegno politico come Deputato per i Collegi di
Corleone, Casalmaggiore e Chioggia e quando, nel 1864, si
parla dell'opportunità di trasferire la capitale da Torino a
Firenze ribadisce “l’inviolabilità del diritto italiano a
Roma”. Spostatosi su posizioni di centro moderato (è, con
Mordini, fra gli animatori del cosiddetto «terzo partito»), è
ministro della Pubblica Istruzione durante il terzo ministero
Menabrea (13 maggio-14 dicembre 1869). In tale veste
riesce a far rientrare in Italia, dall'Inghilterra, le ceneri del

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

poeta Ugo Foscolo, ora in Santa Croce a Firenze e si


adopera, seguendo una linea già iniziata nel settore
pubblicistico, per attuare quelle riforme che ritiene utili al
miglioramento degli studi e al progresso della cultura. Tra le
alternative che mette a punto per modificare il quadro
istituzionale vanno menzionate le scuole superiori femminili,
fondate da alcuni comuni, tra i quali Torino, e sussidiate dal
governo secondo le disposizioni della sua circolare
ministeriale del 9 luglio 1869, frutto della collaborazione
con Pasquale Villari. Nel 1874 è Prefetto di Pavia poi salita
al potere la Sinistra, Depretis lo destina alla Prefettura di
Torino, dal 19 aprile 1876 al 26 dicembre 1877. Nel
frattempo riceve anche la nomina a Senatore. Nel 1877 con
l’inizio del nuovo anno scolastico appoggia la «legge
Coppino», suscitando il brontolio della reazione clericale. La
Legge approvata l’11/7/1877 rendeva facoltativo
l’insegnamento della religione nelle scuole elementari,
nonché la gratuità dell'istruzione elementare e le sanzioni per
chi ne disattendeva l’obbligo. Dalla fine del 1877 è ministro
del Tesoro. Siede a Roma quando il nuovo Re in pectore
decide che le spoglie di Vittorio Emanuele II siano seppellite
nel Pantheon, e non a Superga, infliggendo un durissimo
colpo all’orgoglio torinese e riaprendo ferite e divisioni che
faticosamente andavano rimarginandosi. Con il varo del
gabinetto Cairoli è nuovamente Prefetto di Torino, dal 24
marzo 1878 al 20 aprile 1878, e subito dopo è inviato a
Napoli. Sul finire dell'anno, in occasione di una visita dei
reali, l'attentato del Passanante lo amareggia tanto che non
esita a dare le dimissioni. Divenuto segretario dirigente delle
Assicurazioni Generali di Venezia continua il suo impegno
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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

politico. Pronuncia apprezzati discorsi, come la


commemorazione a Venezia nel 1882 di Garibaldi e quello,
a Bologna, di Vittorio Emanuele II. Nel 1892 è nominato
Consigliere di Stato e nel 1894 vice Presidente del Consiglio
Superiore della Pubblica Istruzione. Muore a Roma il 25
giugno 1901.
E’ Commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e
Grande Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia.

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Camillo Caracciolo

Marchese di Bella, Nobile dei


principi di Torella, ex Deputato,
Senatore, Prefetto, Diplomatico. E’
nominato Prefetto di Torino, ma
presenta subito le dimissioni e non
raggiunge la sede. Nasce il 30 aprile
1821 a Napoli, secondogenito di
Giuseppe principe di Torella e di
Caterina Saliceti, figlia del ministro
di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat. Il 23
novembre 1848 sposa Anna Laguinoff di Ivan e di
Alessandra d'Illine. Attivo nei gruppi liberali napoletani, è
arrestato due volte tra il 1847 e il 1848, ma dopo i ripetuti
interventi dell’influente padre riesce ad emigrare in Svizzera.
Tornato a Napoli nel 1853 riprende l’attività politica e si
unisce nuovamente ai circoli liberali. All’inizio del 1857 è
tra i fondatori del Comitato dell’ordine, che raccoglie tutti i
gruppi dell’opposizione. Costretto nuovamente all’esilio, si
trasferisce in Piemonte, partecipando all’azione dei
«cospiratori» cavouriani, favorevoli all’annessione
incondizionata del Regno delle Due Sicilie al Piemonte. Nel
1860, tornato a Napoli, fa parte del governo provvisorio,
sciolto da Garibaldi al suo ingresso in città. Eletto nel 1861
Deputato nei collegi di Conversano e di Cerignola, nelle file
di centro, si dedica, però, soprattutto alla diplomazia, dove
esordisce nell’agosto 1861 con un incarico speciale che lo
abilita a trattare il matrimonio fra la principessa Maria Pia,
figlia di Vittorio Emanuele II, e il re Pedro del Portogallo.
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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

Dietro la trattativa si svolge un violento scontro tra il partito


clericale - che vuole impedire l'avvicinamento del Portogallo
al nuovo Regno d'Italia - e il partito liberale che - guidato dal
primo ministro marchese di Loulè, zio di don Pedro, e dal
ministro della guerra Sà da Bandeira - aveva già rifiutato di
associare il Portogallo alle manifestazioni spagnole di
solidarietà con il potere temporale dei papi, come lo stesso
Caracciolo scrive da Lisbona al primo ministro Ricasoli il 18
agosto 1861. Agli inizi del 1862 rappresenta l'Italia nella
convenzione stipulata a Berna per la ferrovia del Gottardo,
dal 26 giugno 1862 è nominato inviato straordinario e
ministro plenipotenziario presso l'Impero ottomano ed un
mese dopo è ricevuto in udienza dal sultano. In osservanza
alle direttive del governo italiano per la questione d'Oriente
inviategli dal ministro degli Esteri Durando - affermazione
del diritto italiano, riconosciuto dal trattato di Parigi del
1856, di partecipare a pieno titolo a tutte le questioni
riguardanti l'indipendenza e l'integrità territoriale dell'Impero
ottomano, e pressioni sui governi austriaco e britannico, che
tendevano a non riconoscere questo diritto dell'Italia come
potenza garante - egli respinge nel novembre 1862 l'invito di
alcuni rappresentanti delle potenze minori perché
promuovesse “delle riunioni, in fuori di quelle degli inviati
che rappresentano le potenze garanti, a fermare in comune
le risoluzioni più convenienti sugl'interessi che occorre di
regolare d'accordo tra le varie Legazioni e il Governo
ottomano. Non accettai perché l'Italia, come potenza
intervenuta al Trattato di Parigi, deve aver mano in tutto
quello di che la Conferenza delle altre cinque è investita”
(I documenti diplomatici, s. 1, III, p. 184). Un mese dopo,

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

nel dicembre 1862, l'Italia è ammessa finalmente al tavolo


delle grandi potenze per discutere della questione serba ed è
la prima volta dopo l’esclusione del Piemonte dalla
deliberazione sul Montenegro del 1858 e dell'Italia dalle
conferenze sulla Siria del 1861. Il 19 luglio 1863 diviene
inviato straordinario e ministro plenipotenziario in
Portogallo, ove resta quattro anni; il 6 giugno 1867 è
nominato ambasciatore in Russia, dove rimane fino al 1876.
Si preoccupa di far accettare la soluzione della questione
romana, il cui aspetto più preoccupante per l'ortodossa corte
di Pietroburgo era costituito dai tentativi rivoluzionari di
Garibaldi, come gli aveva detto l'imperatore Alessandro II in
una conversazione dell'agosto 1870. Con cura particolare
riferisce al governo i modi e le forme della neutralità
filoprussiana adottata dalla corte zarista durante e dopo la
guerra franco-prussiana, come attento alla visita del Thiers,
venuto a chiedere per la nuova Repubblica francese il
riconoscimento del governo russo, che offrì la sua
mediazione impegnandosi a tutelare l'integrità del territorio
francese. Su precisa indicazione del ministro degli Esteri
Visconti Venosta invita a Firenze il Thiers, che - agli inizi
dell'ottobre 1870 - accetta con questa significativa
dichiarazione: “la mia opposizione all'ordinamento
nazionale dell'Unità italiana era senza più ingenerata nel
mio animo dalla tema che questa servisse d'incitamento e di
apparecchio alla formazione dell'Unità Alemanna, da cui la
mia patria dovea ricevere un sì gran danno... Credete pure
che la mia riconciliazione con l'Unità italiana è assoluta e
sincera” (ibid., s. 2, I, p. 149). Con l’avvento della Sinistra
al potere conclude l’attività diplomatica. Dal maggio 1876 è
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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

Prefetto di Roma. Il 20 aprile 1878, gli giunge la nomina di


Prefetto di Torino, ma il 5 maggio presenta le dimissioni.
Senatore del Regno dal 1876, e in seguito anche
vicepresidente della Camera alta, si accredita presto a
Palazzo Madama prendendo spesso la parola su problemi di
politica internazionale, specie sulla questione d'Oriente; il 20
gennaio 1879 si alza a difendere la Destra dalle accuse di
Depretis. Muore il 6 aprile 1888 a Roma.
Tra le sue onorificenze ricordiamo quelle a Grande Ufficiale
dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e Gran cordone
dell'Ordine della Corona d'Italia.

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

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Giovanni Minghelli Vaini

Avvocato, ex Deputato, Prefetto.


Nasce a Modena l’8 maggio 1817. Si
dedica all'esercizio della pratica
forense, prende parte al Governo
provvisorio di Modena ed è caldo
promotore dell'annessione dell'Emilia.
E’ autore di due relazioni sul prestito
nazionale e sulla reggenza del Principe
di Carignano di quell’epoca. Nel primo
Parlamento italiano, durante le due
legislature, siede alla destra, ammiratore di Cavour. In seguito
si accosta al centro sinistra e agli uomini del terzo partito.
Attivo in Parlamento vota contro la Convenzione del 15
settembre 1864, contro il trasferimento della Capitale d’Italia
da Torino a Firenze e presenta alcuni progetti di legge di
riforma dei rapporti tra la Chiesa e il nuovo Stato Italiano.
Dopo l'Unificazione entra nell'Amministrazione dell’Interno.
Una certa competenza in materia penitenziaria, rivelatasi
anche attraverso alcuni scritti, lo segnalano al Governo che
nel 1869 lo nomina Ispettore Penitenziario e membro della
commissione ministeriale d’inchiesta sulle carceri
giudiziarie napoletane, presieduta da Antonio Di Rudinì,
Prefetto di Napoli, che nell’ottobre dello stesso anno sarebbe
diventato ministro dell’interno e, anni dopo, Primo Ministro.
Prefetto a Cagliari dal 1876, dal 29 luglio 1878 è Prefetto di
Torino e Presidente del Consiglio Scolastico Provinciale, nel
periodo in cui stava prendendo forma l’esperienza educativa
di Don Bosco. A favore della supremazia delle prerogative
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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

statali in materia scolastica sottopone le scuole salesiane a


forti controlli e, in linea con la volontà ministeriale, si
pronuncia verso la loro chiusura, a causa dell’inosservanza
della legge relativa ai titoli di cui dovevano essere forniti gli
insegnanti di qualsiasi Istituto pubblico o privato. Si apre,
così, una diatriba che si risolve a favore dei salesiani. Le
cronache annotano:“non ebbero fortuna gli uomini che la
sollevarono. L'onorevole Coppino uscì quasi subito dal
Ministero. Il [nostro ..], Prefetto di prima classe a Torino, fu
traslocato Prefetto di terza classe a Catania, poi a Lecce e
quindi messo a riposo”. Il 15 febbraio 1880 infatti, in
seguito ad un avvenimento che mette in qualche pericolo
l'ordine pubblico, Depretis lo trasferisce alla Prefettura di
Catania, destinando quella di Torino a Bartolomeo Casalis(1).
Successivamente è nominato Prefetto di Lecce, Padova,
Vicenza. Non sarà Senatore. Muore a Parma il 7 novembre
1891.
(1)
Il 1° dicembre 1879 viene fondata, dalla Lega democratica, la sezione piemontese
della Società dei carabinieri italiani, forte di ben “25 iscritti” e avente “per scopo” il
seguente programma (articolo 2 del “Regolamento”) a) il complemento dell’Unità
della Patria ed il conseguimento della sua libertà; b) la difesa della Patria dai nemici
esterni ed interni. Agli occhi delle autorità centrali, prontamente informate dal
Prefetto Minghelli, l’aspetto veramente preoccupante della faccenda è costituito
dall’articolo 3: “ad attuare il suo programma la Società si prefigge i seguenti mezzi:
a) esercitazioni militari b) passeggiate militari c) esercizi ginnici d) tiro al bersaglio
e) studi tattici e strategici”. (Prefetto di Torino a ministro dell’Interno, 5 e 13
dicembre 1879, in ACS, Ministero dell’Interno, Direzione Generale di Pubblica
Sicurezza, 1879-1903, busta 4, fasc. 17/74.) Tanto basta ad allarmare il ministro
dell’Interno Depretis, il quale, passate le feste, provvede ad informarne il collega di
Grazia e Giustizia, Tommaso Villa, ex ministro dell’Interno. Questi a sua volta
attiva i propri canali in loco. Per fortuna di tutti, prima che la cosa volga verso esiti
drammatici o che il governo e le autorità locali si coprano di ridicolo, a Torino arriva
quale nuovo Prefetto il neosenatore Bartolomeo Casalis, “depretisino” di ferro e
buon conoscitore degli ambienti della sua città d’adozione, anche di quelli politici,
essendo stato, a suo tempo, Deputato al Parlamento subalpino. Questi, nel giro di
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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

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dieci giorni, è in grado di tranquillizzare il governo, riportando così l’accaduto alle


sue giuste proporzioni: “Si può dire che è stato e che rimane tuttora un tentativo,
perché i pochi che vi sono ascritti, senza influenza e senza credito alcuno, non
hanno né danaro, né armi, né bandiere, né giornali, né locali ove radunarsi, e si può
dire che l’associazione sia morta già prima di nascere”. (Prefetto di Torino a
ministro dell’Interno, 25 febbraio 1880, in ACS, Ministero dell’Interno, Direzione
Generale di Pubblica Sicurezza,1879-1903, busta 4, fasc. 17/74.) Il giudizio è più
volte ribadito con sicurezza e cognizione di causa, dal momento che Casalis è
riuscito a infiltrare tra i Carabinieri italiani di Torino “un confidente” di assoluta
fiducia che lo tiene “ben informato su tutto ciò che si riferisce alla associazione”.
(Prefetto di Torino a ministro dell’Interno, 1° marzo 1880, ibid). Finita l’estate della
sezione piemontese della Società dei carabinieri italiani e della sua pericolosa
attività sovversiva non si parlò più.

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Bartolomeo Casalis

Avvocato, ex Deputato del


Parlamento Subalpino, Senatore,
Prefetto, Capo della Polizia. Nasce a
Carmagnola (Torino) il 9 novembre
1825, da Francesco e da Giacomina
Pola. Sposa Caterina Orsi. Allievo
del Collegio delle Province di
Torino, ha per compagni Quintino
Sella, Giovan Battista Bottero,
Costantino Nigra, Domenico Carbone e Michele Lessona.
Ancora studente partecipa alle manifestazioni del 1847-48
che chiedono riforme politiche e sociali nel Piemonte. Si
guadagna fama di agitatore anche per una caratteristica
somatica: “Era il più lungo degli studenti di tutta
l’università. In qualunque folla, al di sopra del livello
comune s’ergeva la sua testa rotonda, bruna, riccioluta,
vivace, illuminata da due occhi neri come carbone, ornato il
mento d’una barbetta crespa, piena di risoluzione e di
forza”(1). Allo scoppio della prima guerra d'indipendenza si
arruola nella Compagnia dei volontari bersaglieri studenti.
Conclusosi il conflitto, si laurea in giurisprudenza per poi
dedicarsi all'esercizio della pratica forense, non trascurando
mai però l'attività di pubblicista sulla “Gazzetta del Popolo”
di Torino. Nelle elezioni suppletive del 18 febbraio 1858
viene eletto Deputato al Parlamento subalpino nel collegio di
Caselle. Tuttavia i suoi sforzi si rivolgono principalmente
alla carriera statale nell’amministrazione attiva, iniziata nel
1860 con l’incarico di consigliere di prima classe presso
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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

l’Intendenza generale di Parma. In quella stessa estate è


inviato in Sicilia presso il prodittatore Agostino Depretis con
il compito di affrettare l’annessione dell’isola al Regno di
Sardegna. A Palermo entra presto in dissapori con Angelo
Bargoni, chiamato anch’egli a coadiuvare Depretis.
Nell’ottobre dello stesso anno è incaricato della delicata
missione di precedere il re Vittorio Emanuele II nel viaggio
al Sud appena liberato, allo scopo di accertare i sentimenti
della popolazione e la situazione politico-militare nelle
province napoletane. A Napoli diventa segretario prima di
Luigi Carlo Farini, poi di Nigra e infine del principe Eugenio
di Carignano. Rientrato nell’amministrazione ordinaria, dal
1862 al 1867 è sottoprefetto ad Asti, poi è sbalzato a Catania
e quando sembra ormai matura la sua promozione a Prefetto,
viene rimosso dal suo incarico, rimanendo per quasi due
anni senza destinazione, a causa di alcuni contrasti con il
ministro dell'Interno Carlo Cadorna. Nel frattempo pubblica
sulla “Gazzetta del Popolo” numerosi articoli sul
funzionamento delle Prefetture e sottoprefetture nonché sui
consigli provinciali. Il 28 febbraio 1870 Giovanni Lanza lo
nomina reggente della Prefettura di Catanzaro e qualche
mese dopo arriva l'attesa nomina a Prefetto. Nel capoluogo
calabrese si adopera subito contro il brigantaggio, la
corruzione degli organi locali e i supposti complotti
repubblicani del Partito d'Azione. Questi ultimi nell’estate
del 1870 sono la causa di uno spiacevole contrasto con il
generale Sacchi, comandante della divisione territoriale, nel
corso del quale ottiene da Lanza sia il necessario sostegno
politico sia il conferimento della prestigiosa decorazione di
ufficiale della Corona. Trasferito ad Avellino all’inizio del
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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

1872, pur tra nuovi contrasti, ottiene importanti successi


nella repressione del brigantaggio. Tuttavia viene
nuovamente trasferito, nel marzo 1874 a Macerata, poi
quando nel marzo 1876 cade la Destra storica, benché
Correnti lo ritenga non idoneo a reggere una Prefettura “ove
ci fosse importanza di amministrazione e necessità di
prudenza”, Depretis lo destina a Genova. A capo di questa
provincia, “ricca ogni giorno di accidenti più o meno
gravi”(2), resta quattro anni, prodigandosi soprattutto per
contenere l’influenza dei clericali e dei repubblicani. Il 15
febbraio 1880 è infine destinato alla Prefettura di Torino,
dove si propone di «fare della Prefettura il centro di tutte le
forze vive del Governo attuale»; lo stesso giorno, forse in
compenso alla rinuncia alla Prefettura di Roma,è nominato
Senatore del Regno. Dall'autunno del 1880 inizia ad
occuparsi di un affare che lo trascinerà in una spiacevole
polemica con il Prefetto di Firenze Clemente Corte, e che lo
coinvolgerà anche nel famoso processo a carico di Eugenio
Strigelli, confidente di polizia non del tutto onesto, e di
alcuni falsificatori di titoli di rendita pubblica e di biglietti di
banca di vari Stati. I due Prefetti litiganti sono collocati a
disposizione (4 marzo 1884), ma una commissione
d’inchiesta dà - tra le righe - piuttosto ragione a Casalis, che
il 29 giugno 1884 è reintegrato nell’incarico(3).
La riconferma è per lui “come una riparazione e nulla più”,
ma la sospensione serve a renderlo più prudente e meno
impetuoso, tanto che in occasione dei disordini universitari
del 10- 12 aprile 1885, dimostra perfino “longanimità e
pazienza”. Fattosi però “gran chiasso presso tutte le
università”, Depretis ritiene opportuna un’inchiesta.

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Quella giudiziaria trova “corretta l’azione della forza, e


faziosa la condotta degli studenti e Professori”; quella
amministrativa, sottovalutata da Depretis e gestita dal
ministro della Pubblica Istruzione Michele Coppino, porta a
uno scontro tra chi vuole la sua testa e chi lo difende “con
uguale furore”. La conseguenza è il desiderato esonero dalla
Prefettura torinese, dal 1° novembre 1885, il collocamento a
disposizione del ministero e la contemporanea chiamata in
missione a Roma per dirigere i servizi di Pubblica Sicurezza.
Morto Depretis il 22 luglio 1887, rimane privo del suo
maggior sostegno politico. Collocato a disposizione il 16
aprile 1887 dal neo nominato ministro dell’Interno
Francesco Crispi, e poi in aspettativa “per ragioni di
servizio” lascia definitivamente l’Amministrazione nel
maggio 1891 a 66 anni. Muore a Torino il 13 maggio 1903.
Tra i suoi riconoscimenti si ricordano quelli a Grande
Ufficiale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e Gran
cordone dell’Ordine della Corona d’Italia.
(1)
Bersezio V., I miei tempi, Torino 1931, p. 150-151.
(2)
Lett. al ministero degli Interni, 10 dic. 1876
(3)
A contatto con Casalis, Strigelli nel dicembre 1880 propizia l'arresto a Milano di
due falsari e mette sulle tracce di altri (cioè dei coniugi Wilkes e Colbert), sfuggiti a
Torino all'arresto partendo per Firenze. All'arresto e al sequestro dei bagagli è quindi
interessato il Prefetto Corte il quale, per ottenere rivelazioni essenziali per
identificare i capi dell'associazione delittuosa, promette sul suo onore impunità e
libertà ai coniugi Wilkes che trattiene a Firenze. Casalis ha però sin dal 29 dicembre
denunciato gli arresti di Milano e di Firenze, sicché l'autorità giudiziaria chiede la
traduzione per il processo anche dei coniugi Wilkes. Con la mediazione del
ministero degli Interni si cerca una via d'uscita, quando la pubblicazione sui giornali
torinesi delle rivelazioni del Wilkes, trasmesse in via riservata a Casalis dal Corte,
irrita questo a tal punto da fargli decidere l'immediata scarcerazione dei coniugi
Wilkes. Il deterioramento dei rapporti tra i due Prefetti raggiunge il culmine quando,
nel corso del processo celebrato a carico dei falsari e dello Strigelli, i giornali
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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

pubblicano alcune lettere scambiate tra Corte e Casalis e soprattutto quando,


cominciate le arringhe, un avvocato della difesa rende pubblico uno scritto di un
imputato morto in carcere nel quale si accenna alla cauzione che sarebbe stata
versata per la liberazione della compagna del Wilkes dal di lei presunto ricchissimo
padre. Atrocemente ferito dall'insinuazione, di cui attribuisce la paternità a Casalis, e
contrariato dalle deposizioni di questo al processo (di cui i giornali avevano dato
resoconti non molto precisi), Corte esprime su La Nazione di Firenze (12 e 15
febbraio 1881) il proprio sdegno per le insinuazioni e la volontà di essere sottoposto
a procedimento penale. Il ministro degli Interni Depretis, che si affanna a soffocare
la polemica pubblica dei due Prefetti, deplora l'iniziativa di Corte (che rassegna le
dimissioni) ed anche la risposta pubblicata da Casalis. I due Prefetti, messi a
disposizione, invocano una commissione d’inchiesta, che conclude i lavori il 16
maggio 1884, riconoscendo la sostanziale correttezza del comportamento di Casalis,
mentre, pur prendendo atto della buona fede di Corte, ne deplora "l'infrazione della
disciplina" e "lo scandalo che ne venne al pubblico" per la polemica sui giornali. Il 6
marzo del 1884 la Gazzetta piemontese aveva dichiarato di considerare Casalis
(collocato a disposizione due giorni prima) "interamente rientrato nel diritto
privato" e aveva elencato una serie di motivi che reclamavano "il cambiamento del
capo della Provincia". Risultatagli favorevole l'inchiesta, il 29 giugno 1884 Casalis
è invece confermato Prefetto di Torino, mentre Corte, dopo aver respinto i risultati
dell'inchiesta, rassegna le dimissioni anche da Senatore.

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Ottavio Lovera Di Maria

Conte, Avvocato, Senatore, Prefetto,


Capo della Polizia. Nasce a Torino il
2 luglio 1833. Il padre Federico
Costanzo, discendente da un’antichis-
sima famiglia di Cuneo, era stato
Comandante dei Carabinieri Reali dal
1849 al 1867 e Senatore del Regno
d’Italia. La madre, Ottavia Renaud de
Falicon, appartiene all’aristocrazia
nizzarda. Ottavio studia presso i Gesuiti nel collegio del
Carmine e, dopo la laurea in legge, il 1° agosto 1853 entra
nella carriera superiore amministrativa. Nel 1859 presta
servizio con Farini presso i governi provvisori dell’Emilia.
Nel 1860, nominato Consigliere di governo a Cuneo, parte
per un’importante missione al seguito del Re e dell’esercito
entrati negli Stati Pontifici. Dopo la riforma ricasoliana
dell'ottobre 1861, è nominato Sottoprefetto del circondario
di Novi. Successivamente è Caposezione al ministero e, nel
1864 Capo di Gabinetto del Prefetto di Napoli Paolo
Onorato Vigliani. Nel 1866 è nuovamente assegnato
all'Amministrazione provinciale come Sottoprefetto di Salò.
Il 29 dicembre 1866 sposa Clementina Cusani dei marchesi
di Sagliano e San Giuliano. Dopo essere stato per sei anni
Sottoprefetto a Lodi, nell’ottobre 1873 è nominato Prefetto e
destinato a Belluno, dove rimane sino al dicembre 1875
quando si trasferisce a Catania. Nell’ottobre 1877 nuovo
trasferimento, questa volta a Verona, ma già nel luglio
successivo il governo lo sposta ad Ancona e nel 1882 è
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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

inviato a Livorno, all’epoca città “calda” e pericolosa per la


carriera prefettizia a causa della forte ed agitata presenza di
garibaldini e repubblicani specie tra i ceti popolari. La sua
opera a Livorno ottiene buoni risultati e la situazione
temporaneamente migliora. Dal dicembre 1883, in seguito
alle dimissioni del Segretario generale Lovito (dopo lo
scandaloso episodio del duello con Nicotera) e quelle del
Direttore dei servizi di Pubblica Sicurezza Bolis (per motivi
di salute), sostituisce entrambi i dimissionari, mantenendo,
però, l’incarico di Prefetto di Livorno. Tra gli avvenimenti
rilevanti occorsi durante il suo mandato sono da ricordare il
movimento contadino de La boje, i gravi riflessi sull'ordine
pubblico portati dall’epidemia di colera e le grandi agitazioni
agrarie verificatesi tra il 1884 e il 1885 nel Polesine e poi nel
Mantovano. Tra i fatti minori: a Torino, nel dicembre 1884, i
tumulti di piazza, dopo il divieto di un comizio operaio, con
il danneggiamento di vetture tranviarie e l’accoltellamento di
un carabiniere e gli eclatanti disordini studenteschi del
marzo 1885, quando la polizia impedisce una
commemorazione di Mazzini, arrestando alcuni dimostranti;
il mattino dopo è disselciato il cortile dell’Ateneo e si
accendono scontri durissimi tra gli universitari e la forza
pubblica; alla Camera Depretis difende l’operato del Prefetto
Casalis e, nonostante le proteste generali, fa approvare un
regolamento che vieta agli studenti di associarsi, anche fuori
dell’università. Nel campo ordinamentale il suo biennio di
direzione è caratterizzato dall’approvazione del nuovo
ordinamento del personale di P.S. (novembre 1884) e del
nuovo ruolo organico (marzo 1885). L’incarico ministeriale
favorisce la sua nomina a Senatore che arriva nel novembre

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

1884. Il 1° novembre 1885, cessando dalle funzioni di


Direttore dei servizi di Pubblica Sicurezza, è trasferito dalla
Prefettura di Livorno a quella di Torino, scambiando sede e
funzioni con Bartolomeo Casalis. Mantiene per quasi sei
anni l’incarico di Prefetto nell’ex capitale, sino al 16 marzo
1891, quando si dimette per motivi di salute, a 58 anni,
essendo sorte forti divergenze di idee tra lui ed il ministero.
Pubblica studi su questioni amministrative nella “Rivista dei
Comuni Italiani”. Muore a Torino il 5 febbraio 1900.
Nel corso della sua carriera raccoglie diversi riconoscimenti:
ottiene il Gran cordone dell’Ordine dei SS. Maurizio e
Lazzaro e con regio decreto del 22 dicembre 1895 e con
regie patenti del 1° marzo 1896 gli è rinnovato il titolo di
Conte.

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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

Antonio Winspeare

Nobile, grosso personaggio politico


legato alla Destra agraria, uomo di
Rudinì. Appartiene a quella leva di
primi funzionari postunitari che
interpreta al meglio, anche
dimostrando un elevato grado di
autonomia e di consapevolezza del
ruolo, il progetto di costruzione del
nuovo Stato italiano. Nasce a Potenza
il 23 maggio 1840. Figlio di Eduardo (discendente da una
famiglia di origine inglese trapiantata a Napoli nel
Settecento, che diede alla monarchia borbonica funzionari,
diplomatici, militari e un ministro) e di Giuseppina Leonetti,
appartenente a una ricca famiglia del notabilato casertano, è
parente dell'ultimo Ministro della Guerra del Regno delle
Due Sicilie e nipote del giurista David Winspeare.
Laureatosi in giurisprudenza all’Università di Napoli ed
entrato appena ventenne nell’Amministrazione ricopre per
un decennio una serie di incarichi minori nell'Italia
meridionale, dove combatte il brigantismo, acquisendo in
quel campo una competenza notevole. Sin da allora
l'intervento della sua potente famiglia risulta spesso decisivo
nei passaggi di carriera. Sottoprefetto nel 1870, nell'aprile
del 1881 è nominato Prefetto di Forlì, quindi passa a
Caserta, a Modena, dove sposa la Contessa Albina
Guicciardi di Cervarolo e Alessandria. Nel 1890 Crispi lo
nomina Prefetto di Palermo. Divenuto Presidente del
Consiglio di Rudinì dal 1° aprile 1891 è nominato Prefetto di
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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Torino, dove per le sue qualità politiche e di pubblico


amministratore si guadagna le simpatie di tutti. Quindi dopo
il 16 febbraio 1893 diviene Prefetto di Milano, ricoprendo il
posto che era stato di Giovanni Codronchi Argeli. In
quest'ultima città, alle violente manifestazioni popolari
contro il carovita createsi nelle giornate del maggio 1898,
conosciute come “la protesta dello stomaco”, il governo
risponde con lo Stato d'assedio e nomina il generale
Fiorenzo Bava Beccaris Regio Commissario Straordinario
con pieni poteri, il quale ordina di sparare cannonate sulla
folla provocando una strage. Winspeare per un breve periodo
viene collocato a disposizione con l'accusa di non aver
previsto i disordini e di non averne informato il governo(1).
Trascorre gli ultimi cinque anni di servizio a Venezia e poi a
Firenze. Il 1° febbraio 1904 è dimesso per anzianità di
servizio. Muore a Firenze il 25 agosto 1913.
(1)
Simbolo del cambiamento sarà la scelta di Zanardelli e di Giolitti effettuata dal
nuovo Re Vittorio Emanuele III subito dopo aver assunto le funzioni di monarca.

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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

Carlo Municchi

Nobile di S. Miniato, Conte,


Avvocato, Magistrato, Senatore,
Prefetto. Nasce il 27 luglio 1831 a
Firenze, figlio di Pietro e Virginia
Ulivieri. Coniugato con Teresa
Lombardi. Politico legato ai moderati
toscani e vicino alla Sinistra
costituzionale. Laureatosi nel 1853 in
giurisprudenza a Firenze, nel 1861
presta servizio nel Ministero di Grazia e Giustizia, in veste
di segretario. Capo sezione nel 1864, nel 1865 è ammesso in
Magistratura come sostituto procuratore generale presso la
Corte d'Appello di Firenze. Alla fine del 1870 passa al
medesimo ufficio presso quella di Roma. Nel 1876 è
promosso pubblico ministero nelle sezioni romane di
Cassazione e poi Procuratore generale presso le Corti
d'appello nel 1879 a Catanzaro, quindi a Genova e dal 1883
al 1887 a Milano. In tale veste si distingue nello studio delle
questioni sociali a proposito dei famosi scioperi agrari
dell’Alto Agro lombardo. In particolare contribuisce allo
scioglimento di parecchi circoli operai e alla soppressione
del periodico “Il Fascio Operaio”. La sua operosità suscita
l’attenzione di Francesco Crispi che nel 1887 lo nomina
Prefetto della non facile Prefettura di Genova e dal 21
novembre 1892 diventa anche Senatore del Regno. In tale
veste s’impegna per migliorare le condizioni dei reclusi nei
manicomi, eccependo sulla costituzionalità della legge
italiana,che, constando di un articolato ben povero, delegava
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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

ad un successivo regolamento d’attuazione la definizione


puntuale dei criteri direttivi sulla materia. La sua carriera
spicca il salto di qualità con il Presidente del Consiglio
Giolitti che lo promuove Prefetto di Torino, carica che
ricopre dal 16 febbraio 1893 al 18 settembre 1893. In seguito
dirige la Prefettura di Napoli fino a quando salito al potere di
Rudinì, viene nuovamente nominato Prefetto di Torino, dal
15 maggio 1896 al 1° aprile 1898. Caduto il governo nel
settembre 1898, in concomitanza della fine dello stato
d'assedio, è per pochi mesi Prefetto di Palermo e
successivamente di Milano, in sostituzione di Winspeare, ma
essendo sorte forti divergenze con il Presidente del
Consiglio Pelloux, chiede ed ottiene di essere messo a
riposo, a partire dal 1° gennaio 1900. Ritornato a Firenze si
dedica alla vita politica cittadina operando in veste di
consigliere comunale, provinciale e di Presidente della
Deputazione provinciale. Muore a Firenze il 24 dicembre
1911.
E’ insignito delle più alte onorificenze del Regno e di Stati
esteri: il 22 aprile 1897 il Re gli concede il titolo di Conte, è
inoltre Gran cordone dell’Ordine della Corona d’Italia e
dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, Commendatore
dell’Ordine di Cristo (Portogallo), dell’Ordine di Nostra
Signora della Concezione (Portogallo), dell’Ordine del
Salvatore (Grecia), della Legion d’Onore (Francia).

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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

Ferdinando Ramognini

Prefetto, Capo della Polizia,


Senatore. Nasce a Sassello
(Genova), oggi Savona, il 20 luglio
1829, figlio di Giovanni Battista e
Teodora Badano. Coniugato con
Anna Traverso. Uomo di
repressione, seguace di Crispi,
fronteggia con durezza la protesta
sociale di fine ‘800. Entra in Polizia
a 19 anni e partecipa alla seconda guerra di indipendenza
con il grado di ufficiale. Divenuto Prefetto nel 1876 dirige
negli anni le province di: Chieti, Pavia, Porto San Maurizio,
Genova, Ancona, Livorno e Torino e per tre volte la
divisione dei servizi di Pubblica Sicurezza. E’ capo divisione
nel 1876, Prefetto incaricato di coordinare i servizi di polizia
nel 1879, dopo il tentato e fallito regicidio ai danni di
Umberto I, e Direttore generale dalla fine del 1890 alla fine
del 1893. Durante il primo mandato fonda la prima struttura
di formazione della Pubblica sicurezza, la Scuola Allievi
Guardie. Nei mandati successivi si dedica principalmente
all'ordine pubblico con alterne fortune. Inasprisce le norme
repressive per contrastare gli attivisti italiani del movimento
anarchico internazionale, che aveva lanciato una campagna
rivoluzionaria “contro tutti i re, gli imperatori, i presidenti
di repubbliche e i preti di qualsiasi religione”. La sua
politica del “pugno di ferro”, però, è vista da molti come
concausa dell'esasperazione sociale, che sfocerà in
violentissimi scontri di piazza, come nel caso della protesta

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

operaia e contadina. In quegli anni, dopo l'omicidio del


marchese Notarbartolo, che aveva combattuto le infiltrazioni
mafiose nelle banche e nell'amministrazione comunale di
Palermo, nasce il primo movimento antimafia. Caduto il
ministero Cairoli termina il secondo mandato. Richiamato
per un terzo incarico, con il ministero Crispi, nel 1890
istituisce la prima anagrafe degli anarchici che anticipa di
fatto il casellario politico, voluto in seguito da Crispi stesso.
Ma con l'arrivo al ministero dell'Interno di Giovanni Giolitti,
d’idee più liberali, cambiano radicalmente le strategie
dell'Ordine Pubblico e dopo i gravi disordini in Sicilia ai
tempi dei fasci siciliani è rimosso dal suo incarico. Dal 1°
ottobre 1893(1) è inviato alla Prefettura di Torino,
mantenendo le funzioni di Senatore ricevute nel novembre
1892. Dal dicembre 1893, tornato al potere Crispi,
intenzionato a restaurare l’autorità dello Stato nei confronti
dei moti sociali e politici emersi con i fasci siciliani e con i
tentativi rivoluzionari anarchici della Lunigiana 1893-1894,
riprende la lotta ai socialisti, sempre su impulso di Crispi,
scioglie le loro associazioni. Cerca di scongiurare una loro
possibile salita al potere cittadino, sostenendo con successo
l’elezione a sindaco del Senatore Conte Rignon, che pendeva
verso i clericali. Un’abile mossa che mette d’accordo anche i
liberali, che legavano indissolubilmente il nome di Rignon
all’immagine del sindaco della presa di Roma. Lascia
l’incarico il 1° aprile 1896 e muore a Genova due anni dopo,
il 18 marzo 1898. Tra le onorificenze ricevute ricordiamo
quelle a: Gran cordone dell’Ordine della Corona d’Italia e
Grande Ufficiale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro.

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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

(1)
E’ sostituito al tempo delle agitazioni dei Fasci siciliani per i motivi ricordati da
Giolitti: “La Pubblica Sicurezza, abituata alle idee antiche e agli antichi metodi, si
mostrava preoccupata e mi chiedeva di provvedere con un decreto di scioglimento
dei fasci che mi fu proposto in effetti dall’allora direttore comm. Ramognini, al
quale io lo rifiutai, mandandolo poi prefetto”.

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Giannetto Cavasola

Avvocato, Prefetto, Senatore,


Ministro dell’Agricoltura, Industria
e Commercio. Nominato Prefetto di
Torino non raggiunge la sede dopo
la nomina. Nasce l’11 dicembre
1840 a Pecetto Torinese da Pier
Leone ed Eletta Castellario. Nel
1872 sposa Pia Muratori. Laureatosi
nel 1861 in giurisprudenza
all’Università di Torino supera poco dopo il concorso nel
Ministero della Marina e dal gennaio 1867 passa al
Ministero dell’Interno, dove rimane sino alla nomina,
firmata da Camillo Cavour, a caposezione. Segretario della
Commissione d'inchiesta per i fatti del macinato nelle
province dell’Emilia (1869), il 26 ottobre 1875 è nominato
consigliere di prefettura e destinato a Palermo; nel 1876
passa a Catanzaro e nel 1877 a Porto Maurizio.
Successivamente è Sottoprefetto di Nuoro e di Viterbo e
Consigliere Delegato a Massa nel febbraio 1881, dove riceve
la medaglia d'argento per l'abilità con cui dirige le operazioni
del censimento generale della popolazione e dal febbraio
1882 a Napoli, dove merita la medaglia d’argento al valor
civile in occasione del terremoto di Casamicciola del 1883 e
del colera dell’anno successivo. E’ Prefetto di Potenza,
Foggia, Catania, Alessandria, Roma, Palermo, successiva-
mente, non avendo voluto seguire le direttive troppo
personali di Crispi, dal febbraio 1895 è trasferito a Modena,
dal 1° aprile 1896 al 15 maggio 1896 a Torino, poi fino al
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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

gennaio 1900 a Napoli, negli anni travagliati


dell'amministrazione Campolattaro-Summonte, che si
conclude infelicemente con lo scandalo contro la camorra
amministrativa suscitato dal giornale socialista “La
Propaganda” e con l'inchiesta Saredo. Coinvolto nelle
critiche lanciate dal Saredo si difende energicamente in
Senato, illustrando i criteri che hanno ispirato la sua azione
circa i servizi pubblici e respingendo decisamente l'accusa
che Napoli sia stata per il governo “la terra incognita”.
Collocato a disposizione dal 1º febbraio, Pelloux, che
apprezza l'energia con cui aveva affrontato a Napoli la crisi
del 1898, lo chiama a Roma a reggere la Direzione Generale
dell'Amministrazione civile, carica che conserva con
Saracco. Andato agli Interni Giolitti con il governo
Zanardelli, preferisce andare a riposo dal 1º marzo 1901,
aprendo a Roma uno studio legale specializzato in questioni
amministrative. Senatore durante la Presidenza Saracco,
gode anche della benevolenza del Re. Esperto di
amministrazione, studioso dei problemi economico-sociali
(anche autore di un opuscolo, “L'emigrazione e l'ingerenza
dello Stato”, Modena 1878), nella sua attività, di Prefetto
prima e di Senatore poi, lavora intensamente per lo sviluppo
industriale delle regioni meridionali. Da ricordare, per
l’attualità, il suo discorso del 3 luglio 1902 in Senato:
“Bisogna promuovere, favorire e tutelare ogni legittimo
interesse. Quando la massa degli interessi legittimi sarà
divenuta prevalente e cosciente, essa non tollererà più la
propria rappresentanza in mano a coalizioni d’interessi
illegittimi e allora la resurrezione morale si imporrà per
necessità di cose… il mio timore è che ancora oggi si

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

persista nell’errore fondamentale di credere che il


miglioramento economico possa venire da sole opere di
Stato”. Si impegna sui lavori pubblici, sulle bonifiche,
sull'assistenza: nel marzo 1904 è relatore sulla legge per la
Basilicata; il 20 maggio 1904 pronuncia un ampio ed
approfondito discorso sullo sviluppo dell'agricoltura nel
Mezzogiorno; è relatore nel giugno 1906 su modifiche alla
legge per la Basilicata e nel luglio seguente su
provvedimenti per le province meridionali e le isole. Legato
alle correnti antigiolittiane (è collaboratore del Corriere della
Sera), Salandra lo nomina ministro di Agricoltura, Industria
e Commercio. Conserva l'incarico nel secondo ministero
Salandra, dal novembre 1914 al giugno 1916. Presenta
progetti di legge con provvedimenti straordinari a favore
della Sardegna, con modificazioni alla legge forestale e
provvedimenti per la pastorizia e l'agricoltura montana, e di
riforma del contratto di lavoro agricolo. Stimato da Salandra,
scoppiata la Prima guerra mondiale, nell'estate 1914 fa
pressioni su di lui, in favore della neutralità e del rinvio di un
eventuale intervento alla successiva primavera, dopo i
necessari preparativi. Nel marzo 1916 si trova al centro degli
attacchi sferrati alla Camera contro il governo, accusato di
aver seguito una politica economica fiacca, priva di criteri
direttivi. Replicando a nome del governo illustra in un
poderoso discorso l'opera svolta, soprattutto in riferimento
alla questione granaria, mettendo in evidenza le difficoltà
incontrate, la bontà dei provvedimenti presi, la necessità di
alcune misure impopolari adottate, la tempestività delle
iniziative, intralciate da eventi di carattere internazionale,
che sfuggivano al controllo delle autorità italiane; difende
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anche la politica del governo nei riguardi dell'agricoltura e


dell’industria. Non confermato da Boselli (giugno 1916),
avanzato negli anni, dirada la sua partecipazione alla vita
pubblica: dopo Caporetto è tra i firmatari dell'o.d.g. illustrato
da Tittoni, con cui nel novembre 1917 il Senato riafferma la
fiducia nella vittoria. Muore a Roma il 27 marzo 1922, dopo
lunga malattia. Tra le sue onorificenze ricordiamo quelle di
Grande ufficiale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e
Gran cordone dell’Ordine della Corona d’Italia.

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Alessandro Guiccioli

Marchese di Ca' del Bosco dei Conti


di Monteleone, Patrizio di Ravenna,
Ferrara, Cesena e San Marino,
Avvocato, ex Deputato, Senatore,
Prefetto, Diplomatico, Sindaco di
Roma. Nasce il 5 marzo del 1843 a
Venezia, dove il padre il marchese
Ignazio, di Ravenna, ministro delle
Finanze durante la Repubblica
romana, si era rifugiato per sottrarsi alle persecuzioni
politiche. La madre è la nobildonna romana Faustina
Capranica. Sposa la Contessa Olga Benckendorff. Laureato
in giurisprudenza a Bologna nel 1864, studia contempora-
neamente anche lingue straniere e quando, il 3 febbraio1866,
inizia il suo curriculum in diplomazia parla e scrive
correttamente il francese, l'inglese e il tedesco. E’ addetto di
legazione a Londra e poi segretario di ambasciata a Vienna.
Rientrato presso il ministero degli Esteri (è, tra l'altro,
segretario particolare dell’allora ministro Luigi Federico
Menabrea), è addetto nel 1870 al quartier generale del
generale Raffaele Cadorna. E’tra i primi ad entrare a Roma
la mattina del 20 settembre e la partecipazione alla storica
breccia di Porta Pia sarà per lui sempre motivo di orgoglio.
Richiamato il 10 luglio 1871 al ministero degli Esteri fa
parte dell'ambasciata straordinaria in Svezia per
l'incoronazione di Re Oscar III. Nel 1875 è Deputato per il
Collegio S. Giovanni in Persiceto (Bologna) per tre
legislature, fino al 1882(dal 1880 è anche Segretario della
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1861 - 1943

Camera), fra gli ultimi epigoni della Destra storica.


Appartenente al partito moderato e vicino alla famiglia reale
è lui il relatore del progetto di legge per l’erezione del
monumento a Vittorio Emanuele. Nel 1876 in una lettera
indirizzata ai suoi elettori analizza le ragioni che hanno
portato la Destra alla sconfitta e la Sinistra al potere. Non
risparmia critiche al Depretis, del quale avversa la politica
trasformistica e ne sottolinea ripetutamente la “insincerità”
e le “ambiguità”, oltre che la “debolezza” nei confronti di
anarchici e socialisti, specie in Romagna. Non è tenero
nemmeno con esponenti della Destra quali Bonghi e
Minghetti. A suo giudizio gli uomini di governo sono rimasti
troppo distanti dai problemi reali della società, non
riconoscendo il dissesto in cui si trovavano alcune province
e non discutendo in Parlamento temi importanti come le
tasse (soprattutto quella sul macinato) e il sistema ferroviario
(che ritiene dovrebbe essere posto interamente a carico dello
Stato). Matura nel tempo sentimenti nettamente
antidemocratici che in alcune occasioni lo portano a
rimpiangere i regimi assolutistici del passato. Giudica
“stoltezza” il permettere l'esistenza di associazioni “che, per
il nome stesso che portano, sono la negazione delle basi
dell'ordinamento politico attuale dello Stato” e i pubblici
comizi “una forma di manifestazione barbara, pericolosa,
antiquata, ingannevole”. Manifesta invece “stima illimitata
e affetto immenso” per Quintino Sella e di lui scrive
un'apprezzata biografia. Dal 1887 al 1889 è Sindaco di
Roma negli anni segnati dalla crisi operaia, sfociata nei
tumulti dell’8-9 febbraio 1889 e dall’inaugurazione del
monumento a Giordano Bruno (9 giugno di quello stesso

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

anno). Nell’una e nell’altra circostanza la sua condotta non è


esente da critiche, che lo amareggiano e accentuano in lui il
desiderio di abbandonare la vita politico-amministrativa e
ritornare in diplomazia. Per volere del Re e della Regina,
oltre che di Francesco Crispi, diventato ormai il suo primario
punto di riferimento, è destinato invece alla Prefettura di
Firenze, il 12 giugno 1890. Collocato a disposizione il 16
marzo 1893 «per gravissime ragioni di indole politica» da
Giovanni Giolitti, che non si fidava di un uomo
notoriamente di Destra e per di più strettamente legato a
Crispi, il 1° settembre 1894 una volta tornato al potere Crispi
è nominato Prefetto della Capitale. Segue con interesse le
trattative di riavvicinamento tra papato e Regno d'Italia,
rimanendo poi deluso alle elezioni del 1895 per la
proclamazione del “non expedit” da parte del Pontefice. Si
impegna nel soffocare le iniziative degli anarchici e dei
socialisti e nel novembre 1894, in seguito alle leggi anti-
anarchiche promulgate dal Governo, scioglie tutte le
associazioni considerate sovversive. Caduto Crispi (10
marzo 1896), da un secco telegramma di Rudinì apprende di
essere stato collocato a disposizione. Reintegrato il 1° aprile
1898 diviene Prefetto di Torino,fino al 1° luglio 1904, un
periodo eccezionalmente lungo per quei tempi,e dal 14
giugno del 1900 è contemporaneamente anche Senatore del
Regno. A Torino s’impegna nuovamente nel reprimere i
disordini e gli scioperi organizzati dai socialisti. Non ha
problemi con Pelloux e con Saracco, immediati successori di
Rudinì. Comincia ad averne con Giolitti, al potere dal
febbraio 1901, prima come ministro dell'Interno nel
gabinetto Zanardelli, poi come Presidente del Consiglio.
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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

Nonostante il rapporto complessivamente teso e difficile,


rimane al suo posto per ben quattro anni, forse soprattutto
per le aderenze e per la protezione di cui godeva a corte.
Durante la grave crisi operaia dei primissimi anni del
Novecento, nel corso della quale si distingue per una
efficace opera di mediazione tra lavoratori e datori di lavoro,
e in particolare in occasione dello sciopero dei gasisti
(febbraio-marzo 1902), ha con Giolitti momenti di acuta
tensione, che però non impediscono a quest'ultimo di lodarlo
in Parlamento e di definirlo “una delle menti più equilibrate
e più serene, un ottimo funzionario […] assolutamente
imparziale nel giudicare gli avvenimenti”(1) . Il 9 giugno
1904 il nuovo ministro degli Affari esteri Tommaso Tittoni
lo nomina inviato straordinario e ministro plenipotenziario di
seconda classe. Destinato un mese dopo a Belgrado, il 28
giugno 1908 si trasferisce invece a Tokyo con funzioni di
ambasciatore e il 18 giugno del 1911 è infine promosso
inviato straordinario e ministro plenipotenziario di prima
classe. Il 4 dicembre 1915 è messo a disposizione del
Ministero e il 7 gennaio 1917 è infine costretto a lasciare il
suo incarico per limiti d'età. Lascia il “Diario di un
conservatore” (pubblicato postumo nel 1973), nel quale
sono contenuti acuti e polemici giudizi sulla politica e
l'amministrazione del suo tempo(2) . Muore a Roma il 3
ottobre 1922.
E’ Gran cordone dell’Ordine della Corona d’Italia, Grande
Ufficiale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e
Commendatore dell’Ordine della Legion d’onore.
(1)
Atti parlamentari, Camera, Discussioni, 14 marzo 1902

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

(2)
Divertente una sua notazione del 19 giugno 1902, mentre tornava da Stupinigi in
automobile, relativa ai mezzi moderni di locomozione(che così grande parte
avrebbero poi avuto nel processo di inclusione degli italiani incrociando produzione,
occupazione, lavoro e consumi), ma per i quali com'è evidente il Prefetto non era
entusiasta : “ E' la prima volta che inforco questo brutto animale. Corriamo con una
velocità che in alcuni tratti raggiunge i 45 chilometri. L'impressione nelle vie
respiratorie e negli occhi mi è punto piacevole e non mi riconcilia con questo
cavallo del secolo XX, che già odiavo quando lo conoscevo soltanto di vista”.

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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

Giovanni Gasperini

Commendatore. Nasce a Venezia il 5 gennaio 1852.


Laureato in legge, il 21 aprile 1879 sposa la Contessa Gisella
Zacco, dalla quale ha tre figli. Il 21 agosto 1878 entra alunno
nell’Amministrazione dell’Interno, svolgendo i primi
incarichi nelle sedi di Rovigo, Arezzo e Castellammare di
Stabia. Successivamente opera al ministero. Nominato Regio
commissario per l’amministrazione circondariale di Forlì il 7
giugno 1894, dal 16 febbraio 1900 è incaricato di reggere la
Prefettura di Massae dal 1° agosto 1901 ne diventa il titolare.
Dal 5 settembre di quell’anno è Prefetto di Pisa, dal 1 luglio
1904 al 1° ottobre 1907 è Prefetto di Torino(1) e successiva-
mente di Napoli. Dal 15 agosto 1914 è Prefetto di Livorno,
dove il 31 agosto 1921 conclude la carriera.
(1)
Prima di partire da Torino alla volta dell’ex capitale borbonica indirizza alle
Autorità la seguente lettera di commiato: “Nominato da S.M. il Re prefetto della
provincia di Napoli, compio il dovere, prima di separarmi dalle SS.LL. Ill.me, di
ringraziare vivamente della costante, intelligente, spontanea cooperazione
prestatami. Dall’appoggio di tutti coloro che sono a capo delle pubbliche
Amministrazioni la modesta opera mia trasse la maggiore sua forma, come dalla
benevolenza e squisita cortesia dei cittadini, il mio buon volere ebbe continuo
incoraggiamento e l’animo mio indimenticabili soddisfazioni. Porto meco, pertanto
un senso di infinita gratitudine per questa città illustre che, fidente nei suoi destini,
cammina serena ed altera incontro ad ogni progresso, come fiera ed impavida
affrontò un tempo eserciti giganti e temuti imperi; porto meco un senso di infinita
gratitudine per la nobile provincia che negli ubertosi campi o nei centri industriali
accoglie popolazioni forti, generose e leali. A tutti vada il mio saluto augurale per
un avvenire sempre più lieto. Alle SS.LL. Ilme il più cordiale e deferente addio”.

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Jacopo Vittorelli

Nobile di Bassano, Conte, Prefetto,


Senatore e Consigliere di Stato.
Seguace di Giolitti, si distingue per
il suo neutralismo politico. Nasce il
18 ottobre 1851 a Bassano del
Grappa, in provincia di Vicenza,
figlio di Vittore e Alessandrina
Massaria. Coniugato con Antonietta
Casalini. Laureato in giurisprudenza
all’Università di Padova, il 20 settembre 1874 entra nella
carriera dell’Amministrazione dell’Interno e dal 3 marzo
1901è Prefetto. Dirige successivamente le Prefetture di
Rovigo, Mantova, Alessandria, Venezia, e dal 1° ottobre
1907 quella di Torino, nel frattempo, nel 1911 interviene la
nomina a Senatore. Successivamente dirige la sede di
Firenze. Nel periodo ormai bellico a Torino si schiera con i
neutralisti ed il 23 aprile 1915, analizzato “lo spirito
pubblico della popolazione”, invia il suo rapporto al
Ministero dell’Interno(1). Due giorni dopo, cioè qualche
giorno prima dell’entrata in guerra dell’Italia,viene trasferito
alla Prefettura di Firenze. Nel 1917 lascia l’Amministrazione
dell’Interno per entrare nell’organico del Consiglio di Stato.
Muore a Roma il 10 marzo 1918.
Tra i suoi tanti riconoscimenti si ricordano: il titolo di Conte,
concesso il 22 gennaio 1914 dal Re d’Italia Vittorio
Emanuele III, e quelli di Gran cordone dell’Ordine della
Corona d’Italia, Grande Ufficiale dell’Ordine dei SS.
Maurizio e Lazzaro, Gran Croce dell’Ordine dell’Aquila
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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

Rossa (Germania), Grande Ufficiale dell’Ordine di Danilo I


(Montenegro), Grande ufficiale dell’Ordine della Legion
d’Onore (Francia).
(1)
Nel documento prevede l’uniformarsi alle decisioni del governo in caso di
intervento da parte del “ceto dei contadini […] pur non essendo in generale
favorevole alla guerra”, ma osserva anche come “eguale previsione non può farsi
per la classe operaia, specialmente in questa Città, dove è così densa e ligia al
partito socialista ufficiale; e dove in più occasioni ha già dimostrato la sua
avversione alla guerra e la sua intenzione di opporvisi anche con violente
manifestazioni.” Sempre nello stesso rapporto prevede che tra i torinesi “propende
la maggioranza per la neutralità, finché sia possibile”, e come sia “scarso il
contingente degli interventisti”. Ma la sua analisi che si sposta dai pur consistenti
settori operai ai ceti medi e alle “classi dirigenti” - il termine è sempre del Prefetto -
solo in parte collima con l’impressione che si ricava dagli atteggiamenti torinesi
verso la guerra, prestandosi a significative correzioni nel confronto con la natura e
l’evoluzione del neutralismo tra la fine del 1914 e la primavera del 1915. Il ruolo
istituzionale e una carriera legata alla lunga attività di governo del neutralista
Giolitti, possono averlo indotto a una sopravalutazione del neutralismo diffuso tra i
torinesi. Tuttavia ne offre egli stesso alcuni indizi, mentre osserva come “in
generale, e specialmente nelle classi dirigenti, riconoscendosi il terribile mistero
[sic] dell’ora presente, si ripone la maggiore fiducia nel Governo, certi tutti che le
sue decisioni, qualunque esse siano, saranno ispirate ai supremi interessi del
Paese”, a dire che il tradizionale atteggiarsi filogovernativo delle componenti
borghesi e moderate non si è modificato e quindi si può dare per certa la loro
accettazione di fatto e senza resistenza di un intervento in guerra, alla cui eventualità
si sono adattate con il passare del tempo e il montare della campagna interventista. Il
rapporto del prefetto Vittorelli è pubblicato in B. Vigezzi, Da Giolitti a Salandra,
Vallecchi, Firenze 1969, p. 343.

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Edoardo Verdinois

E’ Prefetto di Torino negli anni dell’entrata in guerra


dell’Italia e della sanguinosa rivolta dell’agosto 1917. Nasce
a Napoli il 2 ottobre 1862 da una delle migliori famiglie
napoletane, che ha dato alle lettere italiane Federico
Verdinois (cugino), lo scrittore e giornalista che ha fatto
conoscere in Italia “Quo Vadis” di Sienkiewicz, il generale
Verdinois e il commendatore Verdinois, uno dei più alti
funzionari del Ministero dei Lavori Pubblici (fratelli).
Laureatosi in giurisprudenza, il 5 giugno 1884 entra per
concorso nella carriera prefettizia. Nel 1896 lavora accanto
all’allora ministro dell’Interno, di Rudinì, e quando questi
decade torna al suo posto di primo segretario al Ministero;
nel 1898 passa a segretario di sezione al Consiglio di Stato,
fino al 1901 quando torna agli Interni. Comincia a muovere i
passi decisivi per la sua carriera, prima come consigliere di
Prefettura a Roma, poi nel 1904 come Ispettore Generale di
nuovo al Ministero dell’Interno. E’ Regio commissario per i
comuni di Ancona, Firenze, Messina. Dal 1° agosto 1905 è
Prefetto di Trapani e dopo due anni di permanenza in Sicilia
è inviato Prefetto a Verona, quindi Salandra, che lo
conosceva nei tempi in cui era uno degli elementi più in
vista dell’entourage rudiniano, lo promuove Prefetto di
Torino dal 25 aprile 1915. Nell’agosto 1917 a Torino per
cinque giorni scoppia una sommossa armata, che comincia
come protesta per la mancanza di pane e si trasforma in
rivolta politica(1), riportata sotto il nome di “fatti di Torino”,
espressione usata per la prima volta in occasione dello
sciopero generale dei gasisti torinesi nel 1902. Sebbene sin
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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

dal maggio 1917, di fronte al moltiplicarsi di assemblee


operaie contrassegnate da professionisti di fede
rivoluzionaria, si fosse attivato a richiamare l’attenzione del
governo sull’opportunità di proclamare la Provincia di
Torino “zona di guerra”, il ministro dell’Interno Orlando
non aveva dato il suo assenso. Non per ciò si era allentata la
guardia, perché il governo aveva provveduto a rafforzare i
presidi militari intorno agli opifici e questa precauzione era
apparsa sufficiente non soltanto per rinviare l’adozione di
più efficaci misure per il rifornimento della città, ma per
imprimere anche un ulteriore giro di vite ai regolamenti
interni di fabbrica e per accrescere così il carico delle
lavorazioni. Finché il 22 agosto, improvvisamente, scoppia
la scintilla che provoca il moto insurrezionale. Subisce la
rimozione dall’incarico e dal 1° settembre 1917 deve
lasciare la Prefettura a Paolino Taddei. Dal marzo 1918
dirige la Prefettura di Padova, fino al settembre 1920, quindi
è Regio Commissario a Napoli e poi ancora con le funzioni
di Prefetto dirige le province di Livorno e Verona, fino al
gennaio 1923, quando viene collocato a riposo per anzianità
di servizio.
Tra le sue onorificenze ricordiamo quelle a: Grand’Ufficiale
dell’Ordine della Corona d’Italia e dell’Ordine Mauriziano,
Ufficiale della Legion d’Onore, Gran Croce dell’Ordine
della Corona di Romania.
(1)
Se all'inizio dei moti qualcuno mantenne lo spirito dell'osservatore distaccato,
ebbe forse l'impressione che prendesse vita sotto i suoi occhi un capitolo dei
Promessi sposi: la rivolta dì Milano provocata dalla carestia, quando l'innocente
Renzo è coinvolto in tanti guai. Ormai da settimane a Torino scarseggiava il pane;
ma la mattina del 22 agosto venne a mancare praticamente in tutta la città, perché i
grossi rifornimenti di farina giunti nella notte su disperate sollecitazioni del prefetto

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Verdinois non pervennero in tempo al fornai. Il digiuno di quel giorno fu


l'occasione, non la causa, dì una protesta maturata attraverso un lungo malcontento.
Dove la sussistenza militare fece arrivare del pane, la folla se ne impadronì ma non
ritornò in fabbrica. Fu invece saccheggiata la più grossa pasticceria di via Milano e
la sommossa arrivò in rione Vanchiglia, via Garibaldi, via Cernaia, Barriera di Nizza
e di Milano, Borgo San Paolo. La protesta per il pane diventò rivolta e rivolta di
carattere politico contro la guerra. Fu una sommossa non organizzata, caotica ma
violenta. Rotaie, alberi abbattuti, tram rovesciati, due chiese incendiate. L'autorità
militare assunse tutti i poteri. Gli scontri delle Forze dell'Ordine e di truppe militari
di stanza a Torino, con le masse operaie furono numerosi. Gli insorti avevano
innalzato a difesa molte barricate, scavato molte trincee e posti anche reticolati di fil
di ferro, percorsi da corrente elettrica. Per cinque giorni si combattè nelle strade e
nelle piazze con il tragico bilancio di 50 morti e più di 200 feriti, ufficialmente
accertati. Né allora né dopo è stato mai possibile, per varie ragioni, fare un
accertamento preciso e definitivo.

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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

Paolino Taddei

Senatore, Prefetto, Ministro


dell’Interno, l’ultimo prima della
marcia su Roma, Consigliere di
Stato. Protagonista di eventi decisivi
negli anni della crisi e della caduta
dello stato liberale (1914-1922) e
abile mediatore nelle lotte sociali che
vedono contrapposti imprenditori e
sindacati, longa manus di Giolitti.
Nasce a Poggio a Caiano, frazione di Carmignano (Firenze),
oggi Poggio a Caiano (Prato)il 22 gennaio 1860, figlio di
Ferdinando e Paolina Bindi. Celibe. A ventitrè anni si laurea
in giurisprudenza all'Università di Pisa, entra
nell'amministrazione provinciale dell'Interno e nel 1907
raggiunge il grado di ispettore generale. Commissario del
Comune di Torino, nel 1911 è Prefetto e inizia a lavorare
alla sede di Ferrara. Qui dimostra le sue capacità risolvendo
una spinosa questione sorta tra agrari e braccianti. Il lodo
Taddei, con cui risolve la vertenza rappresenterà un
fondamentale documento in materia e un precedente
importante per diversi anni. Prefetto di Perugia (1913-1914)
e di Ancona (1914-1917), dopo il doloroso agosto 1917 è
Prefetto di Torino dal 1° settembre 1917, dove, anche dopo
Caporetto, tra la classe operaia perdura lo “stato di
permanente irrequietezza e il consueto atteggiamento di
avversione alla guerra”(1).
Due mesi dopo a dargli manforte viene inviato a Torino il
nuovo Questore: Cesare Mori. Rimane a Torino fino al 1°
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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

agosto 1922 dove per oltre cinque anni riesce a


padroneggiare una situazione difficilissima, contribuendo
con la sua tenacia e col suo tatto alla soluzione di numerosi
dissidi fra maestranze e industriali. Nel settembre 1920
organizza tra Giovanni Giolitti e il presidente della FIAT
Giovanni Agnelli un incontro che si rivela determinante per
far cessare l'occupazione delle fabbriche torinesi e dal quale
scaturisce un accordo che garantisce migliori condizioni di
lavoro per gli operai, nonché sgravi fiscali e protezioni
doganali agli imprenditori. Il 3 ottobre 1920 è nominato
Senatore. Di idee liberali, fedele e rigoroso garante delle
istituzioni, nel difficile e turbolento dopoguerra s'impegna
costantemente a difesa delle regole dello Stato di diritto. Se
quindi, da un lato, combatte il movimento rivoluzionario in
tutte le sue espressioni, dall'altro, si adopera con vigore
contro lo squadrismo fascista. Forse anche per questo
nell'agosto 1922 viene scelto come ministro dell'Interno del
secondo governo Facta (agosto-ottobre 1922). In accordo
con il ministro guardasigilli Giulio Alessio tenta di bloccare
l'illegalità fascista, proponendo il sistema dei controlli
incrociati tra i due Ministeri ma senza conseguire i risultati
auspicati. S’inimica così Benito Mussolini, che non manca
di manifestargli pubblicamente la sua avversione.
Nell'ottobre 1922 presenta le sue dimissioni in seguito al
mancato accoglimento da parte del Governo della sua
richiesta di scioglimento della milizia fascista. Viene però
convinto a restare al suo posto dallo stesso Luigi Facta, che
teme una crisi di governo proprio nel momento in cui
sembrano concludersi le trattative Giolitti-Mussolini per un
eventuale ritorno al potere del primo. Gli avvenimenti
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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

prendono però un corso diverso. Nel Consiglio dei ministri


convocato d'urgenza alle 6 del mattino del 28 ottobre, dopo
la marcia su Roma, sostiene la proclamazione dello stato
d'assedio e provvede a stilare il documento da sottoporre alla
firma del sovrano. Contemporaneamente invia a tutti i
Prefetti una circolare in cui preannuncia l'imminente firma
del documento. In accordo poi con il ministro delle Poste
Luigi Fulci dispone l'introduzione della censura telefonica e
telegrafica, ordina di tagliare i binari per interrompere le
comunicazioni con Roma, dà precise disposizioni perché il
decreto di proclamazione dello stato d'assedio (inviato a tutti
i Prefetti e pubblicato sui quotidiani) venga affisso sui muri
della capitale, deserta e presidiata dalle mitragliatrici. Un suo
ordine scritto, firmato anche da Facta, incarica il generale
Emanuele Pugliese di provvedere alla difesa di Roma con
tutti i mezzi disponibili, impedendo a ogni costo l'ingresso
delle squadre fasciste nella città. Ma qualche ora dopo,
profondamente disorientato nell'apprendere da Facta che il
Re non ha firmato il decreto di proclamazione dello stato di
assedio, deve suo malgrado revocare gli ordini impartiti.
Estromesso dal successivo governo Mussolini, quasi come
una sorta di buonuscita, il 29 ottobre 1922 viene nominato
consigliere di Stato. Gli eventi drammatici di cui è stato
protagonista e soprattutto il sentimento d’impotenza per la
fine dello Stato liberale in cui ha sempre creduto sono forse
la causa dell'improvviso peggioramento delle sue condizioni
di salute. Colpito da un grave attacco cardiaco, vive gli
ultimi anni costantemente sorvegliato e non di rado
minacciato. Muore a Firenze il 15 ottobre 1925.

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Tra le sue onorificenze ricordiamo quelle a: Grande ufficiale


dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e Grande Ufficiale
dell’Ordine della Corona d’Italia.
(1)
Il telegramma del prefetto di Torino al ministero dell’Interno del 27 dicembre
1917, in Spriano, Storia di Torino operaia e socialista cit., p. 464.

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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

Carlo Olivieri

Nasce a Vercelli il 27 dicembre 1863.


E’ Prefetto di Torino nel periodo
dell’avvento del fascismo e del
teppismo squadrista. Si laurea in
giurisprudenza a Torino, il 3 agosto
1887 ed entra per concorso
nell’Amministrazione dell'Interno,fino
a raggiungere il grado di Presidente
della Divisione Amministrazione dei
Comuni e delle Province e Archivi di Stato. Prefetto dal 1°
agosto 1912, dirige negli anni le Prefetture di Ascoli Piceno,
Sondrio, Como, Novara, Perugia, Firenze e Bari. In
quest’ultima città nei giorni dello “sciopero legalitario” del
luglio 1922, si rende meritevole agli occhi del fascismo per
aver consegnato la città alle bande del ras pugliese Giuseppe
Caradonna, impiegando l’esercito per chiudere la Camera
del Lavoro. Dal 26 agosto 1922 è Prefetto di Torino, nel
periodo noto come quello della “Strage di Torino”, che
segna simbolicamente la conquista del potere del movimento
fascista in città, che in quattro anni di lotte di strada era
risultata impossibile a differenza di ogni altra città. Subito
dopo la marcia su Roma e l’incarico di governo dato dal Re
a Mussolini, tra il 18 e il 20 dicembre le squadre di De
Vecchi e Brandimarte, sicure dell’impunità, instaurano il
terrore in tutta la provincia e seminano la città di una ventina
di morti, barbaramente uccisi, in gran parte esponenti o
militanti comunisti, procedono alla distruzione di numerosi
locali “sovversivi”, al ferimento e alla bastonatura di
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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

parecchi operai e persino a una fucilazione simulata dei


redattori e responsabili amministrativi dell'Ordine nuovo. In
seguito Mussolini, interessato ad accreditare il suo governo
quale massimo garante del ritorno all’ordine e alla legalità(1),
si sbarazzerà di De Vecchi inviandolo governatore in
Somalia mentre Olivieri viene dimesso per raggiunti limiti
d’età il 1° gennaio 1923. Muore il 24 maggio 1925.
Tra le sue onorificenze ricordiamo quelle a Grande Ufficiale
dell’Ordine della Corona d’Italia e Grande Ufficiale
dell’Ordine Mauriziano.
(1)
Il manifestarsi ormai chiaro della crisi economica che investe l'Italia favorisce a
Torino il radicalizzarsi dello scontro sociale, lasciando spazio alle iniziative fasciste
di divisione del proletariato e di ricompattamento del fronte conservatore. La Fiat
licenzia millecinquecento operai, la Michelin ottocento senza che il sindacato riesca
ad impedirlo o a far nascere una reazione di base adeguata Il 18 dicembre 1922
aggredito a sangue da squadristi fascisti un operaio, Prato, ferisce a morte due
assalitori. In risposta, la sera stessa, le squadre invadono la Camera del lavoro, già
saccheggiata nell'aprile 1921 e incendiata il 29 ottobre 1922. Pestati selvaggiamente
gli unici tre presenti, la notte del 18 dicembre 1922 le squadracce danno alle fiamme
la sede del movimento operaio torinese. Le rappresaglie contro “sovversivi”
insanguinano la città e si succedono nei giorni che seguono a livello nazionale la
conquista del potere da parte di Mussolini e dei fascisti. Di qui gli scontri alla
Barriera di Nizza e nel quartiere operaio di Borgo San Paolo. Dal 18 al 20 dicembre
le squadre di De Vecchi e di Brandimarte si scatenano in una vera e propria caccia ai
socialisti e a tutti i nemici veri e supposti del fascismo, di fronte ad una polizia
passiva e largamente assente. Delinquenza politica e delinquenza comune si
mescolano in quei tre giorni di violenze che lasciano sul terreno diversi morti.
L’episodio segna simbolicamente la conquista del potere del movimento fascista a
Torino, sia perché l’inchiesta voluta da Mussolini non tenta neppure di punire i
responsabili e di far giustizia, sia perché non c’è una reazione adeguata da parte
dell’opposizione comunista e socialista o di altre forze politiche. Fra le rappresaglie
squadristiche posteriori all’andata al governo, quelle di Torino, anche se
apparentemente innescate da un episodio di violenza privata, ebbero un carattere
spiccatamente di massa e politico-terroristico, consentendo ai fascisti quella
affermazione di forza, “manu militari”, che in quattro anni di lotte di strada era
risultata impossibile a differenza di ogni altra città. Qualche mese dopo il duce si
libererà di De Vecchi, divenuto un personaggio scomodo e impresentabile,

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inviandolo come governatore in Somalia. Ma, nel fascismo torinese continua a


dominare la linea imposta dal capo squadrista e ancora fino al 1925-26 le azioni di
violenza continueranno.

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Enrico Palmieri

Nasce a Napoli il 26 aprile 1876. Il suo mandato torinese si


inquadra nella Torino degli anni di Gramsci e di Gobetti.
Laureatosi in giurisprudenza, il 22 gennaio 1902 entra per
concorso nell’Amministrazione Civile dell’Interno. Dopo
alcune esperienze in varie sedi d’Italia, ricopre la carica di
Ispettore Generale presso il Comando Supremo del Regio
Esercito. La nomina a Prefetto arriva il 5 ottobre 1919,
contemporaneamente all’incarico di dirigere la Prefettura di
Massa Carrara. Uguali funzioni svolge successivamente a
Chieti, a Messina e nel settembre 1921 a Parma. Nel
frattempo si muove per ottenere un posto di rilievo nei
gabinetti governativi. L'occasione giusta gli arriva nel marzo
1922, quando il Sotto-Segretario di Stato agli Interni del
Ministero Poeta, On. Casertano, lo sceglie come suo Capo di
Gabinetto. La sua brillante carriera prosegue a grandi falcate
e nell’agosto dello stesso anno è messo a capo della città
della X Legio, in sostituzione del Prefetto Mori, trasferito
dal ministero da Bologna a Bari, quindi dal 1° gennaio 1923
è nominato Prefetto di Torino, subito dopo l’adozione delle
leggi speciali fasciste. Funzionario di sicura fede governativa
deciso ad applicare le direttive che da Roma gli fa pervenire
Benito Mussolini,gioca un ruolo importante nel processo di
fascistizzazione dell’amministrazione comunale. Appena
insediato comunica immediatamente a Mussolini le sue
impressioni sulla situazione torinese, ponendo l’accento sul
rapporto reciproco tra vicende interne al fascismo locale ed
equilibri amministrativi e chiarendo inequivocabilmente il
ruolo – di mediatore istituzionale in un delicato gioco
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diplomatico e soprattutto di unico interprete della volontà


espressa dal centro – che si sarebbe riservato(1).
E quando a fine maggio informa Mussolini come un
rinnovamento parziale dell’ambiente politico-amministrativo
torinese fosse ormai “largamente condiviso” dalla “parte
sana” della cittadinanza, è proprio Mussolini a investirlo
della responsabilità della scelta dei tempi e dei modi per
adeguare l’ultima delle amministrazioni delle grandi città
italiane (in carica c’era la coalizione liberal-popolare guidata
da Riccardo Cattaneo, dai programmi e metodi di lavoro non
scalfiti dai rivolgimenti politici dell’ottobre precedente) ai
principi espressi dal governo nazionale(2) . Un articolo del
“Maglio”, con cui il direttorio della sezione locale del
partito chiede lo scioglimento dell’amministrazione con una
lettera aperta al sindaco, fa esplodere il 17 giugno lo sdegno
de “La Stampa”, che si rifiuta di riconoscere a privati
cittadini il diritto di provocare la crisi di un’amministra-
zione “che tutto fa credere sostenuta ancora dalla gran-
dissima maggioranza” e che spetta soltanto al governo,
“assumendo apertamente in faccia alla cittadinanza torinese
la relativa responsabilità”. Chiarisce la situazione ai liberali
ancora increduli e in primo luogo al sindaco e dopo pochi
giorni scioglie d’imperio l’amministrazione comunale,
nominando quale commissario straordinario il suo vice, il
barone Lorenzo La Via(3).
Il 6 febbraio 1923 riceve un telegramma di Mussolini
contenente l’ordine di arrestare Piero Gobetti, controllato
anche per la precedente collaborazione all'Ordine nuovo e
per “sospette” e non precisate attività antinazionali. Il 1°
giugno 1924 un altro telegramma di Mussolini, intercettato

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

prima della sua trascrizione in codice e dato da Nitti alla


stampa dopo la morte di Gobetti, gli ordina di rendere
nuovamente difficile la vita a quell’oppositore del
fascismo(4). Sottopone i giornali a censura feroce, in
particolare infittisce le perquisizioni e i sequestri di numeri
di “Rivoluzione liberale” (di Gobetti). Durante una
perquisizione tra le lettere sequestrate ne trova una di
Ansaldo, che accompagna le bozze di un suo beffardo
articolo su “Il re democratico”. Fa sequestrare l’intera
tiratura del giornale prima della sua pubblicazione, evitando
che il reato di offesa al Re venga consumato. Termina la sua
esperienza torinese poco dopo, il 1° luglio 1924, dopo una
violenta irruzione di fascisti e vandalismi, nell'abitazione del
Senatore Frassati, proprietario de “La Stampa”, assente da
Torino. La notizia non passa sotto silenzio. Subisce la
rimozione dall’incarico e il trasferimento a Catania.
Dall’ottobre 1925è destinato a Firenze, dove termina la
carriera. Tra le sue onorificenze ricordiamo quelle a:
Grand’Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia e
Commendatore dell’Ordine Mauriziano.
(1)
“Situazione torinese alquanto delicata e tesa potrà migliorare e certamente
migliorerà se trattata senza prevenzioni e con freddo accorgimento. Occorre poi
operare fortemente per vincere resistenze non indifferenti dell’ambiente
apertamente o larvatamente ostile e rendere così possibile partecipazione nuove
energie vita politica amministrativa e sociale questa città ancora infeudata
antiche… e eccessivamente abituata concetti tradizionalistici.” (ACS, Ministero
dell’Interno, Gabinetto Finzi, 1922-1923, b. 9, fasc. 89; telegramma del prefetto di
Torino Palmieri, del 5 gennaio 1923).
(2)
“Non ho particolari tenerezze per amministrazione comunale Torino stop V. S.
deve decidere come e quando debba essere demolita”. ACS, Ministero dell’Interno,
Gabinetto Finzi, 1922-1923, b. 9, fasc. 89; telegramma di Mussolini al prefetto di
Torino del 30 maggio 1923.

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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

(3)
“Escluderei senz’altro il nome del Sindaco Cattaneo […] per l’indubbio
significato che avrebbe di continuazione dell’indirizzo condannato. In vista anche
dell’eventualità di elezioni politiche, conviene che al posto di Commissario vi sia
persona non solo intelligente e capace, ma disciplinata ed ubbidiente alle direttive
del Governo. Non è il caso di nominare un uomo di partito, meno adatto a stringere
accordi ed intese con uomini e partiti affini, con i quali necessariamente bisognerà
intendersi per la formazione del nuovo Consiglio. Tutto considerato, ritengo che la
cosa migliore sia di affidare l’incarico ad un funzionario. E poiché qui, in
prefettura, non ho alcuno a cui affidare un mandato di tanta fiducia, mi permetto
pregare l’E. V. di voler impartire ordini perché il Vice-Prefetto comm. dott. Lorenzo
La Via, attualmente a Cosenza – funzionario di molto valore e di piena mia fiducia-
sia messo a mia disposizione e subito fatto partire a questa volta”. (ACS, Ministero
dell’Interno, Gabinetto Finzi, 1922-1923, b. 9, fasc. 89; lettera autografa del prefetto
Palmieri a Mussolini del 23 giugno 1923).
(4) “
Mi si riferisce che noto Gobetti sia stato recentemente a Parigi e che oggi sia in
Sicilia stop. Prego informarmi e vigilare per rendere nuovamente difficile vita a
questo insulso oppositore governo e fascismo” (C. Pianciola, “Piero Gobetti.
Biografia per immagini”).

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

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Secondo Dezza

Nasce a Firenze il 3 marzo 1869. Dopo la laurea in


giurisprudenza, il 25 febbraio 1893 entra per concorso nella
carriera prefettizia. Ispettore Generale a Pavia e al Ministero,
dal dicembre 1916 procede nella carriera e diventa Prefetto
di molte province del nord e sud d’Italia:Reggio Calabria,
Potenza, Como, Padova, Siracusa e dal 1° luglio 1924 in
piena crisi Matteotti diviene Prefetto di Torino. Qui tiene
d’occhio i Gruppi della Rivoluzione Liberale formatisi dopo
l’appello lanciato da Gobetti dalle colonne della sua rivista,
che richiamano l’astiosa attenzione di Mussolini e - dietro
esplicita indicazione del capo del governo e del fascismo - la
persecuzione delle autorità locali di polizia. I rapporti della
polizia, rivelano, però, che i Gruppi non saranno mai
veramente considerati come un pericolo per il “Governo
nazionale”. Con un’informativa egli dà esatta notizia della
loro natura e dei loro proponimenti a cominciare dalla
“irreducibile repugnanza al fascismo e al mussolinismo”,
sottolinea che “il movimento si restringe a manifestazioni di
propaganda culturale”(1) (2). Il 25 maggio 1925 deve lasciare
Torino perché trasferito a Catania. Successivamente è
Prefetto di Bari, dove termina la carriera.
Tra le sue onorificenze ricordiamo quelle a: Grand’Ufficiale
dell’Ordine della Corona d’Italia e Commendatore
dell’Ordine Mauriziano.
(1)
Riservata del prefetto Dezza alla Direzione di Pubblica Sicurezza (1924) in ACS,
Ministero dell’Interno, Direzione Generale della Pubblica Sicurezza, 1924, b. 71, f.
Gruppi di R. L.
(2)
Cionondimeno, proprio in questa azione, costituita null’altro che da parole, risiede
forse la principale fucina della cultura dell’antifascismo italiano.
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Agostino D'Adamo

Nasce a Serracapriola (Foggia) il 23 agosto 1876 da Alberto


e da Mariannina Tondi. Funzionario che nel corso del
ventennio fascista dà prova di autonomia. Laureato in
giurisprudenza all’Università di Roma nel novembre 1898,
nell’aprile 1899 entra per concorso nella carriera prefettizia.
Inizia a lavorare alla sottoprefettura di San Severo, poi a
quella dell'Aquila, quindi nel settembre 1901 è chiamato al
Viminale da dove inizia la scalata alla carriera. Nel dicembre
1912, durante il quarto ministero Giolitti, è Capo di
Gabinetto di Alfredo Falcioni, Sottosegretario per l'Interno.
Durante il successivo Governo Salandra nel marzo 1914 è
Commissario a Livorno ed immediatamente dopo è
promosso capodivisione e di nuovo nominato, il 27 agosto,
Regio Commissario per Firenze. Appena deciso l'intervento
italiano nella Prima guerra mondiale, Salandra lo invia a
Udine con il mandato di costituire e dirigere gli uffici del
Segretariato Generale per gli Affari Civili presso il
Comando Supremo. Nell’agosto 1919è Prefetto di Ancona e
nel successivo dicembre Nitti lo destina a Bologna, dove,
però, appare impreparato a padroneggiare una situazione
politica segnata da profonde tensioni sociali e sindacali.
Quando il 5 aprile 1920, a Decima di Persiceto, la Forza
Pubblica spara sui braccianti in sciopero, uccidendo otto
dimostranti e ferendone quarantacinque, lo stesso Presidente
Nitti non può che procedere al suo trasferimento. Pur non
avendo una diretta responsabilità decisionale nell'eccidio di
Decima, il grave episodio, mentre rappresenta il primo
momento di crisi nella sua carriera, segnala anche, su un
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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

piano più generale, l'usura delle capacità e delle tecniche di


governo di un intero ceto dirigente nei confronti di una realtà
politica non più controllabile con le mediazioni riformistiche
e le moderate aperture sociali del primo decennio del secolo,
né più disponibile alla forzata solidarietà patriottica dei
provvedimenti eccezionali giustificati dal regime di guerra.
Nel periodo che va dall’aprile 1920 al dicembre 1926 in cui
è Prefetto a Venezia, Napoli e Torino (in quest’ultima città
dal 25 maggio 1925 al 16 dicembre 1926, durante il
ministero Federzoni) avviene la sua maturazione politica: se,
da una parte,mette in pratica con sostanziale coerenza la
linea politica che tende a riassorbire il movimento dei fasci
all'interno delle istituzioni (il 26 ottobre 1925, ai sensi del
R.D. 15 luglio 1923 n. 3288 e R.D. 10 luglio 1924 n. 1081,
diffida il professor Piero Gobetti, direttore del periodico “La
Rivoluzione liberale”), dall’altra, in occasione dell'attentato
messo in opera contro Mussolini in visita a Bologna, il 31
ottobre 1926, ostacola da Torino la nuova ondata
squadristica invocata da Farinacci su “Il regime fascista” e
giustificata da Arnaldo Mussolini sul “Popolo d'Italia”,
bloccando in Prefettura il telegramma del segretario fascista,
Augusto Turati, che incita le federazioni fasciste alla
punizione sommaria dei responsabili, predisponendo un
adeguato servizio di polizia a presidio delle sedi dei partiti,
dei giornali e delle abitazioni private di singoli antifascisti.
Si guadagna così l'anatema di Farinacci che con un attacco
giornalistico del 3 e del 28 novembre 1926, chiede la sua
destituzione, bollandolo come antifascista. Tuttavia, nei
giorni successivi, esegue disciplinatamente le direttive del
Capo della Polizia Arturo Bocchini, che anticipano le
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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

disposizioni di legge sull'abolizione dei partiti e della libertà


di stampa, e dispone lo scioglimento della sezione torinese
del Partito popolare italiano,nonché la chiusura del giornale
cattolico “Il Corriere”. Solo apparentemente contradditorio
il suo comportamento porta all'evidenza il termine estremo
dell'incompatibilità tra una concezione tradizionale delle
funzioni del Prefetto e il nuovo sistema di potere della
dittatura fascista. Già in passato nel tentativo di rispettare il
limite ancora instabile di questa linea di demarcazione aveva
avuto contraccolpi negativi per i possibili sviluppi della
carriera: era fallita la proposta di una sua nomina a
vicegovernatore della Tripolitania, avanzata nella primavera
del 1923 dallo stesso governatore Giuseppe Volpi, e
soprattutto era sfumata l'ipotesi di una sua nomina a Capo
della Polizia, data per sicura nel giugno 1924, quando a
reggere il dicastero dell’Interno era andato, subito dopo il
delitto Matteotti, il nazionalista Luigi Federzoni. Allontanato
da Torino da Mussolini nel novembre 1926, da quel
momento non gli vengono più affidati che saltuari incarichi
di carattere amministrativo. Collocato a riposo per ragioni di
servizio nell’agosto 1932, nel maggio 1945 è riammesso in
servizio e fa parte, prima del definitivo pensionamento del
febbraio 1946, della commissione per l’epurazione del
personale del Ministero dell’Interno.
E’ Gran Cordone dell’Ordine della Corona d’Italia,
Grand’Ufficiale dell’Ordine Mauriziano, Cavaliere
dell’Ordine Civile di Savoia, Honorary Knight Commander
dell’Ordine del British Empire, Gran Croce del Merito
Militare di Spagna, Commendatore della Legion d’Onore,
Onorificenza serba dell’Ordine di S. Sava, Grand’Ufficiale

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

dell’Ordine della Stella di Romania, Grand’Ufficiale


dell’Ordine di Giorgio V di Grecia, Croce di Guerra
Cecoslovacca.

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1861 - 1943

Raffaele De Vita

Nasce a Napoli il 9 novembre 1867. Diplomato alla Scuola


Militare di Modena inizia la carriera come Generale di
Brigata in posizione ausiliaria speciale. Dopo essere stato
reggente della Prefettura di Bari dal 5 agosto 1925 ne
diviene il titolare, quindi opera a Bologna e dal 16 dicembre
1926 al 1° luglio 1928, in piena dittatura fascista, diviene
Prefetto di Torino e “un fedele camerata” per il Conte di
Robilant, che guidava il fascismo torinese. Analizza l’attività
frondista del partito che tanto preoccupa Benito Mussolini,
concludendo che si tratta solo di un fenomeno circoscritto.
Affronta problemi di carovita, affitti e salari. In seguito alle
mobilitazioni per l’aumento continuo delle pigioni dopo un
decreto governativo in favore della loro libera contrat-
tazione, nonostante l’invito di Mussolini, (non recepito), ai
proprietari di case a contenere gli sfratti e ribassare gli affitti,
contenendoli “entro il quintuplo di quelli praticati nell’ante-
guerra”, istituisce commissioni paritetiche rionali per le
definizioni amichevoli delle vertenze in materia di locazione,
con l’obbligo di riferire alla Prefettura(1). Pochi mesi più tardi
adotta anche un provvedimento che obbliga i proprietari di
case a denunciare il numero dei locali senza inquilini e il
prezzo dell’affitto, creando un’impressione ottima nella
cittadinanza, anche perché in tal modo si poneva fine al
“mistero” della consistenza effettiva degli appartamenti
liberi e delle richieste locative avanzate dai proprietari. Nel
corso del 1927, dopo che Agnelli restio alle punture di spillo
di Mussolini circa gli aumenti salariali “chiamando in causa
le conseguenze della rivalutazione della lira”, aveva
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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

respinto le sue richieste e minacciato e attuato moltissimi


licenziamenti, ottomila solo nella prima meta del 1927(2), De
Vita non manca di segnalare più volte al ministero
dell’Interno il crescente “malcontento” degli operai dei
maggiori stabilimenti e anche il “risveglio di propaganda
sovversiva” al loro interno.
In applicazione alle leggi fasciste nel 1926 stabilisce che
l’Associazione della stampa subalpina assuma la
denominazione di Sindacato fascista della stampa subalpina,
mentre nel 1927 chiude i battenti alla Lega magistrale
Reyneri, di orientamento cattolico, perché contrastava “in
tutti i modi lo svolgimento del programma dell’Associazione
nazionale insegnanti fascisti,creando un dualismo e uno
stato di irrequietezza assai pericoloso e nocivo”. Tiene
invece in vita Famija Turineisa e l’Associazione monarchica
integralista, tra i cui fondatori figurava Cesare Maria De
Vecchi di Val Cismon, mentre il Rotary club di Torino,
fondato nel 1924 da Agnelli e Ponti, può continuare le sue
attività, ma solo sotto stretto controllo del ministero. Nel
giugno1928, alcuni dirigenti degli studenti fascisti tentano di
far ritirare dalla commissione degli esami della facoltà di
giurisprudenza, i professori antifascisti Einaudi e Ruffini, ma
vengono contrastati dagli stessi studenti fascisti, che non
desiderano la “sostituzione rapida” di professori con i quali
da tempo esiste un rapporto didattico che avrebbe offerto
loro maggiori garanzie all’atto della valutazione finale(3).
La questione si risolve con la mediazione di Robilant presso
il rettore Pochettino, il quale fa in modo di garantire il
regolare svolgimento degli esami in quella sessione; tuttavia
l’esito positivo della vicenda lasciatogli l’amaro in bocca,
109
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relazionando al ministero afferma la necessità di eliminare al


più presto “da questo ambiente universitario” i professori
“noti oppositori”(4). Lasciato l’incarico torinese, diviene
Commissario per la provvisoria gestione dell’Istituto
Romano di S. Michele in Roma e, nel luglio 1929, è
collocato a riposo per ragioni di servizio.
Tra le sue onorificenze ricordiamo quelle a: Grand’Ufficiale
dell’Ordine della Corona d’Italia, Ufficiale dell’Ordine
Mauriziano, Commendatore dell’Ordine Coloniale della
Stella d’Italia.
(1)
“La cittadinanza di Torino ha così la sensazione chiara che non invano il Duce
abbia fatto appello, nella sua recente circolare, alla collaborazione dei suoi diretti
rappresentanti perché i bisogni e le necessità del popolo venissero riconosciuti e i
problemi più assillanti affrontati”. (Gazzetta del Popolo, 15 gennaio 1927).
(2)
Il 5 luglio 1927 Mussolini, che vuole tranquillizzare i metalmeccanici con aumenti
salariali, gli scrive: “ad evitare il grave ed assurdo pericolo che la Fiat finisca per
considerarsi un’istituzione intangibile e sacra dello Stato, al pari della Dinastia,
della Chiesa, del Regime e avanzi continue pretese, bisogna considerare la Fiat
come una intrapresa privata simile a migliaia di altre, del destino delle quali lo
Stato può anche disinteressarsi”. Egli risponde qualche giorno dopo accennando
anche alla delusione espressa dalla Fiat direttamente a Balbo per le mancate
“ordinazioni” dell’aviazione, che si sarebbe potuta trasformare in ulteriori e
“notevolissimi licenziamenti” e conclude amareggiato:“Ritengo giunto momento che
azione di governo facciasi sentire su Fiat cui programma e procedere non mi
sembrano privi tendenziosità nei riguardi quota novanta che Fiat avrebbe preferito
a 110 e più”.
(3)
De Vita scrive: “anche il figlio del senatore De Vecchi […] nel cortile
dell’Università disse che era disposto a fare a pugni se si fosse insistito per
l’esclusione dei predetti professori”.
(4)
Cfr. ACS, Segreteria Particolare del Duce, Carte Riservate (1922-1943), b. 74.

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

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Luigi Maggioni

Nasce a Venezia il 6 dicembre 1877. Si distingue per il suo


interventismo politico. Laureato in giurisprudenza entra
nella carriera prefettizia per pubblico concorso il 2 gennaio
1901. Presta servizio dapprima nelle sedi di Treviso e
Venezia poi passa all’Amministrazione Centrale con
funzioni di Capo del Personale. Nel giugno 1921 riceve la
nomina di Prefetto ed è assegnato a Rovigo, quindi
dall'ottobre di quell’anno fino all’anno successivo opera
come Vice Commissario Generale Civile per le province di
Gorizia e Gradisca, con sede in Gorizia. Tornato
all’Amministrazione prefettizia dal novembre 1922 al
dicembre 1934 dirige successivamente le Prefetture di Zara,
Sassari, Imperia, Como, Torino (quest’ultima dal 1° luglio
1928 al 10 agosto 1930) e Firenze. Giunge a Torino in un
momento di importanti rivolgimento politici (mentre nel
resto d’Italia il processo di normalizzazione del fascismo è
in gran parte concluso). Nel settembre 1928, dopo le
dimissioni del colonnello Robilant, travolto insieme al
cognato e podestà Sambuy dallo scandalo sull’esattoria
comunale, appoggia esplicitamente la nomina a commissario
straordinario della Federazione fascista del barone di origine
siciliana Carlo Emanuele Basile, figlio di un Prefetto del
Regno e fervente monarchico(1).
Nel frattempo favorisce la trasformazione a Torino del
Partito fascista in una “milizia civile”, accentuando
“militarismo” e “verticismo” del Pnf e puntando a
trasformarlo in una struttura soprattutto “assistenziale” in
grado di lenire le conseguenze sociali della crisi economica
111
N IVES M AR IA SAL VO

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profilatasi con il 1929(2). Interprete della volontà di


Mussolini, che preoccupato per la preparazione del
Plebiscito in una città difficile come Torino puntava a
conquistare soprattutto la classe operaia, si fa mediatore tra
l’azione politica e sindacale fascista e la “muraglia cinese”
della Fiat. Dopo le decurtazioni salariali imposte dal governo
nel maggio e poi nell’ottobre 1927 interviene sul nuovo
contratto dei metallurgici firmato a Torino nel marzo 1928
(che peraltro lasciava indefinite molte clausole “locali”),
riuscendo a mantenere l’ulteriore riduzione delle paghe
operaie nella misura del 5 per cento. Prende misure contro
carovita e “urbanesimo”, cioè i rimpatri forzati di immigrati
dalle campagne più lontane, ma anche più vicine, senza
ottenere risultati efficaci, mentre cresce con grande rapidità
il disagio degli operai(3). Nel marzo 1929 inaugura
pubblicamente la campagna politica per le elezioni
Plebiscitarie (la prima inaugurata dal Prefetto), accompa-
gnandola con l’esaltazione insieme di Mussolini e di valori e
tradizioni rassicuranti. Dopo aver esaltato “Lui”, cioè
Mussolini, come la sola “bandiera” in grado di vincere
“l’apatia” e di far uscire “dall’urna con votazione plebisci-
taria la lista dei nuovi deputati”, lo paragona ad Emanuele
Filiberto, il Re sabaudo che nel XVI secolo scelse la via
italiana e che, come il duce per lo stato italiano, ebbe il ruolo
di “ricostruttore della Casa Sabauda”, dovendo pertanto
ritenersi un “precursore dell’idea fascista dello Stato”.
Ritiene che “i piemontesi”, siano la “popolazione” che
meglio può comprendere il regime fascista “poiché la
politica civile, assistenziale, economica di Emanuele

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

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Filiberto, la sua politica rurale” avevano “impressionanti


punti di contatto con la politica fascista”(4).
I risultati del Plebiscito sono favorevoli al fascismo.
Nell’estate del 1929 il suicidio di un operaio, causato come
scrive la polizia politica il 10 agosto 1929 “dall’inumano
trattamento”, genera dei “moti nelle maestranze” che,
repressi “con mezzi violenti” portano come conseguenza al
“licenziamento” degli 800 operai ribellatisi(5).
Riceve poi una commissione di operai della Fiat per un
riesame da parte del governo sull’interpretazione di alcune
delle clausole più discusse dal contratto dei metallurgici, ma
alla fine dell’anno le polemiche si riacutizzano. Lasciata
l’Amministrazione dell’Interno nell’agosto 1930 diviene
Direttore Generale del Reale Automobile Club d’Italia
(F.R.), dall’aprile 1935 all’aprile 1936, quindi nell’agosto di
quell’anno è collocato a riposo per ragioni di servizio.
Tra le sue onorificenze ricordiamo quelle a: Cavaliere di
Gran Croce dell’Ordine della Corona d’Italia, Grand’Uffi-
ciale dell’Ordine Mauriziano, Commendatore con placca
dell’Ordine Austriaco per meriti.
(1)
Cfr. AST, Fondo Prefettura-Gabinetto, bb. 28-34.
(2)
Nel novembre 1928 Maggioni informa in un telegramma il ministero dell’Interno
che il reggente della Federazione “senza insistere su errori [sic] passati gerarchi ne
fece rilevare deficienze [sic] esponendo programma futuro e fermandosi specialmente
su opere assistenziali” Cfr. AST, Fondo Prefettura-Gabinetto, bb. 28-34.
(3)
Cfr. ACS,Ministero dell’Interno, Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, 1929,
b. 163.
(4)
Parole che sembrano confortare l’osservazione di Nolte a proposito del rapporto
tra Stato e Partito fascista dopo il 1927: infatti, ha scritto tanti anni fa lo storico
tedesco, bisogna tener presente che una parte notevole e sempre crescente dei
prefetti era costituita a sua volta da uomini di partito, i quali dunque non
rappresentavano certo lo «stato» nel senso tradizionale. Non fu l’“autorità dello
113
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Stato” a essere rafforzata, ma in definitiva la posizione del capo supremo del partito
e dello Stato: solo da lui dipendeva che nel futuro prevalesse l’uno piuttosto che
l’altro aspetto della sua duplice natura.
(5)
Informa la polizia: “Nei pubblici ritrovi e nelle osterie, questo fatto viene
largamente commentato ed i nemici del regime ne approfittano senza alcun ritegno
per dimostrare che il fascismo è contro l’elemento operaio e che si è alleato ai
capitalisti per sfruttarli nella maniera più inumana”. (Cfr. ACS, Ministero
dell’Interno, Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, 1929, b. 163).

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Umberto Ricci

Avvocato, Prefetto, Senatore, Podestà


di Torino, Ministro dell’Interno.
Nasce a Capurso (Bari) il 13
novembre 1878, figlio di Francesco e
di Maria Santoro.Coniugato con
Flora Difnico. Si laurea in giurispru-
denza all'Università di Bologna e il
22 febbraio 1900 entra nella carriera
amministrativa dell’Interno e inizia a
lavorare a Bari, quindi ad Ancona. Dopo una parentesi al
Viminale nel 1918è nominato Segretario generale degli
Affari civili presso il Comando Supremo e successivamente
assume la carica di Capo dell'Ufficio civile a Zara. Lascia la
zona dalmata nel luglio del 1921, per far ritorno al Ministero
degli Interni, e nell'agosto 1922 con funzioni di ispettore
Generale, compie l'inchiesta al Comune di Milano, dopo
l'occupazione fascista di Palazzo Marino, quindi torna al
Viminale prima in veste di Capo della Divisione della
polizia Giudiziaria e poi presso la Direzione della Pubblica
Sicurezza. Nel 1924 regge per qualche mese la Prefettura di
Pavia e nel marzo ne diviene il titolare. Nel 1925 è Prefetto
di Udine. Assunta la tessera del Pnf nel giugno 1926 nel
dicembre è nominato Prefetto di Bolzano, dopo la vittoria.
E’ Commissario prefettizio del Comune di Torino dall’8
settembre 1928 all’11 febbraio 1929, fronteggiando la
difficile situazione venutasi a creare in città dopo le
frettolose dimissioni dell’ammiraglio Luigi Balbo Bertone
Di Sambuy, quindi dal marzo 1929 è Commissario
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1861 - 1943

Straordinario per la Provincia di Roma. Dopo un’esperienza


trentennale agli Interni diviene Prefetto di Torino, dal 10
agosto 1930 al 10 settembre 1933, in un periodo contrasse-
gnato da una massiccia immigrazione dal resto del Piemonte
ma anche dal Veneto, dalla Romagna e dalle regioni
meridionali. Nel novembre 1930 affronta uno degli episodi
di maggior rilievo di quegli anni: una manifestazione di
“carattere politico”, di un migliaio di disoccupati, venuti in
gran parte da fuori Torino, che si scontra con la polizia dopo
un corteo che percorrendo le strade del centro giunge in
piazza Castello, chiedendo al governo e al Comune pane e
lavoro. E due giorni dopo, il 26 novembre 1930, un’altra di
circa 800 operai. Decide insieme alle forze dell’ordine di
non esasperare la popolazione, limitando al minimo gli arre-
sti e puntando soprattutto sui fogli di via della Questura per
costringere alla partenza i disoccupati accorsi in quei giorni
dal Piemonte e da tutto il Nord. “Numero disoccupati, –
scrive quasi a giustificarsi alla Direzione di Pubblica
sicurezza in quello stesso giorno – est notevolmente
aumentato in seguito licenziamento questi giorni Società
Ansaldo, Lancia et Fabbrica italiana Pianoforti”. La stampa
torinese non dà notizia dei tre giorni tumultuosi vissuti dalla
città, ma la stampa francese, soprattutto quella marsigliese,
nei primi giorni di dicembre ne dà conto insieme alle
manifestazioni contemporaneamente avvenute a Milano. Dal
1931 si scontra con il nuovo segretario della Federazione
torinese Andrea Gastaldi. Successivamente ricopre le cariche
di Direttore Generale dell’Amministrazione Civile, Senatore
del Regno dal 1939, Membro della Commissione degli affari
interni e della giustizia e della Commissione di finanze e

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

quella di Ministro dell’Interno nel primo governo Badoglio,


dal 9 agosto 1943 all’11 febbraio 1944, dopo la destituzione
di Mussolini. Nei giorni precedenti l’8 settembre del 1943
destituisce una serie di Prefetti troppo legati al vecchio
regime. Al termine del suo dicastero, è deferito all’Alta
Corte di Giustizia per le Sanzioni contro il Fascismo. Ha
ricoperto anche cariche ai vertici di alcune enti legati ai
Lavori Pubblici (consigliere di amministrazione nel
Consorzio per le opere pubbliche, presidente della Società
per il risanamento di Napoli).
E’ Gran Cordone dell’Ordine della Corona d’Italia,
Commendatore dell’Ordine Mauriziano, del Reale Ordine di
Carlo III di Spagna e ottiene la Medaglia di benemerenza
dell’Opera Nazionale Balilla.

117
N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

Agostino Iraci

Professore. Nasce a Magliano Sabino


(Rieti) il 25 febbraio 1893. Si laurea
in giurisprudenza. Partecipa alla
Prima guerra mondiale come
ufficiale di fanteria. Dopo la guerra
entra nel Partito fascista (1920),
supera il concorso nell’Amministra-
zione dell’Interno, ed è assegnato alla
sede di Foligno. Dopo qualche mese
rinuncia a quella carriera per assumere prima come vincitore
di concorso l’incarico di Vice Segretario della Camera di
Commercio di Foligno e poi quello di Rappresentante della
Regione Umbria al Comitato Centrale del P.N.F. (1922).
Tornato al ministero nel 1926 e promosso riprende il suo
lavoro con le funzioni di Prefetto di Campobasso e poi di
Udine. L’occasione giusta per la carriera gli giunge
nell’aprile 1928, quando il Duce lo chiama a collaborare con
il Governo nel ruolo di Capo di Gabinetto del Ministro
dell’Interno, dopo Renato Malinverno. Dal 10 settembre
1933 è messo a capo della Prefettura di Torino, dove, come
scrive nel maggio 1934, i due “gruppi” di potere, l’uno
facente capo a De Vecchi e l’altro ad Agnelli, fanno il bello
e il cattivo tempo. E’ dimesso il 14 settembre 1934 per
ragioni di servizio.
Tra le sue onorificenze ricordiamo quelle a: Grand’Ufficiale
dell’Ordine della Corona d’Italia, Commendatore dell’Or-
dine Mauriziano.

118
I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Cesare Giovara
Prefetto, Senatore, Podestà di
Torino. Nasce a Torino il 23
novembre 1878, figlio di Achille e
Barberina Ghè. Coniugato con
Adelina Rosso. Laureatosi in
giurisprudenza, all’Università di
Torino, il 2 gennaio 1901 entra per
concorso nella carriera politico-
amministrativa del Ministero
dell’Interno, destinato prima alla Prefettura di Varese, poi a
quella di Genova. Durante l'impresa libica si schiera a favore
della politica di espansione coloniale di Giovanni Giolitti e
nel 1912 inviato in missione a Tripoli ha modo di farsi
apprezzare, istituendo il primo Municipio italiano. Divenuto
Direttore dei servizi civili e politici è destinato a Derna, fino
a quando nel periodo che va dalla pace di Ouchy all’entrata
in guerra dell’Italia contro la Turchia nel conflitto mondiale,
l’ambasciatore Garroni lo presceglie come suo Segretario a
Costantinopoli. Richiamato in Italia tra il giugno 1922 e il
settembre 1933 svolge le funzioni di Prefetto a Ferrara,
Catanzaro, Piacenza, La Spezia, Livorno, quindi dall'ottobre
1933 al settembre 1934 passa all’Amministrazione centrale,
con l’incarico di reggere temporaneamente l’Ufficio
Legislativo e di Direttore Generale degli Affari di Culto al
Ministero dell’Interno, direzione passata al ministero dopo la
conciliazione tra Italia e Santa Sede. Dal 14 settembre 1934
è Prefetto di Torino. Quando il 9 maggio 1936 Benito
Mussolini dichiara dal balcone di Piazza Venezia, nello
storico discorso radiotrasmesso in tutte le piazze del Paese,
119
N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

che conquistata l’Etiopia “l’Italia ha finalmente il suo


Impero”, si occupa della partecipazione dei funzionari
torinesi all’adunata e della trasmissione dei dati della
manifestazione. Resta a capo della Prefettura torinese fino al
1° agosto 1936, successivamente dal 26 giugno 1938 al 24
agosto 1939 è podestà di Torino,dopo il conte Sartirana e
prima del conte Ferretti di Castelferretto. Ricopre inoltre
numerosi incarichi in enti, istituti e associazioni.
E’Vicepresidente della Cassa di Risparmio e Presidente della
Camera di Commercio,Senatore dal 1939 e membro della
Commissione incaricata dell’educazione nazionale e della
cultura popolare e successivamente della Commissione
degli affari interni e della giustizia. Nel 1944 è deferito
all’Alta Corte di Giustizia per le Sanzioni contro il
Fascismo. Muore il 2 settembre 1957.
Tra le sue onorificenze ricordiamo quelle a Grand’Ufficiale
dell’Ordine della Corona d’Italia e dell’Ordine Mauriziano e
la Medaglia d’Oro di Benemerenza dell’Opera Nazionale
Balilla e la Medaglia commemorativa della guerra italo-
turca.

120
I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Giovanni Oriolo

Prefetto, Senatore. Nasce a Pisciotta


(Salerno) il 5 gennaio 1878, figlio di
Francesco e Rosa D’Occaso.
Coniugato con Maria Manzoni.
Laureato in giurisprudenza, entra
nella carriera dell’Amministrazione
Civile dell’Interno per pubblico
concorso il 22 gennaio 1902. Presta
servizio presso le sedi di Lagonegro,
Castroreale, Taranto, Brindisi, La Spezia e più volte a
Firenze, l’ultima in qualità di Viceprefetto con l’incarico di
reggere temporaneamente l’Amministrazione Ospitaliera
della città “Innocenti”. Dal febbraio 1920 è Commissario
Civile a Polla, dal giugno 1922 al marzo 1923 Regio
Commissario a Prato e dal gennaio 1926 Presidente della
Commissione Reale per la Provincia di Udine. Il 1°
dicembre 1927, a 49 anni, è nominato Prefetto e destinato
alla sede di Macerata e successivamente dal luglio
all’ottobre 1929 a quella di Padova. Messo a disposizione
dall’ottobre 1929 al maggio 1930, dall’aprile 1930 è a
disposizione del Prefetto di Trento per la gestione
provvisoria del Comune di Rovereto. Successivamente opera
come Prefetto a Potenza dal maggio 1930 al luglio 1932, ad
Ascoli Piceno fino al gennaio 1934, a Verona fino al luglio
1936 e infine a Torino dal 1° agosto 1936 al 1° luglio 1937,
dimesso per ragioni di servizio. Nominato Senatore
nell’aprile 1939, opera nella Commissione dell’educazione
nazionale e della cultura popolare e successivamente in
121
N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

quella delle finanze. Muore a Firenze il 22 febbraio 1954.


Tra i suoi riconoscimenti ricordiamo quelli a: Cavaliere di
Gran Croce dell’Ordine della Corona d’Italia, Commen-
datore dell’Ordine Mauriziano, Diploma di Benemerenza
dell’Opera Nazionale Balilla, Seniore della M.V.S.N. dal
maggio 1937.

122
I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Pietro Baratono

Prefetto, Sottosegretario, Consigliere


di Stato. Democratico e attivo
antifascista. Nasce a Frosinone il 25
settembre 1884, figlio di un ufficiale
dei carabinieri. Si laurea in
giurisprudenza nel 1907 e l’anno
seguente entra nell’amministrazione
provinciale del Ministero dell’Interno
per poi passare nel 1910 a quella
centrale. E’ Prefetto a Novara, Firenze
e Alto Commissario per la Provincia di Napoli. Dal 1°
luglio1937 è Prefetto di Torino. Si scontra con il gerarca
fascista Piero Gazzotti, legatissimo al segretario del Partito
Nazionale Fascista Achille Starace. Di quest’ultimo
denuncia i comportamenti scorretti,difendendo l'autorità
prefettizia in un memoriale indirizzato a Benito Mussolini. A
sua volta a proposito di Baratono Gazzotti non esita a parlare
più volte di autentica “gelosia” del partito nutrita dalla
Prefettura e rivelatasi in un crescendo di “atti di ostilità”,
iniziati banalmente con inviti mancati e pareri disattesi.
Accusato da Gazzotti di essere un “vecchio arnese
giolittiano” massone e antifascista, dà subito la “sensazione
a tutti gli organismi amministrativi”, come affermava un
informatore nel gennaio 1938 qualche mese dopo il suo
insediamento, che al Palazzo del Governo si desiderasse che
i rapporti già esistenti con il partito venissero se non troncati
almeno allentati considerevolmente, in modo che tutti
avvertissero il nuovo indirizzo. Gode di un certo appoggio
123
N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

da parte del potente sottosegretario all’Interno Buffarini e


per prima cosa elimina“forme d’aiuto,anche modeste,
deliberate dai podestà a favore dei Fasci”, come somme di
denaro oppure concessioni di terreni a Casa littoria, cercando
d’improntare al più rigido rigore normativo i rapporti tra
partito e Stato. Successivamente vuole imporre amministra-
tori a lui graditi tanto al Comune quanto alla Provincia e nel
giugno 1938 defenestra il podestà Sartirana, vecchia camicia
nera e la sua amministrazione. A conclusione di un breve
braccio di ferro, Gazzotti riesce a imporre il suo richiamo a
Roma e la sua sostituzione con Carlo Tiengo, Prefetto di
provata fede fascista. Espulso dal Partito nel 1938, lascia la
Prefettura di Torino il 16 agosto di quell’anno e viene
tuttavia di lì a poco nominato Consigliere di Stato: vi rimane
fino al settembre 1943, operando nelle sezioni IV e V.
Ricopre anche gli incarichi, in seno al Ministero delle
Finanze, di membro della Commissione di vigilanza sul
debito pubblico (gennaio 1943) e del Collegio arbitrale per
la regolazione e la revisione delle commesse belliche.
Caduto il regime fascista, dal 26 luglio 1943 al 1° febbraio
1944 è Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei
ministri nel primo Governo Badoglio. In tale veste dimostra
un chiaro atteggiamento antifascista, aperto alla collabo-
razione con i neonati partiti. Sfuggito alla repressione
nazifascista in quanto ricercato su sentenza del Tribunale
speciale dello Stato, a liberazione avvenuta torna al suo
posto nel Consiglio di Stato. Nel 1946 ricopre il ruolo di
giudice presso il Tribunale supremo militare e viene
incaricato di presiedere la Commissione di epurazione di
primo grado presso il Ministero dell'Interno, non senza

124
I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

lamentarsi con l’Alto commissario per l’epurazione per i


criteri di giudizio troppo morbidi che è chiamata ad adottare.
Poliglotta e appassionato di studi umanistici e letterari,
scrive anche delle novelle firmandosi con il nome di
Pierangelo Baratono. Muore a Roma il 4 dicembre 1947.
Tra le sue onorificenze ricordiamo quelle a: Cavaliere di
Gran Croce dell’Ordine della Corona d’Italia. Grand’Uffi-
ciale dell’Ordine Mauriziano e dell’Ordine Coloniale della
Stella d’Italia.

125
N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

Carlo Tiengo

Avvocato, Prefetto, Ministro delle


Corporazioni. Nasce ad Adria il 1°
aprile 1892. E’ Prefetto di Torino
durante il periodo delle leggi razziali.
Mentre Frequenta l'Università di
Padova si lega ad un gruppo di
studenti irredentisti con i quali
esordisce nella vita politica con il
“Battaglione San Giusto”. Combatte
nella Prima guerra mondiale. Nel 1921 aderisce ai Fasci di
combattimento e dopo la Marcia su Roma diviene Console
della milizia. Prefetto dal 1926 opera prima a Sondrio, poi a
Piacenza, Gorizia, Trieste,Bologna e dal 16 agosto 1938 al
1° febbraio 1941 a Torino. La nuova e pervasiva invadenza
del partito fascista,che aveva provocato il singolare conflitto
in materia di prerogative e competenze politico-istituzionali
tra il federale Gazzotti e la Prefettura, così complesso e
profondo nel caso del Prefetto Baratono, non lo è altrettanto
nel suo. All'indomani dell'emanazione delle leggi razziali
accetta gli ordini governativi e predispone le operazioni per
il compimento del censimento degli ebrei, risospingendoli,
schedati e privati di quasi tutti i diritti civili, ai margini della
società dai quali erano usciti grazie alla piena emancipazione
civile e politica garantita dallo Statuto Albertino nel 1848,
poi esteso a tutto il Regno d’Italia. Il 4 gennaio 1939 firma la
circolare (n. Gab. 185, oggi conservata presso l’Archivio di
Stato di Torino) di applicazione del R.D.L. 17 novembre
1938 n. 1728, recante provvedimenti per la difesa della razza
126
I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

italiana, che vieta i matrimoni misti e stabilisce i criteri per


la classificazione dei nati da unioni interrazziali(1), per la
quale restano tuttavia numerosissime anche nel 1939 le
richieste di chiarimenti da parte degli uffici. Il 25 febbraio
1939 firma un’altra circolare, (n. Gab. 365) sempre
indirizzata ai Sindaci e Podestà della provincia, relativa al
censimento degli Ufficiali di razza ebraica in congedo(2).
Nel 1940 riceve una medaglia di bronzo al Valor civile
perché: «Durante le Incursioni di aerei nemici sulla città di
Torino, che con lancio di bombe causavano danni e vittime,
noncurante del pericolo, era presente dovunque: il suo
esempio e la sua parola potevano essere di utile
incitamento, recando aiuto e conforto ai feriti e alle famiglie
dei Caduti; e curando personalmente l'immediata attuazione
delle necessarie provvidenze, contribuiva a tenere alto lo
spirito della popolazione». Dal febbraio 1941 al febbraio
1943 è Prefetto di Milano. In seguito all’ondata di scioperi
che comincia ad estendersi da Torino a Milano e in molte
città dell’Italia settentrionale e centrale, Mussolini che è
costretto a prendere decisioni gravi lo nomina Ministro delle
Corporazioni in sostituzione di Tullio Cianetti e di diritto
diviene anche componente del Gran Consiglio. Si dimette
per motivi di salute, nell’agosto 1944, dopo un periodo a
disposizione del Ministero delle Finanze. Presente, tra gli
altri, con il futuro Presidente Sandro Pertini e il Maresciallo
Graziani in Arcivescovado a Milano il mattino del 25 aprile
1945, durante il tentativo finale, favorito dal cardinale
Ildefonso Schuster, di condurre alla resa il Duce, è ritrovato
morto a Paullo di lì a pochi giorni(3).

127
N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

E’ Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine della Corona


d’Italia, Grand’Ufficiale dell’Ordine Mauriziano, Croce al
merito al P.N.F. dall’aprile 1921, Antemarcia, Squadrista,
Brevetto Marcia su Roma, Sciarpa Littorio, Console
Generale della M.V.S.N.
(1)
Archivio di Stato di Torino, Fondi Prefettura.
(2)
Archivio di Stato di Torino, Fondi Prefettura.
(3)
Da uno scritto di Sandro Pertini sulla Resistenza, pubblicato sul sito Fondazione
Sandro Pertini):«Il mio colloquio con il Cardinale Schuster fu seguito con attenzione
dai miei amici presenti. Peraltro, piccola era la saletta, in cui la riunione si
svolgeva. Ma che la mia ferma risposta al cardinale sia stata chiaramente intesa dai
presenti è confermato dall'intervista, mai rettificata o smentita, data dall'amico
carissimo Achille Marazza nell'aprile del 1962 al giornalista Silvio Bertoldi». Dice
Marazza: «Pertini cominciò a parlare vibratamente, sostenendo la tesi che anche se
Mussolini si fosse arreso, lo si sarebbe dovuto custodire per due o tre giorni e poi,
anziché consegnarlo agli alleati, lo si sarebbe dovuto portare in giudizio. Mentre io
e Lombardi combattevamo questa tesi, rivendicando l'impegno preso, Tiengo, che
aveva udito ogni cosa, si alzò e scivolò fuori dalla stanza». E che Tiengo, in modo
determinante, abbia influito sulla decisione di Mussolini di non arrendersi più lo ha
confermato, sempre nel 1962, al giornalista Bertoldi il generale Montagna, che sino
all'ultimo restò vicino al capo del fascismo. «L'ex prefetto Tiengo – afferma
Montagna, – aveva distintamente udito il socialista Pertini... Tiengo, naturalmente,
aveva subito avvertito Mussolini che la sua vita era in pericolo e “ciò spiega tutto il
resto”.»

128
I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Francesco Palici di Suni

Marchese. Nasce a Sorrento (Napoli) il


31 luglio 1883. Con decreto del 30
aprile 1941 assume il nome di Palici di
Suni al posto di Paliacio di Suni. Dopo
essersi laureato in giurisprudenza nel
1908,entra per concorso nella carriera
dell'Amministrazione Civile dell'Inter-
no, prestando servizio in diverse sedi.
Combatte nella Prima guerra mondiale,
dove si distingue meritando una Croce al merito. Tornato
alla vita civile ricopre, fra gli altri, anche l’incarico di Capo
della Divisione Affari Generali e Riservati dell’Amministra-
zione Civile a Torino. La nomina a Prefetto giunge il 14
settembre 1934 contemporaneamente all’incarico di dirigere
la Prefettura di Grosseto. Due anni dopo è trasferito a Lucca,
e successivamente a Ferrara. Dal 1° febbraio 1941 è Prefetto
di Torino, che dopo molto tempo è nuovamente guidata da
un membro dell’aristocrazia. In applicazione delle leggi anti
ebrei che predispone le operazioni per la revisione del
censimento degli ebrei. Il 2 novembre 1941, dalla Prefettura
parte la Riservata, n. Gab. 20172 (p. Il Prefetto: f.to
Marconcini)(1), indirizzata ai podestà e ai commissari prefet-
tizi della provincia per la compilazione di un elenco alfabe-
tico aggiornato al 10 giugno precedente di tutti gli ebrei
residenti in ciascun comune. Gira la ruota della storia e
nell’aria comincia a respirarsi qualcosa di nuovo. Il 5 marzo
1943 deve affrontare la protesta degli operai dell’officina 19
dello stabilimento Fiat di Mirafiori che, fermate le macchine,
129
N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

danno inizio ad un grande sciopero antifascista. Ma


nonostante le repressioni della polizia la protesta non si
placa. Il 15 giugno 1943 termina il mandato torinese e
riveste per qualche mese le funzioni di Direttore Generale
della Sanità Pubblica. Torna, anche se per poco, a capo di
una Prefettura, quella di Roma, dal settembre all’ottobre
1943e poi dal giugno all’agosto 1944, dopo essere stato
messo a riposo per ragioni di servizio dal governo fascista.
Lascia la carriera nel febbraio 1949, a 65 anni di età.
Tra le sue onorificenze ricordiamo quelle a: Grand’Ufficiale
dell’Ordine della Corona d’Italia e di Commendatore
dell’Ordine Mauriziano, e dal maggio 1937 quella di Primo
Seniore della M.V.S.N.
(1)
Archivio di Stato di Torino, Fondi Prefettura

130
I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Dino Borri

Avvocato. Nasce a Casciana Terme


(Pisa) il 21 giugno 1885. E’ l’ultimo
Prefetto di Torino nel Governo
Mussolini. Convinto interventista, parte
volontario nella guerra mondiale.
Tornato alla vita civile come Sindaco
di Lari, nel 1921 si iscrive al partito
fascista. Attivo in politica è prima
Commissario straordinario della
Federazione Fascista di Cuneo e poi Segretario Federale. Nel
luglio 1929 viene chiamato a collaborare con il Governo nel
ruolo di Prefetto del Regno e viene destinato a Terni. Regge
per un anno quella provincia, poi, per oltre 5 anni, quella di
Forlì. Trasferito alla Prefettura di Bari nel luglio 1935, torna
successivamente in Nord Italia destinato a Trieste. Il 2
giugno 1941 è messo a capo della Prefettura di Genova e dal
15 giugno 1943 di quella di Torino, in quel periodo di aspre
rivendicazioni operaie. Destituito da Badoglio il 1° agosto
1943, da quel momento non riceve più incarichi e nel
dicembre 1944 è collocato definitivamente a riposo per
ragioni d’ufficio. Tra i riconoscimenti ricevuti: Cavaliere di
Gran Croce dell’Ordine della Corona d’Italia, Grand’Uf-
ficiale dell’Ordine Mauriziano, dell’Ordine di San Marino e
di S. Carlo (Principato di Monaco), Gran Croce dell’Ordine
di Skanderberg, Medaglia d’oro di Benemerenza dell’Opera
Nazionale Balilla, Console Generale della M.V.S.N. dal
maggio 1937, Squadrista, Sciarpa Littorio, Medaglia della
Marcia su Roma.
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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

Vincenzo Ciotola

Prefetto, Consigliere di Stato. Nasce a


Napoli il 30 marzo 1885. Eccellente
antifascista, anche dopo l’8 settembre
1943, è l’ultimo Prefetto di Torino del
Regno d’Italia e anche il primo di
Torino libera. Buon amministratore, è
dotato di non comuni capacità, nonché
di un sano senso di equilibrio politico.
Si laurea in giurisprudenza e nel luglio
1910 entra nella carriera prefettizia, dove si distingue subito
per l’ampiezza delle sue vedute. E’ Prefetto a Varese (1934-
1936), Foggia (1936-1937), Latina (1937-1940), Brescia
(1940-1943), dove segue i problemi degli operai, dà impulso
al sorgere di asili, scuole, case popolari, opere benefiche,
nonché all’industria turistica sulle rive del lago di Garda.
Nei difficili quarantacinque giorni badogliani, dal 1° agosto
al 16 settembre 1943, dirige con mano sicura e imparziale la
Prefettura di Torino, acquistandosi la simpatia di tutti. In
quei drammatici giorni in cui la città cade in mano nazista,
mentre altri abbandonano si batte coraggiosamente, con
grave pericolo personale e fino all'ultimo, per organizzare la
difesa contro il nemico, fino a quando il 16 settembre 1943,
all’ingresso di una colonna di militari tedeschi a Torino,
scrive all’Eccellenza, il Ministro dell’Interno - Roma,il
rapporto n. Gab. 18909, l’ultimo prima di essere arrestato. Il
documento conservato presso l’Archivio di Stato di Torino e
divenuto un pezzo della Storia d’Italia, recita(1) “Il 10
corrente alle ore 16,30 una colonna tedesca composta di
132
I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

centododici autocarri blindati con mitragliatrici e di cinque


carri armati oltre a piccole autovetture è entrata in Torino.
Il Comando della difesa italiano aveva ordinato il disarmo.
Gli Ufficiali hanno però tutti abbandonato uffici e caserme
lasciando abbandonati i materiali che la popolazione ha in
minima parte asportato. Nelle condizioni di resa era stato
stabilito che dovevano rimanere armati oltre ai Carabinieri,
agli agenti di P.S., ai metropolitani e ai vigili urbani anche
due squadroni di cavalleria. Questi ultimi, invece, seguendo
le sorti delle altre truppe abbandonavano le caserme nonché
i cavalli che si persero per la città. La popolazione rimase
indignata dello spettacolo di disordine e di paura offerto
dalle truppe. Nella sera stessa presi contatto col Comando
germanico che mi chiese un proclama che fu subito
compilato e firmato dal Podestà. Nei giorni seguenti i
rapporti furono regolarmente mantenuti e le richieste furono
soddisfatte. Esse finora non sono esorbitanti. Finora la
situazione non è grave. Le reazioni della popolazione sono
state contenute e non hanno dato luogo che ad esecuzioni
isolate. Sono in contatto continuo con il Consolato e con un
componente della S/S - Sig. Platre - inviato dal Comando
germanico per collegamento. Le requisizioni maggiori sono
state eseguite presso la FIAT. In seguito al proclama di
Mussolini si nota un senso di panico e di ondeggiamento
generale specialmente nei pubblici ufficiali e nell'Arma.
Sarebbe necessario che il Governo desse qualche indizio di
essere ancora in funzione perchè manchiamo da una
settimana di qualsiasi comunicazione e la popolazione è
allarmatissima. Rimango al mio posto fino a che i Comandi
germanici non mi allontaneranno con la forza”(2).
133
N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

Destituito quello stesso giorno dalle Autorità, rimane a


Torino pur sapendo di essere stato inserito, unitamente ai
suoi familiari, “nella lista degli ostaggi che la Prefettura
aveva predisposto”. Con il ritorno delle libertà democratiche
riprende il suo posto di responsabilità al servizio della
nazione e dopo la decisione di De Gasperi di sostituire
gradatamente ai prefetti politici prefetti di carriera, dal 1°
marzo 1946 è nuovamente Prefetto di Torino, succedendo a
Piero Passoni, il Prefetto della Liberazione. Prefetto di
carriera e autorevole funzionario del governo, proprio perché
estraneo alle competizioni dei partiti, riesce ad apportare un
sensibile contributo alla normalizzazione della provincia,
resasi tanto più necessaria con l’approssimarsi del periodo
delle lotte elettorali. Alla profonda esperienza professionale
accoppia una sensibilità politica, un’aderenza alle mutate
situazioni e una comprensione delle nuove esigenze
maturatesi in Italia con la caduta del fascismo e con la guerra
di liberazione. Esigenze che la rinnovata libertà e il
progresso della democrazia rende complesse e da risolversi
via via con arditezza e moderazione. A Torino il referendum
monarchia-repubblica del due giugno, fissato nella data
dell’anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi, si
svolge senza violenze. Con fermezza realistica e serena
affronta i problemi del dopoguerra, fra i quali anche quello
della mancanza di farina. Evita allarmismi catastrofici,
cercando di ridare un po’ di serenità anche alle madri di
famiglia, che da diversi anni ormai vivevano in continua
tensione. Dal 27 novembre 1947, per volontà del ministro
Scelba, è Prefetto di Milano, in sostituzione dell’avv. Ettore
Troilo, ultimo dei Prefetti della Liberazione ancora in carica.

134
I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Difficili gli ultimi giorni di permanenza a Torino, a causa


degli scioperi e delle agitazioni in città, così come i suoi
primi giorni a Milano. In seguito allo sciopero generale
scoppiato in quella città, viene mandato in licenza prima di
raggiungere il nuovo posto. L’allontanamento di Troilo
provocò infatti accese reazioni con l'occupazione della
Prefettura e le dimissioni dei 157 sindaci compreso quello di
Milano. La nomina cadeva nel pieno di un fortissimo scontro
nel Paese ed in Parlamento tra il governo e l’opposizione
socialista e comunista che l’additava come segnale del
definitivo superamento dell’esperienza unitaria resistenziale.
Il 5 dicembre comunque s’insedia in Prefettura. Dal
novembre 1948 riceve le funzioni di Consigliere di Stato e
nel gennaio 1949 lascia l’Amministrazione dell’Interno.
Tra le sue onorificenze ricordiamo quelle a: Grand’Ufficiale
dell’Ordine della Corona d’Italia, Commendatore dell’Ordi-
ne Mauriziano, Diploma Magistrale dell’Ordine dell’Aquila
Germanica, Console della M.V.S.N. .
(1)
(Prefettura di Torino, gabinetto di Prefettura, mazzo 34)
(2)
Riferisce Piero Pieri che quello stesso giorno due membri del Comitato di Liberazione
Nazionale, Piero e Duccio Galimberti, si recano in Prefettura ma trovano l'anticamera del
Prefetto già piena di tedeschi. Deviano allora per l'appartamento privato, dove incontrano il
Prefetto che dice loro: “Sono di là piantonato. Andate via subito. Portatevi al confine della
provincia; non c'e più collegamento tra le varie province e non potranno per il momento
esservi addosso”. Con una nobile ripresa di fierezza nell’abbracciare Passoni gli dice: “Sarai il
primo Prefetto della Liberazione; quanto a me, per ora mi confineranno”. Così si lasciarono.

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1861 - 1943

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Il Prefetto Ciotola alle elezioni del 2 giugno 1946

“Le foto del Prefetto Ciotola sono pubblicate su concessione


dell’Archivio Storico della Città di Torino”,
Gazzetta del Popolo Sez. III Ciotola

E’ fatto divieto di riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo.

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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

Bibliografia

I Prefetti della Provincia di Torino dell’Italia liberale:


ƒ Mario Missori, Governi, alte cariche dello Stato, alti
magistrati e prefetti del Regno d’Italia - Roma,
Ministero per i Beni Culturali e Ambientali.
Pubblicazione degli Archivi di Stato, 1989 - tutti i
prefetti del Regno, per provincia, 17 marzo 1861 - 2
giugno 1946. Fonti: A.C.S., Ministero dell’Interno,
Fascicolo del personale fuori servizio; - tutti i Governi
da Cavour a De Gasperi;
ƒ Dizionario biografico degli italiani, Roma Istituto per
l’Enciclopedia italiana, (Treccani) il pubblicato giunge
sino alla lettera Na;
ƒ Storia di Torino, Giulio Einaudi Editore, 2001 - Vol.
VII “da Capitale politica a capitale industriale”;
ƒ Ottavio Lovera di Maria e l'organizzazione della
Pubblica sicurezza,“Rassegna storica Risorgimento”,
2002;
ƒ Archivio Storico del Senato;
ƒ Archivio Storico de La Stampa;
ƒ Archivio Storico del Comune di Torino;
ƒ Le biografie dei 150 migliori servitori dello Stato sul
sito del Ministero per la Pubblica Amministrazione e
l'Innovazione;
ƒ Alessandro Guiccioli, ”Diario di un conservatore”,
Edizioni del Borghese, 1973;

138
I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

ƒ Donato D’Urso, “Vittorio Zoppi Prefetto a Torino


(1871-1876)”Torino: Centro Studi Piemontesi, 2002;
ƒ Le biografie dei Capi della Polizia, sito della Polizia di
Stato.
I Prefetti della Provincia di Torino dell’Italia fascista:
ƒ Mario Missori, Governi, alte cariche dello Stato, alti
magistrati e prefetti del Regno d’Italia - Roma,
Ministero per i Beni Culturali e Ambientali.
Pubblicazione degli Archivi di Stato, 1989 - tutti i
prefetti del Regno, per provincia, 17 marzo 1861 - 2
giugno 1946. - Ministero dell’Interno, Fascicolo del
personale fuori servizio;tutti i Governi da Cavour a De
Gasperi. Fonti: A.C.S.;
ƒ A. Cifelli, “I Prefetti del Regno nel ventennio fascista”,
Roma, Scuola superiore dell’Amministrazione
dell’Interno, 1999;
ƒ Dizionario biografico degli italiani, Roma Istituto per
l’Enciclopedia italiana (Treccani),il pubblicato giunge
sino alla lettera Na;
ƒ Archivio di Stato di Torino, Fondi Prefettura;
ƒ Storia di Torino, Giulio Einaudi Editore, 1998 - Vol.
VIII - “Dalla Grande Guerra alla liberazione”;
ƒ Opera omnia: di Benito Mussolini, a cura di Edoardo e
Duilio Susmel, Volume 39;

ƒ C, Pianciola, “Piero Gobetti, Biografia per immagini”;

ƒ “Torino” di Valerio Castronovo, Edizioni Laterza 1987.

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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

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I PREFETTI DELLA PROVINCIA DI TORINO

1861 - 1943

Note sull’Autrice

Nives Maria Salvo. – Giornalista, è


funzionario all’Ufficio di Gabinetto
della Prefettura di Torino, dove si
occupa dell’attività di informazione
e di supporto al capo dell’Ufficio
Stampa. Inoltre, cura e gestisce il
sito web istituzionale della
Prefettura ed è autrice di una
newsletter dedicata alla diffusione interna delle novità
normative e giurisprudenziali. Appassionata di libri, pittura,
musica, filosofia, teatro e cinema, dal 2009 è anche
impegnata nella divulgazione dell’Arte in genere. La sua
prima opera editoriale, “I Sogni dell’informatica.
Intelligenza Artificiale” (Carta e Penna editore, 2008), è un
avvincente saggio di meccanica onirica. Questo suo secondo
lavoro, “I Prefetti della provincia di Torino”, ha
un’impronta più storica che, sviluppandosi dal 1861, nascita
dell’Unità d’Italia, fino al 1943, termine della seconda
guerra mondiale, vuole essere un “viaggio biografico” nella
vita dei Prefetti di Torino e in quella dell’Istituzione
prefettizia. Il libro nasce, infatti, dall’intento di coinvolgere
il lettore nel “vissuto” appassionante dell’epoca per guidarlo
alla scoperta di un pezzo di Storia del nostro Paese.

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N IVES M AR IA SAL VO

1861 - 1943

Stampato al Centro Stampa della S.S.A.I.


nel mese di ottobre 2013

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