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WAGNER-LISZT,

ISOLDENS LIEBESTOD

ESAME di ANALISI DELLE FORME COMPOSITIVE

Sessione autunnale a.a. 2018-2019

Docente: Carlo Ramella

Prefazione

Il presente elaborato prende corpo dalla mia personale esigenza di esecutore di


approfondire la conoscenza di un brano che ha avuto particolare importanza nel mio
percorso di musicista e, più in generale, di persona.
Personalmente ritengo che una simile indagine sia necessaria, in quanto il brano, per una
cosciente interpretazione, richiede consapevolezza delle tensioni compositive e della
sonorità in primis orchestrale per poi farsi pianistica, tenendo, infatti, sempre ben presente
che si tratta di una trascrizione di un brano scritto per un grande organico, di impegno
tecnico e di grande pregnanza di significato, sia all’interno di un macro-contesto narrativo,
sia di un vero e proprio sistema filosofico come quello del Tristano. Non da ultimo, la figura
dell’autore e della illustre contemporaneità con cui egli si relaziona (tra cui lo stesso Liszt,
autore della trascrizione) apre a numerosi punti critici, la cui trattazione è, a mio avviso,
indispensabile per una comprensione sufficientemente profonda della musica.
L’esposizione sarà costituita da due principali sezioni, in quanto lo studio del brano, seppur
estrapolato, di necessità, dagli eventi narrati nell’opera, fa più che mai sentire il bisogno di
un approccio preliminare e di uno studio lontano dallo strumento: a un apparato di tipo
teorico sulle premesse contestuali dell’autore e dell’opera, dunque, seguirà un’analisi
tecnico-compositiva ai fini di un’esecuzione ragionata ed efficace.
L’opera

Tristan und Isolde è un dramma musicale in tre atti di Richard Wagner, composto dal 1857
al 1859. È erede della tradizione del romanticismo musicale, in particolare dell’opera
romantica tedesca, di cui Weber con il suo Freischütz è principale esponente, e si pone al
centro della riforma operistica wagneriana, rappresentando un capolavoro di assoluta
importanza anche in relazione alle sue conseguenze storico-musicali.

È decisamente emblematico nella genesi dell’opera il cambiamento radicale della


considerazione progettuale di Wagner della sua opera, che da un più semplice dramma
all’italiana, una sorta di salvagente per la sua disastrosa condizione economica, diventa,
nel corso della sua composizione, un titanico dramma in musica, come lui stesso
testimonia nelle sue corrispondenze epistolari:

“Ho fatto il progetto di comporre subito «Tristano e Isotta» in dimensioni minori allo scopo
di renderne più facile l’esecuzione [...] spero che un’opera assolutamente adatta ai tempi,
come diverrà il «Tristano», mi darà una pronta e buona rendita e mi manterrà a galla per
qualche tempo. Penso di far tradurre quest’opera in buon Italiano per offrirla al teatro di
Rio Ianeiro, dove sarebbe rappresentata per la prima volta come opera italiana…"

[Wagner a Liszt, 28 giugno 1857]

“Bambina mia! Questo Tristano diventa qualcosa di terribile! Quest’ultimo atto!!! Temo che
vietino l’opera — a meno che il tutto non sia messo in parodia da una cattiva
rappresentazione: solo delle rappresentazioni mediocri potrebbero salvarmi! Se fossero
perfette potrebbero far impazzire gli spettatori — non riesco a immaginare altro. A tanto
dovevo ancora arrivare!! Povero me!”

[Wagner a Mathilde Wesendonck, aprile 1859]


Come previsto dall’autore, infatti, il dramma, terminato a Lucerna nel 1859, non ebbe
inizialmente fortuna e fu respinto dal teatro di Vienna in quanto giudicato ineseguibile.
Dovettero trascorrere ben sei anni prima che potesse essere rappresentato per la prima
volta: la première avvenne in Baviera all’Opera di Stato di Monaco il 10 giugno 1865,
diretta da Hans von Bülow e sostenuta economicamente dal re Ludwig II.

La concezione del dramma - Nietzsche contra Wagner

L’autore concepisce il suo dramma come la perfetta fusione di tutti gli elementi
comunicativi propri del linguaggio del teatro musicale dell’epoca, in modo del tutto
singolare e rivoluzionario: Wort - Ton - Drama (Parola - Musica - Azione) sono pensati e
realizzati in modo tale da compenetrarsi nel modo più profondo possibile per realizzare
un’Opera d’arte totale (Gesamtkunstwerk). Il compositore deve, dunque, di necessità
occuparsi personalmente di tutte e tre le variabili che compongono la rappresentazione,
scrivendo di proprio pugno i libretti, realizzando la messinscena e occupandosi della
messa in musica.
L’esperienza di chi assiste a un musikdrama come Tristan, secondo l’autore, deve quindi
essere del tutto simile a quanto provato dal cittadino ateniese durante e in seguito alla
rappresentazione di una tragedia, come mette in luce Aristotele nella sua Poetica:
l’esperienza tragica è καθάρσις (“purificazione”) delle e dalle passioni, tramite un
processo di transfert psicologico in base al quale lo spettatore, immedesimandosi nelle
vicende vissute dai protagonisti, riusciva a liberarsi delle passioni negative purificando il
proprio spirito.
Wagner ben conosceva il mondo della tragedia antica ed è lui stesso a esplicitare la sua
concezione di drama: “ora, drama significa originariamente Tat (azione) o Handlung
(azione, trama, intreccio): come tale, rappresentato sul palcoscenico, esso costituiva
originariamente una parte della tragedia, ovvero del canto sacrificale, che occupò
successivamente l’intera ampiezza del dramma e ne diventò la cosa principale. Con
questo nome si designava in ogni tempo un’azione rappresentata su scena e, a questo
proposito, la cosa più importante era che a questa rappresentazione si potesse assistere
guardando, per cui il luogo nel quale ci si era riuniti ora questo scopo si chiamò Theatron,
il luogo dove si guarda.”
[R. Wagner, Musikdrama]

L’autore si rifà quindi al concetto etimologico di un δρᾶν (dran = fare) tragico e lo realizza
in un’azione rappresentata sulla scena, concezione fortemente criticata dal
contemporaneo filosofo F. Nietzsche, il quale sosteneva che, come molti altri, tra cui illustri
filologi, anche Wagner fosse caduto in un’imprecisa e grossolana traduzione del termine
greco: nella tradizione ellenica, infatti, il dramma tragico “aveva di mira grandi scene di
pathos - esso escludeva precisamente l’azione (la collocava prima dell’inizio o dietro la
scena). La parola dramma è di origine dorica: e secondo l’uso linguistico dorico significa
“evento”, “storia”, prendendo entrambe queste parole in senso ieratico.” Secondo
Nietzsche, dunque, il δρᾶν è un accadere, non un fare, un factum e non un fictum.
Wagner, secondo il filosofo, è nient’altro che un “effettista”, in quanto ha come principale
scopo quello di creare “una scena d’effetto assolutamente sicuro, una vera actio”.

Uno dei (numerosi, ma difficilmente trattabili in modo esaustivo in questa sede) punti su
cui la critica nietzscheana insiste con particolare veemenza è dunque la costruzione della
vicenda e della trama e della spettacolarizzazione con cui questa viene rappresentata.
Wagner è effettivamente uno dei principali innovatori del genere anche dal punto di vista
delle caratteristiche strutturali e delle convenzioni del teatro musicale: è il primo a esigere
il buio in sala, a volere l’orchestra in buca (chiamata golfo mistico) e, più in generale, a
cercare di realizzare un nuovo tipo di messinscena operistica, di certo non senza moti
autocelebrativi o di stampo para-religioso. Esempio ne è il teatro di Bayreuth, che venne
costruito per sua esplicita indicazione in cima a una collina, assolutamente lontano da ogni
forma di mondanità, in modo che questo divenisse una sorta di spazio sacro a cui
accedere dopo una sorta di pellegrinaggio fisico (vi è nella salita della collina l’idea di una
sorta di salita verso un luogo sacro sopraelevato, in quanto più vicino alla divinità),
spirituale e sociale. 


La struttura formale

Già da Weber era stato avvertito il bisogno di una forma di teatro musicale che, sciolto
dalle interruzioni e cesure tipiche delle forme chiuse dell’opera tradizionale, potesse
lasciar scorrere il divenire del dramma senza soluzione di continuità; ma questo risultato
venne pienamente conseguito solo da Wagner nei drammi della maturità, grazie alle sue
innovazioni di tipo linguistico e sintattico: l’utilizzo sistematico del cromatismo, la
sospensione armonica e le risoluzioni con sostituzioni tonicali o, in generale, di totale
sorpresa contribuiscono a dar vita a una melodia infinita (unendliche melodie), una sorta
di intonazione continua del testo, il quale non viene più progettato in modo tale da
rispondere all’esigenza di trovare realizzazione musicale in un recitativo o in un’aria. In
questo ininterrotto flusso, dunque, non si avvertono cesure formali e dalla musica
emergono come elemento di conduzione drammatica e di unitarietà formale i motivi
conduttori o leitmotive.

È molto efficace l’analisi della macro-struttura wagneriana del musicologo Giovanni Bietti:
“Scompaiono “numeri chiusi”, arie e pezzi d’assieme, sui quali ancora all’epoca del
Tristano erano basate le opere italiane e francesi; ciò che interessa a Wagner non è
l’isolamento di diversi nuclei drammatici da esplorare in sé, di volta in volta, quanto la
transizione, il passaggio graduale da uno stato d’animo all’altro, il perpetuo divenire dei
sentimenti e delle sensazioni. L’arte del Tristano, lo dice Wagner stesso in una celebre
lettera, è “arte della transizione sottile e graduale”.

Il leitmotiv si concretizza dunque in un breve tema musicale di facile riconoscibilità atto a
simboleggiare personaggi, oggetti e soprattutto specifici stati d’animo. Ogniqualvolta tali
elementi si ripresentano sulla scena, vengono nominati o viene fatto loro implicito
riferimento ecco che il leitmotiv viene riproposto. Sarebbe banalizzante trattarne
semplicemente come una mera corrispondenza res-musica: esso ha infatti il compito di
guidare lo spettatore in una trama di reminiscenze e/o essere elaborati nel corso
dell’opera. Come sostiene Bietti, infatti, grazie all’utilizzo musicale-narrativo di questo
espediente “l’azione interiore del Tristano, fatta di presagi e ricordi, sensazioni ed
evocazioni, struggimento e languore, diventa non solo credibile e rappresentabile, ma
anche supremamente drammatica.”
Esempio significativo di come Wagner tratta il leitmotiv all’interno di un’ottica di ampio
raggio (come l’intero percorso del dramma) è il “motivo del Desiderio”, ovvero il motivo
costituito dalle 4 note ascendenti cromatiche del Preludio che per l’intera partitura l’autore
lascia volutamente e insistentemente insolute fino all’ultima, pacificatoria riproposizione
nelle battute conclusive del terzo atto, dopo la morte di Isotta, dove il motivo trova
finalmente autentica risoluzione tonale, “simbolo stesso del compimento del percorso
drammatico, della trasfigurazione, della conciliazione definitiva tra amore e morte”
[Giovanni Bietti, Osservazioni sulla partitura]

Il significato dell’opera - Wagner e Schopenhauer


È proprio il Tristano l’opera in cui maggiormente emerge l’influenza della filosofia di A.
Schopenhauer, il quale conobbe personalmente Wagner ma non ebbe parole di particolare
apprezzamento per la sua musica, come testimonia lo sprezzante consiglio che gli diede
di appendere la musica al chiodo dedicandosi alla sola poesia. 

Il motivo del rifiuto della produzione wagneriana da parte di Schopenhauer è da ritrovarsi
nella considerazione della musica come della massima espressione della Volontà, mentre
della parola come forma comunicativa schiava della realtà ingannevole. Dunque una
struttura musicale come quella del musikdrama wagneriano, dove la parola (Wort) è
elemento fondamentale in quanto, con musica e azione tragica, costitutivo del
Gesamtkunstwerk, non poteva essere in alcun modo fatta propria dal filosofo, che
ritrovava il suo pensiero nella costruzione formale dell’opera rossiniana, in quanto il libretto
era quasi unicamente un pretesto per la composizione musicale o, comunque, la musica
aveva totale egemonia sui restanti elementi dell’opera.
In realtà, infatti, sebbene Schopenhauer, nel III libro de Il mondo come volontà e
rappresentazione, nei relativi Supplementi e nel II volume dei Parerga e Paralipomena,
arrivi a formulare una vera e propria Filosofia della Musica, questa rimane del tutto
estranea a giustificazioni teorico-musicali o di tipo pratico e esecutivo: lui stesso si rende
ben conto dell’indimostrabilità della sua visione e asserisce che questa possa essere
intesa solo da coloro «che accettano la mia concezione del mondo» e che abbiano
soprattutto «una perfetta familiarità con il pensiero generale del mio libro».

Ulteriore elementi che rendono problematico un parallelismo tra la filosofia della musica di
Schopenhauer e il musikdrama wagneriano è ben evidenziato da Massimo Cacciari, il
quale, in relazione a ciò, evidenzia come l’utilizzo del leitmotiv, interpretato come processo
di ricordo nel suo senso etimologico (re-cor-dare, riportare al centro dell’attenzione) degli
elementi costituitivi del dramma “nel corso stesso del succedersi degli eventi” costituisca
un punto di criticità: “Schopenhauer concepisce la tragedia come puro evento, l’evento
della decisione irrevocabile. Nessuna successione, nessuna narrazione, nessun mythein
la caratterizzano, bensì l’immagine di ciò che spezza ogni intenzione, ogni anelito, ogni
desiderio di vita. Questa è la forza del dran, del fare tragico, di cui la concezione usuale
del dramma, nella sua immanente temporalità, è completo tradimento.” Il dran
schopenhaueriano è, dunque, assolutamente de-ciso da ogni elemento che contribuisca a
riportarlo sui binari del sensibile e del temporale, dell’immanente qui ed ora, non mira alla
ricerca di un divenire, in quanto è “mondo compiuto in sé, metafisicamente deciso da ogni
discorrere”.
[M. Cacciari, Schweigender Bote; in Note sul rapporto Schopenhauer-Wagner]

Dopo aver doverosamente messo in chiaro innegabili differenze tra le due concezioni, è
necessario indicarne i numerosi punti di contatto: nel 1854, Wagner leggeva a Zurigo Il
mondo come volontà e rappresentazione e iniziava conseguentemente la composizione di
Tristan und Isolde, che, considerandone il significato a un livello di lettura più profondo,
risulta essere del tutto rispondente al sistema filosofico schopenhaueriano: i protagonisti di
narrazioni mitiche, quali sono i personaggi wagneriani, sono spinti all’azione da una
Volontà primigenia e giungono a trascendere la sfera umana per iscriversi nel moto
universale. L’opera di Wagner, dunque, più che rispondere alle esigenze prettamente
musicali di Schopenhauer, ne ricrea in musica l’impianto metafisico, puntando ad una
messa in scena di eventi che richiamano le forze primordiali che governano il mondo.

La relazione tra i due emerge anche da un’attenta analisi del testo del brano qui
presentato, intonato nel finale dell’opera da una Isotta post-trasfigurazione, (Nel flusso
ondeggiante, / nell’armonia risonante, / nello del respiro del mondo – / spirante universo /
del respiro del mondo – / annegare, / inabissarmi – / senza / coscienza – / suprema
voluttà!): la protagonista si abbandona all’annullamento della propria Coscienza e al suo
ricongiungimento con l’amato in un Tutto successivo all’inesorabile e necessario
acquietamento nel Sonno e nella Morte. L’unica possibilità di fuga dalla realtà ingannevole
risulta, dunque, essere la rinuncia, l’autonegazione ascetica della volontà di vivere – la
noluntas – e, in ultima istanza, la morte. 


Nel sistema poetico di Tristan, inoltre, l’opposizione fra mondo della ‘rappresentazione’ e
anelito al ricongiungimento nell’unità dell’Essere sarebbe espresso anche
dall’opposizione giorno/notte, ripresa dalla lettura del primo romanticismo tedesco (si
vedano a proposito gli Inni alla notte di Novalis): il giorno è inteso come mondo di
finzione, in cui la vita è fatta di falsità e convenzioni, mentre la notte è la porta attraverso
cui giungere alla Verità. 

Esempio significativo è il duetto dei due protagonisti del II atto, di cui si riportano alcuni
estratti:

Tristano:


“Quel che ti circondava nel mio capo e nella mia fronte,
con sublime luce, la vana voluttà
lo splendore della gloria, dei suoi raggi
il potere della fama – è entrato sin nel forziere
un tale miraggio m’impedì più profondo del cuore.
di porre in lei il mio cuore. Quel che là nella casta notte

Il sole luminoso vegliava cupamente richiuso,

degli onori del mondo, quel che, senza sapere e pensarci,

che col più chiaro splendore oscuramente concepii – 

del suo riflesso un’immagine, che i miei occhi 

illuminò a giorno non osavano osservare,
il mio capo e la mia fronte – ferita dalla luce del giorno –
il sole è penetrato mi si rivelò scintillante.”

Isotta:

“Ingannata da lui
 l’unico fedelmente amato



che t’ha ingannato!
 sparve agli sguardi d’amore

come potevo soffrire
 e quale nemico s’erse dinnanzi a me! Alla
d’amore per te
 luce del giorno,

che ti mostrava a me

che, nel falso

qual traditore,

splendore del giorno,
 io volli sfuggire,

preso dall’inganno
 trascinarti con me

del suo lucore,
 laggiù nella notte,

là dove amore
 dove il mio cuor mi prometteva

ardente ti cinse,
 la fine dell’errore;

dove svanirebbe la follia

nel profondo del cuore

del presentito inganno;

franca io odiai.
 là a bere con te

Ah, nel fondo del cuore
 l’eterna Minne,

come dolorava profonda la ferita! 
 con te unita

Chi là segretamente celai,
 mi volli votare alla morte.”
come mi parve malvagio

quando, nello splendore del giorno,

Significativo è poi il finale del loro duetto, in quanto alle parole 



“allora son io
stesso/a il mondo:
trama eletta di voluttà,
vita santissima d’amore,
del mai più destarsi
luminosa,
dolcemente consapevole brama.”

intonate da entrambi, che incarnano perfettamente la visione wagneriana, corrisponde


l’introduzione scelta da Liszt per la sua trascrizione.
Quello di Tristan e di Isolde è fin dall’inizio un’amore destinato alla sua sublimazione nella
morte, un acquietamento concettuale e ontologico, non una passione reciproca
irrealizzabile dalla tragica conclusione in quanto ostacolata da norme sociali e logiche di
corte.


La questione del filtro d’amore è uno degli elementi che meglio incarnano questa
interpretazione, dato che non assume i caratteri di un semplice espediente per risolvere
l’intreccio della vicenda, ma è caricato di grande importanza simbolica: Amore e Morte,
ἔρως e θάνατος, si compenetrano, si sostituiscono e, di fatto, giungono a essere un’unica
entità nella finale Verklärung; bevendo il filtro di morte i due divengono ‘consacrati alla
notte’, ossia alla morte stessa.
L’amore, apparentemente suprema esplicitazione della volontà alla vita, in Tristan si
rivolge contro il proprio stesso principio e si esprime come disperata volontà di non-volere,
di inabissarsi Durch des todes tor (“attraverso la porta della morte”).

Wagner e Liszt, Wagner-Liszt

L’importanza di Franz Liszt nella vita di Wagner rappresenta una relazione di influenza-
collaborazione forse senza precedenti: come compositore, il pionierismo armonico e
motivico di Liszt (soprattutto considerando i suoi poemi sinfonici) ebbe una grandissima
influenza sullo sviluppo del Wagner degli anni ’50. Inoltre, Liszt fu uno dei principali fautori
della diffusione delle sue composizioni e, inoltre, lo assistette durante le sue note crisi
finanziarie.

Furono proprio le trascrizioni per pianoforte solo di Liszt a far raggiungere al grande
pubblico i drammi musicali di Wagner, anche al di fuori del teatro. Egli si occupò, in effetti,
anche di altri compositori come Verdi, Rossini, Gounod, Donizetti, Auber e Meyerbeer, ma
non si dedicò loro con la frequenza con la quale lavorò alle opere di Wagner. Tra il 1847 e
il 1883 terminò ben 15 trascrizioni per pianoforte di estratti di molti dei suoi drammi, da
Rienzi a Parsifal. Inoltre conosceva bene il Tristano molto prima della sua première, in
quanto ne aveva seguito la composizione dal ’57 al ’59 tramite carteggio epistolare con
Wagner.

Il loro rapporto di reciproca stima nacque nel 1840 quando si incontrarono a Parigi: Liszt
era già uno dei pianisti più acclamati d’Europa mentre Wagner era ancora agli esordi e si
guadagnava da vivere preparando trascrizioni.

Di certo questi non era reticente nell’esplicitare la sua gratitudine e la sua riconoscenza
per l’amico e mentore, di cui disse in occasione di un banchetto tra numerosi amici (non
senza una tipica nota autocelebrativa sottotraccia):

«Qui si trova colui che, per primo, mi ha sostenuto con la sua fede quando nessuno
ancora sapeva nulla di me, e senza il quale oggi forse non avreste ascoltato una sola nota
scritta da me».

[Bayreuth, 17 agosto 1876]

Il pianista ungherese aveva grandissima stima di Wagner, riconoscendone il valore


teoretico e il potere che la sua musica «esercita sui cuori risvegliandovi tutta la gamma
dei sentimenti umani, la rende capace di incitare le nostre idee, di rivolgersi al nostro
pensiero, di far appello alla nostra riflessione... Le sue melodie sono in qualche modo
personificazioni di idee; il loro ritorno annuncia quei sentimenti che le parole dette non
indicano mai esplicitamente». Inoltre, Liszt considerava il Wagner librettista «poeta quanto
musicista». Scrive Liszt: «Il genio di questo compositore gli consente di scrivere da sé il
libretto delle sue opere e di essere al tempo stesso il poeta della sua musica e il musicista
della sua poesia».

[Quando Liszt esaltava lo sconosciuto Wagner, di Mattia Rossi - Il Giornale, 28/07/2016]

La famosa scena finale di Isotta, qui proposta in analisi, era già stata estratta da Wagner,
che la diresse in prima persona insieme al preludio dell’opera in una versione da concerto
in numerose esecuzioni dal 1863 in poi. Anche Liszt scelse questa scena e la trascrisse
per pianoforte, pubblicandola poi nel 1868.
Considerazioni sul testo

Mild und leise


Dolce e lieve,

wie er lächelt,
come sorride,

wie das Auge
come l’occhio

hold er öffnet ---


– incantevole egli apre –

seht ihr's Freunde?
vedete, amici?

Seht ihr's nicht?


Forse non lo vedete?

Immer lichter
Sempre più luminoso

wie er leuchtet,
come risplende,

stern-umstrahlet
raggiante quasi stella,

hoch sich hebt?
in alto si leva?

Seht ihr's nicht?
Non lo vedete?

Wie das Herz ihm
Come il suo cuore ardito si gonfia,

mutig schwillt,
colmo e sublime

voll und hehr
nel petto gli zampilla?

im Busen ihm quillt?
Come dalle sue labbra

Wie den Lippen,
tenere e soavi

wonnig mild,
un dolce respiro

süsser Atem
- molle s’effonde –

sanft entweht ---
Amici! Vedete!

Freunde! Seht!
Non lo sentite? Non lo vedete?

Fühlt und seht ihr's nicht?
O forse io sola odo

Hör ich nur
questa melodia,

diese Weise,
che sì mirabile,

die so wunder-
sì soave,

voll und leise,
dolente per voluttà,

Wonne klagend,
tutto esprimendo,

alles sagend,
soavemente conciliante

mild versöhnend
da lui riverberando,

aus ihm tönend,
penetra in me,

in mich dringet,
in alto si lancia,

auf sich schwinget,
dolcemente echeggiando

hold erhallend
risuona a me d’intorno?

um mich klinget?
Più chiare risuonando,

Heller schallend,
fluttuandomi appresso,

mich umwallend,
son forse onde

sind es Wellen
di teneri zefiri?

sanfter Lüfte?
Son forse onde

Sind es Wogen
di voluttuosi vapori?

wonniger Düfte?
Mentre si gonfiano,

Wie sie schwellen,
mi sussurrano intorno,

mich umrauschen,
devo respirarle?

soll ich atmen,
devo ascoltarle?

soll ich lauschen?
Devo aspirarle?

Soll ich schlürfen,
in esse svanire?

untertauchen?
Dolcemente

Süss in Düften
nei vapori esalare?

mich verhauchen?
Nel flusso ondeggiante,

In dem wogenden Schwall,
nell’armonia risonante,

in dem tönenden Schall,
nello del respiro del mondo –

in des Welt-Atems
spirante universo

wehendem All ---
del respiro del mondo –

ertrinken,
annegare,

versinken ---
inabissarmi –

unbewusst ---
senza coscienza –

höchste Lust! suprema voluttà!

Isotta riesce a riabbracciare per l’ultima volta l’amato Tristano appena prima che
quest’ultimo muoia in seguito alle ferite dello scontro con Melot, cortigiano di re Marke. La
donna, prima di abbandonarsi alla morte per il dolore di aver assistito alla morte del suo
amato, eleva un ultimo canto per poi abbandonarsi senza vita sul corpo di Tristano.
Quest’ultimo estratto si innesta senza soluzione di continuità sulle vicende precedenti e
funge in un certo senso da commento della vicenda, in modo simile a ciò che sarebbe
potuto avvenire in uno stasimo di una tragedia di tradizione arcaica greca: si differenzia,
però, per la sua importanza narrativa, visto che la protagonista perde la vita al termine del
suo monologo.

Il testo appare concettualmente diviso in due diverse situazioni: il punto di svolta si


individua nel verso Hör ich nur / diese Weise (O forse io sola odo / questa melodia), che fa
avvertire un punto di svolta psicologica in Isotta, la realizzazione del fatto che ciò che le
resta è abbandonarsi alla perdita di coscienza, alla morte. Se prima si trovava in uno stato
allucinatorio, in base al quale percepiva ancora il battere del cuore di Tristano, vedeva
ancora i suoi occhi aprirsi e sentiva ancora il suo respiro, in quel preciso momento prende
coscienza del fatto che le sue percezioni non erano reale, ma frutto di un respiro del
mondo (Welt-Atems), una sorta di Tutto a cui abbandonarsi priva di coscienza.

È interessante notare come l’autore sia molto preciso nel descrivere l’aspetto percettivo di
Isotta, insistendo su diversi sensi in una sorta di percorso di introiezione della sensazione
e di un suo conseguente obnubilamento: inizialmente la vista (in relazione all’occhio di
Tristano e al movimento del suo cuore nel petto), il senso schiavo della luce e del giorno,
per questo considerato ingannevole; successivamente l’udito (in relazione alla melodia)
che, come si è detto a riguardo della filosofia della musica Schopenhaueriana, permette,
tramite la musica, di potersi relazionare con la Volontà e liberarsi della schiavitù della
rappresentazione; infine si giunge a una più vaga e indistinta percezione di un respiro, di
vapori esalati per arrivare, al termine del suo percorso di trasfigurazione, a un
inabissamento privo di coscienza.

Analisi della composizione

Caratteristiche generali del linguaggio musicale

Una delle prime associazioni di idee che si affacciano alla mente facendo riferimento alla
produzione wagneriana è la sensazione di instabilità continua e la mancanza di certezze
armoniche, elemento caratteristico la cui causa viene fatta risalire alla presenza di
cadenze “di inganno” e al cromatismo. In effetti entrambe sono caratteristiche peculiari
dello stile wagneriano, ma spesso si cade nell’errore di pensare che l’importanza storico-
musicale di Wagner risieda unicamente nel fatto di averli introdotti nel repertorio
linguistico e sintattico musicale dell’epoca. In realtà tali mezzi sono normalmente
impiegati in una fase elaborativa d’epoca classica e solo in parte spiegano il motivo della
sensazione della così caratteristica continua sospensione che trasmette l’ascolto della
musica di Wagner. La novità risiede nell’uso che ne viene fatto, in quanto se l’instabilità
tonale di uno sviluppo di tradizione classica era bilanciata dalla stabilità tonale della fase
espositiva e, in misura ancor maggiore, dalla ripresa, così come in ambito operistico alla
fase dinamica della scena corrispondeva la fase statica dell’aria d’opera, in Wagner tutto
ciò è sbilanciato verso la tensione e la sospensione tonale, creando un contesto sonoro
privo di un centro gravitativo tonale a cui fare riferimento. Si può dire dunque che il
contesto compositivo in cui si muove Wagner sia quello tipico di una fase elaborativa, ma
senza il bilanciamento stabilizzante di una certezza armonica e/o fraseologica come
quella tipica dell’esposizione. Si ha, inoltre, un vero e proprio rovesciamento delle variabili
tonali: se in precedenza le risoluzioni con forza centrifuga erano utilizzate per conferire
imprevedibili colori armonici o sorprendenti e improvvisi strappi alla stabilità tonale, nel
linguaggio wagneriano la risoluzione centripeta è percepita come elemento inaspettato e
speciale o, comunque, dotata di particolare significato.

Esempio significativo è il finale del brano in analisi, in cui il leitmotiv del filtro d’amore
trova risoluzione consonante e tonicale su Si maggiore dopo essere stato caratterizzato
per l’intero dramma da una cadenza sospesa:

Analisi strutturale

Considerando le premesse teoriche, tra cui gli scritti di Wagner stesso, è inevitabile
aspettarsi una composizione assolutamente sciolta dalla forma di aria (sia essa col da
capo, bipartita, monopartita, né tantomeno rispondente alle caratteristiche della solita
forma tipica dell’opera italiana contemporanea) o di recitativo. Il brano, che inizia con
un’introduzione di 4 misure, estratte, come si è già detto, dal II atto procede, infatti, in una
scrittura fluida e durchkomponiert, con numerose idee motiviche, immerse in sempre
differenti scritture orchestrali e, conseguentemente, pianistiche.

La composizione si può concettualmente dividere in due principali situazioni, escludendo


l’introduzione: una prima unità semantica da misura 5 a misura 47 e una seconda da 48 a
83 (fine della composizione). Se la prima è costruita, come poi si dirà più distesamente,
su un’armonia senza centro tonale ben definito e caratterizzata dalla presenza di un unico
spunto tematico, esposto già nelle prime battute, la seconda gravita (certamente con
orbite molto larghe e imprevedibili) tonalmente intorno alla regione di si maggiore e
sviluppa l’idea tematica di misura 48, la quale viene dedotta, in realtà, dalla sezione
precedente (misura 21). Se la seconda fase trova maggiore unità, la prima, al contrario, è
suddivisibile ulteriormente in 6 sezioni, che sarebbe forzato individuare come blocchi
formali, sia per motivi di presupposti teorici che per effettiva mancanza di nette cesure
formali entro cui definire la valenza di ciascuna parte.

È pur vero, comunque, che nella prima unità del brano è possibile individuare la principale
variabile entro cui definire una sorta di successione episodica, ovvero la forma e le
caratteristiche che assume la scrittura pianistica (chiaramente derivante dalla scrittura
orchestrale) e, dunque, la differente declinazione del motivo in diverse situazioni musicali
e unità fraseologiche.

Si ha quindi una iniziale situazione di successione di sezioni musicalmente e


semanticamente in parte conchiuse:
A. Da misura 5 a misura 15

La scrittura pianistica è caratterizzata dal continuo sostegno armonico di tremoli, prima
affidati prevalentemente alla mano sinistra e poi, da 13, alla destra

B. Da misura 16 a misura 21



l’accompagnamento ha uno sviluppo in movimenti di semicrome che alternano ritmo
binario e ternario

C. Da misura 22 a misura 29



Il motivo viene messo in dialogo antecedente-conseguente con un nuovo elemento
melodico; le semicrome hanno ulteriore sviluppo, divenendo un movimento continuo
per quartine
D. Da misura 30 a misura 32 

sezione di passaggio, caratterizzata dal ritorno dei tremoli; il motivo è sottoposto a
variazione melodica

E. Da misura 33 a misura 38



ricompare il motivo nella sua conformazione melodica originale, accompagnamento di
accordi alternati tra destra e sinistra

F. Da misura 38 a misura 42



viene riproposto solo il conseguente della sezione C, messo in dialogo tra le due mani
G. Da misura 42 a misura 47

è possibile sovrapporlo con la sezione D, visto il riproporsi dei tremoli e del medesimo
disegno melodico


Trattamento dell’armonia

Uno dei trattamenti armonici più insoliti e innovativi è l’uso che Wagner fa del secondo
rivolto: se nell’armonia classica veniva utilizzato 

- come appoggiatura o ritardo in fase cadenzale (cadenza composta)

- come agglomerato armonico di volta 

- come movimento di passaggio 

in Wagner esso viene posto all’inizio del frammento tematico.

Non sarebbe assolutamente un dato innovativo il fatto che un brano abbia inizio con una
funzione armonica non tonicale (basti pensare all’introduzione della Prima Sinfonia di
Beethoven, che inizia con un accordo di settima di dominante, ma gli esempi sono
numerosissimi). La novità risiede, infatti, non tanto nella qualità della funzione armonica,
quanto invece nel tipo di rivolto e, di conseguenza, nel tipo di effetto che si percepisce: il
brano avrebbe potuto iniziare con una tonica in stato fondamentale, ma sicuramente
avrebbe perso l’effetto di continua pro-gressione e il clima di attesa insito nella mancanza
di stabilità del secondo rivolto.

È pur vero che il frammento potrebbe essere interpretato, facendo riferimento alla
casistica dell’uso tradizionale dell’accordo di quarta e sesta, come un’appoggiatura
cadenzale: la differenza, però, è notevole e risiede nel fatto che, all’ascolto, una
dominante in secondo rivolto in una cadenza composta ha un ambito tonale ben definito
ed è quindi chiaramente interpretabile; una quarta e sesta come la presente ha una
sensazione di indeterminatezza tonale indiscutibilmente maggiore in quanto non ha
preparazione alcuna.

La prima sezione si caratterizza anche per il fatto non avere un centro tonale definito,
anche a fronte di una direzione armonica continua e insoluta sulla dominante: ogni battuta,
infatti, termina con un accordo che si fa portatore di tale funzione

- a 5 D di Lab

- a 6 D di Mib 

- a 7 D di Dob 

- a 8 D di Fa#

- a 9 D di Re

- a 10 D di Fa
- a 11 D (VII6) di Lab

- a 12 D di Solb 

- a 13 D di Sol 

- a 14 D di Mib 


Tale caratteristica è riconducibile al clima di attesa, di trepidazione e di incertezza di cui


Wagner vuole caricare il brano.

La fine di misura 15, in seguito al procedimento enarmonico per cui il la bemolle viene
scritto come sol diesis, vede a sorpresa un accordo di II grado con la settima in primo
rivolto in preparazione alla modulazione verso Si maggiore, tonalità che apre la sezione
successiva.

Si può dire, quindi, che la prima sezione non trova alcuna conclusione armonica in una
situazione di stabilità né in articolazioni interne, vista la costante presenza della cadenza
sospesa, né nella macro-articolazione formale, ancora più indeterminata, forse, da una
situazione armonica totalmente indefinita, comprensibile unicamente a posteriori, in
questo caso con l’inizio della sezione successiva.

La sezione successiva ripropone lo schema armonico dell’inizio del brano: è mantenuto il


pedale di dominante che risolve inaspettatamente con una relazione di terza minore,
passando quindi dalla regione armonica di si maggiore a quella di re maggiore, tonica che
sembra essere confermata dalla sua dominante in secondo rivolto. Quest’ultima trova
però risoluzione di inganno con un movimento cromatico su una nuova dominante di sol
maggiore. Se inizialmente le due semifrasi di due battute erano semplicemente accostate
senza essere messe in relazione in nessun modo, in questa sezione esse sono collegate
tonalmente (vi è una relazione D/D —> D) e melodicamente (passaggio cromatico nella
sinistra), sacrificando in una certa misura l’effetto-sorpresa dato dalla totale lontananza
delle tonalità giustapposte (Si bemolle - Do bemolle/Si maggiore) a favore di una maggior
continuità del discorso armonico. La settima di dominante di sol, su cui il secondo rivolto
risolve tradizionalmente, trova nuovamente risoluzione cromatica evitata su mi maggiore.

Successivamente si apre un grande arco tensivo T —> D in mi maggiore, il cui basso ha


un movimento per gradi congiunti, che tradizionalmente sarebbe potuto essere stato
realizzato come I - VII6 - I6 - IV o II6 - #IV o V/V - V, mentre da Wagner è risolto in modo
sorprendente: dal I grado ci si sposta su un II con la settima, a cui segue una sorta di
cadenza evitata V9 - VI di do diesis minore (VI grado di mi), ma il VI di risoluzione viene
sostituito da un IV grado, il quale diventa a fine misura un II56 prima del VII7/V - V9. È
impressionante l’uso esasperato che Wagner fa del cromatismo: in queste 6 misure si
contano ben 47 intervalli di semitono cromatico. 


Si potrebbe pensare, visto il tipo di movimento macro-tensivo, che le misure 19-20-21


siano un’espansione armonica della misura iniziale. 

Volendo quindi schematizzare il percorso armonico:

II7 V/VI VI #IV7 #IV 7

VI #IV
I V

La tensione dominantica di fine sezione non viene in alcun modo sciolta con l’inizio della
successiva, la quale, riprendendo il tipo di armonizzazione fin qui utilizzato in larga misura,
inizia con una nuova dominante (in mi maggiore) in secondo rivolto.
La presente sezione è costruita, come già anticipato, dall’alternanza di due elementi che
assumono caratteri diametralmente opposti: armonicamente parlando, l’antecedente
(misura 22 e simili) si caratterizza per una scansione chiara ed intellegibile, con pochi ma
significativi cambi accordali (indicati dalla freccia nell’esempio), quasi tutti inquadrabili
nell’ambito di tensioni tonica —> dominante e viceversa; il conseguente (misura 23 e
simili), al contrario, è caratterizzata da un’armonia articolata, involuta e non tradizionale,
con agglomerati armonici (spesso derivanti da movimenti melodici) complessi e
difficilmente giustificabili in un percorso armonico lineare.

ANTECEDENTE CONSEGUENTE

Seguono poi 3 battute di transizione, che portano il discorso da una situazione di


dominante a una di tonica (fa diesis). Come avveniva nelle misure 19-21, il basso è
costituito da una linea relativamente tradizionale, questa volta costituita da semitoni
cromatici discendenti che Wagner realizza in modo imprevedibile: potrebbero essere
interpretati come lo sviluppo di una catena di dominanti, in quanto tutti gli accordi di questa
sezione afferiscono a tale funzione armonica. Ciò che lascia l’ascoltatore con il fiato
sospeso è però lo specifico tipo di accordi che l’autore sceglie per realizzare tali funzioni:
utilizza, infatti, inizialmente una concatenazione di rivolti di settime di sensibile (misura 30),
per passare poi a una settima diminuita che risolve su una settima di dominante (31) fino a
una settima di dominante in primo rivolto, che cromaticamente diventa una settima
diminuita e, con il cromatismo del basso, sesta tedesca. La nota interessante è la
reminiscenza del cosiddetto tema del filtro d’amore, presentato nel Preludio dell’atto I. Il
leitmotiv non viene citato esattamente nella sua forma originale, in quanto trova
un’armonizzazione diversa per il primo accordo: non è più utilizzato, infatti, il celebre
accordo del Tristano, sostituito da una settima diminuita, la quale comunque risolve, come
nel Preludio, su una settima di dominante tramite la discesa cromatica di semitono frigio.

R. Wagner, Tristan und Isolde, Preludio atto I Wagner-Liszt, Isoldens Liebestod, batt. 31

Chiaramente i due frammenti sono da inquadrarsi in due contesti compositivi


completamente diversi: se nel Preludio la situazione musicale era di totale sospensione,
visto l’utilizzo di pochissimi strumenti, il tipo di tensioni armoniche e la loro dissoluzione nel
silenzio, i lunghi valori affidati a strumenti soli, senza alcun tipo di riempimento orchestrale,
in questa sezione della Morte di Isotta esso si trova in una situazione di concitazione, con
tensioni armoniche differenti, risolte in nuove dissonanze, in un momento in cui suona
gran parte dell’orchestra che sostiene valori molto meno dilatati nel tempo.

Nella successiva sezione viene riproposto lo spunto tematico che, mantenendo l’idea
armonica iniziale, è costruito su un pedale di dominante, in questo caso di Si maggiore. A
misura 34 l’armonia si sposta sulla settima di dominante del IV grado (Mi), la quale, con un
passaggio cromatico del basso, diventa una sesta eccedente (interpretando
enarmonicamente il mi# come fa naturale). La risoluzione naturale su mi viene evitata,
mentre si raggiunge a sorpresa il II grado (Do diesis minore), confermato dalla sua
cadenza perfetta a 35 - 36. Il discorso si sposta poi sulla dominante del III, la quale, però,
a sorpresa risolve sul I grado (si maggiore) in primo rivolto dopo una sincope armonica
con un effetto molto forte, visto il precedente schema di successioni armoniche, che
vedevano un cambio accordale ad ogni inizio misura.
Tensivamente parlando, questa sezione si configura quindi come la risoluzione di una
lunga tensione dominantica, che giunge alla tonica dopo aver toccato gradi con
scarsissima forza tonalmente centripeta: il IV, il II e il VI


IV II VI V/III
V I6

Successivamente inizia una sezione caratterizzata da una progressione discendente di


tono, il cui modello vede una settima di sensibile in II rivolto, che risolve su una tonica in I
rivolto con il ritardo della quarta sulla terza: partendo dal VII grado rivoltato di sol,
progressivamente la discesa tocca la tonalità di Mib (da interpretarsi enarmonicamente).

Si apre, poi, una sezione di passaggio, il cui basso procede secondo un movimento
cromaticamente discendente e viene armonizzato con una catena di funzioni
dominantiche: il V di Sol# risolve inaspettatamente su una settima di sensibile di Lab, la
quale passa a una settima diminuita di Fa, per poi avere un V7 di Lab, un V56 di Mi, un V46
di Fa# maggiore, V7 - 42 di Mib per arrivare alla dominante con la settima di Si.

La risoluzione della dominante viene disattesa dal IV grado che vede il ritardo della sesta
sulla quinta. Questo (parziale) punto apicale vede la discrasia tra l’apex melodico e quello
armonico: se, infatti, ci si aspetterebbe la massima tensione a inizio battuta, dove la
melodia ha la sua nota più acuta, in realtà (come suggerisce il segno di marcato) essa si
ritrova sul secondo movimento della misura. Ciò trova spiegazione nel fatto che il vero
punto apicale si ritrova più tardi, a misura 65, dove le due variabili (armonia e melodia)
trovano unità di intenti.
Il frammento si configura armonicamente come una sorta di cadenza composta in si
maggiore, in quanto, da inizio misura, si trovano una funzione di sottodominante (IV), una
di dominante (VII7) e una di tonica (I6), a cui segue una tonica con la quinta eccedente,
che porta di nuovo al IV grado della misura successiva.

Da misura 51 si apre poi un lungo arco armonicamente instabile, che, dopo aver
confermato la tonalità di si maggiore (a misura 51, con il movimento V43 - I6) si sposta sul II
grado (do# minore, introdotto dal suo VII grado a fine di misura 52), per passare alla
dominante del III grado (re# minore, di cui si trova il movimento V7 - 64 - 7) prima di arrivare
al IV, il quale, tramite discesa cromatica del basso, forma una sesta tedesca che introduce
il lungo pedale di dominante di 6 misure (59 - 64)

Il vero e proprio punto culminante della vicenda si ha, come si diceva, a misura 65, dove la
riproposizione del frammento di misura 48 trova un’armonizzazione più dilatata, con cambi
accordali di una misura e di funzioni sottodominante-tonica, in un certo senso mascherate
e pateticamente caratterizzate dalle appoggiature di inizio misura.

Successivamente all’ultima riproposizione del frammento di misura 65, l’ultima, finale,


perorazione è costruita sulla dilatazione di una cadenza plagale IV - I: la sottodominante
viene prolungata per 5 misure, con un cambio coloristico maggiore-minore a misura 72, in
seguito al quale si trova la risoluzione su un pedale di tonica, su cui viene costruito l’ultimo
percorso armonico che arriva alla finale pacificazione sul consonante si maggiore. La
scelta dell’utilizzo della cadenza plagale nel finale del dramma, considerando anche il
contesto semantico e filosofico dell’opera, potrebbe essere un rimando all’utilizzo che la
tradizione ha fatto di tale concatenazione: essa veniva, infatti, utilizzata in larga misura per
l’armonizzazione della parola amen nel finale di una composizione liturgica, motivo per cui
si potrebbe supporre che la finale trasfigurazione di carattere mistico, in cui Isotta trova la
pace in un Assoluto, possa essere in qualche modo suggellata da un evangelico γένοιτο
(così sia).

Melodia e ritmo

Il motivo iniziale è caratterizzato da grande semplicità per quanto riguarda entrambe le


variabili di disegno melodico e ritmo: si muove nell’ambito di una quinta giusta ed è
presente una sola nota estranea all’armonia (la croma di la bemolle nella seconda misura),
mentre ritmicamente si configura come una serie di semiminime, con una sola croma di
passaggio.

Tale semplicità è del tutto rispondente all’esigenza di un elemento melodico comunque


riconoscibile, anche a fronte di un tessuto armonico e sonoro molto complesso: il motivo
rimane, come già si diceva, infatti, filo conduttore della composizione, nonostante subisca
spostamenti di registro, radicali cambiamenti nel tipo di accompagnamento e diverse
armonizzazioni.

Una sorta di esposizione avviene, dopo l’introduzione, nelle prime due coppie di due
misure, in cui il motivo viene presentato per intero due volte. Già a misura 9 esso ha una
prima variazione: esso subisce contrazione, in conseguenza della quale viene mantenuta
solo la prima misura e, al contempo, la lunga legatura di frase viene spezzata, lasciando
spazio a una coppia di legature a due.

A B A A

Considerando il percorso di questa prima sezione è comprensibile come anche la


contrazione melodica risponda all’esigenza di creare uno stato emotivo-musicale di
apprensione.
Inoltre, il motivo viene inserito in un percorso melodico progressivamente ascendente: da
misura 5, in cui parte dal mi bemolle del terzo spazio in chiave di basso, si arriva al la
bemolle del secondo spazio in chiave di violino.
Da misura 13 esso viene variato melodicamente, in quanto il disegno melodico assume la

forma di una successione di gradi congiunti, mentre ritmicamente avviene un’ulteriore

contrazione: se inizialmente lo schema ritmico era


con la successiva contrazione esso diventa

Ulteriore elemento interpretabile alla luce della costruzione direzionale della sezione è lo
schema fraseologico utilizzato: se inizialmente (misure 5-6 e 7-8) il tema era di due
battute, legate da un unica legatura-arcata, a misure 9 e 10 ne viene riproposta solo la

5-6 7-8 9 10 11

11 - 12
testa con una legatura a 2. Il tema viene poi messo in una scrittura che ricorda vagamente
gli stretti, con entrate progressivamente sempre più ravvicinate tra di loro a misura 11 - 12.

Le misure 13 - 14 sono le prime ad allontanarsi dalla rigida riproposizione tematica, in
quanto ne viene mantenuta solo l’idea ritmica, mentre gli intervalli vengono ristretti: è
come se i 5 gradi congiunti della sezione dei violoncelli, trasposti da Liszt alla mano
sinistra, fossero un modo per preparare e amplificare l’effetto del salto di settima minore
del punto apicale di misura 15, simile al ritirarsi delle acque prima della grande onda a cui
l’autore si abbandona con l’ampio movimento di arpeggi della mano sinistra.

In conclusione, la prima sezione potrebbe essere visualizzata in un cono rovesciato, in cui


ogni variabile tende al punto apicale di misura 15.

Procedendo con la seconda sezione, si può notare come essa possa essere a sua volta
suddivisibile in due coppie da tre misure: nelle prime 3 (16 - 18) ritmo e disegno melodico
sono ripresi da misura 9; nelle successive 3 il motivo ha uno sviluppo melodico, con respiri
da una battuta intera e valori ritmici più brevi.
Ciò è giustificabile facendo riferimento alla differente caratterizzazione armonica dei due
frammenti, di cui si è parlato precedentemente: se inizialmente viene riproposto il
medesimo schema armonico, da misura 19 si apre un ampio arco tensivo, caratteristica
che si riflette anche sull’allungamento del respiro melodico e permette una maggior
ricchezza della linea melodica.

La successiva sezione, come già si era detto in relazione all’armonizzazione, vede


l’utilizzo di due elementi melodico-ritmici con differenti caratteristiche: all’antecedente,
caratterizzato da un ritmo inesorabile e identico, che scandisce tutti e 4 i movimenti della
misura e con due tipi di intervalli (quarta giusta ascendente e grado congiunto
discendente), segue un conseguente, totalmente differente in ogni variabile, vista la
complessità ritmica e l’utilizzo di numerosi intervalli differenti.

In seguito, nelle 3 misure di transizione, la linea melodica è inscrivibile in un processo


elaborativo utile al passaggio graduale tra il motivo iniziale e il motivo del filtro d’amore: il
disegno melodico di misura 30 è molto simile all’inizio, in quanto solamente il do# che ci si
sarebbe aspettati viene sostituito dal la#, in modo tale che il passaggio ai 4 gradi congiunti
cromatici ascendenti del leitmotiv del filtro d’amore risultasse più graduale. Lo stesso
processo (alla medesima nota) subisce la scansione ritmica: al precedente schema di 4
semiminime, il la# viene variato in una croma, allungando con un punto il sol# precedente,
in modo tale da renderlo identico al ritmo della misura successiva.

Il tema viene riproposto nelle prime 2 misure. Subito, però, viene sottoposto a uno
sviluppo melodico, che si concretizza in:

- Modificazione dell’ampiezza degli intervalli: a misure 34 al salto di quarta giusta si
sostituisce una sesta minore, a 35 un’ottava, a 36 sesta maggiore, a 37 sesta minore
- Introduzione di nuovo disegno melodico, vista la diversa alternanza di intervalli
ascendenti e discendenti: se nelle prime due misure, come da esposizione, il tema era
organizzato come salita - discesa, da 35 assume la forma di discesa - salita - discesa,
mentre a 37 raggiunge il massimo grado di complessità, vista la presenza di molte più
altezze da collegare. Schematizzando il disegno melodico prendendo in considerazione
unicamente il tipo di intervalli (senza curarsi delle altezze specifiche delle note) si può
notare come il tratto diventi progressivamente più complesso e articolato. 


33 34 35 36 37

Successivamente viene ripreso l’elemento melodico già presentato a misura 23, ma viene
utilizzato come unico elemento melodico e messo in dialogo tra le due mani in una
progressione discendente di tono di 4 misure. Viene comunque mantenuto, nella mano
destra, il movimento discendente di semitono, che è uno degli elementi che fa da filo
conduttore della composizione.

La successiva sezione è confrontabile con le misure 30 - 32, ma fraseologicamente


diventa più complessa: se prima erano solo 3 misure, di cui solo le prime 2 vedevano la
presenza di una vera e propria linea melodica, ora essa si articola in 4 misure sintetizzabili
in uno schema 2+1+1, in cui i profili melodici assumono infatti i seguenti tratti


 42 43 44 45

Si nota, quindi, che la frase è stata sottoposta a contrazione, venendo eliminato il


conseguente, oltretutto carico di significato motivico (è il leitmotiv del filtro d’amore), e
riproponendo una forma abbreviata della prima semifrase: tutto ciò contribuisce a creare
un clima di tensione sempre più crescente e serrata, sottolineata dall’indicazione di
crescendo, che porterà, dopo una transizione molto densa, al primo (parziale) punto
culminante della composizione (misura 48).

Il frammento melodico del primo punto apicale viene derivato strettamente dalla misura 21,
di cui, però, viene invertita la funzione armonica: se in precedenza, infatti, esso si trovava
su un’armonia di VII7, di grande forza drammatica, ora è costruito su un accordo di IV
grado, decisamente meno teso. Viene ripetuto tre volte, come se la musica fosse rimasta
incagliata in tale frammento. Solo alla terza ripetizione il discorso riesce a procedere,
lasciando spazio a una sezione melodicamente e ritmicamente più incerta e fluttuante, che
sviluppa e insiste sulla cellula di fine misura 48 e simili.

Quando il discorso raggiunge la dominante (misura 59), la melodia entra in una sorta di
circolo da cui sembra impossibile uscire: viene ripetuto ossessivamente e ogni volta
retoricamente più carico di pathos il frammento precedente. Ritmicamente, da misura 59
e, similmente, da metà misura 61, la sensazione di crescente affanno viene realizzata
tramite l’utilizzo delle terzine: a un primo inciso di 4 crome, segue un secondo, formato da
due crome e una terzina, a cui segue una coppia di terzine. Tale incremento della densità
è da inquadrarsi nella volontà di creare una sensazione di sempre più crescente
trepidazione per preparare il grande punto apicale ed è forse ancora più evidente nelle
ultime misure che lo precedono (62 - 64), che da quartine di crome sia nella destra che
nella sinistra passano a una successione di terzine proprio prima del battere di misura 65.


Proprio a misura 65, come si diceva, si trova il vero e proprio punto apicale della
composizione, il quale sviluppa ulteriormente la cellula di misura 21 che poi passa a 48: i
valori del primo e del terzo movimento della misura vengono dilatati, aggiungendo con una
legatura di valore alla croma una minima, in modo tale da enfatizzare ancora di più il
senso drammatico del passaggio. Di nuovo, il frammento viene ripetuto 3 volte, l’ultima
delle quali vede la prosecuzione del discorso, che si avvia alla conclusione: dopo il grande
punto culminante, infatti, in modo simile all’esplosione di un palloncino di cui cadono
lentamente a terra i brandelli, la scrittura ha una discesa progressiva per due misure, per
avere un ultimo spostamento verso l’acuto prima della perorazione finale, in cui viene di
nuovo presentato il frammento apicale, con carattere, però, opposto, vista anche
l’indicazione dolcissimo in parte. Il frammento viene inserito in un rallentando scritto, in cui
i valori raddoppiano prima a 76 e poi a 78, dove per l’ultima volta compare il leitmotiv del
filtro d’amore, che trova, come già si diceva, risoluzione su un pacificatorio si maggiore.

Note sulla trascrizione pianistica

L’introduzione è forse la parte in cui Liszt fornisce maggiori indicazioni relative a tocco e
sonorità: 5 accordi sono caratterizzati da 5 indicazioni diverse: ff il primo, sf il secondo,
accentato il terzo, marcato il quarto e il quinto in pp perdendo. L’apice della frase è quindi
individuabile a battuta 3 vista l’indicazione di marcato, che prevede il massimo grado di
intensità drammatica.

La prima esposizione è costruita pianisticamente in modo tale da separare il motivo dal


sostegno armonico: i tremoli affidati in partitura da Wagner agli archi e utilizzati nella
trascrizione pianistica di Liszt, che vuole “ppp, molto scorrevoli e con il maggior numero di
note possibile”, hanno la funzione di eliminare ogni tipo di disturbo ritmico per creare una
fascia sonora omogenea, in modo tale che il motivo risulti assolutamente chiaro ed
intellegibile, vista l’importanza che assume all’interno della composizione intera.

Per la seconda sezione, riportando quasi per intero l’indicazione in partitura, Liszt scrive:
L’accompagnamento sempre molto tranquillo e pianissimo. Evidentemente la volontà del
compositore era quella di mantenere distinti i valori binari e ternari che, in un tempo troppo
rapido, avrebbero potuto confondersi tra loro facendo perdere all’ascoltatore l’effetto,
amplificato dalla mancanza del battere, dell’idea messa in musica del sospiro e del battito
del cuore di Tristano: si crea quindi una situazione ritmica di grande effetto, che alterna
silenzio, duina e terzina, in modo da far emergere ciò che è il testo stesso a suggerire
(Non lo vedete? / Come il suo cuore ardito si gonfia / colmo e sublime / nel petto gli
zampilla? / Come dalle sue labbra / tènere e soavi / un dolce respiro / - molle s’effonde –). 


È significativa, anche se probabilmente obbligata, la scelta di Liszt di dare la precedenza


agli ingressi delle varie voci che presentano lo spunto tematico piuttosto che alla loro
prosecuzione: la prima entrata è dei corni in Mi, divisi e all’ottava, ma la conclusione della
loro linea si perde nelle note della mano sinistra, lasciando spazio al nuovo ingresso dei
clarinetti nella misura successiva. A 18 la melodia è affidata a oboi, clarinetti e viole,
mentre la voce si muove con un ritmo acefalo sulle medesime note. Manca nella
trascrizione il dialogo che Wagner in partitura instaura tra i violini secondi interni ed
esterni. Inizialmente la scrittura segue una sola linea melodica, con un esile sostegno
armonico, il movimento di semicrome della sinistra e il basso. Si fa più sostenuta già da
misura 18, con l’aggiunta di un controcanto nella regione media e la presenza di ottave di
rinforzo nella linea principale, per acquistare la sua completezza all’inizio di misura 19, con
un basso all’ottava inferiore e un sostegno armonico molto più ricco, che si concretizza in
accordi sia nella sinistra che nella destra.

Da misura 22 si presenta un movimento continuo di semicrome, al di sopra del quale si


ripresenta il motivo. In questa sezione la distesa presenza dell’arpeggio ha la funzione di
evitare che la nota superiore venga colpita con eccessiva forza, con un attacco troppo
deciso o che scompaia tra le restanti note dell’accordo: serve, dunque, a isolare la voce
superiore permettendo un maggior controllo dell’attacco del tasto e, inoltre, è funzionale al
controllo di tutte le note, senza che nessuna di esse si perda per la scomodità eccessiva
del passaggio.

Curiosa e significativa è la scelta di Liszt di utilizzare un accompagnamento di accordi


arpeggiati in ritmo sincopato non presente in partitura, dove Wagner inserisce terzine di
semicrome realizzate dall’arpa. La scrittura assume così una forma molto diversa: la scelta
di Liszt potrebbe essere giustificata dall’esigenza di ricreare al pianoforte un suono il più
possibile avvolgente e ricco di armonici come quello dell’orchestra. In questa sezione la
distanza tra la melodia e il basso è molto ampia e la parte orchestrale è molto densa di
strumenti con lunghi valori, difficilmente sostenibili dal pianoforte che per motivi strumentali
non può mantenere un suono così a lungo. Per ovviare a tale problema, considerando
anche il pianissimo indicato in partitura, si serve di un espediente pianistico che
lontanamente ricorda il movimento dell’arpa ed è molto utile al mantenimento di una
sonorità compatta ma allo stesso tempo in pianissimo. 


È chiara la volontà di creare uno schema antecedente - conseguente nella sinistra tra i
due elementi di mezza battuta (accennata a misura 33, ma realizzata pienamente a 34 -
35) vista la diversità delle indicazioni destinate ai due elementi, in termini di:
- articolazione: legato vs portato
- attacco: arpeggiato vs placcato
- regione dello strumento


Lo spunto melodico, come già detto, viene affidato alternativamente alle due mani,
riproducendo pianisticamente una differente destinazione strumentale presente nella
partitura: 

- Quando è alla mano destra riproduce, alternativamente, i I e II violini esterni raddoppiati
all’ottava inferiore dalle I viole; l’arpeggio della sinistra deriva dalla parte dell’arpa
- Quando è alla mano sinistra riproduce la parte dei celli, mentre il semplice controcanto
della mano destra deriva da violini, viole clarinetti e flauti

In questa prima situazione musicale della composizione (5-47) si ritrovano


caratterizzazioni pianistiche generali:
- a un crescendo quasi sempre corrisponde l’allargamento della tessitura: è molto
evidente da misura 11 a 15; da misura 16 a 18; da misura 30 a 32; da misura 42 a 47
- a un crescendo spesso segue un piano/pianissimo improvviso: accade a misure 13, 19,
23 e simili, 33
- Il segno di una corda, che indica l’utilizzo del pedale di sinistra, è presente quasi per
tutta la durata della situazione e serve, in un certo senso, a distinguerla dalla successiva
anche dal punto di vista timbrico: gli unici momenti in cui viene indicato tre corde sono
infatti a misura 15, 32-33 e da 45 in poi

Da misura 46 la tessitura si fa molto più densa, visti il movimento ascendente di accordi


che vengono inseriti in una medesima fascia sonora dalla pedalizzazione voluta da Liszt,
fino al trillo di flauti, corni e violini I (trascritto con terzine di semicrome nella destra,
rinunciando, quindi, alla velocità e al numero delle note a favore di una sonorità più
potente) e al movimento ascendente di celli e contrabbassi, che introducono la seconda
situazione musicale.
Il primo punto apicale vede come riempimenti armonici due movimenti ascendenti (uno per
la prima metà di misura, corrispondente alla prima legatura, e uno per la seconda), a
differenza dell’orchestrazione di Wagner, dove l’arpa ha un movimento a onda: mentre
l’accompagnamento alla seconda legatura, nella parte pianistica, ha un movimento
ascendente, nella partitura orchestrale è discendente.

Successivamente, nella lunga transizione che porterà al vero punto apicale, ricompaiono
gli accordi arpeggiati nella mano destra: ora, però, a differenza di ciò che avveniva in
precedenza, essi non hanno più la funzione di rendere più agevole il controllo dell’attacco
delle note, quanto invece servono a ritardare l’emissione della voce superiore, in modo da
rendere più forte l’effetto dell’appoggiatura inferiore.
Inoltre si instaura un’alternanza tra la mano destra e la sinistra per ogni movimento della
misura: se il battere è scandito dal basso della sinistra, mentre la destra ha la legatura di
valore dalla misura precedente, il secondo movimento ha la sinistra legata mentre la
destra ha l’appoggiatura inferiore arpeggiata, schema che viene mantenuto identico nei
restanti due movimenti della misura. Tutto ciò crea una situazione di instabilità ritmica e
metrica, che rende la sezione, già incerta dal punto di vista armonico, melodico e ritmico,
ancora più fluttuante.


Con il finale punto apicale (misura 65), la scrittura assume il massimo grado di densità: i
pentagrammi diventano 3, di cui il superiore e l’inferiore sono dedicati al riempimento
sonoro e armonico, mentre il centrale al motivo caratteristico della seconda situazione
musicale.
Liszt, come già molte volte altrove, scrive due versioni del passaggio, che, ovviamente,
hanno risultati sonori differenti tra loro: il primo ha una doppia serie di accordi ribattuti, una
nella regione acuta e una nella regione grave, che circondano il motivo, mentre l’altra
(indicata come ossia) mantiene i ribattuti nel basso sostituendo quelli all’acuto con un
arpeggio di sestine di trentaduesimi, riproponendo i ribattuti quando essi raddoppiano il
motivo.
Personalmente opterei per l’ossia, in quanto il crescendo voluto da Liszt risulta più
naturale e rispecchia, in un certo senso, il percorso di allargamento di tessitura che esso
ha sempre avuto nella storia della composizione.

In seguito all’ultima riproposizione del motivo la tessitura gradualmente si fa più rarefatta e


assume i caratteri di lunghi arpeggi, derivanti strettamente dalla parte dell’arpa nella
partitura orchestrale.
Bibliografia
R. Wagner, Musikdrama

Mario Bortolotto, Wagner l’oscuro

Giovanni Bietti, Osservazioni sulla partitura

M. Cacciari, Schweigender Bote; in Note sul rapporto Schopenhauer - Wagner


Mattia Rossi, Quando Liszt esaltava lo sconosciuto Wagner - Il Giornale, 28/07/2016,

DEUMM

Carl Dahlhaus, I drammi musicali di R. Wagner


Diether de La Motte, Manuale di armonia

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