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ISOLDENS LIEBESTOD
Prefazione
Tristan und Isolde è un dramma musicale in tre atti di Richard Wagner, composto dal 1857
al 1859. È erede della tradizione del romanticismo musicale, in particolare dell’opera
romantica tedesca, di cui Weber con il suo Freischütz è principale esponente, e si pone al
centro della riforma operistica wagneriana, rappresentando un capolavoro di assoluta
importanza anche in relazione alle sue conseguenze storico-musicali.
“Ho fatto il progetto di comporre subito «Tristano e Isotta» in dimensioni minori allo scopo
di renderne più facile l’esecuzione [...] spero che un’opera assolutamente adatta ai tempi,
come diverrà il «Tristano», mi darà una pronta e buona rendita e mi manterrà a galla per
qualche tempo. Penso di far tradurre quest’opera in buon Italiano per offrirla al teatro di
Rio Ianeiro, dove sarebbe rappresentata per la prima volta come opera italiana…"
[Wagner a Liszt, 28 giugno 1857]
“Bambina mia! Questo Tristano diventa qualcosa di terribile! Quest’ultimo atto!!! Temo che
vietino l’opera — a meno che il tutto non sia messo in parodia da una cattiva
rappresentazione: solo delle rappresentazioni mediocri potrebbero salvarmi! Se fossero
perfette potrebbero far impazzire gli spettatori — non riesco a immaginare altro. A tanto
dovevo ancora arrivare!! Povero me!”
[Wagner a Mathilde Wesendonck, aprile 1859]
Come previsto dall’autore, infatti, il dramma, terminato a Lucerna nel 1859, non ebbe
inizialmente fortuna e fu respinto dal teatro di Vienna in quanto giudicato ineseguibile.
Dovettero trascorrere ben sei anni prima che potesse essere rappresentato per la prima
volta: la première avvenne in Baviera all’Opera di Stato di Monaco il 10 giugno 1865,
diretta da Hans von Bülow e sostenuta economicamente dal re Ludwig II.
L’autore concepisce il suo dramma come la perfetta fusione di tutti gli elementi
comunicativi propri del linguaggio del teatro musicale dell’epoca, in modo del tutto
singolare e rivoluzionario: Wort - Ton - Drama (Parola - Musica - Azione) sono pensati e
realizzati in modo tale da compenetrarsi nel modo più profondo possibile per realizzare
un’Opera d’arte totale (Gesamtkunstwerk). Il compositore deve, dunque, di necessità
occuparsi personalmente di tutte e tre le variabili che compongono la rappresentazione,
scrivendo di proprio pugno i libretti, realizzando la messinscena e occupandosi della
messa in musica.
L’esperienza di chi assiste a un musikdrama come Tristan, secondo l’autore, deve quindi
essere del tutto simile a quanto provato dal cittadino ateniese durante e in seguito alla
rappresentazione di una tragedia, come mette in luce Aristotele nella sua Poetica:
l’esperienza tragica è καθάρσις (“purificazione”) delle e dalle passioni, tramite un
processo di transfert psicologico in base al quale lo spettatore, immedesimandosi nelle
vicende vissute dai protagonisti, riusciva a liberarsi delle passioni negative purificando il
proprio spirito.
Wagner ben conosceva il mondo della tragedia antica ed è lui stesso a esplicitare la sua
concezione di drama: “ora, drama significa originariamente Tat (azione) o Handlung
(azione, trama, intreccio): come tale, rappresentato sul palcoscenico, esso costituiva
originariamente una parte della tragedia, ovvero del canto sacrificale, che occupò
successivamente l’intera ampiezza del dramma e ne diventò la cosa principale. Con
questo nome si designava in ogni tempo un’azione rappresentata su scena e, a questo
proposito, la cosa più importante era che a questa rappresentazione si potesse assistere
guardando, per cui il luogo nel quale ci si era riuniti ora questo scopo si chiamò Theatron,
il luogo dove si guarda.”
[R. Wagner, Musikdrama]
L’autore si rifà quindi al concetto etimologico di un δρᾶν (dran = fare) tragico e lo realizza
in un’azione rappresentata sulla scena, concezione fortemente criticata dal
contemporaneo filosofo F. Nietzsche, il quale sosteneva che, come molti altri, tra cui illustri
filologi, anche Wagner fosse caduto in un’imprecisa e grossolana traduzione del termine
greco: nella tradizione ellenica, infatti, il dramma tragico “aveva di mira grandi scene di
pathos - esso escludeva precisamente l’azione (la collocava prima dell’inizio o dietro la
scena). La parola dramma è di origine dorica: e secondo l’uso linguistico dorico significa
“evento”, “storia”, prendendo entrambe queste parole in senso ieratico.” Secondo
Nietzsche, dunque, il δρᾶν è un accadere, non un fare, un factum e non un fictum.
Wagner, secondo il filosofo, è nient’altro che un “effettista”, in quanto ha come principale
scopo quello di creare “una scena d’effetto assolutamente sicuro, una vera actio”.
Uno dei (numerosi, ma difficilmente trattabili in modo esaustivo in questa sede) punti su
cui la critica nietzscheana insiste con particolare veemenza è dunque la costruzione della
vicenda e della trama e della spettacolarizzazione con cui questa viene rappresentata.
Wagner è effettivamente uno dei principali innovatori del genere anche dal punto di vista
delle caratteristiche strutturali e delle convenzioni del teatro musicale: è il primo a esigere
il buio in sala, a volere l’orchestra in buca (chiamata golfo mistico) e, più in generale, a
cercare di realizzare un nuovo tipo di messinscena operistica, di certo non senza moti
autocelebrativi o di stampo para-religioso. Esempio ne è il teatro di Bayreuth, che venne
costruito per sua esplicita indicazione in cima a una collina, assolutamente lontano da ogni
forma di mondanità, in modo che questo divenisse una sorta di spazio sacro a cui
accedere dopo una sorta di pellegrinaggio fisico (vi è nella salita della collina l’idea di una
sorta di salita verso un luogo sacro sopraelevato, in quanto più vicino alla divinità),
spirituale e sociale.
La struttura formale
Già da Weber era stato avvertito il bisogno di una forma di teatro musicale che, sciolto
dalle interruzioni e cesure tipiche delle forme chiuse dell’opera tradizionale, potesse
lasciar scorrere il divenire del dramma senza soluzione di continuità; ma questo risultato
venne pienamente conseguito solo da Wagner nei drammi della maturità, grazie alle sue
innovazioni di tipo linguistico e sintattico: l’utilizzo sistematico del cromatismo, la
sospensione armonica e le risoluzioni con sostituzioni tonicali o, in generale, di totale
sorpresa contribuiscono a dar vita a una melodia infinita (unendliche melodie), una sorta
di intonazione continua del testo, il quale non viene più progettato in modo tale da
rispondere all’esigenza di trovare realizzazione musicale in un recitativo o in un’aria. In
questo ininterrotto flusso, dunque, non si avvertono cesure formali e dalla musica
emergono come elemento di conduzione drammatica e di unitarietà formale i motivi
conduttori o leitmotive.
È molto efficace l’analisi della macro-struttura wagneriana del musicologo Giovanni Bietti:
“Scompaiono “numeri chiusi”, arie e pezzi d’assieme, sui quali ancora all’epoca del
Tristano erano basate le opere italiane e francesi; ciò che interessa a Wagner non è
l’isolamento di diversi nuclei drammatici da esplorare in sé, di volta in volta, quanto la
transizione, il passaggio graduale da uno stato d’animo all’altro, il perpetuo divenire dei
sentimenti e delle sensazioni. L’arte del Tristano, lo dice Wagner stesso in una celebre
lettera, è “arte della transizione sottile e graduale”.
Il leitmotiv si concretizza dunque in un breve tema musicale di facile riconoscibilità atto a
simboleggiare personaggi, oggetti e soprattutto specifici stati d’animo. Ogniqualvolta tali
elementi si ripresentano sulla scena, vengono nominati o viene fatto loro implicito
riferimento ecco che il leitmotiv viene riproposto. Sarebbe banalizzante trattarne
semplicemente come una mera corrispondenza res-musica: esso ha infatti il compito di
guidare lo spettatore in una trama di reminiscenze e/o essere elaborati nel corso
dell’opera. Come sostiene Bietti, infatti, grazie all’utilizzo musicale-narrativo di questo
espediente “l’azione interiore del Tristano, fatta di presagi e ricordi, sensazioni ed
evocazioni, struggimento e languore, diventa non solo credibile e rappresentabile, ma
anche supremamente drammatica.”
Esempio significativo di come Wagner tratta il leitmotiv all’interno di un’ottica di ampio
raggio (come l’intero percorso del dramma) è il “motivo del Desiderio”, ovvero il motivo
costituito dalle 4 note ascendenti cromatiche del Preludio che per l’intera partitura l’autore
lascia volutamente e insistentemente insolute fino all’ultima, pacificatoria riproposizione
nelle battute conclusive del terzo atto, dopo la morte di Isotta, dove il motivo trova
finalmente autentica risoluzione tonale, “simbolo stesso del compimento del percorso
drammatico, della trasfigurazione, della conciliazione definitiva tra amore e morte”
[Giovanni Bietti, Osservazioni sulla partitura]
È proprio il Tristano l’opera in cui maggiormente emerge l’influenza della filosofia di A.
Schopenhauer, il quale conobbe personalmente Wagner ma non ebbe parole di particolare
apprezzamento per la sua musica, come testimonia lo sprezzante consiglio che gli diede
di appendere la musica al chiodo dedicandosi alla sola poesia.
Il motivo del rifiuto della produzione wagneriana da parte di Schopenhauer è da ritrovarsi
nella considerazione della musica come della massima espressione della Volontà, mentre
della parola come forma comunicativa schiava della realtà ingannevole. Dunque una
struttura musicale come quella del musikdrama wagneriano, dove la parola (Wort) è
elemento fondamentale in quanto, con musica e azione tragica, costitutivo del
Gesamtkunstwerk, non poteva essere in alcun modo fatta propria dal filosofo, che
ritrovava il suo pensiero nella costruzione formale dell’opera rossiniana, in quanto il libretto
era quasi unicamente un pretesto per la composizione musicale o, comunque, la musica
aveva totale egemonia sui restanti elementi dell’opera.
In realtà, infatti, sebbene Schopenhauer, nel III libro de Il mondo come volontà e
rappresentazione, nei relativi Supplementi e nel II volume dei Parerga e Paralipomena,
arrivi a formulare una vera e propria Filosofia della Musica, questa rimane del tutto
estranea a giustificazioni teorico-musicali o di tipo pratico e esecutivo: lui stesso si rende
ben conto dell’indimostrabilità della sua visione e asserisce che questa possa essere
intesa solo da coloro «che accettano la mia concezione del mondo» e che abbiano
soprattutto «una perfetta familiarità con il pensiero generale del mio libro».
Ulteriore elementi che rendono problematico un parallelismo tra la filosofia della musica di
Schopenhauer e il musikdrama wagneriano è ben evidenziato da Massimo Cacciari, il
quale, in relazione a ciò, evidenzia come l’utilizzo del leitmotiv, interpretato come processo
di ricordo nel suo senso etimologico (re-cor-dare, riportare al centro dell’attenzione) degli
elementi costituitivi del dramma “nel corso stesso del succedersi degli eventi” costituisca
un punto di criticità: “Schopenhauer concepisce la tragedia come puro evento, l’evento
della decisione irrevocabile. Nessuna successione, nessuna narrazione, nessun mythein
la caratterizzano, bensì l’immagine di ciò che spezza ogni intenzione, ogni anelito, ogni
desiderio di vita. Questa è la forza del dran, del fare tragico, di cui la concezione usuale
del dramma, nella sua immanente temporalità, è completo tradimento.” Il dran
schopenhaueriano è, dunque, assolutamente de-ciso da ogni elemento che contribuisca a
riportarlo sui binari del sensibile e del temporale, dell’immanente qui ed ora, non mira alla
ricerca di un divenire, in quanto è “mondo compiuto in sé, metafisicamente deciso da ogni
discorrere”.
[M. Cacciari, Schweigender Bote; in Note sul rapporto Schopenhauer-Wagner]
Dopo aver doverosamente messo in chiaro innegabili differenze tra le due concezioni, è
necessario indicarne i numerosi punti di contatto: nel 1854, Wagner leggeva a Zurigo Il
mondo come volontà e rappresentazione e iniziava conseguentemente la composizione di
Tristan und Isolde, che, considerandone il significato a un livello di lettura più profondo,
risulta essere del tutto rispondente al sistema filosofico schopenhaueriano: i protagonisti di
narrazioni mitiche, quali sono i personaggi wagneriani, sono spinti all’azione da una
Volontà primigenia e giungono a trascendere la sfera umana per iscriversi nel moto
universale. L’opera di Wagner, dunque, più che rispondere alle esigenze prettamente
musicali di Schopenhauer, ne ricrea in musica l’impianto metafisico, puntando ad una
messa in scena di eventi che richiamano le forze primordiali che governano il mondo.
La relazione tra i due emerge anche da un’attenta analisi del testo del brano qui
presentato, intonato nel finale dell’opera da una Isotta post-trasfigurazione, (Nel flusso
ondeggiante, / nell’armonia risonante, / nello del respiro del mondo – / spirante universo /
del respiro del mondo – / annegare, / inabissarmi – / senza / coscienza – / suprema
voluttà!): la protagonista si abbandona all’annullamento della propria Coscienza e al suo
ricongiungimento con l’amato in un Tutto successivo all’inesorabile e necessario
acquietamento nel Sonno e nella Morte. L’unica possibilità di fuga dalla realtà ingannevole
risulta, dunque, essere la rinuncia, l’autonegazione ascetica della volontà di vivere – la
noluntas – e, in ultima istanza, la morte.
Nel sistema poetico di Tristan, inoltre, l’opposizione fra mondo della ‘rappresentazione’ e
anelito al ricongiungimento nell’unità dell’Essere sarebbe espresso anche
dall’opposizione giorno/notte, ripresa dalla lettura del primo romanticismo tedesco (si
vedano a proposito gli Inni alla notte di Novalis): il giorno è inteso come mondo di
finzione, in cui la vita è fatta di falsità e convenzioni, mentre la notte è la porta attraverso
cui giungere alla Verità.
Esempio significativo è il duetto dei due protagonisti del II atto, di cui si riportano alcuni
estratti:
Tristano:
“Quel che ti circondava nel mio capo e nella mia fronte,
con sublime luce, la vana voluttà
lo splendore della gloria, dei suoi raggi
il potere della fama – è entrato sin nel forziere
un tale miraggio m’impedì più profondo del cuore.
di porre in lei il mio cuore. Quel che là nella casta notte
Il sole luminoso vegliava cupamente richiuso,
degli onori del mondo, quel che, senza sapere e pensarci,
che col più chiaro splendore oscuramente concepii –
del suo riflesso un’immagine, che i miei occhi
illuminò a giorno non osavano osservare,
il mio capo e la mia fronte – ferita dalla luce del giorno –
il sole è penetrato mi si rivelò scintillante.”
Isotta:
La questione del filtro d’amore è uno degli elementi che meglio incarnano questa
interpretazione, dato che non assume i caratteri di un semplice espediente per risolvere
l’intreccio della vicenda, ma è caricato di grande importanza simbolica: Amore e Morte,
ἔρως e θάνατος, si compenetrano, si sostituiscono e, di fatto, giungono a essere un’unica
entità nella finale Verklärung; bevendo il filtro di morte i due divengono ‘consacrati alla
notte’, ossia alla morte stessa.
L’amore, apparentemente suprema esplicitazione della volontà alla vita, in Tristan si
rivolge contro il proprio stesso principio e si esprime come disperata volontà di non-volere,
di inabissarsi Durch des todes tor (“attraverso la porta della morte”).
L’importanza di Franz Liszt nella vita di Wagner rappresenta una relazione di influenza-
collaborazione forse senza precedenti: come compositore, il pionierismo armonico e
motivico di Liszt (soprattutto considerando i suoi poemi sinfonici) ebbe una grandissima
influenza sullo sviluppo del Wagner degli anni ’50. Inoltre, Liszt fu uno dei principali fautori
della diffusione delle sue composizioni e, inoltre, lo assistette durante le sue note crisi
finanziarie.
Furono proprio le trascrizioni per pianoforte solo di Liszt a far raggiungere al grande
pubblico i drammi musicali di Wagner, anche al di fuori del teatro. Egli si occupò, in effetti,
anche di altri compositori come Verdi, Rossini, Gounod, Donizetti, Auber e Meyerbeer, ma
non si dedicò loro con la frequenza con la quale lavorò alle opere di Wagner. Tra il 1847 e
il 1883 terminò ben 15 trascrizioni per pianoforte di estratti di molti dei suoi drammi, da
Rienzi a Parsifal. Inoltre conosceva bene il Tristano molto prima della sua première, in
quanto ne aveva seguito la composizione dal ’57 al ’59 tramite carteggio epistolare con
Wagner.
Il loro rapporto di reciproca stima nacque nel 1840 quando si incontrarono a Parigi: Liszt
era già uno dei pianisti più acclamati d’Europa mentre Wagner era ancora agli esordi e si
guadagnava da vivere preparando trascrizioni.
Di certo questi non era reticente nell’esplicitare la sua gratitudine e la sua riconoscenza
per l’amico e mentore, di cui disse in occasione di un banchetto tra numerosi amici (non
senza una tipica nota autocelebrativa sottotraccia):
«Qui si trova colui che, per primo, mi ha sostenuto con la sua fede quando nessuno
ancora sapeva nulla di me, e senza il quale oggi forse non avreste ascoltato una sola nota
scritta da me».
La famosa scena finale di Isotta, qui proposta in analisi, era già stata estratta da Wagner,
che la diresse in prima persona insieme al preludio dell’opera in una versione da concerto
in numerose esecuzioni dal 1863 in poi. Anche Liszt scelse questa scena e la trascrisse
per pianoforte, pubblicandola poi nel 1868.
Considerazioni sul testo
wie er leuchtet,
come risplende,
stern-umstrahlet
raggiante quasi stella,
hoch sich hebt?
in alto si leva?
Seht ihr's nicht?
Non lo vedete?
Wie das Herz ihm
Come il suo cuore ardito si gonfia,
mutig schwillt,
colmo e sublime
voll und hehr
nel petto gli zampilla?
im Busen ihm quillt?
Come dalle sue labbra
Wie den Lippen,
tenere e soavi
wonnig mild,
un dolce respiro
süsser Atem
- molle s’effonde –
sanft entweht ---
Amici! Vedete!
Freunde! Seht!
Non lo sentite? Non lo vedete?
Fühlt und seht ihr's nicht?
O forse io sola odo
Hör ich nur
questa melodia,
diese Weise,
che sì mirabile,
die so wunder-
sì soave,
voll und leise,
dolente per voluttà,
Wonne klagend,
tutto esprimendo,
alles sagend,
soavemente conciliante
mild versöhnend
da lui riverberando,
aus ihm tönend,
penetra in me,
in mich dringet,
in alto si lancia,
auf sich schwinget,
dolcemente echeggiando
hold erhallend
risuona a me d’intorno?
um mich klinget?
Più chiare risuonando,
Heller schallend,
fluttuandomi appresso,
mich umwallend,
son forse onde
sind es Wellen
di teneri zefiri?
sanfter Lüfte?
Son forse onde
Sind es Wogen
di voluttuosi vapori?
wonniger Düfte?
Mentre si gonfiano,
Wie sie schwellen,
mi sussurrano intorno,
mich umrauschen,
devo respirarle?
soll ich atmen,
devo ascoltarle?
soll ich lauschen?
Devo aspirarle?
Soll ich schlürfen,
in esse svanire?
untertauchen?
Dolcemente
Süss in Düften
nei vapori esalare?
mich verhauchen?
Nel flusso ondeggiante,
In dem wogenden Schwall,
nell’armonia risonante,
in dem tönenden Schall,
nello del respiro del mondo –
in des Welt-Atems
spirante universo
wehendem All ---
del respiro del mondo –
ertrinken,
annegare,
versinken ---
inabissarmi –
unbewusst ---
senza coscienza –
höchste Lust! suprema voluttà!
Isotta riesce a riabbracciare per l’ultima volta l’amato Tristano appena prima che
quest’ultimo muoia in seguito alle ferite dello scontro con Melot, cortigiano di re Marke. La
donna, prima di abbandonarsi alla morte per il dolore di aver assistito alla morte del suo
amato, eleva un ultimo canto per poi abbandonarsi senza vita sul corpo di Tristano.
Quest’ultimo estratto si innesta senza soluzione di continuità sulle vicende precedenti e
funge in un certo senso da commento della vicenda, in modo simile a ciò che sarebbe
potuto avvenire in uno stasimo di una tragedia di tradizione arcaica greca: si differenzia,
però, per la sua importanza narrativa, visto che la protagonista perde la vita al termine del
suo monologo.
È interessante notare come l’autore sia molto preciso nel descrivere l’aspetto percettivo di
Isotta, insistendo su diversi sensi in una sorta di percorso di introiezione della sensazione
e di un suo conseguente obnubilamento: inizialmente la vista (in relazione all’occhio di
Tristano e al movimento del suo cuore nel petto), il senso schiavo della luce e del giorno,
per questo considerato ingannevole; successivamente l’udito (in relazione alla melodia)
che, come si è detto a riguardo della filosofia della musica Schopenhaueriana, permette,
tramite la musica, di potersi relazionare con la Volontà e liberarsi della schiavitù della
rappresentazione; infine si giunge a una più vaga e indistinta percezione di un respiro, di
vapori esalati per arrivare, al termine del suo percorso di trasfigurazione, a un
inabissamento privo di coscienza.
Una delle prime associazioni di idee che si affacciano alla mente facendo riferimento alla
produzione wagneriana è la sensazione di instabilità continua e la mancanza di certezze
armoniche, elemento caratteristico la cui causa viene fatta risalire alla presenza di
cadenze “di inganno” e al cromatismo. In effetti entrambe sono caratteristiche peculiari
dello stile wagneriano, ma spesso si cade nell’errore di pensare che l’importanza storico-
musicale di Wagner risieda unicamente nel fatto di averli introdotti nel repertorio
linguistico e sintattico musicale dell’epoca. In realtà tali mezzi sono normalmente
impiegati in una fase elaborativa d’epoca classica e solo in parte spiegano il motivo della
sensazione della così caratteristica continua sospensione che trasmette l’ascolto della
musica di Wagner. La novità risiede nell’uso che ne viene fatto, in quanto se l’instabilità
tonale di uno sviluppo di tradizione classica era bilanciata dalla stabilità tonale della fase
espositiva e, in misura ancor maggiore, dalla ripresa, così come in ambito operistico alla
fase dinamica della scena corrispondeva la fase statica dell’aria d’opera, in Wagner tutto
ciò è sbilanciato verso la tensione e la sospensione tonale, creando un contesto sonoro
privo di un centro gravitativo tonale a cui fare riferimento. Si può dire dunque che il
contesto compositivo in cui si muove Wagner sia quello tipico di una fase elaborativa, ma
senza il bilanciamento stabilizzante di una certezza armonica e/o fraseologica come
quella tipica dell’esposizione. Si ha, inoltre, un vero e proprio rovesciamento delle variabili
tonali: se in precedenza le risoluzioni con forza centrifuga erano utilizzate per conferire
imprevedibili colori armonici o sorprendenti e improvvisi strappi alla stabilità tonale, nel
linguaggio wagneriano la risoluzione centripeta è percepita come elemento inaspettato e
speciale o, comunque, dotata di particolare significato.
Esempio significativo è il finale del brano in analisi, in cui il leitmotiv del filtro d’amore
trova risoluzione consonante e tonicale su Si maggiore dopo essere stato caratterizzato
per l’intero dramma da una cadenza sospesa:
Analisi strutturale
Considerando le premesse teoriche, tra cui gli scritti di Wagner stesso, è inevitabile
aspettarsi una composizione assolutamente sciolta dalla forma di aria (sia essa col da
capo, bipartita, monopartita, né tantomeno rispondente alle caratteristiche della solita
forma tipica dell’opera italiana contemporanea) o di recitativo. Il brano, che inizia con
un’introduzione di 4 misure, estratte, come si è già detto, dal II atto procede, infatti, in una
scrittura fluida e durchkomponiert, con numerose idee motiviche, immerse in sempre
differenti scritture orchestrali e, conseguentemente, pianistiche.
È pur vero, comunque, che nella prima unità del brano è possibile individuare la principale
variabile entro cui definire una sorta di successione episodica, ovvero la forma e le
caratteristiche che assume la scrittura pianistica (chiaramente derivante dalla scrittura
orchestrale) e, dunque, la differente declinazione del motivo in diverse situazioni musicali
e unità fraseologiche.
Trattamento dell’armonia
Uno dei trattamenti armonici più insoliti e innovativi è l’uso che Wagner fa del secondo
rivolto: se nell’armonia classica veniva utilizzato
- come appoggiatura o ritardo in fase cadenzale (cadenza composta)
- come agglomerato armonico di volta
- come movimento di passaggio
in Wagner esso viene posto all’inizio del frammento tematico.
Non sarebbe assolutamente un dato innovativo il fatto che un brano abbia inizio con una
funzione armonica non tonicale (basti pensare all’introduzione della Prima Sinfonia di
Beethoven, che inizia con un accordo di settima di dominante, ma gli esempi sono
numerosissimi). La novità risiede, infatti, non tanto nella qualità della funzione armonica,
quanto invece nel tipo di rivolto e, di conseguenza, nel tipo di effetto che si percepisce: il
brano avrebbe potuto iniziare con una tonica in stato fondamentale, ma sicuramente
avrebbe perso l’effetto di continua pro-gressione e il clima di attesa insito nella mancanza
di stabilità del secondo rivolto.
È pur vero che il frammento potrebbe essere interpretato, facendo riferimento alla
casistica dell’uso tradizionale dell’accordo di quarta e sesta, come un’appoggiatura
cadenzale: la differenza, però, è notevole e risiede nel fatto che, all’ascolto, una
dominante in secondo rivolto in una cadenza composta ha un ambito tonale ben definito
ed è quindi chiaramente interpretabile; una quarta e sesta come la presente ha una
sensazione di indeterminatezza tonale indiscutibilmente maggiore in quanto non ha
preparazione alcuna.
La prima sezione si caratterizza anche per il fatto non avere un centro tonale definito,
anche a fronte di una direzione armonica continua e insoluta sulla dominante: ogni battuta,
infatti, termina con un accordo che si fa portatore di tale funzione
- a 5 D di Lab
- a 6 D di Mib
- a 7 D di Dob
- a 8 D di Fa#
- a 9 D di Re
- a 10 D di Fa
- a 11 D (VII6) di Lab
- a 12 D di Solb
- a 13 D di Sol
- a 14 D di Mib
La fine di misura 15, in seguito al procedimento enarmonico per cui il la bemolle viene
scritto come sol diesis, vede a sorpresa un accordo di II grado con la settima in primo
rivolto in preparazione alla modulazione verso Si maggiore, tonalità che apre la sezione
successiva.
Si può dire, quindi, che la prima sezione non trova alcuna conclusione armonica in una
situazione di stabilità né in articolazioni interne, vista la costante presenza della cadenza
sospesa, né nella macro-articolazione formale, ancora più indeterminata, forse, da una
situazione armonica totalmente indefinita, comprensibile unicamente a posteriori, in
questo caso con l’inizio della sezione successiva.
VI #IV
I V
La tensione dominantica di fine sezione non viene in alcun modo sciolta con l’inizio della
successiva, la quale, riprendendo il tipo di armonizzazione fin qui utilizzato in larga misura,
inizia con una nuova dominante (in mi maggiore) in secondo rivolto.
La presente sezione è costruita, come già anticipato, dall’alternanza di due elementi che
assumono caratteri diametralmente opposti: armonicamente parlando, l’antecedente
(misura 22 e simili) si caratterizza per una scansione chiara ed intellegibile, con pochi ma
significativi cambi accordali (indicati dalla freccia nell’esempio), quasi tutti inquadrabili
nell’ambito di tensioni tonica —> dominante e viceversa; il conseguente (misura 23 e
simili), al contrario, è caratterizzata da un’armonia articolata, involuta e non tradizionale,
con agglomerati armonici (spesso derivanti da movimenti melodici) complessi e
difficilmente giustificabili in un percorso armonico lineare.
ANTECEDENTE CONSEGUENTE
R. Wagner, Tristan und Isolde, Preludio atto I Wagner-Liszt, Isoldens Liebestod, batt. 31
Nella successiva sezione viene riproposto lo spunto tematico che, mantenendo l’idea
armonica iniziale, è costruito su un pedale di dominante, in questo caso di Si maggiore. A
misura 34 l’armonia si sposta sulla settima di dominante del IV grado (Mi), la quale, con un
passaggio cromatico del basso, diventa una sesta eccedente (interpretando
enarmonicamente il mi# come fa naturale). La risoluzione naturale su mi viene evitata,
mentre si raggiunge a sorpresa il II grado (Do diesis minore), confermato dalla sua
cadenza perfetta a 35 - 36. Il discorso si sposta poi sulla dominante del III, la quale, però,
a sorpresa risolve sul I grado (si maggiore) in primo rivolto dopo una sincope armonica
con un effetto molto forte, visto il precedente schema di successioni armoniche, che
vedevano un cambio accordale ad ogni inizio misura.
Tensivamente parlando, questa sezione si configura quindi come la risoluzione di una
lunga tensione dominantica, che giunge alla tonica dopo aver toccato gradi con
scarsissima forza tonalmente centripeta: il IV, il II e il VI
IV II VI V/III
V I6
Si apre, poi, una sezione di passaggio, il cui basso procede secondo un movimento
cromaticamente discendente e viene armonizzato con una catena di funzioni
dominantiche: il V di Sol# risolve inaspettatamente su una settima di sensibile di Lab, la
quale passa a una settima diminuita di Fa, per poi avere un V7 di Lab, un V56 di Mi, un V46
di Fa# maggiore, V7 - 42 di Mib per arrivare alla dominante con la settima di Si.
La risoluzione della dominante viene disattesa dal IV grado che vede il ritardo della sesta
sulla quinta. Questo (parziale) punto apicale vede la discrasia tra l’apex melodico e quello
armonico: se, infatti, ci si aspetterebbe la massima tensione a inizio battuta, dove la
melodia ha la sua nota più acuta, in realtà (come suggerisce il segno di marcato) essa si
ritrova sul secondo movimento della misura. Ciò trova spiegazione nel fatto che il vero
punto apicale si ritrova più tardi, a misura 65, dove le due variabili (armonia e melodia)
trovano unità di intenti.
Il frammento si configura armonicamente come una sorta di cadenza composta in si
maggiore, in quanto, da inizio misura, si trovano una funzione di sottodominante (IV), una
di dominante (VII7) e una di tonica (I6), a cui segue una tonica con la quinta eccedente,
che porta di nuovo al IV grado della misura successiva.
Da misura 51 si apre poi un lungo arco armonicamente instabile, che, dopo aver
confermato la tonalità di si maggiore (a misura 51, con il movimento V43 - I6) si sposta sul II
grado (do# minore, introdotto dal suo VII grado a fine di misura 52), per passare alla
dominante del III grado (re# minore, di cui si trova il movimento V7 - 64 - 7) prima di arrivare
al IV, il quale, tramite discesa cromatica del basso, forma una sesta tedesca che introduce
il lungo pedale di dominante di 6 misure (59 - 64)
Il vero e proprio punto culminante della vicenda si ha, come si diceva, a misura 65, dove la
riproposizione del frammento di misura 48 trova un’armonizzazione più dilatata, con cambi
accordali di una misura e di funzioni sottodominante-tonica, in un certo senso mascherate
e pateticamente caratterizzate dalle appoggiature di inizio misura.
Melodia e ritmo
Una sorta di esposizione avviene, dopo l’introduzione, nelle prime due coppie di due
misure, in cui il motivo viene presentato per intero due volte. Già a misura 9 esso ha una
prima variazione: esso subisce contrazione, in conseguenza della quale viene mantenuta
solo la prima misura e, al contempo, la lunga legatura di frase viene spezzata, lasciando
spazio a una coppia di legature a due.
A B A A
Ulteriore elemento interpretabile alla luce della costruzione direzionale della sezione è lo
schema fraseologico utilizzato: se inizialmente (misure 5-6 e 7-8) il tema era di due
battute, legate da un unica legatura-arcata, a misure 9 e 10 ne viene riproposta solo la
5-6 7-8 9 10 11
11 - 12
testa con una legatura a 2. Il tema viene poi messo in una scrittura che ricorda vagamente
gli stretti, con entrate progressivamente sempre più ravvicinate tra di loro a misura 11 - 12.
Le misure 13 - 14 sono le prime ad allontanarsi dalla rigida riproposizione tematica, in
quanto ne viene mantenuta solo l’idea ritmica, mentre gli intervalli vengono ristretti: è
come se i 5 gradi congiunti della sezione dei violoncelli, trasposti da Liszt alla mano
sinistra, fossero un modo per preparare e amplificare l’effetto del salto di settima minore
del punto apicale di misura 15, simile al ritirarsi delle acque prima della grande onda a cui
l’autore si abbandona con l’ampio movimento di arpeggi della mano sinistra.
Procedendo con la seconda sezione, si può notare come essa possa essere a sua volta
suddivisibile in due coppie da tre misure: nelle prime 3 (16 - 18) ritmo e disegno melodico
sono ripresi da misura 9; nelle successive 3 il motivo ha uno sviluppo melodico, con respiri
da una battuta intera e valori ritmici più brevi.
Ciò è giustificabile facendo riferimento alla differente caratterizzazione armonica dei due
frammenti, di cui si è parlato precedentemente: se inizialmente viene riproposto il
medesimo schema armonico, da misura 19 si apre un ampio arco tensivo, caratteristica
che si riflette anche sull’allungamento del respiro melodico e permette una maggior
ricchezza della linea melodica.
Il tema viene riproposto nelle prime 2 misure. Subito, però, viene sottoposto a uno
sviluppo melodico, che si concretizza in:
- Modificazione dell’ampiezza degli intervalli: a misure 34 al salto di quarta giusta si
sostituisce una sesta minore, a 35 un’ottava, a 36 sesta maggiore, a 37 sesta minore
- Introduzione di nuovo disegno melodico, vista la diversa alternanza di intervalli
ascendenti e discendenti: se nelle prime due misure, come da esposizione, il tema era
organizzato come salita - discesa, da 35 assume la forma di discesa - salita - discesa,
mentre a 37 raggiunge il massimo grado di complessità, vista la presenza di molte più
altezze da collegare. Schematizzando il disegno melodico prendendo in considerazione
unicamente il tipo di intervalli (senza curarsi delle altezze specifiche delle note) si può
notare come il tratto diventi progressivamente più complesso e articolato.
33 34 35 36 37
Successivamente viene ripreso l’elemento melodico già presentato a misura 23, ma viene
utilizzato come unico elemento melodico e messo in dialogo tra le due mani in una
progressione discendente di tono di 4 misure. Viene comunque mantenuto, nella mano
destra, il movimento discendente di semitono, che è uno degli elementi che fa da filo
conduttore della composizione.
42 43 44 45
Il frammento melodico del primo punto apicale viene derivato strettamente dalla misura 21,
di cui, però, viene invertita la funzione armonica: se in precedenza, infatti, esso si trovava
su un’armonia di VII7, di grande forza drammatica, ora è costruito su un accordo di IV
grado, decisamente meno teso. Viene ripetuto tre volte, come se la musica fosse rimasta
incagliata in tale frammento. Solo alla terza ripetizione il discorso riesce a procedere,
lasciando spazio a una sezione melodicamente e ritmicamente più incerta e fluttuante, che
sviluppa e insiste sulla cellula di fine misura 48 e simili.
Quando il discorso raggiunge la dominante (misura 59), la melodia entra in una sorta di
circolo da cui sembra impossibile uscire: viene ripetuto ossessivamente e ogni volta
retoricamente più carico di pathos il frammento precedente. Ritmicamente, da misura 59
e, similmente, da metà misura 61, la sensazione di crescente affanno viene realizzata
tramite l’utilizzo delle terzine: a un primo inciso di 4 crome, segue un secondo, formato da
due crome e una terzina, a cui segue una coppia di terzine. Tale incremento della densità
è da inquadrarsi nella volontà di creare una sensazione di sempre più crescente
trepidazione per preparare il grande punto apicale ed è forse ancora più evidente nelle
ultime misure che lo precedono (62 - 64), che da quartine di crome sia nella destra che
nella sinistra passano a una successione di terzine proprio prima del battere di misura 65.
Proprio a misura 65, come si diceva, si trova il vero e proprio punto apicale della
composizione, il quale sviluppa ulteriormente la cellula di misura 21 che poi passa a 48: i
valori del primo e del terzo movimento della misura vengono dilatati, aggiungendo con una
legatura di valore alla croma una minima, in modo tale da enfatizzare ancora di più il
senso drammatico del passaggio. Di nuovo, il frammento viene ripetuto 3 volte, l’ultima
delle quali vede la prosecuzione del discorso, che si avvia alla conclusione: dopo il grande
punto culminante, infatti, in modo simile all’esplosione di un palloncino di cui cadono
lentamente a terra i brandelli, la scrittura ha una discesa progressiva per due misure, per
avere un ultimo spostamento verso l’acuto prima della perorazione finale, in cui viene di
nuovo presentato il frammento apicale, con carattere, però, opposto, vista anche
l’indicazione dolcissimo in parte. Il frammento viene inserito in un rallentando scritto, in cui
i valori raddoppiano prima a 76 e poi a 78, dove per l’ultima volta compare il leitmotiv del
filtro d’amore, che trova, come già si diceva, risoluzione su un pacificatorio si maggiore.
L’introduzione è forse la parte in cui Liszt fornisce maggiori indicazioni relative a tocco e
sonorità: 5 accordi sono caratterizzati da 5 indicazioni diverse: ff il primo, sf il secondo,
accentato il terzo, marcato il quarto e il quinto in pp perdendo. L’apice della frase è quindi
individuabile a battuta 3 vista l’indicazione di marcato, che prevede il massimo grado di
intensità drammatica.
Per la seconda sezione, riportando quasi per intero l’indicazione in partitura, Liszt scrive:
L’accompagnamento sempre molto tranquillo e pianissimo. Evidentemente la volontà del
compositore era quella di mantenere distinti i valori binari e ternari che, in un tempo troppo
rapido, avrebbero potuto confondersi tra loro facendo perdere all’ascoltatore l’effetto,
amplificato dalla mancanza del battere, dell’idea messa in musica del sospiro e del battito
del cuore di Tristano: si crea quindi una situazione ritmica di grande effetto, che alterna
silenzio, duina e terzina, in modo da far emergere ciò che è il testo stesso a suggerire
(Non lo vedete? / Come il suo cuore ardito si gonfia / colmo e sublime / nel petto gli
zampilla? / Come dalle sue labbra / tènere e soavi / un dolce respiro / - molle s’effonde –).
È chiara la volontà di creare uno schema antecedente - conseguente nella sinistra tra i
due elementi di mezza battuta (accennata a misura 33, ma realizzata pienamente a 34 -
35) vista la diversità delle indicazioni destinate ai due elementi, in termini di:
- articolazione: legato vs portato
- attacco: arpeggiato vs placcato
- regione dello strumento
Lo spunto melodico, come già detto, viene affidato alternativamente alle due mani,
riproducendo pianisticamente una differente destinazione strumentale presente nella
partitura:
- Quando è alla mano destra riproduce, alternativamente, i I e II violini esterni raddoppiati
all’ottava inferiore dalle I viole; l’arpeggio della sinistra deriva dalla parte dell’arpa
- Quando è alla mano sinistra riproduce la parte dei celli, mentre il semplice controcanto
della mano destra deriva da violini, viole clarinetti e flauti
Successivamente, nella lunga transizione che porterà al vero punto apicale, ricompaiono
gli accordi arpeggiati nella mano destra: ora, però, a differenza di ciò che avveniva in
precedenza, essi non hanno più la funzione di rendere più agevole il controllo dell’attacco
delle note, quanto invece servono a ritardare l’emissione della voce superiore, in modo da
rendere più forte l’effetto dell’appoggiatura inferiore.
Inoltre si instaura un’alternanza tra la mano destra e la sinistra per ogni movimento della
misura: se il battere è scandito dal basso della sinistra, mentre la destra ha la legatura di
valore dalla misura precedente, il secondo movimento ha la sinistra legata mentre la
destra ha l’appoggiatura inferiore arpeggiata, schema che viene mantenuto identico nei
restanti due movimenti della misura. Tutto ciò crea una situazione di instabilità ritmica e
metrica, che rende la sezione, già incerta dal punto di vista armonico, melodico e ritmico,
ancora più fluttuante.
Con il finale punto apicale (misura 65), la scrittura assume il massimo grado di densità: i
pentagrammi diventano 3, di cui il superiore e l’inferiore sono dedicati al riempimento
sonoro e armonico, mentre il centrale al motivo caratteristico della seconda situazione
musicale.
Liszt, come già molte volte altrove, scrive due versioni del passaggio, che, ovviamente,
hanno risultati sonori differenti tra loro: il primo ha una doppia serie di accordi ribattuti, una
nella regione acuta e una nella regione grave, che circondano il motivo, mentre l’altra
(indicata come ossia) mantiene i ribattuti nel basso sostituendo quelli all’acuto con un
arpeggio di sestine di trentaduesimi, riproponendo i ribattuti quando essi raddoppiano il
motivo.
Personalmente opterei per l’ossia, in quanto il crescendo voluto da Liszt risulta più
naturale e rispecchia, in un certo senso, il percorso di allargamento di tessitura che esso
ha sempre avuto nella storia della composizione.
DEUMM