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Libreremo

Questo libro è il frutto di un percorso di lotta per l’accesso alle conoscenze e alla formazione
promosso dal CSOA Terra Terra, CSOA Officina 99, Get Up Kids!, Neapolis Hacklab.
Questo libro è solo uno dei tanti messi a disposizione da LIBREREMO, un portale finalizzato alla
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Pensiamo che in un’università dai costi e dai ritmi sempre più escludenti, sempre più
subordinata agli interessi delle aziende, LIBREREMO possa essere uno strumento nelle mani
degli studenti per riappropriarsi, attraverso la collaborazione reciproca, del proprio diritto allo
studio e per stimolare, attraverso la diffusione di materiale controinformativo, una critica della
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reprimere i contenuti culturali dal carattere emancipatorio e proporre solo contenuti inoffensivi o
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significato e peso politico. Condividere e cercare canali alternativi per la circolazione dei
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Abbiamo scelto di mettere in condivisione proprio i libri di testo perché i primi ad essere colpiti
dall’attuale repressione di qualsiasi tipo di copia privata messa in atto da SIAE, governi e
multinazionali, sono la gran parte degli studenti che, considerati gli alti costi che hanno
attualmente i libri, non possono affrontare spese eccessive, costretti già a fare i conti con affitti
elevati, mancanza di strutture, carenza di servizi e borse di studio etc...
Questo va evidentemente a ledere il nostro diritto allo studio: le università dovrebbero
fornire libri di testo gratuiti o quanto meno strutture e biblioteche attrezzate, invece di creare di
fatto uno sbarramento per chi non ha la possibilità di spendere migliaia di euro fra tasse e libri
originali... Proprio per reagire a tale situazione, senza stare ad aspettare nulla dall’alto,
invitiamo tutt* a far circolare il più possibile i libri, approfittando delle enormi possibilità che ci
offrono al momento attuale internet e le nuove tecnologie, appropriandocene, liberandole e
liberandoci dai limiti imposti dal controllo repressivo di tali mezzi da parte del capitale.
Facciamo fronte comune davanti ad un problema che coinvolge tutt* noi!
Riappropriamoci di ciò che è un nostro inviolabile diritto!

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Istituto Universitario Orientale di Napoli
Università degli studi di Bologna
Università degli studi di Torino

Dottorato di ricerca
Storia della famiglia e dell’identità di genere

Quaderno n. 1

LA COSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ MASCHILE


NELL’ETÀ MODERNA E CONTEMPORANEA
1a settimana di studi
Pimonte, febbraio 1998

A CURA DI ANGIOLINA ARRU


Questa è la copia stampata di un libro disponibile anche in formato Indice
elettronico al sito www.biblink.it
ANGIOLINA ARRU, Le contraddizioni dell’identità maschile:
un’introduzione pag. 7

RENATA AGO, La costruzione dell’identità maschile


(Roma, età moderna) pag. 17

GIOVANNI ROMEO, Esorcisti, confessori e sessualità femminile


nell’Italia del primo Seicento pag. 31

JOHN TOSH, Men in the domestic sphere: a neglected history pag. 47

JOHN TOSH, Current issues in the history of masculinity pag. 63

FRANCO RAMELLA, Reti sociali e ruoli di genere:


ripartendo da Elizabeth Bott pag. 79

SIMONETTA PICCONE STELLA, Due studiosi della mascolinità a confronto:


Pierre Bourdieu e Robert Connell pag. 89

ANDREINA DE CLEMENTI, Egalité o parité.


Come ripensare la democrazia pag. 97

MARGHERITA PELAJA, La seduzione e l’onestà delle donne.


Le contraddizioni dei giuristi pag. 113

Febbraio 2001
Biblink editori, Roma

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Questo Quaderno raccoglie le relazioni svol-
te al primo Seminario di studi organizzato
dal Dottorato di ricerca in “Storia della
famiglia e dell’identità di genere” a Pimonte
(Napoli) nel 1998. Il Dottorato, che ha come
coordinatrice nazionale Angiolina Arru, dal-
l’a.a. 2000-2001 ha come titolo “Storia delle
donne e dell’identità di genere” ed organiz-
za annualmente settimane intensive di
studi. Il tema della settimana prevista per il
febbraio 2001 è Il pater familias; le relazioni
saranno pubblicate nel prossimo Quaderno
con Biblink editori.

4 5
Le contraddizioni dell’identità maschile:
un’introduzione
Angiolina Arru
Istituto Universitario Orientale di Napoli

Quando Giovanni Gentili (un mercante di campagna molto attivo


nella Roma di metà Ottocento) muore, Roma è ormai capitale d’Italia e
soggetta al nuovo codice unitario di diritto privato. L’eredità di questo
capofamiglia va dunque per legge – almeno per metà – sia ai figli sia alle
figlie1.
Ma doveva essere difficile rassegnarsi ai nuovi assetti giuridici e il mer-
cante sceglie la formula più indolore, offerta dal nuovo assetto giuridico.
Se vi è stata una dote, dicono ora le norme, questa può essere intesa come
parte dell’eredità. Giovanni può subito inserirsi nelle nuove contraddizio-
ni del codice e usarle: tutti i beni immobili andranno ai tre figli maschi, le
doti, assegnate o promesse, sono il suo lascito ereditario per le donne.
Nella storia della famiglia Gentili la formazione dei fondi dotali – nei
primi decenni dell’Ottocento – aveva costituito il nodo centrale delle
logiche e della gestione del patrimonio. Secondo le norme degli Statuti
preunitari era solo dovere del pater familias fornire le doti alle figlie, e poi-
ché il signor Gentili non aveva denaro contante era dovuto ricorrere ai
soldi della moglie, vendendole alcune case. Ma anche in questo caso,
come in molte altre storie familiari sia in antico regime, sia anche in età
contemporanea, le doti non verranno immediatamente liquidate e faran-
no parte di lunghe negoziazioni creditizie tra padre, figlie e generi2.
Le vicende dello Stato unitario renderanno più difficile gli affari del
negoziante romano e i fratelli Gentili erediteranno un patrimonio tal-
mente indebitato che sarà necessario vendere tutto per pagare i credito-
ri. Ma i crediti dotali (anche con le nuove leggi) rendono inalienabile l’as-
se ereditario e ne limitano la libera disponibilità: sarà il tribunale a per-
metterne la vendita, solo a patto che vengano pagate tutte le doti. Le
sorelle Gentili diventano in questo modo le uniche proprietarie e le uni-
che eredi di una ricchezza di fatto destinata ai soli maschi della famiglia.
La reintroduzione nel nuovo codice civile dell’istituto dotale – pur
non obbligatorio – ripropone le contraddizioni già emerse nella storia
patrimoniale durante l’antico regime e vissute dalla famiglia Gentili. La
dote continuerà a vincolare i patrimoni maschili e a rendere di fatto i

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proprietari (padri, mariti o fratelli) istituzionalmente debitori nei con- di tutti gli attori sociali e delle loro ambivalenze.
fronti delle donne. Gli interventi riuniti in questo Quaderno attorno al concetto e alla
Viene inserita in questa maniera una profonda contraddizione nella costruzione della identità maschile esaminano soprattutto le logiche e il
logica dello Stato liberale: nonostante l’affermazione della totale libertà e ruolo di queste contraddizioni.
della individualità dei diritti di proprietà, il godimento di un bene viene Renata Ago, nel suo intervento, riassume molto efficacemente questa
di fatto limitato non solo dalla imposizione di una trasmissione eredita- ipotesi: il civis della città stato del Rinascimento – e il “cittadino” delle
ria più egualitaria tra figli e figlie (per lo meno in una parte del patrimo- epoche successive – è un uomo adulto, padre di famiglia, proprietario
nio)3, ma soprattutto dall’inserimento di vecchi assetti normativi che che assume, in quanto tale, una centralità tutta particolare negli ambien-
regolano ancora le relazioni interne alla famiglia contemporanea. ti urbani in età moderna, soprattutto in Italia. Un pater familias, cioè, che
Gli studi più recenti di storia delle donne hanno descritto molto effi- amministra, che è capace di alimentare, di essere indipendente e sfamar-
cacemente il significato del ruolo di debitore di chi deve assegnare le si, di tutelare, di autorizzare, di garantire, di restituire i debiti. Da questa
doti, o di chi le deve amministrare4. E le ricerche sulla storia della pro- autorità dipende tutta la storia futura della famiglia: dalla capacità di
prietà e sulle identità proprietarie – nelle società di antico regime – ci per- dare, cioè, ma anche di restituire le doti, di mantenere le mogli, ma anche
mettono di capire quanto le donne fossero consapevoli del loro ruolo di di saperne amministrare i beni. E su questo concetto di gestore di beni –
creditrici e quanto questo fatto indebolisse non solo le strutture dei patri- conclude Ago – si fonda la garanzia di un’amministrazione funzionante,
moni maschili, ma anche e soprattutto le identità dei debitori: padri di anche a livello pubblico.
famiglia, mariti o fratelli5. Chi può vantare un credito, infatti, anche di Ma si tratta di un potere accerchiato da controlli e inserito in un siste-
piccole proporzioni, limita di fatto l’autonomia del titolare diretto di una ma di incoerenze. Se per formare una dote era possibile compromettere
ricchezza, ne sottolinea continuamente la sua non totale possibilità deci- un patrimonio, e dunque rischiare di rendere inutile la trasmissione di
sionale e rende dunque molto flessibile un rapporto di forza all’interno una proprietà in linea maschile, questo significa che la storia della for-
non solo delle relazioni familiari, ma anche di quelle sociali6. mazione di una identità maschile doveva tenere conto di una situazione
Nella storia della famiglia tuttavia i legami del credito non si limita- di non indipendenza, di non autonomia di sé, doveva interpretarne le
no alla presenza delle doti, e dunque non si esauriscono con il loro decli- condizioni e osservare e misurare gli spazi di manovra a disposizione.
no. L’obbligo al mantenimento delle mogli anche se possidenti, riaffer- Lyndal Roper, in un bel saggio di alcuni anni fa sul rapporto tra
mato nei codici ottocenteschi non solo in Italia e in vigore sino a tempi mascolinità e onore, descrive molto bene le contraddizioni legate al con-
recenti7, ripropone ai capifamiglia il loro ruolo di debitori: provvedere cetto di potere maschile. Le autorità cittadine, agli inizi dello Stato
direttamente ai bisogni anche superflui delle donne e autorizzarne le moderno, erano costrette a controllare attentamente il rispetto dei dove-
spese, secondo le norme, significa di fatto essere legati, anche in questo ri che artigiani e padri di famiglia in genere avevano nei confronti di
caso, da un rapporto creditizio. mogli, figli, ma anche nei confronti della comunità. “La mascolinità era
Le fonti, sia per l’antico regime, sia ancora per l’età contemporanea, ci ambivalente anche all’interno della famiglia, sebbene fosse la pietra
suggeriscono quanto le mogli fossero consapevoli, non solo in caso di angolare dell’ordine patriarcale. Il padre di famiglia, che doveva gover-
conflitti coniugali, dei loro diritti a essere mantenute e a non essere coin- nare su sua moglie, sui figli, sui garzoni e sui servi, e con ciò doveva rap-
volte in spese non previste dalle leggi8. E “failure to provide – sottolinea presentare nell’ambito domestico il dominio ragionevole dell’autorità,
John Tosh nel saggio Men in the domestic sphere incluso in questo veniva continuamente sospettato, dalla stessa autorità, di ubriachezza, di
Quaderno – was unmanly and forfeited the claim to authority”. spreco e di violenza”9.
Non si può ricostruire la storia delle articolazioni sociali senza rende- Un’identità di genere altrettanto poco naturale di quella femminile,
re conto delle conseguenze che le strutture diverse dei patrimoni maschi- sottolinea giustamente Ago, se è necessario passare attraverso riti o cesu-
li e femminili hanno avuto non solo nei rapporti di potere interni alle re, che emancipano, che fanno diventare paterna e responsabile la masco-
famiglie, ma anche e soprattutto nella formazione dello Stato moderno e linità, ma che allo stesso tempo permettono di osservarne e controllarne
contemporaneo. Né possiamo capire la storia della proprietà senza pen- l’esercizio.
sare al ruolo importante da essa giocato nella costruzione delle identità La lettura acuta che Margherita Pelaja ci propone del libro di un giu-

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rista, Giovanni Cazzetta, sul concetto di seduzione nella cultura giuridi- donne, mettendo in evidenza per esempio il “deficit” di impegno
ca tra antico regime e età contemporanea è molto istruttiva a questo pro- maschile nell’ambito domestico13.
posito. L’impossibilità per i giuristi di concepire “un diritto delle donne Gli studi sulla mascolinità “[potrebbero] far tesoro del ricco bagaglio
di disporre del proprio corpo e della propria sessualità senza subordi- di ricerca e discussione teorica che negli ultimi decenni ha caratterizzato
narla comunque a un fine” deriva anche dalla consapevolezza di “un’i- gli studi sulle donne e sul genere”, ricorda giustamente Renata Ago nel
dentità maschile debole negli statuti sessuali che si vanno definendo suo intervento. E tuttavia l’applicazione dei metodi di ricerca e l’uso
anche nei codici”. E un’identità debole offre materia e obiettivi, conclude delle fonti restano ancora – come è stato osservato – nell’ambito dei desi-
Pelaja, a giudici e tribunali che, rispetto alle pretese femminili, cercano di deri, più che nella pratica storiografica14.
reinterpretare e ristabilire le ragioni dell’ordine familiare. E’ stato soprattutto uno storico inglese, John Tosh – di cui qui presen-
Nella descrizione e nella ricostruzione della storia del “dominio tiamo due interventi – a richiamare, in questi ultimi anni, l’attenzione
maschile” (per usare le parole del recente saggio di Pierre Bourdieu) è “della piccola comunità degli storici” che si sono occupati di identità
necessario tenere conto di contraddizioni e incoerenze e delle possibilità maschile sui problemi ancora aperti e sulle contraddizioni della ricerca15.
negoziali da queste permesse. Il suo saggio Current issues in the history of masculinity, presente in questo
La categoria di negoziazione è stata centrale per l’interpretazione Quaderno, rappresenta un importante contributo a questo riguardo.
della storia del potere nelle società di antico regime e ha permesso di for- Parlare di mascolinità al di fuori di un concetto relazionale, – osserva
mulare nuove ipotesi sulla formazione e sulla struttura dello Stato Tosh – di un rapporto cioè con il genere femminile, significa non riuscire
moderno. Le analisi delle relazioni tra poteri gerarchicamente ordinati a dar conto di una storia sessuata e del suo ruolo nell’analisi delle artico-
hanno messo in rilievo la capacità e la necessità di patti tra le parti, che lazioni sociali nei vari contesti. “Modern work in the masculinist vein –
hanno dato luogo, come è stato scritto10 a un “potere composito” piutto- avverte Tosh – still bears the imprint of [a] polarised notion of sexual dif-
sto che a una subordinazione delle periferie verso il centro. E le periferie ference”.
culturali e politiche hanno influenzato, e a volte determinato, le azioni Ma questo autore solleva un altro problema importante a proposito di
del centro. due punti centrali della ricerca: la questione della periodizzazione e la
Nello studio delle relazioni tra i generi e nelle ricerche di storia delle questione dell’intreccio tra gruppi sociali differenti e identità sessuali. Si
donne restano ancora aperte molte domande a proposito della storia dei tratta di una discussione emersa più volte nel corso degli studi sulle
poteri. Se l’autorità maschile è caratterizzata da incertezze, ambivalenze donne16. Tosh indica – non a caso – nel libro di Leonore Davidoff e di
e contraddizioni così profonde e se è sottoposta a un gioco continuo di Catherine Hall sulle “fortune familiari” della middle class di primo
controlli e contrattazioni, quali sono, per gli uomini, le percezioni della Ottocento17 un passaggio innovativo importante nel dibattito storiogra-
propria identità e quali sono le possibilità e le logiche delle trasforma- fico di questi ultimi decenni. Avere ricostruito una storia sessuata della
zioni di un “dominio”? borghesia inglese e avere interrogato in maniera differente le fonti nota-
E’ stato osservato recentemente come le scienze sociali e in particola- rili ha indubbiamente aperto nuove prospettive di indagine. Ma Tosh cri-
re la ricerca storica abbiano trascurato, in Italia, l’analisi della costruzio- tica allo stesso tempo la tendenza delle autrici ad usare cesure e perio-
ne dell’identità maschile e del suo ruolo nella storia politica e sociale, a dizzazioni tipiche della storiografia classica e a ricostruire la storia dell’i-
differenza di ciò che è avvenuto in altri paesi europei e americani11. Ma dentità maschile in relazione alle appartenenze sociali. Non è infatti pos-
è importante notare come sui risultati di queste ricerche siano stati avan- sibile rintracciare una “mascolinità uniforme” all’interno dei singoli
zati molti dubbi e perplessità. In un recente libro una giovane studiosa gruppi sociali. Amanda Vickery – ricorda Tosh nel suo intervento Men in
tedesca, Rebekka Habermas, esprime molte critiche circa alcune tenden- the domestic sphere – dimostra come nel Lancashire alla fine del Settecento
ze degli studi sulla mascolinità12. La storia dei maschi – osserva la “gender distinctions between commercial and landed families were less
Habermas – sembra avere percorso alcuni passaggi tipici della prima fase striking than their common attachment to domestic confort, field sports
di ricerca della storia delle donne. In molti studi ci viene ancora descrit- and public service”. La concordanza di classe e genere è meno convin-
ta una storia non relazionale, in cui gli uomini appaiono o vittime o cente di quanto si sia supposto: La mascolinità in definitiva è “un insie-
oppressori e in cui spesso la loro storia viene comparata con quella delle me di norme e di relazioni sociali che trascendono gli interessi di qual-

10 11
siasi classe o gruppo sociale”. do la diseguaglianza che crea?”. E’ la domanda con cui Simonetta
Le ricerche di John Tosh sull’età vittoriana dimostrano molto bene Piccone Stella introduce il suo commento ai due saggi di Pierre Bourdieu
questa ipotesi e rendono conto allo stesso tempo delle incoerenze degli e di R.W Connel sul dominio maschile.18
assetti giuridici, ma anche di quelli culturali, nella costruzione dell’iden- Bourdieu ripropone il suo paradigma interpretativo di habitus per
tità maschile. Il ruolo assegnato ai maschi è sottoposto ad ambivalenze spiegare le ragioni delle profonde sedimentazioni nel comportamento
molto più insidiose e minacciose rispetto ai ruoli delle donne. Se la casa collettivo e dunque la permanenza delle gerarchie tra i sessi. E anche se
diventa uno dei fulcri fondamentali della vita privata e pubblica, chi se l’autore individua spazi di manovra e possibilità di interventi, tuttavia –
ne allontana rischia di perderne i controlli, ma anche il piacere di abitar- osserva Piccone Stella – il “dominio maschile” appare nel suo saggio
vi e di amministrarla. E se il ruolo di procacciatore di risorse e di denaro come una definizione rigida. Manca l’analisi del potere maschile “nelle
conferito ai lavoratori maschi assegna un potere, esso offre contempora- sue articolazioni, [...] nel vissuto”: gli uomini appaiono all’interno di un
neamente alle mogli e ai gruppi parentali in caso di errori una vasta paradigma compatto, indifferenziato.
gamma di possibili conflitti legali. Un concetto radicalmente differente rispetto alla proposta di Connell,
Tutti i saggi contenuti in questo Quaderno fanno riferimento a un che tenta una spiegazione dell’universalità del dominio maschile distin-
concetto di mascolinità relazionale e alle pratiche di contrattazione attra- guendo tra più modelli di mascolinità: quella egemone (“il modello più
verso le quali uomini e donne sfruttano i rispettivi spazi di manovra. apprezzato dell’esistenza maschile”), quella subordinata (e qui sono col-
Giovanni Romeo, nel suo intervento, ricostruisce il ruolo della con- locati gli omosessuali), quella marginale e quella complice oppure di pro-
fessione nella costruzione delle identità sessuali in età moderna, distin- testa. Chi non fa parte del potere egemone partecipa tuttavia a una ege-
guendo le valenze diverse tra pratiche maschili e pratiche femminili. “Il monia di riflesso e usa la propria appartenenza per “spendere la pur
confronto con le confessioni dei maschi è istruttivo: sbrigative, senza limitata supremazia – scrive Piccone Stella – dominando il sesso opposto
fronzoli, scivolano rapide verso la conclusione. E quando il giudizio è semplicemente in quanto maschi”.
negativo, non ci sono reazioni particolari: l’onore maschile non ne è Si tratta in ogni caso, per entrambi gli autori, di un concetto di domi-
intaccato”. L’efficacia degli strumenti del controllo sull’onore dei maschi nio poco flessibile e, soprattutto per Bordieu, difficilmentenegoziabile.
si basa su altri strumenti. Lyndal Roper, nel saggio citato, li enumera “Gli uomini non collaboreranno, non muoveranno un dito [...] ogni ini-
attentamente: le autorità cittadine osservano il vestiario maschile, le ziativa sembra trovarsi nelle mani delle donne”. Non si accenna ai
spese, le capacità di guadagno, sottolineando in questa maniera la fragi- momenti di rottura e non si crede alle richieste delle minoranze attive.
lità di un potere. E’ più facile rintracciare nel saggio di Bourdieu – come è stato osser-
Ma la proposta di Franco Ramella di rileggere il libro classico di vato19 – le ragioni delle permanenze del dominio, piuttosto che i fattori
Elisabeth Bott contribuisce a spiegare ancora più chiaramente le ragioni del cambiamento e capire allo stesso tempo le ragioni di una profonda
e le conseguenze di un’identità maschile differenziata e frammentata. Le sottovalutazione delle lotte simboliche, e di quelle politiche.
diverse configurazioni delle reti sociali, secondo questa autrice, sono alla “Avremmo voluto che questo autore precisasse gli effetti prodotti sul
base della rigidità o della flessibilità dei rapporti di genere. “L’idea fon- dominio maschile dalla conquista dell’eguaglianza giuridica e dalle
damentale è che le reti sociali a maglia stretta – commenta Ramella – ten- rivendicazioni politiche” scrive Agnès Fine commentando la freddezza
dano a favorire la formazione di gruppi, coesi e solidali; è appunto in con cui Bourdieu ha accolto il recente dibattito sulla parité politica prete-
condizioni di questo tipo che è più probabile che tra gli appartenenti alla sa dalle donne americane attraverso rigide richieste di azioni positive,
cerchia sociale densa si sviluppino […] idee, atteggiamenti [...] sui com- rifiutate invece da una parte delle femministe francesi. Una nuova que-
portamenti di ruolo”. relle des femmes, come ha osservato Joan Scott20, di cui si occupa l’inter-
Ma se la costruzione dell’identità maschile è strettamente correlata ai vento di Andreina De Clementi.
rapporti tra i generi e ai meccanismi delle reti di relazione e se le prati- “In realtà - osserva De Clementi - gli interrogativi emersi nel corso di
che delle donne, le loro negoziazioni, ne rendono flessibile e a volte questo cruciale dibattito, se pure saldamente ancorati a due distinte
incerta la fisionomia, “come mai il dominio di un sesso sull’altro si è appartenenze nazionali, chiamano in causa l’intero assetto politico occi-
mantenuto per secoli come una convenzione che tutti accettano malgra- dentale”. Il rifiuto da parte di alcune studiose francesi di una concezione

12 13
sessuata della politica ripropone di ridiscutere alcuni concetti fonda- Note
mentali della storia del pensiero politico occidentale. Le americane con-
fonderebbero la differenza con la diseguaglianza e minerebbero la prati- 1 Archivio di Stato di Roma, Notai distretto di Roma e Velletri, Notaio Bertarelli, b. 168, 15

ca democratica rendendo il genere un problema politico. Un concetto gennaio 1874. Per una ricostruzione della storia di questa famiglia e delle pratiche patri-
contrario alla tradizione della “uguaglianza rivoluzionaria” francese e moniali tra vecchi e nuovi assetti normativi in Italia, vedi A. Arru, Un credito senza capitale:
il diritto delle mogli al mantenimento (Roma sec. XIX), in A. Arru, L. Di Michele, M. Stella,
alla sua “universalità repubblicana”.
Proprietarie, Napoli, 2001.
In realtà la querelle tra Francia e USA non riguarda solo due modi di
2 Sui patti dotali e sulla circolazione delle doti vi è ormai una ricca letteratura. Per una
concepire l’uguaglianza tra cittadini, commenta De Clementi, ma due
buona sintesi, anche bibliografica vedi I. Fazio, La ricchezza e le donne: verso una ri-problema-
modi di pensare all’identità maschile. “Le americane non intendono più
tizzazione, in “Quaderni storici”, n. 101, 1999, pp. 539-550.
condividere la fedeltà francese all’universale unicamente incarnato nel-
3 Su questa contraddizione e sul dibattito intorno al codice Pisanelli vedi R. Romanelli,
l’uomo [...] la parità è ciò che serve per consentire a uomini e donne di
Individuo, famiglia e collettività nel codice civile della borghesia italiana, in R. Gherardi, G. Gozzi
accedere all’universale”.
(a cura di), Saperi della borghesia e storia dei concetti fra Otto e Novecento, Bologna, 1995, pp.
La rilettura dei rapporti di potere e la storia delle costruzioni politiche 351-399.
attraverso protagonisti sessuati può dunque non solo scatenare una dis-
4 Sul legame di credito come conseguenza del regime dotale hanno insistito particolar-
cussione dei vecchi paradigmi della storia politica, ma soprattutto inci-
mente M. Martini, Crediti e relazioni coniugali nelle famiglie della nobiltà bolognese del XIX seco-
dere sul paradigma tradizionale dell’identità maschile. Accettare di lo, in G. Calvi, I. Chabot (a cura di), Le ricchezze delle donne. Diritti patrimoniali e poteri fami-
frammentare “l’universale” significa infatti sottrarlo ai meccanismi delle liari in Italia (XIII-XIX secc.), Torino, 1998; A. Arru, “Donare non è perdere”. I vantaggi della reci-
ambivalenze e delle contraddizioni e così rendere più evidenti e più effi- procità a Roma tra Settecento e Ottocento, in “Quaderni storici”, n. 98, 1998. Sul peso del cre-
caci le pratiche di uno smantellamento dei poteri. dito e sulla figura del debitore vedi R. Ago, Letture rispettose e descrizioni pertinenti, in
“Quaderni storici”, n. 100, 1999.
5 Vedi ad esempio D. Lord Smail, Démanteler le patrimoine. Les femmes e les biens dans la
Marseille médiévale, in “Annales E.S.C.”, n. 2, 1997. Per le società contemporanee vedi A.
Arru, Un credito senza capitale…, cit.; M Martini, Crediti…, cit.
6 Sulla relazione tra poteri familiari e costruzione dello Stato moderno vedi un’ottima
sintesi in A. M. Hespanha, Introduzione alla storia del diritto europeo, Bologna, 1999, pp. 36 e
ss.
7 Cfr. Codice civile del Regno d’Italia, 1865, Torino, Stamperia Reale, L.I, artt. 134, 135.
Sulla cultura dei giuristi e sull’efficacia di questa norma vedi T. D’Avolio, Le contraddizioni
della cultura giuridica nell’Italia contemporanea: il dibattito sul mantenimento delle mogli, Tesi di
laurea, Facoltà di Scienze Politiche dell’Istituto Universitario Orientale, a.a. 1999-2000.
8 Qui vedi soprattutto A. Arru, Un credito senza capitale…, cit. Secondo il nuovo codice
civile le donne non avevano alcun dovere finanziario nei confronti del coniuge, se non in
caso di inopia, riproducendo, in questo caso le vecchie norme statutarie delle varie città ita-
liane.
9 L. Roper, Maennlichkeit und maennliche Ehre, in K. Hausen, H. Wunder,
Frauengeschichte, Geschlechtergeschichte, Frankfurt/New York, pp. 154-172.
10 Per un’ottima sintesi del dibattito storiografico su questo punto vedi O. Raggio, Visto
dalla periferia. Formazioni politiche di antico regime e Stato moderno, in Storia d’Europa, vol. IV,
Torino, 1995.
11 Cfr. a questo proposito S. Bellissai, M. Malatesta, Mascolinità e storia, in S. Bellissai, M.
Malatesta (a cura di), Genere e mascolinità. Uno sguardo storico, Roma, 2000, pp. 1-11.

14 15
12 Cfr. R. Habermas, Frauen und Maenner des Buergertums. Eine Familiengeschichte (1750-
1850), Goettingen, 2000, pp. 15 e ss.
La costruzione dell’identità maschile:
13 Qui vedi le osservazioni critiche di Habermas (p. 22) sugli studi di A. Charlott Trepp, una competizione tra uomini
Sanfte Maennlichkeit und selbstaendige Weiblichkeit. Frauen und Maenner im Hamburger
Buergertum 1770-1840, Goettingen, 1996. Renata Ago
14 R. Habermas, Frauen…, cit. p. 22. Università “La Sapienza” di Roma
15 Sugli studi di J. Tosh vedi anche le interessanti osservazioni di M. Vaudagna, Gli studi
sul maschile: scopi, metodi e prospettive storiografiche, in S. Bellissai, M. Malatesta, Genere e
mascolinità, cit., pp. 13 e ss. 1. La definizione del problema
16 Vedi ad esempio l’introduzione di A. Groppi a Il lavoro delle donne, a cura di A.
Groppi, Roma- Bari, 1996.
Arrivando buoni ultimi, gli studi sulla mascolinità partono da una
posizione di vantaggio: possono far tesoro del ricco bagaglio di ricerca e
17 Cfr. Family Fortunes: Men and Women of the English Middle Class, 1780-1850, London
discussione teorica che negli ultimi decenni ha caratterizzato gli studi
1987.
sulle donne e sul genere. La riflessione intorno al concetto di mascolini-
18 Sul saggio di P. Bourdieu vedi le acute osservazioni di A. Fine in “Clio. Histoire,
tà può dunque bruciare le tappe, ripercorrendo a velocità accelerata il
Femmes et Societés”, n. 12, 2000, pp. 238-245.
percorso compiuto dalla storia delle donne, compreso il dibattito tra
19 Ivi, p. 243. essenzialiste e sostenitrici della costruzione sociale del genere, che ha a
20J. W. Scott, La “Querelle des femmes” in the Late Twentieth Century, in “New Left lungo assorbito le energie del movimento femminista. Nel corso di que-
Review”, 1997. sto dibattito, come è noto, le storiche si sono quasi universalmente schie-
rate dalla parte della prospettiva di genere, attribuendo scarsissimo cre-
dito al punto di vista essenzialista. E’ quindi facilmente comprensibile
che, come la femminilità, anche la mascolinità venga oggi concepita dagli
studi storici come una costruzione sociale, storicamente determinata.
Una definizione anti-essenzialista del nostro oggetto di analisi è tut-
tavia ancora insufficiente a chiarire i termini del problema, perché non
entra nel merito delle modalità secondo le quali si costruisce il maschile.
Per compiere questo ulteriore passaggio, è necessario tener presente che
i gruppi sociali si costruiscono mediante un processo continuo di diffe-
renziazione e che gli esseri umani sono in grado di acquisire senso di sé,
coscienza, solo nel momento in cui si percepiscono come distinti e sepa-
rati dagli altri1.
Come tutte le categorie che entrano nel processo di definizione del
soggetto, e quindi dell’identità, anche la mascolinità è dunque una cate-
goria relazionale: si costruisce e si precisa in relazione a un suo “altro”,
di volta in volta posto e definito. L’altro della mascolinità non è infatti
costituito solo dalla femminilità. La definizione dell’identità maschile si
gioca non solo sulla differenziazione tra uomo e donna, ma anche sulla
identificazione tra maschio e uomo. L’essere uomini, cioè esseri umani, si
definisce così non tanto in relazione alle donne quanto in relazione alla
non-umanità degli animali, alla loro ferinità. E la virilità dei gruppi
dominanti, la loro autentica interpretazione di cosa significhi essere

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uomini, si definisce in relazione alla virilità inautentica, incompleta, dei cieca che chiude e delimita il corpo come se fosse un fenomeno isolato e
gruppi dominati: si è uomini nei confronti delle bestie, di quelle vere, determinato. L’immagine grottesca mostra non soltanto l’aspetto esterio-
come di quelle metaforiche. re ma anche quello interiore del corpo: il sangue, le viscere, il cuore e gli
Questo tratto è evidentissimo nell’enfasi rinascimentale e barocca altri organi interni. E spesso la parvenza esterna e quella interna si fon-
sulla virilità come autocontrollo e nel suo contrario, nell’esaltazione dono in un’unica immagine”5.
coeva della mascolinità come trionfo del corpo e degli istinti ad esso con- Al corpo grottesco non può che corrispondere un animo altrettanto
nessi. La cultura rinascimentale mette infatti in scena la contrapposizio- “aperto” e straripante, dove interno ed esterno sono in relazione recipro-
ne tra il corpo chiuso, armonioso e definito, della tradizione classica e il ca e immediata. Un animo indisciplinato che lascia liberamente fluire le
corpo aperto, grottesco e indefinito, della tradizione popolare e carneva- passioni e non controlla né linguaggio, né gesti, né postura.
lesca. I canoni estetici dell’arte classica, riscoperti nel Rinascimento, cele- Se il canone classico descrive corpo e anima delle élites di corte, colte
brano “un corpo perfettamente dato, formato, rigorosamente delimitato, e disciplinate, il canone grottesco viene relegato sempre di più nell’area
chiuso, mostrato dall’esterno, omogeneo ed espressivo nella sua indivi- del carnevale, della festa popolare, del popolo stesso. I due diversi cano-
dualità [...]. Alla base di questa immagine sta la massa del corpo, indivi- ni estetici vengono così ad esprimere un confronto-scontro tra ceti, che
duale e rigorosamente delimitata, la sua facciata massiccia e cieca. La vede la contrapposizione di patrizi e plebei, gentiluomini e popolani. Ma
superficie cieca, la piattezza del corpo, acquistano un’importanza prima- la linea di separazione tra la virilità “autentica” del perfetto gentiluomo
ria come frontiera di un’individualità chiusa, che non si mescola con gli e quella imperfetta e inadeguata di tutti gli altri può correre lungo spar-
altri e col mondo. Tutti i segni che denotano l’incompiutezza e l’imperfe- tiacque diversi da quelli costituiti dalla differenza di ceto e disporsi, per
zione di questo corpo sono scrupolosamente eliminati, così come lo sono esempio, lungo il filo delle generazioni: veri uomini sono allora gli adul-
tutte le manifestazioni esterne della sua vita all’interno”2. “Nel nuovo ti, in relazione ai giovani, che sono uomini in formazione e quindi incom-
canone corporeo, il ruolo predominante passa alle parti del corpo che pleti. Oppure può tagliare verticalmente la stessa élite, il gruppo degli
hanno individualmente un valore caratteriologico ed espressivo: la testa, adulti delle classi dominanti, separando e contrapponendo la virilità dei
il volto, gli occhi, le labbra, il sistema muscolare, la posizione individua- guerrieri e quella dei chierici o dei cortigiani.
le che il corpo occupa nel mondo esterno. Al primo posto si distinguono Intesa in questo senso, la mascolinità è dunque una categoria di
le posizioni e i movimenti opportuni di un corpo formato in un mondo “distinzione”, nel senso dato al termine da Bourdieu6, ma, diversamente
esteriore parimenti formato, in presenza dei quali le frontiere fra il corpo dalla maggior parte delle categorie di distinzione, o perlomeno dal modo
e il mondo non si indeboliscono affatto”3. in cui sono state presentate dagli studi storici e sociali, è oggetto di com-
A un corpo siffatto corrisponde un’individualità altrettannto compiu- petizione molto più che di emulazione. Tra i diversi gruppi sociali o
ta e conchiusa, fondata sull’autocontrollo e sul dominio delle passioni, generazionali che ho appena ricordato si possono ovviamente verificare
custodite appunto nel segreto dell’animo, senza che nulla della sua vita fenomeni di imitazione, nel senso che il gruppo degli esclusi, degli outsi-
interna traspaia all’esterno. Insieme costituiscono il corpo e l’animo del ders, può cercare di acquisire le caratteristiche del gruppo degli inclusi,
perfetto “cortegiano”, di colui che ha fatto della “sprezzatura” un’arte, e degli insiders. Ma il tratto più comunemente riscontrabile non è tanto
che sa quindi conferire al massimo dell’artificiosità l’aspetto esteriore del questo quanto quello della rivendicazione orgogliosa del proprio model-
massimo della naturalezza4. lo di virilità come unico “vero”, cioè unico appropriato: gli altri uomini
Al contrario, i canoni estetici della tradizione popolare celebrano un sono dei bruti, più bestie che uomini, o sono degli effeminati, più donne
corpo cosmico in eterna crescita, che supera continuamente i propri limi- che uomini.
ti, non ha confini né chiusure, penetra il mondo esterno e ne è penetrato. Il tratto caratteristico di questo modo di intendere il maschile è dun-
Nell’immagine grottesca, propria della tradizione popolare e carnevale- que costituito dalle modalità attraverso le quali si realizza la costruzione
sca, “il corpo individuale è totalmente assente: tutta l’immagine è forma- stessa della virilità, non tanto in contrapposizione alla femminilità quan-
ta da vuoti e sporgenze che sono già l’inizio di un altro corpo. E’ un luogo to per differenziazione interna al gruppo degli uomini. L’“altro” in base
di passaggio in cui la vita si rinnova di continuo, un vaso inesauribile di al quale ci si definisce e ci si afferma è costituito non tanto dalle donne
morte e concepimento [...]. L’immagine grottesca ignora la superficie quanto da un gruppo concorrente di uomini. Un modello “paterno”,

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responsabile e disciplinato, che accoglie e include il riconoscimento di esaltano appunto una concezione “fraterna”, trasgressiva e indisciplina-
donne e bambini, si contrappone a un modello “fraterno”, irresponsabi- ta della mascolinità, contrapposta a quella “paterna”, disciplinata e
le e intemperante, che accetta come unico riconoscimento quello dei pari padrona di sé, propria dei magistrati cittadini e degli uomini maturi in
e si presenta pertanto come esclusivo e minaccioso. Questa contrapposi- genere9.
zione tra “padri” prudenti e “fratelli” intemperanti percorre chiaramen- E naturalmente se ne trovano ancora di più direttamente nei docu-
te tutta la prima età moderna e la definizione dell’intero assetto sociale menti: nelle corrispondenze private, nei diari e nelle autobiografie, prima
passa anche per l’affermazione di quello che ciascuno dei due gruppi di tutto, ma anche nei regolamenti di polizia delle città, o nelle carte cri-
considera l’appropriato modello di virilità. minali, o nelle leggi suntuarie10 o persino in documenti insospettabili
Nelle pagine che seguono vedremo quindi 1) quali possano essere le come i cahiers de doléances presentati a Stati generali o altre assemblee di
fonti documentarie per la ricostruzione di questo processo di definizio- quel tipo, dai quali emerge spesso una contrapposizione conflittuale tra
ne-differenziazione dell’identità maschile nella prima età moderna, 2) un’identità maschile guerriero-cavalleresca e una cortese-curiale: basta
quali siano i risultati di un’indagine del genere relativa al caso di Roma leggerli con attenzione al problema.
tra Cinque e Seicento, 3) che relazione ci sia tra la costruzione dell’iden- E infine si trovano testimonianze delle diverse nozioni di mascolinità,
tità maschile e il problema del riconoscimento della sessualità e del suo da quella che viene rivendicata a quelle che invece vengono disprezzate
legittimo esercizio all’interno di una determinata struttura sociale. e respinte, nei testi letterari e nelle opere d’arte: basti pensare alle descri-
zioni dei riti del Carnevale, su cui ha tanto lavorato Natalie Zemon
Davis, o di alcuni cerimoniali popolari come lo charivari, ma anche ai rac-
2. Le fonti documentarie conti di avventura, più o meno di fantasia, dalle biografie o autobiogra-
fie romanzate ai romanzi veri e propri, come la letteratura picaresca, o il
Generalmente si sostiene che la virilità come categoria identitaria sia suo contrario, la letteratura di corte.
difficile da studiare, per scarsità di fonti storiche. L’equiparazione del Ma i documenti utilizzabili per uno studio della mascolinità non si
maschile a ciò che è indifferenziatamente umano finisce con l’oscurare limitano alle fonti dirette che ho citato finora. Se ci si pensa bene, infatti,
quello che dovrebbe essere l’oggetto stesso della ricerca, rendendolo ci si rende conto che alla nozione di virilità – in particolare la virilità del
indistinguibile e indefinibile. E invece, per quella che è la mia esperien- gruppo dominante – sono collegati anche i concetti, apparentemente non
za, le testimonianze documentarie, sull’esistenza di una nozione di sessuati, di autorevolezza, affidabilità, rispettabilità, tutte categorie che
mascolinità intesa come categoria di distinzione e di un suo uso come concorrono nel definire il civis delle città-stato del Rinascimento e il “cit-
arma di offesa, non sono certo poche. Se ne trovano in abbondanza, per tadino” delle epoche successive, che è appunto un uomo adulto, padre di
esempio, nell’opera di Stone sulla crisi dell’aristocrazia in Inghilterra, là famiglia, proprietario. Questo mi sembra il concetto tipico-ideale di “viri-
dove l’autore cita dichiarazioni come quella di un aristocratico inglese, il lità autentica” dominante nell’età moderna, che certo ha radici molto
quale amava dire: “Corpo di Dio, preferirei che mio figlio si impiccasse antiche, greche e romane, ma che assume una centralità tutta particolare
piuttosto che studiare lettere! Ai figli dei gentiluomini si addice suonare negli ambienti urbani che determinano la cultura di quest’epoca, soprat-
piacevolmente il corno, cacciare con abilità ed eleganza, addestrare bene tutto nel caso italiano.
un falcone. Lo studio delle lettere dovrebbe essere lasciato ai figli dei con-
tadini”7. Oppure nell’autobiografia di un artigiano, come quella del
vetraio Ménétra pubblicata da Roche, il quale esalta a più riprese la soli- 3. La categoria della virilità nella Roma del XVII secolo e il suo
darietà fraterna che regna all’interno del gruppo di giovani maschi celi- valore operativo
bi suoi pari, e allo stesso tempo si vanta di aver sedotto e abbandonato
fanciulle e giovani vedove e si dimostra molto soddisfatto di aver beffa- Come ho accennato nel paragrafo precedente, la definizione dell’i-
to o riempito di botte uomini maturi che gli hanno intralciato la strada8. dentità maschile può tagliare verticalmente la stessa élite, là dove il
Analoghi riferimenti si possono trovare in tutti gli studi sulle associazio- gruppo dei “guerrieri” si trova contrapposto a quello dei “curiali”. Data
ni giovanili, dalle badie dei folli alle consorterie di giovani patrizi, che la specializzazione professionale che caratterizza le famiglie aristocrati-

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che romane – un fratello si sposa e mette al mondo figli, un altro si fa freddoloso questo figliolo, che non so mai a chi somigli”13. Qualche gior-
prete e fa carriera in curia – questi due diversi modelli di virilità, quello no dopo rincara al dose: “di questi nostri figli – scrive ancora alla moglie
del cavaliere che deve lavare le offese col sangue, e quello dell’uomo di – quelli che parevano più flosci riescono più sani, come l’Abate e Ciriaco,
mondo capace di anteporre gli interessi della carriera ai puntigli d’ono- e Bernardino al contrario mi riesce di ricotta tanto è tenero e delicato, che
re, spesso convivono sotto lo stesso tetto e vengono fatti propri da mem- ogni poco di moto lo stracca e gli toglie l’appetito, ma non il sonno, e
bri di una stessa famiglia. Ma non solo: lo stesso uomo, in circostanze pure è mio figlio, che camino anch’hoggi molto più di lui, mi sento più
diverse della sua vita, può appellarsi all’una o all’altra delle due nozioni, gagliardo, ho buon appetito, e mi levo all’alba”14. E in un’altra occasio-
che in teoria dovrebbero escludersi a vicenda. ne, commentando una nuova moda segnalatagli dal figlio, dichiara:
Il cavaliere è un uomo schietto, sincero, orgoglioso e con una sola “L’usanza dello strascico de’ ferraioli per causa di lutto mi meraviglio
parola. La sua principale cura è la difesa del suo onore e in questo campo che qui non sia stata sin’adesso levata da quella delle donne, ingegnan-
non c’è interesse che possa tenere a freno le sue passioni. La sua maggior dosi gli uomini in tutto ciò che possono d’imitarle per apparir ben’ effe-
virtù è la fierezza. Un buon esempio di questo tipo di virilità è costituito minati, e far conoscere che è il tempo che si lasciano portar le brache alle
dal nobile Pietro della Valle, curiosa figura di letterato-scienziato, che femmine”15.
soggiorna a lungo in Oriente, sposa una principessa georgiana, torna a A metà strada tra il curiale e il cavalleresco troviamo figure come
Roma e si trova invischiato in oscuri conflitti. Dalle sue lettere emerge
quelle di Andrea Santacroce o Camillo Cybo, ambedue nobili e ambedue
molto bene il modello di uomo che intende incarnare: “Non ha da esser
prelati, e quindi cavalieri per educazione e curiali per professione, e per-
lecito a chi che sia – scrive ad esempio nell’aprile del 1637 – di perdere il
tanto continuamente combattuti tra il desiderio di lasciarsi guidare dal-
rispetto, e per dir così, di strapazzare Pietro della Valle impune [...]. Assai
l’orgoglio e la necessità di farsi frenare dalla prudenza, cioè di esercitare
gli perde di rispetto et assai lo strapazza chi gli promette una cosa, e non
l’autocontrollo16.
gliela osserva, che è come trattarlo da ragazzo. Et in buone regole di pun-
Tutto questo non è particolarmente nuovo e, nel caso degli aristocra-
tigli, VS sa molto bene che non c’è cosa [...] in che più premano i cavalie-
tici, che hanno lasciato ricchi archivi privati e soprattutto ricchi epistola-
ri, che in farsi osservare la parola da chi che sia, et in risentirsi di chi non
ri, queste cose sono ormai state studiate con una certa precisione, sia a
gliela osserva. Quella persona mi promise e non mi osservò. Che ho io
dunque da aspettare? ho da dare un esempio che chiunque ne possa Roma sia altrove. Più interessante, anche per le sfide che pone sul piano
pigliare ardire di volermi cacare addosso?”11. tecnico, documentario, è il caso degli altri ceti sociali. Per questi ultimi è
E qualche anno dopo, trovandosi al campo delle truppe pontificie, infatti raro trovare documenti personali e dichiarazioni esplicite come
schierate contro il duca di Parma, può dichiarare soddisfatto: sono con- quelle che ho appena citato, e bisogna quindi cercare tra le pieghe di altri
tento di essere “per una volta tra gente della mia professione, cioè fra discorsi, leggere tra le righe di altri documenti.
cavalieri e fra soldati, e non fra toghe, che sono poco del mio genio”12. Una strada che mi sembra promettente è quella dell’analisi di concet-
All’altro estremo, l’uomo di corte è riflessivo, accorto, padrone di sé. ti, distinti ma direttamente correlati alla nozione di virilità, quali quello
Non lascia trasparire le sue emozioni e agisce piuttosto al coperto che di autorevolezza, di affidabilità, di rispettabilità, che fortunatamente
allo scoperto. La sua virtù principale è la prudenza. Come esempio di sono desumibili da un alto numero di fonti. Quelle che ho usato io sono
questa virilità “curiale” si può citare il marchese Orazio Spada, anche lui fonti giudiziarie e, per la precisione, dichiarazioni giurate rese nel corso
sposato e padre di famiglia, che però sentenzia “non è uomo chi non è di processi civili, dove i testimoni, prima di rispondere alle domande
padrone dei sensi”, ed esorta i figli adolescenti a farsi “huomini, ma huo- sulle questioni oggetto del processo, sono chiamati a deporre sulle pro-
mini veramente”, coltivando la modestia, lo studio e la vita ritirata. prie qualità personali. Lo scopo di queste domande è prima di tutto quel-
Tuttavia quando è alle prese con il primogenito, un po’ troppo pigro per lo di stabilire se il teste è una persona attendibile o meno, vale a dire se è
i suoi gusti, anche Orazio Spada sfodera una fierezza virile di stampo o meno coinvolto personalmente nella controversia. Ma, al di là di que-
cavalleresco e scrive alla moglie: “Bernardino s’è scaldato presso al sto, il tribunale vuole anche accertarsi che il teste sia una persona auto-
fuoco, ha portato berrettino foderato con gli orecchioni e fatto cose che io revole, rispettabile, e quindi degna di fiducia. L’insieme delle risposte a
nei maggiori rigori d’inverno in questo paese uso per necessità, et è tanto queste domande preliminari disegna quindi quella che è la nozione cre-

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dibile, approvabile, condivisibile da tutti – testimoni, giudici, avvocati, indicato nella bibliografia mettono in evidenza quanto essi siano tenuti
notai – di autorevolezza virile e, di conseguenza, di virilità “autentica”17. sotto stretta osservazione dall’autorità di polizia, e quanto essi siano
Quali sono i suoi connotati? temuti proprio per il loro carattere incontrollabile e indisciplinato, che fa
Colui che si può dire “veramente” uomo è un pater familias, vale a dire di loro dei selvaggi, degli incivili, degli irresponsabili. Gli editti delle
una persona indipendente, che vive del suo, responsabile dei suoi affari città italiane del Rinascimento, che impongono il coprifuoco ai giovani
e della sua casa, sposato, con o senza figli, ma comunque con dei dipen- per impedir loro di girare armati la notte a disturbare la quiete delle stra-
denti. E questo vuol dire che non è mantenuto da nessuno né lavora per de, si affiancano alle gride delle città svizzere contro i giovani che pren-
altri, ed è quindi proprietario del suo esercizio; che ha una famiglia, ed è dono a sassate le case degli onesti cittadini o assalgono il primo forestie-
responsabile della sua casa e di quanti dipendono da lui, sia come fami- ro che passa e lo ammazzano di botte, tanto per dimostrare chi è che con-
liari in senso stretto sia come servi o altro, ed è quindi in grado di prov- trolla il territorio.
vedere a tutte le loro necessità. L’onore di un uomo consiste infatti preci- Anche all’interno delle famiglie i giovani sono attentamente scrutati e
samente in questa capacità di difendere e tutelare quanti dipendono da sorvegliati, ma qui il timore è un altro: ai loro parenti adulti i ragazzi
lui18. Lo testimoniano, nella Roma del Seicento, il discredito che colpisce fanno paura non perché sono dei selvaggi, bensì perché sono degli
chi non è in grado di assicurare tale tutela, perché è un cattivo ammini- uomini incompleti, sempre a rischio di farsi sedurre e traviare. I giovani
stratore dei suoi beni, o è incorso in un fallimento, oppure ancora si è maschi appaiono così più simili alle donne che agli uomini, come dimo-
dimostrato marito e padre incapace, lasciando che moglie e figli mac- strano, tra l’altro, sia le istruzioni date ai precettori che devono accom-
chiassero il suo onore. E sintetizzano molto bene il concetto le parole di pagnare i giovani nel Grand tour, sia le raccomandazioni fatte ai ragazzi
una nobildonna la quale, in un’accesso d’ansia, rimprovera al marito stessi. Genitori e parenti si preoccupano che i giovani siano modesti,
“che non fa, che non pensa, che trascura e che discredita la casa”, provo- riservati nel parlare e nel vestire, che non vadano mai in pubblico senza
cando l’offeso risentimento dell’interessato19. essere accompagnati da un adulto fidato, e così via, quasi che fossero fan-
Questo modo di concepire il ruolo del pater familias e i suoi doveri è ciulle più che giovani uomini. Non stupisce quindi che nel 1683 il pre-
alimentato dalla legge, là dove essa stabilisce che un capofamiglia che cettore di un giovane Borghese in viaggio di istruzione per l’Europa scri-
non sia all’altezza di questi suoi compiti può essere privato della qualifi- va al suo padrone a Roma mostrandosi molto sollevato di aver final-
ca di “capo” e perdere il diritto di amministrare il patrimonio familiare. mente lasciato Parigi, dove la libertà dei rapporti con le dame lo teneva
E tale possibilità non è esclusivamente teorica, dal momento che negli in grande apprensione20.
archivi giudiziari non è difficile imbattersi in una richiesta in tal senso, D’altra parte, anche la gioventù, come la mascolinità, è una categoria
presentata formalmente a un tribunale da una moglie esasperata perché relazionale più che oggettiva: si è giovani non perché si appartiene a una
il marito sta dilapidando la sua dote. L’identità “responsabile” del pater determinata classe di età, ma perché si è “figli di famiglia”, vale a dire si
familias è inoltre alimentata dalle norme sociali, laddove il comporta- è ancora sotto la potestà paterna, che dura finché il padre è vivo.
mento scapestrato di un figlio viene imputato a colpa del padre, che non Considerando la durata media della vita nella prima età moderna, tutta-
ha saputo farne un uomo, o le intemperanze di un servo si riverberano via, l’eventualità di rimanere a lungo figli di famiglia non è delle più fre-
sull’onore del suo padrone, che viene chiamato a risponderne. quenti e quindi non è tanto questo che conta. Il vero discrimine tra
Ma la conferma più interessante dell’esistenza e dell’operatività di un mondo giovanile trasgressivo e mondo adulto responsabile è invece
modello virile fondato sulla responsabilità e l’autocontrollo viene, secon- costituito dal matrimonio. Il fatto di sposarsi e metter su famiglia costi-
do me, da tutta quella documentazione che riguarda il suo opposto, tuisce un vero spartiacque nella vita di un uomo, come dimostra, di
all’interno stesso del genere maschile. Da questo punto di vista, l’esem- nuovo, la legislazione sul lavoro di gran parte delle città europee. Un
pio più conosciuto e meglio studiato è costituito dai giovani. In tutta esempio molto eloquente dell’importanza del matrimonio per i giovani
Europa, infatti, le autorità cittadine mostrano una particolare attenzione maschi viene da uno studio su operai e apprendisti artigiani nelle regio-
per i comportamenti dei giovani maschi non sposati, così come, sul piano ni di lingua tedesca: ai lavoranti, cioè a chi non è maestro e proprietario
privato, le famiglie mostrano una particolare sollecitudine per gli atteg- del suo esercizio, è vietato sposarsi, e quelli che lo fanno sono destinati a
giamenti e le scelte dei loro ragazzi. Tutti gli studi sui giovani che ho non fare carriera e a ingrossare le file di un proletariato ante litteram21. Gli

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studi di Sonenscher e altri sulle corporazioni parigine o di altre città fran- altri anche da Christiane Klapisch-Zuber, nel saggio Un’etnologia del
cesi dimostrano la stessa cosa: il matrimonio è sinonimo di sistemazione matrimonio in età umanistica23. La storica francese così commenta quel
e pertanto è fondamentale nel fondare l’autorevolezza di un uomo. E lo testo:
stesso Ménétra, che ha fatto il “picaro” per vari anni, sposandosi mette la “Per il nostro umanista, aggressività e violenza sono in effetti soggia-
testa a partito, abbandona i modelli culturali che aveva condiviso fino a centi all’alleanza matrimoniale, e moltissime cerimonie nuziali non
quel momento e adotta quelli, opposti, degli artigiani rispettabili. hanno altro significato che quello di perpetuare il ricordo della famosa
Si smentisce quindi l’idea, a lungo condivisa dagli studi sulle donne, leggenda delle origini romane, rammentando la violenza della fondazio-
che lo stato civile sia dirimente solo per queste ultime, mentre per gli ne di Roma, costruita su di un assassinio e sul matrimonio per ratto, ma
uomini ciò che conta è la professione: al contrario, status professionale e anche la pace che ne conseguì. I richiami alla leggenda antica ricorrono
stato civile si dimostrano strettamente interconnessi. E, a pensarci bene, costantemente nelle sue pagine: ‘Sì che representandose in ogne apto
perfino il cittadino della trattatistica politica è un pater familias, e non un nuptiale la memoria di quel rapto de Sabine’, ‘ per ogni minimo apto che
uomo senza aggettivi qualificativi, se non altro perché le donne hanno in nelli sponsalitij se notino observare, sence redduca alla memoria el
un’identità solo in quanto mogli o figlie. rapto delle Sabine; similmente in tal pigliare demostrase farle violentia’.
E altrove: se il padre della sposa non l’accompagna alla chiesa il giorno
delle nozze, ciò avviene perché ‘pareria non poco essere enorme et molto
4. Identità maschile e struttura sociale obsceno, testificarse voluntario in quello che per la memoria del nostro
fondatore demostrase da ogne banda violento’. E infine, se nel momento
In conclusione vorrei sollevare quello che mi sembra il problema fon- dell’ingresso nella sua casa il suocero accoglie la nuora trascinandola
damentale di ogni riflessione sull’identità, maschile o femminile che sia: brutalmente in un gruppo di donne, ‘demostravase dal socero la memo-
che relazione c’è tra struttura sociale e identità individuale? In altre paro- ria de continuo observata delle rapte, facendoli violentia, menandosela a
le, perché si è affermato un determinato modello di uomo, perché quella foggia in casa’ [... Ma] la forza allora impiegata s’è poi trasforma-
nell’Europa moderna ha trionfato un’idea di virilità centrata sull’auto- ta in amore, nei vincoli del ‘honorato, sancto et venerando matrimonio’.
controllo e la responsabilità, invece di un’altra? Il matrimonio e i suoi riti consacrano la forza e le forme violente di appro-
Non avendo una risposta sicura, mi limito a segnalarvi un’ipotesi priazione delle donne e dei beni. Essi sanzionano il ritorno all’equilibrio
molto generale, che si rifà a Elias e alla sua teoria del Processo di civilizza- sociale che – sotto pena di lasciare lacerato il tessuto delle relazioni
zione, secondo la quale il progressivo aumento dell’integrazione sociale e umane – deve tener dietro alle prime fasi della relazione matrimoniale,
dell’interdipendenza tra ceti e tra persone costringe gli uomini a rinun- fasi che sono necessariamente aggressive e distruttrici”24.
ciare a tutti quei comportamenti istintivi che renderebbero sempre meno Come si vede, Christiane Klapisch-Zuber enfatizza soprattutto l’a-
tollerabile la convivenza e quindi a privilegiare l’autocontrollo. spetto sociale della questione, l’importanza della possibile rottura e del-
Un recente libro di Luisa Accati può aiutarci a sviluppare ulterior- l’auspicata riconciliazione tra lignaggi, che poi era la questione che stava
mente questa ipotesi. Secondo l’autrice, infatti, la sessualità maschile a cuore anche ad Altieri. Ma ciò non toglie che a far violenza sono gli
adulta, che a livello più o meno inconscio viene percepita come ferina e uomini adulti, i quali si propongono come mariti, che lo scopo della vio-
violenta, per non fare paura, o per fare meno paura, deve essere addome- lenza è la procreazione, e che il rituale del matrimonio serve a sublimare
sticata, ed è proprio a questo che servono sia il rito del matrimonio, sia il quella violenza, trasformando lo sposo da bruto violentatore in marito
mito della bestia che si trasforma non solo in uomo ma addirittura in capace di autocontrollo.
principe, come nella favola della Bella e la bestia, appunto22. La nozione di mascolinità è dunque strettamente correlata con quella
La conferma dell’applicabilità di questa tesi alla Roma della prima età di sessualità maschile e con gli elementi di violenza che questa racchiu-
moderna viene da una fonte filologicamente assai appropriata, cioè dalla de in sé. La sublimazione o meno di questa violenza, la sua consacrazio-
penna di Marco Antonio Altieri, patrizio romano vissuto tra la fine del ne nel matrimonio o il suo esercizio incontrollato rappresentano un ter-
XV e l’inizio del XVI secolo, ben noto agli storici del Rinascimento per reno privilegiato di competizione e di scontro non tanto tra uomini e
aver scritto un trattato intitolato Li Nuptiali, che è stato studiato tra gli donne, quanto tra uomini e uomini – uomini maturi/uomini giovani,

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sposati/celibi, laici/ecclesiastici, patrizi/plebei – che si contendono il inizi dell’età moderna, in G. Levi, J.-C. Schmitt, Storia dei giovani, vol. I,
diritto di definire una virilità “autentica” altrettanto poco “naturale” e Roma-Bari, Laterza, 1994, pp.303-374
scontata della “vera” femminilità.
Natalie Zemon Davis, Le ragioni del malgoverno, in Ead., Le culture del
popolo. Sapere, rituali e resistenze nella Francia del Cinquecento, Torino,
Einaudi, 1980
BIBLIOGRAFIA
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sentimenti, Milano, Cortina, 1998
Note
Renata Ago, Farsi uomini, in “Memoria. Rivista di storia delle donne”,
n. 27, 1989, pp.7-21 1 Cfr. G. Simmel, La differenziazione sociale, a cura di B. Accarino, Roma-Bari, 1982; Id.,
Filosofia del denaro, a cura di A. Cavalli, L. Perucchi, Torino, 1984; Id., Conflict and the Web of
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Renata Ago, Economia barocca. Mercato e istituzioni nella Roma del 2 M. Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione
Seicento, Roma, Donzelli, 1998 medioevale e rinascimentale, Torino, 1979, p. 350.
3 Ivi, p. 352.
Robert Darnton, The great cat massacre, New York, Basic Books, 1984
(trad. it. Milano, Adelphi, 1988) 4 A. Quondam, “Questo povero Cortegiano”. Castiglione, il Libro, la Storia, Roma, 2000.
Josef Ehmer, “Servi di donne”. Matrimonio e costituzione di una propria 5 M. Bachtin, cit., p. 348.
famiglia da parte dei garzoni come campo di conflitto nel mondo artigiano mit- 6 P. Bourdieu, La distinzione. Critica sociale del gusto, Bologna, 1979.
teleuropeo, in “Quaderni Storici”, n. 80, 1992, pp.475-508
7 L. Stone, La crisi dell’aristocrazia. L’Inghilterra da Elisabetta a Cromwell, Torino, 1972, p.
Jonathan Goldberg, Fatherly authority: The politics of Stuart family ima- 738.
ges, in M.W.Ferguson, M.Quilligan, N.J.Vickers (eds.), Rewriting the 8 Così parlò Ménétra. Diario di un vetraio del XVIII secolo, Milano, 1994.
Renaissance. The discourses of sexual differences in early modern Europe,
9
N. Zemon Davis, Le ragioni del malgoverno, in Ead., Le culture del popolo. Sapere, rituali
Chicago, University of Chicago Press, 1986, pp.3-32
e resistenze nella Francia del Cinquecento, Torino, 1980; N. Schindler, I tutori del disordine.
Edoardo Grendi, La società dei giovani a Genova fra il 1460 e la Riforma Rituali della cultura giovanile agli inizi dell’età moderna, in G. Levi, J.-C. Schmitt, Storia dei gio-
del 1528, in “Quaderni Storici”, n. 80, 1992, pp.510-528 vani, vol. I, L’età moderna, Roma-Bari, 1994; E. Crouzet-Pavan, Un fiore del male: i giovani nelle
società urbane italiane (secoli XIV-XV), ibid.; E. Grendi, Le società dei giovani a Genova fra il 1460
Christiane Klapisch-Zuber, Un’etnologia del matrimonio in età umanisti- e la Riforma del 1528, in “Quaderni storici”, n. 80, 1992.
ca, in La famiglia e le donne nel Rinascimento a Firenze, Roma-Bari, Laterza, 10 Cfr. le osservazioni di L. Roper sulla regolamentazione della “braghetta” in Oedipus
1988, pp.91-108 and the devil. Witchcraft, sexuality and religion in early modern Europe, London-New York, 1994.
11
Daniel Roche (a cura di), Journal de ma vie. Jacques-Louis Ménétra com- Archivio Segreto Vaticano, Fondo Della Valle-Del Bufalo, b. 53, lettera del 20 aprile
pagnon vitrier au 18e siècle, Paris, Montalba, 1982 (trad. it., Milano, 1637.
Garzanti, 1994) 12 Ivi, 10 ottobre 1642.
13 Archivio
Lyndal Roper, Oedipus and the devil. Witchcraft, sexuality and religion in di Stato di Roma, Fondo Spada-Veralli, b. 607, 28 maggio 1661.
early modern Europe, London-New York, Routledge, 1994 14 Ivi, b. 607, 31 maggio 1661.
Norbert Schindler, I tutori del disordine: rituali della cultura giovanile agli 15 Ivi, b. 613, 19 luglio 1673.

28 29
16 Cfr. R. Ago, Carriere e clientele nelle Roma barocca, Roma-Bari, 1990.
Esorcisti, confessori e sessualità femminile
17 R. Ago, Economia barocca. Mercato e istituzioni nella Roma del Seicento, Roma, 1998.
18
nell’Italia del primo Seicento1
O. Brunner, Terra e potere, Milano, 1983.
19 Archivio di Stato di Roma, Fondo Spada-Veralli, b. 613, 4 ottobre 1673. Giovanni Romeo
20 Archivio Segreto Vaticano, Fondo Borghese, b. 31, fasc. 2, 28 febbraio 1683.
Istituto Universitario Orientale di Napoli
Università “Federico II” di Napoli
21 J. Ehmer, “Servi di donne”. Matrimonio e costituzione di una propria famiglia da parte dei
garzoni come campo di conflitto nel mondo artigiano mitteleuropeo, in “Quaderni Storici”, n. 80,
1992, pp.475-508.
1. Nella storia della Chiesa della Controriforma il controllo della ses-
22L. Accati, Il mostro e la bella. Padre e madre nell’educazione cattolica dei sentimenti,
sualità occupa un posto centrale. Una sensibilità religiosa resa più acuta
Milano, 1998.
da taluni aspetti della Riforma protestante, in parte veri, in parte mitiz-
23 Ora in Ead., La famiglia e le donne nel Rinascimento a Firenze, Roma-Bari, 1988. zati (l’attacco al celibato dei preti e ai voti di castità dei religiosi, il mirag-
24 Ivi, pp.100-101. gio di esperienze di fede che consentano anche ai laici una vita sessuale
più libera), esprime, a partire dalla metà del Cinquecento, e con intensi-
tà crescente nei decenni immediatamente successivi al Concilio di Trento,
un’intolleranza sconosciuta alla Chiesa medievale e rinascimentale. A
subirne le conseguenze non furono solo l’arte e la letteratura, anche se le
foglie di fico sui nudi michelangioleschi e le censure ai passaggi più sca-
brosi del Decameron sono diventate a buon diritto l’emblema della ses-
suofobia della Controriforma. Un’intensissima attività di interdizione e
di controllo si esercitò quotidianamente in ogni angolo del mondo catto-
lico, malgrado i conflitti di varia natura aperti dalla pubblicazione e dalla
ricezione dei decreti tridentini, su un’ampia gamma di comportamenti,
pratiche, idee relative alla sessualità. E l’Italia fu un centro di sperimen-
tazione vivacissimo.
Ne sono un esempio caratteristico i due casi a cui è dedicato in buona
parte il mio intervento. Entrambi riguardano una piccola città-capitale,
Modena, un periodo – i primi decenni del Seicento – piuttosto circoscrit-
to, un aspetto molto particolare – anzi, per quanto si sa, assolutamente
eccezionale – del controllo della sessualità femminile; ma dalla loro rico-
struzione si ricavano indicazioni importanti su taluni sviluppi della vita
religiosa nell’Italia di quegli anni.

2. A partire almeno dal 1610 alcuni ecclesiastici modenesi si dedicaro-


no stabilmente a liberare presunte indemoniate – per lo più loro peniten-
ti, in parte legate a una Compagnia di orsoline – con tecniche del tutto
inconsuete, certo non mutuate dai manuali che dettavano le regole del-
l’arte esorcistica: attraverso la manipolazione dei loro organi genitali e
con toccamenti sessuali, talora reciproci, di vario tipo. Alla radice di quel-

30 31
le anomale pratiche c’era un convincimento preciso: in molte delle osses- combattere quella subdola tipologia di possessione diabolica, non avesse
se – secondo i loro confessori/esorcisti – i disturbi nascevano dall’inse- deciso di informarne il domenicano Giovan Vincenzo Reghezza, dal 1619
diamento del diavolo nella loro “natura”. Di fronte ad attacchi così sub- inquisitore di Modena. Aveva riassunto i fatti in un breve, denso Confesso
doli, che miravano a spostare il conflitto tra Bene e Male su un terreno fatto da me... circa l’essorcizare qual ho fatto per spazio di 12 anni circa, scritto
minato, gli uomini di Dio non potevano rimanere inerti. Dovevano asse- nell’agosto del 1624, ma consegnato al giudice all’atto stesso della com-
diare e liberare i genitali invasi, senza cadere nella trappola del coinvol- parizione in tribunale, nel gennaio seguente. Nel documento, don
gimento erotico: contro la possessione, insomma, ma anche contro il pia- Geminiano Mazzoni, un teatino modenese esperto più in casi di coscien-
cere. L’espulsione del Maligno dai corpi di quelle creature si arricchiva za che in pratiche esorcistiche, elencava con precisione e dovizia di par-
così di ulteriori valori etico-religiosi: diventava resistenza alle tentazioni, ticolari le tappe principali di una carriera di direttore spirituale ricca di
sfida alle pulsioni che i diavoli, sorpresi dalle continue, imprevedibili esaltanti vittorie sul demonio, riportate spesso negli anfratti pericolosi in
sortite degli operatori, scatenavano sia nelle donne in cui si erano anni- cui a suo avviso era solito nascondersi.
dati, sia nei sacerdoti che cercavano di stanarli. Non è possibile tratteggiare qui gli sviluppi di una vicenda delicatis-
E se gli spiriti del male, per sfuggire alle pressioni esercitate in quelle sima, che suscitò apprensione e incertezze sia nei giudici dell’Inquisi-
parti segrete, si trasferivano altrove, in zone non “proibite”, ma di ancor zione modenese, sia nei cardinali del Sant’Ufficio, sia in papa Urbano
più difficile accesso, come la gola, il combattimento continuava nella VIII. Complessivamente, l’unica vera vittima del procedimento inquisi-
bocca o nelle orecchie, orifizi vicini più comodamente attaccabili, con toriale aperto dall’autodenuncia di don Geminiano Mazzoni fu lui stes-
ogni mezzo, non esclusa l’utilizzazione dei genitali dell’esorcista, ritenu- so, condannato come eretico formale all’abiura e all’esilio a Ravenna,
ta provocatoria nei confronti degli occupanti. Insomma, gli attacchi sfer- dove morì pochi anni dopo. Le disavventure delle numerose persone
rati dalle mani e dagli organi degli uomini di Dio contro la presenza insi- coinvolte negli esorcismi genitali furono abbastanza limitate. Una regia
diosa dei diavoli non conoscevano frontiere, la guerra scoppiava anche centrale accorta e discreta indirizzò un caso scabroso come pochi verso
dove consolidati divieti avrebbero dovuto scoraggiare contatti, avvicina- soluzioni e procedure morbide, attente sì ad accertare i distinti apporti
menti, semplici sguardi. Il rapporto di direzione spirituale, di cui abi- individuali alla singolare esperienza religiosa, ma capaci anche di evita-
tualmente gli interventi sui genitali erano parte, faceva il resto: finite le re misure repressive controproducenti e di mantenere intorno ad essa,
scaramucce, si tracciava in quella sede il bilancio delle esperienze vissu- nei limiti del possibile, riserbo e segretezza. Erano atteggiamenti usuali
te. Se le “pazienti” erano rimaste vigili, si esaminavano i turbamenti per i giudici dell’Inquisizione romana, un tribunale cauto, prudente, abi-
eventualmente provocati nella loro coscienza dalle manipolazioni corpo- tuato a calibrare i suoi interventi con precisione ed equilibrio, dopo aver
ree, si affrontavano dubbi e perplessità, si affinavano gli strumenti di soppesato accuratamente situazioni, rapporti di forza, possibili reazioni
autocontrollo e di vigilanza necessari per tenere a bada le tentazioni; se dei destinatari o degli ambienti su cui calavano le condanne; con la dif-
erano state travolte dal furore dei combattimenti e non erano in grado di ferenza non secondaria che nello spinoso intreccio modenese la consueta
ricordare, spettava all’operatore chiarire le dinamiche dei suoi assalti, flessibilità dei cardinali del Sant’Ufficio si spinse forse un po’ oltre il con-
motivarli, inserirli in un processo di crescita e di fortificazione dell’ani- sentito. Ma l’importanza storica del documento non è certo nelle proce-
ma. Per circa quindici anni, indisturbati, gli ecclesiastici iniziati a quelle dure irregolari adottate per dare una risposta adeguata alle ardite batta-
tecniche combatterono su un fronte così impervio e rischioso, accompa- glie di don Geminiano Mazzoni e al consenso sospetto delle presunte
gnati dall’incondizionata fiducia delle interessate, che ne traevano enor- indemoniate. Anzi, proprio lo squilibrio nettissimo tra le posizioni del
me sollievo e non avevano difficoltà a comunicarne il buon esito ad ami- teatino e delle sue penitenti, decisamente al centro dell’attenzione dei
che e conoscenti. giudici modenesi prima e romani poi, e quelle delle altre persone coin-
volte, che rimangono sullo sfondo del processo, rischia di provocare
qualche fraintendimento. Non si vuole negare, ovviamente, che papa e
3. Le accanite battaglie dei confessori/esorcisti modenesi sarebbero cardinali del Sant’Ufficio avessero visto giusto nel cogliere con prontez-
durate chissà per quanto tempo, se uno di essi, forse il leader, certo il più za negli appassionati esperimenti del religioso modenese una fonte di
coerente e convinto teorico degli atipici interventi messi a punto per grave disordine.

32 33
Le dimensioni fortemente individuali del caso sono evidenti. La si può spiegare il fatto che per almeno un quindicennio nessuno – tra le
miscela di rigore e di trasgressione che caratterizzò i successi riportati molte persone che fruirono di quel singolare trattamento o ne vennero
per tanti anni sui corpi di tante donne da don Geminiano Mazzoni, per comunque a conoscenza – abbia avvertito l’esigenza di chiedere spiega-
quanto ho potuto finora verificare in una cospicua documentazione zioni al riguardo alle competenti autorità, neppure, sembra, agli stessi
inquisitoriale, è davvero unica. Curiosamente, il più immediato confron- “combattenti”. E tra essi – oltre a donne onorate e di buona condizione
to che la confessione del teatino sollecita è letterario. Basta aprire il sociale – c’erano anche ecclesiastici di rango, appartenenti alla élite del
Decameron e leggere l’ultima novella della terza Giornata, dove si rac- clero modenese: dagli esorcisti del Duomo ai religiosi degli Ordini più
conta di Alibech, la giovane desiderosa di abbracciare la vita eremitica, importanti, compresi i gesuiti, che godevano anche a Modena del privi-
addestrata dal furbo monaco Rustico alla suprema missione di cacciare il legio di confessori del Principe. Se di anomalia si trattò, insomma, furo-
membro-diavolo di lui nel “ninferno”-“natura” che lei “ha in iscambio”. no in molti, anche tra i più influenti rappresentanti della Chiesa locale, a
Ma è un collegamento che resta inevitabilmente in superficie. Nella sapi- condividerla, o quantomeno a non percepirla come tale, per parecchio
da storiella trecentesca le simbologie religiose sono soltanto il brillante tempo.
espediente con cui si saldano la straordinaria ingenuità di una ragazzina
cresciuta ai limiti della civiltà e la straordinaria vivacità di un eremita che
si macera da troppi anni per poter reggere senza problemi la vista di una 4. Le intense e prolungate esperienze degli ecclesiastici che “toccava-
bellissima adolescente. Al contrario, l’orizzonte in cui tre secoli dopo no” mi invitavano dunque ad approfondimenti di diverso spessore. Si
matura l’intervento dell’Inquisizione è quello di una piccola capitale trattava di stabilire se si fosse instaurata a Modena, per ragioni anche
dell’Europa cattolica, dove la religione è una cosa seria e la carne e il dia- occasionali, una tradizione esorcistica anomala, sostenuta da giustifica-
volo sono sì uniti, ma in un rapporto molto diverso da quello maliziosa- zioni forti e coerenti, di cui don Geminiano Mazzoni sarebbe stato solo il
mente evocato da Rustico. Gli spiriti maligni che il teatino combatte sono più appassionato e generoso esponente; e se il nucleo ispiratore a cui essa
– per lui e, sembra, non solo per lui – una presenza inquietante, insedia- attinse fosse stato in primo luogo, anche al di là delle intenzioni e della
ta stabilmente nei genitali di donne vere; e i furiosi corpo a corpo che egli consapevolezza degli interessati, la dottrina di Girolamo Menghi, l’infa-
ingaggia a gloria del Signore nei dintorni della “natura”, come sfida ticabile maestro di generazioni di esorcisti, grazie all’indebito amplia-
sprezzante alle loro provocazioni e come contributo al trionfo del Bene, mento di competenze che essa assicurava all’“arte”, abilitandola di fatto
costituiscono l’unica risposta all’altezza della subdola scelta del Nemico. all’uso di rimedi naturali e alla cura di un’ampia gamma di disturbi psi-
Ma la centralità della sua figura non deve far dimenticare i molti chici, tradizionalmente presi in carico dalla medicina, colta o empirica
aspetti del caso che la trascendono. Non sembra lui, malgrado la vivaci- che fosse. L’altra ipotesi – che non esclude ovviamente la prima – è che
tà e l’impegno con cui le sperimenta, l’inventore delle tecniche proibite; alla radice delle singolari esperienze modenesi vi fosse anche un model-
né è solo lui a giustificarle con dottrine erronee o temerarie. lo di controllo e di indirizzo della sessualità femminile profondamente
Testimonianze credibili e concordi le fanno risalire almeno a uno scono- originale, in cui, quando è necessario, confessione dei peccati ed esorci-
sciuto esorcista attivo ancora intorno al 1608, che le avrebbe praticate smo si fondono organicamente, per fare terra bruciata intorno al diavolo;
senza alcuna esitazione, quando era necessario, nel corso di una lunghis- e che proprio questi aspetti – relativi dunque più agli sviluppi della pra-
sima carriera; il vescovo di Modena avrebbe autorizzato una delle vitti- tica femminile della penitenza e ai modelli di confessione delle donne
me di così subdole aggressioni diaboliche a lasciarsi toccare nei genitali; che alla crescita tumultuosa delle presunte malattie diaboliche – spieghi-
qualcuno potrebbe averle applicate alla duchessa di Modena, la fiorenti- no in modo più completo e pertinente la nascita e la persistenza degli
na Virginia de’ Medici, morta nel 1615, dopo essere stata colpita alcuni esorcismi genitali.
anni prima da un’infermità misteriosa e resistente a ogni terapia, al con- Rispetto a queste alternative, il primo banco di prova è stato l’esame
fine tra malattia mentale e possessione diabolica; altre presunte ossesse – del ruolo avuto da confessori ed esorcisti nella diagnosi e nella cura della
in numero imprecisabile – sarebbero state curate così negli anni seguenti misteriosa malattia della duchessa di Modena. Il caso era scoppiato nella
da altri operatori. stessa città pochi anni prima e aveva messo a dura prova per parecchio
Solo così, d’altra parte, con un consenso di massima degli interessati, tempo gli ambienti di Corte, i medici, la Chiesa locale, la diplomazia di

34 35
uno Stato vicino, oltre che, s’intende, la pazienza dell’interessata e del di mettere a tacere per sempre un’esperienza scabrosa poteva anche giu-
marito, Cesare d’Este. Se poteva suscitare ansia e turbamento la scoper- stificare una mortificazione a suo avviso eccessiva per un ecclesiastico
ta che il diavolo si era insediato nei genitali di donne qualunque, è faci- zelante e in buonafede come don Geminiano. Se però attraverso l’accusa
le immaginare il disagio provocato dalla sola ipotesi della sua subdola di eresia si pretendeva di negare a priori agli esorcisti e ai confessori il
presenza nelle zone più segrete di un corpo tanto potente e illustre. Ma diritto di toccare, a certe condizioni, i corpi delle donne, allora il giudizio
fu interpretata proprio così, dopo molti, inutili interventi, una malattia del Megalio cambiava. Su quel piano, per lui, bisognava evitare genera-
che diede filo da torcere a familiari, medici, confessori, esorcisti e diplo- lizzazioni affrettate e atteggiamenti pregiudiziali: la duplice esigenza di
matici. combattere il diavolo e di salvaguardare la salute psicofisica delle sue vit-
time poteva anche legittimare interventi audaci e rischiosi come quelli
sperimentati per tanti anni, con ottimi risultati, a Modena.
5. È un caso – quello di Virginia de’ Medici – solo in parte sovrappo- L’eretico e uno dei suoi giudici, insomma, non erano legati solo dal-
nibile a quello delle sconosciute modenesi liberate con le manipolazioni l’amicizia e dall’appartenenza allo stesso Ordine. In quella vicenda, al di
genitali, sia per la forte personalità dell’interessata e per la forte carica là di un’occasionale contrapposizione di ruoli e di limitate divergenze
antiistituzionale della sua malattia, sia per le scelte politiche che suggeri- interpretative sul significato e sui confini dell’arte esorcistica, essi condi-
rono a un certo punto al marito e al confessore l’opportunità di dare cre- videvano esigenze e preoccupazioni molto simili. La lotta alla possessio-
dito a una spiegazione – la possessione diabolica – meno comprometten- ne diabolica e la direzione spirituale, le due dimensioni dell’esperienza
te per il lignaggio rispetto a quella della follia, sia per la forte presenza religiosa in cui erano entrambi impegnati in prima persona, avevano
dei medici, del tutto inattivi nei disturbi delle pazienti di don Geminiano condotto l’uno a praticare tecniche di manipolazione corporea del tutto
Mazzoni. Ma i punti di contatto tra le due vicende sono innegabili. Uno atipiche, l’altro, pur consapevole della loro forte carica trasgressiva, a
dei religiosi convocati per scongiurare la duchessa aveva una lunghissi- percepirne aspetti positivi, profonde valenze spirituali. E non erano i soli,
ma esperienza di esorcismi genitali e curò così una delle giovani orsoline né a Modena, né in Italia. Alcuni tra i più qualificati confessori ed esorci-
indemoniate; il direttore spirituale di Virginia e di Cesare d’Este, che sti della città emiliana avevano vissuto con partecipazione e competenza
seguì molto da vicino la malattia, fu denunciato da altre orsoline per ade- le stesse esperienze, altri ne erano stati al corrente, tutti, forse, sapevano
scamento in confessione; il più influente teatino modenese di quegli anni, che governare spiritualmente le donne richiedeva doti non comuni. Allo
consulente dell’Inquisizione ed esperto trattatista di casi di coscienza, fu stesso modo, per moltissimi ecclesiastici italiani di quegli anni, confes-
testimone di tutte quelle vicende e direttore spirituale di un’altra delle sione dei peccati e liberazione delle vittime del diavolo costituirono,
presunte possedute toccate nei genitali. E dopo la morte di don attraverso percorsi tra i più diversi, un’occasione di incontro con le
Geminiano sentì anche l’esigenza di rievocare le esperienze del confra- donne e, in particolare, con la loro sessualità. E’ a quelle pratiche che
tello, trasferendole nell’orizzonte senza tempo delle esercitazioni casisti- bisogna ora prestare attenzione, se si vuole capire come mai ai primi del
che e criticando velatamente la severa condanna inflitta dal Sant’Ufficio Seicento nacque e si consolidò un’esperienza religiosa all’apparenza così
all’esorcista che “toccava”. vistosamente trasgressiva.
In quella dolorosa vicenda, secondo lui, bisognava distinguere aspet-
ti fortemente censurabili – ad esempio la valutazione frettolosa di quelle
possessioni e l’indebita esaltazione di tecniche solo eccezionalmente pra- 6. Considerate in una prospettiva più ampia, alla luce di una ricca
ticabili – da valenze positive, come la necessità di dare risposte efficaci al documentazione relativa all’Italia intera, le attività di don Geminiano e
disordine fisico e spirituale provocato dalle aggressioni del diavolo e dei suoi colleghi si rivelano come una sintesi – particolarmente origina-
l’opportunità di ampliare, a certe condizioni, gli spazi di autonomia e di le, e perciò inquietante per i giudici chiamati a valutarne lo spessore – di
sperimentazione degli esorcisti. Se gli scongiuri “genitali” fossero stati tendenze largamente presenti nella vita religiosa di quegli anni. Esse
liquidati – dall’Inquisizione modenese prima e dai cardinali del riguardano in primo luogo gli esorcisti. Da quando, all’indomani del
Sant’Ufficio poi – come la stravagante iniziativa personale di un religio- Concilio di Trento, l’affinamento delle strategie inquisitoriali aveva con-
so che cercava di mascherare la sua sensualità, nulla quaestio: l’esigenza dotto all’elaborazione di un sofisticato modello di lotta alle pratiche

36 37
magico-diaboliche, la loro area di influenza si era ampliata a dismisura. ampia. E furono proprio gli esorcisti a incarnare i limiti e le contraddi-
Tradizionalmente, essi avevano il compito di snidare gli spiriti mali- zioni di strategie di attacco così ben articolate. Nel proporsi come i soli
gni dai corpi degli indemoniati attraverso scongiuri, benedizioni, pre- validi antagonisti di Satana, essi cercarono con convinzione – o almeno
ghiere. Interventi nettamente circoscritti, dunque, che assumevano una non evitarono – di accreditare le accuse di ossessi e affatturati nei con-
qualificazione particolare solo in rapporto al rango dell’operatore o della fronti delle persone che a loro avviso li avevano ridotti in quelle condi-
vittima: e non a caso, forse, fino alla metà del Cinquecento, l’attenzione zioni. In generale, quanto più pesantemente subirono le suggestioni della
alla liberazione dei posseduti è una caratteristica tipica delle fonti agio- trattatistica menghiana e le pressioni degli interessati e dei loro familiari,
grafiche. Neppure la sanguinosa repressione del dissenso religioso scate- tanto più finirono per caricare la lotta alla possessione diabolica di fina-
nata in tutto il paese nei decenni centrali del secolo aveva modificato in lità estranee alla sua destinazione ufficiale. Nella prospettiva di un fede-
profondità questo quadro, anche se non mancano episodi di trasforma- le seguace del Menghi, liberare le vittime dagli spiriti del male che ne
zione intenzionale delle sedute esorcistiche in cerimonie pubbliche, con occupavano i corpi era un obiettivo importante, ma del tutto insufficien-
finalità più o meno esplicite di riaffermazione e di propaganda dell’orto- te a distruggere definitivamente la presenza malefica. Per ottenere risul-
dossia contro eretici o ebrei. La lotta alla possessione e ad altre forme di tati duraturi, bisognava impegnarsi a fondo nella scoperta e nella puni-
suggestione diabolica si insediò stabilmente nell’orizzonte della vita zione dei complici del diavolo, quasi sempre, secondo la lezione del fran-
quotidiana un po’ più tardi, negli anni ’70, in una fase di profonda rior- cescano lombardo, corresponsabili di quei disturbi. Così orientate, però,
ganizzazione delle istituzioni ecclesiastiche. le pratiche esorcistiche entravano in conflitto con le caute e misurate stra-
Forti del prestigio di Girolamo Menghi, l’influente francescano lom- tegie di contenimento della stregoneria diabolica inaugurate nel tardo
bardo che nella seconda metà del Cinquecento rivalutò le sorti di un’ar- Cinquecento dall’Inquisizione romana. Se le armi utilizzate dalla
te negletta, pubblicando una nutrita e fortunata serie di formulari e di Congregazione del Sant’Ufficio per vincere quella battaglia erano l’insi-
manuali e dedicandosi a un infaticabile lavoro sul campo, gli esorcisti ita- stenza sull’illusorietà del sabba e la sfiducia negli effettivi poteri delle
liani si sentirono autorizzati ad allargare il loro raggio d’azione dai casi streghe, l’eccessiva disponibilità degli esorcisti a vedere nei mali di diffi-
di possessione diabolica “conclamata” al terreno insidioso delle malie, cile spiegazione l’influenza di esseri umani – donne in particolare – lega-
dei presunti affatturamenti, delle malattie sospette o appena appena ti a Satana dal patto di sangue riaccendeva gli stessi fuochi che le accor-
inconsuete, in aperta concorrenza con streghe e fattucchiere, ma anche te risposte giudiziarie suggerite agli inquisitori cercavano di spegnere.
con la medicina ufficiale. Così facendo, si inserirono in posizione di pre- Ma, malgrado la pericolosità di quelle sollecitazioni, anche nel con-
minenza nel processo di clericalizzazione delle devozioni che si aprì in trollo degli abusi commessi nell’assistenza agli indemoniati prevalsero
Italia, all’indomani del Concilio di Trento, protetto dall’ampia tolleranza atteggiamenti di grande prudenza. Si trattava pur sempre di ecclesiasti-
della Chiesa e della stessa Inquisizione, dopo la crisi alimentata nei ci, schierati per di più su un fronte pericoloso, addestrati a combattere
decenni centrali del secolo dai contraccolpi della Riforma protestante. contro un nemico imprendibile e sgusciante, abilissimo nelle simulazio-
Toccò ad essi, infatti, il compito di liberare le presunte vittime del diavo- ni e nei tranelli. Non era facile, inoltre, individuarne le trasgressioni, in
lo senza cadere nei suoi lacci, nelle tecniche magico-religiose utilizzate un momento in cui i più autorevoli esperti di stregoneria e di diritto
abitualmente per combattere malanni, ansie, turbamenti, conflitti amoro- inquisitoriale, pur inclini a ritenere improbabile che complici del diavolo
si e considerate ormai incompatibili con la stessa ortodossia, segni impli- danneggiassero o facessero morire uomini e animali e influissero negati-
citi o espliciti di una qualche ambigua relazione col Nemico. E il molti- vamente su molte dimensioni dell’esistenza, non lo escludevano affatto.
plicarsi dei loro interventi si saldò bene con l’azione repressiva avviata Perciò, la Congregazione del Sant’Ufficio punì nel tardo Cinquecento
contemporaneamente dai tribunali inquisitoriali contro le “superstizio- solo in casi particolarmente gravi – e in modo piuttosto blando, oltre che
ni” dei laici: si creava così intorno agli ecclesiastici un orizzonte protetti- con contrasti interni – chi utilizzava la cura degli ossessi in funzione della
vo capace di soddisfare le esigenze di benessere e di sicurezza che la per- caccia alle streghe.
secuzione delle pratiche magiche lasciava inevase. In questo contesto di sostanziale tolleranza, lo stesso che in Italia
Un prezzo però la Chiesa italiana finì per pagarlo, malgrado l’accor- tenne abitualmente lontani gli inquisitori dal devozionismo controrifor-
tezza con cui governò un progetto di sradicamento di portata tanto mistico, si può facilmente comprendere come i controlli su altri aspetti

38 39
discutibili degli interventi degli esorcisti fossero ancor più labili. I loro dif- di quelle orecchiate da fattucchiere ed empirici, e più raramente dai
fusi sconfinamenti nella sfera di competenza della medicina, agevolati medici, protetti dal comodo paravento dell’influenza diabolica, si dedi-
dalle avventurose teorizzazioni menghiane, ne sono l’esempio più ecla- cano alla diagnosi e alla cura di un numero imprecisabile di disturbi, forti
tante. C’erano almeno due buoni motivi per bloccare quelle commistioni. di una credibilità relativamente indipendente dal livello di organizzazio-
Un vecchio e mai abrogato divieto impediva ai sacerdoti l’esercizio di arti ne e di funzionamento delle istituzioni sanitarie. E’ vero, infatti, che nella
mediche, comunque praticate; un principio condiviso dalla communis opi- prima metà del Seicento il trattamento delle malattie, particolarmente di
nio dei teologi e dai demonologi sanciva l’inefficacia delle medicine, come quelle infantili, appare affidato a parroci e pievani pratici dell’“arte”
di qualsiasi sostanza naturale, sui diavoli, in quanto esseri incorporei, soprattutto in zone in cui l’assistenza medica è carente, come per esem-
puri spiriti. Ma le autorità ecclesiastiche rimasero quasi del tutto inattive pio nei paesini dell’Appennino modenese o nel contado pisano; mentre
al riguardo, malgrado le numerose testimonianze che segnalavano ovun- in una metropoli come Napoli, pur ricchissima di tradizioni magico-dia-
que la circolazione crescente di rimedi di ogni tipo – oli, pillole, suffumi- boliche, il problema dei bambini colpiti dal malocchio o dalle streghe è
gi, unguenti – raccomandati o somministrati ai presunti ossessi da esorci- molto meno avvertito, forse per il buon funzionamento di un sistema
sti-praticoni. Più che la fedeltà a regole e ruoli tradizionalmente rispetta- sanitario tra i più moderni ed efficienti dell’Europa del tempo. Ma ciò
ti, contava la rispondenza di quegli interventi a strategie di penetrazione non toglie che ovunque, nell’Italia di questi anni, a dispetto delle illumi-
religiosa tese ad assicurare alla Chiesa l’egemonia sulle tecniche curative, nate disposizioni dei vertici ecclesiastici romani, le linee di demarcazio-
anche grazie a una più rigorosa vigilanza sull’ortodossia di medici e ne tra ambiti di intervento dei medici e aree di competenza degli esorci-
pazienti e sui rispettivi atteggiamenti nei confronti delle malattie. sti si vadano ridefinendo, quantomeno nella prassi terapeutica, in una
prospettiva di dichiarata subalternità della scienza alla religione.
Questi rilievi sono validi anche per la sessualità e, in particolare, per
7. Di questo schema, che a grandi linee rimarrà valido in Italia per i disturbi psico-fisiologici più o meno direttamente collegabili alla sfera
buona parte dell’età moderna, sono uno specchio fedele anche gli svi- sessuale, che furono al centro dell’attenzione di don Geminiano Mazzoni
luppi della prima metà del Seicento. Alcuni provvedimenti adottati in e dei suoi colleghi. I loro esorcismi si inseriscono in una trama piuttosto
quegli anni potrebbero dare l’impressione di una ferma volontà di deli- fitta di esperienze similari. La singolare diagnosi demonologica che li
mitare più rigorosamente che in passato l’area d’influenza degli esorcisti. ispira, sia pure in nessun altro caso avanzata con tanta sicurezza, corri-
Ma molte altre testimonianze segnalano per tutto il secolo una situazio- sponde a una diffusa sussunzione dei disturbi della sfera genitale sub spe-
ne sostanzialmente immobile. Alla penetrazione sempre più profonda cie diabolica; e anche nella loro cura sono segnalati nell’Italia del Seicento,
della lotta alle suggestioni diaboliche nell’impegno pastorale di parroci a fronte di una preminenza femminile che le interdizioni e i divieti osta-
ed esponenti di Ordini religiosi, condotta spesso al di fuori delle regole o colano, ma non piegano, interventi di ecclesiastici, sia pur non così ardi-
al limite dell’abuso, corrispondono meccanismi di controllo molto allen- ti come quelli ideati dagli esorcisti emiliani. Nell’abituale rimodellamen-
tati, capaci di arginare solo gli eccessi più gravi. Ad esempio, malgrado i to di tecniche e pratiche che caratterizza la lotta alle superstizioni, anche
richiami secchi e precisi della Congregazione del Sant’Ufficio a subordi- la “madre” può diventare oggetto di segni, scongiuri e orazioni, così
nare la diagnosi di possessione diabolica all’intervento preventivo dei come i seni. E non manca neppure un caso – audacemente devoto – di
medici, su cui ricade la responsabilità di escludere l’esistenza di malanni protezione dei genitali maschili: un ex voto a forma di membro, che un
naturali, non solo non vi sono tracce marcate del rispetto puntuale di anonimo, forse un frate, appende a un’immagine sacra dipinta su una
queste norme da parte di esorcisti e inquisitori, ma sono gli stessi medi- casa, come ringraziamento per la guarigione da una malattia venerea,
ci, in molti casi, a mostrare netti cedimenti nei confronti delle argomen- suscitando l’indignata reazione del proprietario. Ma è la “madre”, senza
tazioni degli esperti della Chiesa. E’ un processo di cui per ora è difficile ombra di dubbio, l’organo che mette più spesso in difficoltà esorcisti ed
ricostruire andamenti complessivi e variazioni locali: la ridotta disponi- ecclesiastici tutti, nel momento in cui devono fare i conti con una precisa
bilità di documentazione inquisitoriale rende problematico ogni con- tradizione scientifica, fortemente calata nell’esperienza contadina, che
fronto. Ma alcuni elementi sembrano incontrovertibili. vede nell’astinenza sessuale femminile una condizione molto pericolosa,
Migliaia di ecclesiastici sprovvisti di conoscenze scientifiche, se non per la salute e per la morale.

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Dalla medicina dei greci a quella rinascimentale, l’utero era stato con- 8. E’ il versante della confessione, però, l’aspetto più fortemente rap-
siderato come una belva furiosa che si agita lungo il corpo femminile e presentativo delle esperienze degli ecclesiastici modenesi. Il confronto
può sconvolgerne gli equilibri; e l’attività sessuale era stata considerata la con l’evoluzione dei poteri dei confessori non lascia dubbi sul peso ben
risposta più efficace ai suoi “movimenti”. Ma quel principio terapeutico diverso che essi esercitarono sia sulla vita individuale e associata, sia sul
era potenzialmente in contrasto con uno dei pilastri dell’etica cristiana: controllo del corpo e dei suoi disturbi. Le indicazioni della letteratura più
siccome sono leciti solo i rapporti che intercorrono tra persone unite dal recente e le testimonianze che cominciano ad affiorare da una vasta, ete-
vincolo del sacramento, i medici non possono non tener conto, caso per rogenea documentazione archivistica sembrano indicare concordemente
caso, della legittimità dell’atto che si raccomanda. E la più forte attenzio- nella rinnovata attenzione al sacramento della penitenza uno dei punti di
ne della Chiesa della Controriforma al controllo della sessualità non forza delle strategie di riorganizzazione della Chiesa che esce dal
risparmiò neppure quell’aspetto della tradizione scientifica. Già ai primi Concilio di Trento.
del Seicento, Scipione Mercuri, un dottore peraltro non tenero con le esor- E’ quanto si va verificando soprattutto in Italia. Nel tardo Cinque-
bitanze degli esorcisti, poteva biasimare “quell’errore commune à gli huo- cento, in anni densissimi e tumultuosi, una svolta silenziosa, di portata
mini, ma communissimo alle donne, che per ogni picciolo dolore, subito incalcolabile, trasforma la pratica della confessione da obbligo annuale
dicono ch’è mal di madre, & che perciò bisogna darle il Padre... il che poco sgradito alla maggioranza dei fedeli, e con ogni probabilità poco rispet-
importa nelle Donne maritate, ma nelle altre gli fa far peccato mortale: sì tato, in un’esperienza diffusa, che si conquista un suo spazio stabile nel-
perché non ogni dolor di Madre si guarisce con l’uso venereo... come per- l’esistenza individuale. Si tratta di una vera e propria rivoluzione, che si
ché non è vero, che ogni dolore, che suole venir alle Donne, sia di madre... impone gradualmente, tra resistenze, contraddizioni, strumentalizzazio-
Così alcuni ignoranti huomini, che sentendosi doler nel corpo, pensano, ni. Allo stato attuale delle conoscenze, ad esempio, può sembrare un
che sia il Padrone, come i contadini qui nel Padovano, che perciò mole- paradosso che il rifiuto diffuso dell’obbligo di confessione annuale al
stati da tali dolori, subito procurano di congiongersi con donne...”. parroco – lo schema medievale riconfermato a Trento – conviva con la
E se l’esigenza primaria avvertita da un medico era questa, se il con- moltiplicazione e l’intensificazione del ricorso al sacramento; e che men-
flitto tra un principio scientifico e l’etica sessuale era da lui risolto senza tre l’opposizione congiunta degli Ordini religiosi e delle comunità bloc-
esitazioni nel senso del primato della legge morale sulla tutela della salu- ca o ridimensiona i progetti più conseguenti di utilizzazione della con-
te, era quasi inevitabile che anche la cura di quei mali fosse affidata al fessione in parrocchia come strumento di disciplina dei comportamenti
sapere degli uomini di chiesa. Qualche anno dopo, un arciprete emiliano, collettivi, se ne valorizzino dimensioni sconosciute, o limitate tradizio-
che pure non era un esorcista, annoverava nel suo ricco bagaglio di pra- nalmente alle pratiche di minoranze ben individuabili. Questo doppio
tiche magico-religiose anche segni alla “matrice” e al “padrone”. Non movimento – di fuga dai controlli territoriali e di ricerca della direzione
sappiamo altro delle curiose attività dell’ecclesiastico, finite nel dimenti- spirituale – assume un significato tutto particolare per le donne.
catoio come buona parte degli “eccessi” di devozione di cui siamo a Nell’Italia pretridentina esse avevano un motivo in più, rispetto ai
conoscenza. Ignoriamo ad esempio se i suoi fedeli fossero reduci da inu- maschi, per guardare con sospetto a un “giudizio” che pure erano chia-
tili ricorsi ai medici e per quali disturbi chiedessero o ricevessero le sue mate ad affrontare solo una volta all’anno. Mancate assoluzioni, incontri
benedizioni, se solo per combattere sospette influenze diaboliche che ne difficoltosi e lunghi, rivelazioni indebite potevano screditarne irreversi-
impedivano o ne rendevano sterili i congiungimenti, o anche per calma- bilmente l’immagine; e la confessione dei peccati sessuali era un rischio
re gli squilibri derivanti dalla scarsa utilizzazione di quegli organi. Ma concreto, che talvolta costava caro. Nel tardo Cinquecento la ragione di
l’orizzonte che fa da sfondo a queste esperienze è lo stesso che si è cerca- quella diffidenza non solo non viene meno, ma si ripropone in modo
to di delineare fin qui: una Chiesa ben radicata nel territorio, capace di ancora più netto. La Chiesa si impegna massicciamente nel riordino della
influire su ogni dimensione della vita, dal controllo dei corpi alla guida vita sessuale e matrimoniale, i confessori esercitano controlli mirati e
spirituale, forte del sostegno di organismi di controllo che utilizzano in puntuali sui comportamenti sessuali femminili, eppure i legami tra
modo flessibile e accorto la leva dell’ortodossia. donne e sacramento si fanno sempre più stretti. Non le allontana dal con-
fessionale neppure l’infittirsi dei rimandi all’Inquisizione, a cui sono
sempre più spesso assoggettate dai confessori, soprattutto a seguito dei

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più severi controlli sulle pratiche magiche. di là dell’amministrazione del sacramento, anche in un ambito, quello
Perché ciò sia successo, e con quali delimitazioni e specificazioni, non della sessualità, tradizionalmente “difficile”.
è chiaro. Sappiamo troppo poco sui confessori come corpo specializzato E nel radicamento di relazioni così orientate non si può ravvisare, a
e sulla storia dell’identità di genere per poter dare a indicazioni così mio avviso, solo il frutto dell’isolamento e della debolezza in cui la pre-
perentorie la collocazione più appropriata. I collegamenti con i processi senza ingombrante della Chiesa stava cominciando a confinare le donne.
di clericalizzazione che avanzano sono molti e concreti. I confessori che Vi si riflette anche – e forse soprattutto – l’affinamento della capacità di
interrogano dettagliatamente le donne sulle pratiche sessuali e sulle ascolto da parte dei confessori, l’abilità con cui essi fanno leva sul più
superstizioni lavorano, d’intesa con predicatori, giudici ecclesiastici, osteggiato dei sacramenti per ritagliarsi un ruolo di primo piano nella
inquisitori e autorità religiose complessivamente considerate, al raggiun- costruzione di una nuova identità femminile. La dimensione “terapeuti-
gimento di un unico, importante obiettivo. ca” si impone nettamente su quella “giudiziaria”, la cura delle malattie
Si tratta di orientare il mondo femminile verso un nuovo modello di dell’anima ha il sopravvento sull’esame dei peccati, il governo della ses-
vita, ripulito dai molti disordini divenuti ora incompatibili con la purez- sualità privilegia l’ascolto, lo scavo, l’analisi, non la condanna. La disci-
za della fede e con la stessa ortodossia, assoggettato stabilmente alla plina ideale del corpo, soprattutto per le donne, è nella disciplina dell’a-
Chiesa, ai suoi poteri e ai suoi valori. In questo gioco di squadra, ai con- nima.
fessori spetta il compito più delicato: convincere, istruire, sradicare da E’ solo così che un modello di amministrazione del sacramento forte-
soli, se ci riescono, i comportamenti sessuali illeciti, evitare, quando è mente condizionato da strategie di controllo territoriale, quello avuto in
possibile, i provvedimenti coercitivi. Il confronto con le confessioni dei eredità dal Medioevo, si avvia a diventare qualcosa di radicalmente
maschi è istruttivo: sbrigative, senza fronzoli, scivolano rapide verso la diverso, come un sistema di ascolto individualizzato, capace di appaga-
conclusione. E quando il giudizio è negativo, non ci sono reazioni parti- re esigenze interiori profonde. In questo senso, le avventure del quieti-
colari: l’onore maschile non ne è intaccato. Viceversa, le diffuse resisten- smo e le nevrosi diaboliche a sfondo sessuale possono essere considera-
ze delle penitenti sono la testimonianza più precisa delle complicazioni a te, nel tardo Seicento, lo sviluppo più conseguente delle esperienze che si
cui la pratica sacramentale continua a esporle. affermarono prepotentemente nei primi decenni post-tridentini, dei loro
Gli innumerevoli “abusi” femminili del sacramento, abbondantemen- successi e dei loro insuccessi.
te documentati in ogni angolo d’Italia, soprattutto ma non solo nei fondi Non a caso, forse, verso la metà dell’Ottocento, Jules Michelet accen-
inquisitoriali, sono strettamente collegati al desiderio di aggirare i con- nò, con parole di insolita durezza, alle suggestioni che si sprigionavano
trolli di coscienza, di sfuggire all’embrionale sistema repressivo che vi si dagli incontri tra preti e donne come a una fonte di grave disordine. Le
racchiude. Lo spazio della confessione è e resterà a lungo per molte nostre mogli e le nostre figlie, scrisse, sono governate dai nostri nemici.
donne quello dell’autodifesa: l’onore femminile è legato alla sessualità, Quel potere pervasivo, che si esercitava soprattutto attraverso la confes-
l’attrazione del sacramento è inscindibile dalla paura della repressione, sione dei peccati, lo spaventava. E tutto sommato, mi sembra, aveva le
la riservatezza che lo caratterizza – o dovrebbe caratterizzarlo – è la sue ragioni.
migliore prevenzione contro il rischio di subire scomuniche o condanne
infamanti da istituzioni ecclesiastiche aggressive e determinate.
Ma questi elementi non possono essere assolutizzati. Nello stesso
momento in cui in Italia la Chiesa tutta, confessori compresi, mostra gli
artigli, l’esperienza femminile del sacramento si sviluppa in direzioni
nuove, che in parte sfuggono anche a chi lo amministra. Sono in primo
luogo le donne a incrinare nel tardo Cinquecento uno dei pilastri tradi-
zionali della confessione: il ricorso a ecclesiastici sconosciuti, strumento 1 Sintetizzo in queste pagine le linee essenziali di un libro apparso nel 1998 a Firenze,
utilizzato da sempre per prevenire le incognite di confidenze riservate. per i tipi della Casa Editrice Le Lettere, con il titolo Esorcisti, confessori e sessualità femminile
Cerchie sempre più vaste del laicato femminile scoprono il confessore nell’Italia della Controriforma. Ad esso rimando il lettore che voglia approfondire le questio-
come guida e come aiuto, istituiscono con lui un rapporto che va ben al ni storiche affrontate qui.

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Men in the domestic sphere: a neglected
history1
John Tosh
University of North London

The history of men in the domestic sphere has been subject to a dou-
ble neglect. Until a generation ago the focus of professional historio-
graphy was on men, but it almost entirely ignored men’s upbringing and
experience of family, in the belief that the proper scope of “history” was
defined by the res gestae of the public world. The more recent genre of
gender history has sought to rectify this imbalance by reclaiming the
domestic worlds of the past, but the priority quite rightly given to wome-
n’s history has in some ways served only to reinforce the traditional
silence of historians about men in the domestic sphere. In this article I
briefly consider the relationship between masculinity and the domestic
sphere in Western societies, before analysing Victorian England as a
revealing case-study of men’s attachment to home and of the tensions
which this induced in middle-class masculinity.

Masculinity and domesticity

Historically the whole weight of representation and discourse has


been hostile to masculine domesticity. From the knight errant to the rest-
less loner of countless Westerns, masculinity has been identified with the
disparagement of home comforts, and sometimes with the rejection of
home itself. Adventure in the unknown was the ultimate test, requiring
physical strength and resourcefulness. “Real” men were to be found far
from the domestic sphere, not merely tolerating their deprivation for
some greater good, but revelling in their emancipation from domestic
routine. Yet the generality of men have always passed their lives in
domestic relations – first as growing boys, then as adult householders.
The most enduring achievement of frontiersman was not the lone trail,
but the clearing of cultivable land and the building a homestead. The
public face of masculinity seems to validate something far removed from
the common run. This striking disjunction between everyday experience
and cultural representation has not been matched among women, whose
feminine standards of domestic competence and self-sacrifice have

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heightened their everyday reality, rather than denied it. woman under his physical control – i.e. to father children in a dome-
Why should the public face of masculinity be so at odds with the lives stic environment in which the biological link could be assumed.
which men actually lead? The answer is that the physical and moral qua-
lities of heroic masculinity may not be needed very often, but when they ❑ The transmission of masculinity to next generation: i.e. the endow-
are needed they become a matter of life and death. Everyday existence ment of a son with property or a skill, and instruction in manly qua-
requires the daily participation of men in the domestic unit, but the very lities which would enable him to hold up his head in the world, and
survival of the home may depend on them putting their lives on the line. to carry forward the name and reputation of his lineage.
Ideologies of masculinity are a recognition that exposure to danger does
not come “naturally” to men. To guard against inertia or short-term A moment’s scrutiny of this list demonstrates the flaws in the custo-
interest, martial qualities must be carefully cultivated. Men must be kept mary separation of private and public. Establishing a household created
in readiness for when this supreme effort may be required – and that the conditions for private life, but it was also a decisive demonstration of
requires both physical stamina and an ethic of disposability2. adult status: neither the bachelor nor the vagrant could be fully masculi-
The distortions of heroic masculinity are all the more striking becau- ne, and household headship was the essential qualification for taking
se, on a day-to-day level, the domestic sphere has always been central to part in the counsels of the community (this was reflected in the parlia-
the validation of masculinity. For as long as there has been settled socie- mentary franchise until well into the nineteenth century). Protecting the
ty, the admission of young men to full adult status has depended on their home was likely to require collective measures alongside other men,
performance of a number of tasks centred on the home: such as a neighbourhood watch, or a periodic levy for the defence of the
city. It also underpinned the whole stress on physical manliness.
❑ Establishing a household, engaged in production and composed of Providing for the family meant domestic production, but it also drew the
dependants (defined by sex or age, or both): prior to that point a man household head into important relations with customers, suppliers and
was most likely to be a dependant himself – living under the parental tax authorities in the wider community.
roof, serving as an apprentice, or being a paying lodger in someone These functional reasons for the importance of the home in men’s
else’s house. lives can be illustrated from recent work on the English urban bourgeoi-
sie during the eighteenth century. In Margaret Hunt’s account, domesti-
❑ Providing for the household: prior to the nineteenth century this city offered men of the “middling sort” a range of benefits. It held out the
meant not so much working as solo breadwinner, but acting as head prospect of comfort, dependant of course on attentive domestic service;
and director of a productive team. economy – as against the often crippling cost of male conviviality “on the
town”; and respectability, counterposed to the perils of drinking, gam-
❑ Protecting the household: i.e. shielding its inmates from intrusion, bling and sexual adventure. “Rational domesticity” of this type was con-
theft and assault, and especially its female inmates from sexual ducive to what Hunt calls the “almost inhuman level of self-discipline”
assault. needed for success in the high-risk conditions of early capitalism3.
What I have said so far broadly applies to Western societies down to
❑ Controlling the household: i.e. making headship effective, with aid of the industrial revolution. I have made no mention of sentimental or emo-
the law and/or religious sanctions. This included control of labour, tional attachment to home. Yet this looms large in modern usage of the
and control of the sexuality of female family members (hence the mer- word “domesticity”. A hundred years after the period described by
ciless pillorying of men who were cuckolded). In fact the household Hunt, the Victorians were agreed that theirs was a domestic nation in the
was seen as microcosm of the state: disorder in the home boded ill for sentimental sense. That view was wholly endorsed by foreign visitors.
the body politic, and vice versa. The American writer Ralph Waldo Emerson said that domesticity was
“the taproot of the nation”4. What he meant was not just a pattern of
❑ The demonstration of virility: the only way in which a man could dis- residence or a web of obligations, but a profound attachment – a state of
play his procreative power beyond dispute was to have sex with a mind occupying a large symbolic space. John Gillis makes an important

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distinction: the family we live with comprises real flesh and blood; the time – was a religion of daily discipline which placed great emphasis on
family we live by is about meaning, ritual and symbol5. In both senses prayer, meditation and bible-reading. Some of these activities were best
Victorian domesticity is strongly associated with women. There is room followed in the absolute privacy of one’s own room, while others
for debate as to whether women’s domestic experience should be regar- brought the entire household together. In either case, a domestic context
ded as oppressive or emancipating6, but no amount of historical revisio- was indispensable, and in some denominations like Methodism it almost
nism is likely to undermine the proposition that the lives of middle-class eclipsed the public setting of chapel or church. The home was regarded
women were spent largely in the home, and that they took special as the closest place to heaven. Victorian rituals of death envisaged the
responsibility for its ritual and symbol. The relationship between men perpetuation of the home, as family members were reunited in the after-
and domesticity in the Victorian middle class raises more intriguing pro- life8. “The world”, by contrast, was drawn in dark and sombre colours,
blems. Did home remain for them merely a practical necessity bound up the scene of sin and moral danger. Within this spiritual outlook,
with traditional concerns of social status, or were they too caught up in Evangelicalism gave a greater role to women than any previous church
its sentimental allure? We can best proceed by considering first the cul- movement9. But the dominant figures were still men like William
tural significance of the home for men at this time, and then the eviden- Wilberforce and John Angell James, and the movement established a new
ce for masculine domesticity as a way of life. pattern of religious observance for men which was for the first time une-
quivocally located in the home.
Even more important in the long run was the elevation of the child
The meaning of Victorian domesticity within the home. The early nineteenth century was a crucial time in the
history of the rising status of childhood in Western society. Two quite dif-
The appeal of home for eighteenth-century men was earlier repre- ferent world views propelled the child into the centre of home life. The
sented in practical terms. Economic prudence and anxieties about social Evangelicals gave unprecedented attention to the child’s spiritual pro-
status continued to draw Victorian men into their homes. But on top of gress in order to prepare the ground for conversion and to reduce the
that was a powerful moral and cultural freight which was new. Home for possibility of damnation through early death; this meant strenuous disci-
the Victorians symbolised first and foremost refuge from the alienation pline designed to break or bend the child’s will. For the Romantics taking
of urban or industrial existence. Life in the early industrial city (inclu- their cue from Rousseau, on the other hand, childhood was the precious
ding the great commercial entrepot of London) was seen as amoral, source of the adult’s subjectivity. This meant not only that children nee-
heartless and disordered, and it was men operating in the market who ded careful child-centred nurture, but also that adults had something
principally experienced it in these terms. It was men who were compel- important to learn from their own engagement with the very young.
led to rub their noses in the world, through their daily employment. Of Children were credited not only with playfulness and merriment, but
course bourgeois society sang the praises of work and admired the self- “divinity” and wisdom. And where would this engagement take place if
denying entrepreneur. But this enthusiasm was mitigated by resentment not in the home? Victorian middle-class homes were child-centred, not in
at the time and toil required, fear of financial failure, and disquiet about the sense that children called the tune, but that their needs were seen as
the moral depths to which the businessman must stoop. Many men felt central and – for many – as a source of human fulfilment among adults.
coarsened, their finer sensibilities blunted by the market place. Victorian A philosophy of human nature which put the spotlight on domesticated
didactic writing is full of the yearning desire that home should provide childhood was bound to have a differential impact in gender terms.
what the working environment signally failed to do. “Though all around Placing children at the centre of their lives was nothing new for women.
is darkness and humiliation, yet there is still a little world of love at The suggestion that men should acknowledge something of the same
home, of which he [the husband] is the monarch”, wrote one cleric in priority – as for example in the poetry of Wordsworth – was a much more
1828. The historian J.A. Froude believed that the home should be a respi- radical departure10.
te from “the struggle in the race of the world”7. More than forty years ago, the literary scholar Walter Houghton poin-
The appeal of home was also cast in strongly religious terms. ted out that Victorian domesticity did not entail a transformation for
Evangelical Protestantism – the dominant form of Christianity at this women: the rhetoric of the hearth was more intense, but home had

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always been a female priority. The real revolution, Houghton said, was informal drinking clubs which had grown up in the eighteenth century
in men’s attitudes11. Religious precept and cultural convention certainly were in decline, while the purpose-built gentlemen’s clubs were only just
support that interpretation; they established a “common sense” of dome- beginning. Prostitution, though much talked about at moments of moral
sticity for Victorian bourgeois men. Its virtues were proclaimed not only panic, ministered mainly to the requirements of young unmarried men;
by preachers with a vested interest in family adhesiveness, but by lay – it did not point to widespread sexual infidelity on the part of husbands
and sometimes agnostic – writers who regarded the moral home as an (and not even the most fearless feminists claimed that it did). Though it
antidote to social malaise. But it is important not to take such assertions is impossible to quantify, men’s leisure really did lie in the home to an
at face value. Historians of the family have been taught to be very cau- unprecedented extent. A respectable life was a domestic life.
tious about assuming that precept was straightforwardly reflected in It is much more difficult to evaluate the quality of that domestic life,
practise12. To what extent, then, was masculine domesticity taken up as and above all to generalise about the character of marriage. The ideal of
a pattern of life among the Victorian middle class? masculine domesticity was predicated on an intimate and supportive
partnership – life with a “help-meet”. Victorian middle-class culture cer-
tainly lent some support to this aspiration. Romantic notions of love had
The home life of middle-class men triumphed to the extent that choice of marriage partner was universally
regarded as a matter of the heart. Emotional attachment was the princi-
The cult of the home was made possible by major changes in the pro- pal factor, whatever mercenary considerations or parental calculation
ductive process and in transport. In the first place, the traditional midd- might be in the background. Given the continuing hold of religion over
le-class overlap of home and work-place was being broken. As the scale personal life, a common denominational loyalty also contributed to a
of production expanded, and as the central commercial areas of towns harmonious marriage. But Victorian domesticity also went against the
became noisier and dirtier, the attractions of living “over the shop” rece- grain in many respects. Spending leisure time together – supposedly the
ded, and the men of the middle class chose to live elsewhere. In the early foundation of companionate marriage – might equally expose to view
stages of the industrial revolution families usually moved to quiet streets unbridgeable differences between spouses. Very few couples were on an
within walking distance of the office or workshop. But from the 1830s equal footing educationally. Middle-class boys usually attended school at
onwards the rapid development of the railways (assisted by the horse- least until the age of 14, receiving instruction in the classics, and often
drawn omnibus, and later the horse-drawn tram) led to a widespread modern languages and science too. For girls, on the other hand, formal
middle-class preference for suburban living. The middle-class man’s schooling was comparatively rare before the 1870s, and the education
ideal home was the semi-rural villa in Camberwell or Edgbaston, close which they received from mother or governess was weighted towards
enough to town for convenient commuting, but far enough away to pro- “accomplishments” at the expense of intellectual development16. Even
vide a wholesome change of atmosphere13. In Bradford, the prosperous music, in theory an expression of familial harmony, was much more of a
capital of the Yorkshire woollen worsted industry, for example, only 7% women’s pursuit within the confines of the home. The occupational basis
of bourgeois house-holders lived in the town centre by 185114. of the household was also not likely to bring husband and wife together.
At first sight, the separation of work from home might appear to be Whereas traditionally spouses had often been members of a working
antithetical to masculine domesticity, in that it took men out of the home team, once work was separated from home the wife was all too often
for many more hours each week than had been the case in the days of completely ignorant of her husband’s occupation. There were important
domestic production. But the experience of working away from the home exceptions like the wives of the clergy, and women who had married the
was precisely what fuelled the yearning for home. It is particularly signi- business associates of their fathers, but for most wives their husband’s
ficant in this regard that the period when suburban living became fully occupation was a closed book to them, and they were therefore not in a
established also saw the decline of the traditional pattern of men’s leisu- position to provide much support or advice.
re. Taverns and pubs became off-limits to respectable males in the eve- These occupational and educational differences were compounded by
ning: one either drank at home, or – an increasingly popular form of self- the assumptions which most middle-class people had regarding sexual
denial – not at all15. Club life for men sank to a low ebb: the myriad of difference. Earlier generations had held to the notion of a sexual conti-

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nuum, in which the biological distinctions between male and female prominently in the public discourse of the early Victorian period (the
were matters of degree. The early Victorians, on the other hand, subscri- first citation in the Oxford English Dictionary is for 1821). It carried then –
bed to a highly polarised interpretation of sexual difference. This inclu- as it has continued to do since – the unmistakable inference of justifying
ded not only the reproductive organs but character and mental faculties men’s privilege and power in the home18.
as well. Women were thought of as emotional, passive and inconstant, in Just as work now carried a different meaning, so too did the husban-
contrast to the rationality, active power and steadiness of purpose which d’s presence in the home. It was one thing to exercise a “manly firmness”
were held to characterise the male. These dichotomies did not necessarily around the house as an aspect of labour discipline, and quite another to
signify the inferiority of women. In fact they served to place woman on asset oneself there during one’s hours of leisure. The first was a necessary
a moral pedestal, but this too only served to distinguish her from man. and accepted part of the traditional domestic economy; the second was
The moral power of the wife provided the uplift which her husband so too often regarded by the wife as intrusive. Men were expected to spend
desperately needed to sustain him in the rigours of bread-winning17. more leisure-time at home than ever before. Evenings and Sundays were
Above all, the conventions of companionate marriage exposed billed as domestic time for the conscientious husband, but they also gave
serious tensions in domestic patriarchy. Household production had him more scope to assert his mastery over the household. A meddlesome
required the labour of family, servants and apprentices – a pyramidal or combative man was likely to do much more damage at home than
structure with the paterfamilias at the top. His job had been to take deci- when hanging out with his cronies in the town. He might disrupt the
sions about production, and to organize the labour resources of the hou- family’s financial arrangements, or come between the wife and her ser-
sehold, administering discipline when needed. His authority over wife vants, or between her and her children. The theory of patriarchy, on
and children depended on his control of production and his daily pre- which there was little dissent, then became an intolerable reality.
sence in the home. Keeping order in the household was a fundamental Conventional wisdom held that home was the wife’s domain, but that
attribute of patriarchal power, and the man who failed to do so was the the wife must at the same time be subject to her husband. The contradic-
butt of merciless lampooning. Conversely the dignity of the wife was tion was obscured when work or pleasure kept the husband away for
held to be subject to the constraints of patriarchy. The traditional notion most of the time. It became potentially explosive when he was constantly
of “help-meet” correctly identified her as a support and partner, but not at home, even when he consciously strove to be a “good” husband and
an equal to her husband. She was accountable to him for her manage- father. Most disruptive of all was the husband who felt that his masculi-
ment of the household, as she was for any part of the productive process ne self-respect required a constant demonstration of authority, almost
which she carried out. The separation of home from work was clearly regardless of the occasion for it. The courts punished flagrant abuses of
incompatible with patriarchy in this traditional sense. Yet control of the patriarchal authority, but only very extreme conduct attracted rebuke,
household and its members was still a touchstone of masculinity. The and no significant statutory inroads on domestic patriarchy were made
crucial question for Victorian men, therefore, was whether patriarchy until the 1880s19.
could be sustained within a context of the separation of work from home. Victorian middle-class domesticity also had major implications for
From an economic perspective the husband’s sole responsibility for fatherhood. The popular image of the Victorian father as distant, harsh
“bread-winning” enhanced his domestic standing. That dignified label and impatient of distraction owes a great deal to the determination of
belonged exclusively to the work which he carried out, usually away post-Victorian writers (notably the Bloomsbury Group) to denounce
from home, for a salary, fee or wage. This was what justified the husband their upbringing. Distance was certainly a familiar experience, in the lite-
in demanding the deference and obedience of his wife and children. ral sense that more and more fathers were at work away from home,
Failure to provide was unmanly and forfeited the claim to authority. instead of involving their children in the routines of domestic produc-
Hence for a wife to make this charge against her husband was to strike tion. For the hard-pressed bread-winner who kept unsocial hours, provi-
him at his most vulnerable point – sometimes at the cost of inciting him ding for his children might be almost the only paternal function he per-
to violence. In other words, the patriarchal prestige which had pre- formed. The novelist Dinah Craik believed that the father’s need to
viously belonged to the head of the domestic team was now attached to “fight his way” in the world imposed a “hardness and masterfulness” at
the “bread-winner”. It is not surprising that this new term featured so odds with a family atmosphere20. But arbitrary fatherhood is a mislea-

54 55
ding stereotype. The records of middle-class families reveal as many nineteenth-century accounts by sons of their upbringing, as well as
indulgent fathers as severe ones. Romantic notions of childhood had Freud’s theory of Oedipal conflict. But sons also hold out the prospect of
wide currency, and playfulness and spontaneity are to be found among symbolic immortality, reproducing the name, the attributes and someti-
the most earnest Evangelicals. Joshua Pritchard, a Methodist excise offi- mes the occupation of the father. Training his sons in what would even-
cer who was often away from home for extended periods in the 1830s, tually be a fully autonomous manliness was the special concern of the
said that the sight which made him most homesick was other fathers father. His own manhood was at stake, mortgaged to the future.
“tossing their children about”21. Cornelius Stovin, a Methodist lay prea- The countervailing softness of the mother’s influence had long been a
cher in the 1870s, regarded his two-year old as a “divinely constituted concern with the writers of advice-books for men. Becoming a man
ray of sunshine”22. For men like these, the special qualities perceived in means leaving women behind – or at least the women who have provi-
children were a central aspect of the humanising power of home. Fathers ded nurture in childhood. And, once a new household has been establis-
who lacked this kind of openness often regretted it, knowing that they hed, sustaining one’s manhood depends on a pattern of life which is
lacked something important. proof against any suspicion of “petticoat government” or unduly soft-
Yet an active engaged fatherhood also raised problems. As the gende- ened manners. These tensions had surfaced in the eighteenth century,
red character of man and woman, of father and mother, became more when moralists like James Fordyce had been very conscious of the diffi-
polarised, there was greater unease about paternal behaviour which culty of striking the right balance between the enervating allure of
appeared to encroach on the maternal role. By the Victorian period a women’s company and the boarishness of men’s. Men were given to
strong presumption in favour of breast-feeding tended to emphasise the doubting their own or each other’s manliness because of too great a
exclusive mother-baby bond. When infant care was largely confined to fondness for home. Among the wealthy one of the recommendations of
the nursery, instead of integrated into rest of household, men’s sense of the Grand Tour was that it served to break the hold of domesticated femi-
exclusion was sharper. When William Wilberforce was raising his family ninity and instil masculine self-reliance in the young traveller24. The
around the turn of the century, his relations of easy affection with his greatly enhanced moral prestige of motherhood in the Victorian period
children were not a matter for comment. But in 1849 his biographer felt intensified the dilemma. The churches – especially the Evangelicals –
obliged to stress that Wilberforce’s tenderness had never “degenerated insisted on the centrality of a mother’s influence; but traditional notions
into fondness” or been expressed “by caresses or by a blind and partial of manliness required that boys should pass from that influence to the
admiration”23. By this time too a father’s vigil over his child’s sick-bed bracing atmosphere of their peers as soon as possible.
invited the epithet “womanly”, even from writers who approved of such In an uncertain and changing world, more than ever would depend
devotion. on a young man’s manly bearing and character. During the Victorian
As children grew towards the age of reason, the father who related period the anxious father becomes a recognisable type. The anxiety did
closely to them was less open to the charge of effeminacy. His anxiety not just focus on the health and survival of the children, for which indeed
was transferred from his own gender identity to that of his sons. Could there continued to be good cause. It concerned above all the prospects of
the attributes of masculinity be successfully transmitted to the next gene- sons in adult life. Self-government was the key25. A resilient, self-reliant
ration in a household whose tone was set by the mother? Posterity is character, able to rub shoulders with all sorts and to handle any situation,
often thought of as a consideration which weighs most heavily on men was an absolute prerequisite – and one not easily developed in the femi-
of position and power. It was the head of a large business or the owner nine atmosphere of the typical middle-class home. This was one of the
of an estate who was likely to be most preoccupied by questions of inher- most important considerations which accounted for the rapid growth in
itance. In that sense posterity mattered little to the majority of men in the the “public schools” (i.e. fee-paying boarding establishments). They pro-
middle class. But the transmission of masculine qualities and masculine vided a crash course in manliness, far away from feminine influence. The
status to the next generation was a matter of keen concern to every man public schools were an expensive admission of failure by fathers with
who had male offspring, and it mattered all the more if he had little else regard to one of their most central preoccupations26.
to leave behind him. Sons have traditionally been seen as threatening the Victorian fatherhood was exposed to conflicting interpretations. If
father with displacement and oblivion: that fantasy underlies the classic home really was a separate women’s sphere, then parenting fell exclusi-

56 57
vely to her lot. If, on other hand, the virtues of domesticity applied to For perhaps two generations – from about 1830 to 1880 – domesticity
both sexes, fatherhood was a telling touchstone of men’s commitment to remained the dominant code for middle-class men in England.
the home. As fathers spent more time away from the home, they came to Essentially it was a reaction to industrialisation and urbanisation, and a
depend on their wives to devise and implement a suitable childcare regi- manifestation of a new religious stress on individual spirituality. But it
me. If they bucked this trend and attempted to retain something of their could not be sustained indefinitely. As men became more accustomed to
traditional domestic authority, they encountered the growing belief that the new socio-economic conditions, and as the authority of all revealed
the mother was the right person to bring up children, not only because religion began to decline around mid-century, so the appeal of domesti-
she was usually present in the home for much more of the time, but city waned. Ironically, as the most advanced feminists began to inveigh
because she possessed moral and psychological qualities which were against the married state in the 1880s, men themselves vociferously attac-
exclusive to her sex. At the same time as fathers were being pushed from ked the boredom and constraint of bourgeois marriage, in novels and
the centre of family life, many of the most powerful images in Victorian journalistic polemic27. Club life for men blossomed once more; marriage
art and literature concurred in affirming the centrality of children and was postponed or avoided altogether by many; and the popular culture
childhood to a fully realized humanity. Culture gave men a language in of imperialism (as articulated by writers like Henry Rider Haggard and
which to articulate the emotional satisfactions of fatherhood at the very Robert Louis Stevenson) reflected the appeal of a bracing men-only
time when conditions of employment and the new maternalism were world. Men’s resentment against feminine constraint and their attraction
making those satisfactions more elusive. to homosocial leisure once more became socially visible.

The tensions of domesticity

Domesticity was beset by serious inner contradictions. It was premi-


sed on the practical foundation of the absentee breadwinner and the ideo-
logical foundation of women’s moral superiority. Both served to enhance
status of wives. The expectation that men spend their non-working hours
at home assumed a companionate marriage, based on love, common
values and shared interests. Yet this was the period when belief in sexual
difference was more absolute than at any time before or since. On a foun-
dation of anatomical and physiological distinctions, intellect, emotions
and character were all interpreted in a sexually polarised way, which was
reinforced by the different patterns of education for boys and girls. Home
was the place where, in theory, masculine and feminine were brought
together in a proper relation of complementarity. This could mean many
different things in practice. It might mean a rigid assertion of patriarchal
control, or an acceptance by the husband of his wife’s pre-eminence in the
home. It often meant a lack of comprehension of each other’s sexual
needs. There was a tendency – though this must not be overstated – for
fatherhood to be reduced to a providing role, since the nurturing aspects
smacked of the “feminine”. Finally, considerable tensions surrounded the
upbringing of boys, since their gender identity seemed particularly threa-
tened by the attentions of the mother; this was one reason why a rising
proportion of middle-class youth was educated away from home.

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21 Joshua Pritchard to Mary Pritchard, 16 August 1836, Pritchard MSS, Manchester
Notes
Central Reference Library M375/1/4.
1 The argument of this chapter is presented at much fuller length in J. Tosh, A man’s 22 J. Stovin (ed.), Journals of a Methodist farmer, 1871-75, London, 1982, p. 181.
place: Masculinity and the middle-class home in Victorian England, London and New Haven,
23 J. Stephen, Essays in ecclesiastical biography, London, 1849, p. 273.
1999.
24 M. Cohen, The Grand Tour: Constructing the English gentleman in eighteenth-century
2 D.D. Gilmore, Manhood in the making: Cultural concepts of masculinity, New Haven (CT),
France, in “History of Education”, n. 21, 1992, pp. 241-57.
1990.
25 S. Mintz, A prison of expectations: The family in Victorian culture, New York, 1983, pp.
3M. Hunt, The middling sort: Commerce, gender and the family in England, 1680-1780,
29-38.
Berkeley (CA), pp. 202, 217.
26 J.R. de S. Honey, Tom Brown’s universe, London, 1977, pp. 209-17.
4 R. Waldo Emerson, English traits, London, 1856.
27 A.J. Hammerton, Cruelty and companionship, pp. 149-63; J. Tosh, A man’s place, pp. 151-
5 J.R. Gillis, A world of their own making: Myth, ritual and the quest for family values,
3, 172-82.
Cambridge (MA), 1996.
6 See, for example, J. Rendall, The origins of modern feminism, Basingstoke, 1985; M.J.
Peterson, Family, love and work in the lives of Victorian gentlewomen, Bloomington (IN), 1989.
7 H.C. O’Donnoughue, Marriage: The source, stability and perfection of social happiness and
duty, London, 1828, p. 98; J.A. Froude, The nemesis of faith, London, 1849, p. 113.
8 P. Jalland, Death in the Victorian family, Oxford, 1996.
9J. Rendall, Origins of modern feminism, Ch. 3; D. Valenze, Prophetic sons and daughters,
Princeton (NJ), 1985.
10 H. Cunningham, Children and childhood in western society since 1500, London, 1995.
11 W. Houghton, The Victorian frame of mind, 1833-70, New Haven (CT), 1957.
12 J. Mechling, Advice to historians on advice to mothers, in “Journal of Social History”, n.
9, 1975-76, pp. 44-63.
13 L. Davidoff, C. Hall, Family fortunes: Men and women of the english middle class, 1780-
1850, London, 1987, pp. 57-58, 188-92; J. Tosh, A Man’s Place, pp. 16-17, 31-33.
14 Th. Koditschek, Class formation and urban industrial society: Bradford, 1750-1850,
Cambridge, 1990, pp. 216-18.
15 B. Harrison, Drink and the Victorians, London, 1971.
16 For a more optimistic view of girls’ education, see J. Peterson, Family, love and work.
17 Th. Laqueur, Making sex: Body and gender from the Greeks to Freud, Cambridge (MA),
1990; J. Rendall, Origins of Modern Feminism.
18 W. Seccombe, Patriarchy stabilised: the construction of the male bread-winner wage norm
in nineteenth-century Britain, in “Social History”, n. 11, 1986, pp. 53-76.
19 A.J. Hammerton, Cruelty and companionship: Conflict in nineteenth-century married life,
London, 1992, Ch. 3-4.
20 D. Mulock Craik, quoted in C. Nelson, Invisible men: Fatherhood in Victorian periodicals,
1850-1910, Athens (GA), 1995.

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Current issues in the history of masculinity
John Tosh
University of North London

I first came to the conclusion that masculinity was a serious historical


topic fifteen years ago. This realisation had a slightly subversive quality,
because it was explored not by a formal research group, but by a monthly
gathering of interested parties in the sitting-room of my North London
home. When we went public in an edited collection of essays in 1991, we
were attempting to convince a somewhat sceptical academic community
in Britain of two key perceptions: firstly that masculinity is historically
constructed, hence its variation between cultures and within cultures;
and secondly that masculinity has been complicit in all structures of
social stratification, whether or not we choose to describe it as patriarchy.
Today it would take a committed conservative to contest either of those
propositions. I don’t intend therefore to offer a defence of this new area
from first principles. My plan instead is to offer a critical review of the
historiography. The history of masculinity is particularly challenging as
a new field because it has a bearing on every other specialism in the
discipline. This means that the basic assumptions behind research are
likely to be pretty diverse. I want to begin by identifying four such
assumptions, weighing up the advantages and disadvantages of each,
before recommending some newer approaches whose merit is as yet lar-
gely untested.
The terrain on which I will explore these issues is Britain between
about 1750 and 1900. This is not just because I work in this area, but
because historical research carried out hitherto on masculinity has hea-
vily concentrated in the great transformation from pre-modern to modern.
A number of scholars have addressed the issue of whether there was a
shift in masculinity – a new man – commensurate with the contemporary
transformations in economy and politics at this time. The different
answers to this key question reflect the full range of current approaches
to masculinity in history and also demonstrate their limitations (It is
worth bearing in mind the extraordinary neglect of masculinity in the
twentieth century, despite the central importance of total war, large-scale
unemployment, and the continuously changing position of women).

63
Masculinity equals men only praisal Thomas Laqueur has analysed the emergence of a stable sexed
opposition between the male and the female body, in place of a traditio-
Where better to study masculinity than in contexts which bring men nal Galenic continuum in which men’s bodies were superior to, but not
together in homosocial groups? Taking masculinity seriously suggests radically different from, those of women. Complementary notions of
that men should be analysed on their own, apart from women, thus female sexual passivity and an all-powerful male libido become the
revealing what is authentically and distinctively masculine about men. received wisdom of educated society. With this two-sex model came an
Laboratory conditions of this kind were much favoured by some early increasingly dichotomised notion of mind and temperament. For men
scholars in the field. The outcome was what I would like to refer to as this meant an intensified emphasis on rationality as against emotionality,
the masculinist approach. This is evident in Manliness and morality, a col- energy rather than repose, constancy instead of variability, action instead
lection of essays edited by J.A. Mangan and James Walvin in 1987. They of passivity, and taciturnity rather than talkativeness. Underlying these
focussed on the school, the army, sport and club life. A start has also dichotomies was a conviction of essential difference which structured the
been made on the masculinist culture of the work-place in industrial sexed mind as well as the sexed body. As Mary Wollstonecraft complai-
society. ned in 1792, the writers of her day maintained that the sexes ought not to
None would deny that relations between men are of fundamental be compared on the grounds that men were superior to women not in
degree, but in essence. Modern work in the masculinist vein still bears the
importance, and they certainly respond well to the more rigorous analy-
imprint of this polarised notion of sexual difference. But a focus on the
sis of the gender historian. For example, fraternity is a neglected princi-
men-only sphere – whether characterised by comradeship or competi-
ple of social solidarity, with distinctive exclusionary practices and bon-
tion – will not yield a truly gendered history.
ding rituals. Useful studies have been made of fraternity on comparative
lines, and in the urban world of nineteenth-century America. No less
important, though even less studied, are the dynamics of generational
Masculinity equals patriarchy
succession within all-male groups, as leadership is transferred to the ris-
ing men, or wrested from the elders. In this model masculinity is the set of attributes and qualities which
The problem with work in the masculinist mould, however, is that it serve to uphold patriarchal relations: all men are agents of patriarchy;
tends to convey an impression of the pre-determined or the natural about they enjoy its benefits both in interpersonal relations and through access
men-only societies, when the rationale for female exclusion is exactly to socially conferred privileges available only to their sex; and they enfor-
what cries out for treatment. We need to understand what men hope to ce it on women and on dissident men (homosexuals, effeminates, etc).
gain by keeping their own company, and how relations between them are According to this perspective, once you have described the mechanisms
conditioned by the feminine absence. The analysis of the literary critic of patriarchy, you have encapsulated masculinity. Such an approach was
Eve Kosofsky Sedgwick (1985) has proved a model in this respect. quite common among radical feminists in 1970s and 80s. Much early
According to her account men-only groups are on a knife-edge between work in women’s history proceeded on basis that it was superfluous to
reinforcing patriarchy (through affirming gender solidarity) and under- enter into men’s experience, since all history up to that point had been
mining patriarchy (when intimate relations between men within the concerned with nothing else; the pressing task now was to do justice to
group reproduce or mimic male-female relations); camaraderie and women’s experience. Though the issue was little theorised, this focus
homosexuality are parts of an unstable continuum. It follows that all- had the consequence of reducing masculinity to a set of patriarchal refle-
male associations must be placed in a fully gendered context, as Anna xes. In historical studies of domestic violence or rape, masculinity tended
Clark does in her account of early nineteenth-century artisan culture and to become pathologised as a dysfunctional feature of society and a threat
as I have briefly sketched for the Victorian bourgeoisie. to women and children.
In fact this monosexual distortion can be read as a legacy of one of the In taking issue with this tradition I have no intention of dispensing
main themes of the period 1750-1850 – the trend towards ever greater with the term patriarchy. It is now not uncommon for scholars in the gen-
polarisation in the representation of sexual difference. In a major reap- der field to reject it on account of its generally pejorative overlay, and

64 65
because it is said to imply a transhistorical claim at odds with a sense of marily a code to order relations between men themselves and to signal
period and place. My view is that we cannot do without a term to deno- their achievement of full masculine status.
te forms of social stratification in which sexual difference is a key ele-
ment, and patriarchy is the only one available; nor is there any reason to
abandon the term in its more restricted sense of domestic authority wiel- Masculinity as coterminous with the public sphere
ded by the husband/father. (I am reminded that W.K. Hancock once said
that imperialism was no word for scholars, but his fastidiousness has made One of the most constructive aspects of historians’ engagement with
no difference to the use of an indispensable term). masculinity has been the recognition that the public sphere was (and of
All the same, patriarchy cannot bear the exclusive role that it was course still is) a heavily gendered space, that public men spoke and acted
given in earlier historical accounts of masculinity. In the first place, sub- as men. The apparently gender-neutral discourse of politics defined the
suming masculinity in patriarchy is essentially a view from the outside – qualities needed for public life in masculine terms, and applied gendered
from the perspective of the oppressed and excluded. Regarding men as metaphors to the state and the public good. As Kathleen Wilson has
patriarchs, no more and no less, may be a valid expression of women’s shown, the eighteenth-century political community upheld the masculi-
experience. Yet gender is also about identity and must be understood nist model of English virtue, praising the worthy for their manliness and the
from the inside. Once we explore men’s subjectivities, we will certainly unworthy for their effeminacy. In the late nineteenth century the langua-
encounter the psychic basis of men’s insistence that they control women. ge of popular imperialism was one of character and manliness, which
But it will also become clear that their masculinity consists of other fea- reflected not only the near-monopoly by men of the actual work of empi-
tures which are not explained by the requirements of patriarchy – for re-building, but a determination to confirm the exclusion of women from
example the desire to be seen to be independent, to be physically strong, the political process.
and to hold a high place in the hierarchy of men’s esteem. A turning In The image of man (1996), one of the most ambitious treatments of the
point here was the pioneering work of Leonore Davidoff and Catherine history of masculinity yet attempted, George Mosse goes much further
Hall. In their 1987 study, Family fortunes, they extended as much empathy than this. His book is subtitled The creation of modern masculinity and the
to the men as to the women of the English middle class, and they were subject is conceived of exclusively in public terms. Body and soul, which
able to analyse their masculinity in a richly textured way which ackno- the Christian tradition had kept separate, were fused together in a new
wledged the power of both class consciousness and religious faith in sha- masculine ideal during the late eighteenth and early nineteenth centu-
ping their gender identity. ries. Male beauty symbolised civic virtue, providing a powerful idiom in
In fact during the eighteenth and nineteenth centuries codes of man- which the yearning for national regeneration could find expression – par-
liness placed great emphasis on qualities which had little to do with ticularly in Germany. Masculinity in this account was a motor that drove
enforcing control over women: frankness or straightforwardness, for exam- the nation and society at large. It was to reach its pathological climax in
ple, expressed a vision of how men should behave in their dealings with Fascism. Mosse acknowledges that he is analysing an ideal type, but in
each other. The almost universal emphasis on physical strength and agi- his account its life is largely confined to the political arena.
lity of course had something to do with enforcing unequal gender rela- At the very least this perspective ignores the formative impact of
tions: men’s physical capacities and their monopoly of legitimate force men’s upbringing in the domestic sphere. Habits of mastery, so necessary
are central to the survival of patriarchy. But the cult of the body was just in public life, were acquired through the everyday sex discrimination of
as much to do with keeping men in a state of readiness for warfare – for the home, which allowed brothers to impose on sisters, and sons to take
defending the community and for aggrandising its interests, and the their cue from their fathers. More fundamentally, the equation of mascu-
community was certainly not conceived of as restricted to the male sex. linity with the public sphere discounts one of the most important
The physical attributes prized by men reflected a burden to be shoulde- insights of gender history, which is not so much the existence of separate
red, as well as the power to assert oneself. In fact manliness – the key dis- spheres, as the recognition of how misleading the discourse of separate
cursive formation here – was only secondarily about men’s behaviour spheres has been to the conduct of actual social relations. In Britain
towards women (though chivalry was certainly at a premium). It was pri- during the nineteenth century home and public space were subject to

66 67
progressively sharper differentiation. But how much time, and of what sis of masculinity to date, Davidoff and Hall’s Family fortunes. Their book
quality, men spent in the home is a separate question, not to be answered documents two key elements of the new masculinity: the elevation of
by collapsing separate spheres with gender polarisation. At one extreme work as a calling, and the moralising of home as the focus of men’s non-
stood the middle-class suburbanite who needed reminding that public working lives. These were the constituents of an integrated gender code:
duty might from time to time require him to forsake his creature com- domestic steadiness was conducive to success in business, while the
forts. At the other extreme we find the London journeymen: denied their rigours of bread-winning were rewarded by the comforts of home. The
due as masters, they married just the same, but continued to act as if they bourgeois character of this new configuration is neatly illustrated by the
were still bachelors, according to a fraternal ethos of drunken misogyny history of the term “effeminacy”. In the eighteenth century one of the
which kept them out of the home most of the time. In between these two give-away symptoms of the effeminate condition was “luxury” – the
extremes stood the affluent public-spirited men of the established midd- unbridled desire to acquire and spend; by 1850 this meaning of effemi-
le-class – the ones who loom so large in the historiography of the nacy had disappeared, suggesting a much easier relationship between
Victorian bourgeoisie. These men acknowledged the claims of both home normative masculinity and the values of commercial society. According
and associational life. This double call certainly exposed them to compe- to this account, by the mid-nineteenth century middle-class masculinity
ting demands on their time, but we are imposing an artificial contradic- was firmly in the ascendant. The expansive sociability, luxury and sexual
tion if we suppose that it also transgressed an accepted principle of sepa- laxity associated with the aristocracy had become a vestige of the past, as
rate spheres. The point is rather that men operated at will in both spheres; more and more men from the landed classes conformed to the new pat-
that was their privilege. Historically representations of masculinity have tern. After Family Fortunes it is hard to deny that the maturing of the
necessarily straddled the public/private divide, covering the entire spec- English middle class was a gendered process, in the sense of having been
trum from men’s domestic conduct at one extreme, to the manly virtues deeply conditioned by the structure of relations between men and
which should characterise the body politic at the other. Any understan- women.
ding of masculinity has to take account of this breadth. But the fit between class and gender looks much more awkward than
it did ten years ago. For a start, the 1780s seem somewhat less significant
as a turning point in the rise of bourgeois masculinity. Dutiful attention
The convergence of gender and class to business and a prioritisation of home pursuits had been the standard
– and in many cases the practice – of men of the middling sort since the
Until the mid-1980s historical accounts of class formation and class early eighteenth century. Margaret Hunt shows how domesticity was
politics were quite innocent of gender. Here the change has been marked. favoured by these men not so much from home-loving sentiment, as
In England masculinity has been firmly written into that historiography, from a hard-headed awareness of the danger which the pleasures of the
most of all into the transition from a landed to a commercial society. town posed to credit and reputation. As for the eighteenth-century
Recent work charts the rise to ascendancy of a bourgeois masculinity gentry, Anthony Fletcher has reminded us that they were hardly the bea-
which eclipsed – without ever entirely displacing – its aristocratic pred- rers of a uniform masculinity: at one extreme stood the boorish homoso-
ecessor. The grand theme here is the transition from a genteel masculi- ciality of the hunting squire; at the other the civility of the refined gent-
nity grounded in land ownership to a bourgeois masculinity attuned to leman bent on improving his mind and his land. This latter group has
the market. The new commercial society was made possible by, and in been the subject of an illuminating case-study by Amanda Vickery. She
turn reinforced, a new manhood. The man of substance and repute came demonstrates how in north-east Lancashire around the end of the cen-
to be someone who had a steady occupation in business or the profes- tury gender distinctions between commercial and landed families were
sions, instead of receiving rents or trading in stocks. In its most schema- less striking than their common attachment to domestic comfort, field
tic form – in the writings of the sociologist R.W. Connell (1993; 1995) for sports and public service. Finally, the contrast between gentle and bour-
instance – the change is from personal to bureaucratic authority, from geois modes of masculinity needs to be tempered by a recognition of the
sociability to domesticity, and from sexual license to respectability. continuities between them, most notably the ethic of public service; as
In essentials this is also the framework of the most significant analy- Stefan Collini points out, the Victorian elite’s cult of ‘character’ stood in

68 69
the eighteenth-century tradition of civic virtue. nity is to be found in the private as well as the public sphere, and cru-
In short, once a longer time-frame is adopted and bourgeois masculi- cially in the passages between them; and finally, that masculinity cannot
nity is set alongside that of other classes, the concordance of class and be analysed exclusively in class terms. I would be fortunate indeed if I
gender is less convincing than it previously appeared. One of principal could offer a theoretical framework for the study of masculinity which
defects of the current historiography is the near-absence of serious work encompassed all these issues. Nothing of that kind has yet emerged from
on the masculinities of the artisan and labouring classes. Until that is the company of scholars engaged in this field. Instead I would like to
done our view of the classic era of modernisation is likely to be distorted. pursue the more modest objective of introducing two approaches to the
In the meantime it is worth pointing out that Connell, whose overview I subject, which have until now received little attention.
cited earlier, has himself provided one of the most effective correctives to
the running together of class and gender. I refer to his theory of hegemo-
nic masculinity, outlined in Gender and power (1987). By this he means not Masculinity as identity
just the masculine attributes of the dominant class, but those attributes
which the majority of men identify with and seek to live by. Their ration- Identity is central to the current politics of masculinity but it has
ale in doing so is to uphold patriarchy, in which all men have a stake. In attracted little attention from historians. This is all the more surprising
nineteenth-century Britain hegemonic masculinity included the double because the present-day preoccupation with personal identity is plainly
standard of sexual morality, exclusive heterosexuality, and (though not the outcome of an extended historical process. A fundamental shift
immediately) the monopolisation of the work-place by men. Hence too occurred between the seventeenth and twentieth centuries. In the six-
the strict disciplining of those groups of men who threatened to subvert teenth and seventeenth centuries masculinity was regarded as a matter
patriarchy from within – like homosexuals or unruly youth. Hegemonic of reputation; it had first to be earned from one’s peers and then guarded
masculinity was maintained in part by force – by the rigours of the law jealously against defamation, in court or in combat. Domestic disorder,
against sodomy for example. But, as the Gramscian resonance of the term which later generations would regard as a personal predicament, was
hegemony implies, this masculine order was also validated through cul- then seen as a serious blow to a man’s standing in the community. In the
tural means – particularly significant with the growth of the mass media twentieth century, by contrast, masculinity has come to be experienced as
from the late nineteenth century. Future research which moves beyond an aspect of subjectivity – sensitive to social codes no doubt, but rooted
the well charted ways of the bourgeoisie is, I believe, likely confirm the in the individual’s interiority; an ‘insecure’ masculinity is one which is
relevance of this view of masculinity as a set of norms and social rela- assailed by inner doubt (particularly about sexuality) rather than by
tions which transcended the sectional interest of any one class. threats and aspersions from other men. We know little about the pace
and timing of this change in the nature of gender identity, or about how
* * * men internalised the gendered discourses which so much scholarly effort
has gone into reconstructing.
Masculinity is a highly complex historical phenomenon, and it has Of course even during the Early Modern era manliness had never
only been possible to do the path-breaking work on the basis of simpli- been a matter of behaviour and appearance alone. It depended on solid
fied models which leave loose ends and neglect important facets of the inner qualities , such as courage, resolution and tenacity. Virtue was held
subject. Nor do I wish to suggest that the four approaches I have identi- to be inseparable from manliness. The same applied to the code of civi-
fied so far have exhausted their usefulness. There is plenty of life in them lity which became dominant among gentlemen during the eighteenth
yet. But I think we should be more aware of the distortions which are century. For all the stress on social accomplishments, civility was widely
implicit in these approaches. We need to keep in mind that masculinity recognised to depend on an inner moral sense. Honour and reputation
is relational, as well as being expressed in a rich homosocial culture; that were worthless without virtue and wisdom. However, respect for inner
masculinity is about the attributes of camaraderie and competition qualities is not the same as interiority. Modern notions of masculinity
which men value among themselves, as well as the habits of command (and femininity also) emphasise the inner consciousness of the indivi-
and control which are needed to enforce a gender regime; that masculi- dual. Masculinity may be culturally determined, in the sense of featuring

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only a limited repertoire of traits, but it is also understood to be an code of civility. Evangelicals were expected to marry, lifelong celibacy
expression of the self, and up to a point a matter of individual choice, tor- being regarded as popish deviance; but no experimentation and no devia-
menting or liberating as the case may be. Authenticity is the exacting tion from the heterosexual norm were countenanced. Sexuality was a peri-
standard by which contemporary gender identities are judged. In the lous impulse to be curbed – a burden, not a form of self-expression. Once
eighteenth century, on the other hand, the most authoritative forms of within the fold, the options for Evangelical men were thus very restricted.
manliness and civility demanded the repression of the self. The indul- The worship of “character” did not denote a generous appreciation of
gence of the self which characterised so much youthful behaviour was human diversity, but a narrow definition of carefully prescribed attributes.
seen as a passing phase, brought to a close when reason and intellect pre- Given the centrality of sexual orientation to modern notions of iden-
vailed over impulse. Again and again control of the passions, restraint of tity, the historical relationship between homosexuality and heterosexua-
the appetites and moderation in sex were emphasised. A man who lity is obviously a key issue. Gay historians took up this theme well befo-
would have authority over others must first master himself. re masculinity began to be identified as a field, but their work has done
Nineteenth-century Evangelicalism reacted even more strongly more to chart the ebb and flow of social repression than to determine at
against the association of masculinity with reputation. Instead the what point a homosexual identity emerged. This is partly because
Evangelicals elevated character – by which they meant the inner resour- research has been distorted by a political commitment to uncover a con-
ces of heart and mind transformed by God’s saving grace. Instead of tinuous gay tradition. Much has been made of the eighteenth-century
being guided by the opinion of others, the serious Christian was urged to molly-house because within its walls a homosexual culture ruled with its
listen only to the inward monitor of conscience, and to appear to the own argot, rituals and dress conventions. Yet the men who frequented
world as he really was. If this gave him authority, it was genuine autho- these houses cannot simply be categorised as homosexuals. They were
rity from within, instead of the counterfeit currency of reputation. All part of a culture in which homosexual acts were not thought to denote a
this could only be achieved by means of unremitting self-scrutiny deviant personality type; they testified to the beast in every man, not to a
through private prayer and contemplation. The inner man was repre- distinct identity. Foucault’s belief that homosexuality as a discrete cate-
sented as in constant struggle with the world and its expectations. gory was an invention of the later nineteenth century has been born out
One of the most significant expressions of the Evangelical’s sense of by the research of Jeffrey Weeks and others; they have shown that the
self was his work. Traditionally work had very demeaning associations: it self-image of invert or Uranian took shape in the context of new medical
implied burdensome toil, or a servile dependence on patronage (as in understandings of sexuality and draconian new purity-driven laws
“place” or “situation”). The new social morality emphasised “independ- against indecent behaviour.
ence”; that is, the autonomy which came from running one’s own busi- Identity is crucial to our understanding of masculinity, but in the fully
ness, practising a profession, or (more tenuously) marketing a hard-won interiorised sense that we understand by the term it was late in develo-
skill. Here Evangelical morality converged with the requirements of poli- ping. I would suggest that the critical period was the late nineteenth and
tical economy which attributed economic vitality to the self-motivated, early twentieth centuries. Ideologically the decline of religious convic-
rational, independent actor. Work was now re-defined as “occupation” tion and religious discipline unpicked one of the main ways in which
and – even more pointedly – as “calling”. The dignifying of occupation men had experienced their inner selves. Socially the growth of mobility
within an Evangelical world-view was surely the starting-point for the and anonymity in a fully urbanised society gave a new psychic urgency
modern secular notion that a man’s masculinity is vested in his working to the quest for an individual consciousness. But this, like so much in this
identity. But for the Evangelical the desired outcome was not self-expres- paper, is a matter for debate and for future research.
sion, but a repression of the self far more severe than anything laid down
by the eighteenth-century code of restraint. The self was regarded as the
seat of all the impure thoughts and vain ambitions; the Evangelical was in Masculinity and the longue durée
a state of war with his inner impulses. Nowhere was this conflict more
keenly felt than with regard to sexuality. The mores of the libertine were Earlier I raised the question of whether gender in the last analysis is
of course shunned, but so too was the sexual latitude permitted under the formative or epiphenomenal. I detected in some work on the bourgeoisie

72 73
the assumption that masculinity was superstructural, in the sense of kee- many of its governing assumptions still prevailed among young men.
ping in step with other more fundamental transformations. Possibly it is, Except for those from devout families, they were under pressure to lose
but if so the proposition must be subject to much more rigorous testing. their virginity, and repeated ‘conquests’ were a form of display intended
In particular we need to consider very carefully those facets of masculi- to impress other males. This is the main explanation for the vast scale of
nity which did not significantly change during the period 1750-1900. Victorian prostitution, whose clients encompassed every variant of
Important aspects of gender proved impermeable to the play of class bachelorhood from the common soldier living in barracks to the well-
politics at this time. Even during the economic and social upheavals of heeled bourgeois awaiting the means to marry in style. Repeated appeals
the Industrial Revolution, not everything moved, and certainly not at the to young men to turn to religion, to study, to sport, to business advance-
same pace as the transformation in economic production and class rela- ment, to ‘manly science’ – in short to anything which distracted them
tions which we now regard as the onset of modernity. from vice – testify to the undiminished appeal of the ‘gay life’. Charles
Take first the issue of household authority. This has been a touchsto- Dickens was not alone in fearing for the health of any young man who
ne of masculinity throughout Western history, and it remained fairly resi- remained chaste. This time-honoured feature of apprentice manhood
lient during this period. Adult gender identity for men involved forming was certainly proof against the morally challenging discourse of middle-
a household, maintaining it, protecting it, and controlling it. As a socially class masculinity.
validated status, masculinity depended on these attributes as strongly as Both these features of what might be called resilient masculinity were,
ever. New patterns of work and leisure changed the context, but not the of course, fundamentally to do with the assertion of men’s power over
fundamental requirement. The theory of middle-class domesticity might women. Sexual mastery and household authority are surely at the very
be based on marital harmony achieved through complementary roles, heart of face-to-face patriarchy, and thus constituents of hegemonic
but the reality had to take account of men’s continuing insistence on masculinity. Their persistence over a long period prompts the reflection
mastery in the home. The courts were shocked by cases in which an that recent historiography may have over-played the idea of masculinity
angry husband usurped his wife’s control over children and servants or as a variable discursive construction. The alternative is not an essentialist
threatened her with violence. But these cases were only the tip of the ice- conception of sexual difference, but a recognition that some of the salient
berg. As A. James Hammerton suggests, the conventions of domesticity structures of gender are grounded in social arrangements and psychic
imposed strains on masculine self-esteem which, if anything, increased needs which are particularly resilient: they are of course subject to chan-
rather than diminished the incidence of household tyranny. Enough ge and modification, but on a time-scale which may not relate very clo-
work has now been done on domestic violence at various periods bet- sely to other historical trajectories. The argument here is not that the
ween the late seventeenth and the mid nineteenth centuries to point to troubling transition to adult masculinity, or the enforcement of domestic
some very enduring continuities. Through the shifting relationship bet- patriarchy, operated in precisely the same way everywhere, but that class
ween class and gender during this period, masculinity remained deeply distinctions only make sense when seen in the context of certain shared
wedded to the exercise of private patriarchy. (and enduring) patterns of gendered behaviour. Historians of gender
My second example is the sexual rite de passage of young men on the have tended to feel uneasy with models of continuity, not only because
threshold of manhood. In terms of peer-group standing this was no less they find change more alluring, but because persistence and stasis imply
a badge of masculine status than the household headship which was a trans-historical essentialism. But when anthropologists observe recur-
meant to follow a few years later. In the mid-eighteenth century it would rent patterns, they do not leap to the conclusion that all societies are ‘the
seem that sowing wild oats was often commended not only by a well- same’, or that the common traits they have uncovered are biologically
born young man’s companions, but by his parents also. The life of the programmed; as David Gilmore has shown, men almost universally per-
libertine was grounded in the first instance in a period of youthful sexual form the functions of protecting and providing for dependants, but man-
experimentation which was widely. The standards of nineteenth-century hood ideologies vary according to the social and material environment.
bourgeois masculinity were much less accommodating, but their impact As historians we should be equally ready to recognise the embeddedness
on the conduct of the young needs to be questioned. By the Victorian and durability of certain aspects of masculinity. So far as I know, Fernand
period libertinage had ceased to be a culturally validated life-style, yet Braudel never applied his notion of deep structural time – la longue durée

74 75
– to gender relations. But a time-scale of that order would be a welcome A. James Hammerton, Cruelty and companionship: Conflict in nine-
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Kathleen Wilson, The sense of the people: Politics, culture and imperialism Non presenterò una ricerca ma alcune riflessioni sui ruoli di genere
in England, 1715-1785, Cambridge, 1995 nell’intento di invitare a una lettura – o a una rilettura – di un testo cele-
bre: Family and social network di Elizabeth Bott1. Si tratta, come è noto, di
Mary Wollstonecraft, A vindication of the rights of woman, ed. Carol H.
un lavoro pionieristico e fondamentale, che ha contribuito in modo deci-
Poston, New York, 1988
sivo a sviluppare un modo nuovo di pensare la famiglia e i ruoli di gene-
re nella coppia, aprendo prospettive profondamente innovative. La pro-
spettiva di analisi che Bott inaugurò, infatti, fu quella di collegare l’arti-
colazione interna della famiglia al suo “ambiente sociale immediato”
(immediate social environment), cioè alla rete di relazioni in cui è inserita.
Bott svolse la sua ricerca in un quartiere di Londra negli anni
Cinquanta, attraverso una serie di interviste condotte in profondità su
venti famiglie, in parte (maggioritaria) di estrazione operaia e in parte di
ceto medio. Quando portò al seminario di Gluckman i suoi primi mate-
riali e chiese: “Che cosa ne faccio?”, Gluckman sprezzante rispose: “Ci
scriva sopra un romanzo”. Ma quando, successivamente, si presentò con
una prima elaborazione delle sue tesi, Gluckman ne rimase folgorato.
Come egli stesso scrive, ammise apertamente: “Mi ero sbagliato”.
La domanda che Bott si era posta era perché nelle coppie londinesi
che aveva studiato esistevano delle differenze rilevanti nella distribuzio-
ne dei compiti domestici tra moglie e marito. Alcune coppie, infatti, pre-
sentavano una forte rigidità nella divisione del lavoro domestico che
rifletteva una famiglia “tradizionale”, in cui i confini tra la sfera di
responsabilità maschile – derivante dall’essere il marito il principale (o
unico) breadwinner – e la sfera di responsabilità femminile – derivante dal
fatto che alla moglie erano affidate la gestione dell’economia domestica
e di cura dei figli – erano molto netti. All’opposto, in altre coppie la divi-
sione del lavoro domestico era piuttosto flessibile, e moglie e marito
mostravano una tendenza a cooperare: in questi casi, il marito si assu-
meva in casa compiti tradizionalmente considerati come femminili.
In sostanza, il quadro che emergeva era un continuum che andava da
coppie in cui i ruoli di marito e moglie erano “segregati” (così Bott li defi-
nì), e i coniugi tendevano a non svolgere in comune né i compiti dome-
stici né gran parte delle loro attività sociali, a coppie in cui i ruoli dei

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coniugi erano “congiunti”, e i compiti domestici e le attività sociali erano probabile che si sviluppi nella rete una maggiore variazione nelle norme,
svolte in comune. In poche parole, il problema che Bott si pose fu quello e il controllo sociale sia più frammentato e meno pressante”.
di spiegare differenze rilevanti nel grado di segregazione dei ruoli coniugali La pubblicazione di Family and social network sollevò negli anni suc-
nelle sue coppie, che né la variabile della classe sociale di appartenenza cessivi un dibattito molto esteso e molto stimolante. Uno dei contributi
né la variabile del quartiere di residenza erano capaci di spiegare. per noi più interessante è quello di Bruce Kapferer, che accetta l’ipotesi di
L’ipotesi che avanzò fu che la variazione nel grado di segregazione Bott ma arriva a riformularla. Egli vede un punto debole nell’analisi di
dei ruoli di marito e moglie poteva essere correlata alla variazione nella Bott, che consiste nell’aver considerato la rete sociale della coppia come
struttura delle reti sociali in cui le coppie erano inserite. un tutto unico. In realtà – sostiene Kapferer – la rete della famiglia si divi-
Bott classifica le reti sociali in due grandi tipi, quanto alle loro carat- de in due grappoli separati, l’uno maschile, centrato sul marito, e l’altro
teristiche morfologiche: a maglia stretta (con un elevato grado di densi- femminile, centrato sulla moglie.
tà), cioè reti in cui molte delle persone che sono in relazione con la cop- In una ricerca su una città mineraria dello Zambia, pubblicata agli
pia sono anche in relazione tra di loro; a maglia larga (con un basso grado inizi degli anni Sessanta2, Kapferer rileva che nelle coppie africane stu-
di densità), cioè reti nelle quali poche delle persone che sono in relazio- diate più che di una rete familiare si deve parlare di due reti distinte dal
ne con la coppia sono anche in contatto diretto con le altre persone della punto di vista della loro composizione per sesso: nei suoi casi di studio
rete. In altri termini, Bott sostiene che le reti si differenziano per il loro gli amici del marito tendono a costituire una rete sociale a maglia stretta
grado di densità: il massimo grado di densità si ha nelle reti in cui tutte esclusivamente maschile, mentre le amiche della moglie tendono a costitui-
le persone che ne fanno parte si conoscono e si frequentano; il minimo re una rete sociale a maglia stretta esclusivamente femminile.
grado di densità si ha invece nelle reti in cui non tutte le persone (o, al Kapferer analizza quindi in modo separato le due reti (maschile e
limite, nessuna) che sono in rapporto con la coppia si conoscono fra di femminile) della coppia e focalizza la sua attenzione sull’esistenza (o no)
loro. di interconnessioni fra di loro. E’ questo l’elemento che viene considera-
E’ precisamente il grado di densità della rete della coppia, per Bott, a to da Kapferer come il fattore cruciale: egli conclude infatti che ad essere
influire sui ruoli coniugali: più alto è il grado di densità della rete, più è responsabile della segregazione dei ruoli nella coppia è l’assenza o la
probabile che i ruoli coniugali siano segregati; più basso è il grado di carenza di sovrapposizioni fra la rete maschile centrata sul marito e quel-
densità della rete, e più è probabile che i ruoli coniugali siano tenden- la femminile centrata sulla moglie. Il contributo che Kapferer dà nel rifor-
zialmente congiunti. Ed è appunto in questo senso che viene individua- mulare l’ipotesi di Bott sta in sostanza nell’aver portato l’attenzione sulla
ta una correlazione tra variazione nel grado di segregazione dei ruoli natura sessualmente segregata delle reti dense dei coniugi, e nell’aver
nella coppia e variazione della struttura della rete sociale: è insomma la quindi ipotizzato che questa sia la variabile fondamentale da considera-
densità della rete che sembra essere responsabile della segregazione dei re ai fini della spiegazione della segregazione dei ruoli nella coppia.
ruoli coniugali. Altri autori hanno fornito ulteriori elementi di precisazione di questa
La scoperta della rilevanza del grado di densità della rete nell’in- ipotesi: l’idea fondamentale e comune è che le reti sociali a maglia stret-
fluenzare il comportamento degli individui che ne fanno parte costitui- ta tendano a favorire la formazione di gruppi, coesi e solidali; è appunto
sce il contributo teorico più innovativo di questo autore alla network in condizioni di questo tipo che è più probabile che tra gli appartenenti
analysis. Bott mette in luce il fatto che la rete sociale a maglia stretta tende alla cerchia sociale densa si sviluppino e si rafforzino valori, idee, atteg-
a produrre tra i suoi membri un consenso sulle norme che guidano i com- giamenti molto netti sul contenuto e sui comportamenti di ruolo.
portamenti, stabilendo quali sono i modi appropriati di comportarsi; Il modello che ci viene presentato potrebbe essere riassunto in questi
nello stesso tempo i membri della rete a maglia stretta tendono a eserci- termini: a) la rete sociale ha un’influenza sui ruoli di genere della coppia
tare una forte pressione informale l’uno sull’altro affinché tutti si confor- che tende ad esplicarsi nel grado di pressione normativa che essa eserci-
mino alle norme. Quando invece la rete sociale è a maglia larga, e cioè ta; b) questo grado di pressione normativa sembra variare in rapporto
non c’è del tutto o è scarsa la comunicazione tra i vari membri della rete alla natura sessualmente segregata della rete: più la rete è sessualmente
dell’individuo (al di fuori della comunicazione che ogni membro della segregata, più è probabile che maggiore sia la pressione sull’individuo
rete sociale ha con l’individuo che ne è al centro), allora – dice Bott – “è affinché modelli il suo comportamento secondo le norme di gruppo.

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In sostanza: quando si ha una situazione in cui uomini e donne nelle generale scarsamente significativi (ma comunque variabili nella loro
coppie sviluppano una socialità indipendente che li porta ad essere coin- entità) nella divisione domestica del lavoro: dominante è una famiglia
volti in reti sociali sessualmente segregate si creano le condizioni ottima- “tradizionale”, cioè a ruoli coniugali segregati, con nessuna o scarsa
li per la riproduzione di comportamenti conformi alle prescrizioni tradi- cooperazione tra moglie e marito nello svolgimento del lavoro domesti-
zionali di ruolo. E’ un modello che offre suggestioni molto interessanti co.
per la ricerca e fornisce una chiave interpretativa molto stimolante dell’i- Morris – seguendo Bott e il dibattito stimolato dal suo libro – ricerca
dentità maschile in situazioni sociali specifiche (dove emerge una identi- la spiegazione della resistenza dei mariti disoccupati ad assumere com-
tà di gruppo maschile accentuata). piti domestici (anche nel caso in cui la moglie lavora) nel grado della loro
Si possono qui suggerire due letture: partecipazione alla vita sociale maschile, tradizionalmente molto vivace
1. N. Dennis, F. Henriques, C. Slaughter, Una vita per il carbone3: è una nella comunità operaia della zona. Dove Morris rileva una partecipazio-
descrizione molto ricca di una comunità mineraria inglese degli anni ne intensa da parte del marito alla socialità maschile – e quindi una sua
Cinquanta, il cui nome fittizio è Ashton, che si presenta come una socie- appartenenza a una rete sociale densa e sessualmente segregata – la resi-
tà altamente segregata, caratterizzata da una netta divisione tra i sessi, stenza è maggiore (e minore la cooperazione nello svolgimento delle
che l’industria mineraria esclusivamente maschile tende ad accentuare. incombenze domestiche); dove invece la partecipazione del marito alla
Le donne di Ashton hanno opportunità di lavoro salariato molto scarse. socialità maschile è marginale, la sua resistenza ad assumersi compiti
In questa comunità, dunque, uomini e donne hanno sfere di azione e domestici è minore (e maggiore è la cooperazione tra ì coniugi nel lavo-
interessi chiaramente separati: gli uomini sono gli unici breadwinners ro domestico. Così come è maggiore l’attività sociale svolta insieme).
della famiglia; le donne si occupano della casa e dei figli. I ruoli coniugali In conclusione, Morris postula che le variazioni nel grado di segrega-
sono rigidamente segregati, e questo dato è riferibile all’appartenenza di zione dei ruoli coniugali siano da porre in rapporto a modi diversi di par-
uomini e donne a reti sociali dense maschili e femminili distinte e scar- tecipazione all’attività sociale, in quanto implicano gradi diversi di iden-
samente comunicanti fra di loro, e che possiedono in quanto tali un alto tità di gruppo.
potenziale di rafforzamento delle norme di gruppo. Si potrebbero citare altri lavori. Il modello che abbiamo esposto sem-
Per quanto riguarda i mariti, dicono gli autori, l’aspetto significativo bra offrire spunti in molte direzioni: per esempio, varrebbe la pena di
della loro partecipazione alla vita sociale è il suo isolamento dalla fami- riconsiderare la letteratura storiografica italiana sui circoli borghesi urba-
glia. Le mogli vengono deliberatamente escluse dalle attività (e dalle ni (esclusivamente maschili) ottocenteschi5, che potrebbe essere riletta in
libertà) consentite ai maschi, e l’attrazione esercitata sul marito dalla rete questa luce. Si può aggiungere che ne potrebbe derivare, per il
sociale di appartenenza esclusivamente maschile si traduce “in un osta- Novecento, uno stimolo a considerare l’emergere di forme nuove di
colo allo sviluppo di una relazione più completa con la moglie” e com- ricreazione di massa come il calcio in questa luce e quindi in rapporto
porta di diminuire “la quantità di tempo e l’interesse che egli dedica alla alle relazioni di genere nelle coppie (nella sua acutissima prefazione alla
famiglia”. Il carattere sessualmente segregato delle reti maschili e fem- seconda edizione di Bott, Max Gluckman fa notare tra l’altro – riferendo-
minili, e il coinvolgimento intenso dei coniugi in attività sociali segrega- si all’Inghilterra – le differenze tra calcio e cricket da un lato e tennis e
te, hanno in sostanza l’effetto di ridurre fortemente l’investimento emo- bridge dall’altro lato).
tivo di entrambi i partner nella vita di coppia. Ma vi è un altro campo di indagine molto interessante che può trarne
2. L. Morris, Local social networks and domestic organisation4: si tratta di grandi vantaggi: quello dell’emigrazione. Spostiamoci di nuovo
una ricerca condotta all’inizio degli anni Ottanta in un’area industriale all’Ottocento: la separazione tra i due grappoli – maschile e femminile –
del Galles, dominata dall’industria dell’acciaio (e quindi con manodope- della rete sociale delle coppie è una situazione tipica dei villaggi rurali.
ra prevalentemente maschile), in un periodo di licenziamenti e di disoc- Qui il modello dominante è largamente quello di una socialità che tende
cupazione. a rafforzare i legami sociali dei maschi con i maschi e delle femmine con
Malgrado la condizione di disoccupati dei mariti e, spesso – come le femmine. E’ questa natura delle reti sociali, naturalmente – e non la
conseguenza – di assunzione da parte delle mogli del ruolo di breadwin- vita rurale in se stessa – ad essere responsabile della segregazione dei
ner (percepito comunque come provvisorio), Morris rileva mutamenti in ruoli nella coppia.

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Che cosa succede su questo terreno – e con quali implicazioni sui ruoli una emigrazione che ha inizio negli anni Cinquanta e si sviluppa come
coniugali – con l’emigrazione in città? E’ un bel tema di ricerca, che ci emigrazione di massa negli anni Sessanta-Ottanta). Provengono in gran
porta a ragionare sulla condizione della donna sposata in situazioni di parte da aree rurali, dove il modello dominante nella famiglia è la rigida
mobilità geografica. segregazione dei ruoli coniugali, ma in Inghilterra le coppie presentano
Nello studio di Bott, la mobilità geografica ha degli effetti precisi sulla una situazione diversificata: in certi casi, la segregazione dei ruoli coniu-
rete sociale familiare: produce tendenzialmente reti a maglia larga, e gali si riproduce, o addirittura per certi versi si accentua, in un quadro di
quindi favorisce ruoli congiunti e condivisione di lavoro domestico e di forte isolamento delle mogli; in altri casi, al contrario, i ruoli coniugali
attività sociali tra marito e moglie. Ma in Bott la mobilità geografica è tendono a diventare congiunti (nell’accezione di Bott), con una divisione
essenzialmente una mobilità individuale (non collettiva, cioè basata sulle del lavoro domestico più flessibile e con relazioni fra i sessi che si carat-
catene migratorie): una mobilità che sembra favorire – nella sua inter- terizzano per una molto maggiore eguaglianza e parità rispetto alla con-
pretazione – l’allentamento e l’interruzione dei rapporti con parenti, dizione precedente l’emigrazione.
amici e vicini. Per noi, invece – che si tratti di mobilità di lunga o di Queste differenze vengono spiegate da Werbner sulla base dell’ipote-
media distanza (emigrazioni internazionali o interregionali) – è più faci- si che esse siano correlate alla struttura della rete sociale della coppia.
le imbatterci nella letteratura storiografica in movimenti di emigrazione L’analisi è focalizzata sul contributo – squilibrato o paritario – che
dalla campagna alla città che si realizzano e si sviluppano su base collet- entrambi i coniugi sono in grado di dare alla costruzione della rete socia-
tiva, con implicazioni rilevanti sulla formazione delle reti sociali in città le in cui la coppia si inserisce a Manchester, e a questo riguardo Werbner
(anche se tutte da studiare). In questi casi, l’equazione mobilità geografi- introduce la variabile – ritenuta cruciale – della presenza o dell’assenza
ca = reti a maglia larga non funziona, è molto discutibile. di un’attività lavorativa delle mogli e gli effetti che ne derivano sul piano
Se noi puntiamo l’attenzione sulla donna nella coppia emigrata, molti della formazione e della composizione della rete familiare di relazioni.
studi sono concordi nel sottolineare come sia largamente diffusa, perlo- Il modello che Werbner elabora è il seguente: nei casi in cui le mogli
meno nella prima fase dell’emigrazione, la sua condizione di isolamento. non lavorano, esse risultano essere prive di un contesto in cui sviluppa-
E’ una condizione che va interpretata in termini di relazioni sociali: l’e- re relazioni personali proprie (al di fuori di quelle che possono avere con
migrazione infatti può spesso comportare un drastico ridimensionamen- donne della parentela). Il loro contributo alla formazione della rete fami-
to dei legami personali. (E su questa base sarebbe possibile avanzare l’i- liare comune è minimo (i Pakistani, dice l’autore, danno grande impor-
potesi che un tale impoverimento della rete sociale femminile sia causa tanza ai rapporti di amicizia). In questo campo, le mogli dipendono dalle
di un mutamento a discapito della donna nei rapporti di potere nella relazioni del marito, che stabilisce in genere nel contesto del lavoro in
coppia conseguente all’emigrazione, che interviene a mettere in crisi un fabbrica e che costituiscono una rete maschile densa. La rete sociale della
equilibrio precedente). famiglia è quindi determinata e dominata dal marito e dalle sue scelte
Come è evidente, questa condizione di isolamento non è immodifica- degli amici. I ruoli coniugali sono rigidamente segregati.
bile. La domanda che ci si potrebbe porre è quindi la seguente: quali sono Nei casi in cui invece le mogli lavorano, le dinamiche che ne discen-
per la donna sposata che emigra dalla campagna alla città (e che quindi dono sono molto diverse: le donne sono attive nella formazione della rete
vive la condizione “speciale” dell’emigrazione) le opportunità e i vinco- familiare, che sviluppano insieme ai mariti. L’attività lavorativa fornisce
li che le si presentano nella ricostruzione di una sua rete personale di alle donne un contesto in cui stabilire delle relazioni di amicizia, e i due
relazioni? E con quali implicazioni? grappoli – maschile e femminile – della rete familiare tendono a non esse-
Noi in questa sede siamo naturalmente soprattutto interessati alle re sessualmente segregati: per entrambi i coniugi, in sostanza, i legami
implicazioni che concernono i ruoli coniugali. A questo riguardo ele- personali non sono ristretti solo allo stesso sesso. I ruoli coniugali sono
menti di grande valore ci sono forniti dai lavori di P. Werbner6, in cui il congiunti.
riferimento – anche in questo caso – sono esplicitamente lo studio di Bott E’ un modello che potrebbe essere ulteriormente articolato. Il punto
e le ricerche antropologiche da lei stimolate. Werbner affronta il tema centrale è l’idea che l’attività lavorativa non è solo da considerare (come
delle variazioni nei ruoli coniugali, in termini di grado di segregazione spesso si fa) come fonte di risorse economiche: il lavoro va analizzato,
dei ruoli, nelle famiglie di Pakistani emigrati a Manchester (si tratta di nelle sue implicazioni, anche come fonte di contatti sociali. D’altronde, è

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ampiamente dimostrato che le reti sociali femminili sono spesso circo- Note
scritte alla parentela (e quindi sono relazioni ascritte) proprio perché
altrettanto spesso viene loro a mancare il mezzo più importante di 1 E. Bott, Family and social network, London, 1957; la seconda edizione, del 1971, è cor-

costruzione di relazioni personali, che è appunto l’attività lavorativa. Ma redata da una importante prefazione di Max Gluckman. Un capitolo del libro è tradotto in
italiano in F. Piselli, Reti, Roma, 1995.
ci sono certamente delle differenze significative – in questa ottica – tra
tipi diversi di lavoro a cui le donne hanno accesso nelle nostre società: mi 2 B. Kapferer, Social network and conjugal role in urban Zambia: Towards a reformulation of

riferisco non soltanto alla differenza (nota) tra lavoro a domicilio e lavo- the Bott hypothesis, in J. Boissevain, J.C. Mitchell, Network analysis. Studies in human interac-
tion, The Hague-Paris, 1973.
ro fuori casa, ma anche alle differenze che attengono alle caratteristiche
3 N. Dennis, F. Henriques, C. Slaughter, Una vita per il carbone, Torino, 1976; edizione
(più che di status, di livello di qualificazione) del lavoro fuori casa delle
donne, in quanto queste caratteristiche hanno influenza sulle opportuni- originale 1956, 2a edizione 1969.
tà che il lavoro può offrire ai fini della costruzione di legami personali. 4 L. Morris, Local social networks and domestic organisation, in “Sociological Review”, vol.

In che senso: il fatto che le donne trovino prevalentemente occupa- 33, n. 2, 1985; ripreso nel suo classico The workings of the household, Cambridge, 1990, 2a edi-
zione in mansioni poco qualificate comporta che si tratti in genere di zione 1996.
occupazioni ad alto turn over, cioè di occupazioni in cui i contatti perso- 5 Un titolo: M. Meriggi, Milano borghese, Venezia, 1992.
nali sul lavoro tendono ad essere transitori e superficiali. Ciò fa sì che dif- 6 P. Werbner, The migration process, Oxford, 1990.
ficilmente si creino le condizioni perché si possano stabilire rapporti per-
sonali durevoli e forti. Ma sarebbe anche interessante valutare – ai fini
della natura delle relazioni sociali che il lavoro può favorire – il carattere
segregato o no dell’occupazione della donna (cioè: la donna lavora pre-
valentemente con donne, o anche con uomini?). Si può infatti sensata-
mente supporre che nel caso di occupazione segregata le relazioni che
questo contesto di associazione favorisce producano reti femminili – ses-
sualmente segregate – mentre si può avanzare l’ipotesi che in caso di
occupazioni “miste” le relazioni personali che si instaurano tendano più
facilmente ad assumere un carattere sessualmente non segregato. Con
implicazioni rilevanti, per restare al nostro tema, sui ruoli coniugali.

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Due studiosi della mascolinità a confronto:
Pierre Bourdieu e Robert Connell
Simonetta Piccone Stella
Università “La Sapienza” di Roma

Accanto agli studiosi di scienze sociali in Europa e in Nordamerica,


Canada compreso, che hanno condotto ricerche sul tema “genere maschi-
le” o mascolinità, dobbiamo includere un gruppo di sociologi australia-
ni, il cui animatore, R.W. Connell, ha lavorato per lungo tempo negli Stati
Uniti. A differenza di Bourdieu, i cui interessi di ricerca si collocano su
piani molteplici e solo di recente si sono incontrati con il tema del gene-
re, Connell ha trattato l’argomento in saggi, antologie, convegni, testi per
oltre dieci anni diventandone quasi uno specialista. Propongo qui la let-
tura parallela dei loro ultimi libri, Il dominio maschile di Bourdieu1, e
Maschilità di Connell2. E’ un confronto utile perché i due testi rappresen-
tano due poli, due modalità esemplari e divergenti di misurarsi con l’og-
getto “mascolinità”.
Il libro di Bourdieu è una proposta metodologica piuttosto che una
ricerca. Quello di Connell contiene un piccolo nucleo di interviste con-
dotte con uomini e omosessuali a Sidney, e a sua volta si confronta con
problemi di metodo e di riflessione teorica; dunque una prima differen-
za tra i due consiste nel disegno dei rispettivi testi. Vediamo ora un tema
classico: il rapporto tra soggetto e oggetto della ricerca. Bourdieu mostra
il distacco del sociologo visitatore di un campo di cui non sembra sentir-
si partecipe in prima persona, il suo stile è impersonale e asciutto. Non
usa il pronome “noi” a differenza di gran parte degli autori dei men’s stu-
dies, come se riconoscersi un uomo che studia altri uomini fosse super-
fluo o fuorviante. Per la verità Connell usa raramente il “noi”, ma il suo
linguaggio e l’intera impostazione del suo discorso alludono al genere
maschile come a un’esperienza personalmente condivisa, esperienza che
si è poi rivelata impresa intellettualmente appassionante, secondo il
familiare tragitto dell’autocoscienza che conduce dal personale al politi-
co. Scelte di metodo diverse, come si vede, ed esiti diversi. Le domande
di partenza tuttavia sono simili: come mai il dominio di un sesso sull’al-
tro si è mantenuto per secoli come una convenzione che tutti accettano
malgrado la disuguaglianza che crea? come dobbiamo esaminare questo
fenomeno mutevole ma di lunga durata?
Bourdieu trasferisce i concetti chiave del suo lavoro sociologico – l’ha-

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bitus, il capitale simbolico, il senso pratico, la doxa – nel terreno, per lui (più che la storia dei generi) dovrebbe dedicarsi. E’ sulle istituzioni che
inedito, dei rapporti tra i generi, confermandone tutto sommato la vali- deve intervenire il genere femminile se desidera alterare i rapporti di
dità. Rispetto al suo approccio teorico abituale la novità è rappresentata forza; ma sia la forza delle istituzioni che il potere maschile rimangono,
da alcune considerazioni sui cambiamenti recenti nel rapporto tra i sessi nel testo, acefali o almeno anonimi. E’ questo un secondo punto di diver-
e da un breve excursus sul movimento gay – le cui osservazioni coinci- genza rispetto a Connell. Per Bourdieu la mascolinità e il suo potere
dono, queste sì, con quelle di Connell al proposito. costituiscono un tutto compatto, un monolite (benché venga preso in
Il dominio maschile secondo Bourdieu è una delle incarnazioni dell’- considerazione, a parte, il sottotipo dell’uomo gay).
habitus, “un sistema di disposizioni durevoli” incorporate nelle pratiche, I diversi modi di incarnare la mascolinità sono invece esplorati da
nelle abitudini corporee, nel senso comune e ammantate di tutti i segni Connell. Gli uomini non condividono tutti il privilegio della loro supre-
del naturale. La visione androcentrica del mondo si impone alle donne mazia allo stesso modo. Connell propone varie distinzioni. Ne riporto
attraverso la violenza simbolica, l’adesione acritica (femminile) alle rela- solo le più importanti: esiste un tipo di mascolinità egemone, che gesti-
zioni di potere così come sono, l’incapacità di non aderire alle forme cul- sce il potere e rappresenta il modello più appetibile e più apprezzato del-
turali prevalenti. L’inconscio umano è complice del dominio perché ne è l’esistenza maschile, vincente e trionfante su entrambi i sessi. Accanto, il
inconsapevole – per Bourdieu il concetto di inconscio può trasferirsi tipo della mascolinità subordinata (socialmente discriminata, cui appar-
dalla psicologia del profondo della singola personalità, a quelle forme di tengono gli omosessuali), il tipo marginale (le minoranze etniche), la
sedimentazione storica che il dominio stratifica nel tempo. Pur esercitan- mascolinità complice e quella molto particolare che Connell chiama “di
do una solida presa l’habitus tuttavia riserva sempre agli attori uno spi- protesta”. Si tratta di una tipologia un po’ schematica, dichiaratamente
raglio di libertà, non è equivalente all’abitudine che meccanicamente si provvisoria (viene però accolta volentieri dallo storico J. Tosh3) che sod-
riproduce, né a una struttura che condiziona gli individui al cento per disfa un’esigenza di distinzione e chiarisce un punto chiave: le mascoli-
cento. L’habitus può essere modificato grazie a quel piccolo margine di nità non egemoni riscuotono i “dividendi” del potere egemone, vivono
imprevedibilità ed è per questa ragione che il dominio maschile ha subi- cioè di luce riflessa, poiché non solo aspirano ad assumerne le apparen-
to nell’ultimo mezzo secolo alcune scosse. ze ma possono sempre spendere la loro pur limitata supremazia domi-
E’ interessante il fatto che l’attenzione di Bourdieu si concentri tutta nando il sesso opposto semplicemente in quanto maschi. E’ una delle
sul comportamento del destinatario del dominio, cioè sul soggetto domi- migliori descrizioni di un fenomeno ben noto, la capacità dei lavoratori,
nato, il genere femminile, la cui azione ha modificato in parte la perfetta dei disoccupati, degli uomini di colore, di coloro che subiscono le più
visione androcentrica che nel passato non registrava opposizione alcuna. varie discriminazioni, di maltrattare, comandare, tiranneggiare, sfruttare
Le espressioni con le quali Bourdieu descrive quel passato (quasi un le donne con le quali vivono e quindi di discriminare a loro volta a pro-
“tipo ideale”) sono particolarmente felici: parla della sottomissione prio vantaggio.
incantata delle donne, della demarcazione mistica che separa l’area delle I due quadri, di Bourdieu e Connell, propongono immagini diverse e
cose che può fare il genere maschile dall’area delle cose che può fare il prestano gradi diversi di attenzione al potere. Occorre tener presente ad
genere femminile (l’immagine è mutuata da Virginia Woolf). Ciò che col- ogni modo che il tema del potere, pur essendo stato fissato in un suo
pisce è la preferenza per l’analisi degli effetti del dominio, della sua rica- aspetto cruciale da Connell, è generalmente trascurato, soprattutto sotto
duta sulle donne, e la minore attenzione che l’autore rivolge al dominio il profilo del vissuto, da tutti gli studiosi della mascolinità (Connell inclu-
in sé. E’ come se gli uomini, collocati al potere da una vicenda antica che so), che preferiscono sottolinearne il prezzo, l’alienazione, il lato oscuro,
si perde nei tempi dell’antropologia storica, fossero prigionieri anch’essi piuttosto che il lato felice e vincente, il godimento, l’anelito, la gratifica-
dell’automatismo del proprio dominio: il potere maschile non viene ana- zione – se dovessimo credere a queste contrite autocritiche, dovremmo
lizzato nella sua ragion d’essere, nelle sue articolazioni, tanto meno nel pensare che agli uomini sia del tutto sconosciuto il piacere della vittoria
vissuto – non sembra che gli uomini ne siano particolarmente gratificati (e della sconfitta dell’altro).
– e rimane un attributo implicito del dominio. Da una serie di ammoni- Intorno ai “costi” dell’essere maschio si apre appunto un altro terreno
menti che l’autore dissemina nel testo comprendiamo che a suo parere il di confronto tra i due autori. In un capitolo dedicato alla virilità Bourdieu
potere si è tradotto nelle istituzioni e che a queste la storia delle donne traccia di questa un profilo molto simile a quello che Tocqueville aveva

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disegnato per l’aristocrazia dell’ancien régime. La mascolinità/virilità tuisce, è a favore di una prospettiva più aperta e più ricca per l’esistenza
vanta la stessa pretesa all’indiscutibilità dell’aristocrazia, non ha dubbi maschile, attualmente tutta da modificare, con il suo stragrande potere di
sulla propria ragion d’essere, è sostenuta dalla stessa sicurezza che nasce comando e la sua incessante ma non necessariamente utile rischiosità.
dalla lunga durata, dalla stessa certezza del proprio valore assoluto. Un suo collega, collaboratore di una raccolta di saggi editi da Connell
Tuttavia, egli osserva, gli uomini sono anch’essi prigionieri dell’habitus. stesso, ha sottoscritto il giudizio, aggiungendo che il prezzo più alto
L’identità maschile si traduce in un destino sociale, nell’immissione in un viene pagato dalla mascolinità egemone, dagli uomini che si trovano in
binario prestabilito. Il privilegio può trasformarsi in una trappola, in un cima alla scala, on the top, costretti a ritmi e a prove di competizione dure
carico: gli uomini debbono continuamente dare prova di essere virili. Ciò e logoranti. La consapevolezza dei rischi, però, si va diffondendo. I cam-
genera tensione, ansia, affanno. Gli obblighi derivanti dal privilegio sono biamenti che si intravedono nello stile di vita degli uomini di successo
ben argomentati, ma i suoi costi, da Bourdieu, vengono alla fine indivi- (l’autore si riferisce agli Stati Uniti) sono un segnale che chi si trova on the
duati deludentemente solo nell’area della sessualità. top desidera non pagarne più i costi, ma non per questo smettere di esse-
Gli esempi riguardanti la pratica della sessualità – trappola, non pote- re on the top7.
re – sono tratti da una società arcaica, nella fattispecie la Kabilia algerina, Rimane da discutere il modo col quale Bourdieu e Connell impostano
in cui il frequente ricorso degli uomini agli afrodisiaci è sintomo sia degli il loro discorso sul cambiamento. Che il dominio maschile dimostri di
obblighi della virilità che della sua insicurezza; e dalla società contem- avere una straordinaria capacità di tenuta è fuori discussione, poiché si
poranea, per la quale Bourdieu cita l’agitazione prodotta nel mondo protrae anche nel mondo contemporaneo. Bourdieu accenna alla scarsa
maschile dall’invenzione della pillola Viagra. Altri aspetti di discrasia fra visibilità del genere femminile nell’arena pubblica e politica (che chiama
identità imposta socialmente e risposte individuali di disagio e infelicità “agorafobia femminile socialmente imposta” o anche “impotenza social-
non vengono esaminati. mente appresa”). La sottomissione tradizionale delle donne è insieme
Connell cambia ottica. La sua è una rassegna impietosa della ristret- spontanea ed estorta, funziona come un “clic”, un movimento automati-
tezza e dell’angustia dell’orizzonte maschile nel nostro mondo moderno, co. Del resto tutta l’analisi sociologica di Bourdieu insiste sulla spesa
piuttosto che della sua onnipotenza. La condizione esistenziale dell’uo- minima di energia con la quale i gruppi tendono a riprodursi, sulla loro
mo è limitata e immiserita dalla barriera che si è formata tra il carattere adesione quasi mimetica all’esistente.
maschile e l’espressione delle emozioni e dell’affettività relazionale: un Un cambiamento è tuttavia stato avviato nei rapporti tra i generi –
tema questo molto amato dagli studiosi del genere maschile e suggerito grazie allo spiraglio di libertà che l’habitus riserva agli attori. Il ricono-
in primis dall’analisi di N. Chodorow4 ed altre studiose femministe (per scimento dell’importanza del movimento femminista e del suo lavoro
esempio A. Hochschild5), secondo la quale il maschio bambino è obbli- critico, che ha spezzato l’automatismo del rinforzo automatico del pote-
gato a negare il proprio attaccamento alla madre separandosi nettamen- re maschile, è aperto e indiscusso. Meno chiara risulta la spinta che ha
te da lei; ne consegue, nel tempo, la riluttanza dell’adulto verso l’espres- operato alla sua base. Bourdieu non fa parola della trasformazione delle
sività e la comunicazione. coscienze, non menziona la crescita della soggettività. Nel suo quadro
Un’eco sensibile di queste argomentazioni è offerta da A. Giddens6. teorico la potenza dell’habitus – alternativamente flessibile e rigida –
Ma Connell completa il quadro con una proposta nuova. I costi dell’es- opera al di qua della coscienza e della volontà, si radica nelle stesse strut-
sere nato maschio, in questa società, con le aspettative sociali che cono- ture cognitive. La liberazione delle donne non può nascere di getto dalla
sciamo riguardo al genere maschile, sono anche ben concreti, tangibili: presa di coscienza di una minoranza.
gli uomini hanno un’aspettativa di vita più breve delle donne, sono più Non a caso il giudizio di Bourdieu sul recente movimento della parité
esposti allo stress, alle ansie, alle malattie, patiscono profondamente i nella Francia femminista, che punta a una revisione delle regole elettorali
rischi del mercato del lavoro e la perdita di un’occupazione, si logorano per la spartizione uguale della rappresentanza tra donne e uomini, è nega-
nello sforzo di tenere il passo con le richieste pressanti che il cambia- tivo: rischia di favorire prioritariamente donne “uscite dalle stesse regioni
mento produttivo e tecnologico pone, si trovano in prima linea, forzata- dello spazio sociale cui appartengono gli uomini che occupano attualmen-
mente, nelle congiunture di emergenza, nelle sfide e nei conflitti che te le posizioni dominanti”8. Rimane da spiegare il modo col quale le por-
periodicamente si presentano alle società contemporanee. Connell, s’in- tatrici delle istanze del femminismo siano riuscite a “spezzare il cerchio”;

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come si sia formata quella torsione particolare che ha generato la congiun- po di uomini sfiorano la riflessione sul vissuto ma non la tematizzano,
tura favorevole al cambiamento. Sembra che il movimento abbia agito presentando invece una serie di dettagli ricchi, suggestivi, sulle persona-
come un ariete che ha fatto crollare un muro. Bourdieu non vuole usare il lità degli intervistati, che non si coagulano in una direzione analitica
linguaggio della soggettività, ma questo non si accorda con la sua nozione autonoma. Connell resta l’autore che è andato più vicino a questo
relativamente flessibile dell’habitus, che consente un margine di libertà approccio, poco praticato dagli studiosi della mascolinità (una possibile
agli attori. Le ipotesi sul perché e sul quando certi attori riescano ad appro- eccezione è M. Roper10). L’enfasi viene generalmente posta su ciò di cui
fittare di quel margine, e come, rimangono senza risposta. il genere maschile è privo – il lato femminile represso, come si diceva, l’e-
Viceversa il linguaggio della soggettività è molto familiare a Connell. mozionalità – ma non sulla gratificazione e l’appagamento: le stesse
Una gran parte del suo lavoro è dedicata alla ricostruzione storica dei emozioni che gli uomini sperimentano in quanto sesso “superiore” non
primi gruppi di autocoscienza maschili, nati alla metà degli anni Settanta vengono indagate, ma al più descritte, enumerate. Eppure di questo
in America, ai movimenti che ne sono seguiti in diverse parti del mondo, livello di analisi e di approfondimento che le donne hanno affrontato e
quindi alla capacità degli uomini, non solo delle donne, di lavorare per il praticato da lungo tempo si sente molto il bisogno.
cambiamento. Connell si occupa poco del movimento femminista, che
considera il motore iniziale di ogni discorso sul genere. A differenza di
Bourdieu pone attenzione al sesso maschile come possibile interprete e
portatore di una modificazione delle relazioni tra i generi. La carica intel-
lettuale di Connell nasce dalle esperienze di movimento vissute in
America e in Australia e dall’osservazione dei cambiamenti di mentalità
che già hanno investito una minoranza dei suoi pari.
Le due posizioni implicano punti di vista molto diversi sugli uomini.
Bourdieu non menziona mai la possibilità che il genere maschile si metta
in discussione e si attivi. Forse il suo è un richiamo salutare alla realpoli-
tik: gli uomini non collaboreranno, non muoveranno un dito. Ogni ini-
ziativa sembra trovarsi nelle mani delle donne, anche se le istituzioni, che
ha tanto a cuore, possono cambiare solo se entrambi i sessi si impegnano
a modificarne il funzionamento. Connell è consapevole dell’esiguità
numerica dei gruppi di liberazione maschili – che si muovono contro i
propri stessi interessi di genere – e opta per una politica delle alleanze.
Solo la prospettiva di un’alleanza fra donne e uomini può spostare lo
squilibrio fra i pesi specifici dei due sessi e incoraggiare i gruppi maschi-
li che si sono già mobilitati a uscire dal proprio angusto raggio di azione.
Per distanti che siano apparsi fino ad ora i due autori, un’assenza
tematica li accomuna: manca in entrambi un’analisi del sé. Il sé in termi-
ni non autobiografici ma in quanto soggetto del vissuto, profilo psichico,
o personalità psicologica. Non sorprende che Bourdieu, dichiaratamente
lontano dalla dimensione soggettiva e molto abile nel calare ogni sottile
sfumatura personale del gusto, ogni nuance individuale delle preferenze
culturali in un binario di ceto o di classe (si pensi a La distinzione9), mostri
disinteresse per le operazioni del self (il suo concetto di inconscio è
mutuato dalla psicoanalisi ma applicato alla storia). Molto particolare
invece è il silenzio o l’impaccio di Connell, le cui interviste con un grup-

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Note Égalité o parité. Come ripensare la democrazia
1 P. Bourdieu, Il dominio maschile, Milano, 1998.
Andreina De Clementi
2 R.W. Connell, Maschilità, Milano, 1995. Istituto Universitario Orientale di Napoli
3 J. Tosh, Come dovrebbero affrontare la mascolinità gli storici?, in Genere. La costruzione
sociale del femminile e del maschile, a cura di S. Piccone Stella e C. Saraceno, Bologna, 1996.
4 N. Chodorow, La funzione materna, Milano, 1978. Nel 1992 tre prestigiose intellettuali, Françoise Gaspard, Claude
5 A.
Servan-Schreiber e Anne Le Gall, pubblicano da Seuil un piccolo libro
Hochschild, The managed heart: commercialization of human feeling, Berkeley, 1983.
destinato ad agitare le acque della vita politica francese. Lo stesso titolo
6 A. Giddens, La trasformazione dell’intimità, Bologna, 1995. – Au pouvoir, citoyennes: liberté, égalité, parité – non fa mistero dell’intento
7 M. Messner, Changing men and feminist politics in the United States, in “Theory and aggressivo e provocatorio delle autrici. La sostituzione dell’originaria fra-
Society”, n. 22, 1993. ternité con parité allude a una rivisitazione critica dei principi dell’89, che
8 P. Bourdieu, cit., p. 135. verranno chiamati costantemente in causa nel dibattito successivo. Lo
9
scopo dichiarato, consolidare, sviluppare e completare la democrazia, di
P. Bourdieu, La distinzione, Bologna, 1983.
cui viene identificato uno dei fattori di crisi nel quasi monopolio maschi-
10 M. Roper, Masculinity and the British organization man since 1945, Oxford, 1994. le delle sue istituzioni. In primo piano il problema della rappresentanza
di genere di contro alla esigua presenza femminile nelle assemblee elet-
tive francesi e nelle strutture del potere.
Il pamphlet, scritto in uno stile piano e incisivo, quale si conviene ad
una sorta di manifesto programmatico destinato a larga diffusione, si
divide in tre parti, indicative, già nella titolazione, dell’intero contenuto.
Si inizia con Le figlie illegittime della Repubblica, si passa poi a La rappre-
sentanza confiscata, per concludere con La rappresentanza paritaria. La rico-
gnizione storica precede e fonda la proposta politica.
Le origini teoriche della disparità vengono rintracciate in Che cos’è il terzo
stato?, il celebre opuscolo in cui l’abate Sieyès, in piena Rivoluzione,
escludeva dal diritto di voto donne, bambini, stranieri e contribuenti al
disotto di un reddito prestabilito. Anche nel caso in cui le donne avesse-
ro potuto soddisfare i requisiti di età, nazionalità e reddito, sarebbero
state comunque penalizzate dal sesso.
Fino al XIX secolo e per una buona metà del XX, le francesi hanno
continuato a vivere nelle stesse condizioni riservate loro dall’Antico
Regime – con cui, malgrado le apparenze, la Rivoluzione non ha mai
rotto del tutto; la duplice incapacità, civica e civile, ha dato prova di una
stupefacente longevità.
Le autrici ripercorrono quindi le vicende della progressiva affranca-
zione delle donne dalla tutela maschile, giustificata da una presunta
“natura” che le avrebbe rese incapaci di esercitare i diritti politici. E non
mancano di ricordare come il suffragio femminile, concesso nel 1944, sia
stato perorato dai conservatori che lo consideravano un argine all’avan-

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zata dei comunisti, e avversato, per la stessa ragione, dalle sinistre. sia sulla parità abbia fornito l’occasione per riflettere sulla obsolescenza
In conclusione, dopo aver confutato le possibili quanto pretestuose degli assetti democratici occidentali, sulla loro incapacità di fornire rispo-
obiezioni correnti, viene formulata la richiesta di parità: auspice la fem- ste adeguate agli interrogativi posti da nuove realtà e da nuovi soggetti
minista ottocentesca Hubertine Auclert, si propone che i seggi delle politici.
assemblee elettive vengano suddivisi in due parti uguali, senza obbligo
di voto per sesso. Ciascuno sarà libero di scegliere un o una rappresen- * * *
tante. La parità è solo una misura di equilibrio e di giustizia. Non si trat-
ta di un’iniziativa isolata né estemporanea. Le autrici ne traggono diret- Nell’anno accademico 1994-95, la Maison des Sciences Humaines di
ta ispirazione dalla Dichiarazione di Atene dello stesso anno, mentre Parigi promuove un seminario sul problema della parità. Sono previste
nasce, di lì a poco, un movimento pour la parité, in cui si riconosce una varie sessioni tematiche e vengono ospitate di volta in volta studiose,
nutrita schiera di donne, intellettuali e politiche. Ne scaturisce uno dei giuriste, attiviste socialiste e verdi e deputati delle assemblee municipa-
dibattiti più accesi dell’ultimo decennio del XX secolo. Le stesse francesi li, regionali e nazionali. La prima seduta, di cui “Differences” pubblica il
sono divise e non poche assumono un atteggiamento apertamente ostile. resoconto integrale, organizzata dalla sociologa Marie-Victoire Louis, che
L’aspetto più sconcertante è, tuttavia, che le tematiche sollevate in tal aderisce a Femmes pour la Parité, è dedicata a “Parità e universalismo”.
modo non superano i confini della Francia; le donne degli altri paesi, Gli incontri successivi riguardano: “Mixité o parité”, “Le poste in gioco
Italia compresa1, si mostrano nel complesso tiepide fino all’indifferenza giuridiche della parità”, “Bilancio delle elezioni europee”, “Come otte-
rispetto ad una problematica che le tocca invece da vicino: la disugua- nere la parità? Tempi, metodi e strategie”, “La parità, per fare che cosa?”,
glianza politica accomuna gran parte dei paesi occidentali, democrazie “Partito Socialista e parità” e “Parità: quali strategie politiche?”. Le coor-
scandinave escluse. Unica eccezione, gli Stati Uniti, che finiscono sul dinatrici sono, tra le altre, Françoise Gaspard e la scienziata politica
banco degli accusati, additati come modello negativo dallo schieramento Janine Mossuz-Lavau.
avverso alla parità. Non che la querelle abbia coinvolto con altrettanto Gli incontri sono aperti anche agli uomini. Al primo partecipano lo
vigore le donne americane, ma lì non è mancata un’informazione ampia storico Pierre Rosanvallon e l’economista “verde” Alain Lipietz.
e puntuale, grazie soprattutto alla rivista “Differences”, che le ha dedica- Malgrado non si sia adottata nessuna discriminazione politica, mancano
to una sezione speciale nel 1997 traducendone parecchi materiali. Inoltre, all’appello la destra e il PCF.
una delle esponenti di maggior spicco della cultura nordamericana, Joan L’intenzione manifesta della coordinatrice è quella di favorire il dia-
Scott, è intervenuta più volte nel merito, con posizioni tanto polemiche logo evitando di scavare un solco troppo profondo tra favorevoli e con-
quanto articolate e persuasive, a favore della parità. trari. Forse la trascrizione non gli rende giustizia, ma l’impressione che si
Il dibattito ha conosciuto fortune alterne, ha raggiunto l’acme nel ricava dai testi è che ci si trovi di fronte posizioni molto distanti tra loro,
triennio 1995-97, dopodiché è entrato in una fase di stallo in coincidenza approcci molto diversi e una scarsa o nulla interazione, specie da parte
con l’esito delle elezioni politiche, vinte dai socialisti, e con la formazione maschile, tanto che il dibattito vero e proprio risulta quasi inesistente.
del governo Jospin, caratterizzato da una forte presenza di donne in dica- Ciò non toglie interesse al ventaglio delle argomentazioni, né alle con-
steri chiave. Infine, il 28 giugno 1999 l’Assemblea nazionale francese ha clusioni tratte da Louis2, che mette conto di riferire.
approvato un’aggiunta all’art. 3 della Costituzione, così concepita: “La Rompendo il ghiaccio, Rosanvallon estrae dalla storia del XIX secolo
legge favorisce l’uguale accesso delle donne e degli uomini ai mandati quattro episodi emblematici delle traversie dell’universalismo francese.
elettorali e alle funzioni elettive”. Ma favorire non equivale a garantire. Il primo, piuttosto anomalo, verte su una controversia apparsa ne “La
I motivi per ripercorrere, sia pure non integralmente, i termini di que- révue de mathématiques appliquées” nel 1820, sede in cui il matematico
sta discussione sono, a mio parere, tre. Anzitutto, l’aver affrontato, nei Gergone richiamò l’attenzione su ciò che “era scomparso” dal processo
termini decisi che merita, un problema da tempo sollevato dai movi- politico, le qualità e i fatti sociali. Di ciò era responsabile la natura della
menti femministi occidentali; in secondo luogo, l’averne scandagliato le rappresentanza, che imponeva di esprimere l’eterogeneo in una dimen-
implicazioni storiche, filosofiche e politiche senza accontentarsi di for- sione omogenea. Coniugare omogeneo ed eterogeneo era reso possibile
mule preconfezionate e, infine, ma non ultimo, il fatto che la controver- dall’idea della rappresentanza sociale. La filosofia politica inglese degli

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anni Sessanta si impadronì di questo nesso, Thomas Hare asserì infatti che delle relazioni tra i sessi, alla cui base c’è una struttura di potere da tra-
il principio proporzionale presuppone elementi di unanimità nel sociale. sformare. Però, alcune donne ritengono il genere riducibile in toto alla
Il secondo caso è il cosiddetto “Manifeste des soixante”, firmato da sua dimensione socio-politica e immaginano che la differenza, fondata
sessanta operai nell’estate del 1864, la prima denuncia di rappresentanza sulla disuguaglianza, scomparirà con questa. In realtà, anche se non con-
deficitaria avanzata dall’introduzione del suffragio universale in Francia. dividiamo il radicalismo delle “differenzialiste”, commenta Collin,
I sessanta operai chiedevano di poter eleggere altri operai. Il tema fu ridurre il genere a un’appartenenza sociale come le altre può produrre
ripreso qualche anno dopo dagli oppositori repubblicani del Secondo strategie inadeguate.
impero, i quali sostennero che ciò avrebbe significato un ritorno alle gilde Quanto al rapporto tra umanità e cittadinanza, la seconda appare più
di antico regime. restrittiva ma anche più concreta. La cittadinanza non è universalistica,
Lo stesso motivo si presentò per la terza volta nel 1870-80, quando la connotata com’è da inclusioni ed esclusioni. E il potere precede e confer-
rappresentanza proporzionale divenne argomento di dibattito europeo. ma sempre lo status di cittadino. Poiché poi i diritti del cittadino deter-
In Germania, veniva vista come un ritorno alle corporazioni, mentre in minano i diritti umani, questi ultimi sono universali in linea di principio,
Francia, dove era sostenuta dal fourierista femminista Victor ma la loro attuazione è subordinata al consenso dei cittadini di certi stati.
Considérant, appariva piuttosto una riflessione sulla natura del sociale e Da questo punto di vista, come ebbe a dire Hannah Arendt, privata dei
veniva fondata sulla pluralità delle passioni. Il nocciolo della questione suoi diritti di cittadina, la cittadinanza è superiore all’umanità, ancorché
verteva sulla capacità di rappresentare virtù sociali inconciliabili, ma in si tratti di uno status revocabile a seconda delle circostanze.
quella diatriba così fervida, precisa Rosanvallon, non c’era ombra di rife- Il nesso tra parità e “universale” ingenera la seguente domanda: le
rimento alle donne. donne devono pretendere i loro diritti in qualità di cittadini come gli altri
Quarto e ultimo esempio, l’ipotesi del voto familiare, che guadagnò o in quanto cittadini sessuati? Per poter rispondere, dovremmo prima
terreno alla fine del secolo. Il problema politico nasce dall’oscillazione tra valutare se la cittadinanza individuale è neutra come l’universalismo
individuo e comunità, che comporta modi diversi di trattare i soggetti presuppone che sia. Secondo Collin, la neutralità del cittadino è una trap-
politici individuali e i soggetti politici comunitari. pola, sia all’origine che nell’ordinamento attuale. La stessa istituzione
Rosanvallon si limita a gettare sul tappeto questi elementi di rifles- dello spazio politico e la sua separazione dal privato implicano l’esclu-
sione senza pronunciarsi. Françoise Collin preferisce, da filosofa, non sione delle donne, un’esclusione non accidentale, ma organica, e la
scendere su un terreno storico a lei poco congeniale. Si concentra sul nozione di individuo è ritagliata su un modello maschile. L’introduzione
potenziale e sul significato del termine “universalismo” in questo conte- della democrazia non supera il problema della dualità dei sessi, ma lo
sto. Occorre stabilire se la parità vada considerata alternativa all’univer- occulta dietro un velo di retorica unitaria.
salismo o comprensiva dello stesso. Gli avversari optano per la prima Risulta tanto paradossale quanto interessante sostenere che la mag-
ipotesi, i fautori per la seconda. Le richieste di parità non riguardano l’es- gior garanzia della sessuazione del potere è proprio l’universalismo e che
sere umano e l’appartenenza di genere, ma l’inclusione nella cittadinan- la parità tenta di desessuarlo estendendolo a entrambi i sessi. Quindi, il
za, tanto che lo schieramento delle donne la sostiene, a prescindere dalla vero universalismo è la parità.
molteplicità dei loro punti di vista. Ma mentre l’assenso delle cosiddette Tutto ciò non impedisce a Collin di avanzare alcune riserve sul fatto
“essenzialiste” o “dualiste” può sembrare quasi scontato, quello delle che il principio rappresentativo sia il modo migliore per realizzarla, o se
universaliste desta qualche sorpresa. Perché rivendicano una visibilità non sia invece talmente strutturato da risultare inattaccabile da modifi-
duale senza rinunciare all’unità. I due gruppi non concepiscono la parità che puramente quantitative. Insomma, l’arena politica è stata intrinseca-
allo stesso modo: le differenzialiste intendono che le donne rappresenti- mente definita da e per gli uomini, in termini maschili, le donne non
no le donne, come gli uomini fanno con gli uomini; viceversa, le “uma- saranno mai cittadini “come gli altri”. In realtà, soggiunge la filosofa, le
niste” o “razionaliste” o “universaliste” che dir si vogliano, intendono paladine della parità non dovrebbero proporre un modello simmetrico e
che uomini e donne rappresentino assieme un’unica umanità. parallelo, ma tendere a ridefinire in toto l’idea di “interesse generale”. Il
Questi orientamenti hanno certo alcuni punti in comune, in specie il loro atteggiamento tradisce invece questo elemento di debolezza e di
riconoscimento di una dimensione discriminatoria nella realtà sociale ingenuità. E comunque la richiesta di parità chiama in causa il monismo

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dell’“universalismo” democratico. balie, alleggerendo con ciò il peso della castrazione materna (Badinter);
Non mi soffermerò su quanto detto da Alain Lipietz, che non sembra se ciò non bastasse, sono poco rivendicative, si compiacciono di una fem-
aggiungere nuovi elementi a questa discussione. L’unico argomento minilità complementare e fanno del privato il luogo della felicità (Perrot);
degno di nota – e capace di stizzire Françoise Collin – è la sua difesa del infine, il problema delle americane, per Hunt, non è il femminismo, ma
differenzialismo, di cui contesta l’identificazione con l’essenzialismo: si le loro idiosincrasie, una mentalità divisa, antistorica, volontarista ed
può essere per l’uno senza condividere l’altro. egocentrica.
Quanto queste posizioni siano lontane le une dalle altre e come sia Di fronte a un tale florilegio di banalità e luoghi comuni, c’è di che
stato difficile trovare un terreno comune viene dimostrato dal dibattito restare stupefatti.
sfilacciato e stanco che ne è seguito. Di questo stesso tenore è il com- Unica voce fuori da questo poco edificante coro, Joan Scott, che sfer-
mento di Anne Le Gall, che indica in incontri come questi un ostacolo alla ra un attacco impietoso e sferzante a quest’ultima fatica di Ozouf. Non
formazione di un’unità d’azione e osserva come il caso della parità si pre- ne salva nulla, dagli errori di fatto di cui è infarcita, che ne provano la
sti a una lezione sull’anatomia del pregiudizio. superficialità, alle tesi peregrine.
L’organizzatrice del seminario se ne dichiarò soddisfatta. La discus- Poiché Scott ha ripreso questa tematica con maggiore ampiezza sulla
sione l’aveva aiutata a capire meglio le debolezze politiche del movi- “New Left Review”, è preferibile fare riferimento a quella sede4. Dove,
mento per la parità, l’esigenza di una riflessione sugli strumenti e le stra- per cominciare, non dissimula tutta la sua rabbia per la caricatura oltrag-
tegie utili ad acquisirla, nonché la necessità di inserirla in un’analisi delle giosa e antistorica dei diversi caratteri nazionali emersa da quest’ultima
strutture sessuate del potere. Insomma, parità sì, ma come? E perché? querelle des femmes. In sintesi, il femminismo americano manda su tutte le
furie Mona Ozouf, che lo considera un prodotto di lesbiche antimaschio.
* * * Le americane – sempre secondo Ozouf – confondono la differenza con la
disuguaglianza, deformano i rapporti privati negando le differenze ses-
Il confronto ha toccato uno dei momenti di maggior vivacità a segui- suali naturali e minano la pratica democratica rendendo il genere un pro-
to della pubblicazione di un libro di Mona Ozouf3. Si tratta in realtà di un blema politico. In realtà, afferma Scott, a questi argomenti è sottintesa
lavoro mediocre e raffazzonato e lascia interdetti il plauso incondiziona- una lettura politica neoconservatrice: l’intangibilità della differenza ses-
to con cui è stato accolto da un drappello di recensori di prim’ordine, ivi suale sorregge l’intangibilità della politica repubblicana. Ciò che preoc-
compreso, sia pure in coda a un discorso che parla d’altro, uno studioso cupa davvero è le mouvement pour la parité.
del calibro di Bronislaw Baczko. Quest’ultimo, continua Scott, ha fatto affiorare la crisi latente del fem-
Ne raccoglie i giudizi l’ultimo fascicolo del 1995 di “Le Débat”. Ozouf minismo francese, sia in quanto teoria politica universalista che come
ha introdotto un paragone tra donne francesi e donne americane, che pratica di governo. La causa di questa crisi è duplice: per un verso, l’in-
verrà ripreso più volte in seguito e risolve il match a netto svantaggio gresso della Francia nell’Unione Europea ha posto il problema della pre-
delle seconde. Non sarà superfluo notare che l’autrice porta un nome e servazione dell’identità nazionale; per l’altro, il confronto quotidiano con
un cognome, si direbbero, magrebini, e che quindi la sua sviscerata fran- una fetta crescente di popolazione femminile che rifiuta l’assimilazione
cofilia potrebbe definirsi un caso, chiamiamolo così, di ipercorrettismo, (vedi le dispute sul chador) fa vacillare antiche certezze. L’assimilazione
un desiderio, insomma, di apparire più francese dei francesi. richiedeva l’universalismo, cioè la conformità a un ventaglio di standard
A sfavore delle americane giocherebbe dunque la diversa concezione normativi attinenti alla razionalità, alla responsabilità, al decoro, alle
dei rapporti di genere e la “guerra tra i sessi” che viene loro imputata. regole di comportamento: per essere rappresentati, occorreva diventare
Elizabeth Badinter, Michelle Perrot e Lynn Hunt – la quale, americana, si “presentabili”. Viceversa, si fa ora sempre più incalzante l’esigenza di
produce in un esercizio molto caro agli intellettuali in genere, l’autode- conciliare i requisiti dell’individualismo repubblicano con l’affiorare di
nigrazione nazionale; ne sono immuni i soli francesi, e ne raccolgono i un’area sempre maggiore di irriducibilità, di soggetti diversi che preten-
frutti – fanno a gara nell’esaltare le virtù delle donne francesi, senza dono gli stessi diritti. E questo ingenera un senso di smarrimento popo-
risparmiare i riferimenti storico-filosofici del caso. A renderle diverse, e lato di fantasmi.
migliori, sarebbe stata l’abitudine tutta loro di affidare i propri figli alle Primo fra tutti, l’esperienza nordamericana, i pretesi danni derivati

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dal suo multiculturalismo, nonché dall’aver anteposto, in ambito politi- Come, infatti – si chiede Joan Scott – si potrebbe combattere la discrimi-
co, il protagonismo dei gruppi di interesse a quello degli individui. Su nazione senza sollevare la questione della differenza sessuale?
questa base, gli Stati Uniti assurgono a modello negativo, da cui guar- E del resto, le contraddizioni generano altre contraddizioni. Il femmi-
darsi, di contro a una Francia mitizzata come culla di uguaglianza rivo- nismo francese neoconservatore critica le colleghe americane tanto per-
luzionaria, di facili relazioni amorose e di universalità repubblicana. Una ché osano chiedere la rappresentanza politica della differenza sessuale,
Francia, insomma, da salvaguardare. E i rispettivi femminismi vengono quanto perché cercano di eliminarla dai rapporti personali. Per contro, le
parimenti incasellati in questi stereotipi. francesi difendono la differenza sessuale nella pratica sociale e la denun-
A rimescolare carte così ingarbugliate è sopraggiunto il movimento ciano nella pratica politica. Non va dimenticato, peraltro, che la cosid-
pour la parité. E la parità interroga l’universalismo: la singolarità dell’in- detta naturalità della differenza sessuale è storicamente servita a legitti-
dividuo è intrinsecamente discriminatoria? Può l’individuo essere plura- mare l’esclusione delle donne dalla cittadinanza e dalla partecipazione
lizzato senza trasformare l’universalismo in comunalismo? Tutti i quesi- politica.
ti possibili segnalano la crisi della intelaiatura concettuale della politica Al termine della sua lussureggiante e appassionata perorazione, Scott
contemporanea e ruotano attorno ai concetti di genere e identità. spezza un’ultima lancia in favore del movimento per la parità e della sua
Riprendendo Collin, Scott sostiene che l’universalismo ha conservato capacità di mettere a nudo le aporie della democrazia francese. In realtà,
la sessuazione del potere, mentre la parità sarebbe vero universalismo. gli interrogativi emersi nel corso di questo cruciale dibattito, se pure sal-
Le paritaires non rappresentano le donne come una distinta categoria damente ancorati a due distinte appartenenze nazionali, chiamano in
sociale, ma insistono nel sostenere che l’individuo astratto va concepito causa l’intero assetto politico occidentale – un’implicazione lasciata in
con due sessi. Le donne non sono una categoria, ma la metà dell’umani- ombra da Scott, ma ben presente alle fondatrici del movimento5.
tà. Le fautrici della parità respingono il “differenzialismo”, cioè la visio- Ma vediamo più da vicino le conclusioni di Scott. Non è strano,
ne ontologica della differenza sessuale; ritengono invece che la differen- osserva, che, nella loro richiesta di diritti politici, le femministe abbiano
za sia l’effetto di specifici processi storico-politici che vanno ribaltati. La interrogato l’intera struttura delle relazioni di genere, perché la politica è
parità, infine, caldeggia la legittimazione politica delle donne, a prescin- l’arena primaria in cui viene realizzato e assicurato il dominio maschile.
dere dalle appartenenze partitiche. Sorprende invece il profondo intreccio tra le nozioni di carattere nazio-
Neanche questa opzione è andata esente da critiche, provenienti da nale francese, da un lato, e differenza sessuale e repubblicanesimo dal-
schieramenti contrapposti. Le donne della sinistra hanno rispolverato la l’altro, così che una critica all’uno diventa subito una demolizione del-
distinzione marxiana tra diritti formali e diritti sostanziali, coniugata a l’altro. Qualunque sia dunque l’opinione sulla fattibilità politica delle
un’immagine integralista del femminismo. Il quale sarebbe tutt’uno con richieste del movimento per la parità, è indubbio che esso si sia confron-
la giustizia sociale, la redistribuzione delle risorse e la ristrutturazione tato direttamente con i fondamenti di genere del repubblicanesimo fran-
dei rapporti di potere, prerogative che non richiedono soltanto l’appar- cese e con i problemi necessariamente paradossali – Scott ribadisce qui la
tenenza al genere femminile, ma anche l’iscrizione in una ben precisa tesi presente fin nel titolo del suo lavoro, Only Paradoxes – che pone la
compagine ideologico-politica. Tanto più che l’efficacia della mobilita- richiesta di uguaglianza politica delle donne.
zione politica dipende piuttosto dalla loro autorappresentazione come
categoria sociale, mentre, prese uti singulae, la mera differenza sessuale * * *
appare irrilevante.
Sul versante opposto, la critica liberale, ostile alle quote quanto al dif- Le ostilità franco-americane meritano uno sguardo più ravvicinato.
ferenzialismo di genere e di razza. Elizabeth Badinter indica il punto Eric Fassin ne aveva già tracciato una breve storia6, collegandola alla
nevralgico di queste controversie nell’incompatibilità tra il riconosci- irresistibile vocazione della società contemporanea al bipolarismo, la
mento della differenza e l’accesso all’uguaglianza formale. Anche se il caratteristica politico-diplomatica di questo lungo, secondo dopoguerra,
sesso è la chiave di volta della discriminazione, occorre mantenere la fin- che non ha mancato di riprodursi all’interno dello stesso cosiddetto bloc-
zione secondo cui gli individui non hanno sesso. Una posizione difficil- co occidentale. Stati Uniti da un lato e Francia dall’altro si sono autoin-
mente condivisibile in virtù della sua stessa, intrinseca contraddittorietà. vestiti di un primato culturale che li ha portati di volta in volta allo scon-

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tro o alla coesistenza, in virtù della pretesa di rappresentare ciascuno un delle ragioni di atteggiamenti tanto dissonanti e le rintraccia nelle diffe-
modello universale: “i due imperialismi dell’universale” li ha definiti renti modalità della costruzione nazionale. Negli USA, dove la popola-
Bourdieu. Come era inevitabile, questa contrapposizione ha investito zione è stata costituita fin dall’origine da allogeni, ad un’immigrazione
anche i movimenti femministi. precoce ha corrisposto una nazione tardiva; l’esatto contrario di quanto è
Al loro riemergere, negli anni Settanta, le francesi hanno dapprima avvenuto in Francia, dove l’identità nazionale, forgiata dalla Rivoluzione
guardato con interesse alle consorelle d’oltreoceano, ma un decennio più dell’89, ha preceduto l’immigrazione, iniziata nel 1920, quindi molto
tardi si è consumata un’insanabile frattura. Con l’amministrazione tempo dopo la nascita dei miti di fondazione. Ne è conseguito che la
Reagan, il clima politico americano era cambiato, la legge sull’aborto era vetustà e la rigidità del sistema politico francese hanno bloccato la capa-
entrata in zona pericolo e le femministe si appassionavano alle contro- cità di integrare i nuovi arrivati, mentre l’inflessibile centralismo dello
versie suscitate dal contegno reprensibile del giudice Thomas senza Stato ha reso esangui le comunità etniche. In sostanza, la legittimità
scuotere le francesi dalla loro indifferenza verso un “affare” intriso di repubblicana viene fatta risalire alla stipula del contratto sociale con il
moralismo e puritanesimo. popolo francese: la Francia ha acquisito allora una “personalità colletti-
Per loro, l’America non era più il futuro, ma il passato. Inoltre, donne va” da cui gli immigrati sono rimasti esclusi.
del calibro di Elizabeth Badinter tessevano le lodi della complicità tutta L’autore non lesina critiche altrettanto severe all’odierna componente
francese tra uomini e donne di contro all’atteggiamento ringhioso inval- pseudo-liberale della cultura francese, il cui sbandierato sostanzialismo –
so negli anni Ottanta, che cancellava la seduzione dai nuovi codici di imperniato sul concetto di alterità – ricaccia sullo sfondo, fino a negarla,
comportamento sessuale. Le altre, dal canto loro, andavano maturando la possibilità dell’interazione, e quindi della vita di relazione.
la convinzione che la francesità fosse incompatibile con l’emancipazione Nonostante la diversità dell’oggetto, l’inserimento di questa tematica
delle donne. Insomma, i due movimenti non parlavano più la stessa lin- nel dibattito sulla parità non è affatto arbitrario. In questione sono sem-
gua. pre le strettoie proprie dell’ordinamento repubblicano, anche se donne e
Prima ancora di addivenire a questa sorta di disconoscimento reci- immigrati non vanno considerati intercambiabili.
proco, uno storico francese dell’ultima generazione, Gérard Noiriel, Non è un caso che il lavoro di Noiriel venga citato da Joan Scott nella
aveva menato fendenti mortali se non proprio all’intera tradizione della sua monografia del 19968. In questa sede, Scott costruisce una rassegna
cultura nazionale otto-novecentesca, almeno a gran parte di essa. Il bello delle campagne femministe otto-novecentesche francesi per i diritti poli-
è che a uscir bene dalle critiche serrate mosse a mostri sacri come tici, analizzate soprattutto attraverso la personalità delle leaders – un’o-
Braudel, Durkheim, ecc. era stata proprio la società statunitense7. perazione, per la verità, piuttosto grigia, ad onta di altisonanti premesse
Ma procediamo con ordine. In realtà, il libro di Noiriel non parlava metodologiche decostruzioniste. Insomma, il meglio di sé lo dà altrove.
affatto di femminismo. Come lascia immaginare il titolo, oggetto di que- Ma non è questo il punto. Scott si prefigge di identificare le cause del fal-
sto lavoro è l’immigrazione francese. L’autore vi sostiene che, a fronte di limento storico di queste stesse campagne e trova una risposta nei con-
un afflusso altrettanto massivo, la Francia abbia nascosto la testa sotto la flitti e nelle coazioni a ripetere, dovuti alla contraddittorietà dei discorsi
sabbia e si sia crogiolata in una sorta di amnesia collettiva pretendendo politici produttori di femminismo. In altre parole, cercando di agire “per
che il problema non la toccasse, ma fosse invece una faccenda squisita- le donne”, il femminismo generava quella stessa differenza sessuale che
mente americana. intendeva eliminare e ciò lo costringeva a dibattersi incessantemente tra
La ricerca risulta divisa in due parti. La prima contiene una disamina le maglie del seguente paradosso: la necessità di accettare e al tempo stes-
corrosiva della cecità della cultura francese a questo riguardo, è percorsa so rifiutare la differenza sessuale, in quanto l’individualità coincideva
da una sorta di furor e pullula di giudizi lapidari quanto rivelatori. La con la mascolinità. Le femministe francesi rifiutavano il ruolo imposto
seconda parte affronta nel merito il fenomeno migratorio, ma in manie- dalla società, ma parlavano per le donne, riconoscendo in tal modo il
ra, sia detto per inciso perché esula dal tema che sto cercando di analiz- ruolo negato; invocare le donne produceva differenza sessuale, dichiara-
zare, assai meno innovativa; ad onta della profluvie di dati e supporti ta viceversa irrilevante ai fini degli scopi politici da conseguire. Il fem-
documentali e bibliografici, ricalca schemi ormai noti. minismo non era dunque il portato della benevolenza, del progressismo
Per tornare alla pars destruens, Noiriel cerca anche di venire a capo e dell’individualismo liberale, bensì il sintomo della sua intrinseca lace-

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razione, e ricopriva uno status ambiguo, oscillante tra soggetto di diritti In conclusione, merito del femminismo francese è, per Schor, l’immu-
civili e oggetto di interessi legislativi. All’origine di tutto ciò, l’universa- tata fedeltà alla categoria dell’universalismo, in cui andrebbe però inte-
lismo mancato della Rivoluzione dell’89, denunciato per tempo da grata la differenza sessuale. Il risultato di quest’operazione andrebbe sin-
Olympe de Gouges. tetizzato nella formula “universalismo bicamerale”. Occorrerebbe
Neppure la conquista del suffragio avrebbe sciolto il paradosso, ripre- comunque tener presente che la dicotomia franco-americana – uno degli
sentatosi sotto le spoglie inconciliabili, per un verso, dell’identità di assi della discussione – non va intesa in termini strettamente nazionali;
uomini e donne nella cittadinanza e per l’altro della mascolinità esclusi- infatti, le posizioni descritte come antitetiche sono presenti in entrambi i
va del soggetto individuale. I suoi conflitti recenti scaturirebbero così da paesi, come in altri, Italia compresa.
un insieme di significati discrepanti di “individuo”, che lo avrebbero dis-
locato su due versanti contrapposti a seconda delle accezioni prescelte: * * *
l’enfasi sul primato dell’uguaglianza rinvierebbe alla concezione astratta
dell’individuo e all’irrilevanza della differenza sessuale, mentre il pri- Tanto è stato denso, appassionato e prodigo di implicazioni storico-
mato della differenza affonderebbe nell’autonomia della soggettività filosofiche questo confronto, che vi si sono cimentate anche voci maschi-
femminile. La soluzione che sembra scaturire da questo ragionamento li. Tra questi, Etienne Balibar10. A dire il vero, le sue argomentazioni
punta alla necessità di riformulare il vocabolario politico, onde eliminar- hanno poco a che vedere col tema. Balibar, insomma, è uscito dal semi-
ne fragilità così inemendabili. nato. Vediamo comunque in che modo.
Anche Naomi Schor9 prende le mosse dalle peculiarità della fonda- Sotto tiro, il concetto di universalità: la distanza del contesto storico
zione nazionale. Proprio della Francia sarebbe, in questa luce, il cosid- odierno da quello originario lo carica di ambiguità. Infatti, le trasforma-
detto “universalismo etnocentrico”. Il riferimento d’obbligo è sempre la zioni della società contemporanea, riconducibili alla mondializzazione,
Rivoluzione dell’89, modello di tutte le rivoluzioni successive e quindi cioè al corto circuito delle strutture economiche, politiche, culturali e
abilitata a incorporare l’universale. Essere francese significa avere titolo comunicative, alla proliferazione di centri e di continui andirivieni tra
a universalizzare. La divaricazione dei femminismi scaturirebbe dal con- periferie e centri, hanno profondamente alterato la nozione tradizionale
trasto tra questa cultura che, coerente con i principi rivoluzionari, postu- di “minoranza”. L’universalità reale generalizza lo status di minoranza:
la uguali diritti per tutti gli esseri umani razionali, e la crisi del contratto minoranze e maggioranze sono intercambiabili, chi appartiene a una
sociale americano causata dalla crescente disaffezione dei gruppi esclusi. minoranza qui è maggioranza là, e viceversa. I turchi sono maggioranza
Le americane non intendono più condividere la fedeltà francese all’uni- in Turchia e minoranza in Germania, gli algerini minoranza in Francia e
versale, unicamente incarnato nell’uomo. Viene così contestato in modo maggioranza nel loro paese, e così via. Non appena i contatti e le intera-
esplicito l’universalismo illuminista, liquidata la sua promessa di eman- zioni si moltiplicano, come accade al giorno d’oggi, il termine “minoran-
cipazione, archiviata la formula del “falso” universalismo: delle due za” perde di significato.
l’una, o è vero o è, per definizione, fallito. Tutto ciò capovolge, o meglio esautora, appunto, il valore originario,
L’aspetto più deleterio della critica dell’universale promana dalla col- ereditato da una situazione ottocentesca segnata dalla formazione degli
lusione tra universalismo ed essenzialismo, che postula l’appartenenza stati-nazione e dalla loro netta autodelimitazione, volta a includere ed
alle donne di un insieme di tratti immutabili, astorici, transculturali, in escludere. Includeva chi risiedeva entro i confini nazionali e li classifica-
altri termini una riedizione dell’Eterno Femminino. Corollari del rigetto va in base all’appartenenza etnico-culturale, ed escludeva gli altri. Sullo
dell’universalismo, la promozione delle soggettività marginalizzate dalla sfondo così tratteggiato, Balibar prevede la capacità dei movimenti
produzione illuministica dell’universale e la perdita della comunanza. emancipatori di assurgere a movimenti generali, femminismo compreso.
Nel femminismo post-Beauvoir persiste il modello illuminista dell’u- Neppure lui dunque si sforza di evitare il trabocchetto tutto maschile che
niversale, reso però ambiguo dall’oscillazione tra la richiesta di uguali incasella le donne tra le minoranze e lo fa senza rinunciare a grosse man-
diritti per le donne e l’attribuzione della femminilità ad una costruzione ciate di paternalismo. Insomma, divagazioni, che non sarebbero però
maschile, accanto all’affermazione della inalienabile differenza femmini- rimaste senza risposta.
le. Quasi contemporaneamente, era apparso in “Pouvoir” l’intervento di

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una delle fondatrici del movimento per la parità, Françoise Gaspard, poi tà degli elettori e il rischio che le quote fungano da apripista per richie-
inserito nella sezione speciale di “Différences”11. Gaspard, sociologa di ste di altri gruppi.
professione, membro dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, Il primo timore è sicuramente infondato. Gli unici a risentirne sareb-
è una figura di grande autorevolezza nell’ambiente scientifico e politico bero i partiti e i loro apparati; inoltre è difficile capire perché proibire il
francese. E’ stata deputato all’Assemblea nazionale e sindaco della città cumulo delle cariche e rifiutare una legge sulla parità. L’una misura con-
di Dreux; è tuttora rappresentante del suo paese nella Commissione sulla sentirebbe l’altra. Quanto all’altra obiezione, collegare la parità al dibat-
condizione delle donne alle Nazioni Unite. tito sui gruppi tradisce uno stato di confusione intellettuale; le donne non
Gaspard traccia un primo bilancio delle reazioni al programma del sono un’entità separata, ma esistono in tutti i gruppi e la parità potrebbe
movimento sintonizzandosi sulla stessa lunghezza d’onda di Scott. far vacillare molte culture patriarcali.
L’istituzionalizzazione della parità, scrive, è sentita come un insopporta- Altri motivi di dissenso fanno riferimento all’interpretazione repub-
bile attacco alla Repubblica. E confessa di non aver previsto reazioni blicana della cittadinanza: il cittadino è un’entità neutra e tale deve resta-
tanto virulente, sia della sinistra che della destra. Lo strano è che molti re; la sua sessuazione aprirebbe una breccia nella tradizione dell’univer-
detrattori riconoscono l’ingiustizia della sottorappresentazione nelle salità, che riconosce solo l’individuo.
assemblee elettive, ma ritengono che occorra lasciare tempo al tempo. Secondo un’autorevole giurista, l’uguaglianza tra uomini e donne
Così si esprime, ad esempio, François Furet, che seppellisce la ragione- non è mai stata riconosciuta principio fondamentale di un ordine filoso-
volezza dello scopo con l’inaccettabilità del metodo. fico o giuridico, ed è l’unica che continua ad essere contingente, fram-
Malgrado ciò, la popolarità e l’eco di questa richiesta stanno a dimo- mentaria e diacronica. Il Consiglio di Stato ha riconosciuto che la legge
strare che il problema sollevato non riguarda la sola società francese, ma debba occuparsi di disuguaglianze tra individui e territori, ma non tra
intercetta la crisi attraversata da tutte le società e scaturisce dalla consta- uomini e donne.
tazione empirica che gli uomini sono circondati a tutti i livelli da altri Lo schieramento dell’autore per la parità non ha nulla a che vedere
uomini. Le poche donne che occupano posizioni di vertice non sono viste con la differenza o con la sua negazione, bensì col suo superamento. Il
come donne tra le altre, ma come personaggi eccezionali. Tuttavia, poi- contrasto tra egualitarie e differenzialiste è tutto sommato – per ripren-
ché inadeguatezza e incompetenza non sono più argomenti spendibili, la dere un argomento caro a Scott – discutibile e secondario. La parità è ciò
disuguaglianza non è più dissimulabile. Persiste però la convinzione che serve per consentire a uomini e donne di accedere all’universale.
della pervasività della vita privata, che avrebbe costretto le donne in car-
riera a sviluppare qualità maschili a danno dei loro ruoli naturali. In real-
tà, la natura viene richiamata del tutto a sproposito; le cause fondanti
vanno invece assegnate alla storia e alla cultura.
Un tentativo pregresso di riequilibrare questa disparità ha fatto ricor-
so alla richiesta di “quote”. Ma basta guardare al semplice fatto che le
donne non sono il 20-30% dell’umanità, per considerarle un marchinge-
gno del tutto inadeguato.
Non bisogna poi dimenticare che le responsabilità del ristagnare di
questa situazione coinvolgono anche il femminismo francese degli anni
Ottanta, che aveva voltato le spalle alla politica istituzionale e che accol-
se con la massima noncuranza tanto la presentazione che l’affossamento
di due progetti di legge. La svolta politica si è avuta con un appoggio alla
parità, trasversale alle appartenenze politiche tradizionali.
E’ ad ogni modo facile capire il perché della resistenza maschile: i
posti degli uomini vengono messi a repentaglio. Meno comprensibile l’o-
stilità di intellettuali alla Furet, che paventano la coercizione della volon-

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Note La seduzione e l’onestà delle donne.
1 Solo ora è apparso da noi l’ottimo Donne in quota, a cura di B. Beccalli, Milano, 1999. Le contraddizioni dei giuristi
Ma non mi sembra abbia ricevuto l’attenzione che meritava. Un confronto con il saggio di Giovanni Cazzetta, Praesumitur
2 M.-V. Louis, Actualité de la parité, e P. Rosanvallon, F. Collin, A. Lipietz, Parity and uni- seducta. Onestà e consenso femminile nella cultura giuridica moderna,
versalism, in “Différences”, n. 9, 1997. Milano, Giuffré, 1999
3 M. Ozouf, Les mots des femmes: essai sur la singularité française, Paris, 1995.
4
Margherita Pelaja
J. Scott, La “Querelle des femmes” in the late twentieth century, in “New Left Review”,
1997, ristampato in “Différences”, cit.
5 F. Gaspard, Parité, pourquoi pas?, in “Différences”, cit.
Una pratica intellettuale diffusa è quella di compiere incursioni rapi-
6 E. Fassin, Dans des genres différents: le féminisme au miroir transatlantique, in “Esprit”, de e strumentali nei domini disciplinari altrui, afferrando di volta in
1993. volta un dato, un concetto, una parola, una storia – quello che sembra
7 G. Noiriel, Le creuset français, Paris, 1988. tornare utile al proprio, specifico, discorso. Eredità di quando l’interdi-
8
J. Scott, Only paradoxes to offer. French feminists and the rights of men, Cambridge (MA)-
sciplinarità era discussa in sé, come questione di metodo della storia,
London, 1996. queste incursioni sono rimaste appunto come attività solitaria e disin-
9
volta, che non richiede particolari tematizzazioni.
N. Schor, French feminism is a universalism, in “Différences”, n. 7, 1995.
Tutto questo può implicare, a volte, una specie di disconoscimento di
10 E. Balibar, Ambiguous universality, ivi. linguaggi e prospettive: il rischio cioè di perdere di vista le architetture e
11 F. Gaspard, cit. gli obiettivi conoscitivi di una ricerca per piegarla a finalità diverse, e non
riuscire quindi a dialogare su un territorio condiviso.
Può essere utile allora provare prima di tutto a definire una modalità
possibile di lavoro e di scambio tra due approcci solo apparentemente
contigui, quello della storia del pensiero giuridico e quello della storia
tout court. Definire non solo, forse, una modalità, ma anche le identità –
cioè gli sguardi, gli approcci, gli strumenti concettuali – dei diversi sog-
getti coinvolti.
Si tratta insomma di elaborare e sperimentare un patto tra discipline.
Certo non per riproporre rigidi steccati tra una disciplina e l’altra, ma
anche per non fingere comunanze di interessi e di linguaggi: per indivi-
duare e difendere invece identità riconoscibili, differenze preziose.
Giovanni Cazzetta fa questo in modo molto chiaro, direi perentorio,
nelle prime pagine del suo libro, quando in alcune note lapidarie defini-
sce appunto la sua identità e le sue finalità conoscitive: cito le sue parole
quasi integralmente, perché le ammiro molto. A pagina 11, nella nota 9
all’Introduzione, scrive: “L’indagine di storia sociale su cosa sia stata
nelle relazioni tra uomini e donne la seduzione è del tutto estranea a que-
sto lavoro. Seguirò qui la seduzione così come è configurata dai giuristi
[…]. La seduzione dei giuristi ci dice pochissimo sui percorsi ‘reali’ del
consenso femminile e mostra invece il mutare delle sole rappresentazio-
ni giuridiche della donna”.

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Poi, nella nota 133 a pagina 72, scrive: “Giova precisare che in questo permette di riconoscere non solo le immagini del femminile depositate
lavoro non mi interessano prassi e sanzioni locali, ma il modello teorico nella mentalità dei giuristi e dei giudici, ma anche elementi non secon-
complessivo, ‘comune’, utilizzato per spiegare le singole pratiche”. dari del processo di individuazione e di autoidentificazione delle donne.
Infine, nella nota 6 di pagina 102, aggiunge: “Pur forgiata dai muta- In Italia per esempio i lavori di Giorgia Alessi hanno mostrato la strada
menti sociali, inevitabilmente permeata di storicità e, pertanto, di relati- di un’osmosi possibile tra diritto, prassi giudiziaria, comportamenti
vità, la mentalità giuridica non può, d’altronde, essere presentata come sociali, spazi di “libertà” e di espressione del femminile.
semplice specchio delle trasformazioni realizzatesi in altre dimensioni. Gli intenti conoscitivi e l’ambito analitico di Giovanni Cazzetta di col-
Chi ricerchi nel pensiero giuridico un mero riscontro, una verifica parti- locano su un altro piano, quello da lui definito nelle note prima citate.
colare e puntuale, dei mutamenti ‘generali’ della mentalità rischia di rag- Sarebbe sbagliato tuttavia se per avvicinarsi alla sua ricerca gli storici
giungere risultati inappaganti e fuorvianti. […]. Il pensiero giuridico ha abbandonassero i terreni loro propri per cercare di assimilare quell’‘auto-
un suo autonomo approccio alla realtà”. nomo approccio alla realtà’ che è caratteristico del pensiero giuridico, e
Ecco. Vorrei sottolineare come queste precisazioni, probabilmente per cercassero di penetrare così una costruzione analitica specifica e con-
l’autore più che ovvie tant’è che le ha collocate nelle note, sono per i chiusa; oppure cercassero al suo interno la trattazione di problemi e
cosiddetti storici sociali allo stesso tempo chiavi di lettura preziose e, tematiche che avrebbero richiesto interessi e strumenti diversi da quelli
credo, steccati che disorientano. scelti dall’autore; si tratta invece di stimolare quella costruzione analitica
Con molta lentezza, almeno in Italia, la storia sociale è approdata alla a forzare qua e là i propri circuiti, e di sottoporla a un interrogatorio che
dimensione giuridica, avendo vissuto nei suoi primi decenni l’ambizione ha origine da curiosità, per così dire, esogene.
di contrapporre ai discorsi delle istituzioni pratiche sociali autonome e Questo potrebbe essere il patto tra discipline cui accennavo all’inizio.
autogenerantisi. Soltanto in seguito la ricerca di fonti in cui trovassero Può essere utile riassumere il libro, scontando naturalmente i limiti
spazi di azione e di espressione soggetti sociali altrimenti muti e incono- della rapidità e della soggettività della sintesi.
scibili ha portato all’impatto con le fonti giudiziarie. In un primo tempo, Sostiene – e dimostra – l’autore che letture troppo superficiali dei testi
anche le fonti giudiziarie sono state lette e usate per rintracciare la realtà elaborati dai giuristi tra antico regime e Novecento sulla seduzione e
di pratiche e comportamenti, secondo modelli interpretativi che isolava- sulle tematiche ad essa connesse hanno ritenuto di identificare uno spar-
no e in qualche modo prescindevano da norme che si intendevano ester- tiacque molto profondo tra due mondi: quello appunto di antico regime,
ne, ipostatizzate. Poi, il raffinarsi della ricerca e l’abbandono di orienta- in cui il sistema si reggeva sulla illiceità delle relazioni sessuali fuori dal
menti ideologici precostituiti hanno indotto a tematizzare meglio la matrimonio e su un forte apparato di tutele e protezioni a favore delle
dimensione giuridica e quella giudiziaria, a fare per esempio dell’inter- donne, ritenute comunque incapaci di libero consenso e dunque sempre
locuzione specifica tra gli attori della scena giudiziaria un oggetto defi- vittime innocenti (o quasi) degli abusi maschili. E il mondo “moderno”
nito di analisi e di riflessioni. E’ così venuta alla luce la questione delle nato nel secolo dei lumi, in cui, nel quadro della depenalizzazione delle
rappresentazioni che ciascun soggetto coinvolto costruiva dei propri relazioni sessuali fuori dal matrimonio, è riconosciuta alle donne la capa-
interlocutori e della scena in cui si trovava ad agire. Sono emerse – mi cità di esprimere un consenso libero e responsabile alla congiunzione car-
riferisco in primo luogo a contesti di antico regime – le dinamiche per nale. La demolizione del sistema di protezione precedente avviata nel
così dire situazionali, che univano giudici e imputati in un gioco di attri- Settecento inoltre trae origine da una nuova concezione delle donne, rite-
buzione reciproca di identità e responsabilità e che rendevano norme e nute ora sempre sociae criminis, sempre pronte a barattare la propria one-
procedure flessibili, pronte ad essere di volta in volta adattate a intera- stà e il proprio onore con un fine matrimoniale o dotale estorto a uomini
zioni particolari. sempre sedotti e raggirati.
La storia delle donne e la storia di genere hanno avuto un ruolo Giovanni Cazzetta mostra molto lucidamente come tale spartiacque
importante in questo processo: perché, è inutile ripeterlo ancora, proprio in realtà non esista, e come i due modelli, solo apparentemente diver-
nelle pratiche giudiziarie e più in generale nella sfera giuridica i com- genti, siano casomai speculari e quindi intimamente connessi; come cioè
portamenti, le aspettative e le rappresentazioni delle donne e del femmi- ambedue si fondino su una concezione della donna fondamentalmente
nile trovano una delle espressioni più limpide, una formalizzazione che analoga: “In entrambi i momenti – scrive – ciò che caratterizza la cultura

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giuridica è l’incapacità di affrontare il tema del libero consenso della retorica della seduzione possono fondersi per accordare la protezione
donna prescindendo da un richiamo all’onestà: la libera volontà della preminente, quella del matrimonio.
donna è ritenuta meritevole di protezione da parte del giurista solo Un lento mutamento che interviene nella mentalità dei giuristi – su
quando è riscattata dalla rappresentazione dell’onestà” (p.8). questa espressione torneremo – mette poi in crisi il modello di antico
La tesi è dimostrata in modo molto ricco e documentato, sulla base di regime dell’onestà presunta delle donne: il mutamento si esprime nel
una folta letteratura che abbraccia cinque secoli, dal Cinquecento al prevalere netto di un tema nuovamente, come quello dell’onestà e della
Novecento. Così folta che il lettore che non è già bene addentro alla mate- seduzione, assolutizzato: quello della donna come complice, come socia
ria può forse provare un senso di sperdimento di fronte a tante citazioni criminis.
e a tanti riferimenti, di cui è a volte difficile cogliere fino in fondo la rile- La presunzione di seduzione e l’apparato di protezioni che ne deriva
vanza. Certamente lo prova lo storico sociale, che è portato naturalmen- hanno avuto come esito agli occhi dei giuristi soltanto quelli che ora – a
te a interrogarsi su questioni che forse allo storico del diritto appaiono fine Settecento – sono univocamente definiti come “gli abusi delle
del tutto secondarie, come l’esemplarità delle fonti scelte a livello territo- donne”. Le donne sono sicuramente complici e spesso istigatrici della
riale e dunque nei contesti delle diverse culture giuridiche; come il pre- corruzione, e compito del diritto è individuare e proteggere esclusiva-
stigio o al contrario l’anonimato dei giuristi citati, dato che è ovvio che mente quelle veramente oneste, le vittime dell’irruenza maschile che pos-
anche l’anonimo giurista di provincia è un buon indicatore della diffu- sono esibire sul proprio corpo i segni di una violenza cui hanno resistito
sione di nuove interpretazioni o della rigidità degli atteggiamenti men- oltre ogni limite.
tali; come la significatività, di volta in volta, dell’innovatore o dell’epigo- E’ l’approdo al silenzio delle leggi, alla depenalizzazione delle rela-
no. Insomma, questioni un po’ pedanti sui criteri di selezione delle fonti. zioni sessuali tra consenzienti che caratterizzerà i sistemi legali ottocen-
Ma torniamo alla struttura della ricerca. teschi e le elaborazioni dei giuristi analizzati della terza parte del libro. Il
Nella prima parte diritto canonico e penalistica d’antico regime sono quadro in cui si inscrive la depenalizzazione è quello dell’esaltazione
passati al vaglio di un’analisi rigorosa che individua nella figura della della libera volontà della donna, l’esito è la perdita completa da parte
seduzione quella capace di rassicurare i giuristi, trasformando l’inganne- delle donne di qualsiasi tutela giuridica: ma il silenzio delle leggi, più che
vole apparenza del consenso femminile in virtuoso dissenso: presumen- rappresentare la definitiva separazione tra diritto e morale, si fonda in
do la seduzione il giurista può mostrare una volontà femminile “ordina- realtà sul rimpianto di un ordine morale perduto, sulla presa d’atto che
ta”, una donna integralmente onesta e perciò meritevole di tutela. Una solo la fine dell’intervento della legge sia la punizione più degna della
spazio piccolissimo rimane in questo modello al libero consenso: la disonestà delle donne. Il discorso si sposta con naturalezza dal praesumi-
donna è libera infatti di consentire esclusivamente al matrimonio, men- tur seducta al praesumitur meretrix.
tre al di fuori dello scopo matrimoniale la volontà libera è indegna della Penalistica e diritto civile sono così posti sotto i riflettori di un’analisi
protezione giuridica: non la volontà libera, ma la volontà onesta merita che si spinge addentro nel Novecento, abbracciando, in quest’ultima
dunque la protezione del diritto. parte soprattutto, i rapporti ambigui e vicari con una giurisprudenza che
L’assetto delle protezioni è analizzato nella seconda parte del lavoro si fa spesso espressione di un disagio profondo: quello della scienza giu-
(siamo sempre in antico regime). Al centro del sistema c’è ovviamente il ridica che non sa collocare una volta per tutte la situazione giuridica
matrimonio, e nella concezione dei giuristi rimane la naturale vocazione della donna e la concezione della femminilità, che non sa abbandonare
della donna a prestare sempre il suo consenso al matrimonio: “una pro- l’onestà alla responsabilità delle donne, che non riesce a rinunciare fino
pensione – scrive l’autore – a consentire non a quel matrimonio, ma in fondo a protezioni e tutele. E che dunque affida ora alla civilistica e ai
all’ordine istituzionale di cui il matrimonio è simbolo”. La figura giuri- giudici di merito il compito di individuare nuovi risarcimenti a una figu-
dica che meglio esprime tale concezione è quella dello stupro qualificato, ra antica e riemersa: quella della seduzione. Così è la giurisprudenza
espressione con cui fino a Novecento inoltrato in ambito giuridico ed civilistica a riproporre la tutela mostrando l’onestà, l’assenza di consen-
ecclesiastico veniva designato il reato dell’incontro sessuale sollecitato so, l’impossibilità di una parificazione del consenso femminile a quello
dalla promessa di matrimonio: in questa figura giuridica la costruzione maschile, insistendo sul consenso diminuito della donna.
di un consenso femminile onesto perché indirizzato al matrimonio e la E’ una sintesi questa che tralascia un’infinità di questioni appassio-

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nanti affrontate nella ricerca; spero comunque di essere riuscita a resti- lare afasia vi sia l’impossibilità di giudici e giuristi di concepire un dirit-
tuirne il quadro analitico complessivo. to delle donne di disporre del proprio corpo e della propria sessualità
Si tratta ora di richiamare quella specie di patto tra discipline prima senza subordinarla comunque a un fine, senza vincolarla ancora a quel
invocato – tra storia sociale, storia di genere, storia del pensiero giuridi- fine matrimoniale che è stato assolutizzato proprio come garanzia di
co – e di richiamare le differenze che qualificano le specifiche ottiche ordine e onestà. La minaccia suprema all’ordine sociale e morale – ma
disciplinari. anche a un’identità maschile debole negli statuti sessuali che si vanno
Prima di tutto una questione di carattere generale, solo accennata. definendo anche nei codici – diventa così un desiderio femminile inno-
Nello svolgersi delle sue argomentazioni il libro mostra bene quella che minabile perché libero dal progetto di subordinazione coniugale.
risulta come l’impossibilità di dividere diritto e morale: il processo stori- E’ sulla salvaguardia dell’ordine matrimoniale infatti che dimensione
co è chiaro, mentre in antico regime diritto e morale erano binomio giuridica e dimensione politica si saldano nel porre la difesa della fami-
intrinsecamente inscindibile, la modernità pretende di assegnarli a sfere glia a fulcro del governo della popolazione; è a questo proposito che
completamente separate. Il diritto moderno non deve considerare infatti viene coniata la definizione più moderna, quella dello “stupro politico”.
ciò che è moralmente illecito, ma ciò che lede un diritto altrui. Questo è “‘Quando lo stupratore – la citazione è da Giuseppe Giuliani, giurista
ciò che viene teorizzato in fase di elaborazione dei codici ottocenteschi, difensore dell’impianto tradizionale della tutela – si ricusa di sposare la
questo è ciò che – per quanto riguarda soprattutto i comportamenti ses- stuprata allora e non prima comincia il danno politico dello stupro. Lo
suali – colloca i giuristi in una impasse invalicabile. stupro politico si verifica nel solo stupratore ricusantesi di permanere in
La prospettiva di genere non ha prodotto finora studi che abbiano una unione che libero [lui sì] scelse, ed esponente così la sua compagna
illustrato la linearità del processo di attribuzione agli uomini di libertà e a perdere per sempre la speranza [il fine] delle nozze con evidente disca-
capacità scevre da considerazioni di ordine morale. Certamente la non pito della riproduzione della specie’”.(p. 256).
linearità e anzi l’impossibilità di questo processo sono dimostrate – Ma queste considerazioni rischiano appunto di portarci a constatare
anche qui, da Giovanni Cazzetta – nel caso delle donne. Nel caso delle ancora una volta disuguaglianze e asimmetrie tra uomini e donne, tra
donne il groviglio tra libertà, capacità, responsabilità e onestà è inestri- maschile e femminile, e trovarci così impantanati nell’universalità un po’
cabile; e mi piacerebbe provare a forzare ancora queste conclusioni. scontata di conclusioni ideologiche.
Nell’ultima parte del libro, nell’analisi del tentativo della giurispru- Può essere utile allora sollevare alcune questioni più specifiche, anche
denza civilistica di restaurare le tutele abolite dalla depenalizzazione se probabilmente si tratta di problemi che in qualche modo forzano il
delle relazioni sessuali tra consenzienti al di fuori del matrimonio, viene patto, che cercano cioè di dimenticare quell’approccio autonomo alla
messa in evidenza una afasia particolare: “[…] il diritto assoluto presup- realtà tipico dei giuristi per spingere “da storici” lo sguardo dentro la
posto in tema di risarcimento del danno da seduzione – scrive l’autore – materia del libro: la prima tuttavia ha a che fare proprio con il tema della
non è […] mai enunciato […]. Il vuoto di tutele percepito come presente formazione e degli orizzonti culturali dei giuristi analizzati nella ricerca,
nel diritto penale spinge i giudici a reclamare una forma di protezione e riguarda la comparazione, le culture nazionali, l’influenza delle religio-
anche se non riescono a indicare con precisione quale sia il diritto leso ni. Cazzetta attinge a un ricchissimo bacino di giuristi italiani e a un certo
[…]. Nelle sentenze non si specifica mai con esattezza il diritto leso […]; numero di giuristi francesi, per evidenziare l’apporto che il secolo dei
in realtà, il diritto da proteggere è ricreato di sentenza in sentenza, facen- lumi e la cultura illuministica forniscono alle elaborazioni italiane. Da
do di volta in volta rivivere le rappresentazioni di antico regime dell’o- parte di uno storico il dubbio è scontato: è possibile, soprattutto per que-
nestà della donna” (pp. 381-382). Sarebbe troppo lungo e impegnativo stioni così delicate come i comportamenti sessuali, postulare una circola-
rintracciare gli elementi che nella formazione culturale dei giuristi otto- zione così fluida che sembra prescindere dalla considerazione dell’in-
centeschi e nei loro universi mentali hanno creato un vuoto tanto evi- fluenza politica e operativa della Chiesa cattolica? Il diritto canonico, i tri-
dente e nello stesso tempo impalpabile; ed è d’altra parte pericolosa- bunali ecclesiastici, i rapporti tra Chiesa e Stato, ma soprattutto la perva-
mente ideologico ricorrere a motivazioni generalizzate, che richiamino sività della cultura cattolica hanno giocato un ruolo nelle elaborazioni
senza mediazioni le grandi partizioni dei generi sessuali e delle rappre- dei giuristi italiani su queste tematiche, e quale? E’ così lineare in Italia il
sentazioni del femminile. Eppure io credo che al fondo di quella partico- processo di secolarizzazione del diritto penale? Cosa succedeva negli

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stessi secoli nei paesi riformati? momento in cui, non più concessa, è rivendicata: la stessa pretesa nega la
Un’altra questione – decisiva dal punto di vista storico – è quella del virtù, fa svanire il diritto e il fondamento della protezione” (p. 274, nota
rapporto tra pensiero giuridico, attività normativa, prassi giudiziarie, 176).
comportamenti sociali; o, per dirla più in sintesi, è il problema del muta- Comincia così forse un altro dei fiumi carsici che caratterizzano la sto-
mento. ria delle donne, in questo caso la storia del rapporto tra donne, diritto e
Qualche anno fa Lawrence Stone in uno dei suoi ultimi libri (Road to sessualità: un fiume che rimarrà poco visibile fino alle battaglie degli ulti-
divorce: England 1530-1987, Oxford 1990), ha messo a punto un modello, mi decenni su aborto, violenza carnale e maternità. Anche se – come ben
proprio a partire dalle leggi sul matrimonio, che forse è utile schematiz- dimostrano l’autore ed altre ricerche – il ricorso al giudiziario rimarrà
zare: in una prima fase, afferma Stone, esiste un divario tra i valori e i pratica minoritaria forse ma non irrilevante per tutto il Novecento, in
comportamenti correnti e le leggi esistenti; si cercano così tutti i modi una specie di gioco delle parti tra penale e civile che evoca la pluralità
(collusioni, occultamento di prove, spergiuri) per piegare la legge e nello delle istanze e dei ricorsi di antico regime.
stesso tempo adeguarsi apparentemente ai suoi dettati. La legge diventa Sembra insomma che nello svolgimento stesso delle argomentazioni
una mera finzione. della ricerca il rapporto tra pensiero giuridico e pratiche giudiziarie sia
Nella seconda fase avvocati e giudici tentano di colmare tale divario molto più vivo e complesso di quello che viene dichiarato negli intenti
con l’invenzione di trucchi legali e con la reinterpretazione giurispru- iniziali; appaiono cioè già in qualche modo delineate – se non è questa
denziale. che propongo una lettura troppo orientata – le origini di quel “lento
Nella terza e ultima fase il livello di doppiezza nel sistema giuridico mutamento che interviene nella mentalità dei giuristi” evocato dall’auto-
diventa intollerabile: intervengono i legislatori, la legge viene cambiata e re nelle prime pagine del libro come processo endogeno e misterioso.
il ciclo può ricominciare. Vorrei suggerire infine un’altra considerazione a proposito questa
Pur se apparentemente conchiuso nell’universo delle elaborazioni dei volta non tanto della mentalità, quanto delle rappresentazioni utilizzate
giuristi mi pare che il lavoro di Cazzetta assuma in qualche modo un cir- dai giuristi per argomentare i loro punti di vista. Ed è quella sul ricorso
cuito analogo. Mi pare cioè che la cosiddetta svolta – che poi l’autore espressivo ai sentimenti e alle passioni.
dimostra non essere stata così profonda – di fine Settecento prenda il suo Chi ha praticato le carte giudiziarie, almeno quelle di antico regime, a
avvio proprio dalla verifica delle prassi giudiziarie: è un’osservazione proposito di matrimonio e comportamenti sessuali non può non essere
attenta di quello che accade nei tribunali che conduce alla constatazione rimasto colpito dal gelo apparente delle ricostruzioni fornite dai protago-
degli “abusi delle donne”, è lo spazio di negoziazione da esse conquista- nisti. Nei tribunali, nell’interlocuzione con i giudici, ma anche nelle inda-
to con i giudici – nella pluralità delle istanze che in antico regime garan- gini preliminari e nelle richieste di intervento ai parroci da parte delle
tivano l’accesso al giudiziario – che finisce con il rendere impossibile “sedotte”, proprio i sentimenti avrebbero potuto essere invocati come
ogni controllo sulla loro onestà, è la ripetitività delle rappresentazioni movente degno di trasporti e abbandoni: emozioni, affetti, amori espres-
fornite in denunce e testimonianze che svela il meccanismo collaudato si, verbalizzati, dichiarati a chi doveva sondare l’intima onestà delle donne
che le sottende. Così che la pubblicità e l’accesso al giudiziario finiscono avrebbero fornito autenticità a disponibilità sessuali che appaiono invece
con l’acquistare per i giuristi valenze specularmente opposte a quelle astratte, indifferenziate. Ma nei tribunali, nelle testimonianze dei prota-
originarie. gonisti venivano usati altri linguaggi, che escludevano i sentimenti.
“Da Servan a Galani, da Filangieri a Carrara – scrive Cazzetta – appa- Proprio quei sentimenti che avevano grande spazio nell’universo
re chiaro oramai che le aule dei tribunali non sono più luoghi adatti per espressivo e argomentativo dei giuristi, e di cui troviamo numerose trac-
l’onestà e la pudicizia. I giudici devono scegliere di conseguenza, consa- ce nel libro: a partire da Farinaccio (amor est iusta causa mitigandi poenam),
pevoli che le donne che affollano i tribunali non hanno più niente in nel Seicento, fino a molti altri nei secoli successivi, contestati poi, quan-
comune con la ‘donna onesta’ tutelata nelle antiche supposizioni, perché do comincia a farsi strada la necessità di provvedere a garantire con mag-
la donna che rivendica la sua onestà in giudizio privilegia il clamore e la gior rigore l’ordine familiare, per esempio da Cantini (“è stata opinione
pretesa di una protezione (per un delitto che la vede ‘complice accusatri- di non pochi Dottori che l’amore disonesto sia scusabile… ma questi
ce’) alla dignità del silenzio. La protezione per la virtù svanisce nel amori non sono veri amori”, citazione a p. 167). A Ottocento avanzato,

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quando è ormai condivisa la separazione tra diritto e morale, passioni e IL DOTTORATO DI RICERCA
sentimenti sono richiamati spesso, anche se per essere espunti dalla
“fredda ragione giuridica”, che deve punire esclusivamente le lesioni del
diritto (Carrara, riferimento a p. 247). Fino all’appassionato, questo sì,
argomentare di Viazzi, che attingendo a piene mani dal repertorio della
moderna immoralità “ontologica” delle donne trasferisce le attenuanti Il Dottorato in “Storia della famiglia e dell’identità di genere tra XVIII
della passione agli uomini: “il maschio parrebbe che trascini e la femmi- e XX secolo nella società europea” (ora “Storia delle donne e dell’identi-
na parrebbe che resista: ed ivi novanta volte su cento abbiamo una vitti-
tà di genere”) costituisce una delle poche opportunità offerte
ma nel preteso rapitore; vittima della combinata cecità del proprio tra-
sporto amoroso con la frigidità calcolatrice della femmina” (citazione alle dall’Università italiana alla specializzazione di giovani laureati/e nella
pp. 364-365). storia di genere.
Sarebbe affascinante un itinerario di ricerca che si proponga di rico-
struire e analizzare queste tematiche; pare di notare subito comunque, L’esperienza didattica più innovativa del Dottorato è rappresentata
almeno a chi ha una certa esperienza di carte giudiziarie soprattutto di
dalla Settimana di Alta Formazione, a carattere residenziale, che rappre-
antico regime, una frattura clamorosa tra universo espressivo dei giuri-
sti, patrimonio di riferimento dei giudici – in termini non solo lessicali senta un’occasione di incontro e di scambio proficui tra le docenti del col-
ma di cultura giuridica, di individuazione di moventi, attenuanti, prove legio, professori e ricercatori provenienti da altre università italiane e
– e rappresentazioni costruite nel vivo delle pratiche giudiziarie. Anche straniere.
su questo terreno si tratta di individuare strozzature e fluidità di un cir- La Settimana è diventata un punto di riferimento importante e un
cuito delicato.
esperimento unico nell’Università italiana, al quale hanno partecipato
anche laureandi/e o studenti/esse provenienti da varie Università.
La Settimana si è svolta finora in Campania, in luoghi che hanno con-
sentito un comodo soggiorno di studio, e ha suscitato un largo interesse
nei colleghi e nelle colleghe ospiti.
Le lezioni tenute nel corso della Settimana sono pubblicate on line nella
serie “Quaderni” presso Biblink editori di Roma.

COLLEGIO DELLE DOCENTI (2000-2001)


Angiolina Arru (coordinatrice, Istituto Universitario Orientale di
Napoli); Andreina De Clementi (Istituto Universitario Orientale di
Napoli); Cesarina Casanova (Università di Bologna); Chiara Saraceno
(Università di Torino); Renata Ago, Marina D’Amelia, Simonetta Piccone
Stella (Università di Roma “La Sapienza”); Gabriella Gribaudi, Antonella
Spanò, Dora Gambardella (Università di Napoli “Federico II”).

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ISBN: 88-88071-05-9
88-88071-06-7

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