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VERSO

ADOCENTYN
derive librarie

Die Königin unter den Bregen


acquarello di Claudia Simone Dorchain (Agosto 2012)

Primavera 2018
VERSO
ADOCENTYN
derive librarie

«Ma c'è sempre Adocentyn, maman... la salvezza, la città illuminata dal sole dove accorrerà il genere umano e si
incontrerà con gli dèi! Qualcosa vorrà pur dire!»
«Sì, mon chou, anche se tutto fallisse potremo continuare a sperare in Adocentyn, come disse Trismegisto...»
(I. Beltramme: La società degli eretici. Roma 2013)

diffusione gratuita
riproduzione libera purchè integrale
redazione dei testi: remomangialupi@gmail.com
tutti i libri citati possono essere richiesti a: www.libreriaprimordia.it
I «BRAGHI» DEL... KAISER
Il breve racconto meyrinkiano Die Königin unter den Bregen apparve sulla rivista Simplicissimus, nel numero 51 del
23 marzo 1903. Venne pubblicato per la prima volta in italiano nel 1988, dall'editore Reverdito, incorporato nella
raccolta intitolata La Morte Viola e ristampato negli anni da altri editori. La curatela fu di Gianfranco de Turris e la
traduzione di Anna Maria Baiocco. Il titolo Die Königin unter den Bregen venne tradotto così: La Regina dei
Braghi. Il brevissimo racconto rispecchia la tipica produzione meyrinkiana precedente quella dei suoi famosi
romanzi. Si descrive in rapidi schizzi la personalità di un tipico borghese austriaco: metodico, compassato, privo di
qualsiasi vivacità e tutto dedito al suo anodino lavoro. Ad un certo punto, alla vigilia di un importante impegno
lavorativo, nel chiuso della sua camera da letto, ha una specie di sogno o visione, da cui rimane sconvolto. In seguito
a ciò subisce una specie di metanoia che gli cambia del tutto la vita. Non andrà infatti all'importante riunione. Il
racconto si interrompe qui, facendo intuire al lettore che il protagonista, il Dott. Jorre, dal quel momento non sarà più
la stessa persona. Ma cosa aveva «visto» il Dott. Jorre? Che si era addentrato in un paesaggio autunnale
particolarmente sconfortante, quasi mortifero, acqueo, che davanti a lui procedeva una vecchia megera, e che a un
certo punto questa «strega», alzando il suo bastone, aveva dissipato certe brume palustri, che avevano fatto
precipitare Jorre in un diverso stato di coscienza. Qui gli si erano manifestate delle forme larvali ed erotiche tra cui
una in particolare aveva preso il sopravvento, una regina dai grandi occhi verdi e luminescenti. La strega gli dice
che si tratta di colei che un tempo fu la regina del cuore di Jorre ed ora è ridotta ad essere «la regina dei Braghi» o,
più esattamente, Die Königin unter den Bregen. Come vedremo tra poco, la differenza di traduzione è notevole. Lo
stile del racconto rispecchia le esperienze visionarie dello stesso Meyrink, il quale da giovane ebbe proprio una crisi
esistenziale che lo portò quasi a suicidarsi. E il motivo della crisi è analogo in entrambi i casi: c'è un'emersione alla
coscienza, improvvisa e stupefacente, di contenuti inconsci, repressi da tutta una vita condotta in maniera falsa e
spersonalizzante. Ciò Meyrink lo evidenzia anche nei suoi romanzi e in particolare ne Il Domenicano Bianco, dove
un personaggio ad un certo punto sbotta (nel tipico stile meyrinkiano macabro-grottesco), dicendo che il cervello è
l'organo più inutile che l'uomo possegga e che lo si dovrebbe amputare già da bambini, così come si tolgono le
tonsille. Già, il cervello... In tedesco cervello si dice propriamente Gehirn, Hirn, ma anche Kopf, Verstand o
Vernunft, in senso allargato. Ma cosa c'entra tutto ciò? C'entra, perché la regina che appare a Jorre e che una volta era
regina del suo cuore ora è regina che sta sepolta sotto la sua fasulla personalità, una personalità solamente cerebrale,
cogitativa. Sta sotto il Bregen, cioè sotto alle sue cervella disfatte. Nel racconto, Meyrink fa dire a Jorre: «i Braghi...
i Braghi, che cosa significa quella parola» o, più esattamente: «Bregen, Bregen... was für ein Wort ist das nur?».
Infatti per il lettore germanico contemporaneo di Meyrink, tranne erudite eccezioni, la parola Bregen non era
conosciuta. Quindi ecco l'elemento sostanziale del racconto: Meyrink adopera una parola che in basso e medio
tedesco, cioè una parlata di alcuni secoli prima, aveva il significato di cervella, nel senso di cervello macellato. Se
avesse utilizzato la parola corrente per cervello, tutto il segreto del racconto si sarebbe perso o sarebbe diventato
banale. Invece le cervella (Bregen) oltre a rappresentare molto alla Meyrink la disfatta della personalità borghese di
Jorre, conferiscono al brevissimo racconto un alone di mistero. Un mistero però che la traduttrice italiana non deve
aver compreso. Avrebbe dovuto tradurre La regina sotto il Bregen oppure, per non farlo suonare male in italiano, la
regina del cuore, o in altro modo più consono. Invece in una nota a fondo pagina dell'edizione italiana ci si affretta a
precisare che Braghi è la «traduzione della parola Breghen inventata dall'autore, usando il greco braghós, palude,
melma, fango (Zanichelli)». Invece Meyrink non si inventò proprio un bel niente, e lo dimostra il fatto che
nell'edizione originale in tedesco lo scrittore non usa mai la parola Breghen (questa sì una invenzione... della
traduttrice) ma solo e solamente Bregen, parola che si trova in un qualsiasi buon dizionario di tedesco. Anche il
rimando bibliografico al numero del Simplicissimus, nell'edizione italiana, viene storpiato in Die Königin unter den
Breghen. Si potrebbe pensare che non riuscendo a capire il significato del racconto chi l'ha tradotto ha voluto
apportarvi una piccola personale modifica, degli inesistenti e assurdi Braghi... del Kaiser!
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Pierre-Corneille de Blessebois
LO ZOMBI
DEL GRAN PERUʹ
Una storiella di magia
e sesso ai Tropici
(1697)
“Il primo romanzo coloniale francese”
(Guillaume Apollinaire)
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CROWLEY E L'ISLAM

Aleister Crowley (1875-1946) camuffato da orientale

Nel numero 31 (2017) della rivista francese «Politica Hermetica», il Dott. Marco Pasi, studioso di Crowley, affronta
il problema dei rapporti tra il noto personaggio inglese e l'Islam. Secondo Pasi, Crowley potrebbe aver subito il
fascino del mondo islamico sia per i molti viaggi che fece in quei paesi che per le letture di Sir Richard Francis
Burton (1821-1890), traduttore di poemi erotici arabi, e specialmente il suo «Pederastìa», che sta in appendice alla
traduzione de «Le Mille e una notte». Pasi ipotizza anche che Crowley abbia tratto spunto da alcuni elementi della
società e della religione islamica per plasmare alcuni concetti e strutture della sua nuova e innovativa religiosità. Si
potrebbe dire quindi che l'inglese subì il fascino ed ebbe un certo rispetto per le concezioni islamiche. In effetti pare
che avesse mutuato dalla società islamica anche il concetto di Califfato e che abbia voluto che chi gli fosse succeduto
alla testa della sua organizzazione magico-religiosa venisse denominato appunto col titolo di Califfo. Poichè con
questo termine in arabo si intendeva un «sostituto», un «vicario» di Maometto, Crowley, che si vedeva quale Profeta
della nuova religione da lui appresa per rivelazione, volle che i suoi successori assumessero, proprio come nell'islam,
tale titolo. Ciò è documentato e Pasi lo certifica. Quello che si potrebbe obiettare a Pasi è di dar mostra di credere
nella serietà degli intenti di Crowley laddove potrebbe trattarsi solo del tipico modo di fare della personalità
nevrotica dell'inglese; ma questa è un'altra storia. Da parte nostra possiamo rinforzare i dati apportati dal Dott. Pasi
con un elemento nuovo, sfuggito a tutti coloro che hanno affrontato l'argomento Crowley/Islam. Nel 1936 la
britannica Phoebe Elizabeth Lavender, più nota col nome da sposata, Sharpe, dette alle stampe un curioso libretto,
intitolato The Secrets of the Kaula Circle, a tale of fictitious people faithfully recounting strange rites still practised
by this cult (Luzac, London), dove disse peste e corna del tantrismo shivaita. In questo testo accennò anche
all'incontro con un misterioso personaggio che volle denominare semplicemente «666», pseudonimo più che mai
trasparente ai nostri giorni, poiché così si faceva chiamare Aleister Crowley: To Mega Therion 666 che, lo diciamo di
passata, non era certo epiteto islamico. In breve, al centro di un contesto del tutto induista e tantrico, la scrittrice
attacca di punto in bianco certi «Califfi», additandoli come propagatori di falsità e paragonandoli ai «veri Califfi».
Non si riferiva certo all'islamismo dell'India britannica ma proprio al titolo che Crowley andava spacciando di se
stesso e che non risulta da nessuna parte in quella data. Ufficialmente Crowley parla di Califfato solo nelle lettere che
indirizzò a G. L. McMurtry (1918-1985) alcuni anni dopo lo scritto della Sharpe. Quest'ultima aggiunse sempre
riferendosi al falso Califfo: «La società contemporanea ne ha abbastanza di questi creatori di fedi, ma nella sua
ricerca del vero si imbatte in delusioni ben maggiori (...) Religioni sperimentate, religioni che stanno alla piena luce
del sole, sono le migliori per l'uomo; perché nessuna cosa apportatrice di bene può crescere nell'oscurità, solo ciò che
cresce in pieno sole». Ma ecco come ne parla per esteso nel sesto capitolo: «Incontrai un europeo che era in mezzo a
loro. Si faceva chiamare con un numero. All'inizio fu estremamente gentile, in seguito divenne grossolano. L'uomo di
Dio è stupefacente. Poteva disporre di numerose donne: ne parlava apertamente e con tranquillità. Diceva di avere
avuto diversi figli da loro mediante la magia. Apprese molti sistemi magici con cui poté attirare nel suo cerchio dei
grandi fantasmi. Fui presente ad una delle sue evocazioni: aveva con sé un allievo, un ragazzo dal naso lungo e
sottile per il quale provai una grande pietà. Quest'ultimo era così impaziente, così entusiasta di tutto e così
spontaneo: rimaneva immobile a lungo, gli occhi fissi sulla punta del suo lungo naso, le mani magre e affusolate
posate una sull'altra, le gambe incrociate nella posizione del loto. Ero meravigliata di come avesse potuto andare
dietro all'uomo che si faceva chiamare «666»: per la salvezza della sua anima, per conseguire il Bene, o per il
potere? Sospettavo sempre che quest'ultimo fosse la più grande forza che muove gli uomini - perchè il veleno del
desiderio è celato così insidiosamente nel fiore, da chiamare se stesso Bene, e così da non potersi percepire prima
che si proietti all'esterno a distanza, e uccidere. 666 indossava una veste cerimoniale, aveva con sè una bacchetta, un
pentacolo, una spada e una coppa. Io lo osservavo dal mio angolo mentre purificava con gesti solenni l'altare con
gocce d'acqua asperse con un ciuffo d'erba: lo sentivo scandire mantras in sanscrito, mentre gli accoliti tibetani
agitavano gli incensieri. Alle bestie la consolazione del sorriso è negata. Io avrei preferito che 666 e il ragazzo magro
potessero aver sorriso. Posso ancora vedere 666: era alto e bello. Aveva una mascella forte su un collo taurino ma,
strano contrasto, mani piccole e femminili e mostrava alla luce del crepuscolo delle forme biancastre davanti alla sua
veste nera. Erano gli spiriti che aveva evocato con l'aiuto del Lama. Essi apparvero dapprima come vapori fumosi,
emanazione dell'impurità che viene dal desiderio, e lo circondarono come una nuvola di fumo. In quella nube vidi
formarsi delle macchie, ed ogni macchia vorticava attorno a lui velocemente o lentamente a seconda dell'azione della
sua forza vitale: quindi si allargarono e assunsero la forma di figure fantasmatiche evocate dai dimenticati sarcofagi
della terra. Una di queste era coronata con un diadema e indossava una specie di copriapo egizio, facendosi avanti
minacciosamente. Tutta la forza vitale di 666 si era dissipata nel piacere con le concubine o nelle evocazioni; e poi?
Poi quelle larve esangui di uomini e donne dissennati inveirono contro Dio e gli uomini; e inutilmente gridarono per
ottenere la felicità in questa vita, non in quella futura. Forse coloro che gridarono in tal modo chiesero qualcosa per il
Bene del mondo? Loro si aspettavano sempre che dèi, uomini e animali contribuissero ai loro bisogni! Vidi 666
cadere in terra con la bava alla bocca; stava ancora coinvolgendo il suo pupillo nell'ordalia. 666 voleva rinforzare nel
ragazzo il suo potere di volontà e attenzione. Gli aveva ordinato di non usare le parole «il» o «no» in nessuna
conversazione, che se avesse trasgredito involontariamente a quell'ordine, lo avrebbe lui stesso ferito con un coltello
sul braccio per rendere consapevole quel giovane dello stato di desiderio della sua mente. Questo metodo, così
pensava, rendeva il cervello vigile. Il povero ragazzo era ricoperto di tagli. Sono triste per queste vite sprecate; e
spero che il lettore di questo piccolo libretto metterà in guardia gli incauti entusiasti del mondo dal versare
l'entusiasmo della loro giovinezza davanti a strani altari di ignote divinità». Nel capitolo successivo vi acccenna
ancora con un breve trafiletto. «Sono ancora viva, ma come per 666, solo con l'aiuto delle droghe»....

Elizabeth Sharpe: I SEGRETI DEL CERCHIO TANTRICO, prima traduzione italiana del testo del 1933 "The
secrets of the Kaula Circle" in edizione privata e limitata. 80 pagine, brossura in 8°. Indice: Presentazione del
curatore, Capitolo introduttivo, In un tempio sotterraneo, Magia, il Gala Lama, X.Y.Z., Vite Passate, Il cerchio
tantrico dei Kaula, il Maharaja di X., La fine, Epilogo di Jean de Graeme.
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APPUNTI DI CRONOLOGIA ESOTERICA


1900
Max Theon fonda a Tlemcen in Algeria (città che vantava una popolazione di alcune migliaia di ebrei), dopo aver
assunto il nome arabo Aia Aziz, il Movimento Cosmico su impulso e ispirazione della moglie medium Alma che ne
canalizza gli insegnamenti tirandoli già dall'astrale. Ne farà parte, anche se per breve tempo, l'ebrea Mirra Alfassa
(1878-1973), detta «La Madre», futura musa ispiratrice di Sri Aurobindo.
*L'editore Chacornac pubblica postumo del filosofo cristiano di impronta teosofica Franz von Baader (1765-1841)
Gli Insegnamenti segreti di Martinez de Pasqually.
*MacGregor Mathers è espulso dall' «Ordine Ermetico dell'Alba Dorata all'Esterno».
*Il diplomatico giapponese Inazo Nitobe (1862-1933), convertitosi al cristianesimo metodista e poi diventato
quacchero dopo aver sposato una donna americana, pubblica in California Bushido lo spirito del Giappone, un libro
scritto in inglese, destinato ai lettori occidentali. Divenuto subito un best-sellers, solo negli anni '80 del secolo scorso
il libro fece presa sui lettori giapponesi ormai americanizzati poichè fu ritenuto da molti non conforme con la vera
anima giapponese e samurai, ma con quella «annacquata» dell'Epoca Meiji (1868-1912).
1901
Un agente dei servizi segreti dello Zar Nicola II (ma in azione contro lo zar stesso, poi vendutosi ai Bolscevichi),
Matveï Vassilievitch Golovinski (1865-1920), scrive a Parigi, su incarico del suo capo Piotr Ivanovitch Ratchkovski
(1853-1910), che ne aveva ricevuto mandato da ambienti ultraconservatori zaristi, il falso documento dei Protocolli
di Sion, per convincere lo zar di un complotto giudaico-massonico ai danni del mondo cristiano e della Russia. I
Protocolli furono poi pubblicati come libro nel 1905. La gran parte di questo documento si basa su un libro scritto
nel 1864 dal francese Maurice Joly (Dialoghi agli Inferi tra Machiavelli e Montesquieu) per denunciare il piano di
dominio assoluto di Napoleone III.Golovinski conosceva molto bene il figlio di Joly, Charles.
*Il maestro di arti marziali, il giapponese Uchida Ryohei (1873-1937) fonda la società Dragone Nero (Kokuryukai)
con lo scopo di estendere all'Asia centrale l'influenza giapponese e sconfiggere in guerra l'impero russo. Questa
organizzazione allaccerà rapporti con diverse sette esoteriche, sia asiatiche che europee e potrebbe essere quella
conosciuta negli ambienti esoterici come «Teshu-Maru». Benchè sciolta dagli Americani nel 1946 la società pare sia
stata ricostituita nel 1961.
*Il violinista Leopold Engel (1858-1931), già discepolo di Jakob Lorber vedi 1841,suggestionato dal massone
tedesco Theodor Reuss (1855-1923), in arte Frater Peregrinus, rifonda l'«Ordine degli Illuminati», da cui si separa
quasi subito lo stesso Reuss. In precedenza una voce interiore, lo stesso «Gesù» che aveva parlato a Lorber, gli aveva
permesso di completare l'opera che quest'ultimo non era riuscito a terminare: Il Grande Vangelo di Giovanni.
1902
Viene fondato l'O.T.O. (Ordo Templi Orientis) ad opera del chimico e massone austriaco Karl Kellner (1851-1905),
in arte «Frater Renatus», e dei massoni tedeschi: Franz Hartmann (1838-1912) e Theodor Reuss. Le pratiche
dell'ordine - negli anni precedenti argomento di discussione all'interno di una più tranquilla «Academia Masonica» -
sono di carattere sessuale. Tali pratiche Kellner sostiene di averle apprese da orientali nel corso dei suoi viaggi e
come appartenente della «Fraternità Ermetica della Luce», di cui sarebbe stato membro anche l'americano P.B.
Randolph. Circa quindici anni dopo verrà ammesso all'ordine l'inglese Aleister Crowley che verrà incaricato di
fondare la branca britannica.
1903
Saint-Yves d'Alveydre brevetta una sua invenzione, il progetto dell'Archeometro, grazie all'ispirazione fornitagli
post-mortem dalla moglie. Si trattava di una specie di disco mobile su cui erano inscritte tutte le possibili analogie
simboliche e grazie al quale si volle costruire la cripta mortuaria di lui e di sua moglie. Nel 1910 l'associazione
Amici di Saint-Yves d'Alveydre pubblicò un testo che voleva essere la messa in opera dell'Archeometra originale mai
portato a termine dall'autore. Anche la rivista «La Gnosi», diretta da Guénon, se ne occupò.
*Il giovane filosofo ebreo, convertito al luteranesimo, Otto Weininger (1880-1903) pubblica a Vienna Sesso e
Carattere, un’indagine fondamentale (titolo precedente: Eros e Psiche) una pubblicazione nella quale, sviluppando
le sue considerazioni filosofiche sulla sessuazione, attribuisce alla donna ebrea la causa della decadenza della società
occidentale.
*L' «Ordine Ermetico dell'Alba Dorata all'Esterno» subisce una scissione; restano col Gran Maestro E.A. Waite
coloro che non vogliono più avere a che fare con pratiche magiche, e cambiano nome in «Santo Ordine dell'Alba
Dorata» (cesserà di esistere nel 1915). Gli scissionisti, che vogliono restare fedeli ai principi statutari e cioè allo
studio della magia pratica, con a capo il medico e missionario anglicano Robert William Felkin (1853-1926),
fondano la «Stella del Mattino» (Stella Matutina).
1904
L'avventuriero, tossicodipendente, narcisista, magista cerimoniale e spia, l'inglese Edward Alexander Crowley, in
arte Aleister Crowley (1875-1947), durante un soggiorno a Il Cairo e dopo avere invocato il dio Thoth, che gli
annuncia l'inizio di un Nuovo Eone di Horus di cui lui sarà profeta, riceve tramite l'entità Aiwass il Libro della
Legge, il cui titolo denuncia tutta l'eredità intellettuale del personaggio.
*Papa Pio X abolisce il diritto di veto che tradizionalmente avevano di porre sull'elezione di un nuovo pontefice
alcuni sovrani cattolici.
1905
L'ex monaco cistercense, razzista esoterico, estimatore di Guido von List e dell'ebreo Otto Weininger, l'austriaco
Adolf-Joseph Lanz, in arte Jörg Lanz von Liebenfels (1874-1954), animatore dell'Ario-Cristianesimo, fonda la
rivista esoterica «Ostara» (1905-1913), la cui lettura fornirà, per sua stessa ammissione (oltre al simbolo svastica), la
base delle idee pangermaniste e antiebraiche del giovane studente Adolf Hitler, che ne era assiduo lettore. Lo stesso
anno pubblica Teozoologia: La scienza delle nature scimmiesche sodomite e l'elettrone divino in cui esalta la
superiorità della razza ariana sui popoli inferiori.
*Le granduchesse Milica Nikolaevna e sua sorella Anastasia, introducono alla corte dello zar Nicola II, il mistico e
taumaturgo siberiano, nonché membro della setta dei Flagellanti (Chlysty), Grigorij Efimovic, in arte Rasputin
(1869-1916). Sono note a corte come “il pericolo nero”, in quanto hanno fama di interessarsi alle scienze occulte.
*Lo Zar Nicola II, senza l'appoggio del Patriarcato di Mosca, promulga un editto in base al quale sono permesse
ufficialmente nel territorio dell'impero tutte le religioni.
*L'eccentrico poliglotta e massone Samuel Liddell Mathers, in arte S. L. MacGregor Mathers (1854-1918) dopo
essere stato espulso dall' «Ordine Ermetico dell'Alba dorata» che lui stesso aveva concorso a fondare, prende in
mano assieme alla moglie, la disegnatrice e medium ebrea Mina Bergson (1865-1928), l' «Ordine Rosacrociano
Alpha et Omega», ramo scissionista creato da J. W. Brodie-Innes (1848-1923) della «Stella del Mattino». Mathers è
noto soprattutto come cattivo traduttore di importanti testi esoterici, come La magia di Abramelin il mago.
1907
Jean Bricaud (1881-1934), si separa dalla chiesa di Doinel e fonda la Chiesa Cattolica Gnostica, di cui l'anno dopo
diviene Patriarca col nome di Tau Giovanni II, mentre la stessa Chiesa assume il nome di Chiesa Gnostica Universale
divenendo la rappresentante ufficiale del Martinismo. Vi confluisce anche la vintrasiana «Opera della Misericordia»
su iniziativa del suo reggente, Edouard Soulaillon (1825-1918).
*Lanz von Libenfels fonda in un castello sul Danubio l' «Ordine del Nuovo Tempio», che si richiama all'Ario-
Cristianesimo. Suo stendardo è una svastica rossa destrorsa, in campo arancione, inquadrata da quattro fiori di giglio.
L'ordine verrà chiuso dalla Gestapo nel 1942, ma in realtà continuerà ad esistere fino ai nostri giorni.
*Gustav Meyrink pubblica sotto pseudonimo il Testamento Kerning, un documento di curiose e pericolose pratiche
vocalizzatrici e immaginative. Con la sua pubblicazione Meyrink intese affrancarsi dal cenacolo del mistico
rosacrociano bavarese Alois Mailänder, di cui aveva fatto parte per anni.
* Il conferenziere, teosofo e massone austriaco Rudolf Steiner (1861-1925), fondatore della rivista esoterica
«Lucifero», pervaso da manie educatorie sull'uomo e la società, diventa Gran Maestro della massoneria di Memphis-
Misraim per la Germania.
* Robert William Felkin entra in Massoneria e subito dopo viene cooptato nella «Società Rosacrociana
d'Inghilterra» da W.W. Westcott.
1908
Max Theon sopprime il Movimento Cosmico a seguito della morte della moglie-medium Alma e cade in una
profonda depressione dalla quale non si riprenderà più. L'anno seguente Theon ordinerà a Davidson di chiudere
anche la sezione americana della H. B. of L. di cui Davidson aveva mantenuto la reggenza dopo la sua fuga
dall'Inghilterra vent'anni prima. Continuatore degli ideali di Theon è un altro ebreo, Pascal Moise, in arte Pascal
Thémanlys (1909-2000), i cui genitori furono i rappresentanti in Francia del Movimento Cosmico.
*Il martinista, massone, membro della sezione francese della H. B. of L. René Guénon (1886-1951) tenta di
rivitalizzare l'Ordine Templare con delle sedute evocatorie che coinvolgono l'ultimo gran maestro Jacques de Molay,
stabilendo il nome di Ordine del Tempio Rinnovato. L'effimero Ordine verrà sciolto nel 1911.
*Guido von List pubblica il libro Il Segreto delle Rune, in cui dà una nuova spiegazione dell'alfabeto runico
scandinavo. Questo lavoro nel 1903 era stato presentato al vaglio dell'Accademia Imperiale delle Scienze di Vienna
che l'aveva giudicato non scientifico. Von List aveva tratto questa sua interpretazione delle rune, da lui definite
«armaniche», a seguito di alcune «visioni» avute nel 1902 durante un periodo di cecità conseguente ad un intervento
agli occhi per un'operazione di cataratta. Tale visione gli avrebbe aperto il «terzo occhio». Himmler adotterà in
seguito le rune interpretate «medianicamente» da von List e da Wiligut.
*Lo scrittore e disegnatore austriaco Alfred Kubin (1877-1959) scrive sotto dettatura di una «ispirazione
particolare», L'altra parte, un racconto le cui illustrazioni dovevano servire per decorare il romanzo di Meyrink Il
Golem, ma di cui non si fece nulla. Il racconto di Kubin, che in gioventù era rimasto traumatizzato da alcune sedute
di ipnosi ed il cui titolo è l'esatta traduzione di una parola ebraica designante il mondo infernale (Sitra Ahra),
anticipa alcuni contenuti esoterici di altri autori (come quello sulle «sette torri del diavolo» di William Seabrook) e
delinea delle tematiche che rimandano al mondo dell'iniziazione frankista. Kubin frequentò anche la casa
dell'alchimista Alexander von Bernus.
*Il teosofo e conferenziere Carl Louis von Grasshof, in arte Max Heindel (1865-1919), abbandonato il Teosofismo
che considera poco cristiano e orientaleggiante, fonda in California la «Associazione Rosacroce» (Rosicrucian
Fellowship), dopo essere stato imbeccato a dovere, in forma medianica da un'entità «rosacroce» in Germania, da
ambienti della Massoneria tedesca, principalmente Rudolf Steiner. Dal suo soggiorno in Germania riportò degli
appunti dal quale trasse la sostanza del suo La Cosmogonia dei Rosacroce. Come tanti altri gruppi paramassonici di
facciata, anche quello di Max Heindel si rifà al rosicrucianesimo cristiano.
*Il capo della «Stella del Mattino», Robert William Felkin, che vantava presunti contatti con capi segreti («Maestri
Solari») residenti nel piano astrale, tramite stati medianici e scrittura automatica, rivela di essere in contatto con altri
due di questi, l'arabo Ara Ben Shemesh che da un tempio del deserto arabo avrebbe la missione di istruire gli
occidentali, e un altro orientale che avrebbe contattato in Germania, dove fino al 1914 si recava spesso alla ricerca
dei Superiori Incogniti che sarebbero stati dietro l' «Ordine Ermetico dell'Alba Dorata all'Esterno». In realtà dietro
tali personaggi c'era la figura ambigua di Rudolf Steiner, che già in questo stesso anno aveva imboccato a dovere
Max Heindel.
1909
Aleister Crowley inizia la pubblicazione della rivista L'Equinozio (The Equinox).
1910
Il guaritore belga Louis-Joseph Antoine (1846-1912) fonda il movimento religioso cristianeggiante dell'Antoinismo,
su base personale, sentimentale ed emozionale, dopo un'esperienza nel movimento spiritista. Al suo funerale
assistono 100.000 persone.
*René Guénon entra a far parte della Chiesa Gnostica in qualità di Vescovo (assume il titolo di Sua Grazia Tau
Palingenius), consacrato dal successore di Doinel, Léonce-Eugène-Joseph Fabre des Essarts (1848-1917).
*René Guénon è iniziato al sufismo islamico (scuola della Chadhiliyya) dall'anarchico, pittore, vagabondo,
animalista violento e spia (gli inglesi lo espelleranno dall'Egitto nel 1916 come sospetta spia turca), lo svedese John
Gustaf Agelii, in arte Ivan Aguéli (1869-1917), stretto collaboratore dell'agente segreto italiano Enrico Insabato
(1878-1963), che operava con il mondo arabo. L'anno seguente Guénon si sposa come niente fosse con rito cattolico.
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IL LIBRO DEGLI IDOLI


(The book of Idols, being a translation from the arabic of the Kitab al-asnam by Hisham ibn-al-kalbi. Translated
with introduction and notes by Nabih Amin Faris. Princeton University Press 1952)

Poiché il mondo musulmano ha fatto di tutto per cancellare quella che era la vita pre-islamica dei popoli arabi, epoca
chiamata della Jahiliyya (della stupidità o dell'ignoranza), ci sembra opportuno dare invece dei cenni sulle divinità
politeiste che gli Arabi adoravano, alcune menzionate anche in alcune biografie di Maometto. La maggior parte delle
notizie sulle divinità pagane dell'Arabia le dobbiamo allo storico islamico Hisham ibn al-Kalbi (737-821) che scrisse
un Libro degli Idoli (Kitab al-asnam). In questo libro, ritrovato e pubblicato in arabo nel 1914, e tradotto
integralmente in inglese nel 1952, ci sono anche notizie sul passato pagano di Maometto, come quando sacrificò una
pecora ad al-Huzza. I riti e i culti praticati dagli Arabi fino al tempo di Maometto provenivano in larga parte da
antichi regni, come quello dei Moabiti, degli Edomiti e dei Nabatei. La ricchezza di divinità, soprattutto femminili,
presentava similarità con le divinità babilonesi e fenicie. La religione nelle aree centrali e occidentali arabiche
vedeva la prevalenza del culto di tre divinità, Manat, al-Uzza e Allat. Poi vi era un'infinità di spiriti (jinn) e divinità
minori, che venivano rappresentate da rocce, alberi o alture. Allat, forse la primitiva controparte femminile di Allah,
era venerata a Taif, a sud di La Mecca, dalla tribù dei Thaqif e da quella di Maometto, i Corasciti, ma anche da tutti
gli Arabi; signora dell'incenso e dei leoni, divinità pacifica e nemica dello spargimento di sangue. Al Huzza, divinità
femminile simile ad Afrodite, è quella su cui abbiamo più informazioni, venerata nelle sorgenti delle oasi e nel
tempio di La Mecca, era considerata di particolare bellezza. Le donne arabe, ancora in epoca islamica, facevano
terminare il proprio nome in Abd al-Huzza (serva di al-Huzza), in segno di devozione, ma questa era un'abitudine
che gli Arabi preislamici avevano con molte altre divinità. Suo simbolo era l'albero di acacia. Ancora nella Caaba di
La Mecca si venerava la statua oracolare di Hubal, che si dice fosse stata importata dalla Mesopotamia nel III secolo
d.C., in forma di un vecchio arciere. Era di cornalina rossa. Alcune rituarie di Hubal si sono conservate nel culto di
Allah. Madre di Hubal, secondo gli Arabi Nabatei, era Manah, identificabile con la greca Nemesi, e faceva parte
della triade femminile politeista assieme ad Allat e al Huzza. Era venerata vicino Medina, sul Mar Rosso, in un
santuario molto ricco di vestigia e tesori (pare che una spada di questo tesoro sia ora al museo Topkapi di Istambul).
Altra divinità era Wadd, in tutta analoga al nostro Adone, il cui santuario si trovava nell'Arabia nord-orientale. Sua
sposa era Suwa, divinità cui si offrivano in sacrificio bestie di piccola taglia. Era venerata sotto forma di un masso
nel santuario di Yanbu, importante città sul Mar Rosso. Simile a Wadd doveva anche essere Yauh, cultuato invece a
sud, in special modo dalla tribù araba dei Banu Hamdan dello Yemen. Nasr era invece la divinità degli Himyar
(Homeriti) prima che questi si convertissero all'ebraismo nel IV sec. d. C. Sulla costa del Mar Rosso era venerato
anche Sa'd, rappresentato in forma di una roccia fallica su cui si compivano sacrifici di sangue e a cui si portavano a
benedire le mandrie di cammelli. La tribù dei Daws venerava invece un poco conosciuto Dhu-al-Kaffayn; quella
degli Azd venerava Dhu-al-Shara, identco alla principale divinità degli Arabi Nabatei di Petra, Dusares, cultuato
sotto forma di grosso monolite quadrangolare nero. Quest'ultimo aveva uno splendido tempio nella città. Le tribù
arabe delle zone collinari della Siria adoravano Al-Uqaysir, cui spesso tributavano inni e canti. Chi vi si recava in
pellegrinaggio doveva lavare ritualmente i capelli davanti l'altare della divinità, cospargendoli con farina. La tribù
dei Khawlin portava ad un certo 'Amm-Anas in offerta parte delle primizie e dei raccolti della terra. La tribù dei
Muzaynah adorava il dio Nuhm. In quest'ultimo caso è evidente il motivo del successo della predicazione di
Maometto: l'ultimo custode del tempio di questo dio aderì all'Islam perché dichiarò di essere stufo di celebrare un
«dio muto». La predicazione di Maometto, il suo Corano ancora diffuso oralmente, dovevano esercitare una
profonda seduzione su quegli animi semplici. La tribù degli Anazah adorava un betilo oracolare, Su'ayr. A proposito
di questi betili, l'autore del Libro sugli Idoli ci fa sapere che gli Arabi avevano la commovente usanza di prendere
una pietra (che chiamavano ansab) da antichi templi greco-romani in rovina e di trasportarla presso la loro tribù. Qui
la alzavano in piedi e vi tributavano un culto facendovi tradizionalmente delle circum ambulazioni (dawar). La
recente demolizione con l'esplosivo di alcuni siti archeologici pagani non deve dunque far perdere la speranza che gli
Arabi un giorno possano tornare a più miti idealità, magari circumambulando nuovamente qualche colonna
recentemente diruta con la dinamite.

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Aleister Crowley: IL GIARDINO PROFUMATO DI ABDULLAH SATIRISTA DI SHIRAZ (Bagh-i-muattar),
prima traduzione italiana del testo del 1910, in edizione privata e limitata. 168 pagine + 3 foto b/n, brossura in 8°.
Indice: Presentazione del curatore, Introduzione del Maggiore Lutiy, Saggio del reverendo P.D. Carey, i 42 ghazal
del Giardino Profumato di Abdullah. Appendice di J. Bricaud.
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la dea Allat, da Palmira


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ANTICHI SEGRETI MAGICI PER L'AMORE


Incantesimi, scongiuri, sortilegi e talismani. Con una appendice dalla «Venere Magica» e da un Calendario-Grimorio.

(Secrets magiques pour l'amour: octante et trois charmes, conjurations, sortilèges et talismans publiés d'après les
manuscrits de Paulmy, par un bibliomane. Tiré a quatre cent treize exemplaires. Paris, Académie des Bibliophiles,
Alcan-Lévy 1868)

«Questo opuscolo così singolare faceva parte della ricca collezione di opere cabalistiche raccolta nel secolo scorso
da Marc-Réné de Voyer d'Argenson, marchese di Paulmy. Non occorre che presentiamo ai lettori questo illustre
appassionato, che potremmo annoverare, senza tema di smentita, come il primo bibliofilo del suo tempo, se non
avesse avuto per rivale, in questo nobile ambito, l'insuperabile duca de La Vallière. Come tutte le religioni, e forse a
maggior ragione, il culto dei libri annovera i suoi fanatici e martiri. Il marchese di Paulmy fu uno di loro. Dissipò,
per creare la magnifica biblioteca che non conservò neanche il suo nome, l'immensa fortuna dei d'Argenson - tre
generazioni di ministri! - e, come un avaro, cui del resto somigliava ben poco, si ridusse a dover condurre vita
ritirata, a fianco del suo tesoro intatto, se il conte di Artois non avesse avuto la generosa ispirazione di rinnovare a
suo favore la delicata liberalità di Mazzarino, di Caterina II e di qualche altro. Il principe acquistò in blocco questa
inestimabile collezione di libri rari e preziosi manoscritti, di cui lasciò il godimento effimero al fondatore; costituì
subito dopo la maggior parte - se non la migliore - della biblioteca La Vallière, nonché il fondo della sua biblioteca
privata che divenne, con la Rivoluzione e poi col ritorno della monarchia, la pubblica biblioteca dell'Arsenale. E'
infatti all'Arsenale che si trova oggi il manoscritto dei Segreti magici per l'amore. E' classificato col numero 92,
Scienze e Arti francesi, in -4. E' un estratto specializzato di un altro repertorio più generico: Segreti di Magia (n° 82).
Il bibliofilo Jacob, il dotto conservatore e l'ultimo degli adepti, forse, aveva già segnalato e citato queste due raccolte
nelle sue Curiosità di Scienze Occulte: uno di quei libri di attraente erudizione che prende fin dalla prima pagina e
non molla la presa se non all'ultima riga. Stimolati dal suo spicilegio, abbiamo colto a piene mani questi strani frutti
dall'albero della scienza ermetica, e ve li offriamo, cari confratelli, salvo, beninteso, il rispetto dovuto al lettore
francese in generale e alla nostra Compagnia in particolare. A ciò poi abbiamo scrupolosamente mantenuto la forma
volgare ma caratteristica del testo. Un commentario ci avrebbe portati troppo lontano, nè era necessario del resto, per
un pubblico qual'è il nostro; ci siamo limitati a contrassegnare con dei numeri - non d'ordine ma di successione - i
diversi paragrafi del manoscritto, cui abbiamo aggiunto qualche altra ricetta dello stesso genere, estratta dalle
edizioni più antiche del Grande e Piccolo Alberto. Ci è sembrato piccante richiamare al seguito di questi Segreti di
Magia alcuni brani di Plinio - de venerem stimulantibus - che tutti conoscono, ma a cui questi riferimenti non
mancano di dare un interesse particolare. Infine abbiamo eretto a mò di tavola analitica, un repertorio generale che
offre, per così dire, l'inventario del materiale speciale di questa losca industria in cui la mancanza di licenza
amministrativa non è mai riuscita ad allontanare la clientela. Non siamo in grado di dare una data precisa per la
composizione di questo grimorio erotico. La calligrafia dei due manoscritti tradisce una mano ingenua e poco
esercitata, del diciassettesimo, fors'anche dell'inizio del diciottesimo secolo; ma le formule e i segreti, assemblati
senza ordine e costrutto, risalgono certamente ad epoche anteriori e diverse. Alcuni respirano di Medioevo, hanno
conservato l'impronta di una grossolana superstizione che caratterizza lo spirito popolare di quei tempi ignoranti.
Altri portano la traccia evidente del sedicesimo secolo, quando il grande movimento del Rinascimento portò in
Francia, con le somme ispirazioni artistiche italiane, le pratiche sospette dei suoi astrologi e necromanti. Altri, infine,
si ricollegano a quella lugubre fase del diciassettesimo secolo che segnalano le assurde o criminali imprese del
tenebroso Affare dei veleni.Anche le fonti sono ben differenziate. La maggior parte può esser riferita a qualche
miserabile stregone di villaggio, come nei nostri tribunali se ne vedono ancora di tanto in tanto, rispediti alle loro
pecorelle dopo un piccolo periodo di pena detentiva; ma alcune di queste elucubrazioni sembrerebbero piuttosto
fiorite nell'oscuro alloggio di Claudio Frollo. Emanano un sentore di prete e di sacrilegio, di passioni represse e
inconfessabili. Quasi di riflesso ci riportano alle diavolerie isteriche di Louviers e di Loudun. Madeleine Bavent e le
Orsoline della Santa Croce dovettero pur immaginare alcuni di questi raffinati sortilegi i cui santi apparati, la messa,
le cerimonie del culto, gli oggetti consacrati, forniscono gli accessori e regolano la messinscena. Altri, infine, ci
alitano in faccia i tossici miasmi del laboratorio della Brinvilliers. Tutto ciò è senz'altro curioso e tale da interessare
il filosofo, anche quello non ermetico. Ma si capisce che malgrado la pubblicità discreta e selettiva a cui ci siamo
limitati, abbiamo dovuto sfrondare un certo numero di tali edificanti ricette. Tra quelle che pubblichiamo, nessuna è
criminale, alcune sono ripugnanti, ma la maggior parte sono grottesche e ridicole. Ce n'è una però, lo scongiuro della
Stella del Pastore, che fa eccezione. E' davvero poetica e brilla in questa cloaca, come l'astro incantevole che invoca
nel mezzo di una notte senza luna. E' un qualcosa di ingenuo e romantico come la canzone di Margherita, - una
preghiera più che uno scongiuro - e non siamo lontani dal vero se diciamo che ha conservato ancora qualche potere.
Invitiamo gli interessati a farne la prova in ogni caso. Si deve notare, peraltro, che questa filosofia dell'assurdo ha nei
suoi particolari una certa logica sui generis. Così, in tutte queste operazioni tendenti ad ispirare l'amore, il lato
sinistro - quello del cuore - è prescritto per l'ambito dell'azione; il venerdì - giorno di Venere - è il giorno sacro; gli
animali di naturale lascivia come la colomba, il passero, la quaglia, la donnola, sono le vittime designate; infine,
nella composizione dei filtri, entrano di preferenza le sostanze che sembrano debbano riassumere in sè la
quint'essenza della virtù amatoria o attrattiva; per esempio, la pietra magnetite, il latte di una donna che allatta il suo
primo figlio maschio, ecc. Gli amanti di un tempo credevano veramente all'efficacia di questi incentesimi magici?
Non è permesso dubitarne, e noi compiangiamo sinceramente le crudeli bellezze del tempo andato che dovettero
sorbire, a loro insaputa, un gran numero di queste polveri e beveraggi nauseabondi di cui si vedrà nel prosieguo la
composizione. Il libro nero della storia fornirebbe, se necessario, la prova irrefutabile che la Montespan, tra tante,
non indietreggiava davanti a tali mezzi pur di ravvivare l'amore senescente del Gran Re. Non potremmo giurare
neanche che il nostro scettico secolo non manchi ancora di qualche tenace iniziato: i manoscritti dell'Arsenale,
sporchi e usurati, conservano la palpabile traccia di mani febbrili che ancor'oggi li compulsano. Nonostante ciò, tutti
questi segreti dei nostri padri quanto sono distanti! Abbiamo voluto seguire il consiglio del favolista: «Non ne
teniamo che uno, ma sia quello buono». Del resto, checché ne dicano gli spiriti forti, se sortilegi e talismani sono
così tanto decaduti rispetto al credito di cui un tempo godevano, bisogna anche convenire - non è vero mie signore? -
che non si ama più come si amava una volta!"»"
TRE ASPETTI DELLA FORNICAZIONE
Nella Confessione, attribuita a Cipriano di Antiochia (ed. Mimesis Milano 1994 a cura di A. Fumagalli), ma in realtà
testo anonimo del 350-370 d.C., al cap. 4, c'è una espressione molto curiosa e incomprensibile: "Vidi là ogni specie
di dissolutezza, ognuna con un aspetto suo proprio: i tre generi della dissolutezza amorosa, sotto l'aspetto del sangue,
della schiuma e del grasso...". Questa traduzione non dice nulla al lettore; Ora, il testo greco usa il termine porneias
(genitivo di porneia) che Fumagalli traduce come “dissolutezza amorosa” e la traduzione inglese come “fornication”
(The Confession of Cyprian of Antioch. Introduction, Text and Translation by Ryan Bailey, Faculty of religious
studies, McGyll University, Montreal 2009). Ebbene porneia in greco significa prostituzione (che per i Greci aveva
anche una valenza sacra), solo traslocativamente lussuria, mentre nel greco del Nuovo Testamento sta per idolatria e
apostasìa. Non significa semplicemente rapporto sessuale immorale, come i traduttori… tradiscono. Pertanto il senso
datogli da Cipriano va letto nel contesto della sua narrazione. Cipriano, nella zona di “Menfi d’Egitto, nei penetrali
dei templi” e “in un luogo” vicino, dove i demoni inducono gli uomini a condividere la loro empietà mediante un
patto, scrive: e vidi là ogni sorta di falsa dottrina (pseudous), non ogni sorta di dissolutezza come traduce il
Fumagalli in contrasto anche con la traduzione inglese, dando a pseudous il valore di porneias! In pratica Cipriano ha
conosciuto a Menfi, nei templi di qualche divinità femminile, la dottrina magica della sessualità, anche se l’edizione
critica canadese la definisce “fantasmagorìa demonica” (demonic grotesquerie)… Questa dottrina, secondo Cipriano,
l’ha conosciuta: 1) Sotto l'aspetto della natura del sangue (aimatodes) cioè nel senso delle potenzialità insite nel
sangue e non nel senso di sanguigno o sanguinario…. 2) sotto l'aspetto dell'effervescenza (aphrodes) cioè della sua
capacità di elevarsi e separarsi, e non di spuma o schiuma materiale. 3) sotto l'aspetto della putrefazione e
corruzione, non morale ma organica (sepiodes), e non della seppia mollusco né tantomeno del grasso! Aggiungo
«che in greco moderno la vagina è anche detta “seppia” (soupià) e molte prostitute dell’antica Grecia portavano
questo soprannome. Robert Graves, nei Miti Greci, parla invece di sacerdotesse-seppie: “la seppia è raffigurata
spesso nell’arte cretese e anche nei monumenti megalitici di Carnac e di altre località brettoni. Essa ha otto tentacoli,
così come il sacro anemone del Pelio ha otto petali: otto infatti è il simbolo numerico della fertilità nella mitologia
mediterranea». Se il brano viene tradotto correttamente, come noi crediamo di aver fatto, questi tre concetti
appartengono all’esoterismo della magia sessuale nel suo aspetto di magia rossa e costituiscono un apporto
conoscitivo del tutto inedito per la materia. Ma quanti testi classici sono stati tradotti con moderna noncuranza?
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UNA STORIA FRIGIA


Così prese a narrare Alcìnoo magnanimo, re dei Feaci: In quel tempo...
la Frigia era una regione di tale bellezza che fu scelta dalla Madre di tuti gli Dei quale sua dimora permanente. Essa
la percorreva col suo cocchio trainato da leoni; ne visitava le aspre e cupe foreste montane, le cime innevate o
scendeva a precipizio nelle strette valli, guadando rumorosi torrenti e costeggiandone le spumose cascate. A volte
preferiva indugiare nei pressi del fiume Pàttolo disegnando con le ruote del suo cocchio degli ampi cerchi sulle vaste
anse di sabbia che il fiume creava tra le spire del suo percorso verso il mare. Poi riprendeva la corsa sfrenata
falciando i canneti con le lame delle ruote del suo carro da guerra. Stormi di anitre si alzavano allora in volo,
spaventate dal fracasso e dai leoni ruggenti: era un portento il vederla. Regnava allora su quelle selvagge contrade
suo figlio, il Re Mida, mezzo uomo e mezza bestia, orrendo a vedersi, perché era stato il frutto dell’amore della Dea
per una di quelle creature dei boschi che noi chiamiamo Sàtiri o Sileni. Mida aveva però un buon carattere, era
gioviale con tutti e non se la prendeva se la natura lo aveva fatto col corpo pieno di pelo e con il volto più simile a
quello di un cinghiale. Egli amava la buona tavola e tutto ciò che può rendere la vita meno amara. Un bel giorno
alcuni contadini si recarono alla reggia portando con loro uno strano prigioniero: un vecchio sileno ubriaco fradicio!
Mida riconobbe subito in lui un vecchio amico di gioventù, quando, prima di essere Re, scorazzava per i boschi
appresso all’allegra comitiva del dio Dioniso, combinandone di tutti i colori. Fu una fortuna per il vecchio sileno che
il suo amico Mida regnasse ora in quei posti. Infatti, in quel tempo, c’era l’usanza che tutti i viaggiatori solitari e
stranieri che venivano catturati dai contadini fossero sacrificati a qualche divinità. In qualche caso venivano anche
mangiati vivi!Mida trattenne dunque il vecchio sileno a corte, dove lo ospitò facendogli passare i giorni migliori di
tutta la sua lunghissima vita: pare infatti che avesse più di mille anni. L’ospite non aveva nessuna voglia di andare via
da un posto così pieno di delizie. Tuttavia era reclamato dal dio Dioniso, che non aveva intenzione di privarsi di un
essere così spassoso che allietava con scherzi e smorfie tutta la sua festante comitiva.Dioniso propose dunque a Re
Mida di esprimere un desiderio qualunque, che lui l’avrebbe subito esaudito; in cambio, Mida avrebbe dovuto far
tornare indietro il vecchio ubriacone. Dopo averci riflettuto sopra, Mida chiese (e ottenne) che tutto quello che
toccava con le mani si potesse trasformare in oro, “in fulvido oro” furono le sue esatte parole. Dall’alto del monte
Berecinto la Madre Divina aveva assistito alla scena e quale non fu il suo strazio quando vide anche il resto: dopo
aver toccato un po’ di tutto ed avendolo trasformato in purissimo oro di coppella, Mida si stancò e decise che era ora
di andare a mangiare. Sedutosi alla consueta tavola ricca di ogni ben di Dio, fece per toccare un bicchiere di vino e
quello all’istante divenne d’oro. Ciò piacque al Re ma quale non fu la sua sorpresa quando dovette constatare che il
rosso liquore si era trasformato in oro liquido. Tentò allora di bere direttamente dalla brocca, ma il risultato fu lo
stesso. Scoraggiato, iniziò a tastoni a toccare tutto quello che c’era sulla tavola: focacce, torte, arrosti, frutta,
bevande, posate, tovaglioli. Tutto diventava d’oro. Preso ormai dal panico si girò verso un commensale e, quasi per
chiedergli soccorso, lo abbrancò in un gesto disperato. L’ospite già rubizzo per il vino bevuto divenne paonazzo,
livido e quindi ritornò rubizzo per stabilizzarsi infine d’un bel fulvo oro!“O Dei del cielo! O Grande Madre! Aiuto,
soccorsoooo...” gridava boccheggiando il Re ma nulla potevano o volevano gli Dei Immortali: era un affare tra Mida
e Dioniso. Infine quel potente Iddio si impietosì del figlio di Cibele - questo era infatti il nome della madre di Mida -
e venne in soccorso del disperato. “Immergiti nel fiume Pàttolo e risaline la corrente fino alla sua sorgente” disse
Dioniso, “qui aspergiti completamente con quell’acqua e vedrai che il potere di trasformare tutto in oro passerà
nell’acqua stessa. Così sarai liberato”. Mida non se lo fece dire due volte; seguì le indicazioni del dio riuscendo in
quel modo a non morire di fame. Dicono che anche oggi se si osserva attentamente il fondo sabbioso di quel fiume,
si può scorgere il riverbero che ancora mandano le pagliuzze d’oro scaturite in quei tempi memorabili, dall’azione
dell’acqua sulle mani di Mida. Questa fu soltanto una delle tante disavventure che gli capitarono. Un’altra è quella
per la quale divenne famoso con il nome di “Re dalle orecchie d’asino”. Ecco come andarono le cose. In quel
tempo... accadde che il satiro Marsia avesse raccolto da terra un flauto magico (stregato dalla dea Atena) che aveva
la singolare proprietà di suonare le più belle “arie” in bocca a chiunque l’avesse raccolto. Marsia che non lo sapeva
si inorgoglì a tal punto della musica che il flauto suonava per lui, che andò in giro per tutta la Frigia dicendo che era
più bravo dello stesso dio Apollo. Figuriamoci quando lo seppe Apollo in persona, lui che era il migliore di tutti gli
dei nel suonare gli strumenti! Non che fosse stato bravo fin dalla nascita, intendiamoci. Egli aveva avuto questo dono
in eredità da Orfeo, ma questa è un’altra storia. Dunque Apollo, imbestialito per l’affronto subito dal satiro, lo sfidò
ad un duello musicale: il primo con la cetra (una specie di antica chitarra) ed il secondo con il flauto. Chi vinceva
avrebbe potuto fare quello che voleva dell’avversario. Per farla breve, Apollo vinse. Avendoci preso gusto, partecipò
anche ad un’altra sfida musicale, ed è qui che entra in scena il nostro Re Mida: fu spettatore della gara di cui era
giudice il dio del monte Tmolo tra Apollo e il dio Pan. Tmolo assegnò la vittoria ad Apollo ma Mida ebbe l’audacia
di contestare il verdetto dicendo che riteneva migliore l’esibizione di Pan. Naturalmente Apollo ne rimase offeso e,
per dispetto, fece crescere delle smisurate orecchie d’asino in capo al nostro Re che, poverino, già non le aveva belle,
così pelose e adunche com’erano. Mesto mesto Mida se ne tornò alla reggia dopo aver celato le sue vergognose
orecchie sotto un piléo, cioè il tradizionale berretto frigio, che è alto e floscio; proprio quel che ci voleva. Riuscì a
nascondere a tutti lo sgradito regalo fattogli da Apollo meno che al suo barbiere. Chi l’avrebbe detto? Un satiro
irsuto che va dal barbiere; ma Mida che era di animo umano amava tenere dei modi civili. Il servitore gridò dalla
sorpresa mentre Mida quasi ragliava per lo scorno. Il primo dovette così giurare di non rivelare a nessuno il segreto,
pena la morte. Ma come si fa a tenere dentro di sé un segreto di tal fatta? E’ impossibile! Il barbiere non sapeva darsi
pace ma alla fine trovò il modo per liberarsi da quel gravoso fardello. Quatto quatto si recò in riva al fiume, scavò
una buca, si chinò carponi, ci mise dentro la faccia accostando le mani alla bocca e gridò con quanto fiato aveva in
gola il suo segreto: “Il Re Mida ha le orecchie d’asino!!! Il Re Mida ha le orecchie d’asinoooo!!! !!”. Fatto ciò,
ricoprì con cura la buca, sicuro di aver affidato il suo segreto alla taciturna Madre Terra. Era un barbiere molto
stupido! Non sapeva che anche la Madre Terra, di quando in quando, rende degli oracoli. Infatti, di lì ad un anno,
vegetarono dalla buca e si diffusero tutt’intorno fino a formare un impenetrabile canneto, delle canne profetiche.
Quando soffiava il vento di Austro, queste ondeggiavano rumorosamente sotto la spinta di quella fredda brezza, e
dallo sfregolìo che producevano l’un con l’altra, si levava leggero ma insistente, un flebile, ritmato sussurro: “Il Re
Mida ha le orecchie .... le orecchie .... d’asino .... d’asinoooo...... d’asino-ooo-ooo!” E mai più, da allora, Mida
seppe darsi pace e dicono che ancor oggi egli vaghi, ramingo e solitario, per i cupi macchioni e i folti canneti della
Frigia, lanciando talvolta un lugubre, lungo raglio di dolore.

Remo Mangialupi
MATGIOI
POESIE DELL’OPPIO
(estra"o da Rimes d’Asie)
Dietro il Tangdoc, montato sull’elefante
Della morte, il condannato, giovane, spensierato, senza ambasce,
senza vincoli, marcia, dolcissimo. L’oppio trionfatore
ne ha smarrito lo spirito fra sogni ricercati.
Va con passo felice. La gogna oppressiva
Per la sua ultima marcia ha disserrato le assi:
l’azzuro estivo di un cielo limpido sfavilla: e il ragazzo
guarda il sole, oltre i Barbari.
I Bianchi sono arrivati, il più presto possibile.
Il carnefice, sciabola in mano, è pronto. La folla
deborda: risvegliato dallo strepito e dal movimento,
il condannato, sorridendo al Mandarino dalle labbra sporgenti
che legge la sentenza di morte nel clamore assordante,
pensa, quando la sua testa cadrà so"o al ferro,
di riprendere il suo sogno, appena interro"o.
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LA LEGGENDA DEI TIBETANI DI HITLER


Gli scrittori sensazionalisti Pauwels e Bergier scrissero ne Il Mattino dei Maghi (1962) che, occupata Berlino, i
Sovietici trovarono numerosi corpi di soldati tibetani in divisa della Wermacht che si erano suicidati. In realtà soldati
della Wermacht con tratti somatici centro-asiatici furono trovati davvero ma la cosa al tempo non destò alcun
clamore, per il semplice fatto che si trattava di Calmucchi (Mongoli), una popolazione della Russia asiatica che
aveva solidarizzato con i Tedeschi durante l’invasione del paese. Il fatto fu che i Calmucchi, ottimi combattenti (al
tempo di Napoleone ci fu un reggimento calmucco che combattè per lo Zar), aderivano alla forma tibetana del
Buddhismo ma questo non significa nulla. I calmucchi giunsero sulle rive del corso meridionale del Volga, nei pressi
del Mar Caspio, tra il 1609 e il 1632 provenienti dal Turkestan occidentale (Dzungaria). Nel 1763 la zarina Caterina
II invitò circa 30.000 tedeschi a stanziarsi a nord di questa regione allo scopo di colonizzarla e proteggere la Russia
dalle invasioni dei Tartari. Da qui derivò quella certa “comunanza” e simpatia fra i due gruppi etnici che portò i
Calmucchi a militare contro i Sovietici; tenuto conto che già in passato si erano ribellati al tentativo di
“russificazione” con l’imposizione della religione cristiano-ortodossa. All’avvento del Comunismo, i Calmucchi
rimasero fedeli allo Zar e militarono nell’Armata Bianca. Prima che nel 1920 l’Armata Rossa interrompesse i
collegamenti tra l’Occidente e la Calmucchia, circa una ventina di gruppi familiari riuscirono a rifugiarsi a Varsavia e
a Praga. Altri gruppi si stabilirono a Belgrado, Sofia, Parigi e Lione. Nella capitale serba costruirono addirittura, nel
1929, un tempio buddhista. I Calmucchi rimasti nella Russia sovietizzata dovettero sopportarne la persecuzione che
ebbe il culmine sotto Stalin fra il 1931 e il 1933, con deportazioni e pulizie etniche. Si calcola che vennero uccisi
circa 60.000 di loro e che furono deportati i capi religiosi e bruciati tutti i libri sacri. In seguito, invasa l’Unione
Sovietica, il ministro nazista della Propaganda, Goebbels, invitò a Berlino numerosi rappresentanti delle comunità
calmucche sparse in Europa. Nessuno di essi venne mai sottoposto a misure restrittive da parte dei Tedeschi che
desideravano il loro appoggio contro i Russi. Fu organizzato un Comitato di Liberazione, un giornale in lingua e
persino una stazione radio. Quando nel 1942 la XVI Panzer Division del feldmaresciallo von Mannstein entrò in
Calmucchia, vi erano anche tre membri del Comitato di Liberazione ed un cospicuo numero di calmucchi armati,
inquadrati nell’esercito tedesco. I residenti accolsero con gioia i Tedeschi e grazie a loro poterono ripristinare le
antiche usanze religiose e civili. Tuttavia la ritrovata libertà durò poco; nello stesso anno i Russi si ripresero il
territorio e cancellarono tutto ciò che era stato fatto durante l’occupazione tedesca. Circa 5000 calmucchi maschi
decisero di seguire i Tedeschi in ritirata per combattere al loro fianco, nel costituito Corpo Volontario di Cavalleria
Calmucca. Coloro che rimasero vennero dichiarati da Stalin Collaborazionisti e deportati tutti in Siberia. Poterono
far ritorno solo sotto Khrushev, tra il 1957 e il 1960. Nel 1944 i Calmucchi della comunità di Belgrado, quella più
numerosa, per scampare all’invasione russa si erano rifugiati a Monaco di Baviera. Dei combattenti del Corpo di
cavalleria invece, circa 2000 si stabilirono in Slesia e i rimanenti a Zagabria, dove combatterono contro i partigiani
di Tito. I sopravvissuti alla guerra vennero rilasciati dai campi di prigionia occidentale nel 1951 e si stabilirono a
Monaco di Baviera. La Fondazione Anna Tolstoj riuscì poi a farli emigrare negli Stati Uniti. Gli altri furono deportati
in Siberia. Ben pochi di loro si trovavano quindi a Berlino negli ultimi giorni di guerra e, in ogni caso, l’unico
elemento che li poteva accumunare con gli inesistenti soldati tibetani favoleggiati da Pauwels e Bergier fu la
religione lamaista tibetana.

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Zsuzsanna Várhelyi
THE RELIGION OF SENATORS IN THE ROMAN EMPIRE
Cambridge University Press, 2015

Questo libro esamina la connessione tra potere religioso e politico nell'impero pagano romano mediante studio della
religione senatoriale. Offrendo una nuova raccolta di evidenze storiche, epigrafiche, prosopografiche e materiali,
l'autrice ritiene che così come Augusto ri rivolse alla religione per legittimare i suoi poteri, anche i senatori
negoziarono i loro e quelli dell'imperatore, almeno in parte in termini religiosi. A Roma, i membri del Senato e il
sacerdozio senatoriale cercarono di conservare il loro potere religioso; in tutto l'impero i senatori definirono i loro
poteri magistraturali seguendo l'esempio degli imperatori e collegandolo alla pietas sacrificale e alle elargizioni. La
crescente partecipazione e i cambiamenti dei senatori confermano la profonda capacità della religione imperiale di
attrarre gli aspetti normativi, simbolici e immaginifici della vita religiosa dei senatori.
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Vittorio Fincati: GLI ADORATORI DELL'ARCANGELO cronistoria degli Yezidi

Michele Membrè - Ambrosio Bembo - Charles Chaulmer - Pietro della Valle - Marchese di Nointel - Cornelio Magni
- Michel Febvre - abate De Choisy - padre Desmoulins - Thomas Hyde - Leandro di Santa Cecilia - Bourguignon d’
Anville - Carsten Niebuhr - Domenico Sestini - Guillaume Antoine Olivier - Maurizio Garzoni - Joseph Rousseau -
Giuseppe Campanile - David D'Beth Hillel - Claudius James Rich - James Silk Buckingham - Joseph von Hammer -
Pierre- César Briand - François Emmanuel Foderé - James Justinian Morier - Frederick Forbes - Horatio Southgate -
Helmuth von Moltke - Asahel Grant - James Baillie Fraser - Baptistin Poujoulat - Henri Augu - Austen Henry Layard
- Hormuzd Rassam - George Percy Badger - August Franz von Haxthausend - William Francis Ainsworth - Jules
Oppert - Pierre Martin - Gougenot de Mousseaux - Lycklama à Nijeholt - Elena Petrovna Blavatsky - Nicolas Siouffi
- Pierre-Gonzales Duval - Alpheus N. Andrus - Joachim Menant - Isabella Bird - Karl May - Jules Leclercq -
Édouard de Kovalevsky - Charles de Gerstenberg - Oswald Hutton Parry - Samuele Giamil - Paul Perdrizet -
Gertrude Bell - William Ainger Wigram - Ely Banister Soane - Joseph Isya - Anastas Al-Karmali - Hurmizd
Alphonse Mingana - E.A. Wallis Budge - Max Karl Tilke - Maurice Barrès - William Buehler Seabrook - Bullettin
périodique de la presse russe - H.P. Lovecraft - Robert Howard - Aleister Crowley - Gustav Meyrink - R. H.
Woolnough Empson - Giuseppe Furlani - Michelangelo Guidi - Jean Marquès- Rivière - Léon Krajewski - René
Guénon - Roger Lescot - Ethel Stefana Stevens - Louis Massignon - Cecil John Edmonds - Taufiq Wahby - John
Bennett - Serge Hutin - Anton Szandor Lavey - Birgül Açikyildiz - Louis de Maistre.
TESTIMONIANZE GRECHE di Senofonte (400 a.C.) e Strabone (80 a.C.) - GLI YAZIDITI, ADORATORI DEL
SOLE di Gregorius Barhebraeus (540 d.C.) - GLI ADORATORI DI YAZD di Toma bar Ya'qubh (840) -
ABITUDINI DI VITA, COSTUMI, INCLINAZIONI, RELIGIONE, SUPERSTIZIONI E PRATICHE RIDICOLE
DEGLI YEZIDI di Michel Febvre (1682) - GLI ADORATORI DEL CANE NERO di Thomas Hyde (1700) -
COSTUMANZE DEGLI JESIDI RITENUTI ADORATORI DEL DIAVOLO di Carsten Niebuhr (1780) - DELLA
SETTA DEGLI JAZIDJ di Maurizio Garzoni (1807) - DEGLI JAZIDJ di Giuseppe Campanile (1818) - INNO AD
ARIMANE di Giacomo Leopardi (1833) - GLI YEZIDI, FAMOSI ADORATORI DEL DIAVOLO di Asahel Grant
(1841) - ORIGINE PERSIANA DEGLI YEZIDI di James Baillie Fraser (1842) - UN POPOLO CHE ADORA IL
DIAVOLO di Baptistin Poujoulat (1848) - VISITA AGLI YEZIDI di Austen Henry Layard (1855) - YEZIDI,
ADORATORI DEL DEMONIO di Marie-Augustin Rose (1861) - GLI YEZIDI, SCIAMANI O SAMANISTI di
Pierre Martin (1867) - BREVE CONVERSAZIONE COL CAPO DELLA SETTA DEGLI YEZIDI, ADORATORI
DEL DIAVOLO di Nicolas Siouffi (1880) - IL MASSACRO DI DUE RAGAZZE YEZIDE di E. A. Wallis Budge -
TRA LE MONTAGNE DEGLI ADORATORI DEL DIAVOLO di William Buehler Seabrook (1927).
5 - PICCOLO LESSICO SUGLI YEZIDI

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