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PONTIFICIA UNIVERSITÀ GREGORIANA

FACOLTÀ DI TEOLOGIA

Spunti storici e dogmatici attorno al dibattito sul Filioque.


Per una grammatica del dialogo

- elaborato finale del I ciclo -

Studente: DAN PATRASCU


Matricola: 158080
Docente: KRZYSZTOF CHARAMSA

ROMA 2010
Introduzione

La polemica circa il Filioque non si porta oggi avanti solo sul campo
dogmatico, ma anche storico, perché un problema che ha diviso l’Oriente e
l’Occidente da 1500 anni non può essere risolto solo a partire dalle
enunciazioni dogmatiche e dalle discussioni della teologia accademica, ma
richiede una solida comprensione storica del problema, perché nella sua
parte sistematica e linguistica la teologia stessa è frutto della storia.
Lo studio storico di un problema teologico così complesso non è
certamente privo di trappole messeci davanti dai più inconsapevoli
condizionamenti come per esempio la propria sensibilità. La prima trappola
che si mette davanti a chi vuole spiegare oggi l’evoluzione del Filioque è la
predilezione di una sola fonte o di un insieme ristretto di fonti che
corrispondono alla sensibilità di chi li studia. Non è molto difficile cadere
in questa trappola, alla fine semplicemente confessionale, senza accorgersi
che così la verità scientifica emerge sempre di meno. Una seconda trappola
parte dall’osservazione che gli eventi storici non possono essere interpretati
solo alla luce dei non-colori, giudicandoli “positivi” o “negativi”. L’evento
storico come tale non può essere mai solo bianco, o solo nero. Seguendo
questa strada, gli storici diventano dei professionisti delle tesi e delle
antitesi, senza passare, però, a una sintesi della storia.
Queste trappole possono essere evitate solo attraverso l’uso di una
metodologia molto precisa. L’importanza del metodo nel contesto di uno
studio storico della controversia attorno al Filioque è cruciale. Per quanto
riguarda questa ricerca attingeremo ad un metodo storico, descrittivo e
analitico. Ci sforzeremo di riportare i diversi eventi storici in modo più
oggettivo possibile per passare, poi, alla loro analisi critica, vista come un
3
criterio ermeneutico per capire meglio il loro «perché» e il loro contesto
più ampio. La nostra preoccupazione maggiore riguarderà l’oggettività
storica, anche se essa sembra talvolta non più di un’utopia. Per questo,
sarebbe forse più adatto parlare di onestà. Ripercorrendo le principali tappe
dell’evoluzione di questo dogma e dello scontro che il dogma ha generato,
ci sforzeremo di non perdere mai di mira l’onestà intellettuale, cercando di
mantenere l’equilibrio nella consultazione delle fonti e di guardarci dalle
trappole prima menzionate, nel tentativo sincero di dispiegare le facce della
verità storica circa il Filioque.
Un notevole aiuto, in questo senso, emerge già da una strutturazione
della ricerca in quattro capitoli distinti, ognuno dedicato ad un periodo
storico che ha contrassegnato in un modo originale l’evoluzione delle
discussioni circa il Filioque. Partiremo quindi dalle considerazioni sui
primi secoli, includendo le diverse formule dogmatiche e professioni locali
di fede che includono il Filioque, per finire con una panoramica sui concili
di Toledo. Il capitolo successivo tratterà un periodo storico molto
movimentato, ovvero le vicende storiche attorno all’impero di Carlo
Magno e al patriarcato di Fozio, quando i malintesi tra Oriente e Occidente
sono già scivolati in scontri molto duri. Il terzo capitolo sarà dedicato ai
tentativi di unione avvenuti dopo lo scisma, più precisamente durante il
secondo concilio di Lione del 1274 e il concilio di Ferrara-Firenze tra il
1439 e il 1445, mentre l’ultimo capitolo sarà dedicato allo stato attuale
della questione, cercando di offrire un panorama schematico su alcune
odierne impostazioni del problema da parte della teologia cattolica e di
quella ortodossa. Per fare ciò risaliremo più specificamente al pensiero di
tre teologi moderni che hanno contrassegnato la storia della teologia
moderna: Hans Urs von Balthasar, Karl Rahner e Serghei Bulgakov.
4
I limiti di questa ricerca emergono dal fatto che l’oggetto trattato è
ormai un luogo comune, trattato da numerosi teologi e storici, anche se,
tuttavia, una trattazione di così largo respiro non ha ancora portato i frutti
desiderati sul piano pratico, il che significa, comunque, che c’è ancora
spazio per nuovi punti di vista e nuove sfumature sui pareri già emersi. Le
fonti primarie di informazione sono praticamente sparse un po’ ovunque e
l’accesso a loro non è facile, per cui la nostra ricerca si fonderà sulle fonti
di seconda mano, ovvero sulle interpretazioni delle fonti fatte da alcuni
teologi e storici importanti, tratte sia dall’ambiente cattolico che
dall’ambiente ortodosso. Questo limite può essere in parte superato
attraverso una lettura critica dei testi studiati. Ma forse il limite più
importante è collegato all’estensione materiale di questa ricerca, in quanto
un tale argomento può essere difficilmente trattato in modo esaustivo in
poche e così povere parole.
Ma dall’ultima osservazione emerge anche la necessità di ampliare
ed arricchire la presente ricerca con nuove prospettive e nuovi aspetti da
considerare. L’eventuale ampliamento di questa ricerca dovrebbe
considerare anche uno studio patristico approfondito in ciò che riguarda il
tema della processione dello Spirito Santo in Oriente e in Occidente, senza
dare una minore importanza ad un eventuale ampliamento sistematico.
Considerazioni sullo stato attuale del dialogo ufficiale cattolico-ortodosso
sarebbero altrettanto auspicabili.
Non in ultimo luogo, dobbiamo sottolineare che partiamo
sull’itinerario dello studio degli spunti storico-dogmatici attorno al Filioque
con umiltà e con la consapevolezza che in questo ambito ogni nuova
ricerca potrebbe causare più danni che vantaggi, ma la centralità di questo
argomento, nel contesto dei malintesi che esistono ancora oggi tra la Chiesa
5
Cattolica e le Chiese Ortodosse, ci dà il coraggio di affrontare con speranza
quest’argomento.

6
Capitolo I

I dibattiti pacifici

Sia gli storici cattolici che gli storici ortodossi sono generalmente
d’accordo che il Filioque è stato formulato come dogma e aggiunto nei
simboli di fede nella Spagna tra il V e il VI secolo, per combattere l’eresia
ariana promossa vigorosamente dai Visigoti, anche se su questo punto non
esiste una voce univoca. Così, il DTC1 insiste sul fatto che l’inserzione del
Filioque nelle professioni di fede, sia particolari che conciliari, è avvenuta
nel contesto della disputa spagnola. La data di tale inserzione non è chiara
secondo il DTC, che sottolinea da una parte che, nei dibattiti sulla
processione dello Spirito Santo, la Chiesa latina non ha insistito troppo
sull’autorità dei concili di Toledo2.

Sotto un altro punto di vista possiamo osservare un tentativo di


dimostrare che la dottrina agostiniana circa la processione dello Spirito,
abbia avuto una grande eco sin da subito nella teologia di quei tempi e in
questo senso si fa riferimento all’occorrenza del Filioque nei simboli
Quicumque, nella Fides Pelagii papae, nella professione di Vittricio di
Rouen 3 e nella Fides Damasi 4 . Per non partire subito su una strada

1
Dictionnaire de théologie catholique, Libraire Letouzey et Ane, Paris 1924.
2
Cfr. A. PALMIERI, "Filioque" in Dictionnaire de théologie catholique, vol. 3, Libraire
Letouzey et Ane, Paris 1924, 2312.
3
Cfr. L. LADARIA, Il Dio vivo e vero. Il mistero della Trinità, Piemme, Casale
Monferrato, 1999, 398-399.
7
sbagliata, crediamo che sia necessario trattare un po’ più da vicino le
professioni sopra elencate.

I. 1. Il simbolo Quicumque

Il simbolo Quicumque nasce, probabilmente, nella Francia


meridionale di oggi, forse nella regione di Arles, uscendo dalla mano di un
autore ignoto verso gli anni 430-4505, o, addirittura, verso il 5006. Viene
spesso attribuito al patriarca Atanasio o al Papa Atanasio e, per questo, è
chiamato anche pseudo-Atanasiano. Comunque, gli studiosi sono
d’accordo che i testi greci del Quicumque sono una traduzione del testo
latino, per cui non può essere attribuito al patriarca Atanasio. Spesso si
sosteneva che il simbolo Quicumque abbia un’origine spagnola d’indole
antipriscilliana, ma questa tesi oggi non viene più sostenuta7.
In ogni caso, il testo del Quicumque, un simbolo recepito molto bene
anche nell’Oriente, sostiene la processione dello Spirito dal Padre e dal
Figlio usando la formulazione seguente: «Spiritus Sanctus a Patre et Filio,
non factus nec creatus nec genitus sed procedens»8. Non risulta che questa
formulazione abbia causato degli scontri, il che significa che l’idea della
doppia processione non era estranea ai Padri di quel tempo.

4
Cfr. A. PALMIERI, "Filioque"..., 2309.
5
Cfr. L. LADARIA, Il Dio vivo e vero..., 398.
6
Cfr. DH, 75.
7
Cfr. A. PALMIERI, "Filioque"..., 2309.
8
DH, 75.
8
Ma anche il simbolo Quicumque è il frutto di un contesto storico
molto preciso e molto simile al contesto spagnolo, quindi contrassegnato da
un arianesimo fiorente. Il V secolo è caratterizzato dall’irruzione violenta
dei popoli barbari nel territorio della Gallia. Nel 418 tutto pareva muoversi
in favore dell’Impero Romano dell’Occidente perché i popoli barbari erano
stati scacciati e ricondotti nelle loro zone segnate dal limes. Oltre questo,
l’amministrazione romana firmò un patto con il nuovo re dei Visigoti,
Teoderico, secondo il quale una parte di essi risiedenti nella Spagna si sono
insediati nella province di Aquitania Seconda e Narbonese Prima per
aiutare l’esercito romano a combattere gli altri barbari, in cambio di alcune
porzioni di terra che le popolazioni galliche dovettero consegnare agli
ospiti visigoti9.
Tutto è finito, però, in preda ad una grande delusione, perché tra il
430 e il 480 la Gallia diventa il palcoscenico di grandi sconvolgimenti con
delle ripercussioni altrettanto gravi sulla vita politico-religiosa della Gallia.
La situazione trova il suo culmine nel 476, con la scomparsa dell’Impero
Romano d’Occidente, evento storico che nella Gallia mette in moto un
passaggio dal dominio di un imperatore cattolico a quello dei popoli
germanici, alcuni pagani, come i Franchi o Alemanni, o in maggioranza
ariani, come per esempio i Visigoti 10 . Questa nuova situazione politica
porta con sé dei cambiamenti nella vita religiosa delle popolazioni galliche,
come, per esempio, un nuovo modello episcopale fortemente
politicizzato 11, accanto ai più diversi cambiamenti di ordine sociale. Dal
punto di vista giuridico, il cambiamento della situazione politica mette in

9
Cfr. AA. VV., Storia del Cristianesimo, vol. III, Le Chiese d’Oriente e d’Occidente
(432-610), Borla-Città Nuova, Roma 2002, 211.
10
Cfr. Ibid., 210.
11
Cfr. Ibid., 218-223.
9
evidenza la tendenza del vescovo di Arles di proclamare la sua supremazia
sulle altre sedi episcopali 12 . Questo è, dunque, il contesto storico in cui
nasce il simbolo Quicumque, un contesto del tutto simile a quello spagnolo,
perché sia la Spagna che la Gallia dovevano confrontarsi politicamente e
teologicamente con gli stessi Visigoti ariani.

I. 2. La Fides Pelagii Papae

La ricerca storica dei nostri giorni sembra aver dimostrato che la


Fides Pelagii Papae unisce parti della lettera Humani generis e parti della
lettera Vas electionis del Papa Pelagio I, che all’inizio fu accusato di essersi
discostato dalla retta fede a causa di un atteggiamento incostante per ciò
che riguarda la disputa dei «Tre capitoli»13. Sembra che, all’inizio, Pelagio
fosse stato uno dei difensori dei «Tre capitoli», mentre più tardi, quando
Giustiniano gli offri il papato, si mise dalla sua parte 14 . In quello che
riguarda il problema della processione dello Spirito Santo, Pelagio si
esprime così: «qui ex Patre intemporaliter procedens, Patris et Filiique
Spiritus»15.
Comunque, a nostro avviso, questa professione di fede può essere
difficilmente inquadrata come una da cui emerga il Filioque. In un

12
Cfr. Ibid., 224-229.
13
Una serie di scritti condannati nell’545 dall’imperatore bizantino Giustiniano sotto
l’accusa delle tendenze nestoriane. Ai suoi vertici, la Chiesa ha sempre condannato i Tre
capitoli ma ci sono stati dei vescovi favorevoli alla teologia da essi contenuta. Gli scritti
condannati erano: tutti gli scritti di Teodoro di Mopsuestia, gli scritti di Teodoreto di
Cirro contro il patriarca di Alessandria, Cirillo e una lettera di Iba di Edessa a difesa di
Teodoro di Mopsuestia.
14
DH, 440.
15
DH, 441.
10
linguaggio teologico moderno potremmo dire che, nella prima parte della
citazione sopra riportata, Pelagio fa riferimento alla Trinità immanente,
dicendo che lo Spirito procede dal Padre intemporalmente, mentre, nella
seconda parte, si riferisce alla manifestazione economica della Trinità,
sottolineando che lo Spirito è lo Spirito del Padre e del Figlio. Certamente,
sappiamo bene che secondo l’assioma fondamentale di Karl Rahner «la
Trinità immanente è la Trinità economica e viceversa»16; ma questo non
vuol dire che la Trinità immanente si esaurisca completamente nella Trinità
economica, o che si perfezioni attraverso la manifestazione economica17.
Allora, pur salvaguardando l’identità tra la Trinità immanente e la Trinità
economica, possiamo affermare che la formulazione di Pelagio è
indirizzata a sottolineare la monarchia del Padre, in un primo momento, per
soffermarsi, poi, sull’aspetto pericoretico della Trinità.
Infine, il fatto che l’affermazione di Pelagio possa essere
difficilmente intesa come un’evidenziazione del Filioque, può essere
dimostrato attraverso un semplice confronto con l’affermazione del
Quicumque. Da una parte, Pelagio afferma che «qui ex Patre
intemporaliter procedens, Patris et Filiique Spiritus», mentre il Quicumque
si esprime così: «Spiritus Sanctus a Patre et Filio, non factus nec creatus
nec genitus sed procedens». Riteniamo come un fatto chiarissimo che
questi due testi riportino delle sfumature ben diverse.

16
K RAHNER, "Il Dio Trino come fondamento originario e trascendentale della storia
della salvezza", in Mysterium salutis 3, Queriniana, Brescia 1969, 414; L. LADARIA, Il
Dio vivo e vero..., 36.
17
Cfr. L. LADARIA, Il Dio vivo e vero..., 50.
11
I. 3. Vittricio di Rouen e la Fides Damasi

La formula del Filioque appare anche nella confessione di fede di


Vittricio di Rouen, discepolo di Ambrogio, verso la fine del quarto
secolo18.
Secondo Palmieri 19 , la professione privata di fede più antica che
include il Filioque sarebbe la così detta Fides Damasi. I dibattiti sono però
molto accesi sull’autenticità di questo testo. Per Karl Künstle la formula
“ex patre Filioque” non sarebbe di san Damaso, ma di un sinodo
antipriscilliano, quindi di origine spagnola20. Confrontando questi diversi
punti di vista possiamo concludere che è molto difficile arrivare a delle
conclusioni definitive ed accettate in modo univoco da tutti gli studiosi del
Filioque. Sarebbero auspicabile, quindi, ulteriore chiarificazioni storiche al
riguardo del simboli Quicumque e della Fides Damasi, che possono
emergere solo dallo studio sulle fonti più antiche.

I. 4. I concili di Toledo

Per ciò che riguarda l’inserzione del Filioque nel Credo niceno-
constantinopolitano e nelle professioni conciliari di fede si è d’accordo che
questo fatto sia avvenuto in Spagna nel terzo concilio di Toledo nell’58921.
Solo a partire da questa data l’inserzione del Filioque è storicamente
provata. Il terzo canone del concilio pronuncia l’anatema a chi rifiuta di

18
Cfr. Ibid., 399.
19
Cfr. A. PALMIERI, "Filioque"..., 2309.
20
Cfr. Ibid., 2309.
21
Cfr. L. LADARIA, Il Dio vivo e vero..., 399.
12
credere che la processione dello Spirito avviene dal Padre e dal Figlio. Un
aspetto di una certa curiosità è il fatto che i Padri conciliari di Toledo usano
una formula che lascia intravvedere che essi si sentivano in continuità con i
Padri conciliari di Nicea e Costantinopoli22.
Nel quadro dello stesso terzo concilio di Toledo, il re Reccaredo,
prima ariano, pronuncia una professione di fede che include anch’essa il
Filioque: «Spiritus aeque Sanctus confitendus a nobis et praedicandus est a
Patre et a Filio procedere et cum Patre et Filio unius esse substantiae»23.
L’impronta antiariana di questa affermazione è chiarissima, perché si
sottolinea fortemente la consustanzialità del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo24. Questo atteggiamento antiariano è molto comprensibile visto che
la Spagna era ormai dominata dai visigoti ariani. Probabilmente, per questo
motivo, l’Oriente non ha accusato mai di eresia i sinodi di Toledo. Il
Filioque, come atteggiamento antiariano, non è stato uno scandalo nella
Chiesa. Lo è diventato solo due secoli più tardi25, quando Carlo Magno ha
trovato nel Filioque un buon argomento teologico a favore della sua
politica verso l’Impero Romano d’Oriente. Ma su tutto questo ci
soffermeremo più avanti, dopo aver chiarito anche altri aspetti circa i
concili di Toledo.
Come abbiamo già sottolineato, nel terzo concilio di Toledo abbiamo
la prova storicamente indubitabile dell’inserzione del Filioque nel Credo e
nelle professioni di fede conciliari. Tuttavia, può darsi che una tale
inserzione sia avvenuta anche nei concili anteriori, però, data la mancanza

22
Cfr. A. PALMIERI, "Filioque"..., 2311.
23
DH, 470.
24
Cfr. L. LADARIA, Il Dio vivo e vero..., 399.
25
B. MARTHALER, The Creed. The Apostolic Faith in Contemporary Theology, Twenty-
Third, Mystic 1993, 248.
13
di fonti storiche sicure per quel periodo, tutto rimane solo nel campo delle
supposizioni. Comunque sia, vale la pena di elencare le diverse formule
attribuite genericamente ai concili di Toledo.
Nel 400 si è svolto il primo concilio di Toledo e la formula Filioque
sembra che sia stata utilizzata già da allora. Infatti, nel Symbolum
Toletanum I leggiamo l’affermazione seguente: «Spiritum quoque
Paracletum esse, qui nec Pater sit ipse, nec Filius, sed a Patre Filioque
procedens» 26 . Recentemente gli studiosi mettono in dubbio il fatto che
questa formulazione sia di quel concilio 27 , in quanto intere parti del
Symbolum Toletanum I sembrano essere state aggiunte nel 467.
Il IV concilio di Toledo si è riunito nel 633 sotto la guida di Isidoro
di Siviglia, che ha dato il suo contributo maggiore per la riunificazione
politico-religiosa della Spagna, cominciata con la conversione del re
Reccaredo nel III concilio di Toledo. Dal punto di vista del nostro interesse
per la formulazione del Filioque, va detto che il IV concilio di Toledo
rafforza la formula dottrinale usata dal re Reccaredo, affermando che lo
Spirito Santo non è creato e nemmeno generato, ma procede dal Padre e dal
Figlio28.
Nel 638 ha luogo il VI concilio di Toledo che sottolinea nuovamente
il Filioque, affermando: «Spiritum verum Sanctum neque genitum neque
creatum, sed de Patre Filioque procedentem utriusque esse Spiritum»29.
Più tardi, nella seconda metà del VII secolo, possiamo notare un
cambiamento notevole nelle professioni di fede dei successivi concili di
Toledo. Molto interessante in questo senso è la professione di fede del XI

26
DH, 188.
27
Cfr. A. PALMIERI, "Filioque"..., 2310.
28
Cfr. L. LADARIA, Il Dio vivo e vero..., 399.
29
DH, 490.
14
concilio di Toledo del 672-676, che, nel secondo articolo, sottolinea il fatto
che il Padre è la fonte e l’origine di tutta la divinità. In questa prospettiva si
afferma che «ex quo et Filius nativitatem et Spiritus Sanctus processionem
accepit»30. Quindi, allorché il concilio parla del Padre come fonte unica
della divinità, si afferma che lo Spirito Santo procede dal Padre, senza
menzionare il ruolo del Figlio nella processione dello Spirito. Quando
invece nell’articolo 10 si parla espressamente dello Spirito Santo, si
afferma che non è generato, neanche creato, ma che procede da ambedue ed
è Spirito di ambedue31. Abbiamo qui una visione molto più sviluppata della
processione dello Spirito Santo, che va d’accordo con la teologia orientale,
la quale si sforza a salvaguardare la monarchia del Padre, affermando che
lo Spirito Santo proceda dal Padre per il Figlio. La differenza che si può
osservare tra le due formulazioni è dovuta solamente all’impossibilità della
lingua latina di tradurre alcuni termini greci, ma su questo aspetto ci
soffermeremo in seguito. Concettualmente le due posizioni sono
praticamente uguali.
Quando il secolo sta ormai per finire, nel 693 si apre a Toledo il XVI
concilio, che rinforza la fede espressa nel concilio del 672-676, usando
quasi la stessa formulazione32. L’unica differenza risiede nel fatto che nella
professione di fede del XVI concilio, le due dimensioni delle formulazioni
anteriori vengono riunite in un unico articolo, dove si enuncia,
contemporaneamente, la monarchia del Padre e la processione dal Padre e
dal Figlio.

30
DH, 525.
31
DH, 527.
32
DH, 568.
15
I concili di Toledo sono la testimonianza di una Spagna che vive è
supera una seconda grande crisi ariana nella sua storia, per inquadrarsi poi
su un camino fiorente che giunge al culmine con l’unificazione religiosa e
politica delle diverse popolazioni. Nell’arco di tempo tracciato dai concili
di Toledo, nella storia spagnola si possono distinguere due periodi 33 . Il
primo periodo è contrassegnato dalle azioni politiche del re visigoto
Leovigildo, che tenta di realizzare invano un’unione religiosa sotto
l’"ombrello" dell’arianesimo. Dato il suo fallimento, il successore,
Reccaredo, abbraccia l’ortodossia della fede, coronando la fine del primo
periodo con la sua professione di fede pronunciata nel terzo concilio di
Toledo, nel 589. Il secondo periodo, invece, culmina nella nascita della
Chiesa particolare spagnola, che ha come artefice il vescovo Isidoro di
Siviglia e che si concretizza nel IV concilio di Toledo, il cosìddetto
concilio costituente del nuovo regno34.
Con queste considerazioni abbiamo concluso la prima parte del
nostro itinerario, che ci consentirà di fissare il quadro storico di un
problema teologico, che si è trasformato man mano in un dibattito acceso
per diventare, alla fine, un vero e proprio scontro che ha sconvolto e che
divide la Chiesa di Cristo.

33
Cfr. AA. VV., Storia del Cristianesimo..., 743.
34
Cfr. Ibid., 744.
16
Capitolo II

Dalla pace allo spirito di lotta

Come abbiamo visto, l’inserzione del Filioque nel Credo niceno-


costantinopolitano e nelle professioni di fede conciliari avvenute a Toledo
non ha ancora causato un dibattito troppo acceso tra teologi occidentali ed
orientali. La situazione cambia, però, lentamente, quando il concetto
teologico del Filioque comincia ad essere strumentalizzato da diverse
persone per scopi politici. Gli storici cattolici possono difficilmente negare
che Carlo Magno ha fatto del Filioque una vicenda personale35, mentre i
teologi ortodossi non esitano a sottolineare in ogni occasione questo
aspetto; essi, infatti, affermano che Carlo Magno si è fatto promotore del
Filioque, seguendo scopi politici indirizzati contro l’Impero Romano
d’Oriente 36 . Per capire meglio il dispiegarsi di queste vicende, conviene
andare passo per passo attraverso gli anni fino alla controversia foziana.

II. 1. Le vicende attorno al Sinodo Lateranense del 649

Siamo nel 649, una ventina d’anni prima del XI concilio di Toledo,
dove si è affermato che il Padre è la fonte della divinità nella Trinità. In
quel tempo, la Chiesa sta faticando per combattere i monoteliti, che hanno

35
Cfr. B. MARTHALER, The Creed..., 248-250.
36
Cfr. P. EVDOKIMOV, Ortodoxia, Institutul Biblic si de Misiune al Bisericii Ortodoxe
Romane, Bucuresti 1996, 151.
17
messo radici sia in Occidente che in Oriente. Il Papa convoca un sinodo a
Roma, che fu indetto contro i monoteliti. In quel sinodo il Credo fu letto
senza il Filioque, ma i gruppi monoteliti di Costantinopoli accusarono il
Papa Martino I di aver accettato la dottrina circa il Filioque37, un’accusa
riconosciuta come falsa anche da parte di un teologo ortodosso come S.
Bulgakov. A causa di questi malintesi, Massimo il Confessore manda una
lettera a Marino di Cipro, cercando di riabilitare il Papa e di interpretare il
pensiero occidentale in uno spirito orientale38.
Nascono così delle considerazioni sulle quali la teologia cattolica
punterà moltissimo nel XX secolo. Rispondendo ad alcune delle
preoccupazioni dei teologi bizantini, Massimo il Confessore cerca di
legittimare la formulazione occidentale ricorrendo ad alcune osservazioni
di tipo linguistico. Così, Massimo il Confessore distingue tra
39
ἐκπορεύεσθαι e προείναι , dove l’ἐκπορεύεσθαι significa la
processione dal Padre come da una sola fonte, considerando, quindi, il
Padre come principio causale dello Spirito. Secondo Massimo il
Confessore, questa parola viene attribuita anche dai latini solo al Padre,
mentre quando essi usano il Filioque, fanno ricorso alla traduzione latina
del termine προείναι. Certamente, a Massimo il Confessore non gli è
mancata la buona volontà, che trovava delle corrispondenze anche nel
pensiero reale dei latini, e pensiamo subito al XI concilio di Toledo, dove si
fa appunto questa distinzione. Ma, a lungo termine, sembra che gli
occidentali si sforzino contraddire Massimo il Confessore, rendendo vani i
suoi tentativi di conciliare Oriente ed Occidente, perché nel 680 in un

37
Cfr. S. BULGAKOV, Le Paraclet, Aubier, Paris 1946, 98.
38
Cfr. Ibid., 98.
39
Cfr. L. LADARIA, Il Dio vivo e vero..., 399.
18
sinodo tenuto nell’Inghilterra, a Hartfield, si ritenne che lo Spirito procede
dal Padre e dal Figlio “inenarrabiliter”, pensiero rinforzato anche dal
sinodo di Gentilly del 767, dove si affermò, per esempio, che lo Spirito
Santo procedesse dal Padre e dal Figlio allo stesso modo40.
Seguendo la scia di Massimo il Confessore, molti teologi cattolici
cercano di evidenziare la complementarietà della formula greca e di quella
latina 41 . In questo contesto basta ricordare Piero Coda, che facendo
un’analisi dettagliata del pensiero orientale e di quello occidentale,
sottolinea che l’ἐκπορεύεσθαι greco e il termine latino «processio» non
sono affatto termini sinonimi, ma disegnano due aspetti ben distinti42.
Come abbiamo visto, alcune definizioni sinodali occidentali fanno sì
che l’approccio al problema del Filioque, alla luce di quanto affermato da
Massimo il Confessore, diventi poco sostenibile, anche se, allo stadio
attuale della ricerca teologica cattolica, un tale approccio non è certamente
privo di consistenza teologica. Per aprire un dialogo onesto sull’aspetto
linguistico è, però, necessario che la parte ortodossa rinunci alla diffidenza
nei confronti delle ultime conquiste fatte dalla teologia cattolica.

II. 2. L’epoca di Carlo Magno

Come abbiamo già accennato, Carlo Magno ha avuto delle ambizioni


grandissime e, volendo estendere la sua autorità anche all’Impero Romano
d’Oriente, ha utilizzato per questo scopo anche la lotta teologica circa il

40
Cfr. Ibid., 400.
41
Cfr. Ibid., 403.
42
Cfr. P. CODA, Dio uno e trino. Rivelazione, esperienza e teologia di Dio dei cristiani,
Paoline, Milano 1993, 183-191.
19
Filioque. La dottrina del Filioque arriva a Carlo Magno attraverso le
insistenze di Alcuino di York43, e diventa da subito un cavallo di battaglia.
Il primo scontro abbastanza duro tra l’orgoglio dell’imperatore e
l’equilibrio del Papa, trova la sua radice nel II concilio di Nicea. Come
pretesto per la polemica viene utilizzata la professione di fede del Patriarca
Tarasio, che usa la formula «per filium», una formula abbastanza ricorrente
nel pensiero dei Padri. A Roma fu accettata come una concezione ortodossa,
ma nella cerchia di Carlo Magno essa non fu accolta senza opposizione,
come dimostra S. Bulgakov, utilizzando una citazione dai Libri carolini:
«ex patre et ex Filio Spiritum Sanctum procedentem, non ex Patre per
Filium procedere recte creditur»44.
I Libri Carolini sono, infatti, un vero e proprio pamflet contro il
secondo concilio di Nicea e la professione di fede di Tarasio, che usa la
formulazione per Filium 45. I testi inclusi nei Libri carolini accusano, tra
l’altro, i Greci di aver soppresso il Filioque dal Credo46. Comunque le fonti
cattoliche insistono sul fatto che i libri carolini fossero stati il risultato di un
fraintendimento linguistico, dovuto ad una traduzione meno felice dal
greco degli atti del concilio47. Comunque, il Papa Adriano I difende sin da
subito l’ortodossia della fede di Tarasi o, rifiutandosi di condannare il
settimo concilio ecumenico48. Nel 794, Carlo Magno convocò un concilio a
Francoforte, che fu indetto contro gli adoziani, ma anche per condannare il
secondo concilio di Nicea 49 o addirittura per scomunicare il patriarca

43
Cfr. L. LADARIA, Il Dio vivo e vero..., 400.
44
Cfr. S. BULGAKOV, Le Paraclet..., 99.
45
Cfr. A. PALMIERI, "Filioque"..., 2313.
46
Cfr. B. MARTHALER, The Creed..., 250.
47
Cfr. DH, 341.
48
Cfr. A. PALMIERI, "Filioque"..., 2313.
49
Cfr. L. LADARIA, Il Dio vivo e vero..., 400.
20
greco50. Ben prima della convocazione del sinodo di Francoforte, Adriano I
si mette a scrivere una lunga lettera a Carlo Magno per spiegare i
fraintendimenti linguistici nella traduzione latina degli atti. Purtroppo le
sue spiegazioni arrivano tropo tardi e il sinodo di Francoforte condanna il II
concilio ecumenico di Nicea. Papa Andriano I muore un’anno dopo, nel
795.
Nel 796 la discussione circa il Filioque viene ricondotta al problema
circa l’inviolabilità formale del Credo niceno-costantinopolitano. In questo
anno, Paolino, patriarca di Aquileia, convoca un sinodo che sottolinea
l’inviolabilità degli articoli del Credo elaborato a Nicea e Costantinopoli e
che questo deve rimanere intatto. I teologi latini riconoscono senza
discussione questo principio di base, ma, generalmente, si pensa che il
sinodo si riferisce all’alterazione del depositum fidei e il Filioque era inteso
come una parte integrante del depositum. Dall’altra parte, i teologi greci
invocano il fatto che gli atti fossero stati travisati e falsati 51 . Quindi,
possiamo osservare che nell’atteggiamento dei teologi greci subentra già
una specie di diffidenza e di sospetto di fronte ai loro colleghi latini.
Comunque sia, il sinodo di Aquileia non introduce una cosa nuova nel
procedimento teologico, ma sottolinea quello che era già stato definito nella
VI sessione del Concilio di Efeso del 431, quando i cirilliani stabilirono che
nessuno può proporre o formulare una fede diversa da quella espressa a
Nicea 52 . In greco si usano i termini τέραν πιστιν che significano,
letteralmente «un’altra fede», facendo quindi riferimento alla fede come
contenuto dogmatico e non alla fede come formulazione conciliare. Gli

50
Cfr. P. EVDOKIMOV, Ortodoxia..., 151.
51
Cfr. A. PALMIERI, "Filioque"..., 2314.
52
Cfr. DH, 265.
21
ortodossi sostengono oggi che le parole del concilio di Efeso si riferiscono
anche alla forma del Credo, basando su questo aspetto la loro lotta anti-
filioquista, perché solo una tale interpretazione può convalidare il loro
atteggiamento di ritenere l’aggiunta del Filioque come un’eresia. Di nuovo,
per superare queste difficoltà sarebbe necessario molto buon senso da
ambedue le parti e una ricerca più profonda su ciò che volevano dire
veramente i Padri di Efeso.
Un’altro momento di notevole importanza fu durante il pontificato
del Papa Leone III (795-816), successore di Adriano I. Il califfo Haroun al-
Rashid ha concesso a Carlo Magno la sovranità su Gerusalemme, dove
c’erano anche dei monasteri franchi. L’abate del monastero San Saba,
Eginardo, ha fatto una visita alla corte di Carlo Magno, rimanendo colpito
dal fatto che li si recitava il Credo con l’aggiunta del Filioque. Tornato nel
suo monastero, Eginardo scrive al Papa Leone III per chiedere una
posizione ufficiale della Chiesa in questa vicenda. La risposta di Leone III
non tarda e giunge subito una lettera nella quale, pur difendendo la dottrina
del Filioque, vieta d’introdurre l’aggiunta nel Credo. Eginardo notifica
subito a Carlo Magno la risposta di Leone III. Vedendo l’intransigenza del
Papa, Carlo Magno cerca di giustificare l’aggiunta. In questo senso, Carlo
Magno delega il monaco Teodolfo d’Orleans a fare una raccolta dei testi a
favore del Filioque, per convocare poi un sinodo a Aix-la-Chapelle
(Aachen/Aquisgrana) nel 809 con la mira di convincere il Papa ad
introdurre il Filioque nel Credo 53 . Leone III si rifiutò comunque di
aggiungere il Filioque nel Credo e fece incidere due placche con il credo,
in greco e in latino, senza l’aggiunta del Filioque. E le cose rimangono così

53
Cfr. A. PALMIERI, "Filioque"..., 2314.
22
fino all’anno 1014, quando Enrico II fu incoronato imperatore. In
quell’occasione si introdusse il Credo nella Messa insieme con l’aggiunta
ormai diventata molto popolare nella chiesa occidentale54.
L’atteggiamento dei Papi Adriano I e Leone III resta comunque di
un’importanza senza equivoco, riconosciuta anche da parte di Fozio, che
elogia i Papi che non hanno voluto introdurre il Filioque nel Credo,
considerando il rifiuto come una disapprovazione del Filioque come
dogma55. Questa posizione è parzialmente erronea perché, come abbiamo
visto, Leone III riconosceva la validità teologica del Filioque, rifiutandosi
solo di aggiungere la clausola nel testo del Credo niceno. Per questo motivo,
in una lettera indirizzata al patriarca di Aquileia, Fozio elogia Leone III
come difensore dell’ortodossia della fede56.
Giunti a questo punto, siamo arrivati ad un’altra tappa importante per
l’evoluzione del dibattito circa il Filioque, cioè l’epoca di Fozio, che vale
la pena studiare più da vicino.

II. 3. Le tensioni aumentano. Il patriarcato di Fozio

Arriviamo dunque a un momento della storia quando le divergenze


dogmatiche tra Oriente e Occidente sembrano ormai insuperabili. Le
vicende politiche corrompono la discussione teologica in una tale misura da
non lasciare più spazio all’autentico spirito cristiano. Tutto il contesto
storico rende Fozio più anti-cattolico che ortodosso. Fozio elude la
posizione dei Padri, perché tratta il problema della processione in una
54
Cfr. L. LADARIA, Il Dio vivo e vero..., 400.
55
Cfr. J. MAYENDORFF, Initiation a la thèologie..., 83.
56
Cfr. A. PALMIERI, "Filioque"..., 2318.
23
prospettiva esclusivamente causale, cosa che era ben lontana dalla teologia
dei Padri57. Per il suo atteggiamento, Fozio viene scomunicato per un breve
periodo, e per questo la storiografia cattolica parla dello scisma di Fozio,
mentre la parte ortodossa non ha mai accettato questa prospettiva,
affermando che Fozio è stato sempre dalla parte della retta fede. Comunque
sia, Fozio è stato una figura molto complessa e un punto di riferimento per i
bizantini di quel tempo, anche se, essendo molto attratto dalle insidie
politiche, sembra talvolta essere più un politico che un pastore.
Sotto l’imperatore bizantino Michele III, nell’impero s’impone
sempre di più la figura di Bardas, il fratello dell’imperatrice Teodora,
quindi zio dell’imperatore stesso, per cui fu nominato primo ministro. In
questa qualità, Bardas proseguì l’opera del suo predecessore Teoctisto,
organizzando un sistema d’insegnamento di un’altissima qualità e mettendo
le basi di un’accademia. Fozio era uno dei docenti più illustri
dell’accademia aperta da Bardas. A parte la sua grande intelligenza, Fozio
era anche nipote del patriarca Tarasio e, attraverso le alleanze familiari, un
membro della famiglia imperiale 58 . Corroborando questi aspetti, Fozio
divenne un personaggio di altissima influenza presso la corte imperiale.
Ma torniamo a Bardas, che era un uomo politico molto crudele e
perfido, che non smise mai di fondare il suo potere crescente sui ricatti e su
insidie politiche. Bardas corrompe senza rimorsi l’imperatore Michele III e
non esita neppure la perseguitare la sua sorella, l’imperatrice Teodora.
Inoltre, Bardas conduceva una vita abbastanza edonista, non dicendo mai di
"no" ai fascini delle donne, anche se erano sue parenti. Infatti, scatta così il

57
Cfr. S. BULGAKOV, Le Paraclet..., 102.
58
Cfr. C. LAGIER, L’Orient Chrètien. De Photius a l’empire latin de Constantinople,
Bureau de l’œuvre d’Orient, Paris 1950, 3
24
conflitto tra Costantinopoli e Roma, perché il patriarca Ignazio accusa
Bardas di incesto prendendo misure disciplinari drastiche contro di lui59.
Allora cominciò il conflitto.
Ogni volta che un tale conflitto stava per cominciare, i personaggi
importanti dell’impero si schieravano dietro uno dei protagonisti implicati
nello scandalo, a seconda degli interessi che perseguivano. Così anche in
questa circostanza, vi furono alcuni che sostenevano il patriarca Ignazio e
altri che sostenevano Bardas. Tra questi ultimi anche Fozio, che comunque
non era chierico. Seguirono lotte molto forti, che non si portavano solo sul
piano dell’argomentazione razionale, ma anche sul piano fisico, in lotte
interne, insidie, ricatti e ogni altro strumento che poteva servire. Alla fine,
Ignazio è costretto di rinunciare alla sua sede patriarcale, firmando la sua
abdicazione sub conditione che il suo successore sia eletto dallo
schieramento dei suoi seguaci60. Viene eletto Fozio, che certamente non lo
era.
Curiosamente, Fozio era un semplice laico quando l’imperatore
Michele III, sotto la minaccia di Bardas, gli propone la sede patriarcale. In
solo una settimana riceve tutti gli ordini sacri e il giorno di Natale dell’857
viene consacrato vescovo da Gregorio di Asbesta61, vescovo che era stato
scomunicato dal patriarca Ignazio e riabilitato in fretta per la consacrazione
di Fozio. Va notato che una tale pratica era vietata dai canoni bizantini, ma
in quel tempo si pensava che la Chiesa di Costantinopoli fosse sul punto di
soffrire uno scisma, così forte era lo scontro tra gli ignaziani e i seguaci di
Bardas. Di solito, nella concezione orientale, in situazioni eccezionali, per

59
Cfr. Ibid., 4-5.
60
Cfr. C. LAGIER, L’Orient Chrètien..., 5.
61
Cfr. Ibid., 5.
25
economia, si possono fare delle deroghe dalla legge canonica. Così sono
stati eletti anche i patriarchi Paolo III nel 687, Tarasio nel 784 e Niceforo
nel 806. Tutti erano laici al momento della loro nomina62.
Certamente, Ignazio si vedeva in una situazione senza uscita. Aveva
firmato la sua abdicazione con la condizione che il suo successore fosse
eletto dai suoi seguaci, condizione che Bardas e Michele III non
rispettarono. Per di più, al suo posto fu nominato un personaggio molto
colto, ma troppo controverso, che non era nemmeno chierico. A causa di
questi fatti, Ignazio si rivolse al Papa Nicolò I. Comunque, a questo punto,
è difficile stabilire se Ignazio si sia rivolto direttamente al Papa. Sembra
piuttosto che Fozio avesse mandato a Roma dei legati per invitare il Papa al
concilio previsto per l’861 a Constantinopoli. In questa occasione, il Papa
avrebbe dovuto pronunciarsi come corte d’appello in quello che riguarda la
deposizione di Ignazio e la riabilitazione dei seguaci di Asbesta 63 .
Comunque sia, alla fine, il sinodo di Costantinopoli ha dichiarato Fozio
come patriarca legittimo, anche se i legati del Papa si sono probabilmente
opposti. Solo così si può spiegare il fatto che già nell’862, quindi subito
dopo il rientro a Roma dei legati, Papa Nicolò I manda una lettera circolare
a tutti i vescovi orientali, sottolineando che Roma si oppone alla
deposizione di Ignazio e condanna l’usurpazione 64 . Siccome la voce di
Roma è stata ignorata a Costantinopoli, nell’863 Nicolò I convoca a Roma
un sinodo locale condannando Fozio e pronunciando la scomunica in caso
che questi non rinunciasse alla sede patriarcale65. In risposta, anche Fozio
pronuncia una scomunica indirizzata al Papa e così si produce il primo

62
Cfr. F. DVORNIK, Le schisme du Photius. Histoire et Lègende, Cerf, Paris 1950, 92.
63
Cfr. Ibid., 116-143.
64
Cfr. C. LAGIER, L’Orient Chrètien..., 6.
65
Cfr. Ibid., 7.
26
scisma tra Oriente e Occidente, scisma che dura fino all’867, quando
muoiono sia il Papa che l’imperatore Michele III. A loro succedono
l’imperatore Basilio e il Papa Adriano II. Il nuovo imperatore depone Fozio
e ristabilisce Ignazio66.
Ma l’abisso che si è istaurato tra Fozio e Roma non è solo dovuto
alla posizione del Papa Nicolò I per ciò che riguarda Ignazio, ma anche a
delle vicende politiche esterne concernenti la cristianizzazione del popolo
bulgaro.
Nel IX secolo i Bulgari divennero una nazione molto potente e, dopo
numerose battaglie tra i Bulgari e l’Impero Bizantino, quest’ultimo fu
costretto a concludere una pace della durata di 30 anni. In questo clima, il
re bulgaro Boris si vedeva immerso in un contesto cristiano, confinando il
loro regno con il Sacro Impero Romano di Nazione Tedesca e con l’Impero
Bizantino. Considerando il paganesimo come un atteggiamento barbaro,
Boris scelse di convertirsi al cristianesimo. Subentrò però subito un
problema. Sotto quale giurisdizione dovrebbero essere inclusi i Bulgari e
quale rito adottare? Viste le recenti guerre con l’Impero Bizantino, il re
Boris mandò dei legati al Papa Nicolò I per discutere la sua conversione
nell’862, l’anno in cui lo stesso Papa mandò la summenzionata lettera
circolare67.
Nel frattempo, Fozio mandò una delegazione alla corte del re Boris
che lo convinse a battezzarsi in rito orientale ed entrare sotto la
giurisdizione di Costantinopoli. Così, Boris fu battezzato, svolgendo il
ruolo di padrino l’imperatore Michele III. Ma, il re Boris era cosciente
della potenza del suo regno e chiese una totale indipendenza ecclesiastica,

66
Cfr. Ibid., 7-9.
67
Cfr. Ibid., 21.
27
richiesta che Fozio non fu pronto a soddisfare 68 . Così, Boris mandò di
nuovo a Roma una delegazione che portò a Nicolo I dei doni importanti,
assieme con la richiesta di entrare sotto la sua giurisdizione. Il Papa si senti
lusingato e accettò volentieri, mandando in Bulgaria dei vescovi latini.
Come conseguenza, nell’866 il clero orientale fu espulso dal regno dei
bulgari69. Certamente, il desiderio di autonomia del re bulgaro non sparì,
ma il Papa Nicolò I lo seppe dirimere con saggezza. Nell’867 morì. Nicolò
I e il suo successore, Adriano II, non ebbe la stessa capacità diplomatica del
suo predecessore, negando chiaramente al re bulgaro la soddisfazione dei
suoi desideri. Nel frattempo, morì anche Michele III e il suo successore
Basilio, volle ristabilire le relazioni pacifiche tra Roma e Costantinopoli70.
Allora convocò nell’869-870 un concilio a Constantinopoli che condannò
Fozio e ristabilì Ignazio. In quello che riguarda la disputa bulgara il
problema si risolse mettendo il regno bulgaro sotto la giurisdizione di
Costantinopoli. Questo concilio fu riconosciuto come ecumenico da parte
della Chiesa latina, mentre le Chiese ortodosse negano la sua ecumenicità.
Dopo solo 10 anni, nella politica dell’imperatore Basilio compare
una svolta e Fozio viene riabilitato. Sembra che tra Ignazio e Fozio le
tensioni si siano appiattite, lasciando il posto ad una buona relazione.
Basilio convoca nell’879-880 un nuovo concilio dove Fozio riconquista la
sede patriarcale. Nelle sessioni del concilio sono scoppiate le polemiche
dogmatiche intorno al Filioque e al primato petrino; Fozio poi non accolse
le pretese giurisdizionali del Papa Giovanni VIII 71 . L’abisso pieno di

68
Cfr. Ibid., 21-22.
69
Cfr. Ibid., 22.
70
Cfr. F. DVORNIK, Le schisme du Photius..., 196-229.
71
Cfr. Ibid., 230-285.
28
orgoglio si istaura di nuovo tra Roma e Costantinopoli, e Fozio diventa un
fervente anti-occidentale.
Negli anni successivi, Fozio scrive il suo celebre Trattato
mistagogico sullo Spirito Santo nel quale nega violentemente il Filioque.
Da riconoscere, però, che Fozio non si schierava contro i Papi in generale,
perché difendeva quelli che si erano opposti all’introduzione del Filoque
nel Credo, come per esempio Leone III. Però la sua argomentazione soffre
moltissimo a causa del fatto che non aveva letto le opere dei Padri latini a
proposito e scrive, quindi, solo di ciò che aveva sentito da altri,
considerando Ambrogio, Agostino e Girolamo come gli iniziatori del
Filioque, anche se il primo e l’ultimo possono essere difficilmente
considerati come tali72. Da un’altra parte, Fozio elude il vero atteggiamento
dei Padri orientali, perché tratta il problema della processione in una
prospettiva esclusivamente causale, cosa che era ben lontana dalla teologia
dei Padri, secondo S. Bulgakov73. Nondimeno dobbiamo riconoscere che
Fozio ha il merito di aver mostrato che la controversia proviene da due
concezioni diverse sulla Trinità: quella personalista greca, che parte dalla
rivelazione personale del Padre, Figlio e Spirito Santo e l’approccio latino,
che parte sempre dall’unica essenza, cosicché le persone non possono
essere definite che dalle relazioni di opposizione74. Infine, si può affermare,
insieme a P. Evdokimov, che l’intero problema parte da un cambiamento di
senso del concetto di cattolicità. Secondo i concili ecumenici, questo
termine ha un senso dogmatico, ma in Occidente ha acquisito un senso

72
Cfr. J. MAYENDORFF, Initiation a la thèologie..., 83.
73
Cfr. S. BULGAKOV, Le Paraclet..., 102.
74
Cfr. J. MAYENDORFF, Initiation a la thèologie..., 84.
29
giuridico per quanto concerne la giurisdizione territoriale75. Questo aspetto
non va sottovalutato, in quanto il problema della giurisdizione è apparso
fortemente nel periodo foziano, per quanto riguarda la disputa bulgara e la
disputa sul primato petrino durante il concilio dell’879-880.
La cosa importante è che le Chiese di Oriente e di Occidente non si
sono divise neanche in questo periodo storico molto turbolento. Anche se i
dibattiti erano forti e l’orgoglio di tutte le parti pure, le Chiese sono rimaste
in comunione per altri due secoli. La rottura definitiva è avvenuta nel 1014,
quando Enrico II fu incoronato imperatore a Roma e si introdusse il Credo
nella liturgia insieme con l’aggiunta Filioque76. Poi tutto si concluse nel
1054 quando il cardinale Umberto da Silva Candida, mise sull’altare della
Santa Sofia il decreto papale della scomunica di Michele Cerulario,
rimproverando agli Orientali, tra l’altro, di aver mutilato il Credo tagliando
fuori il Filioque 77 . Certamente, a questo punto i cattolici non avevano
ragione!

75
Cfr. P. EVDOKIMOV, L’Esprit Saint dans la tradition orthodoxe, Cerf, Paris 1969, 12.
76
Cfr. L. LADARIA, Il Dio vivo e vero..., 400.
77
Cfr. P. EVDOKIMOV, L’Esprit Saint ..., 51.
30
Capitolo III

I tentativi di pace

Il grande scisma del 1054 ha sconvolto, senz’altro, sia la Chiesa


d’Occidente che quelle d’Oriente. Purtroppo, a partire da quest’anno
dobbiamo parlare di due chiese distinte e non di un’unica Chiesa e questo
fatto non può che provocare dolore nel cuore sincero di ogni cristiano.
Come abbiamo visto, durante il primo millennio, la Chiesa era rimasta
unita, anche se i dibattiti erano molto forti. Questo fatto non è da attribuire
ad un falso rinconcialiarismo, ma ad una convinzione di fondo più forte che
andava sul terreno dogmatico. I dibattiti erano visti come legittimi perché il
Credo di Costantinopoli ha solo definito lo Spirito in rapporto al Padre ma
non anche al Figlio. Le cose si sono precipitate con l’aggiunta del Filioque
nel credo e comunque la rottura finale è avvenuta con il saccheggio di
Costantinopoli da parte dei crociati nel 120478. Da questo punto l’Oriente e
l’Occidente si sono messi su posizioni irreconciliabili.
Le vicende storiche e politiche del mondo hanno fatto sì che Oriente
ed Occidente non si sono mai persi totalmente di vista. Gli ottomani erano
ormai arrivati ai confini dell’Impero Bizantino, l’unica testimonianza
ancora viva di un Impero Romano che era caduto in dimenticanza. In
questo contesto si è tentata più volte la riconciliazione. Il primo momento
importante fu il secondo concilio di Lione del 1274, che rimase, però senza

78
Cfr. S. BULGAKOV, Le Paraclet..., 100-101
31
alcun risultato. L’avvicinamento fu tentato di nuovo nel concilio di Ferrara-
Firenze, quando i turchi erano giunti ormai alle porte di Costantinopoli.
Purtroppo, neanche in questo contesto storico molto difficile, l’unione non
si è realizzata. Per capire meglio le vicende attorno a questi tentativi di
unione e il suo fallimento, dobbiamo studiare più da vicino lo svolgimento
di questi concili.

III. 1. Il concilio di Lione (1274)

L’idea di un’unione tra greci e latini non è stata mai persa di vista,
anche se talvolta gli interessi politici di tutte le parti coinvolte si
orientavano in altre direzioni. oppure l’idea dell’unione era completamente
sottoposta a questi. Per esempio, durante la quarta crociata, i crociati
propongono la restaurazione sul trono di Costantinopoli di Alessio IV, che
prometteva tra l’altro l’unione della Chiesa greca e latina. Però, giunti a
Costantinopoli, Alessio IV e suo padre Isacco II Angelo non potevano
mantenere le promesse fatte prima e si inimicarono sia con i crociati che
con i loro sudditi. Alessio V Doukas approfittò del momento e si proclamò
imperatore, cosa che scatenò l’ira dei crociati. Questi saccheggiarono
Costantinopoli nel 1204 per poi impadronirsi della città79. L’impero latino
di Costantinopoli perdurerà fino al 25 luglio 1261, quando il generale
Alessio Strategopulo sconfigge Baldovino II, l’ultimo imperatore latino, e
impone al trono Michele VIII Paleologo80.

79
Cfr. L. TODESCO, Storia della Chiesa, vol. III: Il Medioevo cristiano, Parte II,
Marietti, Torino 1959, 122.
80
Cfr. Ibid., 233.
32
Il Papa Urbano IV si confrontò con due grandi problemi: il problema
di Costantinopoli e quello della Sicilia, che non approfondiremo in questa
sede. Certamente, il Papa voleva ripristinare il dominio occidentale su
Costantinopoli, ma nel più ampio e difficilissimo contesto politico,
l’imperatore Michele VIII Paleologo fece la proposta di aprire delle
discussioni in vista dell’unione ecclesiale già nel 1261, mostrandosi
disposto ad accettare il primato papale e il Filioque81. Urbano IV mori il 2
ottobre 1264 e il suo successore, Clemente IV fu più interessato a risolvere
il problema siciliano che l’unione delle chiese. Mori anche lui abbastanza
presto, nel 1268 82 , e la sede papale rimase vacante per quasi tre anni,
perché gli elettori italiani e francesi non si misero d’accordo.
Alla fine, con l’aiuto di San Bonaventura83, il 1° settembre 1271 fu
eletto Papa Tebaldo Visconti di Piacenza, che non era neanche prete,
trovandosi nella Terra Santa. Ricevuta la notizia della sua nomina, Tebaldo
si mise in viaggio verso Roma, che non aveva più visto un Papa dal 1267.
A causa del viaggio, Tebaldo fu intronizzato solo nel marzo 1272 con il
nome di Gregorio X84.
Gregorio X decise immediatamente la riunione di un concilio a Lione
che avrebbe avuto tre scopi: 1) il rilancio della crociata contro i turchi; 2)
l’unione della chiesa greca e quella latina e 3) la riforma dei costumi
cristiani. La preparazione del concilio spettava ad alcuni teologi molto noti
in quel tempo, come per esempio Gilberto di Tournai, il domenicano

81
Cfr. Ibid., 234.
82
Cfr. Ibid., 235.
83
Cfr. Ibid., 236.
84
Cfr. Ibid., 239.
33
Umberto di Romans, e il vescovo Bruno de Holstein-Schauenberg85. Così,
il 1° maggio 1274, Gregorio apre il concilio con la lettera Salvator noster,
avendo come obiettivo principale l’unione con i greci86.
Al concilio parteciparono più di 500 prelati, essendo uno dei più
grandi concili mai visti in quel tempo. Dovette partecipare anche San
Tommaso d’Aquino, ma costui mori nel convento di Fossanova mentre si
recava verso Lione. Alla destra del Papa Gregorio X sedevano i cardinali
vescovi, mentre alla sua sinistra i cardinali preti. Molto interessante è il
fatto che i patriarchi latini di Costantinopoli ed Antiochia avevano dei posti
distinti e molto importanti nella navata centrale della Chiesa come segno
che non si voleva ancora subordinare la dignità patriarcale al cardinalato87.
I Padri conciliari si misero sin da subito al lavoro, anche se la
delegazione greca non era ancora arrivata. Così, già nella seconda sessione
del concilio, svoltasi il 18 maggio, fu promulgata la prima costituzione del
concilio che esponeva senza equivoci e termini mezzi la dottrina sulla
processione dello Spirito Santo. Allora, quando arrivarono i greci, il 24
giugno 1274, non c’era più niente da discutere. D’altronde, è vero che
l’imperatore bizantino Michele VIII Paleologo si era mostrato
ripetutamente disposto ad accettare il Filioque. Praticamente, il ruolo degli
inviati dell’imperatore bizantino, tra quali Germano, patriarca di
Costantinopoli, Teofane, il metropolita di Nicea e Giorgio Acropolita come
gran logoteta, era solo quello di presentare al Papa Gregorio X la

85
Cfr. J.-Y. LACOSTE, ed., Dizionario critico di teologia, edizione italiana a cura di
PIERO CODA, Borla-Città Nuova, Roma 2005, 777.
86
Cfr. Lexikon für Theologie und Kirche, Herder, Freiburg 1960, 127.
87
Cfr. H. JEDIN, Breve storia dei concili, Herder - Morcelliana, Roma - Brescia 1978,
81.
34
professione di fede di Michele Paleologo, scritta sotto la forma di una
lettera.
Cinque giorni dopo l’arrivo dei greci, durante le celebrazioni dei
Santi Apostoli Pietro e Paolo, questi cantarono il Credo insieme agli
arcivescovi e vescovi greci di Calabria, ripetendo il Filioque per ben due
volte. Sembra comunque, che Teofane di Nicea sia stato rimasto in silenzio
durante il canto 88 . Solo pochi giorni dalla celebrazione venne attuata
l’unione, che sarà proclamata nella quarta sessione del concilio, il 6 luglio.
giorno in cui il rappresentante di Michele Paleologo lesse la professione di
fede nella forma latina. Quindi, l’imperatore confessava il Filioque e
riconosceva il primato di autorità della Chiesa romana 89 . In quello che
riguarda la processione dello Spirito Santo, nella sua professione di fede,
Michele Paleologo utilizzò la formula latina: «Credimus et Spiritum
Sanctum, plenum et perfectum verumque Deum ex Patre Filioque
procedentem» 90 , trascurando del tutto le formulazioni patristiche che
usavano il termine «per Filium». Questo ci mostra chiaramente che a
livello dell’amministrazione greca esisteva un atteggiamento di
avvicinamento alla teologia latina. L’unica cosa che venne chiesta da
Michele VIII Paleologo era quella di consentire ai greci di poter utilizzare
nel Credo la loro formulazione tradizionale, ciò che fu concesso91.
Però, la stragrande maggioranza del clero greco non voleva neanche
sentire di un’unione con i latini, fatta in quelle circostanze, quindi non si
voleva accettare l’unione. In questo contesto, Michele VIII Paleologo
doveva assicurarsi l’obbedienza del clero. Probabilmente in questo scopo

88
Cfr. L. TODESCO, Storia della Chiesa..., 240.
89
Cfr. J.-Y. LACOSTE, ed., Dizionario critico..., 778.
90
Cfr. DH, 853.
91
Cfr. H. JEDIN, Breve storia..., 82.
35
fu intronizzato il patriarca Giovanni Beccos (1275-1282) sperandosi che
sotto la sua guida spirituale si potesse realizzare l’unione di Lione. Per fare
ciò si è dato una grande importanza ai testi patristici che parlavano della
processione dello Spirito Santo per Filium, dicendosi che «per il Figlio» e
«dal Figlio» sono due espressioni legittime della stessa fede trinitaria. Il
contro-argomento degli ortodossi era che quei testi si riferivano all’azione
economica e non all’esistenza ipostatica. Così, questo argomento non è
stato considerato sufficiente dai teologi per accettare l’unione92. Comunque
sia l’unione fu rigettata ufficialmente nel concilio di Costantinopoli del
1385, presieduto dal patriarca Gregorio di Cipro (1283-1289), il successore
di Giovanni Beccos. Il concilio emanò un testo che pur condannando il
Filioque, sottolineava la manifestazione eterna dello Spirito per il Figlio.
Questo atteggiamento si basa sul fatto che i carismi dello Spirito non sono
delle realtà create e temporali, bensì delle realtà eterne93. Così fallì il primo
tentativo di unione.
Resta però la domanda sui veri motivi del fallimento di questa
unione cosi arduamente desiderata sia dal Papa Gregorio X che
dall’imperatore bizantino Michele VIII Paleologo. Certamente, la risposta
sarebbe che nel contesto internazionale di allora, l’unione era vista più
come un’azione politica che spirituale. Michele VIII aveva appena
riconquistato il trono di Costantinopoli dalle mani dei crociati e voleva
certamente assicurarsi dalla buona volontà del Papa, in un tempo nel quale
era ben noto che il re di Napoli aveva l’intenzione di riconquistare
Costantinopoli. Così, l’imperatore bizantino era disposto a fare
praticamente qualsiasi concessione per prevenire il ritorno offensivo dei

92
Cfr. J. MAYENDORFF, Initiation a la thèologie..., 126.
93
Cfr. Ibid., 127.
36
baroni latini 94 . E’ altrettanto vero che il Papa Gregorio X aveva delle
ragioni più spirituali per rifare l’unione, però dall’altra parte, la Chiesa di
Roma voleva certamente solo imporre il proprio punto di vista sulle
controversie tra la teologia occidentale e quella orientale. Da un’altra parte,
il Papa Martino IV, il successore di Gregorio X, appoggiò i piani di
conquista del re di Napoli 95 , e questa non poteva che dare retta
all’intransigenza dei vescovi ortodossi greci che si rifiutavano di
riconoscere l’unione. In quel contesto politico difficile sia per l’imperatore
di Costantinopoli, che per il Papa, l’idea di unione non è stata mai basata
sul fondamento di un amore fraterno e sul desiderio che tutti i cristiani
siano un solo gregge, ma sul desiderio di tutte le parti di assicurarsi la
tranquillità politica. Una tale visione dell’unità non poteva certamente
prendere radici nella realtà delle chiese che mirano ad un regno che non è
di questo mondo. Anche se arduamente desiderata politicamente, l’unione
non potrà mai avvenire se non c’è un desiderio altrettanto arduo, ma di
natura spirituale.

III. 2. Il concilio di Ferrara - Firenze (1438-1439)

Con i turchi giunti ormai alle porte di Costantinopoli, l’ultimo


bastione della civiltà romana, si è tentato di nuovo l’unione tra Oriente ed
Occidente attraverso il concilio di Ferrara-Firenze, dove si discusse il
problema del Filioque per 22 sessioni, 14 delle quali furono dedicate alla
clausola del concilio di Efeso che vietava assolutamente di riformulare il

94
Cfr. J.-Y. LACOSTE, ed., Dizionario critico..., 777.
95
Cfr. H. JEDIN, Breve storia..., 82.
37
Credo96. Gli ortodossi si sforzavano di portare prove patristiche sul fatto
che la forma esteriore del Credo non può essere cambiata, mentre i cattolici
si sforzavano di dimostrare che il Filioque era solo una esplicitazione97, per
cui la sua aggiunta nel Credo non contravveniva alla clausola del concilio
di Efeso. Per meglio capire tutte le vicende del concilio di Ferrara-Firenze
dobbiamo soffermarci su alcuni dettagli circa il contesto del concilio e il
suo svolgimento.
La storia del concilio di Ferrara-Firenze comincia ben prima
dell’1438, quando il Papa Martino V convocò un concilio generale a
Basilea nell’1431 affidandone la presidenza al cardinale Cesarini. Questo
sarà costituito da 45 sessioni a Basilea (1431-1448) e 5 a Losanna (1448-
1449). Il successore di Martino V, Eugenio IV, lo sciolse nell’1431 per
trasferirlo a Bologna e nell’1437 lo sciolse di nuovo e lo trasferì a Ferrara.
Nonostante questi scioglimenti, il concilio di Basilea continuò a svolgere i
suoi lavori ritenendosi al di sopra della potestà del Papa, e così nel 1439, il
concilio nominò Felice V come antipapa. Ma questo si dismise 10 anni
dopo, dando il colpo di grazia alla riunione di Basilea e Losanna, che non si
poté imporre davanti ad un concilio di Firenze che riportò risultati molto
forti su tutti i piani 98 . Queste vicende hanno sicuramente portato delle
difficoltà dal punto di vista della preparazione dell’unione con in greci,
perché questi hanno dovuto portare delle trattative sia con il Papa che con il
concilio di Basilea-Losanna.
Il concilio di Ferrara-Firenze come tale fu aperto a Ferrara l’8
gennaio 1438 sotto la presidenza del cardinale Albergati. Il concilio venne

96
Cfr. LThK, 127.
97
Cfr. S. BULGAKOV, Le Paraclet..., 108.
98
Cfr. J.-Y. LACOSTE, ed., Dizionario critico..., 196.
38
guidato da Eugenio IV in presenza del patriarca di Costantinopoli,
Giuseppe II, e dell’imperatore bizantino Giovanni VIII, che arrivarono solo
nel mese di marzo con tutta la delegazione greca. Seguirono mesi di
discussioni. Come abbiamo già accennato al problema del Filioque furono
dedicate non meno di 22 sessioni. Le prime 14 sessioni ebbero luogo tra
ottobre-dicembre 1438, però si discusse solamente attorno alla celebre
clausola di Efeso, certamente senza raggiungere alcun risultato concludente.
Nella clausola efesina i greci vedevano il divieto intransigente di
aggiungere anche una sola parola al Credo niceno, mentre i latini vedevano
nella formulazione efesina il divieto di formulare un’altra fede dal punto di
vista dogmatico e, come sappiamo, il Filioque era percepito non come
"un’altra fede", ma come un’esplicitazione legittima.
Il 10 gennaio del 1439 il concilio dev’essere trasferito a Firenze a
causa della peste 99 e questo trasferimento venne fatto con l’accordo
esplicito dei greci. A Firenze seguono, nel mese di marzo dello stesso anno,
altre 8 sessioni dogmatiche sulla processione dello Spirito Santo che
mettono in un faccia a faccia drammatico Marco Eugenikos, il
rappresentante dei greci, e Giovanni di Monteneri100, in altre fonti nominato
anche Giovanni di Ragusa 101 , come rappresentante dei latini. Questi
dibattiti non hanno fatto altro che sottolineare drammaticamente una scarsa
conoscenza dell’altro e del suo metodo teologico, doppiata da un blocco su
posizioni di difesa da parte di ambedue le parti, che hanno praticamente
reso impossibile un vero dialogo.

99
Cfr. Ibid., 197.
100
Cfr. Ibid., 197.
101
Cfr. S. BULGAKOV, Le Paraclet..., 109.
39
Guardando oggettivamente lo svolgimento del concilio, possiamo
osservare senza equivoco che a Firenze si è istaurato un vero e proprio
abisso tra greci e latini e questo abisso era di natura metodologica. Teologi
greci e latini usavano due procedimenti teologici assai diversi e questo fatto
rendeva il dialogo impossibile. I greci usavano un metodo tradizionale
basato sull’interpretazione letterale dei scritti dei Padri greci, mentre la
parte latina trattava tutto in una chiave più dialettica, sforzandosi di mettere
in risalto l’accordo di fondo che c’era tra i Padri latini e quelli greci. Per
queste ragioni, si fece grande uso di florilegi patristici che nel Medioevo
erano diventati un vero e proprio genere letterario. I Padri più citati furono
Basilio il Grande, Didimo il Cieco da parte greca e Agostino, da parte
latina. Però, basandosi solo su questi florilegi patristici, le discussioni non
potevano andare verso una conclusione perché le formule patristiche sono
abbastanza equivoche al riguardo, molti de Padri greci utilizzando la
formula «per Filium». Allora il problema era che i testi patristici riportati
dai greci non erano molto chiari sugli argomenti discussi, mentre gli stessi
greci non gradivano l’uso della dialettica nel procedimento teologico dei
latini 102 , un metodo molto necessario per superare le ambiguità dei testi
patristici riportati. Ma comunque il metodo latino provocò l’avvicinamento
di alcuni rappresentanti dei greci come Bessarione, Isidoro di Kiev e
Giorgios Scholarios, che rimasero impressionati dalla forza argomentativa
dei latini103. Serghei Bulgakov vede in questo avvicinamento una chiara
vittoria, anzi, conquista, occidentale, nel senso che Bessarione e tutti gli
altri non si avvicinarono al pensiero occidentale costretti da circostanze
esteriori, ma seguendo la loro coscienza e la loro ragione. Più di questo,

102
Cfr. J.-Y. LACOSTE, ed., Dizionario critico..., 197.
103
Cfr. Ibid., 197.
40
Bulgakov non esita di riconoscere che la teologia latina era molto più
sviluppata che la teologia bizantina che, in quel tempo, attraversava un
periodo di decadenza, mentre nello stesso arco di tempo l’Occidente era
caratterizzato da un’effervescenza teologica che ha portato i suoi frutti. In
fine, lo stesso Bulgakov nota che i teologi greci che sono passati dalla parte
dei latini erano praticamente i migliori di Bisanzio cominciando da
Bessarione di Nicea, Isidoro di Kiev, Giorgio Scholarios e il metropolita
Mammas, nella parte greca rimanendo praticante solo Marco Eugenikos
che non aveva la brillantezza concettuale di opporsi nelle discussioni né a
Giovanni di Montenero, ma nemmeno a Bessarione104 , che poi passò alla
Chiesa latina e mori come cardinale cattolico, lasciando dietro di se una
grande opera pro-filioquista.
In queste condizioni si è finalmente deciso che l’aggiunta del
Filioque era legittima e che nelle due parti si trova la stessa fede, ma
formulata diversamente. Quindi si è stabilito il decreto finale nella forma
seguente: «quod Spiritus Sanctus ex Patre et Filio aeternaliter est, et
essentiam suam suumque esse subsistens habet ex Patre simul et Filio, et ex
utroque aeternaliter tamquam ab uno principio et unica spiratione
procdit» 105 . L’unione venne quindi celebrata il 6 luglio, durante una
sessione solenne106.
Sia i greci che i latini firmarono questo decreto e l’unione sembrava
fatta. Tuttavia, rientrati in Grecia, la stragrande maggioranza dei padri
conciliari greci non riconobbero l’unione. I teologi ortodossi ritengono oggi
che il decreto fu imposto ai greci, anche quelli che sono comunque molto

104
Cfr. S. BULGAKOV, Le Paraclet..., 114.
105
Cfr. DH, 1300.
106
Cfr. J.-Y. LACOSTE, ed., Dizionario critico..., 197.
41
aperti al dialogo ecumenico, come per esempio S. Bulgakov107. Alla luce
dello svolgimento del concilio che abbiamo ampiamente riportato prima ci
risulta che una tale interpretazione non sia sostenibile. Se nel concilio di
Lione del 1274 non si è sviluppato alcun dibattito teologico tra le parti ed i
greci hanno semplicemente fatto una professione di fede a loro imposta dai
latini, durante il concilio di Firenze ci sono stati dei ampi dibattiti su tutti i
punti importanti della dottrina della processione dello Spirito Santo.
Siccome ci sono volute 22 sessioni per arrivare ad una conclusione, è
forzato parlare di imposizioni. Il risultato finale del concilio è dovuto al
fatto che una grande parte dei teologi bizantini sono praticamente passati
dalla parte dei latini e questo fenomeno non è dovuto a delle imposizioni,
ma al riconoscimento dei pregi di un metodo teologico latino superiore.
Il risultato del concilio è stato percepito come un grande successo
che ha garantito alla Chiesa latina il superamento della crisi del
conciliarismo. L’eco dei risultati del concilio ha assicurato al Papa Eugenio
IV il sostegno di quasi tutti i cardinali, cosicché il concilio di Basilea-
Losanna e l’antipapa Felice V hanno dovuto rassegnarsi con la sconfitta
della teoria conciliare. In seguito, essendo conclusa l’unione con i greci, il
Papa si sforzò di propagarla alle altre chiese orientali. Eugenio IV prese
contatto con queste chiese e mando ai loro capi il testo dell’unione insieme
con una lettera e una richiesta di adesione. Molte delle chiese risposero
favorevolmente e così furono concluse altre unioni: l’unione con gli armeni
nel 1439; il 4 febbraio 1442 l’unione con i copti; il 30 novembre 1444
l’unione coni Siriani e il 7 agosto 1445 l’unione con i caldei108. Purtroppo,
il popolo ortodosso non ha mai accettato questa unione. Si pensava che

107
Cfr. S. BULGAKOV, Le Paraclet..., 109.
108
Cfr. J.-Y. LACOSTE, ed., Dizionario critico..., 197.
42
l’imperatore e il patriarca avessero accettato solo perche i turchi erano alle
porte di Costantinopoli e che il decreto finale li fu imposto.
Ci si chiede allora, come mai si è arrivato al fallimento di un cosi
grande successo? I motivi sono molti e non crediamo che, stavolta,
dovrebbero essere ricercati primariamente nel contesto politico
internazionale. Il fallimento è avvenuto, in primo luogo, perché tra le due
parti non c’è stato un intendimento sulle basi metodologiche di come
condurre i dibattiti. Sia i greci che i latini si sono ostinati a non superare i
confini del proprio metodo teologico. Così non c’è stato un dialogo per la
ricerca della verità, ma un dialogo per la persuasione della parte opposta.
Da un’altro verso, l’idea di unione era stata impostata dall’inizio
solamente sugli aspetti dogmatici, eludendo altri aspetti molto importanti
come per esempio le conseguenze pratiche di un'eventuale unione a livello
dogmatico. Si sarebbe dovuto discutere dell'unione anche al livello
liturgico o al livello della comunione sacerdotale, perché una vera unione
nella carità va al di là delle concessioni che tutte le parti aspettano
dall’interlocutore.
Alla fine, un aspetto molto importante, sottolineato anche dal
Dizionario critico di teologia109 è che i cattolici hanno interpretato l’unione
di Firenze in chiave dell’uniatismo. Questa interpretazione dell’unione di
Firenze emerge dalle altre unioni che sono avvenute dopo il concilio, ma su
questi problemi sono già corsi fiumi di inchiostro e non è il caso di entrare
di più nel merito.
Fatto sta che, dolorosamente, a partire dal concilio di Firenze un
dialogo teologico vero tra cattolici e ortodossi non è mai avvenuto, le due

109
Cfr. Ibid., 197.
43
parti trattandosi a vicenda come scismatici. Nella teologia cattolica la
prospettiva su questi problemi si è radicalmente cambiata dopo il Concilio
Vaticano II, per cui vale la pena a lanciare uno sguardo a volo d’uccello
sullo stato attuale delle impostazioni teologiche al riguardo del Filioque.

44
Capitolo IV

Dalla spirito di lotta alla pace

Anche se l’essere umano è un essere fortemente dialogico, non


sempre l’uomo è veramente aperto al dialogo considerato come una virtù,
perché spesso il dialogo è strumentalizzato in vista della persuasione
dell’altro invece di essere indirizzato verso la scoperta dell’altro. In questa
prospettiva, il Concilio di Firenze forse non è stato un esempio di
atteggiamento dialogico. E per questo, dopo il Concilio, sia i cattolici che
gli ortodossi si sono schierati su posizioni di difesa della propria visione,
trattando l’altro come scismatico ed eretico. In questo senso basta
menzionare il metropolita Macario di Mosca che, seguendo uno schema
foziano, accusava i cattolici di eterodossia 110 e, da parte cattolica, del
Cardinale Giovanni Battista Franzelin che nel 1894 scrive un’opera
apologetica per confutare le tesi di Macario, utilizzando nei suoi confronti
lo stesso linguaggio111. L’atteggiamento di base rimane questo, anche se da
parte cattolica i tentativi di avvicinamento non sono del tutto mancati e
basta pensare al Papa Benedetto XIV che nel 1742 ribadì che nelle Chiese
cattoliche di rito orientale non è obbligatorio pronunciare il Credo con
l’aggiunta del Filioque112.

110
Cfr. B. BOBRINSKOY, Le mystère de la Trinité, Cerf, Paris 1986, 294.
111
Cfr. I. FRANZELIN, Examen doctrinae Macarii Bulgakow episcopi russi schismatici et
Iosephi Langen neoprotestantis Bonnensis. De processione Spiritus Sancti, II. edizione,
Prati 1894, 5-238.
112
Cfr. P. CODA, Dio Uno e Trino..., 192, L. LADARIA, Il Dio vivo..., 407.
45
I sconvolgimenti portati dalla prima metà del XX secolo hanno
favorito dei cambiamenti anche in prospettiva teologica. Evidenziamo
innanzitutto le nuove impostazioni della teologia cattolica. Secondo Piero
Coda 113 , il cambiamento della teologia del XX secolo parte dalla
constatazione amara di Karl Rahner che nonostante esista la professione di
fede nella Trinità, a livello della fede vissuta non cambierebbe praticamente
nulla se da domani la dottrina della Trinità fosse soppressa114. Partendo da
questo presupposto segue la riscoperta della centralità del mistero della
Trinità a partire della ricerca sulle fonti liturgiche e patristiche della fede
cristiana. La teologia dopo gli anni 60 è caratterizzata dal ritorno della
Trinità nella storia della Chiesa115.
Così, anche attorno al Filioque l’intransigenza apologetica è man
mano svanita dando ragione ad un approccio molto più oggettivo e critico.
Lo stesso Piero Coda sostiene che le diverse sensibilità teologiche e
spirituali non sono necessariamente contradditori, ma complementari.
Durante la storia ci sono stati diversi elementi che hanno reso sempre più
reciprocamente incomprensibili i diversi linguaggi utilizzati, come per
esempio la distanza culturale, le difficoltà di comunicazione, l’espansione
dell’islam, le questioni politiche ed ecclesiastiche, ma anche la sempre più
pregnante differenziazione liturgica. A questi elementi si aggiunge anche
un problema linguistico che generò molte incomprensioni 116 . Quindi, si
potrebbe dedurre, che la teologia cattolica affronta il problema del Filioque
in un modo unitario, mentre la posizione ortodossa è più variegata117.

113
Cfr. P. CODA, Dio Uno e Trino..., 190.
114
K RAHNER, "Il Dio Trino" ..., 404.
115
Cfr. P. CODA, Dio Uno e Trino..., 232.
116
Cfr. Ibid., 190.
117
Cfr. Ibid., 192.
46
Secondo Luis Ladaria, invece, anche da parte cattolica la posizione
dei teologi non è molto univoca. Se è vero che generalmente la teologia
cattolica tende di mettere in luce la complementarietà delle diverse
formule 118 , è altrettanto vero che allorché si parla di una possibile
soppressione del Filioque dal Credo, i teologi cattolici hanno posizioni
diversi, come per esempio Yves Congar, che sarebbe a favore di una tale
soppressione anche dalla formulazione latina, e Walter Kasper che non
vede i motivi per quali l’Occidente dovrebbe rinunciare alla sua tradizione
se a livello teologico si concorda che il Filioque come tale non è
un’eresia119.
Un’altro approccio molto interessante al riguardo della controversia
attorno al Filioque è quello di Bruno Forte, secondo il quale le
contraddizioni tra Oriente ed Occidente derivano da una metodologia
teologica assai diversa e non da un vero e proprio scontro dogmatico120.
Secondo il teologo napoletano, l’Oriente cristiano distingue l’economia
dalla teologia, basandosi sul metodo della teologia apofatica caratterizzata
da un forte senso della Trascendenza, mentre la teologia occidentale
ragiona a partire della manifestazione storica della rivelazione, lo spirito
latino essendo molto pratico e aderente al concreto121. La controversia del
Filioque sarebbe, quindi, riconducibile al problema ermeneutico dell’intera
teologia trinitaria che dovrebbe essere ripensata a partire da nuove forme di
pensiero122.

118
Cfr. L. LADARIA, Il Dio vivo..., 403.
119
Cfr. Ibid., 406.
120
Cfr. B. FORTE, Trinità come storia. Saggio sul Dio cristiano, San Paolo, Cinisello
Balsamo 1988, 127-132.
121
Cfr. Ibid., 128.
122
Cfr. Ibid., 130.
47
In quello che riguarda la teologia ortodossa moderna, Boris
Bobrinskoy123 distingue tre grandi tendenze. La prima sarebbe quella di un
tradizionalismo radicale, avendo come grandi rappresentanti teologi come
Christos Androutsos e Panayotis Trembellas che si rifanno alla dottrina di
Fozio, ma non riescono ad integrare il problema della processione dello
Spirito Santo in una sintesi teologica ed ecclesiastica globale 124 . Una
seconda tendenza della teologia ortodossa sarebbe quella di attribuire al
Filioque un valore limitato125, vale a dire come se fosse un falso problema.
In questo contesto, Bobrinskoy cita il teologo russo Ivan Bolotov che
considera la processione dello Spirito come un dogma, il «solo dal Padre»
di Fozio come un teologumeno e il Filioque di Agostino come un’opinione
teologica privata126. Sulla stessa scia si inquadra anche S. Bulgakov, che
ritiene il Filioque un falso problema che non fa altro che condurre a un
dibattito sterile 127 , ma sul suo pensiero ritorneremo più ampiamente più
avanti. In fine, la terza tendenza si contrapporrebbe alla seconda
sottolineando l’importanza della dottrina sulla processione dello Spirito
Santo e la sua influenza sulla vita della Chiesa128. Uno dei rappresentanti di
questa tendenza sarebbe Vladimir Losskij, il quale sostiene che il Filioque
è inaccettabile, perché da esso derivano tutti i problemi teologici della
Chiesa cattolica: un cristomonismo che si fonda su un cirstocentrismo
esagerato e questo conduce al sottolineare il primato petrino anziché la
collegialità129, ovvero la istituzione al danno del carisma. Sempre in questa

123
Cfr. B. BOBRINSKOY, Le mystère de la Trinité, Cerf, Paris 1986, 294-297.
124
Cfr. B. BOBRINSKOY, Le mystère..., 294.
125
Cfr. Ibid., 294.
126
Cfr. Ibid., 294-295.
127
Cfr. S. BULGAKOV, Le Paraclet..., 87.
128
Cfr. B. BOBRINSKOY, Le mystère..., 296.
129
Cfr. P. CODA, Dio Uno e Trino..., 192.
48
categoria sarebbe da menzionare anche Paul Evdokimov e Olivier Clement
che conducono una vera e propria ricerca per l’integrazione della sintesi
palamita nel problema della processione dello Spirito Santo130.
Fino a questo punto abbiamo gettato uno sguardo sintetico sul
panorama teologico moderno sia in Oriente che in Occidente per cogliere i
sviluppi odierni della controversia attorno il Filioque. Giunti a questo punto
è doveroso entrare più nel particolare, cioè in una breve analisi della
teologia di due teologi cattolici di grande fama, come Hans Urs von
Balthasar e Karl Rahner e di un teologo ortodosso, Serghei Bulgakov.
Evidentemente, la nostra analisi sarà incentrata sul problema del Filioque,
anche se tutti e tre teologi hanno sviluppato delle teologie monumentali.

IV. 1. Hans Urs von Balthasar (1905-1988) e la Trinità come


amore

Balthasar ha creato un’opera teologica davvero monumentale sia per


quanto riguarda la sua estensione, sia per la forza della sua coerenza
concettuale, prendendo le mosse dai due trascendentali filosofici per
eccellenza, bonum e verum, ai quali lui ha aggiunto anche un terzo
trascendentale, ovvero il pulchrum. Dà però la precedenza al bello
componendo la Herrlichkeit. Eine theologische Ästhetik. La Teodrammatik
garantisce il passaggio dal pulchrum al verum, mentre la Teologik si basa
sul bonum131.
Essendo uomo di grande cultura, Balthasar tenta attraverso la sua
teologia di dare una risposta anche ai più grandi problemi filosofici, come
130
Cfr. B. BOBRINSKOY, Le mystère..., 297.
131
Cfr. J.-Y. LACOSTE, ed., Dizionario critico..., 185.
49
per esempio al problema dell’essere, che risolve in modo originale
considerando l’essere come amore. In questa prospettiva, Dio è Uno, ma
non è un’unità indifferenziata, bensì un’unità vissuta misteriosamente in
senso comunitario 132 . Balthasar pensa l’essere di Dio, e quindi anche le
processioni trinitarie, in termini di amore. Critica così la tradizione
agostiniano-tomista su due livelli: per la preferenza come prima analogia
della Trinità della mente umana con i suoi atti d’intellezione e volontà,
atteggiamento che favorirebbe, secondo lui, una chiusura nell’Io. In
secondo luogo critica la tradizione perché concepisce la processione del
Figlio in termini di una processione intellettuale, mentre quella dello
Spirito è considerata come una processione d’amore133.
Strettamente connesso a questa concezione di Dio e anche il concetto
di kenosi che Balthasar non esita di mettere al centro della sua opera
teologica. Per il teologo tedesco, la kenosi deve intendersi come la parola
ultima, espressa in linguaggio umano, che rende credibile la manifestazione
di Dio all’umanità. La matrice di questa teologia è l’inno dalla lettera ai
Filippesi (Fil 2, 6-11). La kenosi ha un’origine intratrinitaria, intesa come
costante, eterno movimento di abbandono fondato sull’obbedienza. Il Padre
compie una prima e originaria kenosi nella generazione del Figlio. Lo
stesso dono totale si manifesta anche nello Spirito. perché la processione
dello Spirito Santo si costituisce come un vero atto di espropriazione
fondato sull’amore. Su questa espropriazione Balthasar cerca di fondare
nella Trinità immanente ciascuna delle separazioni ulteriormente possibili
da rinvenire nella Trinità economica. L’abbandono del Figlio sulla croce è

132
Cfr. K. LEHMANN - W. KASPER, edd., Hans Urs von Balthasar. Figura e opera, Piemme,
Casale Monferrato 1991, 346.
133
Cfr. Ibid., 346.
50
possibile, perché già inserito in questa prima e insormontabile separazione
da cui si produce il movimento trinitario. L’evento della croce riproduce,
quindi, in termini umani ciò che si verifica all’interno della Trinità, cioè il
dono totale nell’amore 134 . Così, la Trinità si definisce come persona
nell’atto per cui Dio si dona totalmente in quanto Padre e si riceve
totalmente in quanto Figlio nello Spirito Santo.
In quello che riguarda il problema del Filioque, va subito chiarito che
Balthasar potrebbe essere difficilmente collocato nello schieramento dei
teologi cattolici vigorosamente aperti all’ecumenismo 135. In ogni caso, il
teologo si oppone all’ecumenismo della scrivania, fondato più sul fare
concessioni che sul dialogo. Ma la sua posizione non è una apologetica,
bensì una riflessione critica.
Un primo problema nel dibattito sul Filioque consta, secondo von
Balthasar, nel fatto che vengono attribuite alla Trinità immanente aspetti
che vanno valutati dal punto di vista economico. In questa prospettiva, i
greci criticano i latini rimproverando loro di interpretare erroneamente il
potere del Cristo Risorto a disporre dello Spirito Santo, mentre gli stesso
ortodossi usano lo stesso procedimento a partire dal brano del Battesimo di
Cristo136.
Un’altro problema della controversia attorno il Filioque sarebbe
quella dell’insistenza orientale sulla monarchia del Padre, rifacendosi
all’immagine di sant’Ireneo, secondo la quale il Figlio e lo Spirito Santo
sono le due mani di Dio 137. Secondo Balthasar, l’immagine di Ireneo di

134
Cfr. J.-Y. LACOSTE, ed., Dizionario critico..., 185.
135
Cfr. K. LEHMANN, W. KASPER, edd., Hans Urs von Balthasar..., 346.
136
Cfr. H. U. V. BALTHASAR, Teologica vol. 3: Lo Spirito della verità, Jaca Book,
Milano 1992, 171.
137
Cfr. Ibid., 169.
51
Lione non è affatto un argomento per sostenere assiduamente la monarchia
del Padre e le motivazioni per l’insistenza orientale su questo punto vanno
cercate altrove, cioè nel fatto che si può parlare di un subordinazionismo
ortodosso rintracciabile in Tertuliano, Giustino, Ireneo, Ippolito e fino a
Dionigi. Questo subordinazionismo non è uno prestadio del
subordinazionismo ariano, che è di indole filosofica. Al contrario, il
subordinazionismo ortodosso rintracciato da Balthasar intendeva
rappresentare il rapporto intradivino delle Persone come modello del loro
rapporto storico-salvifico. Questo pensiero giustificherebbe il procedimento
dei teologi bizantini successivi, che hanno sottolineato con cautela che il
Padre è l’Ursache dell’intera vita trinitaria, cioè principio monarchico della
Trinità138.
Come abbiamo visto prima, nella teologia ortodossa moderna esiste
una tendenza di inserire la sintesi palamita nel dibattito sul Filioque. Ma
von Balthasar non è d’accordo con questo procedimento, affermando che,
secondo il palamismo, l’autorivelazione della Trinità nel Vangelo diventa
impenetrabile a causa di un corpo intermedio. Il palamismo sosterebbe
infatti l’esistenza di una divinità superiore, cioè lo Spirito Santo, che deriva
solamente dal Padre, e le altre energie divine, che derivano dal Padre e dal
Figlio insieme139.
Comunque sia, Hans Urs von Balthasar non esita di indicare anche
alcune vie per un vero dialogo sul Filioque. Una di queste consisterebbe nel
ritorno ai Padri della Chiesa, anche se un tale approccio non sarebbe,
certamente privo di possibili fraintendimenti. Partendo da alcune citazioni
di Atanasio e Basilio di Cesarea, Balthasar analizza il per Filium utilizzato

138
Cfr. Ibid., 174.
139
Cfr. Ibid., 172.
52
dai Padri greci140. Anche se il per Filium ampiamente utilizzato dai Padri
potrebbe essere interpretato in maniera equivoca, il ritorno ai Padri resta
per Balthasar un possibile itinerario dialogico. Un’altra via sarebbe quella
di avviare i dibattiti a partire della concezione di Dio come Amore. In
questa prospettiva, la visione occidentale e quella orientale possono essere
conciliate seguendo il ragionamento seguente:
Se il Padre genera il Figlio nell’amore, non c’è nessun
momento in cui il Figlio faccia a meno di lasciarsi generare e
di ricambiare questo amore nello Spirito Santo, cosicché lo
Spirito già da sempre arde coma fiamma d’amore tra i due,
essendo al tempo stesso origine e frutto di tale amore141.

L’importanza del pensiero di H. U. v. Balthasar risiede nel fatto che


ha trasformato il paradigma teologico di San Tommaso d’Aquino, passando
da una concezione di Dio come Essere sussistente ad una visione di Dio
come Amore e così ha aperto la strada a nuove impostazioni teologiche che
rendono la teologia cattolica più aperta al dialogo, compreso i dibattiti sul
Filioque. Si può affermare senza riserve che von Balthasar cerca una
teologia dialogica anziché una teologia apologetica, pensando ad un
colloquio nel quale il partner ecumenico viene preso sul serio come fratello
in Cristo, mantenendo. però, la ferma convinzione che la verità è superiore
agli interlocutori implicati del dialogo142.

140
Cfr. Ibid., 173.
141
H. U. v. BALTHASAR, Il Credo. Meditazioni sul Credo Apostolico, Jaca Book,
Milano 1990, 59.
142
Cfr. K. LEHMANN - W. KASPER, edd., Hans Urs von Balthasar..., 407.
53
IV. 2. Karl Rahner (1904-1984) e il suo Grundaxiom

Durante il Concilio Vaticano II Karl Rahner fu chiamato in causa


come consultore del cardinale austriaco König perché era uno dei teologi
più importanti del suo tempo. Entrò nella Compagnia di Gesù nel contesto
del rinnovamento che seguì la prima guerra mondiale. Più tardi segui i corsi
e i seminari di Heidegger. Prendendo come argomento la conoscenza finita
in San Tommaso, Rahner inserì le sue ricerche nel contesto di un tentativo
di adattare il neotomismo alla filosofia moderna143.
In campo della teologia trinitaria Karl Rahner si è evidenziato
elaborando e argomentando il suo Grundaxiom: «La Trinità economica è la
Trinità immanente, e viceversa» 144 . Come vedremmo la seconda parte
dell'assioma non è stata accettata senza riserve e ulteriori spiegazioni dagli
altri teologi, ma adesso va sottolineato che attraverso questo assioma
Rahner ridà sensatezza esistenziale alla Trinità immanente che nella
teologia tradizionale rischiava di rimanere qualcosa inspiegabile e messo da
parte e quindi discriminata in rapporto con la storia salvifica. In questa
prospettiva, il pensiero di Karl Rahner si costituisce come un tentativo per
superare la distanza che l’ateismo moderno pone tra l’uomo e Dio145. Per
arrivare ad una tale assioma, Rahner prende le mosse dal concetto di auto-
communicazione divina. Sostanzialmente, il teologo tedesco è del parere
che se Dio ha scelto di auto-communicarsi liberamente, allora lo fa così

143
Cfr. J.-Y. LACOSTE, ed., Dizionario critico..., 1106.
144
Cfr. K RAHNER, "Il Dio Trino"..., 414.
145
Cfr. A. STAGLIANÒ, Il mistero del Dio vivente. Per una teologia dell’assoluto
trinitario, EDB, Bologna 1996, 405.
54
come Dio è nella vita dell’intimità trinitaria, altrimenti un’auto-
communicazione non avrebbe alcun senso146.
Arrivando alle critiche sul suo Grundaxiom non è difficile
immaginarsi che l’accettazione del «viceversa» sia abbastanza
problematica. Riportando delle opinioni di altri teologi di spicco, Antonio
Staglianò parla dell’insostenibilità del «viceversa», in quanto la differenza
tra «Dio in sé» e «Dio per noi» non è una semplice esigenza metafisica, ma
è il modo più adatto per rispettare la trascendenza dell’evento
dell’autocomunicarsi di Dio 147 . In altri termini, Dio si autocommunica
veramente cosi com’Egli è, ma lo fa come un essere trascendente che
irrompe nella realtà del mondo materiale. In questo contesto, Staglianò
riprende una domanda di Yves Congar: «nella Trinità economica si rivela
la Trinità immanente. Ma si rivela tutta quanta?»148, mostrando così che il
mistero della Trinità immanente non sarebbe più mistero se la vita intima
della Trinità immanente potrebbe essere spiegata a partire dalla Trinità
economica.
Anche Luis Ladaria è del parere che l’assioma di Karl Rahner
potrebbe essere malintesa, sottolineando però, in prima linea, ciò che il
Grundaxiom non vuole dire 149. Una prima cosa che l’assioma di Rahner
non vuole dire riguarda l’aspetto dell’autocommunicarsi divino, che è un
atto gratuito e libero. Questo aspetto va sottolineato perché se non fosse
così significherebbe che la Trinità immanente ha bisogno della sua
manifestazione economica, cioè che Dio diventasse trino solo nella misura

146
Cfr. K RAHNER, "Il Dio Trino"..., 468-482.
147
Cfr. A. STAGLIANÒ, Il mistero del Dio vivente..., 490
148
Cfr. Ibid., 489.
149
Cfr. L. LADARIA, Il Dio vivo..., 45-53.
55
in cui si communicherebbe economicamente150. Da un’altra parte, l’identità
della Trinità immanente e la Trinità economica professata da Rahner non
significa che la Trinità immanente si dissolve e si esaurisce nella Trinità
economica151.
In quello che riguarda la processione dello Spirito Santo, Karl
Rahner non porta delle novità assolute come ha fatto con la sua
Grundaxiom, ma cerca, in una certa misura, di rendere attuale la visione
tomista attraverso una rielaborazione più linguistica che concettuale. Così,
secondo Rahner, lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio per
comunicazione eterna della essenza divina. Ritiene comunque che questo
principio potrebbe essere meglio formulato utilizzando il per Filium152. La
processione dello Spirito Santo è determinata, secondo Rahner dal
reciproco amore del Padre e del Figlio153. In questa prospettiva, lo Spirito
Santo sarebbe il dono del Padre e del Figlio, o, detto meglio, il dono del
Padre attraverso il Figlio, nel quale Dio si comunica a noi154.
Per spiegare anche ontologicamente questa processione dello Spirito
Santo dal Padre attraverso il Figlio, Rahner ricorre alla categoria tomista
della relatio, affermando che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non si
distinguono essenzialmente, ma relativamente155, a seconda delle relazioni
che intercorrono tra le diverse ipostasi della stessa divinità. Il teologo
tedesco ritiene che il ricorso alla categoria della relatio per spiegare la
differenziazione intratrinitaria è necessario per motivi logici e non

150
Cfr. L. LADARIA, Il Dio vivo e vero..., 46.
151
Cfr. Ibid., 49
152
Cfr. K RAHNER, "Il Dio Trino"..., 454.
153
Cfr. Ibid., 455.
154
Cfr. Ibid., 454.
155
Cfr. Ibid., 456.
56
ontologici156, perché se pensassimo che la differenzazione delle ipostasi si
farebbe a partire della loro diversa maniera di relazionarsi all’unica essenza
divina, cadremmo nel triteismo. Quindi, è ovvio che le tre Persone della
Trinità sono identiche all’unica essenza divina e sono relativamente diverse
una dall’altra, cioè le Persone divine si differenziano attraverso le loro
relazioni di opposizione157. Allora, Dio si potrebbe definire come un’unica
essenza, due processioni, tre persone, quattro relazioni di opposizione e
cinque proprietà nozionali158.
Partendo da questi presupposti si potrebbe subito obiettare che il
pensiero di Karl Rahner non porta niente di nuovo al riguardo del Filioque
e che la sua trattazione in questa sede sarebbe poco auspicabile. Questa
obiezione è parzialmente giustificabile se pensiamo che nelle sue opere
importanti Rahner non ha mai discusso il Filioque come problema
teologico che divide l’Oriente e l’Occidente. Ma, anche se sembra un po’
audace, il Grundaxiom di Rahner è molto importante nel contesto della
disputa sul Filioque. Dalla storia del dibattito sul Filioque che abbiamo
percorso prima, ci è risultato chiaro che forse il problema più importante è
stato il rapporto tra la Trinità immanente e la sua manifestazione salvifica.
E in questa prospettiva l’intervento di Rahner è stato molto importante,
perché attraverso il suo Grundaxiom lui ha mosso fortemente il pensiero
teologico per quanto riguarda questo problema. Per un’eventuale
risoluzione definitiva della controversia attorno al Filioque, una condizione
sine qua non è quella di discutere teologicamente e trovare una soluzione
per risolvere il rapporto tra la Trinità immanente e la Trinità economica in

156
Cfr. Ibid., 456-457.
157
Cfr. Ibid., 459.
158
Cfr. Ibid., 464-465.
57
una maniera accettabile sia per l’Oriente che per l’Occidente. E in questo
senso, Karl Rahner ha dato una forte spinta alla teologia.

IV. 3. Serghei Bulgakov (1871-1944) e la sua critica costruttiva

Anche la teologia ortodossa ha partecipato con grande originalità al


rinnovamento della teologia trinitaria contemporanea, trovando nell’anima
russa una terra molto fertile che ha generato una fioritura eccezionale del
pensiero teologico ortodosso, concretizzato per di più in Francia presso la
prestigiosa scuola San Sergio. Oltre a questa corrente teologica parigina,
nell’ortodossia si affermano anche altre correnti più fedeli all’età patristica
e bizantina, che si sviluppano per di più negli Stati Uniti e in Grecia159. Il
nostro interesse si rivolge ora verso Serghei Bulgakov, un teologo russo di
grande importanza nell’epoca contemporanea e aperto al sano dialogo
teologico.
Nel pensiero di Bulgakov possiamo riconoscere tre sorgenti
ispiratrici: 1) la dottrina trinitaria d’ispirazione ecclesiologica di Alexey
Chomjakov insieme all’ispirazione antropologico-sociale di Nicolai
Fedorov; 2) l’ispirazione kenotica del metropolita Filarete di Mosca e 3) il
tema sofiologico di Vladimir Soloviev e Pavel Florenskij, essendo la divina
sofia l’irradiazione nella creazione della stessa Gloria Increata della
Santissima Trinità160.
Come Balthasar, anche Bulgakov parte da una definizione di Dio
come Amore, inserendo in questo meccanismo anche il concetto di kenosi.

159
Cfr. P. CODA, Dio Uno e Trino..., 244.
160
Cfr. Ibid., 245.
58
Per Bulgakov, definire Dio come amore non è un processo descrittivo,
bensì un’osservazione di natura ontologica 161 . Per Bulgakov l’amore è
definito da due assiomi: 1) non c’è amore senza sacrificio e 2) non c’è
amore senza gioia e beatitudine. Il secondo è superiore in quanto risultato
del primo. Quindi, l’amore si delinea come sacrificio e ritrovamento di se
stesso grazie al sacrificio. Essendo tragico, l’amore supera la tragedia e in
questo consiste la forza dell’amore. Nella stessa prospettiva, la vita di Dio
si esprime nel rapporto delle tre divine Ipostasi ed è caratterizzata dalla
kenosi, cioè dallo svuotamento di se per amore che conduce alla
beatitudine. Da qui deriva l’amore perfetto di Dio che si realizza
pienamente nello Spirito Santo 162 . Le similitudini con il pensiero di
Balthasar sono ovvie, per cui, forse si potrebbe definire Bulgakov come un
«Balthasar» ortodosso.
In quello che riguarda il problema specifico del Filioque, Bulgakov
nota che da un millennio si tenta sempre di riconciliare i diversi modi di
pensare dell’Oriente e dell’Occidente, ma per risolvere il problema sarebbe
molto più facile risalire alle origini di una tale differenziazione, cioè ai
Padri, perché la processione dello Spirito Santo non è concepita in modo
univoco da tutti i Padri 163 . Ma anche questo approccio non è privo di
eventuali malintesi in quanto nei dibattiti spesso i teologi mettono i testi
patristici sullo stesso livello con i testi scritturistici 164 . Quindi, per
impostare le discussioni sul Filioque attorno alla teologia patristica occorre
stabilire per prima un criterio ermeneutico della lettura dei Padri che sia
accettato da tutte le parte coinvolte nel dialogo.

161
Cfr. Ibid., 245.
162
Cfr. Ibid., 245-247.
163
Cfr. S. BULGAKOV, Le Paraclet..., 87.
164
Cfr. Ibid., 110.
59
In questa prospettiva, Bulgakov integra le discussioni attorno il διἀ

τοῡ Υὶοῡ, sostenendo che questo concetto era visto dai Padri come
un’esplicitazione legittima del dogma pneumatologico o, detto meglio,
come un’esplicitazione necessaria delle formulazione costantinopolitana.
Quindi, la formula nicena non era vista come esaustiva dai Padri 165 . In
sintesi, secondo Bulgakov, il dogma stabilito della Chiesa era ὲκ τοῡ

Πατρός mentre il διἀ τοῡ Υὶοῡ era solamente un’esplicitazione teologica,

per cui il problema dell’inserzione del διἀ nel Credo non si era mai posto.
Partendo dalle asserzioni di Bulgakov possiamo osservare che egli
argomento il διἀ τοῡ Υὶοῡ nello stesso modo come la Chiesa Cattolica
argomenta il Filioque. In questa prospettiva anche le osservazioni di
Bolotov prima riportate rivestono un senso ancora più profondo. Ma
comunque, Bulgakov nota che le formulazioni dei Padri, e pià
specificamente le loro intenzioni, sono state interpretate in modo erroneo
sia da parte dei cattolici che da parte degli ortodossi. Così, i cattolici usano
il διἀ τοῡ Υὶοῡ per argomentare il Filioque, mentre gli ortodossi, e

specialmente Fozio, usa il ὲκ τοῡ Πατρός per formulare il celebre ὲκ

μόνου τοῡ Πατρός, un’impostazione teologica, chiaramente molto


lontana dal pensiero dei Padri166.
In sintesi, si potrebbe dire che la soluzione al problema sarebbe, dal
punto di vista di Bulgakov, un metodico tirarsi fuori dal pathos dei dibattiti
sterili che si rivolgono più alla superbia dell’uomo che alla fede della
Chiesa per potere gettare uno sguardo critico e per quanto possibile

165
Cfr. Ibid., 94.
166
Cfr. Ibid., 94.
60
oggettivo sul problema dello Spirito Santo. Bulgakov intende compiere
questo processo, non esitando di criticare sia la parte cattolica per la sua
strumentalizzazione del dibattito per scopi politici, sia la Chiesa ortodossa
per non aver saputo contrapporre all’atteggiamento cattolico un
atteggiamento più esemplare. Bulgakov rifiuta le esagerazioni di Fozio167,
ma non esita di criticare la ricezione occidentale della teologia
agostiniana168 e il tomismo169. Alla fine un millennio di accesi dibattiti non
hanno portato a nulla di utile per le Chiese che si sono schierate su
posizioni di combattimento. Ora sarebbe il tempo giusto per mollare la
guerra e cominciare il vero dialogo!

167
Cfr. Ibid., 102.
168
Cfr. Ibid., 95.
169
Cfr. Ibid., 117-123.
61
Conclusione

Il nostro itinerario attraverso la storia dei dibattiti attorno il Filioque


è ormai giunto al suo fine dopo un incursione nei periodi più importanti per
la storia di un tale dibattito. Seguendo le norme metodologiche che ci
siamo imposti all’inizio abbiamo potuto osservare che l’idea della
processione dello Spirito Santo anche dal Figlio era annidata già da tempo
nella forma mentis dei teologi latini anche se l’inserzione del Filioque nel
testo del Credo è avvenuta per la prima volta durante il terzo concilio di
Toledo nel 589. Dall’età dei concili di Toledo resta comunque da
sottolineare le formulazioni del XI concilio che si è svolto tra il 672 e il
676. Quando il concilio parla del Padre come fonte unica della divinità, si
afferma che lo Spirito Santo procede dal Padre, senza menzionare il ruolo
del Figlio nella processione dello Spirito. Quando invece nell’articolo 10 si
parla espressamente dello Spirito Santo si afferma che esso non è generato,
neanche creato, ma che procede da ambedue ed è Spirito di ambedue.
Questa sarebbe una posizione da ricuperare nel contesto del dialogo con la
Chiesa ortodossa.
Percorrendo questa strada storica, ci siamo accorti che nel pensiero
dei Padri e dei teologi del primo millennio non è mai esistita un’unità
concettuale, ma questo non ha portato ancora allo scisma. Il passaggio dalla
pace allo spirito di lotta è iniziato solo a partire da Carlo Magno e Fozio e
ha visto il suo punto culmine nello scisma del 1054. Con loro due, il
problema del Filioque e diventato un vero e proprio problema politico da
impegnare assiduamente nel tentativo di guadagnare qualche superiorità nei
confronti dello schieramento opposto. Come abbiamo visto, il papa Leone

62
III si è opposto all’introduzione del Filioque nel Credo voluta
ossessivamente da Carlo Magno, probabilmente perché riusciva a guardare
al di là della volontà dell’imperatore all’unità della Chiesa. In uguale
misura va sottolineato che Fozio era un personaggio lontano dall’ideale
bizantino della santità. Il distacco energico di Fozio da Roma era dovuto al
fatto che il papa Nicolò I ha sempre sostenuto Ignazio nella disputa del
trono patriarcale e alla vicenda bulgara. L’avversione di Fozio verso Roma
lo ha reso più anti-cattolico che ortodosso, cercando di usare
l’argomentazione teologica circa il Filioque e il primato petrino per
legittimare le sue azioni politiche.
I tentativi di unione che seguirono il grande scisma fallirono per vari
motivi. Nel 1274 a Lione, l’unione era vista più come un’azione politica
che spirituale, le preoccupazioni di tutte le parti mirando ad un
consolidamento delle loro posizioni nel contesto geopolitico di allora. Una
tale visione dell’unità non poteva certamente prendere radici nella realtà
delle Chiese che mirano ad un regno che non è di questo mondo. In sintesi,
si potrebbe dire che l’unione è fallita perche mancava la componente
spirituale indispensabile per un tale desiderato. Anche se politicamente
desiderata, l’unione non potrebbe mai avvenire se non c’è un desiderio
altrettanto arduo di natura spirituale. Al concilio di Firenze il fallimento è
avvenuto, in primo luogo, perché tra le due parti non c’è stato un
intendimento sulle base metodologiche di come condurre i dibattiti. Sia i
greci che i latini si sono ostinati a non oltrepassare i confini del proprio
metodo teologico. Così non c’è stato un dialogo per la ricerca della verità,
ma un dialogo per la persuasione della parte opposta. Un altro aspetto da
non sottovalutare è che i cattolici hanno interpretato l’unione di Firenze in

63
chiave dell’uniatismo. Di nuovo, ci risulta abbastanza chiaro che l’unione
non può avvenire così.
Le nuove impostazioni della teologia moderna, sia in ambiti cattolici
che in ambiti ortodossi, ci danno motivi reali di speranza. In maniera
diversa, tutte le parti hanno cominciato a riconoscere la ricchezza dell’altro.
In ambito cattolico, teologi come von Balthasar, Rahner, Congar, Guardini
hanno aperto nuove strade della riflessione teologica che, volens nolens
portano ad un ripensamento di tutti i problemi teologici con i quali gli
studiosi si confrontano e il Filioque è uno di questi. Nell’ambito ortodosso
teologi come Bulgakov, Evdokimov e Bobrinskoy hanno avuto il coraggio
di ripensare la teologia ortodossa rimasta da secoli imprigionata nei limiti
di un metodo teologico impermeabile. Da parte loro, anche in quello che
riguarda il Filioque, si può notare un cambiamento concettuale, ciò non
significa necessariamente che cominciano ad essere d’accordo con il
Filioque, ma che sanno guardare con sincerità nella loro storia e
osservando che la verità non si trova solamente dalla loro parte.
Purtroppo i dibattiti sullo Spirito dell’unità hanno portato alla più
grande mancanza di unità che i cristiani hanno mai esperimentato nella loro
storia. Resta la profonda convinzione che, un domani, gli stessi dibattiti
porteranno di nuovo l’unità, ma per questo devono partire da un profondo e
sincero mea culpa da tutte le parti.

64
Abbreviazioni

Cfr - confronta
DCT - Dizionario critico di teologia
DTC - Dictionnaire de la thèologie catholique
DH - Enchiridion symbolorum definitionum et delcarationum de
rebus fidei et morum, a cura di P. HÜNERMANN
EDB - Edizione Dehoniane Bologna
Ibid. - ibidem
LThK - Lexikon für Theologie und Kirche
vol. - volume

65
Bibliografia

AA. VV., Storia del Cristianesimo, vol. III: Le Chiese d’Oriente e


d’Occidente (432-610), Borla-Città Nuova, Roma 2002.
BALTHASAR, H. U. VON, Teologica, vol. 3: Lo Spirito della verità, Jaca
Book, Milano 1992.
__________, Il Credo. Meditazioni sul Credo Apostolico, Jaca Book,
Milano 1990.
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CODA, P., Dio uno e trino. Rivelazione, esperienza e teologia di Dio dei
cristiani, Paoline, Milano 1993.
DENZINGER, H., Enchiridion symbolorum definitionum et delcarationum de
rebus fidei et morum, ed. P. Hünermann, EDB, Bologna 2003.
DVORNIK, F., Le schisme du Photius. Histoire et Lègende, Cerf, Paris 1950.
EVDOKIMOV, P., Ortodoxia, Institutul Biblic si de Misiune al Bisericii
Ortodoxe Romane, Bucuresti 1996.
__________, L’Esprit Saint dans la tradition orthodoxe, Cerf, Paris 1969.
FORTE, B., Trinità come storia. Saggio sul Dio cristiano, San Paolo,
Cinisello Balsamo 1988.
FRANZELIN, I., Examen doctrinae Macarii Bulgakow episcopi russi
schismatici et Iosephi Langen neoprotestantis Bonnensis. De
processione Spiritus Sancti, II. edizione, Prati 1894.
JEDIN, H., Breve storia dei concili, Herder - Morcelliana, Roma - Brescia
1978.

66
LADARIA, L., Il Dio vivo e vero. Il mistero della Trinità, Piemme, Casale
Monferrato 1999.
LACOSTE, J.-Y., ed., Dizionario critico di teologia, Borla-Città Nuova,
Roma 2005.
LAGIER, C., L’Orient Chrètien. De Photius a l’empire latin de
Constantinople, Bureau de l’œuvre d’Orient, Paris 1950.
LEHMANN, K. - KASPER, W., edd., Hans Urs von Balthasar. Figura e opera,
Piemme, Casale Monferrato 1991.
Lexikon für Theologie und Kirche, Herder, Freiburg 1960.
MARTHALER, B., The Creed. The Apostolic Faith in Contemporary
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doctrin, Cerf, Paris 1975.
PALMIERI, A., "Filioque", Dictionnaire de Théologie Catholique, vol. 3,
Libraire Letouzey et Ane, Paris 1924.
RAHNER, K., "Il Dio Trino come fondamento originario e trascendentale
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Brescia 1969.
STAGLIANÒ, A., Il mistero del Dio vivente- Per una teologia dell’assoluto
trinitario, EDB, Bologna 1996.
TODESCO, L., Storia della Chiesa, vol. III: Il Medioevo cristiano, parte II,
Marietti, Torino 1959.

67
Indice

Introduzione ..................................................................................................... 3

Capitolo I. I dibattiti pacifici ........................................................................... 7

I. 1. Il simbolo Quicumque............................................................................................... 8
I. 2. La Fides Pelagii Papae............................................................................................ 10
I. 3. Vittricio di Rouen e la Fides Damasi ..................................................................... 12
I. 4. I concili di Toledo ................................................................................................... 12

Capitolo II. Dalla pace allo spirito di lotta .................................................... 17

II. 1. Le vicende attorno al Sinodo Lateranense del 649 .............................................. 17


II. 2. L’epoca di Carlo Magno ....................................................................................... 19
II. 3. Le tensioni aumentano. Il patriarcato di Fozio.................................................... 23

Capitolo III. I tentativi di pace ...................................................................... 31

III. 1. Il concilio di Lione (1274).................................................................................... 32


III. 2. Il concilio di Ferrara - Firenze (1438-1439)........................................................ 37

Capitolo IV. Dalla spirito di lotta alla pace .................................................. 45

IV. 1. Hans Urs von Balthasar (1905-1988) e la Trinità come amore .......................... 49
IV. 2. Karl Rahner (1904-1984) e il suo Grundaxiom ................................................... 54
IV. 3. Serghei Bulgakov (1871-1944) e la sua critica costruttiva ................................. 58

Conclusione ..................................................................................................... 62

Abbreviazioni ................................................................................................. 65

Bibliografia ..................................................................................................... 66

Indice............................................................................................................... 68

68

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