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saggi musicali italiani

Andreas Giger
College of Music and Dramatic Arts
Louisiana State University
Baton Rouge, LA 70803
agiger1@lsu.edu

Data entry: Andreas Giger


Checked by: Anna Gercas
Approved by: Thomas J. Mathiesen
Fn and Ft: BAISAG TEXT Author: Baini, Giuseppe Title:
Saggio sopra l' identità de' ritmi musicale e poetico Source:
Giuseppe Baini, Saggio sopra l' identità de' ritmi musicale e
poetico (Florence: Piatti, 1820)

[-I-] SAGGIO SOPRA L' IDENTITA' DE' RITMI MUSICALE E


POETICO DELL' ABATE GIUSEPPE BAINI.

"Omnes artes, quae ad humanitatem


"pertinent, habent quoddam commune
"vinculum, et quasi cognatione quædam
"inter se continentur."
(Cicero. Oratio Pro Archiæ poètæ).

FIRENZE
DALLA STAMPERIA PIATTI
1820.

[-III-] INTRODUZIONE

Un poeta francese occupato nel ricercare ciò, che forma la


vera differenza della versificazione francese dalle altre
moderne versificazioni, credette di risolvere la quistione sì
spesso agitata; se possono farsi cioè anche in francese dei
versi ritmici non rimati, ed i saggi che fece secondo il suo
sistema gli sembrarono concludenti. Nondimeno, benchè
poco versato nelle cognizioni musicali, conobbe egli pure
che la teorìa della versificazione dovea andar d' accordo
con quella della musica; e che questa doveva la prima
confermare, o almeno non le si opporre, ove quella basata
fosse sopra principj veri, e sicuri.

Venuto egli in Roma col desiderio di assicurarsi di un tal


rapporto, e conoscerlo a fondo, ricercò fra' dotti professori,
di cui abbonda questa dominante, quello che per pubblica
opinione era riconosciuto il più abile a dare su questo
importante oggetto un giudizio decisivo. Si diresse [-IV-]
quindi al Signor Abbate Baini uno fra' i Direttori di Musica
della Cappella Pontificia.

Il poeta propose a questo dotto Professore di musica sedici


quistioni, le quali bastano a mettere in chiara luce la teorìa
del ritmo, e a far conoscere in conseguenza le basi
fondamentali della versificazione.

Non fu minore dell' ammirazione la gioja del poeta nel


leggere il Saggio che il dotto Abbate si compiacque
comunicargli in risposta, e ben si avvidde che potea questo
considerarsi come un compiuto trattato quanto conciso
altrettanto dotto intorno all' arte di versificare. Si prova
quivi che il ritmo musicale, ed il ritmo della versificazione
andarono sempre mai d' accordo, e che per conseguenza il
meccanismo, e la melodia del verso non può risultare nè
dalla rima, o consonanza finale, nè da un numero
determinato di sillabe riunite senza distribuzione ed a caso
sebbene legate con la rima.

Le 16 quistioni proposte sono le seguenti:

1. Che cosa è il ritmo musicale?

2. Che cosa è il ritmo della versificazione?

3. In qual cosa si rassomigliano questi due ritmi, della


musica cioè, e della versificazione?

4. In qual cosa differiscono questi due ritmi?


[-V-] 5. Fino a qual punto può, e debbe adattarsi il primo al
secondo?

6. Qual' influenza uno di questi due ritmi può avere sull'


altro?

7. Quali sono le cause del piacere che ci fà provare la


versificazione?

8. In che cosa, e come l' orecchio debbe preferire la


versificazione alla prosa?

9. Quali sono, e quali debbono essere i principj


fondamentali di ogni versificazione?

10. Fino a qual punto le Nazioni che avessero fondato la


loro versificazione sulla rima, avrebbero seguito li veri
principj della versificazione?

11. Fino a qual punto quelle Nazioni che hanno fondato la


loro versificazione sulla quantità prosodica, hanno seguito
li veri principj della versificazione?

12. Fino a qual punto quelle Nazioni che hanno fondato la


loro versificazione sopra una distribuzione simmetrica di
accenti hanno seguito li veri principj della versificazione?

13. Fino a qual punto quelle Nazioni, che fanno consistere li


loro versi in un certo numero di sillabe, e sulla rima, hanno
seguito li veri principj della versificazione?

[-VI-] 14. Decidere col paragone di questi differenti sistemi,


quale di essi abbia incontrastabilmente la superiorità?

15. Paragonare il modo della versificazione di ciascuna


lingua con essa stessa, affine di conoscere, quali sono fra
le lingue principali quelle, la di cui versificazione è
perfettamente conforme al loro genio, come quelle che
sono in opposizione, e non interamente d' accordo con la
loro versificazione?
CONCLUSIONE.

16. Applicare le considerazioni precedenti alla lingua


francese.

La risposta ai precedenti quesiti forma il soggetto di quest'


opera.

[-1-] PRIMA DOMANDA.

Cosa è il Ritmo musicale?

Risposta. La continuazione indefinita del numero, ossia


della misura delle melodie musicali è il ritmo nella musica.

Dichiarazione. Ogni melodia ha in se stessa un numero,


una misura, volgarmente si direbbe un tempo, e nella
pratica una battuta, che compita nell' arsi, ossia nel levare,
si rinnuova nella tesi, ossia nel battere, che fanno gli
accenti, o vogliam dire le note accentuate, le quali ritornan
sempre in proporzione moltiplice o dupla, o tripla, o
quadrupla, che val quanto si dicesse: le note accentuate si
succedono o di terza in terza, come nella battuta dupla; o
di quarta in quarta, come nella battuta tripla; o di quinta in
quinta, come nella battuta quadrupla. Sia a cagion d'
esempio la progressione dei numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,
10, 11, 12, eccetera. Nella battuta o ragion dupla tornan gli
accenti melodici ai numeri 1, 3, 5, 7, 9, 11, 13, 15,
eccetera; e questa appellasi successione di terza in terza.
Nella battuta, o ragion tripla tornan gli accenti ai numeri 1,
4, 7, 10, 13, 16, 19, 22, eccetera; e questa chiamasi
successione di quarta in quarta. Nella battuta, o ragion
quadrupla tornan gli accenti ai numeri 1, 5, 9, 13, 17, 21,
25, 29, eccetera e questa picesi successione di quinta in
quinta. Il ritmo [-2-] musicale adunque è la continuazione
indefinita del ritorno eguale dell' arsi nella tesi di terza in
terza, o di quarta in quarta, o di quinta in quinta delle note
accentuate, ossia del numero o della misura delle melodie
musicali.

Inutil sarebbe, se io qui volessi aggiugnere tutto ciò, che dir


si potrebbe per l' intero sviluppo dell' esposta
dichiarazione, a cagion d' esempio la differenza positiva
delle note più o meno accentuate, ossia degli accenti
maggiori o minori; la relazione di questi diversi accenti coi
tempi forti e deboli nella battuta musica: le sospensioni non
pregiudizievoli al ritmo dei ritorni regolari di essi accenti: la
differenza fra gli antichi e i moderni sull' applicazione dell'
arsi e della tesi; la genesi dei tempi semplici pari e dispari
dall' unità divisa nel primo numero pari possibile, e nel
primo possibile dispari; e come questi suddividendosi ci
danno i tempi composti; ed altre siffatte cose: ne' quali
elementi chi abbisognasse d' istruzione può ricorrere alle
grammatiche, ed ai trattati elementari di musica.

SECONDA DOMANDA.

Cosa è il Ritmo nella versificazione?

Risposta. Il ritmo nelle versificazioni metriche consiste nella


successione indefinita, cioè in una replica continuata, alla
quale non è fissato alcun termine, dei piedi poetici
simiglievoli, proporzionati, ed uniformi, convenevolmente
acconciati al [-3-] metro determinato. Nelle versificazioni
armoniche il ritmo consiste nella continuazione indefinita
del ritorno simile delle voci accentuate disposte
simmetricamente di terza in terza, o di quarta in quarta, o
di quinta in quinta, secondo la regola di ciascun verso
determinato.

Dichiarazione. E primieramente ho io definito il ritmo di due


sole maniere di versificazioni, della metrica e dell'
armonica, e niuna menzione ho fatta della ritmica, sia
antica, sia moderna per la ragione seguente. Il verso
ritmico, per testimonianza del dottissimo Padre Sacchi
(della divisione del tempo nella Poesia. Dissertazione 3,
capitolo 4) per quanto può raccorsi il concetto di quelli che
ragionato ne hanno, una cosa coll' altra accozzando (poichè
troppo in definire sono varj ed instabili) altro non è, che un
verso ignobile, in cui male osservate sono quelle leggi, che
del medesimo sono proprie giusta il suo genere. Se egli
adunque non è quel ch' esser dovrebbe, non se ne può
render ragione, nè precisarne l' idea. Di fatto ascoltisi fralle
altre la definizione, che ne dà il Quadrio (Storia e Ragione
d' ogni Poesia Tomo 1, pagina 20). "La natura de' versi
ritmici consiste in un regolato movimento di voce ora
presta ora tarda, con cui venisser cantati". Dietro questa
definizione dovrebbe dirsi, che il ritmo della ritmica
versificazione consiste nella continuazione indefinita del
regolato movimento di voce ora presto, ora tardo nel canto
di tali versi. La qual definizione non riguardando la natura
del ritmo di esso verso, ma della velocità o tardità del
canto, non avrebbe relazione alcuna colla domanda [-4-]
sovrariferita, in cui si cerca il ritmo della versificazione, e
non del canto dei versi. Ed ecco il perchÈ mi sono astenuto
di farne parola.

Inoltre, parlando della versificazione metrica, ho indicata la


sola successione dei piedi poetici, senza far motto dell'
ingegnosissimo divisamento del lodato Padre Sacchi; il
quale porta opinione, che la disposizione simmetrica degli
accenti non si dovette trascurare nè dai greci, nè dai latini,
fosse nella prosa, fosse nel verso, e che ravvisasi in
amendue d' una maniera trionfante. Se io però m'
ingolfassi in proporre cotai novità, ed in sostenerle,
quantunque molto dalla bontà della causa potessi esser
giovato; tuttavia mi sarebb' uopo di attraversare assai
questioni incidenti ed indirette, e perdendomi per istrada, o
non mai, o troppo tardi raggiungerei quella meta cui mi
studio di non perder di mira. Oso per altro affermare, che
rendendosi commune l' opinione del Sacchi, non iscema no,
ma si consolida il concetto della definizione.

Finalmente per espolire in ogni più picciola parte la


definizione del ritmo delle armoniche versificazioni,
occuparsi converrebbe de' noti rilievi sopra gli accenti delle
parole, e la natura e gli effetti loro spiegare; mostrare gli
equivoci manifesti, cui vanno communemente soggette le
definizioni dell' accento acuto, del grave, e del ripiegato;
indicar la maniera, onde di tre riduconsi a soli due, all'
accento di rinforzo, ed all' accento di produzione; e come
agevolmente in tutte le moderne lingue, nessuna esclusa,
si possono amendue [-5-] riscontrare. Chi bramasse
istruirsene, vegga fra gli altri il Padre Sacchi (loco citato
Capitolo 1) il quale magistralmente ne tratta.

TERZA DOMANDA.

In qual cosa si rassomigliano questi due ritmi, della musica


cioè e della versificazione?

Risposta. Si rassomigliano nel numero, nella proporzione,


nella simmetria, nella continuazione indefinita dei ritorni
eguali degli accenti musicali e poetici, nella ripetizione
uniforme dei piedi somiglievoli proporzionati alla ripetizione
uniforme delle musicali battute.

Dichiarazione. Piacemi qui di additare una cotal


somiglianza, che passa fra il ritmo musicale, ed il ritmo
delle versificazioni armoniche nella progression degli
accenti e delle battute di terza in terza, o di quarta in
quarta, o di quinta in quinta.
E primieramente come tre sole sono, nè più, nè manco, le
maniere della battuta, di cui si fa uso nella pratica, la dupla
cioè, la tripla, e la quadrupla, nella prima delle quali
ritornano gli accenti musicali di 3 in 3: nella seconda di 4 in
4: nell' ultima di 5 in 5; così appunto sono le dimensioni,
che ravvisansi nei versi armonici. O precedono in essi gli
accenti di terza in terza come nell' endecasillabo
accentuato sulla quarta, sesta, ottava, e decima
Di quei sospìri ond' ìo nudrìva il còre. Petrarca.
e nel settenario accentuato sulla quarta, e sesta
Madre, figliuòla, e spòsa. Petrarca.
[-6-] o sulla seconda, quarta, e sesta
Por fine al mìo dolòre. Petrarca.
ovvero si sieguono di quarta in quarta, come nell'
endecasillabo accentuato sulla quarta, settima, e decima
Ma se la tèrra comìncia a tremàre. Redi.
nel decasillabo accentuato sulla terza, sesta, e nona
Son qual fiùme che gònfio d' umòri. Metastasio.
nel novenario di Loreto Mattei sulla seconda, quinta, e
ottava
Di pèrle di trèmulo gèlo. Mattei.
nel senario accentuato sulla seconda, e quinta
L' affànno segrèto. Metastasio.
e nel quinario accentuato sulla prima, e quarta
Fònte di vìta. Metastasio.
o finalmente si riscontrano di quinta in quinta, come nell'
endecasillabo accentuato sulla sesta, e decima
Canto l' armi pietòse e il Capitàno. Tasso.
nel novenario del solo Chiabrera accentuato sulla quarta, e
ottava
A duro stràl di ria ventùra. Chiabrera.
e nell' ottonario accentuato sulla terza, e settima
Non fia già che il cioccolàtte. Redi.
Ciò che fin qui si è detto de' versi piani, nulla implica, se
sieno sdruccioli, ovvero tronchi, essendo la medesima la
ragion degli accenti. So per altro esservi delle dimensioni,
in cui graziosamente si mescolano le successioni degli
accenti di 3 e di 5 ed anche di 4 e di 3; ma questa varietà
appunto è indispensabile, ond' evitare la monotonia troppo
facile ad istancar l' orecchio, se udisse soverchiamente di
seguito le successioni sempre eguali; e perciò è, senza
punto toccare gli altri pregi, che più piacciono ai
buongustaj le variate ottave dell' [-7-] Ariosto, che non le
tornite del Tasso; così più i Sonetti del Petrarca, e le
Terzine del Dante, che quelle di qualsivoglia altro Poeta sia
antico sia moderno. Non manca poi nel suo genere il
numero musicale di questa varietà; e dissi nel suo genere;
poichè la successione degli accenti musicali, ossia la
battuta non può al certo così sovente cambiarsi senza
render fastidio; lo che fu noto anche agli antichi; onde
Quintiliano ebbe a dire, parlando del ritmo poetico, ed
alludendo al musicale "Rhythmi nullam habent in contextu
varietatem, sed qua coeperunt sublatione et positione ad
finem usque decurrunt". Se però questo cambiamento di
misura non dee tentarsi; si mescolano tuttavia con molto
effetto nella stessa misura i periodi di 2, di 3, e di 4
membri; ed innestansi eziandio ne' membri stessi delle
Terzine, innesto già usato dai Compositori fin dal Secolo XV
onde ravvivare il moto, e romperne l' eguaglianza.

Questa material simiglianza degli accentuati ritorni fin qui


osservata, non può andar disgiunta dalla simiglianza degli
effetti, che producono nei sensi. Cartesio intento sempre a
filosofare, benchè verde negli anni, ed occupato nella
milizia, scriveva così al Padre Mersenno sugli effetti che
produconsi dal ritmo musicale. Il ritorno pari degli accenti
musicali serve ad eccitare nell' animo affetti più lenti; il
ritorno dispari affetti più pronti: la battuta dupla, ovvero
quadrupla è più posata; la tripla tripudia di più. "Quod
autem attinet (Musicae compendium) ad varios effectus
quos varia mensura musica potest excitare, generaliter
dico tardiorem [-8-] lentiores etiam in nobis motus
excitare,.... quales sunt languor, tristitia, metus; celeriorem
vero etiam celeriores effectus, qualis est laetitia; eodem
etiam pacto dicendum de duplici genere battutae, nempe
quadratam, sive quae in aequalia perpetuo resolvitur,
tardiorem esse quam tertiata, sive quae tribus constat
partibus aequalibus, cujus ratio est, quia haec magis
occupat sensum". Ora veniamo al ritmo poetico. Qual è egli
mai il concetto che rendono i poeti del verso endecasillabo
a cagion d' esempio, accentuato sulla quarta, settima,
decima, cioè col ritorno degli accenti di 4 in 4 simile alla
battuta ternaria? Ne dicono, che s' appartiene alla musica
detta Ipofrigia, cioè ad una musica strepitosa e sonora; e
che è più propria dei ditirambi, ossia d' una maniera di
verseggiare piena di brio, e di capricci, che d' altra specie
di componimenti (Vedi Bisso, Andreucci eccetera) Parlando
poi delle altre dimensioni dello stesso verso, ove li ritorni
sono in ragione pari, non dicono alcuna di siffatte cose, nè
più rammentano sì brillante vivacità; anzi ne assicurano,
che il maggior numero degli accenti ritarda nel verso il
moto; e che debbe contemperarsi accortamente la lentezza
degli uni col moto degli altri.

Dietro queste riflessioni sarà facile il rispondere ad un


dubbio su tal simiglianza, da cui non seppe svilupparsi il
Cavaliere Stigliani (Arte del verso italiano) "La ragione poi,
son sue parole, perchÈ l' accento stando in una sede,
cagioni buon numero, e stando in un' altra, lo cagioni
cattivo, non è facile ad investigarsi. Se pur non volessimo
ricorrere [-9-] alla dottrina de' musici, i quali ciò
attribuiscono alle proporzioni, e sproporzioni, che alcune
note hanno con alcune altre. A' quali però potrebbesi
tornare a ridomandare da quali cagioni esse sproporzioni e
proporzioni possano essere prodotte. Perciocchè la pura
verità intorno alla detta incertezza si è, che noi sentiamo
gli effetti; e non ne sappiamo le cause: le quali in ristretto
altro non sono che occulte antipatie e simpatie". Si tenga
pure il Signor Cavaliere questo bel dottrinale delle antipatie
e simpatie occulte, ch' io non glielo invidio; e come amante
di musica mi proverò di rendergli buona ragione al suo
dubbio.

ª verissimo, che i musici attribuiscono il buono e cattivo


numero tanto nella musica, che nella poesia alla
proporzione ed alla sproporzion degli accenti; e se loro si
domandi da quali cagioni esse proporzioni e sproporzioni
possono esser prodotte, rispondono così. Se le note
accentuate ritornano in proporzione moltiplice dupla, tripla,
o quadrupla, il ritmo musicale riesce gradevole all'
orecchio, perchÈ facilmente si percepisce e si gusta, come
numeroso, eguale, e proporzionale. Se poi questo ritorno di
accenti oltrepassasse l' accennata proporzione, riuscirebbe
troppo difficile ad avvertirsi dall' orecchio distratto dalla
melodia, dall' armonia, dal periodo, dalle diminuzioni, e
molto più dalle parole, se fosse musica vocale, o mista di
vocale e di stromentale; ed in conseguenza la fantasia,
perduto il concetto della proporzione, dell' ordine, e dell'
unità, fiuterebbe su cotali produzioni. In simil guisa avviene
degli accenti poetici. [-10-] Fissato l' accento sopra la
penultima sillaba de' versi piani, o sopra l' ultima de'
tronchi, ovvero sopra l' antipenultima degli sdruccioli, che
tutto è lo stesso, e ciò tanto per la natura dell' italiano
idioma, quanto per la necessità della prosa, e per la
regolarità della cadenza, tutti gli altri accenti del verso
debbono corrispondere a questa, o in terza, o in quarta, o
in quinta: lo che non verificandosi, non vi sarebbe in essi
proporzione, non armonia; ed il verso, perduta la sua
natura, si ridurrebbe una prosa.

Di fatto se fossi richiesto del perchÈ non siano versi li due


bellissimi primi versi, l' un del Petrarca, e l' altro del Tasso
contraffatti nella nota maniera

Voi che in rime sparse ascoltate il suono,

Canto il Capitano, e l' armi pietose;

io non mi contenterei di rispondere co' maestri di


versificazione, che la ragione si è, perchÈ manca l' accento
sulla sesta sillaba; poichè mi si potrebbe replicare, e
perchÈ mancando l' accento sulla sesta sillaba si perde la
natura del verso? Ma risponderei tosto, perchÈ gli accenti
in amendue queste numerate misure di parole sono sulla
quinta sillaba, e sulla decima, cioè a dire non si rispondono
in proporzione nè dupla, nè tripla, nè quadrupla: e questo è
il perchÈ non sono versi. La natura amante dell' ordine, e
della proporzione non poteva contraddirsi. Il gusto de' primi
Padri dell' armonica poesia sentì cotal ordine, proporzione
siffatta nel verseggiare, il loro armonico orecchio la gustò,
la gradì, ed eccone in progresso le regole. [-11-] Si
esaminino pure a bell' agio le dimensioni tutte de' versi
italiani di qualsivoglia misura, ed in tutto si riscontrerà la
dimostrata corrispondenza d' accenti in proporzione o
dupla, o tripla, o quadrupla.

Sento qui oppormi la dimensione dell' ottonario inventata


dal Rospigliosi, e seguita da Loreto Mattei, coll' accento
sulla seconda e settima li quali si rispondono in sesta.
D' abìsso le forze abbàtte
Pugnàndo suo vivo zèlo,
E s' èlla combatte al cièlo,
Il cièlo per lei combàtte.
L' infèrno oppugni e congiùri,
Di vìncer forza non hà;
Triònfi sempre sicùri
Son quèlli della pietà.
Rispondo. Tutti i maestri di versificazione italiana
proibiscono espressamente dimensione siffatta, dicendo,
che l' ottonario non ha mai l' accento sulla seconda ma o
sulla terza, quinta, e settima
Dolce Lìdia, Lìdia bèlla
o sulla terza, e settima
Caro ardòr di più d' un còre
ovvero sulla prima, terza, quinta, e settima
Dèh! mia vita; dèh! mia spème. Stigliani.
le quali tre maniere sieguono appunto la ragione da noi
proposta; ed in fine soggiungo che il Bisso, autorizzato da
quante v' ha italiane orecchie, l' opposta dimensione
caratterizza per una foggia di versi, la quale non ha che
poca o niuna diversità dalla prosa. E così credo di avere
alla obbiezione pienamente soddisfatto.

[-12-] Ma già mi avveggo, che una battaglia domestica si


accende, e mi conviene entrar in lizza co' musici. Non
tiene, dice taluno, la ragione di simiglianza tra il ritorno
degli accenti poetici ed i musicali. Gli accenti musicali
ritornano con egual buon effetto all' orecchio al sesto ed
all' ottavo colpo delle due battute segnate 5/4 e 7/4.
Cartesio spalleggiato dal Padre Mersenno è quegli che lo
prova per diritto: l' Aria famosa nel Raoul di Fioravanti, una
Fuga di Catel, più composizioni di Reicha lo dimostrano col
fatto. Onde non tiene la simiglianza, e per diversa ragione
saran disarmonici i versi cogli accenti distanti oltre la
quinta.

L' obbiezione a prima giunta è rispettabilissima; ma non


lascia di assimigliarsi ai dragoni volanti fralle meteore, ed
agli orribili spettri della fantasmagoria. Odasi
primieramente Cartesio. Sì grande, dic' egli, è la forza del
tempo nella musica, che questo solo può di per sè dilettare,
siccome è manifesto nel timpano, istromento di guerra, in
cui è riguardata la sola misura, la quale perciò, siccome io
porto opinione, può quivi costare non solo di due parti o di
tre, ma eziandio forse di cinque o di sette o di più; poichè
non dovendo il senso in cotale strumento avvertire altra
cosa fuori del tempo; perciò può esservi in esso diversità
maggiore, onde maggiore ancor sia l' occupazione del
senso. "Non omittam tamen tantam esse vim temporis in
musica, ut hoc solum quamdam delectationem per se
possit afferre, ut patet in tympano instrumento bellico, in
quo nihil aliud spectatur quam mensura, quae ideo opinor
ibi [-13-] esse potest non solum duabus vel tribus partibus
constans, sed etiam forte quinque, aut septem, aliisque:
cum enim in tali instrumento sensus nihil aliud habeat
advertendum quam tempus, idcirco in tempore potest esse
major diversitas ut magis sensum occupet". (Cartesio loco
citato)

Or chi sarà che voglia giudicar contrarie al mio divisamento


le parole di Cartesio? All' infuori della musica, la misura del
tempo può costare di cinque, di sette, o di più parti: lo
concedo ancor io. Il tamburo fra' suoi segnali ammette la
successione delle percussioni, che potrebbonsi dire
tribracogiambe vvvv -- vvvv -- vvvv -- eccetera delle
percussioni proceleusmatico-tribrache vvvvvv -- vvvvvv --
eccetera ed altre simili; e senza difficoltà il loro periodico
ritorno s' intende, lo conosco, lo sento, e lo ammetto ancor
io. Anzi e lo stacciatore nel girar il manubrio del frullone
onde cernere la crusca dalla farina; e il bottajo nel
cerchiare i corpacciuti vasi; e il fabbro informando le masse
di ferro rovente suole avere il suo periodo di ritorno talvolta
di 3 e di 4, e talvolta di 5, di 7, e di 9 colpi, che si ode, e si
nota, siccome mi rammento più volte di aver notato ancor
io. E bene, per questo vorrassi far dire a Cartesio, che
siffatta teoria debba alla battuta musicale adattarsi? No al
certo. "Tempus in sonis (ecco l' opinione di Cartesio e di
tutti i musici) debet constare aequalibus partibus, quia illae
sunt quae omnium facillime sensu percipiuntur, vel
partibus quae sunt in proportione dupla vel tripla". Ma si
potrà oltrepassare la quadrupla proporzione? No, risponde
Cartesio, ed i musici [-14-] seco. "Nec ulterius fit
progressio, quia haec facillime omnium auditu
distinguuntur. Et si magis inaequales essent mensurae,
auditus illarum differentias sine labore cognoscere non
posset (vedi paragrafo 20) ut patet experientia".

Ed eccomi al Padre Mersenno. Si fa lecito questo


chiarissimo scrittore di generalizzare nella musica l'
esempio del tamburo recato dal suo grande amico il
Cartesio, presentando una tavola (l'Harmonie universelle
Tomo 1, pagina 20) di molte maniere di differenti battute
musiche composte dalle combinazioni di quattro note di
valor ineguale. Questa volta però il Padre Mersenno
proponendo cotal invenzione curiosa, nè è stato felice nello
scioglierla, nè di risolverla altrui ha somministrato
occasione. Poteva egli ben giugnere tavole a tavole,
combinando cinque, sei e ancor più note nelle possibili
maniere; ma a che pro tanti esempj, se la ragione, e l'
esperienza, siccome sopra è provato, gli son contrarj?
Convien dire pur troppo, che l' orecchio di questo
virtuosissimo Padre fosse di molto facile contentatura,
poichè nel sentire il ritorno dei tararararà del tamburo tutto
si elettrizzava, e credeva di udire cose superiori a tutte le
straniere militari bande. Veggasi però Giovanni Giacomo
Rousseau nell' articolo Fanfare del Dictionnaire de
musique; e svaniranno tosto i prodigj del Padre Mersenno.

Ma affrettiamoci di rispondere agli esempj. L' Aria famosa


nella Farsa intitolata Raoul de Crequi posta in musica dal
nostro amicissimo il Signor Maestro Valentino Fioravanti,
all' attual servigio della Basilica Vaticana, è la prima, che si
oppone, [-15-] come segnata in tempo 7/4. Affin d'
intenderne la risposta, convien sapere, come nella scena si
finge Raoul in carcere sotto la custodia di Martino
carceriere briaco, il quale incomincia l' Aria, cantando la
seguente Canzone paesana di Napoli, famigerata presso i
Lazari della marina:
ª nata na cantina mmiezo mare
E ghiusto dirimpetto a Morveglino;
Li pisce là se vanno a decriare,
E fanno notte e ghiuorno beverino.
Io me contentarria d' addeventare
Porsì no Ceceniello, o Guarracino;
Dint' a na votta me vorria schiaffare
Pe sommozzà no poco int' a lo vino.
Dalla notorietà di cotal Paesana costretto si vide il lodato
Maestro a seguirne ancor la melodia, siccome cantasi dai
Lazari. Vi sentì però nello scriverla grandissimo tormento,
troppo essendo difficile ricavar cosa regolata dalle voci
incondite di quella rozzissima gente. Infine gli venne fatto
di prenderne l' andamento, ma trovatolo in due differenti
tempi quadruplo e triplo che alternatamente si succedono,
prese il partito di riunirli in un solo, segnando per il canto
della riferita canzone la misura 7/4. Tale si è la genuina
narrazione, cui credo sufficientissima a garantirmi.

E primieramente io non ho mai preteso coll' esposto mio


divisamento dar leggi alle plebee stravaganze. S' odon per
Roma cantar di notte ritornelli, carro, Periodi di Arie,
Canzoni d' ogni maniera. Chi batte gli accenti più che
Vulcano l' incude; chi gli strascica; chi li trascorre, chi fa
pausa [-16-] oltre il dovere, chi manco, e chi fuori di tempo:
altri fa pompa d' intercalari non più uditi: altri all' apprese
mesce le proprie idee: uno canta prestissimo quella
melodia per appunto, che ad un altro, per la stessa
contrada sorte a stento di bocca. Or chi sarà che di cotali
esemplari servir si voglia per formar il concetto della più
bella fra l' arti belle? Inoltre io mai non dissi impossibile che
si dettino aborti di melodie o zoppe o esuberanti (e con ciò
intendo di rispondere anche alla fuga di Catel in G. col
tempo 5/4, ed alle simili produzioni di Reicha). Come però
non può vietarsi che si producano delle mostruosità; così
queste non debbono servire per distruggere le regole atte
ad impedir cotai mostri. Si soleva dai Maestri del secolo XV.
e XVI. per isfoggiar di gran sapere accoppiar
contemporaneamente il tempo pari col dispari nella musica
vocale della Liturgia, e composizioni siffatte le ho più volte
privatamente eseguite co' miei virtuosissimi Colleghi. Si
dirà forse per questo, che non sia egli un barbaro
ritrovamento? Ovver si consiglieranno i discepoli ad
imitarlo, se pur non fosse con quelle sagge cautele, per le
quali in Mozart a' nostri giorni l' abbiamo gradito?
Finalmente gli addotti esempj anzi che essergli contrarj
viemaggiormente confermano il proposto sistema.
Pretende l' assunto che gli accenti musicali ritornar non
debbano oltre la quadrupla proporzione. Ma gli addotti
esempj siano nella misura di 5/4; siano nella misura di 7/4
raddoppiano in ciascuna misura gli accenti, siccome da chi
attentamente gli esamini, di leggieri può riscontrarsi:
dunque non si oppongono [-17-] al nostro divisamento, anzi
vieppiù lo corroborano, mostrando colla stessa irregolarità
loro propria la sodezza dei dottrinali proposti. Conchiuderò
col Cartesio. Nella musica oltre la quadrupla proporzione
non fit progressio. Si enim contra unam notam quinque
exempli gratia (per la misura di 5/4; e molto più septem per
la misura di 7/4) aequales vellem ponere, tunc sine
maxima difficultate cantari non posset. La fantasia degli
uditori sconcertata dalle prossime alternazioni della dupla e
della tripla; e molto più della tripla e della quadrupla,
perderebbe la ragione del numero della proporzione,
omnem cantilenam ut unum quid ex multis aequalibus
partibus conflatum concipere non posset; e così tolta l'
unità, e l' ordine, ne verrebbe la confusione e l' orrore.

Molto sin qui si è detto e forse più di ciò che m' era
prefisso, a dimostrare la simiglianza fra il ritmo musicale,
ed il ritmo delle armoniche versificazioni. Possibile però!
sento interrogarmi, che nulla fra il ritmo dell' antica musica,
e delle versificazioni metriche non passasse di simiglianza?
E se cotai due ritmi eran da qualche canto simili, perchÈ
nemmen accennarlo? E se la loro simiglianza potesse in
alcuna maniera conformarsi a quella stessa dimostrata fra
la moderna musica, e le armoniche versificazioni, perchÈ
non far campeggiare lume sì vivo?

Merita la ragionevolezza delle interrogazioni, che ad ogni


patto io mi accinga a rispondere, quantunque non ignori la
difficoltà che riscontrò in cotal disamina Errico Dupuis,
famoso discepolo di Giusto Lipsio. (Henrici Puteani
Modulata Pallas. Capitulum 19) [-18-] "Tempus ab antiquis
cum tempore nobis fluxit, qui in cantu illud sive in carmine
usurparunt." Così egli entra in materia: e dopo aver riferito
che gli antichi conosceano due soli tempi, uno lungo, breve
l' altro soggiunge: "An vero syllabas singulas canendas sive
psallendas his temporum notis distinxerint, haud ausim
arbitrari". Dietro questo dubbio ne accerta, che "Psaltriae
atque cytharaedi qui canebant, qui modos et carminum
genera callebant, facile singulos pedes numerosque
distinguebant". Si disbriga però tosto da ogni impaccio
conchiudendo colle parole di Macrobio libro 2. in Somnium
Capitolo 4, "Quid in tonis pro littera, quid pro syllaba, quid
pro integro nomine accipiatur asserere, ostentantis est,
non docentis". Io però lungi dal voler ostentare, e dal
pretendere cattedra di magistero, costretto solo dall' unità
dei quesiti, mi studierò di provare per quanto la scarsezza
di monumenti chiari su tal articolo potrà consentirlo che i
due ritmi della musica antica, e delle versificazioni
metriche eran simili fra loro nel genere stesso di
simiglianza che ravvisammo fin qui fra i ritmi della
moderna musica, e delle armoniche versificazioni.

Veniamo al ritmo poetico: Il ritmo delle versificazioni


metriche per la descrizione data di sopra consiste nella
successione indefinita dei piedi poetici simiglievoli,
proporzionali ed uniformi, acconciati al metro determinato.
Ora è certo primieramente, che piedi poetici non vi
avevano minori di due sillabe, e maggiori di tre. Una sillaba
non forma piede nemmen se sia lunga; è notissimo detto di
Mauro Terenziano antico Grammatico:

[-19-] Una longa non valebit edere ex sese pedem.

Vi voglion per un piede due colpi.

Ictibus quia fit duobus non gemello tempore . . . Bis feriri


convenit.

Vi vuole in somma il levare ed il battere, l' Arsi e la Tesi.

Parte nam attollit sonum, parte reliqua deprimit Arsin hanc


Graeci vocarunt, alteram contra Thesin. Qualsivoglia poi
combinazione di sillabe oltre a tre, non poteva dirsi
propriamente piede, ma riunione, congiunzione,
ammassamento di piedi. Verius pedum sizigiae, così Tullio
dei quadrisillabi, quam pedes vocantur. E Quintiliano:
Quidquid enim supra tres syllabas id est ex pluribus
pedibus. Nè val dire, che Tullio servissi pur del Peone e del
Dochimo, e che v' ebbe il ritmo Peonico; perciocchè questi
piedi sono verissime congiunzioni di minori piedi,
trovandosi precisamente di loro composti, siccome nei
Grammatici può scontrarsi. Quanto però al ritmo Peonico
era egli poco appresso come la storia dell' Araba fenice. Chi
lo ammette, dicea Plutarco (de Musica) chi lo niega: chi
vanta grande acutezza d' ingegno per esser giunto a
conoscerne la proprietà: altri poi se ne beffa perchÈ non
regge all' uso.

Inoltre è similmente certo, che l' Arsi e la Tesi di ciascun


piede avea la sua legge fissa e determinata quanto alla
misura del tempo, fosse il piede di due, fosse di tre sillabe.
O il tempo era eguale tanto nell' Arsi quanto nella Tesi,
udiamo il tutto dall' accuratissimo Terenziano,

Aut enim quantum est in Arsi tantum erit tempus Tesi.

[-20-] O il tempo era doppio nell' Arsi rispetto alla Tesi, e


viceversa:

Altera aut simplo vicissim temporis duplum dabit. O


finalmente l' Arsi conteneva tutto il tempo della Tesi, e di
più un' altra metà, e viceversa, lo che dai Latini sescupla e
dai Greci Emiolia era detto.
Sescuplo vel una vincet alterius singulum:
Altre differenze non erano ammesse dagli antichi, e di
queste trattavano tutti i Grammatici ed i Musici.

Quidquid illis descrepabit absonum reddet melos, Latius


tractant magistri Rhythmici vel Musici.

Così Cicerone nell' Oratore afferma: Modus aut duplex, aut


sesquiplex, aut par.

E qui piacemi di riferire anche un altro Testo del medesimo


Tullio tratto similmente dall' Oratore, ove nomina il Peone.
Ecco le di lui parole: Ita sit aegualis dactylus, duplex
Jambus, sesquiplex peon. Sia detto in buona pace di Marco
Tullio. Che il Dattilo sia eguale nell' Arsi, e nella Tesi, presa
la lunga per unità, l' intendo a meraviglia: le due brevi
corrispondono al valor della lunga, eccoti l' eguaglianza.
Che il giambo sia in ragione duplare ponendo la Breve per
unità, similmente l' intendo, la lunga, che siegue, vale il
doppio della precedente breve, ed eccoti il Ternario. Ma
che il Peone sia in ragione sescupla confesso, che per la
mia tardità non l' intendo. Il Peone per tutti i Grammatici
antichi e moderni costa di quattro sillabe, una lunga, e tre
brevi. "Paeon, aliter Paean (così Giovanni Gerardo Vossio)
pes est Epitrito contrarius. Nam ut in Epitrito tres longae
sunt cum una brevi; sic hic una [-21-] longa est cum tribus
brevibus. Ac similiter pro loco ubi est longa dicitur Paeon
primus, secundus, tertius, aut quartus. De eo loquitur
Aristophanis Scholiastes. Porro solus Paeon primus et
quartus faciunt metrum Pamonicon, ut Hephestionis
Scholiastes adnotavit."

Ora di quale entità sarà il Peone in ragione sescupla? Non


della breve, non della lunga, perchÈ di troppo egli le
avanza. Non del piede Pirrichio, perchÈ ha di più una lunga.
Non del piede Giambo perchÈ ne oltrepassa la ragione di
mezza breve. Non del piede spondeo, e non del Dattilo,
perchÈ una breve gli manca onde giugnere alla pretesa
ragione. E così dicasi degli altri piedi più lunghi, non
essendo il numero 5. sescuplo di verun numero intero. Ben
a ragione adunque dicea Plutarco, che tra quelli medesimi,
che tanto parlavano del Peone "inter eos item de ipsis
condendis numeris paeonicis ambigitur."

Nè io qui con riflessioni siffatte pretendo di rimproverar


Tullio, quasi che ignorasse la ragion precisa della sescupla,
o la quantità del Peone. Solo ho voluto appianare la via ad
una interessantissima verità, cioè, che la quantità delle
sillabe non era poi così invariabile presso gli antichi, che
non potesse talvolta prolungarsi od abbreviarsi alcun poco.
Perciò alcuna fiata era permesso di risolvere lo spondeo nel
Pirrichio; ma tante altre volte a vizio si sarebbe dovuto
imputare. Nulla enim non longa, notisi con quanto riserbo il
disse Terenziano, solvi per duas breves potest. Ed allora
appunto si tollerava, quando verun nocumento non si fosse
al tempo recato,
[-22-] Dum suo pedi reservet praestituta tempora,
Syllabarum nil nocebit longior progressio.
E di fatto chi dirà mai, che con egual effetto, e colla stessa
misura si potesse cambiare in uno spondeo alcuno dei
dattili nei versi.

Quadrupedante putrem sonitu quatit ungula campum.

Corpore tela modo atque oculis vigilantibus exit. Virgilio.

Ovvero in dattili gli spondei di quell' altro.


Illi inter sese multa vi brachia tollunt Virgilio.
O cambiar di luogo la misura del seguente:

Sternitur, exanimisque tremens procumbit humi bos.


Virgilio.

E così d' altri infiniti. E ciò a motivo della velocità oltre


modo celere dei primi, e della pesante posatezza dei
secondi. Quindi nascer doveva a buona ragione una certa
dipendenza dal giudizio delle orecchie, il quale a tenore
delle combinazioni esiger volesse più o meno esattezza
delle parti costituenti la misura; e così vi dovettero essere
delle parole già fissate dall' uso con una certa lor misura
particolare. Ed ecco il perchÈ alla sescupla veniva ascritto il
Peone. Poteva cioè esser sescuplo del dattilo allungandosi
la misura della lunga a tre brevi, ovver producendosi
alcuna delle brevi al valor d' una lunga: e poteva
similmente aversi per sescuplo del piede giambo,
abbreviando all' incirca di una sola metà una delle brevi,
ovver di una quarta parte la lunga; e ciò non per istudio
che se ne facesse, ma per uso comunissimo di
pronunziazione; tanto più che il Peone era l' usitata misura
[-23-] dei Peani, Inni dedicati massimamente ad Apolline;
ed il piede Bacchio, che corrisponde nella quantità al
Peone, era frequentissimo nei Ditirambi, che per la maggior
parte si ballavano da gente mezzo briache; e così tra balli,
canto, e suono, quanto di leggieri poteva trascorrersi una
lunga, od allungarsi una breve, secondando e la misura del
verso e l' uso della pronunzia!

Finalmente ne piace di rilevare con chiarezza maggiore,


come presso gli antichi due erano le Unità onde
desumevasi la ragione dei piedi: La Breve, da cui
nascevano tutti.

Ante enim breve est creatum, redditum longum dein.


Terenziano.

e la lunga. Due Brevi erano un piede pari, come lo erano


due lunghe. Così Terenziano stesso

Primus ille est jure primus egemon qui dictus est,

Author et ductor melorum qui duas breves habet

Est huic adversus ille qui duas longas habet

Syllabis compar priori, temporis duplum merens.

Inoltre da questi due primi tempi pari, uno però doppio dell'
altro, ne dovevano nascere due dispari: il piede dispari di
tre brevi, ed il piede dispari di tre lunghe. Siegue
Terenziano

Tribrachyn primo loquemur ....

Namque huic adversus ibit, qui tribus longis patet

Hunc Molosson nominarunt ....

Temporum tria ille habebit, iste duplo tenditur:

Quae tamen quum partieris, simpla duplis reddito.

Ciò posto, vengo a provare la proposta simiglianza.

Il ritorno dei piedi presso gli antichi era primieramente [-


24-] in ragione pari. Rassomigliasi al ritorno dei moderni
accenti, che procedono di terza in terza. Questa ragione
era seguita dal piede, che nasce dalla breve, cioè dal
Pirrichio.

Il ritorno stesso in secondo luogo era in ragione doppia del


tempo semplice pari facendo nascere il piede dalla lunga:
la qual ragione si siegue dai piedi Spondeo, Anapesto,
Dattilo, e Anfibraco o Scolio. I quali, vero è che possono
considerarsi a norma dei piedi, coi quali sono congiunti, e
semplici e doppj; ma la loro origine sempre canta in
ragione doppia del tempo semplice autore e duce delle
melodie. Rassomiglia il ritorno di cotai piedi al ritorno degli
accenti delle moderne versificazioni di quinta in quinta.

Il ritorno stesso in terzo luogo era in ragione dispari, ossia


duplare. E questa si versificava nei piedi Giambo, Coreo,
Tribraco, come dispari nati dall' unità semplice, ossia dalla
breve. Rassomiglia il ritorno di cotai piedi al ritorno degli
accenti delle moderne versificazioni di quarta in quarta.

Il ritorno stesso in quarto luogo era in ragione doppia del


tempo dispari, facendo nascere il piede dalla lunga; la qual
ragione si siegue dal piede molosso. Questa però non
essendo differente nella proporzione, ma solo nella
lentezza, dalla ragione dispari, conferma la simiglianza del
ritorno degli accenti di quarta in quarta.

Non fa d' uopo cercar altro per la simiglianza, che abbiamo


fin qui ravvisata uniforme fra il Ritmo delle metriche, e
delle armoniche versificazioni. [-25-] E se non facciamo
parola del ritmo sescuplo cui si appartengono il Peone, il
Bacchio, e l' Antibacchio, e l' Anfimacro, ossia Cretico; ciò è
per le addotte ragioni, alle quali aggiungasi pure, che
quante volte i Greci coll' emiolia ed i Latini colla sescupla
avessero avuto una maniera di vantaggio; non debbe per
questo arrossire la versificazione delle lingue moderne.

Che sarà però della musica antica, di cui tanto poco


sappiamo? In qual proporzione avrà ella mai guidati i suoi
accenti? In proporzione dupla, o tripla, o quadrupla:
(intendesi sempre di parlare del genere moltiplice) perchÈ
il ritmo musicale si adattava precisamente più che non il
nostro moderno al ritmo poetico di dupla, tripla, quadrupla
proporzione.

Nè già azzardo proposizione siffatta per una tal quale


induzione, o per serbare alla natura l' unità delle
simiglievoli produzioni, quasi che le moderne orecchie
potessero dissentir dalle antiche. No: ma per la
testimonianza irrefragabile, che ne rimane di alcun
gravissimo Scrittore. E dapprima io voglio riportare un bel
tratto del Tomo 2 delle rivoluzioni del Teatro musicale di
Stefano Arteaga (pagina 211 Edizione Venezia. Palese
1785) ove si fa in un quadro il ritratto della mia asserzione.

"L' eccellenza della Poesia, e della Musica consisteva in ciò


appunto, che nessun effetto naturale poteva concepirsi,
che non venisse espresso dall' una, e dall' altra colla
maggior esattezza ora col numero di tempi sillabici
impiegati nel formar un piede, ora colla rapidità o lentezza
del [-26-] movimento impresso alle parole o al suono, ora
coi varj generi di ritmo, di cui potevano far uso; finalmente
colla successione e intrecciamento diverso dei medesimi
ritmi, secondo la differenza, e il numero dei versi. Si voleva
per esempio esprimere i movimenti snelli e leggieri, come
son quelli del ballo dei Satiri? I Poeti adoperavano il piede
tribraco, che costava di tre sillabe brevi, e la misura
musicale corrispondeva esattamente a queste. Si doveva
rappresentare un qualche oggetto, che agisse con
imbarazzo, tardità o fatica? ecco gli spondei, e i molossi
venivano in ajuto del compositore, il primo de' quali
costando di due sillabe lunghe, ed il secondo di tre,
mostravano col loro tardo andamento la lentezza della cosa
rappresentata. S' aveva intenzione di eccitare l' allegrezza
e il giubbilo? ciò s' otteneva col dattilo, i cui moti sono d'
indole conforme. Per non dilungarmi oltre il bisogno, il
ritmo presso ai Greci e Latini era come un orologio che
misurava con tutta la precisione possibile l' andamento
fisico delle passioni, ed il suo carattere individuale n' era
talmente fissato, che la trasposizione d' una sillaba sola
bastava per cangiarne gli effetti. Di ciò ne basti arrecar una
prova. Essi usavano più volte ne' loro versi di due piedi, il
Giambo ed il Trocheo, composti egualmente d' una sillaba
lunga e d' un altra breve, con questa differenza però, che il
Giambo incomincia da una breve, ed il Trocheo da una
lunga. Ora siccome il primo di cotesti piedi sembra che ad
ogni passo raddoppi altrettanto del suo vigore quanto [-
27-] ne va scemando il secondo; così i Poeti satirici (alla
testa de' quali fa d' uopo metter Archiloco) adoperavano il
giambo per guerreggiare coi loro nemici, mentrechè gli
autori drammatici all' incontro facevano uso del trocheo
allorehè introducevano a ballar sulla scena i vecchi. Come
fece Aristofane nella commedia degli Acharnensi, dove, a
motivo del metro che vi si adopera, sembra che venga
mancando di mano in mano il vigore ai vecchi, che ballano
nel coro. Secondo gli accennati principj il sistema della
prosodia antica, nel quale i nostri ciurmatori grammatici
altro non sanno vedere, che un accozzamento
insignificante di sillabe, era fra le mani di Omero, d' Alceo,
e di Pindaro il pennello delle Grazie, la fiaccola del Genio, e
la cagion effettrice della musicale possanza."

Poteva in brevi accenti dirsi di più? A questo lume io


confido, che le seguenti testimonianze saranno ben più
efficaci, onde conoscasi con quanto stretto vincolo il ritmo
musicale ed il poetico fosser congiunti. Platone nel libro III.
De Repubblica così si esprime a nostro proposito. "Voi
dovete adattare il modo al soggetto ed alle parole, e non
queste al modo o all' armonia. Su queste materie
concerterete con Damone quali piedi o misure siano più
adattate per esprimere l' avarizia, la petulanza, il
fanatismo, e gli altri vizj; e quali metri esprimano meglio le
virtù contrarie. Quindi è, che il ritmo, ed i numeri
acquistano la loro forza nella educazion musicale, ed
esercitano la loro grande influenza sulle passioni dell'
anima". Con [-28-] chiarezza però ancor maggiore
conoscesi quanto il ritmo musicale dovesse a pari passo
seguire il ritmo poetico per l' aggiunto che davasi sovente
al primo di spondaico, e di dattilico siccome fecero e
Aristotile, e Aristosseno, e gli altri Musici. Due ne sceglierò
autorevolissimi. Riportano Quintiliano, e Boezio, come
andando Pittagora un dì a diporto per una contrada, e
sentendo le furiose smanie, cui si abbandonavano alcuni
giovanastri, trovò il segreto di cambiar loro consiglio,
facendo che uno de' suonatori di flauto quivi presenti
cambiasse il modo nella misura spondaica. "Pythagoram
accepimus concitatos ad vim pudicae domui afferendam
juvenes, jussa mutare in spondaeum modos tibicina
compescuisse". Quintiliano Capitolo 1 capitolo 10. E
Plutarco nel suo libro de musica sovente di qnesto
temperato ritmo musicale spondaico come amatore della
buona musica rende ragione. "Satis illi (parla di Platone)
erant illa quae in Martis et Minervae honorem condita
fuerant, et spondaea. Haec enim abunde viri moderati
animum confirmare judicabat posse". Ed altrove: "Nam
priscos non imprudentia temperasse tertia in genere
spondaico id docet pulsandi usus". Ed appresso: Caeterum
honestam gravitatem quae genere spondaico per tertiam
repraesentatur incitasse liquet eorum sensum ut ad
parypatem modulos trajicerent."

A nuova illustrazione di queste testimonianze, io la discorro


così. La Musica de' Greci, la quale in fondo era la medesima
che quella dei Romani, siccome provasi dal plauso, che i
Greci cantori avevano sempre riscosso, e riscuotevan
tuttavia in [-29-] Roma ai tempi del forsennato Nerone; la
Musica, dissi, de' Greci era segnata sopra le parole con
doppio ordine di lettere alfabetiche, il superiore per il
canto, l' inferiore per il suono. (Vedi Boezio, Alipio eccetera
i quali ne discorrono come di cosa usuale). Gli esempi, che
rimangono di questa musica, tanti segni mostrano, quante
sono le sillabe delle parole, che cantansi; e rari sono que'
segni, che vi si notan di vantaggio. (Questi avanzi di Musica
antica posson vedersi in Vincenzio Galilei, nel Padre Martini
eccetera.) Dunque a che maravigliarsi, se dicesi, che la
misura musicale seguiva il valor prosodico delle sillabe; e
che in conseguenza uno era di amendue il ritmo?
Nè già voglio arrogarmi il vanto di essere io il primo a
proporre somiglianza siffatta. E non è egli il divisamento
medesimo quello di que' nobili Toscani versati in ogni
maniera di Greca e Latina letteratura, i quali ragunatisi
nella casa di Giovanni Bardi de' Conti di Vernio, onde
concertare il modo di ridurre ad ogni costo in uso l' antica
musica, si decisero per la maniera del Recitativo, ove gli
accenti musicali servono schiavi in catena agli accenti
poetici, e dal sentimento del verso si desume il presto, l'
adagio, il forte, il piano, il risoluto, il patetico, il concitato, il
vibrato: ove fa impallidire lo sdegno, e fa gemere la
compassione: al voler dell' attore o si ride, o si piange; e lo
spettatore interessatosi dell' avventura, interloquisce per
fin nella scena, cose tutte notissime per la storia antica e
moderna de' teatri di musica? E non è egli il divisamento
medesimo quel di Giovanni Giacomo Rousseau [-30-] nel
Dizionario di Musica all' Articolo Recitatif; ove dice: "Chez
les Grecs, toute la Poèsie »tait en recitatif, parce que la
langue »tant m»lodieuse, il suffisait d'y ajouter la cadence
du mÕtre, et la rÕcitation soutenue, pour rendre cette
recitation tout-à-fait musicale: d' où vient que ceux qui
versifiaient, appellaient cela chanter." Non vorrei però che
questa maniera di chiamare Recitativo la musica degli
Antichi Greci e Romani producesse qualche equivoco per l'
associazione della notissima idea del moderno Recitativo di
cui suole in ogni Teatro avervi uno sciolo per compositore.
No, non era questa la semplice musica degli antichi; e se
dicesi Recitativo si dice per approssimazione: e s' intende
parlare di quel Recitativo, di cui dettero i precetti il Mei, il
Doni, e tanti altri bravi Toscani, e di cui qualche insigne
maestro ha fatto in diverse epoche gustare il pathos. (Vedi
il Saggio sopra l' Opera in Musica di Francesco Algarotti.)

Ma sento dirmi: il patrizio Errico Loreto Glareano meritò


ancor giovane di essere laureato da Massimiliano Cesare in
Colonia per aver cantato i versi eroici in sua presenza d'
una maniera degna degli antichi cantori; fattosi egli
coraggioso da sì buona fortuna, distende in note nel
Dodecacordo (Glareani Dodecachordon libro 2, pagina 180
e seguenti) una lunga serie di esempi per cantare i versi
elegiaci, i giambi, i faleuci, e le principali Odi Oraziane a
norma della mescolanza de' versi, che in esse hanno luogo,
ne' quali esempj si serve costantemente di semibrevi e di
minime, in opposizione [-31-] di quanto aveva già tentato
Franchino Gafforre famosissimo scrittor di musica,
protestandosi di non seguire esattamente misura alcuna;
Propemodum hic nulla est mensurae observantia: e ciò,
perchÈ gli antichi intenti ad esprimere gli affetti, il numero
e la misura avevano in non cale. "Quippe prisci illi, ut
affectus exprimerent, magis harmonias verbis aptabant,
quam aut mensurae aut numeris verba, quamquam omni
carmini sua quaedam est mensura, sed non prorsus ut
nunc exigunt musici". Questa opinione è, rispondo, così
digiuna, che non merita espressa confutazione, perchÈ da
tutti gli antichi scrittori, nessuno escluso, vien contraddetta
Se poi vuolsi benignamente interpretare in forza del
quamquam e dell' ut nunc, adattisi, come si può, alla
maniera sopraccennata del recitativo, di cui non avea il
povero Glareano nè idea, nè contezza; e quivi la mente di
questo dottissimo scrittore troverà un appoggio, onde con
onor ripiegarsi e sortire d' impaccio.

E qui forse alcuno mi accuserà di negligenza per non aver


mai citato in tutta questa disamina l' opera insigne di quel
famoso anonimo, che porta per titolo: De Poematum cantu,
et viribus rhythmi. Quanta erudizione, per verità, greca e
latina! Massime ove si stende a pruovare, che uffizio era
de' musici, non già de' grammatici, di accentuare i Poemi,
onde poterli ritmicamente cantare: ove dimostra che quindi
nasceva l' inutilità di avere le misure delle note nella
musica antica, dipendendo questa misura dal valor delle
sillabe: ove distingue il moto della voce nel parlare, nel
leggere, e nel [-32-] cantare, e come il primo dicevasi
continuo, l' altro medio, il terzo diastematico: ove riferisce
la leziosità de' musici, i quali esigevano sovente dai poeti
sillabe più brevi ancor delle brevi, e delle lunghe più
lunghe, siccome afferma Mario Vittorino. Di queste, e di
altre siffatte cose avrei molto potuto giovarmi nella mia
opinione, armonizzandovi perfettamente. Giunto poi questo
grandissimo uomo alla pagina 33 (Editio Oxoniae 1673
ottavo) incomincia a dire, e lo ripete fino alla nausea, che
tutte le moderne versificazioni sono pseudo-ritmiche, anzi
prive affatto di ritmo: che all' infuori dell' ultima sede non
collocano verun accento armonicamente: che i membri di
ciascun verso sono un orribile caos: che la musica moderna
precipita, e tronca deformemente le sillabe: che si diletta di
far lunghe le brevi, e brevi le lunghe: ch' essa ancor non ha
ritmo. E ciò, perchÈ avendo trovato un parrucchiere, il
quale pettinavalo ritmicamente con suo indicibil diletto:
Recordor me in tonsoris incidisse manus qui quorumvis
etiam canticorum motus suis imitaretur pectinibus: ita ut
nonnumquam jambos, vel trochaeos . . . . quam scitissime
exprimeret, unde haud modica oriebatur delectatio; non
ravvisò poi l' uom sistematico, o fosse per mancanza di
udito, ovver per esagerata relazione, gli effetti medesimi
nelle versificazioni delle lingue moderne: quindi scatenasi
contr' esse, e contro la musica che le riveste, a tutta possa.
Salito poscia in cattedra, consiglia tutti i poeti a mai non far
più versi se non metrici nelle rispettive lor lingue, e tutti i
maestri a comporre musiche, nelle [-33-] quali cantinsi
tante note, quante sono le sillabe del verso, accordando
solo per intercessione di Quintiliano due note ai dittonghi: e
rammenta poi loro di servirsi unicamente delle figure dette
minime per le sillabe lunghe, e delle semiminime per le
sillabe brevi. Conoscendo quindi la difficoltà di questo
nuovo impasto, rimette e gli uni, e gli altri alla scuola dei
tamburini, i quali sono gli eccellenti maestri di ritmo; e
quivi consiglia tutti di non contentarsi di una o due lezioni,
ma che tamdiu immorentur, finchè omnium motuum
formas et figuras absque cunctatione exprimere et
explicare possint quam exactissime: ed allora finalmente
reviviscent mirandi musicae antiquae effectus; cioè si
torneranno a vedere i pesci sul lido del mare incantati al
suono ed al canto della nuova ritmica scuola; le fiere
ammanzire; arrestarsi i fiumi dal corso; correre gli alberi;
fuggir la peste dalle città; rendere le sepolture i lor morti
per il ritorno delle Euridici dall' Erebo: e sorgere nuove Tebi
dai sassi accavallati l' un sopra l' altro per far corona ai
novelli Orfei, Zeti, ed Amfioni dei parrucchieri discepoli e
dei tamburini. Conchiude alla pagina 136 che se questi
consigli non saranno eseguiti, tutte le colte età si
vederanno costrette a burlarsi delle versificazioni e della
musica dell' anno 1671, nella qual epoca i parrucchierì ed i
tamburini eran valorosissimi ritmici; ed intanto piacevano
agl' Italiani, ed alle altre Europee nazioni, versi sine
pedibus, sine membris, sine rhythmo; ed una musica
cadaverica, cadavericum saeculi hujus cantum. Se queste
cose siano dette da senno, [-34-] o da beffe, io nol so. Dico,
che mai il Canonico di Windsor Isaac figliuolo di Giovanni
Gherardo Vossio non può essere stato l' autore dell' opera,
siccome pur v' ha chi l' opina. Per ciò è che io non mi son
fatto lecito di citare opera siffatta, nè di prevalermi della
costui autorità. Se poi bramasse taluno di approfondir la
materia, vegga il Trattato della musica scenica: le Lezioni
sopra la musica scenica, e l' Appendice al Trattato
suddetto: opere tutte insigni di Giovanni Battista Doni; ed il
Dialogo della musica antica e della moderna di Vincenzo
Galilei, ove alla pagina 97 riporta quattro antiche cantilene
composte nel modo lidio da uno degli antichi musici greci,
le quali possono servire per una prova di fatto
convincentissima del nostro divisamento.

Non posso dispensarmi, pria di levar la penna da questa


ricerca, dall' aggiugnere ciò che marcai un tempo in non so
quale scrittore. Che la diversità, cioè, delle sillabe or
lunghe or brevi nei piedi dei versi greci e latini, fu da prima
il prodotto e quindi la cagione determinante degli accenti
forti e deboli della semplicissima loro musica accoppiata al
verso; e che la differenza della misura delle vocali lunghe e
brevi, e per fin delle consonanti su cui tanto romore si
mosse fra i medesimi antichi grammatici, chi più
slungandole, chi manco, chi producendole, direi quasi, in
caricatura, e chi quasi negligentandole affatto, nasceva per
appunto nella congiunzione strettissima della musica, e
della poesia, dalla differenza de' musicali accenti nelle
diverse maniere di canto, altro essendo [-35-] quello
destinato al culto degl' Iddii; altro quel dei giovani, e delle
giovanette ingenue nel sen delle loro famiglie cum voce
assa, et cum tibicine; altro quel del teatro. Nel primo gli
accenti procedevano con esattezza, per così dire,
geometrica; nel secondo alla regolarità aggiugnevano
qualche dose di vivacità più piccante: nel terzo, rotti i
confini, in mezzo al ridicolo ed allo spaventevole, sortendo
di più le voci dal pertugio di maschere sfigurate, e
ribattendo nei vasi echei (Vitruvio, Architectura libro 5,
capitolo 5) molto dovevan patirne i minori accenti, che solo
si saran ravvisati nell' eccesso della caricatura. In tutto ciò
per altro fa d' uopo non perder di mira tanto le epoche de'
tempi, quanto l' indole, il carattere, ed i gradi di
civilizzazione delle nazioni. Maturando seriamente questo
tratto, si vedrà a cotal baleno cader a terra quante v' ha
ricantate opposizioni, più che non avvenne ai guerrieri del
Castel di Pinabello al farsi vampo lo scudo del moresco
Ruggero (Ariosto Canto XXII). Ma torniamo in istrada.

QUARTA DOMANDA.

In qual cosa differiscono questi due Ritmi?

Risposta. Per le cose fin qui dette altra differenza fra i due
ritmi, poetico e musicale, non si ravvisa, che della sola
natura diversa degli elementi costituenti. Quello trae la sua
origine dal ritorno dei piedi, ovver dagli accenti sillabici,
questo dal ritorno degli accenti melodici: riuniscansi
insieme [-36-], si avrà un solo ritmo. Sono l' acqua marina e
la rugiada celeste, che al dir degli antichi
Di conchiglia nel sen madre feconda
Alfine in bianca perla si ritonda. Robert.

QUINTA DOMANDA.
Fino a che punto debbe e può adattarsi il primo al secondo?

Risposta. Debbe il ritmo poetico determinare, e quindi


prestarsi al ritmo musicale; e mai non è lecito a questo di
porsi in contraddizione con quello.

Dichiarazione. Molte delle cose riferite sotto la terza


Domanda possono a sufficienza dichiarare l' accennata
risposta. Piacemi tuttavia coll' autorità di Tullio alquanto
espolirla. Volendo egli per il suo tema dimostrare, che l'
orecchia umana ha una certa naturale facoltà di
distinguere le misure del tempo, reca l' esempio del canto,
nel quale cotal misura è perfetta e manifesta; ed afferma,
che se il cantore in teatro, cantando de' versi pronunziava
alcuna sillaba in ragione della battuta con maggiore o
minor tardità, che non le si conveniva; vale a dire se
avesse il ritmo poetico col musicale tradito, accorgevasi il
popolo dell' errore, e rimanevane offeso. "In versu quidem
theatra tota exclamant, si fuit una syllaba aut brevior aut
longior". (De Oratione). E replica di nuovo lo stesso nel libro
terzo. "Quotus quisque est, qui teneat artem numerorum
ac modorum? At in [-37-] his si paullum modo offensum
est, ut aut contractione brevius fieret, aut productione
longius, theatra tota reclamant". E tanto questi due ritmi
dovevano essere fra loro d' accordo, e camminare di pari
passo, che lo stesso Tullio giunge ad affermare, che i versi,
i quali solevano cantarsi nei teatri, ed i lirici singolarmente
erano in gran parte così poveri d' armonia, che se leggendo
si recitavano, quasi in essi non appariva alcuna forma di
verso, e solo armoniosi divenivano quando si cantavano.
"Sed in versibus res est apertior; quamquam etiam a modis
quibusdam cantu remoto, soluta esse videatur oratio;
maximeque id in optimo quoque eorum poetarum, qui lyrici
a Graecis nominantur, quos cum cantu spoliaveris, nuda
paene remanet oratio, quorum similia sunt quaedam etiam
apud nostros, velut ille in Thieste: Quemnam te esse
dicam? qui tarda in senectute . . . et quae sequuntur: quae
nisi cum tybicen accessit, orationi sunt solutae simillima. At
comicorum senarii propter similitudinem sermonis sic
saepe sunt abjecti, ut nonnumquam vix in his numerus et
versus intelligi possit: quo est ad inveniendum difficilior in
oratione numerus, quam in versibus". Ora se i versi, che in
teatro si recitavano, non erano armoniosi ad udirsi, se non
quando si cantavano, cum tibicen accessit quanto uniforme
corrispondenza, quanta dipendenza reciproca dovea
passare fra i due ritmi! Poichè l' armonia di cotai versi non
si gustava in altro modo, che gustandosi la cantilena, per la
quale armoniosi divenivano.

[-38-] Ma dirà forse taluno non essere verisimili le


Ciceroniane espressioni, troppo avendo dell' iperbolico, che
il popolo tutto esclamasse per la semplice ineguaglianza
degli accenti: perocchè ora non vediamo in simili casi verun
disgusto de' spettatori. Ma troppo dalla nostra la musica
degli antichi era diversa. Quella era semplicissima; e però
gli errori che nella congiunzion dei due ritmi si
commettessero, vi dovevano essere manifestissimi;
siccome pure esser dovevano assai più gravi, e più
frequenti, che non sono ora: se vero è che gli antichi non
avessero l' arte di esprimere in carta esattamente le
misure, e la quantità peculiare d' ogni nota; come da noi
suole farsi, mercè le varie figure, che inventate furono di
poi. Nella nostra per contrario l' errore viene coperto
facilmente dalla varietà delle parti che oggi s' usano; e
potrei anche aggiugnere, che gli antichi andavano al teatro
per udire; laddove i nostri, se togliesi la prima sera della
nuova opera, vi vanno per conversare, e lo sogliono
considerare come un ritruovo degli amici. Quindi i Romani
esclamarono quando udirono quella bella sentenza: Homo
sum; humani a me nihil alienum puto. Quante belle
sentenze si pronunziano talvolta ancor ne' moderni teatri,
senza che le approvi ed esclami alcuno dell' immenso
popolo, che vi concorre? Tuttavia però si finga anche a' dì
nostri uno dei sopraccennati falli avvenire, non dirò già in
un finale, anzi nemmeno in un' aria coperta dagl'
istromenti; ma in un recitativo interessante e patetico, in
cui l' attore, a cagion di esempio, più musico che
prosodista, affine di non alterare un [-39-] musicale
accento, proferisca andassìmo lungo in luogo di andassimo
breve: non mancherebbe tosto per mia fe chi facesse alla
Romanesca risuonar a più doppi niente meno che,
assassìno.

Che se a' tempi di Tullio tanta era la delicatezza delle


romane orecchie, non fu poi sempre così. Lagnasi Plutarco,
che la musica de' teatri generava ogni anno stravaganze
più inaudite, che non mostri la Libia; e giunge a dire, che a'
suoi dì tutta l' applicazion de' compositori riducevasi alla
varietà de' modi, ito affatto in non cale lo studio de' ritmi.
Quindi tutto si affanna in raccomandare ai novelli maestri
lo studio delle antiche maniere, e della poesia. "Quare si
cui recte et cum judicio musicam tractare visum est, genus
sequatur antiquum... Nam cum partes sint, in quas in
universum tota digeritur musica, debet is qui ad musicam
applicat, callere eam, quae his utitur, paesim, tenereque
eam, quae poemata tradit elocutionem". E poco appresso
rende ragione della necessità di cotai studj, poichè
dovendo camminare allo stesso passo il numero del verso
col numero della melodia, non ne abbia a rimanere offeso il
senso. "Semper necessarium est tria ut minimum in
auditum cadant, vox, tempus, et syllaba, vel littera. Fiet
autem, ut ex vocis incessu apta temperatio, ex temporis,
numeri, et litterae, vel syllabae id quod dicitur,
cognoscatur. Quia vero pariter progrediuntur una in
cursum sensus fieri necesse est".

Vano però fu di Plutarco, di Boezio, e di altri siffatti l'


impegno. Le scorrerie de' Barbari infestando, anzi tutto
opprimendo il Romano Imperio, [-40-] bandirono
totalmente le buone lettere, e le arti belle; onde
scompaginossi affatto la macchina dei due sopraccitati
simiglievoli ritmi; ed all' infuori delle melodie informi di
poche canzoni popolari, e del canto aritmico del Santuario,
fu alla musica imposto perpetuo silenzio. La bella aurora
del nuovo idioma italiano richiamò eziandio dal bando la
musica, che deposte le luride vesti, abbellissi in ossequio
della ricuperata libertà con nuovo abito alla foggia italiana;
ed incominciò tosto a risuonar sul violino, poscia sulla viola,
sul liuto, sulla tiorba; e stretta lega col ballo e colla nuova
poesia, si fe sentir con gloria nelle stampite e nelle
ballatette fra liete brigate. S' introdusse quindi per la prima
volta al pubblico, giusta l' antichissima sua tattica, nelle
Chiese, e vi si sostenne a fronte anche dei reclami del
Pontefice Giovanni XXII. (Extravagantes Communes liber 3
titulus 1 de vita et honestate Clericorum capitulum unicum)
Patrocinata in appresso dai buoni uffizj di Ferdinando
Cesare scampò dai più rigidi esami de' Tridentini Padri
(Concilium Tridentinum Sessio 22 Decretum De
observatione et evitatione in celebratione Missae) mal però
corrispondendo ai favori, tese insidiosamente gli agguati al
Canto Gregoriano, che pur l' antica tutta propria sua gloria
aveva seco lei diviso, e per mezzo degl' inconsiderati suoi
fautori ne volle lo scempio. Non ha più di due secoli, che
calzato di nuovo il socco, ed il coturno a sfoggiar delle sue
bellezze ottenne di salir sul Teatro. La Poesia le fu amica, l'
accarezzò dolcemente, la guidò per mano, l' incoraggì, l'
ammaestrò: dessa però colla sua antica baldanza
soverchiolla in progresso [-41-] per modo, che non più
passo passo al suo lato, ma ai capricciosi suoi cenni la fe
servire da fante. Reclamò la Poesia al tribunal filosofico
colle lagnanze dello Stigliani: "Ponendo i musici un' altra
armonia, che non s' accorda coll' armonia poetica, fanno
agli uditori quelle parole parer prosa. L' armonia formata
dal versificatore nelle lor note s' annulla, e si disfà.
Stroppiano costoro l' andatura del verso." Fu a lungo
dibattuta la causa e dietro le scritture del Maffei, del
Bettinelli, del Tosi, del Mancini, e del Metastasio, sembrò
che il giudizio propendesse a favor della supplicante. La
musica però divenuta seducente e ciarliera col sostegno
della moltitudine volle il giudicato a suo modo; Cioè, che la
musica non contraddirà mai più palesemente il ritmo
poetico: quanto poi all' antico stile di rilevarlo ed ornarlo, il
farà se le aggrada, altrimenti egli la servirà da valletto. E
questa si è la storia della nuova unione, e dello stato
attuale dei due ritmi. Avverta però la musica di non contare
soverchiamente sull' aura. instabile del volgo: io la veggo
prossima ad alcun perigliosissimo scoglio; troppo il suo
andamento presente rassomigliando quello de' tempi di
Plutarco. "Nostri vero temporis homines gravitate ejus
repudiata, pro virili illa et admiranda garrulam in theatra
introducunt." (Plutarco de Musica). Ed i nostri l' introducono
ancor nelle Chiese in comitiva degli Ottavini, dei Tamburi, e
dei Timpani: il che non saprei decidere se fosse più o
manco riprovabile di quegli orrori esecrati nella musica
ecclesiastica de' suoi tempi dal satirico Salvator Rosa
(Satire I la Musica)

[-42-]
Che scandalo è il sentir ne' sagri chiostri
Grugnir il Vespro, ed abbajar la Messa,
Ragghiar la Gloria, il Credo, ei Pater nostri.
. . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . .
E si sente per tutto a più potere,
Ond' è che ognun si scandalizza e tedia,
Cantar sulla ciaccona il Miserere.
E con stili da farse e da commedia
E gighe e sarabande alla distesa eccetera.

SESTA DOMANDA.

Qual influenza uno di questi ritmi può ricever dall' altro?

Risposta. Il ritmo musicale riceve per lo più dal ritmo


poetico quell' influenza, che riceve il ballo dal ritmo
musicale.

Dichiarazione. Come il ritmo musicale procede co' suoi


accenti in ragione moltiplice dupla, o tripla, o quadrupla, e
così determina il moto nel ballo, in cui, al dir del
famosissimo maestro Giovanni Battista Duffort nel trattato
del Ballo Nobile, non v' ha altra misura di tempi fuori dell'
accennata: "In tutte le danze altre misure di tempo non
hanno luogo, che la misura di due tempi, e quella di tre
tempi... V' hanno eziandio delle danze, l' arie delle quali
sono così posate, che sembrano più tarde di quelle che
sono nel tempo ternario composte, e le quali sono notate
sopra quattro tempi". In simil guisa la ragione del ritorno
degli accenti [-43-] poetici deve determinar la ragione de'
musicali accenti; se pur non si volesse adattare alla
sescupla, ovvero alla dodecupla que' versi, ne' quali
ritornan gli accenti di quarta in quarta; poichè le terzine di
ciascun membro della battuta potrebber supplire al numero
pari della medesima.

E per insistere ancora un poco a chiarezza maggiore sulla


proposta verità, cercherei io qui da taluno, se mai avvenga,
che le persone, le quali raccolte si trovano ad una festa di
ballo, subito che l' orchestra incomincia a suonare, e le arie
della danza riempiono loro gli orecchi, risentendo un certo
cotal impulso in tutto il corpo; sicchè molti, e quelli
singolarmente, che nel ballo sono esercitati più quasi tener
non si possono, e sentonsi le gambe desiderose di ubbidire
alla legge di quel suono; dissi, cercherei, se avvenga
giammai che una danza ternaria incomincino costoro a
prendere sotto una battuta binaria? Non è avvenuto, il so
bene, e mai non avverrà. E qui cade opportuno, secondo l'
emendazion di Scaligero, il vero senso di quell' antico verso
esametro:

Praesul ut amptruat, inde et volgu redamptruat olli.

Cioè, che dovendo i Salii far la loro comparsa ne' dì solenni


per le pubbliche vie cantando e ballando inni a Marte; onde
non confondere con rossore fra la calca del popolo il tempo
delle di verse danze, uno di loro detto il Presule accennava
solo la mossa, e quindi gli altri imitavanlo. Così mai non
dovrebbe avvenire, che un compositore di musica
cambiasse la ragione del ritorno degli accenti poetici con
una battuta musicale di [-44-] ragione diversa: altrimenti
togliesi affatto l' idea dell' unità, e si riduce il tutt' insieme
un pretto caos. Ma io troppo pavento per lo sfrenamento
della moderna musica; e son d' avviso, che cadendo dalla
penna di qualche suo cortigiano sregolatezza siffatta, ancor
suo vanto ardirebbe chiamarla. Ah! ch' io la veggo legata a
fil doppio con Alcina per disfarsi totalmente di Logistilla
(Ariosto Canto VI). Veggansi su tal proposito i moderni
reclami dell' insigne Maestro Maier (Discorso del Signor
Andrea Maier Veneziano intorno alle vicende della Musica
Italiana. Roma 1819); e conoscerassi quanto
moderatamente io mi lagni della musica d' oggi di.

VII. DOMANDA

Quali sono le cause del piacere che ci fa provare la


versificazione?

Risposta. L' ordine, la simmetria, il numero, la successione


armonica dei simiglievoli ritorni percepiti con distinzione
dall' anima per mezzo della fantasia, sono le cause del
piacere, che ci fa provare la versificazione.

Dichiarazione. Se io volessi occuparmi di proposito su


cotale domanda, mi sarebb' uopo di far un trattato di
Psicologia, e le mie più studiate applicazioni metafisiche
appena agguaglierebbero le dozzinali pedanterie. Quindi è
che mi contento solo di confermare coll' autorità di Tullio
queste due verità. Che [-45-] il numero dalla combinazion
dei vocaboli risultante è la cagion del piacere. "Omnino duo
sunt quae condiunt orationem, verborum, numerorumque
jucunditas. In verbis inest quasi materia quaedam, in
numero autem expolitio. Sed ut caeteris in rebus,
necessitatis inventa antiquiora sunt quam voluptatis: ita et
in hac re accidit ut multis saeculis ante oratio nuda ac rudis
ad solos animorum sensus exprimendos fuerit reperta,
quam ratio numerorum caussa delectationis aurium
excogitata": e che il numero stesso onde generi piacere
debb' essere chiaro, e dalla fantasia rimarcabile. "Numerus
in continuatione nullus est, distinctio et aequalium et saepe
variorum intervallorum percussio, numerum conficit; quem
in cadentibus guttis, quod intervallis distinguuntur, notare
possumus, in amni praecipitante non possumus". Chi
avesse ozio per leggere il trattato di Musica di Giovanni
Vossio, che trovasi nella sua Opera De quatuor artibus
popularibus, troverebbe infinite curiosità su gli effetti di
cotal piacere non solo negli uomini, ma eziandio ne' bruti
animali siano quadrupedi, siano volatili, siano acquatici; e
come un numero sovente con efficacia maggiore di un altro
genera diletto giusta le macchinali disposizioni.

VIII. DOMANDA.

In che cosa, e come l' orecchio debba preferire la


versificazione alla prosa?

[-46-] Risposta e Dichiarazione. Che l' orecchio piu del


numero poetico rimanga soddisfatto in comparazion dell'
oratorio, ella è una verità di fatto. L' impressione più viva,
più chiara, più determinata, che riceve la fantasia dall'
ordine, dalla simmetria, dal numero, dalla successione
armonica degli accenti poetici n' è la cagione. Impressione
siffatta io la chiamai più viva, più chiara, più determinata
nel verso, poichè quantunque v' abbia e ordine e simmetria
e numero e succession nella prosa, stultos dico, così
Diomede Grammatico, qui putant liberam a vinculis pedum
prosam esse debere, sono quivi elementi più vaghi, più
liberi, ed insieme più occulti. Rese il numero poetico di se
ragione: si seppe il suo procedere: si determinò: fecesi al
suo dosso la legge: chi vuol verseggiare, anche invite le
Muse, siegua le cotali regole; e se non mai sarà un Ariosto,
o un Virgilio, pur tuttavia i suoi versi riscuoteranno alcuna
lode. Il numero oratorio, per lo contrario, non isvelò
unquemai il suo segreto: nell' orecchio muto affidò sue
ragioni: questo ne divenne, e ne sarà maisempre il giudice
inappellabile. Quindi è che anche dietro lo studio della
Rettorica di Aristotile, e di Tullio, e delle Instituzioni di
Quintiliano, e di Dionigi d' Alicarnasso non si tornisce
tuttavia a dovere, senza l' ajuto d' un finissimo orecchio, un
periodo veramente numeroso nella infinita combinazion de'
vocaboli: onde conchiudea il medesimo Tullio, come sopra
si vide, che non v' ha poi tanta difficoltà nell' accozzare de'
versi anche armoniosi, quanta nel rotondare un periodo
oratorio. Quo est ad inveniendum difficilior [-47-] in
oratione numerus quam in versibus. Il numero poetico si sa
trovare dal contadino, dal piloto, dalla nutrice, dall' artiere;
ma per il numero oratorio vi voglion delicatissime orecchie.
Il contadino, la nutrice, il piloto, l' artiere annojati alla
lettura di un sol periodo del Boccaccio, e del Bembo, viepiù
si scuoterebbero al roteare improvviso delle terzine
Dantesche, quantunque nè dell' un, nè dell' altre
intendessero forse, non dirò il concetto, ma nemmen le
parole.

Queste riflessioni peraltro io non oserei applicare così


genericamente ad ogni classe di persone. So che i dotti
riscaldati alla lettura di Omero, o di Pindaro, passano a
gustare le bellezze oratorie di Demostene, senza risentirsi
gran fatto della varietà de' lor numeri: e così dicasi della
lettura di Virgilio, di Orazio e di Tullio; ovvero di Dante, di
Petrarca, o del Certaldese Novellatore. Noi non lodiamo
manco una tela del sommo Tiziano, il quale le sue figure
diligentemente finite ritoccava con pennellate grandi e
risolute: ed interrogato perchÈ questo facesse, rispondea:
Nascondo l' arte: di quello che commendiamo le maniere di
tanti altri valentissimi dipintori, de' quali può dirsi
dantescamente con Lionardo da Vinci (Trattato della
Pittura. Capitolo 25.) che essendo stati nipoti e non figli
della natura soverchiamente pavoneggiaronsi nella copia
de' manifesti artifizj.
[-48-] IX. DOMANDA.

Quali sono, e quali debbono essere i principj fondamentali


di ogni versificazione?

Risposta. Se vogliam essere coerenti al fin quì detto, lungi


peraltro dalla baldanza di crear nuove leggi, ma rendendo
solo ragione delle versificazioni sanzionate dal giudizio
universale di tutti i filosofi, e di tutte le orecchie, il principio
generale di ogni versificazione, come tale, si è un numero
fisso di piedi ovver di sillabe; e la successione armonica di
essi piedi, ovver delle sillabe accentuate in ragione
moltiplice o dupla, o tripla, o quadrupla. Se i ritorni
oltrepassano questo numero, il verso è fallato, perde la sua
armonia, si riduce una prosa, quantunque il concetto, la
frase, e le parole appartenessero privatamente al Parnasso.

X. DOMANDA.

Fino a qual punto le nazioni che avessero fondato la loro


versificazione sulla rima avrebbero seguito li veri principj
della versificazione?

Risposta. Se si desse una Nazione, la quale sulla sola rima


di fondar si contentasse la versificazione della sua lingua,
sarebbe a mio giudizio priva di senso comune. Il solo
ritorno di due voci simili nella desinenza dell' orazione,
senza numero fisso di sillabe, [-49-] senza alcun riguardo
agli accenti, ovver senza il ritorno armonico di piedi
simiglievoli, non dà l' idea del verso. Isocrate a questo dire,
per testimonianza di Luciano, un luminar sarebbe tra Greci
poeti; e San Agostino, San Massimo, San Fulgenzio e tanti
altri fra latini Padri, rimando di continuo le desinenze nelle
loro Omelie, dovrebbero aversi per altrettanti insigni poeti.
So, che il sopraccitato Anonimo tiene per poesie di tal fatta
quelle degli Arabi de' Persiani, de' Tartari, de' Cinesi, e di
molte popolazioni di America (de Poematum cantu pagina
25); le quali paragona colla nenia de' bamboli in culla, che
ripetono le mille volte la stessa voce. Se vuolsi però dar
fede alle traduzioni che abbiamo di siffatte poesie ne'
Saggi di Michele Montagne, e ne' Discorsi dello spettatore
Inglese, non può dirsi, che quelle odi Americane e Lapone o
quelle canzoni Arabe, e Persiane siano legate col solo
vincolo di rimar a capriccio ora tardi ora presto due sole
voci, mentre per confessione d' Agatopisto Cremaziano
nella lettera ad Eleuteria Lacedemonia queste composizioni
hanno i lor partigiani anche in mezzo alla luce d' Europa, e
non paventan cozzare perfino cogli esempi di Pindaro, d'
Anacreonte, e d' Orazio. Che se pure cotale difetto potesse
un tempo aver trovato seguaci, egli sarebbe, a mio
credere, quel della balbuziente versificazione Italiana.
Tuttavia veggiamo il suo numero ed i suoi accenti
simetricamente disposti ne' versi che rimangono i più
antichi dell' Inscrizione della Chiesa cattedrale di Ferrara
posta sopra l' arco dell' altar maggiore.

[-50-]
Il mille cento trentacinque nato
Fo questo tempio a Zorzi consecrato.
Fo Nicolao scolptore
E Glielmo fo l' autore.
la qual' iscrizione quantunque al chiarissimo Tiraboschi
(Storia della letteratura Italiana Tomo 3.) sembri di un'
epoca alquanto posteriore al 1135 pure il Quadrio, e
massime il Padre Ireneo Affò (Dizionario Poetico
Dissertazione Preliminare) la tengono per sicura ed
autentica. Chè se queste medesime prove, questi parti
immaturi di versificazione in tempi d' ignoranza sono
siffattamente regolari e col numero fisso di undici e di sette
sillabe, e cogli accenti disposti di quinta in quinta; ove sarà
che trovinsi delle colte Nazioni, cui una versificazione di
sole rime possa esser piaciuta?

XI. DOMANDA

Fino a qual punto quelle Nazioni che hanno fondato la loro


versificazione sulla quantità prosodica, hanno seguito li veri
principj della versificazione?

Risposta. Li Greci ed i Latini, che la versificazione loro


rispettiva fondarono sulla prosodica quantità ossia sopra un
numero fisso di piedi metrici somiglievoli, e sopra il ritorno
armonico di cotai piedi in ragione o pari o duplare, o
sescupla, godonsi per la Risposta alla VII. Domanda una
versificazione perfetta.

Nota. E qui piacemi di avvertire, che parlando di siffatta


maniera di versificazione ho mai sempre nominato [-51-]
soltanto i Greci ed i Latini, e ciò per la loro notorietà. So
bene peraltro, che vanta eziandio la lingua Alemanna
questo genere di metrica versificazione. Chi di fatto non
conosce l' esimio Klopstock, detto a ragione l' Omero della
Germania? la felice sua idea di adoperare i versi Esametri
nella nativa sua poesia aprì questo nuovo campo alla
ricchezza della lingua, ove il Ramler, il Denis, e varj altri
hanno saputo spaziarsi lodevolmente: e se il Klopstock può
dirsi l' Omero, il Rumler debb' egualmente riguardarsi come
l' Orazio, ed il Gleim un nuovo Tirteo, cui con altro stile
raggiunge. (Andres Letteratura Tomo 2.) Anco i moderni
Olandesi hanno la metrica versificazione, e non dubito di
affermare che al dì d' oggi abbiano eguagliato i Tedeschi.

Quanto poi alla lingua Ebraica, ne ho taciuto, perchÈ mai


non ho saputo convincermi, che metrica fosse la sua
versificazione. M' è noto, che il Vatablo, per quanto egli
stesso narra, conobbe appieno la misura, ed il metro de'
versi Ebrei; e che quindi molti valenti Scrittori l' opinione,
che gli Ebrei avessero il metro ne' loro versi, seguirono di
proposito, fra quali merita luogo distinto il Gommaro (Lyra
David) che con somma industria si faticò di ridurre al metro
di Pindaro, Sofocle ed altri quello, ch' egli stimava essere in
alcuni libri della Bibbia a persuasione di Abramo Golio, e di
Ludovico Dieu, animato ancora dall' esempio del Mercero, a
cui in Giobbe parve vedere qualche lume di metro. Il fatto
però si è, che il Vatablo niente non ha lasciato in iscritto
sopra cotal misura: il Mercero sgomentossi di continuare le
sue scoperte; e le fatiche del Gommaro [-52-] furono inutili,
rimanendo gli eruditi ai suoni inconditi della nuova Lira
ciascuno nella propria opinione. Onde Lodovico Cappello
appigliandosi al giudizio, che prima di lui ne dierono
Giuseppe Scaligero (in Animadversiones ad Chronicum
Eusebii) ed Agostino Steuchio (Praefatio in Psalmis) vinse il
partito, sostenendo, che la lingua Ebrea non men che la
Siriaca, ed il più delle Orientali, non è affatto capace di
versi misurati dalla quantità delle sillabe. Che se a' dì nostri
Monsignor Francesco Antonio Baldi (che nomino solo a
cagion d' onore) nell' opuscolo intitolato: De Apologia
Catholicae Religionis Venetiis 1799. ha riprodotto con gli
Esametri Spondaici della Profezia di David (2. Regum 23.) il
divisamento del Gommaro, si appartiene non a me, ma agli
Eruditi il giudicarne.

Finalmente avrei dovuto eziandio accennare la lingua


Getica, docilissima in prestarsi alla metrica versificazione.
Fu questa tutt' opera di Ovidio, il quale avendo essa lingua
in quel suo esilio apparata, ne prese pensiero, e sforzossi di
farla parere men barbara. Che perciò ridusse, secondo che
dice egli stesso, i versi Getici alla misura de' versi latini.
Ah! pudet; et scripsi Getico sermone libellum;
Structaque sunt nostris barbara verba modis.
Così scriv' egli ad Carum nel IV. Libro De Ponto. E non è a
dire, che i versi Getici di quella misura non avessero forse
armonia, e non piacessero; che anzi Ovidio soggiunge:
Et placui: gratare mihi: coepique Poetae
Inter inhumanos nomen habere Getas.
Di maniera che avendo egli composto un lungo [-53-]
Poema, e recitatolo dinanzi ai Tomiti, gliene fecero i
medesimi maravigliosa festa.
Et caput et plenas omnes movere pharetras,
Et longum getico murmur in ore fuit.
E tanto lo amarono, e l' onorarono, che vollero ornarlo
sopra tutti i loro cittadini, e l' ebbero sempre caro, e
solennemente il coronarono come Poeta. Così scrive egli in
un' altra elegia ad Tuticanum nello stesso Libro IV. De
Ponto,
Molliter a vobis mea sors excepta, Tomitae,

Tam mites Grajos indicat esse viros.

Quem vix incolumi cuiquam salvoque daretis,

Is datus a vobis est mihi nuper honor.

Tempora sacrata mea sunt velata corona,

Publicus invito quam favor imposuit.

Questo tutto è verissimo: altronde però come poteva io


citare la versificazion di una lingua, che più non esiste? Il
Triumphus Augusti Caesaris, e de Gestis Imperatoris scritti
da Ovidio in lingua Getica, sono disgraziatamente periti. Il
ciel volesse, che come fu trovata la penna d' argento o
piuttosto stilo col nome di Ovidio Nasone nel suo sepolcro
scoperta nel secolo XIV. a testimonianza di Ercole Ciofano
nella vita di Ovidio; così le ricerche dei moderni
investigatori nei codici rescritti fortunatamente rendessero
nel secolo XIX. le citate ed altre più interessanti opere alla
pubblica luce!

[-54-] DODICESIMA DOMANDA.


Fino a qual punto quelle Nazioni, che hanno fondato la loro
versificazione sopra una distribuzione simmetrica di
accenti, hanno seguito li veri principj della versificazione?

Risposta. Le lingue moderne, l' Italiana, la Tedesca, la


Spagnuola, l' Inglese eccetera determinando nelle
rispettive loro versificazioni un numero fisso di sillabe; e
stabilendo delle sedi invariabili per gli accenti, che si
succedono simmetricamente di terza in terza, o di quarta
in quarta, o di quinta in quinta sieguono, per la risposta alla
IX. domanda li veri principj di una retta versificazione.

Nota. La sola lingua Alemanna, lingua madre, e l' Olandese


portano al dì d' oggi il vanto di essere suscettibili della
doppia maniera di versificazione metrica ed armonica.
Tutte le altre moderne figlie della latina troppo diverse nel
genio, nell' andamento, nelle desinenze dalla medesima, si
contentano dell' armonica versificazione; in cui se ciascuna
di avere il suo secol d' oro studiossi, punto non toglie a
quel seno onde trasse i natali la primazia, tributandogli le
parole di Dante Inferno Capitolo I.
Tu se' lo mio Maestro, e 'l mio Autore:
Tu se' solo colui, da cu' io tolsi
Lo bello stile, che m' ha fatto onore.
[-55-] e quelle di Petrarca. Trionfo della Fama Capitolo III.
A man a man con lui cantando giva
Il Mantovan, che di par seco giostra,
Ed uno al cui passar l' erba fioriva:
Quest' è quel Marco Tullio in cui si mostra
Chiaro quant' ha eloquenza e frutti e fiori:
Questi son gli occhi della lingua nostra.

TREDICESIMA DOMANDA.

Fino a qual punto quelle nazioni, che fanno consistere li


loro versi in un certo numero di sillabe, e nella rima, hanno
seguito li veri principj della versificazione?

Risposta e Dichiarazione. Il solo numero fisso di sillabe, e la


rima per la risposta alla IX. domanda non sono sufficienti a
costituire una giusta versificazione. La rima è una bellezza
estranea, ed aggiunta per vezzo agli elementi della
versificazione; nella stessa guisa che vi ha, può non
avervisi. Quando ella giunge, è compiuta già almeno una
coppia di versi; e se questi non sono veri versi di per se
stessi, la rima priva di reazione non cangerà unquemai
natura a ciò che la precedette. Il solo numero fisso di
sillabe manca del ritmo, cioè del ritorno simmetrico
armonico dei piedi, ovver degli accenti. Non può la fantasia
riportare dal solo numero delle sillabe quella impression,
quel piacere, che attende dall' idea del verso. La rima,
come accidentale e serotina, mai non supplirà al difetto d'
un sostanziale costitutivo.

[-56-] Versificazione siffatta dovette, a mio credere, aver di


mira l' Anonimo precitato, il qual però a torto si fe' lecito
chiamarla propria delle lingue moderne, benchè può
gloriarsi di avere un genio più che mediocre d' Italia (Pier-
Jacopo Martelli) indotto nel suo capriccioso divisamento.
Analizzando egli appunto questa maniera di versificazione
potè dir con diritto, che per mancanza della disposizione
armonica degli accenti ne quidem intelligas versus esse
quos legas, si similiter finientem auferas clausulam; poichè
tali versi da due insufficienti elementi, dal numero cioè
delle sillabe, e dalla rima vengon formati: ed in
conseguenza, che da questa versificazione abest
rhythmus, e che sono versi d' un solo piede, ut vere dici
possit illos uno tantum pede decurrere, e che prosa sono, e
non verso, carmina istiusmodi sunt, ut nihil omnino a prosa
discrepent oratione. Continuando anzi egli nell' analisi potè
sibbene aggiugnere, che versi siffatti attesa l'
ineguaglianza dell' accentuazione distorti sunt et
inaequales, e che offendono propriamente l' orecchio, se
pur una lunga abitudine non gli renda soffribili; onde ai
passi d' un mentecatto meritano di essere assomigliati.
"Longa quidem consuetudo facit ut inconcinno isto vocis
motu aures nostrae non offendantur, sed profecto si quem
inaequali et incomposito adeo incessu ambulantem
videamus; vix est ut eum mentis compotem existimemus".
Il Parnasso Italiano, Tedesco, Spagnuolo, Inglese eccetera
tanto arrossirebbe dal riconoscer per sua versificazione
siffatta, quanto vergognossi il cinghiale di [-57-] Fedro
(Phaedri Fabularum liber 1. Fabula 29) di essere tenuto
della specie di colui che salve in iscontrarlo, dissegli, o
fratello: della quale ingiuria, e notisi, ei non si ricattò,
siccome di leggieri avrebbe potuto, per non lordarsi.
Aper quum vellet facere generosum impetum
Repressit iram; et, facilis vindicta est mihi,
Sed inquinari nolo ignaro sanguine.

QUATTORDICESIMA DOMANDA.

Decidere col paragone di questi differenti sistemi quale di


essi abbia incontrastabilmente la superiorità?

Risposta e Dichiarazione. Rimanendo escluso per ciò che si


è detto fin qui dal genere delle vere versificazioni il
supposto della X. Domanda, dico, che per la simiglianza
riconosciuta, fra le due versificazioni metrica ed armonica
nel ritorno simile dei piedi, e degli accenti in ragione
moltiplice o dupla o tripla o quadrupla, si rende inutile
questo odiosissimo paragone. E dissi odiosissimo per non
dire impossibile, siccome avrei dovuto. Di fatto se io mi
volessi arrogantemente levare in giudice, eccoti i Greci, i
Latini, ed i moderni Tedeschi, che per la metrica
versificazione mi presentan gli Omeri, i Pindari, i
Callimachi, li Virgilj, gli Orazj, i Tibulli, gli Ovidj, i Klopstock,
i Ramter, i Gleim, e questi appresso una serie infinita di
altri poeti di primo e di second' ordine: mi additano
immediatamente nel Coro stesso di Muse gli armonici poeti
[-58-] fra gl' Italiani Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, Redi;
fra gli Spagnuoli Boscan, Garcilasso, Guthire di Cetina,
Lope di Vega; fra gl' Inglesi Milton, Dryden, Adisson, Pope:
fra i Tedeschi Opitz, Lessing, Klopstock, Gesner, Haller,
Wieland; e perfin fra gli Olandesi Catz, Vondel, Hooguliet,
nomi tutti fra gli altri celebri, e nel Parnasso famosi. Or tu
chi se', potrebbe a ragione intuonarmisi. (Dante Paradiso
Canto XIX).
Or tu chi se' che vuoi sedere a scranna
Per giudicar da lungi mille miglia,
Con la veduta corta d' una spanna?
Inoltre v' ha fra i nominati molti rispettivamente chiamati
Omeri, Pindari, Callimachi, Ennj, Virgilj, Tibulli, Lucrezj,
Orazj, Plauti, Terenzi, eccetera chi, dicesi, che agguagliasse
il suo prototipo: chi, si sostiene, che a superarlo giungesse.
Si accaniscono in questi divisamenti i Critici, ciascun la
vuole a suo modo. Ed io osar d' apparire in simil giostra? Di
più, non sono nuove fra gl' Italiani, fra gl' Inglesi e fra i
Tedeschi le contese vivissime, che si ebbero, onde
concedere la primazia ad una delle due maniere di versi
sciolti e rimati: l' oggetto in vero non oltrepassava in fondo
l' Omerica Batracomiomachia; con quanto danno però delle
buone lettere ambedue le schiere armeggiarono? Or
dappoichè con immensa applicazione mi fossi studiato di
farmi ridere al solo bandir in campo siffatte topiche guerre,
tributando quindi la palma ai metrici sopra gli armonici
versi, ovver parteggiando gli armonici, e schifando per
dabbenaggine i metrici; Che sarà per questo? Nè i Greci nè
[-59-] i Latini a causa perduta rivalicando la palude di Stige
abbandonerebbon giammai gli sposati lor metri; ed i
moderni poeti armonici, avendo la peggiore,
rimetterebbero il giudicato ad una nuova confusion di
Babele, onde gli attuali idiomi rimpastati nelle bocche de'
viventi fossero atti a ricavare una metrica versificazione.
Ciò che per altro credo opportuno di rilevare si è, che
difetti si scorgono nei metrici, difetti negli armonici
componimenti. Cadon talvolta i versi Greci, cadono i Latini,
e gli armonici sovente non cadon no, precipitan di sella.
Pur troppo è vero, che l' umana natura non può produrre
un' opera interamente perfetta; ed alcune colpe sono
inseparabili dall' umanità. Ciascuna lingua come debb'
esser contenta di quelle bellezze, che le son proprie, cui
ricavarono i dotti nel rispettivo secolo d' oro; così
ingenuamente que' difetti confessar debbe, che o coloro
non videro, o che formando delle lingue stesse la natura, l'
indole, il genio, mai non si toglieranno.

QUINDICESIMA DOMANDA.

Paragonare il modo della versificazione di ciascuna lingua


con se stessa, affine, di conoscere quali sono, fra le lingue
principali, quelle, la cui versificazione è perfettamente
conforme al loro genio, come quelle, che sono in
opposizione, e non interamente d' accordo colla loro
versificazione.

[-60-] Risposta e Dichiarazione. Non può veruna lingua


avere una versificazione diametralmente alla sua natura,
alla sua indole, al suo genio opposta. Nascon talvolta fra i
più vili idioti dei mediocri versificatori. Coloro che furono al
verso disposti dalla natura, verseggiarono primi,
apprendendone da un urto incognito del naturale
entusiasmo la foggia propria, ed adatta alla natura, all'
indole, al genio della madre lor lingua. Quinci le
osservazioni sopra tali aborti, quinci le regole, quinci i
perfetti poeti. Ante enim carmen ortum est quam
observatio carminis. (Quintiliano) Potrà sibbene una lingua
fra le cure dei dotti esser capace di ripulimento; ed ecco al
tempo stesso migliorata la versificazione; ed anche potrà a
nuove adattarsi fogge di versi. Mai però non direi, che
lingua e poesia di una colta Nazione possano di
opposizione convincersi.

Furon poeti Livio, Andronico, Ennio, Nevio, Pacuvio, Cecilio,


Lucilio, e mille altri, ma colla rozza lingua latina
imbastardita dai dialetti di tanti Popoli circonvicini
sottomessi da Romolo, e dai suoi successori, ed obbligati a
passare come cittadini nella Capitale novella. Il ripulimento
della lingua stessa nella civilizzazione romana ne dette i
Plauti, i Terenzj, i Lucrezj, ed appresso i Catulli. Era
riserbato però all' aureo secol d' Augusto il deliziarsi dell'
epico Virgilio, e di Orazio, de' Lirici il Principe, cui non teme
Cesare Scaligero di dar la palma sopra Pindaro, Alceo, e
Saffo. Da Andronico a Virgilio ed Orazio vi ha per certo un
gran tratto; unico però si mantenne il genere della
versificazione.

[-61-] La lingua de' Geti, per le cure di Ovidio, siccome


sopra si vide, fu capace della maniera di versificazione
Latina, incognita affatto a quelle barbare genti, che pur
gusto n' ebbero, e se ne compiacquero. Ed ecco una lingua
che scuopre vene di oro ove non conosceva che inospiti
monti, e

ne addiviene superba. Ma non per questo direi, che i versi,


qualunque si fossero, Getici, innanzi ad Ovidio, si
trovassero in opposizione colla lingua.

Fra Guittone, il Beato Iacopone, e tanti altri sgraziati


versificatori innondaron l' Italia fra i vagiti in culla dell'
Italico idioma. Dante nella Divina Commedia mescola
talvolta qualche estera voce. Le ottave della Teseide
fiutaronsi acremente dagli ammiratori stessi del Boccaccio.
Petrarca fu il solo che seppe sciogliere in dolcisssimi
inauditi, ed inimitabili accenti le amarissime doglie di non
corrisposto amore. Si debbe però al secolo di Leon X. l'
Ariosto, il Tasso, ed insieme con essi il Bembo, il Molza, il
Costanzo, il Caro, e tanti altri capaci di destare invidia col
loro canto alle Muse Greche, e Latine. Da Fra Guittone però
fino al secolo XVII. unica fu sempre la maniera di
versificazione italiana. Incominciaronsi quindi ad udire
nuove fogge di versi: li più famosi, che occuparonsi di tali
studj, sono il Martelli co' suoi Martelliani: appresso vennero
coloro, che pretesero d' imitare il suono degli Esametri e
de' Pentametri Latini, come Leon Battista Alberti, il
Tolomei, l' Atanagi, l' Alamanni, e finalmente quelli, che
opinan di udire tutti gli altri metri latini in qualcuna delle [-
62-] nostre maniere di versi. Sembra ad alcuni, che costoro
non sieno da tenersi nella loro impresa per felici, siccome
fu Ovidio nella sua: tuttavia al mio intento bastano per
dimostrare, che può una lingua sotto la cultura dei dotti
produrre anche esotiche frutta, senza che alle nostrali
scemisi punto di pregio.

Veniamo agli Spagnuoli. Ancor essi riconoscono nel XVI. il


loro secolo d' oro per il ripulimento del Castigliano
linguaggio. Il Boscan fu il primo Poeta del nuovo gusto; ed
ardì di acconciare le gioje del Petrarca al suo abito ancor
non troppo elegante. Garcilasso è il principe della poesia
Spagnuola; ma tuttavia non si può appieno lodare l'
armonia e la soavità de' suoi versi. Lope di Vega spiegò
finalmente alla maniera armonica Italiana le ricchezze della
sua poesia. Che fia però degli antichi, Berceo, Ruitz, Mena?
Hanno ancor essi il lor pregio. Al nascer del nuovo sole nell'
adottamento della maniera Italiana di verseggiare, sparì la
loro luce,, ma non fecesi tenebre.

Eccone agl' Inglesi. Il Camer coetaneo del Petrarca, fu co'


suoi versi l' Omero, o piuttosto l' Ennio della nazione. Al
principio del secolo XVI. studiaronsi in Inghilterra la lingua
e la poesia Italiana: impararonsi a memoria li sonetti del
Petrarca, prendevansi per modelli, e formavasi l' Inglese
versificazione tutta a norma dell' Italiana. Tosto Arrigo
Howard meritò il titolo di Petrarca Inglese, è lo Spencer di
Tasso. Milton venuto poco appresso fu il più gran genio; e
vuolsi da lui derivato il cominciamento de' versi sciolti detti
perciò da Philips [-63-] miltoniani. La gloria di aver raffinata
anche più l' Inglese versificazione, e raddolcita la rima
viene accordata al Walter. Dryden fu un nuovo pianeta. L'
Addisson, e il Pope risplendono sopra tutti quasi due Soli. E
l' antica maniera di versi Inglesi? Si legge dai nazionali, e
non si beffa.
Andiamo in Alemagna Martino Opitz fu l' aurora della
buona poesia Tedesca; quindi il Lessing, e il Gellert ne
accrebbero la luce. Klopstock però l' Omero della
Germania, essendo stata già ridotta la lingua Alemanna ad
una politezza squisita, è il primo che l' arricchì della
maniera metrica, rivestendo alla Greca, ed alla Latina i
versi Tedeschi: quindi il Ramler, il Denis, il Gleim, il
Ktelschmann molto si distinsero, finchè il Wieland le ha
dato, per così dire, l' ultima mano. Ed ecco questa lingua
dalla metà del secolo XVII. prestarsi meravigliosamente
alla metrica, ed all' armonica Italiana versificazione, senza
punto tacciar di contraddizione i versi degli antichi suoi
Ennj.

Riscossi a sì bell' esempio gli Olandesi moderni hanno con


gloria marcato quanto sia sensibile, costante, e generale
nella lor lingua la quantità delle sillabe brevi e delle lunghe;
e così adottando la versificazione Tedesca, vantansi sopra i
loro antenati della doppia versificazione metrica, ed
armonica Italiana. E l' Ennio Catz; e il Lucrezio Vondel, ed i
Virgilj Hooguliet, Nan-Harem? Si leggono, e si ammirano.

Ecco, dimostrato col fatto, come quasi in tutta Europa


tanto è conforme la versificazione alla lingua di ciascuna
Nazione, che dopo essersi queste [-64-] rispettivamente
ripulite, corrette, addolcite, arricchite, hanno finalmente
trovato nuove maniere di versificazioni, se n' erano capaci,
e sono salite sulle tracce dell' armonica versificazione
Italiana, ovver della metrica antica Greca, e Latina per
mezzo dei sublimi genj a quel grado di perfezione anche in
genere di politezza, di regolarità, e di armonia di versi, cui
mai non eran giunte per l' addietro e che non avrebbero
osato ripromettersi, se la natura e l' indole lor rispettiva si
trovasse in contraddizione, ovver non interamente
accordasse con la maniera adottata di versificazione.

SEDICESIMA DOMANDA.
Conclusione.

Applicare le considerazioni precedenti alla lingua, ed alla


versificazione Francese.

Risposta e Dichiarazione. A riguardo del presente ultimo


quesito mi sono in tutta la lettera dal nominare la
versificazion Francese astenuto. Nè punto mi duole cotal
omissione; avendo potuto fin qui mostrare senza eccezioni
od imbarazzi l' unità del ritmo nelle versificazioni antiche
Greche e Latine, e moderne di quasi tutta Europa,
facendosi ovunque o metrici o armonici versi, nei quali si
ha uniformemente il ritorno in ragione moltiplice o dupla o
tripla o quadrupla sia deì piedi, sia degli accenti.

Veniamo alla versificazione Francese. Fu un dì la [-65-]


versificazione Francese similissima alla Provenzale. Usavasi
allora in Francia l' endecasillabo; ed i Francesi stessi
chiamavanlo verso comune (vedi la Gallia litteraria il
Caylus eccetera). A me non sembra, dice un dotto autore,
che l' essere molto comune alle genti scemi punto il pregio
dell' endecasillabo; anzi parmi piuttosto, che gliene
aggiunga: perchÈ tanto comune non sarebbe, se la natura
stessa nol ci porgesse, e di più nol facesse a tutti parere
assai bello. Ma i Francesi dovettero pensare altrimenti:
quindi nell' Epopeja, e nella Tragedia abbandonarono l'
antico verso comune di dieci, o undici, e presero il nuovo di
dodici sillabe, cui dettero il glorioso nome di Alessandrino.
Questo modo di verseggiare, mi suggerisce un altro
scrittore, egli in fondo non è che scrivere insieme due
minori versi e da vicino legarli colla rima, la qual fu antica
invenzione italiana di Ciullo da Camo, cui tutti rifiutarono
come cosa stucchevole e sazievolissima. Di fatto vediamo,
che la versificazione Francese anche in mano dei famosi
Chartier, Marot, Rabelais, Ronsard, Regnier eccetera era
molto al di sotto delle altre nazioni: ed il primo poeta
Francese, che abbia fatto sentire nei versi una giusta
cadenza; il primo che abbia introdotta nella versificazione
Francese l' armonia e l' esattezza, altri non e stato,
secondo il testimonio di Boileau, e di tutti critici Francesi,
che Malherbe: quindi sorsero Racan, Maynard, Desmarest,
Desportes eccetera e dietro questi Cornelio coronò il
Parnasso Francese veramente di gloria: poscia vi si
distinsero Moliere, Racine, Boileau, la Fontaine, Quinault e
mille altri [-66-] ancor fra più moderni, i quali se colle dosi
immense di talento, di genio, di elevatezza di cui fornilli
soprabbondantemente natura, avessero avuto fra le mani
una versificazione regolare, veramente armonica, io son d'
avviso, che la Francia il Parnasso, ed i poeti Francesi o
animate muse, o vivi Apollini tornati a deliziar i viventi,
giudicati sarebbonsi da tutta Europa.

La versificazione Francese, ed ecco il mio divisamento,


recata dagli ammirabili Genj di quella nazione al più
sublime grado di politezza, ond' è suscettibile nell' attuale
suo stato, non trovasi in opposizione colla natura, coll'
indole della lingua. Può tuttavia, lasciandola in fondo tale
qual ella si è, migliorarsi dai nazionali con aggiungervi a
coronarla l' interna armonica simmetria.

Che la versificazione Francese non possa trovarsi in


opposizione colla sua lingua, è stato in globo dimostrato
nella risposta alla quindicesima domanda. La squisitezza
delle opere dei sopraccitati poeti ne accresce la
dimostrazione di fatto. Una guerra intestina, una
opposizion di nature, d' indoli, di genj fra lingua, e
versificazione, che a vicenda si elidano, non produce l'
Orazio, il Poliento, la Rodoguna, l' Eraclio, e tanti altri
infiniti capi d' opera che fanno la maraviglia di tutti i
posteri.

Rimane a provarsi, che può tuttavia la versificazione


Francese migliorarsi non poco dai Nazionali coll' interna
armonica simmetria. Eccomi a dimostrarlo.
La versificazione Francese, siccome è noto, misura i versi
col numero delle sillabe, e non colla [-67-] quantità. Si
sforzi pure il Ronsard di ridurla a metrica; le sue cure saran
sempre inutili; poichè se v' ha alcune parole nella lingua
francese, in cui è marcata una quantità sillabica, queste
son poche, e tutto il grosso de' vocaboli non si proferisce
prosodicamente. Che se Ovidio, Klopstock, ed i moderni
Olandesi sono giunti a render metriche le versificazioni
rispettive, trovarono già le lingue stesse Getica, Tedesca,
Olandese disposte con una pronunziazione marcata,
sensibile, universale di sillabe brevi, e lunghe, a ricevere la
nuova forma. Misura, dissi, la versificazione Francese i suoi
versi con un numero determinato di sillabe, e questo si è il
primo elemento. Passiamo al secondo. Tutti i versi
maggiori, incominciando da dieci a undici sillabe
(mascolini, e femminini, come è noto) debbono avere un
riposo, una pausa, una fermata alla metà incirca del verso.
Si diletta poi la Francese poesia della rima alla fine del
verso: ma questa per la risposta alla tredicesima domanda
non è un elemento delle versificazioni, e serve solo per
adornarle. Non v' ha fuori di questi altri elementi. Ond' è
che i versi minori, incominciando da nove a dieci sillabe,
sono costituiti dal solo numero fisso delle sillabe, primo
elemento, ed adornansi colla rima. Li versi bianchi (sciolti o
non rimati) sono formati dal solo numero fisso delle sillabe,
e dal riposo nel mezzo, usandosi soltanto cotal foggia di
versi negli Alessandrini.

Questi elementi per le cose fin qui dette in risposta alle X.,
e XIII. domande non sono sufficienti a costituire una vera
versificazione. Imperciocchè, [-68-] per la risposta alla II.
domanda, ed alla IX. vi manca la successione armonica dei
piedi, o vogliam dire degli accenti, dalla quale nasce il
ritmo delle vere versificazioni. Di fatto i Francesi non danno
regola veruna per la successione delle penultime sillabe
delle parole femminine, e delle ultime sillabe di tutte le
altre parole, le quali sillabe noi chiamiamo accentuate; ma
che a molti Francesi rimane in libertà di appellare come più
loro aggrada, non volendo muover lite su questo. Il fatto
sta, che cotali sillabe (noi diremmo accenti) trovansi ne'
loro versi irregolarmente e capricciosamente disposte. Un
emistichio ha per caso le ridette sillabe o accenti in un
cotal ordine; il seguente emistichio in un altro diverso: il
terzo lo cambia ancora: il quarto non si adatta ai
precedenti; il quinto è loro difforme eccetera. Questa è una
successione priva affatto di ordine, di simmetria, di
numero, di proporzione, di ritmo; e che senza assuefarvi
dall' infanzia l' orecchio non può tollerarsi.

Mi appello alla leale gentilezza dei Francesi. Dicon essi, e


ne son pieni i lor libri, che i versi bianchi (sciolti o non
rimati) non sono veri versi, e che se talvolta si fanno, punto
non appagano. Il perchÈ indicherollo io. perchÈ un numero
fisso di sillabe, ed un riposo nel mezzo, i quali sono gli unici
elementi di questo verso, come si è di sopra veduto, non
sono elementi sufficienti di vera versificazione; vi manca il
costitutivo del ritmo; vi manca cioè la successione
armonica delle soprindicate sillabe o accenti. Dispongansi
le sillabe ridette, [-69-] o accenti intermedj di terza in
terza, o di quarta in quarta, o di quinta in quinta; ed allora
saranno veri versi, e si gusteranno, siccome gustano gl'
Italiani, i Tedeschi, gl' Inglesi, gli Spagnuoli li versi sciolti
con siffatta regola costruiti nelle rispettive lor lingue.

Dicono i Francesi, e ne sono pieni i lor libri, che la lettura


de' loro versi non si sostiene a tempo pari colla lettura
della prosa. Il perchÈ indicherollo io. La loro prosa è
veramente numerosa ed armonica del numero oratorio: la
leziosità delle orecchie di Fenelon, di Bossuet, del Padre
Bourdaloue, di Massillon, e di altri molti lasciata a se stessa
non poteva rassomigliar ne' suoi parti, che le prose dei
Demosteni, degli Isocrati, dei Tullj, dei Cesari, dei Livii, da
leggersi avidamente da sera a mattina. Gli elementi però
della versificazione Francese, cui sono stati dall' uso
violentati a seguire, anche gli Omeri, gli Orazj, i Plauti della
Francia, non sono sufficienti a darle una fissa armonia, un
ritmo eguale e regolare per l' irregolarità della successione
delle ridette sillabe o accenti. Dispongansi le medesime di
terza in terza, o di quarta in quarta, o di quinta in quinta; e
si avrà ritmo, numero, armonia, simmetria; e si leggeranno
i versi al pari, o anche a tempo più lungo che non la prosa.

Dicono unanimemente i maestri di musica Francesi, che


martirio più crudo non v' ha di quello che provasi nell'
adattare le melodie musicali ai versi Francesi. Riscaldata la
fantasia alla lettura di un' aria, di un duo, di un coro,
somministra loro [-70-] una melodia efficace ad esprimere
il concetto: quand' ecco rivestitone il primo emistichio, nell'
adattarlo al secondo, o ridonda, od è mancante, conviene o
stroppiare l' andamento del verso, o difformare con
suddivisioni o con riunioni la melodia. Lo stesso
aggiungono avvenire volendosi adattare il canto di una
strofe alle susseguenti: le medesime note trovansi
insufficienti all' impresa. Il perchÈ indicherollo io. La musica
Francese è ritmica siccome quella di tutte le altre nazioni
antiche e moderne; e vi si succedono gli accenti melodici o
di terza in terza, o di quarta in quarta, o di quinta in quinta.
Al contrario la versificazione Francese, contenta dei due
elementi sovresposti, non si occupa della successione
armonica delle sillabe sopraddette, che noi appelleremmo
accenti. Quindi nasce, che se il primo emistichio si adatta
per caso agli accenti proporzionali melodici, il secondo li
contraddice, e gli annulla. Quindi nasce, che la disposizion
capricciosa delle ridette sillabe o accenti di una strofe mai
non combina, se pur non sia per caso, colle sillabe, o
accenti della seguente; e così mancando questa simmetria,
quest' ordine, questa proporzione, questo ritmo, le strofe
aritmiche non posson sempre mai legare colla ritmica
musica. Dispongansi le ridette sillabe o accenti di terza in
terza, o di quarta in quarta, o di quinta in quinta; e si avrà
ordine, numero, simmetria, ritmo: e questa ritmica
armonica versificazione adatterassi di per se stessa al
ritmo musicale.

[-71-] Che se pur de' poeti in Francia ora vi sono, i quali si


leggono avidamente; questo più avviene per l' interesse in
cui sanno avviluppar il lettore: dirò con maggior chiarezza;
sono le infinite bellezze poetiche più che il merito della
versificazione che tanto attrae. Inoltre soggiungo, e
bramerei essere ascoltato in questo punto da tutta Francia,
che Cornelio, Moliere, Racine, Boileau eccetera guidati dal
loro armonico orecchio, hanno talvolta, e non di rado, fatti
dei versi coll' armonica disposizione delle ridette sillabe o
accenti: il loro orecchio naturalmente armonico ha saputo
trovar di sovente quella ritmica successione, di cui ragiono,
lo che potrebbesi mostrare con infiniti esempj, se la
notorietà delle loro produzioni non me ne dispensasse.
Quindi è avvenuto, che cotali poesie hanno sortito eziandio
migliori musiche. Ne' più fa bisogno quel miserabile partito,
cui un tempo si dovette servire, se pure è vero il fatto
narrato dal sopraccitato Anonimo: In Gallorum cantu saepe
videre est quod peracto cantico, haec nimirum addunt:
QUAE CECINI HAEC SUNT. (pagina mihi 124). Anzi al
presente e s' intende, e si gusta la forza della poesia anche
in mezzo al maggiore strepito musicale. Porto però
opinione che il sommo Gretri non mai avrebbe ottenuta
tanto estesa, e tanto costante fama, siccome può vantarsi
a gloria della sua nazione, se i poeti non fossero assai docili
a qualche sua rimostranza.

Sarebbe qui da rispondere alle note scuse di parecchi


scrittori Francesi cioè che la loro versificazione non è intesa
da verun altro, fuorchè dai Francesi: [-72-] nella bocca, e
nelle orecchie de' quali riveste bellezze non più udite, ed
impercettibili a tutti gli altri uomini. Questa però è una
fanciullaggine sfuggita della penna anche di Monsieur
Rollin, e che non merita di soverchiamente occuparsene;
essendo certo, che la versificazione Francese poco
gradevole alle orecchie del rimanente di Europa innanzi a
Malherbe, è fiutata eziandio dai Francesi; e che i versi più
sonori da Cornelio in poi sembran tali e ai Francesi, e a
tutto il rimanente di Europa.

Per compimento dell' assunto dico, che si esige il finissimo


orecchio dei nazionali poeti a determinare i luoghi più
opportuni e più soddisfacenti per collocare armonicamente
le indicate sillabe, da noi dette accenti. Nei versi, a cagion
d' esempio di IV. a V. sillabe possono aversi sul primo
quarto, ovvero sul secondo quarto piede. Nei versi di V. a
VI. sillabe possono aversi sul 1. 3. 5. ovvero sul 1. 5. ovvero
sul 3. 5. ovvero sul 2. 5. piede. Nei versi di VI. a VII. sillabe
possono aversi sul 2. 4. 6. ovvero sul 2. 6. ovvero sul 3. 6.
ovvero sul 4. 6. piede. Nei versi di VII. a VIII. sillabe
possono aversi sul 1. 3. 5. 7. ovvero sul 1. 5. 7. ovvero sul
3. 7. ovvero sul 4. 7. ovvero sul 5. 7. piede. Nei versi di VIII.
a IX. sillabe possono aversi sul 2. 4. 6. 8. ovvero sul 2. 6. 8.
ovvero sul 2. 4. 8. ovvero sul 4. 6. 8. ovvero sul 4. 8.
ovvero sul 2. 5. 8. ovvero sul 5. 8. piede. Nei versi di IX. a
X. sillabe possono aversi sul 3. 5. 7. 9. ovvero sul 3. 7. 9.
ovvero sul 3. 5. 9. ovvero sul 5. 7. 9. ovvero sul 5. 9.
ovvero sul 3. 6. 9. piede; e così di mano in mano dicasi
degli altri fino al verso più grande, l' Alessandrino di [-73-]
XII. a XIII. sillabe, in cui volendosi rispettare la pausa o
riposo sulla sesta sillaba, si possono avere gli accenti sul
2. 4. 6. 8. 10. 12.
ovvero 2. 4. 6. 10. 12.
ovvero 2. 6. 8. 10. 12.
ovvero sul 2. 6. 10. 12.
ovvero sul 4. 6. 10. 12.
ovvero sul 2. 6. 8. 12.
ovvero sul 3. 6. 9. 12.
e quinci scorgesi l' immensa varietà sempre però regolare
di cui può farsi pompa. Chi poi ne assicura se tutte, ovver
quali di siffatte dimensioni siano da ammettersi? Neque
enim versus ratione est cognitus, sed natura, atque sensu,
cade qui opportuno il detto di Tullio (de Oratore). Le
orecchie armoniche dei nazionali poeti saranno gl'
inappellabili giudici di siffatte dimensioni; a loro spetterà l'
approvazione, o la ripulsa.

Siami ora qui lecito di domandare. E non potrebbe ella la


versificazione Francese sul metodo fin qui accenato,
rimanendo in sostanza quella che è, esser capace di
miglioramento? Non potrebbe dessa, rimanendo in
sostanza quella che è, prestarsi ad una foggia più
armonica, e ritmica a somiglianza di tutte le altre lingue
moderne? e così farsi bella anche alle orecchie degli
stranieri? E così pesar meno anche ai Nazionali? E così
prestarsi con più di condiscendenza alla musica sua sorella,
e vestirsi di nuove eleganze? Io tengo per fermo, che tutto
ciò di leggieri ancor si potrebbe, senza nemmeno che il
giudizio della moltitudine, [-74-] temuto tanto su tal
materia da Giovanni Giacomo Rousseau, potesse
interessarvisi, sol che i dotti poeti Francesi per modo di
fatto travagliassero un tantolino più sopra la successione
materiale delle sillabe ridette nei loro precisissimi versi.
Poterono quanti fur i più insigni poeti Francesi guidati dal
genio, dal buon gusto, dal loro orecchio tornir di tratto in
tratto alcuni de' loro versi armonicamente? perchÈ non si
potranno in simil guisa tutti tornire? Francesi maestri di
musica, voi potete molto coadjuvare all' intento.
Rammentatevi le glorie de' vostri antenati dei secoli XV e
XVI quando la loro arte non si occupava che di vestir le
aritmiche parole della Liturgia, o al più de' madrigali in
istile grosso, in cui il ritmo poetico si perde, e sol si attende
il ritmo musicale. Essi non la cedevano in celebrità ai
maestri di tutte le altre nazioni. La poesia richiamò la
musica nel teatro, lo stil grosso si dovette abbandonare, il
ritmo poetico si arrogò meritamente la primazia sul ritmo
musicale, da cui vuol essere coadjuvato, e servito, o almen
non contraddetto, e la vostra poesia mancante di metro e
di disposizione armonica di sillabe o accenti limitò,
impoverì il genio musicale de' vostri maestri; e la vostra
musica vocale, che innanzi ammirar si faceva per tutta
Europa, si contentò di rimanere fra i vostri confini.
Risvegliatevi di grazia. Imponete amichevolmente ai poeti.
Non ponete mano a vestir di melodie se non versi armonici,
ritmici, ed i vostri talenti raggiungeranno, od
oltrepasseranno anche gli altrui.

Ma dove io mi faccio condurre? Deve bastarmi [-75-] per


conchiudere di tornare sulla base accennata dal bel
principio; Che unico fu, è, e debb' essere il ritmo d' ogni
musica, e d' ogni versificazione. A dimostrazione della qual
verità si è provato:

Primo. Che il ritmo musicale dei Greci e dei Romani cantori


è lo stesso del ritmo musicale della moderna musica di
tutta Europa, e consiste nel ritorno indefinito degli accenti
melodici in ragione o dupla, o tripla, o quadrupla; vale a
dire si succedono gli accenti musicali o di terza in terza, o
di quarta in quarta, o di quinta in quinta.

Secondo. Che il ritmo poetico della metrica versificazione


dei Greci e dei Romani antichi, e dei Tedeschi ed Olandesi
moderni combina per appunto col ritmo musicale
sopraccennato, ritornando in essa i piedi poetici, i quali non
oltrepassano le tre sillabe sieno lunghe, sieno brevi, sieno
miste, nella ragione sovrindicata o dupla o tripla o
quadrupla.

Terzo. Che il ritmo poetico delle armoniche versificazioni


moderne (tranne la versificazione Francese) è ancor egli il
medesimo, ritornando in esse le sillabe accentuate nella
sopraddetta ragione, ossia seguendosi di terza in terza, di
quarta in quarta, o di quinta in quinta.

Quarto. Che la versificazione Francese per quanto sia stata


migliorata da Malherbe in poi, manca tuttavia del ritmo,
essendo in essa le sillabe, che noi diciamo accentuate,
capricciosamente disposte, senz' ordine, senza simmetria,
senza ragione veruna; cosicchè quelle di un emistichio, o di
un verso oppongonsi diametralmente a quelle del
seguente, ed in tal maniera variansi sempre
disordinatamente.

[-76-] Quinto. Che se i Nazionali si compiaceranno di


adottare costantemente, ciocchè hanno usato sovente i
loro medesimi eccellenti poeti, cioè di disporre
simmetricamente le penultime sillabe delle parole
femminine, le ultime sillabe di tutte le altre parole, ed ove
la frase assorbisce gli accenti, quell' accento che viene
marcato dalla frase, in ragione o dupla o tripla o quadrupla,
avranno ancor eglino un armonico-ritmica versificazione;
potranno deliziarsi dei versi bianchi, che allora diverranno
veri versi, e mai più non si armeggerà fra i poeti ed i
musici, armonizzando perfettamente il ritmo poetico col
musicale.

Giuseppe Baini

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