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Restauro digitale di pellicole cinematografiche: il caso dei graffi

di Domenico Vitulano*

La rivoluzione digitale si è rivelata una soluzione efficace alla conservazione del patrimonio
artistico e culturale conservato su supporti fotografici, pellicole cinematografiche, nastri magnetici
ma anche su materiale cartaceo (scannerizzazione).
Secondo una stima dell’UNESCO, 2,2 miliardi di metri di pellicole cinematografiche sono
attualmente conservate in archivi nazionali ed internazionali. Quasi il 90% dei film muti (precedenti
agli anni ‘30) ed il 50% dei film prodotti prima degli anni ’50 sono gravemente danneggiati. A
causa di inappropriati trattamenti prima della loro archiviazione e una non adeguata conservazione,
tali film sono stati attaccati dalla muffa o hanno subito gravi danni a causa dell’umidità. Proiettori
con cattiva manutenzione hanno causato danni meccanici, quali graffi e tagli, e la polvere ha
causato una visibile perdita di qualità dell’immagine. Inoltre i vecchi film a colori tendono a
scolorire o ad assumere un colore rossastro.

Il restauro di film è dunque necessario non solo per conservare il loro valore storico, artistico e
culturale, ma anche per consentirne una maggiore e agevolata fruizione mediante i moderni mezzi
di comunicazione (broadcasting). La loro memorizzazione su supporti digitali permette di
raggiungere entrambe gli obiettivi. Infatti, i digital master possono essere copiati numerose volte
senza essere danneggiati, possono essere convertiti in vari formati senza perdita di informazioni.
Inoltre, il restauro digitale permette lo sviluppo di algoritmi ad hoc per la rimozione dei vari tipi di
difetti presenti sulla pellicola avvalendosi delle tecniche di elaborazione di immagine e rappresenta
un passo fondamentale (necessario) e preliminare alla compressione di immagini mediante gli
standard, quali MPEG, in quanto gli artefatti richiedono un numero maggiore di bit per la codifica.
Il restauro digitale si articola in tre fasi:
1. conversione di ogni fotogramma in un’immagine digitale mediante l’uso di uno scanner di
film ad alta risoluzione;
2. individuazione e recupero dei difetti medianti algoritmi appropriati;
3. trasferimento delle sequenze di immagini recuperate in pellicole di celluloide o su adeguati
supporti digitali.
* Ricercatore Istituto per le Applicazioni del Calcolo (IAC) "M. Picone" del CNR di Roma
Da un punto di vista matematico e modellistico, la fase 2 offre notevoli spunti e sfide non facili da
raggiungere. Un ruolo di particolare interesse viene giocato senza dubbio dal restauro digitale di
vecchi filmati in bianco e nero dai graffi verticali che tutti ricordano.
Un graffio si presenta come una linea verticale sull’immagine. Esso è causato dal meccanismo di
trasporto della pellicola durante la fase di proiezione, può essere di colore chiaro (bianco) o scuro
(nero) e di larghezza di un certo numero di pixel. Il colore dipende da quale parte (positiva o
negativa) del supporto di celluloide è stata danneggiata mentre la larghezza dipende dalla
risoluzione dell’immagine digitale. Inoltre il graffio può occupare la stessa posizione su fotogrammi
successivi della stessa sequenza (graffi fissi) oppure cambiare posizione (graffi in movimento).
Sebbene le tecniche di elaborazione di immagine siano di vario tipo, la loro applicabilità al restauro
digitale di pellicole cinematografiche dipende da due richieste fondamentali:
 basso costo computazionale
 automaticità, ovvero ridurre al minimo l’intervento di operatori esterni.
Infatti, i film sono proiettati ad una velocità di 24 fotogrammi al secondo (nel formato PAL) ed
un’immagine ad alta risoluzione di un film a colori da 35 mm, per esempio, consiste in 45 Mbyte di
dati. Ne segue che il restauro di un’ora di film richiede l’elaborazione di 3.9Tbyte di dati
equivalenti a 86400 fotogrammi, ovvero il restauro risulta essere un’attività computazionalmente ed
economicamente costosa. Per questi motivi, affinché una tecnica di restauro digitale possa avere
realmente uno sviluppo industriale, deve elaborare un fotogramma in un tempo pari a 10, massimo
20, secondi.
L’individuazione automatica di graffi presenta principalmente due difficoltà:
 persistenza in frame successivi;
 confusione con elementi pittorici della scena.
La loro persistenza nella stessa posizione in frame successivi richiede l’uso di un modello spaziale,
ovvero l’elaborazione di un fotogramma per volta dal momento che non possono essere
caratterizzati come discontinuità temporali dell’intensità luminosa in una sequenza di immagini.
La loro forma geometrica (linea verticale) non è completamente caratterizzante in quanto essa è
comune anche ad altre componenti proprie della scena reale, quali spigoli, pali, corde, ecc.
La fase di recupero, invece, risulta molto delicata in quanto implica la scelta di un metodo che
elimini il difetto senza creare ulteriori artefatti sull’immagine, quali smoothing di tessiture o di
contorni.
La soluzione a tale problema richiede generalmente tre componenti fondamentali:
1. una componente modellistica che tenga conto della fisica che ha generato il difetto,
necessaria per una detection automatica e veloce del difetto in esame in una scena
generalmente molto complicata;
2. una componente modellistico-matematica che conduca ad una opportuna rappresentazione
dell’immagine in multirisoluzione (trasformata wavelet) che permette, ad un basso costo
computazionale, di differenziare, ove possibile, il difetto da elementi pittorici della scena
aventi le sue stesse caratteristiche (ad esempio lo stipite di una porta). Tale fase risulta
fondamentale sia nella detection che nella restoration del difetto, in quanto in quanto la
regione degradata contiene generalmente ancora una parte dell’informazione originale.
3. l’uso di modelli di percezione del sistema visivo umano per ottenere un modello di
restoration automatico, ma soprattutto con una soluzione finale (immagine restaurata) che
minimizzi gli artefatti e preservi l’informazione originale, il cui valore storico va preservato.

Per una lettura introduttiva sul restauro digitale in generale, si consiglia:


[1] A. Kokaram, Motion Picture Restoration, Digital Algorithms for Artefact Suppression in
Degraded Motion Picture Film and Video, Springer Verlag, 1998.

Per una lettura più approfondita sulla detection e restoration di graffi su pellicole cinematografiche,
si consiglia:

[2] V. Bruni, D. Vitulano, A Generalized Model for Scratch Detection, IEEE Trans. on Image
Processing, Vol. 13, No. 1, pp. 44-50, January 2004.

[3] V. Bruni, A. Crawford, A. Kokaram, D. Vitulano, Visual Perception of Semitransparent


Blotches: Detection and Restoration, Chapter 1, I-Tech book: Brain, Vision and AI 2008.

Infine, collegandosi al sito web http://www.iac.cnr.it/~vitulano/activity.htm è possibile trovare


alcune immagini ed esempi su casi reali.

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