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Introduzione Fasi della modellazione numerica Metodi di discretizzazione La nonlinearità in meccanica dei solidi e delle strutture

Introduzione alla Geomeccanica Computazionale


Claudio Tamagnini
Corso di Tecnica delle Fondazioni – AA. 2014/15
Introduzione Fasi della modellazione numerica Metodi di discretizzazione La nonlinearità in meccanica dei solidi e delle strutture
Sommario
Introduzione
Fasi della modellazione numerica
Metodi di discretizzazione
La nonlinearità in meccanica dei solidi e delle strutture
Introduzione Fasi della modellazione numerica Metodi di discretizzazione La nonlinearità in meccanica dei solidi e delle strutture
La meccanica computazionale
La meccanica computazionale è la branca della meccanica che si occupa della
risoluzione di specifici problemi di meccanica applicata mediante lo sviluppo di
metodi numerici implementati in procedure di calcolo automatico (simulazione
o modellazione numerica).
In base alla scala del problema, è possibile distinguere i seguenti rami della MC:
• Nanomeccanica e micromeccanica (dinamica molecolare o particellare);
• Meccanica dei continui:
• Solidi e strutture;
• Fluidi;
• Multi–fisica.
• Meccanica dei sistemi complessi.
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La meccanica computazionale
Nell’ambito dei problemi di meccanica dei solidi, è inoltre possibile distinguere:
i) problemi di equilibrio statico (effetti inerziali trascurabili):
• problemi statici in senso stretto;
• problemi quasi–statici (es.: consolidazione nei mezzi porosi).
ii) problemi dinamici (effetti inerziali non trascurabili).
ed anche:
i) problemi lineari (es.: elasticità lineare, “piccole deformazioni”);
ii) problemi nonlineari (es.: plasticità; “grandi deformazioni”).
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Esempi di applicazione in Meccanica dei Geomateriali
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Esempi di applicazione in Meccanica dei Geomateriali
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Processo di simulazione
• Problemi lineari: la fase di risoluzione è relativamente semplice; le approssimazioni dipendono
essenzialmente dalla discretizzazione.
• Problemi nonlineari: le fasi si idealizzazione e risoluzione sono significativamente più
complesse (e richiedono capacità di giudizio).
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Esempio: rilevato su strato deformabile
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Metodi di discretizzazione in MC
Metodo Campi di applicazione
Elementi Finiti (FEM) solidi, strutture
Differenze Finite (FDM) fluidi (solidi)
Elementi di Contorno (BEM) solidi (problemi lineari)
Volumi Finiti (FVM) fluidi
Metodi “Mesh–Free” (PIC, SPH,. . . ) fluidi, solidi (grandi def.)
Il metodo degli elementi finiti è di gran lunga il più diffuso in meccanica dei
solidi, per la sua grande versatilità ed adattabilità a problemi complessi per:
• geometria;
• condizioni di carico (incluse fasi di scavo/costruzione);
• comportamento dei materiali (i.e., plasticità).
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Sistemi a comportamento lineare
Un corpo solido deformabile (struttura, corpo di terra, etc.) ha un
comportamento lineare quando il modello matematico che utilizziamo per
descriverlo stabilisce una relazione lineare tra la “sollecitazione” imposta e la
“risposta” ad essa associata.
u = F(Q) = KQ
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Sovrapposizione degli effetti
I sistemi lineari godono della seguente proprietà:
F (aQ1 + bQ2 ) = aF(Q1 ) + bF (Q2 ) ∀(a, b) ∈ R × R; ∀(Q1 , Q2 )
Da essa discende il principio di sovrapposizione degli effetti:
l’effetto di un qualunque sistema di sollecitazioni applicate é pari alla somma
degli effetti di ciascuna di esse.
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Reversibilità
In particolare, se a = b = 1 e Q1 = −Q2 = Q si ha:
F(Q − Q) = 0 = F(Q) + F(−Q) ⇒ F (Q) = −F (−Q)
La risposta di un sistema lineare é completamente reversibile.
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Linearità: commenti
In linea di principio, l’ipotesi di linearità richiede che:
i) i materiali abbiano comportamento elastico lineare a qualunque livello di
deformazione;
ii) la loro resistenza a rottura sia infinita;
iii) la configurazione corrente del sistema sia indistinguibile dalla
configurazione iniziale (ipotesi di “piccole deformazioni”).
Può essere considerata una approssimazione conveniente in alcune circostanze
(“piccole perturbazioni” in condizioni “lontane dal collasso”), ma é fisicamente
non realistica in numerose altre situazioni (es.: valutazione delle condizioni di
equilibrio limite, analisi di fenomeni di rottura progressiva).
Ciò é particolarmente vero in geomeccanica, poiché il comportamento
meccanico dei terreni non é generalmente nè elastico nè lineare, anche in
situazioni lontane dal collasso.
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Sistemi a comportamento nonlineare
La risposta del sistema é nonlineare quando:
F(aQ1 + bQ2 ) = aF(Q1 ) + bF(Q2 )
ed il principio di sovrapposizione degli effetti non é applicabile.
Alla risposta nonlineare può associarsi un comportamento irreversibile: un ciclo
di carico chiuso provoca deformazioni e spostamenti residui.
u1 = F(Q) > −F (−Q) = −u2
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Diagrammi di risposta
La nonlinearità della risposta di un solido deformabile può essere illustrata
graficamente per mezzo dei diagrammi di risposta.
Def.: Rigidezza tangente del sistema: K(u) := dF /du = dQ/du
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Diagrammi di risposta: esempi
Condizioni di “carico” monotòne:
Ad ogni valore di Q corrisponde un solo valore di u e viceversa.
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Diagrammi di risposta: esempi
Percorsi di risposta non monotònicamente crescenti:
Nei punti A, B la rigidezza tangente si annulla. In A, il sistema non sopporta
ulteriori aumenti di sollecitazione (collasso). Il comportamento del sistema é
incontrollabile o marginalmente controllabile.
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Diagrammi di risposta: esempi
Percorsi di risposta non monotònicamente crescenti:
La presenza di punti di inversione é rara in problemi di geomeccanica, ma può
manifestarsi in alcune strutture particolari, quali cupole reticolari, gusci sottili,
etc.
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Diagrammi di risposta: esempi
La risposta del sistema perde di unicità anche in corrispondenza di eventuali
punti di biforcazione, nei quali due o più percorsi di equilibrio si incrociano.
Es.: prova TX su terreno argilloso consistente:
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Diagrammi di risposta: esempi
Nei terreni e nelle rocce, la perdita di unicità della curva di risposta é spesso
associata alla localizzazione delle deformazioni in bande di taglio.
Quando la curva di risposta presenta punti limite, di inversione o di
biforcazione, la risoluzione numerica del problema di equilibrio può comportare
problemi notevoli e richiedere procedure di calcolo particolari.
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Cause della nonlinearità
La nonlinearità della risposta di un solido deformabile dipende dai seguenti
fattori:
1. Nonlinearità del comportamento meccanico del materiale (nonlinearità
costitutiva);
2. Nonlinearità geometrica:
i) “grandi trasformazioni”: la configurazione deformata del sistema differisce
in misura significativa da quella iniziale;
ii) nonlinearità delle condizioni di carico imposte;
iii) nonlinearità dei vincoli cinematici.
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Cause della nonlinearità
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Nonlinearità geometrica
Esempio: la Torre di Pisa
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Nonlinearità geometrica
Grandi trasformazioni
La distribuzione delle pressioni di
contatto tra fondazione e terreno
dipende dalla rotazione. Questo effetto
non può essere descritto se la
configurazione deformata é assunta
coincidente con la configurazione
originale.
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Nonlinearità geometrica
Nonlinearità delle condizioni di carico
Se la struttura é modellata come una
fondazione circolare rigida soggetta ad
un carico verticale eccentrico,
l’eccentricità e dipende dalla soluzione
(attraverso la rotazione rigida della
base θ).
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Nonlinearità geometrica
Nonlinearità dei vincoli cinematici
Se l’eccentricità e supera un
determinato valore limite, si può avere
distacco tra terreno e fondazione
(contatto unilaterale).
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Nonlinearità del materiale
Il comportamento dei terreni naturali
non é descrivibile in termini di elasticità
lineare, se non in condizioni particolari.
Caratteristiche fondamentali del
comportamento dei terreni naturali:
i) non linearità;
ii) irreversibilità;
iii) dipendenza dalla storia di carico;
iv) viscosità, anisotropia, etc.
Tali aspetti possono essere descritti
mediante la teoria della plasticità
(perfetta o incrudente) o la teoria
dell’ipoplasticità.
Introduzione REV, frazioni di volume e porosità Cinematica del mezzo poroso Derivate materiali e teoremi di trasporto
Cinematica dei Mezzi Continui Porosi
Claudio Tamagnini
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Sommario
Introduzione
REV, frazioni di volume e porosità
Cinematica del mezzo poroso
Derivate materiali e teoremi di trasporto
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La meccanica dei mezzi porosi
La meccanica dei mezzi porosi – o poromeccanica (Coussy 2004) – è la branca
della meccanica applicata che si occupa della descrizione del comportamento di
mezzi porosi multifase, nei quali si individua uno scheletro solido, composto da
particelle solide, ed uno o più fluidi interstiziali (liquido, gas).
La risposta meccanica dei mezzi porosi multifase è influenzata in misura
significativa dalla interazione tra le fasi (solida e fluide).
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Campi di applicazione
La meccanica dei mezzi porosi (MMP) riguarda una vasta gamma di materiali,
tra i quali è possibile includere:
• Materiali di origine geologica (terreni e rocce);
• Materiali compositi (es., calcestruzzo);
• Materiali biologici (tessuti ed ossa).
La MMP ha dunque numerosi campi di applicazione nell’ingegneria e nelle
scienze applicate. Ad es., la geotecnica, l’ingegneria mineraria (idrocarburi), la
geofisica, l’ingegneria dei materiali e la biomeccanica.
Nonostante tali campi di applicazione siano molto distanti tra loro, i processi di
deformazione e diffusione accoppiati che hanno luogo quando i materiali porosi
vengono sollecitati (in vario modo) risultano sostanzialmente simili.
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Il mezzo poroso come continuo multifase
L’elemento chiave che consente di estendere la MMC classica ai mezzi porosi
multifase consiste nel considerare il mezzo come una miscela di più continui
sovrapposti nel medesimo spazio e che interagiscono tra loro scambiando forze,
massa ed energia.
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Teorie delle Miscele
Le moderne teorie che inquadrano il comportamento dei mezzi porosi
nell’ambito della MMC possono essere suddivise in tre classi:
1) Teorie Macroscopiche
• Biot (1941,1956);
• Coussy (1995,1997,2004);
2) Teorie delle Miscele con frazioni di volume
• Bowen (1976,1980,1982); Prevost (1980);
• de Boer et al. (1991); de Boer (1996,1998); Bluhm & de Boer (1996,1997);
• Svendsen & Hutter (1995);
• Wilmanski (1996,1998).
3) Teorie delle Miscele Ibride
• Hassanizadeh & Gray (1979a,b);
• Zienkiewicz et al. (1988, 1990); Schrefler et al. (1990);
Lewis & Schrefler (1998).
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Il concetto di REV
L’applicazione della MMC a materiali con microstruttura discontinua evidente
quali i mezzi porosi richiede l’introduzione del concetto di volume elementare
rappresentativo, o REV.
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Il concetto di REV
Il REV deve risultare sufficientemente piccolo (  B) da ritenere che i valori
medi delle grandezze fisiche in tale volume rappresentino i valori puntuali dei
campi che caratterizzano il mezzo continuo,
ma anche sufficientemente grande (  d) da risultare rappresentativo del
comportamento della miscela alla scala macroscopica.
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Frazioni di volume
Un elemento comune a tutte le teorie delle miscele per i mezzi porosi è il
concetto di frazioni di volume, impiegato per descrivere (al livello più semplice
possibile) la microstruttura del materiale.
In ciascun punto materiale del mezzo, si definisce frazione di volume nα del
costituente α la quantità:
 
dvα 1 se r ∈ α;
nα := ; dvα := χα (r)dv ; χα (r) :=
dv dv 0 altrimenti.
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Frazioni di volume
Il volume Vα occupato dal costituente α nel corpo S è dato da:

nα dv vα =
S
mentre il volume totale della miscela è la somma dei volumi parziali dei
costituenti:
m m 
 m 
   
v= vα = nα dv = nα dv = dv
α=1 α=1 S S α=1 S
Pertanto, le quantità nα sono soggette alla seguente condizione di saturazione:
m

nα = 1
α=1
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Mezzo poroso saturo. Porosità
In geomeccanica, un mezzo poroso è definito saturo quando tutti i vuoti sono
occupati da acqua (mezzo bifase).
Si definisce porosità n del mezzo il rapporto tra il volume occupato dai vuoti
nel REV, dvv , ed il volume totale del REV, dv.
dvv
n :=
dv
Dunque, in un mezzo saturo, si ha:
nw = n ns = 1 − n
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Cinematica dello scheletro solido
Nelle teorie macroscopiche per i continui porosi derivanti dall’approccio di Biot,
il moto dello scheletro solido assume un ruolo predominante.
La sua descrizione non differisce in alcun modo da quella di un continuo
monofase. Tipicamente si adotta un approccio Lagrangiano.
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Cinematica dello scheletro solido
Nelle teorie macroscopiche per i continui porosi derivanti dall’approccio di Biot,
il moto dello scheletro solido assume un ruolo predominante.
La sua descrizione non differisce in alcun modo da quella di un continuo
monofase. Tipicamente si adotta un approccio Lagrangiano.
us = us (x, t) spostamento dello scheletro solido
∇us (x, t) gradiente dello spostamento
 = sym(∇us ) tensore della deformazione
ω = skw(∇us ) tensore di rotazione (infinitesima)
v = tr() deformazione di volume
v s = u̇s velocità del solido (spaziale)
l = ∇v s gradiente (spaz.) della velocità del solido
d = sym(∇v s ) velocità di deformazione del solido
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Cinematica della fase liquida
Il moto della fase liquida è tipicamente descritto impiegando un approccio
Euleriano, data l’impossibilità di definire una configurazione di riferimento Bw
per tale fase.
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Cinematica della fase liquida
Si definisce:
v w (x, t) velocità (media) del liquido
lw (x, t) = ∇v w gradiente della velocità del liquido
dw (x, t) = sym(∇v w ) velocità di deformazione del liquido
Nello studio del moto del liquido nel mezzo poroso, spesso la velocità relativa
del liquido rispetto al solido è più rilevante. Si definisce velocità di filtrazione o
di d’Arcy il vettore:
v(x, t) := n (v w − v s ) vi := n (viw − vis )
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Interpretazione fisica della velocità di filtrazione
La portata per unità di area totale che
attraversa la superficie solida da (in moto con
velocità v s ) è pari a:
dQw = (v w − v s ) · n (nda) = v · n da
Si definisce velocità di filtrazione di massa
(Euleriana) la quantità:
m := ρw n (v w − v s ) = ρw v
Dunque:
dMw = m · n da
è la portata in massa per unità di area totale
che attraversa la superficie solida da.
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Derivate materiali (1)
Si definisce derivata temporale materiale rispetto al moto della fase α di un
campo scalare regolare ψ(x, t) la quantità:
 
dα ψ ∂ ∂ψ ∂ψ ∂ψ α
= ψ (ϕα (X α , t), t) = + ∇ψ · v α = + vi
dt ∂t −1 ∂t ∂t ∂xi
X α =ϕα (x,t)
La derivata materiale dα ψ/dt misura la variazione nel tempo della grandezza
scalare ψ nella “particella” X α della fase α.
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Derivate materiali (2)
Si definisce derivata temporale materiale rispetto al moto della fase α di un
campo vettoriale regolare ψ(x, t) la quantità:
 
dα ψ ∂ ∂ψ
= ψ (ϕα (X α , t), t) = + (∇ψ)v α
dt ∂t −1 ∂t
X α =ϕα (x,t)
le cui componenti sono:

dα ψi ∂ψi ∂ψi
= + vjα
dt ∂t ∂xj
La derivata materiale dα ψ/dt misura la variazione nel tempo della grandezza ψ
nella “particella” X α della fase α.
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Derivate materiali (3)
Casi particolari
Derivata temporale materiale rispetto al moto della fase solida:
dψ ∂ψ
= + ∇ψ · v s
dt ∂t
Derivata temporale materiale rispetto al moto della fase liquida:
dw ψ ∂ψ
= + ∇ψ · v w
dt ∂t
Relazione tra le due derivate materiali:
dw ψ dψ dψ 1
= + ∇ψ · [v w − v s ] = + ∇ψ · v
dt dt dt n
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Derivate materiali (4)
Casi particolari
Accelerazione (spaziale) della fase solida:
dv s ∂v s
as := = + (∇v s ) v s
dt ∂t
Accelerazione (spaziale) della fase liquida:
dw v w ∂v w
aw := = + (∇v w ) v w
dt ∂t
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Teorema di Reynolds
A) fase solida
Sia f un campo spaziale scalare regolare. Per una qualunque parte Pt di St e
ad ogni istante t, si ha:
  
d ∂f
f dv = f v · n da
dv +
dt Pt Pt ∂t ∂Pt
B) fase liquida
Sia f un campo spaziale scalare regolare. Per una qualunque parte Ptw di St e
ad ogni istante t, si ha:
  
dw ∂f
f dv = dv +
f v w · n da
dt Ptw Ptw ∂t ∂Ptw
Principi di conservazione per i mezzi porosi Densità intrinseche ed apparenti delle fasi Conservazione della massa Teoremi di trasporto (v2)
Principi di Conservazione: 1
Conservazione della massa per un continuo poroso
Claudio Tamagnini
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Principi di conservazione per i mezzi porosi Densità intrinseche ed apparenti delle fasi Conservazione della massa Teoremi di trasporto (v2)
Sommario
Principi di conservazione per i mezzi porosi
Densità intrinseche ed apparenti delle fasi
Conservazione della massa
Fase solida
Fase liquida
Miscela bifase satura
Teoremi di trasporto (v2)
Principi di conservazione per i mezzi porosi Densità intrinseche ed apparenti delle fasi Conservazione della massa Teoremi di trasporto (v2)
Le equazioni governanti dei problemi di MDC
Nella risoluzione di un problema di meccanica dei continui (MDC), l’obiettivo
principale consiste nel determinare le grandezze fisiche fondamentali
(spostamenti, velocità, tensioni, etc.) che descrivono lo stato del corpo in
esame e la sua evoluzione nel tempo come campi (scalari, vettoriali, tensoriali)
definiti su B × R (materiali), o su St × R (spaziali).
Principi di conservazione per i mezzi porosi Densità intrinseche ed apparenti delle fasi Conservazione della massa Teoremi di trasporto (v2)
Le equazioni governanti dei problemi di MDC
Le funzioni incognite sono determinate a partire da un sistema di PDE, derivate
da:
1. Principi di conservazione, che hanno carattere universale e sono
indipendenti dalle specifiche caratteristiche meccaniche del materiale o dei
materiali che costituiscono il corpo in esame:
i) della massa;
ii) della quantità di moto;
iii) del momento della quantità di moto;
iv) dell’energia.
2. Equazioni costitutive, che caratterizzano il comportamento meccanico dei
materiali e consentono di distinguerli tra loro.
Al sistema di PDE risultante è poi necessario aggiungere le opportune
condizioni ai limiti (iniziali e al contorno).
Principi di conservazione per i mezzi porosi Densità intrinseche ed apparenti delle fasi Conservazione della massa Teoremi di trasporto (v2)
Le equazioni governanti della MMP: principi di Truesdell
Nella meccanica dei mezzi porosi (MMP), i principi di conservazione sono
formulati a partire dai postulati enunciati da Truesdell (1984):
i) All properties of the mixture must be mathematical consequence of
properties of its constituents.
ii) So as to describe the motion of a constituent, we may in imagination
isolate it from the rest of the mixture, provided we allow properly for the
actions of other constituents on it.
iii) The motion of the mixture is governed by the same equations as is a single
body.
Le equazioni costitutive di mezzo saturo devono pertanto riguardare:
i) il comportamento delle fasi solida e liquida;
ii) il comportamento dello scheletro solido;
iii) le interazioni esistenti tra le fasi solida e liquida.
Principi di conservazione per i mezzi porosi Densità intrinseche ed apparenti delle fasi Conservazione della massa Teoremi di trasporto (v2)
Massa, densità
Una proprietà fondamentale dei corpi (solidi e liquidi) è che essi sono dotati di
massa.
In meccanica dei continui (monofase), la massa è distribuita con continuità
all’interno del mezzo, ed è quindi valutata come integrale di una funzione
densità ρ : St × R → R.
Per ogni parte Pt ∈ St si ha dunque:

M (Pt ) = ρ dv
Pt
Principi di conservazione per i mezzi porosi Densità intrinseche ed apparenti delle fasi Conservazione della massa Teoremi di trasporto (v2)
Massa, densità
Una proprietà fondamentale dei corpi (solidi e liquidi) è che essi sono dotati di
massa.
In meccanica dei continui (monofase), la massa è distribuita con continuità
all’interno del mezzo, ed è quindi valutata come integrale di una funzione
densità ρ : St × R → R.
Per ogni parte Pt ∈ St si ha dunque:

M (Pt ) = ρ dv
Pt
Principi di conservazione per i mezzi porosi Densità intrinseche ed apparenti delle fasi Conservazione della massa Teoremi di trasporto (v2)
Densità intrinseche delle fasi
Siano ρs e ρw le densità intrinseche dei
grani solidi e dell’acqua interstiziale.
Per ogni parte Pt ∈ St , si ha allora:
Per la fase solida:
 
Ms (Pt ) = ρs dvs = (1 − n)ρs dv
Ps,t Pt
Per la fase liquida:
 
Mw (Pt ) = ρw dvw = nρw dv
Pw,t Pt
Principi di conservazione per i mezzi porosi Densità intrinseche ed apparenti delle fasi Conservazione della massa Teoremi di trasporto (v2)
Densità apparenti delle fasi
Tali espressioni possono essere riscritte come:
 
Ms (Pt ) = ρs dv Mw (Pt ) = ρw dv
Pt Pt
dove:
ρs := ns ρs = (1 − n)ρs (densità apparente della fase solida)
ρw := nw ρw = nρw (densità apparente della fase liquida)
Le grandezze ρs e ρw rappresentano le masse per unità di volume totale delle
singole fasi.
Principi di conservazione per i mezzi porosi Densità intrinseche ed apparenti delle fasi Conservazione della massa Teoremi di trasporto (v2)
Principio di conservazione della massa del solido
Il principio di conservazione della massa della fase solida richiede che, per ogni
parte Pt del corpo St , e per ogni deformazione dello scheletro solido risulti:

Ms = (1 − n)ρs dv = cost. (1)
Pt
Principi di conservazione per i mezzi porosi Densità intrinseche ed apparenti delle fasi Conservazione della massa Teoremi di trasporto (v2)
Forma locale del PCM della fase solida
La forma locale del PCM della fase solida si ottiene osservando che, per una
qualunque parte Pt di St , l’eq. (1) può scriversi come:

dMs d
= (1 − n)ρs dv
dt dt Pt
 
∂   
= (1 − n)ρs dv + (1 − n)ρs v s · n da
P ∂t ∂P
 t  t
∂ 
= (1 − n)ρs dv + ∇ · [(1 − n)ρs v s ] dv
Pt ∂t Pt
  
∂   
= (1 − n)ρs + ∇ · (1 − n)ρs v s
dv = 0
Pt ∂t
Per l’arbitrarietà di Pt e per il teorema di localizzazione, si ha quindi:
∂   
(1 − n)ρs + ∇ · (1 − n)ρs v s = 0 ∀ x ∈ St = ϕt (B) (2)
∂t
Principi di conservazione per i mezzi porosi Densità intrinseche ed apparenti delle fasi Conservazione della massa Teoremi di trasporto (v2)
PCM della fase solida: forme alternative
Forme alternative per il PCM della fase solida si ottengono osservando che,
dalla definizione di derivata materiale rispetto al moto del solido:
d ∂
[(1 − n)ρs ] = [(1 − n)ρs ] + ∇ [(1 − n)ρs ] · v s
dt ∂t
Pertanto, l’eq. (2) risulta equivalente a:
d 
(1 − n)ρs + (1 − n)ρs ∇ · v s = 0 ∀ x ∈ St = ϕt (B) (3)
dt
oppure:
(1 − n) dρs dn
− + (1 − n)∇ · v s = 0 ∀ x ∈ St = ϕt (B) (4)
ρs dt dt
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Principio di conservazione della massa del liquido
Il principio di conservazione della massa della fase liquida richiede che, per ogni
parte P w del corpo Bw , e per ogni moto della fase liquida risulti:

Mw = nρw dv = cost. (5)
Ptw
Principi di conservazione per i mezzi porosi Densità intrinseche ed apparenti delle fasi Conservazione della massa Teoremi di trasporto (v2)
Forma locale del PCM della fase liquida
La forma locale del PCM della fase liquida si ottiene osservando che, per una
qualunque parte Ptw di St , l’eq. (5) può scriversi come:

d w Mw dw
= nρw dv
dt dt Ptw
 

= (nρw ) dv + nρw v w · n da
P w ∂t ∂P w
 t  t

= (nρw ) dv + ∇ · (nρw v w ) dv
Ptw ∂t Ptw
  

= (nρw ) + ∇ · (nρw v w )
dv = 0
Ptw ∂t
Per l’arbitrarietà di Ptw e per il teorema di localizzazione, si ha quindi:

(nρw ) + ∇ · (nρw v w ) = 0 ∀ x ∈ St = ϕt (B) (6)
∂t
Principi di conservazione per i mezzi porosi Densità intrinseche ed apparenti delle fasi Conservazione della massa Teoremi di trasporto (v2)
PCM della fase liquida: forme alternative
Forme alternative per il PCM della fase liquida si ottengono osservando che:
dw ∂
(nρw ) = (nρw ) + ∇(nρw ) · v w
dt ∂t
dw d
(nρw ) = (nρw ) + ∇(nρw ) · (v w − v s )
dt dt
L’eq. (6) risulta equivalente a:
dw
(nρw ) + nρw ∇ · v w = 0 ∀ x ∈ St = ϕt (B) (7)
dt
oppure:
n dw ρw dn
− + n∇ · v s + ∇ · v = 0 ∀ x ∈ St = ϕt (B) (8)
ρw dt dt
Principi di conservazione per i mezzi porosi Densità intrinseche ed apparenti delle fasi Conservazione della massa Teoremi di trasporto (v2)
Principio di conservazione della massa del mezzo bifase saturo
La forma locale del PCM del mezzo bifase saturo si ottiene sommando le eq.
(2) e (6):

{(1 − n)ρs + nρw } = ∇ · {(1 − n)ρs v s + nρw v w }
∂t
Tale relazione può essere posta nella stessa forma della equazione di continuità
di un mezzo monofase:
∂ρ
= ∇ · (ρ v) (9)
∂t
purchè si introducano le seguenti grandezze:
ρ := (1 − n)ρs + nρw = densità della miscela
1
v := {(1 − n)ρs v s + nρw v w } = velocità spaziale media della miscela
ρ
Principi di conservazione per i mezzi porosi Densità intrinseche ed apparenti delle fasi Conservazione della massa Teoremi di trasporto (v2)
PCM del mezzo bifase saturo: forma alternativa
Una forma locale alternativa e più utile del PCM della miscela bifase si ottiene
sommando le eq. (4) e (8):
1 − n dρ s n dw ρw
+ + ∇ · vs + ∇ · v = 0 (10)
ρs dt ρw dt
Caso particolare:
Se le fasi solida e liquida sono incompressibili:
dv
ρs = cost. ; ρw = cost. ; ∇ · vs =
dt
L’eq. (10) si riduce a:
dv ∂v
∇·v+ =0 (piccole deformazioni) ⇒ ∇·v+ =0
dt ∂t
Principi di conservazione per i mezzi porosi Densità intrinseche ed apparenti delle fasi Conservazione della massa Teoremi di trasporto (v2)
Varianti del Teorema di Reynolds per la fase solida
Teorema
Siano ψ(x, t) : St × R → R e ψ(x, t) : St × R → V due campi spaziali regolari
che rappresentano grandezze fisiche definite per unità di massa del solido.
Per una qualunque parte Pt di St = ϕt (B) e ad ogni istante t, si ha:
 
d dψ
(1 − n)ρs ψ dv = (1 − n)ρs dv
dt Pt Pt dt
 
d dψ
(1 − n)ρs ψ dv = (1 − n)ρs dv
dt Pt Pt dt
Dimostrazione
La dimostrazione – lasciata come esercizio – segue dal teorema di Reynolds e
dal principio di conservazione della massa del solido.
Principi di conservazione per i mezzi porosi Densità intrinseche ed apparenti delle fasi Conservazione della massa Teoremi di trasporto (v2)
Varianti del Teorema di Reynolds per la fase solida
Teorema
Siano ψ(x, t) : St × R → R e ψ(x, t) : St × R → V due campi spaziali regolari
che rappresentano grandezze fisiche definite per unità di massa del liquido.
Per una qualunque parte Pt di St = ϕt (B) e ad ogni istante t, si ha:
 
dw dw ψ
nρw ψ dv = nρw dv
dt Pt Pt dt
 
dw dw ψ
nρw ψ dv = nρw dv
dt Pt Pt dt
Dimostrazione
La dimostrazione – lasciata come esercizio – segue dal teorema di Reynolds e
dal principio di conservazione della massa del liquido.
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Principi di Conservazione: 2
Conservazione della quantità di moto
e del momento della quantità di moto
Claudio Tamagnini
Corso di Tecnica delle Fondazioni – AA. 2014/15
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Sommario
Forze ed equilibrio globale
Sforzi specifici e tensori delle tensioni
Conservazione della QdM: forma locale
Conservazione del MQdM: forma locale
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Forze agenti su un mezzo bifase saturo
Durante il moto di un corpo, le interazioni
meccaniche tra le sue parti o tra il corpo e
l’ambiente esterno sono descritte da forze. In
meccanica dei continui si distinguono due tipi
di forze:
i) Forze di volume;
ii) Forze di superficie, o di contatto.
In un continuo multifase è inoltre necessario
prendere in considerazione le azioni esercitate
sulla generica fase α dalle rimanenti fasi. Tali
azioni sono descritte dalle cosiddette:
iii) Forze di interazione (forze interne).
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Forze di volume
Le forze di volume sono esercitate dall’ambiente esterno. Tipicamente sono
definite dalla densità b per unità di massa nella configurazione corrente:
b(x) : St → V
Se le forze di massa derivano dalla sola azione della gravità,
b = −g∇(ζ) = cost.
Per una mezzo bifase saturo si ha:
 
f vs = (1 − n)ρs b dv f vw = nρw b dv
St St
   
f v = f vs + f vw = (1 − n)ρs + nρw b dv = ρb dv
St St
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Forze di interazione
Le forze di interazione rappresentano a livello macroscopico le azioni trasmesse
alla generica fase α dagli altri costituenti della miscela. Tipicamente sono
descritte come forze per unità di volume totale mediante il campo vettoriale:
n

α α
p̂int (x) : St → V p̂int =0
α=1
La seconda relazione discende dai postulati (i) e (iii) di Truesdell.
Per un mezzo bifase saturo, le risultanti delle forze di interazione sono date da:
 
s s w w
f int = p̂int dv
p̂int dv f int =
St St
  
s w s w
f int = f int + f int = p̂int + p̂int dv = 0
St
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Forze di contatto
Tra le forze di contatto è possibile distinguere:
• le forze esercitate dall’ambiente esterno, agenti sul contorno esterno del
corpo ∂St ;
• le forze trasmesse tra parti separate del corpo, lungo la superficie di
separazione ideale che le divide.
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Ipotesi di Cauchy: il vettore sforzo specifico
Postulato di Cauchy
Esiste una densità di forze di superficie t(x, t, n) : St × R × N → V,
dipendente dal versore n della normale esterna nel punto x, tale che la forza di
contatto trasmessa attraverso da con normale n ∈ N uscente è pari a:
df c = t(x, t, n) da (1)
Il vettore t è detto sforzo specifico.
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Sforzi specifici parziali
In un mezzo bifase, è possibile estendere il postulato di Cauchy alle singole fasi,
assumendo che:
df c = df cs + df cw df cs = ts (x, t, n) da df cw = tw (x, t, n) da (2)
dove:
ts = sforzo specifico nella fase solida (per unità di area totale)
tw = sforzo specifico nella fase liquida (per unità di area totale)
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Sistemi di forze agenti sulla miscela e sulle fasi
Si definisce sistema di forze agenti su un mezzo bifase nella configurazione
corrente St della traiettoria T la coppia di funzioni:
(b, t) ⇒ t : T × N → V b : T → V
con t(x, t, n) funzione regolare di x ∈ St per ogni t ed n ∈ N , e b(x, t)
funzione continua di x ∈ St per ogni t.
I sistemi di forze agenti sulle fasi solida e liquida nella configurazione corrente
St della traiettoria T sono dati dalle terne:
s s
(b, ts , p̂int ) ⇒ ts : T × N → V b : T → V p̂int : T → V
w w
(b, tw , p̂int ) ⇒ tw : T × N → V b : T → V p̂int : T → V
con le stesse caratteristiche di continuità e regolarità.
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Conservazione della quantità di moto
Il principio di conservazione della quantità di moto per la fase solida richiede
che per ogni parte Pt ∈ St ed ogni t sia:
  
d s
(1 − n)ρs v s dv = ts da (3)
{(1 − n)ρs b + p̂int } dv +
dt Pt Pt ∂Pt
Il principio di conservazione della quantità di moto per la fase liquida richiede
che per ogni parte Pt ∈ St ed ogni t sia:
  
dw w
nρw v s dv = tw da
{nρw b + p̂int (4)
} dv +
dt Pt Pt ∂Pt
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Conservazione della quantità di moto
Il principio di conservazione della quantità di moto per la miscela si ottiene
come conseguenza delle eq. (3) e (4).
Osservando che:
  
d dv s
(1 − n)ρs v s dv = (1 − n)ρs dv = (1 − n)ρs as dv
dt Pt Pt dt Pt
  
dw dw v w
nρw v w dv = nρw dv = nρw aw dv
dt Pt Pt dt Pt
s w
ts + t w = t p̂int + p̂int =0
Si ha:     
(1 − n)ρs as + nρw aw dv = ρb dv + t da (5)
Pt Pt ∂Pt
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Conservazione del momento della quantità di moto
Il principio di conservazione del momento della quantità di moto per la fase
solida richiede che per ogni parte Pt ∈ St ed ogni t sia:

d
(1 − n)ρs r × v s dv =
dt Pt
 
s
{(1 − n)ρs r × b + r × p̂int } dv + r × ts da (6)
Pt ∂Pt
Il principio di conservazione del momento della quantità di moto per la fase
liquida richiede che per ogni parte Pt ∈ St ed ogni t sia:

dw
nρw r × v w dv =
dt Pt
 
w
{nρw r × b + r × p̂int } dv + r × tw da (7)
Pt ∂Pt
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Conservazione del momento della quantità di moto
Il principio di conservazione del momento della quantità di moto per la miscela
si ottiene come conseguenza delle eq. (6) e (7).
Osservando che, per α = s, w:
   
dα dα v α
nα ρα r × v α dv = n α ρα r × + v α × v α dv
dt Pt Pt dt

= nα ρα r × aα dv
Pt
Si ha:
    
r × (1 − n)ρs as + nρw aw dv = ρ r × b dv + r × t da (8)
Pt Pt ∂Pt
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Principio di azione e reazione
Il principio di azione e reazione impone che per ogni x ∈ St la funzione
t(x, t, n) sia continua in N , e soddisfi la condizione:
t(x, t, n) = −t(x, t, −n)
La dimostrazione si ottiene a partire dal principio di conservazione della
quantità di moto, applicato ad un elemento di volume cilindrico con generatrici
parallele ad n, di base da ed altezza δh → 0.
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Teorema di Cauchy (per il mezzo bifase)
Teorema (esistenza del tensore delle tensioni)
Sia (t, b) un sistema di forze agenti sul corpo St durante il moto. Esiste un
tensore del secondo ordine σ(x, t) tale che, per ciascun elemento di superficie
da, con normale esterna n si ha:
t(x, t, n) = σ(x, t)n ti (xk , t, nj ) = σij (xk , t)nj (9)
Il tensore σ è detto tensore delle tensioni totali di Cauchy.
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Teorema di Cauchy (per la fase solida)
Teorema
s
Sia (ts , b, p̂int ) un sistema di forze agenti sulla fase solida del corpo St durante
il moto. Esiste un tensore del secondo ordine σ s (x, t) tale che, per ciascun
elemento di superficie da, con normale esterna n si ha:
s
ts (x, t, n) = σ s (x, t)n tis = σij (xk , t)nj (10)
Il tensore σ s è detto tensore di Cauchy delle tensioni parziali per la fase solida.
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Teorema di Cauchy (per la fase liquida)
Teorema
w
Sia (tw , b, p̂int ) un sistema di forze agenti sulla fase liquida del corpo St
durante il moto. Esiste un tensore del secondo ordine σ w (x, t) tale che, per
ciascun elemento di superficie da, con normale esterna n si ha:
w
tw (x, t, n) = σ w (x, t)n tiw = σij (xk , t)nj (11)
Il tensore σ w è detto tensore di Cauchy delle tensioni parziali per la fase liquida.
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Tensori delle tensioni totali e parziali: osservazioni
i) Per la relazione esistente tra i vettori sforzo specifico, si ha:
t = ts + tw ⇒ σ = σs + σw
ii) (Ipotesi costitutiva). Di norma, il tensore delle tensioni parziali nella fase
liquida è assunto isotropo:
σ w = −σw 1 (12)
con σw positiva in compressione. Ciò equivale ad assumere che gli effetti
della viscosità del liquido siano messi in conto unicamente nelle forze di
α
interazione p̂int .
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Tensori delle tensioni totali e parziali: osservazioni
iii) Il modulo della forza di contatto trasmessa dal liquido lungo un elemento
di superficie da è pari a:
df cw  = tw  da = −σw n da = σw da
iv) Se u è la pressione interstiziale del liquido nel punto x all’istante t, e daw
è la frazione di area totale da occupata dai pori (saturi), si ha anche:
df cw  = −u n daw = u daw
v) Assumendo valida la legge di Delesse:
daw /da = dvw /dv = nw = n ⇒ σw = nu
σ w = −un 1 σ = σ s − un 1 (13)
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Forma locale del PCQM: fase solida
Tenendo conto dell’eq. (10), il principio di conservazione della quantità di moto
per la fase solida – eq. (3) – si modifica come segue:
 
s
0= σ s n da
{(1 − n)ρs (b − as ) + p̂int } dv +
Pt ∂Pt

s
∴ 0= {∇ · σ s + (1 − n)ρs (b − as ) + p̂int } dv
Pt
Poichè tale relazione deve valere ∀ Pt ∈ St , il teorema di localizzazione fornisce
la seguente forma locale del principio di conservazione della quantità di moto
per la fase solida:
s
∇ · σ s + (1 − n)ρs (b − as ) + p̂int =0 (14)
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Forma locale del PCQM: fase liquida
Tenendo conto dell’eq. (11), il principio di conservazione della quantità di moto
per la fase liquida – eq. (4) – si modifica come segue:
 
w
0= σ w n da
{nρw (b − aw ) + p̂int } dv +
Pt ∂Pt

w
∴ 0= {∇ · σ w + nρw (b − aw ) + p̂int } dv
Pt
Poichè tale relazione deve valere ∀ Pt ∈ St , il teorema di localizzazione fornisce
la seguente forma locale del principio di conservazione della quantità di moto
per la fase liquida:
w
∇ · σ w + nρw (b − aw ) + p̂int =0 (15)
w
−∇(nu) + nρw (b − aw ) + p̂int =0 (16)
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Forma locale del PCQM: mezzo bifase
Tenendo conto dell’eq. (9), il principio di conservazione della quantità di moto
per il mezzo bifase – eq. (5) – si modifica come segue:
 
0= {(1 − n)ρs (b − as ) + nρw (b − aw )} dv +
σn da
Pt ∂Pt

∴ 0= {∇ · σ + (1 − n)ρs (b − as ) + nρw (b − aw )} dv
Pt
Poichè tale relazione deve valere ∀ Pt ∈ St , il teorema di localizzazione fornisce
la seguente forma locale del principio di conservazione della quantità di moto
per il mezzo bifase:
∇ · σ + (1 − n)ρs (b − as ) + nρw (b − aw ) = 0 (17)
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Forma alternativa del PCQM: il principio delle Tensioni Efficaci
Osservazioni:
– Le tensioni parziali delle varie fasi non sono di norma utilizzate come
tensioni costitutive (i.e., la cui variazione è associata alla deformazione
dello scheletro solido).
– Nella moderna meccanica dei terreni saturi, l’interazione tra lo scheletro
solido e l’acqua interstiziale è definita dal principio delle tensioni efficaci
(Terzaghi, 1925):
“All quantifiable effects of a change of stress in a soil
mass (compression, deformation, change in shear resistance)
are a direct result of a change in effective stress.”
(cont.)
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Forma alternativa del PCQM: il principio delle Tensioni Efficaci
– Il tensore della tensione efficace σ  è definito dalla relazione seguente:

σ  = σ + u1 σij = σij + uδij (18)
dove: σ = tensore della tensione totale di Cauchy; u = pressione
interstiziale.
– In accordo con il PTE, le equazioni costitutive per lo scheletro solido di un
terreno saturo devono essere formulate in termini di tensioni efficaci:
σ  = f (, . . . )
– NOTA: Nello scrivere l’eq. (18), è stata adottata la convenzione dei segni
della Meccanica dei Continui (trazione ed estensione positive). Questa
convenzione, universalmente adottata nei codici agli EF, verrà mantenuta
per tutto questo ciclo di lezioni.
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
PCQM in termini di tensioni efficaci e pressioni interstiziali
Introducendo la definizione di tensione efficace nel PCQM del mezzo poroso in
forma locale, eq. (17):
∇ · σ + (1 − n)ρs (b − as ) + nρw (b − aw ) = 0
si ottiene:
∇ · σ  − ∇u + (1 − n)ρs (b − as ) + nρw (b − aw ) = 0 (19)
In assenza di azioni inerziali (as = aw = 0) si ottiene l’equazione indefinita di
equilibrio:
∇ · σ  − ∇u + ρb = 0 (20)
dove:
ρ = (1 − n)ρs + nρw
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
PCQM in termini di tensioni efficaci e pressioni interstiziali
∇ · σ  − ∇u + ρb = 0
Osservazioni:
i) Il gradiente della pressione interstiziale (cambiato di segno) compare
nell’equazione di equilibrio locale come una forza di volume aggiuntiva.
ii) In condizioni idrostatiche:
h = const. u = γw (h − ζ) ∇u = −γw ∇ζ
e poichè ρb = −ρg∇ζ = −γ∇ζ, l’equazione indefinita di equilibrio si
riduce a:
∇ · σ  − γ  ∇ζ = 0 con: γ  := γ − γw (21)
(cont.)
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
PCQM in termini di tensioni efficaci e pressioni interstiziali
iii) in condizioni non idrostatiche si può sempre porre:
h = h0 + Δh u = γw (h0 − ζ + Δh) = u0 + pw pw := γw Δh
dalle quali si ottiene:
∇u = ∇u0 + ∇pw = −γw ∇ζ + ∇pw con: ∇pw = γw ∇(Δh)
iv) L’equazione indefinita di equilibrio (20) può riscriversi dunque nella forma
seguente:
∇ · σ  − γ  ∇ζ − ∇pw = 0 (22)
iv) Il termine ∇pw che compare nell’eq. (22) come una forza di volume
aggiuntiva a quella derivante dal peso di volume sommerso del terreno, è
detto forza di filtrazione (perchè esiste solo in presenza di gradienti
idraulici all’interno del terreno).
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Forma locale del PCMQM: mezzo bifase
Tenendo conto dell’eq. (9), il principio di conservazione del momento della
quantità di moto per il mezzo poroso – eq. (8) – si modifica come segue:
    
r × (1 − n)ρs as + nρw aw dv = ρ r × b dv + r × σn da (23)
Pt Pt ∂Pt
L’integrale di superficie è esprimibile come:
    
r × σn da = ∇ · (r × σ) dv = r × ∇ · σ + e σT dv
∂Pt Pt Pt
Dimostrazione
(∇ · (r × σ))i = ∂ (eijk rj σkl ) /∂xl = eijk rj ∂σkl /∂xl + eijk δjl σkl
= eijk rj ∂σkl /∂xl + eijk σkj
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Forma locale del PCMQM: mezzo bifase
Tenendo conto del risultato precedente, l’eq. (23) si modifica in:
  
r × ∇ · σ + (1 − n)ρs (b − as ) + nρw (b − aw ) dv
Pt

+ e σ T dv = 0
Pt
Poichè tale relazione deve valere ∀ Pt ∈ St ed il primo integrale è nullo, il
teorema di localizzazione fornisce la seguente forma locale del principio di
conservazione del momento della quantità di moto per il mezzo bifase:
e σT = 0 ⇔ σ = σT (24)
Forze ed equilibrio globale Sforzi specifici e tensori delle tensioni Conservazione della QdM: forma locale Conservazione del MQdM: forma locale
Forma locale del PCMQM: simmetria del tensore delle tensioni efficaci
Il Principio delle Tensioni Efficaci stabilisce che:

σ  = σ + u1 σij = σij + uδij
Per la simmetria del tensore delle tensioni totali:

e (σ  )T − u e 1 = 0 eijk σkj − u eijk δjk = 0
Dal momento che eijk δjk = 0, dalla precedente equazione discende la
simmetria del tensore della tensione efficace.
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Equazioni Costitutive per il Mezzo Poroso Saturo
Claudio Tamagnini
Corso di Tecnica delle Fondazioni – AA. 2014/15
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Sommario
Modellazione costitutiva: principi generali
Equazioni costitutive per lo scheletro solido
Teoria dell’elasticità
Materiali a comportamento inelastico
Equazioni costitutive per la fase liquida
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Modellazione costitutiva in meccanica dei continui
In meccanica dei continui, le particolari caratteristiche del comportamento
meccanico dei materiali oggetto di studio sono descritte matematicamente
attraverso le c.d. equazioni costitutive (EC).
A differenza dei principi di conservazione (massa, quantità di moto,
energia,. . . ), le EC non rappresentano leggi universali, ma piuttosto definiscono
delle classi di materiali ideali (modelli costitutivi).
Le EC consentono di prevedere la risposta del materiale ad ogni possibile
condizione di carico imposta, a partire da una limitata quantità di informazioni
ottenute sperimentalmente.
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Modellazione costitutiva in meccanica dei continui
In (geo)meccanica computazionale, la qualità delle previsioni ottenute dipende
dalla abilità del modello di cogliere gli aspetti essenziali della risposta
meccanica del materiale per la classe di percorsi di sollecitazione che si ritiene
rilevanti per il problema applicativo in esame.
I terreni naturali e gli ammassi rocciosi (“geomateriali”) sono generalmente
caratterizzati da una risposta meccanica molto complessa.
La scelta appropriata del modello (o dei modelli) da utilizzare per descrivere il
loro comportamento può variare in funzione degli obiettivi dell’analisi.
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Ipotesi fondamentali
Nel resto del corso, le seguenti ipotesi saranno ritenute valide:
– la descrizione dei processi di deformazione del mezzo è limitata al caso
delle piccole deformazioni (cinematica linearizzata).
– il terreno, considerato come un mezzo poroso, è perfettamente saturo ed il
suo comportamento è descritto in accordo con il Principio delle Tensioni
Efficaci (*).
– il comportamento del terreno è non viscoso.
– l’attenzione è limitata ai processi di deformazione e flusso in condizioni
isoterme.
(*) Nel seguito verrà adottata la convenzione dei segni della Meccanica dei Continui
(trazione ed estensione positive, u positiva in compressione).
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Equazioni costitutive per lo scheletro solido: Teoria dell’Elasticità
Un trattamento rigoroso della Teoria dell’Elasticità è reperibile sia nei testi di
Scienza delle Costruzioni (e.g., Baldacci 1970; Franciosi 1983; Angotti & Borri
2005; Gambarotta & Nunziante 2011) che di Meccanica dei Mezzi Continui
(e.g., Fung 1965; Malvern 1968; Gurtin 1980; Ogden 1984).
In termini generali, un mezzo poroso solido ha un comportamento elastico se il
suo stato tensionale σ  può essere considerato una funzione (ad un solo valore)
della deformazione :

σ  = F () σij = Fij (kl )
Tale proprietà implica che la risposta del materiale sia reversibile: un ciclo
chiuso di carico/scarico non produce deformazioni residue.
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Elasticità lineare
Nel caso particolare in cui la funzione F sia lineare in , il materiale è definito
elastico lineare:
 e
σ = De  σij = Dijkl kl
dove D e è il tensore di rigidezza elastico, con componenti costanti.
A causa della simmetria dei tensori della tensione e della deformazione, il
tensore di rigidezza elastico possiede la seguente proprietà di simmetria minore:
e e e e
Dijkl = Djikl Dijkl = Dijlk
Una conseguenza di tale proprietà è che il numero di componenti indipendenti
di D e (costanti elastiche) è pari a 36.
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Il mezzo elastico lineare omogeneo e isotropo
Nel caso particolare di mezzo elastico lineare omogeneo e isotropo, l’equazione
costitutiva si riduce alla legge di Hooke generalizzata:
 
1
σ  = (Kv ) 1 + 2G  − v 1
3
 
1
D e = K 1 ⊗ 1 + 2G I− 1⊗1
3
o, in notazione indiciale:
 
 1
σij = (Kkk ) δij + 2G ij − kk δij
3
 
e 1
Dijkl = K δij δkl + 2G δik δjl − δij δkl
3
ed il numero delle costanti elastiche indipendenti si riduce a 2: modulo di
volume K e modulo di taglio G.
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Iperelasticità
Un materiale iperelastico (lineare o non lineare) ammette l’esistenza di una
funzione energia potenziale totale ψ() e di una funzione energia
complementare totale ψ̂(σ  ), a partire dalle quali si definiscono le seguenti EC:
∂ψ ∂2ψ
σ = () σ̇  = D e ˙ D e () :=
∂ ∂ ⊗ ∂
∂ ψ̂    ∂ 2 ψ̂
= (σ ) ˙ = C e σ̇  C e σ  :=
∂σ  ∂σ  ⊗ ∂σ 
NOTA: Le precedenti EC possono descrivere un comportamento nonlineare, ma
non irreversibile o dipendente dalla storia di carico.
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Iperelasticità lineare isotropa
La legge di Hooke è un caso particolare di legame iperelastico (lineare), per il
quale ψ è una funzione quadratica di :
1 1 3
ψ() = K v2 + G e · e = K v2 + G s2
2 2 2
con:

1 2
v := tr() = kk e := dev() =  − v 1 s = e·e
3 3
La stessa legge di Hooke può essere scritta in termini di invarianti della
tensione e della deformazione (p, q) ed (v , s ):
∂ ψ̂ ∂ ψ̂
p = = K v q= = 3G s
∂v ∂q
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Legame iperelastico non lineare
Modelli iperelastici non lineari possono essere costruiti utilizzando funzioni
energia potenziale più complesse. Esempio (applicabile ai terreni argillosi):

3 v
 
ψ̂(v , s ) = ψ̃(v ) + ψ̃(v ) := κ∗ pref exp −
G s2 +1
2 κ∗
Equazione costitutiva:
σ  = θ 1 + 2G e
 

dψ̃  v ψ̃
θ := = − pref exp − +1 =− ∗
dv κ∗ κ
(cont.)
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Legame iperelastico non lineare
Invarianti della tensione:

v
 
p = θ = − pref exp − +1
κ∗
∂ ψ̂
q= = 3 G s
∂q
(cont.)
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Legame iperelastico non lineare
Tensore di rigidezza elastica:
D e = K 1 ⊗ 1 + 2 G I dev
dove:
 

dθ pref  v p
K := = ∗ exp − +1 =− ∗
dv κ κ∗ κ
1
I dev := I − 1⊗1
3
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Evidenze sperimentali del comportamento inelastico dei terreni
Principali caratteristiche del
comportamento dei terreni:
– non lineare;
– irreversibile;
– dipendente dalla storia di carico.
Tali aspetti non possono essere descritti
mediante la teoria dell’elasticità.
Prova di compressione isotropa
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Evidenze sperimentali del comportamento inelastico dei terreni
Principali caratteristiche del
comportamento dei terreni:
– non lineare;
– irreversibile;
– dipendente dalla storia di carico.
Tali aspetti non possono essere descritti
mediante la teoria dell’elasticità.
Prova di compressione TX-CD
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Equazioni costitutive in forma incrementale
In linea di principio, per tenere conto della dipendenza della risposta del terreno
dalla storia della deformazione, σ  deve essere considerato un funzionale della
storia della deformazione :

σ(x, t) = G [(x, t − τ )]
τ =0
Per evitare il ricorso all’uso di funzionali, si rinuncia a cercare una relazione tra
σ  ed  in termini finiti. Piuttosto si fornisce una opportuna legge di evoluzione
per σ  in funzione dello stato corrente del materiale e della velocità di
variazione di :  
σ̇  = G σ  , q, ˙
Nella precedente espressione, q rappresenta l’insieme delle variabili di stato
interne del materiale (scalari, tensori, etc.), che quantificano l’effetto della
storia di carico sul comportamento del materiale.
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Equazioni costitutive per materiali non viscosi
Se il materiale ha un comportamento non viscoso, incrementare di una quantità
λ > 0 la velocità di deformazione ha come effetto un eguale incremento della
velocità di variazione di σ  :
   
G σ  , q, λ˙ = λG σ  , q, ˙ = λσ̇ 
La precedente proprietà è soddisfatta solo se la funzione G è positivamente
omogenea di grado 1 rispetto ad . ˙
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Equazioni costitutive per materiali non viscosi
Il teorema di Eulero per le funzioni omogenee permette allora di riscrivere
l’equazione costitutiva nella seguente forma:
  ˙
σ̇  = D σ  , q, η ˙ η := dir()
˙ =
˙

Il tensore D è il tensore di rigidezza tangente del materiale, dipendente dalla
˙
direzione di .
Anche le variabili di stato interne q devono essere dotate di una opportuna
legge di evoluzione (legge di incrudimento):
q̇ = H (σ, q, η) ˙
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Equazioni costitutive per la fase liquida: compressibilità
Caso 1: acqua interstiziale incompressibile
ρw = const.
Caso 2: acqua interstiziale compressibile
ρw = ρw (u) (liquido barotropico)
−1
1 dw ρw 1 dw u 1 dρw
= Kw := = const.
ρw dt Kw dt ρw du
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Equazioni costitutive per la fase liquida: forze di interazione
w
Ipotesi costitutiva (Prevost 1980, 1985): la forza di interazione p̂int è la somma
di due contributi:
a) contributo di dilatazione:
w
(p̂int )1 = u∇n
a) contributo di trascinamento viscoso (moto laminare nei pori):
w
(p̂int )2 = −R v
Dunque:
w
p̂int = u ∇n − R v
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Equazioni costitutive per la fase liquida: legge di Darcy
Equazione di equilibrio della fase liquida, eq. (16):
w
−∇(nu) + nρw (b − aw ) + p̂int =0
w
Sostituendo l’espressione di p̂int e trascurando l’accelerazione della fase liquida
aw , si ottiene:
−n∇u + nρw b − R v = 0
dalla quale si ricava:
v = −nR−1 (∇u − ρw b)
(cont.)
Modellazione costitutiva: principi generali Equazioni costitutive per lo scheletro solido Equazioni costitutive per la fase liquida
Equazioni costitutive per la fase liquida: legge di Darcy
Considerando l’acqua interstiziale incompressibile, e tenendo conto che
b = −g∇ζ, si ha:
 
u
v = −nR−1 (∇u − ρw g∇ζ) = −nγw R−1 ∇ + ∇ζ
γw
La precedente espressione equivale alla ben nota legge di Darcy:
u
v = −k ∇h h=ζ+
γw
se si pone:
k = nγw R−1
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Problemi di Deformazione e Filtrazione nel Mezzo Poroso
La Teoria della Consolidazione Accoppiata di Biot
e le Formulazioni Semplificate Particolari
Claudio Tamagnini
Corso di Tecnica delle Fondazioni – AA. 2014/15
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Sommario
Consolidazione accoppiata
Equazioni governanti
Condizioni iniziali
Condizioni al contorno
Condizioni drenate o di LT
Moto di filtrazione
Equilibrio dello scheletro solido
Condizioni non drenate (di BT)
Approccio in termini di tensioni totali
Approccio in termini di tensioni efficaci
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Ipotesi fondamentali
i) La descrizione dei processi di deformazione del mezzo è limitata al caso
delle piccole deformazioni (cinematica linearizzata).
ii) Il terreno è perfettamente saturo ed il suo comportamento è descritto in
accordo con il Principio delle Tensioni Efficaci (*).
iii) I grani solidi sono considerati incompressibili (ρs = const.).
(*) Nel seguito verrà adottata la convenzione dei segni della Meccanica dei Continui
(trazione ed estensione positive, u positiva in compressione).
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Ipotesi fondamentali
iv) la compressibilità dell’acqua interstiziale è assunta generalmente
trascurabile (ρw = const.), salvo casi particolari esplicitamente
menzionati, per i quali si assume:
 −1
1 ∂ρw 1 ∂u 1 dρw
= Kw := = const.
ρw ∂t Kw ∂t ρw du
v) Il terreno è sollecitato in condizioni quasi–statiche (effetti inerziali
trascurabili: as  0, aw  0).
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Riepilogo delle equazioni governanti
a) Equazioni di conservazione (in forma locale, o “forte”)
∂v
∇·v+ =0 eq. di continuità (1 eq.) (1)
∂t
∇ · σ  − ∇u + ρb = 0 eq. di equilibrio (3 eqs.) (2)
b) Equazioni costitutive
 
σ̇  = D σ  , q, η ˙ (6 eq.) (3)
 
q̇ = H σ  , q, η ˙ (m eq.) (4)
v = −k ∇ (ζ + u/γw ) (3 eq.) (5)
c) Legame spostamento–deformazione (linearizzato)
1 
=
∇us + (∇us )T (6 eq.) (6)
2
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Riepilogo delle equazioni governanti (in notazione indiciale)
a) Equazioni di conservazione (in forma locale, o “forte”)
∂vi ∂v
+ =0 (1 eq.)
∂xi ∂t

∂σij ∂u
− + ρbi = 0 (3 eqs.)
∂xj ∂xi
b) Equazioni costitutive

σ̇ij = Dijkl ˙kl (6 eq.)
q̇α = Hαkl ˙kl (m eq.)
 
∂ u
vi = −kij ζ+ (3 eq.)
∂xj γw
c) Legame spostamento–deformazione (linearizzato)

1 ∂uis ∂ujs
ij = + (6 eq.)
2 ∂xj ∂xi
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Osservazioni
• Le incognite primarie del problema sono rappresentate dalle funzioni:
us = us (x, t) u = u(x, t)
• Le eq. (1) e (2) rappresentano il sistema di PDE che governa il moto dello
scheletro solido e dell’acqua interstiziale.
• A tale problema si attribuisce il nome di teoria della consolidazione
accoppiata (di Biot).
• La loro integrazione è possibile a partire da assegnate condizioni ai limiti:
a)condizioni iniziali; b) condizioni al contorno.
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Osservazioni
• Il sistema di PDE governanti la teoria della consolidazione di Biot è
accoppiato:
• Non è possibile risolvere l’equazione di equilibrio senza avere informazioni
sulla forza di volume ∇u (moto di filtrazione);
• Non è possibile risolvere l’equazione di continuità senza avere informazioni
sul termine sorgente ˙v (deformazione dello scheletro solido).
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Osservazioni
• L’accoppiamento delle equazioni governanti riflette la fisica del processo di
consolidazione.
• Il processo di deformazione provocato dalla applicazione di carichi esterni
può provocare variazioni di pressione interstiziale (es., Δu indotte a breve
termine nei terreni argillosi dalla costruzione di un edificio o di un
rilevato);
• La variazione del campo di pressioni interstiziali per effetto di sollecitazioni
di tipo idraulico (es., variazione dei livelli piezometrici prodotta da
pompaggio di acqua; infiltrazione di acqua dal piano campagna per effetto
di precipitazioni) può provocare deformazioni e spostamenti dello scheletro
solido (eventualmente fino al raggiungimento di una condizione di rottura).
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Condizioni ai limiti
La risoluzione di uno specifico problema di consolidazione accoppiata,
governato dal sistema di PDE, eq. (1) e (2), richiede che siano definite delle
opportune condizioni ai limiti per i due problemi di equilibrio e filtrazione (non
stazionaria), consistenti in:
a) Condizioni iniziali per i campi di spostamento e pressione interstiziale;
b) Condizioni al contorno per i problemi di equilibrio e filtrazione.
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Condizioni iniziali per la pressione interstiziale
Le condizioni iniziali per il campo di pressione interstiziale nel dominio B
oggetto dell’analisi, sono date da:
u(x, 0) = u0 (x) (nota) ∀x ∈ B
h(x, 0) = h0 (x) (noto) ∀x ∈ B
Un caso particolarmente semplice si ha quando le condizioni idrauliche iniziali
sono idrostatiche:
u(x, 0) = γw (h0 − ζ) ∀x ∈ B
h(x, 0) = h0 = const. ∀x ∈ B
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Condizioni iniziali idrostatiche
h = h 0 = z0 u0 = γw (h0 − ζ) = γw (z0 − z)
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Condizioni iniziali per il campo di spostamento
Le condizioni iniziali per il campo di spostamento dello scheletro solido nel
dominio B oggetto dell’analisi, sono date da:
us (x, 0) = u0s (x) (nota) ∀x ∈ B
Generalmente, le condizioni iniziali del problema di equilibrio si riferiscono alla
configurazione di riferimento per il terreno, per la quale:
u0s (x) = 0 ∀x ∈ B
Nei problemi di ingegneria geotecnica, la configurazione di riferimento non è
“scarica”:
σ(x, 0) = σ 0 (x) ∀x ∈ B
σ  (x, 0) = σ 0 (x) ∀x ∈ B
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Condizioni iniziali per le variabili di stato: problemi lineari
Nei problemi lineari – per i quali vale il principio di sovrapposizione degli effetti
– le tensioni litostatiche sono in equilibrio con le forze di volume (peso proprio
del terreno):
∇ · σ 0 − ∇u0 + ρb = 0 ∇ · (Δσ  ) − ∇(Δu) = 0
Gli effetti indotti dai carichi esterni (dovuti alla costruzione dell’opera) in
termini di:
– spostamenti e deformazioni dello scheletro solido;
– variazioni dello stato tensionale efficace Δσ  ;
– variazioni di pressione interstiziale Δu,
possono essere determinati ignorando il peso proprio del terreno.
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Condizioni iniziali per le variabili di stato: problemi non lineari
Quando il comportamento del sistema terreno–opera di ingegneria è non
lineare, la risposta associata ad un determinato sistema di carichi applicati
dipende dalle condizioni iniziali del terreno, in termini di:
– stato tensionale litostatico σ 0 ;
– valori iniziali delle eventuali variabili interne q 0 .
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Stato tensionale litostatico
Stratigrafia “regolare” Stratigrafia “irregolare”
– Tensioni verticali totali σz0 calcolate – Tensioni litostatiche totali σ 0 ed
analiticamente a partire dal peso di efficaci σ 0 calcolate in una fase
volume del terreno e dall’equilibrio preliminare della simulazione
alla traslazione verticale. numerica (fase geostatica),
 =σ applicando (per passi) il peso proprio
– Dal PTE: σz0 z0 + u0 .
del terreno come carico esterno.
– Tensioni orizzontali efficaci calcolate
a partire dalla stima del coefficiente – Gli spostamenti calcolati nella fase
 = K σ . geostatica, fisicamente privi di
di spinta in quiete: σh0 0 z0
significato, devono essere azzerati al
 −u .
– Dal PTE: σh0 = σh0 0 termine di tale fase.
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Condizioni al contorno per il moto di filtrazione
Per quanto concerne l’equazione di continuità, la frontiera ∂B del dominio B
oggetto dell’analisi può essere considerata decomposta in due parti disgiunte
∂Bp e ∂Bq , tali che:
∂B = ∂Bp ∪ ∂Bq ∅ = ∂Bp ∩ ∂Bq
Sulla porzione ∂Bp si considerano noti la pressione interstiziale e il carico
idraulico:
u=u ∀x ∈ ∂Bp , ∀t ∈ [0, T ]
h=h ∀x ∈ ∂Bp , ∀t ∈ [0, T ]
Sulla porzione ∂Bq è assegnata la portata in ingresso per unità di area:
−v · n = q ∀x ∈ ∂Bq , ∀t ∈ [0, T ]
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Condizioni al contorno per il moto di filtrazione: esempio
∂B = ∂Bp ∪ ∂Bq ∅ = ∂Bp ∩ ∂Bq
Contorno ∂Bp
HG: ghiaia inf. permeabile (no
perdite di carico):
u = u0 h = h0
BH: contorno (ideale) ad x → ∞:
u = u0 h = h0
AB: piano campagna:
u=0 se: v · n ≥ 0
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Condizioni al contorno per il moto di filtrazione: esempio
∂B = ∂Bp ∪ ∂Bq ∅ = ∂Bp ∩ ∂Bq
Contorno ∂Bq
GO: piano di simmetria:
q=0
OA: piano di posa fondazione:
q=0
AB: piano campagna:
q = Iz se: v · n < 0
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Condizioni al contorno per l’equazione di equilibrio
Per quanto concerne l’equazione di equilibrio, la frontiera ∂B del dominio B
oggetto dell’analisi può essere considerata decomposta in tre coppie di parti
disgiunte ∂Bu,i e ∂Bt,i , con i = 1, 2 o 3, tali che:
∂B = ∂Bu,i ∪ ∂Bt,i ∅ = ∂Bu,i ∩ ∂Bt,i
Sulla porzione ∂Bu,i si considera nota la componente uis dello spostamento
dello scheletro solido:
uis = uis ∀x ∈ ∂Bu,i , ∀t ∈ [0, T ]
Sulla porzione ∂Bt,i è assegnata la componente ti del vettore sforzo specifico
totale:
σij nj = ti x ∈ ∂Bt,i , ∀t ∈ [0, T ]
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Condizioni al contorno per l’eq. di equilibrio: esempio 1
∂B = ∂Bu,i ∪ ∂Bt,i ∅ = ∂Bu,i ∩ ∂Bt,i
Contorni ∂Bu,x e ∂Bu,y
HG: contorno rigido e scabro:
s
ux =0 uys = 0
BH: contorno (ideale) “liscio” ad
x → ∞:
s
ux =0
OG: piano di simmetria:
s
ux =0
Fondazione nastriforme inf. flessibile
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Condizioni al contorno per l’eq. di equilibrio: esempio 1
∂B = ∂Bu,i ∪ ∂Bt,i ∅= ∂Bu,i ∩ ∂Bt,i
Contorni ∂Bt,x e ∂Bt,y
BH: contorno (ideale) “liscio” ad
x → ∞:
ty = 0
OG: piano di simmetria:
ty = 0
OA: piano di posa fondazione:
tx = 0 t y = q0
AB: piano campagna:
tx = 0 ty = 0
Fondazione nastriforme inf. flessibile
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Condizioni al contorno per l’eq. di equilibrio: esempio 2
∂B = ∂Bu,i ∪ ∂Bt,i ∅ = ∂Bu,i ∩ ∂Bt,i
Contorni ∂Bu,x e ∂Bu,y
HG: contorno rigido e scabro:
s
ux =0 uys = 0
BH: contorno (ideale) “liscio” ad
x → ∞:
s
ux =0
OG: piano di simmetria:
s
ux =0
OA: piano di posa fondazione
(rigido e scabro):
s
ux =0 uys = w0
Fondazione nastriforme inf. rigida
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Condizioni al contorno per l’eq. di equilibrio: esempio 2
∂B = ∂Bu,i ∪ ∂Bt,i ∅ = ∂Bu,i ∩ ∂Bt,i
Contorni ∂Bt,x e ∂Bt,y
BH: contorno (ideale) “liscio” ad
x → ∞:
ty = 0
OG: piano di simmetria:
ty = 0
AB: piano campagna:
tx = 0 ty = 0
Fondazione nastriforme inf. rigida
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Teoria di Biot e formulazioni approssimate
L’analisi di un generico problema di deformazione e filtrazione non stazionaria
governato dalla teoria della consolidazione accoppiata di Biot è attualmente
alla portata del progettista di opere di ingegneria geotecnica grazie al ricorso a
metodi numerici (ad esempio, FEM) implementati in codici di calcolo
largamente diffusi in ambito professionale.
Tuttavia, non sempre è necessario affrontare il problema accoppiato completo.
Significative economie nei tempi necessari alla predisposizione dei modelli
numerici ed al calcolo delle soluzioni corrispondenti si possono ottenere
partendo da formulazioni semplificate del problema generale.
Tali semplificazioni consistono sempre nel disaccoppiare il problema meccanico
dal problema idraulico, in modo da poterli risolvere separatamente.
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Condizioni drenate
In presenza di soli terreni a grana grossa, molto permeabili e di elevata
rigidezza, l’acqua interstiziale è libera di muoversi all’interno dei pori durante il
processo di deformazione provocato dai carichi esterni, senza sviluppare
apprezzabili variazioni di pressione interstiziale rispetto alle condizioni
litostatiche iniziali.
In tali circostanze, le variazioni dello stato tensionale totalei indotte dai carichi
esterni si trasmettono interamente allo scheletro solido come variazioni di
tensione efficace, mentre le pressioni interstiziali rimangono inalterate ed in
equilibrio con le condizioni idrauliche al contorno:
Δσ = Δσ  Δu = 0 u = u0
In tali circostanze, la deformazione nel terreno avviene in condizioni drenate.
La distribuzione delle pressioni interstiziali può essere determinata a priori con
riferimento alle condizioni litostatiche.
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Condizioni di “lungo termine”
Se tutto o in parte il terreno interagente con l’opera è costituito da terreni a
grana fine, per la loro bassa permeabilità ed elevata compressibilità, la
variazione dello stato tensionale totale provocata dalla costruzione dell’opera
genera sovrapressioni interstiziali Δu = 0 che innescano un processo di
filtrazione non stazionario e la conseguente deformazione del terreno
(consolidazione).
Il processo di consolidazione si protrae nel tempo fino a quando le
sovrapressioni interstiziali sono completamente dissipate e la pressione
interstiziale nel terreno è ritornata in equilibrio con le condizioni idrauliche al
contorno ⇒ condizioni di lungo termine (LT).
Nelle condizioni finali di LT lo scheletro solido è in equilibrio statico:
∂v
us = us (x)  = (x) =0
∂t
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Filtrazione in condizioni stazionarie (drenate o LT)
In condizioni drenate o di lungo termine, l’acqua interstiziale è in condizioni
idrostatiche oppure di moto stazionario:
u(x)
u = u(x) h = h(x) = ζ +
γw
In entrambi i casi, il campo di pressione interstiziale è governato dalle seguenti
equazioni per il moto di filtrazione stazionaria:
∇·v =0 eq. di continuità (1 eq.) (7)
v = −k ∇ (ζ + u/γw ) legge di Darcy (3 eq.) (8)
con le condizioni al contorno:
u=u ∀x ∈ ∂Bp , ∀t ∈ [0, T ]
−v · n = q ∀x ∈ ∂Bq , ∀t ∈ [0, T ]
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Filtrazione in cond. stazionarie: formulazione alternativa
Si ponga:
u 0 pw
u = u0 + p w h = h0 + Δh = ζ + + h0 = const.
γw γw
nella quale u0 rappresenta una distribuzione di pressioni interstiziali idrostatica
(nota), e pw = u − u0 la variazione di u rispetto a quest’ultima (incognita).
Il campo pw (x) è governato dalle seguenti equazioni per il moto di filtrazione
stazionaria:
∇·v =0 eq. di continuità (1 eq.) (9)
1
v=− k ∇pw legge di Darcy (3 eq.) (10)
γw
con le condizioni al contorno:
pw = pw ∀x ∈ ∂Bp , ∀t ∈ [0, T ]
−v · n = q ∀x ∈ ∂Bq , ∀t ∈ [0, T ]
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Problema di equilibrio in condizioni drenate o di LT
In condizioni drenate o di lungo termine, il campo di deformazione dello
scheletro solido us (x) è governato dal seguente sistema di PDE:
∇ · σ  + ρb − ∇u0 − ∇pw = 0 (3 eqs.) (11)
 
σ̇  = D σ  , q, η ˙ (6 eq.) (12)
 
q̇ = H σ  , q, η ˙ (m eq.) (13)
1 
= ∇us + (∇us )T (6 eq.) (14)
2
con le condizioni al contorno:
uis = uis ∀x ∈ ∂Bu,i , ∀t ∈ [0, T ]
σij nj = ti ∀x ∈ ∂Bt,i , ∀t ∈ [0, T ]
Nell’equazione indefinita di equilibrio (11), le funzioni u0 (x) e pw (x) sono da
considerarsi note (ottenute dalla soluzione del problema idraulico).
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Problema di equilibrio in condizioni drenate o di LT
Nel caso particolare in cui l’acqua interstiziale si trovi in condizioni idrostatiche
(pw = 0), l’equazione indefinita di equilibrio si riduce a:
∇ · σ  + (ρ − ρw )b = ∇ · σ  + γ  eg = 0 (15)
se la pressione interstiziale u = u0 > 0 (al di sotto della sup. piezometrica),
oppure a:
∇ · σ  + ρb = ∇ · σ  + γeg = 0 (16)
se u = 0 (al di sopra della superficie piezometrica).
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Condizioni non drenate nei terreni a grana fine
Nei terreni a grana fine, di bassa permeabilità ed elevata compressibilità,
l’applicazione “rapida” di carichi esterni da luogo a variazioni della tensione
totale ma anche ad incrementi della pressione interstiziale, che si generano per
effetto delle forti perdite di carico che si associano al moto dell’acqua nei pori.
Un caso limite si ha quando la permeabilità del terreno è talmente bassa che il
moto relativo dell’acqua rispetto allo scheletro solido risulta praticamente
trascurabile, almeno nella fase iniziale del processo:
v0 (condizioni non drenate) (17)
Nella pratica, per le dimensioni tipiche delle opere di ingegneria geotecnica, la
condizione (17) risulta soddisfatta nel corso della costruzione dell’opera e per
un certo intervallo di tempo immediatamente successivo: condizioni di breve
termine (BT).
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Condizioni non drenate: conseguenze
Se i grani solidi e la fase liquida possono essere considerati incompressibili,
dall’equazione di continuità per il mezzo poroso discende che in condizioni non
drenate:
∂v ∂v
∇·v+ =0 ⇒ =0
∂t ∂t
Il terreno si deforma a volume costante.
In condizioni non drenate, la variazione di tensione efficace provocata dai
carichi esterni è legata alla variazione della tensione totale e della pressione
interstiziale dalla relazione:
Δσ  = Δσ + Δu1
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Condizioni non drenate: approccio in tensioni totali
La variazione di pressione interstiziale Δu a BT è causata dalla tendenza dello
scheletro solido a variare di volume, impedita dal fatto che l’acqua non può
muoversi all’interno dei pori e non può quindi essere espulsa o assorbita dal
generico elemento di volume che si deforma.
Δu > 0 se il terreno ha un comportamento contraente;
Δu < 0 se il terreno ha un comportamento dilatante;
Le difficoltà analitiche associate alla determinazione di Δu a BT hanno portato
– nella ingegneria geotecnica tradizionale – allo sviluppo di una metodologia di
analisi detta analisi in termini di tensioni totali, nella quale:
a) il terreno è considerato come un mezzo monofase incompressibile,
ignorando completamente la presenza dell’acqua interstiziale;
b) il suo comportamento meccanico è descritto per mezzo di equazioni
costitutive che legano le deformazioni dello scheletro solido alle variazioni
di tensione totale.
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Problema di equilibrio in condizioni non drenate
In condizioni non drenate o di breve termine, descritte mediante l’approccio in
termini di tensioni totali, il campo di deformazione dello scheletro solido us (x)
è governato dal seguente sistema di PDE:
∇ · σ + ρb = 0 (3 eqs.) (18)
σ̇ = D

(σ, q, η) ˙ (6 eq.) (19)
q̇ = H (σ, q, η) ˙ (m eq.) (20)
1 
= ∇us + (∇us )T (6 eq.) (21)
2
con le condizioni al contorno:
uis = uis ∀x ∈ ∂Bu,i , ∀t ∈ [0, T ]
σij nj = ti ∀x ∈ ∂Bt,i , ∀t ∈ [0, T ]
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Condizioni non drenate per fase liquida compressibile
Nella realtà, l’acqua interstiziale non è mai perfettamente incompressibile, ma è
caratterizzata da una compressibilità piccola, ma finita. In tali circostanze,
l’equazione di continuità per il mezzo poroso impone che:
n ∂ρw ∂v
+ +∇·v =
ρw ∂t ∂t
n ∂u ∂v
+ +∇·v =0
Kw ∂t ∂t
In condizioni non drenate v = 0 e dunque:
Kw Kw
u̇ = − ˙v = − ˙ · 1 (22)
n n
L’eq. (22) consente di determinare quantitativamente la Δu indotta a BT in
ogni punto del mezzo, nota la storia della deformazione dello scheletro solido.
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Equazioni costitutive per le condizioni non drenate
In termini di tensioni efficaci
Il comportamento meccanico dello scheletro solido – descritto in termini di
tensioni efficaci – è governato dalle equazioni costitutive seguenti:
   
σ̇  = D σ  , q, η ˙ q̇ = H σ  , q, η ˙
Inoltre, in condizioni non drenate si ha:
Kw
u̇ = − ˙ · 1
n
Per il principio delle tensioni efficaci:
σ̇ = σ̇  − u̇1
  K w
= D σ  , q, η ˙ + (˙ · 1) 1
 n
  Kw
= D σ  , q, η + 1 ⊗ 1 ˙ = D


n
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Equazioni costitutive per le condizioni non drenate
In termini di tensioni efficaci – notazione indiciale
Il comportamento meccanico dello scheletro solido – descritto in termini di
tensioni efficaci – è governato dalle equazioni costitutive seguenti:

σ̇ij = Dijkl ˙kl q̇α = Hαkl ˙kl
Inoltre, in condizioni non drenate si ha:
Kw
u̇ = − ˙kl δkl
n
Per il principio delle tensioni efficaci:

σ̇ij = σ̇ij − u̇δij
Kw
= Dijkl ˙kl + (˙kl δkl ) δij
 n
Kw
= Dijkl + δij δkl ˙kl = D
ijkl ˙kl
n
Consolidazione accoppiata Condizioni drenate o di LT Condizioni non drenate (di BT)
Problema di equilibrio in condizioni non drenate
In condizioni non drenate o di breve termine, descritte mediante l’approccio in
termini di tensioni efficaci, il campo di deformazione dello scheletro solido
us (x) è governato dal seguente sistema di PDE:
∇ · σ + ρb = 0 (3 eqs.) (23)
 
σ̇ = D σ  , q, η + (Kw /n)1 ⊗ 1 ˙ (6 eq.) (24)
 
q̇ = H σ  , q, η ˙ (m eq.) (25)
u̇ = (Kw /n)˙ · 1 (1 eq.) (26)
1 
= ∇us + (∇us )T (6 eq.) (27)
2
con le condizioni al contorno:
uis = uis ∀x ∈ ∂Bu,i , ∀t ∈ [0, T ]
σij nj = ti ∀x ∈ ∂Bt,i , ∀t ∈ [0, T ]
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
La Risoluzione di Problemi di Filtrazione Stazionaria
Mediante il Metodo degli Elementi Finiti
Claudio Tamagnini
Corso di Tecnica delle Fondazioni – AA. 2014/15
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Sommario
Introduzione
Formulazione “forte”
Formulazione “debole”
Approssimazione per Elementi Finiti
Formulazione “discreta”
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Formulazione agli EF di un problema di MdC
La formulazione agli elementi finiti di un problema di MDC si articola nei 3
passi seguenti:
1. Forma forte (S): il problema matematico è formulato localmente sotto
forma di un sistema di PDE, a partire dai principi di conservazione e dalle
equazioni costitutive del materiale, con le opportune condizioni ai limiti.
2. Forma debole (W): a partire da (S), si costruisce una formulazione
variazionale equivalente del problema, in termini di integrali definiti sul
dominio del problema o sulla sua frontiera.
3. Forma discreta (M): si ottiene da (W) sostituendo alle funzioni incognite
delle opportune funzioni approssimanti, basate sulla suddivisione del
dominio in elementi.
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Osservazioni
Il passaggio da (S) a (W) consente di ridurre i requisiti di regolarità richiesti
alle funzioni che approssimano le incognite del problema.
La formulazione integrale di (W) si presta alla decomposizione del dominio in
elementi ed alla costruzione di funzioni approssimanti a supporto locale.
Il passaggio da (W) ad (M) consente di trasformare un problema continuo – la
cui soluzione è definita in uno spazio di funzioni – in un problema discreto
equivalente, nel quale le incognite sono rappresentate da un numero grande,
ma finito, di grandezze scalari. Quest’ultimo può essere risolto numericamente
con l’ausilio del computer.
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma forte del problema di filtrazione stazionaria
Forma forte (S) del problema di filtrazione
Assegnate le funzioni u : ∂Bp → R, q : ∂Bq → R si determini il campo di
pressioni interstiziali u : B → R tale che:
∇·v =0 (in B)
v = −k ∇ (ζ + u/γw ) (in B)
u−u=0 (in ∂Bp )
q+v·n=0 (in ∂Bq )
NOTA:
La funzione incognita u(x) deve essere di classe C 1 (continua con derivate
prime continue).
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma forte alternativa
Forma forte alternativa (S) del problema di filtrazione
Assegnate le funzioni pw : ∂Bp → R, q : ∂Bq → R si determini il cam-
po della variazione della pressione interstiziale pw : B → R rispetto alla
condizione di equilibrio idrostatica, tale che:
∇·v =0 (in B)
1
v=− k ∇pw (in B)
γw
pw − pw = 0 (in ∂Bp )
q+v·n=0 (in ∂Bq )
NOTA:
La funzione incognita pw (x) deve essere di classe C 1 (continua con derivate
prime continue).
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Spazio delle soluzioni e spazio delle variazioni
Def: spazio delle soluzioni Sp è l’insieme delle funzioni u(x) – dotate di certi
requisiti di regolarità1 – che soddisfano le condizioni al contorno essenziali :
 
Sp = u(x) : B → R | u ∈ H 1 ; u = u ∀ x ∈ ∂Bp
Def: spazio delle variazioni Vp è l’insieme delle funzioni ψ(x) che si annullano
su ∂Bp e soddisfano certi requisiti di regolarità:
 
Vp = ψ(x) : B → R | ψ ∈ H 1 ; ψ = 0 ∀ x ∈ ∂Bp
La condizione richiesta per ψ su ∂Bp si comprende se si interpreta tale campo
come una perturbazione arbitraria δu rispetto ad una possibile soluzione
u ∈ Sp . Dal momento che u è noto su ∂Bp , su tale frontiera si ha δu = 0.
1
Si richiede che la funzione u ∈ H 1 , cioè che soddisfi la relazione:

2
(∂u/∂xi ) dv < ∞
B
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Forma debole del problema di filtrazione stazionaria
1) Per ogni possibile scelta di ψ ∈ Vp , deve risultare:
  
u
ψ (∇ · v) dv = 0 con:
v = −k∇ ζ + (1)
B γw
2) Dal momento che:
∂vi ∂ ∂ψ
ψ∇ · v = ∇ · (ψv) − ∇ψ · v ψ = (ψvi ) − vi
∂xi ∂xi ∂xi
l’eq. (1) è equivalente a:
 
∇ · (ψv) dv − ∇ψ · v dv = 0
B B
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma debole del problema di filtrazione stazionaria
3) Applicando il teorema della divergenza al primo integrale a primo membro,
si ha:  
ψv · n da −
∇ψ · v dv = 0 (2)
∂B B
4) Poichè ψ = 0 su ∂Bp e v · n = −q su ∂Bq , l’integrale di superficie si
trasforma in:
   
ψv · n da = ψv · n da + ψv · n da = −
ψq da (3)
∂B ∂Bp ∂Bq ∂Bq
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma debole del problema di filtrazione stazionaria
Tenendo conto della eq. (3), l’eq. (2) fornisce la seguente:
Forma debole (W) del problema di filtrazione
Assegnate le funzioni q : ∂Bq →
 R, u : ∂Bp → R si determini u ∈ Sp tale
che:  
H (u, ψ) := ∇ψ · v(u) dv +
ψ q da = 0
B ∂Bq
con:    
u 1
v = −k∇ ζ + = −k ∇u − eg
γw γw
per ogni possibile scelta di ψ ∈ Vp .
NOTA: In (W) il campo di pressioni interstiziali u compare derivato una sola
volta.
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma debole alternativa del problema di filtrazione stazionaria
Forma debole alternativa (W) del problema di filtrazione
Assegnate le funzioni q : ∂Bq → R, pw : ∂Bp → R si determini pw ∈ Sp
tale che:
 
H (pw , ψ) := ∇ψ · v(pw ) dv + ψ q da = 0
B ∂Bq
con:
1
v=− k∇pw
γw
per ogni possibile scelta di ψ ∈ Vp .
NOTA: In (W) il campo di sovrapressioni interstiziali pw compare derivato una
sola volta.
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Approssimazione mediante EF: principi base
Il principio fondamentale su cui si basa il metodo degli EF consiste nel
sostituire alla soluzione del problema u(x) una soluzione approssimata uh (x),
ottenuta a partire da funzioni semplici (polinomi) definite su porzioni limitate
del dominio B (funzioni a supporto locale).
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Procedura standard
(1) Il dominio B è suddiviso mediante linee (o superfici) ideali, in un numero
finito di porzioni denominate elementi;
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Procedura standard
(2) Sulla superficie esterna (e, se necessario, anche all’interno) degli elementi
sono individuati dei punti caratteristici detti nodi;
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Procedura standard
(3) all’interno di ciascun elemento, la funzione incognita u è approssimata per
mezzo di una opportuna espansione polinomiale uh :
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Procedura standard
nen
 e e
u(x)  uh (x) := NA (x)pA
A=1
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Espansione polinomiale e funzioni di forma
nen
 e e
u(x)  uh (x) := NA (x)pA
A=1
e
Le funzioni NA (x) – in numero pari al numero dei nodi dell’elemento, nen –
sono definite funzioni di forma.
e e
Le quantità scalari pA sono delle costanti incognite. Assegnati i valori di pA , la
soluzione approssimata uh (x) è completamente definita.
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Proprietà delle funzioni di forma
Le funzioni di forma godono della
seguente proprietà:
e
NA (xB ) = δAB
e
Conseguenza: le quantità scalari pA
rappresentano i valori nodali della
funzione incognita (pressione
interstiziale):
nen
 e e
uh (xB ) = NA (xB )pA
A=1
nen
 e e
= δAB pA = pB Esempio: elemento triangolare a 3 nodi
A=1
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Espansione polinomiale in forma matriciale
Per gli sviluppi successivi, è più conveniente riscrivere l’espressione della
funzione approssimante in forma matriciale:
nen
 e e
uh (x) = NA (x)pA ⇔ uh (x) = N e (x)pe (x ∈ B e )
A=1
dove:  T
e
pe := p1e p2e ... pn en
è il vettore delle pressioni interstiziali nodali, di dimensione (nen × 1), ed:

N e := N1e N2e . . . Nneen
è la matrice delle funzioni di forma, di dimensioni (1 × nen ).
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Esempio: elemento triangolare a 3 nodi per filtrazione piana
uh (x) = N e (x)pe (x ∈ Be )
 T
pe := p1e p2e p3e

N e := N1e N2e N3e
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Gradiente della pressione interstiziale
In base alla approssimazione scelta per la pressione interstiziale, il vettore ∇u
può essere approssimato come segue:
n en  e

∂uh ∂N A e
=
(∇uh )i := pA
∂xi A=1
∂xi
Le componenti di ∇u sono funzioni lineari delle pressioni interstiziali nodali.
Pertanto si può scrivere:
nen
 e e
∇uh (x) = EA (x)pA = E e pe (x ∈ Be )
A=1
La matrice E e è definita operatore gradiente discreto per la pressione
interstiziale.
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Esempio: elemento triangolare a 3 nodi per filtrazione piana
⎧ ⎫
⎪ ∂u ⎪
⎪ ⎪
⎨ ∂x1 ⎬
∇u(x) :=

⎪ ∂u ⎭⎪


∂x2
è approssimato da:
3
 e e
∇uh (x) = EA (x)pA = E e pe (x ∈ Be )
A=1
dove:
⎡ ∂N e ⎤ ⎡ ∂N e
A 1 ∂N2e ∂N3e ⎤
e
⎢ ∂x1 ⎥  ⎢ ∂x1 ∂x1 ∂x1 ⎥
EA ⎢ ⎥ E e := E 1e E 2e ⎢ ⎥
e
:= ⎣ ⎦ E 3e = ⎣ ⎦
∂NA ∂N1e ∂N2e ∂N3e
∂x2 ∂x2 ∂x2 ∂x2
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Funzioni di forma locali e globali
Combinando insieme le interpolazioni per tutti gli elementi del dominio, è
possibile costruire una approssimazione basata sull’impiego di funzioni di forma
e
globali, ottenute per sovrapposizione delle funzioni NA :
ndof

uh = NA (x)pA ⇔ uh = N p (x ∈ B)
A=1
dove ndof è il numero di nodi non vincolati (= numero di gradi di libertà), e:
 T
p := p1 p2 . . . pndof

N := N1 N2 ... Nndof
Allo stesso modo è possibile estendere il gradiente della pressione interstiziale
∇uh approssimato all’intero dominio:
ndof

∇uh = E A (x)pA ⇔ ∇uh = Ep (x ∈ B)
A=1
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Funzioni di forma locali e globali
Elementi a 3 e 4 nodi per filtrazione piana:
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma discreta del problema di filtrazione
Sfruttando la approssimazione spaziale introdotta mediante la discretizzazione
in elementi finiti, è possibile definire:
– Spazio delle soluzioni approssimate:
 
S h = uh ∈ C 0 (B) ; uh = N p
– Spazio delle variazioni approssimate (Metodo di Galërkin):
 
V h = ψ h ∈ C 0 (B) ; ψ h = N ψ
dove ψ = vettore dei valori nodali della funzione peso ψ h .
I gradienti delle funzioni approssimate uh e ψ h sono approssimati dalle
espressioni seguenti:
∇uh = Ed ∇ψ h := Eψ
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma discreta del problema di filtrazione
1) La forma debole del problema di filtrazione richiede che, ∀ψ ∈ V:
 
H (u, ψ) = ∇ψ · v(u) dv +
ψ q da
B ∂Bq
   
1
=− ∇ψ · k ∇u − eg dv + ψ q da (4)
B γw ∂Bq
  
1
=− ∇ψ · (k∇u) dv + ∇ψ · (keg ) dv + ψ q da = 0
B γw B ∂Bq
2) Sostituendo nell’eq. (4) le approssimazioni ottenute con la discretizzazione
in EF, si ha:
  
1
H h uh , ψ h = − ∇ψ h · (k∇uh ) dv +
B γw
 
∇ψ h · (keg ) dv + ψ h q da = 0 (5)
B ∂Bq
(cont.)
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma discreta del problema di filtrazione
3) In notazione matriciale, il prodotto scalare tra due vettori v e w può
scriversi come prodotto righe×colonne tra il primo vettore trasposto ed il
secondo, mentre la quantità scalare ψ h è uguale alla sua trasposta:
v · w = vT w ψ h = (ψ h )T (6)
4) Tenendo conto delle eq. (6), l’eq. (5) si trasforma in:

1
Hh = − (Eψ)T (kEp) dv +
B γw
 
(Eψ)T (keg ) dv + (N ψ)T q da = 0
B ∂Bq
e, quindi in:

1
Hh = − ψ T (E T kE)p dv +
B γw
 
ψ T (E T keg ) dv + ψ T N T q da = 0 (7)
B ∂Bq
(cont.)
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma discreta del problema di filtrazione
5) Dal momento che i vettori ψ e p contengono quantità scalari indipendenti
da x, possono essere portati fuori dagli integrali di volume e di superficie.
L’eq. (7) diviene cosı̀:
  
1
Hh = ψ T − (E T kE) dv p +
γw B
   
ψT (E T keg ) dv + ψT N T q da =0 (8)
B ∂Bq
6) Le quantità tra parentesi graffe che appaiono nella eq. (8) sono da
considerare quantità note, calcolabili a partire dalle funzioni di forma e
dalle loro derivate, note le funzioni k e q. Definiamo:

1
H= (E T kE) dv (matrice di flusso)
γw
B 
Qext = (E T keg ) dv + N T q da (vett. delle portate nodali esterne)
B ∂Bq
(cont.)
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma discreta del problema di filtrazione
7) Tenendo conto delle definizioni al punto (6), la forma discreta dell’eq. (4)
si riduce a:
 
Hh = ψ T − H p + Qext =0 (9)
8) Dal momento che l’eq. (9) deve valere per ogni possibile scelta del vettore
ψ dei valori nodali della funzione peso ψ, si ha la seguente:
Forma matriciale (M) del problema di filtrazione
Assegnato il vettore Qext ∈ Rndof , si determini p ∈ Rndof tale che:
Hp = Qext
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Osservazioni
a) Se la permeabilità k del mezzo è indipendente dalla pressione interstiziale
u, il problema (M) è lineare.
b) Per la simmetria del tensore di permeabilità k, la matrice di flusso

1
H= (E T kE) dv
B γw
è simmetrica.
c) Il vettore Qext contiene due contributi:
 
Qext = (E T keg ) dv + N T q da
B ∂Bq
Il primo tiene conto del peso proprio dell’acqua interstiziale, il secondo dei
flussi imposti al contorno.
Introduzione Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Osservazioni
d) Gli integrali che compaiono nelle definizioni di H e Qext sono valutati
assemblando i contributi dei singoli elementi:
nel   
Qext = A (E eT keg ) dv + N eT q da (10)
e=1 Be e
∂Bq
nel  
1
H= A (E eT kE e ) dv (11)
e=1 Be γw
e) Gli integrali definiti su ciascun elemento nelle eq. (10) ed (11) non sono
generalmente calcolabili in forma chiusa. Si valutano utilizzando procedure
di integrazione numerica approssimate, come il metodo di Gauss (ref.:
lezione sulla “Tecnologia degli elementi”).
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Valutazione dello Stato di Sforzo e di Deformazione
nello Scheletro Solido in Condizioni Drenate e Non Drenate
Claudio Tamagnini
Corso di Tecnica delle Fondazioni – AA. 2014/15
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Sommario
Formulazione “forte”
Condizioni drenate o di LT
Condizioni non drenate
Formulazione “debole”
Condizioni drenate o di LT
Condizioni non drenate
Approssimazione per Elementi Finiti
Formulazione “discreta”
Condizioni drenate o di LT
Condizioni non drenate
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Introduzione
Casi particolari nei quali il problema di equilibrio dello scheletro solido risulta
disaccoppiato dal problema di filtrazione dell’acqua interstiziale nei pori:
1. Scheletro solido in condizioni drenate: le pressioni interstiziali sono note e
costanti nel tempo (spesso distribuite con legge idrostatica).
2. Scheletro solido in condizioni di Lungo Termine: la distribuzione finale
delle pressioni interstiziali è bluenota e costante nel tempo (spesso
idrostatica).
3. Scheletro solido in condizioni non drenate (1): lo stato di tensione totale
può essere associato direttamente al campo di deformazione mediante
equazioni costitutive definite in termini di tensioni totali.
4. Scheletro solido in condizioni non drenate (2): lo stato di tensione totale
può essere associato direttamente al campo di deformazione mediante
equazioni costitutive definite in termini di tensioni efficaci, valutando le
variazioni di pressione interstiziale indotte nel terreno introducendo la
compressibilità della fase liquida.
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Problema di equilibrio in condizioni drenate o di LT
Forma forte (S) del problema di equilibrio (CD, LT)
Assegnate le funzioni ρ : B → R, b : B → R3 , u : B → R,
us : ∂Bu → R3 , t : ∂Bt → R3 si determini il campo di spostamento
us : B → R3 tale che:
∇ · σ  − ∇u + ρb = 0 (in B)
 
σ̇  = D σ  , q, η ˙ (in B)
 
q̇ = H σ  , q, η ˙ (in B)
1 
= ∇us + (∇us )T (in B)
2
us = us (in ∂Bu )
σn = t (in ∂Bt )
NOTA:
La funzione incognita us (x) deve essere di classe C 1 (continua con derivate
prime continue).
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Condizioni drenate o di LT con acqua int.le in condizioni idrostatiche
Forma forte (S) del problema di equilibrio (CD, LT)
Assegnate le funzioni ρ̂ : B → R, b : B → R3 , us : ∂Bu → R3 ,
t : ∂Bt → R3 , si determini il campo di spostamento us : B → R3
tale che:
∇ · σ  + ρ̂b = 0 (in B)
 
σ̇  = D σ  , q, η ˙ (in B)
 
q̇ = H σ  , q, η ˙ (in B)
1 
= ∇us + (∇us )T (in B)
2
us = us (in ∂Bu )
σn = t (in ∂Bt )
dove: 
ρ se: u = 0 e ∇u = 0
ρ̂ =
ρ = ρ − ρw se: ∇u = −γw ∇ζ = ρw b
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Problema di equilibrio in condizioni non drenate (approccio in TT)
Forma forte (S) del problema di equilibrio (CND, TT)
Assegnate le funzioni ρ : B → R, b : B → R3 , us : ∂Bu → R3 ,
t : ∂Bt → R3 si determini il campo di spostamento us : B → R3 tale
che:
∇ · σ + ρb = 0 (in B)
σ̇ = D
 (σ, q, η) ˙ (in B)
q̇ = H (σ, q, η) ˙ (in B)
1 
= ∇us + (∇us )T (in B)
2
us = us (in ∂Bu )
σn = t (in ∂Bt )
NOTA:
La funzione incognita us (x) deve essere di classe C 1 (continua con derivate
prime continue).
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Problema di equilibrio in condizioni non drenate (approccio in TE)
Forma forte (S) del problema di equilibrio (CND, TE)
Assegnate le funzioni ρ : B → R, b : B → R3 , us : ∂Bu → R3 ,
t : ∂Bt → R3 si determini il campo di spostamento us : B → R3 tale
che:
∇ · σ + ρb = 0 (in B)
  
σ̇ = D σ  , q, η + (Kw /n)1 ⊗ 1 ˙ (in B)
q̇ = H (σ, q, η) ˙ (in B)
1 
= ∇us + (∇us )T (in B)
2
us = u s (in ∂Bu )
σn = t (in ∂Bt )
dove:
Kw
σ  = σ − u1 u̇ = 1 · ˙
n
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Spazio delle soluzioni e spazio delle variazioni
Def: spazio delle soluzioni Su è l’insieme delle funzioni us (x) – dotate di certi
requisiti di regolarità1 – che soddisfano le condizioni al contorno essenziali :

Su = us (x) : B → R3 | us ∈ H 1 ; us = us ∀ x ∈ ∂Bu
Def: spazio delle variazioni Vu è l’insieme delle funzioni w(x) che si annullano
su ∂Bu e soddisfano certi requisiti di regolarità:

Vu = w(x) : B → R3 | w ∈ H 1 ; w = 0 ∀ x ∈ ∂Bu
La condizione richiesta per w su ∂Bp si comprende se si interpreta tale campo
come una perturbazione arbitraria (spostamento virtuale) δus rispetto ad una
possibile soluzione us ∈ Su . Dal momento che us è noto su ∂Bu , su tale
frontiera si ha δus = 0.
1
Si richiede che la funzione us ∈ H 1 , cioè che soddisfi la relazione:
i

 s 2
∂ui /∂xj dv < ∞
B
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma debole del problema di equilibrio (CD o LT)
1) Per ogni possibile scelta di w ∈ Vu , deve risultare:

 
w · ∇ · σ  + ρ̂b dv = 0 con: σ  = σ  [(us )] (1)
B
2) Dal momento che:
 
∂σij ∂   ∂w i 
w · (∇ · σ  ) = wi = wi σij − σij = ∇ · (σ T w) − ∇w · σ 
∂xj ∂xj ∂xj
l’eq. (1) è equivalente a:


∇ · σ T w dv − ∇w · σ  dv + w · (ρ̂b) dv = 0
B B B
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma debole del problema di equilibrio (CD o LT)
3) Applicando il teorema della divergenza al primo integrale a primo membro,
si ha:


σ T w · n da − ∇w · σ  dv + w · (ρ̂b) dv =
∂B B B


 
w · σ  n da − ∇w · σ  dv +
w · (ρ̂b) dv = 0 (2)
∂B B B
4) Poichè w = 0 su ∂Bu e:

σ  n = (σ + u1)n = σn + un = t + un = t
su ∂Bt , l’integrale di superficie si trasforma in:


  
w · σ  n da = w · (t + un) da = w · t da (3)
∂B ∂Bt ∂Bt
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma debole del problema di equilibrio (CD o LT)
Tenendo conto della eq. (3), l’eq. (2) fornisce la seguente:
Forma debole (W) del problema di equilibrio (CD o LT)
Assegnate le funzioni ρ̂ : B → R3 , b : B → R3 , t : ∂Bt → R3 ,
u : ∂Bt → R, us : ∂Bu → R3 si determini us ∈ Su tale che:



Gd (us , w) := − ∇w · σ  dv + w · (ρ̂b) dv +
w · t da = 0
B B ∂Bt
con:

σ  = σ  [(us )] t = t + un
per ogni possibile scelta di w ∈ Vu .
NOTA: In (W) il campo di spostamenti us compare derivato una sola volta.
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma debole del problema di equilibrio (CND)
1) Per ogni possibile scelta di w ∈ Vu , deve risultare:

w · (∇ · σ + ρb) dv = 0 con: σ = σ[(us )] (4)


B
2) Dal momento che:
∂σij ∂ ∂wi
w · (∇ · σ) = wi = (wi σij ) − σij = ∇ · (σ T w) − ∇w · σ
∂xj ∂xj ∂xj
l’eq. (4) è equivalente a:


∇ · σ T w dv − ∇w · σ dv + w · (ρb) dv = 0
B B B
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma debole del problema di equilibrio (CND)
3) Applicando il teorema della divergenza al primo integrale a primo membro,
si ha:


σ T w · n da − ∇w · σ dv + w · (ρb) dv =
∂B B B


w · (σn) da − ∇w · σ dv +
w · (ρb) dv = 0 (5)
∂B B B
4) Poichè w = 0 su ∂Bu e:
σn = t
su ∂Bt , l’integrale di superficie si trasforma in:

w · (σn) da =
w · t da (6)
∂B ∂Bt
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma debole del problema di equilibrio (CND)
Tenendo conto della eq. (6), l’eq. (5) fornisce la seguente:
Forma debole (W) del problema di equilibrio (CND)
Assegnate le funzioni ρ̂ : B → R3 , b : B → R3 , t : ∂Bt → R3 ,
us : ∂Bu → R3 si determini us ∈ Su tale che:


Gu (us , w) := − ∇w · σ dv + w · (ρb) dv +
w · t da = 0
B B ∂Bt
con:
σ = σ[(us )]
per ogni possibile scelta di w ∈ Vu .
NOTA: In (W) il campo di spostamenti us compare derivato una sola volta.
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Osservazioni
a) Interpretando la funzione peso w come spostamento virtuale δus , per la
simmetria di σ  si ha:
∇w · σ  = ∇s w · σ  = δ · σ 
b) La forma (W) del problema di equilibrio in CD (o di LT) è equivalente al
principio dei lavori virtuali in termini di tensioni efficaci:
 
Gd (us , δus ) = Lext (δus ) − Lint (us , δus ) = 0
con:


Lint = δ · σ  [(us )] dv
B

 
Lext = δus · (ρ̂b) dv + δus · t da
B ∂Bt
per ogni possibile scelta di δus ∈ Vu .
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Osservazioni
c) Interpretando la funzione peso w come spostamento virtuale δus , per la
simmetria di σ, si ha:
∇w · σ = ∇s w · σ = δ · σ
d) La forma (W) del problema di equilibrio in CND è equivalente al principio
dei lavori virtuali in termini di tensioni totali:
Gu (us , δus ) = Lext (δus ) − Lint (us , δus ) = 0
con:

Lint = δ · σ[(us )] dv
B

Lext = δus · (ρb) dv + δus · t da


B ∂Bt
per ogni possibile scelta di δus ∈ Vu .
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Approssimazione mediante EF: principi base
Il principio fondamentale su cui si basa il metodo degli EF consiste nel
sostituire alla soluzione del problema us (x) una soluzione approssimata
us,h (x), ottenuta a partire da funzioni semplici (polinomi) definite su porzioni
limitate del dominio B (funzioni a supporto locale).
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Procedura standard
(1) Il dominio B è suddiviso mediante linee (o superfici) ideali, in un numero
finito di porzioni denominate elementi;
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Procedura standard
(2) Sulla superficie esterna (e, se necessario, anche all’interno) degli elementi
sono individuati dei punti caratteristici detti nodi;
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Procedura standard
(3) all’interno di ciascun elemento, la funzione incognita us è approssimata per
mezzo di una opportuna espansione polinomiale us,h :
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Procedura standard
nen
e e
us (x)  us,h (x) := NA (x)dA
A=1
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Espansione polinomiale e funzioni di forma
nen
e e
us (x)  us,h (x) := NA (x)dA
A=1
e
Le funzioni NA (x) – in numero pari al numero dei nodi dell’elemento, nen –
sono definite funzioni di forma.
I vettori (coefficienti dell’espansione polinomiale):
⎧ e ⎫

⎪d1,A ⎬

e e
dA = d2,A

⎩ e


d3,A
e
sono costanti incognite (in R3 ). Assegnati i valori di dA , la soluzione
approssimata uh (x) è completamente definita.
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Proprietà delle funzioni di forma
Le funzioni di forma godono della
seguente proprietà:
e
NA (xB ) = δAB
e
Conseguenza: i vettori dA
rappresentano i valori nodali della
funzione incognita (spostamento us ):
nen
e e
us,h (xB ) = NA (xB )dA
A=1
nen
e e
= δAB dA = dB
Esempio: elemento triangolare a 3 nodi
A=1
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Espansione polinomiale in forma matriciale
Per gli sviluppi successivi, è più conveniente riscrivere l’espressione della
funzione approssimante in forma matriciale:
nen
e e
us,h (x) = NA (x)dA ⇔ us,h (x) = N e (x)de (x ∈ Be )
A=1
dove:  T
e
de := (d1e )T (d2e )T ... (dn en
)T
è il vettore delle pressioni interstiziali nodali, di dimensione (3nen × 1), ed:
 
N e := N1e 1 N2e 1 . . . Nneen 1
è la matrice delle funzioni di forma, di dimensioni (3 × 3nen ).
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Esempio: elemento triangolare a 3 nodi per deformazione piana
us,h (x) = N e (x)de (x ∈ Be )
 e e e e e e
T
de := d1,1 d2,1 d1,2 d2,2 d1,3 d2,3
 
N1e 0 N2e 0 N3e 0
N e :=
0 N1e 0 N2e 0 N3e
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Tensore della deformazione
In base alla approssimazione scelta per il campo di spostamenti, il tensore della
deformazione può essere calcolato come segue:
  nen  
e e
h 1 ∂uis,h ∂ujs,h 1 ∂NA e ∂N A e
ij := (∇s us,h )ij = + = di,A + dj,A
2 ∂xj ∂xi 2 A=1 ∂xj ∂xi
Le componenti di  sono funzioni lineari delle componenti degli spostamenti
nodali. Pertanto si può scrivere:
nen
e e
h (x) = ∇s us,h = BA (x)dA = B e de (x ∈ Be )
A=1
La matrice B e è definita operatore gradiente discreto o matrice
spostamenti–deformazioni.
NOTA: Il tensore della deformazione è rappresentato in notazione di Voigt
come vettore a 6 componenti.
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Esempio: elemento triangolare a 3 nodi per def. piana
Si ha:
3
e e
h (x) = BA (x)dA ⇔ h (x) = B e de (x ∈ Be )
A=1
con: ⎡ ⎤
e
∂NA /∂x1 0
⎢ e

⎢ 0 ∂NA /∂x ⎥
e ⎢ 2⎥
BA := ⎢ ⎥
⎢ 0 0 ⎥
⎣ ⎦
e e
∂NA /∂x2 ∂NA /∂x1
e:
 
B e := B 1e B 2e B 3e
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Funzioni di forma locali e globali
Combinando insieme le interpolazioni per tutti gli elementi del dominio, è
possibile costruire una approssimazione basata sull’impiego di funzioni di forma
e
globali, ottenute per sovrapposizione delle funzioni NA :
nfn

us,h = NA (x)dA ⇔ us,h = N d (x ∈ B)
A=1
dove nfn è il numero di nodi non vincolati del sistema, e:
 T
d := (d1 )T (d2 )T . . . (dnfn )T
 
N := N1 × 1 N2 × 1 ... Nnfn × 1
Allo stesso modo è possibile estendere l’approssimazione della parte simmetrica
del gradiente dello spostamento ∇s us,h all’intero dominio:
nfn

h := ∇s us,h = B A (x)dA ⇔ h := ∇s us,h = Bd (x ∈ B)
A=1
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Funzioni di forma locali e globali
Elementi a 3 e 4 nodi per filtrazione piana:
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma discreta del problema di equilibrio
Sfruttando la approssimazione spaziale introdotta mediante la discretizzazione
in elementi finiti, è possibile definire:
– Spazio delle soluzioni approssimate:
 
S h = us,h ∈ C 0 (B) ; us,h = N d (7)
– Spazio delle variazioni approssimate (Metodo di Galërkin):
 
V h = wh ∈ C 0 (B) ; wh = N φ (8)
dove φ = vettore dei valori nodali della funzione peso wh .
Le parti simmetriche dei gradienti delle funzioni approssimate us,h e wh sono
fornite dalle espressioni seguenti:
∇s us,h = h = Bd ∇s wh := δh = Bφ (9)
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma discreta del problema di equilibrio (CD o LT)
1) La forma debole del problema di equilibrio per le condizioni drenate o di
LT richiede che, ∀w ∈ Vu :



Gd (us , w) = − ∇w · σ  dv + w · (ρ̂b) dv +
w · t da
B B ∂Bt



=− ∇s w · σ  dv + w · (ρ̂b) dv + w · t da (10)
B B ∂Bt
2) Sostituendo nell’eq. (10) le approssimazioni ottenute con la
discretizzazione in EF, si ha:

Gdh us,h , wh = − ∇s wh · σ  [h (d)] dv +


B


wh · (ρ̂b) dv + wh · t da = 0 (11)
B ∂Bt
(cont.)
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma discreta del problema di equilibrio (CD o LT)
1) La forma debole del problema di equilibrio per le condizioni drenate o di
LT richiede che, ∀w ∈ Vu :



Gd (us , w) = − ∇w · σ  dv + w · (ρ̂b) dv +
w · t da
B B ∂Bt



=− ∇s w · σ  dv + w · (ρ̂b) dv + w · t da (10)
B B ∂Bt
2) Sostituendo nell’eq. (10) le approssimazioni ottenute con la
discretizzazione in EF, si ha:

Gdh us,h , wh = − ∇s wh · σ  [h (d)] dv +


B


wh · (ρ̂b) dv +
wh · t da = 0 (11)
B ∂Bt
(cont.)
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma discreta del problema di equilibrio (CD o LT)
3) Tenendo conto delle eq. (8) e (9), si ha:
wh · (ρ̂b) = (N φ)T (ρ̂b) = φT N T (ρ̂b)
  
wh · t = (N φ)T t = φT N T t
∇s wh · σ  = (Bφ)T σ  = φT B T σ  (12)
Nell’eq. (12) il prodotto scalare tra i due tensori del 2◦ ordine ∇s wh e σ 
è rappresentato in notazione di Voigt (vedi Appendice).
4) L’eq. (11) si trasforma quindi in:

Gdh (d, φ) = − φT B T σ  [h (d)] dv +


B


φT N T (ρ̂b) dv + φT N T t da = 0 (13)
B ∂Bt
(cont.)
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma discreta del problema di equilibrio (CD o LT)
3) Tenendo conto delle eq. (8) e (9), si ha:
wh · (ρ̂b) = (N φ)T (ρ̂b) = φT N T (ρ̂b)
  
wh · t = (N φ)T t = φT N T t
∇s wh · σ  = (Bφ)T σ  = φT B T σ  (12)
Nell’eq. (12) il prodotto scalare tra i due tensori del 2◦ ordine ∇s wh e σ 
è rappresentato in notazione di Voigt (vedi Appendice).
4) L’eq. (11) si trasforma quindi in:

Gdh (d, φ) = − φT B T σ  [h (d)] dv +


B


φT N T (ρ̂b) dv + φT N T t da = 0 (13)
B ∂Bt
(cont.)
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma discreta del problema di equilibrio (CD o LT)
5) Dal momento che i vettori φ e d contengono quantità scalari indipendenti
da x, possono essere portati fuori dagli integrali di volume e di superficie.
L’eq. (13) diviene cosı̀:
#
$
Gdh = φT − B T σ  [h (d)] dv +
B
#
$ #
$

φT N T (ρ̂b) dv + φT N T t da =0 (14)
B ∂Bt
6) Definiamo:

F int (d) = B T σ  [h (d)] dv (vett. delle forze nodali interne)



B


F ext = N T (ρ̂b) dv + N T t da (vett. delle forze nodali esterne)
B ∂Bt
Il vettore F int è una funzione degli spostamenti nodali d.
Il vettore F ext è una quantità calcolabile a partire da grandezze note.
(cont.)
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma discreta del problema di equilibrio (CD o LT)
7) Tenendo conto delle definizioni al punto (6), la forma discreta dell’eq. (10)
si riduce a:
 
Gdh = φT − F int (d) + F ext =0 (15)
8) Dal momento che l’eq. (15) deve valere per ogni possibile scelta del
vettore φ dei valori nodali della funzione peso w, si ha la seguente:
Forma matriciale (M) del problema di equilibrio (CD o LT)
Assegnato il vettore F ext ∈ Rndof , si determini d ∈ Rndof tale che:
F int (d) = F ext (16)
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Osservazioni
1) Gli integrali che compaiono nelle definizioni di F int ed F ext sono valutati
assemblando i contributi dei singoli elementi:
nel #
e $
F int = A B eT σ  [h (de )] dv (17)
e=1 B
nel 

%
e

F ext = A N eT (ρ̂b) dv + N eT t da (18)
e=1 B ∂Bte
2) Gli integrali definiti su ciascun elemento nelle eq. (17) ed (18) non sono
generalmente calcolabili in forma chiusa. Si valutano utilizzando procedure
di integrazione numerica approssimate, come il metodo di Gauss (ref.:
lezione sulla “Tecnologia degli elementi”).
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Osservazioni
3) La dipendenza di F int dall’incognita d è controllata dalla equazione
costitutiva dello scheletro solido:
a) Se il terreno ha un comportamento elastico lineare, allora il problema
(M) è lineare;
b) Se il terreno ha un comportamento inelastico o elastico non lineare,
allora il problema (M) è non lineare.
4) Il vettore F ext è decomponibile in due contributi:

e


F vext = N eT (ρ̂b) dv F sext = N eT t da
B ∂Bte
Il primo è associato alle forze – efficaci – di volume (peso proprio
sommerso del terreno); il secondo alle forze – efficaci – per unità di
superficie applicate al contorno ∂Bt .
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Problema di equilibrio in campo elastico lineare (CD o LT)
Rimandando l’esame dei problemi di equilibrio non lineari ad una lezione
successiva, esaminiamo ora il problema di equilibrio in campo elastico per le
condizioni drenate o di LT.
Se lo scheletro solido può essere descritto come un mezzo a comportamento
elastico lineare, si ha:
σ  = σ 0 + D e  (19)
Nella eq. (19), il termine σ 0 rappresenta lo stato tensionale efficace litostatico,
in corrispondenza del quale  = 0 (configurazione di riferimento).
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Problema di equilibrio in campo elastico lineare (CD o LT)
Tenendo conto dell’equazione costitutiva (19), il vettore delle forze interne
assume la seguente espressione:


F int = B T σ  dv = B T σ 0 dv + B T D e h dv
B

B
B
= B T σ 0 dv + B T D e (Bd) dv
B B

#
$
= B T σ 0 dv + B T D e B dv d
B B
Definendo:

F 0int := B T σ 0 dv (vett. forze interne litostatiche)


B

K := B T D e B dv (matrice di rigidezza del sistema discreto)


B
si ottiene la seguente:
(cont.)
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Problema di equilibrio in campo elastico lineare (CD o LT)
Forma matriciale (M) del problema di equilibrio (CD o LT)
in campo elastico lineare
Assegnato il vettore F ext ∈ Rndof , si determini d ∈ Rndof tale che:
Kd = F vext + F sext − F 0int (20)
Il vettore F 0int e la matrice di rigidezza K sono valutati assemblando i
contributi dei singoli elementi:
nel #
e $
F 0int = A B eT σ 0 dv
e=1 B
nel #
e $
K= A B eT D e B e dv
e=1 B
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Problema di equilibrio in campo elastico lineare (CD o LT)
Dal momento che le tensioni litostatiche efficaci sono in equilibrio con le forze
di volume efficaci:
F 0int = F vext
il problema di equilibrio in campo elastico può essere riformulato come segue:
Forma matriciale alternativa (M) del problema di equilibrio (CD o LT)
in campo elastico lineare
Assegnato il vettore F sext ∈ Rndof , si determini d ∈ Rndof tale che:
Kd = F sext (21)
In pratica, è possibile ignorare il peso proprio del terreno, se contestualmente si
ignorano le tensioni efficaci litostatiche.
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma discreta del problema di equilibrio (CND)
1) La forma debole del problema di equilibrio per le condizioni non drenate
richiede che, ∀w ∈ Vu :


Gu (us , w) = − ∇w · σ dv + w · t da w · (ρb) dv +
B B ∂Bt


=− ∇s w · σ dv + w · (ρb) dv + w · t da (22)
B B ∂Bt
2) Sostituendo nell’eq. (22) le approssimazioni ottenute con la
discretizzazione in EF, si ha:

Guh us,h , wh = − ∇s wh · σ[h (d)] dv +


B

wh · (ρb) dv + wh · t da = 0 (23)
B ∂Bt
(cont.)
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma discreta del problema di equilibrio (CND)
3) Tenendo conto delle eq. (8) e (9), si ha:
wh · (ρb) = (N φ)T (ρb) = φT N T (ρb)
wh · t = (N φ)T t = φT N T t
∇s wh · σ = (Bφ)T σ = φT B T σ (24)
Nell’eq. (24) il prodotto scalare tra i due tensori del 2◦ ordine ∇s wh e σ è
rappresentato in notazione di Voigt (vedi Appendice).
4) L’eq. (23) si trasforma quindi in:

Guh (d, φ) = − φT B T σ[h (d)] dv +


B

φT N T (ρb) dv + φT N T t da = 0 (25)
B ∂Bt
(cont.)
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma discreta del problema di equilibrio (CND)
5) Dal momento che i vettori φ e d contengono quantità scalari indipendenti
da x, possono essere portati fuori dagli integrali di volume e di superficie.
L’eq. (25) diviene cosı̀:
#
$
Guh = φT − B T σ[h (d)] dv +
B
#
$ #
$
φT N T (ρb) dv + φT N T t da =0 (26)
B ∂Bt
6) Definiamo:

F int (d) = B T σ[h (d)] dv (vett. delle forze nodali interne)



B

F ext = N T (ρb) dv + N T t da (vett. delle forze nodali esterne)


B ∂Bt
Il vettore F int è una funzione degli spostamenti nodali d.
Il vettore F ext è una quantità calcolabile a partire da grandezze note.
(cont.)
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Forma discreta del problema di equilibrio (CND)
7) Tenendo conto delle definizioni al punto (6), la forma discreta dell’eq. (22)
si riduce a:
 
Guh = φT − F int (d) + F ext =0 (27)
8) Dal momento che l’eq. (27) deve valere per ogni possibile scelta del
vettore φ dei valori nodali della funzione peso w, si ha la seguente:
Forma matriciale (M) del problema di equilibrio (CND)
Assegnato il vettore F ext ∈ Rndof , si determini d ∈ Rndof tale che:
F int (d) = F ext (28)
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Osservazioni
1) Gli integrali che compaiono nelle definizioni di F int ed F ext sono valutati
assemblando i contributi dei singoli elementi:
nel #
e $
F int = A B eT σ[h (de )] dv (29)
e=1 B
nel 

%
e
F ext = A N eT (ρb) dv + N eT t da (30)
e=1 B ∂Bte
2) Gli integrali definiti su ciascun elemento nelle eq. (29) ed (30) non sono
generalmente calcolabili in forma chiusa. Si valutano utilizzando procedure
di integrazione numerica approssimate, come il metodo di Gauss (ref.:
lezione sulla “Tecnologia degli elementi”).
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Osservazioni
3) La dipendenza di F int dall’incognita d è controllata dalla equazione
costitutiva dello scheletro solido:
a) Se il terreno ha un comportamento elastico lineare, allora il problema
(M) è lineare;
b) Se il terreno ha un comportamento inelastico o elastico non lineare,
allora il problema (M) è non lineare.
4) Il vettore F ext è decomponibile in due contributi:

e

F vext = N eT (ρb) dv F sext = N eT t da


B ∂Bte
Il primo è associato alle forze – totali – di volume (peso proprio del
terreno); il secondo alle forze – totali – per unità di superficie applicate al
contorno ∂Bt .
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Problema di equilibrio in campo elastico lineare (CND)
Rimandando l’esame dei problemi di equilibrio non lineari ad una lezione
successiva, esaminiamo ora il problema di equilibrio in campo elastico per le
condizioni non drenate.
Se lo scheletro solido può essere descritto come un mezzo a comportamento
elastico lineare, si ha:
σ = σ0 + D  e (31)
Nella eq. (31), il termine σ 0 rappresenta lo stato tensionale totale litostatico,
in corrispondenza del quale  = 0 (configurazione di riferimento).
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Equazione costitutiva per il mezzo elastico lineare (CND)
a) Approccio in termini di Tensioni Totali
La matrice di rigidezza D  e (in notazione di Voigt) è definita mediante le costanti
elastiche Eu , νu , valutate in termini di TT:
⎡ ⎤
A u B u B u 0 0 0
⎢B A u Bu 0 0 0 ⎥
⎢ u ⎥
⎢Bu B u A u 0 0 0 ⎥
D
e = ⎢ ⎥
⎢ 0 0 0 Gu 0 0 ⎥
⎣ 0 0 0 0 Gu 0 ⎦
0 0 0 0 0 Gu
con:
4 2
Au = Ku + Gu Bu = Ku − Gu
3 3
Eu Eu
Ku = Gu =
3(1 − 2νu ) 2(1 + νu )
Per garantire la condizione di incompressibilità, νu → 1/2. Tale valore non può essere
adottato, perchè rende D e singolare (Ku = ∞). In pratica, si adottano valori di νu
prossimi a 0.5 (es.: νu = 0.49).
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Equazione costitutiva per il mezzo elastico lineare (CND)
b) Approccio in termini di Tensioni Efficaci
e
La matrice di rigidezza D  (in notazione di Voigt) è è definita mediante le costanti
elastiche E  , ν  , valutate in termini di TE, della rigidezza volumetrica dell’acqua
interstiziale Kw , e della porosità n:
⎡ ∗ ∗ ∗ ⎤
Au B u B u 0 0 0
⎢B ∗ A ∗ B ∗
u u 0 0 0 ⎥
⎢ u ∗ ∗ ∗ ⎥
⎢B u Bu Au 0 0 0 ⎥
D
e = ⎢ ∗ ⎥
⎢ 0 0 0 Gu 0 0 ⎥
⎣ 0 0 0 0 G ∗ 0 ⎦
u
0 0 0 0 0 Gu∗
con:
∗ 4  1 ∗ 2  1
Au = K + G + Kw Bu = K − G + Kw
3 n 3 n
E ∗ E
K = Gu = G =
3(1 − 2ν  ) 2(1 + ν  )
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Problema di equilibrio in campo elastico lineare (CND)
Tenendo conto dell’equazione costitutiva (31), il vettore delle forze interne
assume la seguente espressione:


F int = B T σ dv = B T σ 0 dv +  e h dv
BT D
B

B
B
= B T σ 0 dv + e
BT D (Bd) dv
B B

#
$
= B T σ 0 dv + BT D
 e B dv d
B B
Definendo:

F 0int := B T σ 0 dv (vett. forze interne litostatiche)


B

e
K := BT D
 B dv (matrice di rigidezza del sistema discreto)
B
si ottiene la seguente:
(cont.)
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Problema di equilibrio in campo elastico lineare (CND)
Forma matriciale (M) del problema di equilibrio (CND)
in campo elastico lineare
Assegnato il vettore F ext ∈ Rndof , si determini d ∈ Rndof tale che:
Kd = F vext + F sext − F 0int (32)
Il vettore F 0int e la matrice di rigidezza K sono valutati assemblando i
contributi dei singoli elementi:
nel #
e $
F 0int = A B eT σ 0 dv
e=1 B
nel #
e $
e
K= A  B e dv
B eT D
e=1 B
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Problema di equilibrio in campo elastico lineare (CND)
Dal momento che le tensioni litostatiche totali sono in equilibrio con le forze di
volume totali:
F 0int = F vext
il problema di equilibrio in campo elastico può essere riformulato come segue:
Forma matriciale alternativa (M) del problema di equilibrio (CND)
in campo elastico lineare
Assegnato il vettore F sext ∈ Rndof , si determini d ∈ Rndof tale che:
Kd = F sext (33)
In pratica, è possibile ignorare il peso proprio del terreno, se contestualmente si
ignorano le tensioni totali litostatiche.
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Appendice: notazione di Voigt
I tensori simmetrici del 2◦ ordine σ,  hanno solo 6 componenti indipendenti.
In notazione di Voigt vengono rappresentati come vettori in R6 :
 T
σ = σ11 σ22 σ33 σ12 σ23 σ31
 T
 = 11 22 33 212 223 231
Il fattore 2 che moltiplica i termini fuori diagonale del vettore  consente di
ottenere la corretta espressione per il prodotto scalare tra i due tensori come
prodotto righe × colonne tra i vettori corrispondenti:
L = σ ·  = σij ij =
σ11 11 + σ22 22 + σ33 33 + 2σ12 12 + 2σ23 23 + 2σ31 31 =
σ A A = σ T 
Formulazione “forte” Formulazione “debole” Approssimazione per Elementi Finiti Formulazione “discreta”
Appendice: notazione di Voigt
In notazione di Voigt, la trasformazione lineare di un tensore del 2◦ ordine in
altro tensore del 2◦ ordine per mezzo di un tensore del 4◦ ordine può essere
rappresentata come un prodotto righe × colonne tra una matrice 6×6 ed un
vettore 6×1:
σij = Dijkl kl ⇔ σA = DAB B
i.e.:, ⎧ ⎫ ⎡ ⎤⎧ ⎫

⎪σ11 ⎪⎪ D11 D12 D13 D14 D15 D16 ⎪ ⎪


⎪ ⎪ ⎢D21 ⎥⎪⎪
⎪ 11 ⎪

⎪σ22 ⎪
⎪ ⎪
⎪ ⎢ D22 D23 D24 D25 D26 ⎥ ⎪
⎪ 22 ⎪⎪
⎨ ⎬ ⎢ ⎨ ⎬
σ33 ⎢D31 D32 D33 D34 D35 D36 ⎥ 33

=⎢

⎪σ12 ⎪⎪
⎪ ⎢D41 D42 D43 D44 D45 ⎥ ⎪212 ⎪
D46 ⎥ ⎪ ⎪

⎪ ⎪ ⎪
⎪ ⎪


⎪σ23 ⎪⎪ ⎣D51 D52 D53 D54 D55 D56 ⎦ ⎪
⎪223 ⎪⎪
⎩ ⎭ ⎩ ⎭
σ31 D61 D62 D63 D64 D65 D66 231
Tabella di conversione degli indici per il passaggio dalla notazione indiciale a
quella di Voigt:
ij/kl 11 22 33 12 23 31
A/B 1 2 3 4 5 6
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Tecnologia degli Elementi
Claudio Tamagnini
Corso di Tecnica delle Fondazioni – AA. 2014/15
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Sommario
Requisiti delle funzioni di forma
Elementi triangolari piani
Elementi isoparametrici
Generalità
Funzioni di forma (esempi)
Integrazione numerica
Il problema del “locking”
Integrazione ridotta
Elementi B–bar
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Requisiti fondamentali
e
Nella definizione delle funzioni di forma NA (x) per un elemento, il criterio
fondamentale da tenere presente è che la soluzione approssimata del problema
discreto (M) converga alla soluzione esatta di (W) al diminuire della
dimensione caratteristica h degli elementi.
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Requisiti fondamentali
Condizioni sufficienti ad assicurare la
convergenza (Hughes 1987, cap. 3):
a) le funzioni di forma devono essere
continue con derivate prime
continue (C 1 ) all’interno
dell’elemento;
b) le funzioni di forma devono essere
continue (C 0 ) al passaggio da un
elemento all’altro;
c) le funzioni di forma devono essere
complete.
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Requisiti fondamentali
Tali requisiti non sono necessari. Gli
elementi che non li soddisfino tutti
sono detti “elementi non conformi”.
Gli elementi non conformi non sono
generalmente impiegati nei codici di
calcolo commerciale.
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Requisiti fondamentali
Le condizioni (a) e (b) vanno associate al fatto che, nella formulazione dei
problemi (W), le funzioni incognite compaiono derivate una sola volta rispetto
alla variabile spaziale x.
La condizione di completezza richiede che l’approssimazione introdotta con le
funzioni di forma sia in grado di rappresentare esattamente un polinomio
lineare, quando i valori nodali della funzione incognita soddisfano tale
polinomio:
e
dA = c0 + c1 x1,A + c2 x2,A + c3 x3,A (A = 1, . . . , nen )

us,h (x) = c0 + c1 x1 + c2 x2 + c3 x3
Nei problemi di analisi delle deformazioni, la completezza rispetto ai polinomi
lineari garantisce che l’elemento sia in grado di riprodurre esattamente atti di
moto rigidi (traslazioni e rotazioni) e stati di deformazione omogenei
( = const.).
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Elementi triangolari per deformazione piana
Il più semplice tipo di elemento per deformazione piana è l’elemento triangolare
a 3 nodi, con 6 gradi di libertà locali (2 componenti di spostamento nodale per
ciascun nodo).
8 e 9
> >
>
> d1,I >
8 9 >> e >
>
> d2,I >
>
< dIe = < e =
d1,J
de = de = e
: eJ ; > >
>
> d2,J >
dM >
> e >
>d1,M
> >
>
: e ;
d2,M
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Elementi triangolari per deformazione piana
Con 6 coefficienti scalari (spostamenti nodali) a disposizione, è possibile
definire la seguente approssimazione bilineare per us :
u1s (x, y) = α1 + α2 x + α3 y
u2s (x, y) = β1 + β2 x + β3 y
nella quale i coefficienti incogniti αi e βi possono essere determinati in
funzione delle componenti degli spostamenti nodali imponendo:
e e e
u1s (xI , yI ) = d1,I u1s (xJ , yJ ) = d1,J u1s (xM , yM ) = d1,M
e e e
u2s (xI , yI ) = d2,I u2s (xJ , yJ ) = d2,J u2s (xM , yM ) = d2,M
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Elementi triangolari per deformazione piana
Determinazione dei coefficienti αi , (i = 1,2,3):
8 e
> α1 + α2 xI + α3 yI = d1,I
>
>
>
>
<
e
α1 + α2 xJ + α3 yJ = d1,J
>
>
>
>
>
: e
α1 + α2 xM + α3 yM = d1,M
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Elementi triangolari per deformazione piana
Determinazione dei coefficienti βi , (i = 1,2,3):
8 e
> β1 + β2 xI + β3 yI = d2,I
>
>
>
>
<
e
β1 + β2 xJ + β3 yJ = d2,J
>
>
>
>
>
: e
β1 + β2 xM + β3 yM = d2,M
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Elementi triangolari per deformazione piana
Funzioni di forma (bilineari):
3
X e e
u s = N e de = NA dA
A=1
con:
aI + bI x + cI y
NIe (x, y) =
2Ae
aI = xJ yM − xM yY
b I = yJ − y M
cI = xM − xJ
˛ ˛
˛ xI
1 ˛1 yI ˛˛
Ae = det ˛˛1 xJ yJ ˛˛
2 ˛1 xM yM ˛
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Elementi triangolari per deformazione piana
Campo di deformazione approssimato:
3
X e e
 = B e de = BA dA
A=1
con:
2 ∂N e 3
I 2 3
0 bI 0
6 ∂x 7
6 ∂NIe 7 6 7
6 0 ∂y 7 1 60 cI 7
B Ie = 6 7= 6 7
6 0 7 2Ae 4 0 05
4 0 5
∂NIe ∂NIe cI bI
∂x ∂y
NOTE:
a) Dal momento che B e è costante all’interno dell’elemento, questi elementi
vengono anche chiamati “constant–strain triangles”.
b) Data la semplice forma analitica delle funzioni N e e B e , i vettori (F int )e ,
(F ext )e e le matrici K e possono essere calcolati in forma chiusa.
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Elementi isoparametrici
Per la costruzione di funzioni di forma più complesse, la strategia
universalmente impiegata consiste nel fare ricorso agli elementi isoparametrici.
e
Negli elementi isoparametrici, le funzioni di forma NA sono definite in un
dominio di riferimento comune (indicato con ), nello spazio delle variabili
{ξ, η, ζ}, definito da:
n ˛ o
˛
 := (ξ, η, ζ) ˛ − 1 ≤ ξ ≤ +1 ; −1 ≤ η ≤ +1 ; −1 ≤ ζ ≤ +1
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Elementi isoparametrici
Ciascun punto del dominio fisico Be è associato ad un unico punto di 
mediante la relazione:
nen
X e
x(ξ, η, ζ) = NA (ξ, η, ζ) xA
A=1
dove xA è il vettore posizione del nodo A.
e
Le stesse funzioni di forma NA sono utilizzate per l’approssimazione del campo
di spostamenti (o di pressioni interstiziali) incognito.
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Condizione di completezza per elementi isoparametrici
La condizione di completezza richiede che:
e
dA = c0 + c1 x1,A + c2 x2,A + c3 x3,A ⇔ us,h (x) = c0 + c1 x1 + c2 x2 + c3 x3
Per un elemento isoparametrico:
nen
X e e
us,h = NA dA
A=1
nen
X e
= NA (c0 + c1 x1,A + c2 x2,A + c3 x3,A )
A=1
nen
X nen
X nen
X nen
X
e e e e
= c0 NA + c1 NA x1,A + c2 NA x2,A + c3 NA x3,A
A=1 A=1 A=1 A=1
nen
X e
= c0 NA + c1 x1 + c2 x2 + c3 x3
A=1
(cont.)
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Condizione di completezza per elementi isoparametrici
Dal momento che:
nen
X nen
X
e e e
us,h = NA dA = NA (c0 + c1 x1,A + c2 x2,A + c3 x3,A )
A=1 A=1
nen
X e
= c0 NA + c1 x1 + c2 x2 + c3 x3
A=1
la condizione di completezza è soddisfatta se:
nen
X e
NA (ξ, η, ζ) = 1 ∀ (ξ, η, ζ) ∈ 
A=1
cioè se le funzioni di forma costituiscono una partizione dell’unità su .
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Derivate delle funzioni di forma
Per il calcolo degli operatori gradiente discreti – le matrici E e o B e – si rende
necessario determinare le derivate delle funzioni di forma:
e
e ∂NA e e
(∇NA )i = con: NA = NA [ξα (xk )]
∂xi
Usando la regola di derivazione delle funzioni composte:
e e
∂NA ∂NA ∂ξα
=
∂xi ∂ξα ∂xi
o, in notazione matriciale:
e e ∂ξα
∇NA = J T (∇ξ NA ) con: (J )αi =
∂xi
matrice Jacobiana della trasformazione:
ξ = ξ(x)
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Derivate delle funzioni di forma
La trasformazione ξ = ξ(x) non è nota. Tuttavia, è nota la trasformazione
inversa:
x = x(ξ)
che, per ipotesi è invertibile.
Si ha allora:
∂xi
J = F −1 con: (F )iα =
∂ξα
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Elementi quadrangolari a 4 nodi (Q4)
4
X e
x(ξ, η) = NA (ξ, η) xA
A=1
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Elementi quadrangolari a 4 nodi (Q4)
Gli elementi Q4 impiegano funzioni di forma bilineari:
e 1
NA (ξ, η) = (1 − ξA ξ)(1 − ηA η)
4
NOTA: Affinchè questi elementi funzionino correttamente è necessario che:
a) gli angoli interni formati da ciascuna coppia di lati siano < π;
b) l’elemento non sia troppo distorto o caratterizzato da rapporto
lunghezza/larghezza troppo elevato.
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Elementi triangolari a 3 nodi (T3)
Gli elementi T3 possono essere considerati un caso degenere degli elementi Q4,
con 2 nodi coincidenti.
(
1
e 4
[1 − (−1)A ξ](1 − η) per A = 1, 2
NA (ξ, η) = 1
2
(1 − η) per A = 3
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Famiglie di elementi isoparametrici piani
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Valutazione degli integrali sugli elementi
I vettori F int ed F ext e la matrice di rigidezza K, valutati assemblando i
contributi dei singoli elementi, si ottengono mediante la valutazione di integrali
definiti su Be o ∂Bte :
nel jZ ff
F int = A B eT σ  dv
e=1 Be
nel (Z Z )

F ext = A N eT (ρ̂b) dv + N eT t da
e=1 Be ∂Bte
nel jZ ff
K= A B T DB dv
e=1 Be
In generale, tali integrali non possono essere calcolati in forma chiusa. Si ricorre
pertanto a tecniche (approssimate) di integrazione numerica. Tra quelle
disponibili, il metodo di Gauss è quello più largamente utilizzato (miglior
compromesso tra efficienza ed accuratezza).
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Integrazione numerica con metodo di Gauss: 1–d
Assegnata la funzione integranda y = f (ξ) con ξ ∈ [−1, 1], si ha:
Z nGp
1 X
f (ξ) dξ  f (ξ˜i )Wi
−1 i=1
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Posizione dei punti di Gauss e pesi relativi
In 1–d, le formule di Gauss sono “ottimali”, nel senso che con nGp punti di
integrazione di ottiene una accuratezza di ordine 2nGp (i.e., sono integrati
esattamente i polinomi di ordine 2nGp − 1).
Esempio: Integrazione con 1 GP, integrazione esatta per polinomi lineari
Z 1 Z 1
(A + Bξ) dξ = 2A + B ξ dξ = 2A j
−1 −1 ξ˜1 = 0
Z 1

W1 = 2
(A + Bξ) dξ  (A + B ξ˜1 )W1
−1
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Posizione dei punti di Gauss e pesi relativi
Esempio: Integrazione con 2 GP (simmetrici), integrazione esatta per polinomi
cubici Z 1
` ´ 2
A + Bξ + Cξ 2 + Dξ 3 dξ = 2A + C
−1 3
Z 1 ` ´
A + Bξ + Cξ 2 + Dξ 3 dξ
−1
 (A + B ξ˜1 + C ξ˜12 + Dξ˜13 )W1 + (A + B ξ˜1 + C ξ˜12 + Dξ˜13 )W2
Le due espressioni risultano identiche se:
1
ξ˜1 = −ξ˜2 = − √ W1 = W2 = 1
3
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Posizione dei punti di Gauss e pesi relativi
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Integrazione numerica con metodo di Gauss: 2–d e 3–d
L’applicazione del metodo di Gauss in 2 o 3 dimensioni richiede i seguenti
passi:
1) Trasformazione dell’integrale dal dominio fisico Be al dominio di
riferimento :
Z Z „ «
∂xi
f (x) dv = f [x(ξ)] J d J := det(F ) = det
Be  ∂ξα
2) Applicazione del metodo di Gauss all’integrale definito sul dominio di
riferimento:
Z nGp
X
f [x(ξ)] J d  f (ξ i )J(ξ i )Wi
 i=1
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Integrazione numerica con metodo di Gauss: 2–d e 3–d
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Il locking: introduzione
Nell’analisi del comportamento deformativo di mezzi incompressibili o
quasi–incompressibili, non tutti gli elementi forniscono prestazioni
soddisfacenti.
Esempio: reticolo di elementi T3 in deformazione piana
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Il locking:
l ki introduzione
i t d i
Gli elementi T3 sono a deformazione costante. Per soddisfare la condizione di
(quasi)incompressibilità, le aree dei due elementi I e II debbono rimanere
costanti.
Il nodo A non può muoversi lungo la verticale (elemento I) né in direzione
orizzontale (elemento II) → il suo spostamento rimane praticamente nullo.
Tale condizione si propaga a tutti gli elementi ed i nodi del reticolo, che rimane
praticamente indeformato.
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Condizioni che favoriscono il locking
Il locking si verifica quando il numero di condizioni di vincolo imposte dalla
condizione di incompressibilità eguaglia il numero di gradi di libertà di ciascun
elemento al limite per h → 0 (discretizzazione molto fine):
ndof per elemento
RL = ≤1
vincoli per elemento
In condizioni piane, ndof per elemento è pari alla somma degli angoli interni
all’elemento divisa per π.
Il numero di vincoli per elemento dipende dal numero di punti di Gauss
utilizzati per l’integrazione numerica.
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Comportamento di alcuni elementi standard (Sloan & Randolph 1982)
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Eliminazione del locking: integrazione ridotta
Per risolvere il problema del locking si può cercare di ridurre il numero di vincoli
riducendo il numero di punti di Gauss.
Talvolta, questa procedura conduce a patologie differenti ma altrettanto gravi.
Esempio: elemento Q4 con integrazione ad 1 GP, per il quale la matrice di
rigidezza è data da:
Z
Ke =
|{z} |{z} B e dv
D |{z}
B eT |{z} (rango 5)
Be
8×8 8×3 3×3 3×8
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Eliminazione del locking: integrazione ridotta
Se l’integrale è valutato con 1 solo GP, si ha:
n o˛
˛
K e = B eT DB e JW1 ˛ (rango 3)
ξ=0,η=0
La matrice di rigidezza che ne risulta è carente in rango. Ammette 2 modi
spuri di deformazione a zero energia.
Modi a clessidra o “hourglass modes”.
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Eliminazione del locking: integrazione ridotta
Elementi piani ad approssimazione bi–quadratica tipo serendipity ad 8 nodi
(Q8) possono essere utilizzati nelle analisi di problemi di deformazione piana se
integrati con 2 × 2 punti di Gauss (anzichè con la regola standard 3 × 3).
In questo caso l’elemento Q8 ammette 1 modo spurio:
Questo normalmente non crea problemi perchè tale modo è non comunicabile
attraverso il reticolo.
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Proiezione delle deformazioni: elementi tipo B–bar
Una possibile soluzione al problema del locking consiste nel modificare
e e
l’operatore gradiente discreto B e = [B 1e , . . . , B A , . . . , Bn en
], secondo la
procedura seguente (Hughes, 1987).
e
1) Ciascuna sottomatrice B A di B e può essere decomposta additivamente in
una parte dilatazionale ed in una parte deviatorica:
e e,dil e,dev
BA = BA + BA
con:
2 3 2 3
B1 B2 B3 2B1 /3 −B2 /3 −B3 /3
6 B2 7 6 2B2 /3 7
6B1 B3 7 6−B1 /3 −B3 /37
e,dil
6B1
16 B2 7
B3 7 e,dev
6 −B2 /3 7
BA = 6 BA 6−B1 /3 2B3 /3 7
360 0 07 7 =6
B1 7
6 B2 0 7
40 0 05 4 0 B3 B2 5
0 0 0 B3 0 B1
e
e: Bi = ∂NA /∂xi .
(cont.)
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Proiezione delle deformazioni: elementi tipo B–bar
2) Per ottenere una formulazione capace di trattare accuratamente materiali
e,dil e
quasi–incompressibili, la componente B A di B A viene sostituita da una
versione migliorata:
2 3
B1 B2 B3
6 B2 7
6B 1 B37
e,dil 6B 1
16 B2 B377
BA = 6 7
36 0 0 07
40 0 05
0 0 0
(cont.)
Requisiti delle funzioni di forma Elementi triangolari piani Elementi isoparametrici Il problema del “locking”
Proiezione delle deformazioni: elementi tipo B–bar
3) L’operatore gradiente discreto è quindi sostituito dalla matrice B–bar:
e e,dil e,dev
BA = BA + BA
e,dil
4) Le possibili scelte per B A sono diverse. Es.: mean–dilatational
formulation di Nagtegaal, Parks & Rice (1974):
Z
1
Bi = Bi dv
vol(Be ) Be
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
La Teoria della Plasticità per i Terreni – Evidenze Sperimentali
Claudio Tamagnini
Corso di Tecnica delle Fondazioni – AA. 2014/15
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Sommario
Sperimentazione in laboratorio
Evidenze sperimentali: terreni a grana fine
Percorsi di carico con componente isotropa prevalente
Percorsi di carico con componente deviatorica prevalente
Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Percorsi di carico con componente isotropa prevalente
Percorsi di carico con componente deviatorica prevalente
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Descrizione sintetica degli stati di tensione
Nel descrivere sinteticamente le relazioni sforzi–deformazioni osservate
sperimentalmente, è utile fare riferimento ai seguenti invarianti del tensore delle
tensioni:
1 1
p = tr σ = σkk (pressione media)
3 3
 
3 3
q= tr s2 = sij sij (deviatore)
2 2
√ 3
tr s √ sij sjk ski
sin(3θ) = 6 = 6 (angolo di Lode)
(tr s2 )3/2 (sab sab )3/2
dove:
s = σ  − p 1 (parte deviatorica di σ  )
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Descrizione sintetica degli stati di tensione
σ  = p 1 + s
Interpretazione degli invarianti p , q e θ
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Descrizione sintetica degli stati di deformazione
Analogamente, è possibile definire i seguenti invarianti del tensore delle
deformazioni:
v = tr  = kk (def. di volume)
 
2 2
s = tr e2 = eij eij (def. deviatorica)
3 3
√ 3
tr e √ eij ejk eki
sin(3θ ) = 6 = 6 (angolo di Lode)
(tr e2 )3/2 (eab eab )3/2
dove:
1
e=− v 1 (parte deviatorica di )
3
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Invarianti di σ  e  in condizioni assialsimmetriche
Invarianti della tensione:
1  
p = σa + 2σr
3
q = σa − σr
π
θ=±
6
Invarianti della deformazione:
v = (a + 2r )
2
s = (a − r )
3
π
θ = ±
6
Lavoro di deformazione:

dW = σ  · d = σij dij = p dv + qds
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Attrezzature sperimentali: edometro
Utilizzato per prove di compressione monodimensionale:
2 dv 3
dr = 0 dv = da ds = da d= =
3 ds 2
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Attrezzature sperimentali: cella triassiale
Prova di compressione isotropa
p  = σa = σr
q=0
u = u0 = const.
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Attrezzature sperimentali: cella triassiale
Prova di compressione TX–CD
a) compr. isotropa fino a p = pcell − u0
b) incremento di a a σr costante
σr = pcell − u0 = const.
˙a = const.
u = u0 = const.
 
dp = dσa + 2dσr /3 = dσa /3
dq = dσa − dσr = dσa
dq = 3 dp
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Attrezzature sperimentali: cella triassiale
Prova di compressione TX–CU
a) compr. isotropa fino a p = pcell − u0
b) incremento di a ad v = 0
σr = pcell − u = const.
˙a = const.
du = const.
dptot = dσa,tot /3
dq = 3 dptot
dp = dptot − du
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Compressione isotropa di un terreno a grana fine
v = V /Vs (volume specifico) dv = −dv/v
Gli stati C, D ed F appartengono alla linea di compressione vergine, e si definiscono
normalmente consolidati. Gli stati come C’ ed E, che hanno subito uno scarico
tensionale, si definiscono sovraconsolidati.
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Compressione isotropa di un terreno a grana fine
v = N − λ ln (p/pref ) (linea di compressione vergine)
v = v0 − κ ln (p/p0 ) (linea di rigonfiamento)
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Osservazioni
– Il comportamento del terreno è fortemente nonlineare: la rigidezza
aumenta al crescere dello stato tensionale.
– In uno stato vergine, NC, il terreno può subire deformazioni plastiche
anche lungo percorsi di carico che non conducono a rottura (es.,
compressione isotropa).
– Lo stato tensionale corrente non è sufficiente a caratterizzare la risposta
meccanica del materiale: è necessario introdurre una variabile di stato
aggiuntiva (es., v o OCR).
– Tale variabile di stato aggiuntiva quantifica gli effetti della storia dello
stato tensionale.
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Prove TX–CD su terreno a grana fine NC
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Prove TX–CD su terreno NC: effetto di p
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Prove TX–CU su terreno a grana fine NC
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Prove TX su terreno NC
NOTE:
– La legge sforzi–deformazioni è fortemente non lineare anche a livelli di
deformazione modesti (prima della rottura).
– Il comportamento a rottura è di tipo duttile e contraente
(dv > 0 in condizioni drenate; du > 0 in condizioni non drenate).
– La rottura avviene in condizioni di stato critico:
q̇ = 0 ṗ = 0 ˙v = 0 v = const.
– Gli stati critici del terreno appartengono ad un’unica curva detta Linea
dello Stato Critico:
q = M p v = Γ − λ ln p
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Prove TX–CD su terreno a grana fine SC
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Prove TX–CU su terreno a grana fine SC
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Prove TX su terreno SC
NOTE:
– La legge sforzi–deformazioni è approssimativamente lineare solo nel tratto
iniziale che precede la rottura di picco (P).
– Il comportamento a rottura è di tipo fragile e dilatante
(dv < 0 in condizioni drenate; du < 0 in condizioni non drenate).
– La rottura di picco avviene per stati tensionali al di sopra della LSC.
– Gli stati di rottura ultimi tendono asintoticamente alla LSC.
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Superficie limite di stato
Nello spazio delle variabili di stato
(p ,q,v), i percorsi di carico dei
provini NC e gli stati di rottura di
picco dei provini SC definiscono
una superficie limite di stato, che
separa gli stati ammissibili da
quelli impossibili da raggiungere.
Le sezioni a v = const. della SLS
appaiono simili tra loro. Ciò
suggerisce la possibilità di
rappresentare la SLS nel piano
degli invarianti di tensione
mediante una grandezza
dipendente da v.
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Superficie limite di stato
Definizione di pressione equivalente pe :
 
N −v
v = N − λ ln pe ⇒ pe = exp
λ
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Superficie limite di stato
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Superficie limite di stato
– Nel piano normalizzato q/pe : p /pe , la LCV collassa in un unico punto di
coordinate:
   
p q
= 1; =0
pe LCV pe LCV
– La LSC collassa anch’essa in un unico punto di coordinate:
       
p N −Γ q N −Γ
= exp − ; = M exp −
pe LSC λ pe LSC λ
– Gli stati di rottura di picco si allineano lungo una retta di equazione:
q p
=g+h 
pe pe
detta superfice di Hvorslev.
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Osservazioni
– La SLS si espande quando il volume specifico subisce una riduzione
irreversibile.
– La SLS contrae quando il volume specifico subisce un aumento
irreversibile.
– Tale comportamento è giustificato dalla maggiore capacità dello scheletro
solido di sopportare stati di sollecitazioni elevati quando la sua porosità
diminuisce.
– Al crescere dello stato di sovraconsolidazione, il comportamento del
terreno passa da duttile e contraente a fragile e dilatante.
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Prove edometriche su sabbie a diversa Dr
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Osservazioni
– Per i terreni a grana grossa non esiste una relazione univoca tra indice dei
vuoti e pressione media efficace per gli stati vergini NC.
– La densità relativa di un deposito NC dipende generalmente dalla
granulometria del materiale e dalle condizioni dell’ambiente di deposizione.
– La compressibilità dei terreni a grana grossa è generalmente modesta.
Variazioni di volume significative si manifestano a livelli di tensione elevati
per effetto della rottura dei grani.
– Le deformazioni plastiche di volume accumulate in cicli di carico e scarico
a prevalente componente isotropa sono generalmente molto piccole.
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Prove TX–CD su provini a diversa Dr
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Prove TX–CU su provini a diversa Dr
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Effetto della densità relativa sulla resistenza di picco
Def.: angolo di attrito di picco
   
τ σ1 − σ3 3(q/p )p
tan φp := 
sin φp := sin φp :=
σn max σ1 + σ3 max
6 + (q/p )p
(da Bolton, 1986)
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Dilatanza
La variazione della resistenza con la densità relativa può essere associata alla
dilatanza del materiale, tanto maggiore quanto più Dr è elevata.
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Modello di Taylor: deformazione di taglio semplice
Def.: lavoro di deformazione:

dW := σn dn + τ dγ
Hyp.: le deformazioni sono interamente
irreversibili, e dW è esprimibile come:

dW := (μσn ) dγ
Sostituendo, si ricava:
τ

=: tan φm = μ − d
σn
dove:
dn
d := (dilatanza)

Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Modello di Taylor: deformazione assialsimmetrica
Def.: lavoro di deformazione:
dW := p dv + q ds = M p ds
  
Taylor
Dunque:
q
=M −d
p
dove:
dv
d := (dilatanza)
ds
Nelle condizioni di rottura di picco:
 
q
= M − dp > M
p fp
Sperimentazione in laboratorio Evidenze sperimentali: terreni a grana fine Evidenze sperimentali: terreni a grana grossa
Osservazioni
– Per i terreni a grana grossa è possibile definire delle condizioni di stato
critico, per le quali (q/p )c = M ed ec = ec (p ).
– Il comportamento a rottura – sia in condizioni drenate che non drenate – è
fortemente influenzato dalla densità relativa.
– Al crescere di Dr , il comportamento del terreno passa da duttile e
contraente a fragile e dilatante.
– Il modello di Taylor consente di interpretare l’influenza della dilatanza (e
quindi di Dr ) sulla resistenza di picco del materiale.
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
La Teoria della Plasticità per i Terreni
Plasticità Perfetta
Claudio Tamagnini
Corso di Tecnica delle Fondazioni – AA. 2014/15
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Sommario
Ipotesi fondamentali
Equazioni costitutive
Plasticità perfetta per i terreni
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Teoria della plasticità
La teoria matematica della plasticità fornisce un quadro concettuale rigoroso
per la costruzione delle funzioni costitutive D ed H a partire dalle evidenze
sperimentali disponibili.
Le basi teoriche della teoria della plasticità classica risalgono ai lavori
fondamentali di Hill (1950) e Koiter (1960).
Una trattazione moderna ed approfondita della teoria della plasticità è fornita,
ad es., in Lubliner (1990), Simo & Hughes (1997), Simo (1998), Han & Reddy
(1998), Lubarda (2001) ed Houlsby & Puzrin (2006).
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Teoria della plasticità
Per le applicazioni della teoria della plasticità alla Meccanica dei Terreni, è
possibile fare riferimento a, e.g., Sokolovsky (1965), Desai & Siriwardane
(1984), Zienkiewicz et al. (1999), Davis & Selvadurai (2005), Houlsby &
Puzrin (2006).
L’applicazione di concetti fondamentali della teoria della plasticità a problemi di
geomeccanica applicata risale ai lavori di Coulomb (1773) e Rankine (1853)
sulla spinta dei mezzi granulari sulle strutture di sostegno.
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Teoria della plasticità perfetta: motivazioni
Per le verifiche di sicurezza rispetto agli SLU delle opere di ingegneria, la
descrizione completa dell legame sforzi–deformazioni non è generalmente
necessaria.
Per determinare le condizioni di collasso delle opere, è sufficiente definire
accuratamente le condizioni di rottura ultima del materiale (qf ).
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Teoria della plasticità perfetta: motivazioni
L’esperienza indica che le condizioni di rottura ultime di un mezzo granulare
non dipendono dalla storia tensionale – i.e., dalle modificazioni irreversibili che
la microstruttura può aver subito per effetto delle sollecitazioni applicate.
Lo stato del materiale a collasso è dunque descritto in maniera sufficiente dal
tensore delle tensioni di Cauchy σ (⇒ q ∈ ∅).
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Decomposizione cinematica e legame elastico
Ipotesi 1:
I tensori della deformazione e della velocità di deformazione ammettono la
seguente decomposizione additiva in una parte reversibile ed una irreversibile:
 = e + p ˙ = ˙ e + ˙ p
Ipotesi 2:
La variazione del tensore delle tensioni σ è legata alla velocità di deformazione
mediante il seguente legame elastico:
 
1
σ̇ = D e ˙ D e := K 1 ⊗ 1 + 2G I − 1 ⊗ 1
3
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Dominio elastico e superficie di snervamento
Ipotesi 3:
Lo stato tensionale è vincolato ad
appartenere al dominio elastico dello
spazio delle tensioni, definito da:
  

Eσ := σ  f (σ) ≤ 0
dove f : Sym → R è definita funzione
di snervamento.
La superficie di frontiera del dominio
elastico:
  

∂Eσ := σ  f (σ) = 0
è definita superficie di snervamento.
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Legge di flusso
Ipotesi 4:
La velocità di deformazione plastica è fornita dalla seguente legge di flusso:
∂g
˙ p = γ̇ (σ) =: γ̇Q(σ)
∂σ
where g : Sym → R è una funzione scalare detta potenziale plastico, mentre
γ̇ ≥ 0 è definito moltiplicatore plastico.
Il moltiplicatore plastico e la funzione di snervamento devono soddisfare le
seguenti condizioni di complementarità di Kuhn–Tucker:
γ̇ ≥ 0 f (σ) ≤ 0 γ̇f (σ) = 0
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Legge di flusso
Interpretazione geometrica della legge di flusso e della condizione di
complementarità di K–T:
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Conseguenze del principio di indifferenza dal riferimento
Il principio di indifferenza dal riferimento (Material Frame Indifference, MFI)
richiede che:
f (QσQT ) = Qf (σ)QT = f (σ) ∀Q ∈ O
g(QσQT ) = Qg(σ)QT = g(σ) ∀Q ∈ O
Ciò significa che le funzioni f e g devono essere funzioni isotrope dello stato
tensionale.
Conseguenza:
f (σ) = fˆ(p, q, θ) = f˜(σ1 , σ2 , σ3 )
g(σ) = ĝ(p, q, θ) = g̃(σ1 , σ2 , σ3 )
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Conseguenze del principio di indifferenza dal riferimento
Sfruttando il teorema di derivazione delle tensioni composte, si ha:
∂f ∂f ∂p ∂f ∂q ∂f ∂θ
P = = + +
∂σ ∂p ∂σ ∂q ∂σ ∂θ ∂σ
∂g ∂g ∂p ∂g ∂q ∂g ∂θ
Q= = + +
∂σ ∂p ∂σ ∂q ∂σ ∂θ ∂σ
I termini in rosso dipendono esclusivamente dalla scelta delle funzioni f e g (e
dunque dal particolare modello utilizzato). I termini in blu dipendono solo dalla
definizione degli invarianti e sono indipendenti dal modello.
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Condizione di consistenza di Prager
Le condizioni di complementarità di K–T non sono sufficienti per determinare
se un dato percorso di sollecitazione produrrà deformazioni plastiche.
Condizione di consistenza di Prager.
In un processo plastico, lo stato tensionale deve rimanere sulla superficie di
snervamento.
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Condizione di consistenza di Prager
In termini matematici, la condizione di consistenza richiede che, per un
processo plastico:
∂f
f˙ = · σ̇ = P · D e (˙ − ˙ p ) = 0
∂σ
Introducendo la legge di flusso per ˙ p si ottiene:
(P · D e Q) γ̇ = P · D e ˙
Risolvendo per γ̇ si ottiene:
1
γ̇ = P · D e ˙ Kp := P · D e Q > 0
Kp
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Condizioni di carico/scarico
Il moltiplicatore plastico non può essere negativo. Pertanto, dalla espressione
precedente è possibile distinguere 3 possibili casi:
⎧ e
⎪ P · D ˙ > 0 ⇒ plastic loading process, γ̇ > 0



P · D e ˙ = 0 ⇒ neutral loading process, γ̇ = 0




P · D e ˙ < 0 ⇒ elastic unloading, γ̇ = 0
Dunque:
1
γ̇ = ˙
P · D e 
Kp
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Interpretazione grafica
Sia:
1
σ̇ tr = D e ˙ (trial stress rate) ⇒ γ̇ = P · σ̇ tr
Kp
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Equazioni costitutive in forma incrementale
Sostituendo l’espressione cosı̀ ottenuta per γ̇ nella legge di flusso, dal legame
elastico si ottiene: 
1
σ̇ = D e ˙ − ˙ Q
(P · D e )
Kp
Riarrangiando i termini, si ha:

1
σ̇ = De − (D e Q) ⊗ (P D e ) ˙ (γ̇ > 0, processo plastico)
Kp
σ̇ = D e ˙ (γ̇ ≤ 0, processo elastico)
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Rigidezza elastoplastica tangente
Equazione costitutiva in forma incrementale:
σ̇ = D ep (σ, dir )
˙ ˙
Il tensore del 4◦ ordine:

H 1 se P · D e ˙ > 0
D ep = D e − (D e Q) ⊗ (P D e ) H=
Kp 0 altrimenti

e
ep e H e e 1 se Pij Dijkl ˙kl > 0
Dijkl = Dijkl − Dijab Qab Pcd Dcdkl H=
Kp 0 altrimenti
è detto tensore di rigidezza elastoplastica tangente.
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Modello di Huber–Hencky–von Mises
Modello EP perfetto utilizzato per la
modellazione del comportamento dei
terreni a grana fine in condizioni non
drenate, in termini di tensioni totali.
Funzione di snervamento:
f (q) = q 2 − k2 = 0
Potenziale plastico:
g (q) = q 2 − k2 = 0
(legge di flusso associata).
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Modello di Mohr–Coulomb
Modello EP perfetto utilizzato per la
modellazione del comportamento dei terreni in
termini di tensioni efficaci.
Funzione di snervamento:
f (τ, σn ) = τ − c − σn tan φ = 0
f (σ1 , σ3 ) = (σ1 − σ3 ) − 2c cos φ−
(σ1 + σ3 ) sin φ = 0
Potenziale plastico:
g(τ, σn ) = τ − cg − σn tan ψ = 0
g(σ1 , σ3 ) = (σ1 − σ3 ) − 2cg cos ψ−
(σ1 + σ3 ) sin ψ = 0
(legge di flusso associata se ψ = φ).
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Angolo di dilatanza (deformazione di taglio semplice)
∂g ∂g ˙vp
˙vp = γ̇ = −γ̇ tan ψ γ̇ p = γ̇ = γ̇ dp := = − tan ψ
∂σn ∂τ γ̇ p
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Modello di Drucker–Prager (a 3 invarianti)
Modello equivalente al modello di MC, ma con
superficie regolare sul piano deviatorico e
dipendenza dal 3◦ invariante.
Funzione di snervamento:
f (p, q, θ) = q − M (θ)(p + pt ) = 0
Potenziale plastico:
f (p, q, θ) = q − N (θ)(p + pg ) = 0
(legge di flusso associata se N = M ).
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Commenti
I modelli elastoplastici perfetti forniscono una rappresentazione piuttosto
grossolana del comportamento meccanico dei terreni in condizioni lontane dalla
rottura ultima.
Tuttavia, essi sono ancora tra i modelli maggiormente utilizzati nelle analisi agli
EF di problemi geotecnici, particolarmente in situazioni nelle quali la
caratterizzazione geotecnica del sottosuolo è problematica
(es., scavo di gallerie profonde).
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Commenti
I parametri di resistenza del modello MC sono facilmente determinabili
mediante prove di laboratorio (TX–CD,TX–CU,TD).
La scelta appropriata dei valori di c e φ richiede attenzione nel caso di terreni a
comportamento fragile.
Ipotesi fondamentali Equazioni costitutive Plasticità perfetta per i terreni
Commenti
Disponendo dei parametri di resistenza del modello MC, è possibile determinare
le costanti pt , Mc = M (π/6) ed Me = M (−π/6) del modello di
Drucker–Prager mediante le seguenti relazioni (semplici da dimostrare!):
6 sin φ 6 sin φ
pt = c cot φ Mc = Me =
3 − sin φ 3 + sin φ
Dalle precedenti relazioni, appare chiaro che se φ = const. per qualunque
percorso di carico che porta il terreno a rottura, il valore di M in compressione
è maggiore di quello in estensione:
Mc > M e
Utilizzare un valore di M costante porta ad avere un angolo di attrito in
estensione molto maggiore di quello in compressione (tipicamente non
realistico!).
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
La Teoria della Plasticità per i Terreni
Plasticità ad Incrudimento Isotropo
Claudio Tamagnini
Corso di Tecnica delle Fondazioni – AA. 2014/15
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Sommario
Introduzione
Plasticità incrudente
Equazioni costitutive
Cam–Clay Modificato
Esempi di applicazione
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Limitazioni della teoria della plasticità perfetta
La teoria della plasticità perfetta è uno strumento molto utile per la descrizione
delle condizioni di rottura dei terreni, ma presenta numerose limitazioni se
applicato all’analisi deformativa dei sistemi geotecnici in condizioni lontane
dagli SLU.
In particolare, le evidenze sperimentali mostrano che:
– Fenomeni di snervamento (accumulo di deformazioni plastiche) possono
manifestarsi prima del raggiungimento delle condizioni di collasso, ed
addirittura in percorsi di compressione isotropa.
– Il dominio elastico dei terreni a grana fine varia di dimensione per effetto
delle variazioni irreversibili della porosità (deformazioni di volume
plastiche).
– Il comportamento del terreno è influenzato dalla storia dello stato
tensionale (transizione fragile/duttile e dilatante/contraente).
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Limitazioni della teoria della plasticità perfetta
Esempi di snervamento in condizioni lontane dalla rottura:
Prova di compressione ISO Prova di compressione TX–CD
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Limitazioni della teoria della plasticità perfetta
La SLS dei terreni a grana fine può
essere identificata con il dominio
elastico del materiale.
La SLS si espande per Δvp > 0.
La SLS contrae per Δvp < 0.
La SLS rimane stazionaria (stato
critico) quando Δvp = 0.
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Il cambio di paradigma: la teoria della plasticità incrudente
Sulla base delle evidenze sperimentali ottenute da un gran numero di prove di
laboratorio condotte a Cambridge negli anni 60 su terreni argillosi, Kennet
Roscoe ed il suo gruppo di ricerca hanno messo a punto quella che oggi è
conosciuta come Meccanica dello Stato Critico (CSSM).
L’elemento fondamentale della CSSM consiste nel considerare il terreno come
un mezzo elastoplastico incrudente, caratterizzato da incrudimento isotropo e
volumetrico.
L’applicazione dei concetti della teoria della plasticità incrudente alla
modellazione costitutiva dei terreni segna la transizione tra la Meccanica dei
Terreni classica e moderna. Citando Roberto Nova (1990), tale passaggio può
essere considerato un cambio di paradigma nella disciplina.
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Decomposizione cinematica e legame elastico
Ipotesi 1:
I tensori della deformazione e della velocità di deformazione ammettono la
seguente decomposizione additiva in una parte reversibile ed una irreversibile:
 = e + p ˙ = ˙ e + ˙ p
Ipotesi 2:
La variazione del tensore delle tensioni σ è legata alla velocità di deformazione
mediante il seguente legame (ipo)elastico:
 
1
σ̇ = D e ˙ D e := K(p) 1 ⊗ 1 + 2G(p) I − 1 ⊗ 1
3
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Dominio elastico e superficie di snervamento
Ipotesi 3:
Lo stato tensionale è vincolato ad
appartenere al dominio elastico dello
spazio delle tensioni, definito da:
  

Eσ := (σ, q)  f (σ, q) ≤ 0
dove f : Sym × Rn → R è definita
funzione di snervamento.
La superficie di frontiera del dominio
elastico:
  

∂Eσ := (σ, q)  f (σ, q) = 0
è definita superficie di snervamento.
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Legge di flusso
Ipotesi 4:
La velocità di deformazione plastica è fornita dalla seguente legge di flusso:
∂g
˙ p = γ̇ (σ, q) =: γ̇Q(σ, q)
∂σ
where g : Sym × Rn → R è una funzione scalare detta potenziale plastico,
mentre γ̇ ≥ 0 è definito moltiplicatore plastico.
Il moltiplicatore plastico e la funzione di snervamento devono soddisfare le
seguenti condizioni di complementarità di Kuhn–Tucker:
γ̇ ≥ 0 f (σ, q) ≤ 0 γ̇f (σ, q) = 0
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Legge di incrudimento
Ipotesi 5:
La legge di evoluzione delle variabili interne raccolte nel vettore q assume la
forma seguente (legge di incrudimento):
q̇ = γ̇ h (σ, q)
dove h : Sym × Rn → Rn è detta funzione di incrudimento.
Il fatto che la variazione delle variabili interne q dipenda linearmente da γ̇
garantisce che q si modifichi solo in presenza di deformazioni plastiche.
Ciò è ragionevole in quanto le deformazioni plastiche sono la manifestazione
macroscopica delle modifiche irreversibili prodotte nella microstruttura dalle
sollecitazioni applicate.
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Legge di incrudimento: osservazioni
Per effetto del processo di incrudimento, la superficie di snervamento può
modificarsi in termini di dimensioni, forma e posizione nello spazio delle
tensioni.
Incrudimento isotropo
Le variabili interne sono tutte scalari.
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Legge di incrudimento: osservazioni
Incrudimento cinematico
Almeno una delle variabili interne (α) ha un carattere tensoriale
(“back–stress”), con direzioni principali che individuano i piani di simmetria
della microstruttura.
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Condizione di consistenza di Prager
Le condizioni di complementarità di K–T non sono sufficienti per determinare
se un dato percorso di sollecitazione produrrà deformazioni plastiche.
Condizione di consistenza di Prager.
In un processo plastico, lo stato tensionale deve rimanere sulla superficie di
snervamento.
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Condizione di consistenza di Prager
In termini matematici, la condizione di consistenza richiede che, per un
processo plastico:
∂f ∂f ∂f
f˙ = · σ̇ + · q̇ = P · D e (˙ − ˙ p ) + γ̇ ·h=0
∂σ ∂q ∂q
Introducendo la legge di flusso per ˙ p si ottiene:
 
∂f
P · De Q − ·h
γ̇ = P · D e ˙
∂q
Risolvendo per γ̇ si ottiene:
1 ∂f
γ̇ = P · D e ˙ Kp := P · D e Q − ·h>0
Kp ∂q
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Modulo plastico
La grandezza scalare:
∂f
Hp := − ·h
∂q
è definita modulo plastico.
– Se Hp > 0 il materiale ha un comportamento incrudente
(Eσ si espande).
– Se Hp < 0 il materiale ha un comportamento rammollente
(Eσ subisce una contrazione).
– Se Hp = 0, il materiale si trova in una condizione di plasticità perfetta
(Eσ rimane stazionario).
Limite al rammollimento ammissibile:
Kp > 0 ⇒ Hp > −P · D e Q
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Condizioni di carico/scarico
Il moltiplicatore plastico non può essere negativo. Pertanto, dalla espressione
precedente è possibile distinguere 3 possibili casi:
⎧ e

⎪ P · D ˙ > 0 ⇒ plastic loading process, γ̇ > 0


P · D e ˙ = 0 ⇒ neutral loading process, γ̇ = 0




P · D e ˙ < 0 ⇒ elastic unloading, γ̇ = 0
Dunque:
1
γ̇ = ˙
P · D e 
Kp
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Equazioni costitutive in forma incrementale
Sostituendo l’espressione cosı̀ ottenuta per γ̇ nella legge di flusso, dal legame
elastico si ottiene:
1
σ̇ = D e ˙ − ˙ Q
(P · D e )
Kp
Riarrangiando i termini, si ha:

1
σ̇ = De −(D e Q) ⊗ (P D e ) ˙ (γ̇ > 0, processo plastico)
Kp
σ̇ = D e ˙ (γ̇ ≤ 0, processo elastico)
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Applicazione della plasticità incrudente alla CSSM
I concetti fondamentali della teoria della plasticità incrudente (isotropa)
possono essere applicati alla CSSM, purchè:
– si adotti un legame elastico non lineare (l’esperienza mostra che K e G
sono proporzionali a p);
– la superficie di snervamento sia chiusa sull’asse p (per descrivere i processi
di snervamento in compressione isotropa);
– la direzione del flusso plastico vari con lo stato tensionale e la storia di
carico;
– La dimensione della superficie di snervamento vari con la deformazione di
volume plastica (per riprodurre la condizione di stato critico);
Il modello di Cam–Clay Modificato (Roscoe & Burland, 1968) rappresenta il
modello elastoplastico incrudente maggiormente diffuso tra quelli sviluppati a
partire da tali concetti.
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Legame elastico
Linea di rigonfiamento:
 
p
v = v0 − κ ln
p0 Considerando che, per un processo elastico:

˙ve = ˙v  −
v0
e differenziando la legge di compressibilità
elastica, si ottiene:
v p
0
ṗ = ˙ve
κ
Nel modello MCC si assume dunque:
v0 p 3(1 − 2ν v0 p
K(p) = G(p) =
κ 2(1 + ν) κ
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Superficie di snervamento e potenziale plastico
 2
q
f (p, q, θ, pc ) = g(p, q, θ, pc ) = p(p − pc ) +
M (θ)
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Legge di incrudimento per pc
– Linea di compressione vergine:
pc
v = v0 − λ ln
pc0
– Linea di rigonfiamento
pc
v = v0 − κ ln
pc0
– Per il ciclo AA’:
λ ṗc
˙v =
v0 p c
κ ṗc
˙ve =
v0 p c
(cont.)
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Legge di incrudimento per pc
– Per il ciclo AA’:
λ ṗc
˙v =
v0 p c
κ ṗc
˙ve =
v0 p c
Sottraendo le due espressioni si
ottiene:
(λ − κ) ṗc
˙vp =
v0 pc
v0 p c p
⇒ ṗc = ˙
(λ − κ) v
v0 pc ∂f
= γ̇
(λ − κ) ∂p
(cont.)
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Legge di incrudimento per pc
– Legge di incrudimento per pc :
ṗc = γ̇ hc (p, q, θ, pc )
– Confrontando quest’ultima con la
precedente espressione per ṗc si
ottiene infine:
v0 pc ∂f
hc =
(λ − κ) ∂p
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Modulo plastico
∂f v0
Hp = − hc = ppc (2p − pc )
∂pc (λ − κ)
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Compressione edometrica a partire da uno stato vergine
 
 
 
 
  

  

 
     
     



 
 
 

 
 

 
      
     


Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Prove TX–CD su terreno NC
250 250
200 200
150 150
100 100
50 50

deviator stress q [kPa]


deviator stress q [kPa]
0 0
0 0.1 0.2 0 100 200 300
deviatoric strain  mean stress p [kPa]
s
0.2 1.5
0.15
0.1 1

void ratio e
0.05

volumetric strain v
0 0.5
0 0.1 0.2 0 100 200 300
deviatoric strain  mean stress p [kPa]
s
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Prove TX–CD su terreno SC
 
 
 
 
 
  

  

 
      
      


 

 
  


  

 
      
      


Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Prove TX–CU su terreno NC
 
 
 
 


 


 

 
     

 
 
 


 



 

 



  



 
     

 
 
 

Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Prove TX–CU su terreno SC
 
 
 
 

 


 

 
     

 
 
 


 



 
 



  


 
     

 
 
 

Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Prove TX–CD e TX–CU su terreno NC
 
 
 
 


 


 

 
     

 
 
 


 



 

 



  



 
     

 
 
 

Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Prove TX–CD e TX–CU su terreno SC
 
 
 
 

 


 

 
     

 
 
 


 



 
 



  


 
     

 
 
 

Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Determinazione delle costanti λ e κ
Dai risultati di prove di compressione edometrica:
λ = 0.434 Cc κ
0.434 Cs
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
Determinazione della costante M
Dai risultati di 3 prove TX–CD o TX–CU su provini NC (o debolmente SC), a
diversi valori della pressione di cella
qc 6 sin φ
M= M=
pc 3 − sin φ
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
MCC: considerazioni conclusive
I modelli di stato critico, ed il modello di Cam–Clay Modificato sono capaci di
riprodurre qualitativamente ed in molti casi quantitativamente i seguenti
aspetti del comportamento di terreni a grana fine:
– Irreversibilità
– Dipendenza dallo stato tensionale e dalla sua storia
– Transizione della risposta volumetrica da contraente a dilatante
– Transizione del comportamento a rottura da duttile a fragile
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
MCC: considerazioni conclusive
Principali vantaggi:
– Struttura matematica delle equazioni costitutive relativamente semplice
– Numero limitato di costanti del materiale, facilmente determinabili da
prove di laboratorio convenzionali
– Numero limitato di variabili interne (1), a carattere scalare: agevole
definizione delle condizioni iniziali, a partire da misure di OCR.
Introduzione Plasticità incrudente Equazioni costitutive Cam–Clay Modificato Esempi di applicazione
MCC: considerazioni conclusive
Limitazioni:
– Anisotropia, intrinseca o indotta, del materiale
– Viscosità propria dello scheletro solido
– Comportamento isteretico sotto carichi ciclici e plasticizzazione diffusa
all’interno della SLS.
– Cementazione e bonding dovuto a processi diagenetici.
Tali caratteristiche del comportamento dei terreni naturali sono state
incorporate in versioni più recenti della formulazione classica del modello MCC,
mediante approcci di tipo gerarchico.
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Il Metodo degli Elementi Finiti per i Problemi Nonlineari in
Meccanica dei Solidi
Claudio Tamagnini
Corso di Tecnica delle Fondazioni – AA. 2014/15
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Sommario
Introduzione
Analisi incrementale
Approccio incrementale esplicito
Approccio incrementale/iterativo
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Generalità
Se il comportamento del materiale è non lineare, F int è una funzione non
lineare degli spostamenti nodali d:

F int (d) = B T σ dv σ = σ̂(h ) σ̇ = D ep ˙
B
L’equazione di equilibrio discreta:
F int (d) − F ext = 0
rappresenta un sistema di ndof equazioni algebriche nonlineari in ndof incognite.
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Generalità
F int (d) − F ext = 0
Un sistema di 100, 10.000 o 1.000.000 equazioni lineari (ben posto) ammette
una sola soluzione. Le cose cambiano radicalmente in campo non lineare. Ad
es., un sistema di 1000 equazioni cubiche possiede circa 1.0e300 soluzioni nel
piano complesso!
Nel caso della equazione di equilibrio discreto, quale(i) soluzione(i) ha(nno)
significato fisico? E come è possibile ottenerla(e) numericamente?
Tale difficoltà viene superata introducendo il concetto di analisi incrementale.
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Analisi incrementale
La storia temporale dei carichi applicati è discretizzata introducendo una
opportuna suddivisione in incrementi nella scala dei tempi.
In questo modo è possibile trasformare un problema non lineare in una
sequenza di problemi lineari.
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Equazioni di equilibrio incrementali
Imponendo le condizioni di equilibrio in due generiche stazioni temporali
consecutive, tn e tn+1 , si ha:
ext

Rn := F int (dn ) − F n =0 int ext
ext
⇒ ΔF n+1 − ΔF n+1 =0
Rn+1 := F int (dn+1 ) − F n+1 =0
dove:

int
ΔF n+1 := B T Δσ n+1 dv
B 
ext
ΔF n+1 := N T Δbn+1 dv + N T Δtn+1 da
B St
 tn+1
1
Δσ n+1 = D ep (σ, q)Δn+1 dt
Δtn+1 tn
Δn+1 = B(dn+1 − dn )
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Risoluzione delle equazioni di equilibrio incrementali
Supponendo di conoscere lo stato del sistema all’istante t = tn :
 
Λn := dn n σ n q n
il problema computazionale da risolvere consiste nell’aggiornare le variabili di
stato all’istante successivo, tn+1 :
 
Λn+1 := dn+1 n+1 σ n+1 q n+1
determinando l’incremento del vettore spostamento Δdn+1 attraverso la
risoluzione delle equazioni di equilibrio incrementale:
int ext
ΔF n+1 (dn+1 ) − ΔF n+1 =0
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Metodo incrementale esplicito
Si consideri l’equazione di equilibrio incrementale:

int ext int
ΔF n+1 (dn+1 ) − ΔF n+1 =0 ΔF n+1 := B T Δσ n+1 dv
B
Nel calcolare l’incremento di tensione Δσ n+1 , l’equazione costitutiva è
integrata in forma esplicita (algoritmo di Eulero in avanti):
 tn+1
1
Δσ n+1 = D ep (σ, q)Δn+1 dt
Δtn+1 tn
 tn+1
1
 D ep (σ n , q n )Δn+1 dt
Δtn+1 tn
ep
= D ep (σ n , q n )Δn+1 = D n BΔdn+1
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Metodo incrementale esplicito
Sostituendo quest’ultimo risultato nell’espressione del vettore delle forze
interne, si ha:

int
ΔF n+1 = B T D ep B Δd
n n+1 dv
B
 
ep
= B T Dn B dv Δdn+1
B
= K n Δdn+1
dove: 
ep
K n := B T Dn B dv
B
è la matrice di rigidezza tangente del sistema discreto, valutata a t = tn .
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Metodo incrementale esplicito
L’equazione di equilibrio discreta si riduce al problema lineare:
ext ext
K n Δdn+1 − ΔF n+1 =0 ⇒ Δdn+1 = (K n )−1 ΔF n+1
Noto l’incremento degli spostamenti nodali, si ha:
dn+1 = dn + Δdn+1
n+1 = n + BΔdn+1
ep
σ n+1 = σ n + D n BΔdn+1
NOTE:
• Il metodo si definisce esplicito perché la soluzione può essere determinata
direttamente a partire da quantità note, definite all’inizio dell’incremento.
• Il metodo incrementale esplicito è senza dubbio il metodo di risoluzione
più semplice da implementare.
• Presenta numerosi inconvenienti, in termini di stabilità (condizionata) ed
accuratezza.
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Metodo incrementale esplicito: inconvenienti
A livello globale:
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Metodo incrementale esplicito: inconvenienti
A livello globale:
Il residuo è sempre > 0. L’errore tende ad aumentare al crescere della
dimensione degli incrementi. Per ovviare a tale inconveniente, è necessario
introdurre qualche procedura di tipo iterativo.
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Metodo incrementale esplicito: inconvenienti
A livello globale:
L’entità dell’errore diminuisce al tendere a zero dell’incremento;
nella pratica, livelli di accuratezza accettabili si ottengono solo con incrementi
molto piccoli.
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Metodo incrementale esplicito: inconvenienti
A livello locale (modello di Mohr–Coulomb, percorso di compressione TX a
tensione di confinamento costante):
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Metodo incrementale esplicito: inconvenienti
A livello locale (modello di Mohr–Coulomb, percorso di compressione TX a
tensione di confinamento costante):
La condizione di consistenza può essere violata. Il punto rappresentativo dello
stato tensionale ottenuto mediante integrazione numerica può trovarsi
all’esterno del dominio di snervamento.
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Metodo incrementale esplicito: inconvenienti
A livello locale (modello di Mohr–Coulomb, percorso di compressione TX a
tensione di confinamento costante):
Questo inconveniente può essere eliminato ricorrendo ad algoritmi di
integrazione impliciti, nei quali la condizione di consistenza è imposta a priori.
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Il metodo di Newton–Raphson
Si consideri nuovamente l’equazione di equilibrio discreta:
ext
R(dn+1 ) := F n+1 − F int (dn+1 ) = 0
Il sistema di ndof equazioni algebriche non lineari nelle incognite dα,n+1
(α = 1, 2, . . . , ndof ) può essere risolto con il metodo di Newton–Raphson.
(k)
Si supponga di conoscere una prima approssimazione dn+1 della soluzione (alla
(k+1)
iterazione k). Una soluzione più accurata (dn+1 ) può essere determinata
imponendo che:
 (k)
(k+1) (k) ∂R (k)
R(dn+1 )  Rn+1 + δdn+1 = 0
∂d n+1
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Il metodo di Newton–Raphson
Si ha:
 (k)
(k) ∂R (k)
0 = Rn+1 + δdn+1
∂d n+1
 (k)
(k) ∂F int (k)
= Rn+1 − δdn+1
∂d n+1
(k) (k) (k)
= Rn+1 − (K)n+1 δdn+1
dove:
 (k)   (k)
(k) ∂F int ∂ σ̂
(K)n+1 := = BT B dv
∂d n+1 B ∂ n+1
Il termine tra parentesi tonde nell’integrale è la matrice di rigidezza consistente
del sistema, ottenuta derivando rispetto ad n+1 il risultato fornito
dall’algoritmo di integrazione dell’equazione costitutiva.
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Il metodo di Newton–Raphson
Risolvendo l’equazione lineare:
(k) (k) (k)
Rn+1 − (K)n+1 δdn+1 = 0
(k)
rispetto alla incognita δdn+1 si ha:

−1
(k) (k) (k)
δdn+1 = (K)n+1 Rn+1
Il vettore degli spostamenti nodali è quindi aggiornato:
(k+1) (k) (k)
dn+1 = dn+1 + δdn+1
e l’equazione di equilibrio verificata per controllare se il processo è giunto a
convergenza.
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Il metodo di Newton–Raphson
1. Inizializzazione:
(0)
k = 0; dn+1 = dn
2. Risoluzione problema lineare:

−1
(k) (k) (k)
δdn+1 = (K)n+1 Rn+1
3. Aggiornamento vettore delle incognite:
(k+1) (k) (k)
dn+1 = dn+1 + δdn+1
4. Aggiornamento contatore delle iterazioni:
k ←k+1
5. Verifica convergenza:

yes : exit
(k+1) (k)
Rn+1 < ε Rn+1
no : go to (2)
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Il metodo di Newton–Raphson
Interpretazione grafica (1d):
• La procedura richiede il calcolo della matrice di rigidezza consistente
(molto oneroso dal punto di vista computazionale) per ciascuna iterazione.
• L’algoritmo ha un tasso di convergenza quadratico:

(k) (k+1) (k) 2
e(k) := dn+1 − un+1 e ≤ c e
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Il metodo di Newton–Raphson Modificato
Una alternativa al metodo di NR classico è rappresentata dal Metodo di
Newton–Raphson Modificato:
1. Inizializzazione:
(0)
k = 0; dn+1 = dn
2. Risoluzione problema lineare:

(k) (k)
δdn+1 = {K e }−1 Rn+1 Ke = B T D e B dv
B
3. Aggiornamento vettore delle incognite:
(k+1) (k) (k)
dn+1 = dn+1 + δdn+1
4. Aggiornamento contatore delle iterazioni:
k ←k+1
5. Verifica convergenza:

yes : exit
(k+1) (k)
Rn+1 < ε Rn+1
no : go to (2)
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Il metodo di Newton–Raphson Modificato
Interpretazione grafica (1d):
• La procedura richiede il calcolo della matrice di rigidezza elastica, costante
per ciascuna iterazione.
• L’algoritmo ha un tasso di convergenza lineare:

(k) (k+1) (k) 1
e(k) := dn+1 − un+1 e ≤ c e
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Il metodo di Newton–Raphson Modificato con sovrarilassamento
La velocità di convergenza del metodo di NRM può essere incrementata
ricorrendo ad una semplice tecnica di sovrarilassamento:
1. Inizializzazione:
(0)
k = 0; dn+1 = dn
2. Risoluzione problema lineare:
 
(k) (k)
δdn+1 = {K e }−1 αRn+1 α = const. > 1
3. Aggiornamento vettore delle incognite:
(k+1) (k) (k)
dn+1 = dn+1 + δdn+1
4. Aggiornamento contatore delle iterazioni:
k ←k+1
5. Verifica convergenza:

yes : exit
(k+1) (k)
Rn+1 < ε Rn+1
no : go to (2)
Introduzione Analisi incrementale Approccio incrementale esplicito Approccio incrementale/iterativo
Il metodo di Newton–Raphson Modificato con sovrarilassamento
Interpretazione grafica (1d):
a+b
α= (tipicamente, α ∈ [1.2, 1.5])
a

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