Sie sind auf Seite 1von 34

134.

La frequenza di un allele in una popolazione è il rapporto tra il numero di copie di tale allele
nella popolazione ed il numero totale di alleli. Per esempio nel semplice caso di una patologia auto-
somica recessiva per cui esistano gli alleli A ed a, una frequenza del 6% dell’allele a significa che
ogni 100 alleli A ed a, 6 sono del tipo non dominante, a.
Nel caso che la popolazione sia in equilibrio, il numero di alleli di ognuno dei due tipi è costante ed
alla popolazione stessa può essere applicata la legge di Hardy – Weinberg.
Tale legge è applicabile per popolazioni molto numerose in condizioni di panmissia, e cioè per
accoppiamenti casuali, e con il tasso di mutazione compensato da quello di retromutazione.
Supponendo che le frequenze dell’allele A e di quello a siano, rispettivaamente, p e q, dalle leggi
della probabilità si ricava immediatamente che la frequenza degli omozigoti nell’allele dominante,
AA, nella popolazione sarà p ∙ p = p2, quella degli omozigoti nell’allele recessivo, aa, sarà q ∙ q =
q2, mentre quella degli eterozigoti, Aa, sarà p ∙ q + q ∙ p = 2pq (si ha un eterozigote se un allele A
“incontra” un allele a e se un allele a incontra un allele A. Quindi, se si determina sperimentalmente
la frequenza degli omozigoti recessivi, q2, che nel caso esemplificato di una patologia recessiva sa-
ranno riconoscibili perchè affetti, sarà q = �𝒒𝟐 e, siccome deve essere p + q = 1, si può ricavare la
percentuale degli omozigoti dominanti, 1 – q, e quella degli eterozigoti, 2pq.
Quindi, se la percentuale di affetti in una popolazione è, per esempio, dello 0,81 %, sarà q2 =
0,0081, e la frequenza dell’allele q sarà q = = √0,0081 = 0,09 da cui le frequenze degli omozigoti
dominanti e dei portatori sani saranno p = 1 – 0,09 = 0,91 e 2 pq = 2 ∙ 0,09 ∙ 0,91 = 0,1638 (difatti
0,092+ 0,912 + 0,1638 = 1).
Nel caso di geni legati al sesso, va notato che i maschi non sono eterozigoti, in quanto in emizigosi
per tutti, praticamente, i geni legati al cromosoma X. Quindi mentre la legge su vista è valida per le
femmine, per i maschi la frequenza allelica e quella genotipica coincidono.
Se in una popolazione 1 maschio su 10000 è emofiliaco, allora l’allele dell’emofilia nella popola-
zione maschile avrà una frequenza di 1 su 10000 e, dato che tale allele avrà la stessa frequenza nella
popolazione femminile, la frequenza di femmine affette sarà (10 – 4 )2 = 10 - 8 = 1 su 100 milioni.
135. Il modello poligenico si basa sull’ipotesi che l’eredità e l’espressione di un fenotipo possano
dipendere dagli effetti addittivi di più geni (non allelici), nessuno dei quali è dominante o recessivo.
Esistono fenotipi (circonferenza cranica, colore della pelle, Q.I., peso corporeo, pressione sangui-
gna, statura...) che sono distribuiti nella popolazione in modo “normale” e cioè secondo una curva
gaussiana: si può dimostrare che essi sono dovuti ad un’eredità poligenica.
Ere geologiche I fossili La comparsa della vita: dal brodo primordiale alla prima cellula Teorie evoluzionistiche Teorie
fissiste La teoria dell’evoluzione di Lamarck e di Darwin L’ambiente e la selezione naturale L’origine di nuove specie
Il concetto di specie i principi della tassonomia
136. Tutta una serie di evidenze dirette ed indirette consentono di costruire un quadro dello sviluppo
della vita sulla terra (in cui i dati precedenti ad 1 miliardo di anni fa sono speculativi).
La più importante fonte di dati è il reperimento di fossili di organismi, formatasi quando la carcassa
degli stessi è stata sottratta all’azione degli agenti atmosferici e dei bioriduttori, rimanendo per e-
sempio intrappolata nel fango, per un tempo sufficiente a lasciare la propria impronta che, riempita
di sali minerali portati dall’acqua, ha formato un calco del corpo, o di parte del corpo.
I fossili possono poi essere datati determinando in essi il tasso di isotopi radiattivi, di tempo di di-
mezzamento noto, oppure stabilendo in quale strato di roccia sedimentaria si trovino: i metodi della
paleontologia consentono infatti di stabilire a quale era geologica appartenga ogni dato strato.
Non è possibile dire come si sia originata la vita sulla terra, anche se un’ipotesi plausibile, avvalora-
ta dall’esperimento di Miller, è che nell’atmosfera primordiale di NH3, CH4 ed H2O le scariche elet-
triche e/o l’energia dei raggi ultravioletti, non ancora schermati dall’ozonosfera che non si era anco-
ra formata, avrebbe dato origine alle molecole di base della vita quali amminoacidi, monosi e basi
azotate. Queste molecole, sciogliendosi ad elevate concentrazioni nelle pozze d’acqua ad elevata
temperatura allora presenti, avrebbero consentito la formazione di biomolecole ancora più comples-
se.
Era Periodo di anni fa eventi
Prezoico 4,6 miliardi formazione della terra

3,6 “ procarioti, i primi sono chemoautotrofi

3,4 “ cellule fotosintetiche, ciano batteri e comparsa dell’os-sigeno


Archeozoico nell’atmosfera
Cianozoico
Precambriano 2 “ eucarioti (probabilmente procarioti in simbiosi con al-tri da
Proterozoico essi fagocitati)

1 “ organismi pluricellulari (metazoi), riproduzione ses-suale

600 milioni primi protozoi, semplici animali

Cambriano 570 “ artropodi (antenati degli insetti, degli aracnidi e dei


crostacei), primi funghi

550 “ animali complessi, ozonosfera

Ordoviciano 500 “ pesci e protoanfibi


Paleozoico
Siluriano 475 “ piante terrestri

Devoniano 400 “ insetti e piante con semi

Carbonifero 360 “ anfibi

Permiano 300 “ rettili

Triassico 200 “ mammiferi, gimnosperme

Mesozoico Giurassico 150 “ dinosauri ed uccelli

Cretaceo 130 “ angiosperme

Paleocene 65 “ estinzione dei dinosauri

Cenozoico Eocene 58

Oligocene 27

Miocene 24

Pilocene 5 primi ominidi, diversificazione di Australopithecus

2 comparsa del genere Homo,Cro – Magnon, estinzione di


Pleistocene Australopithecus
Neozoico o 350000 uomo di Neanderthals
Quaternario
200000 uomini anatomicamente moderni (Africa)

Olocene 25000 scomparsa dell’uomo di Neanderthal

13000 scomparsa dell’Homo floresiensis

137. Le teorie evolutive cercano di spiegare come si sia arrivati all’attuale diversificazione delle
forme viventi. Secondo le teorie fissiste, o creazionistiche, tutte le tipologie di viventi sono state
create così come appaiono oggi, e non possono subire modificazioni (cosa in eclatante contrasto con
le risultanze dell’esame dei fossili). Gli evoluzionisti invece ritengono che un organismo possa
modificarsi per funzionare meglio nell’ambiente in cui si trova.
Secondo Lamarck (1800), in un organismo compariva un nuovo organo, o comunque una nuova
funzione, quando esso ne aveva la necessità per sopravvivere in un dato ambiente: le giraffe sareb-
bero antilopi che, dovendosi cibare delle foglie presenti sui rami più alti degli alberi, avrebbero pia-
no piano allungato sia le gambe che il collo, trasmettendo il carattere alla progenie (ciò implichereb-
be che gli allevatori di boxer non avrebbero bisogno di tagliare la coda e la punta delle orecchie ai
loro esemplari, perchè il carattere, ormai, dovrebbe essere diventato ereditario).
La teoria di Darwin è imperniata sul concetto di selezione naturale e si basa su una serie di princi-
pi a carattere generale.
In qualsiasi popolazione di individui sono presenti delle differenze, molte delle quali non hanno ef-
fetti sulla sopravvivenza, come il colore degli occhi nell’uomo, mentre altre possono influire sulle
probabilità di sopravvivere, e quindi di riprodursi, di un dato individuo.
Un falco con la vista più acuta degli altri potrà catturare più facilmente le prede, ed una pianta che
risca a svilupparsi maggiormente in altezza avrà più facile accesso all’energia luminosa solare. Ciò
che influisce positivamente sulla sopravvivenza di un organismo, in genere aumenta anche la sua
probabilità di riprodursi e di trasmettere il suo genoma alla progenie.
Per esempio, la betularia è una farfalla che, in Inghilterra, esiste in due forme di colore chiaro e, ri-
spettivamente, scuro. Durante la rivoluzione industriale molti degli alberi, betulle, su cui si posava
l’insetto, diventarono neri per effetto dell’inquinamento, dando alle farfalle scure un vantaggio mi-
metico relativamente ai predatori. Nel giro di 50 anni quasi tutte le betularie della regione industria-
le di Manchester erano nere. Quando, nel ’56, venne promulgata una legge antiinquinamento, le be-
tulle ridiventarono bianche, e le farfalle nere ridiventarono rare, evidenziando l’influenza della sele-
zione naturale sull’evoluzione della betularia. Se i caratteri che danno agli individui un vantaggio
riproduttivo sono ereditabili, allora nella progenie essi saranno più frequenti e, anche nel caso di un
vantaggio limitato, in un numero sufficientemente elevato di generazioni, essi diventeranno prepon-
deranti. In questo modo l’ambiente in cui si trova un individuo seleziona i caratteri che danno un
vantaggio riproduttivo provocando un’evoluzione della specie in direzione dell’organismo più a-
datto.

Betularie nera e bianca su una betulla non annerita dall’inquinamento

138. La tassonomia biologica si occupa della classificazione degli esseri viventi. Linneo realizzò la prima
classificazione moderna che conserva ancora una sua validità. Le classificazioni moderne, che si avvalgono
anche di dati ricavati dall’analisi del DNA prevedono la suddivisione dei viventi in 5 regni: regno animale,
regno vegetale, regno delle monere, regno dei protisti e regno dei funghi (per quanto riguarda i virus, che a
rigore non possono essere considerati esseri viventi, a seconda delle scuole di pensiero, o costituiscono un
gruppo a parte o vengono inseriti nel regno delle monere). Per affinità crescente tra di loro i vari viventi sono
assegnati ad un regno, e successivamente ad un philum (tipo), una classe, un ordine, una famiglia, un gene-
re ed, infine, ad una specie.
Quindi, per esempio, l’Homo sapiens appartiene al regno animale, animalia, al philum dei cordati, chorda-
ta, alla classe dei mammiferi, mammalia, all’ordine dei primati, primates, alla famiglia degli ominidi, homi-
nidae, al genere uomo, homo, ed alla specie Homo sapiens.
Per indicare un organismo viene utilizzata la nomenclatura binomia che indica il genere e la specie dell’or-
ganismo stesso: Panthera Leo (leone), Drosophila melanogaster (moscerino della frutta), Sparus aurata (o-
rata), Lycopersicon esculentum (pomodoro) ...
Due viventi sono della stessa specie qualora incrociandosi diano una progenie feconda: per esempio il ca-
vallo e l’asino non appartengono alla stessa specie perchè sia il bardotto, da cavallo ed asina, che il mulo, da
asino e cavalla sono sterili. Individui della stessa specie avranno DNA simili ma non identici.
I funghi sono caratterizzati dall’essere eterotrofi, dal non avere tessuti differenziati e dal riprodursi tramite
spore. Possono essere saprofiti, in grado di degradare la materia organica, parassiti e simbionti.
Esistono diverse varietà di funghi patogeni per l’uomo, Candida, che provocano varie infezioni (tra le quali
le micosi). Il Penicillium notatum produce penicillina (Fleming). Sono funghi i lieviti.
I protisti sono eucarioti unicellulari o multicellulari senza tessuti particolarmente specializzati, cui appar-
tengono i protozoi che si nutrono per fagocitosi, inglobando, cioè, e digerendo altri microorganismi o nu-
trienti, e le alghe, in grado di realizzare la fotosintesi. Molti protozoi sono parassiti come il Plasmodium fal-
ciparum che causa la malaria nell’uomo.
Alle monere appartengono esseri unicellulari senza nucleo ed organelli, procarioti, che possono essere e-
terotrofi, batteri, ed autotrofi, alghe azzure, in cui è presente la clorofilla. Ai batteri appartengono bioridut-
tori e azofissatori, oltre a tutta una serie di parassiti, diversi dei quali sono patogeni per l’uomo, e di simbion-
ti (come quelli presenti nell’intestino umano, tra cui Escherichia coli, i quali rappresentano sia una linea di
difesa contro altri batteri che una fonte di vitamine). A seconda della specie i batteri possono vivere in pre-
senza o in assenza di ossigeno, aerobi ed anaerobi. Si dicono aerobi facoltativi se possono vivere sia in
presenza che in assenza di ossigeno (nel secondo caso ricavano energia dalle fermentazioni).
Il regno vegetale può essere suddiviso in briofite, in cui non sono presenti tessuti specializzati (muschi) e
tracheofite in cui sono presenti tessuti con varie funzioni: sostegno (fusto), assorbimento e trasporto dei nu-
trienti (radici, floema e xilema), fotosintesi (foglie). Le tracheofite si dividono in pteridofite, riproduzione
tramite spore, ed in spermatofite (piante con semi). A loro volta le spermatofite si dividono in gimnosper-
me, piante senza fiori e seme nudo (come le conifere), ed angiosperme (piante con fiori e seme contenuto
nel frutto), le quali ultime sono monocotiledoni o dicotiledoni, a seconda che nel seme sia presente una so-
la, oppure una coppia di, foglia embrionale con funzione di riserva di nutrimento per l’embrione.
Il regno animale è diviso in invertebrati, privi di colonna vertebrale, e cordati, che presentano una struttura
di sostegno interna detta notocorda. I primi hanno simmetria corporea raggiata, come i poriferi, spugne,
gli echinodermi, stelle marine e ricci di mare ed i celenterati, polipi e meduse, oppure bilaterale.
Sono del secondo tipo i platelminti (vermi piatti), i nematelminti, gli anellidi (vermi metamerici cioè seg-
mentati come i lombrichi), i molluschi, di cui fanno parte i gasteropodi (come la lumaca), i bivalvi (cozze e
telline) e i cefalopodi (seppie, calamari e polpi), e gli artropodi, appendici articolate ed esoscheletro, classi-
ficati in funzione dei segmenti corporei, metameri. Fanno parte degli artropodi i crostacei, gli aracnidi e gli
insetti (3 metameri e 3 paia di zampe e respirazione tramite trachee). I cordati sono divisi in urocordati nei
quali la notocorda è limitata alla parte terminale del corpo), in cefalocordati in cui essa invece è presente in
tutta la lunghezza del corpo, ed in vertebrati, che invece di avere una corda cartilaginea, presentano una
struttura ossea, la colonna verte-brale (fanno eccezione i pesci cartilaginei come le razze egli squali).
I vertebrati sono suddivisi in 5 classi di seguito elencate con le principali caratteristiche:
pesci: eterotermi, pinne, scaglie, respirazione tramite branchie, cuore ad 1 atrio ed 1 ventricolo, cir-
colazione del sangue semplice, ovipari;
anfibi: eterotermi, pelle nuda, respirazione branchiale allo stato di girini e polmonare ed epiteliale
allo stato adulto (metamorfosi), cuore a 2 atri e d 1 ventricolo, circolazione doppia e semplice, ovipari.
rettili: eterotermi, squame, respirazione polmonare, cuore a due atri e due ventricoli, circolazione
doppia e completa (il sangue venoso e quello arterioso non si mescolano), ovipari ed ovovivipari;
uccelli: omotermi, piume e penne, respirazione polmonare, cuore a due atri e due ventricoli, circo-
lazione doppia e completa, ovipari, assenza di denti.
mammiferi: omotermi, peli, respirazione polmonare, cuore a due atri e due ventricoli, circolazione dop-
pia e completa, vivipari, allattamento della prole.
Gametogenesi e fecondazione nei mammiferi Eredità mitocondriale Corpi di Barr e Lyonizzazione Segmentazione
Gastrulazione Gli annessi embrionali Organogenesi
139. Il ciclo vitale dei vertebrati presenta una serie di caratteristiche costanti schematizzabili come segue:
8: maturità sessuale
1: gametogenesi
2: fecondazione
3: segmentazione

7: nascita 3’: impianto


(solo nei mammiferi)

4: gastrulazione

6: crescita

5: organogenesi

1. Gametogenesi: produzione di gameti. 2. Fecondazione: fusione dei gameti (singamia) a dare lo


zigote. 3. Segmentazione: una serie di processi di mitosi a volume totale costante portano a cellule
sempre più piccole, blastomeri, che costituiscono una blastula, un ammasso cellulare che spesso
presenta una cavità, blastocele, piena di liquido. 4. Gastrulazione: formazione dei foglietti, ecto-
derma, mesoderma ed endoderma, epiteli cui è associato il mesenchima, popolazione di cellule da
essi derivanti (soprattutto dal mesoderma). 5. Organogenesi: suddivisione in aree in cui compaiono
gli abbozzi degli organi (l’embrione diventa feto). 6. Crescita: aumento di volume degli abbozzi e
formazione di organi veri e propri, con origine di varie linee cellulari, differenziazione, senza va-
riazione nel numero degli organi e con acquisizione di capacità di vita indipendente. 7. Nascita.
8. Maturità sessuale: acquisizione della capacità di produrre gameti.
140. Gli animali presentano eterogameti e cioè gameti diversi, come forma e dimensioni, a seconda
che derivino dal maschio, spermatozoi, o dalla femmina, uova. Essi derivano da un processo meio-
tico che dimezza il numero di cromosomi, 2n → n, ed il contenuto in DNA, 4C → C, della cellula
germinale. Gli eterogameti aploidi si uniscono a dare lo zigote, cellula diploide.
Le uova presentano una struttura molto simile a quella di una normale cellula, con nucleo, citosol ed
organelli. In genere contengono nutrienti per i primi stadi vitali dello zigote sotto forma di tuorlo.
Gli spermatozoi constano invece di una testa in cui sono impacchettati tutti i cromosomi e di un fla-
gello che, a differenza delle uova, li rende estremamente mobili. Il flagello è ricco di mitocondri che
forniscono l’energia necessaria al suo movimento.
Acrosoma
Testa
Nucleo
Corpo basale

Mitocondri

Flagello

Assonema

Spermatozoo
I gameti si formano nelle gonadi. Le uova umane derivano da cellule staminali, ovogoni, che per
mitosi danno ovociti primari ciascuno dei quali, per meiosi dà un ovocito secondario ed un co-
siddetto primo globulo polare. Un’ulteriore meiosi dell’ovocita secondario dà un ovulo ed un altro
globulo polare mentre il primo globulo polare o va incontro a disintegrazione o, per meiosi, ne pro-
duce altri due; alla fine tutti i globuli polari, comunque degenerano, e rimane solo l’ovulo aploide
che, per differenziazione, darà origine ad un uovo.

ovocita primario, 2n; 4 C

ovocita primario, 2n; 4 C


fermo in profase I anche
fino a 50 anni di età

ovocita secondario, n; 2 C
primo globulo polare

cellula uovo

globuli polari
Nella gametogenesi maschile, spermatogenesi, umana uno spermatogonio, che è ancora una cel-
lula staminale, dà, per mitosi, spermatociti primari i quali per meiosi danno spermatociti secon-
dari da cui, di nuovo per mitosi, originano spermatidi, che differenziandosi diventano spermato-
zoi maturi. Processi mitotici a carico delle cellule staminali

Spermatocita
primario
Meiosi I
Spermatocita
secondario
Meiosi II
Gametogenesi

Spermatozoi
Da notare che il rapporto ovociti primari uova è di 1 : 1 mentre quello spermatociti primari sperma-
tozoi è di 1 : 4.
141. Quando lo spermatozoo si fonde con l’ovocita, o oocita, fecondazione, a dare lo zigote, solo la
sua testa entra nella cellula uovo, attraversando la zona pellucida che la circonda, e pertanto i mito-
condri presenti nello zigote sono tutti di origjne materna. Nella progenie il mit – DNA deriva solo
dalla madre, eredità mitocondriale. Nell’uomo lo zigote ha 46 cromosomi, 23 dallo spermatozoo
ed altrettanti dall’uovo. Il sesso è determinato dal cromosoma sessuale presente nello spermatozoo:
il cromosoma X determina uno sviluppo in senso femminile ed un cromosoma Y in senso maschile.
Una serie di divisioni mitotiche, segmentazione, trasformano lo zigote in un ammasso di cellule an-
cora interne alla zona pellucida, la cosiddetta morula.

zona pellucida morula

Un processo detto cavitazione trasforma la morula in blastula, una struttura sferica costituita da
blastomeri che rivestono una cavità piena di liquido, il
blastocele. blastomeri
. blastocele

morula blastula

Nell’uomo la blastula è detta blastocisti e, in questo stadio, avviene il suo annidamento nell’endo-
metrio uterino (impianto) con trasformazione delle cellule della blastocisti prossime a quelle del-
l’endometrio in trofoblasti che daranno origine ad importanti annessi embrionali con funzione tro-
fica, nutritiva, tra i quali la placenta. Nello stadio di blastocisti, nelle cellule che presentano due
cromosomi sessuali X (da cui cioè deriverà un embrione a destino femminile) avviene un processo
detto lyonizzazione e cioè l’inattivazione casuale di uno di tali cromosomi che viene condensato ad
eterocromatina a dare un cosiddetto corpo di Barr (l’espressione dei geni di entrambi i cromosomi
X porterebbe ad un’eccessiva quantità di prodotti che risulterebbe dannosa per la cellula).
La gastrulazione trasforma lo strato monocellulare della blastula in una struttura a tre strati cellu-
lari, ectoderma, mesoderma ed endoderma, appunto la gastrula.
Da ciascuno di questi tre strati cellulari originano diversi tessuti e strutture dell’organismo defini-
tivo secondo lo schema a seguire.
Ectoderma cute ed annessi cutanei (peli, unghie, ghiandole sebacee...); sistema nervoso; cornea; cristallino.
Mesoderma sangue; muscoli; ossa; tessuti connettivi; sistema urogenitale; endotelio dei vasi sanguigni
Endoderma epiteli superfici interne; tratto gastroenterico (tranne la bocca e l’ano); polmoni; fegato; pancreas;
tiroide; timo; vescica; uretra
Nelle prime divisioni mitotiche si formano cellule che, come lo zigote, sono totipotenti, possono
cioè differenziare a dare qualsiasi tipo di cellula che dovrà essere presente nell’organismo definiti-
vo. Processi relativamente complessi fanno sì che, principalmente in base alla sua posizione rispetto
alle altre, una cellula differenzi in un senso o in un altro (determinazione).
Qualora due, o più, gruppi di cellule totipotenti si separino, ogni gruppo dà origine ad un individuo
indipendente che presenta però le stesse caratteristiche morfogenetiche degli altri (sesso compreso):
gemelli monozigotici. I gemelli eterozigotici derivano invece dalla fecondazione contemporanea di
due ovociti da parte di due spermi diversi e non sono quindi identici.
Tessuti epiteliale, ghiandolare e sensoriale Giunzioni cellulari Tessuti connettivi: composizione e classificazione Tessuti
muscolari e relativi meccanismi di contrazione
142. I metazoi, pluricellulari constano di cellule raggruppate a dare tessuti. Tessuti di vario tipo
concorrono a dare strutture funzionali dette organi ed organi diversi, con funzioni comuni, danno
gli apparati. Mentre la citologia si occupa della descrizione delle cellule l’istologia ha lo stesso
compito per quel che riguarda i tessuti. Abbiamo fondamentalmente quattro tipologie di tessuti:
tessuto epiteliale, tessuto connettivo, tessuto nervoso e tessuto muscolare.
143. Il tessuto epiteliale consta di cellule di forma regolare adese tra di loro a dare ammassi o strati
ancorati ad una membrana basale di collagene e glicoproteine. Non è vascolarizzato e gli scambi di
nutrienti e rifiuti avvengono per diffusione dai tessuti connettivi vicini. Presentano giunzioni inter-
cellulari (gap junctions e desmosomi) che consentono scambi tra di loro. Lo si divide, dal punto di
vista funzionale in epitelio di rivestimento, che presenta frequentemente funzioni di assorbimento,
microvilli intestinali, e di trasporto di superficie (ciglia vibratili delle vie respiratorie e delle vie ge-
nitali femminili), in epitelio ghiandolare a secrezione esocrina o endocrina e in epitelio sensoriale.
L’epitelio di rivestimento si classifica morfologicamente in pavimentoso o squamoso, cuboidale e
cilindrico e, a seconda del numero di strati in semplice, monostratificato, pseudostratificato e
composto, polistratificato.
Tipi di epitelio

Epitelio di transizione
Pavimentoso semplice Cuboidale semplice
Colonnare semplice

Pavimentoso stratificato Cuboidale stratificato Colonnare pseudostratificato


L’epidermide cutanea è un epitelio pavimentoso stratificato cheratinizzato in cui lo strato più ester-
no, corneo, consta di cellule anucleate piatte, cheratinociti, contenenti cheratina,una proteina idro-
fobica.
L’epitelio ghiandolare, parenchima, presenta ghiandole costitute da cellule, con apparato di Golgi
particolarmente sviluppato, che sintetizzano molecole da secernere nel circolo sanguigno, secrezio-
ne endocrina, o, direttamente o meno, all’esterno del corpo, secrezione esocrina.
I prodotti delle ghiandole endocrine, le quali sono presenti nell’ipofisi anteriore, nelle isole pancrea-
tiche di Langerhans, nelle paratiroidi, nel surrene, nell’epifisi, nella tiroide e nella mucosa gastroin-
testinale, sono ormoni (primi messaggeri), molecole di varia natura chimica (steroidi, peptidi, cate-
colammine, eicosanoidi) che, tramite il torrente sanguigno, arrivano alle cellule bersaglio di vari
tessuti dove si legano a recettori specifici, innescando, direttamente o meno, tutta una serie di modi-
ficazioni del metabolismo cellulare.
Le ghiandole esocrine riversano invece i loro prodotti, miscele di enzimi oppure di glicoproteine e
glicosamminoglicani, muco, sulle superfici esterne, epidermide, o interne, vie respiratorie e tubo
gastroenterico, del corpo. Sono di questo tipo le ghiandole sudoripare, sebacee, salivari, lacrimali,
duodenali e le ghiandole mammarie.
L’epitelio sensoriale è costituito da cellule reattive agli stimoli chimici e fisici che trasducono tali
stimoli a neuroni sensoriali. Si trovano cellule di questo tipo nell’organo di Corti (orecchio interno),
nei calici delle papille gustative (lingua) e nei coni e nei bastoncelli della retina.
144. Il tessuto connettivo, spesso vascolarizzato, ha funzione di nutrimento e di sostegno, trofo-
meccanica, di organi ed altri tessuti, ed ha, inoltre, un ruolo fondamentale nella difesa immunitaria.
Consta di cellule separate disperse in materiale extracellulare (liquido interstiziale, fibre proteiche e
sostanza fondamentale, o amorfa, costituita da proteogligani ed acido ialuronico).
Si possono distinguere quattro tipologie: tessuto connettivo propriamente detto, tessuto cartilagi-
neo, tessuto osseo, tessuto sanguigno e linfatico.
Nei tessuti connettivi propriamente detti sono presenti una serie di cellule quali:
fibroblasti e fibrociti, preposti alla produzione del materiale extracellulare;
adipociti, cellule di deposito dei trigliceridi (presenti anche nel midollo osseo giallo);
mastociti, contenenti granuli di sostanze vasodilatatorie ed anticoagulanti che vengono liberate nel-
la genesi dei processi infiammatori allergici ed anafilattici;
linfociti T e B, cellule che arrivano dal sistema circolatorio per attraversamento delle parete dei ca-
pillari, diapedesi, riconoscono le molecole estranee all’organismo, non self, tramite recettori di
membrana, e si attivano a dare tutta una serie di cellule preposte alla risposta immunitaria cellula-
re, quali linfociti T helper e i linfociti T citotossici (eliminazione delle cellule infettate da virus) ed
a quella umorale, linfociti B memoria e plamacellule in grado di secernere anticorpi specifici per
le molecole estranee, antigeni;
granulociti, interessati come i mastociti alla risposta immunitaria non specifica e suddivisibili in
neutrofili, eosinofili e basofili;
macrofagi, cellule fagocitarie che inglobano una serie di corpi estranei presenti nei connettivi e
partecipano alla risposta immunitaria presentando gli antigeni alle cellule in grado di riconoscerli
(linfociti T); i macrofagi sono presenti, sotto varie denominazioni, in tutta una serie di tessuti.
Le fibre del tessuto connettivo propriamente detto sono fibre di collagene di vari tipi e fibre di ela-
stina. La sostanza fondamentale, o matrice, è costituita da glicosamminoglicani solforati o meno e
proteoglicani, macromolecole altamente idrofile che danno un mezzo permeabile a tutta una serie di
soluti ionici e polari.
Il tessuto cartilagineo, cartilagine, è un tessuto non vascolarizzato con funzione di sostegno pro-
dotto da cellule dette condrociti; si suddivide in cartilagine ialina (articolazioni, laringe, trachea,
setto nasale), elastica e fibrosa.
Il tessuto osseo, che ha tipicamente funzione di sostegno, essendo mineralizzato, non può essere
nutrito per diffusione e quindi è vascolarizzato; le cellule costituenti sono gli osteoblasti, che pro-
ducono la matrice, consistente in un deposito cristallino di idrossiapatite, idrossifosfato di calcio, su
un intreccio proteico (collagene), osteociti, osteoblasti imprigionati nella matrice, e osteoclasti, cel-
lule derivanti da macrofagi del circolo sanguigno che erodono la matrice, contrastando l’azione de-
gli osteoblasti e contribuendo alla stabilizzazione del tessuto. In ogni osso la parte esterna è compat-
ta mentre quella interna è spugnosa. Nell’osso compatto i capillari sanguigni passano attraverso ca-
nalicoli disposti nella lunghezza dell’osso, Havers, e perpendicolarmente a questi, Volkmann.
Il sangue è un tessuto fluido, con funzione prevalentemente trofica, costituito da elementi figurati,
cellule, e plasma, soluzione acquosa di proteine e varie molecole ed ioni (il plasma senza la protei-
na fibrina si dice siero).
Il rapporto tra il volume occupato dalle cellule ed il volume totale si definisce indice ematocrito.
Normalmente in 1 cc di sangue ci sono circa 5 milioni di eritrociti (globuli rossi, emazie), 7000
leucociti (globuli bianchi ripartiti in neutrofili, linfociti, monociti, eosinofili e basofili) e circa
300000 piastrine (trombociti).
Gli eritrociti sono cellule di forma discoidale, prive di nucleo ed organelli, con una vita media di
120 giorni. Contengono una proteina tetramerica, emoglobina, costituita da 2 catene 𝛼 e 2 catene 𝛽.
Ogni monomero è legato ad una molecola non proteica, il gruppo eme, in cui un anello protoporfiri-
nico lega uno ione ferroso, Fe++. Ogni gruppo eme può legare reversibilemente una molecola di os-
sigeno con un affinità che dipende dalla pressione dell’O2 , da quella della CO2 e dal pH.
A livello degli alveoli si ha una pressione dell’O2 maggiore che non nei tessuti, una pressione della
CO2 minore ed un pH maggiore e, di conseguenza, una maggiore affinità per l’ossigeno: di conse-
guenza l’emoglobina nei capillari alveolari si carica di O2 e nei tessuti ne rilascia buona parte.
L’eme dell’emoglobina si può legare anche all’ossido di carbonio, CO, ed allo ione cianuro, per i
quali è molto più affine che non per l’O2 e, così facendo, si inattiva.
Le cellule del sangue vengono in continuazione reintegrate nel midollo osseo rosso (vertebre, co-
stole, sterno...) a partire da precursori comuni che si moltiplicano per mitosi e poi differenziano (e-
ritropoiesi).
145. Il tessuto nervoso ha il compito di trasdurre gli stimoli provenienti dall’ambiente in impulsi
nervosi, di elaborare tali impulsi e di realizzare linee di comunicazione veloci e specifiche nell’or-
ganismo. Consta di cellule eccitabili in grado di condurre gli impulsi, neuroni, e di cellule con fun-
zione trofomeccanica, cellule gliali o nevroglia.
È suddivisibile in sistema nervoso centrale, nevrasse o SNC, formato dall’encefalo e dal midollo
spinale, e dal sistema nervoso periferico, SNP, in cui si trovano gangli e plessi (reti neurali) che
collegano l’SNC con organi sensoriali periferici e con i muscoli scheletrici e viscerali.
. 1) neurone unipolare 2) neurone bipolare 3) neurone multipolare
. 4) neurone pseudounipolare
Terminale
Dendrite assonico

Nodo di Ranvier
Soma
Cono

Cellula di Schwann
Guaina mielinica
Nucleo

Tipicamente un neurone è costituito dal pirenoforo, soma, che è il corpo cellulare, dall’assone,
prolungamento che parte dal corpo cellulare e può eventualmente ramificarsi, e dai dendriti, pro-
lungamenti che emergono dal corpo cellulare cui trasmettono l’impulso.
La glia consta di astrociti, con funzione trofomeccanica e di regolazione del passaggio di sostanze
dal sangue al tessuto nervoso, barriera ematoencefalica, di oligodendrociti e di cellule di Schwann,
che formano un rivestimento isolante intorno agli assoni dell’SNC e dell’SNP rispettivamente e di
cellule di microglia, macrofagi dell’SNC.
In tutte le cellule una distribuzione ineguale di carica elettrica ai due lati della membrana plasmati-
ca, creatasi per effetto delle azioni contrastanti di varie pompe e di canali ionici di varia natura, de-
termina una differenza di potenziale ai due lati della membrana, potenziale di membrana, più ne-
gativo a livello del versante citoplasmatico. Quando una cellula eccitabile, neuroni e cellule mu-
scolari, viene eccitata, nella sua membrana si aprono dei canali ionici che, lasciando entrare ioni
sodio, Na+, che fanno sì che il potenziale di membrana aumenti, depolarizzazione, e si inneschi un
cosiddetto potenziale di azione che si propaga lungo la membrana stessa.
Nei neuroni il potenziale di membrana è di – 70 mV, determinato dalla diversa concentrazione degli
ioni sodio e cloruro, maggiore a livello extracellulare, e degli ioni potassio, più grande a livello
endocellulare. A questa distribuzione asimmetrica concorre principalmente l’azione di una pompa
sodio potassio, che, consumando ATP, trasporta attivamente ioni potassio ed ioni sodio contro il
loro gradiente di concentrazione: la pompa espelle tre ioni Na+ per ogni due ioni K+ che internalizza
ed ha quindi effetto elettrogenico, genera cioè una diffrenza di potenziale.
Sul neurone sono presenti dei recettori che possono, per esempio, legare delle molecole, neurotra-
smettitori, che provocano, in modo più o meno diretto l’apertura di canali per il sodio, il quale en-
tra secondo il suo gradiente di concentrazione, e fa diventare meno negativo il potenziale di mem-
brana. I neurotrasmettitori trasmettono a livello chimico il potenziale d’azione, stimolo elettrico, da
un neurone ad un altro. Essi vengono secreti a livello del terminale assonico di un neurone eccitato,
il quale forma una sinapsi col soma, o con un dendrite, o con l’assone di un altro neurone.
I neurotrasmettitori diffondono nello spazio intersinaptico legando i recettori del neurone ricevente
e, se lo stimolo è sufficientemente intenso, si raggiunge nella membrana di questo un cosiddetto
potenziale di soglia, circa – 60 mV, che innesca irreversibilmente il potenziale di azione, + 30 mV.

Lo stimolo del potenziale d’azione arrivando al bottone sinaptico provoca


l’entrata di ione calcio, Ca++, nel citosol e la conseguente fusione delle
vescicole contenenti il neurotrasmettitore, acetilcolina, con la membrana
ed il suo conseguente rilascio nella fessura intersinaptica.

bottone sinaptico

assone

potenziale di azione

vescicola
fessura intersinaptica

neurotrasmettitore

recettore
canale

neurone ricevente
dendrite del
neurone ricevente

Il potenziale d’azione si propaga lungo l’assone del neurone ricevente con velocità maggiore o mi-
nore a seconda che il suo assone sia, o meno, mielinizzato.
La depolarizzazione della membrana del neurone è seguita da una veloce ripolarizzazione dovuta
all’apertura di canali per il potassio che esce. Il potenziale di azione si propaga dal punto in cui in-
sorge agli altri punti della membrana in modo centrifugo, ciò perchè le parti di membrana appena
ripolarizzate si trova in una situazione di refrattarietà, canali del sodio chiusi, che non consente
loro di depolarizzarsi, periodo refrattario.
Più canali del sodio aperti

Canali del sodio


Canali del sodio chiusi Canali del potassio
aperti aperti
Canali del potassio
chiusi

Picco del potenziale di azione

Potenziale di riposo

soglia Iperpolarizzazione

Periodo di refrattarietà

Tempo
Oltre alle sinapsi su viste esistono anche sinapsi interneuroniche definite elettriche, che sono gap
junctions che mettono direttamente in comunicazione due neuroni.
146. Fanno parte del tessuto muscolare cellule eccitabili con funzione contrattile: cellule muscola-
ri scheletriche, cellule muscolari striate cardiache e cellule muscolari lisce.

miofibrilla

nuclei fibre muscolari cellule muscolari


nuclei nuclei
fibre muscolari separate

Muscolo Muscolo Muscolo liscio


scheletrico cardiaco

Le cellule muscolari scheletriche sono enormi cellule polinucleate caratterizzate da una striatura
trasversale dovuta alla regolare disposizione del citoscheletro contrattile costituito da miofibrille
longitudinali suddivise in sarcomeri, le unità contrattili costituite da fibrille di actina e filamenti
spessi intermedi di miosina.
Fibra muscolare

Miofibrille

Striature

Nucleo

Filamenti contenenti
actina e miosina

Disco Z Zona H Disco Z


Filamento sottile
. Actina

Filamento spesso
. Miosina
Banda I Banda A Banda I linea M
. <---- Sarcomero--->

Miofibrilla: fascio di miofilamenti


I filamenti di actina sono dimeri di un monomero globulare di G actina disposti a doppia elica, men-
tre quelli di miosina, molecola a forma di mazza da golf, sono formati da coppie di monomeri di-
sposti longitudinalmrnte con le teste che sporgono. Nel sarcomero si osservano le linee Z, dove due
filamenti di actina sono ancorati, due bande I ed una banda H, al centro della quale si ha una
Filamento di actina Filamento di miosina

Rilassato

linea Z linea Z

Parzialmente
contratto

Del tutto
contratto

Zona H

Banda A

Filamenti spessi

Tropomiosina Troponina Actina

Filamento di miosina

banda H, le cui dimensioni variano a seconda della contrazione del sarcomero, divisa da una linea
M, dove sono ancorati tra loro i filamenti di miosina. Quando un motoneurone, in sinapsi con più
cellule muscolari, giunzione neuromuscolare, le eccita, si ha la contrazione dell’unità motoria. Il
neurotrasmettitore coinvolto è ancora l’acetilcolina, ed il suo legame a recettori nicotinici fa sì che
essi lascino entrare ioni che iniziano la depolarizzazione che, a sua volta, provoca l’apertura di altri
canali, voltaggio dipendenti. Il tutto risulta nell’ingresso nel citoplasma di ioni calcio, provenienti
anche dalle cisterne del RE, i quali legano le proteine inibitorie della contrattilità del sarcomero,
tropomiosina e troponina. Le teste di miosina possono ora legare i filamenti actinici e, piegandosi, li
tirano (movimento a colpo di remo), provocando ‘accorciamento del sarcomero. Le teste di miosina,
idrolizzando ATP, riacquistano la conformazione iniziale, si staccano dall’actina e, se nel citosol è
ancora presente ione calcio, il processo ciclico ricomincia provocando un ulteriore accorciamento.
Il rigor mortis è dovuto, tra l’altro, al mancato rilascio delle teste di miosina per mancanza di ATP.
Le cellule muscolari cardiache, mono o binucleate, sono di dimensioni minori di quelle scheletri-
che e, a differenza di esse, non sono elettricamente isolate tra di loro, ma in contatto elettrico me-
diante apposite giunzioni. L’impulso depolarizzante che si produce in particolari cellule dell’atrio,
dette pacemakers, può propagarsi quindi a tutti i cardiociti, che si comportano come un’unica cel-
lula, sincizio, determinando le contrazioni in successione di atri e ventricoli.
Le cellule muscolari lisce non sono striate per l’assenza di sarcomeri, e in esse la contrazione, che
consuma ATP, ha luogo comunque per ingresso di ione calcio, provocato dallo stimolo nervoso.
Esistono due modalità di innervazione di queste cellule. Nella muscolatura liscia multiunitaria cia-
scuna è innervata singolarmente (iride, e grandi vasi sanguigni), mentre in quella liscia unitaria (vi-
scerale) le cellule sono collegate da gap junctions a bassa resistenza che le fanno comportare come
un sincizio ( dotti biliari, ureteri, utero e parete intestinale).
Scheletro Articolazioni Muscoli scheletrici Organi di senso
147. Come già detto gli apparati sono sistemi di organi preposti ad una determinata funzione.
Scheletro, articolazioni e muscoli scheletrici hanno la funzione di consentire il movimento, di so-
stenere il corpo e di proteggerne gli organi.
Nell’uomo lo scheletro è costituito da ossa che, alla nascita, sono 270 e si riducono a 206 perchè
diverse di esse si uniscono tra di loro. Oltre che da proteine, osseina, esse sono costituite da vari sali
quali l’idrossiapatite, il carbonato di calcio, CaCO3 , il fluoruro di calcio, CaF2 e il fosfato di ma-
gnesio, Mg3(PO4)2. Nel bambino la maggior presenza di cartilagine rende le ossa più elastiche.
Morfologicamente le ossa, che si dicono pari (scapole, costole...), se si trovano ai lati della linea
mediana del corpo, ed impari se sono sulla linea mediana (sterno, vertebre...) si distinguono, tra
l’altro, in:
lunghe: una dimensione prevale sulle altre due, sono costituite da osso compatto, denso ed omoge-
neo, con un corpo centrale, diafisi, e due estremità, epifisi (femore, omero...); hanno funzione di le-
ve e nell’epifisi è presente midollo rosso eritropoietico (l’eritropoiesi è la genesi degli eritrociti).
piatte: laminari, costituite da due stati di osso compatto tra i quali è compreso osso spugnoso, com-
posto di amine ossee, trabecole, che delimitano cavità più o meno estese (scapole, ossa della volta
del cranio, sterno); hanno funzione di protezione e nel loro midollo rosso ha luogo l’eritropoiesi;
brevi: le tre dimensioni sono circa equivalenti (carpo, tarso, vertebre...), constano per lo più di osso
spugnoso ed hanno funzione di sostegno.
Lo scheletro assile, è costituito dalla colonna vertebrale, 26 vertebre, dalla gabbia toracica, 12
paia di costole e lo sterno, e dal cranio; ad esso che, tramite le articolazioni delle anche, trasmette
il peso della testa, del tronco e delle estremità superiori, alle estremità inferiori è dovuta la stazione
eretta; cranio, colonna vertebrale e gabbia toracica hanno il ruolo di proteggere importanti organi
interni.
Lo scheletro appendicolare è costituito dal cinto scapolare, clavicole e scapole, dal cinto pelvico,
anche, derivanti dalla fusione di ileo, ischio e pube; dalle ossa degli arti superiori, e da quelle de-
gli arti inferiori; ha la funzione di consentire la locomozione e di proteggere i più importanti organi
della digestione, della digestione e della riproduzione.
Le ossa del cranio sono prevalentemente piatte e pneumatiche, presentano cioè cavità in comunica-
zione con l’esterno con lo scopo di alleggerimento.
Ne fanno parte l’osso frontale, le parietali, le temporali, in cui si trovano le catene degli ossicini
(martello, incudine e staffa), l’occipitale, le zigomatiche, le mascellari superiori, la mandibola ed
il vomere (setto nasale).
Le vertebre sono costituite da un corpo cilindrico anteriore e da un arco posteriore in cui sono pre-
senti due processi trasversali ed un processo spinoso posteriore. Sono divise in:
cervicali: 7, la prima delle quali, atlante, sostiene la testa ed articolandosi con la seconda, epistro-
feo, permette la rotazione del capo. Anteriormente a queste vertebre è alloggiato l’osso ioide;
toraciche: 12, articolate con 12 paia di costole, 10 delle quali sono a loro volta articolate tramite
cartilagini, con lo sterno mentre le ultime due paia sono libere o fluttuanti (questa disposizione con-
sente i movimenti legati alla respirazione);
lombari: 5; sacrali: 5, fuse a dare l’osso sacro, e coccigee, 4 o 5.
I cinti scapolare e pelvico raccordano scheletro assile ed appendicolare. Il primo è articolato indi-
rettamente con la colonna vertebrale, attraverso lo sterno, e con le scapole, mentre il secondo si arti-
cola direttamente con l’osso sacro;
nelle appendici superiori si distinguono l’omero, braccio, il radio e l’ulna, avambraccio, ed una
serie di ossa della mano quali quelle del carpo (8 tra cui trapezio, scafoide , semilunare e piramida-
le), del metacarpo (5) e quelle delle dita: ogni dito ha una falange prossimale, una media ed una
distale, tranne il pollice che manca di quella media;
nelle appendici inferiori si distinguono il femore, coscia, la tibia e l’ulna, gamba, la rotula (o os-
so patellare) posto anteriormente all’articolazione tra femore e tibia, ginocchio, e le ossa del piede
che sono quelle del tarso (7 tra cui calcagno, astragalo, cuboide), del metatarso (5) e delle dita: o-
gni dito ha una falange prossimale, una media ed una distale tranne l’alluce che manca di quella
media.
Cranio frontale
parietale
Mandibola
Clavicola nasale

Scapola Sterno
lacrimale
etmoide

Omero Costole sfenoide


Ilio
Sacro occipitale
Radio Pube temporale
zigomatico
Ulna Carpo mascellare
Metacarpo mandibola

Falangi
Femore Ischio periostio

Rotula legamento
cavità contenente
Tibia il liquido sinoviale

Tarso cartilagine ialina


Fibula
Metatarso capsula fibrosa

Falangi membrana sinoviale


148. Le articolazioni si trovano nei punti di connessione tra due o più ossa.
Si possono classificare dal punto di vista funzionale, possibilità di movimento relativo delle ossa
articolate, e strutturale, natura della connessione tra le ossa.
Le sinartrosi praticamente non consentono movimento (suture craniche), le anfiartrosi consentono
movimenti piuttosto limitati (dischi intervertebrali costituiti di cartilagine fibrosa) e le diartrosi
consentono libertà di movimento (articolazione della spalla, dell’anca, del gomito e del ginocchio).
Dal punto di vista strutturale le articolazioni possono essere fibrose (connettivo propriamente detto
ricco di collagene) come spesso nelle sinartrosi, cartilaginee (anfiartrosi) e sinoviali, in cui le ossa,
i cui capi sono rivestiti di cartilagine ialina, non sono collegate direttamente ma presentano una ca-
vità dove si trova un denso tessuto connettivo (capsula sinoviale associata solitamente con lega-
menti accessori con la funzione di mantenere le ossa nella giusta posizione, come nel ginocchio).
149. A livello macroscopico un muscolo scheletrico è costituito dal ventre muscolare e dai tendi-
ni che ne consentono l’inserzione sulle ossa.
ventre

tendine

osso

I circa 400 muscoli si possono classificare dal punto di vista morfologico in monocipiti,bicipiti, tri-
cipiti o quadricipiti, a seconda dei punti da cui originano, e monocaudati, bicaudati, tricaudati a se-
conda dei punti di inserzione.

tendine

fascio

ventre

sezione

a) bicipite del
b) pettorale
braccio
sezione

tendini
rilassato

sezione
contratto
c) estensore d) retto del
e) deltoide f) orbicolare
delle dita femore
della bocca
Mentre i muscoli scheletrici hanno sia origine che inserzione sulle ossa, fisse o mobili, i muscoli
mimici, o pellicciai hanno almeno uno dei punti di attacco nel derma, e la loro contrazione ne pro-
voca i movimenti.
A livello morfologico i muscoli si classificano in lunghi, o fusiformi, presenti negli arti, come il bi-
cipite ed il tricipite del braccio; larghi, caratterizzati da notevole potenza, hanno funzione di conte-
nimento e copertura; brevi, a livello delle articolazioni con funzione stabilizzante; anulari, o orbi-
colari, che circondano gli orifizi corporei, sfinteri. Sono da ricordare lo sternocleidomastoideo, il
trapezio, il deltoide, il grande pettorale, il bicipite ed il tricipite brachiali, il sartorio, il quadricipite
ed il bicipite del femore,il gastrocnemio ed il massetere (mandibola).
Un muscolo la cui azione provoca il movimento articolare si dice agonista, bicipite brachiale.
La funzione dell’agonista avviene in concerto con altri muscoli, antagonisti, che rilasciandosi gra-
datamente ne regolano l’effetto. Il tricipite brachiale è l’antagonista del bicipite.
Va notato che un muscolo può solo contrarsi ed il suo stiramento è dovuto ai suoi antagonisti (o
alla forza peso). I flessori, che provocano il piegamento di un arto a livello dell’articolazione sono
antagonizzati dagli estensori, e gli adduttori, la cui azione determina l’avvicinamento di un seg-
mento osseo alla linea mediana del corpo, hanno come antagonisti gli abduttori.
Il muscolo ricava l’ATP necessario alla contrazione dal metabolismo aerobio o, quando l’ossigeno è
scarsamente disponibile, da quello anaerobio, che comporta la fermentazione lattica del glucosio.
Nel muscolo è presente una riserva di ossigeno sotto forma di mioglobina, molecola estremamente
simile ad uno dei monomeri dell’emoglobina, che immagazzina nel suo gruppo eme l’O2, e, quando
esso è scarso, lo cede all’emoglobina. Nel muscolo è anche presente una riserva energetica che
consta di creatina fosfato, molecola che in carenza di ATP lo rigenera dall’ADP.
150. Un sistema sensoriale è una parte del sistema nervoso preposta al processamento delle infor-
mazioni derivanti dall’ambiente. Consiste di recettori, di vie nervose e di parti del cervello coinvolte
nella percezione sensoriale. Sono sistemi di questo tipo quelli preposti alla vista, all’udito, alle sen-
sazioni somatiche (tatto, dolore, caldo e freddo), al gusto ed all’olfatto.
L’organo che permette la vista è il bulbo oculare, occhio.

retina
cornea

macula cristallino

corpo vitreo pupilla

nervo ottico iride

uvea sclera
coroide

muscolo oculomotore

Partendo dall’esterno il bulbo presenta 3 strati:


la sclera, che si continua nella cornea trasparente e non vascolarizzata;
l’uvea, vascolarizzata che presenta anteriormente l’iride, che determina per contrazione, miosi, e
dilatazione, midriasi, il diametro della pupilla, ed è variamente pigmentata; a livello intermedio il
corpo ciliare che sostiene il cristallino e ne determina cambiamenti di forma che consentono l’ac-
comodazione, e cioè la messa a fuoco dell’immagine, di oggetti posti a diverse distanze, sulla re-
tina; posteriormente la coroide che ha funzione trofica, per diffusione, per la retina;
la retina, che si può considerare come un’estensione dell’encefalo, contiene i fotorecettori, coni e
bastoncelli, neuroni specializzati nel trasdurre lo stimolo luminoso in segnali al sistema nervoso.
Nella membrana dei coni e dei bastoncelli, che sono presenti in numero molto maggiore, sono pre-
senti vari tipi di una molecola proteica, opsina, associata con un pigmento derivabile dalla vitamina
A, il retinale. Tale associazione, nei bastoncelli dà la rodopsina, che li rende idonei alla visione not-
turna in assenza di colori, mentre nei coni dà tre tipi di fotopsine, che consentono la visione diurna,
a colori. I fotorecettori sono in sinapsi con una serie di altri tipi di neuroni retinici i cui assoni origi-
nano il nervo ottico che, in parte, si porta alla regione controlaterale (decussazione a livello del
chiasma ottico) della corteccia occipitale, in cui avviene l’elaborazione del segnale.
L’elemento chiave del sistema auditivo è l’orecchio in grado di ricevere i suoni e tradurli in impul-
si elettrici. Esso è suddiviso in:
orecchio esterno, costituito dal padiglione auricolare che raccoglie i suoni e li convoglia, tramite
il meato acustico o condotto auditivo esterno, al timpano, una membrana che, vibrando, trasmette
lo stimolo all’orecchio medio;
orecchio medio, incassato nell’osso temporale, consta della catena degli ossicini che trasmette le
vibrazioni, amplificandole, alla finestra ovale della coclea, è in comunicazione, tramite la tuba di

finestra ovale
staffa
canali
semicircolari
martello incudine nervo vestibolare

padiglione
auricolare
nervo cocleare

coclea
meato
acustico cavità
timpanica
timpano tuba di Eustachio
finestra
rotonda

Eustachio, con il rinofaringe in modo da bilanciare la pressione tra i due lati della membrana tim-
panica;
orecchio interno, in cui si trovano la coclea, il cui liquido trasmette le vibrazioni della staffa al
nervo acustico, grazie all’organo di Corti in essa presente; nell’orecchio interno si trovano anche i
tre canali semicircolari, il labirinto, l’otricolo ed il sacculo, in comunicazione col cervelletto, il
mesencefalo ed il midollo spinale, responsabili del mantenimento dell’equilibrio e della postura.
A livello della cute esistono recettori per tutta una serie di sensazioni, appunto cutanee, che si pos-
sono suddividere in:
sensazioni tattili che, a seconda della loro intensità, vengono recepiti dai corpuscoli di Meissner,
terminali nervosi superficiali, da quelli di Ruffini e da quelli di Pacini, altri meccanorecettori situati
più profondamente nel derma;
sensazioni dolorifiche percepite da terminazioni nervose che arrivano sino all’epidermide, nocicet-
tori, e dai corpuscoli di Pacini;
sensazioni di caldo e freddo percepite da termocettori che constano di terminali nervosi liberi.
Il senso del gusto è localizzato a livello della lingua nella quale sono presenti una serie di papille
gustative, chemorecettori, diversamente localizzate, in grado di riconoscere una serie di sapori. Le
papille che riconoscono i sapori dolce e salato sono localizzate nella zona anteriore, punta, della
lingua; quelle sensibili ai sapori acidi sono localizzate lateralmente, mentre quelle che percepiscono
l’amaro sono nella zona posteriore della lingua.

area del
area del-
dolce
l’amaro

area del- area del


l’acido salato

Il senso dell’olfatto è dovuto a chemorecettori dispersi nella mucosa olfattiva della volta delle fosse
nasali. Apparato digerente La bocca : lo sviluppo dei denti e le ghiandole salivari La faringe, l’esofago, lo stomaco,
l’intestino tenue e le ghiandole annesse: digestione e assorbimento del cibo Intestino crasso
151. L’intero apparato digerente ha una lunghezza di circa 9 metri. La digestione ha inizio nella
bocca dove i denti triturano il cibo in modo da facilitare la deglutizione ed aumententare la super-
ficie di attacco da parte dei diversi succhi secreti nelle varie regioni dell’apparato digerente. Le
ghiandole salivari secernono,
ghiandole salivari
parotide
sottomandibolare
sottolinguale

faringe
cavità orale lingua
palato molle

bolo alimentare
lingua

epiglottide alzata
esofago

smalto esofago pancreas cardias


trachea
piloro
fegato
smalto
corona cistifellea
stomaco
gengiva duodeno
dotto dotto
dentina biliare pancreatico

polpa colon
c. trasverso
canale ileo
c. ascendente
radicolare radice
c.discendente
legamento . sigma
ceco
canale
appendice
accessorio
forame retto
ano
paradontale osso
oltre all’enzima ptialina, un’amilasi che attacca i legami 𝛼-glicosidici di diversi polisaccaridi ini-
ziandone la degradazione a maltosio, anche il lisozima, che attacca la parete batterica esplicando
un’azione battericida. La salivazione può essere dovuta sia ad un riflesso incondizionato, dovuto al-
la presenza del cibo nella cavità orale, che ad un riflesso condizionato, dovuto alla semplice vista, o
al ricordo, del cibo stesso. La masticazione e la salivazione danno origine ad un bolo alimentare
che viene deglutito passando nell’esofago: la deglutizione è un processo concertato durante il quale
il palato molle chiude le vie nasali e l’epiglottide la trachea, impedendo al bolo di accedere alle vie
respiratorie. L’esofago è un tubo nella cui parete sono presenti muscoli lisci, disposti longitudinal-
mente e circolarmente, e l’entrata del bolo causa delle contrazioni, peristalsi, che lo sospingono
verso lo sfintere cardiaco, cardias, punto di ingresso nello stomaco (il cardias non è uno sfintere
vero e proprio in quanto manca del tipico ispessimento della muscolatura circolare).
Nello stomaco, dove il cibo sosta per 6 – 8 ore, l’acido cloridrico, HCl, uccide buona parte dei bat-
teri, ed i movimenti peristaltici disgregano il cibo; viene iniziata l’idrolisi delle proteine le cui ca-
tene vengono ridotte a peptidi per azione dell’enzima pepsina e di altre proteasi attive a pH acido.
Sempre nello stomaco, la cui parete assorbe acqua ed alcool e piccole molecole apolari, farmaci co-
me l’aspirina, viene prodotto il fattore intrinseco, una proteina che consente l’assorbimento intesti-
nale della vitamina B12, ed una cui carenza determina anemia perniciosa. La parete gastrica è pro-
tetta dall’azione dell’HCl e degli enzimi da un rivestimento di muco.
Il contenuto dello stomaco, chimo, passa nel primo tratto del duodeno, che con il digiuno e l’ileo
costituisce l’intestino tenue, tramite il piloro, un vero e proprio sfintere.
In risposta ad ormoni prodotti a livello gastrico, cole-
cistochinina e secretina, giungono nel duodeno, pro-
venienti dalla cistifellea e dal pancreas, la bile ed il sottili pareti
unicellulari
succo pancreatico. Gli acidi biliari, tensioattivi, sta-
bilizzano l’emulsione acquosa di lipidi costituitasi rete di
nello stomaco, facilitandone l’assorbimento. Nel suc- capillari

co pancreatico, oltre al bicarbonato di sodio che neu-


tralizza l’HCl proveniente dallo stomaco, sono pre-
senti tutta una serie di proteasi, tripsina e chimo-
tripsina, che continuano l’idrolisi peptidica ad am- vasi sanguigni
minoacidi, lipasi che attaccano i lipidi, dando tra
l’altro monogliceridi, acidi grassi e colesterolo, e l’amilasi pancreatica che prosegue l’idrolisi a
disaccaridi degli zuccheri. Nell’intestino tenue sono presenti tutta una serie di estroflessioni, villi
intestinali, a loro volta ricoperte da microvilli, che hanno la funzione di aumentare enormemente la
superficie di assorbimento della parete intestinale. Sui microvilli si trovano enzimi intestinali tra i
quali la saccarasi, la maltasi e la lattasi, la cui azione scinde i disaccaridi: saccarosio in glucosio e
fruttosio, maltosio in glucosio, e lattosio in glucosio e galattosio (le cellule dell’epitelio dell’inte-
stino tenue possono assorbire solo, medianti carriers specifici, amminoacidi e monosaccaridi). Una
carenza congenita, o acquisita con l’età, dell’enzima maltasi provoca diarrea e malassorbimento dei
nutrienti. Dagli enterociti dei microvilli, amminoacidi, monosaccaridi, vitamine e sali passano in
parte al circolo venoso portale, e quindi al fegato, ed in parte, lipidi, ai vasi linfatici.
Attraverso la valvola ileocecale si passa dall’intestino tenue, praticamente asettico, all’intestino
crasso, particolarmente ricco di flora batterica che interviene sia nella protezione da batteri patogeni
che nella produzione di vitamine (simbiosi). Il crasso consta dell’intestino ceco, in cui si trova
l’appendice, dei quattro tratti del colon, ascendente, trasverso, discendente e sigmoideo, o sigma,
e del retto che termina con lo sfintere anale, ano. Nel crasso, in cui il materiale proveniente dal te-
nue rimane per un tempo sufficiente a consentirne, con l’aiuto di enzimi derivati dalla flora batteri-
ca, la fermentazione, i processi di assorbimento sono relativamente ridotti e riguardano soprattutto
l’acqua. Nel colon si ha disidratazione e compattazione del materiale fecale, che viene depositato
nelle sue parti terminali ed espulso per defecazione.
I nutrienti della dieta vengono scomposti nelle loro unità fondamentali e cioè monosaccaridi, ammi-
noacidi, colesterolo, acidi grassi, glicerolo, basi azotate, o assorbiti senza modificazioni, vitamine,
sali minerali, e quindi utilizzati per la sintesi delle biomolecole dell’organismo o per ricavarne e-
nergia.
I polisaccaridi, ma non la cellulosa che non è attaccata dalle glicosidasi umane e viene espulsa nelle
feci, forniscono nel catabolismo circa 4 calorie per grammo, energia che è anche immagazzinabile
sotto forma di glicogeno nel fegato, nel muscolo, nel rene e nel cervello.
Gli amminoacidi, anche se hanno destino prevelentemente anabolico, possono essere utilizzati a
scopo energetico, con una resa praticamente uguale a quella dei polisaccaridi.
I lipidi danno invece circa 9 calorie per grammo e vengono immagazzinati a scopi energetici negli
adipociti e nel fegato. Da ricordare che le vitamine liposolubili (A, D, E e K) vengono assorbite as-
sieme ai lipidi nell’intestino tenue. Vie respiratorie e polmoni Meccanica respiratoria e scambio di gas
Regolazione del ritmo respiratorio La circolazione sanguigna Cuore e suoi movimenti Vasi sanguigni
Circolazione linfatica e ghiandole linfatiche Coagulazione Sistema immunitario
152. L’apparato respiratorio è un sistema biologico la cui funzione consiste nell’introdurre gas re-
spiratori nell’organismo e far sì che avvengano scambi gassosi con il sistema circolatorio e i tessuti.
Nell’uomo l’apparato responsabile della ventilazione è suddivisibile in tre segmenti:
vie aree superiori, costituite dal naso, le narici, le fosse nasali, i seni paranasali, le coane, il ri-
nofaringe e l’orofaringe;
vie aeree inferiori costituite dalla laringe, la trachea, i bronchi ed i bronchioli;
polmoni, costituiti dai bronchioli respiratorii, i dotti alveolari, i sacchi alveolari e gli alveoli.
Nell’inspirazione la contrazione del diaframma spinge il muscolo verso il basso, mentre i muscoli
intercostali tirano le costole verso l’alto: ciò fa aumentare il volume della gabbia toracica e dimi-
nuire la pressione alveolare, di modo che l’aria vi affluisce dall’esterno. L’espirazione ha luogo
per effetto dell’elasticità dei polmoni e della gabbia toracica, e consente l’efflusso dei gas respira-
tori dai polmoni, nell’espirazione forzata intervengono anche muscoli intercostali e sotto costali.
inspirazione espirazione

espansione del contrazione


torace del torace

costole polmoni

diaframma

contrazione
del diaframma
rilassamento
del diaframma

L’aria entra nel naso e, nelle fosse nasali, per effetto della particolare conformazione di tre sporgen-
ze ossee presenti in ciascuna di esse, turbinali nasali, assume un moto rotatorio che ne provoca il ri-
scaldamento, favorisce la sua umidificazione e fa depositare i corpi estranei relativamente più con-
sistenti. Attraverso delle aperture posteriori, coane nasali, l’aria passa in successione attraverso due
canali, la rinofaringe e l’orofaringe, canale questo condiviso con l’apparato digerente, ed arriva alla
laringe, dove si trovano le corde vocali, preposte alla fonazione. Da lì giunge, attraverso la glottide,
alla trachea, che si suddivide in due rami, i bronchi principali destro e sinistro. Ogni bronco si rami-
fica ulteriormente a dare rami sempre più numerosi e di minor calibro, bronchioli lobulari e respi-
ratori, che, attraverso i dotti alveolari, portano ai dotti alveolari ed agli alveoli.
Le strutture più esterne di questo sistema, sino ai bronchioli lobulari, sono sostenuti da strutture car-
tilaginee e presentano una mucosa ciliata e ricoperta di muco, che ha la funzione di umidificare i
gas, bloccare le polveri, e, tramite il movimento delle ciglia, convogliarle verso la glottide dove
vengono scaricate nell’esofago.

bronchiolo sacco alveolare


trachea bronco
costola dotto alveolare
bronchiolo
muscolo alveoli
intercostale

alveoli
sacco
alveolare

capillari
polmonari

cuore

polmoni
diaframma

Gli alveoli sono costituiti da cellule endoteliali che ne costituiscono la parete, da cellule interstiziali
e macrofagi, essenziali per la prima difesa dalle infezioni, relativamente frequenti nelle vie respira-
torie, da pneumociti preposti agli scambi gassosi e da altri pneumociti che secernono fosfolipidi ad
azione tensioattiva. Queste molecole si sciolgono nel velo di liquido che riveste la superficie interna
dell’alveolo e, diminuendone la tensione superficiale, rendono più facile l’espansione degli alveoli
nell’inspirazione (una carenza di questo liquido surfattante può creare gravi complicazioni nel neo-
nato). Negli alveoli i gas respiratori si sciolgono nel velo di liquido su citato, per diffusione entrano
nei pneumociti e da essi ai capillari che circondano l’alveolo secondo i loro gradienti di concentra-
zione: a livello dei capillari polmonari venosi si avrà ingresso dell’ossigeno ed uscita dell’anidride
carbonica. Nel sangue l’ossigeno è quasi tutto, 98,5%, legato all’emoglobina degli eritrociti mentre
l’anidride carbonica è in parte sciolta senza variazioni, in parte come ione bicarbonato, e in parte è
legata all’emoglobina a dare carbamminoemoglobina.
I centri nervosi respiratori si trovano a livello del midollo allungato e del ponte, formazione bulbo
– pontina, e controllano la frequenza respiratoria grazie a chemocettori, sensibili al tasso ematico
della CO2 tramite la diminuzione di pH collegata ad un suo aumento: CO2 + H2O ⇌ H + + HCO3 -.
153. Il sistema circolatorio è preposto alla circolazione del sangue, così da trasportare nutrienti, os-
sigeno, anidride carbonica ed ormoni alle, e dalle, cellule in modo da nutrirle, combattere le infezio-
ni, stabilizzare temperatura corporea e pH, mantenendo una situazione di equilibrio, omeostasi.
I componenti essenziali del sistema circolatorio, nell’uomo, sono il cuore, il sangue ed i vasi san-
guigni. In esso sono presenti una circolazione polmonare, in cui il sangue viene ossigenato, ed una
sistemica attraverso tutto il resto del corpo al quale viene conferito il sangue ossigenato.
Nel sistema circolatorio di un adulto sono presenti in media da 5 a 6 litri di sangue che consiste di
plasma, eritrociti, leucociti e piastrine.
Nella circolazione polmonare, il sangue povero di ossigeno vien pompato dal cuore, tramite l’arte-
ria polmonare ai polmoni e, ossigenato, torna al cuore tramite la vena polmonare.
Il sangue povero di ossigeno arriva nell’atrio destro del cuore dalla vena cava superiore e da quel-
la inferiore, passa, attraverso la valvola tricuspide, nel ventricolo destro, e da qui, attraverso la
valvola semilunare polmonare, nell’arteria polmonare. Dopo gli scambi gassosi alveolari, il san-
gue ossigenato, tramite la vena polmonare, ritorna all’atrio sinistro. Nella circolazione sistemica il
sangue ossigenato è pompato dal ventricolo sinistro nell’aorta, arriva a tutte le parti del corpo e ri-
torna al cuore attraverso le vene cave. La circolazione coronarica porta il sangue al muscolo car-
diaco, miocardio, tramite due arterie coronariche che originano dall’aorta; le vene coronarie ri-
portano il sangue venoso al seno coronarico e, quindi, all’atrio destro.
polmoni
arteria polmonare vena polmonare

aorta
vena cava

vena epatica fegato arteria epatica

vena porta epatica

intestino arteria mesenterica

vena renale reni arteria renale

altri organi

Il cuore pompa sangue ossigenato al corpo e sangue deossigenato ai polmoni. In esso sono presenti
un atrio ed un ventricolo per ciascuna circolazione e quindi un totale di quattro camere.
Agli atri, destro e sinistro arrivano il sangue deossigenato da tutto il corpo e, rispettivamente, quello
ossigenato dai polmoni. Dai ventricoli, destro e sinistro vien pompato il sangue deossigenato ai pol-
moni e, rispettivamente, quello ossigenato a tutto il corpo.

vena cava superiore


arteria polmonare

vene polmonari atrio sinistro

valvola bicuspide
atrio destro
ventricolo sinistro
valvola tricuspide
valvola semilunare aortica

ventricolo destro
Il cuore è costituito da due pompe indipendenti ma sincronizzate poste in serie tra di loro tramite
l’albero circolatorio.
Le cavità destre e sinistre sono divise da setti, interatriale e, rispettivamente, interventricolare
che, qualora presentino danni congeniti, o dovuti a vari effetti (infarti), consentono il passaggio del
sangue dalle une alle altre. Se il sangue passa da sinistra a destra, difetto sinistro – destro, si ha so-
vraffaticamento del ventricolo destro, che deve pompare una maggior quantità di sangue ai polmo-
ni; se invece il sangue deossigenato passa da destra a sinistra, provoca una diminuzione della quan-
tità di ossigeno nel circolo sistemico, con conseguente cianosi.
La parete del ventricolo sinistro, che deve pompare il sangue nel circolo sistemico in cui sono pre-
senti resistenze alla circolazione molto maggiori che non nella circolazione polmonare, è decisa-
mente più spessa di quella del ventricolo destro (le pressioni nelle due camere arrivano, rispettiva-
mente, a 120 mmHg e 20 mmHg in più della pressione esterna).
Le quattro valvole presenti nel cuore, tricuspide e dicuspide, o mitrale, e semilunari polmonare ed
aortica, hanno la funzione di far fluire il sangue in una sola direzione.
Le valvole atrio-ventricolari durante la contrazione dei ventricoli, sistole, sono chiuse, in quanto
bloccate da cordoni tendinei, e si aprono, consentendo il flusso di sangue dall’atrio al ventricolo,
durante la diastole.
Le semilunari presentano tre lembi a forma di tasca, con l’apertura rivolta verso l’arteria; il sangue
che esce dai ventricoli, sistole, appiattisce le tasche che lasciano libero il passaggio, mentre un e-
ventuale riflusso sanguigno le gonfia,diastole, bloccando la comunicazione con l’aorta o con l’ar-
teria polmonare.
Il cattivo funzionamento delle valvole si può configurare come un’insufficienza, che consente ri-
flusso, o come una stenosi, restringimento, che rende più difficile il passaggio del sangue.
Il ciclo cardiaco è l’insieme dei fenomeni, compresi tra un battito cardiaco ed il successivo, che
hanno luogo nel cuore e può essere diviso in 5 stadi.
Il primo corrisponde alla chiusura delle valvole semilunari, all’apertura di quelle atrioventrico-
lari, con il cuore rilassato;
nel secondo, sistole atriale, si ha contrazione degli atri e passaggio di sangue da essi ai ventricoli;
il terzo, contrazione ventricolare isovolumetrica, si ha quando, con tutte le valvole chiuse i ventri-
coli iniziano a contrarsi, con aumento di pressione ma a volume costante;
nel quarto, eiezione ventricolare, i ventricoli sono vuoti e contratti e le valvole semilunari sono
aperte;
nel quinto, rilassamento ventricolare isovolumico, i ventricoli iniziano a rilassarsi, la pressione di-
minuisce e le valvole semilunari sono chiuse.
La frequenza cardiaca indica il numero di battiti al minuto, circa 70 in media, dovuti alla chiusura
quasi contemporanea delle due valvole atrioventricolari. Ad ogni battito i ventricoli eiettano circa
70 cc di sangue, gittata o volume sistolico, e pertanto, in un minuto, il cuore pomperà circa 5000
cc, cioè 5 litri, di sangue (gittata cardiaca).
Le pressioni massima e minima nel ventricolo destro, corrispondenti rispettivamente alla sistole
ed alla diastole di questa cavità, sono di 120 e di 70 mmHg superiori alla pressione esterna (che è
mediamente 760 mmHg).
Il ciclo cardiaco è coordinato da una serie di impulsi elettrici prodotti da miociti presenti nel nodo
seno atriale e che si diffondono a tutto il miocardio, raggiungendo prima gli atrii ed il nodo atrio-
ventricolare e successivamente i miociti dei ventricoli: per questo motivo la contrazione degli atri,
sistole atriale, precede quella dei ventricoli, sistole ventricolare.
Il propagarsi dello stimolo elettrico attraverso il sistema di conduzione del cuore genera delle cor-
renti, e quindi delle differenze di potnziale, che possono essere registrate con opportune tecniche, e
la cui intensità, nel tempo, si può utilizzare per seguire, e valutare la regolarità, del ciclo cardiaco.
La rappresentazione di quanto esposto si realizza mediante un elettrocardiogramma in cui sono pre-
senti tratti caratteristici, periodici, correlabili alle varie attività del muscolo cardiaco.
0,8 s

0,06 - 0,12 s

0,06 - 0,09 s

Nell’elettroecefalogramma sopra riportato l’onda P corrisponde alla depolarizzazione, contrazione,


del miocardio atriale, il complesso QRS all’eccitazione, contrazione, dei ventricoli, e l’onda T alla
loro ripolarizzazione, rilassamento. Nell’esempio la distanza tra due punti corrispondenti qualsiasi,
battito, è di 0,8 secondi e quindi la frequenza sarà di 60 / 0,8 = 75 battiti / minuto.
154. I vasi che trasportano il sangue attraverso il corpo sono fondamentalmente di tre tipi, arterie,
che portano via il sangue dal cuore, i capillari grazie ai quali sono possibili tutta una serie di scam-
bi di varie sostanze tra il sangue ed i tessuti, e le vene che riportano il sangue al cuore.
Sia le arterie che le vene constano di tre strati, anche se di diverso spessore; dall’interno essi sono:
la tonaca intima, lo strato più sottile, un monostrato costituito da cellule endoteliali legate da una
matrice polisaccaridica e circondato da uno strato di connettivo in cui sono presenti bande elastiche
circolari, lamina elastica interna;
la tonaca media, lo strato più spesso nelle arterie, costituito da fibre elastiche disposte circolar-
mente e separata dallo strato successivo dalla lamina elastica esterna; questa tunica, specialmente
nelle arterie, può presentare muscolatura vascolare liscia che, sotto il controllo del sistema ortosim-
patico, regola il calibro del vaso;
la tonaca avventizia, lo strato più spesso nelle vene, interamente costituito da connettivo e conte-
nente sia terminazioni nervose che, nei vasi più grandi, capillari con funzione nutritizia (vasa vaso-
rum).
Le arterie e le vene si continuano rispettivamente con le arteriole e le venule collegate dai capillari.
Le arteriole sono i vasi in cui, grazie alla muscolatura liscia che circonda il loro endotelio, viene re-
golato l’afflusso del sangue ai capillari (vasi di resistenza).
Mentre la parete muscolare delle arterie fa sì che esse siano distese e, contraendosi ed espandendosi,
genera una pressione sufficiente, da 80 a 120 mmHg, al progresso del sangue, nelle vene la pressio-
ne è decisamente minore, 10 mmHg al massimo, e, per impedire il riflusso del sangue, specialmente
nei distretti corporei inferiori, sono presenti valvole cosiddette a “nido di rondine”.
La vasodilatazione e la vasocostrizione, provocate rispettivamente da ossido di azoto endogeno,
NO, e da vari fattori quali ormoni paracrini, come le prostaglandine, dagli ormoni vasopressina ed
angiotensina e da neurotrasmettitori come l’adrenalina (epinefrina), intervengono nel controllo
della temperatura corporea (una vasodilatazione aumenta la superficie attraverso la quale si può di-
sperdere il calore e viceversa).
A livello dei capillari, la permeabilità dell’endotelio consente tutta una serie di scambi con i tessuti
ed il passaggio di cellule del sangue preposte alla risposta infiammatoria ed immunitaria.
Tra i vasi più importanti vanno ricordati l’aorta, l’arteria più grande che, partendo dal cuore, si ra-
mifica a dare le arterie carotidi, le succlavie, la celiaca, le arterie mesenteriche, le arterie renali e
le arteria iliache. Sono, invece, importanti vene le vene cave, superiore ed inferiore, le vene suc-
clavie, le vene giugulari, le vene renali e le vene iliache.
Ricordiamo che specie nel collo e negli arti le arterie sono localizzate in modo relativamente pro-
fondo sotto la superficie corporea mentre le vene sono più vicine alla superficie.
155. A livello tissutale, sia a causa del gradiente pressorio che della permeabilità dai capillari ar-
teriosi, si ha un passaggio di liquido nel tessuto connettivale. In parte tale liquido è riassorbito a
livello dei capillari venosi e in parte dai capillari linfatici, vasi a fondo cieco, drenaggio.
cellule tissutali

capillare linfatico
interstizi

venula
venule
arteriola

linfa
vaso linfatico

Dai capillari il liquido, linfa, che ha composizione analoga a quella del plasma, passa ai vasi lin-
fatici e quindi ad un linfonodo, nel quale confluiscono una serie di vasi linfatici afferenti, e dal
quale emergono vasi linfatici efferenti che portano la linfa ad altri linfonodi, ad una vena o a dotti
linfatici di maggior calibro, dotto toracico, che arrivano ad una delle vene succlavie.
Il movimento della linfa è dovuto, nei vasi maggiori, anche alla contrazione ed al rilassamento di
tessuto muscolare liscio, ma, soprattutto, alle contrazioni della muscolatura scheletrica adiacente ed
alle pulsazioni delle arterie, peristalsi.
L’unidirezionalità del flusso è assicurata dalla presenza di valvole a nido di rondine.
Nel liquido di drenaggio, oltre a cellule preposte alla difesa immunitaria, sono presenti buona parte
dei lipidi assorbiti a livello enterico sotto forma di chilomicroni, microscopiche goccioline apolari
circondate da un sottile strato di proteine che permettono il loro trasporto nel sangue o, appunto,
nella linfa. Disfunzioni del sistema linfatico provocano l’accumulo di liquido nei tessuti: edema.
156. La coagulazione, trombogenesi, è un importante processo dell’emostasi.
La perdita di sangue da un vaso danneggiato viene impedita per ricoprimento della lesione con un
coagulo insolubile costituito da piastrine e fibrina.
Disfunzioni di questo processo possono avere come conseguenza emoraggie o trombosi (forma-
zione di uno o più coaguli, trombi, che ostruiscono i vasi sanguigni).
Il danno all’endotelio vasale libera nel sangue un fattore tissutale che provoca un cambiamento nel-
la forma delle piastrine, da globulari a stellate, e rende la loro membrana più affine per una proteina
del sangue, il fibrinogeno, di modo che si forma un ammasso di piastrine legate da fibrinogeno, che
costituisce un tappo, trombo bianco, nella regione del danno (le piastrine attivate dal fattore tissu-
tale liberano inoltre sostanze che attivano altre piastrine promuovendone l’aggregazione).
Contemporaneamente il fattore tissutale si lega ad una molecola presente nel circolo sanguigno, fat-
tore VII, dando un complesso dotato di attività peptidasica (in grado cioè di attaccare il legame pep-
tidico). Tale complesso attiva un altro enzima che con la stessa modalità, ed eventualmente coadiu-
vato nella sua azione da un cofattore sanguigno, ne attiva un altro in una cascata di reazioni (cascata
in quanto ad ogni passaggio si ha amplificazione dell’effetto dato che ciascun enzima della seguen-
za attiva un gran numero di molecole dell’enzima successivo) che termina nella conversione della
protrombina in trombina. Si arriva allo stesso risultato oltre che con questo processo, estrinseco,
anche con un altro processo, intrinseco, meno veloce ma più potente. La trombina, comunque for-
mata, trasforma il fibrinogeno in fibrina l’unità costitutiva del tappo emostatico definitivo. I proces-
si in questione richiedono ione calcio e vitamina K. Nel sangue sono presenti enzimi che impedi-
scono che la coagulazione si estenda al di là della zona in cui è richiesta. Una volta che il danno va-
sale sia stato riparato la plasmina, attacca il coagulo che viene eliminato.
Agenti anticoagulanti, come l’eparina, che impedisce l’azione della vitamina K, l’EDTA ed il citra-
to che legano lo ione calcio, impediscono la coagulazione. La coagulazione è inoltre compromessa
dalla carenza di origine genetica, emofilia, di alcuni fattori coinvolti nella coagulazione (VIII o IX).
157. Il sistema immunitario nell’uomo, e negli altri vertebrati, protegge l’organismo dalle infe-
zioni, con una successione di difese di specificità crescente.
A livello della cute l’ingresso dei microrganismi è ostacolato sia meccanicamente che chimicamen-
te. Il sebo, secreto dalle ghiandole sebacee, è acido ed ha effetto batteriostatico; nelle mucose la sa-
liva ed il fluido lacrimale dilavano i microbi e contengon sostanze ad azione antibatterica ed antivi-
rale (lisozima); il muco intrappola i microrganismi e le cellule ciliate li espellono, l’HCl gastrico
uccide i batteri e la flora intestinale compete con essi per i nutrienti.
I microrganismi che superano queste barriere sono fagocitati da tutta una serie di tipi cellulari: neu-
trofili, macrofagi... Il danno tissutale e l’infezione inducono il passaggio nei tessuti dai capillari a-
diacenti, che è mediato dall’istamina dei mastociti, di tutta una serie di sostanze, nonchè di fagociti
e linfociti.
Oltre a questo livello di difesa non specifico, immunità innata o aspecifica, i vertebrati posseggo-
no un secondo livello di difesa, immunità acquisita o specifica, che, attivato dal primo, entra in
azione più lentamente. Esso adatta la sua risposta rendendola specifica per l’agente patogeno re-
sponsabile dell’infezione e tale specificità viene memorizzata consentendo al sistema immunitario,
in un eventuale sucessivo incontro con lo stesso patogeno, di attaccarlo più velocemente e più inten-
samente e dando all’organismo un’immunità durevole nei suoi confronti.
Sia la risposta innata che quella adattativa richiedono che il sistema immunitario sia in grado di di-
stinguere tra molecole self, componenti dell’organismo, e molecole non self, estranee ad esso: le
molecole non self che, legando recettori specifici delle cellule del sistema immunitario, provocano
una risposta immunitaria si dicono antigeni.
Le cellule del sistema immunitario specifico sono particolari tipi di leucociti detti linfociti tra i qua-
li i più importanti sono i B ed i T, che derivano da cellule staminali ematopoietiche del midollo os-
seo. I primi sono coinvolti nella risposta umorale, secrezione di anticorpi, ed i secondi in quella
cellulo mediata. Sulla loro membrana sono presenti recettori che riconoscono un bersaglio non self
ed attivano il linfocita stesso attraverso due modalità diverse.
Per i linfociti T è necessario che un patogeno sia stato fagocitato e frammentato, processazione
dell’antigene, da altre cellule (ACP: cellule presentati l’antigene) tra cui i macrofagi, e i frammenti,
antigeni, siano esposti sulla membrana di tali cellule in associazione con una molecola del com-
plesso maggiore di istocompatibilità (MHC o HLA).
I linfociti B invece hanno come recettore di membrana un anticorpo in grado di riconoscere gli
antigeni senza che essi siano stati in alcun modo processati: ognuna delle numerosissime linee di
linfociti B esprime un anticorpo diverso.
Le cellule T attivate possono essere, semplificando, di due tipi, killer ed helper.
Le prime percorrono tutto l’organismo ricercando ed uccidendo cellule che rechino sulla loro mem-
brana il complesso MHC- antigene che le ha attivate (per esempio cellule tumorali o infettate da vi-
rus). Le T helper, invece, secernono sostanze, citochine, che attivano i macrofagi e le T killer; esse
inoltre legano linfociti B dotati degli anticorpi di membrana complementari all’antigene che le ha
attivate e fanno sì che essi si trasformino in plasmacellule che si moltiplicano rapidamente, dando
un gran numero di cellule identiche, clone cellulare, e producono grandi quantità dell’anticorpo
specifico per l’antigene. Una parte dei linfociti B si trasforma in cellule memoria, cellule con una
durata di vita relativamente lunga che, ad un successivo incontro con lo stesso patogeno, sono in
grado di dare una risposta umorale molto più pronta ed intensa.
I vari tipi di anticorpi, immunoglobuline, sono tetrameri proteici in cui sono presenti regioni in
grado di legare in modo specifico antigeni liberi, macromolecole, o presenti sulla membrana cel-
lulare di un patogeno. Un anticorpo è in grado di legare contemporaneamente più antigeni, e ciò
porta alla loro agglutinazione che li rende più facilmente attaccabili da cellule fagocitarie.
Mentre i linfociti B si generano e maturano nel midollo osseo la maturazione dei linfociti T avviene
nel timo, una ghiandola che con l’età perde buona parte della sua funzione.
Il riconoscimento degli antigeni è facilitato dalla loro accumulazione negli organi linfoidi periferi-
ci,in cui ricircolano continuamente le cellule del sistema immunitario. Sono organi di questo tipo i
linfonodi, la milza (in cui vengono anche distrutti i globuli rossi arrivati alla fine del loro ciclo vita-
le) e vari sistemi linfoidi associati alle mucose gastroenteriche, alle mucose dei bronchi ed alla pelle
(l’insieme di questi sistemi è detto MALT).
Disfunzioni del sistema immunitario sono causa di allergie e cioè di risposte sproporzionate, iper-
sensibilità, all’antigene che possono arrivare sino allo shock anafilattico.
Le immunodeficienze sono invece carenze più o meno consistenti a livello della funzionalità di
qualcuno dei livelli di difesa del sistema immunitario.
Una patologia autoimmune consiste invece in un’alterazione del sistema immunitario che compor-
ta risposte dirette contro tessuti o organi dell’organismo stesso (tiroidite di hashimoto, artrite reuma-
toide, lupus eritematoso sistemico).
L’acquisizione dell’immunità nei confronti di un patogeno, immunità acquisita, può essere passiva
o attiva. Nel primo caso ha breve durata e deriva dall’acquisizione di cellule o siero da individui già
immunizzati (è naturale se deriva dal passaggio trasplacentare di IgG o dall’acquisizione di anticor-
pi con il latte materno). Nel secondo caso ha lunga durata e deriva dal contatto diretto con l’antige-
ne (la vaccinazione è un’immunità acquisita attiva artificiale).
Apparato escretore Struttura del rene Nefrone e concentrazione dell’urina Vie urinarie Sistema endocrino
Comunicazione cellulare e secondi messaggeri L’ipofisi e i suoi principali ormoni L’epifisi Tiroide e paratiroidi
Pancreas endocrino Ghiandole surrenali Gonadi maschili e femminili
158. L’apparato urinario produce, immagazzina ed elimina l’urina. L’urina si forma nei due reni
per filtrazione del sangue e passa, tramite gli ureteri alla vescica, dove viene immagazzinata e, suc-
cessivamente, espulsa, minzione, attraverso l’uretra.
L’apparato urinario ha diverse funzioni: eliminazione dei prodotti di rifiuto soprattutto sotto forma
di urea e di acido urico; regolazione del bilancio elettrolitico; regolazione dell’omeostasi acido –
basica (mantenimento del pH a valore costante); controllo del volume e della pressione sanguigna.
Ogni rene è ricoperto di una capsula di tessuto connettivo al di sotto della quale presenta la regione
coricale esterna e midollare interna. Questa è costituita dalle cosiddette piramidi ai vertici delle
quali si trovano le papille renali.
L’unità strutturale e funzionale del rene è il nefrone costiutuito dal glomerulo, dalla capsula di
Bowman, dal tubulo contorto prossimale, dall’ansa di Henle, dal tubulo contorto distale e dal
dotto collettore che sbocca a livello della papilla renale.

Midollo e
piramidi Corteccia

Calice

Arteria renale
Papilla
Vena renale
Calice

Pelvi

Capsula Rene
Uretere
Nefrone

Tubulo contorto distale

Dotto collettore corticale

Tubulo contorto prossimale

Glomerulo e capsula di
Bowman
Corteccia

Midollo
Ansa di Henle
tratto discendente Ansa di Henle
tratto ascendente

Dotto collettore midollare

Il glomerulo è un gomitolo di capillari contenuto nella capsula di Bowman. A causa del gradiente di
pressione il sangue filtra attraverso le pareti dei capillari ed entra nella capsula (corpi figurati e ma-
cromolecole proteiche, albumina, non possono passare) da cui arriva al tubulo contorto prossimale,
dove l’acqua viene riassorbita per osmosi di modo che il liquido nel tubulo si concentra. Lo stesso
fenomeno si ha a livello del dotto collettore midollare, con l’effetto che i 180 L filtrati dai reni nelle
24 ore si riducono a 1 – 1,5 litri di urina. Oltre all’acqua vengono riassorbite anche tutte una serie di
sostanze utili come il glucosio e gli amminoacidi e vengono secrete nell’urina altre sostanze di ri-
fiuto.
A livello renale vengono prodotte l’eritropoietina , un fattore che regola l’emopoiesi, e la renina,
una peptidasi che attiva l’angiotensinigeno ad angiotensina che, ulteriormente modificata a livello
polmonare, da un lato aumenta la pressione arteriosa, e dall’altro provoca nella corticale del surrene
la secrezione di aldosterone che promuove il riassorbimento renale di ione sodio e quindi, per o-
smosi, anche dell’acqua (l’ADH, ormone antidiuretico ipofisario, ha effetto opposto).
159. Il corretto funzionamento dell’organismo e la realizzazione dell’omeostasi, il mantenimento
cioè delle concentrazioni ottimali dei vari componenti in soluzione nei liquidi biologici, richiede un
continuo scambio di “informazioni” tra le varie cellule costituenti i tessuti, gli organi e gli apparati.
Le cellule di un tessuto in crescita, per esempio, limitano il loro sviluppo, quando entrano in stretto
contatto con altre cellule uguali o diverse, a seguito dell’interazione di opportuni recettori di mem-
brana. Una disfunzione nel funzionamento di tali recettori, che si verifica, per esempio, nelle cellule
oncogene, fa perdere tale inibizione da contatto e porta alla genesi di un tumore.
La costanza del pH del plasma, e del citoplasma degli eritrociti, è fondamentale per la funzionalità
del tessuto sanguigno ed è regolata per intervento più o meno diretto del rene e dell’apparato respi-
ratorio, grazie ai quali si modificano le composizioni dei principali tamponi presenti in questo tessu-
to. Il più importante tampone plasmatico è costituito dalla coppia H2CO3 / HCO3- (acido carbonico /
bicarbonato), mentre a livello degli eritrociti è presente il tampone H2CO3 / HCO3 – (diidrogeno fo-
sfato / idrogeno fosfato).
Oltre che dal sistema nervoso, le informazioni necessarie alla regolazione di tutta una serie di pro-
cessi vitali derivano dall’apparato endocrino, un insieme di ghiandole che secernono direttamente
nel circolo sanguigno vari tipi di ormoni i quali esplicano la loro azione su cellule fornite di recet-
tori specifici per gli ormoni stessi ( a seconda che i tessuti bersaglio dell’ormone siano lontani, vici-
ni oppure coincidano con il tessuto che ha secreto l’ormone, si parla di secrezione endocrina, pa-
racrina o, rispettivamente, autocrina).
SNC
Epifisi

Ipotalamo
Melatonina Fattori di
rilascio e di
inibizione Assoni

Ipofisi Ipofisi Midollare


anteriore posteriore del surrene

Corticotropina Tireootropina .
. ACTH FSH LH Prolattina GH
. TSH
Vasopressina

Pancreas Ossitocina
Corteccia Tiroide Adrenalina
Testicoli Ovaie β
surrenale Paratiroide Noradrenalina
α
T3 T4 Testosterone Insulina
Calcitonina .
Progesterone
Corticosteroidi Paratormone
Glucagone
Organi Arteriole
Muscolo
Ossa Fegato riproduttori
Rene Epatociti
Vari Muscolo liscio
Adipociti
tessuti Ghiandole Rene Fegato
Miociti
mammarie Muscolo
scheletrico
Cuore

L’ipotalamo produce una serie di fattori peptidici che, sotto il controllo del sistema nervoso centra-
le, regolano la funzione dell’ipofisi, ad esso collegata tramite il peduncolo ipofisario. Inoltre, trami-
te gli assoni di neuroni particolari, invia all’ipofisi posteriore, neuroipofisi, gli ormoni vasopressi-
na (ADH) che regola il tono vasale ed il riassorbimento d’acqua nei nefroni, ed ossitocina che pro-
muove la contrazione uterina e la lattazione.
L’epifisi, o ghiandola pineale, secerne la melatonina che regola il ritmo circadiano, sonno / veglia.
L’ipofisi anteriore, o adenoipofisi, secerne l’ormone della crescita, GH, che stimola la crescita e
la riproduzione cellulare, e la prolattina, che stimola la sintesi del latte ed il suo rilascio a livello
delle ghiandole mammarie. Inoltre l’adenoipofisi secerne tutta una serie di tropine, peptidi, che sti-
molano la secrezione di altri ormoni da tutta una serie di tessuti:
il TSH induce a livello della ghiandola tiroide la sintesi e la secrezione di triiodotironina, T3, e
tiroxina,T4, nonchè l’assorbimento dal circolo sanguigno di ione ioduro necessario per la sintesi
degli ormoni tiroidei; T3 e T4 aumentano la velocità del metabolismo basale incrementando il cata-
bolismo ed il consumo di ossigeno; la tiroide produce inoltre la calcitonina che regola il metaboli-
smo osseo in antagonismo con il paratormone, secreto dalle 4 ghiandole paratiroidi quando si ab-
bassa la calcemia: il PTH stimola il rilascio di ione calcio dalle ossa e promuove il suo riassorbi-
mento nel rene ripristinando la calcemia;
l’ACTH, agisce sulla corteccia delle ghiandole surrenali stimolando sintesi e produzione degli or-
moni corticoidi e degli steroidi sessuali: i corticoidi si dividono in mineralcorticoidi, che sono pre-
posti alla regolazione del bilancio idrico e salino, come l’aldosterone, la cui secrezione è però indi-
pendente dall’ACTH, e in glicocorticoidi, cortisone e cortisolo, che intervengono nel metabolismo
glicidico ed hanno azione antiinfiammatoria; gli steroidi sessuali, androgeni, estrogeni e progeste-
rone intervengono nell’espressione dei caratteri sessuali secondari;
l’ FSH, ormone stimolante il follicolo, e l’ormone luteinizzante, LH, agiscono sulle gonadi, ghian-
dole sessuali; il primo stimola la maturazione del follicolo nelle ovaie e la spermatogenesi, mentre
il secondo stimola l'ovulazione, la formazione del corpo luteo e la sintesi di testosterone da parte
delle cellule interstiziali di Leydig.
A livello delle cellule 𝜶 e 𝜷 (isole di Langerhans) del pancreas vengono prodotti e secreti gli or-
moni peptidici glucagone ed insulina. Il primo, se la glicemia si abbassa, la fa aumentare stimolan-
do la glicogenolisi e la gluconeogenesi a livello epatico, mentre il secondo, con azione antagonista,
in condizioni di glicemia elevata, aumenta il prelievo di glucosio dal sangue, specie a livello del fe-
gato e del muscolo, e quello dei lipidi a livello degli adipociti: l’insulina è un ormone anabolizzan-
te. Una disfunzione nella produzione dell’ormone o dei suoi recettori ha come conseguenza l’innal-
zamento della glicemia e l’escrezione di glucosio nelle urine, glicosuria, come si verifica nel diabete
mellito.
Nella midollare delle ghiandole surrenali vengono prodotti, e secreti sotto controllo del sistema
nervoso ortosimpatico, gli ormoni adrenalina e noradrenalina responsabili delle cosiddette rea-
zioni “combatti o fuggi”. L’adrenalina, secreta in risposta ad un forte stimolo nervoso, va in circolo
e, molto velocemente, aumenta le disponibilità energetiche dell’organismo aumentando la frequenza
respiratoria nonchè la frequenza e la gittata cardiaca: ciò, assieme all’incremento dei processi cata-
bolici, glicogenolisi epatica e muscolare ed idrolisi dei lipidi negli adipociti, aumenta la disponibili-
tà di ossigeno e di glucosio per i muscoli e per il cervello.
Apparato genitale maschile Apparato genitale femminile. Ciclo mestruale. Gravidanza e parto Regolazione della produ-
zione degli ormoni sessuali.
160. Gli organi genitali esterni, nell’apparato riproduttivo maschile umano, sono il pene, prepo-
sto alla copulazione, e lo scroto, una struttura bursiforme sottostante al pene in cui sono alloggiati i
testicoli, la cui funzione contrattile consente di avvicinarli in misura diversa al corpo, mantenendoli
a temperatura costante, fattore essenziale della spermatogenesi. Fanno parte degli organi genitali in-
terni i testicoli, in cui ha luogo la spermatogenesi e la sintesi del testosterone, gli epididimi, struttu-
re tubulari in cui si raccolgono e maturano gli spermatozoi, il dotto spermatico, che convoglia gli
spermatozoi alla cavità pelvica, le ghiandole accessorie, tra cui la prostata, che secernono fluidi
che lubrificano il dotto spermatico e forniscono nutrimento, fruttosio, agli spermatozoi.
L’apparato riproduttivo femminile consta della vulva, della vagina, con funzione recettrice per
gli spermatozoi, dell’utero, in cui si impianta e matura l’uovo fecondato, zigote, delle tube di Fal-
loppio, in cui normalmente avviene la fecondazione, cioè la fusione tra uovo e spermatozoo, e delle
ovaie, in cui vengono prodotti i gameti femminili, gli estrogeni ed il progesterone.

tube di Falloppio utero


fecondazione

fimbrie

cervice follicoli in sviluppo


ovaia
vagina endometrio
Nel corso della vita fetale l’ovogenesi porta alla formazione nelle ovaie di un gran numero di ovo-
goni che, nel quinto mese, arrivano a 6 – 7 milioni. Successivamente avvengono fenomeni degene-
rativi, atresia, che ne riducono notevolmente il numero, di modo che alla la pubertà ne restano circa
400.000, fermi nello stadio di diplotene (profase della prima divisione meiotica).
Gli ovociti, sono circondati da un piccolo numero di cellule follicolari (follicolo primario).
Alla pubertà un migliaio di ovociti ogni 28 giorni vengono “reclutati” e continuano la fase meiotica,
arrivando alla metafase della seconda divisione meiotica. Degli ovociti reclutati solo 1 o 2 arrive-
ranno all’ovulazione, mentre tutti gli altri andranno incontro ad atresia, secondo tutta una serie di
processi controllati dall’LH, dall’FSH, dall’estradiolo e dalla gonadotropina.
L’ovulazione, a metà del ciclo, è preceduta da un picco nel tasso di gonadotropina, seguito imme-
diatamente da un picco in quello dell’LH. L’uovo maturo, che emerge dal follicolo, il quale dà ori-
gine al corpo luteo, viene catturato dalle fimbrie e spinto, cellule ciliate, su per le tube di Falloppio,
ovidotti, a livello delle quali avviene eventualmente la fecondazione per incontro con uno spermato-
zoo (che determina il sesso del nascituro a seconda che contenga un cromosoma sessuale (X o Y).
Se in 24 ore la fecondazione non ha luogo, l’uovo disintegra e si ha il flusso mestruale, altrimenti
avviene l’impianto nell’utero ed inizia la gravidanza. Nella prima metà del ciclo mestruale le ovaie
producono piccole quantità di progesterone ma dopo la fecondazione il corpo luteo ne produce
grandi quantità che favoriscono la fecondazione e l’impianto della cellula uova nell’endometrio u-
terino. Durante la gravidanza questo ormone impedisce che abbiano luogo altre ovulazioni.
. 1° giorno 14° giorno 28° giorno

Tassi ormonali

FSH
LH
Estrogeni
Progesterone
Sistema nervoso

Organizzazione del sistema nervoso nei Vertebrati Sistema nervoso centrale e sistema nervoso periferico con relative
suddivisioni Encefalo: telencefalo e aree della corteccia cerebrale, diencefalo, tronco encefalico e cervelletto Midollo
spinale e vie nervose:sensoriali e motorie Sistema autonomo
161. Dal punto di vista anatomico il sistema nervoso è suddivisibile come segue.
Sistema nervoso centrale, SNC, costituito dall’encefalo, che comprende il cervello, il cervelletto
ed il tronco dell’encefalo e dal midollo spinale,
Cervello
Corpo calloso
Ventricoli

Talamo
Ipotalamo Mesencefalo
Ipofisi
Ponte Cervelletto
Midollo
Tronco dell’encefalo
o bulbo
Il cervello, rivestito dalle tre membrane che costituiscono le meningi, è formato dal telencefalo (e-
misferi cerebrali lobati separati dal corpo calloso) e diencefalo (talamo, ipotalamo, ipofisi ed epifi-
si). La parte esterna , corteccia è formata di sostanza grigia, cioè dal corpo cellulare, soma, dei
neuroni, mentre quella interna consta di sostanza bianca, fibre mieliniche: sia nella sostanza grigia
che in quella bianca è presente tutta una serie di cellule acces-sorie, oligodendrociti mielinizzati e
microglia.
La sostanza bianca mette in relazione le varie aree della corteccia:
aree sensorie, che ricevono ed eleborano le informazioni sensoriali, mediate dal talamo;
aree motorie, che controllano i movimenti volontari (le aree motorie dell’emisfero sinistro control-
lano la parte destra del corpo e viceversa;
aree associative, sono la sede del pensiero astratto e del linguaggio (le aree deputate a quest’ultima
attività sono principalmente quelle di Wernicke e di Broca).
Il cervelletto è suddiviso in due emisferi, che constano di sostanza grigia e bianca; è coinvolto nel-
l’apprendimento, nella funzione motoria e nel linguaggio.
Il tronco dell’encefalo contiene centri per i riflessi visivi ed auditivi e neuroni di nuclei, sensitivi e
motori dei nervi cranici (dodici paia).
Il midollo spinale è la porzione extracranica dell’SNC, un fitto fascio di neuroni alloggiato nel ca-
nale vertebrale. Esso è l’origine di 31 paia di nervi spinali. La sostanza bianca è verso l’e-sterno
mentre quella grigia è disposta internamente a formare delle corna ventrali e dorsali da cui
emergono le radici anteriori, motorie, e posteriori, sensitive e formanti un ganglio, dei nervi spi-
nali.

4 2

1.Corno anteriore
2. Corno posteriore
3. Radice anteriore
4. Radice posteriore
5. Ganglio spinale

Il sistema nervoso periferico è costituito dai nervi cranici e dai nervi spinali in cui la mielinizza-
zione degli assoni è dovuta alle cellule di Schwann, e si suddivide a sua volta in sistema motorio e
sistema sensoriale. Il sistema motorio si divide in sistema somatico, volontario, e sistema autono-
mo, o vegetativo, che, infine, è diviso in ortosimpatico, parasimpatico e metasimpatico.
Il sistema nervoso autonomo innerva gli organi interni controllando funzioni in genere escluse dal
controllo volontario quali il movimento della muscolatura liscia, l’attività cardiaca e la secrezione
ghiandolare.
Il sistema metasimpatico, o enterico, controlla il tratto intestinale, cistifellea e pancreas compresi.
Il sistema parasimpatico è interessato a funzioni viscerosensitive e somatosensitive, alla broncoco-
strizione, alle peristalsi gastroenteriche, all’eccitazione della secrezione da parte del pancreas e del
fegato e, a livello oculare, controlla la midriasi. Il neurotrasmettitore presente nel parasimpatico è
l’acetilcolina, lo stesso che interviene a livello della placca motrice del muscolo scheletrico.
Il sistema ortosimpatico ha innervazioni che esplicano azioni opposte a quelle del parasimpatico:
broncodilatazione, vasocostrizione, tachicardia, costrizione sfinterica (miosi). Utilizza come neu-
rotrasmettitori l’adrenalina e la noradrenalina e, come già detto, interviene nelle reazioni “com-
batti o fuggi”.

Sistema nervoso centrale (SNC)


Cervello e midollo spinale
Centri di controllo e di integrazione

Sistema nervoso periferico (SNP)


Nervi craniali e spinali
Linee di comunicazione tra l’SNC e il resto del corpo

Sistema motorio (efferente)


Sistema sensorio (afferente)
Fibre nervose motorie
Fibre nervose sensorie somatiche e viscerali
Convoglia impulsi dall’SNC agli effettori
Convoglia impulsi dai recettori all’SNC
(muscoli e ghiandole)

Sistema somatico (volontario)


Fibre motorie somatiche
Sistema autonomo (involontario)
Convoglia impulsi dall’SNC ai
Fibre motorie viscerali
muscoli scheletrici
Convoglia impulsi dall’SNC al muscolo
cardiaco, al muscolo liscio ed alle ghiandole

Sistema ortosimpatico Sistema parasimpatico


Attiva i sistemi corporei Controlla le funzioni di conservazione
nelle reazioni “combatti o fuggi” . di energia ed i processi di
. mantenimento durante il riposo

Das könnte Ihnen auch gefallen