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La frequenza di un allele in una popolazione è il rapporto tra il numero di copie di tale allele
nella popolazione ed il numero totale di alleli. Per esempio nel semplice caso di una patologia auto-
somica recessiva per cui esistano gli alleli A ed a, una frequenza del 6% dell’allele a significa che
ogni 100 alleli A ed a, 6 sono del tipo non dominante, a.
Nel caso che la popolazione sia in equilibrio, il numero di alleli di ognuno dei due tipi è costante ed
alla popolazione stessa può essere applicata la legge di Hardy – Weinberg.
Tale legge è applicabile per popolazioni molto numerose in condizioni di panmissia, e cioè per
accoppiamenti casuali, e con il tasso di mutazione compensato da quello di retromutazione.
Supponendo che le frequenze dell’allele A e di quello a siano, rispettivaamente, p e q, dalle leggi
della probabilità si ricava immediatamente che la frequenza degli omozigoti nell’allele dominante,
AA, nella popolazione sarà p ∙ p = p2, quella degli omozigoti nell’allele recessivo, aa, sarà q ∙ q =
q2, mentre quella degli eterozigoti, Aa, sarà p ∙ q + q ∙ p = 2pq (si ha un eterozigote se un allele A
“incontra” un allele a e se un allele a incontra un allele A. Quindi, se si determina sperimentalmente
la frequenza degli omozigoti recessivi, q2, che nel caso esemplificato di una patologia recessiva sa-
ranno riconoscibili perchè affetti, sarà q = �𝒒𝟐 e, siccome deve essere p + q = 1, si può ricavare la
percentuale degli omozigoti dominanti, 1 – q, e quella degli eterozigoti, 2pq.
Quindi, se la percentuale di affetti in una popolazione è, per esempio, dello 0,81 %, sarà q2 =
0,0081, e la frequenza dell’allele q sarà q = = √0,0081 = 0,09 da cui le frequenze degli omozigoti
dominanti e dei portatori sani saranno p = 1 – 0,09 = 0,91 e 2 pq = 2 ∙ 0,09 ∙ 0,91 = 0,1638 (difatti
0,092+ 0,912 + 0,1638 = 1).
Nel caso di geni legati al sesso, va notato che i maschi non sono eterozigoti, in quanto in emizigosi
per tutti, praticamente, i geni legati al cromosoma X. Quindi mentre la legge su vista è valida per le
femmine, per i maschi la frequenza allelica e quella genotipica coincidono.
Se in una popolazione 1 maschio su 10000 è emofiliaco, allora l’allele dell’emofilia nella popola-
zione maschile avrà una frequenza di 1 su 10000 e, dato che tale allele avrà la stessa frequenza nella
popolazione femminile, la frequenza di femmine affette sarà (10 – 4 )2 = 10 - 8 = 1 su 100 milioni.
135. Il modello poligenico si basa sull’ipotesi che l’eredità e l’espressione di un fenotipo possano
dipendere dagli effetti addittivi di più geni (non allelici), nessuno dei quali è dominante o recessivo.
Esistono fenotipi (circonferenza cranica, colore della pelle, Q.I., peso corporeo, pressione sangui-
gna, statura...) che sono distribuiti nella popolazione in modo “normale” e cioè secondo una curva
gaussiana: si può dimostrare che essi sono dovuti ad un’eredità poligenica.
Ere geologiche I fossili La comparsa della vita: dal brodo primordiale alla prima cellula Teorie evoluzionistiche Teorie
fissiste La teoria dell’evoluzione di Lamarck e di Darwin L’ambiente e la selezione naturale L’origine di nuove specie
Il concetto di specie i principi della tassonomia
136. Tutta una serie di evidenze dirette ed indirette consentono di costruire un quadro dello sviluppo
della vita sulla terra (in cui i dati precedenti ad 1 miliardo di anni fa sono speculativi).
La più importante fonte di dati è il reperimento di fossili di organismi, formatasi quando la carcassa
degli stessi è stata sottratta all’azione degli agenti atmosferici e dei bioriduttori, rimanendo per e-
sempio intrappolata nel fango, per un tempo sufficiente a lasciare la propria impronta che, riempita
di sali minerali portati dall’acqua, ha formato un calco del corpo, o di parte del corpo.
I fossili possono poi essere datati determinando in essi il tasso di isotopi radiattivi, di tempo di di-
mezzamento noto, oppure stabilendo in quale strato di roccia sedimentaria si trovino: i metodi della
paleontologia consentono infatti di stabilire a quale era geologica appartenga ogni dato strato.
Non è possibile dire come si sia originata la vita sulla terra, anche se un’ipotesi plausibile, avvalora-
ta dall’esperimento di Miller, è che nell’atmosfera primordiale di NH3, CH4 ed H2O le scariche elet-
triche e/o l’energia dei raggi ultravioletti, non ancora schermati dall’ozonosfera che non si era anco-
ra formata, avrebbe dato origine alle molecole di base della vita quali amminoacidi, monosi e basi
azotate. Queste molecole, sciogliendosi ad elevate concentrazioni nelle pozze d’acqua ad elevata
temperatura allora presenti, avrebbero consentito la formazione di biomolecole ancora più comples-
se.
Era Periodo di anni fa eventi
Prezoico 4,6 miliardi formazione della terra
Cenozoico Eocene 58
Oligocene 27
Miocene 24
137. Le teorie evolutive cercano di spiegare come si sia arrivati all’attuale diversificazione delle
forme viventi. Secondo le teorie fissiste, o creazionistiche, tutte le tipologie di viventi sono state
create così come appaiono oggi, e non possono subire modificazioni (cosa in eclatante contrasto con
le risultanze dell’esame dei fossili). Gli evoluzionisti invece ritengono che un organismo possa
modificarsi per funzionare meglio nell’ambiente in cui si trova.
Secondo Lamarck (1800), in un organismo compariva un nuovo organo, o comunque una nuova
funzione, quando esso ne aveva la necessità per sopravvivere in un dato ambiente: le giraffe sareb-
bero antilopi che, dovendosi cibare delle foglie presenti sui rami più alti degli alberi, avrebbero pia-
no piano allungato sia le gambe che il collo, trasmettendo il carattere alla progenie (ciò implichereb-
be che gli allevatori di boxer non avrebbero bisogno di tagliare la coda e la punta delle orecchie ai
loro esemplari, perchè il carattere, ormai, dovrebbe essere diventato ereditario).
La teoria di Darwin è imperniata sul concetto di selezione naturale e si basa su una serie di princi-
pi a carattere generale.
In qualsiasi popolazione di individui sono presenti delle differenze, molte delle quali non hanno ef-
fetti sulla sopravvivenza, come il colore degli occhi nell’uomo, mentre altre possono influire sulle
probabilità di sopravvivere, e quindi di riprodursi, di un dato individuo.
Un falco con la vista più acuta degli altri potrà catturare più facilmente le prede, ed una pianta che
risca a svilupparsi maggiormente in altezza avrà più facile accesso all’energia luminosa solare. Ciò
che influisce positivamente sulla sopravvivenza di un organismo, in genere aumenta anche la sua
probabilità di riprodursi e di trasmettere il suo genoma alla progenie.
Per esempio, la betularia è una farfalla che, in Inghilterra, esiste in due forme di colore chiaro e, ri-
spettivamente, scuro. Durante la rivoluzione industriale molti degli alberi, betulle, su cui si posava
l’insetto, diventarono neri per effetto dell’inquinamento, dando alle farfalle scure un vantaggio mi-
metico relativamente ai predatori. Nel giro di 50 anni quasi tutte le betularie della regione industria-
le di Manchester erano nere. Quando, nel ’56, venne promulgata una legge antiinquinamento, le be-
tulle ridiventarono bianche, e le farfalle nere ridiventarono rare, evidenziando l’influenza della sele-
zione naturale sull’evoluzione della betularia. Se i caratteri che danno agli individui un vantaggio
riproduttivo sono ereditabili, allora nella progenie essi saranno più frequenti e, anche nel caso di un
vantaggio limitato, in un numero sufficientemente elevato di generazioni, essi diventeranno prepon-
deranti. In questo modo l’ambiente in cui si trova un individuo seleziona i caratteri che danno un
vantaggio riproduttivo provocando un’evoluzione della specie in direzione dell’organismo più a-
datto.
138. La tassonomia biologica si occupa della classificazione degli esseri viventi. Linneo realizzò la prima
classificazione moderna che conserva ancora una sua validità. Le classificazioni moderne, che si avvalgono
anche di dati ricavati dall’analisi del DNA prevedono la suddivisione dei viventi in 5 regni: regno animale,
regno vegetale, regno delle monere, regno dei protisti e regno dei funghi (per quanto riguarda i virus, che a
rigore non possono essere considerati esseri viventi, a seconda delle scuole di pensiero, o costituiscono un
gruppo a parte o vengono inseriti nel regno delle monere). Per affinità crescente tra di loro i vari viventi sono
assegnati ad un regno, e successivamente ad un philum (tipo), una classe, un ordine, una famiglia, un gene-
re ed, infine, ad una specie.
Quindi, per esempio, l’Homo sapiens appartiene al regno animale, animalia, al philum dei cordati, chorda-
ta, alla classe dei mammiferi, mammalia, all’ordine dei primati, primates, alla famiglia degli ominidi, homi-
nidae, al genere uomo, homo, ed alla specie Homo sapiens.
Per indicare un organismo viene utilizzata la nomenclatura binomia che indica il genere e la specie dell’or-
ganismo stesso: Panthera Leo (leone), Drosophila melanogaster (moscerino della frutta), Sparus aurata (o-
rata), Lycopersicon esculentum (pomodoro) ...
Due viventi sono della stessa specie qualora incrociandosi diano una progenie feconda: per esempio il ca-
vallo e l’asino non appartengono alla stessa specie perchè sia il bardotto, da cavallo ed asina, che il mulo, da
asino e cavalla sono sterili. Individui della stessa specie avranno DNA simili ma non identici.
I funghi sono caratterizzati dall’essere eterotrofi, dal non avere tessuti differenziati e dal riprodursi tramite
spore. Possono essere saprofiti, in grado di degradare la materia organica, parassiti e simbionti.
Esistono diverse varietà di funghi patogeni per l’uomo, Candida, che provocano varie infezioni (tra le quali
le micosi). Il Penicillium notatum produce penicillina (Fleming). Sono funghi i lieviti.
I protisti sono eucarioti unicellulari o multicellulari senza tessuti particolarmente specializzati, cui appar-
tengono i protozoi che si nutrono per fagocitosi, inglobando, cioè, e digerendo altri microorganismi o nu-
trienti, e le alghe, in grado di realizzare la fotosintesi. Molti protozoi sono parassiti come il Plasmodium fal-
ciparum che causa la malaria nell’uomo.
Alle monere appartengono esseri unicellulari senza nucleo ed organelli, procarioti, che possono essere e-
terotrofi, batteri, ed autotrofi, alghe azzure, in cui è presente la clorofilla. Ai batteri appartengono bioridut-
tori e azofissatori, oltre a tutta una serie di parassiti, diversi dei quali sono patogeni per l’uomo, e di simbion-
ti (come quelli presenti nell’intestino umano, tra cui Escherichia coli, i quali rappresentano sia una linea di
difesa contro altri batteri che una fonte di vitamine). A seconda della specie i batteri possono vivere in pre-
senza o in assenza di ossigeno, aerobi ed anaerobi. Si dicono aerobi facoltativi se possono vivere sia in
presenza che in assenza di ossigeno (nel secondo caso ricavano energia dalle fermentazioni).
Il regno vegetale può essere suddiviso in briofite, in cui non sono presenti tessuti specializzati (muschi) e
tracheofite in cui sono presenti tessuti con varie funzioni: sostegno (fusto), assorbimento e trasporto dei nu-
trienti (radici, floema e xilema), fotosintesi (foglie). Le tracheofite si dividono in pteridofite, riproduzione
tramite spore, ed in spermatofite (piante con semi). A loro volta le spermatofite si dividono in gimnosper-
me, piante senza fiori e seme nudo (come le conifere), ed angiosperme (piante con fiori e seme contenuto
nel frutto), le quali ultime sono monocotiledoni o dicotiledoni, a seconda che nel seme sia presente una so-
la, oppure una coppia di, foglia embrionale con funzione di riserva di nutrimento per l’embrione.
Il regno animale è diviso in invertebrati, privi di colonna vertebrale, e cordati, che presentano una struttura
di sostegno interna detta notocorda. I primi hanno simmetria corporea raggiata, come i poriferi, spugne,
gli echinodermi, stelle marine e ricci di mare ed i celenterati, polipi e meduse, oppure bilaterale.
Sono del secondo tipo i platelminti (vermi piatti), i nematelminti, gli anellidi (vermi metamerici cioè seg-
mentati come i lombrichi), i molluschi, di cui fanno parte i gasteropodi (come la lumaca), i bivalvi (cozze e
telline) e i cefalopodi (seppie, calamari e polpi), e gli artropodi, appendici articolate ed esoscheletro, classi-
ficati in funzione dei segmenti corporei, metameri. Fanno parte degli artropodi i crostacei, gli aracnidi e gli
insetti (3 metameri e 3 paia di zampe e respirazione tramite trachee). I cordati sono divisi in urocordati nei
quali la notocorda è limitata alla parte terminale del corpo), in cefalocordati in cui essa invece è presente in
tutta la lunghezza del corpo, ed in vertebrati, che invece di avere una corda cartilaginea, presentano una
struttura ossea, la colonna verte-brale (fanno eccezione i pesci cartilaginei come le razze egli squali).
I vertebrati sono suddivisi in 5 classi di seguito elencate con le principali caratteristiche:
pesci: eterotermi, pinne, scaglie, respirazione tramite branchie, cuore ad 1 atrio ed 1 ventricolo, cir-
colazione del sangue semplice, ovipari;
anfibi: eterotermi, pelle nuda, respirazione branchiale allo stato di girini e polmonare ed epiteliale
allo stato adulto (metamorfosi), cuore a 2 atri e d 1 ventricolo, circolazione doppia e semplice, ovipari.
rettili: eterotermi, squame, respirazione polmonare, cuore a due atri e due ventricoli, circolazione
doppia e completa (il sangue venoso e quello arterioso non si mescolano), ovipari ed ovovivipari;
uccelli: omotermi, piume e penne, respirazione polmonare, cuore a due atri e due ventricoli, circo-
lazione doppia e completa, ovipari, assenza di denti.
mammiferi: omotermi, peli, respirazione polmonare, cuore a due atri e due ventricoli, circolazione dop-
pia e completa, vivipari, allattamento della prole.
Gametogenesi e fecondazione nei mammiferi Eredità mitocondriale Corpi di Barr e Lyonizzazione Segmentazione
Gastrulazione Gli annessi embrionali Organogenesi
139. Il ciclo vitale dei vertebrati presenta una serie di caratteristiche costanti schematizzabili come segue:
8: maturità sessuale
1: gametogenesi
2: fecondazione
3: segmentazione
4: gastrulazione
6: crescita
5: organogenesi
Mitocondri
Flagello
Assonema
Spermatozoo
I gameti si formano nelle gonadi. Le uova umane derivano da cellule staminali, ovogoni, che per
mitosi danno ovociti primari ciascuno dei quali, per meiosi dà un ovocito secondario ed un co-
siddetto primo globulo polare. Un’ulteriore meiosi dell’ovocita secondario dà un ovulo ed un altro
globulo polare mentre il primo globulo polare o va incontro a disintegrazione o, per meiosi, ne pro-
duce altri due; alla fine tutti i globuli polari, comunque degenerano, e rimane solo l’ovulo aploide
che, per differenziazione, darà origine ad un uovo.
ovocita secondario, n; 2 C
primo globulo polare
cellula uovo
globuli polari
Nella gametogenesi maschile, spermatogenesi, umana uno spermatogonio, che è ancora una cel-
lula staminale, dà, per mitosi, spermatociti primari i quali per meiosi danno spermatociti secon-
dari da cui, di nuovo per mitosi, originano spermatidi, che differenziandosi diventano spermato-
zoi maturi. Processi mitotici a carico delle cellule staminali
Spermatocita
primario
Meiosi I
Spermatocita
secondario
Meiosi II
Gametogenesi
Spermatozoi
Da notare che il rapporto ovociti primari uova è di 1 : 1 mentre quello spermatociti primari sperma-
tozoi è di 1 : 4.
141. Quando lo spermatozoo si fonde con l’ovocita, o oocita, fecondazione, a dare lo zigote, solo la
sua testa entra nella cellula uovo, attraversando la zona pellucida che la circonda, e pertanto i mito-
condri presenti nello zigote sono tutti di origjne materna. Nella progenie il mit – DNA deriva solo
dalla madre, eredità mitocondriale. Nell’uomo lo zigote ha 46 cromosomi, 23 dallo spermatozoo
ed altrettanti dall’uovo. Il sesso è determinato dal cromosoma sessuale presente nello spermatozoo:
il cromosoma X determina uno sviluppo in senso femminile ed un cromosoma Y in senso maschile.
Una serie di divisioni mitotiche, segmentazione, trasformano lo zigote in un ammasso di cellule an-
cora interne alla zona pellucida, la cosiddetta morula.
Un processo detto cavitazione trasforma la morula in blastula, una struttura sferica costituita da
blastomeri che rivestono una cavità piena di liquido, il
blastocele. blastomeri
. blastocele
morula blastula
Nell’uomo la blastula è detta blastocisti e, in questo stadio, avviene il suo annidamento nell’endo-
metrio uterino (impianto) con trasformazione delle cellule della blastocisti prossime a quelle del-
l’endometrio in trofoblasti che daranno origine ad importanti annessi embrionali con funzione tro-
fica, nutritiva, tra i quali la placenta. Nello stadio di blastocisti, nelle cellule che presentano due
cromosomi sessuali X (da cui cioè deriverà un embrione a destino femminile) avviene un processo
detto lyonizzazione e cioè l’inattivazione casuale di uno di tali cromosomi che viene condensato ad
eterocromatina a dare un cosiddetto corpo di Barr (l’espressione dei geni di entrambi i cromosomi
X porterebbe ad un’eccessiva quantità di prodotti che risulterebbe dannosa per la cellula).
La gastrulazione trasforma lo strato monocellulare della blastula in una struttura a tre strati cellu-
lari, ectoderma, mesoderma ed endoderma, appunto la gastrula.
Da ciascuno di questi tre strati cellulari originano diversi tessuti e strutture dell’organismo defini-
tivo secondo lo schema a seguire.
Ectoderma cute ed annessi cutanei (peli, unghie, ghiandole sebacee...); sistema nervoso; cornea; cristallino.
Mesoderma sangue; muscoli; ossa; tessuti connettivi; sistema urogenitale; endotelio dei vasi sanguigni
Endoderma epiteli superfici interne; tratto gastroenterico (tranne la bocca e l’ano); polmoni; fegato; pancreas;
tiroide; timo; vescica; uretra
Nelle prime divisioni mitotiche si formano cellule che, come lo zigote, sono totipotenti, possono
cioè differenziare a dare qualsiasi tipo di cellula che dovrà essere presente nell’organismo definiti-
vo. Processi relativamente complessi fanno sì che, principalmente in base alla sua posizione rispetto
alle altre, una cellula differenzi in un senso o in un altro (determinazione).
Qualora due, o più, gruppi di cellule totipotenti si separino, ogni gruppo dà origine ad un individuo
indipendente che presenta però le stesse caratteristiche morfogenetiche degli altri (sesso compreso):
gemelli monozigotici. I gemelli eterozigotici derivano invece dalla fecondazione contemporanea di
due ovociti da parte di due spermi diversi e non sono quindi identici.
Tessuti epiteliale, ghiandolare e sensoriale Giunzioni cellulari Tessuti connettivi: composizione e classificazione Tessuti
muscolari e relativi meccanismi di contrazione
142. I metazoi, pluricellulari constano di cellule raggruppate a dare tessuti. Tessuti di vario tipo
concorrono a dare strutture funzionali dette organi ed organi diversi, con funzioni comuni, danno
gli apparati. Mentre la citologia si occupa della descrizione delle cellule l’istologia ha lo stesso
compito per quel che riguarda i tessuti. Abbiamo fondamentalmente quattro tipologie di tessuti:
tessuto epiteliale, tessuto connettivo, tessuto nervoso e tessuto muscolare.
143. Il tessuto epiteliale consta di cellule di forma regolare adese tra di loro a dare ammassi o strati
ancorati ad una membrana basale di collagene e glicoproteine. Non è vascolarizzato e gli scambi di
nutrienti e rifiuti avvengono per diffusione dai tessuti connettivi vicini. Presentano giunzioni inter-
cellulari (gap junctions e desmosomi) che consentono scambi tra di loro. Lo si divide, dal punto di
vista funzionale in epitelio di rivestimento, che presenta frequentemente funzioni di assorbimento,
microvilli intestinali, e di trasporto di superficie (ciglia vibratili delle vie respiratorie e delle vie ge-
nitali femminili), in epitelio ghiandolare a secrezione esocrina o endocrina e in epitelio sensoriale.
L’epitelio di rivestimento si classifica morfologicamente in pavimentoso o squamoso, cuboidale e
cilindrico e, a seconda del numero di strati in semplice, monostratificato, pseudostratificato e
composto, polistratificato.
Tipi di epitelio
Epitelio di transizione
Pavimentoso semplice Cuboidale semplice
Colonnare semplice
Nodo di Ranvier
Soma
Cono
Cellula di Schwann
Guaina mielinica
Nucleo
Tipicamente un neurone è costituito dal pirenoforo, soma, che è il corpo cellulare, dall’assone,
prolungamento che parte dal corpo cellulare e può eventualmente ramificarsi, e dai dendriti, pro-
lungamenti che emergono dal corpo cellulare cui trasmettono l’impulso.
La glia consta di astrociti, con funzione trofomeccanica e di regolazione del passaggio di sostanze
dal sangue al tessuto nervoso, barriera ematoencefalica, di oligodendrociti e di cellule di Schwann,
che formano un rivestimento isolante intorno agli assoni dell’SNC e dell’SNP rispettivamente e di
cellule di microglia, macrofagi dell’SNC.
In tutte le cellule una distribuzione ineguale di carica elettrica ai due lati della membrana plasmati-
ca, creatasi per effetto delle azioni contrastanti di varie pompe e di canali ionici di varia natura, de-
termina una differenza di potenziale ai due lati della membrana, potenziale di membrana, più ne-
gativo a livello del versante citoplasmatico. Quando una cellula eccitabile, neuroni e cellule mu-
scolari, viene eccitata, nella sua membrana si aprono dei canali ionici che, lasciando entrare ioni
sodio, Na+, che fanno sì che il potenziale di membrana aumenti, depolarizzazione, e si inneschi un
cosiddetto potenziale di azione che si propaga lungo la membrana stessa.
Nei neuroni il potenziale di membrana è di – 70 mV, determinato dalla diversa concentrazione degli
ioni sodio e cloruro, maggiore a livello extracellulare, e degli ioni potassio, più grande a livello
endocellulare. A questa distribuzione asimmetrica concorre principalmente l’azione di una pompa
sodio potassio, che, consumando ATP, trasporta attivamente ioni potassio ed ioni sodio contro il
loro gradiente di concentrazione: la pompa espelle tre ioni Na+ per ogni due ioni K+ che internalizza
ed ha quindi effetto elettrogenico, genera cioè una diffrenza di potenziale.
Sul neurone sono presenti dei recettori che possono, per esempio, legare delle molecole, neurotra-
smettitori, che provocano, in modo più o meno diretto l’apertura di canali per il sodio, il quale en-
tra secondo il suo gradiente di concentrazione, e fa diventare meno negativo il potenziale di mem-
brana. I neurotrasmettitori trasmettono a livello chimico il potenziale d’azione, stimolo elettrico, da
un neurone ad un altro. Essi vengono secreti a livello del terminale assonico di un neurone eccitato,
il quale forma una sinapsi col soma, o con un dendrite, o con l’assone di un altro neurone.
I neurotrasmettitori diffondono nello spazio intersinaptico legando i recettori del neurone ricevente
e, se lo stimolo è sufficientemente intenso, si raggiunge nella membrana di questo un cosiddetto
potenziale di soglia, circa – 60 mV, che innesca irreversibilmente il potenziale di azione, + 30 mV.
bottone sinaptico
assone
potenziale di azione
vescicola
fessura intersinaptica
neurotrasmettitore
recettore
canale
neurone ricevente
dendrite del
neurone ricevente
Il potenziale d’azione si propaga lungo l’assone del neurone ricevente con velocità maggiore o mi-
nore a seconda che il suo assone sia, o meno, mielinizzato.
La depolarizzazione della membrana del neurone è seguita da una veloce ripolarizzazione dovuta
all’apertura di canali per il potassio che esce. Il potenziale di azione si propaga dal punto in cui in-
sorge agli altri punti della membrana in modo centrifugo, ciò perchè le parti di membrana appena
ripolarizzate si trova in una situazione di refrattarietà, canali del sodio chiusi, che non consente
loro di depolarizzarsi, periodo refrattario.
Più canali del sodio aperti
Potenziale di riposo
soglia Iperpolarizzazione
Periodo di refrattarietà
Tempo
Oltre alle sinapsi su viste esistono anche sinapsi interneuroniche definite elettriche, che sono gap
junctions che mettono direttamente in comunicazione due neuroni.
146. Fanno parte del tessuto muscolare cellule eccitabili con funzione contrattile: cellule muscola-
ri scheletriche, cellule muscolari striate cardiache e cellule muscolari lisce.
miofibrilla
Le cellule muscolari scheletriche sono enormi cellule polinucleate caratterizzate da una striatura
trasversale dovuta alla regolare disposizione del citoscheletro contrattile costituito da miofibrille
longitudinali suddivise in sarcomeri, le unità contrattili costituite da fibrille di actina e filamenti
spessi intermedi di miosina.
Fibra muscolare
Miofibrille
Striature
Nucleo
Filamenti contenenti
actina e miosina
Filamento spesso
. Miosina
Banda I Banda A Banda I linea M
. <---- Sarcomero--->
Rilassato
linea Z linea Z
Parzialmente
contratto
Del tutto
contratto
Zona H
Banda A
Filamenti spessi
Filamento di miosina
banda H, le cui dimensioni variano a seconda della contrazione del sarcomero, divisa da una linea
M, dove sono ancorati tra loro i filamenti di miosina. Quando un motoneurone, in sinapsi con più
cellule muscolari, giunzione neuromuscolare, le eccita, si ha la contrazione dell’unità motoria. Il
neurotrasmettitore coinvolto è ancora l’acetilcolina, ed il suo legame a recettori nicotinici fa sì che
essi lascino entrare ioni che iniziano la depolarizzazione che, a sua volta, provoca l’apertura di altri
canali, voltaggio dipendenti. Il tutto risulta nell’ingresso nel citoplasma di ioni calcio, provenienti
anche dalle cisterne del RE, i quali legano le proteine inibitorie della contrattilità del sarcomero,
tropomiosina e troponina. Le teste di miosina possono ora legare i filamenti actinici e, piegandosi, li
tirano (movimento a colpo di remo), provocando ‘accorciamento del sarcomero. Le teste di miosina,
idrolizzando ATP, riacquistano la conformazione iniziale, si staccano dall’actina e, se nel citosol è
ancora presente ione calcio, il processo ciclico ricomincia provocando un ulteriore accorciamento.
Il rigor mortis è dovuto, tra l’altro, al mancato rilascio delle teste di miosina per mancanza di ATP.
Le cellule muscolari cardiache, mono o binucleate, sono di dimensioni minori di quelle scheletri-
che e, a differenza di esse, non sono elettricamente isolate tra di loro, ma in contatto elettrico me-
diante apposite giunzioni. L’impulso depolarizzante che si produce in particolari cellule dell’atrio,
dette pacemakers, può propagarsi quindi a tutti i cardiociti, che si comportano come un’unica cel-
lula, sincizio, determinando le contrazioni in successione di atri e ventricoli.
Le cellule muscolari lisce non sono striate per l’assenza di sarcomeri, e in esse la contrazione, che
consuma ATP, ha luogo comunque per ingresso di ione calcio, provocato dallo stimolo nervoso.
Esistono due modalità di innervazione di queste cellule. Nella muscolatura liscia multiunitaria cia-
scuna è innervata singolarmente (iride, e grandi vasi sanguigni), mentre in quella liscia unitaria (vi-
scerale) le cellule sono collegate da gap junctions a bassa resistenza che le fanno comportare come
un sincizio ( dotti biliari, ureteri, utero e parete intestinale).
Scheletro Articolazioni Muscoli scheletrici Organi di senso
147. Come già detto gli apparati sono sistemi di organi preposti ad una determinata funzione.
Scheletro, articolazioni e muscoli scheletrici hanno la funzione di consentire il movimento, di so-
stenere il corpo e di proteggerne gli organi.
Nell’uomo lo scheletro è costituito da ossa che, alla nascita, sono 270 e si riducono a 206 perchè
diverse di esse si uniscono tra di loro. Oltre che da proteine, osseina, esse sono costituite da vari sali
quali l’idrossiapatite, il carbonato di calcio, CaCO3 , il fluoruro di calcio, CaF2 e il fosfato di ma-
gnesio, Mg3(PO4)2. Nel bambino la maggior presenza di cartilagine rende le ossa più elastiche.
Morfologicamente le ossa, che si dicono pari (scapole, costole...), se si trovano ai lati della linea
mediana del corpo, ed impari se sono sulla linea mediana (sterno, vertebre...) si distinguono, tra
l’altro, in:
lunghe: una dimensione prevale sulle altre due, sono costituite da osso compatto, denso ed omoge-
neo, con un corpo centrale, diafisi, e due estremità, epifisi (femore, omero...); hanno funzione di le-
ve e nell’epifisi è presente midollo rosso eritropoietico (l’eritropoiesi è la genesi degli eritrociti).
piatte: laminari, costituite da due stati di osso compatto tra i quali è compreso osso spugnoso, com-
posto di amine ossee, trabecole, che delimitano cavità più o meno estese (scapole, ossa della volta
del cranio, sterno); hanno funzione di protezione e nel loro midollo rosso ha luogo l’eritropoiesi;
brevi: le tre dimensioni sono circa equivalenti (carpo, tarso, vertebre...), constano per lo più di osso
spugnoso ed hanno funzione di sostegno.
Lo scheletro assile, è costituito dalla colonna vertebrale, 26 vertebre, dalla gabbia toracica, 12
paia di costole e lo sterno, e dal cranio; ad esso che, tramite le articolazioni delle anche, trasmette
il peso della testa, del tronco e delle estremità superiori, alle estremità inferiori è dovuta la stazione
eretta; cranio, colonna vertebrale e gabbia toracica hanno il ruolo di proteggere importanti organi
interni.
Lo scheletro appendicolare è costituito dal cinto scapolare, clavicole e scapole, dal cinto pelvico,
anche, derivanti dalla fusione di ileo, ischio e pube; dalle ossa degli arti superiori, e da quelle de-
gli arti inferiori; ha la funzione di consentire la locomozione e di proteggere i più importanti organi
della digestione, della digestione e della riproduzione.
Le ossa del cranio sono prevalentemente piatte e pneumatiche, presentano cioè cavità in comunica-
zione con l’esterno con lo scopo di alleggerimento.
Ne fanno parte l’osso frontale, le parietali, le temporali, in cui si trovano le catene degli ossicini
(martello, incudine e staffa), l’occipitale, le zigomatiche, le mascellari superiori, la mandibola ed
il vomere (setto nasale).
Le vertebre sono costituite da un corpo cilindrico anteriore e da un arco posteriore in cui sono pre-
senti due processi trasversali ed un processo spinoso posteriore. Sono divise in:
cervicali: 7, la prima delle quali, atlante, sostiene la testa ed articolandosi con la seconda, epistro-
feo, permette la rotazione del capo. Anteriormente a queste vertebre è alloggiato l’osso ioide;
toraciche: 12, articolate con 12 paia di costole, 10 delle quali sono a loro volta articolate tramite
cartilagini, con lo sterno mentre le ultime due paia sono libere o fluttuanti (questa disposizione con-
sente i movimenti legati alla respirazione);
lombari: 5; sacrali: 5, fuse a dare l’osso sacro, e coccigee, 4 o 5.
I cinti scapolare e pelvico raccordano scheletro assile ed appendicolare. Il primo è articolato indi-
rettamente con la colonna vertebrale, attraverso lo sterno, e con le scapole, mentre il secondo si arti-
cola direttamente con l’osso sacro;
nelle appendici superiori si distinguono l’omero, braccio, il radio e l’ulna, avambraccio, ed una
serie di ossa della mano quali quelle del carpo (8 tra cui trapezio, scafoide , semilunare e piramida-
le), del metacarpo (5) e quelle delle dita: ogni dito ha una falange prossimale, una media ed una
distale, tranne il pollice che manca di quella media;
nelle appendici inferiori si distinguono il femore, coscia, la tibia e l’ulna, gamba, la rotula (o os-
so patellare) posto anteriormente all’articolazione tra femore e tibia, ginocchio, e le ossa del piede
che sono quelle del tarso (7 tra cui calcagno, astragalo, cuboide), del metatarso (5) e delle dita: o-
gni dito ha una falange prossimale, una media ed una distale tranne l’alluce che manca di quella
media.
Cranio frontale
parietale
Mandibola
Clavicola nasale
Scapola Sterno
lacrimale
etmoide
Falangi
Femore Ischio periostio
Rotula legamento
cavità contenente
Tibia il liquido sinoviale
tendine
osso
I circa 400 muscoli si possono classificare dal punto di vista morfologico in monocipiti,bicipiti, tri-
cipiti o quadricipiti, a seconda dei punti da cui originano, e monocaudati, bicaudati, tricaudati a se-
conda dei punti di inserzione.
tendine
fascio
ventre
sezione
a) bicipite del
b) pettorale
braccio
sezione
tendini
rilassato
sezione
contratto
c) estensore d) retto del
e) deltoide f) orbicolare
delle dita femore
della bocca
Mentre i muscoli scheletrici hanno sia origine che inserzione sulle ossa, fisse o mobili, i muscoli
mimici, o pellicciai hanno almeno uno dei punti di attacco nel derma, e la loro contrazione ne pro-
voca i movimenti.
A livello morfologico i muscoli si classificano in lunghi, o fusiformi, presenti negli arti, come il bi-
cipite ed il tricipite del braccio; larghi, caratterizzati da notevole potenza, hanno funzione di conte-
nimento e copertura; brevi, a livello delle articolazioni con funzione stabilizzante; anulari, o orbi-
colari, che circondano gli orifizi corporei, sfinteri. Sono da ricordare lo sternocleidomastoideo, il
trapezio, il deltoide, il grande pettorale, il bicipite ed il tricipite brachiali, il sartorio, il quadricipite
ed il bicipite del femore,il gastrocnemio ed il massetere (mandibola).
Un muscolo la cui azione provoca il movimento articolare si dice agonista, bicipite brachiale.
La funzione dell’agonista avviene in concerto con altri muscoli, antagonisti, che rilasciandosi gra-
datamente ne regolano l’effetto. Il tricipite brachiale è l’antagonista del bicipite.
Va notato che un muscolo può solo contrarsi ed il suo stiramento è dovuto ai suoi antagonisti (o
alla forza peso). I flessori, che provocano il piegamento di un arto a livello dell’articolazione sono
antagonizzati dagli estensori, e gli adduttori, la cui azione determina l’avvicinamento di un seg-
mento osseo alla linea mediana del corpo, hanno come antagonisti gli abduttori.
Il muscolo ricava l’ATP necessario alla contrazione dal metabolismo aerobio o, quando l’ossigeno è
scarsamente disponibile, da quello anaerobio, che comporta la fermentazione lattica del glucosio.
Nel muscolo è presente una riserva di ossigeno sotto forma di mioglobina, molecola estremamente
simile ad uno dei monomeri dell’emoglobina, che immagazzina nel suo gruppo eme l’O2, e, quando
esso è scarso, lo cede all’emoglobina. Nel muscolo è anche presente una riserva energetica che
consta di creatina fosfato, molecola che in carenza di ATP lo rigenera dall’ADP.
150. Un sistema sensoriale è una parte del sistema nervoso preposta al processamento delle infor-
mazioni derivanti dall’ambiente. Consiste di recettori, di vie nervose e di parti del cervello coinvolte
nella percezione sensoriale. Sono sistemi di questo tipo quelli preposti alla vista, all’udito, alle sen-
sazioni somatiche (tatto, dolore, caldo e freddo), al gusto ed all’olfatto.
L’organo che permette la vista è il bulbo oculare, occhio.
retina
cornea
macula cristallino
uvea sclera
coroide
muscolo oculomotore
finestra ovale
staffa
canali
semicircolari
martello incudine nervo vestibolare
padiglione
auricolare
nervo cocleare
coclea
meato
acustico cavità
timpanica
timpano tuba di Eustachio
finestra
rotonda
Eustachio, con il rinofaringe in modo da bilanciare la pressione tra i due lati della membrana tim-
panica;
orecchio interno, in cui si trovano la coclea, il cui liquido trasmette le vibrazioni della staffa al
nervo acustico, grazie all’organo di Corti in essa presente; nell’orecchio interno si trovano anche i
tre canali semicircolari, il labirinto, l’otricolo ed il sacculo, in comunicazione col cervelletto, il
mesencefalo ed il midollo spinale, responsabili del mantenimento dell’equilibrio e della postura.
A livello della cute esistono recettori per tutta una serie di sensazioni, appunto cutanee, che si pos-
sono suddividere in:
sensazioni tattili che, a seconda della loro intensità, vengono recepiti dai corpuscoli di Meissner,
terminali nervosi superficiali, da quelli di Ruffini e da quelli di Pacini, altri meccanorecettori situati
più profondamente nel derma;
sensazioni dolorifiche percepite da terminazioni nervose che arrivano sino all’epidermide, nocicet-
tori, e dai corpuscoli di Pacini;
sensazioni di caldo e freddo percepite da termocettori che constano di terminali nervosi liberi.
Il senso del gusto è localizzato a livello della lingua nella quale sono presenti una serie di papille
gustative, chemorecettori, diversamente localizzate, in grado di riconoscere una serie di sapori. Le
papille che riconoscono i sapori dolce e salato sono localizzate nella zona anteriore, punta, della
lingua; quelle sensibili ai sapori acidi sono localizzate lateralmente, mentre quelle che percepiscono
l’amaro sono nella zona posteriore della lingua.
area del
area del-
dolce
l’amaro
Il senso dell’olfatto è dovuto a chemorecettori dispersi nella mucosa olfattiva della volta delle fosse
nasali. Apparato digerente La bocca : lo sviluppo dei denti e le ghiandole salivari La faringe, l’esofago, lo stomaco,
l’intestino tenue e le ghiandole annesse: digestione e assorbimento del cibo Intestino crasso
151. L’intero apparato digerente ha una lunghezza di circa 9 metri. La digestione ha inizio nella
bocca dove i denti triturano il cibo in modo da facilitare la deglutizione ed aumententare la super-
ficie di attacco da parte dei diversi succhi secreti nelle varie regioni dell’apparato digerente. Le
ghiandole salivari secernono,
ghiandole salivari
parotide
sottomandibolare
sottolinguale
faringe
cavità orale lingua
palato molle
bolo alimentare
lingua
epiglottide alzata
esofago
polpa colon
c. trasverso
canale ileo
c. ascendente
radicolare radice
c.discendente
legamento . sigma
ceco
canale
appendice
accessorio
forame retto
ano
paradontale osso
oltre all’enzima ptialina, un’amilasi che attacca i legami 𝛼-glicosidici di diversi polisaccaridi ini-
ziandone la degradazione a maltosio, anche il lisozima, che attacca la parete batterica esplicando
un’azione battericida. La salivazione può essere dovuta sia ad un riflesso incondizionato, dovuto al-
la presenza del cibo nella cavità orale, che ad un riflesso condizionato, dovuto alla semplice vista, o
al ricordo, del cibo stesso. La masticazione e la salivazione danno origine ad un bolo alimentare
che viene deglutito passando nell’esofago: la deglutizione è un processo concertato durante il quale
il palato molle chiude le vie nasali e l’epiglottide la trachea, impedendo al bolo di accedere alle vie
respiratorie. L’esofago è un tubo nella cui parete sono presenti muscoli lisci, disposti longitudinal-
mente e circolarmente, e l’entrata del bolo causa delle contrazioni, peristalsi, che lo sospingono
verso lo sfintere cardiaco, cardias, punto di ingresso nello stomaco (il cardias non è uno sfintere
vero e proprio in quanto manca del tipico ispessimento della muscolatura circolare).
Nello stomaco, dove il cibo sosta per 6 – 8 ore, l’acido cloridrico, HCl, uccide buona parte dei bat-
teri, ed i movimenti peristaltici disgregano il cibo; viene iniziata l’idrolisi delle proteine le cui ca-
tene vengono ridotte a peptidi per azione dell’enzima pepsina e di altre proteasi attive a pH acido.
Sempre nello stomaco, la cui parete assorbe acqua ed alcool e piccole molecole apolari, farmaci co-
me l’aspirina, viene prodotto il fattore intrinseco, una proteina che consente l’assorbimento intesti-
nale della vitamina B12, ed una cui carenza determina anemia perniciosa. La parete gastrica è pro-
tetta dall’azione dell’HCl e degli enzimi da un rivestimento di muco.
Il contenuto dello stomaco, chimo, passa nel primo tratto del duodeno, che con il digiuno e l’ileo
costituisce l’intestino tenue, tramite il piloro, un vero e proprio sfintere.
In risposta ad ormoni prodotti a livello gastrico, cole-
cistochinina e secretina, giungono nel duodeno, pro-
venienti dalla cistifellea e dal pancreas, la bile ed il sottili pareti
unicellulari
succo pancreatico. Gli acidi biliari, tensioattivi, sta-
bilizzano l’emulsione acquosa di lipidi costituitasi rete di
nello stomaco, facilitandone l’assorbimento. Nel suc- capillari
costole polmoni
diaframma
contrazione
del diaframma
rilassamento
del diaframma
L’aria entra nel naso e, nelle fosse nasali, per effetto della particolare conformazione di tre sporgen-
ze ossee presenti in ciascuna di esse, turbinali nasali, assume un moto rotatorio che ne provoca il ri-
scaldamento, favorisce la sua umidificazione e fa depositare i corpi estranei relativamente più con-
sistenti. Attraverso delle aperture posteriori, coane nasali, l’aria passa in successione attraverso due
canali, la rinofaringe e l’orofaringe, canale questo condiviso con l’apparato digerente, ed arriva alla
laringe, dove si trovano le corde vocali, preposte alla fonazione. Da lì giunge, attraverso la glottide,
alla trachea, che si suddivide in due rami, i bronchi principali destro e sinistro. Ogni bronco si rami-
fica ulteriormente a dare rami sempre più numerosi e di minor calibro, bronchioli lobulari e respi-
ratori, che, attraverso i dotti alveolari, portano ai dotti alveolari ed agli alveoli.
Le strutture più esterne di questo sistema, sino ai bronchioli lobulari, sono sostenuti da strutture car-
tilaginee e presentano una mucosa ciliata e ricoperta di muco, che ha la funzione di umidificare i
gas, bloccare le polveri, e, tramite il movimento delle ciglia, convogliarle verso la glottide dove
vengono scaricate nell’esofago.
alveoli
sacco
alveolare
capillari
polmonari
cuore
polmoni
diaframma
Gli alveoli sono costituiti da cellule endoteliali che ne costituiscono la parete, da cellule interstiziali
e macrofagi, essenziali per la prima difesa dalle infezioni, relativamente frequenti nelle vie respira-
torie, da pneumociti preposti agli scambi gassosi e da altri pneumociti che secernono fosfolipidi ad
azione tensioattiva. Queste molecole si sciolgono nel velo di liquido che riveste la superficie interna
dell’alveolo e, diminuendone la tensione superficiale, rendono più facile l’espansione degli alveoli
nell’inspirazione (una carenza di questo liquido surfattante può creare gravi complicazioni nel neo-
nato). Negli alveoli i gas respiratori si sciolgono nel velo di liquido su citato, per diffusione entrano
nei pneumociti e da essi ai capillari che circondano l’alveolo secondo i loro gradienti di concentra-
zione: a livello dei capillari polmonari venosi si avrà ingresso dell’ossigeno ed uscita dell’anidride
carbonica. Nel sangue l’ossigeno è quasi tutto, 98,5%, legato all’emoglobina degli eritrociti mentre
l’anidride carbonica è in parte sciolta senza variazioni, in parte come ione bicarbonato, e in parte è
legata all’emoglobina a dare carbamminoemoglobina.
I centri nervosi respiratori si trovano a livello del midollo allungato e del ponte, formazione bulbo
– pontina, e controllano la frequenza respiratoria grazie a chemocettori, sensibili al tasso ematico
della CO2 tramite la diminuzione di pH collegata ad un suo aumento: CO2 + H2O ⇌ H + + HCO3 -.
153. Il sistema circolatorio è preposto alla circolazione del sangue, così da trasportare nutrienti, os-
sigeno, anidride carbonica ed ormoni alle, e dalle, cellule in modo da nutrirle, combattere le infezio-
ni, stabilizzare temperatura corporea e pH, mantenendo una situazione di equilibrio, omeostasi.
I componenti essenziali del sistema circolatorio, nell’uomo, sono il cuore, il sangue ed i vasi san-
guigni. In esso sono presenti una circolazione polmonare, in cui il sangue viene ossigenato, ed una
sistemica attraverso tutto il resto del corpo al quale viene conferito il sangue ossigenato.
Nel sistema circolatorio di un adulto sono presenti in media da 5 a 6 litri di sangue che consiste di
plasma, eritrociti, leucociti e piastrine.
Nella circolazione polmonare, il sangue povero di ossigeno vien pompato dal cuore, tramite l’arte-
ria polmonare ai polmoni e, ossigenato, torna al cuore tramite la vena polmonare.
Il sangue povero di ossigeno arriva nell’atrio destro del cuore dalla vena cava superiore e da quel-
la inferiore, passa, attraverso la valvola tricuspide, nel ventricolo destro, e da qui, attraverso la
valvola semilunare polmonare, nell’arteria polmonare. Dopo gli scambi gassosi alveolari, il san-
gue ossigenato, tramite la vena polmonare, ritorna all’atrio sinistro. Nella circolazione sistemica il
sangue ossigenato è pompato dal ventricolo sinistro nell’aorta, arriva a tutte le parti del corpo e ri-
torna al cuore attraverso le vene cave. La circolazione coronarica porta il sangue al muscolo car-
diaco, miocardio, tramite due arterie coronariche che originano dall’aorta; le vene coronarie ri-
portano il sangue venoso al seno coronarico e, quindi, all’atrio destro.
polmoni
arteria polmonare vena polmonare
aorta
vena cava
altri organi
Il cuore pompa sangue ossigenato al corpo e sangue deossigenato ai polmoni. In esso sono presenti
un atrio ed un ventricolo per ciascuna circolazione e quindi un totale di quattro camere.
Agli atri, destro e sinistro arrivano il sangue deossigenato da tutto il corpo e, rispettivamente, quello
ossigenato dai polmoni. Dai ventricoli, destro e sinistro vien pompato il sangue deossigenato ai pol-
moni e, rispettivamente, quello ossigenato a tutto il corpo.
valvola bicuspide
atrio destro
ventricolo sinistro
valvola tricuspide
valvola semilunare aortica
ventricolo destro
Il cuore è costituito da due pompe indipendenti ma sincronizzate poste in serie tra di loro tramite
l’albero circolatorio.
Le cavità destre e sinistre sono divise da setti, interatriale e, rispettivamente, interventricolare
che, qualora presentino danni congeniti, o dovuti a vari effetti (infarti), consentono il passaggio del
sangue dalle une alle altre. Se il sangue passa da sinistra a destra, difetto sinistro – destro, si ha so-
vraffaticamento del ventricolo destro, che deve pompare una maggior quantità di sangue ai polmo-
ni; se invece il sangue deossigenato passa da destra a sinistra, provoca una diminuzione della quan-
tità di ossigeno nel circolo sistemico, con conseguente cianosi.
La parete del ventricolo sinistro, che deve pompare il sangue nel circolo sistemico in cui sono pre-
senti resistenze alla circolazione molto maggiori che non nella circolazione polmonare, è decisa-
mente più spessa di quella del ventricolo destro (le pressioni nelle due camere arrivano, rispettiva-
mente, a 120 mmHg e 20 mmHg in più della pressione esterna).
Le quattro valvole presenti nel cuore, tricuspide e dicuspide, o mitrale, e semilunari polmonare ed
aortica, hanno la funzione di far fluire il sangue in una sola direzione.
Le valvole atrio-ventricolari durante la contrazione dei ventricoli, sistole, sono chiuse, in quanto
bloccate da cordoni tendinei, e si aprono, consentendo il flusso di sangue dall’atrio al ventricolo,
durante la diastole.
Le semilunari presentano tre lembi a forma di tasca, con l’apertura rivolta verso l’arteria; il sangue
che esce dai ventricoli, sistole, appiattisce le tasche che lasciano libero il passaggio, mentre un e-
ventuale riflusso sanguigno le gonfia,diastole, bloccando la comunicazione con l’aorta o con l’ar-
teria polmonare.
Il cattivo funzionamento delle valvole si può configurare come un’insufficienza, che consente ri-
flusso, o come una stenosi, restringimento, che rende più difficile il passaggio del sangue.
Il ciclo cardiaco è l’insieme dei fenomeni, compresi tra un battito cardiaco ed il successivo, che
hanno luogo nel cuore e può essere diviso in 5 stadi.
Il primo corrisponde alla chiusura delle valvole semilunari, all’apertura di quelle atrioventrico-
lari, con il cuore rilassato;
nel secondo, sistole atriale, si ha contrazione degli atri e passaggio di sangue da essi ai ventricoli;
il terzo, contrazione ventricolare isovolumetrica, si ha quando, con tutte le valvole chiuse i ventri-
coli iniziano a contrarsi, con aumento di pressione ma a volume costante;
nel quarto, eiezione ventricolare, i ventricoli sono vuoti e contratti e le valvole semilunari sono
aperte;
nel quinto, rilassamento ventricolare isovolumico, i ventricoli iniziano a rilassarsi, la pressione di-
minuisce e le valvole semilunari sono chiuse.
La frequenza cardiaca indica il numero di battiti al minuto, circa 70 in media, dovuti alla chiusura
quasi contemporanea delle due valvole atrioventricolari. Ad ogni battito i ventricoli eiettano circa
70 cc di sangue, gittata o volume sistolico, e pertanto, in un minuto, il cuore pomperà circa 5000
cc, cioè 5 litri, di sangue (gittata cardiaca).
Le pressioni massima e minima nel ventricolo destro, corrispondenti rispettivamente alla sistole
ed alla diastole di questa cavità, sono di 120 e di 70 mmHg superiori alla pressione esterna (che è
mediamente 760 mmHg).
Il ciclo cardiaco è coordinato da una serie di impulsi elettrici prodotti da miociti presenti nel nodo
seno atriale e che si diffondono a tutto il miocardio, raggiungendo prima gli atrii ed il nodo atrio-
ventricolare e successivamente i miociti dei ventricoli: per questo motivo la contrazione degli atri,
sistole atriale, precede quella dei ventricoli, sistole ventricolare.
Il propagarsi dello stimolo elettrico attraverso il sistema di conduzione del cuore genera delle cor-
renti, e quindi delle differenze di potnziale, che possono essere registrate con opportune tecniche, e
la cui intensità, nel tempo, si può utilizzare per seguire, e valutare la regolarità, del ciclo cardiaco.
La rappresentazione di quanto esposto si realizza mediante un elettrocardiogramma in cui sono pre-
senti tratti caratteristici, periodici, correlabili alle varie attività del muscolo cardiaco.
0,8 s
0,06 - 0,12 s
0,06 - 0,09 s
capillare linfatico
interstizi
venula
venule
arteriola
linfa
vaso linfatico
Dai capillari il liquido, linfa, che ha composizione analoga a quella del plasma, passa ai vasi lin-
fatici e quindi ad un linfonodo, nel quale confluiscono una serie di vasi linfatici afferenti, e dal
quale emergono vasi linfatici efferenti che portano la linfa ad altri linfonodi, ad una vena o a dotti
linfatici di maggior calibro, dotto toracico, che arrivano ad una delle vene succlavie.
Il movimento della linfa è dovuto, nei vasi maggiori, anche alla contrazione ed al rilassamento di
tessuto muscolare liscio, ma, soprattutto, alle contrazioni della muscolatura scheletrica adiacente ed
alle pulsazioni delle arterie, peristalsi.
L’unidirezionalità del flusso è assicurata dalla presenza di valvole a nido di rondine.
Nel liquido di drenaggio, oltre a cellule preposte alla difesa immunitaria, sono presenti buona parte
dei lipidi assorbiti a livello enterico sotto forma di chilomicroni, microscopiche goccioline apolari
circondate da un sottile strato di proteine che permettono il loro trasporto nel sangue o, appunto,
nella linfa. Disfunzioni del sistema linfatico provocano l’accumulo di liquido nei tessuti: edema.
156. La coagulazione, trombogenesi, è un importante processo dell’emostasi.
La perdita di sangue da un vaso danneggiato viene impedita per ricoprimento della lesione con un
coagulo insolubile costituito da piastrine e fibrina.
Disfunzioni di questo processo possono avere come conseguenza emoraggie o trombosi (forma-
zione di uno o più coaguli, trombi, che ostruiscono i vasi sanguigni).
Il danno all’endotelio vasale libera nel sangue un fattore tissutale che provoca un cambiamento nel-
la forma delle piastrine, da globulari a stellate, e rende la loro membrana più affine per una proteina
del sangue, il fibrinogeno, di modo che si forma un ammasso di piastrine legate da fibrinogeno, che
costituisce un tappo, trombo bianco, nella regione del danno (le piastrine attivate dal fattore tissu-
tale liberano inoltre sostanze che attivano altre piastrine promuovendone l’aggregazione).
Contemporaneamente il fattore tissutale si lega ad una molecola presente nel circolo sanguigno, fat-
tore VII, dando un complesso dotato di attività peptidasica (in grado cioè di attaccare il legame pep-
tidico). Tale complesso attiva un altro enzima che con la stessa modalità, ed eventualmente coadiu-
vato nella sua azione da un cofattore sanguigno, ne attiva un altro in una cascata di reazioni (cascata
in quanto ad ogni passaggio si ha amplificazione dell’effetto dato che ciascun enzima della seguen-
za attiva un gran numero di molecole dell’enzima successivo) che termina nella conversione della
protrombina in trombina. Si arriva allo stesso risultato oltre che con questo processo, estrinseco,
anche con un altro processo, intrinseco, meno veloce ma più potente. La trombina, comunque for-
mata, trasforma il fibrinogeno in fibrina l’unità costitutiva del tappo emostatico definitivo. I proces-
si in questione richiedono ione calcio e vitamina K. Nel sangue sono presenti enzimi che impedi-
scono che la coagulazione si estenda al di là della zona in cui è richiesta. Una volta che il danno va-
sale sia stato riparato la plasmina, attacca il coagulo che viene eliminato.
Agenti anticoagulanti, come l’eparina, che impedisce l’azione della vitamina K, l’EDTA ed il citra-
to che legano lo ione calcio, impediscono la coagulazione. La coagulazione è inoltre compromessa
dalla carenza di origine genetica, emofilia, di alcuni fattori coinvolti nella coagulazione (VIII o IX).
157. Il sistema immunitario nell’uomo, e negli altri vertebrati, protegge l’organismo dalle infe-
zioni, con una successione di difese di specificità crescente.
A livello della cute l’ingresso dei microrganismi è ostacolato sia meccanicamente che chimicamen-
te. Il sebo, secreto dalle ghiandole sebacee, è acido ed ha effetto batteriostatico; nelle mucose la sa-
liva ed il fluido lacrimale dilavano i microbi e contengon sostanze ad azione antibatterica ed antivi-
rale (lisozima); il muco intrappola i microrganismi e le cellule ciliate li espellono, l’HCl gastrico
uccide i batteri e la flora intestinale compete con essi per i nutrienti.
I microrganismi che superano queste barriere sono fagocitati da tutta una serie di tipi cellulari: neu-
trofili, macrofagi... Il danno tissutale e l’infezione inducono il passaggio nei tessuti dai capillari a-
diacenti, che è mediato dall’istamina dei mastociti, di tutta una serie di sostanze, nonchè di fagociti
e linfociti.
Oltre a questo livello di difesa non specifico, immunità innata o aspecifica, i vertebrati posseggo-
no un secondo livello di difesa, immunità acquisita o specifica, che, attivato dal primo, entra in
azione più lentamente. Esso adatta la sua risposta rendendola specifica per l’agente patogeno re-
sponsabile dell’infezione e tale specificità viene memorizzata consentendo al sistema immunitario,
in un eventuale sucessivo incontro con lo stesso patogeno, di attaccarlo più velocemente e più inten-
samente e dando all’organismo un’immunità durevole nei suoi confronti.
Sia la risposta innata che quella adattativa richiedono che il sistema immunitario sia in grado di di-
stinguere tra molecole self, componenti dell’organismo, e molecole non self, estranee ad esso: le
molecole non self che, legando recettori specifici delle cellule del sistema immunitario, provocano
una risposta immunitaria si dicono antigeni.
Le cellule del sistema immunitario specifico sono particolari tipi di leucociti detti linfociti tra i qua-
li i più importanti sono i B ed i T, che derivano da cellule staminali ematopoietiche del midollo os-
seo. I primi sono coinvolti nella risposta umorale, secrezione di anticorpi, ed i secondi in quella
cellulo mediata. Sulla loro membrana sono presenti recettori che riconoscono un bersaglio non self
ed attivano il linfocita stesso attraverso due modalità diverse.
Per i linfociti T è necessario che un patogeno sia stato fagocitato e frammentato, processazione
dell’antigene, da altre cellule (ACP: cellule presentati l’antigene) tra cui i macrofagi, e i frammenti,
antigeni, siano esposti sulla membrana di tali cellule in associazione con una molecola del com-
plesso maggiore di istocompatibilità (MHC o HLA).
I linfociti B invece hanno come recettore di membrana un anticorpo in grado di riconoscere gli
antigeni senza che essi siano stati in alcun modo processati: ognuna delle numerosissime linee di
linfociti B esprime un anticorpo diverso.
Le cellule T attivate possono essere, semplificando, di due tipi, killer ed helper.
Le prime percorrono tutto l’organismo ricercando ed uccidendo cellule che rechino sulla loro mem-
brana il complesso MHC- antigene che le ha attivate (per esempio cellule tumorali o infettate da vi-
rus). Le T helper, invece, secernono sostanze, citochine, che attivano i macrofagi e le T killer; esse
inoltre legano linfociti B dotati degli anticorpi di membrana complementari all’antigene che le ha
attivate e fanno sì che essi si trasformino in plasmacellule che si moltiplicano rapidamente, dando
un gran numero di cellule identiche, clone cellulare, e producono grandi quantità dell’anticorpo
specifico per l’antigene. Una parte dei linfociti B si trasforma in cellule memoria, cellule con una
durata di vita relativamente lunga che, ad un successivo incontro con lo stesso patogeno, sono in
grado di dare una risposta umorale molto più pronta ed intensa.
I vari tipi di anticorpi, immunoglobuline, sono tetrameri proteici in cui sono presenti regioni in
grado di legare in modo specifico antigeni liberi, macromolecole, o presenti sulla membrana cel-
lulare di un patogeno. Un anticorpo è in grado di legare contemporaneamente più antigeni, e ciò
porta alla loro agglutinazione che li rende più facilmente attaccabili da cellule fagocitarie.
Mentre i linfociti B si generano e maturano nel midollo osseo la maturazione dei linfociti T avviene
nel timo, una ghiandola che con l’età perde buona parte della sua funzione.
Il riconoscimento degli antigeni è facilitato dalla loro accumulazione negli organi linfoidi periferi-
ci,in cui ricircolano continuamente le cellule del sistema immunitario. Sono organi di questo tipo i
linfonodi, la milza (in cui vengono anche distrutti i globuli rossi arrivati alla fine del loro ciclo vita-
le) e vari sistemi linfoidi associati alle mucose gastroenteriche, alle mucose dei bronchi ed alla pelle
(l’insieme di questi sistemi è detto MALT).
Disfunzioni del sistema immunitario sono causa di allergie e cioè di risposte sproporzionate, iper-
sensibilità, all’antigene che possono arrivare sino allo shock anafilattico.
Le immunodeficienze sono invece carenze più o meno consistenti a livello della funzionalità di
qualcuno dei livelli di difesa del sistema immunitario.
Una patologia autoimmune consiste invece in un’alterazione del sistema immunitario che compor-
ta risposte dirette contro tessuti o organi dell’organismo stesso (tiroidite di hashimoto, artrite reuma-
toide, lupus eritematoso sistemico).
L’acquisizione dell’immunità nei confronti di un patogeno, immunità acquisita, può essere passiva
o attiva. Nel primo caso ha breve durata e deriva dall’acquisizione di cellule o siero da individui già
immunizzati (è naturale se deriva dal passaggio trasplacentare di IgG o dall’acquisizione di anticor-
pi con il latte materno). Nel secondo caso ha lunga durata e deriva dal contatto diretto con l’antige-
ne (la vaccinazione è un’immunità acquisita attiva artificiale).
Apparato escretore Struttura del rene Nefrone e concentrazione dell’urina Vie urinarie Sistema endocrino
Comunicazione cellulare e secondi messaggeri L’ipofisi e i suoi principali ormoni L’epifisi Tiroide e paratiroidi
Pancreas endocrino Ghiandole surrenali Gonadi maschili e femminili
158. L’apparato urinario produce, immagazzina ed elimina l’urina. L’urina si forma nei due reni
per filtrazione del sangue e passa, tramite gli ureteri alla vescica, dove viene immagazzinata e, suc-
cessivamente, espulsa, minzione, attraverso l’uretra.
L’apparato urinario ha diverse funzioni: eliminazione dei prodotti di rifiuto soprattutto sotto forma
di urea e di acido urico; regolazione del bilancio elettrolitico; regolazione dell’omeostasi acido –
basica (mantenimento del pH a valore costante); controllo del volume e della pressione sanguigna.
Ogni rene è ricoperto di una capsula di tessuto connettivo al di sotto della quale presenta la regione
coricale esterna e midollare interna. Questa è costituita dalle cosiddette piramidi ai vertici delle
quali si trovano le papille renali.
L’unità strutturale e funzionale del rene è il nefrone costiutuito dal glomerulo, dalla capsula di
Bowman, dal tubulo contorto prossimale, dall’ansa di Henle, dal tubulo contorto distale e dal
dotto collettore che sbocca a livello della papilla renale.
Midollo e
piramidi Corteccia
Calice
Arteria renale
Papilla
Vena renale
Calice
Pelvi
Capsula Rene
Uretere
Nefrone
Glomerulo e capsula di
Bowman
Corteccia
Midollo
Ansa di Henle
tratto discendente Ansa di Henle
tratto ascendente
Il glomerulo è un gomitolo di capillari contenuto nella capsula di Bowman. A causa del gradiente di
pressione il sangue filtra attraverso le pareti dei capillari ed entra nella capsula (corpi figurati e ma-
cromolecole proteiche, albumina, non possono passare) da cui arriva al tubulo contorto prossimale,
dove l’acqua viene riassorbita per osmosi di modo che il liquido nel tubulo si concentra. Lo stesso
fenomeno si ha a livello del dotto collettore midollare, con l’effetto che i 180 L filtrati dai reni nelle
24 ore si riducono a 1 – 1,5 litri di urina. Oltre all’acqua vengono riassorbite anche tutte una serie di
sostanze utili come il glucosio e gli amminoacidi e vengono secrete nell’urina altre sostanze di ri-
fiuto.
A livello renale vengono prodotte l’eritropoietina , un fattore che regola l’emopoiesi, e la renina,
una peptidasi che attiva l’angiotensinigeno ad angiotensina che, ulteriormente modificata a livello
polmonare, da un lato aumenta la pressione arteriosa, e dall’altro provoca nella corticale del surrene
la secrezione di aldosterone che promuove il riassorbimento renale di ione sodio e quindi, per o-
smosi, anche dell’acqua (l’ADH, ormone antidiuretico ipofisario, ha effetto opposto).
159. Il corretto funzionamento dell’organismo e la realizzazione dell’omeostasi, il mantenimento
cioè delle concentrazioni ottimali dei vari componenti in soluzione nei liquidi biologici, richiede un
continuo scambio di “informazioni” tra le varie cellule costituenti i tessuti, gli organi e gli apparati.
Le cellule di un tessuto in crescita, per esempio, limitano il loro sviluppo, quando entrano in stretto
contatto con altre cellule uguali o diverse, a seguito dell’interazione di opportuni recettori di mem-
brana. Una disfunzione nel funzionamento di tali recettori, che si verifica, per esempio, nelle cellule
oncogene, fa perdere tale inibizione da contatto e porta alla genesi di un tumore.
La costanza del pH del plasma, e del citoplasma degli eritrociti, è fondamentale per la funzionalità
del tessuto sanguigno ed è regolata per intervento più o meno diretto del rene e dell’apparato respi-
ratorio, grazie ai quali si modificano le composizioni dei principali tamponi presenti in questo tessu-
to. Il più importante tampone plasmatico è costituito dalla coppia H2CO3 / HCO3- (acido carbonico /
bicarbonato), mentre a livello degli eritrociti è presente il tampone H2CO3 / HCO3 – (diidrogeno fo-
sfato / idrogeno fosfato).
Oltre che dal sistema nervoso, le informazioni necessarie alla regolazione di tutta una serie di pro-
cessi vitali derivano dall’apparato endocrino, un insieme di ghiandole che secernono direttamente
nel circolo sanguigno vari tipi di ormoni i quali esplicano la loro azione su cellule fornite di recet-
tori specifici per gli ormoni stessi ( a seconda che i tessuti bersaglio dell’ormone siano lontani, vici-
ni oppure coincidano con il tessuto che ha secreto l’ormone, si parla di secrezione endocrina, pa-
racrina o, rispettivamente, autocrina).
SNC
Epifisi
Ipotalamo
Melatonina Fattori di
rilascio e di
inibizione Assoni
Corticotropina Tireootropina .
. ACTH FSH LH Prolattina GH
. TSH
Vasopressina
Pancreas Ossitocina
Corteccia Tiroide Adrenalina
Testicoli Ovaie β
surrenale Paratiroide Noradrenalina
α
T3 T4 Testosterone Insulina
Calcitonina .
Progesterone
Corticosteroidi Paratormone
Glucagone
Organi Arteriole
Muscolo
Ossa Fegato riproduttori
Rene Epatociti
Vari Muscolo liscio
Adipociti
tessuti Ghiandole Rene Fegato
Miociti
mammarie Muscolo
scheletrico
Cuore
L’ipotalamo produce una serie di fattori peptidici che, sotto il controllo del sistema nervoso centra-
le, regolano la funzione dell’ipofisi, ad esso collegata tramite il peduncolo ipofisario. Inoltre, trami-
te gli assoni di neuroni particolari, invia all’ipofisi posteriore, neuroipofisi, gli ormoni vasopressi-
na (ADH) che regola il tono vasale ed il riassorbimento d’acqua nei nefroni, ed ossitocina che pro-
muove la contrazione uterina e la lattazione.
L’epifisi, o ghiandola pineale, secerne la melatonina che regola il ritmo circadiano, sonno / veglia.
L’ipofisi anteriore, o adenoipofisi, secerne l’ormone della crescita, GH, che stimola la crescita e
la riproduzione cellulare, e la prolattina, che stimola la sintesi del latte ed il suo rilascio a livello
delle ghiandole mammarie. Inoltre l’adenoipofisi secerne tutta una serie di tropine, peptidi, che sti-
molano la secrezione di altri ormoni da tutta una serie di tessuti:
il TSH induce a livello della ghiandola tiroide la sintesi e la secrezione di triiodotironina, T3, e
tiroxina,T4, nonchè l’assorbimento dal circolo sanguigno di ione ioduro necessario per la sintesi
degli ormoni tiroidei; T3 e T4 aumentano la velocità del metabolismo basale incrementando il cata-
bolismo ed il consumo di ossigeno; la tiroide produce inoltre la calcitonina che regola il metaboli-
smo osseo in antagonismo con il paratormone, secreto dalle 4 ghiandole paratiroidi quando si ab-
bassa la calcemia: il PTH stimola il rilascio di ione calcio dalle ossa e promuove il suo riassorbi-
mento nel rene ripristinando la calcemia;
l’ACTH, agisce sulla corteccia delle ghiandole surrenali stimolando sintesi e produzione degli or-
moni corticoidi e degli steroidi sessuali: i corticoidi si dividono in mineralcorticoidi, che sono pre-
posti alla regolazione del bilancio idrico e salino, come l’aldosterone, la cui secrezione è però indi-
pendente dall’ACTH, e in glicocorticoidi, cortisone e cortisolo, che intervengono nel metabolismo
glicidico ed hanno azione antiinfiammatoria; gli steroidi sessuali, androgeni, estrogeni e progeste-
rone intervengono nell’espressione dei caratteri sessuali secondari;
l’ FSH, ormone stimolante il follicolo, e l’ormone luteinizzante, LH, agiscono sulle gonadi, ghian-
dole sessuali; il primo stimola la maturazione del follicolo nelle ovaie e la spermatogenesi, mentre
il secondo stimola l'ovulazione, la formazione del corpo luteo e la sintesi di testosterone da parte
delle cellule interstiziali di Leydig.
A livello delle cellule 𝜶 e 𝜷 (isole di Langerhans) del pancreas vengono prodotti e secreti gli or-
moni peptidici glucagone ed insulina. Il primo, se la glicemia si abbassa, la fa aumentare stimolan-
do la glicogenolisi e la gluconeogenesi a livello epatico, mentre il secondo, con azione antagonista,
in condizioni di glicemia elevata, aumenta il prelievo di glucosio dal sangue, specie a livello del fe-
gato e del muscolo, e quello dei lipidi a livello degli adipociti: l’insulina è un ormone anabolizzan-
te. Una disfunzione nella produzione dell’ormone o dei suoi recettori ha come conseguenza l’innal-
zamento della glicemia e l’escrezione di glucosio nelle urine, glicosuria, come si verifica nel diabete
mellito.
Nella midollare delle ghiandole surrenali vengono prodotti, e secreti sotto controllo del sistema
nervoso ortosimpatico, gli ormoni adrenalina e noradrenalina responsabili delle cosiddette rea-
zioni “combatti o fuggi”. L’adrenalina, secreta in risposta ad un forte stimolo nervoso, va in circolo
e, molto velocemente, aumenta le disponibilità energetiche dell’organismo aumentando la frequenza
respiratoria nonchè la frequenza e la gittata cardiaca: ciò, assieme all’incremento dei processi cata-
bolici, glicogenolisi epatica e muscolare ed idrolisi dei lipidi negli adipociti, aumenta la disponibili-
tà di ossigeno e di glucosio per i muscoli e per il cervello.
Apparato genitale maschile Apparato genitale femminile. Ciclo mestruale. Gravidanza e parto Regolazione della produ-
zione degli ormoni sessuali.
160. Gli organi genitali esterni, nell’apparato riproduttivo maschile umano, sono il pene, prepo-
sto alla copulazione, e lo scroto, una struttura bursiforme sottostante al pene in cui sono alloggiati i
testicoli, la cui funzione contrattile consente di avvicinarli in misura diversa al corpo, mantenendoli
a temperatura costante, fattore essenziale della spermatogenesi. Fanno parte degli organi genitali in-
terni i testicoli, in cui ha luogo la spermatogenesi e la sintesi del testosterone, gli epididimi, struttu-
re tubulari in cui si raccolgono e maturano gli spermatozoi, il dotto spermatico, che convoglia gli
spermatozoi alla cavità pelvica, le ghiandole accessorie, tra cui la prostata, che secernono fluidi
che lubrificano il dotto spermatico e forniscono nutrimento, fruttosio, agli spermatozoi.
L’apparato riproduttivo femminile consta della vulva, della vagina, con funzione recettrice per
gli spermatozoi, dell’utero, in cui si impianta e matura l’uovo fecondato, zigote, delle tube di Fal-
loppio, in cui normalmente avviene la fecondazione, cioè la fusione tra uovo e spermatozoo, e delle
ovaie, in cui vengono prodotti i gameti femminili, gli estrogeni ed il progesterone.
fimbrie
Tassi ormonali
FSH
LH
Estrogeni
Progesterone
Sistema nervoso
Organizzazione del sistema nervoso nei Vertebrati Sistema nervoso centrale e sistema nervoso periferico con relative
suddivisioni Encefalo: telencefalo e aree della corteccia cerebrale, diencefalo, tronco encefalico e cervelletto Midollo
spinale e vie nervose:sensoriali e motorie Sistema autonomo
161. Dal punto di vista anatomico il sistema nervoso è suddivisibile come segue.
Sistema nervoso centrale, SNC, costituito dall’encefalo, che comprende il cervello, il cervelletto
ed il tronco dell’encefalo e dal midollo spinale,
Cervello
Corpo calloso
Ventricoli
Talamo
Ipotalamo Mesencefalo
Ipofisi
Ponte Cervelletto
Midollo
Tronco dell’encefalo
o bulbo
Il cervello, rivestito dalle tre membrane che costituiscono le meningi, è formato dal telencefalo (e-
misferi cerebrali lobati separati dal corpo calloso) e diencefalo (talamo, ipotalamo, ipofisi ed epifi-
si). La parte esterna , corteccia è formata di sostanza grigia, cioè dal corpo cellulare, soma, dei
neuroni, mentre quella interna consta di sostanza bianca, fibre mieliniche: sia nella sostanza grigia
che in quella bianca è presente tutta una serie di cellule acces-sorie, oligodendrociti mielinizzati e
microglia.
La sostanza bianca mette in relazione le varie aree della corteccia:
aree sensorie, che ricevono ed eleborano le informazioni sensoriali, mediate dal talamo;
aree motorie, che controllano i movimenti volontari (le aree motorie dell’emisfero sinistro control-
lano la parte destra del corpo e viceversa;
aree associative, sono la sede del pensiero astratto e del linguaggio (le aree deputate a quest’ultima
attività sono principalmente quelle di Wernicke e di Broca).
Il cervelletto è suddiviso in due emisferi, che constano di sostanza grigia e bianca; è coinvolto nel-
l’apprendimento, nella funzione motoria e nel linguaggio.
Il tronco dell’encefalo contiene centri per i riflessi visivi ed auditivi e neuroni di nuclei, sensitivi e
motori dei nervi cranici (dodici paia).
Il midollo spinale è la porzione extracranica dell’SNC, un fitto fascio di neuroni alloggiato nel ca-
nale vertebrale. Esso è l’origine di 31 paia di nervi spinali. La sostanza bianca è verso l’e-sterno
mentre quella grigia è disposta internamente a formare delle corna ventrali e dorsali da cui
emergono le radici anteriori, motorie, e posteriori, sensitive e formanti un ganglio, dei nervi spi-
nali.
4 2
1.Corno anteriore
2. Corno posteriore
3. Radice anteriore
4. Radice posteriore
5. Ganglio spinale
Il sistema nervoso periferico è costituito dai nervi cranici e dai nervi spinali in cui la mielinizza-
zione degli assoni è dovuta alle cellule di Schwann, e si suddivide a sua volta in sistema motorio e
sistema sensoriale. Il sistema motorio si divide in sistema somatico, volontario, e sistema autono-
mo, o vegetativo, che, infine, è diviso in ortosimpatico, parasimpatico e metasimpatico.
Il sistema nervoso autonomo innerva gli organi interni controllando funzioni in genere escluse dal
controllo volontario quali il movimento della muscolatura liscia, l’attività cardiaca e la secrezione
ghiandolare.
Il sistema metasimpatico, o enterico, controlla il tratto intestinale, cistifellea e pancreas compresi.
Il sistema parasimpatico è interessato a funzioni viscerosensitive e somatosensitive, alla broncoco-
strizione, alle peristalsi gastroenteriche, all’eccitazione della secrezione da parte del pancreas e del
fegato e, a livello oculare, controlla la midriasi. Il neurotrasmettitore presente nel parasimpatico è
l’acetilcolina, lo stesso che interviene a livello della placca motrice del muscolo scheletrico.
Il sistema ortosimpatico ha innervazioni che esplicano azioni opposte a quelle del parasimpatico:
broncodilatazione, vasocostrizione, tachicardia, costrizione sfinterica (miosi). Utilizza come neu-
rotrasmettitori l’adrenalina e la noradrenalina e, come già detto, interviene nelle reazioni “com-
batti o fuggi”.