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LA “PERFETTA LETIZIA” DI MARIA CHIARA DAMATO

Vincenza Damato è una ragazza come tante che, agli inizi del 1900, vive a Barletta,
in provincia di Bari. A 19 anni va ad Albano Laziale, sulle colline vicino a Roma, nel mo-
nastero delle Clarisse. Vi uscirà solo per morire, a 39 anni. Una vita trascorsa nel silenzio
e nel nascondimento, nella quale gli itinerari geografici lasciano il posto al cammino dello
spirito. Seguendo Vincenzina, poi divenuta suor Maria Chiara, potremo scoprire orizzonti
impensati, nella sempre inedita avventura della santità.

Perché una ragazza bella, alta, occhi azzurri, con i suoi capelli lunghi annodati con
le trecce, vivace, simpatica - così la ricordano a Barletta dove era nata l’11 novembre 1909
-, che sa conquistarsi le amiche e i bambini, decide un giorno di andare a chiudersi in un
monastero?
Sarà stata la lettura della Storia di un’anima, l’autobiografia di Teresa di Gesù
Bambino appena canonizzata da Pio XI? Sarà stato il clima di fervore della Barletta di ini-
zio secolo, da cui partirono una quarantina di giovani e ragazze per consacrarsi a Dio? Sa-
ranno stati i colloqui silenziosi e prolungati con Gesù eucaristia nella chiesa della parroc-
chia?
Forse tutto questo, ma ogni vocazione rimane sempre un mistero della grazia di Dio, che
sceglie come vuole e indirizza dove vuole.

Tra le Clarisse

“Nel monastero tutto mi parve stupendo; mi credevo trasportata come in un deserto


nella mia piccola cella; mi deliziavo”. Sono i ricordi di Cenzina (così a casa chiamavano
Vincenza Damato), appena arrivata nella sua nuova famiglia.
All’inizio del noviziato si esprime come una fidanzatina, impaziente delle nozze:
“Mi preparo meglio ad adornare il mistico giardino del mio cuore per poi, quando viene lo
Sposo, farlo riposare con più tranquillità nel mio seno”. Con la vestizione, il 30 ottobre
1929, Vincenzina cambia il nome di battesimo in quello di suor Maria Chiara di Santa Te-
resa del Bambino Gesù. Quindi segue il normale cammino della professione dei voti sem-
plici e di quella solenne, fino a diventare una Clarissa a tutti gli effetti.
Quando pensa alla consacrazione a Dio, la descrive sempre in termini sponsali. “Il
nostro dolce Sposo ci chiama più vicino al suo Cuore di fiamma… E noi, ubbidendo alla
sua voce, ci sentiamo attratte dal fascino immortale delle sue bellezze”. Aveva atteso il
giorno dei voti come il “giorno splendido” nel quale lo Sposo celeste le avrebbe messo al
dito “l’anello mistico della fedeltà”. Più avanti, siamo nel 1940, confiderà che “grandi sono
le grazie, e le finezze di amore che l’Amato Sposo mi elargisce”.
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Forse agli inizi c’è tanto sentimento ed anche una visione ingenuamente idilliaca
del rapporto con lo Sposo. Tuttavia, a mano a mano che progredisce nella comunione con
Lui, l’amore si fa più esigente e concreto. Suor M. Chiara scoprirà presto che lo Sposo è
uno Sposo crocifisso e che l’amore a Lui si prova nella condivisione della Sua passione e
morte: è questa la vocazione ultima della sposa fedele. Alla fine della vita riconosce che il
Padre celeste si è “compiaciuto donarmi il Suo Santissimo figlio per Sposo; vuol farmi di-
ventare una viva copia di Lui mediante la sofferenza”.

La “seconda conversione”

Seguono anni di vita normale, nella quotidianità del monastero, fino a quando, ver-
so il 1937-38, le Sorelle avvertono un’improvvisa impennata nel suo cammino spirituale.
Cosa sarà avvenuto?
Suor M. Nazarena, una delle suore maggiormente vicina a suor M. Chiara e che l’ha
conosciuta profondamente, racconta che ad un dato punto del suo cammino, suor M. Chiara
“si sentiva in modo particolare attirata ad una vita di penitenza, praticando la mortificazio-
ne fino all’eroismo”.
Suor M. Chiara aveva ormai 28 anni. La tentazione e l’ombra del peccato sembrano
sfiorare la sua vita. Ne rimane turbata, ha l’impressione che la sua fedeltà allo Sposo, fino
ad allora avvertita con tanta intensità, si stia incrinando. “Il Signore e santa Teresina - con-
tinua suor Nazarena - si servirono proprio di questo avvenimento per scuoterla e plasmarla
in un’altra creatura nuova. Credo che in questo periodo fece anche la confessione genera-
le”.
Forse fu proprio quella confessione generale che segnò l’inizio di una tappa nuova
nella sua vita. Il suo rapporto con lo Sposo, semplice ed innocente, comincia a conoscere
una nuova profondità e maturazione. Sperimenta le parole più volte ripetute: “Mi hai re-
dento, Signore, con il tuo sangue”.
Da allora, continua la testimonianza di suor M. Nazarena, suor M. Chiara “era tutta
cambiata. Ella seppe esporre tutta l’anima sua ai raggi solari del divin sole. Da questo mo-
mento, la sua vita fu un continuo esercizio di eroica virtù. Da quel momento incominciò il
suo martirio interno. Il Signore non le risparmiò né tentazioni né umiliazioni”.
È in questo contesto di lotta interiore in cui si è gettata con una generosità commo-
vente che suor M. Chiara, nel 1938, scrive una delle sue più belle preghiere, in cui dice, fra
l’altro: “O Gesù! mio Diletto Sposo. Ti chiedo umilmente, che non trascorra un solo mo-
mento della mia vita, senza che il mio pensiero non sia rivolto a Te. Che le mie azioni, an-
che le più indifferenti, abbiano il suggello e l’impronta del Tuo divino amore. Il Tuo amore
mi preservi dalle colpe anche minime, veniali, volontarie; piuttosto la morte mille volte che
il peccato… Insomma, Gesù mio Diletto, che io divenga una viva tua copia, che i tuoi line-
amenti si riversino in me; però tutto nascostamente anche a me stessa…”.
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Una autentica fraternità

Intanto, fuori del monastero, si stanno consumando i preparativi tragici per la guer-
ra. La pace del monastero nasconde altre battaglie, tutte interiori. Suor M. Chiara ha dichia-
rato guerra al suo uomo vecchio con una serietà impressionante.
La nostra suora non è tuttavia un’eroina solitaria che combatte una battaglia tutta
per conto suo. Vive in una famiglia di Sorelle decise a camminare insieme nella sequela
dell’unico Signore. Non si procede in ordine sparso, nel monastero. Si va incontro allo
Sposo che viene, insieme, come stuolo di vergini. Fuori della comunione e dell’unità,
l’unione con Dio può essere un’illusione. Suor M. Nazarena ricorda in proposito le parole
di suor M. Chiara: “Per un tempo mi ero ingannata, perché pensavo che, entrando nel mo-
nastero, avrei visto Gesù. Ho sofferto molto perché non lo vedevo, ma ora sono veramente
felice perché vedo Gesù in tutto; lo vedo in ciascuna delle mie Sorelle, e sono certa che so-
lo Gesù opera e sta in loro, anche quando mi fanno soffrire”. Il suo sguardo di fede le ha
fatto scoprire una nuova presenza reale del Signore.
La vita di fraternità, per suor Maria Chiara, si esprime in mille piccole attenzioni
verso le Sorelle, come attestano le molte testimonianze. Suor Maria del Vecchio racconta,
ad esempio: “Molte volte non facevo in tempo a sbrigare il mio ufficio e, di conseguenza,
non potevo andare a ricreazione con le altre Sorelle probande e novizie. In cuor mio soffri-
vo, vedendo le altre a giocare ed io inchiodata nella cucina. Però facevo in modo che nes-
suno se ne accorgesse. Suor M. Chiara, non so come, intuiva questo mio interno rammarico
e molte volte veniva in cucina e mi obbligava ad andare in giardino ad unirmi alle altre So-
relle. Io le facevo le mie rimostranze, dicendo: “Non posso, devo finire il mio ufficio”. Ma
lei “Vai, non pensare”. E difatti, al ritorno, trovavo tutto compiuto, tutto ordinato tanto che
non avevo più che fare”. Un’altra: “Più volte la mattina, per andare presto al mio ufficio,
non rassettavo la celletta. Poi non mi era più possibile ritornare nella cameretta. Suor M.
Chiara, per quella carità che le ardeva in cuore, senza farsi accorgere andava a rassettarmi
la camera. Quando, dopo il refettorio, ritornavo, trovavo tutto pulito e ordinato”.
Le testimonianze sono concordi anche su un altro aspetto: sapeva infondere gioia in
tutte. “Era di carattere vivacissimo, gioviale; nella ricreazione era lei che manteneva
l’allegria”; “Nei momenti di ricreazione la cercavamo perché sapeva tenerci santamente al-
legre”. “Un giorno le chiesi perché ci teneva sempre allegre. Mi rispose: “Mi figuro di stare
in mezzo a Gesù, la Mamma Celeste e gli Angeli, ed io mi diverto in loro compagnia,
compiendo così un atto di carità verso le mie Sorelle””.
Suor M. Chiara aveva scoperto il segreto della vita fraterna: vedere in tutti Gesù.
Per questo una sua compagna poteva dire: “Mi ha sempre edificato al vedere che non aveva
nessuna particolare amicizia, ma era ugualmente cortese con tutti”. Ed un’altra attesta che
“per spirito di carità mai giudicava le azioni altrui. Diceva: “Voglio confondere la disso-
nanza di certe note false davanti al Signore, con la nota melodiosa della carità””.
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L’offerta della vita

Con l’inizio della guerra le privazioni si fanno sentire anche nel monastero di Alba-
no. Nel 1943 il pane nero viene razionato dal governo. La fame diventa una condizione rea-
le. Ma suor M. Chiara è come trasfigurata, quasi dimentica del suo corpo. Si priva perfino
di quel poco a favore delle Sorelle, scusandosi di essere di scarso appetito.
Poco prima, insieme all’intera comunità, aveva offerto la propria vita per la pace,
assecondando i desideri di Pio XII.
Questo fa crescere la sua ansia di perfezione assoluta. Così nei suoi scritti: “Il cele-
ste Sposo appassionato, col Suo gemito angoscioso e dolorante - “Non sono amato” -, non
chiede altro che amore, immolazione, e dedizione completa di tutti noi stessi al Suo santo
servizio... Nel silenzio romitico di queste sante mura che privilegiatamente mi separano dal
mondo, sento la necessità di divenire un’ostia accetta e propizia agli occhi purissimi del
gran Padre di Gesù e mio”.

Sul crollo del monastero una vita nuova

Il 1° febbraio 1944, intorno alle ore 14, fu bombardato Albano Laziale. Anche il
monastero crollò in gran parte e seppellì sotto un cumulo di macerie ben 15, delle 39 Cla-
risse che formavano la comunità. Suor M. Chiara rimase calma. Con il cuore squarciato dal
dolore, l’unica parola che usciva dalla sua bocca fu: “Sia ringraziato il Signore che ha per-
messo così”.
Le 24 superstiti furono trasferite nel grande complesso di Propaganda Fide, poco di-
stante dal monastero, dove un ulteriore bombardamento portò via altre 3 Sorelle, lascian-
done due ferite. Anche suor M. Chiara, ferita e grondante sangue alla testa e alla spalla, si
rifiutava di farsi portare al pronto soccorso, dicendo: “Lasciatemi soffrire, perché il soffrire
è l’unico mio conforto”.
Come tante altre persone anche le suore vivono sfollate a Roma, fin a quando, il 1° no-
vembre 1944, possono tornare al monastero di Albano, dove ferve l’opera dei restauri. Ma-
cerie e desolazione evocano persone e memorie care. Gli operai, il cantiere aperto, il fra-
stuono sembrano profanare il luogo sacro del silenzio e del raccoglimento.
Anche nell’estrema povertà in cui versa il monastero suor Maria Chiara trova ampi
spazi per un ottimismo permeato di fede e di disarmante felicità, come scrive in questo
brano del febbraio del 1945, indirizzato alla sorella: “Dal mese di Novembre siamo felice-
mente ritornate al nostro amato nido. Non importa che il buon Dio, per farci sempre più
simili al Suo diletto Figlio, ce lo abbia ridotto non proprio come la spelonca di Betlemme,
ma quasi. Siamo così felici soffrendo il freddo, ecc., da non poterci credere. Mai come a-
desso mi sono sentita così vicina a Gesù”.
Suor M. Chiara lascia intravedere il complesso lavorio interiore che Dio sta operan-
do in lei in quegli anni. E quella nota di gioia pura, che attraversa il trascorrere delle sue
giornate umanamente aspre e faticose, ce la mostra una persona che ama di vedersi simile a
Cristo Crocifisso e che con lui condivide la sofferenza.
È da qui che sgorga la sua felicità. È la francescana “perfetta letizia”.
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È arrivato lo Sposo

Dopo il ritorno al monastero, invece di concedersi un po’ di riposo dopo tante pro-
ve, suor M. Chiara “ricominciò una vita tutta di sacrifici, di immolazione”, come testimo-
niano le Sorelle. Era già ridotta pelle e ossa da tempo (“Sono così grossa e grassa da sem-
brare uno scheletro”, scriveva sorridendo il 25 maggio 1943), e adesso si sottopone a di-
giuni e penitenze. Dal 1944 in poi, assistiamo ad un’escalation ascetica che lascia ammira-
ti. “Sento che per divenire alter Christus - scrive in quel periodo al fratello sacerdote -, ho
bisogno di maggior forza: raccomandami al Signore”.
Si sente attratta sempre più verso la Croce. “Mai come adesso – scrive ancora -, mi
sono sentita così vicino a Gesù, nel visitarlo Sacramentato. Sento nell’intimo dell’animo le
Sue dolci attrattive; voci che mi offrono la Santa Croce, nuda e dolorante quale la portò le
ultime ore della Sua Agonia”.
Ma da autentica francescana, la sua sequela di Cristo crocifisso avviene in “perfetta leti-
zia”: “Son felice di soffrire, con Gesù dolorante sulla Croce, ma una felicità piena di gioia inte-
riore”. La “perfetta letizia” appare anche dal rapporto che sa immediatamente instaurare con le
nuove arrivate in monastero.

Un raggio di sole tra le giovani

Nell’agosto del 1945 entrano nel chiostro di Albano le prime quattro postulanti e,
alcuni mesi dopo, altre due. Per suor M. Chiara è una gioia potersi intrattenere a parlare
con le nuove arrivate durante la ricreazione. Lasciamo la parola ad una di queste giovani,
suor M. Matilde Campese: “Il 28 ottobre 1945 feci il mio ingresso in monastero. Appena
entrai vidi una Sorella molto umile nell’aspetto… Dopo qualche settimana suor M. Chiara
venne al laboratorio a lavorare alle macchine di maglieria, ed io soffrivo tentazioni contro
la vocazione. Lei cercava di confortarmi dicendomi: “Piccinina mia, non dar retta, che il
demonio la sa molto lunga”. Mi faceva capire che erano tentazioni da superarsi. Una volta
mi disse: “Piccinina, perché ti sei fatta religiosa?”; ed io le risposi: “Per farmi santa”. Lei
col suo sorriso mi rispose: “Non basta”. Poi mi spiegò che bisognava pensare alle anime
altrui, salvarle coi nostri sacrifici e con la rinuncia a noi stesse, specialmente con
l’abnegazione e il nascondimento”.
Tra la descrizione dell’atteggiamento dimesso della suora e del suo incitamento al
nascondimento, appare all’improvviso, nella testimonianza della suora, un “ci faceva molto
ridere”. La penitenza di suor M. Chiara è gioiosa perché frutto dell’amore.
Altre testimonianze confermano la semplicità e la profondità di vita che ormai ca-
ratterizza suor M. Chiara. Una giovane postulante riporta queste parole: ““Sorelluccia mia,
ti ringrazio tanto tanto di tutte le carità che mi fai; mi tratti troppo bene, mi fai imparare i
vizi!”. Io, confusa a vedere tanta virtù, le dicevo: “Ma io la faccio tanto soffrire”; e lei ri-
spondeva: “No, sorelluccia mia; stai tranquilla, che mi tratti più che una regina”, e lo dice-
va con tanta sincerità che io rimanevo molto edificata e confusa insieme. Ogni volta che la
incontravo per i corridoi o per il giardino, mi sentivo ripetere più e più volte: “Piccinina,
ama molto Gesù, preparagli un bel corredo di virtù per il giorno della vestizione, affinché
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Lui possa compiacersi della sua piccola fidanzata”. Queste parole suonavano così dolci ai
miei orecchi, che mi sentivo tutta infervorata e facevo di tutto per incontrarla”.
Le sei postulanti la conobbero solo per pochi mesi in maniera diretta, perché ben
presto la Clarissa dovette ricoverarsi all’ospedale San Camillo di Roma.

La concretezza del dono

Le privazioni, i disagi, la vita penitente l’hanno infatti minata nel fisico. Aveva de-
siderato ardentemente che lo Sposo accettasse l’offerta della sua vita. Nella sua fantasia si
era immaginata che lui l’avrebbe accettata nella stessa maniera con cui aveva accettato
quella della santa di cui portava il nome: Teresa di Gesù Bambino. Lei era morta di tisi;
perché non chiedere la stessa grazia? E il Signore l’esaudì.
Il 4 novembre 1945 si manifesta il male che porterà suor M. Chiara alla morte. Il
dottore le riscontra una pleurite e qualche sintomo allarmante ai polmoni. Uno sbocco di
sangue – proprio come era accaduto all’amata Teresa di Gesù Bambino – conferma la gra-
vità della situazione. Spossata ed esausta, deve mettersi a letto. Lo Sposo è arrivato!
Prima di lasciare il monastero per l’ospedale scrive del suo male: “Il Padre Celeste
Iddio, essendosi compiaciuto di donarmi il Suo Santissimo figlio per Sposo, vuol farmi di-
ventare una viva copia di Lui mediante la sofferenza. Dal quattro Novembre mi trovo a let-
to con pleurite”.
Il distacco dalla comunità è doloroso per lei e per le Sorelle, soprattutto per le gio-
vani entrate da poco. “Non posso dimenticare – asserisce una di loro – il grande dispiacere
che provai quando seppi che doveva andare via, essendosi ormai ammalata. Mi dispiaceva
in modo particolare nel sentire le sue istanze perché non la portassero via: si sarebbe accon-
tenta di un piccolo tugurio anche nell’orto pur di non uscire dal Monastero”.

L’addio al chiostro

Dall’ospedale San Camillo a Roma scrive alla sorella una lettera che somiglia ad un
autentico referto medico, tanti sono i particolari sulla sua dolorosa malattia. Ma la lettera sa
offrire anche un altro tipo di lettura alla malattia che sta ormai minando il fisico di suor M.
Chiara: “È l’Amabile Gesù, con la cara Mamma Celeste, che proprio in questo tempo santo
di Passione e Pasquale, hanno voluto toccare i tasti del loro harmonium per sentire e gusta-
re se queste note vibravano un suono gradito al loro orecchio. L’harmonium però sente che
miseramente ha fatto tutti i suoi sforzi per ricrearli”.
Da questa lettera si vede come ormai chi “suona la musica” è sempre più “l’amabile
Gesù”. Lei è uno strumento (sta pensando a quell’harmonium che lei, direttrice di canto,
avrebbe tanto voluto in coro e che le Sorelle non potevano comprare) da cui Dio ha deciso
di trarre un inno di gloria.
L’aggravarsi della situazione consigliano un trasferimento al sanatorio Domenico
Cotugno di Bari.
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Vi arriva il 25 luglio, accompagnata da una postulante. Roma è ormai lontana; lon-


tana la sua comunità; lontano il chiostro, il coro, la cella: luoghi del suo colloquio con lo
Sposo. Mai ha sentito così forte il distacco da tutto ciò che le è caro. Ha la sensazione di
essere lasciata sola, dimenticata... È la prova più grande.
Tuttavia suor M. Chiara non si ripiega su se stessa e continua a donarsi totalmente
alle persone che ha attorno in ospedale.
Così, quando il 9 ottobre 1947, suor M. Nazarena giunge da Albano per incontrarla,
la trova “nella più perfetta tranquillità e pace, nella perfetta libertà di un’anima in pieno
possesso di Dio”. Suor M. Chiara vede in lei il monastero e tutte le Sorelle amate e le dice:
“Stai tranquilla, parti pure in santa pace, che l’anima mia è posseduta solo da Gesù. Non
piangere, che io sono veramente felice. Desidero soltanto di morire fra le mie consorelle,
questo è l’unico mio desiderio se piace al Signore”.

Incontro allo Sposo

L’avvicinarsi della morte non le fa paura. Si sente finalmente, come sempre aveva
bramato, un’ostia gradita a Dio. Avverte la forza gravitazionale del cielo: “Sono felicissima
perché “ecco lo Sposo è giunto”. Però mi fa un po’ impressione il dover rendere conto della
mia vita. Ad ogni modo voglio amarlo alla follia per fargli dimenticare le mie infedeltà, e
così potrò dirgli “I miei meriti sono le tue piaghe””.
Ha appena 38 anni quando, il 9 marzo 1948, parte per il cielo.
La malattia le aveva consentito fino all’ultimo una perfetta lucidità di mente. Ripe-
teva di tanto in tanto: “Presto, vieni presto, Gesù, non farmi più aspettare”. La mattina del 9
marzo aveva voluto ricevere ancora la Comunione. Ricevutala, fu quasi rapita in estasi ed
esclamò come fuori di sé: “Senti, senti le campane! Oh, Gesù mi chiama; ha messo la mia
testa sul suo petto! Che profumo! Quanti bei fiori! Aspettate che alle ore 13 avrò il giglio
nelle mani!”.
Oggi suor Maria Chiara di santa Teresa di Gesù Bambino, serva di Dio, riposa nella
chiesa del suo monastero ad Albano.

Il segreto della santità

Come ha fatto sr. Maria Chiara a diventare santa?


Davanti alle sue numerose penitenze potremmo essere indotti a pensare che si è fat-
ta santa proprio per la sua coraggiosa e generosa ascesi. Ma se leggiamo bene i suoi scritti e
le testimonianze rilasciate a questo riguardo, potremo facilmente notare che le mortifica-
zioni e le penitenze che si è inflitta non sono, in sé, determinanti per la sua santità. Ciò che
veramente conta nella vita di suor Maria Chiara è che esse erano il modo con cui esprimeva
il suo appassionato amore per Cristo e il desiderio di portare nel suo Cuore più anime pos-
sibile. Se infatti avesse dato anche il corpo alle fiamme, per usare le parola di san Paolo,
ma non avesse avuto la carità, il suo sacrificio non sarebbe valso a nulla.
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A lei lo Spirito aveva suggerito di esprimere il suo amore per lo Sposo nel confor-
marsi pienamente a lui nella via del patire. La sua preghiera era esplicita: “Gesù mio Dilet-
to, che io divenga una viva tua copia, che i tuoi lineamenti si riversino in me”.
Il suo rapporto con Gesù è stato un rapporto sponsale: Lui era lo Sposo, lei la sposa,
nella reciprocità dell’amore e del dono. Se lo ha seguito fin sulla croce è perché la sposa
segue la sorte dello Sposo. Alla fine della vita aveva riconosciuto che il Padre celeste si era
“compiaciuto donarmi il Suo Santissimo figlio per Sposo; vuol farmi diventare una viva
copia di Lui mediante la sofferenza”.
Ha amato come lui ha amato. Di qui il suo amore per la Sorelle del monastero, il
servizio premuroso per ognuna di esse, a cominciare dalle più piccole, il suo impegno ge-
neroso per l’edificazione della fraternità...
Ha fatto propri gli interessi di lui. Di qui il desiderio appassionato di farsi vittima
con lui per cooperare alla salvezza dell’umanità dai volti concreti: quelli della sorella pro-
testante, dei peccatori, dei poveri, dei popoli in guerra. Di qui la volontà di contribuire alla
santità delle persone consacrate, dei sacerdoti, dei missionari...
Ma il culmine della sua conformazione a Gesù suor Maria Chiara l’ha forse rag-
giunto quando anche lei, come lo Sposo suo, si è sentita sola e abbandonata da tutti.
Il chiostro l’aveva affascinata. Quando parlava del monastero lo definiva “il mio pa-
radiso”. Era quella la sua vocazione: era stata chiamata ad entrare nell’intimità della vita
divina per la via del silenzio, della preghiera, della contemplazione, della comunione fra-
terna con le sorelle. Ma la sua vocazione ultima non era il chiostro. Il monastero era solo
un mezzo per giungere a Dio. L’unico ideale doveva essere Dio. Per questo Dio,
nell’ultimo periodo della sua vita, le chiede di perdere ciò che aveva di più caro, il mona-
stero appunto, per l’Unico necessario.
È la prova più grande della sua vita.
Una infermiera ricorda: “Notavo la sua sofferenza nell’essere lontana dalle Sorelle
ed esprimeva il suo desiderio di ritornarvi da viva o da morta. Era molto attaccata al suo
monastero”. Ed una suora dell’ospedale: “Mi parlava spesso con tanta nostalgia del suo
monastero, della sua Madre Abbadessa e delle Sorelle lasciate ad Albano e di tante squisite
carità che aveva ricevuto da ciascuna di loro. Il suo desiderio era che le sue spoglie fossero
sepolte assieme alle sue carissime Sorelle di vita religiosa”.
Il confessore conferma a sua volta: “La sua sofferenza maggiore dal punto di vista
morale era la lontananza dal monastero; lei desiderava tanto tornarvi”.
Gesù sulla croce ha gridato “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”. Anche
lei si sente abbandonata dalle Sorelle proprio nel momento in cui più ha bisogno della loro
vicinanza.
Dio le toglie il chiostro, il monastero, il coro, le Sorelle, la Madre perché possa es-
sere degna sposa del Figlio suo, consumata con lui fino ad essere trasformata in lui.
Nell’accettazione, per amore, della volontà di Dio che le si manifesta in maniera così inat-
tesa, troviamo il perché della santità di suor Maria Chiara. Il dolore, aveva scritto alla so-
rella, era per lei “la via più certa e vantaggiosa per divenire alter Christus”.
La santità di sr. Maria Chiara è stata l’unica santità possibile, la piena conformazio-
ne a Cristo Gesù, fino ad essere come lui, immolata sulla croce per l’umanità intera. È la
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santità possibile per tutti, anche se il modo di seguire Gesù e di essere simili a lui non sarà
lo stesso di quello di suor Maria Chiara. Lei lo ha seguito come le veniva suggerito dallo
Spirito Santo. Il chiostro è stato il luogo della sua santità, ma non era quello la sua santità.
Alla fine Dio l’ha strappata dal chiostro per mostrarci che è indifferente il luogo o la condi-
zione. Deve restare solo Dio.
L’importante è saper rispondere con generosità agli inviti che lo Spirito rivolge a
ciascuno. Per vie diversi, tutti siamo chiamati alla stessa metà.

La parola a sr. Maria Chiara

Lasciamo che, in conclusione, sia la stessa suor M. Chiara, a dirci ancora una volta
l’anelito ad essere sempre più unita a Cristo Gesù, Signore e Sposo suo, fino a diventare un
altro Lui.
Si tratta di brevi brani tratti dalle lettere al fratello Gioacchino, che parlano meglio
di ogni commento.
“Sono appena dieci giorni che sono uscita dal ritiro dei santi spirituali esercizi. Non
puoi credere come Gesù si è degnato illuminarmi, mostrandomi il grande e tanto lavoro che
mi resta da fare per divenire veramente la Sua prediletta. Su questo argomento vorrei trat-
tenermi, ma la penna e la carta sono insufficienti, solo mi limito a questo, che se grandi so-
no le grazie e le finezze di amore che l’amato Sposo mi largisce, grande e costante
dev’essere la mia corrispondenza, altrimenti corro il rischio di sentirmi dire, nel giorno del
giudizio, “Non vi conosco”. Guai a me!... Vivo con Gesù! quale degnazione!... Vivo di Ge-
sù!... quanto onore!.. Ogni giorno vado considerando sempre meglio queste grandi verità: è
un vero paradiso, se so fare della vita consacrata un preludio per la vita eterna” (Fine ago-
sto-inizio settembre 1940).
“Nel santo ritiro quaresimale scorso rapidamente, l’appassionato nostro Gesù mi ha
mostrato come desidera ardentemente di essere più amato dandomi maggiori favori interni
ed esterni. È vero che Gesù cerca dei cuori che sinceramente lo amino, dei cuori docili alla
Sua grazia, per compiere in essi i capolavori della Sua ardente carità. Felice, sì mille volte
felice quell’anima che si lascia guidare per quel sentiero che Egli crede più adatte per il suo
maggior bene.
Gesù a sete... non vorremo noi dissetarlo? È vero che per divenire ostie accette agli
occhi Suoi bisogna stare crocifissi e nell’anima e nel corpo. Ma rallegriamoci, perché
non si fa vincere in generosità. Subito dopo un lieve sacrificio inonda il nostro piccolo po-
vero cuore con la Sua pace divina. Coraggio e avanti da valorosi” (22 aprile 1941).
“Quando più siamo favoriti, tanto deve accrescere in noi la gratitudine, con
l’immolazione quotidiana dell’uomo vecchio, come dice l’Apostolo Paolo, per far fiorire in
noi la mortificazione del sempre amabile Gesù. Se non ci applicassimo seriamente a questo
la nostra vita sarebbe un bel nulla. Specie tu che un giorno dovrai dare Gesù alle anime, mi
raccomando per carità, fatti pieno di Gesù...” (15 agosto 1941).
“Sì carissimo, se la nostra vita non è seminata di triboli e spine, a somiglianza di
quella del nostro celeste Sposo, per me è inutile, perché un cuor che ama e desidera arden-
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temente far suoi gli interessi della persona amata, o soffre con entusiasmo le pene inviatele,
o se le cerca da sé.
Nei tempi tristi che traversiamo, sia moralmente che fisicamente, il Cuore SS. di
Gesù va in cerca di cuori generosi, che si associano con Lui nella sofferenza per ottenere
dal Padre Altissimo Iddio pace e tranquillità interna ed esterna al mondo sconvolto. Siamo
noi nel bel numero di queste anime belle per farLo contento” (5 aprile 1942).
“Gesù Ostia pura, Ostia santa e immacolata... Semplicemente con le mie deboli for-
ze appoggiate su quell’Ostia, cerco di divenire anch’io un’ostia. Ecco tutto il segreto. Sono
prigioniera volontaria per amore, e per desiderio di dare libertà alle anime nell’amor di Di-
o...” (18 agosto 1945).
“L’Amabile Gesù mi fa divenire giornalmente una candela da consumarsi in suo
onore e gloria. Sei contento? io tanto, tanto” (5 agosto 1946).
“Alla tua domanda, “Ti stai facendo santa?”, rispondo: Mio caro fratello, può non
santificarsi un’anima, che in tutte le ore di sua vita mortale prende dalle mani del suo Crea-
tore con santa gioia e rassegnazione le Croci giornaliere ora dolorose ora gioiose?
A Sua maggior gloria, ti posso assicurare che questa santa gioia e rassegnazione,
Dio la va spargendo nella mia povera anima, a misura che la Croce si fa più pesante e dolo-
rante. “Semper Deo Gratias”” (2 settembre 1946).
“Nell’insieme, semper Deo Gratias!!! mi sento confusa che l’Altissimo si degna
abbassarsi sin al mio nulla, ascoltando i miei voti. Voglio essere realmente sposa del Croci-
fisso, nell’abbandono totale della mia volontà” (14 dicembre 1947).

(Per conoscere meglio sr. Maria Damato: F. Ciardi, Il fascino del chiostro. Maria Chiara
Damato, Città Nuova, Roma 1998).

Fabio Ciardi, o.m.i.

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