complessa, iniziava in modo piacevole, in quanto il cliente affermava in modo laconico: "se comportamenti errati hanno provocato il mio disagio, insoddisfazione e dolore, e mi hanno coinvolto in una nevro-si fastidiosa, cambiamenti adeguati dovrebbero riportarmi sulla strada verso il benessere ..." Con ciò vengono definite sia le possibilità ("cambiamenti" comportamentali sul piano psichico e somatico), sia le mete ("riconoscere la via, talvolta lunga, verso il benessere per poi percorrerla") di un'azione terapeutica che riportano l'essere umano sulla via del libero fluire, verso la possibilità di evoluzione dell'Io, verso il dispiegarsi del proprio potenziale. Una diagnosi approfondita, ottenibile anche attraverso il "test" esposto di seguito, precede l'azione terapeutica e permette una prognosi. L'intervento non si accontenta del ripristino delle capacità di lavorare e godere, perché vede il "corpo", considerato unità psicosomatica, più che uno strumento di lavoro e di piacere, un potenziale presente che deve essere realizzato nel corso della vita. Così la fase cognitiva diventa una spinta verso una evoluzione auto-realizzante e vede in essa, e quindi nella soddisfazione, il sintomo che indica il benessere, la salute, in questo caso la salvezza riconquistata. La parola "terapia" significa "accompagnare lungo la strada, servire consultando, curare", perciò assistenza e accompagnamento nell'evoluzione verso l'essere compiuto, della quale ognuno può percepire la spinta continua in sé. Secondo la situazione e le possibilità individuali, per la persona in cerca di aiuto esiste la scelta fra due percorsi: farsi accompagnare dal terapeuta, o prendere per mano se stesso per poi percorrere la strada giusta. Le pagine seguenti dovrebbero servire a questo secondo scopo: nella prima parte offrono gli strumenti, ossia le cognizioni utili e indispensabili per questo lavoro, nella seconda indicano una fondamentale azione di auto- conoscenza. Se quest'ultima non significa benessere raggiunto, ne è però sempre il primo passo, al quale deve seguirne un secondo: il sapere raggiunto deve essere realizzato inserendolo nel nostro agire quotidiano. Una possibilità concreta di inserimento nel nostro ritmo di vita, giorno per giorno è già stata descritta nel libro che io propongo "Accarezzare la Psiche", pubblicato dallo stesso editore, che consiglio vivamente di leggere. Questo mio lavoro che si potrebbe definire di "Igiene Psichica", alla quale dovremmo dedicare quotidianamente il giusto tempo - né più e né meno di quanto ne dedichiamo all'igiene corporea. Chi si considera sano dovrebbe usare queste possibilità come "Profilassi" perché sia il benessere che la salute hanno bisogno di una attenzione contìnua. Definendo i concetti di "salute" e "benessere psicosomatico" notiamo una differenza sostanziale. SALUTE è uno stato di buon funzionamento degli organi e dei sistemi, cioè l'aspetto corporeo della nostra unità psicosomatica, il lato preso in considerazione dal medico. Come stato relativamente durevole, appare una meta raggiungibile. Seguendo la stessa logica il BENESSERE PSICO-SOMATICO appare come il risultato di una armoniosa interazione di tutte le funzioni psichiche/psicosomatiche, cioè una espressione libera e vitale della nostra attività di pensiero, di sentimenti ed impulsi, il che significa nuli'altro che una raggiunta realizzazione del potenziale del nostro Io, delle nostre capacità e possibilità. Più che meta da raggiungere si tratta, ovviamente, di un proponimento, perché la nostra psiche, nella sua continua evoluzione, muta, si evolve ed è sottoposta alla legge severa del tempo, dei ritmi quotidiani. Il benessere psicosomatico non è durevole; anche un piccolo avvenimento della vita quotidiana può sconvolgerlo. Inoltre va precisato che se tra gli organi esiste una interazione, essa non sì estende immediatamente (se ho mal di testa, possono funzionare bene fegato e stomaco) come quella psichica (se sono triste, ne viene influenzata l'intera vita di pensiero, sentimenti ed impulsi). La meta indicata appare giusta solo in via teorica. Applicata nella realtà ci conduce su una strada errata, perché il benessere psicosomatico rimane un proponimento mai raggiungibile completamente. Si tratterebbe di raggiungere la soddisfazione come risultato finale di una autorealizzazione compiuta, ossia la perfezione! Questo errore può avere conseguenze pesanti, perché l'uomo che si pone questo obiettivo pone fra sé ed il benessere il cumulo delle troppe problematiche, piccole e grandi, da risolvere. Questo fascio di problemi supera sempre, come tale, le proprie forze e provoca così un blocco, che impedisce, scoraggiando, di intraprendere il "viaggio" procedendo passo dopo passo. Chi scopre, in alto mare, la stella polare, non può fare rotta verso di essa, la può semplicemente usare per riconoscere la propria direzione. Chi trova nella definizione la propria stella guida, dovrebbe agire in modo analogo. La via verso l'autorealizzazione, l'evoluzione della propria personalità è lunga e richiede mete chiare e concrete come supporto alla volontà. Se la perfezione non è possibile, lo è invece il risultato individuale di comportarsi realmente secondo la propria filosofia dì vita. Alla persona che impara ad ascoltare con attenzione se stessa e che raggiunge un buon rapporto con il proprio mondo subconscio, i bisogni e i desideri profondi, i valori di riferimento, ossia una filosofia di vita, si rendono espliciti attraverso gli impulsi sotto forma di interessi, spinte, desideri, pressioni interiori, istinti. A questo scopo occorre riconoscere in sé la parte della impropria struttura imposta dall'esterno, e occorre eliminarla fin tanto che non corrisponde ed è in contrasto con l'Io profondo. Questa struttura deve essere integrata, elaborata, adeguata fino a diventare propria. A questo punto viene percepita concretamente la spinta positiva e vitale del proprio reale "volere" che si distingue dal "dovere", nel quale si manifestano i propri impedimenti. L'essere umano diventa libero, può scegliere liberamente, l'Io profondo sale alla luce della coscienza. La natura ci aiuta a sua volta mostrando la strada in modo concreto. Essa ci premia con benessere (che va dalla soddisfazione al piacere), se viene realizzato un impulso realmente proprio (generato dall'Io, adeguato all'Io), e punisce con un dolore psichico (dal disagio fino alla disperazione) chi agisce contro se stesso e non procede nella propria evoluzione. Chi osserva alberi, animali e persone, ha spesso motivo per meravigliarsi: la natura appare sensata in tutto, in tutto è riconoscibile un senso. Lo stesso avviene in ognuno di noi: la natura forma nell'uomo l'impulso base, cioè "il dover evolversi crescendo" o impulso alla autorealizzazione, per poi premiare dopo ogni piccolo passo nella direzione "giusta". Avviene semplicemente questo: ogni passo nella giusta direzione, ogni risultato intermedio, provoca benessere psicosomatico. Ma esso dura soltanto fino a quando non ci siamo abituati alla situazione (migliore) raggiunta (se mi tolgo le scarpe non mi fanno più male i piedi e ... io sono contento; poco dopo devo mettermi un pullover... ). Allora ricomincia, un altro impulso torna a premere, la sua soddisfazione si ripropone, provoca benessere ... ed eternamente così. Goethe 10 chiama "l'eterno cercare". Nella vita pratica il benessere psicosomatico si ottiene con ogni movimento che distanzia dall'imperfezione ed avvicina alla perfezione, in pratica con ogni "miglioramento" dell'Io, indifferentemente da quale punto della lunga via ciò avvenga tanto agli inizi, quando abbiamo appreso Tabe, quanto alla fine, quando siamo in grado di comprendere la teoria della relatività o il segreto della vita. Ciascuno di noi ha vissuto questo sentimento, il piacere provocato da una conquista: se gli è riuscito di esprimere in modo piacevole, per sé e per gli altri, la propria aggressività; se inizia a comprendere l'altro; se raggiunge un nuovo sapere; se una poesia è riuscita bene; se ha saputo limitare il proprio egoismo, diventando capace di dare; se ha comunicato ed espresso attraverso emozioni i problemi che pesavano sul cuore; se i sentimenti si sono manifestati in un flusso libero; se si è liberato da questo o quell'impedimento; se la corazza dei propri sentimenti si è aperta, qua o là, un poco soltanto; se ha evitato una coazione; se è stato capace di fare ciò che vuole e non solo ciò che ha dovuto. Se ... 11 benessere deve essere, certamente, distinto dal piacere, e ancor più dal godimento. Si tratta di quella felicità profonda, inferiore, impagabile: è la vera gioia umana. Ulisse non getta le braccia verso il cielo, non giubila quando ritorna; in lui c'è soltanto profonda umana soddisfazione. Il suo viaggio servi va, in fondo, a portare alla luce l'Io vero, le sue potenzialità inespresse. L'ostacolo che ci porta sulla via errata, che non ci permette di abbandonarci, di liberarci in un libero fluire dell'evoluzione, è spesso una necessità psichica umana. Dobbiamo vedere la nostra personalità come qualcosa di solido - proprio che è meno solido avverte di più questo bisogno - immutabile, e talvolta, dobbiamo credere. Riconoscere la nostra unità psicosomatica come uno stato momentaneo entro l'eterno fluire, riconoscere la sua evoluzione e la sua crescita costante, provoca in troppi di noi una paura profonda, paralizzante e, di conseguenza, adeguati meccanismi di difesa. Questo meccanismo viene avvertito da noi come impedimento: non possiamo, non riusciamo con facilità a fare ciò che vogliamo. Il sempre solido modello appreso vince sull'impulso proveniente dalla struttura profonda dell'Io. Allora realizziamo più questo che il nostro potenziale, almeno sino all'età in cui siamo costretti a tirare il nostro bilancio esistenziale: "cosa ho fatto di mei". Nel corpo l'impedimento prende forma concreta, si somatizza, si dimostra come irrigidimento. Già da bambini apprendiamo ad impiegare la muscolatura, fatta per agire, come freno. Se ci vogliamo opporre ci portiamo in uno stato di tensione, certi gruppi muscolari si irrigidiscono; si bloccano le gambe, le ginocchia, i denti vengono stretti, tutto il corpo viene bloccato. Ma da bambini impariamo anche a muoverci liberamente, saltando, correndo, rotolando. Chi appare "fermo" esternamente, chi si ferma, impedisce anche il movimento interiore. Così percepisce poco, non sente, non vede, non apprende, non integra in sé. Più tardi, nella vita adulta, riconosciamo l'essere umano in cui questi stati appaiono cronicizzati, e ci troviamo di fronte alla persona rigida, non disposta e non capace ad apprendere, in contrapposizione alla persona mobile, disposta ad apprendere. Naturalmente fra questi due estremi si trovano infinite varianti. Se un uomo scende in mare da una barca (sulla mia vivo spesso questi momenti piacevoli oppure drammatici), si può muovere liberamente nell'acqua, e se il corpo è disteso, non affonda; ma l'uomo si può anche bloccare: allora il corpo diventa rigido, teso, pesante; questo corpo affonda, anche se la persona si aggrappa, implora, disperatamente, qualcosa: una mano, una cima, un salvagente. Solo se riesce a sciogliersi e a vincere la paura paralizzante, il corpo si distende e galleggia libero nelle acque (extra uterine). Non è questione di nuotare, è questione dì essere capaci ad affidarsi alle onde portanti. Chi nuota contratto, presto affonda. I pensieri delle pagine seguenti sono, in ultima analisi, il risultato di adeguate riflessioni filosofiche. Se Werner Heisenberg afferma: "... io credo che certe evoluzioni errate nella teoria delle particelle elementari - ed io temo che queste esistano - sono causate sia dal fatto che i loro autori affermano di non volersi preoccupare di filosofia, sia da quello che, in modo inconscio, partono da una cattiva filosofia, e che pertanto, attraverso pregiudizi, si pongono domande iniziali poco ragionevoli. In modo un poco pungente si può dire, che una buona fisica è stata viziata in modo subconscio da una cattiva filosofia". (Da: W. Heisenberg, "Cosa è una particella elementare!"). Oggi la stessa cosa si può affermare per la medicina e la psicologia: le due scienze che si pongono come compito la salute ed il benessere dell'uomo, senza apparentemente sapere con chiarezza cosa, in verità, sia l'uomo. Questo problema occupa la mente umana da quando è diventata tale da essere cosciente, cioè capace di pensare, parlare e contemporaneamente di osservarsi. La risposta si ottiene solo attraverso la soluzione del cosiddetto problema mente corpo. Per la filosofia greca corpo e anima erano tutt'uno, quello cioè che oggi chiamiamo "unità psicosomatica". Ma già Claudio Galeno (ca. 129 - ca. 199 d.Chr.) doveva confrontarsi tramite il suo "Peri iatriche" (Sull'Alte di Guarire) con l'ormai diffuso concetto dualistico. La sua "teoria dei quattro umori" è monistica, e non a caso quanto ha saputo scoprire, il suo sapere ed il suo potere, hanno determinato la medicina fino al secolo diciottesimo. L'influenza di due millenni di pensiero dualistico, culminato con il concetto cartesiano di Res Cogitans e Res Extensa appaiono la ragione per la quale la medicina classica non sa che vedere il corpo come carne, cioè come il cadavere, nel quale il patologo, con il suo sezionare, non troverà mai l'anima, mentre l'anima rimane un punto interrogativo, non più di un'idea scarna sullo sfondo. Qui possiamo riscontrare la mancanza di un pensiero filoso-fico corretto, cioè adeguato ai tempi e alle scoperte scientifiche, tanto quanto all'influenza (negativa) di un mondo di pensiero caduto nel subconscio, ma continuamente influente. Per quanto concerne la psicologia, essa può avvicinarsi attraverso metodi scientifici (misurare, contare, pesare) all'intelletto (pensieri, ragione, comprensione), ma non alla psiche (sentimenti): la psiche vuole essere stimolata attraverso uno scambio sentimentale, materiale, nel senso che viene toccata e percepita con i sensi (le mani), più che con le parole. Il concetto monistico, oggi, appare accertato scientificamente. In un dizionario di psicologia si può leggere: "... alla domanda cosa sia il corpo, nel frattempo, si profila una svolta, perché la fìsica dell'inizio di questo secolo ci avvicina un passo decisivo alla soluzione teorica: secondo le condizioni sperimentali l'elettrone appare al ricercatore in modo immateriale come onda, oppure materialmente come particella. Non si muove in modo isolato, ma in relazione a (tutte) le altre partìcelle. ... Messo in relazione alla nostra domanda ciò significa: corpo e psiche sono due solo per quanto riguarda il punto dì vista ... in realtà una sola cosa. E noi non siamo uno (in tedesco: "allein ")nel senso di essere isolati, ma tutt'uno, in relazione con tutta la vita." Wolf Buentig in: Assanger/Wenninger - Manuale di Psicologia, 5a ed. 1994. Da questo punto di partenza sviluppiamo due ipotesi di lavoro: A) Fra tutte le macro e microparticelle entro il corpo esiste uno scambio, in sostanza una fitta comunicazione fra perife ria e centro (di elaborazione), la quale ritrasmette a sua volta adeguate comunicazioni e con esse provoca modificazioni materiali nel corpo intero. Se questo "comunicare" viene interrotto, si manifestano disturbi entro l'intero ordine psicosomatico, così come avviene nel carcinoma, nel quale le cellule si sviluppano indipendentemente dalla "volontà" dell'organismo. Lo stesso sembra avvenire anche nei processi psichici, quando una comunicazione proveniente dal centro di elaborazione (la mente) non viene più percepita e eseguita. In questo caso parliamo di blocco, di repressione di valori psichici. Di simili blocchi ve ne sono molti anche nella sfera del pensiero, le cause sono più complesse. Il disturbo più comune e tanto grave quanto poco osservato, nell'uomo nevrotico quale è l'attuale, appare l'attività di pensiero confusa, che non segue nessun filo logico e che, a volte, non raggiunge neanche il livello cosciente. E' allettante trarre un'analogia con quanto detto sopra? Comunque questa disfunzione dell'organo considerato principale ci occuperà molto, nel testo che segue. B) Nell'essere umano abbiamo notata l'interazione di tre diversi strati (mente, sentimenti, impulsi). Possiamo ipotiz zare uno scambio materiale diverso, una comunicazione so stanzialmente (=come sostanza) diversa fra i tre strati. Sul piano del pensiero sembrano agire onde luminose e sonore (elettroni, fotoni ecc). Infatti la comunicazione qui avviene attraverso la forma della propagazione vibratoria, dell'onda. Agiscono, come ricettori, l'occhio (percezione e decodificazione delle onde luce in stimoli e percezioni decifrabili dal cervello, dove provocano la adeguate modificazioni nella struttura neuronaie, cioè biochimiche (memoria); l'orecchio (percezione e decodificazione delle onde sonore in stimoli e percezioni decifrabili dal cervello, dove provocano modificazioni neuronali, cioè biochimiche. I dettagli sono noti al fisiologo quanto allo psicologo sperimentale. Ogni pensiero percepito, esogeno o endogeno che sia, altera l'intera struttura materialmente a livello biochimico, al livello di microparticelle. Sul piano dei sentimenti la comunicazione avviene meno attraverso onde vibratorie (quando il pensiero influenza il sentimento), che attraverso gruppi di molecole o macromolecole. Il mezzo di espressione ed impressione (dei sentimenti) è, anzitutto, la pelle; essa emana messaggeri biochimici attraverso le ghiandole e apprende attraverso la cute aperta, sensibilizzata. A questo proposito vedremo come l'uomo può usare la pelle sia come delimitazione (chiusura), sia come comunicazione (apertura). Infatti in uno stato di tensione come descritto più sopra, questa comunicazione è impossibile; la cute è chiusa, funge da protezione. Ogni carezza, o immaginazione di carezza, ma anche ogni contatto corporeo altera la struttura corporea a livello biochimico e a un livello macro, agendo anche sulla muscolatura, sugli organi coinvolti, sul sistema endocrino (ghiandole). Sul piano degli impulsi erotico sessuali la comunicazione materiale avviene attraverso le zone erogene, principalmente della bocca (scambio di saliva) e dei genitali (scambio di liquidi "lubrificanti"). Si tratta certo della comunicazione più intensa e con il culmìne di questa forma di contatto, l'eiaculazione, l'essere umano genera nuova vita. Ogni contatto erotico-sessuale provoca intense alterazioni nell'intero stato corporeo. Queste ipotesi aprono nuovi orizzonti non soltanto nel trattamento e nella comprensione di disturbi psicosomatici, ma anche per quello che riguarda la comprensione e la conoscenza della psiche. Si spiega forse quanto dice Eraclito ("E' difficile combattere contro il cuore. Perché quanto vuole lo ottiene anche attraverso la psiche."), e E. Fromm, quando afferma che nessun processo cognitivo può intervenire direttamente su una situazione psichica, se non vengono provocati cambiamenti comportamentali. Ma cosa può indurre realmente, concretamente dei cambiamenti comportamentali? Questo libro vuole essere un contributo, un passo verso la risposta a tale domanda, che mette a fuoco il vero problema dell'azione psico-terapeutica. 1. Riflessioni sulla situazione attuale 1.1 L'incontro intimo e quello convenzionale Quando incontro una persona che ritengo amica, mi predispongo ad un contatto (infatti cambia l'espressione del viso, gli occhi diventano vivaci, la muscolatura del viso più espressiva, morbida: la maschera cade). Gli strìngo la mano e dico: "Ciao, sono contento di vederti. Come vanno le cose? Come stai?" Lui allora mi risponde: "Mi fa piacere vederti. Stobene, ma... perché non parliamo un poco? Hai un po' di tempo?". Nella vita quotidiana al contrario che nell'esempio precedente, quando "si incontra" un amico o un conoscente e gli si rivolge la convenzionale formula di saluto "Come stai?" o "Come va?", nella maggiore parte dei casi riceviamo risposte altrettanto convenzionali come "Bene", o "Beni- no" che sono tutt'altro che espressione del vero stato della persona, anche perché la stessa domanda era senza contenuto. Semmai, alla domanda "Come stai" si risponde indicando lo stato della propria salute fisica , rispondendo quindi "Bene" o magari "Male", "Mi fa male questo o quest'altro" a seconda del caso. È raro o per lo meno poco frequente, che alla nostra domanda venga risposto "Sto giù", "Sono allegro" o "Sono triste", ossia un riferimento allo stato d'animo, all'aspetto psicologico della nostra condizione. In sostanza alla domanda sulla salute si risponde prevalentemente riferendosi allo stato fisico, anche se ciò può dipendere dal tipo di rapporto che abbiamo con il nostro interlocutore. Nell'idioma inglese "How are youT' - "Thank you, well" o "Very well" si nota ancora di più come domanda e risposta siano diventate puramente convenzionali e, come tali, prive di contenuto psichico, cioè umano. Fig. 1 Varie situazioni di saluto: convenzionale, intimo, con finta intimità. 1.2 Le possibilità terapeutiche dell'incontro: igiene psichica Chi si comporta in questo modo, seguendo regole formali imposte dalla buona educazione, ossia dalle convenzioni sociali che ci vietano di esprimere il nostro vero stato, se non è più che buono, agisce contro le regole dell'igiene psichica. Ogni incontro è importante, perché può essere un'occasione che non vogliamo perdere, dove ognuno di noi può fungere da terapeuta portando sollievo a se stesso come ali' altro, semplicemente esprimendo o invitando ad esprimere una problematica dolorosa, che pesa sul cuore, non importa se essa riguardi un benessere o un malessere, fisico o psichico. Comunicando un dolore lo dimezziamo, viceversa comunicando un piacere lo raddoppiamo di intensità. Almeno una volta tutti abbiamo provato il sollievo che deriva da questo tipo di incontro reso intimo, che è la più importante forma di contatto interpersonale, di cui abbiamo bisogno per una buona qualità di vita. LA DISPOSIZIONE Con questo termine indichiamo il nostro stato psicosomatico momentaneo, che è più o meno variabile, secondo il carattere della persona. Nel linguaggio comune usiamo, per questo termine psicologico, parole come "umore", "stato d'animo"-Possìamo subire la disposizione in modo passivo, e, normalmente, lo facciamo, senza considerare che attraverso l'intelligenza, la motivazione, la volontà ci è possibile intervenire su di essa. Questo atto dì volontà minimo, possibile anche alla persona neurotica, può influire notevolmente sulla nostra qualità di vita. Fare due passi, bere un bicchiere d'acqua, aprire la finestra e respirare a pieni polmoni ecc provocano una variazione nel soma. Altrettanto semplice è la via psichica: semplicemente immaginando o ricordando - in una pausa di pensiero che ci prendiamo - momenti piacevoli, cambiano la disposizione. Questa sembra dipendere dalla composizione - variabile - del liquor (il liquido nel quale è sospeso il nostro cervello, ma che occupa anche i microspazi come quelli fra neurone e sinapsi), nel quale possiamo vedere il luogo dove avviene il gioco di ormoni e neurotraraettitori, che determina i sentimenti. Chi non è capace di usare queste occasioni per migliorare il proprio benessere, o per ridurre il proprio malessere, deve considerare i suoi rapporti interpersonali come precari ed insufficienti per la propria necessità di comunicazione, e di scambio intimo. Questo argomento é così importante da richiedere un approfondimento. Lo faremo quando verranno affrontate le varie problematiche connesse alle diverse modalità di rapporti interpersonali. 1.3 L'attuale tipo di rapporto con benessere e salute Per ora ci siamo limitati a costatare un fatto: quando ci informiamo della salute altrui e quando si parla di essa, ci riferiamo quasi sempre a quella fisica. E' facile costatarlo quotidianamente. Eppure, ascoltando noi stessi con un poco più di attenzione, avvertiamo sempre chiaramente che per la nostra salute l'aspetto psichico o morale non sono davvero meno importanti di quello organico. In questo senso sembra proprio che a "mens sana corpus sanum" dovrebbe avere la precedenza davanti al pur saggio "mens sana in corpore sanum", anche se dobbiamo sempre considerare la costante interazione fra i due aspetti. L'Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) ha definito sin dal 1967 la salute come "uno stato di perfetto benessere somatico, psichico e sociale, e non soltanto l'assenza di malattie o infermità". È ovvio che uno stato perfetto di salute non esiste né tantomeno è raggiungibile; pertanto la definizione ci è utile come obiettivo ideale, come meta a cui aspirare per potere realizzare il miglior stato di salute ottenibile. Pochi concordano pienamente con questa definizione, che dicendo troppo non dice nulla. Possiamo però utilizzarla ugualmente usandola come punto di partenza delle nostre ricerche, e delle nostre riflessioni, in quanto, questa autorevole fonte, riconosce l'esistenza con pari dignità tanto delle malattie organiche, che di quelle mentali e sociali. Avere stabilito questo è il vero merito della definizione della O.M.S. 1.4 L'essere umano nel momento attuale della sua evoluzione Osservando l'oggetto di questa ricerca, l'essere umano al suo stadio attuale di evoluzione, constatiamo che esso è certamente caratterizzato da una struttura psichica molto complessa, sofisticata, estremamente evoluta nelle sue capacità. Proprio per questa ragione essa diventa anche estremamente vulnerabile. Lo dimostra lo stato nevrotico diventato una caratteristica diffusa e frequente. Ormai tutti ne soffriamo ed essa varia soltanto per il grado di intensità, che va da un disagio costante, ma sopportabile, ad un vero e proprio disturbo. È facile scoprire la causa principale: l'evoluzione dell'ambiente in cui viviamo ha moltìplicato di numerose volte il numero delle percezioni e quindi delle problematiche con le quali dobbiamo confrontarci, rimanendo però la nostra capacità psicosomatica pressoché invariata. Ne consegue un iperlavoro per la nostra mente. Fig. 2 Confronto fra la situazione di un artigiano del passato e 1' "ufficio" attuale È indicativo un confronto con i nostri Personal Computer, che in risposta a esigenze maggiori, nel corso degli ultimi dieci anni hanno aumentato la loro capacità moltiplicando-le. Il computer reagisce ad una richiesta di lavoro che supera le sue capacità andando semplicemente in tilt o dichiarando esaurita la memoria, l'uomo reagisce diversamente. E lo fa seguendo l'invito della nostra società ad una "massimizzazione del rendimento", che prescinde dalle esigenze fisiologiche e dallo stato emotivo del momento, portandolo, non solo in casi estremi alla compromissione della propria salute. Chi di noi riesce a soddisfare tutti i propri compiti, a raggiungere tutte le mete richieste senza entrare in uno stato di "stress"? Egli si porta "in tensione" immettendo adrenalina nel sangue e tendendo i muscoli, in sostanza entrando nella "pò- sizione di combattimento". Usando questa possibilità fondamentale per la sopravvivenza che la nostra struttura psicofisica ci offre, si aumenta il rendimento, adeguandolo però a esigenze radicalmente cambiate dalla preistoria u-mana sino ad oggi. In realtà tale possibilità dovrebbe essere riservata a momenti di pericolo acuto, in cui abbiamo bisogno dell'efficienza totale; una volta ciò avveniva quando c'era da affrontare una animale, un nemico pericoloso: ora dovrebbe avvenire solo quando dobbiamo affrontare una inusuale situazione di emergenza che richieda il massimo rendimento per un tempo più o meno breve. È chiaro che prolungare questo stato è un abuso, che prima o poi ci porta in uno stato di "stress". Uno stato cioè di tensione continua, che però sembra oramai necessaria in modo permanente per fronteggiare l'iperattività continuamente richiesta dal nostro vivere. Utilizzando l'intero proprio potenziale psìchico per i processi di pensiero provocati dagli input esogeni riguardanti il nostro lavoro, dobbiamo rinunciare a elaborare quelli endogeni. Per i sentimenti, gli impulsi e le problematiche che da essi derivano non c'è più spazio. A questo punto si inserisce un meccanismo "diabolico" che innesca un circolo vizioso: le problematiche non elaborate, represse invece di essere prese in considerazione ordinatamente, "riposte", impegnano un numero di neuroni e una quantità di energia di molto maggiore in confronto a quelle elaborate. La repressione sembra liberarci da quanto non abbiamo più voglia di affrontare, invece ... LE PROBLEMATICHE Con il termine "problematiche" indichiamo uno o più gruppi di pensieri, provocati da una percezione esogena o endogena, la cui elaborazione non si è ancora conclusa con un esito definito. Le problematiche non portate a soluzione spesso danno luogo all'attivazione di interi gruppi di pensieri, a costellazioni di associazioni, che si attivano a vicenda - come avviene nella persona problematica. Osservando la rispettiva situazione neurofisiologica possiamo scoprire la causa di tanti malesseri. La nostra "mente" non può gestire che un numero limitato di circuiti neuronali in attività. Superato un certo limite un controllo appare impossibile: ci troviamo di fronte ad un cervello "infiammato" daU'iperattività nervosa, che ha perso la propria funzionalità, portando il consumo di energia al punto che "ci sentiamo stanchi senza avere lavorato". In queste parole appare riassunta la situazione psicosomatica della persona nevrotica. Un dettaglio fisiologico ci aiuta a comprendere: i nostri gruppi neurali di elaborazione (che oltre ad elaborare fungono anche da memoria) contengono più "dati": evidentemente se sono sovraeccitati, impazziscono "letteralmente" e alterano il percorso di pensiero. Nell'uomo il flusso naturale dell'attività mentale avviene nella sequenza - percezione - elaborazione - espressione/risposta. La percezione è uno stimolo, semplice o complesso, proveniente dall'ambiente circostante (esogeno) o dalle proprie sensazioni corporee, da ricordi, pensieri (endogeno). Esiste un filtro a livello cerebrale che, operando del tutto inconsciamente, attua una strettissima selezione sugli innumerevoli stimoli in entrata in ogni istante, facendo giungere ai centri cerebrali preposti all'elaborazione solo quelli considerati rilevanti, ossia quelli che per un qualunque motivo costituiscono un segnale da considerare e risolvere, dunque un problema. L'elaborazione è il processo che attraverso uno dei diversi stili di intelligenza umana, esamina la percezione, ne valuta i vari aspetti connessi, e decide una risposta. La nostra mente ha la capacità di esaminare molti di questi processi contemporaneamente (in parallelo); per ciò vengono attivati precisi circuiti neuronali/cerebrali che possono essere consci, subconsci, o inconsci, ossia con un intervento della coscienza più o meno parziale. La reazione allo stimolo può essere un comportamento, un' espressione comunicativa, un'azione nell'ambiente, oppure una modificazione endogena del soma, o anche il superamento cognitivo ed emotivo della percezione consistente in una sua ordinata "archiviazione" nella memoria, A questo punto i circuiti interessati vengono disattivati. Il "lavoro" della mente termina con una di queste soluzioni. Sembra esistere una costrizione a risolvere una data problematica: essa non "ci lascia in pace" sino alla soluzione soddisfacente: Le problematiche non risolte, pertanto attive, continuano a tornare a coscienza o ad occuparci, spesso in modo fastidioso, subconsciamente. In questo senso la repressione (l'eliminazione dalla coscienza della problematica non risolta ) non ha senso, in quanto non elimina l'attività intorno alla problematica, ma !a sposta sul piano subconscio, dove continua ad "agitarsi". La società contemporanea ha prodotto nello stesso tempo un aumento vertiginoso sia del numero complessivo delle percezioni, delle informazioni che ci raggiungono, sia, in particolare, di quelle percezioni che portano per loro natura ad un particolare impegno emotivo: quelle provenienti dalla sfera delle relazioni sociali. Nella pratica è impossibile elaborare ed ordinare tutte le problematiche che la vita ci propone. Entra infatti in gioco il fattore tempo e i processi di pensiero richiedono tempo in proporzione alla complessità della problematica. La velocità eccessiva della vita contemporanea produce spesso un accumulo di problematiche, ossìa di processi di pensiero irrisolti e perciò in attività a livello non consapevole della mente. In molti casi sono barriere interne, inibizioni che bloccano l'elaborazione ad uno stadio non concluso. Questa massa di problematiche in attività "satura" la capacità della nostra mente sino ad impedirle di svolgere il lavoro al quale sarebbe preposta. A questo punto non siamo più capaci di un percorso di pensiero netto, libero, concentrato, che è alla base anche della nostra capacità di godere. L'unica soluzione concreta è quella di uno sforzo cosciente di attenzione a quello che continuamente "ci passa per la mente"; se ciò non è possibile dobbiamo creare delle priorità circa quello che si decide di elaborare e ciò che si tralascia. Qui entra in azione la nostra filosofia di vita, la nostra scala dei valori. Nella mente umana si possono svolgere processi di pensiero contemporanei consapevoli e non consapevoli, lo sappiamo tutti. Forse non tutti tengono conto del fatto che esiste una continua attività mentale, appena percepibile nel senso che avvertiamo tale attività come una presenza distraente e disturbante, ma non siamo capaci di metterne a fuoco il contenuto, perché si svolge nel subconscio. Chi decide di fecalizzarlo e si sforza di osservarsi bene, chi crea un rapporto di attenzione per il flusso dei propri pensieri subconsci, si accorge di questo continuo lavorio assai costoso per l'energia che assorbe e per lo spazio del nostro potenziale di pensiero che occupa. Ne sanno qualcosa tutti coloro che sono stanchi senza avere apparentemente lavorato, e che si sarebbero sentiti più riposati, se avessero sottoposto la mente ad una qualunque attività "esteriore" (come può essere il lavoro), avvertita come distraente, liberatoria e gratificante. Spesso ci si sente meglio quando si lavora, perché le pressanti problematiche personali sembrano scomparire. In realtà sono presenti nella forma meno consapevole, spinte nella memoria, dove continuano ad agitarsi. Di questo continuo lavorio subconscio ci accorgiamo per esempio quando improvvisamente da qualche parte irrompe (arriva a coscienza) un pensiero molto lontano da quanto stiamo pensando. A destra in alto Fig. 3 Persone con tre diverse situazioni di attività di pensiero: dalla prevalenza del pensiero conscio alla prevalenza di quello subconscio Quando questo circolo vizioso si protrae, a soffrirne è soprattutto la capacità di concentrazione, la quale è ancora ottenibile, ma con uno sforzo eccessivo, e, nei casi estremi, definitivamente compromessa, non più raggiungibile, come per esempio nella persona che non è più capace di leggere. Il grado della capacità di concentrazione è pertanto un sintomo molto utile perché un abbassamento del suo livello indica una attività non consapevole eccessivamente intensa. Pertanto è bene considerarla come un importante strumento di auto diagnosi. Lo squilibrio fra lo sforzo dedicato alle esigenze esogene e quello dedicato, come azione di igiene psichica, al proprio bisogno endogeno, alle esigenze della psiche, è dannoso per il benessere psicosomatico. In questo modo viene messa in discussione la sopravvivenza di quanto è e rimane umano in noi, cioè tutta l'attività psichica non dedicata al lavoro: i sentimenti, gli affetti, la loro elaborazione ed espressione. Di fatto è come se strumentalizzassimo il nostro corpo e la nostra psiche, nel momento in cui pretendiamo molto e concediamo poco a noi stessi. Come possiamo pretendere di rimanere sani? Il cervello, sede delle capacità intellettuali, e quindi il nostro principale strumento di lavoro, è un organo la cui perfetta funzionalità dipende anche dagli altri organi. Non possiamo "rinnegare" cuore, fegato, reni, stomaco, genitali, mettendo le nostre risorse di energia al servizio quasi esclusivo del cervello. Fig. 4 Disegno che evidenza i collegamenti nervosi fra il cervello e i principali organi del corpo Appare certo che organi utilizzati insufficientemente o utilizzati in modo improprio si ammalano e riducono, anche se parzialmente, il loro apporto, necessario al benessere. Proseguendo in questa linea di pensiero possiamo affermare che anche il rendimento intellettuale non può prescindere dal supporto essenziale da parte di stomaco, polmoni, fegato. Come è per esempio evidente nella vigorosa spinta generale all'attività e quindi anche al lavoro intellettuale proveniente dagli ormoni vitali attivato dalle ghiandole sessuali. La nostra principale ipotesi, che questo testo tenta di approfondire, sostiene la fondamentale rilevanza del versante neuro-fisiologico (ossia quello concernente neuromodulatori e ormoni) che è alla base dell'ìperattivita della mente, la quale spesso supera ogni limite prudente del proprio potenziale per il sommarsi dei processi di pensiero consci e subconsci, creando i presupposti neurofisiologici che inducono la nevrosi. Fig. 5 11 nostro corpo, del quale i nostri occhi vedono solo la superfìcie, è un organismo/sistema di enorme complessità e profondità. Funziona a molti livelli - micro e macroscopici - contemporaneamente. Nell'esempio vediamo, avvicinandoci con un immaginario "zoom", i vari piani, dalla figura intera alle molecole neurotrasmettitriei ADRENALINA - ENDORFINE - TESTOSTERONE/ ESTROGENO I principali sistemi ormonali a cui si fa riferimento In questo testo utilizziamo spesso i termini adrenalina, endorfine, testosterone/estrogeni, indicandoli come neuromodulatori e ormoni collegati rispettivamente allo stress, al piacere ed agli affetti, alla sessualità. È bene avvisare chiaramente che si tratta di un uso consapevolmente e volutamente nai'f, semplificatorio di tali termini per poterci riferire in un modo semplice e comprensibile a tutti, a processi fisiologici estremamente complessi in cui la ricerca è attualmente in una fase di rapidissimo progresso e mutamento. Con ciascuno dei termini sopraindicati intendiamo riferirci in realtà non ad un singolo ormone o neuromodulatore, ma a interi sistemi peptidercici integravi, che agiscono sia a livello del sistema nervoso centrale che a livello degli organi periferici, di cui gli ormoni nominati sono componenti importanti. Diamo di seguito qualche informazione utile ai nostri scopi, ma certamente incompleta. ADRENALINA: l'azione biologica dell'adrenalina (e della molto simile noradrenalina) induce fra l'altro: midriasi (contrazione della pupilla) per migliorare la vista da lontano aumento della frequenza e della velocità cardiaca costrizione generale dei vasi sanguigni diminuzione del tono e della motilità dello stomaco e dell'intestino aumento della frequenza respiratoria. Queste modificazioni metaboliche portano ad un stato di "super efficienza" che rende l'organismo mentalmente e fìsicamente pronto ali' azione (comportamento di attacco e fuga) in risposta alle minacce dell'ambiente che oggi spesso prendono l'aspetto di richieste pressanti di prestazioni prolungate di massimo rendimento (nel lavoro soprattutto). In realtà l'adrenalina fa parte del sistema peptidergico di supporto all'azione (che comprende fra molti altri componenti anche l'importante ormone chiamato cortisolo) che è finalizzato alla sopravvivenza dell'individuo (nell'ambito della società) e fornisce il supporto endocrino- metabolico necessario per ottimizzare l'azione. ENDORFINE: le endorfine sono fra i pricipali componenti di un altro importante sistema peptidergico, quello del piacere e del dolore. Lo stato emozionale psichico conosciuto come piacere è infatti associato a processi di apprendimento molto importanti finalizzati alla sopravvivenza sia dell'individuo che della specie. A volte il dolore rappresenta un basilare segnale d'allarme che permette all'individuo la conservazione della sua integrità somatica e la messa in atto di comportamenti di evitamento o comunque adattativi/difensivi. In particolare è importante la probabile funzione svolta dagli oppioidi endogeni (endorfine) nei processi di attaccamento, cioè nei processi di cura e protezione delia prole nei mammiferi in generale e nell'uomo. Tale sistema è dunque in atto, a livello metabolico, quando si hanno, a livello di comportamento quegli atti e quei gesti che fanno parte del repertorio innato di comportamento di cura e protezione che sono l'ossatura universale del "contatto intimo" (vedi Desmond Morris). Il ruolo degli ormoni de] piacere è dunque anche quello di favorire l'attaccamento, ossia il contatto intimo. A questo riguardo è interessante notare che la loro azione sembra possa ridurre comportamenti appetitivi di tipo sessuale, confermando l'intuizione comune dell'affettività e dei suoi gesti come dimensione non sovrapponile a quella della sessualità e dei suoi gesti. TESTOSTERONE ESTROGENI; vengono prodotti da testicoli e ovaie e sono parte del sistema peptidergico della riproduzione, che è attivato con finalità riproduttive. Tale sistema modula e organizza il comportamento insieme ai tessuti interessati, in funzione delle varie fasi della vita riproduttiva (sessualità, gravidanza, parto, puerperio). Per maggiori approfondimenti vedi: P. Pancheri, "Stress, emozioni e malattia", Mondadori, 1993, cap 9. In questo senso il grande accusato diventa l'abuso dell'adrenalina, che incide negativamente su un soddisfacente equilibrio ormonale. Lo stato di tensione nel quale ci portiamo forzatamente, perché funzionale allo svolgimento di tutto il nostro lavo- ro, non è affatto facile da smaltire. Commutare "tensione" (come effetto vazione di endorfine) è un'arte indispensabile da imparare, una necessaria azione di igiene psicosomatica. Se possiamo "frustarci" di giorno, alla sera abbiamo bisogno di carezze. Qualcuno lo fa in modo improprio con un bicchiere di whiskey o di vino, molti altri con una sigaretta, che, ad un costo assai alto, ci possono procurare un momentaneo relax, il costo che paghiamo è l'incapacità, col tempo, di "commutare" la tensione attraverso i naturali meccanismi fisiologici: la stampella diventa permanente. La tensione continua (lo stress) oltre a essere doloroso, è una condizione che non possiamo sostenere a lungo; essa mette in gioco la salute e non solo quella psichica. L'uomo, inseritosi in questo meccanismo perverso trova difficoltà a districarsi, e per questa strada si ritrova non di rado in un "tunnel" dal quale è, poi, assai difficile uscire. Perch se una malattia psicosomatica può diventare cronica, lo può altrettanto un disturbo psichico. Così ci troviamo di fronte ad un blocco, in profondo contrasto con la necessaria continua evoluzione psichica, richiesta dalla spinta alla autorealizzazione. Pensare (come l'intera attività svolta dal cervello, conscia o subconscia che sia) richiede energia proporzionale al grado di intensità di questo lavoro, costoso quanto o più di un lavoro manuale. È sufficiente osservare come usciamo da uno sforzo, come ci sentiamo dopo una fatica fisica e dopo quella intellettuale. L'energia viene fornita dall'afflusso del sangue agli organi impegnati, e il nostro corpo è in grado di adeguarsi alle relative esigenze. Il cervello è l'organo con lo spazio temporale di sopravvivenza minore. Infatti, non irrorato, muo- re entro pochi minuti; ciò significa che questa esigenza diventa prioritaria e al cervello viene concessa la "precedenza", ossia, viene irrorato con assoluta priorità su tutti gli altri organi. Comunemente otteniamo questo entrando, più o meno volontariamente, in tensione psicosomatica, che fra i vari effetti, produce uno stato di tensione muscolare. Tendendo la muscolatura riduciamo il volume dei vasi sanguigni nel resto del corpo, a spese di altri organi considerati meno importanti. Il cuore, il fegato, lo stomaco, i reni diminuiscono la loro funzionalità. Il mezzo per ottenere questo stato fisiologico ci viene fornito dall'uso/abuso delle adrenaline, e dalla disattivazione di ormoni come le endorfine e testosterone/estrogeno, ossia la base ormonale di sentimenti e impulsi vitali. Non andrebbe dimenticato che anche questa via porta, infine, al temuto blocco dei sentimenti e degli impulsi. Spesso non riusciamo a riportare la situazione ormonale in equilibrio. Allora la sera ci ritroviamo incapaci di distenderci, siamo nervosi, impossibilitati a procurarci il giusto riposo, il piacere, di cui avremmo diritto e del quale sentiamo la necessità, dopo una "giornata stressante". In sintesi dovremmo considerare che 1* uso eccessivamente intenso di un organo come il cervello diminuisce la funzionalità degli altri. Finché è in atto una (iper)attività della mente, dominata da certi gruppi di pensieri, conscia o subconscia, non possiamo soddisfare adeguatamente funzioni come dormire, digerire, fare all'amore, e in generale elaborare o godere le percezioni piacevoli. Ma non possiamo neppure leggere, venire assorbiti da un paesaggio o da un quadro, riflettere indisturbati, utilizzare il pensiero per noi stessi. Ciò è accettabile se lo stato di tensione non perdura in dismisura. Ci sono certi periodi nella nostra vita nei quali non possiamo risparmiarci. La nostra natura prevede questo, il corpo è paziente, ci aiuta, se poi lo aiutiamo noi. Recentemente, durante un colloquio con un giornalista, ho chiesto, se durante il suoi rapporti sessuali riuscisse a evitare pensieri distraenti. Definendosi "stressato" rispondeva che anche in quei minuti di intense percezioni presenti, venivano a coscienza pensieri riguardanti situazioni di lavoro. Fig. 6 Persona che soddisfa un impulso, svolgendo contemporaneamente, un'attività di pensiero intensa e distraente II rendimento del nostro corpo è immenso, addirittura inimmaginabile, ma ci sono in qualunque attività ritmi, cicli e tempi imprescindibili: giorno e notte, tensione e distensio- ne, più in dettaglio, ispirazione ed espirazione. La persona stressata non riesce ad osservare questo ritmo. La tensione psicofisica può durare dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina. Dobbiamo considerare la funzione del tempo in questo processo. Se il volume delle percezioni da elaborare è superiore al proprio potenziale, possiamo porre rimedio solo prolungando l'azione per un tempo maggiore. Il poeta tedesco Johann Wolfgang von Goethe, ad esempio, per elaborare le percezioni del suo "Viaggio in Italia", per arrichirsi realmente delle esperienze vissute, ha impiegato anni; tutto il tempo necessario per un lavoro non nevrotico di vera maturazione interiore. Egli ha sentito il bisogno di confrontarsi con queste memorie, scrivendo. Oggi andiamo a Hong Kong e torniamo nel giro di 15 giorni; le percezioni non elaborate diventano un cumulo non ordinato, non raffinato. Le fotografie non possono supplire, se non abbiamo tempo neppure per guardarle e ci limitiamo a mostrarle agli amici. Un viaggio ricco di esperienze significative si trasforma in poco meno di un confuso sogno notturno se il mattino seguente il ritorno siamo immersi nell'attività quotidiana e non abbiamo più il tempo per ricordarlo e goderlo. Le immagini frammentarie che di tanto in tanto ci passano davanti non diventano una storia, una narrazione godibile, il film della nostra vita - che possiamo richiamare, rivedere al momento opportuno. Fig. 7 Goethe mentre osserva; giapponese mentre fotografa: due situazioni diverse nell'elaborare le percezioni Paradossalmente agisce in modo più adeguato lo hippie che va nelle Ande, bivacca nella tenda, si lascia ubriacare dalle percezioni, rendendole complete, intense, e poi le integra. Lui non sente il bisogno di usare la macchina fotografica, perché ha usato nel modo giusto la propria memoria. Rispetto a quanto accadeva soltanto cinquant'anni fa, quando i mass media non avevano ancora occupato quasi ogni spazio dell'esistenza con la loro pervasività ed aggressività, la mente deve oggi elaborare nella stessa quantità di tempo un numero infinitamente maggiore di stimoli e quindi di problematiche. Sembra così lontano il passato, in cui una forma di comunicazione più normale poteva essere una lettera che, lasciando spazio a pacate riflessioni, poteva essere romanti- ca, calda, e poetica, essere letta e riletta. Ora, c'è la brusca telefonata, che permette il dialogo ma che filtra l'aspetto emotivo concentrandosi sul solo udito ed eliminando gli altri sensi e con essi la possibilità di percepire l'altro integralmente. Credo che pochi riescano a comunicare nel modo moderno il proprio stato d'animo attraverso una poesìa o una lettera ben scritta, il telefono d'altra parte ci illude di percepire l'altro integralmente. Forse non ne abbiamo più bisogno? Fig. 8 Due partner al telefono - si parlano a "distanza": la comunicazione può facilmente risultare incompleta o falsa La nostra società si è impegnata in uno sforzo notevole per portare le possibilità di comunicazione ai livelli attuali. Possiamo contattare chiunque ovunque, ma è sempre più ridotta la possibilità di imparare a comunicare in modo integrale, che comprende la diretta percezione del volto, dei gesti dell'altro e la possibilità di contatto cutaneo, cosa fondamentale per il mantenimento del benessere psichico. Chi non ha telefonato dalla casa o dalle braccia dell'amante al proprio marito o alla moglie "rassicurando- lo " ? ha nostra società telefonica offre un utile servizio: si possono tenere attive più chiamate in arrivo. Così la ragazza (nella pubblicità) tiene in linea due amanti! È chiaro che questo stato di cose - la continua sollecitazione della psiche con stimoli spesso carichi di contenuto "astratto" (la percezione intima deve avere anche un contenuto emotivo) che può essere elaborato cognitivamente ma senza il coinvolgimento delle percezioni e della comunicazione corporea - priva l'uomo di quel "contatto intimo" importante per il proprio benessere, e lo rende più esposto a disturbi psichici. Nessuno può fare a meno delle carezze. Quest'uomo è solo dinanzi ai propri sentimenti e alla propria emotività, perché nella società attuale pur con la possibilità di comunicazione portata tecnicamente al massimo grado, egli perde la capacità di esprimere, nel modo propriamente umano, il suo disagio con chi gli è vicino e di ricevere, nello stesso tempo, la consolazione di sentirsi un braccio intorno alle spalle. Esprimere le proprie emozioni di dolore o di piacere che siano, viene considerato disdicevole, un atto di debolezza che infastidisce. Ciò viene avvertito come spiacevole, perché provoca profonde paure, dalle quali non vogliamo essere investiti. Tutto ciò che è psichico, che ha un contenuto emotivo è diventato un tabù, come qualcosa di buio, nebuloso, che non vogliamo aggiungere a quanto già ci opprime. Così, sin da bambini, ci vengono impartite norme elementari di igiene fisica (lavarsi i denti, le mani), ma certo non possiamo dire che lo stesso avvenga per l'igiene psichica (scambiarsi una carezza, avere del dialogo intimo, sincero e aperto), che non può essere appresa né dall'esempio fornito dai genitori (quanti di essi propongono ai loro figli un modello di convivenza adeguato?), né con letture, né con corsi serali. Si sa molto sul mal di fegato, ma poco o nulla sull'aggressività, dalla quale potrebbe derivare la malattia al fegato. In realtà, l'unico atteggiamento che viene insegnato e che l'essere umano allo stadio attuale della sua evoluzione attua nei confronti dei propri contenuti emotivi è la repressione (per esempio con l'assurdo "non devi piangere!" che più tardi diventerà il doveroso "keep smiling", ossia "sorridi sempre"), o l'indifferenza e il silenzio su questa dimensione. La conseguenza è che viviamo in un mondo alla rovescia, dove salute e benessere sono l'eccezione, non la regola. Eppure se in un paese il 70 per cento degli abitanti porta gli occhiali non vuole dire che la vista buona non resti la normalità e l'obiettivo da realizzare. La sintesi potrebbe essere questa: l'essere umano allo stadio attuale della sua evoluzione deve confrontarsi con una mole di "lavoro mentale" superiore alla propria capacità psicosomatica. Dal momento che esistono precisi limiti di tempo, è necessario, per non entrare in uno stato di nevro-si, per non danneggiare la salute psicosomatica, fare delle scelte, considerare delle priorità, che possono essere dettate a volte da esigenze economiche, ma anche dalla considerazione di esigenze esistenziali. Il compito che ci si pone è rendere compatibili le esigenze contrapposte trovando l'armonia fra "dovere" e "volere". 1.5 L'azione della terapia psichica La terapia psichica nella sua forma attuale convenzionale si occupa principalmente dei casi più evidenti o eclatanti-, quelli dove il sintomo "dolore" raggiunge intensità insopportabili, e quelli per i quali i soggetti non riescono più ad inserirsi, a convivere nella società. È come se la medicina ignorasse i raffreddori, i mal di pancia, e i dolori di testa, per occuparsi solo di infarti, trapianti, tumori e operazioni al cervello! Esistono "piccoli malesseri psichici" quotidiani della più varia natura e dall' origine più diversa che inficiano il vivere quotidiano. Spesso, (troppo a nostro avviso), questi piccoli malesseri crescono a dismisura e sommandosi portano alla sofferenza acuta, quindi percepibile, e ciò avviene se non vengono affrontati in tempo. Prima incidono sulla qualità di vita, infine portano allo stato di nevrosi in una delle sue svariate forme. E non solo la nevrosi, ma anche il suo aspetto di minore intensità, uno stato nevrotico non ancora acuto, vanno senza dubbio considerati come malattie (psichiche) e trattate come tali, non meno di un raffreddore o di una influenza. 1.6 Diagnosi e cura in medicina. E in psicologia? La terapia deve, naturalmente, essere preceduta da una adeguata diagnosi. Diagnosticare la salute somatica è possibile, anche grazie agli efficientissimi quanto precisi strumenti diagnostici. Possiamo ottenere il responso rassicurante attraverso la sigla N.d.P. (Nulla di Patologico) che ci può e ci deve tranquillizzare almeno per un certo periodo di tempo, ma che non esclude la possibilità di soffrire forti e dolorosi disturbi psichici. Esiste un confine netto fra la persona clinicamente sana, e quella ammalata. Il medico può decidere se la persona interessata può svolgere le proprie funzioni, se può lavorare o meno. In ogni famiglia abbiamo a disposizione personale uno strumento assai utile: il termometro. L'assenza di febbre è un sintomo quasi indiscutibile di salute. Al resto provvede la capacità umana di poter constatare l'assenza di dolore somatico. In base a queste possibilità diagnostiche la medicina ci mette a disposizione le sue capacità terapeutiche. Fig. 9 Visita medica e due tipi di "incontro" psicologico/terapeutico. L'incontro, anche "terapeutico", di maggiore effetto è quello fra partner, perché oltre al dialogo "tocca" la psiche e rimuove così le problematiche con un'azione corporea. Differente la situazione in psicologia; iniziamo ad osservare le possibilità diagnostiche: la psiche non si presta a "misurazioni", non esistono strumenti tecnici, non esiste neanche la possibilità di rispondere con un si o un no. L'approccio alla psiche avviene attraverso l'intelligenza (intesa come capacità di comprendere, di entrare con L'Io in rapporto col Tu, come scrive Max Pulver, grafologo e psicologo svizzero), intelligenza che rimane inevitabilmente soggettiva per l'impossibilità di parametri esatti. A complicare le cose c'è un altro aspetto: mentre la diagnosi medica può constatare la non funzionalità di un singolo organo, questo non accade in psicologia. Tutti gli aspetti psichici (funzioni ed impulsi) sono in costante, intensa interazione. Se ci tormenta la paura, essa si manifesta ovunque: abbiamo paura di volare, dell'esame, che il computer si rompa, del temporale che potrebbe venire. La fobia si può considerare come paura indirizzata verso un certo oggetto; ma essa è solo la punta emergente della paura diffusa. In questi casi tutti sappiamo come basta un nonnulla (un brutto pensiero che sale dalla memoria) per scivolare in uno stato di paura intensa, ma che un altro nonnulla {una notizia rassicurante, una carezza) ci può fare uscire dalla più profonda disperazione. Si tratta di risposte variabili a stimoli simili e ciò rende comprensibile la difficoltà di una valutazione esatta. Spesso ci si pone la domanda: "Io sono quello che un'ora fa era in preda al panico, o quello che ora parla tranquillamente con un amico?". Il nostro stato interno cambia in funzione di stimoli ambientali o endogeni o di farmaci immessi nell'organismo. Ricordiamoci che l'adrenalina messa in circolo dalle ghiandole surrenali cambia la situazione psicosomatica in pochi attimi (nel caso di fatti intensi in frazioni di secondo), lo stesso effetto immediato lo ottiene un bicchiere di vino, ma anche una buona/cattiva notizia. Persino la persona depressa, vittima della nevrosi che induce la maggiore inerzia, viene scossa, si sveglia dal proprio torpore "permanente" nel momento in cui accade un fatto sufficientemente intenso. Anche l'immane sforzo della psicologia sperimentale non ha portato che utili considerazioni tecniche. Non esiste ancora il corrispettivo psichico del termometro che indica un processo infiammatorio. Tradotto in termini psichici questo processo potrebbe essere inteso come un contrasto, una "guerra" interiore, in corso. Lo strumento corrispondente sarebbe un ipotetico "dolorimetro" indicante la presenza "infiammata" di dolorose problematiche. Proprio qui la psicologia dimostra la sua giovane età: meno di due secoli di lavoro intenso, nei confronti dei trenta e più secoli di evoluzione della medicina. Agli inizi virtuali possiamo porre due giganti: Aristotele e Galeno; il primo accenna a concetti psicologici introducendo una terminologia che è rimasta nel pensiero occidentale. Non approfondisce, evidentemente perché a quei tempi non se ne sentiva ancora l'esigenza. L'uomo ha iniziato ad ammalare la propria psiche staccandosi dalla natura, dal proprio corpo - intellettualizzandosi- nell'era moderna. Galeno e la medicina tradizionale con la dottrina degli umori evidenziano quanto profondamente la psiche sia radicata nel corpo e nelle sue funzioni e pongono come causa di ogni particolare malattia la discrasia, ossia una disarmonia umorale. La dottrina degli umori ha forse trovato in tempi recentissimi il suo corrispettivo nelle ricerche di psico- neuroendocrinologia ed immunologia. La teorie e le scoperte di Galeno hanno influenzato la medicina fino a due secoli fa. Un corrispettivo somatico del termometro esiste solo in teoria: sarebbe la misurazione empirica della tensione psicosomatica. Se le problematiche acute provocano una iperattività di pensiero, questo a sua volta provoca uno stato di tensione. E ciò è chiaramente percepibile direttamente (muscoli induriti, si osservi la fronte di studenti concentrati sui banchi d'esame) e indirettamente (variazioni della circolazione periferica, dunque mani più fredde, piedi più freddi, fronte più calda). Eccessi di tensione ci dovrebbero fare riflettere, né più e né meno di alcune linee di febbre. Fra "perfetto benessere" e malattia esistono, per quanto riguarda la psiche, infinite variazioni di intensità e di grado. Non solo: esiste la variabilità temporanea. Oggi mi sento in un certo modo, domani mi sentirò diversamente -senza possibilità di spiegazioni chiare. Ma che malattia può essere, se compare e sparisce senza che si possano spiegare le cause? Nella realtà attuale rimane l'assai controverso concetto "dolore psichico", che andrebbe sempre visto come segnale di allarme, di necessità d'aiuto, non solo come disturbo da eliminare, magari con l'aiuto di psicofarmaci. Perché, se per l'etica medica al dolore deve essere posto rimedio, questo deve valere anche per quella psicologica. Rimane da considerare un aspetto importante. L'essere umano si "abitua" con sorprendente abilità al dolore psichico, certamente più che a quello fisico: lo ritiene normale, inevitabile anche perché, spesso, non viene compreso dagli altri, e pertanto è giudicato non esistere. Inoltre esi- stono persone che riescono a sentire piacere anche in situazioni oggettivamente infernali - perché piacere è nuli 'altro che un sentimento provato quando passiamo da uno stato di maggiore sofferenza ad uno di sofferenza minore. In un suo libro, edito nel '46, il grande Viktor Frankl afferma come ebrei stipati nudi in una capanna in attesa della esecuzione, riuscissero a "godere " la vista di un tramonto, attraverso le fessure nel legno. Se il dolore somatico viene combattuto con specifici analgesici, per il dolore psichico esistono corrispettivi? Esistono. Sono gli psicofarmaci. Se si può constatare una loro efficienza, essa però è limitata perché l'effetto positivo viene accompagnato da effetti collaterali: una indubbia riduzione delle capacità psichiche in generale. Per ridurre il dolore in pratica dobbiamo ridurre il complesso delle attività di pensiero. Quanti sono disposti a questo sacrificio? Poniamoci nei panni della persona depressa: non dubito della sua scelta, se venisse posto davanti all'alternativa fra il poter disporre di un pur efficace psicofarmaco e il disporre di carezze da parte di una persona che lo comprende e ama. L'indicazione che sembra venire da questo stato di cose è, che l'azione farmacologica nei confronti di mali psicosomatici, è, attualmente, insufficiente. LA FARMACOLOGIA ENDOGENA Paolo Pancheri, professore ordinario di Clinica Psichiatrica dell'Università di Roma, nell'ultimo capitolo del suo libro "Stress, emozioni, malattie" (Mondadori 1993) osserva che "lo studio (...) ha mostrato come l'organismo regoli continuamente i livelli di attuazione quantitativa e qualitativa del sistema nervoso centrale (...) attraverso il turnover di sostanze ad azione "farmacologica" sulle emozioni, sul comportamento, sul corpo. Fino ad ora la farmacologia clinica si è limitata a imitare in modo grossolano e incompleto la farmacologia endogena. Queste considerazioni ci suggeriscono la possibilità terapeutica di una manipolazione dei sistemi "farmacologici" dell'organismo (...). Un opportuno addestramento potrebbe infatti portare ogni individuo a una attivazione specifica di particolari aree emozionali in conseguenza di una manipolazione volontaria" La via proposta con l'induzione endogena è di attivare i farmaci prodotti dall'organismo stesso Sembra proprio che una depressione, per citare un male frequente, non si possa curare con soli antidepressivi, per quanto efficaci essi siano. Lo sforzo dovrebbe essere rivolto altrove? Può uno psicofarmaco sostituire le tangibili espressioni amorose di una mano, o di parole comprensive? Qui iniziamo le riflessioni circa le possibilità di cura della psicologia. Un primo passo consiste nel considerare il corpo come "intelligente" in ogni sua cellula, molecola, in ogni suo atomo, e per questo sensibile ad un approccio psicologico. L'intelligenza presunta del corpo si conferma almeno sul piano somatico quando le giuste sollecitazioni esogene (è il caso delle medicine omeopatiche) ed endogene gli fanno produrre molto più raffinatamente di ogni industria chimica, gli "anticorpi endogeni", che reagiscono a modo loro ai corrispettivi psichici di raffreddori, influenze, infiammazioni, infezioni. Rimane da approfondire come lo stesso corpo possa reagire a disturbi psichici. La domanda è questa: se un depresso è privo della capacità di godere, di vitalità come è possibile provocare in lui un'adeguata reazione a partire dalla fisiologia? Se, per esempio, la capacità di godere è correlata, fra l'altro, alla presenza di endorfine (l'analgesico psicosomatico che allontana il dolore, anche quello psichico) è forse possibile con determinate "carezze", provocare, indurre la loro "produzione" endogena? Il depresso sente un enorme bisogno di carezze ed evidentemente sa o sente il perché. Lo stesso vale per la "vitalità", alla base della quale ci sono altri ormoni, testosterone, estrogeno, in lui e in lei. Se nel depresso, privo di vitalità per definizione, provoco uno stato ormonale simile a quello vissuto durante l'innamoramento, e questo appare possibile sollecitando determinate zone del corpo, gli fornisco la possibilità di migliorare questo aspetto determinante. Quanto detto è una indicazione verso una via psicosomatica percorribile, nel trattamento e nella cura di molti disturbi psichici. 1.7 Strumenti di diagnosi e cura proposti Osservando la realtà da un punto di vista pragmatico, giungiamo ad una piccola riflessione indicativa. Se riusciamo, se siamo riusciti a fare ammalare psiche e corpo, lo abbiamo fatto attraverso un uso errato di certe potenzialità. Pertanto se le utilizziamo nel modo corretto possiamo invertire questo processo e avviarci verso la salute. Strumenti di diagnosi e di cura personali ci devono pur essere. E ci sono. Si tratta semplicemente di riconoscerli per applicare poi delle correzioni anche minime al nostro comportamento, alla nostra disposizione, che sono i punti di intervento più facilmente affrontabili. Questo è il perno dell'inversione di tendenza: chi, attraverso la propria capacita di osservazione, si scopre eccessivamente timido, può decidere di esserlo un poco meno; chi ha rapporti Ìnterpersonali insufficientemente intensi può provare a salutare con un pò più di cordialità; chi pensa di non sapere amare può provare a scoprire l'effetto di una piccola carezza, di un complimento ad una persona cara. Grandi aspettative sono ostacoli spesso determinanti nel formare un efficace contatto terapeutico. Se una persona si presenta da uno psicoterapeuta e pensa di ottenere una soluzione immediata, naturalmente crea i presupposti per una delusione. Come si può pretendere (e ciò avviene spesso), che disturbi psichici maturati in trent'anni di comportamento errato si possano eliminare in poco tempo? Ostacoli alla terapia sono creati anche dallo psicologo. È spesso assurdo proporre ad un paziente una terapia che prevede centinaia di incontri, e non solo per ragioni economiche. La cura analitica, infatti, prevede da 300 a 600 incontri, forse troppi quando esiste la possibilità di terapie efficaci come per esempio la "Gespràchstherapié" usata in Germania (terapia basata sul dialogo) che prevede da 4 a 20 incontri. I dati sono del Prof. dr. Hellmuth Benesch nel "Worterbuch zur Klinìschen Psychologie" (Dizionario di Psicologia Clinica). Dovrebbe essere imperativo per lo psicologo proporre una cura realistica per costi e effetti. In sostanza mi sembra necessario ristabilire le premesse per un rapporto accettabile per entrambi. Lo psicologo deve, naturalmente, offrire la possibilità di una cura, una diagnosi ed una prognosi, indicando la strada giusta verso il proprio benessere. La terapia da noi proposta è realizzabile anche in un tempo breve. Ma richiede al cliente di proseguire con le proprie forze e confortato dalla possibilità di ulteriori incontri di controllo, durante la spesso lunga "convalescenza", alla quale è stato condotto. La meta non dovrebbe essere tanto quella di curare con un intervento esogeno, quanto quella di fornire a chi lo desidera la possibilità di curarsi in un modo soggettivamente appropriato, usando le proprie capacità e risorse, che sono sempre più grandi di quanto ci si immagina. 1 possibili strumenti si possono dividere in due gruppi, cognitivi, che utilizzano il linguaggio, e somatici, che utilizzano la manipolazione di particolari "frigger point" fisiologici. Un approccio alla psiche è possibile attraverso queste due vie che devono integrarsi per aumentare le possibilità sia di diagnosi, sia di cura. 1.8 Diagnosi e cura. L'aspetto cognitivo Un esame analitico ci porta ad affrontare questo argomento, osservando singolarmente i possibili "strumenti"; sul piano psichico essi consistono nell'uso dell'intelligenza attraverso il dialogo confortata da un adeguato sapere psicologico. L'intelligenza Esistono varie forme di intelligenza, L'intelligenza qui va intesa come capacità di comprendere, di interpretare e di risolvere i problemi della dimensione psichica e come tale è alla portata di ciascuno. Tutti abbiamo a disposizione un potenziale intellettuale simile. Quanto di questo viene utilizzato è questione di scelta. L'organo cervello può essere allenato, sviluppato, portato ad un rendimento inimmaginabile per colui che si accontenta di considerarsi "poco dotato" e lo lascia dormire. Certo "pensare intensamente" può provocare un doloroso mal di testa, certo però non più del dolore muscolare provocato da una inabituale forma di ginnastica, con conseguenti crampi ed indolenzimenti. L'INTELLIGENZA Nelle pagine di questo testo abbiamo utilizzato il concetto di intelligenza sempre nel senso di capacità di comprendere ed interpretare. Per Aristotele tutta V attività della nostra mente è "l'attività intellettuale", che suddivideva in attività di tipo teorico, tecnico e pratico, secondo l'applicazione data. Da queste "attività intellettuali" si differenziano due modalità specifiche: l'intelligenza, intesa come capacità di comprendere (dal latino "intelligere"- che possiamo tradurre con un semplice: leggere nel prossimo. L'intuito è il rendimento supremo del nostro intelletto, ossia la capacità di giungere, di "saltare" a delle conclusioni, apparentemente senza un corrispettivo sforzo di analisi sistematica. La psicologia contemporanea, dopo avere a lungo considerato come "vera" intelligenza solamente la capacità di ragionamento logico, astratto, applicato alla soluzione di problemi (come ancora rispecchia l'uso corrente di questo termine), si è accorta che tale visione è troppo unilaterale e condizionata dal "razionalismo", che ha costituito l'ideale di condotta per gli uomini occidentali da almeno due secoli. Oggi, tornando ad Aristotele, si riconosce che esistono in ciascun uomo "stili" diversi di intelligenza, adatti alle diverse dimensioni che egli si trova ad affrontare (vedi: M. Gardner "Stili di pensiero"). Seguendo questa prospettiva riconosciamo l'esistenza di: una razionalità astratta, logica, che ci aiuta a risolvere problemi. una capacità pragmatica, spesso intuitiva, che ci guida in mezzo ad un'azione. intelligenza intesa come capacità di comprendere gli altri esseri umani e noi stessi. Questa capacità di "leggere", di interpretare, quella che entra in gioco quando dialoghiamo con un altro individuo o quando leggiamo un romanzo. Essa implica la capacità di identificarsi con altri esseri umani (empatia) e di esaminare la propria interiorità. Trattandosi di una specifica applicazione delle proprie capacità intellettuali, la capacità di comprendere sé e gli altri è dunque una questione di scelta, chi vuole capire può farlo: in misura diversa, ma certamente sufficiente. Un rapporto difficile può essere modificato, può essere reso piacevole per ambedue in conseguenza di una decisione di attenzione. Se decidiamo di essere osservatori più attenti, possiamo, per esempio, capire che la nostra compagna il mattino soffre di "pressione bassa" eie è diffici- lissimo "carburare" e mettersi in attività. In questi casi anche parole dolci o gesti affettuosi sono di troppo, perché vissuti come acqua gelata da chi si trova in questa condizione psicofisica. L'azione "giusta", che diviene un segno concreto di affetto e soprattutto di comprensione reale, è piuttosto il preparare il caffè: l'unico mezzo che la può aiutare nel risveglio. Una decisione simile, per quanto apparentemente secondaria possa apparire, cambia in meglio la situazione perché provoca una catena di reazioni affettive. Certo, sottoporre il cervello ad uno sforzo è una fatica che un buon rapporto scolastico ci avrebbe dovuto insegnare, quando ci faceva tribolare con 1" "inutile" latino; leggere un testo difficile è meno divertente che vedere un bel film. Ma anche chi si sente poco dotato può decidere di affrontare questo sforzo ed allenare la propria mente ad osservare e comprendere. L'intelligenza è una scelta obbligata per chi vuole una buona qualità di vita e chi vuole fuggire nella, spesso ritenuta piacevole stupidità, rischia molto. Chi ha assaggiato la "mela" non può più tornare indietro. In tante delle migliaia di lettere ricevute nella nostra pratica ci è stato chiesto se è possibile ridurre la propria sen- sibilità (una filiazione dell'intelligenza). Ciò non è possibile: la si può solo accettare in modo pieno, come una risorsa; che certamente ci può fare soffrire più intensamente (fatto di per sé vitale), ma altrettanto certamente aumenta la nostra capacità di sentire intensamente la vita. L'uomo insensibile è morto come essere umano. Chi ha capacità logiche e razionali superiori e lo vede dimostrato dal proprio Q.I. (Quoziente di Intelligenza) elevato, non è per questo necessariamente intelligente nel nostro senso, in quanto consideriamo l'intelligenza come una delle forme delle capacità mentali, riguardante la capacità di comprendere l'altro, che può e deve essere appresa, e incrementata secondo il proprio bisogno. Questo concetto viene espresso già da Aristotele quando divide le capacità intellettuali - teoriche, tecniche, pratiche - dalla intelligenza, ossia la capacità di comprendere, di essere "umano", dunque. In questo contesto l'intuito è più alta espressione di esse, in quanto ci permette di comprendere direttamente prendendo in considerazione momentanea tutto il sapere raggiunto. Pertanto l'uso dell'intuito prevede uno sforzo enorme, ed anche per questa ragione dovrebbe essere usato con parsimonia. Se per questa via ci è possibile ottenere un quadro immediato, ad esso manca un supporto critico e razionale. L'indiscussa utilità di questo strumento deve essere confortata da adeguate ricerche o riflessioni, che possono avvenire anche a posteriori. In sostanza l'uso dell'intuito o meno è una questione di metodo che tiene conto delle capacità individuali. Vediamo le forme di applicazione pratica dell'intelligenza e gli effetti raggiungibili. Se oggi mi comporto in modo "intelligente", domani starò bene; se non comprendo la mia condizione attuale e supero i miei limiti (che variano quotidianamente), cioè se mangio troppo, se eccedo nel bere, nel fumare, se lavoro troppo, se sono troppo aggressivo con chi mi è indispensabile, in sostanza, se sbaglio le tante scelte che mi si offrono nel corso di una sola giornata, predispongo un futuro prossimo negativo Le modificazioni in positivo possono essere pianificate dopo una riflessione che andrebbe inserita nel breve tempo che per esempio ogni sera potremmo dedicare ad una azione di igiene psichica: non addormentarsi senza aver tentato di rielaborare ed esaminare almeno qualcuno degli avvenimenti della giornata che sentiamo ancora risuonare in noi. L'applicazione quotidiana dell'intelligenza avviene, o dovrebbe avvenire, nell'atto di esercitare il potere di scelta. Questo è il solo modo con il quale l'uomo può determinare la propria vita. È chiaro che queste scelte dipendono da una propria corretta o errata filosofia di vita che si consegue attraverso letture, studi, riflessioni, e soprattutto attraverso il dialogo: in pratica un confronto fra Io e Tu, fra esperienza e sapere proprio ed altrui. Anche su questo piano appare decisivo l'impegno dell'intelligenza, che decide della possibilità dì raggiungere la propria filosofia di vita adeguata al proprio Io, quella cioè che corrisponde alle esigenze personali, che nessuno può insegnare in modo astratto e ciascuno deve scoprire con le proprie riflessioni. LE SCELTE: NEL CORSO DI UNA GIORNATA, NEL CORSO DELLA VITA Attraverso la possibilità di scelta l'essere umano determina il proprio modo di vivere. In ciò si determina il proprio procedere entro la società. Ognuno di noi, nel corso della giornata, si vede confrontato con diverse scelte, alcune importanti, perché escludono altre possibilità, altre di importanza minore. Nel grafico sottostante proponiamo - schematicamente - un percorso di scelta lineare, che porta, a conclusione della giornata, alla "meta" (che dovremmo individuare sin dall'inizio), ed un percorso confuso, che ci porta a intraprendere lunghi tratti "inutili". SERA META RAGGIUNTA META NON RAGGIUNTA Uno stesso schema ci sì ripropone, immensamente più grande, se osserviamo il cammino dalla nascita alla morte. Il tempo maggiore a disposizione ci permette di effettuare delle correzioni, possiamo perdere tre anni studiando in un indirizzo che poi riconosciamo non adatto, e, rifatta la scelta, troviamo la strada giusta. Vale in qualche modo il "non è mai troppo tardi", anche se le scelte non appropriate incidono negativamente sulla qualità di vita. Spesso, nel periodo dell'esame esistenziale, che avviene intorno ai 45 anni, ci possiamo accorgere di avere sbagliato: ancora è possibile rimediare. Ma più tardi avviene questa presa di coscienza, più scarse sono le possibilità di autorealizzazione, cioè di raggiungere la propria vetta. Le possibilità di scelta sono, all'inìzio della vita cosciente, apparentemente infinite, per diminuire via via. FINE DELLA COSCIENZA (VECCHIAIA) XXXKXXXXXXXX xxxxxxXKxxxyoaocxxxxxxx ztxxxxxxxxxtaoacxx. XXXXXXXXXXXXXXXXXXXKXXXXXXXXXX INIZIO DELLA COSCIENZA (INFANZIA) Ognuno di noi dovrebbe considerare di vivere uno spazio temporale limitato, ed agire di conseguenza, cioè in modo esistenziale - che vuole dire vivere in cospetto della morte. (È sempre valido quello che ci rammenta la saggezza tradizionale: "memento mori" e "carpe diem"). Anche se di solito la natura ci risparmia la coscienza di questo stato di cose. Attraverso una malattìa che riduce bruscamente l'aspettativa di vita abbiamo però l'esempio della persona nella quale, improvvisamente, fa scala dei valori cambia e tutto diventa più chiaro. n meccanismo delle scelte: il loro numero, apparentemente infinito alla nascita, "dimezza" con ogni scelta Che possiamo intervenire attraverso l'intelligenza per modificarci in qualche misura, ed ottenere uno stato di salute migliore è fuori dubbio, almeno in linea di principio. L'Io attuale, quello che viviamo è il risultato di due forze. La prima ha formato la nostra struttura base attraverso fattori ereditati e fattori appresi nel periodo della prima fase della nostra educazione attraverso l'educazione. Questa è l'influenza esogena. La seconda forza deriva dallo sviluppo delle risorse endogene. Il bambino nella seconda fase della formazione comincia a disporre della capacità di comprendere ed inizia ad applicarla in senso critico: sceglie. Solo l'uso dell'intelligenza permette di iniziare a realizzarci anche al di sopra di ogni struttura ereditata II punto cruciale, va ribadito, rimane l'uso o meno, l'utilizzo di questa potenzialità. Il metterla o meno a disposizione dell'Io, della sua evoluzione. Solo attraverso di essa possiamo riconoscere ed usare gli altri strumenti. Due i modi di utilizzo principali: in primo luogo come riflessione per comprenderci (la diagnosi) e tradurre in realtà le conclusioni alle quali siamo arrivati (e qui l'intelligenza influisce sulla forza di volontà). In secondo luogo impegnandola nel dialogo, cioè per arrivare ad una maggiore conoscenza di noi stessi attraverso il confronto. Possiamo usare questa capacità in due modi, in primo luogo come riflessione per conoscerci, per comprenderci (la diagnosi), eppoi per tradurre in realtà le conclusioni alle quali siamo pure arrivati (qui l'intelligenza influisce sulla forza dì volontà), in secondo luogo impegnandola nel dialogo, cioè per arrivare alla conoscenza comprensiva di noi stessi attraverso il confronto. Uno o mille di questi confronti ci portano vicini alla verità. Questa meta è raggiungibile se iniziamo a muoverci verso di essa. La riflessione è un processo analitico che usa anamnesi (la storia passata) ed etiologia (la ricerca delle cause); uno sforzo non trascurabile e con risultati non certo immediati, perché viene coinvolta e portata a coscienza tutta l'enorme massa di problematiche passate, accumulate - risolte o irrisolte che siano - in anni ed anni. Diversi e più immediati sono gli effetti del dialogo e del suo impiego come strumento di diagnosi e cura, proprio perché esso si con- centra sul presente: viene portato ad espressione ciò che ci opprime, che pesa sul cuore. Rimane da chiarire un punto. Se impieghiamo la nostra intelligenza dobbiamo considerare anche il fattore tempo. Ogni problematica per essere risolta richiede un tempo corrispondente alla sua complessità. Se il problema è piccolo, come lo potrebbe essere per una casalinga la scelta del "menù", può essere sufficiente un quarto d'ora, il tempo necessario per comprendere cosa vuole lui, cosa vogliono i bambini, quanto tempo è a disposizione, cosa c'è al mercato, quanto costa. Se il problema è serio come potrebbe esserlo un "divorzio", per arrivare ad una separazione che comunque rimarrà sempre parziale, occorrono mesi. L'inerzia è ancora maggiore per portarsi in una situazione affettiva nuova. Lo stesso vale per smaltire un "fallimento", o la morte di una persona cara nei momenti più difficili che la vita ci può proporre. Trovarsi una nuova forma di vita e adeguare tutto se stesso ad una nuova situazione costa tempo, molto tempo, che però dobbiamo prènderci. Buttarsi in una nuova impresa senza avere affrontato dentro di sé la precedente difficoltà significa predisporsi ad un altro insuccesso. Abbiamo costatato che il benessere non deriva dalla soluzione completa della problematica, dal cambiamento definitivo di una data situazione, ma da un miglioramento (che provoca sempre la sensazione di piacere) anche minimo. Non possiamo pretendere di eliminare un dolore, possiamo però renderlo meno intenso e intravvedere un futuro. Ciò rende evidente la necessità di un costante lavoro di igiene psichica quotidiana, il solo mezzo per evitare l'accumulo di problematiche, con la prospettiva allarmante di un peso eccessivo e insopportabile per il cervello che può pregiudicare tutto il suo funzionamento. U impiego dell' intelligenza per le proprie esigenze lo è. Se abbiamo bisogno di mezz'ora al giorno per lavarci potremo dedicare altrettanto tempo per ripulire mente e cuore? L'uso del dialogo Esistono varie forme di dialogo. Quello superficiale, un passatempo che usiamo quando "mettiamo in moto la lingua senza innestare la mente", quello professionale che usiamo per il nostro lavoro, quello culturale, sociale, politico. Qui vogliamo prendere in considerazione quello intimo, profondo, personale: quella reale forma di comunicazione con gli altri, spesso rappresentato anche da un singolo individuo, che può diventare il ponte fra Io e il mondo. Il comprendere ed il farsi comprendere, è una necessità: lo scambio autentico e vivo fra psiche e psiche e profondamente rigenerante. Per capire la sua importanza ci serviamo di due esempi estremi. Un esempio storico: Federico II, nel nobile intento di scoprire una "lingua originaria" fece isolare un buon numero di neonati affidandoli alla cura esclusiva di balie rese sordomute facendo strappare loro la lingua e bucare i timpani. I bambini non sopravvissero a lungo. Un esempio attuale: isolando un prigioniero totalmente, cioè privandolo di ogni possibilità di scambio e di comunicazione con altri esseri umani (evidentemente il dialogo non si serve solo delle parole, è possibile anche attraverso altre espressioni come uno sguardo, una carezza, un gesto qualsiasi) questo si avvia verso la pazzia, la morte, prò- vocata evidentemente dall'assenza totale di comunicazione. Se in questo caso estremo, la possibilità di comunicazione decide della vita e della morte, nella nostra vita, quanto potrebbe decidere del nostro benessere! Il dialogo, oltre ad essere veramente salutare, influisce sull'intera forma del rapporto. È un'arte indispensabile per la completezza psichica. Il dialogo è il respiro della psiche. Senza di esso questa si spegne, si ammala, muore, e ci riduce a esseri parziali, umani solo in apparenza, anche se disponiamo di ricchezze ulteriori immense: se non sono espresse esse non esistono, non diventano una realtà nemmeno in noi. Certo possiamo usare espressioni diverse, possiamo leggere negli occhi e spesso questa forma di contatto ci permette di scoprire, di formare un primo approccio con una persona che si rivela, a suo modo, gentile, sensibile, aperta, piacevole e preziosa. Questa via è difficile, non è proprio una scorciatoia per la conoscenza dell'altro. Solo attraverso il dialogo possiamo arrivare alla conoscenza di noi stessi oltreché a quella degli altri. Possiamo non solo vedere se siamo sani oppure ammalati, ossia diagnosticarci, comprendere come e cosa siamo, ma soprattutto possiamo anche curarci. Abbiamo già parlato dell'effetto terapeutico del dialogo. Se amore è comprensione e un mezzo per comprendere il dialogo, non possiamo nemmeno amare, a meno che non ci soddisfi innamorarci di una proiezione, spesso lontana dalla verità. Senza dialogo, quando la comunicazione si riduce alle zone erotico/genitali, la relazione fra partner ha scarse possibilità di una lunga sopravvivenza. Con l'assenza del dialogo distruggiamo le condizioni base per un possibile benessere, quindi per la nostra salute. Fig. 10 Partner che si parlano con contatto corporeo: così sono comprese le tre sfere: intelletto, affetti, impulsi II sapere psicologico In questo contesto "conoscere se stesso attraverso gli altri" significa essere ed agire da psicologi, il che vuoi dire nuli'altro che studiare, conoscere e comprendere la psiche. Sulla necessità dì esserlo o semplicemente di comportarsi come tale non ci sono dubbi, perché le possibilità terapeutiche che ne derivano sono indispensabili. Se non possiamo delegare la cura del nostro corpo solo al medico, non lo possiamo certo con la nostra psiche. È essenziale approfondire la comprensione di sé perché non possiamo curarci senza conoscerci. 1.9 Diagnosi e cura. L'aspetto somatico Se consideriamo psiche e corpo una unità, due aspetti diversi di una stessa entità, in costante interazione, ci si aprono altre possibilità di psicoterapia ed anche di diagnostica. Se vogliamo comunicare il nostro affetto lo possiamo fare con le parole (la vìa psichica), ma quanto più efficace è il farlo con una carezza (la via somatica)! Comunicare attraverso il soma, attraverso la pelle (il nostro maggiore organo di comunicazione) confine, ma anche punto di contatto più intimo fra di noi, significa, avere uno scambio materiale (per ora si parla di "microparticelle emanate dalle ghiandole del sebo") e quindi molto intenso con l'altro. Se la società ci sconsiglia, attraverso l'educazione, questa forma di contatto, siamo però liberi di attuarlo nella nostra vita privata (là dove non dobbiamo rispettare certe regole), nel rapporto (non erotico) con il partner, con il fratello, la madre, con l'amico. Il benessere immediato che ne deriva è intenso. Varrebbe la pena cambiare le proprie abitudini di comportamento nel senso indicato dall'etologo inglese Desmond Morris, per il quale questa forma di contatto è assolutamente indispensabile non solo per il neonato (dopo il distacco o l'espulsione dal paradiso, che avviene con la nascita), ma durante tutta la vita, anche per la persona adulta. CONTATTO INTIMO II principale mezzo che gli uomini ereditano dalla natura per esprimere l'affetto reciproco, la vicinanza, la protezione è il contatto fisico. Per una serie di ragioni, che non è qui il caso di approfondire, questa fondamentale forma umana di espressione nel corso degli ultimi due secoli nei paesi occidentali si è andato indebolendo e atrofizzando. Così viviamo in una società che, in confronto a tutte le altre storicamente conosciute, ci ha rinchiuso in una corazza emotiva che comincia dall'intoccabilità, dalle disapprovazioni dell'espressione fìsica delle emozioni e finisce nel più raggelante distacco emotivo. Siamo a tal punto inibiti nell'uso spontaneo di questo repertorio di gesti naturali, da essere indotti a confondere ed identificare con imbarazzo una gran quantità di gesti emotivamente espressi con gesti di significato sessuale. Tanto che •'contatto intimo" è spesso usato come sinonimo di "rapporto sessuale". In questo libro contatto intimo non ha mai nessuna connotazione erotica. Un bisogno profondissimo e inestirpabile della psiche umana è quello della comprensione emotiva da parte di altri esseri umani. A questo scopo un solo intimo contatto fisico servirà assai più di molte belle parole. Le impressioni fisiche hanno una capacità impressionante di trasmettere le emozioni. Nessuna parola consolante può sostituire l'effetto del braccio paterno, fraterno intorno alle spalle. La nostra pelle e l'organo di senso più esteso che abbiamo ed il più antico, il primo ad inviare stimoli al cervello durante la gestazione. I gesti del contatto intimo nascono da un repertorio naturale innato del rapporto di accudimento, che ogni madre sa applicare al suo bambino ed ogni bambino conosce e desidera istintivamente. Durante lo sviluppo questo "nutrire con gesti" passa al servizio di altre esigenze, in tutto o in parte suoi "spezzoni" sono utilizzati nella comunicazione famigliare, in quella sociale più allargata, nei rapporti di coppia. Le diverse culture permettono un uso a volte molto diretto, a volte più indiretto, ritualizzato e mascherato, del contatto fisico; ma esso è sempre centrale nelle relazioni fra esseri umani. Rimane in ogni caso fortissimo il bisogno di toccarci l'un l'altro per esprimere quei profondi e duraturi legami affettivi di famiglia e di comunità, che sono una delle caratteristiche di fondo che la selezione naturale ha prodotto nella specie umana. L'indebolimento o ia perdita di questi legami rappresentano uno dei fenomeni più gravi dello sviluppo recente della civiltà occidentale ed è fonte costante di ogni genere dì patologia psicosomatica, come ha osservato l'etologo Desmond Morris, nel suo bel libro "II comportamento intimo". Monis osserva che, quando su un mezzo pubblico urtiamo un'altra persona ci premuriamo di chiedere scusa, quando invece dovremmo esprimere il nostro piacere per il contatto avvenuto, come sarebbe naturale, anche se fuori dalle regole dell'educazione. In questo caso l'educazione fornitaci dalla società si rivela, in ultima analisi, dannosa per la salute psichica. Questa necessità si mostra particolarmente in casi di esperienze estreme di piacere e di dolore, in tutte le emozioni forti, quando non possiamo proprio fare a meno di "abbracciare", perché il cuore sembra "scoppiare". Anche qui è compito di ciascuno trovare una accettabile forma di compromesso fra le regole apprese dalla società e l'espressione spontanea dei propri impulsi: l'importante è non trascurare nessuno dei due lati. I pregiudizi per quanto riguarda questo aspetto dei propri rapporti interpersonali sono enormi, basta esaminarne uno: ogni contatto ravvicinato rischia di venire classificato come erotico-sessuale. Eppure la persona triste, infelice o disperata, che si trova in grandi difficoltà desidera con forza l'abbraccio, e ne viene consolata proprio nelle situazioni in cui nulla è più lontano del desiderio erotico. Quali sono le possibili applicazioni diagnostiche e tera-peutiche? L'uso diagnostico viene evidenziato dal medico che usa le mani. Anche noi possiamo tentare di farlo se applichiamo l'intelligenza nella forma di una maggiore sensibilità tattile. Possiamo scoprire le proiezioni somati-che degli stati psichici. Anzitutto la tensione, che raramente si manifesta in tutto il corpo, e molto più spesso in zone specifiche come addome, nuca, spalle, torace, spina dorsale, cuoio capelluto, emicranio destro o sinistro. Ognuna con un riferimento psichico preciso, di non difficile inter-pretazione. La funzione terapeutica del contatto fisico non è certo dimostrabile razionalmente, ma è percepibile da tutti. Un generico o semplice massaggio produce benessere tanto al corpo quanto alla psiche. Sentiamo un immediato sollievo. Un trattamento specifico della spina dorsale arriva a cambiare il portamento e assumendo una posizione eretta sentiamo più coraggio, più stima in noi. Dopo un massaggio del cuoio capelluto ci ritroviamo con idee più chiare, con pensieri che scorrono di più fluidamente. È certo che in questo modo si ottiene un effetto quasi immediato. Non è questo allora sufficiente per dedicare più attenzione al possibile approccio alla psiche attraverso il soma? La differenza fra dolore psichico e dolore somatico. Esiste? Ognuno dì noi può, se osserva casi empirici alla portata di tutti, arrivare ad una corretta conclusione. Chi non conosce una persona depressa, nell'ambito dei propri conoscenti? Chi non ha subito almeno uno stato depressivo (momentaneo, temporaneo)? Possiamo dunque fare un esperimento. Chiedere al depresso, a colui che soffre il dolore psichico più acuto, tanto intenso da essere incapace non solo di lavorare e di amare, ma anche di star sveglio o di dormire, di nutrirsi, persino di svolgere regolari processi di pensiero: egli ci fornisce una risposta. È facile immaginare cosa ci risponderà alla domanda di quanto sia disposto ad accettare, in un ipotetico scambio fra dolore somatico e psichico. Accetterebbe un mal di denti, un mal di testa (da tutti considerati dolori reali ed insopportabili), o una gamba ingessata (fastidioso limite alla propria possibilità di movimento), se questo gli permettesse di uscire dalle sofferenze della depressione? Fig. 11 Una situazione di agio e benessere somatico contrapposta ad una poco lussuosa. Nella prima, la persona depressa non gode, nella seconda, due persone in un buono stato di salute psichica dimostrano benessere Lo stesso si può dire di una persona ansiosa. È importante capire che di solito entrambi non vengono compresi, per- che questo dolore, per chi non lo ha subito, sembra non esistere. Ignoranza ed incomprensione sono espresse con parole che contengono già in sé domanda e risposta: "Ma cosa combini? Cosa fai? Ma se hai tutto quello che vuoi?" Possiamo costatare che nessuna offesa organica può impedirci di conquistare la serenità quanto lo può un disturbo, una malattìa psìchica. Lo stesso paraplegico può raggiungere una qualche forma di serenità. E la serenità è una insostituibile componente del proprio benessere psicosomatico. 1.10 II rapporto errato con il malessere psichico Per comprendere meglio il nostro comportamento è indispensabile un ulteriore confronto fra dolore psichico e dolore somatico. Se non esistesse il dolore subiremmo gravi danni, e ciò è chiaro a tutti sul piano fisico. Non lo è, o lo è molto meno per quanto riguarda il piano psichico, perché la nostra natura ci permette di adeguarci, di abituarci ed accettare e considerare il dolore psichico, anche se deriva da situazioni inconcepibili, come cosa normale, che deve essere sopportata. Purtroppo la capacità dell'uomo nel sopportare le sofferenze è quasi infinita. Questo riduce la spinta a curarsi. E' molto discutibile l'appropriatezza del ricorrere spesso a questa capacità, non considerando il dolore psichico un sintomo allarmante, al quale andrebbe opposto un rimedio e non la rassegnazione, dovuta alla paura e alla errata convinzione di non potere, in ogni caso, curarsi. La "mamma" che per l'amore della pace in famiglia, considerata il bene supremo, assorbe conflitti, contrasti, e lascia scaricare su di sé l'aggressività altrui, fa sì del bene agli altri, salvando gli equilibri familiari, ma causa del male a se stessa. E' nota la maggior frequenza di malattie del fegato (calcoli biliari in particolare) nella donna, in quanto essa tende a reprimere la propria aggressività in modo eccessivo. La pace in famiglia non dovrebbe essere raggiunta a spese di un singolo componente. Non esiste, sul piano psichico, un male incurabile dal momento che disponiamo della capacità di comprendere e possiamo decidere di utilizzarla. Essa è lo strumento efficace ed alla portata di quasi tutti, per risolvere le problematiche. Il risultato dell'incapacità, o della non-volontà di affrontare quanto sarebbe da affrontare, è che alla fine ci ritroviamo in questa "valle di lacrime", dove la salute psicosomatica è l'eccezione e la malattia la normalità. 1.11 L'aggressività: considerazioni generali e definizione Dopo le considerazioni precedenti, tra la psicologia e la filosofia psicologica possiamo entrare nel vivo, esaminando un aspetto concreto: la gestione della propria aggressività, insieme all'egoismo la malattìa della nostra società. L'aggressività determina, influenza molto, la modalità dei propri rapporti interpersonali. Da qui l'importanza dell'argomento. L'AGGRESSIVITÀ In questo contesto il termine "aggressività" viene utilizzato con un significato specifico e differente dall'uso comune della parola. Nel linguaggio comune "essere aggressivi" significa attuare un comportamento offensivo o una azione che può variare dall'invadente al violento nei confronti di altri individui. Qui invece intendiamo aggressività in un senso molto più neutro ed ampio, ossia ne) suo significato etimologico, tenendo presente che si tratta di un aspetto di fondo dei rapporti interpersonali. La parola deriva dal latino "ad gredire", che vuoi dire semplicemente avvicinarsi, farsi vicini, entrare in contatto. Con aggressività intendiamo dunque quell'energia che ci sostiene quando ci rivolgiamo ad altri, quando affrontiamo l'ambiente sociale (culturale, professionale o intimo) e che è necessaria alla nostra vita all'interno di una specie animale tipicamente sociale come la nostra. In tal modo è intesa anche dal fondatore dell'etologia Konrad Lorenz, che dedica a questa interpretazione della parola un suo bel libro: "II cosiddetto male". Purtroppo il contatto con un altro essere umano comporta quasi sempre il "misurarsi" con lui, sotto qualche aspetto, l'assumere o il mantenere una "posizione" di confronto. "Se si è completamente privi di aggressività individuale, non si è in realtà individui, si appartiene a chiunque altro, non si ha orgoglio di se stessi". (K. Lorenz: Lorenz allo specchio, Armando ed, 1977) Le problematiche derivanti dalla gestione dell'aggressività sono certamente le più ampiamente diffuse e frequenti (almeno nell'uomo contemporaneo), essa possiede infatti una terribile caratteristica: se non viene elaborata ed espressa spontaneamente nel momento in cui si genera, si accumula inesorabilmente con conseguenze molto negative. La saturazione di aggressività provoca una "esplosione" oppure una "implosione". L'individuo aggredisce oltre misura oppure si ritira neU' assenza di comunicazione. In ambedue i casi subisce la paura della troppa aggressività accumulata, che non è più in grado (e spesso ne è ben consapevole), di esprimerla, senza danneggiare se stesso o gli altri. Perché in questi casi all'accumulo si aggiunge un intenso affetto, negativo e reattivo alla paura, come l'ira, e pertanto la reazione aggressiva sfugge al controllo da parte di intelligenza e volontà. Se nei contatti con la sfera sociale più allargata (lavorativa, ricreativa) sono soprattutto gli infiniti aspetti rituali dei comportamenti relazionali, legati all'espressione della recìproca importanza o potere, che impegnano ad una adeguata risposta (né eccessiva, o violenta, né autocentrante), è la vita intima nelle quale si giocano i più profondi bisogni, le paure e le aspettative più segrete, lo scenario dove più è necessaria la capacità di elaborare, modulare ed esprimere armoniosamente l'aggressività. Impedimenti all'espressione corretta dell' aggressività sembrano originate nell'infanzia da imposizioni da parte dei genitori: "devi essere bravo", o della società, rappresentata dai suoi "educatori", dai quali prende forma la propria struttura etico-morale, in permanente interazione (che può, ma non deve, diventare conflitto) con le esigenze dell'Io. L'eccessiva influenza di questa sovrastruttura (come avviene in particolare nella persona più sensibile), provoca un accumulo a lungo insopportabile, che porta, non solo nei casi patologici, a reazioni eccessive. La reazione indiretta può essere questa: distruggere la propria sovrastruttura (come avviene nel periodo della contestazione), causa di tanto dolore, disimpedendosi, oppure distruggere, reprimendoli, i propri impulsi, seppure parte sostanziale del proprio Io. La psicologia clìnìca osserva quell'espressione particolarmente estrema dell'aggressività che diventa danneggia-mento di se stesso o di altri, materiale o psichico. Esiste un esempio classico che risale al 1780, col quale introduciamo le riflessioni che seguono: "Quando il piccolo Gustavo cadde ed urtò, prese ad urlare sino ad allarmare tutta la casa. I suoi genitori allora gli chiesero cosa aveva urtato. Presero una frusta, e picchiarono la cosa, indicata come colpevole. Gustavo si abituò a questo cerimoniale e prese ad aggredire quanto in- contrava sulla propria via. Poiché l'essere più frequentemente nelle vicinanze era la bambinaia, la sua ira si rivolse verso questa. Così iniziò a strillare, a mordere e a tirare calci... " È facile comprendere che l'argomento della precedente descrizione è l'aggressività, e che essa non è un problema della sola società attuale. Nell'esempio citato possiamo vedere come "le offese" non vengono elaborate, chiarite, ma vengono risolte trovando un canale improprio per scaricare il dolore dovuto ad una presunta aggressione. Quello che il "piccolo Gustavo" viene indotto a fare dai genitori, lo ripeterà poi da adulto disinibito, in modo violento. Comprendiamo meglio se vediamo, osserviamo una situazione somatica. Riportava un paziente: "Quando qualcuno mi pesta un piede e mi fa male, posso reagire in diversi modi. Il modo corretto sarebbe quello di avvertire l'altro e ottenere rimedio, anche informa di scuse. Il modo violento è ripagare il danno subito, pestando quel piede a mia volta. Il modo autolesionista è di sopportare il dolore, come avviene in alcuni casi. Farei questo se la persona fosse il datore di lavoro o mio padre autorevole col rischio però di venire trattato in questo modo più volte. Solo allora forse potrei arrivare ad una reazione che a quel punto potrebbe essere violenta. Potrei sparare? Certo non posso negare di aver provato in questi casi il desiderio di farlo". Esaminiamo ora tre casi paradigmatici, tre modelli estremi. Nel primo possiamo rilevare la completa distruzione della struttura morale, il super Ego. Nel secondo la distru- zione appare parziale. Nel terzo hanno sopravvento autoimposizioni ed inibizioni. Allora l'aggressività si rivolge verso se stesso. In tutti i casi appare riconoscibile la paura: nessun aggressivo reattivo è un eroe, in fondo ha (tanta) paura, alla quale cerca di sfuggire, provocandosi uno "sballo" da adrenalina. Tutti tre i casi sì presentano come malattia psichica in fase acuta. L'aggressività nella forma disinibita Lo skinhead, che ha un fisico da atleta, da lottatore, che è forte e privo di malattie, per scaricare la propria aggressività deve bruciare una macchina o pestare un altro essere umano. Per quanto in buona salute sia, il giovanotto in questione non si può certo dire che stia bene. Se fosse felice e sereno, se disponesse di una situazione affettiva buona, che bisogno avrebbe di compiere questi atti di violenza? In questi atti non si esprime forse il suo disagio morale, la sua sofferenza psichica? Il comportamento è quello di un malato, anche se non in senso fisico. Ciò ovviamente non rende giustificabili le sue azioni che rimangono contrarie alle leggi, alla moralità. L'aggressività nella forma parzialmente disinibita Lo stesso meccanismo psichico si riscontra nel teppista, in cui però si esprime con meno violenza, quando distrugge il telefono pubblico, quando graffia una macchina, quando rovescia le panchine di un parco pubblico. In questo caso la struttura morale (il super Ego), che qui continua ad esistere, è sufficiente per impedire la spinta alla follia distruttiva totale, che non si ferma neanche di fronte ad un altro essere umano, ed egli si limita alle cose inanimate. L'aggressività nella forma completamente inibita, quindi introvertita Lo stesso meccanismo di canalizzazione impropria ha luogo anche nella persona che svolge queste azioni con la sua immaginazione, come accade nel tipo dell' aggressivo represso. Quando ai suoi pensieri viene concesso libero corso e sono lasciati affiorare senza censura, chi fra questi non si immagina "guerriero della notte"? Chi non fantastica di uscire, di agire come di giorno non può, perché frenato dai propri impedimenti interni, dai valori assunti che determinano la sua forma estremamente convenzionale di comportamento. Analizziamo cosa avviene nell'aggressivo represso, che è il tipo più frequente. Anche qui c'è l'incapacità di gestire in un modo sano il proprio bisogno di esprimere, scaricare l'aggressività. Egli, reprimendosi sempre ne provoca l'accumulo. Non risponde ad un torto subito, in forma civile, immediata e decisa alle offese (come sarebbe giusto): quando subisce un sorpasso a destra, quando una commessa è maleducata, quando qualcuno non risponde al saluto, quando un superiore gli fa un torto. I danni provocati dalla gestione errata dell'aggressività L'igiene psichica suggerisce un fatto semplice ma fondamentale e non così scontato da attuare: l'aggressività deve essere scaricata; se ciò non avviene, come sarebbe giusto, con flusso continuo verso l'esterno, da dove viene stimolata, essa si rivolge verso il proprio Io, con danni psichici spesso enormi. È il caso di coloro che non avendo reagito, si danno interiormente degli stupidi, ma non curano il proprio errore comportamentale, sino al disprezzo di sé e all'ammalarsi di aggressività repressa. Ne sa qualcosa il fegato di tutti coloro che mandano giù più "bile" di quanto dovrebbero. Ricordiamoci che la gestione equilibrata dell'aggressività può essere, quando ancora non c'è l'accumulo, quasi un piacevole gioco: tu mi aggredisci, io rispondo, io ti aggredisco tu mi rispondi. E dopo seguiranno amicizia e rispetto. Tutti pratichiamo questo gioco quando ci "stuzzichiamo" e tutti l'abbiamo praticato da bambini anche quando giocavamo alla guerra. Il gioco diventa terribilmente serio quando non reagiamo, ma ingoiamo sino alla patologia. II primo passo verso un necessario rimedio è quello di convincersi del proprio errore, della non funzionalità del proprio comportamento. Il secondo è quello di auto osser varsi nelle varie situazioni di rapporti interpersonali per capire quali di esse innescano queste reazioni inibite. Il terzo passo, il più impegnativo è decidere di cambiare costringendosi a reagire, sempre e comunque, immediata mente e con decisione ma senza tensione e cattiveria. Importante è capire che questo è possibile senza arrecare danni agli altri e a se stessi. Un esempio: Una mia cliente, che ha affrontato questa problematica, racconta: " ... una commessa mi consegna quanto ho comprato in una busta rotta (=offesa). Se reagisco (=decìsìone) chiedendo di cambiare la busta, semplicemente, è facile compensare l'offesa. Mi sento bene, sono soddisfatta dì me. Se non reagisco, uscita dal negozio mi dò della stupida, non solo, pregiudico il mio rapporto con il negozio e porto con me la problematica non risolta per chissà per quanto tempo. " La cosa più importante da comprendere per poter gestire ed esprimere la propria aggressività è questa. Purtroppo essa provoca spesso paura. Nella mente risuonano le terribili minacce subite da bambino: "Se non sei bravo (ossia: se non fai quello che voglio io, il genitore) non ti voglio più bene". Bisogna allora fare ogni volta uno sforzo cosciente per rendersi conto di questo profondo timore della propria "cattiveria" e decidere di reagire, fino a trovare la giusta misura. Si tratta di provare e riprovare senza paura o malgrado essa. È facile immaginare quanta aggressività deve aver represso colui che poi diventerà, dopo diciotto anni, il teppista. Quanto frequentemente lo abbiamo sentito definire: "un così bravo ragazzo, tanto gentile". Conclusioni Quanto bisogno di sfogare aggressività c'è in noi, attorno a noi? Esso è sempre proporzionale alle offese, quando nei rapporti social- culturali subiamo mancanza di ricono- scimento; quando nei rapporti professionali soffriamo a causa del nostro capo, che non ci concede gratificazioni; quando nei rapporti interpersonali intimi subiamo incomprensioni, e siamo aggrediti con le parole, o anche con mutismo (che è una sottile forma di aggressività). E facile riconoscere in questo stato di cose un circolo vizioso, una spirale in ascesa. Più veniamo offesi, più aggressività viene provocata e questa ci costringe ad offendere. Sino a quando possiamo permetterci di salire in questa spirale? Non è segnale d'allarme la diffusione dell'AIDS, dovuta certo anche al modo aggressivo di fare "l'amore"? Sembra che fare l'amore in modo comprensivo, rispettando le esigenze psicosomatiche del partner, non lacerando, non provocando ferite riduca di molto il pericolo di contagio. Dobbiamo considerarci parte di una società (siamo in troppi su questo mondo e perciò ci urtiamo in continuazione) sostanzialmente aggressiva, che sconfina persino nella stanza da letto, dove subiamo l'aggressività quando l'amore non è impostato alla comprensione, e violiamo o veniamo violati nelle nostre esigenze primarie. In particolare ne diventa vittima il corpo della donna, che per la sua natura ha bisogno di un tempo maggiore per predisporsi al contatto intimo nella forma della penetrazione. La vagina è nella giusta disposizione solo dopo adeguate carezze e segnala questo stato con un rilassamento dei relativi muscoli e con una giusta lubrificazione. L'uomo che non considera queste esigenze commette stupro. Il danno provocato sul proprio equilibrio psicosomatico è enorme, è sufficiente osservare quello causato dall'aggressività repressa sul fegato e sulle bile. È interessante considerare un dato statistico: i disturbi al fegato coinvolgono in maggior parte la donna, che per amore della "pace in famiglia" deve reprimere l'aggressività bloccando il flusso di "bile", e creando così il presupposto per la formazione di calcoli. I danni maggiori però li possiamo costatare nel naufragio della vita famigliare, che coinvolge partner e figli, dove l'aggressività si presenta nelle sue forme più sottili, ma certo non meno spiacevoli. Se la lite, la discussione accesa ha origine da un accumulo, esistono e vengono praticate mille forme raffinate per fare male all'altro, dal mutismo all'aggressione materiale. Chi riesce a vivere bene con una persona con questa ferita interna? Per coloro nei quali l'aggressività si presenta in forme più o meno evidenti è necessario ricercare rimedio, per evitare le conseguenze patologiche. Le possibilità di diagnosticare e curare l'aggressività La domanda si impone. Esiste la possibilità di una diagnosi e di una adeguata cura? Per quanto riguarda la diagnosi abbiamo tentato di spiegare i meccanismi, di chiarire i principali aspetti. Chi "soffre di fegato", chi subisce l'atmosfera dell'ufficio, chi vede i rapporti famigliari deteriorarsi, ne prenda atto e agisca. Le possibilità di cura per chi si decidesse di ricorrervi, sono molte, sia sul piano fisico che su quello psichico. Per poter apprendere la giusta azione psicologica (evitare l'accumulo attraverso un delle forze contrastanti dentro di sé: impulsi contro impedimenti, esigenze dell'Io impulsivo contro esigenze dell'Io etico-morale; liberare in questo modo i canali di espressione ostruiti) o per trovare la via somatica che può consistere ad esempio nella pratica di uno sport adeguato. Perciò si tratta di fare una scelta intelligente. Si può osservare che i giocatori di rugby, che possono scaricare direttamente l'aggressività agonistica durante la partita, quando escono sono solitamente rilassati ed amichevoli con gli avversari. I calciatori invece che "combattono" non potendo affrontarsi che in modo indiretto sul pallone e sono controllati dall'occhio dell'arbitro, che prende le veci della struttura etico morale, spesso escono dal campo estremamente nervosi. Pratiche blande sono lo jogging e tutte le forme di ginnastica, senza dover arrivare a livelli da agonismo, la scalata di una montagna, senza dover conquistare l'Everest. Concludo: l'opposto di aggressività è amore. Chi non impara quest'arte non si lamenti di questo mondo invivibile per l'inquinamento dell'atmosfera psichica con l'aggressività. 1.12 L'influenza della società nel proporre modelli ideali La società propone modelli "ideali" di comportamento che possono risultare assai nocivi alla salute dell'individuo singolo. Quanti sono i casi di persone coti un comportamento apparentemente normale (come lo definisce il linguaggio quotidiano), perché agiscono secondo i canoni della società che, strumentalmente, considera giusto quanto le è utile, e non bada alle esigenze dell'individuo singolo, compro- mettendo la salute psicosomatica? Tanti, comunque troppi. Sappiamo che la società, per la sopravvivenza dell'insieme, non può considerare le esigenze del singolo, come diventa evidente nel caso di guerra. Alcuni devono morire. Ma per quello che ci concerne, se molti sono costretti a soffrire per la sopravvivenza della società e questo è necessario e inevitabile, ciò non dovrebbe impedirci di prendere le giuste precauzioni, di rispondere all'egoismo della società con la giusta dose di egoismo individuale. Da questo punto di vista esaminiamo ora la struttura psichica delle due figure molto apprezzate e molto ben integrate, di accaniti quanto eccellenti peccatori nei confronti della propria salute psicosomatica, la figura del manager, e al polo opposto, la casalinga, che pagano il proprio impegno, e sono disposti a farlo, con l'alto prezzo della malattia psicosomatica Voglio sottolineare che non considero costoro come "categorie" in senso sociologico, ma come modelli di comportamenti ideali che tutti ci possiamo trovare a seguire quasi inconsapevolmente. Quanto di questi valori è in ognuno di noi? In questi esempi ognuno di noi può riconoscersi in misura minore o maggiore. Nella descrizione che segue elenchiamo numerosi singoli tratti per offrire la possibilità di riscontrare la presenza di almeno alcuni di essi in noi. Sappiamo di toccare un tabù, di essere irriverenti nei confronti di valori posti molto in alto dalla società attuale. Difficilmente li ritroviamo tutti in un singolo individuo, ma lo scopo è di offrire la possibilità di una autovalutazione. 1.13 n modello del "manager" Fig. 12 Situazione tipica nella vita del "manager" II manager conquista tutti i valori riconosciuti. Ha la macchina lussuosa, la casa dove e come la può desiderare, non si limita nel vestirsi, può viaggiare a piacimento, può estendere la propria ricchezza alla partner, ai figli; non ha limiti economici, può tutto. I soldi lo rendono, almeno apparentemente, libero. Tutti lo ammirano e lo invidiano e da questo nasce la sua maggior soddisfazione e anche quella della moglie, forse un po' meno quella dei figli. Da un punto di vista psichico ha eccellenti qualità intellettuali, è di intelligenza brillante, che impegna come capacità di analizzare e di trovare la soluzione perfetta ai problemi dell'azienda, per la quale lavora. La mente è in iperattività, molto allenata e così riesce a sopportare sforzi assai grandi. Per rendersi efficiente rende il proprio pensiero chiaro, freddo, oggettivo: tagliente come un bisturi. Sentimentalismi, ideali e in molti casi persino la moralità sono considerati fattori di disturbo, e vengono eliminati senza scrupoli. L'impegno è totale, il proprio potenziale viene sfruttato sino al limite. A ciò corrisponde una ben precisa situazione ormonale. Abuso di adrenalina (tensione), diminuzione di endorfine (blocco dei sentimenti) e riduzione di testosterone/estrogeno (blocco della spinta a contatti interpersonali intimi); allo stesso rapporto sessuale non vengono concesse le "superflue" implicazioni della sfera emotiva, affettiva, col risultato di renderlo spesso insufficiente, e di inibire il vero, reciproco orgasmo psicofisico. Chi ci seguirà nelle prossime esposizioni costaterà che questo è un caso esemplare dell'agire contro ogni forma di igiene psichica. Assai poco dell'intelligenza del manager viene posto al servizio dell'Io; i problemi individuali vengono repressi; il dialogo personale è inesistente, i rapporti interpersonali intimi sono tali da compromettere il rapporto famigliare, la tensione (lo "stress") è costante (non viene osservato il ritmo tensione-distensione, giorno- notte). Se tutto ciò non è la malattia, ne è la premessa. Quanto può un essere umano resistere a questa situazione? Dipende da fattori complessi. Il corpo può essere mantenuto sano attraverso l'igiene fisica, alla quale il manager dedica ogni attenzione. Sbagliandosi, perché non sarebbe il corpo da curare, ma la psiche. L'eccessiva attenzione alla propria forma fisica, al fitness, non è altro che un segnale della generale strumentalizzazione del corpo, ricercata nell'illusione di risolvere i segni di allarme provenienti dal soma. Le somatizzazioni (utili avvertimenti, ma solo per chi ha un rapporto di sensibilità nei confronti del corpo) accadono prima negli elementi costituzionalmente più deboli e sensibili, risparmiano i più forti. Le somatizzazioni più evidenti sono: insoddisfazione, insonnia, riduzione della vitalità sono sintomi presto riscontrabili. Ma ciò che dovrebbe essere considerato un segnale d'allarme viene trascurato o affrontato con mezzi impro-pri. 1.14 II modello ideale della "casalinga" Nel corso dei nostri test (1: "Conoscersi meglio per vivere meglio", gennaio 1987, partecipano 3.600 persone; 2:"12 spicchi della personalità, esame dei propri punti deboli e dì quelli fortt, dicembre 1988, partecipano 3.400 persone; 3: "Esame della propria predisposizione alle principali malattie psicosomatiche", ottobre 1990, partecipano 1.500 persone; su "II giornale della salute, SALVE", Rizzoli Periodici ) molte persone mi hanno esposto in forma di lettera personale la propria situazione psicosomatica, ottenendo, come risposta altrettanto personale un esame individuale del loro stato. Sorprendente per noi, allora, fu il fatto che la maggior percentuale di persone in cerca di aiuto erano le casalinghe attorno ai quarantacinque anni, nella maggior parte dei casi di intelligenza superiore, come era facile rilevare dalla scrittura, ma anche dal contenuto delle lettere. Fìg. 14 Situazione nella vita della "casalinga": qui rappresenta un tìpico modello comportamento "nevrotico", purtroppo frequente nella nostra società Così come avviene per il "manager", anche il modello "casalinga" viene caldeggiato dalla società, della quale essa è una pedina importante in particolare per quanto riguarda il suo aspetto di madre. Eppure, se non è realizzato con opportune modifiche in risposta alle esigenze personali, è un modello di vita che può portare ad una situazione psichica disturbata, all'ansia, ad una forma di violenta disperazione esistenziale e alle conseguenti somatizzazioni. La casalinga mette tutta se stessa al servizio della famiglia, trascurando le proprie esigenze. Primo a soffrirne è il rapporto interpersonale intimo con il partner. Quando nascono i figli l'attenzione viene rivolta a loro con un investimento affettivo spesso eccessivo. Per il dialogo e per il rapporto affettivo ed erotico- sessuale con il partner non c'è più spazio. Così l'amore muore. La casalinga, oberata dal lavoro manuale, dimentica di usare e di coltivare la propria intelligenza. Non si concede di leggere o seguire un hobby (magari con un possibile sbocco professionale, quando il suo compito primario, come è prevedibile, svanirà) "per la mancanza di tempo", fino a che l'ansia è divorante e ciò non è più possibile per incapacità di con-centr azione. Una tipica somatìzzazione è la mania di pulizia e di ordine. Chi non la applica sul piano psichico, dentro di sé, subisce la coazione a cercarla intorno a sé. Spolverare diventa un'azione ossessiva che può giungere fino all'uso assurdo di alcool denaturato nella pulizia, con il risultato di rendere la casa iperigienica, ma poco intima, impossibile da abitare in relax. L'abitudine al non uso dell'intelligenza per risolvere le problematiche porta alla convinzione della propria incapacità, di risolvere qualsiasi problema e non riuscire a realizzare nulla. Il percorso di pensiero non viene guidato ma subito, e la mente è quindi come aggredita, invasa dall'eterno disordinato riproporsi di situazioni dolorose. Così cresce l'ansia, fino alla forma intensa, dolorosa, nevrotica (pianti nascosti, notti insonni, mai un attimo di tranquillità, assoluta incapacità di godere). Una forma infruttuosa di iperattività del pensiero subconscio (avvertito come fastidioso, continuo lavorio nella testa) fa sprecare enormi quantità di energia, molto maggiore di quella impiegata effettivamente per il proprio "mestiere" che ora diviene inevitabilmente sorgente di stanchezza psicofisica, avvertita come stato depressivo, e a gravi frustrazioni. L'epilogo dell'applicazione enata di un modello unilaterale proposto dalla società non è di rado questo: a qua-rant'anni la casalinga si ritrova con rapporti interpersonali intimi spesso disastrasi o del tutto assenti. L'amore è morto. Le conseguenze possono essere: rapporti erotico-ses- suali precari sino all'anorgasmia totale o parziale, con una corrispondente situazione ormonale: ossia insufficienza di estrogeno, spesso annunciata da disturbi ("perdite", cisti che possono portare alla necessità di un intervento chirurgico, la non abbastanza temuta isterectomia) che si manifestano nella zona genitale "trascurata". Un punto di partenza già doloroso per affrontare poi l'inevitabile menopausa che può amplificare questo stato di cose, sino ad arrivare alla psicosi. I figli se ne vanno "sbattendo la porta", perché la madre è diventata noiosa,, rifiutando, per agevolare il loro necessario distacco, l'affetto profuso. La casalinga si trova sola ed è, apparentemente, inutile, fino a quando, anni dopo, gli stessi figli rientreranno dalla finestra quando avranno bisogno della "nonna" per la cura dei nipoti. Possiamo notare un aspetto comune nei due casi estremi opposti che abbiamo esaminato. Valori appresi attraverso i modelli inculcati dalla società, si impongono a scapito dei propri impulsi, che, ascoltati, indicherebbero una forma individuale di autorealizzazione. La conclusione è che sia il manager, sia la casalinga non considerano sufficientemente le esigenze dell'Io sul piano psichico e su quello somatico. Il corpo perdona a lungo, ma alla fine presenta il conto. L'insoddisfazione è un primo segnale d'allarme, il primo gradino della lunga scala delle possibili somatizzazioni, ossìa la via verso la malattia con prevalente componente psichica. 2. Definizione di salute psichica 2.1 Verso la definizione del concetto Una definizione tuttora, parzialmente, valida, risalente alla fine del secolo scorso è quella di Sigmund Freud, il padre della psicanalisi. Per lui la persona psichicamente sana è quella che riesce ad amare e lavorare in modo vitale, realizzando cioè i propri impulsi, non subisce l'azione di problematiche irrisolte e quindi agisce senza disturbi della necessaria concentrazione, il che equivale alla capacità di godere, di rimanere attenti ali ' attimo fuggente e presentì a se stessi. L'educazione (etica, morale, sociale) non condiziona il suo agire attuale, il Superego (la sovrastruttura etico- morale, i valori imposti dall'educazione) ed l'Es (la propria struttura degli impulsi vitali) si integrano in modo armonioso. Domina, prevale l'Ego (l'intelligenza, e i sentimenti). Parzialmente valida, perché nei cento anni trascorsi, l'epicentro delle problematiche si è spostato. Oggi appare più facile gestire l'aspetto erotico-sessuale, al quale Freud si riferiva principalmente, limitandosi ad osservare la punta dell'iceberg delle enormi difficoltà in tutti gli aspetti dei rapporti interpersonali, compreso la comunicazione dell'affetto, dei sentimenti, di ciò che "opprime il cuore ". Gli asceti, come tutte le persone che volontariamente rinunciano ad amare nel senso freudiano, non possono essere considerate ammalati. Se sostituiamo il significato riduttivo di amare nel suo senso erotico- sessuale (come veniva intesa), con quello esteso di rapporti interpersonali intimi, intendendo la co- municazione intima operante attraverso le tre sfere, sempre e comunque in stretta interazione, di intelligenza (comprensione), di sentimenti ed affetti (carezze e coccole), ed infine di impulsi erotico-sessuali, non esiste più possibile obiezione a tale definizione di salute. Amore va comunque inteso, come suggerisce Erich Fromm, come conoscenza, senza la quale esso non può esistere, riprendendo così il concetto di Piatone in "// convivio" che "la più alta forma dell'amore è sapere, espresso nel dialogo". Fig. 15 Rapporto sessuale con contatto cutaneo delimitato alle zone genitali o totale, ossia con o senza comunicazione affettiva? Naturalmente l'importanza della sfera erotico- sessuale è ridotta in quei rapporti interpersonali intimi che si rivolgono verso le persone vicine: genitori-figli, fratelli-sorelle, amici nel senso puro della definizione, spesso non meno importanti dello stesso partner. A questo proposito fa riflettere il fatto che l'amico-confidente, o in molti casi il terapeuta, viene a sapere di più dello stesso partner. L'importanza di questo aspetto è, a dir poco, enorme (e avere riconosciuto questo, seppure parzialmente, rimane merito di Freud) per salute psichica, sia come mezzo diagnostico (dimmi come fai l1 amore e ti potrò dire come stai) sia per le possibilità terapeutìche. Vivificare i rapporti interper-sonali intimi in tutte tre le sfere vuole dire predisporsi per conquistare gran parte della salute psicosomatica. DEFINIZIONE DI "BENESSERE PSICOSOMATICO'1 L'uomo sano è: (1) soddisfatto dì sé ed è sulla via verso: l'equilibrio fra il proprio potenziale e quanto ha saputo realizzare di sé. All'equilibrio psichico fra pensieri, sentimenti, impulsi, corrisponde una situazione: (4) ormonale equilibrata, base di vitalità, di forza psicofisica, con conseguente buona situazione immunìtaria. È sereno: capace di godere il momento, ha buoni rapporti interpersonali social-culturali, professionali ed intimi; sa concentrarsi, perché: non subisce l'influenza di problemi causati da problematiche non risolte, ha un buon rapporto con il proprio corpo che (10) non subisce danni psicogeni e (21) sa usare la propria intelligenza come strumento per risolvere le sue problematiche. 2.2 Commento Ovviamente questa definizione si ispira a quella della O.M.S, almeno nella misura in cui ci indica una meta da raggiungere, e la via verso la salute psicosomatica. Dobbiamo subito considerare che non è importante raggiungere il traguardo, quanto migliorare il proprio stato. È il momento di introdurre il nostro concetto di piacere. Il vero piacere non è una condizione assoluta, lo avvertiamo sempre quando atteniamo un miglioramento, quando passiamo da una situazione peggiore ad una migliore. Se ho cento milioni di debiti e ne ricevo cinquanta provo piacere. Presto però mi adeguo, e i restanti cinquanta milioni di debito diventano un peso. Se riesco ad eliminare anche questo mi sento in paradiso; ma solo per un certo tempo, fino a quando questa situazione non è diventata la normalità. Allora desidero possedere cinquanta milioni, e, avuto quanto volevo mi sento nuovamente soddisfatto, fino a quando questa nuova situazione diventa la mia normalità: è un eterno impulso a migliorare la situazione precedente. È la natura stessa dell'uomo che lo spinge a migliorarsi, a non adattarsi mai, come è bene espresso nella figura di Faust che è pronto a cedere l'anima nel momento in cui Mefistofele riuscisse a proporre una situazione tanto soddisfacente da fargli dire attimo fermati, sei così bello. Abbiamo così evidenziato l'impulso fondamentale, quello dell'auto realizzazione che non si compie mai, ma è una spinta inesauribile verso una soluzione migliore. Senza di esso il nostro mondo non sarebbe nato e l'uomo attuale non esisterebbe. Possiamo introdurre anche un'altra figura illustre: Ulisse non fa altro che tentare di migliorare se stesso, di arrivare alla conoscenza; per questo affronta fatiche, pericoli, mostri, così come succede, in modo assai meno spettacolare ma non più modesto, a chi affronta se stesso e non fugge nella repressione né tenta scorciatoie verso il benessere, come le droghe. 3. TEST IL GRADO DELLA PROPRIA SALUTE PSICOSOMATICA 1: Lei è soddisfatto di sé? Per niente (12 3 p.) abbastanza (4 5 6 p.) quasi sempre (7 8 9 10 p.) 2: C'è equilibrio fra il suo potenziale e quanto di esso ha saputo realizzare? Per niente (12 3 p.) abbastanza (4 5 6 p.) sufficientemente (7 8 9 10 p.) 3: Le sfere di pensiero (intellettuale), dei sentimenti (sentimentale), degli impulsi (impulsiva) sono in armonica interazione fra loro? Per niente (12 3 p.) abbastanza (4 5 6 p.) intensamente (7 8 9 10 p.) 4: Una buona situazione immunitaria è conseguenza di un buona situazione ormonale. Da questa sembrano nascere anche valori psicosomatici importanti come; vitalità, forza psicofisica, stato giovanile. Lei avverte questi valori in sé? Poco (12 3 p.) "non mi lamento" (4567 p.) intensamente (8 9 10 p.) 5: Sedendosi su una panchina può osservare un bel tramonto. Sa godere questo momento?Raramente (12 3 p,) qualche volta (4567 p.) quasi sempre (8 9 10) 6: I suoi rapporti interpersonali comprendono tre singoli aspetti. Esaminandoli uno per uno, come si ritiene: in quello social-culturale? Inserito poco (12 3 p.) in misura media (4567 p.) molto (8 9 10 p.) in quello professionale? Inserito poco (12 3 p.) in misura media (4567 p.) molto (8 9 10 p.) in quello intimo? Insufficiente (12 3 p.) disponibile (4 5 6 p. ) buono (7 8 9 10 p.) 7: La sua capacità di concentrazione viene disturbata? Continuamente (12 3 p.) perio-dicamente (4567 p.) quasi mai (8 9 10 p.) 8: Se ognuno ha i propri problemi, i suoi disturbano: In continuazione (12 3 p.) a periodi (4567 p.) certe volte (8 9 10 p.) 9: Come definirebbe il rapporto con il proprio corpo? Distaccato (12 3 p.) abbastanza comprensivo (4567 p.) sensibile e comprensivo (8 9 10 p.) 10: Riscontra danni psicogeni, soffre somatizzazioni? Molte (12 3 p.) non troppe (4 5 6 7 p.) raramente (8 9 10 p.) 11: Quanto e come usa la propria intelligenza per risolvere i problemi suoi e di chi le è vicino? Poco, non ho tempo (12 3 p.) quando posso (4567 p.) con impegno (8 9 10 p.) 11 test si compone dì 11 domande: ad ognuna possiamo "rispondere" con un punteggio singolo, anche preciso. Ad esempio: alla domanda 1, se non siete "per niente" soddisfatti di voi stessi, sceglierete il punteggio da 1 a 3; se lo siete abbastanza sceglierete il punteggio da 4 a 6; se lo siete quasi sempre sceglierete da 7 a 10. Sommando i punteggi singoli raggiungerete il punteggio complessivo e otterrete una risposta adeguata a seconda di quale "fascia" apparterrete. 3.1 Considerazioni sul punteggio Evidentemente non è possibile stabilire valori precisi; la prima ragione è l'aspetto ciclico dell'umore: chi tende alla depressione, passando dalla fase maniacale (quella ottimista) a quella depressiva (quella pessimista) ne sa qualcosa. Eppoi in ognuno di noi, da un giorno all'altro, possono sorgere nuove problematiche endogene o esogene. Esistono "fulmini a ciel sereno", ma esiste anche il sole che spunta dopo un periodo di maltempo. Premesse queste considerazioni, per indurre ad una utile prudenza, possiamo fare di questo test uno strumento con indicazioni chiare, anche se non "permanenti". Sarebbe bene ripetere il test, verificare le variazioni della propria disposizione - per arrivare a validi valori medi. Per semplificare dividiamo il punteggio in tre fasce: Da 80 a 140 punti: Questo ìndica, se non risaie ad una valutazione errata di sé, una propria situazione invidiabile, non c'è che esserne lieto. Ma poiché la perfezione non è mai raggiungibile, approfondiamo. Consideriamo alto un punteggio dovuto solo a degli 8, migliore di quello dovuto ad una maggior parte di 10, con qualche insufficienza. In quest'ultimo caso esistono contrasti, punti oscuri. È sempre da considerare con attenzione e certezza un proprio punto debole, che vale qualche riflessione e può consigliare una o l'altra modifica comportamentale. L'osservazione degli aspetti singoli ha sempre una funzione diagnostica. Da 40 a SO punti: Nessun allarme, siamo entro ì limiti di sicurezza: anzi, questa persona sta forse meglio, in prospettiva futura, di quella con un punteggio più alto; come succede con le malattie somatiche, qualche acciacco spesso ci fa vivere più attentamente e quindi più a lungo. Molti pensano che è meglio un giorno da leone che mille da pecora. Altri il contrario: i saggi sono fra questi. Qui è molto più probabile che compaiano insufficienze in singoli aspetti. Elaborandoli si pud cambiare davvero molto la propria qualità di vita. Da 10 a 40 punti: Punteggio da considerare allarmante; si può vivere, e molti lo fanno, anche se non proprio bene; ma la prima cosa che deve fare riflettere è che non ci sono margini di sicurezza. Basta poco per precipitare. Colui che si trova in questa situazione dovrebbe agire nel seguente modo: considerare le insufficienze, esaminarle; fra esse ve ne è sicuramente una dove un miglioramento è possibile. Una situazione precaria come questa non si può davvero affrontare per intera; la via verso una migliore qualità di vita consiste nel cominciare ad affrontare quelli alla portata di mano. È certamente interessante avere un responso, ma l'utilità sta nelle possibilità di intervento. Se abbiamo dedicato del tempo per avere una indicazione, è certo molto più utile sfruttarla. Qui veniamo a confrontarci con un fatto importante: come comportarci verso una situazione complessa, quale potrebbe essere indicata da un punteggio molto basso? Non lo possiamo risolvere globalmente, ina se lo consideriamo punto per punto, possiamo trovare la possibilità di un miglioramento. Perché ogni problematica è risolvibile se non la affrontiamo per intera, ma la suddividiamo, e poi ci dedichiamo ai singoli aspetti, uno dopo l'altro. 4. Esame approfondito dei singoli aspetti Un approfondimento del test è senz'altro possibile e consiste nell'esaminare i singoli aspetti. Il test si compone di 11 parti, evidentemente senza pretesa di completezza, ma con la certezza che ognuna di esse è davvero importante. Possiamo considerare questi come gli aspetti determinanti - in linea generale - la salute psicosomatica. Allo stesso tempo è chiaro che possono esistere esigenze individuali, delle quali qui non era possibile tenere conto. 4.1 La soddisfazione II sentimento soddisfazione nasce, nella quasi totalità dei casi, da un impulso (interesse, stimolo, bisogno, spinta, necessità,... e altri modi in cui può essere percepito) appagato. Pertanto sono decisivi, per il tipo di soddisfazione, i tipi di impulsi appagati. Solo una persona con una struttura impulsiva "sana", cioè corrispondente alle esigenze esistenziali dell'Io potrà godere la vera soddisfazione Fattori che influiscono negativamente sulla soddisfazione sono le ambizioni, le mete eccessivamente grandi, le aspettative di vita errate. Chi eccede per eccesso o per difetto nelle aspettative non raggiungerà facilmente questo sentimento. Sentire il bisogno di soddisfare un impulso è il risultato di quel meccanismo che spìnge alla sopravvivenza dell'Io e della razza. Chi soddisfa fame, sete, bisogno di sonno, esigenze sessuali nel modo adeguato si sente meglio. Questo è il premio previsto dalla natura. \ parte questi impulsi "semplici", se ne generano di più amplessi: l'impulso ad avere (ricchezza, potere, case, au- tomobili, la moglie bella, un marito importante, ... ), gli impulsi ad essere (intelligenti, apprezzati, ammirati, forti, belli, ... ). La loro varietà è molteplice. In proporzione variano anche i tipi di soddisfazione, che può essere effimera, profonda o esistenziale. Esistono gli impulsi vitali e le motivazioni apprese: i valori fatti propri. Questi valori vengono generati e condizionati dalla propria filosofìa di vita, in ultima istanza. E questa può essere adeguata o meno, servire alla realizzazione del proprio Io, oppure alla realizzazione di un modello dell'Io appreso. Questa distinzione va fatta, perché un tipo effetto ha la soddisfazione di un impulso sano, un altro, la soddisfazione di un impulso improprio. In quest'ultimo caso la soddisfazione può essere molto effimera, superficiale, a volte praticamente inconsistente, e temporanea. Solo rendendo consapevole a noi stessi questo stato di cose possiamo tentare di ottenere la soddisfazione vera e utile nel senso della definizione che noi diamo della salute. Per la scienza psicosomatica l'insoddisfazione diffusa, l'impossibilità di provare momenti di contentezza, è da considerarsi come un campanello d'allarme, al quale deve essere posto rimedio in tempo. 4.2 L'equilibrio fra il proprio potenziale e la parte realizzata Ogni essere umano ha un proprio potenziale, che potremmo definire anche come la somma delle qualità teoriche. Ma nella sua evoluzione l'uomo - mai perfetto - realizza solo una parte di esse, a seconda degli scopi che si pone: quelle che sono necessarie per sopravvivere, oppure per vivere bene, oppure per essere soddisfatto, per potersi considerare una persona realizzata. L'impulso che spinge alla realizzazione delle proprie capacità potenziali si fa sentire con un io voglio, che può essere ascoltato oppure no. Chi non segue questa voce profonda dell'Io, la sentirà sempre meno intensamente, sino a non avvertirla più. A questo punto gli impulsi muoiono e il motore dell'Io cessa la propria spinta. Qui soprattutto dobbiamo render conto al nostro impulso all'autorealizzazione. È quello fondamentale, che origina da quella spinta che ha portato dall'atomo attraverso le molecole verso le cellule primitive, alla prima forma di vita, poi fino a quella vita complessa che ora vediamo nella sua più alta espressione: l'essere umano. Se possiamo considerare l'esistenza, almeno ipotetica, di tracce di intelligenza e di memoria, possiamo osservare che esiste un criterio di scelta nell'unione fra atomi per formare una data molecola e via di seguito. In questo caso è decisivo il criterio energetico e termodinamico. Comunque prevale sempre la scelta migliore, quella più positiva. È ancora ipotesi che questo stato di cose venga memorizzato dallo stesso atomo; nella struttura complessa dell'es-ere umano la situazione appare analoga, anche se enorme-nente più sofisticata, anche in lui c'è l'impulso determi- nante alla scelta migliore (concetto estremamente soggettivo, diverso da uomo a uomo, pertanto può essere corretto o errato): impulso base per la formazione della vita, impulso base che avvertiamo come spinta all'autorealizzazione. Non c'è dubbio che la tendenza che ha permesso l'evoluzione esiste ancora in noi, ci spinge e ci tormenta. Dobbiamo migliorarci se vogliamo essere soddisfatti. La spinta al progresso e all'evoluzione è spiegabile solo così. In pratica avviene questo: ognuno di noi nasce con un potenziale organico-funzionale molto simile per qualità e quantità. La differenza fra l'uomo con capacità minori e lo scienziato, o anche il recordman sportivo, si produce solo dalla nascita in poi. Bambini più stimolati, nutriti (con più amore), sensibilizzati crescono diversamente da altri che non hanno potuto avere tutto ciò. A questo punto dell'evoluzione individuale, raggiunta l'autonomia entra in gioco la propria intelligenza, che decìde il tipo di evoluzione. Possiamo allenarci nelle corse, nel nuoto, ma possiamo anche allenare le capacità di pensiero. In questo senso non esiste differenza fra organo e organo, muscolo o cervello che sia. Nella pratica abbiamo notato come persone dì una intelligenza minore non abbiano avuto difficoltà, a trent'anni, ad arrivare ad un rendimento intellettuale superiore. Una signora con il diploma di quinta elementare ha ottenuto, nel giro di 3 anni la maturità, e si è portata da un Q.I. (Quoziente di Intelligenza) assai basso ad uno elevato. Questo è un esempio di una persona che ha deciso di realizzare una formazione più ampia del proprio potenziale. Le persone con il potenziale non realizzato hanno la paura profonda di morire incompiute; nel periodo del bilancio esistenziale (meno & andropausa) è facile che entrino in uno stato dì disperazione e di panico, se i conti non tornano, se il proprio bilancio è in rosso. Una differenza in negativo rispetto al possibile provoca sentimenti di inferiorità. Almeno subconsciamente l'Io realizzato e quello potenziale si paragonano, si confrontano. . E comunque avvertibile in questo soggetto un senso di frustrazione. Affiora allora la domanda: ma cosa ho fatto di me? Spesso, arrivando ad una tarda contestazione delle proprie scelte, avviene come tipica reazione, un tuffo nell'ìperlavo-ro, che serve a dimenticare, oppure vari tentativi di attività sostitutiva intensa, oppure la più dura repressione delle domande e delle istanze vitali. Ma la spinta, l'impulso non soddisfatto contìnua a tormentare in modo conscio o subconscio. E questo incide negativamente sulla propria qualità di vita. La non realizzazione di se stesso deriva quasi sempre da una errata filosofia di vita appresa dalla società ed espressa in valori fatti propri e pertanto estranei, non adeguati alle esigenze dell'Io. Il processo del porsi mete comunque, spesso improprie, inizia presto. Non è di importanza trascurabile l'effetto futuro del "desiderio" infantile di diventare pilota, macchinista per poi ridurre man mano le proprie aspettative, ed accontentarsi infine di un impiego non gratificante se non per lo stipendio. Sul piano somatico, i 5.000 orgasmi necessari statisticamente alla autorealizzazione in questo settore (la normalità, secondo il "Rapporto Kinsey") e la relativa situazione ormonale possono essere un traguardo, per uomo e donna. Entro questa normalità ci sono però le variazioni individuali, che sono legittime se lon sono dovute a impedimenti come fattori endogeni o impo-;izioni come fattori esogeni, ma a scelte Ubere, conseguenza di mete esistenziali, sublimazioni, ecc. Naturalmente la cura non deve riguardare solamente i genitali, ma tutti gli organi, dal fegato al cervello, dal cuore ai reni, oltre alla muscolatura, l'ossatura e i rispettivi giunti; arrivare a cinquanta anni con il fegato consumato, la spina dorsale dolorante, può essere evitato, anche senza diventare per questo eccessivamente riguardosi nei confronti del soma. II corpo va utilizzato, sottoposto a sforzi, ma usato bene. Inseriamo una considerazione nata dall'esperienza pratica, risultato della nostra professione, che ci pone in contatti frequenti e numerosi con persone assai diverse fra loro. È sempre triste la situazione della donna in particolare (ma anche dell'uomo), che al momento del bilancio esistenziale si rende conto del proprio deficit e ne comprende le ripercussioni sul proprio fisico. In questo caso l'adagio non è mai troppo tardi non può venire applicato. Ostacoli alla autorealizzazione nascono da impedimenti, paure, mancanza di vitalità: spesso un circolo vizioso psicosomatico. La causa principale è la scarsa considerazione per i propri impulsi. Troppi e troppe cinquantenni hanno fatto molto di più quello che dovevano (valori imposti) di quello che volevano (impulsi). Chiude il circolo vizioso la scarsa capacità di sentire la spesso flebile voce dell'Io, sopraffatta e coperta da valori imposti, impulsi appresi. In questi casi la domanda "cosa vorresti (essere)?" non trova risposta se non in un tristissimo "non lo so". Influiscono negativamente l'insufficiente rapporto con i propri valori subconsci; e pertanto l'inadeguata conoscenza del proprio Io profondo e l'insufficiente accondiscendenza verso le sue spesso fondate esigenze. 4.3 Equilibrio fra pensiero, sentimenti ed impulsi Possiamo costatare nell'uomo la coesistenza di tre sfere in costante interazione. Si tratta della sfera del pensiero, (la testa, o il cervello, dove immaginiamo svolgersi tutti i processi intellettuali e i loro presupposti materiali), della sfera dei sentimenti (il cuore, o il plesso solare, dove avvertiamo i sentimenti, mentre in realtà anch'essi hanno la loro sede (di controllo) nel cervello e nella relativa attività di pensiero), e della sfera degli impulsi (le zone genitali, che determinano, attraverso le loro ghiandole ormonali in testicoli ed ovaie, la complessa forza degli impulsi, non solo quelli sessuali). L'uomo equilibrato intellettuale sentimentale impulsivo Si tratta di tre aspetti divisibili solo teoricamente, essi sono tutti integrati nell'essere umano, in indispensabile interazione. La prevalenza dell'una o dell'altra zona produce effetti negativi sulla salute psicosomatica e finisce per produrre un uomo unilaterale, incompleto come l'intellettuale, il sentimentale, l'impulsivo. Graficamente risulterebbe un quadro simile: Ca. 1300-650 A.C. => Stress, distress, stanchezza, fame dimi- nuiscono la quantità di sperma, secondo la Bibbia 327 A.C. -750 A.D. => L'epoca d'oro della medicina Ayur- Veda, con il suo testo più importante, la Susruta menziona i sette chakras, o centri di energia vitale, sistemati lungo Casse centrale del corpo. Il più importante si trova all'apice della testa e sembra in relazione con la ghiandola pineale. 130-200 A.D. Galeno di Pergamon descrive la ghiandola pineale (epifisi) come organo secretorio importante nel processo di pensiero. Galeno pensa che la ghiandola pituitaria (ipofisi) drena il "flemma" dal cervello alla nasofaringe. (Concetto rifiutato da Schneider a Wìttemberg nel 1660). 563 A.D. Eustachio descrive le ghiandole surrenali adrenals in: De glandulis quae renibus ìncumbunt edito da Lancisi nel 1714. 1637Cartesio considera il cervello come organo che integra le funzioni di corpo e mente. 1818 Gali & Vimont riferiscono come la castrazione unilaterale causa l'atrofia dell'emisfero cerebellare controlaterale. 1856 Brown-Sequard dimostra attraverso esperimenti su animali l'essenzialità delle ghiandole surrenali per sopravvivere. 1894 Oliver & Schaefer scoprono sostanze pressorie ("pressar sub stane e s") in "adrenal extracts". 1915 Dale pubblica Modificazioni nel soma nel caso dì dolo- re, fame, paura e ira. 1936 Selye introduce il concetto di "stress". 1951 J. Lhermìtte pubblica Le cerveau et la pensée indicando la regolamentazione della vita mentale attraverso gli ormoni. 1956 Conferenza alla Columbia University sul tema: "Ormo- ni, funzioni cerebrali e comportamento". 1963 S.M. Milcu, S. Pavel, C. Neascu costatano che la meiatonina svolge una azione antigonadotropica; i suoi livelli sono minori durante la ovulazione. La meiatonina influisce sulla disposizione e può causare disordine affettivo periodico, tristezza e depressione. 1971 Lezioni di Harris Dale sul tema "Umori e Ormoni" 1973 Solomon Snyder, Eric Simmons, Lars Terentus e i loro gruppi dimostrano che gli oppiati si legano ai recettori delle cellule, come loro bersaglio nel cervello. 1975 Bradbury, Smith e Snell isolano la betaendorfina e ne descrivono la struttura. Kosterlitz ritiene la scoperta delle encefaline una delle più importanti nella farmacologia britannica. Besser, Rees e il loro gruppo (Londra) & Wen (Hong Kong) dimostrano livelli aumentati di beta-endorfine nel liquido cerebro-spinale ("human CSF") dopo agopuntura come trattamento di dolori ricorrenti. L'evoluzione storica dell'endocrinologia cllnica Da: STORIA DELLA ENDOCRINOLOGIA CLINICA (Di V.C. Medvei, libro citato) 4.4 La situazione ormonale equilibrata Iniziamo queste riflessioni con un esempio: "Sette soggetti si sottopongono ad un esperimento per esaminare l'azione della ipofisi sa vari processi relativi alla sua attività. Viene introdotto naloxone per bloccare ì recettori..." In questo ambito ci interessa un risultato secondario; due delle sette persone esaminate, dichiarano di avere avuto una forma di erezione fastidiosa, quasi dolorosa, ossia l'ultima cosa che teoricamente doveva avvenire in queste circostanze, da questa situazione di blocco ormonale provocata artificialmente. Se estrogeno/testosterone sono alla base dell'attività erotico-sessuale è possibile che una loro massiccia presenza non faccia alcun effetto. Vari esempi dovuti alla nostra osservazione con i clienti, offrono questa visione: donne con gli organi genitali, in particolare le ovaie (che forniscono estrogeno/ testosterone), funzionanti, possono subire un blocco (psichico?), non essere quindi in grado di svolgere una equilibrata attività sessuale. Donne isterectomìzzate, cioè private delle ghiandole che producono questi ormoni, possono svolgere una attività sessuale normale. Del resto appare assodato il fatto che uomini, dopo la maturazione psicosomatica, possono svolgere i loro rapporti sessuali per un tempo indeterminato anche dopo l'asportazione dei testicoli. La conclusione logica appare semplice: per avere un' attività normale non è esclusivamente decisiva la presenza fisiologica di certe ghiandole ormonali e dei loro prodotti, ma lo è in misura maggiore la loro attivazione che è strettamente influenzata dalla propria situazione psìchica. Pertanto ci limitiamo ad esaminare gli effetti ipotizzabili, riscontrabili in base all'auto osservazione e alle osservazioni pratiche ottenute da persone sottoposte ad un trattamento specifico (induzione endogena = intervento esogeno per provocare la produzione, oppure per arrivare allo sblocco di alcuni ormoni). Gli ormoni, gli stessi neuromodulatori, sono più connessi e condizionati dalla "psiche" e subiscono di più le sue regole, che non le leggi o le causalità organiche. Gli ormoni determinano, così sembra, molti aspetti del proprio lavoro intellettuale, sentimentale, impulsivo. Pur considerando un'interazione generale, si può affermare che la sostanza neuromodulatrice adrenalina agisce soprattutto sui processi di pensiero, mentre le endorfine su quelli dei sentimenti, il testosterone/estrogeno su quelli degli impulsi. Possiamo avvertire con chiarezza uso ed abuso di adrenalina (tensione), possiamo sentire l'effetto della presenza o meno delle endorfine (piacere, assenza di dolore), possiamo costatare l'effetto di testosterone/estrogeno (vitalità, intensità degli impulsi). Fattore decisivo per la presenza degli ormoni sono gli enzimi: essi possono, valga questo dato, trasformare, eliminare non solo le endorfine, ma tutti gli ormoni, e quindi pilotare gran parte dei processi psicosomatici. Sifone la domanda: chi guida l'azione degli enzimi? Attualmente si pensa che siano le necessità di sopravvivenza. Non credo che sia così. Postulo l'intervento della psiche, in quanto somma dell'interazione equilibrata fra le tre sfere psicosomatiche: INTELLETTO, SENTIMENTI, IMPULSI. Solo una loro disarmonìa induce lo squilibrio ormonale. La disarmonia psichica si può ben notare nel tipo intellettuale (prevalenza della sfera del pensiero), nella persona sentimentale (prevalenza della sfera di sentimenti ed affetti), in quella impulsiva (prevalenza della sfera degli impulsi): evidentemente in ognuno esiste una situazione ormonale indotta dalla propria inclinazione. 4.5 Godere il momento, carpe diem Consideriamo "godere il momento" tanto come una capacità quanto come un potenziale sintomo. In sostanza sa godere il momento, chi riesce a rivolgere tutto il proprio potenziale di pensieri, sensi e percezioni verso una data situazione reale o immaginaria, un tramonto per esempio (come avvenimento esogeno), ma anche solo un intenso ricordo (come avvenimento endogeno). Godiamo un momento quando ci sembra di venire ipnotizzati da esso, quando spalanchiamo la finestra e lasciamo fluire la natura in noi, senza che siano in atto pensieri, sentimenti, impulsi distraenti, in modo conscio o subconscio. In questo momento di intenso godimento, tutto il nostro potenziale appare concentrato sui sensi, sulle percezioni e sulla necessaria immediata elaborazione di queste. Ciò è avvertito come estremamente piacevole. Solo l'uomo sano è capace di questo, quello disturbato non lo è, e vive in quell'autentico inferno che deriva dall'incapacità di godere il momento (per l'eterna, involontaria presenza delle problematiche: due casi esemplari sono il depresso, ma anche colui che subisce un momentaneo stato depressivo, e l'ansioso). Godere il momento è dunque null'altro che essere momentaneamente liberi dal peso delle problematiche, che in questi istanti di relax che ci dobbiamo concedere ritmicamente, non dovrebbero disturbarci, perché le percezioni sono diventate più intense, e dovrebbero raggiungere la mente per una elaborazione indisturbata, eliminando ogni attività di pensiero estranea. La persona nevrotica non ha la capacità di godere in questo modo, perché in lei l'attività coatta di pensiero non permette un uso esclusivo dei sensi, e neppure delle percezioni endogene piacevoli (come avviene, quando immaginiamo una cosa bella, o quando ci lasciamo andare ad intensi ricordi). Va detto che anche il dispiacere (un sentimento) può essere vissuto intensamente, quindi in un certo senso goduto. Non è bello solo assistere ad un roseo tramonto, ma anche ad un pauroso temporale. 4.6 I rapporti interpersonali Essi sono indispensabili in quanto l'uomo da solo non può sopravvivere, crescere, evolversi né materialmente, né psichicamente. Questa necessità viene avvertita e memorizzata sin dopo la nascita, quando l'essere umano esce dal modo di convivenza psicofisica simbiotica, goduta durante la gestazione. Per sua natura l'uomo non nasce autosufficiente, non essendo capace di svolgere neanche le funzioni elementari: va nutrito, pulito, curato. Anche per l'aspetto psichico esiste questa esigenza. Il bambino ha bisogno di coccole, di contatti cutanei, ha bisogno di venire stimolato perché possa sviluppare le capacità principali per un rapporto con gli altri, ossia senso tattile, udito, vista, premesse al funzionamento delle stesse capacità intellettuali. // bambino stimolato in questo senso risulterà, poi, più intelligente. Le immagini sonore e visive non si realizzano nella mente senza dovuti esercizi, ai quali tutti i sensi devono collabo- rare. In altro luogo vedremo quanto questo tipo di insegnamento sia importante sul piano psichico. Costateremo come ognuno di noi vede, sente, ascolta in funzione di come ha appreso, fino a considerare come mondo reale e oggettivo la propria costruzione soggettiva. Nessuna percezione, immagine potrà mai essere "oggetti-va", ognuna avrà la sua colorazione individuale. L'idea "casa" ha un significato in un bambino che ha potuto associare casa- felicità (genitori sereni), ed un altro nel bambino per cui l'associazione potrebbe essere casa- tensione (genitori tesi). Le associazioni più importanti sono quelle avvertite nei confronti di un altro essere umano, che può essere associa- to con sentimenti come amore, piacere, sicurezza, affidabilità ma anche con sentimenti, come paura, rifiuto del proprio Io, insicurezza. Il primo, seppure primitivo, software che si forma nella mente del bambino viene inciso profondamente nella memoria, ed è decisivo (come vedremo in un capitolo, di un altro volume, che tratta le "Strutture caratteriali base"), e non può più venire totalmente cambiato nel corso della vita, ma solo modificato, al prezzo di molto lavoro, psicoterapia compresa. In questo ambito ci interessa l'esistenza di una forma originaria in ciascuno, del rapporto interpersonale, della quale dovremo tenere conto per potere, malgrado questa influenza primitiva, imparare a stabilire rapporti interperso-nali necessari nella forma migliore ottenìbile. Da questa promessa consegue che la forma adeguata di rapporto interpersonale deve essere imparata, coltivata, corretta al di sopra e nonostante il software primitivo. E questo è possibile almeno sul piano comportamentale. L'uomo incontra quotidianamente tanti altri esseri umani, sta a luì a stabilire il tipo di rapporto, esiste una possibilità di scelta. Il successo nella vita attuale dipende da questa abilità, da questa arte della comunicazione da applicare nei tre campi (sociale, professionale, intimo) nei quali l'Io viene inserito, e nei quali realizza le proprie capacità. Essere capaci di avere buoni rapporti Ìnterpersonali può rendere più ricco di una cospicua eredità materiale. Rapporti interpersonali social- culturali L'uomo intelligente non può fare a meno, pena frustrazioni e sensi di inferiorità, di confrontarsi con ciò che considera "cultura" e che determina il suo tipo di inserimento nella società. Il tipo di rapporto con la sfera "cultura" dipende dalle proprie ambizioni, da quanto si sente spinto a partecipare, a realizzarsi in questo settore. Lo può fare in modo passivo, assistendo a dibattiti, leggendo, studiando, ma più spesso sente il bisogno di comunicare quanto ha compreso e allora deve fare valere il proprio punto di vista. Chiede la parola, e ottiene o meno stima e considerazione. Lo può fare in modo improprio, se dispone di mezzi economici coi quali si procura una apparenza di raffinatezza, attraverso un abito di Dior, o con un orologio di marca o mostrandosi nelle giuste occasioni, alla prima di un'opera al Broadway (ma se non riesce a godere lo spettacolo ricaverà frustrazioni). Lo può fare realmente se sa dimostrare di essere, e non solo di avere. Le difficoltà di questo inserimento sono inferiori a quanto certi timori ci fanno pensare. Esistono per ognuno diverse possibilità. Possiamo essere membri attivi o passivi del tennis club, del circolo degli scacchi, della squadra sportiva, di un club di lettura, di cinema, dell'associazione delle casalinghe dove si potrà parlare di cucina, ma anche di pedagogia. Le possibilità sono infinite e le possibili soddisfazioni da ricavare altrettanto. L'ostacolo principale rimane l'insufficiente predisposizione ad una comunicazione disimpedita, non intralciata dalla paura. Qui è determinante il proprio rapporto con l'aggressività (che può spingere all'offesa, ma può volgersi in timidezza). Nella persona sana aggressività significa capacità di affrontare il prossimo, di formare un contatto spontaneo -secondo la forza dei propri impulsi e la collocazione individuale fra estro ed introversione. L'uomo vitale non ha difficoltà a procurarsi i contatti necessari. Quando la vitalità, che è anche spinta al contatto, manca, è però sicuramente possibile procurarsela. A questo scopo può essere utilizzata la propria intelligenza, che vuole essere applicata anche qui. Rapporti interpersonali professionali Se nei rapporti interpersonali cultural- sociali possiamo soddisfare quel nostro impulso che ci spinge a mostrare il nostro sapere, in quelli professionali si affaccia un aspetto più concreto: la gratificazione materiale, economica oltre a quella psichica. Da un punto di vista soggettivo io posso essere il miglior falegname, orefice, pittore, scrittore del mondo, ma lo divento realmente, solo se questa qualità mi viene riconosciuta. Che questo avvenga oppure no dipende dalla capacità di gestire i relativi rapporti interpersonali. Non basta solo possedere la conoscenza della propria arte. Siamo spinti a vederci confermato il sapere attraverso gli altri, che sono la misura oggettiva, della quale possiamo, ma non dovremmo fare a meno. Non ho ancora conosciuto l'uomo talmente forte che possa fare a meno di conferme. Quanto dolore prova il pittore più bravo del mondo, chiuso nel proprio atelier, se non viene apprezzato dal gallerista? Pure il nostro falegname deve attuare il suo marketing, se vuole ottenere l'adeguato successo. Altrimenti le frustrazioni diventano insoddisfazione, l'insuccesso porta alla malattia, che si affaccia prima di tutto nella forma di complessi di inferiorità. Anche in questo settore si dimostra importante dirigere la propria capacità di incontri, di contatti e di comunicare con gli altri in modo proprio. Rapporti interpersonali intimi II genere dei propri rapporti intimi determina aspetti molto importanti. Con essi in gioco non è solo la propria felicità, ma anche quella di chi ci è vicino, di colui con il quale abbiamo contatti continui, cioè il/la partner, i figli, fratelli e sorelle, genitori, ed anche quegli amici veri che alla fine della vita risultano essere assai pochi. Tutta la nostra ricchezza è qui. Se desideriamo possedere una grande ricchezza spesso dimentichiamo che un amico vale realmente molto di più. Questo si dimostra solo nei momenti difficili della vita, quando i valori effimeri svaniscono nel nulla. Tutti sappiamo che amare e essere amati è la felicità. L'ottenere questo dipende dalla nostra capacità di amare, l'arte troppo spesso dimenticata, se mai è stata appresa. Amare è comprendere, conoscere e quindi rispettare, essere amati significa venire compresi, riconosciuti e rispettati. Per comprendere l'altro abbiamo bisogno di saper usare il dialogo, per comprendere la psiche, le carezze affettive, che stimolano i sentimenti, e comprendono quella parte del corpo che vive gli affetti. Infine, le carezze erotiche, senza le quali nessun corpo si predispone per il tipo di incontro più intenso, che ci può portare al momento sublime dell'orgasmo psico-fisico, dove Io e Tu confluiscono, dove possiamo rivivere in estasi, per un attimo almeno, il paradiso perduto con la nascita, con il parto. Affrontiamo questo tema importante esaminando gli aspetti singoli. Rapporti interpersonali intimi svolti nella sfera del pensiero Parlando di transfer iniziamo questo gruppo di riflessioni apparentemente in modo improprio. Non è così. Perché qui viene discusso proprio il tipo di rapporto che si forma fra psicologo (colui che comprende, sa della psiche) e cliente, seppure in modo unilaterale, il/la cliente davanti al proprio interlocutore comprensivo, si apre del tutto, espone se stesso senza nascondere nulla e così ha luogo un parziale e gentile innamoramento. Prescindendo dal fatto che possiamo innamorarci di una "proiezione" dei desideri dell'Io nel Tu, è chiaro che noi amiamo veramente la persona che conosciamo, e la amiamo tanto di più quanto più sappiamo di essa, nel bene e nel male. Essenziale è il trovarsi a contatto con una persona nella sua completezza, in tutti i suoi aspetti, che quindi ci "appartiene". Se vengo a sapere che un cane è stato investito da una macchina, la cosa mi tocca; ma se scopro che quel cane era Wolf, che conoscevo bene, ne sono sconvolto. Amarsi è conoscersi, e conoscersi amarsi (se diamo a questa parola il senso giusto, umano, materno, paterno, fraterno, amichevole che sia). L'altro lo possiamo conoscere solo attraverso il dialogo: la comunicazione psiche a psiche avviene solo così, ascoltando e venendo ascoltati. Questo è lo scambio più profondo entro le possibilità umane. Quanta felicità può nascere da questo incontro lo sanno tutti coloro che sono stati innamorati veramente. Essere amati nel senso di essere compresi significa non essere più soli, e la condizione più triste dell'uomo è la solitudine. C'è da riflettere sulla frase "quando siamo stati innamorati". Non sarebbe più giusto considerare questa condizione "eterna", durevole, la cosa più importante da mantenere, da non perdere mai? Personalmente mi sento toccato profondamente, quando vedo due "vecchietti", nei quali l'amore è sopravvissuto al logorio del tempo, che si scambiano una carezza o parlano in modo intimo. Quanto pecchiamo in questo senso, quanto siamo incapaci di comunicare? Quanti partner sanno poco o nulla dell'altro, quanti si dedicano almeno quella mezz'ora al giorno "di divano", necessaria per mantenere il rapporto? Ogni cosa taciuta è come un masso che si pone fra le due persone. Se il partner sapesse dell'altro più dello psicologo il "transfer", l'innamoramento di chi ci conosce, non avrebbe ragione di esistere. E chiaro d'altra parte che anche la privacy è un valore indispensabile, che qualcosa di segreto ci deve pure essere, ed è anche affascinante che ci sia. La noia del sapere reciprocamente tutto, come può avvenire nell'amore simbiotico, è pericolosa. Non possiamo abbandonarci sempre del tutto come facciamo o dovremmo fare nel periodo più intenso dell'innamoramento. Gestire il proprio rapporto amoroso in questo equilibrio è l'arte che ci fa avere una relazione divertente o noiosa, piacevole o indifferente, stimolante o priva di stimoli, ecc. Rapporti interpersonali intimi svolti nella sfera di sentimenti e affetti Se abbiamo soffermato l'attenzione sul rapporto psiche -psiche, osserviamo ora quello corpo - corpo, considerando il corpo l'altro aspetto materiale della psiche. Parliamo del contatto cutaneo non erotico, della carezza diventata purtroppo quasi un tabù e concessa come forma di espressione, solo con riserva, nei momenti di estreme emozioni. Abbracciarsi, entrando in contatto corpo a corpo, viene considerato sconveniente! Siamo così deviati che in questa espressione profondamente umana, vediamo già l'anticamera del vittorianamente deprecabile sesso? Allora abbiamo paura di un diavolo che non c'è. È indicativo osservare un bacio convenzionale, fra due conoscenti. Ognuno sporge la testa, allontana il corpo, offre la guancia, appunta la bocca, e magari tiene le mani come contrappeso dietro la schiena, perché rischia dì perdere l'equilibrio. Ma è così sporco, in senso psichico, questo nostro corpo? Se sporcizia c'è, questa è nella mente. La mamma comunica i propri sentimenti al bambino coccolandolo, baciandolo, accarezzandolo senza confini anatomici, perché si sente spontanea, ed è ancora spontaneo il bambino. Quando la mamma affettiva bacia il figlio grande, stringendolo strettamente a sé con tanta amorevole forza, rischia di venire definita possessiva. I genitori non si accarezzano davanti ai figli perché temono di dare un cattivo esempio, quando questa espressione dell'amore potrebbe consolare, arricchire, dare sicurezza ai figli, anche a quelli grandi. Invece ai genitori pare concesso di non dominarsi, quando la tensione provoca uno scontro verbale, una lite, evento molto temuto e sofferto dai figli che costituisce un modello negativo ed influisce sul proprio comportamento futuro. L'essere umano ha immensamente bisogno di affetto, di esprimere i sentimenti, di sentirli espressi. I metodici tedeschi quantificano già le necessarie "unità di carezze", in 30 minuti quotidiani; si rifletta sul fatto che il contatto corporeo affettivo sembra permesso e consigliato anche fra religiosi. Il problema è sentirsi puri, esserlo dentro, togliere dalla nostra mente quel dannoso spettro del peccato o della prevaricazione affettiva: "Chi mi abbraccia mi vuole possedere" è l'assurdo concetto. Il problema delle carezze si propone anche nel rapporto fra partner. Non vediamo possibile un buon rapporto sessuale che non sia preceduto dalla sintonia delle psiche, attraverso il dialogo, e dalla sintonia sentimenti e dei corpi, attraverso carezze gentili e altre forme di contatti cutanei, visto che la pelle è il nostro più esteso organo di contatto. Crediamo che per molti valga dì più essere accarezzati, come espressione di affetto, che amati come espressione del desiderio sessuale. Rapporti interpersonali ìntimi erotico-sessuali Chi di noi ha avuto più esperienze sessuali sa che tutte sono diverse fra loro, anche se il partner è stato lo stesso; e sa anche che quelli previsti come brevi per necessità contingenti possono essere stati belli, quanto e più di quelli, dove era a disposizione tutto un predisposto contorno, dai fiori al bicchiere di champagne, a un apposito week-end. La ragione di questo fatto quasi assurdo è che la premessa per un piacevole rapporto sessuale è, e rimane, l'espressione dell'amore, come conoscenza reciproca, di psiche e corpo. Chi cerca di supplire questo bisogno psichico con la "tecnica" è sulla strada errata. Il miglior amante non è chi sa applicare ogni ars amatoria. Non otterrà mai una soddisfazione profonda, appagante. Casanova e Don Giovanni sono esempi classici di coloro, che sembrano sapere e comprendere tutto del corpo, ma non tengono conto della psiche. Premessa imprescindibile per il rapporto sessuale è la capacità di rinunciare alla presenza della coscienza. E' indicativo il processo fisiologico che avviene durante il rapporto sessuale: il sangue defluisce dalla testa, limitando la capacità di pensiero, e affluisce ai genitali, fatto indispensabile per ottenere l'erezione in lui e una irrorazione delle labbra della vagina in lei. Determinante per un buon rapporto sessuale è la capacità di rinunciare all'Io, lasciando che questo confluisca con il Tu, un reciproco concedersi più che un possedersi. In realtà non avviene mai che lui possa possedere lei, o viceversa; l'unione dei genitali cancella semplicemente le differenze anatomiche. Il resto è un'illusione maschilista, che può persistere in lui, qualche volta anche in lei. Certo, le esigenze fisiologiche devono essere rispettate reciprocamente, le inclinazioni (intese come modo individuale di concepire l'atto sessuale) vanno soddisfatte. L'agire in modo cosciente non deve però predominare, in particolare nel periodo antecedente l'orgasmo, dove per la coscienza non c'è più spazio. L'orgasmo è così intensamente piacevole perché per alcuni attimi almeno ci porta in quello stato di estasi che non possiamo provare in nessun altro momento della nostra vita! Eppure subire questa spinta vitale con urgenza e impazienza vuole dire rinunciare ai momenti più belli, dal punto di vista esistenziale, la profonda comunicazione dell'Io con il Tu nell'unione dei corpi. Spesso dovremmo resistere all'impulso che ci spinge subito verso il momento più intenso e godere il momento antecedente. Esistono forme di anorgasmia femminile dovuti alla paura che con l'orgasmo tutto finisca. Anche se la natura ci rende difficile permanere immobili, questo non è impossibile. La somma del piacere ottenuto ci ripaga di questo temporaneo rinvio del momento desiderato: aumentare il desiderio in una posizione di dolce attesa e intimità con l'altro ripaga. Certo, esiste e deve esistere anche il rapporto "divertente", con sensazioni nuove generate da posizioni nuove: questo non è qui in discussione. Se ne parla sin troppo. Da un punto di vista fisiologico il rapporto sessuale è importante per il benessere e per la salute psicosomatica (ci riferiamo anche ad una ricerca sulla causalità maggiore di neoplasie agli organi genitali ed al seno - in donne con frequenze anormali nei rapporti sessuali), che ne è un risultato indiretto, perché da questo dipende fortemente la propria situazione ormonale, per quanto riguarda testosterone ed estrogeno, principalmente, che hanno funzioni vitali anche al di fuori del rapporto sessuale. Abbiamo visto come questi ormoni decidono, influenzandola, di tutta la struttura impulsiva e di tutte le sue espressioni, nella sfera affettiva ed in quella del pensiero. Esiste un frequente circolo vizioso: fare l'amore induce a produrre i relativi ormoni; i relativi ormoni spingono ad ulteriori contatti. Questa è la spirale in ascesa, alla quale si contrappone quella in discesa. Fare l'amore male, come succede quando la psiche non partecipa, quando l'amore non c'è, "consuma" ormoni, ci libera del loro surplus, e ci possiamo sentire bene, ma anche vuoti. "Dopo", in modo caratteristico, non avvertiamo il bisogno delle carezze che sono stimoli indispensabili, non solo per lei. Il desiderio di un prossimo rapporto si allontana. Questa situazione induce ad evitare, rarefare ì contatti. Meno ormoni, meno spinta alla sessualità. E proprio questa può essere la spirale in discesa, al termine della quale si giunge a un numero di rapporti assolutamente insufficiente. La reazione più frequente di lei è l'anorgasmia, in lui l'isterico bisogno di evasione. 4.7 La concentrazione Le capacità intellettuali forniteci dal cervello sono indispensabili per svolgere il nostro lavoro. Esse possono essere guidate e impiegate come un organo attraverso la più alta qualità umana: l'intelligenza. Le gambe ci portano in una certa direzione, ma dove lo dobbiamo stabilire noi. Abbandonato a se stesso, il cervello reagisce con una confusa iperattività, senza scopi e quindi senza risultati, il che significa un enorme spreco di energia al quale corrispondono risultati non adeguati. Per concentrazione intendiamo la capacità di svolgere con tutti i mezzi del proprio intelletto un preciso lavoro, per un dato periodo di tempo. Dobbiamo essere concentrati mentre guidiamo, mentre veleggiamo, mentre studiarne mentre esaminiamo un bilancio e mentre riflettiamo su quale paio di scarpe comperare. Chi sa concentrarsi ha un buon rendimento, perché impegna la mente in modo specifico, e può osservare tutti gli aspetti inerenti un dato tema. Il pensiero è "largo ", considera tutto quanto può essere inerente: vengono contemporaneamente osservate esigenze/effetti del passato, presente, futuro. Un esempio chiarisce i concetti di "pensiero largo" al quale possiamo contrapporre il "pensiero stretto, lineare" (come avviene nel computer). Nel primo caso avviene quanto segue: comprando un paio di scarpe posso pensare a molti aspetti, al prezzo, alle possibilità di abbinamento con i vestiti, al tempo meteorologico, alla durata necessaria, all'opinione di chi per me è importante, all'effetto sui piedi; posso considerare l'estetica, l'utilità, la necessità. Nella seconda applicazione rinuncio alle troppe riflessioni e decido in base all'estetica o al numero di scarpa. Chi è concentrato guida e veleggia bene, proprio perché può usare il pensiero largo, prendere in considerazione il maggior numero di aspetti e chiude la casa, controlla il "resto" con attenzione, fa bene le mille piccole cose con le quali veniamo confrontati durante ogni giornata. Chi è "distratto" rischia l'incidente, dimentica di chiudere casa o di spegnere il gas, si accorge solo dopo che il biglietto non è timbrato, non riesce neanche a vedere l'espressione della moglie, del collaboratore - che potrebbero essere utili segnali di allarme o di consolazione, come espressioni allarmanti o gratificanti, comunque indicative per quanto vogliamo sapere. La capacità di concentrazione determina il proprio rendimento. Perché può succedere questo? Perché sono in atto processi di pensiero paralleli, che assorbono con prepotenza parte del potenziale. Questo avviene in particolare nella persona nevrotica, oberata dal volume di problematiche incombenti, questo avviene nel depresso, che svolge una tale iperat-tività subconscia (mentre sembra stare "fermo"), che non è più in grado di pensare al presente. Provi chi ha problemi d'amore, oppure economici, a non pensarci mentre lavora. Questo è possibile solo con un grande sforzo e per poco tempo, in quanto la capacità di concentrazione può essere appresa e quindi forzata. Ma finito l'impegno diretto, compiuto il lavoro, il subconscio messo a tacere riesplode con violenza. A questo punto la natura ci offre una possibilità assai utile: da grandi capacità al cervello umano e consente ali' uomo di osservarsi, anche ricorrendo alla memoria. La natura riesce ad osservare se l'impegno non è totale nello svolgimento di una attività. Così non è impossibile comprendere se stessi, osservare il proprio modo di pensare e poi dere se stessi, osservare il proprio modo di pensare e poi decidere come è necessario intervenire. Osservate l'interazione fra concentrazione e problematica attiva. Alla lunga quest'ultima è più forte e si impone sempre. A questo punto inizia l'auto- osservazione che può indicarci quale problematica ha interrotto e quante volte, il processo di pensiero regolare, concentrato. Possiamo avere una indicazione precisa e quindi intervenire direttamente sul contenuto di quella problematica. Questa è la via per riottenere una capacità di concentrazione che è stata disturbata o perduta. Riassumendo: il grado di concentrazione è quel sintomo che ci indica il volume di problematiche non risolte nel subconscio. 4.8 Problematiche non risolte Per problematica possiamo intendere un gruppo più o meno complesso di pensieri non elaborato, non portato quindi alla conclusione, che incombe finché non avviene una elaborazione,. E' ovvio che una problematica non chiarita, può essere spìnta nella memoria, repressa, ma lì continuerà ad agitarsi e a riproporsi. Lo stesso gruppo di pensieri elaborato non è più una problematica, ma una situazione chiarita, e può essere riposta nella memoria in modo ordinato: quando può essere richiamata dalla memoria in qualsiasi momento lo desideriamo. Nel frattempo non ci disturba, è pacifica. Una stessa situazione può diventare problematica in una persona, e non nell'altra. Fare una telefonata per sapere l'orario dei treni è semplice e presto fatto. Non è così per il depresso, che intorno a questo fatto vede ed è costretto a pensare mille cose rilevanti solo per lui. Il piccolo raffreddore del bambino può essere risolto senza problemi, con una aspirina. Per la persona ansiosa non è così, il suo mare di pensieri si agita in modo doloroso, viene consultato l'amica, il medico, allarmato il marito. Naturalmente esistono problemi oggettivamente piccoli e problemi grandi. Esiste il caso del fidanzato che non saluta (perché era distratto), ma anche quello che scrive la lettera d'addio. Esiste la necessità di comprare una macchina, di trovare una casa in affitto, di scegliere la scuola per il bambino, di portare il cane a spasso, (quante controversie per un fatto così banale, ma ne può nascere una lite in famiglia!), di affrontare il datore di lavoro, la donna di servizio, una bolletta del telefono, il conto errato della cena, e via così. È chiaro che della grandezza o meno, decide anche il proprio stato d'animo, il proprio grado di efficienza, la capacità di elaborazione. Ed è chiaro che ogni problema o problematica richiede una certa quantità di tempo per essere elaborata, risolta, resa inattiva. La differenza fra problematica risolta e problematica attiva è sostanziale. L'una ci lascia in pace, l'altra ci tormenta finché non è stata risolta. Ma non esiste una sola problematica, ne esistono tante contemporaneamente. Possiamo convivere con una problematica non risolta, forse anche con due, ma non possiamo più vivere, se il loro numero supera la nostra capacità di pensiero. Più problematiche sono in atto, più diventa difficile risolverle, anche una alla volta. Va notato il diverso rapporto nei confronti di una problematica da parte di una persona giovane (ossia ancora sana e vitale), e una persona logorata, esaurita, stanca. Nella prima la capacità di memorizzazione può essere ancora grande, nell'altra lo spazio di memoria è esaurito. Troppo spesso dimentichiamo che la nostra memoria ha precisi limiti. Si impone da solo il confronto fra la problematica e un libro letto a metà, ancora aperto. La memoria, nella quale tutti i processi psichici vengono registrati, può essere paragonata con una libreria personale. I libri riposti corrispondono alle problematiche risolte, riposte ordinatamente nella memoria. I libri aperti sono le problematiche attive. Ora in molti di noi, in quella stanza/libreria immaginaria della mente ci sono libri aperti ovunque: sono sul tavolo, sul letto, magari anche per terra. Non possiamo fare un movimento senza urtarne uno. Come sarebbe difficile lavorare in questo ambiente, così è difficile convivere e lavorare con una memoria tanto attivamente occupata. Naturalmente c'è un limite invalicabile. Continuando a non riordinare, alla fine la stanza diventa inabitabile o perlomeno diventa impossibile viverci: ogni libro aperto ci costringe ad associazioni non volute, non inerenti alla attuale attività di "lettura". A questo punto dobbiamo mettere ordine! Ma quanto sarebbe stato più facile intervenire prima. Probabilmente c'è qualche libro sotto il letto, nascosto qua e là, che non disturba la vista, ma permane. Questo, nel nostro paragone, sarebbero le problematiche non risolte ma represse, poste sotto al tappeto. 4.9 Disporre del corpo Non andrebbe mai dimenticato che il nostro corpo è da considerare il nostro migliore amico: quando si profilano difficoltà è lui ad aiutarci, a consolarci, ad essere vicino, a riportarci alla realtà. Per capire concretamente quale può essere l'aiuto di quest'amico, possiamo immaginarci di essere in preda alla paura. Finché essa si svolge sul piano psichico, è impossibile controllarla, può facilmente diventare panico, disperazione. Tutto cambia nel momento in cui ci alziamo, stringiamo i muscoli, ci rendiamo conto di non essere soli di fronte alla paura. Infatti, la paura porta (si tratta di un processo fisiologico) il corpo alla massima efficienza, siamo predisposti ad assumere una posizione di combattimento o di fuga; solo finché restiamo a letto possiamo sentire le gambe bloccate, i movimenti frenati. Dovremmo comportarci in modo adeguato con questo amico intimo, abituarci a ricorrere più spesso al suo aiuto così facilmente ottenibile: ascoltandolo, certo, ma anche parlandogli, rivolgendogli parole gentili. Possiamo entrare in dialogo con i nostri organi, rivolgerci al fegato, per esempio, usando l'immaginazione (dopo avere acquisito alcune conoscenze anatomiche). Chi lo fa può avvertire come l'organo, avvicinato con l'immaginazione, ascoltato con attenzione, invia segnali che poi, diventando percezioni, che arrivano se non alla coscienza, certo alla mente: la percezione deve essere accettata, trasformata, si tratta di imparare a vedere e a sentire. Questo rapporto può essere intensificato usando oltre l'immaginazione, le mani. Allora si avverte con chiarezza come "affluisce più sangue" verso l'organo, con il quale ci siamo posti in contatto, appoggiandovi la mano sopra. È certo che la temperatura cutanea varia sul luogo al quale rivolgiamo il nostro interesse. L'attenzione può essere rivolta alle ovaie (in questo caso la mano si posa dolcemente al di sopra del pube), ai testicoli (stimolando un certo punto all'interno delle cosce, da dove viene innervata la zona interessata) al plesso solare. Queste manipolazioni verranno descritte dettagliatamente di seguito e consistono nel-l'esercizio attivo che chiamiamo "Induzione Endogena", un passo avanti, nei confronti del passivo "Training Autogeno" introdotto dal Prof. dr. Johann Heinrich Schultz e praticato (dal 20% della popolazione, in Germania) più o meno scientificamente da quasi cento anni. Ognuno di noi ha un tipo individuale di rapporto con il proprio corpo. Ecco due casi agli estremi opposti: Una persona che doveva sottoporsi ad una operazione al cuore gli ha rivolto, vincendo l'iniziale paura, nelle settimane precedenti l'intervento, ogni attenzione. Ha sviluppato una tale sensibilità che sentiva e poteva distinguere ogni pulsazione del cuore che normalmente avviene, senza essere percepita. Una ragazza che doveva farsi manipolare il seno descriveva così la propria impressione: "... sembrava che toccasse il seno di una persona che stava sdraiata al mio fianco". Le percezioni che vengono dal corpo, in altre parole, possono essere modificate dalla repressione totale (in chi non ha o non vuole avere un rapporto con esso e blocca le percezioni), fino alla sensibile apertura, quando esse vengono amplificate dalla propria attenzione. Appare strano che molti dì noi non sentano, anche rivolgendo ad esso ogni tanto la loro attenzione, i battiti del cuore. Evidentemente un movimento abituale non viene più percepito: per questo è diffìcile ripristinare un rapporto perduto. Dovremmo renderci conto che il nostro cuore fa un movimento che è assai più intenso di quello di una mano stretta a pugno e riaperta ritmicamente. Ma anche questo movimento, diventato abituale, non sarebbe più percepito. La peristaltica dello stomaco è percepibile solo da chi lo ascolta con attenzione quando si trova a soffrire di gastrite. Certo è un bene non essere invasi da inutili percezioni, la nostra natura provvede in questo senso. Ma può essere molto utile poter sentire i singoli organi, essere capaci di entrare in contatti con loro, per essere poi in grado di attuarlo, al momento opportuno. La capacità di entrare in contatto con il proprio corpo può essere usato anche come mezzo auto diagnostico. Se conosciamo la normalità possiamo notare qualcosa di anormale che avviene in noi, senza attendere segnali di allarme acuto come il dolore. Inoltre abbiamo la possibilità di agire direttamente sul nostro corpo: un ampio quanto inesplorato campo di autoterapia. Come abbiamo già accennato il Training Autogeno insegna che, rivolgendo tutta la nostra attenzione ad un singolo organo o a una parte di esso, questo aumenta la temperatura. È facile osservare quanto possiamo far accadere alla nostra mano (con la formula "La mano destra, sinistra è calda ... !"): la temperatura cutanea può aumentare anche di 4° C! Evidentemente non ci sono limiti precisi per questo tipo di intervento sul proprio corpo. E eloquente a cosa può succedere a chi soffre di piedi freddi. Una persona che si è presentata in una tiepida giornata del settembre romano, con tre paia di calzini è riuscita con l'esercizio a raggiungere con facilità un momentaneo aumento della temperatura (piedi piacevolmente caldi), uno stato diventato poi permanente attraverso alcuni semplici esercizi quotidiani. Se ci poniamo nella "posizione perfetta" (distesi supini, con braccia e gambe leggermente divaricate) e rivolgiamo l'attenzione al corpo possiamo disporre di una infinità di segnali, avvertimenti, suggerimenti, per farne uso. E certo che possiamo influire in modo blando anche sulla circolazione periferica. Da qui ad una vera e propria ipnosi tattile il passo è breve. 4.10 Danni psicogeni o somatizzazioni Un punto fondamentale da comprendere e da cui trarre tutte le implicazioni necessarie è che processi o situazioni psichiche provocano fenomeni paralleli nel soma: questa sembra la legge alla base delle malattie (con componenti) psichiche. Per questo appare giusto invertire il vecchio concetto e dire la psiche sana è la premessa necessaria per un corpo sano. Per prevenire danni al soma è prima di tutto necessario conoscere e comprendere il proprio corpo: una persona che lo vive senza attenzione, senza sufficienti conoscenze, senza la necessaria sensibilità, agisce come colui che pilota un aereo senza sapere quali sono le funzioni delle tante leve, degli interruttori, dei commutatori, del pannello di comando. Sviluppare questa sensibilità è una scelta di principio. Si deve decidere quale strada percorrere. Si deve essere disposti a pagare un prezzo: che consiste nello sforzo e nel tempo necessari a sviluppare una attenzione costante, e soprattutto nel sopportare le verità spiacevoli a cui però può portare un ascolto e un esame onesto dei propri biso- gni e delle proprie debolezze. Non vi è casualità in questa scelta, ma solo responsabilità personale, perché l'alternativa, possibile ogni momento, è quella di pensare ad altro, di reprimere, di dimenticare il corpo con i suoi segnali. Questo permette, anche per un tempo non breve di illudersi di non avere problemi, di non avere bisogni, di essere perfettamente autonomi. In tali casi i segnali, quando infine arrivano, sono già malattie avanzate. Paolo Pancheri sostiene che le capacità farmacologiche del nostro corpo sono assai più raffinate di quelle dall'industria farmaceutica (si pensi solo al problema dosaggio). Possiamo utilizzarle soltanto se in noi esiste una situazione psichica adeguata, se applichiamo la nostra intelligenza anche in questa dimensione, perché il ruolo guida dell'intervento di certe ghiandole è la mente: chi non comprende che il proprio raffreddore è conseguenza di stress, di stanchezza psicofisica, e non si ritira in una stanza in ombra, adatta per il riposo, non permette al corpo di intervenire con i suoi mezzi e non avrà la soddisfazione dì vedere dopo due giorni il risultato della feroce lotta ingaggiata dai proprì anticorpi. La malattia ha seguito i proprio corso naturale: se è intervenuto con aspirine ha solo rimandato la malattia. Conosciamo molte persone che vivono un corpo letteralmente martoriato dalla tensione (fra di essi anche un medico), che fanno di tutto per aiutare il proprio fisico, ma solo sul piano somatico: correre e applicare ogni attenzione di igiene fisiologica sono mezzi che producono un benessere temporaneo. Se non viene affrontata la causa profonda della tensione, che sta nella psiche non si giunge a risultati duraturi. Gli esempi della "scienza" psicosomatica sono molti, ne elenchiamo qualcuno. Chi non è in grado di andare avanti nella propria vita, può somatizzare, sentendosi bloccare le gambe. Una situazione psichica è caduta nel soma, si è materializzata. Chi non digerisce certe problematiche reagisce con difficoltà nella digestione reale, chi non riesce a mandare giù un'offesa può non riuscire a mandare giù un vero boccone. Chi è fuori strada nel proprio modo di pensare, può andare fuori strada con la macchina. Chi non sa lasciare dietro di sé problemi inutili, reagisce allo stesso modo nei confronti dei resti inutilizzabili del cibo, soffrirà di diarrea o di stitichezza. Chi soffre di disordine interiore e non riesce a risolverlo, può somatizzare scaricando tutto il proprio sforzo sull'ordine esteriore. Non potrà sopportare di vedere una sola cosa fuori posto: una grande quantità di energia viene sprecata in modo improprio. Chi non sopporta molti aspetti di questo mondo e sente il bisogno di difendersi, creerà spropositati muri di difesa, che sul piano psichico possono tradursi in chiusura, distanza, una corazza emotiva impenetrabile. Sul piano somatico reagirà alla semplice polvere, dichiarata a torto nemica, con l'allergia, ossia con un'azione di difesa sproporzionata: gli occhi si "laveranno" con lacrime, il naso reagirà a suo modo alla minima offesa. Oppure il polline, non sarà tollerato e provocherà reazioni simili. Qui possiamo anche intravedere difficoltà nei confronti di tutto ciò che significa sessualità: è chiaro nel polline l'aspetto sessuale. In quasi tutti i casi la malattia psicosomatica indica, a chi è capace di comprendere, la causa psichica che ne è a monte. 1 casi da noi conosciuti più clamorosi ed esemplari nel mostrare la stupefacente evidenza della forza dell'influenza della psiche sul soma, sono due episodi di gravidanza isterica. La mente di queste due donne è riuscita a modificare per mesi l'intero corpo provocando l'assenza delle mestruazioni, l'ingrossamento dell'utero (tale da ingannare il ginecologo), e il rigonfiamento della pancia insieme alle tipiche modificazioni del seno, presenti nella donna incinta. Questi esempi dovrebbero indurci a trarre fino in fondo tutte le conseguenze. Le nostre pretese di influenzare il corpo attraverso la psiche sono, in confronto a queste modificazioni, molto più modeste. Ancora, chi si chiude e non vuole esprimere il proprio nuovo stato d'animo, come avviene per la persona in pubertà, chiuderà la pelle. Quanto potrebbe essere espresso traspirando, viene trattenuto e si formano i brufoli, che hanno inoltre la funzione di allontanarsi dal prossimo. Chi ne soffre, non può o non vuole farsi vedere, ridotto com' è, e respinge ogni tipo di carezza o avvicinamento intimo. Non per nulla i brufoli compaiono nelle ragazze sul viso e sul décolleté, nel ragazzo prevalentemente solo sul viso: là dove sono ben visibili. Solo in qualche uomo quarantacin-quenne abbiamo notato la presenza di brufoli sulla schiena. Ciò significa che il problema c'è, ma viene abilmente nascosto, anche davanti alla partner! Ci sono eccellenti casi indicativi dì somatizzazioni, come la bulimia (fame d'amore saziata con cibo), l'anoressia (l'eccessiva "fame" erotico-sessuale, psicosomatica bloccata fermando l'evoluzione del corpo e portandolo ai limiti della sopravvivenza e oltre, nel 20% dei casi) attraverso una forma malsana di metabolismo. Un discorso a parte merita il proprio rapporto con i dolci, lo zucchero, facilmente traducibile in sete di dolce affetto, di amore e di carezze: chi non le sa accettare o dare, crea i presupposti psichici per il diabete: il corpo non sa più trattenere gli zuccheri, "diabenein" in greco vuoi dire cadere attraverso. Questo in sintesi alcune delle più di mille situazioni descritte da persone coinvolte da somatizzazioni, nel corso di un nostro test, citato altrove. Chi riconosce di patire somatizzazioni, sa di essere, in corrispondenza, disturbato se non ammalato anche psichicamente. Non è detto che si possa invertire questa affermazione; una persona perfettamente sana fisiologicamente può essere disturbata psichicamente. È in ogni caso utile considerare questo aspetto, perché ascoltare il corpo, ed il suo specifico linguaggio, non nuoce certamente e spesso il significato della malattia indica la strada da percorrere verso il benessere, la salute, senza naturalmente trascurare l'apporto della scienza medica. 4.11 L'uso dell'intelligenza Comprendere se stesso appare indispensabile per qualsiasi forma di buon vivere e per creare le premesse alla propria salute psicosomatica. Comprendere l'altro è l'indispensabile premessa per instaurare buoni rapporti interpersonali, nel campo social- culturale, professionale ed in quello inti- mo. Senza comprendere ed essere compresi non possiamo amare, senza comprensione non possiamo coltivare l'amore, renderlo vivo, piacevole e durevole. Solo la comprensione di se stesso e degli altri ci permette l'evoluzione indispensabile. L'esperienza propria non è sufficiente, dobbiamo conoscere quella degli altri ed integrarla, per diventare veri "esseri umani". Gli "animali" dispongono in parte del corrispettivo delle nostre capacità intellettuale: sanno risolvere problemi pratici e tecnici; ma nessun ricercatore è riuscito a scoprire tracce di "intelligenza", in loro. Nei confronti dell'intelligenza ci possiamo comportare in diversi modi. La possiamo usare unicamente come strumento per risolvere le problematiche professionali, o dell'azienda, o ne possiamo fare uso per risolvere quelle nostre, del nostro ambiente intimo. Le occasioni in cui l'intelligenza può più immediatamente influire sulla nostra qualità di vita sono le scelte. Queste sono senza dubbio i momenti determinanti il nostro iter, la nostra arma di difesa nei confronti delle infinite invadenti e aggressive soluzioni - buone o cattive, utili o inutili, salubri o nocive - proposte da parte della nostra Umwelt (l'ambiente che ci circonda). La società attuale ci propone un tale numero di scelte che è facile esserne travolti. Nel mare delle scelte l'Io può naufragare e affogare. Solo attraverso l'intelligenza possiamo difenderci da questo eccesso di tentazioni. Ogni giorno ci vediamo posti di fronte a innumerevoli scelte e decisioni, 100 minori, 2 importanti. Se scegliamo bene o in modo intelligente favoriamo non solo il nostro benessere, ma spesso anche la stessa salute psicosomatica. Il confronto inizia al mattino, con la scelta dell'abito, del tipo di colazione, del come salutare chi incontriamo. Prosegue con la scelta del giornale, dell'itinerario verso il posto di lavoro, col comportamento sul mezzo pubblico (lascio il posto alla signora anziana oppure no? Già qui ne può derivare benessere o senso di colpa ...) e via dicendo. Va detto che le scelte minori hanno maggiore importanza pratica, in quanto in questi casi possiamo applicare la nostra intelligenza senza difficoltà. La scelta è "libera", se non siamo ostacolati da paure o pregiudizi, che sono i nemici peggiori che limitano l'intelligenza. L'applicazione dell'intelligenza però, e questo è il nodo, non è facile, perché dovremmo essere liberi, come solo in teoria siamo. Nella pratica vediamo molti agire platealmente contro ogni intelligenza, da personapoco intelligente: l'innamorato vede con gli occhiali rosa e sceglie di conseguenza, il pessimista, l'ottimista, l'avaro, il generoso, il pauroso si limitano ciascuno a suo modo; per non parlare dì quanto avviene nella persona nevrotica coatta, in quella fobica, che non riesce a nuotare, volare come vorrebbe. Alle scelte viene dedicato un apposito capitolo, vista la loro importanza. Per ora ricordiamoci che nei confronti di ogni problema (di scelta) esìste sempre la soluzione intelligente, cioè quella che fa il minor danno all'Io ma anche al Tu. Una giusta via fra egoismo e altruismo mi sembra intelligente, l'eccesso nell'uno o nell'altro no. Chi può dire di sé di avere trovato la giusta via di mezzo fra egoismo ed altruismo? Sembra che esistano molti egoisti, assai meno altruisti, mentre sono troppo pochi coloro che hanno trovato un equilibrio fra egoismo ed altruismo. Appendice Note dell'autore Mi sembra molto lontano l'anno 1990, quando nel resoconto che ogni persona "trattata" mi forniva, potevo leggere: "... quando ha appoggiato le sue dita sul plesso solare mi sono sentita "penetrare", non trovo altra parola che descriva meglio le mie sensazioni, e quindi sciogliere tutta la muscolatura addominale e toracica: mi sentivo "aperta" ...". Durante ogni successivo trattamento sentivo ciò che interpreto come il primo e più evidente segno di distensione in atto: rumori Ìntestinali, con contemporanea riduzione della tensione muscolare superficiale. Trovata quello che poteva essere una mia via di approccio alla psiche, mi sono sottoposto ai vari trattamenti in qualche modo analoghi almeno nelle intenzioni, dal semplice massaggio, all'agopuntura, alla pratica Reiki e via dicendo. Sono andato da coloro che ritenevo i maggiori specialisti raggiungibili, in Italia e all'estero e ho provato. Una ulteriore conferma mi venne esposta nel resoconto di K., ragazza ventiseienne con problemi nei rapporti interpersonali intimi, in particolare quelli strettamente sessuali (anorgasmia). Dopo il trattamento affermava di non avere mai raggiunto quelle sensazioni così intense e piacevoli che precedono l'orgasmo. Il pensare cedeva il posto al sentire. Per me questa era la via per liberarsi dai blocchi, dagli impedimenti, da tutto ciò che ci disturba nello svolgere una vita sana, nel caso specifico per arrivare a godere l'orgasmo intensamente, ossia sul piano fisico e su quello psichico. Credo di avere lavorato molto anche su me stesso, nel frattempo. Ora ho finito di costruire i due ambienti nei quali svolgere il lavoro cognitivo, a volte necessaria premessa per liberarsi da pesi che gravano sulla mente, e praticare questa mia "Induzione Endogena". La pratica dell'Induzione Endogena viene proposta a persone che cercano aiuto per trovare un maggiore benessere psicosomatico; in modo approfondito a coloro che vogliono aiutare persone amiche, e, con un insegnamento più esteso, a coloro che vogliono dedicarsi a questo lavoro anche in modo professionale.1"