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La base della nostra vita in comunione fraterna è radicata nell'annuncio di nostro Signore Gesù
Cristo. Noi abbiamo la missione di far conoscere Cristo, attraverso la nostra vita, a un mondo che
continua ad essere caratterizzato dalla violenza, dalla guerra, dall'emarginazione e dalla distruzione
dell'ambiente. San Francesco, il nostro fondatore, il "santo dell'Incarnazione", diede ai suoi frati e ai
suoi contemporanei un esempio senza eguali di come essere un araldo del Vangelo, in parole e
opere, attraverso l'impegno per la giustizia, la pace e l'armonia con il creato. Non possiamo essere
araldi del Vangelo se non viviamo aperti alla conversione, riconciliati con noi stessi, con i nostri
fratelli e con tutto il creato affidato alle nostre cure (cfr. Gen 2,15), e se prima non siamo
riconciliati con Dio in Cristo, nostro fratello e Signore.
"Comportarsi spiritualmente", "non fare liti o dispute", "essere soggetti a ogni creatura umana " e
riconoscere che Gesù è il Cristo significa, in altre parole, essere araldi e promotori di vita, dono che
tutti abbiamo ricevuto, ma su cui incombono diverse minacce. I mass-media odierni, quali la
stampa, la radio e la televisione, ci permettono di verificare con facilità come le persone e l'intero
creato vivano "nell'ombra della morte" (Lc 1,79) e, perciò, abbiamo bisogno che il Sole che sorge
dall'alto ci visiti (cfr. Lc 1,78). Vi è una forte connessione tra la distruzione dell'ambiente e il
crescente impoverimento di molte persone nel nostro mondo, e viceversa. Il flusso di rifugiati,
spinti dalla paura di perdere la propria vita e in cerca di una esistenza migliore, non solo non si
arresta ma, al contrario, aumenta continuamente. La ricerca di una soddisfazione immediata dei
bisogni soggettivi non rispetta l'ardente desiderio provato da molti di lasciare alle generazioni future
un mondo migliore.
È difficile dirigere e controllare, nelle sue connessioni globali, una vita minacciata da un'attività il
cui principio guida è il costante e progressivo sviluppo ad ogni costo.
A maggior ragione, allora, noi Frati Minori siamo chiamati a testimoniare, in forza delle nostre
origini evangeliche, la nostra comunione fraterna e la nostra vita semplice in una diversità
riconciliata, attraverso una esistenza libera in Cristo e per Cristo.
Questo è l'obiettivo che il presente libro desidera appoggiare. In effetti, non è un "manuale", poiché
non risponde ai criteri di un manuale in senso stretto. Esso si propone di essere una fonte di
riferimento e un aiuto per i frati, con i suoi articoli sulla nostra spiritualità francescana, sulla nostra
opzione per i poveri, sull'animazione della nostra preghiera e meditazione, sul dialogo in comune
circa i valori e le basi della nostra vocazione francescana, sull'azione incarnata nelle situazioni
concrete alla luce delle istanze di giustizia, pace e salvaguardia del creato. Esso è una risposta alla
richiesta presentata dal Consiglio Internazionale per Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato
(CIGPSC) al congresso di Seul nel 1995, per aiutare i frati a divenire consci del fatto che il nostro
impegno francescano in questo settore è parte integrante della nostra spiritualità.
La base del nostro essere nel mondo è la contemplazione, l'ascolto interiore, la serena attenzione ai
segni dei tempi, l'esperienza della presenza e dell'azione di Dio. "Essere nel mondo" significa essere
in cammino, accogliere con profonda adorazione e rispetto la vita, il creato e gli uomini, perché la
presenza di Dio circonda e penetra tutto. Speriamo che questo libro possa essere un
incoraggiamento per tutti i frati a vivere tale dimensione.
Concludo ringraziando tutti coloro che hanno collaborato alla creazione e all'elaborazione di questo
Sussidio. Ognuno ha lavorato in maniera esemplare. Ringrazio in particolare, a nome di tutti,
Francisco O'Conaire OFM, mio collaboratore nell'Ufficio di Giustizia, Pace e Salvaguardia del
Creato. Possa Dio compensare e benedire ampiamente tutti per la loro collaborazione!
Roma, 25.III.1999
L'Ufficio di GPSC presso la Curia Generale, il Consiglio Internazionale per GPSC, composto dai
15 Coordinatori delle Conferenze dell'Ordine, e i Delegati Provinciali di GPSC hanno l'importante
compito di animare e spingere i frati a fare propri i valori evangelici e francescani evidenziati da
GPSC, così da renderli parte di uno stile di vita che sia fraterno, pacifico e di sostegno a concreti
impegni di liberazione. Preoccupato di come fornire al meglio un autentico servizio di animazione,
il Consiglio Internazionale per GPSC dell'Ordine decise, nel corso dell'incontro svoltosi a Seul
nell'agosto del 1995, di proporre al Definitorio Generale la stesura di un Sussidio di GPSC che
potesse servire come utile strumento per la promozione di questi valori all'interno dell'Ordine. Nella
riunione del dicembre dello stesso anno, il Definitorio approvò la proposta e affidò il
coordinamento di questo progetto all'Ufficio di GPSC della Curia Generale.
Obiettivo
Questo Sussidio non rappresenta un commento ai capitoli IV e V delle CC.GG., sebbene tragga
ispirazione da essi e possa essere anche un aiuto per approfondirne la conoscenza e l'osservanza.
Piuttosto si sforza di offrire materiali e strumenti che possano aiutare i Delegati Provinciali e le
Commissioni nel loro lavoro di animazione. Esso spera anche di essere utile a quanti sono
impegnati nella formazione iniziale, alle fraternità locali nei loro incontri per la formazione
permanente e ai frati nel loro ministero pastorale.
Poiché si trattava di preparare uno strumento che aiutasse nel lavoro, non abbiamo mai pensato ad
un trattato completo. Siamo consci dei limiti di questo Sussidio. Innanzitutto, nei temi trattati nella
seconda parte è quasi impossibile stabilire un punto di vista che sia valido per tutte le culture del
mondo; tuttavia, le domande alla fine di ciascun tema possono sempre essere un aiuto per dialogare
con la realtà locale. D'altra parte, poiché un gran numero di frati da differenti parti del mondo ha
collaborato al Sussidio, esso può risentire di mancanza di unità e di alcune ripetizioni. Se i temi
della seconda parte fossero stati sviluppati più approfonditamente, il libro sarebbe molto più
voluminoso. Siamo comunque convinti che il materiale proposto sia significativo e che possa essere
un aiuto per l'obiettivo desiderato.
Struttura e contenuto
Il Sussidio ha quattro parti. Nella prima parte esponiamo la visione francescana del lavoro per la
giustizia, la pace e la salvaguardia del creato come una base teorica per l'intero libro, rifacendoci
alla nostra spiritualità così come si trova nelle Fonti Francescane, nelle attuali CC.GG. e nei
documenti della Chiesa. Per i francescani l'impegno per la giustizia, la pace e la salvaguardia del
creato è un'eredità che discende da san Francesco; esso forma parte della loro identità di Frati
Minori e della loro missione di evangelizzazione e dovrebbe pertanto appartenere al contenuto della
formazione iniziale e permanente.
La seconda parte è costituita da sette temi specifici, che ci sembrano essere i più appropriati e di
maggiore interesse per il nostro carisma. Lo sviluppo teorico dei temi è molto breve poiché non
abbiamo voluto fornire una trattazione esaustiva, ma abbiamo preferito che i temi ponessero delle
domande e stimolassero riflessioni ed azioni. Il breve sviluppo teorico è completato da un resoconto
delle esperienze e testimonianze di frati da tutte le parti del mondo. Esse ci aiutano a vedere come
gli ideali che le nostre CC.GG. ci propongono non sono utopie incapaci di realizzarsi; tali
testimonianze ci suggeriscono molteplici possibilità di azione nelle realtà locali. Alla fine di ogni
trattazione è riportato un questionario per facilitare la riflessione, sia personale che di gruppo.
Ricordiamo che quando questo Sussidio fu programmato, era già contemplata l'idea che ogni
Conferenza potesse fornire una bibliografia per ciascuno dei temi che avrebbero favorito uno studio
più approfondito e maggiormente in sintonia con la sensibilità culturale e i bisogni di ogni
Conferenza.
La terza parte, intitolata "Come Agire?", ha diversi capitoli che trattano la storia di GPSC
all'interno dell'Ordine nel corso degli ultimi venticinque anni. In essi si parla del Consiglio
Internazionale per GPSC, di come le Province e le Conferenze sono organizzate nell'area della
giustizia e della pace, della cooperazione interfrancescana in GPSC, del lavoro per GPSC nella vita
quotidiana e nei vari ministeri (parrocchie, mezzi di comunicazione, educazione, evangelizzazione
missionaria, formazione iniziale e permanente).
La quarta parte fornisce alcune aggiunte o appendici, contenenti i testi che trattano di questi temi
nei Capitoli Generali o nei Consigli Plenari OFM, nelle CC.GG., nella Sacra Scrittura, nelle Fonti
Francescane, nella Dottrina Sociale della Chiesa e nella Ratio Formationis. Sono incluse inoltre
alcune preghiere ed è riportato un elenco di indirizzi delle organizzazioni internazionali con cui
possiamo collegarci.
Abacuc Ab
Abdia Abd
Aggeo Ag
Amos Am
Apocalisse Ap
Atti degli Apostoli At
Baruc Bar
Cantico dei Cantici Ct
Colossesi Col
1 Corinti 1 Cor
2 Corinti 2 Cor
1 Cronache 1 Cr
2 Cronache 2 Cr
Daniele Dn
Deuteronomio Dt
Ebrei Eb
Efesini Ef
Esdra Esd
Esodo Es
Ester Est
Ezechiele Ez
Filemone Fm
Filippesi Fil
Galati Gal
Genesi Gen
Geremia Ger
Giacomo Gc
Giobbe Gb
Gioele Gl
Giona Gn
Giosuè Gs
Giovanni Gv
1 Giovanni 1 Gv
2 Giovanni 2 Gv
3 Giovanni 3 Gv
Giuda Gd
Giudici Gdc
Giuditta Gdt
Isaia Is
Lamentazioni Lam
Levitico Lv
Luca Lc
1 Maccabei 1 Mac
2 Maccabei 2 Mac
Malachia Ml
Marco Mc
Matteo Mt
Michea Mi
Naum Na
Neemia Ne
Numeri Nm
Osea Os
1 Pietro 1 Pt
2 Pietro 2 Pt
Proverbi Pr
Qoelet (Ecclesiaste) Qo
1 Re 1 Re
2 Re 2 Re
Romani Rm
Rut Rt
Salmi Sal
1 Samuele 1 Sam
2 Samuele 2 Sam
Sapienza Sap
Siracide Sir
Sofonia Sof
1 Tessalonicesi 1 Ts
2 Tessalonicesi 2 Ts
1 Timoteo 1 Tm
2 Timoteo 2 Tm
Tito Tt
Tobia Tb
Zaccaria Zc
Am Ammonizioni
BfL Benedizione a frate Leone
BfB Benedizione a frate Bernardo
Cant Il Cantico delle creature (di Frate Sole)
Cer Del comportamento dei frati negli eremi
EsorLD Esortazione alla lode di Dio
EsorPD Esortazione alle Povere Dame
Fv Forma di vita (a santa Chiara)
LAn Lettera a frate Antonio
Lch Lettera a tutti i chierici
1 Lcust Prima lettera ai custodi
2 Lcust Seconda lettera ai custodi
1 Lf Lettera a tutti i fedeli (prima redazione)
2 Lf Lettera a tutti i fedeli (seconda redazione)
LfL Lettera a frate Leone
Lmin Lettera ad un ministro
LOrd Lettera a tutto l'Ordine
Lore Lodi per ogni ora
Lrp Lettera ai reggitori dei popoli
Pater Commento al "Pater noster"
PCr Preghiera davanti al Crocifisso
Plet Della vera e perfetta letizia
Rb Regola bollata
Rnb Regola non bollata
SalV Saluto alla Vergine
SalVir Saluto alle virtù
1 Test Piccolo Testamento
2 Test Testamento
Uff Ufficio della passione del Signore
Uv Ultima volontà (a santa Chiara)
Questa prima parte determina la visione francescana dell'opera per la giustizia, la pace e la
salvaguardia del creato, una cornice teorica per l'intero libro sulla base della nostra spiritualità,
attinta sia dalle Fonti Francescane che dalla realtà odierna delle CC.GG., della RFF e del Magistero
della Chiesa:
Tra i numerosi santi che hanno segnato la storia della cristianità, Francesco d'Assisi è uno di quelli
che ancora oggi esercitano maggiore attrazione e raccolgono il più largo consenso. La sua influenza
si estende al di là della cristianità. Egli appartiene a tutti. Egli appare "come un bocciolo di fiore
fiorito anzitempo", lasciando intravedere lo splendore nascosto di una umanità che anela a
sbocciare in ciascuno di noi. "Sembrava veramente un uomo nuovo e di altro mondo", scrisse il suo
primo biografo, Tommaso da Celano (1 Cel 82).
Perciò non sorprende che, nella nostra attuale confusione, molti si rivolgano a lui per chiedergli il
segreto di quella saggezza che egli seppe far sbocciare e che è caratterizzata da una nuova qualità di
presenza nel mondo. Il dono più prezioso che Francesco diede al mondo è questo nuovo tipo di
presenza. Una presenza che è profondamente umana, insieme evangelica e cosmica. Una presenza
totale che ha il dono "di convertire tutta l'ostilità in tensione fraterna, all'interno dell'unità del
creato" (Paul Ricoeur). "Non c'è dubbio che non vi fu mai uomo", scrive Louis Lavelle, "che offrì
più perfettamente a tutti quella totale presenza e quel dono completo di sé che non sono altro che
l'espressione della presenza e del dono che Dio fa di sé in ogni istante e a tutti gli esseri" (L.
Lavelle, Quattro Santi, Albin Michel, Parigi 1951, p. 88).
Quale fu, allora, il segreto di Francesco d'Assisi? Come si aprì a quella presenza nel mondo, nella
quale tutti gli umani conflitti sembrano trovare pace?
Un messaggio essenziale
La domanda è per noi vitale. La nostra civiltà industriale è in un vicolo cieco. Noi siamo
giustamente orgogliosi del nostro progresso scientifico e tecnologico. Esso ci ha resi "maestri e
padroni della natura", secondo il desiderio di Cartesio. Ma oggi noi constatiamo che il prezzo da
pagare è alto, molto alto. Da un lato l'ambiente che ci circonda e di conseguenza la qualità della
nostra vita sono minacciati dal crescente controllo dell'uomo e della sua tecnologia sulla natura.
Dall'altro, un sempre più pronunciato sfruttamento tecnologico delle risorse naturali, con la sola
regola del profitto, solleva grandi problemi umani nei settori della disoccupazione e della giustizia
sociale. Situazioni di esclusione si vanno moltiplicando all'interno della comunità umana e
rischiano di compromettere profondamente la pace. Finora gli uomini e le donne prodotti dalla
civiltà industriale hanno pensato solo a dominare e a possedere. Adesso devono imparare, nella
ricerca della pace e della giustizia, a fraternizzare con la natura come con una loro pari. Ebbene, su
questo argomento, Francesco, il fratello universale, ha qualcosa di essenziale da dirci.
Per ascoltare opportunamente il suo messaggio, dobbiamo lasciarci alle spalle una certa immagine
del Poverello di Assisi. Lo abbiamo reso una specie di Principe Azzurro del creato. Affascinante
forse, ma disperatamente superficiale. Il vero Francesco ha una statura e un'ispirazione del tutto
diversi. Egli fu uno dei più coraggiosi innovatori di tutta la storia del cristianesimo. Nella fedeltà al
Vangelo, ruppe col sistema politico-religioso dell'epoca, caratterizzato dal dominio feudale della
Chiesa, da guerre sante e crociate. Egli rifiutò anche di fare un patto con il nuovo idolo della società
dei comuni: il denaro. Riguardo al suo atteggiamento fraterno verso le creature inferiori, lungi
dall'essere sentimentalismo, esso era ispirato da una chiara e profonda comprensione del creato.
All'origine della nuova presenza nel mondo inaugurata dal Poverello di Assisi, si trova l'esperienza
spirituale che inizia con la conversione del giovane figlio di Bernardone. Se vogliamo scoprire la
sua ispirazione, dobbiamo raggiungerlo nel cuore di questa esperienza.
Francesco non è nato "fratello universale". Egli lo è diventato. Al prezzo di una profonda
conversione. Da adolescente e giovane uomo, non era l'uomo di pace che noi ammiriamo.
Certamente i suoi primi biografi lo presentano come un uomo affabile, cortese, aperto agli altri.
Tuttavia, dietro questo aspetto attraente si celava un fondo di violenza ed ambizione e la volontà di
conquista e di dominio.
Essendo figlio di un ricco mercante, Francesco apparteneva alla classe in ascesa, bramosa di
guadagnare e avida di potere. Nei comuni medievali che si erano liberati dal giogo feudale, i ricchi
borghesi - e soprattutto i mercanti - intendevano gestire in proprio i loro affari ed esercitare il
potere. Sospinto da questa forza sociale in espansione, anche il giovane Francesco nutriva grandi
ambizioni. Gli piaceva far sfoggio di sé, brillare come il sole, essere superiore agli altri, essere
acclamato re della giovane élite sociale di Assisi.
Col crescere dell'età, aumentavano anche le sue ambizioni. Egli non voleva continuare l'attività di
suo padre ed essere solo un mercante di stoffe. Aveva grandi sogni. Mirava in alto. Aspirava a
divenire cavaliere e persino principe! Quando, immerso nel sonno, sognava la bottega paterna, la
vedeva trasformata in un palazzo le cui stanze risplendevano del luccichio di varie armi, tutte
scintillanti per lui e per i suoi cavalieri. Nelle sue visioni giovanili immaginava di conquistare il
mondo.
Il giovane Francesco era affascinato dalla gloria e, a quel tempo, la si conquistava in guerra. Proprio
allora questa si presentò a lui: tra Assisi e Perugia, città vicine e rivali, era appena scoppiata la
guerra. Francesco pertanto si unì alla milizia comunale di Assisi.
Prese parte alla battaglia di Ponte San Giovanni, ma lo scontro andò a vantaggio di Perugia.
Francesco fu fatto prigioniero e trascorse un anno nelle prigioni nemiche. Quando ritornò ad Assisi,
la sua salute era compromessa e si ammalò.
Questa malattia, che si protrasse per lungo tempo e lo costrinse all'inazione e alla solitudine, segnò
una svolta nella sua vita. Francesco guardò attentamente in se stesso. Sentì la vanità dei suoi anni
giovanili e si rese conto della loro futilità.
Tuttavia, quando si ristabilì, restò preso nuovamente nella morsa delle sue ambizioni guerresche e,
insieme ad un giovane nobile di Assisi, decise di unirsi alle armate papali che combattevano contro
le armate imperiali nel Sud dell'Italia. Il progetto però non durò a lungo. Non appena raggiunse
Spoleto, Francesco udì una voce interiore che gli ordinò di tornare ad Assisi. Francesco obbedì. Da
allora in poi la sua sola preoccupazione sarebbe stata quella di scoprire ciò che Dio voleva da lui.
Egli si ritirò spontaneamente nella solitudine delle piccole chiese abbandonate nella campagna di
Assisi. Specialmente a San Damiano. Lì, per lunghe ore, egli pregava contemplando il Cristo
bizantino. Il Cristo crocifisso che irradiava pace gli fornì la viva e irresistibile rivelazione
dell'amore di Dio per tutto il genere umano. Francesco si lasciò attrarre completamente dalla
profondità e dallo splendore di questo amore. Attraverso l'umanità di Cristo e la sua vita
pienamente donata, scoprì lo sguardo di misericordia con cui Dio guarda uomini e donne. Allora
anche Francesco li guardò con occhi diversi e il suo universo si aprì alla miseria umana.
Nel suo Testamento, Francesco stesso racconta il cambiamento radicale che gli accadde: "Il Signore
dette a me, frate Francesco, d'incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi
sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con
essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza
d'animo e di corpo" (2 Test 1-3).
Una nuova qualità della relazione
Soffermiamoci un momento su questo cambiamento. Tutto deriva da questo. Francesco non esitò a
presentare la sua conversione come una nuova apertura verso la gente e verso il mondo. Il suo
universo era saltato in aria. Ora osava scoprire quegli uomini e quelle donne da cui prima si sarebbe
tenuto lontano, persone che non aveva voluto vedere e che aveva escluso dal suo mondo.
Non si trattò semplicemente di una più ampia cerchia di relazioni; cambiò anche la qualità del suo
relazionarsi. Da allora in poi il suo atteggiamento non sarebbe più stato ispirato dall'ambizione, dal
desiderio di prestigio e di conquista, poiché scaturiva da un'altra fonte. Francesco aveva scoperto la
misericordia con cui Dio guardava uomini e donne, e questo sguardo misericordioso capovolse il
suo mondo. Da un desiderio di conquista e di dominio, passò così ad un atteggiamento di
compassione e di comunione. Il suo mondo si aprì ai più bisognosi. In precedenza,
occasionalmente, aveva fatto l'elemosina ai poveri, ma dall'alto della sua posizione di giovane e
ricco membro della classe media. Gli indigenti non erano stati parte del suo mondo dorato.
Ora un muro era caduto. Francesco vedeva il mondo in modo diverso. L'aveva scoperto nella luce
dell'amore straordinario che si era mostrato a lui: l'altissimo Figlio di Dio aveva rinunciato alla sua
gloria per diventare uno di noi, il fratello di tutti, anche degli esclusi. Il paradiso aveva perso il suo
orgoglio. Una irresistibile visione che ispirò in Francesco una nuova presenza nel mondo. Egli non
volle più essere superiore agli altri, dominarli, ma volle esser con loro, fraternizzare con loro. Non
volle più conquistare il mondo, ma accogliere tutti gli esseri ed essere in comunione con loro, e così
divenire, seguendo Cristo, il fratello di tutti, specialmente dei più umili e dei più poveri.
Questa nuova presenza nel mondo avrebbe ispirato e orientato tutta la vita di Francesco. Per il
momento essa lo rese attento e pronto ad accogliere ciò che Dio desiderava da lui.
Un giorno, assistendo alla Messa nella chiesa di Santa Maria degli Angeli alla Porziuncola, sentì
leggere il brano del Vangelo in cui il Maestro affida ai discepoli il mandato della predicazione e
ordina loro di non prendere né oro, né argento, né altre cose per il viaggio. "In qualunque casa
entriate, prima dite: Pace a questa casa" (Lc 10,5). In quel momento il cuore di Francesco fu
illuminato. Egli aveva scoperto la sua vocazione, la missione (cfr. 1 Cel 22). Come i discepoli, si
vedeva mandato ad annunciare la pace messianica. Sarebbe andato tra uomini e donne, senza oro,
né argento o denaro, senza segni di potere o di ricchezza, con la sola missione di annunciare la
pace. "Il Signore mi rivelò", scrisse nel suo Testamento, "che dicessimo questo saluto: 'Il Signore ti
dia la pace!'" (2 Test 23). Egli si presentò non come un conquistatore, ma come un amico, un uomo
di pace. Dovunque andò, lavorò per "convertire tutta l'ostilità in una tensione fraterna entro l'unità
del creato". Sarebbe stato un costruttore di pace, un creatore di comunione tra gli esseri, in
comunione con tutto, "in grande umiltà".
Araldo di pace
Voltando le spalle alle guerre sante e alla signoria feudale esercitata dalla Chiesa, Francesco iniziò a
viaggiare per il paese, dando a ciascuno il saluto "Pace e bene". Invitava uomini e donne a
riconciliarsi tra loro e a vivere come fratelli e sorelle. Davanti all'intera città radunata nella piazza
centrale di Bologna, il discorso di Francesco si centrò sul dovere di eliminare l'ostilità e di
concludere un nuovo trattato di pace. Ad Arezzo scacciò i demoni della discordia e, quando nella
sua città di Assisi scoppiò il conflitto tra il vescovo e il podestà, non si fermò finché non ebbe
riconciliato i due uomini.
"A coloro che vogliono definire, anche superficialmente, la vita di Francesco d'Assisi", scrisse P.
Lippert, "essa sembra essere fin dall'inizio una vita d'amore, inteso nel senso più sacro e più forte".
A dire il vero, non fu solo l'amore di un uomo per i suoi simili, ma l'amore di Dio per tutto il genere
umano quello che ebbe Francesco e che, per mezzo di lui, si diffuse nel mondo, come il sole in
primavera, come una forza di comunione e di pace.
Questa forza era contagiosa. Presto Francesco non fu più solo. Decine, poi centinaia di giovani e
meno giovani si unirono a lui, desiderosi di seguire il suo esempio. Essi corsero incontro a lui e al
suo ideale di povertà come a una festa, perché alla fine della strada avrebbero sperimentato la gioia
della fraternità.
Creatore di fraternità
Fraternità! Questo era ciò che essi stavano cercando. Essa era il volto della pace che Francesco
annunciava. Un grande movimento fraterno crebbe sulla sua scia. Questo movimento rispondeva ad
un desiderio e ad una profonda aspirazione del tempo. L'idea di associazione e di fraternità era
nell'aria.
Non fu forse quest'idea che, insieme con quella di libertà, aveva ispirato la rivolta dei comuni?
Rifiutando il potere dei signori feudali ed erigendo le loro città come comuni liberi, gli abitanti
delle città aspiravano a delle nuove relazioni sociali. Il regime feudale conosceva solo relazioni di
vassallaggio: uomini e donne erano sempre vassalli di altri uomini e donne. Il comune, come indica
il suo stesso nome, aveva promesso relazioni sociali che sarebbero state più democratiche, più
libere, più fraterne. Almeno questo era ciò in cui le persone semplici avevano sperato. Ma questa
speranza fu presto delusa.
Nei comuni liberi, la legge del denaro, quella dei ricchi mercanti, rimpiazzò quella dei signori.
Perciò il primo movimento francescano riaccese, nei cuori dei poveri, la speranza di una vera
fraternità. Ciò che i comuni non erano stati capaci di realizzare, Francesco e i suoi frati lo vivevano
alla luce del Vangelo.
Oggi non possiamo immaginare quanto rivoluzionario fosse un tale progetto a quel tempo.
Dobbiamo ricordare che la Chiesa, nell'insieme, era una Chiesa feudale: il vescovo a capo della
diocesi e un abate a capo di un monastero erano veri signori feudali, con un potere temporale che si
estendeva talvolta su intere regioni. In questo contesto, le innumerevoli comunità francescane che si
svilupparono in Europa furono una vera boccata di aria fresca. Esse rappresentarono una nuova
presenza della Chiesa nel mondo: una presenza che creò una comunione fraterna in cui i più umili
della società riscoprirono il loro posto e la loro dignità.
La dimensione dell'umanità
Ma lo sguardo di Francesco non si posò solo sulla cristianità. Esso mirò più lontano. Egli voleva
riunire tutta l'umanità in una fraternità universale. A quel tempo, il mondo era diviso in due blocchi:
la cristianità occidentale da un lato e l'Islam dall'altro. Tra questi due blocchi vi era guerra, guerra
santa, crociata. Francesco non poteva accettare questa frattura. Egli progettava di costruire un ponte
fra questi due blocchi. Il momento non era favorevole ad una tale impresa. La quinta crociata stava
raggiungendo il suo apice. Era proprio così? Francesco decise di andare dal Sultano d'Egitto: un
sogno folle. Ma, incredibilmente, fu ricevuto con grande cortesia, nel bel mezzo di una crociata, da
Al-Malik al-Kamil, il capo dei musulmani. I due uomini mostrarono rispetto e stima l'uno per
l'altro. Si sarebbe potuto sperare di più? Era già un grande risultato. Un grande risultato, ma allo
stesso tempo non un successo. La missione di pace del Poverello d'Assisi si trovò di fronte ai propri
limiti.
Avrebbe dovuto conoscere un altro limite e questa volta all'interno del suo stesso Ordine. Questo
limite avrebbe ferito Francesco dolorosamente e profondamente. Dobbiamo seguirlo attraverso
questa prova in cui la sua presenza per Dio e per tutto il genere umano avrebbe toccato livelli più
profondi per mezzo della purificazione. Da quel momento sarebbe nato un uomo nuovo, uno dei più
forti e dei più originali conosciuti nella storia umana.
Non era infatti abbastanza desiderare la fratellanza fra tutti gli esseri per trovare "l'unità del creato".
Egli aveva bisogno di imparare a desiderare questa fratellanza con un cuore in pace, con un cuore
che non si lasciasse turbare da nulla. In breve, con il cuore di un uomo povero. Non era abbastanza
amare; doveva imparare ad essere povero, anche nell'amore.
Quella fu la lezione più difficile ma anche la più importante. Il desiderio di riuscire ad ogni costo è
spesso egoismo e amore per se stessi, anche quando esso è usato per tenere insieme gli uomini e le
donne. Questo desiderio spesso genera nuove esclusioni. Ecco perché esso indebolisce la vita
invece di servirla. Al contrario, quando la vita è libera da ogni forma di amore per sé, essa può
sgorgare, espandersi e creare in tutta libertà.
È evidente, negli Scritti di Francesco, l'insistenza con cui egli denuncia il turbamento, l'irritazione e
la rabbia, come i maggiori ostacoli alla carità in se stessi e negli altri. Egli li vede come segno
innegabile di un atteggiamento possessivo, di una segreta e spesso inconscia appropriazione (cfr.
Am 4,3; 11,2; 13,2; 14,2-3; 27,2). Una persona può pensare di essere pura, generosa, disinteressata,
fino al giorno in cui si presenta una contraddizione o una lite. Allora ci si sente agitati, irritati e si
diventa aggressivi. La maschera cade. Con tutte le proprie armi si difende il proprio bene, il proprio
territorio. Allora veramente ci si appropria del bene che il Signore è stato capace di fare attraverso
una persona; lo si è reso qualcosa di personale.
Sembrava che il successo stesse per sorridergli. Il numero dei frati cresceva continuamente. I papi,
uno dopo l'altro, mostravano una particolare benevolenza verso l'Ordine nascente. Francesco aveva
ogni motivo di ringraziare il Signore per tutto il bene che stava compiendo per mezzo dei santi frati
del suo Ordine.
Ma poi improvvisamente il cielo si oscurò. Seri disaccordi si crearono all'interno della fraternità.
Dato il crescente numero di frati, era necessaria una organizzazione più rigorosa. Un certo tipo di
vagabondaggio doveva finire. Case e tempi di formazione stavano divenendo necessari. Non tutti
erano d'accordo con il nuovo orientamento. Francesco comprendeva abbastanza bene che
cinquemila frati non potevano vivere la vita evangelica allo stesso modo di dodici. Ma vide anche
nascere tra alcuni dei frati più autorevoli il desiderio di allineare la fraternità con gli Ordini
monastici già costituiti. Ai suoi occhi era necessario soprattutto salvaguardare l'ideale di semplicità
e di libertà evangelica, così come la nuova presenza nel mondo, espressa nella comunione fraterna
con i più umili.
Una profonda angoscia, allora, prese Francesco. Non stavano allontanando la fraternità dalla sua
vocazione originale volendola adattare? Egli vide il suo lavoro compromesso e portato avanti da
altri che non condividevano realmente il suo spirito.
Un uomo di pace
Questa crisi morale, aggravata dalla malattia, fu per Francesco la strada necessaria per una radicale
spogliazione. Era tormentato interiormente ed esteriormente, nell'anima e nel corpo (cfr. Legper
21). Si ritirò nella solitudine dell'eremo per nascondere il suo dolore e il suo turbamento. Ci fu il
pericolo che si chiudesse nell'isolamento e nell'amarezza. Dio lo stava aspettando là. Francesco fu
invitato ad una suprema purificazione. Egli avrebbe dovuto spogliarsi della propria opera per
divenire egli stesso l'opera di Dio. Non avrebbe più dovuto considerare l'Ordine come una questione
personale, ma di Dio. "Non essere più turbato... Io sono il Signore". Francesco udì la chiamata.
Gettò la sua preoccupazione nel Signore. Dio è _ ciò è sufficiente. Allora il cuore di Francesco fu
illuminato.
Da allora in poi egli avrebbe potuto dedicarsi alla missione di pace con un cuore pacificato. Con
un'anima radiosa. Ciò che era importante non era trovare una fraternità esemplare, ma essere lui
stesso un uomo fraterno, irradiante la bontà del Padre. Ora Francesco poté scrivere in tutta verità:
"Sono veri pacifici coloro che in tutte le contrarietà che sopportano in questo mondo, per l'amore
del Signore nostro Gesù Cristo, conservano la pace nell'anima e nel corpo" (Am 15,2).
Ad un frate che era responsabile di una fraternità, e che aveva chiesto il permesso di ritirarsi nella
solitudine di un eremo col pretesto che i suoi compagni gli causavano ogni sorta di vessazione e gli
impedivano di amare il Signore come avrebbe desiderato, Francesco poté rispondere con l'autorità
che solo l'esperienza personale conferisce: "...quelle cose che ti sono di impedimento nell'amare il
Signore Iddio, ed ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri, anche se ti coprissero di
battiture, tutto questo devi ritenere come una grazia. ... E ama coloro che agiscono con te in questo
modo... E questo sia per te più che stare appartato in un eremo" (Lmin 2.5.8.).
Da allora in poi nulla poté limitare lo sguardo pacifico di Francesco. Nulla poté opporsi all'azione
dello Spirito dentro di lui. Era libero come il vento. Egli scrisse quindi una lettera "a tutti gli
abitanti del mondo", augurando loro la "vera pace dal cielo". Nulla mostra meglio la misura del suo
orizzonte. Ma egli non voleva solo unire gli uomini e le donne nella pace. Egli voleva estendere
quella pace a tutto il creato, riconciliando gli uomini e le donne con la natura. Questo desiderio di
una fraterna presenza nel mondo trova la sua espressione nel Cantico di Frate Sole o Cantico delle
creature.
Questo Cantico, composto da Francesco al tramonto della sua vita, è un vero e proprio testamento
spirituale. Esso esprime un grande ardore di lode. Il piccolo Poverello loda Dio per tutte le sue
creature. Questa lode ha lo splendore del sole, il delicato chiarore delle stelle, le ali del vento,
l'umiltà dell'acqua, l'ardore del fuoco e la pazienza della terra. Essa celebra la bellezza del mondo.
Tre volte l'aggettivo "bello" è ripetuto nel Cantico. Questa lode cosmica è nella genuina tradizione
dei canti e dei salmi biblici. Ma vi è qualcosa di nuovo qui: un desiderio di fraterna comunione.
Francesco fraternizza con le creature. Rifiutando ogni spirito di dominio, egli le accoglie come
fratelli o sorelle. Le unisce con il suo più alto destino. È con esse che egli innalza se stesso a Dio
nella lode.
Questa fraterna comunione con le creature non è sentimentalismo né sogno. Essa non si oppone alla
rotazione delle risorse naturali per il profitto e l'utilità di tutti. Si potrebbe persino dire che, secondo
Francesco, gli elementi materiali sono tanto più fraterni quanto più sono utili a tutti. Oltre alla loro
bellezza, Francesco ne esalta l'utilità. Egli saluta sorella acqua come "molto utile" e, parimenti, si
rivolge a fratello vento, il cui soffio è vita, o a nostra sorella madre terra, che ci nutre producendo
frutti di ogni specie.
Vi è, in questa comunione fraterna con le creature, un grande amore per la vita che è simile e unito
all'amore del creatore per la sua opera. Da ciò derivò il religioso rispetto di Francesco per ogni cosa
che esiste e vive. Ai suoi frati che andavano a tagliare un albero nella foresta, egli raccomandò che
non lasciassero dietro di sé un deserto, ma curassero che la vita prorompesse in un nuovo fogliame.
Egli condannava tutta l'umana cupidigia che saccheggia la terra e tortura la vita. Quante volte
ridiede la libertà ad animali catturati inutilmente?!
Al di là di ogni conflitto
Coloro che fraternizzano con le creature, nello stesso tempo si aprono a tutto ciò che le creature
rappresentano. Essi fraternizzano con quella parte oscura di se stessi che è radicata nella natura,
cioè il loro corpo e tutte le sue forze vitali. Francesco non rifiutava nulla, anzi accettava ogni cosa
nel suo ardore verso Dio. La sua vita spirituale non aveva luogo in un universo separato; egli
andava a Dio con le sue radici cosmiche, con "sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et
governa". Ogni dualità fu superata e le oscure forze della vita, a quel punto trasfigurate e divenute
forze di luce, persero il loro aspetto spaventoso. Il lupo fu addomesticato: non solo il lupo che
correva nel bosco, ma anche e soprattutto quello che si cela in ciascuno di noi. L'aggressività della
vita fu trasformata in forza d'amore. È questa forza che si fa canto in "frate Focu, per lo quale
ennallumini la nocte: ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte".
In pace con se stessi, si può fraternizzare con ogni cosa. Francesco volle aggiungere, alla sua lode
delle creature, la lode di coloro che, uomini e donne, sono capaci di perdono e di pace. Egli li
proclama la gloria suprema di tutta l'opera della creazione:
Il Cantico delle creature è il linguaggio di un uomo aperto a tutta la pienezza del suo essere, che
sgorga da una personalità completa, in cui le forze stesse della vita e del desiderio, unificate, sono
divenute le forze dell'amore e della luce. Ciò diede alla vita spirituale di Francesco, oltre alla sua
traboccante pienezza, uno splendore solare.
Francesco scoprì il luminoso significato della creazione attraverso l'esperienza interiore di una
nuova genesi. "Sembrava veramente", si legge nel Celano, "un uomo nuovo e di altro mondo" (1
Cel 82). Il suo Cantico non è solo un vibrante omaggio al Creatore; è anche la celebrazione del
divenire. Egli canta la nuova creazione nel cuore dell'uomo che vive la fraternità. Il segreto di
questa alba divina è la povertà che Francesco visse, non solo in relazione ai beni di questo mondo,
ma più profondamente nel cuore della relazione con Dio. Lasciando che Dio fosse Dio e donandosi
completamente a lui, si identificò con la presenza amorosa e totale del Creatore nella sua opera.
La povertà è sempre stata parte del carisma francescano. Francesco stesso frequentemente richiama
la nostra vocazione con queste parole: "osserviamo la povertà, l'umiltà e il santo Vangelo del
Signore nostro Gesù Cristo, che abbiamo fermamente promesso" (Rb 12,4). Tuttavia, la
comprensione e la pratica della vita evangelica francescana sono cambiate con il tempo. Dalla
dichiarazione pontificia sull'osservanza della Regola (Quo Elongati, 1230, di Gregorio IX) fino alle
nostre CC.GG. preconciliari, la più grande enfasi era posta sull'adempimento letterale con una
interpretazione giuridico-morale. La povertà consisteva fondamentalmente nel non possedere
proprietà e nell'uso limitato delle cose, sotto l'autorità del Provinciale o del Guardiano. Vi era una
distinzione tra voto e virtù, ma entrambi gli aspetti erano parte della stessa prospettiva: la vita
religiosa come cammino di perfezione cristiana all'interno di un'oggettiva struttura istituzionale.
Che cosa avvenne subito dopo il Concilio Vaticano II? Inizialmente pensammo che sarebbe bastato
modificare alcuni punti della Regola. Ora siamo consapevoli che l'Ordine sta attraversando uno
stadio difficile, una radicale rinascita o ri-creazione della propria identità.
Non è sufficiente osservare i precetti e i consigli della Regola. La questione è piuttosto quella
dell'opzione per i poveri.
L'austerità non è sufficiente. È necessario creare uno stile di vita che ci renda minori nella società.
L'uso di beni in obbedienza ai superiori non è sufficiente. Piuttosto siamo chiamati a promuovere la
giustizia e ad essere araldi di pace.
Cercare la perfezione del voto di povertà non è sufficiente. Dobbiamo scoprire un modo di vivere
oggi le beatitudini del regno in un mondo di conflitto, ingiustizia e secolarizzazione.
Senza dubbio la minorità è un atteggiamento spirituale, ma è anche una forma di vita evangelica. È
così che avviene in realtà?
2. Analisi
Possiamo parlare di una nuova "dislocazione" dei centri del Vangelo. Ogni epoca rilegge il
Vangelo; oggi uno sforzo significativo è concentrato su questi due punti:
1) La storia della salvezza come azione di Dio in favore dei poveri. Il regno, la buona novella
sono per i disprezzati. Le preferenze messianiche e le opzioni di Gesù.
B. Il contesto socio-culturale
Dal Vaticano II la Chiesa sta adottando un atteggiamento positivo verso il mondo e le sue speranze.
Perciò da qualche tempo la storia umana ha cominciato un processo di auto-liberazione che ha
assunto certe caratteristiche significative:
1) Ogni persona ha un'inviolabile dignità e diritti che dovrebbero essere rispettati da ogni
autorità, civile e religiosa. Il primo diritto è quello alla libertà, all'essere protagonista della propria
storia.
2) Uguaglianza e solidarietà sono valori irrinunciabili del progresso umano. Vi è il sospetto che
in ogni ineguaglianza esista un'ingiustizia. È necessario un atteggiamento di partecipazione per il
cambiamento sociale e politico.
3) Una sensibilità verso quei gruppi di persone che non possono raggiungere la libertà: il
proletariato, i popoli colonizzati, le donne, il Terzo Mondo e altri gruppi.
Questo movimento molto esteso che appartiene alla modernità occidentale è stato caratterizzato
all'inizio da un eccessivo ottimismo e molto presto è diventato fonte di contraddizioni che creano
conflitti, per esempio il confronto tra il capitalismo liberale e il socialismo. Esso ha prodotto in
seguito una profonda disillusione riguardante ogni sforzo per un'utopia sociale (postmodernità).
All'interno della vita religiosa anche oggi notiamo una diversa valutazione dell'impegno sociale. Ma
è certo che il nostro Ordine ha incorporato molti aspetti del moderno umanesimo nelle attuali
CC.GG. I capitoli IV e V danno un chiaro riflesso di questo. Quello che importa è che noi
francescani, avendo fatto una valutazione del contesto sociale in cui viviamo, siamo giunti a certe
opzioni perché siamo convinti che sono in linea con il progetto evangelico originale del movimento
francescano.
In effetti noi crediamo che la minorità, in quanto rappresenta una nuova strada più avanzata in
accordo con la sensibilità di molti frati e delle CC.GG., corrisponda fedelmente a Francesco e al suo
progetto, anche se può non riprodurre letteralmente la Regola e la vita.
La Regula Bullata 3,10-14 fornisce una sintesi delle caratteristiche della missione francescana:
"Consiglio ... ammonisco ed esorto i miei frati nel Signore Gesù Cristo che, quando vanno per il
mondo, non litighino ed evitino le dispute di parole, e non giudichino gli altri; ma siano miti,
pacifici e modesti, mansueti e umili, parlando onestamente con tutti, così come conviene. E non
debbano cavalcare se non siano costretti da evidente necessità o infermità. In qualunque casa
entreranno dicano, prima di tutto: Pace a questa casa; e, secondo il santo Vangelo, è loro lecito
mangiare di tutti i cibi che saranno loro presentati".
In sintesi la missione francescana consiste nel nostro essere minori, e il testo mette in evidenza i
grandi temi che derivano da questa missione di minorità:
La vita francescana non è "mista", una sorta di equilibrio tra contemplazione e azione, alla maniera
dei chierici regolari del tempo o delle successive forme di vita semimonastiche. Il nostro convento è
l'intero immenso mondo dei figli di Dio, nostri fratelli (cfr. SCom 63); la nostra casa è la fraternità.
Di conseguenza la nostra missione non è una funzione concreta (pregare, avere cura, insegnare, fare
opere di carità) che deve essere compiuta all'interno di un'istituzione efficientemente organizzata.
Noi abbiamo il dovere di vivere in uno stato permanente di missione. Per questo una forma di vita
senza caratteristiche fisse è un aiuto.
Noi abbiamo bisogno di mobilità come Gesù, che non aveva dove posare il capo (cfr. Mt 8,20). La
minorità ci pone in solidarietà con gli strati più bassi della società (cfr. Rnb 9). Quello è il modo in
cui la nostra salvezza fu compiuta, "dall'interno", prendendo la condizione umana, cercando i
perduti (cfr. 2 Lf 46; cfr. Am 6; 9; 11).
La correlazione tra i testi della missione del Vangelo e il discorso della montagna non è arbitraria.
Perché Francesco ha parlato dell'apostolato francescano nei termini di una vita basata sulle
beatitudini di Gesù? La risposta è chiara: i frati sono mandati tra la gente come minori. Quella è la
ragione per cui abbiamo come priorità l'esempio piuttosto che la funzione ministeriale _ non per
esclusione ma per deliberata preferenza. Ciò che è più urgente per il regno è che esso divenga una
realtà fra la gente, che i frati diventino discepoli di Gesù e lo annuncino attraverso la testimonianza
del loro stile di vita (cfr. LOrd 9; 2 Test 19; Legper 58; 103).
L'intero ministero della cristianità può essere sintetizzato nel concetto di riconciliazione (cfr. 2 Cor
5,18-20; Ef 2,11ss.); ma l'opzione di Francesco è di provocarla attraverso un'azione non violenta,
preferendo soffrire l'ingiustizia piuttosto che creare divisioni, e contando sull'amore che aspetta e
sopporta senza limiti; in altre parole, seguire le orme di Gesù che fa suoi i nostri peccati (cfr. Am 5;
15; Plet; Rnb 16; 22,1-4; Rb 10,7-12; 2 Test 23).
In realtà, questo processo nella vocazione di Francesco è inseparabile dal mondo della povertà e
della sofferenza. La biografia dei suoi compagni mostra che uno degli elementi che precedettero la
sua conversione fu la compassione per i bisognosi. I passi decisivi in quella conversione furono
segnati da un progressivo inserimento nella condizione dei più infelici: lebbrosi e mendicanti.
Nonostante l'interpretazione eccessivamente spiritualistica che i biografi ci hanno dato della visione
del Crocifisso di San Damiano, non vi è dubbio che dobbiamo riferirla alla consapevolezza che
Francesco acquistò dell'identificazione tra la sequela di Gesù povero e umile e la condivisione dello
stile di vita dei minori (cfr. 3 Comp 3; 11-14; 2 Cel 8-12; 2 Test 1-5).
Il movimento francescano nacque nel contesto dell'emarginazione sociale e del servizio degli
ultimi. L'originale progetto di vita, cioè la Regola non bollata, presuppone questo come un'opzione
abituale e determinata (cfr. Rnb 2,7; 7,1; 7,13-14; 8,8-11; 9,2; 11,3). Nonostante la rilettura che il
Celano ci ha lasciato di alcuni aneddoti concernenti la povertà, quell'opzione chiaramente è ancora
la primitiva ispirazione: i frati minori non offrono la carità ai poveri; essi si sentono identificati con
loro (cfr. 2 Cel 84-85; 87; 92). È vero che, a causa delle responsabilità legate al servizio dei suoi
frati e della fioritura numerica ed ecclesiale della fraternità, Francesco aveva potuto a malapena
dedicarsi alla sua missione preferenziale. Tuttavia sostiene ancora con insistenza il principio di
minorità: ai frati non è permesso predicare senza l'autorizzazione dei vescovi o quando qualche
prete lo impedisca; essi sono tenuti a scegliere lavori servili a livello pastorale o lavori manuali. Il
loro ruolo non è possedere qualcosa, ma "fare penitenza" ed essere minori (cfr. Rb 9; 2 Test 7-8.24-
26; Legper 20; 2 Cel 146-147).
Sebbene possa sembrare strano, l'importanza che il tema della minorità ha acquistato nella nostra
attuale regola di vita, le CC.GG., si inserisce più direttamente nel movimento francescano originale
che non nell'osservanza regolare che tende a descrivere una vita francescana in cui la minorità è
ridotta all'ascetismo della povertà.
Poiché il tema è ampio e poiché sarà trattato più avanti nei suoi aspetti specifici, ci limiteremo a
spiegare nelle linee essenziali la dinamica che le CC.GG. portano all'effettivo rinnovamento della
vocazione francescana della minorità:
1) La definizione del nostro carisma (art. 1,2) tratta la minorità come elemento fondamentale
della sequela di Gesù, che è strettamente unita all'evangelizzazione per mezzo dell'impegno per la
pace e la giustizia.
2) Il voto di povertà è inteso non solo nel senso giuridico-morale o ascetico, ma come
condivisione del destino dei poveri (art. 8).
4) La nostra sequela di Gesù è un gesto di minorità, come discepoli che vivono le beatitudini
del regno nel mondo, come servi di tutti, sottomessi, pacifici e umili (art. 64). È quanto detto nella
Rb 3 ("come i frati debbano andare per il mondo"), che presuppone una vita non centrata nel
convento.
5) L'art. 65 espone la base teologica della nostra minorità, senza la quale ogni progetto di vita e
ogni impegno per i poveri rimane radicalmente viziato.
6) La vocazione alla minorità in pratica si modella con l'adozione della vita e la condizione
degli ultimi nella società.
7) La dinamica dell'"incarnare" non deve essere confusa con l'assimilazione acritica dei valori
mondani (art. 67).
8) L'opzione per forme di vita note come "presenza" (che non hanno bisogno di essere
giustificate per mezzo di compiti specifici: cfr. art. 83-84) è unita alla missione di giustizia e pace.
La prima caratteristica della fedeltà francescana è il principio di nonviolenza (art. 68-69). Questo
presuppone un cuore centrato sul Vangelo, riconciliato con tutta la gente e con il creato (art. 70-71).
Pertanto, questa è una dinamica di testimonianza e di azione nata dalla stessa esperienza evangelica
di minorità. Molti di più sono gli esempi nei capitoli IV e V delle CC.GG., che confermano e
completano la dinamica della minorità. Quelli menzionati sono sufficienti per informare delle sfide
che le attuali CC.GG. lanciano alla vita francescana nel XXI secolo.
La parola "evangelizzazione" non era comunemente usata nei circoli cattolici fino alla
pubblicazione, nel 1975, dell'Evangelii Nuntiandi di Papa Paolo VI per commemorare il decimo
anniversario della chiusura del Vaticano II. Nel decennio precedente il Vaticano II e, di fronte alla
scristianizzazione dell'occidente, molti teologi europei come Karl Barth avevano richiesto una
teologia kerigmatica, una proclamazione fiduciosa del messaggio basilare della salvezza attraverso
la fede in Gesù Cristo. I sermoni di Pietro e Paolo, come si trovano negli Atti, furono allora usati
come modelli per questa evangelizzazione di base.
Il Vaticano II, concilio preminentemente "pastorale", costruito su questa esperienza dei teologi
pastorali d'Europa sia cattolici che protestanti, enfatizzava la terminologia evangelica. Un confronto
con il Vaticano I risulta istruttivo; quel concilio usò la parola "Vangelo" solo una volta e mai le
parole "evangelizzare" o "evangelizzazione". Il Vaticano II, al contrario, usò la parola "Vangelo"
157 volte, "evangelizzare" 18 volte ed "evangelizzazione" 31 volte.
Il concetto di evangelizzazione proposto da Paolo VI è più ampio di quello dei teologi kerigmatici,
che pensavano ad esso come ad una "prima proclamazione" seguita dalla catechesi. Per Paolo VI
l'evangelizzazione è "la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda.
Essa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della
grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo nella S. Messa" (EN 14).
L'evangelizzazione proclama la "salvezza" che _ e questo è molto importante per il nostro tema _ è
intesa come "dono grande di Dio, che non solo è liberazione da tutto ciò che opprime l'uomo (nel
testo ufficiale latino: liberatio ab iis omnibus quibus homo opprimitur) ma è soprattutto liberazione
dal peccato e dal Maligno, nella gioia di conoscere Dio e di essere conosciuti da lui, di vederlo, di
abbandonarsi a lui" (EN 9). Mentre tutti accettano le proposizioni finali di tale descrizione della
salvezza, non tutti sono entusiasti di vedere la salvezza come "liberazione da tutto ciò che opprime
l'uomo". Nondimeno tale comprensione è in accordo con la tradizione biblica e cristiana.
L'Esodo, per esempio, non fu un evento "puramente spirituale" _ fu anche, e in particolar modo, una
liberazione economica, sociale, politica e culturale. La salvezza dunque include, ma non si
identifica con essa, la liberazione dalla disumanizzante povertà che affligge oggi nel nostro mondo
centinaia di milioni di persone. Molto presto nella storia di Israele Dio spiega il suo progetto
d'amore: "Il Signore certo ti benedirà nel paese che il Signore tuo Dio ti dà in possesso ereditario...
Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso" (Dt 15,4.11) _ cosa che può
accadere solo se l'abbondanza creata da Dio è equamente di-stribuita tra tutti i figli e le figlie di
Dio.
In una tale disposizione d'animo, san Paolo disse ai Corinti: "In materia di ricchezze ci dovrebbe
essere una certa eguaglianza fra voi" (cfr. 2 Cor 8,13-15). Il divario tra ricchi e poveri, tuttavia,
continua ad aumentare e noi dobbiamo vedere ciò come il contrario del progetto di Dio. In verità
questo crescente divario "è una minaccia per lo stesso futuro del genere umano" (Octogesima
Adveniens, 7). Poiché il numero di persone disperatamente povere (pensiamo, per esempio, ai
milioni di rifugiati) aumenta drammaticamente, dobbiamo ricordare che l'evangelizzazione implica
"un messaggio, particolarmente vigoroso nei nostri giorni, sulla liberazione" (EN 29). Lavorare per
il regno di Dio significa lavorare per la liberazione dal male in tutte le sue forme (cfr. Redemptoris
Missio, 14). Di fondamentale importanza per il ministero di GPSC è il chiaro insegnamento del
Sinodo dei Vescovi del 1971: l'azione per la giustizia e la partecipazione nella trasformazione del
mondo ci appare pienamente come una dimensione costitutiva della predicazione del Vangelo o, in
altre parole, della missione della Chiesa per la redenzione del genere umano e la sua liberazione da
ogni situazione oppressiva.
Giustizia
La trasformazione del mondo e la liberazione dall'oppressione _ tutto questo è parte della missione
della Chiesa. Una spiritualità che è così "ultraterrena" da non coinvolgere la giustizia, la liberazione
e la trasformazione del mondo è del tutto inadeguata e non è secondo la Bibbia. Senza usare mezzi
termini, il Sinodo dei Vescovi del 1987 fece questa sorprendente dichiarazione: "Lo Spirito Santo ci
guida a comprendere più chiaramente che la santità oggi non può essere raggiunta senza un
impegno per la giustizia". Fallire nell'impegnarci per la grande causa della giustizia è fallire nel
crescere in santità! Per questa stessa ragione l'insegnamento sociale della Chiesa "fa parte
essenziale del messaggio cristiano" e costituisce un elemento fondamentale della "nuova
evangelizzazione" (Centesimus Annus, 5).
Al cuore dell'insegnamento sociale della Chiesa vi è l'"opzione preferenziale per i poveri", una
opzione "testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa" (Sollicitudo Rei Socialis, 42). San
Francesco fu notevole nel suo predicare e vivere questa opzione. Nel suo Testamento egli spiega
che il Signore lo condusse tra i più poveri dei poveri: i lebbrosi, che egli aveva così deliberatamente
evitato. Fu allora che a Francesco fu concessa la grazia di ridefinire ciò che è amaro e ciò che è
dolce: una meravigliosa descrizione della conversione. In maniera molto simile all'insegnamento
papale contemporaneo, Francesco considerò l'aiuto dato ai poveri una questione di giustizia:
"L'elemosina è l'eredità e la giustizia dovuta ai poveri; l'ha acquistata per noi il Signor nostro Gesù
Cristo" (Rnb 9,8).
Pace
Similmente, mentre è vero che il giovane Francesco era desideroso di diventare cavaliere, dopo la
sua conversione divenne il più ardente promotore di pace e questo in un tempo in cui non solo il
"mondo" ma anche la Chiesa erano ricorsi alla violenza: si pensi, per esempio, alle crociate. Il
primo movimento francescano era noto come una "delegazione di pace" (cfr. 1 Cel 23). Francesco
sosteneva che la violenza dilettava i cuori dei demoni e, poiché vedeva la violenza come un segno
di possessione diabolica, fece fare una preghiera di esorcismo per liberare la città di Arezzo
dilaniata dalla guerra civile (cfr. 2 Cel 108). Francesco era convinto che il Signore stesso gli avesse
rivelato il saluto della pace. Nei suoi scritti i vizi contro cui mette maggiormente in guardia sono
quelli che distruggono la pace in se stessi e con gli altri: arroganza, avidità, superbia, vanità,
gelosia, calunnia, uno spirito che non perdona. Sul letto di morte Francesco riconciliò due acerrimi
nemici, il vescovo e il podestà di Assisi. Egli fu un operatore di pace fino alla fine; anche la morte
fu un momento vero e proprio di riconciliazione e di pace. Lo "spirito di Assisi" è uno spirito di
pace e così, quando il papa Giovanni Paolo II volle radunare insieme i capi religiosi del mondo per
pregare per la pace, li invitò ad Assisi.
San Francesco parla a noi oggi proprio come esortava i suoi primi seguaci: "La pace che annunziate
con la bocca, abbiatela ancor più copiosa nei vostri cuori. Non provocate nessuno all'ira o allo
scandalo, ma tutti siano attirati alla pace, alla bontà, alla concordia dalla vostra mitezza. Questa è la
nostra vocazione: curare le ferite, fasciare le fratture, richiamare gli smarriti" (3 Comp 58).
Il Vaticano II ci ricorda che per compiere la nostra missione dobbiamo leggere i "segni dei tempi". I
"segni dei tempi" possono anche essere chiamati "segni dello Spirito", poiché indicano i vari modi
in cui lo Spirito di Dio è presente e attivo nel mondo e nella Chiesa, innalzando la nostra coscienza
a nuovi livelli di consapevolezza. Il movimento ecologico è uno dei segni del nostro tempo. Un
numero sempre maggiore di persone considera le ansie degli ecologisti una questione di giustizia di
base verso le future generazioni e trova facile essere d'accordo con il giudizio di papa Giovanni
Paolo II: "La crisi ecologica è un problema morale" (Messaggio dell'8 dicembre 1989).
Un eminente scienziato, membro della Pontificia Accademia delle Scienze, sostiene che "noi
abbiamo violato la fiducia della Genesi. Ci siamo fatti trasportare dal concetto di dominio e di
asservimento e abbiamo perso il concetto di cura". Egli afferma che "il modo in cui trattiamo il
mondo non è sostenibile. Continuare ad eludere il nostro chiaro dovere in ciò che spesso sembra
niente di più che una ricerca inesorabile della prosperità materiale, deve alla fine risultare
inaccettabile a qualunque persona morale". Il consumo eccessivo e lo spreco, specialmente nei paesi
ricchi, sono le principali cause della distruzione ambientale. Questo deve richiamarci a una seria
conversione.
Se come francescani non abbiamo la competenza scientifica necessaria per risolvere la crisi
ecologica, abbiamo però una visione francescana di rispetto per tutta la creazione e questo
atteggiamento è la chiave per risolvere la crisi ecologica. Per questa ragione molti scienziati oggi
propongono una collaborazione tra religione e scienza, cosicché il movimento ecologico possa
avere "un'anima".
San Bonaventura mirabilmente esprime la visione mistica che Francesco aveva del creato: "Per
trarre da ogni cosa incitamento ad amare Dio, esultava per tutte quante le opere delle mani del
Signore e, da quello spettacolo di gioia, risaliva alla Causa e Ragione che tutto fa vivere.
Contemplava, nelle cose belle, il Bellissimo e, seguendo le orme impresse nelle creature, inseguiva
dovunque il Diletto. Di tutte le cose si faceva una scala per salire ad afferrare Colui che è tutto
desiderabile" (LegM 9,1). In una semplice frase Bonaventura sintetizza la visione di Francesco ed
anche la propria: "Ogni creatura è una parola di Dio, poiché essa parla di Dio" (Comment. in
Eccles.). Per ovvie ragioni papa Giovanni Paolo II ha dichiarato san Francesco patrono di coloro
che si dedicano alle questioni ecologiche nella sua lettera Inter Sanctos Praeclarosque Viros (29
novembre 1979). La sonora sfida di papa Giovanni Paolo II può convenientemente chiudere questa
sezione: "Ancora una volta gridiamo forte: rispettate l'uomo. Egli è l'immagine di Dio!
Evangelizzate, perché ciò diventi una realtà. Affinché il Signore trasformi i cuori e umanizzi i
sistemi politici ed economici" (Puebla 1979).
Le nostre CC.GG. (art. 126ss.) ci ricordano che tutti i frati sono in formazione. La distinzione non è
tra frati "in formazione" e frati "fuori formazione", ma tra quelli in formazione iniziale (dal giorno
in cui uno è accolto come candidato fino al giorno della professione solenne) e quelli in formazione
permanente (dal giorno della professione solenne fino alla morte). La formazione permanente è
vista come "itinerario di tutta la vita" (itinerarium totius vitae) (art. 135). In questo senso, la nostra
formazione permanente è strettamente collegata alla continua conversione della nostra vita di
"penitenti" (3 Comp 37). Siamo incoraggiati ad essere come san Francesco, descritto sia da
Tommaso da Celano che da Bonaventura come "sempre nuovo", "che ricomincia sempre", semper
novus, semper inchoans (cfr. Analecta Franciscana X, pp. 80; 222; 366; 577; 621). Francesco
continua ad incoraggiarci, come quando vicino alla morte incoraggiò i suoi primi seguaci:
"Cominciamo, fratelli, a servire il Signore Iddio, perché finora abbiamo fatto poco o nessun
profitto!" (1 Cel 103). La nostra visione francescana può affievolirsi sempre più proprio come un
fuoco che può essere gradualmente estinto, se non è continuamente ravvivato. Così san Paolo
esortava Timoteo: "ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te" (2 Tm 1,6). Se il dono _ nel
nostro caso la visione di san Francesco del vivere evangelico radicale _ non è tenuto caro e nutrito,
esso può essere perso. Abbiamo due opzioni: la crescita o il declino; il progresso o la stasi. La
permanente formazione/conversione è la strada del progresso e della crescita.
Questa visione della formazione permanente come un processo che dura tutta la vita è confermata
da papa Giovanni Paolo II: "Ogni vita è un cammino incessante verso la maturità, e questa passa
attraverso la continua formazione. [...] non c'è professione o impegno che non esiga un continuo
aggiornamento, se vuole essere attuale ed efficace" (Pastores dabo vobis, 70). Per questa ragione la
formazione permanente oggi "risulta essere particolarmente urgente, non solo per il rapido mutarsi
delle condizioni sociali e culturali degli uomini e dei popoli entro cui si svolge il ministero
presbiterale, ma anche per quella 'nuova evangelizzazione' che costituisce il compito essenziale e
indilazionabile della Chiesa alla fine del secondo millennio (ibid.)".
"La nuova evangelizzazione ha bisogno di nuovi evangelizzatori" (ibid., 82). Come evidenziato in
precedenza, questa «nuova evangelizzazione» _ che anche noi dobbiamo vedere come nostro
"compito essenziale e indilazionabile" _ "deve annoverare tra le sue componenti essenziali
l'annuncio della dottrina sociale della Chiesa" (Centesimus Annus, 5). Non possiamo proclamare
tale dottrina se non la conosciamo; lo studio e la riflessione sull'insegnamento sociale della Chiesa è
un elemento nodale nella nostra formazione permanente (cfr. CC.GG. 96). Tale insegnamento, una
vera e propria chiamata alla conversione, fu enunciato per la Chiesa universale dal Vaticano II,
specialmente nella costituzione pastorale Gaudium et Spes, e in numerose encicliche papali. Le
conferenze episcopali hanno fornito un servizio estremamente prezioso applicando l'insegnamento
sociale universale alle condizioni dei propri continenti e paesi. I più importanti tra questi sforzi sono
stati gli incontri della Conferenza dei Vescovi Latino-Americani (CELAM) e specialmente la
CELAM II (tenutasi a Medellín nel 1973).
Medellín ha introdotto una nuova vitalità in molta parte della Chiesa latino-americana, dandole una
nuova direzione: l'"opzione preferenziale per i poveri". Un modo di "essere chiesa" vecchio di
cinque secoli in America Latina (alleata delle oligarchie e delle classi dominanti, anche quando
predicava "la carità" ai poveri) morì a Medellín e nacque un modo nuovo, più evangelico. Per la
Chiesa di un intero continente, Medellín è un magnifico esempio della continua formazione e
conversione, e perciò costituisce una grazia non solo per l'America Latina, ma anche per la Chiesa
universale. (In modo interessante, nel suo messaggio al popolo dell'America Latina, Medellín coniò
il termine «nuova evangelizzazione», usato innumerevoli volte da allora, specialmente da papa
Giovanni Paolo II). Una significativa lezione che possiamo imparare da Medellín, specialmente per
la formazione permanente nei problemi della giustizia, della pace e dell'ecologia, è l'importanza
dell'esperienza. A quella conferenza i vescovi latino-americani usarono il metodo induttivo: essi
cominciarono non con uno studio di dottrine astratte, ma con un'analisi dell'esperienza vissuta da
milioni di poveri dell'America Latina. Essi fecero proprie le parole del Vaticano II: "Le gioie e le
speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che
soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo" (GS 1).
Anche san Francesco fu convertito non dalla lettura di libri sui lebbrosi, ma dalla sua esperienza
dell'andare tra i lebbrosi e servirli (cfr. 2 Test 2). Fu quella esperienza vissuta che lo condusse a
ridefinire ciò che per lui era amaro e ciò che era dolce. Egli volle che i suoi frati avessero una simile
esperienza e una simile conversione. I frati "devono essere lieti quando vivono tra persone di poco
conto e disprezzate, tra poveri e deboli, tra infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada"
(Rnb 9,2). Leggere libri e articoli e presenziare alle conferenze sulla povertà, la fame, i senza tetto,
la piaga della violenza e la distruzione dell'ambiente può essere utile e anche necessario. Dobbiamo
essere bene informati per dedicarci a questi temi con competenza. Tuttavia, l'esperienza di
condividere la vita dei poveri e di lavorare con altri impegnati in una soluzione cristiana della
povertà disumanizzante, della violenza e della distruzione dell'ambiente è di importanza anche più
grande per la nostra continua conversione e formazione. "L'uomo contemporaneo crede più ai
testimoni che ai maestri, più all'esperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle teorie"
(Redemptoris Missio, 42).
Tutti i frati dovrebbero fare esperienza, almeno occasionalmente, del diretto coinvolgimento nelle
attività dedicate ai temi della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato. Un felice risultato
di questa esperienza potrebbe certo essere quello di iniziare ad attribuire più importanza a queste
istanze in ogni nostro ministero, qualunque esso sia. Possiamo così accrescere la consapevolezza
delle persone che serviamo, incoraggiando in tal modo la loro continua conversione, cosicché,
insieme, possiamo più efficacemente promuovere il regno di Dio sulla terra. Ciò è particolarmente
importante nel nostro servizio per la gioventù, poiché con la loro energia e il loro entusiasmo i
giovani sono chiamati a dare il loro contributo unico e necessario a promuovere i valori del regno.
Preparati nell'analisi socio-culturale, i giovani potranno meglio comprendere le cause profonde dei
mali sociali che affliggono il nostro mondo e dedicare le loro energie ad eliminarli. Mentre
l'istruzione a risolvere pacificamente i conflitti è benefica per tutti, lo è specialmente per i giovani,
che sono così spesso vittime della violenza e facilmente tentati di fare ricorso ad essa. Nel
sommario proponiamo tre momenti:
3. Sommario
Preghiera
Benché i temi della giustizia, della pace e dell'ecologia siano spesso considerati come interessi
"secolari" (e interessino molti sinceri umanisti secolari), noi li affrontiamo come uomini di fede. La
riflessione religiosa sui testi della Bibbia che riguardano questi temi è di primaria importanza,
poiché noi cerchiamo soprattutto di scoprire e compiere il piano di Dio per il creato. La preghiera
allo Spirito Santo è particolarmente necessaria, perché lo Spirito è sempre l'agente principale in
tutta l'opera di evangelizzazione. Nella Costituzione sulla Sacra Liturgia (35,4), il Vaticano II
raccomandava le solenni celebrazioni della Parola di Dio, dette anche veglie bibliche. Le nostre
CC.GG. (art. 22,2) raccomandano lo stesso, sia nelle nostre fraternità che con la gente. Tali
celebrazioni sulla giustizia, la pace e la salvaguardia del creato potrebbero essere facilmente
compilate usando i testi biblici del lezionario relativi alla Messa per la giustizia e la pace. In
aggiunta a quelli biblici, molti testi francescani, sia antichi sia moderni, riguardano questi temi.
Mentre non vi sono equivalenti messe votive per l'ecologia, potrebbero facilmente essere trovati
molti testi biblici inerenti al tema, p.e.: Gen 1; 2,4-7.15; 9,8-17; Lv 25,23-24; Sal 8; 65; 104; 147;
148; Gv 1,1-5; Rm 8,18-25; Col 1,15-23; Ap 21,1-5. Tra le varie fonti francescane, il Cantico di
frate Sole è particolarmente degno di nota.
Studio e riflessione
Nella sua lettera Tertio Millenio Adveniente (36), il Papa in modo provocatorio osserva: "C'è da
chiedersi quanti tra essi [i cristiani], conoscano a fondo e pratichino coerentemente le direttive della
dottrina sociale della Chiesa". Queste parole invitano noi, e in particolar modo i frati a cui è stato
affidato il ministero della predicazione o dell'insegnamento, a un serio esame di coscienza. Quanto
conosciamo noi stessi la tradizione cattolica sui pressanti temi della giustizia, della pace e della
salvaguardia del creato? Il nostro pensiero è veramente cattolico, cioè "pensiamo globalmente e
agiamo localmente"? Quanta importanza attribuiamo a quelle domande relative ai nostri ministeri?
Se le persone che serviamo attraverso il ministero ignorano in larga misura la tradizione sociale
cattolica, in gran parte la colpa è nostra. Noi dobbiamo ricordare che la «nuova evangelizzazione» _
così urgentemente e ripetutamente invocata da papa Giovanni Paolo II nel nuovo millennio _ "deve
annoverare tra le sue componenti essenziali l'annuncio della dottrina sociale della Chiesa"
(Centesimus Annus, 5). Questa dottrina, con i suoi principi di validità universale, deve "prendere
corpo" nelle situazioni concrete di ogni continente, paese e località. Queste applicazioni concrete
richiedono anche competenza, frutto di studio, riflessione e analisi socio-culturale. In questo
contesto dobbiamo enfatizzare l'importanza del ruolo dei laici, poiché la soluzione pratica dei
problemi negli ambiti della giustizia, della pace e dell'ecologia dipende quasi esclusivamente dalla
competenza e dalla buona volontà dei laici. La domanda per noi è: stiamo formando una coscienza
sociale cristiana nei laici che serviamo? La strada dei laici alla santità non passa attraverso una fuga
mundi monastica, ma attraverso il vivere nel mondo, dedicando se stessi al rinnovamento
dell'ordine temporale, cosicché esso possa corrispondere al progetto di Dio. Come sottolineava papa
Giovanni XXIII: "Non si deve creare un'artificiosa opposizione là dove non esiste, e cioè tra il
perfezionamento del proprio essere e la propria presenza attiva nel mondo, quasi che non si possa
perfezionare se stessi che cessando di svolgere attività temporali. [...] Risponde invece
perfettamente ai piani della Provvidenza che ognuno perfezioni se stesso attraverso il suo lavoro
quotidiano, che per la quasi totalità degli esseri umani è un lavoro a contenuto e finalità temporali "
(MM 232-233). Così lo stato laico è anche uno "stato di perfezione", vissuto nel mondo sforzandosi
di rinnovare l'ordine temporale. I laici sentono questo messaggio da noi?
Azione
Alcuni suggerimenti sono già stati dati, come lo studio e il prestare maggiore attenzione ai temi
della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato nei nostri compiti. Altre attività
dipenderanno in larga misura dalle condizioni locali e perciò sono meglio lasciate alle Conferenze
così come ai Capitoli Provinciali e ai singoli frati. I Capitoli hanno un ruolo importante: come la
nostra formazione permanente è sia personale che comunitaria (cfr. CC.GG. 135), così pure siamo
chiamati a rispondere ai pressanti bisogni del nostro tempo alla luce del Vangelo sia come individui
che come fraternità. Semplicemente rileviamo che, senza azione, lo studio e la riflessione
rimangono sterili.
Conclusione
Mentre ci prepariamo per quello che il papa Giovanni Paolo II chiama "Grande Giubileo dell'Anno
2000" (Tertio Millennio Adveniente, 17), noi Frati Minori ricordiamo con gratitudine che l'esempio
di san Francesco ha tanto da offrirci nell'incontro con le più pressanti sfide sociali del nostro tempo;
Francesco fu veramente il "padre dei poveri" (1 Cel 76), la cui prima fraternità fu conosciuta come
una "delegazione di pace" (cfr 1 Cel 23) e che considerava se stesso il fratello di tutto il creato (cfr.
Cant). Come figli affezionati di Francesco e della Chiesa, dobbiamo rispondere all'urgente richiesta
del Papa: ricordando che Gesù è venuto ad "evangelizzare i poveri" (cfr. Mt 11,5; Lc 7,22), come
non sottolineare più decisamente l'opzione preferenziale della Chiesa per i poveri e gli emarginati?
Si deve anzi dire che l'impegno per la giustizia e per la pace in un mondo come il nostro, segnato da
tanti conflitti e da intollerabili disuguaglianze sociali ed economiche, è un aspetto qualificante della
preparazione e della celebrazione del Giubileo. Così, nello spirito del Libro del Levitico (25,8-12), i
cristiani dovranno farsi voce di tutti i poveri del mondo (TMA 51).
Gesù chiese ai suoi seguaci l'impegno ad essere svegli, attenti a ciò che sta accadendo intorno a loro
e preparati ad agire. "Il regno di Dio è simile a un mercante che cerca la più bella di tutte le perle" e
quando la trova agisce risolutamente per averla. Il regno di Dio è paragonato alle vergini, che
mentre aspettano lo sposo stanno sveglie per mantenere accese le loro lampade, in modo da poter
vedere lo sposo quando si avvicina. "Il regno di Dio è simile a un servo che attende il ritorno del
suo padrone ... viene come un ladro nella notte. Voi non conoscete né il giorno né l'ora, perciò state
svegli e siate pronti".
Il discepolo sta sveglio e all'erta non per comprendere razionalmente il significato della vita, ma per
comportarsi nella vita come un servo illuminato e fedele. Gesù dice ai suoi seguaci che è venuto
perché noi "possiamo avere la vita e averla in abbondanza". Nelle parabole di Gesù troviamo che le
persone sono chiamate a partecipare con gli altri, per esempio ad essere una cosa sola con lo sposo
o ad essere al servizio, come nella parabola del servo che aspetta il padrone. La contemplazione
segue la strada della compassione: consapevolezza, azione e unione. La connessione tra questi stadi
è data dalla riflessione comunitaria o personale.
La persona che segue il Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo - così Francesco descrive la vita
francescana - non si ritira dalla società per preservare la propria vita ma la dona, cosicché noi
possiamo divenire una nuova creazione. Gesù ci indica l'impegno, l'azione e il cambiamento. Il
regno di Dio è paragonato al lievito che, sciolto nella farina, diventa qualcosa di nuovo e di utile per
altri, cioè pane per nutrire altri.
La storia del buon samaritano è una delle più semplici e delle più concise descrizioni dei movimenti
all'interno della contemplazione cristiana. Ciò che unisce il samaritano alla volontà di Dio è il suo
comportamento vigile e compassionevole. In questa parabola il sacerdote, perso nei suoi pensieri o
volendo mantenersi ritualmente puro non toccando una persona che sembra stia per morire, passa
accanto all'uomo ferito. Anche il levita, che conosce le leggi e i profeti, passa accanto alla vittima.
Il sacerdote e il levita sono assorbiti nel loro mondo interiore - probabilmente retto da buone
intenzioni -, protetto da consuetudini, norme e giudizi esteriori. Anche se vedono l'uomo sofferente,
essi hanno ragioni concrete, dettate da obblighi religiosi e legali, per schivare il suo dolore e la sua
miseria. Il samaritano si dimostra colui che, attento e conscio della situazione, vede e risponde. Egli
ha compreso il suo posto nel creato e agisce di conseguenza.
Ponte di compassione, la cura fisica dell'uomo ferito da parte del samaritano fu una risposta attiva
nell'amore. La sua risposta saldò l'unione di tre volontà: quella del samaritano, quella dell'uomo
ferito e quella di Dio. Frequentemente l'azione di compassione si unisce alle preoccupazioni della
missione o agli imprevisti, e solo più tardi, riflettendo, comprendiamo che stavamo partecipando
alla vita e all'attività di Dio.
Gesù e Francesco ebbero ciascuno momenti di preghiera personale e solitaria quando erano
"lontano in un luogo tranquillo". Noi conosciamo poco di questi momenti privati. Le Scritture e le
biografie di Francesco contengono molte storie di Gesù e Francesco in diretto contatto con Dio,
mentre interagivano con la gente e il creato. Gesù ebbe il suo più significativo e diretto contatto con
Dio non in sogno ma sul fiume Giordano, dove stava in mezzo ad una folla di persone davanti a
Giovanni il Battista. Egli andò nel deserto per comprendere più chiaramente la sua esperienza al
fiume; non vi andò per ritrovare la visione là avuta. Gesù faceva regolarmente esperienza
dell'unione diretta con Dio, quando era in presenza di un'altra persona che era nel bisogno e aveva
fede. Sentiva la potenza di Dio passare fisicamente attraverso di lui nella guarigione dei malati; a un
suo comando la tempesta era sedata e il fico seccato. Questi momenti di consapevole relazione e
unione con Dio, essendo in un luogo sacro, erano "contemplazione nell'azione". Vi sono molte
storie di Francesco che descrivono la pazza gioia in Dio del santo in mezzo alla gente e al creato
(Greccio; Cantico delle creature; predica agli uccelli). Gesù si ritirò nel deserto e Francesco sulle
montagne: qui ciascuno di loro raggiunse una profonda comprensione di chi stava interagendo con
loro nella loro vita.
Per i nostri antenati nella fede, gli Ebrei, la giustizia era restituzione, non punizione. Un giudice
compiva un atto di giustizia restituendo ciò che era stato sottratto o rotto. Occasionalmente egli
poteva imprigionare una persona finché ogni cosa non fosse stata ripagata. Nella Bibbia, i libri della
Genesi e dell'Apocalisse vedono il piano originale di Dio per il creato e per l'umanità e la sua
restituzione simbolizzati dal giardino dell'Eden e dalla nuova Gerusalemme. Giustizia è lavorare
perché il regno di Dio "possa venire sulla terra come esso è in cielo" così che l'umanità viva
pacificamente e consapevolmente alla presenza di Dio.
Fedeli a Francesco e alla nostra tradizione, noi dovremmo evitare di creare una falsa dicotomia fra
la contemplazione e il lavoro per la giustizia, che conduce a una visione dualistica della vita.
Ognuno di noi, chiamato da Dio ad essere un fratello più piccolo, un frate minore, ha la
responsabilità di essere attento a ciò che accade attorno a noi, sviluppando un modello abituale di
osservazione e di pronta disponibilità a unirsi a Dio nel compito amoroso della restituzione. "I Frati
Minori, inseriti nel popolo di Dio, [siano] attenti ai nuovi segni dei tempi e in sintonia con un
mondo in continua evoluzione" (CC.GG. 4,1). La meditazione accompagnata dalla preghiera
assicura, identifica e rafforza l'esperienza dell'azione salvifica di Dio. Essa ci ricorda che Dio non
vive fuori dalla nostra storia, ma all'interno di essa. Abbiamo bisogno di tempo per lasciare la
nostra attività, per capire che cosa sta accadendo e per incorporarci più generosamente nell'azione
di Dio intorno a noi.
Il discernimento ci aiuta a capire dove lo Spirito conduce la nostra comunità. I nostri progetti, le
strutture di cui disponiamo, i legami e la collaborazione che abbiamo con altre persone e
organizzazioni di buona volontà dovrebbero indurci a divenire più attenti a ciò che accade nella
nostra società, quindi ad abbracciare la realtà _ anche le parti che ci preme di evitare _ e ad unirci a
Dio dove Dio vive e opera. Nelle nostre strutture, nei nostri Capitoli, nelle nostre attività, nella
nostra vita in comune dobbiamo essere uniti a Dio, cosicché il suo "regno venga sulla terra come è
nei cieli".
La Ratio Formationis, approvata nel 1991, è il documento orientativo della formazione sia iniziale
che permanente per l'intero Ordine. Essa è una risposta alla convinzione che "la formazione dei
membri nella fedeltà alle origini del proprio carisma e ai segni dei tempi è la prima sfida che si
pone alle Province ed è anche la premessa irrinunciabile per il rinnovamento dell'Ordine"
(Presentazione). Al fine di aiutare le Province e tutti i frati a rispondere a tale sfida, questo
documento ha cercato di raccogliere e applicare alla formazione i frutti della riflessione sul
rinnovamento in questo campo avvenuta dal Capitolo Generale del 1967 in poi. A tale riflessione fu
data forma e struttura specialmente nelle CC.GG. del 1987, sebbene si trovasse anche nei Capitoli
Generali di Medellín nel 1971 e di Madrid nel 1973 e nel Consiglio Plenario del 1981, ognuno dei
quali aveva proprio la formazione come tema centrale.
Negli incontri dei maestri dei novizi nel 1988 e dei maestri dei professi temporanei vi erano chiari
segni del bisogno di uno strumento per la formazione che offrisse dei principi condivisi e delle
linee-guida comuni per tutto l'Ordine.
Frutto di tutto ciò è la Ratio Formationis, che è un documento orientativo e ispirazionale piuttosto
che giuridico.
I. LA VOCAZIONE EVANGELICA DEL FRATE MINORE: inizia con l'art. 1 delle CC.GG.
e raccoglie le caratteristiche principali del carisma francescano come sviluppato nei primi cinque
capitoli delle CC.GG.
La Ratio corrisponde strettamente alle CC.GG. Essa contiene ottanta citazioni esplicite di esse,
senza contare quelle nell'appendice. La sua influenza è visibile anche in ciò che concerne la
giustizia e la pace; fa anche molti riferimenti al documento di Medellín sulla formazione (nove
riferimenti senza contare quelli dell'appendice).
La domanda di giustizia e pace è presente nella Ratio in modo così evidente da meritare di essere
oggetto di studio? Senza dubbio le persone che si avvicinano a questo documento dalla prospettiva
di GPSC diranno che lo è. Non solo gli elementi chiave basilari di giustizia e pace sono presenti, ma
essi costituiscono anche le prospettive sottostanti a tutti i principali aspetti della formazione.
Ciò detto, dobbiamo riconoscere che non sarebbe realistico chiedere di più a un documento come
questo che comincia ad offrire delle linee-guida generali per l'intero Ordine in tutta la sua pluralità e
complessità. In altre parole non è compito di un documento di questa natura offrire istruzioni
pedagogiche concrete, ma piuttosto offrire principi ispirazionali, orizzonti raggiungibili e criteri per
il giudizio.
c) Il mio scopo
Non sto per leggere la Ratio o per presentarla riga per riga, né sto per entrare nei suoi aspetti
pedagogici. Cercherò semplicemente di raccogliere le affermazioni che mi sembrano di importanza
basilare, mettendo in evidenza alcuni commenti e abbozzando alcune riflessioni più profonde.
Sistemerò queste affermazioni in tre sezioni: alcuni principi di spiritualità, alcuni obiettivi per la
formazione e alcuni luoghi, istanze o significati formativi.
Sono consapevole del fatto che così facendo sono fermo a un livello che è troppo astratto e vago,
quasi banale e per questo mi affretto a chiedere scusa.
La sequela di Gesù è una delle dimensioni a cui più spesso si allude nella Ratio, soprattutto nella
prima parte; essa usa i termini "seguire" e "sequela" più di venti volte (nn. 1; 3; 5; 6; 8; 9; 10; 11;
12; 16; 20; 30; 35; 36; 41; 44; 56,3a; 132; 141). Il frate in formazione è, soprattutto, un "discepolo"
(1; 5; 26), chiamato a seguire "le orme di Cristo" (1; 17), più precisamente a "testimoniare al mondo
il Cristo povero ed umile" (24), il "Cristo povero e crocifisso" (1; 15; 29; 36), il "Cristo povero,
umile e crocifisso" (17; 57). Questa è l'identità del frate in formazione. Questa è la prospettiva e
l'orizzonte della formazione.
Io credo che qui ci venga data la chiave di una formazione alla giustizia e alla pace. La sequela di
Gesù è ciò che dà fondamento e significato alla causa della giustizia e della pace, nel cui ambito
rientra il compito del frate minore. La prima cosa, quindi, che la formazione deve cercare di fare è
rendere seguaci, discepoli di Gesù. Nella prospettiva francescana, formare alla giustizia e alla pace
significa promuovere la formazione alla sequela e per la sequela di Gesù.
Che cosa esige dunque la formazione nella prospettiva di essere un seguace? Esige qualcosa che va
oltre l'apprendimento di principi, idee e valori correlati alla giustizia e alla pace. Essa ha a che fare
con la sequela attiva e personale di colui che è sia giusto che pacifico. Solo la sequela forma e
modella, non la semplice preparazione ideologica, né la pratica sostenuta dalla forza di volontà, né
tanto meno l'imitazione superficiale. Diversamente, la causa della giustizia e della pace corre il
rischio di cadere nell'ideologia o nel volontarismo. Essa non è solo l'iniziativa di un frate, ma
piuttosto la continuazione della missione di Gesù. Non è semplicemente un programma di attività.
Essa è invece soprattutto identificazione personale con il Crocifisso risorto nella solidarietà con tutti
coloro che sono stati crocifissi insieme con le loro speranze e le loro disperazioni.
Il frate in formazione deve familiarizzare il suo cuore e il suo sguardo con il volto e i tanti altri volti
del Crocifisso. In ciò sta il modo evangelico e francescano di riconoscere la presenza di Dio nel
mondo. Questo sguardo è un fondamentale principio di spiritualità essendo anche obiettivo e mezzo
della formazione: lo scopo della formazione è di aiutare a sviluppare questo sguardo perché è
questo sguardo che forma il frate. Per il frate minore, che è un seguace di Cristo e un credente, non
è semplicemente il problema di guardare al mondo dalla prospettiva del povero; è anche il problema
di scorgere la presenza di Dio nel mondo e nel povero. E quello è il modo di "essere vero" (J.
Sobrino), il modo di essere fedeli alla realtà del mondo come pure a quella di Dio, perché Dio è
definito come colui che vede la miseria, ascolta il grido e conosce le sofferenze delle vittime (cfr.
Es 3,7).
L'uomo contemporaneo non chiede chi è Dio o se Dio esiste, ma dove è Dio. Dove è Dio ad
Auschwitz, nel Salvador, in Ruanda. Dio è sempre "fuori città", con quelli che sono fuori, crocifisso
con i crocifissi. Il Dio che vede e preferisce le vittime ci guarda dal volto delle vittime e desidera
essere visto in loro. L'ingiustizia che crea vittime nasconde drammaticamente Dio, ma, in un mondo
in cui vi sono vittime, Dio non vuole essere cercato e trovato se non in loro. Non si tratta
semplicemente di credere in Dio, ma di "credere in Dio a partire dalle (dalla realtà delle) vittime"
(J. Sobrino). Ne consegue allora che la vicinanza alle vittime e l'opzione in favore di esse, in altre
parole l'opzione per la giustizia e la pace, è l'"opportunità cristiana per l'esperienza di Dio".
La spiritualità cristiana non consiste nell'acquisire la certezza che Dio esiste o la conoscenza della
natura di Dio; consiste piuttosto nella profonda ed esistenziale esperienza che Dio ha una preferenza
per i poveri. Similmente la questione della formazione non consiste tanto nel prepararsi a provare al
mondo di oggi che Dio esiste, quanto nel prepararsi con il cuore, la mente e tutta l'esistenza ad
essere capaci "di dire che Dio ama il povero" (G. Gutierrez).
3. Una spiritualità incarnata e pratica
La Ratio afferma che "i frati minori s'incarnano nelle situazioni concrete del popolo in cui vivono,
vi scoprono i diversi volti di Cristo" (33). Secondo la famosa espressione di D. Bonhöffer, "Cristo
adottò l'uomo al centro della vita", non all'estremità, ma nel cuore del mondo e della vita, non in
quieti spazi aperti, ma nella lotta contro l'ingiustizia e nell'impegno per la pace.
La formazione nello spirito di giustizia e pace è animata e sostenuta da una spiritualità che è
radicata nella vita con tutta la confusione di ingiustizia e conflitto, di speranze e progetti.
Abbiamo qui un criterio che è decisivo per la formazione umana e spirituale. Se Dio si è incarnato
proprio nel cuore della nostra vita, allora solo dal cuore della vita, del mondo, dell'umanità
possiamo continuare l'esperienza trasformante dell'incontro con Dio. Questo è ciò di cui si occupa
la spiritualità: una spiritualità incarnata, attenta alla realtà del luogo in cui Dio si manifesta e lo si
può incontrare; non una spiritualità intimista, ma aperta agli altri; non una spiritualità preoccupata
di sé, ma consapevole degli altri. Non una spiritualità di fuga, ma di impegno; non una spiritualità
quietistica o centrata sull'io, ma coinvolta e attiva; non spiritualistica, ma spirituale e alimentata
dallo Spirito che vivifica e trasforma; una spiritualità che è tanto più personale nella misura in cui è
coinvolta nella società ed è più profonda e più interiore nella misura in cui è più aperta verso
l'esterno e a partire dall'esterno.
Tutto questo richiede un legame tra spiritualità e pratica quotidiana di vita. Ciò non al fine di
perdere il contenuto della spiritualità nell'attività, ma di farne un principio e una fonte di
trasformazione. Ciò che la Ratio dice della formazione in generale è valido anche per la spiritualità:
essa è "esperienziale, cioè è attenta alla vita e ai doni di ogni persona, favorisce l'esperienza
concreta dello stile proprio e dei valori francescani nel quotidiano" (47); ed è "pratica in quanto
mira a trasformare in opere ciò che si impara" (48). Insiste sul bisogno di formazione che deriva
dalla vita e dall'esperienza concreta sia in relazione ai postulanti (cfr. 128,3) sia in relazione ai
novizi (cfr. 142), ai professi temporanei (cfr. 153) e a coloro che si stanno preparando a ricevere un
ministero (cfr. 175; 177). Le mere dottrine e la mera identificazione ideale non formano. La
formazione deriva dal contatto con la realtà, illuminata e vissuta nella fede. È una spiritualità che
deriva dal profondo della realtà che ci rende servi che ammirano la vita in tutte le sue forme,
soprattutto le forme che sono più minacciate.
Questo concetto è espresso bene nella Ratio in un breve articolo che si riferisce al noviziato, ma che
è applicabile a tutti gli stadi della formazione: "Il novizio sviluppi le capacità per conoscere,
giudicare criticamente e partecipare alla realtà nella prospettiva francescana" (143). Che cos'è la
prospettiva francescana? Senza dubbio quella preferita da Gesù e da Francesco, quella priva in
questo mondo di un avvocato o di un alleato. Come tutte le prospettive è parziale, ma è la parzialità
di Dio che Gesù fece diventare la buona novella e Francesco una forma di vita. "Conoscere",
"giudicare criticamente", "partecipare alla realtà" da quella prospettiva: questo è l'obiettivo della
formazione francescana.
Il modo in cui vediamo, conosciamo e giudichiamo la realtà è importante. È vero che viviamo in
tempi di radicale incertezza, di generale diso-rientamento e istintivamente dubitiamo dei giudizi
globali sulla realtà. Ciò, tuttavia, potrebbe anche divenire una tentazione; la tentazione di rinunciare
a qualsiasi tipo di giudizio. È vero che viviamo in una "galassia di complessità" (J. Garcia Roca),
perciò dobbiamo evitare la semplificazione e non desiderare di ritornare a certezze dogmatiche, a
dottrine ideologiche o sistemi onnicomprensivi. Nello stesso tempo è imperativo per il frate minore
impegnarsi ad avere - come si dice nella Ratio - "uno sguardo critico sulla società e sul mondo"
(162); formarsi "nella sensibilità verso la realtà per vedere i problemi e comprendere le cause di
essi" (180); e, ancora di più, acquisire "la visione francescana del mondo e dell'uomo", sviluppando
un equilibrato giudizio critico circa gli eventi" (32). Ovviamente un "equilibrato giudizio" non è un
giudizio imparziale o neutrale che consciamente o inconsciamente ratifica e supporta situazioni di
ingiustizia; è, piuttosto, un giudizio animato dalla chiarezza e dalla parzialità del Vangelo. La Ratio
dice anche che la formazione deve cercare di fornire ai frati la capacità di leggere i segni dei tempi,
e il grande segno dei tempi è il crescente abisso tra la ricchezza di una minoranza e la miseria di una
maggioranza. La formazione cerca di creare e di approfondire una visione lucida e critica del
mondo nel frate minore; non una visione neutrale ma una visione che è parziale dalla prospettiva
del povero; una visione che guarda a Dio nel mondo e guarda al mondo con gli occhi di Dio.
Dobbiamo anche comprendere questi obiettivi in modo simile a ciò che la Ratio indica per gli studi
teologici del frate minore, cioè "confrontare la sua fede con i problemi del mondo contemporaneo;
... illuminare e promuovere una 'pratica' personale e sociale della fede" (165); rendere possibile una
"comprensione del mondo contemporaneo e della persona umana" (151). Noi non capiremo il
mondo moderno e l'essere umano all'interno di esso se non nella misura in cui comprendiamo che la
miseria e la fame sono tanto più ingiuste quanto più sono evitabili. Di fronte all'ingiustizia non vi è
posto per una teologia imparziale.
In questo senso è valido prendere nota di alcune caratteristiche che la teologia dovrebbe possedere
secondo i nn. 166-167: "una teologia associata alla preghiera; una teologia vicina alla vita, rivolta
all'azione concreta" (166); "una teologia della Creazione, che nutra la lode del Creatore, insegni agli
uomini il rispetto del creato, porti una luce di fede ai problemi ecologici del nostro tempo; una
teologia e una cristologia che attualizzino la salvezza e la liberazione di Dio in risposta agli appelli
e alle necessità dei poveri di oggi; una teologia che orienti verso il rispetto della persona e dei suoi
diritti; una teologia che miri alla costruzione di un mondo fraterno (giustizia, pace, ecumenismo)
(cfr. MedF 59); una teologia che sia ancorata ad una visione escatologica e trovi in essa la forza per
un impegno quotidiano" (167).
L. Feuerbach giudicò correttamente che "la sofferenza precede il pensiero". In effetti solo ciò che è
sofferto è conosciuto o, più esattamente, ciò che è sofferto insieme. Il nostro mondo ha più che mai
bisogno di "una ragione compassionevole" (J. Sobrino). In questo senso ho dichiarato in precedenza
che noi arriviamo a conoscere il mondo d'oggi solo quando prendiamo su di noi il dolore dei poveri.
Ma dobbiamo anche dichiarare l'opposto: la conoscenza deve anche portare con sé la compassione,
"farsi carico e sostenere" (I. Ellacuría) la sofferenza di quella "popolazione in eccesso", una
maggioranza che cresce ogni giorno sul nostro pianeta.
Nel vocabolario francescano questa compassione è chiamata minorità. La Ratio, citando Francesco
e le CC.GG., ricorda che i frati sono stati chiamati a vivere "come minori tra i poveri e i deboli"
(art. 10; cfr. Rnb 9,2), a vivere "in povertà, umiltà e mansuetudine, tra i più piccoli, senza potere né
privilegio", vivendo ognuno "come pellegrino e forestiero [...] fratello e soggetto ad ogni creatura"
(22); i frati minori imitano Francesco "scegliendo la vita e la condizione dei poveri, si identificano
con essi, servono gli oppressi, gli afflitti e i malati, e si fanno evangelizzare da loro"; i frati facciano
"una opzione esplicita per i poveri diventando la voce di coloro che non hanno voce, come
strumento di giustizia e di pace" (25). In particolare la Ratio ci ricorda che la formazione deve
garantire che i frati scelgano e si dedichino al lavoro "in spirito [...] di minorità, semplicità e
condivisione, soprattutto con i piccoli e i poveri di questo mondo" (159). E proprio come l'amore è
reale solo quando è concreto, ed è concreto solo quando è esercitato con i più vicini, la compassione
verso quelli di poco conto e l'opzione del povero deve cominciare e deve esprimersi in primo luogo
nella fraternità, in relazione con i frati della fraternità che sono maggiormente nel bisogno. A questo
proposito la Ratio dice, parlando del noviziato, che "rispetto e cura per i frati anziani, malati e
deboli" (144) della fraternità costituiscono uno dei criteri per discernere l'idoneità del novizio alla
prima professione.
Ma per essere evangelici e francescani, l'opzione per il povero deve prendere il suo impulso non da
motivazioni di ordine morale né da convinzioni ideologiche, ma da una compassione che emana dal
cuore, raggiungendo e trasformando l'intera persona. Allora tale scelta diviene un'esperienza di
grazia e può essere vissuta autenticamente come un'espressione di amore gratuito: "fu cambiato per
me in dolcezza dell'anima e del corpo". Invero "esiste una forma di amore della giustizia che soffre
della minaccia di non amare la gente".
Queste sono dunque le preferenze essenziali della mente e del cuore, che la formazione dovrebbe
stimolare e rinforzare nei frati. Per realizzarle è indispensabile stabilire una pedagogia che sia
concreta, operativa, coerente e parte di un processo che, evidentemente, la Ratio non può offrire.
Come possiamo essere sicuri che i criteri di giudizio e le scelte pratiche dei frati in formazione
stanno prendendo forma dalla compassione-minorità? Come possiamo accingerci a purificare e
rendere autentiche le idealizzazioni del tutto superficiali di molti candidati?
Come possiamo sostituire le opinioni e le abitudini proprie dei più privilegiati nel nostro mondo,
rimpiazzandole con le preferenze di Gesù e Francesco? Come possono queste preferenze essere
motivate e spiritualmente consolidate, soprattutto partendo dal noviziato? Come possiamo offrire
durante i voti temporanei livelli di esperienza e incontro reale con persone molto povere, cosicché
questa scelta possa continuare a mettere radici nella vita di tutti i giorni? Queste sono questioni
vitali per i formatori e per coloro che sono in formazione. Altrimenti giustizia e pace corrono il
rischio di essere ridotte, come così spesso accade, a un vago desiderio o a una formula vuota.
3. Azione in favore della Giustizia nella Pace e in favore della Pace nella Giustizia
L'azione per la giustizia e l'azione per la pace sono inseparabili e coincidono. Rappresentano un
unico obiettivo e nella formazione è impossibile separarle. Il frate minore, dice la Ratio, "opera per
la giustizia e la pace, e rispetta la creazione" (21); egli deve convertirsi in uno "strumento di
giustizia e di pace" (25; 32), in un "messaggero della giustizia, della pace e della riconciliazione"
(180a). Ciò costituisce l'obiettivo della formazione francescana ed il suo stesso parametro. Una
"ricerca della giustizia e della pace" (56,2b) figura tra i principi specifici della crescita cristiana per
coloro che sono in formazione; il "senso di giustizia, pace e rispetto del creato" (156) è presentato
tra i criteri per l'idoneità alla professione solenne. L'efficacia "nell'impegno di trasformare la società
nel senso della giustizia, della pace e del rispetto alla creazione" (162) è inclusa fra gli obiettivi
della formazione in generale. Riassumendo, la giustizia e la pace insieme con il rispetto del creato
formano un principio, un criterio e un obiettivo della formazione. In linea con la Ratio vediamo di
essere più specifici.
Per quanto riguarda l'azione in favore della giustizia, nel grado in cui gli emarginati e i "vulnerabili"
nel nostro mondo e nella nostra società sono vittime dell'ingiustizia, la compassione per loro deve
essere cambiata in azione contro l'ingiustizia e in azione in favore della giustizia. La Ratio
sottolinea: "Il frate minore si rende sensibile e lavora per eliminare ogni forma di ingiustizia e le
strutture disumanizzanti nel mondo" (25); e: "Il frate minore [...] è pronto a denunciare con vigore
tutto ciò che è contrario alla dignità umana" (34). Anche tale elemento appartiene all'obiettivo
essenziale della formazione, né la Ratio omette di indicare una linea di azione per la giustizia che
dovrebbe sempre essere ricordata e messa in pratica, cioè che è importante che il frate minore "curi
i destinatari della carità, perché diventino protagonisti della loro promozione umana e della loro
liberazione".
Perciò il lavoro per la giustizia è inseparabile dal lavoro per la pace, proprio come il lavoro per la
pace è inseparabile dal lavoro per la giustizia. Se "giustizia è il nome della pace" (Paolo VI), pace è
il nome della giustizia pienamente realizzata. La Ratio insiste nella prima parte che il frate minore è
chiamato ad essere un "uomo di pace" (28) e un "messaggero di riconciliazione e di pace" (3), a
vivere come una persona "riconciliata e pacifica" (22); "come araldo della pace, la porta nel cuore e
la propone agli altri" (34; cfr. CC.GG. 68,2). Un "impegno di riconciliazione e di perdono" (56, 3c)
dovrebbe distinguere la crescita di una persona in formazione francescana e uno "spirito di
misericordia e di riconciliazione" (156) è un criterio per l'idoneità alla professione solenne.
Evidentemente avere "uno spirito di misericordia e riconciliazione" non significa essere pusillanimi
in situazioni di conflitto e ingiustizia. La formazione a essere "un uomo di pace", un "araldo di
pace", non significa insegnare ad evitare i conflitti, ma preparare a confrontarsi con essi. La
formazione deve essere attenta a che le persone in formazione continuino ad acquisire la "capacità
di comunicare e di affrontare i conflitti" (56, 1b), cominciando dalla propria fraternità. La propria
fraternità è il primo posto in cui i frati devono "promuovere la capacità di comunicazione, di
risoluzione dei conflitti" (64).
Infine è importante sottolineare che lottare per la giustizia nella pace e per la pace nella giustizia è
un compito pieno di rischi e soggetto ad errori. Chiunque voglia essere uno strumento di giustizia e
di pace deve imparare ad affrontare la complessità e l'incertezza e anche l'ambiguità e gli errori.
Deve imparare come entrare nei conflitti senza scendere a patti con l'ingiustizia e senza cedere ad
alcun sentimento di ostilità o rancore. Ciò richiede grande libertà interiore e coraggio di spirito;
tuttavia tale forza non è la caratteristica dei superuomini, ma di coloro che riconoscono di essere
poveri e perdonati, indigenti e pieni di grazia.
Avendo sottolineato, seguendo le indicazioni della Ratio, che giustizia e pace costituiscono un
fondamento spirituale e un obiettivo per la formazione, vorrei mettere in evidenza in terzo luogo
che giustizia e pace indicano un'area e un mezzo per la formazione, un'istanza e un fattore di
formazione. Se ogni spiritualità, come ogni conoscenza e azione, è condizionata dal luogo e dal
contesto, lo stesso deve essere detto della formazione. La formazione non è una trasmissione di idee
ma di vitalità, né un programma di informazione, ma un cammino di trasformazione. In ultima
analisi la formazione, come la spiritualità stessa, è un modo di vivere, e la vita viene insegnata e
appresa soprattutto attraverso l'adattamento e il contatto, attraverso l'intuizione e l'affetto. In
definitiva si costruisce a partire da uno stile di vita. In questa terza parte intendo evidenziare tre
caratteristiche di giustizia e pace come area a partire dalla quale il frate è formato: fedeltà al mondo,
inserimento-inculturazione, dialogo.
Nella Ratio incontriamo frequentemente le espressioni "nostro tempo", "mondo di oggi", "uomini di
oggi" (3; 15; 35; 66; 132; 137; 145;...) e anche "fedeltà alle esigenze del mondo di oggi", "fedeltà ai
segni dei tempi" (Presentazione), o semplicemente " fedeltà all'uomo e al nostro tempo" (15)...
Che cosa significa fedeltà? In primo luogo essa indica "attenzione". Nell'espressione della
Populorum Progressio, ripresa dalla Ratio, essa richiede che i frati siano "attenti all'uomo, a tutto
l'uomo, a tutti gli uomini" (157); che la formazione sia "attenta ai rinnovati appelli del mondo e
della Chiesa" (50), che il frate in formazione sia "attento ai segni dei tempi" (26; cfr. 32); che la
Casa di formazione sia "attenta al mondo e alla sua storia, alla precisa realtà sociale" (79). La
fedeltà al mondo e alle persone di oggi evidentemente non è un'adesione servile ed acritica, ma un
atteggiamento di vigilanza e accettazione, che non significa conformità o facile adattamento, ma
ascolto vigile delle voci, dei richiami e delle domande della gente di oggi.
Fedeltà significa anche una risposta agli attuali bisogni del mondo. Parlando del programma di
formazione dei professi temporanei si è detto che noi dobbiamo rispondere "alle aspettative e alle
necessità del mondo contemporaneo" (150), e questo presuppone una comprensione del mondo
moderno (cfr. 151,3), una risposta che ascolta, che comprende, e ancora di più: comunione. La
formazione deve incoraggiare una comunione profonda con il mondo e le persone d'oggi. Parlando
del noviziato, la Ratio dice che "il novizio si prepara a vivere teoricamente e praticamente [...] una
più profonda comunione con gli uomini di oggi nella loro realtà storica, sociale, politica, culturale e
religiosa" (137; cfr. CC.GG. 127,3; 130). La formazione nello spirito di giustizia e pace richiede un
ascolto attento, una risposta positiva, una comunione profonda con il mondo in cui viviamo, contro
le tanto frequenti tentazioni di rimproverare e censurare. Dobbiamo impegnarci nella formazione in
armonia con le persone di oggi piuttosto che nella condanna di esse, così come camminare con loro
piuttosto che imporre noi stessi, essere compagni piuttosto che impartire avvertimenti autoritari.
La fedeltà al mondo reale richiede, fondamentalmente, un costante sforzo creativo da parte dei
formatori e di coloro che sono in formazione. La Ratio sottolinea che i frati fanno sforzi creativi per
scoprire nuovi modi per promuovere e diffondere i valori del Vangelo. Tale, dice la Ratio, è la fonte
del bisogno di una formazione permanente. Formazione significa aprirsi "a nuove forme di vita e di
servizio" (50) e "adattarsi continuamente alle necessità della Chiesa e del momento storico" (180a).
Il Vangelo è sempre nuovo perché è una notizia sempre sconosciuta e perché vi sono un annuncio e
un ascolto nella storia umana che cambiano sempre. Esso è ancor più mutevole nel nostro tempo di
trasformazioni accelerate, dove gli schemi e le soluzioni di ieri oggi falliscono, dove ogni nuova
trasformazione porta con sé nuove ingiustizie e dove tutta l'ingiustizia acquista dimensioni
planetarie. In tale tipo di mondo, la formazione deve aiutare a tenere i nostri occhi spalancati e la
nostra intera esistenza libera, al servizio degli altri, e creativa.
La Ratio insiste che la vita stessa nella fraternità e nel mondo è il luogo più appropriato e il miglior
mezzo di formazione. "La formazione francescana avviene nella fraternità e nel mondo reale" (43).
Per una visione evangelica e francescana, la realtà più brutale nel mondo in cui viviamo è il
contrasto tra la ricchezza di alcuni e la povertà di altri. La formazione francescana, quindi, richiede
inserimento _ che può essere molto vario, ma che deve essere autentico _ nella realtà dei più poveri
del mondo, nei loro ambienti e nella fraternità stessa. È necessario che il frate in formazione "si
inserisca attivamente nella vita sociale e comunitaria" (45).
Tale caratteristica è valida per tutte le fasi della formazione, ma è particolarmente applicabile al
periodo della professione temporanea: "Il frate in professione temporanea si inserisca e sia solidale
con la realtà del mondo e con la problematica del Paese nel quale è chiamato a vivere la sua
vocazione" (155). "La formazione pratica a qualsiasi servizio ministeriale si realizza anzitutto nella
esperienza quotidiana di vita nella fraternità, nella comunità ecclesiale, nella società e in particolare
tra i poveri" (177). Le parole "in particolare tra i poveri" definiscono sempre ciò che è caratteristico
di Gesù e Francesco e, conseguentemente, definiscono anche l'aspetto peculiare del luogo della
formazione francescana. La formazione francescana non solo ha il suo posto nello spirito di
minorità, ma deriva anche dall'esperienza della minorità.
Come applichiamo noi questo criterio e lo mettiamo in pratica? La Ratio non dà i dettagli _ il che è
comprensibile. Comunque è interessante sottolineare che essa considera la possibilità di "piccole
fraternità formative tra i poveri" (cfr. 80).
La cultura è l'intero aggregato dei riferimenti di significato, dei valori di condotta, degli orizzonti
simbolici che formano e motivano la vita di individui e popoli; la cultura è il sostrato che dividiamo
con coloro che ci sono più vicini, ma anche, allo stesso tempo, quello che ci permette di avvicinarci
e comprendere coloro che sono più lontani, quello che ci permette di instaurare un dialogo e una
ricerca comune. È possibile e necessario aprirsi dalla propria cultura a quella degli altri. Infine, è la
cultura degli altri che ci permette di comprendere noi stessi a una profondità maggiore. La cultura,
pertanto, non è un mero adattamento, ma una penetrazione fino alla radice vitale di individui e
popoli, che ci consente non solo di annunciare la buona novella, ma anche di riceverla da essi.
L'incontro e il confronto sono il luogo privilegiato per una formazione che voglia essere di servizio
alla giustizia e alla pace.
La Ratio insiste sul dialogo sia all'interno che all'esterno della fraternità: un frate vive "nell'ascolto e
nel dialogo" (23), nel "rispetto della diversità" (75) all'interno della fraternità e "in dialogo con gli
uomini del proprio tempo" (33). Egli "coltiva l'atteggiamento di benevolenza e di dialogo nei
confronti delle diverse culture e religioni" (26). Nella casa di formazione dovrebbe prevalere
"un'atmosfera di confidenza, dialogo e cortesia" (76). I formatori dovrebbero possedere "la capacità
di lavorare insieme, di dialogare e ascoltare gli altri frati" (84). "Un allenamento all'ascolto attivo"
(163) è uno dei maggiori obiettivi dello studio delle scienze umane. "Dialogare con gli altri
cristiani, con le altre religioni e con gli agnostici" (165) è uno degli obiettivi della formazione
teologica. "La conoscenza e il dialogo con le altre religioni e culture" (179) è uno dei requisiti per la
preparazione ministeriale.
Ogni luogo del nostro mondo è sempre più un bivio in cui ci troviamo alla insostituibile e
irriducibile presenza dell'altro _ l'altro con il suo linguaggio e la sua logica, la sua religione e il suo
codice morale, la sua etica e la sua politica. Abitiamo un mondo che ogni giorno di più diventa il
nostro villaggio, ma nondimeno è sempre più pluralista. La cosiddetta postmodernità è
essenzialmente il risultato del radicale pluralismo della nostra società. In particolare oggi si
impongono culture e religioni sconosciute per secoli e messe in disparte dal nostro occidente
cristiano e dalla nostra Chiesa eurocentrica. Sono culture e religioni che in nessun modo possono
essere ridotte a ciò che già conoscevamo di esse o credevamo che fossero. Sono culture e religioni
che perturbano le nostre sicurezze e contraddicono le nostre vanità, e così ci convertono e ci
incitano a credere in un mondo più umano e in un Dio più umano.
Il pluralismo è una delle più grandi sfide per la formazione: essa deve aiutare ad accettare questo
pluralismo in modo positivo e, ancor più, in modo tale da far sì che questo pluralismo si trasformi in
stimolo e mezzo di formazione, in esercizio di crescita e di ricerca comune, senza cadere nello
scetticismo o nel dogmatismo, senza abbandonarsi al qualunquismo o all'intolleranza. L'angusta
strada da seguire è il dialogo, che consentirà al crocevia di divenire un luogo d'incontro, consentirà
alla differenza di diventare un dialogo e permetterà alla divergenza di divenire una strada comune
verso la giustizia e la pace.
In conclusione, la formazione contribuisce alla giustizia e alla pace nel mondo, avviando i frati ad
una spiritualità incarnata nella sequela di Gesù e nella fede in un Dio che sta dalla parte dell'uomo.
Essa porta i frati a guardare il mondo con gli occhi di Dio e a compromettersi con lui,
coinvolgendosi nella compassione del Crocifisso. Insegna ai frati a crescere come esseri umani e
come credenti dal punto di vista dell'inserimento nel mondo e del dialogo con la gente.
José Arregui OFM
PARTE 2
TEMI DI SPECIFICO INTERESSE
Come abbiamo detto nell'introduzione alla presente sezione, questa seconda parte è composta di
sette temi specifici che oggigiorno rivestono grande importanza sociale ed ecclesiale. Il numero
avrebbe potuto essere maggiore; tuttavia, non potendo ampliare il sussidio, abbiamo selezionato
questi come i più appropriati e di maggiore interesse per realizzare il nostro carisma.
Ogni tema ha un breve sviluppo teorico che non pretende di essere esaustivo, ma piuttosto fa una
presentazione del tema per stimolare la riflessione e l'azione. A completamento di questo sviluppo
teorico vengono riportate esperienze e testimonianze di frati di tutto il mondo.
La parte teorica dei vari temi, essendo stata scritta da autori diversi, può presentare alcune
ripetizioni. Ciononostante abbiamo deciso di non modificarla, perché questa sezione non deve
essere letta tutta in una volta, ma ciascun capitolo dovrebbe piuttosto essere consultato ed elaborato
separatamente.
Alla fine di ciascun tema o capitolo si trova un lungo questionario. La ragione, in effetti, sta nel suo
carattere strumentale. Se questi capitoli devono essere usati per gli incontri sulla formazione, sia
iniziale che permanente, o anche negli incontri di riflessione con i laici, la lunga lista di domande
potrà meglio facilitare la riflessione del gruppo.
Temi:
1. L'opzione per i poveri
2. Operatori di pace
3. Salvaguardia del creato / Giustizia ambientale
4. La vita
5. I diritti umani: individuali e collettivi
6. Le donne e il carisma francescano-clariano
7. Dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale
1. l’opzione per i poveri
Il rammarico per aver rifiutato un mendicante quando lavorava nel negozio di suo padre, portò
Francesco a decidere di "non negare mai più nulla di quanto gli venisse domandato in nome di un
Signore così grande" (3 Comp 3). Francesco aveva un profondo amore e rispetto per i poveri, che
vedeva come l'immagine di Cristo, il Figlio di una madre povera (cfr. 2 Cel 83). Un giorno, quando
un frate si rivolse duramente a un povero, Francesco disse al frate: "Chi tratta male un povero, fa
ingiuria a Cristo, di cui quello porta la nobile divisa, e che per noi si fece povero in questo mondo"
(1 Cel 76). Quando vedeva qualcuno nel bisogno, Francesco era addolorato. Durante la stagione
fredda chiedeva ai ricchi un mantello che potesse passare a qualche povero. Una volta Francesco
invitò un povero a benedirlo quando lo stesso padre lo malediceva (cfr. 2 Cel 12). Se Francesco non
poteva offrire assistenza materiale, "offriva il suo affetto" (LegM 8,5) e affermava che i poveri
hanno diritto all'elemosina (cfr. ibid.). Francesco volle che i ricchi facessero provviste extra per i
poveri e gli affamati a Natale (cfr. 2 Cel 200). Egli punì un frate che aveva parlato aspramente a un
povero. Il Poverello diceva che la povertà e la malattia di una persona sono uno specchio in cui
"dobbiamo scorgere con amore la povertà e infermità del Signore nostro Gesù Cristo, le quali egli
portò nel suo corpo per la salvezza del genere umano " (Legper 89).
L'amore di Francesco per i poveri non significa che egli disprezzasse i ricchi. Francesco ammonì i
suoi frati di non disprezzare coloro che "vedono vestiti di abiti molli e colorati ed usare cibi e
bevande delicate" (Rb 2,17). Tutti i membri della fraternità erano uguali, qualunque fosse la loro
estrazione sociale; nessuno doveva attaccarsi al proprio ufficio all'interno della fraternità. Egli
chiamò i suoi frati "Ordine dei Frati Minori" _ dei fratelli più piccoli _, perché fossero soggetti a
tutti (cfr. 1 Cel 38).
Attraverso i secoli i francescani si sono sentiti sfidati a fare proprie le parole di Francesco: "La
Regola e la vita dei Frati Minori è questa: osservare il santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo
vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio, e in castità". Mentre ogni voto ha presentato le sue
difficoltà particolari, si può senza dubbio affermare che la povertà ha generato il maggiore numero
di discussioni e le più aspre polemiche. Nel corso degli anni la controversia si è centrata sulla
questione se fosse possibile o no vivere la povertà radicale di Gesù Cristo, come abbracciata da
Francesco e dai suoi primi seguaci. Le discussioni intellettuali hanno prestato poca attenzione alla
situazione concreta dei poveri, poiché la questione non era considerata essenziale per la
controversia.
Gli sviluppi contemporanei, invece, hanno reso oltremodo importante includere il povero nella
riflessione sul significato del nostro voto di povertà. Il lamento insistente che si leva dal Terzo
Mondo, che è servito da catalizzatore per vari documenti del Concilio Vaticano II e per numerosi
pronunciamenti papali, ci rende consapevoli della povertà disumanizzante che è tipica della
situazione di così tanti nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo. L'Ordine dei Frati Minori è stato
scosso da questo clamore ed è attualmente coinvolto nel processo di ridefinizione della sua vita e
della sua missione dalla parte dei più piccoli del popolo di Dio.
Nelle Costituzioni Generali promulgate nel 1987, l'Ordine evidenzia il bisogno di rendere il povero
parte integrante della nostra vita e delle nostre opere. L'articolo 66,1 dichiara: "Per seguire più da
vicino l'annientamento del Salvatore e configurarsi più chiaramente ad esso, i frati abbraccino la
vita e la condizione di coloro che nella società sono i più piccoli e tra questi vivano come minori; da
questa posizione sociale debbono contribuire all'avvento del Regno di Dio". L'articolo 78,1
dichiara: "Poiché la Regola concede ai frati di scegliere le attività che risultano più utili, secondo i
tempi, i luoghi e le esigenze, si dia la preferenza a quelle nelle quali risulta più chiara la
testimonianza della vita francescana. In particolar modo si privilegi l'aspetto della solidarietà e del
servizio verso i poveri". L'articolo 97 afferma: "Sull'esempio di san Francesco, che Dio condusse
fra i lebbrosi, tutti i frati facciano una scelta che privilegi gli emarginati, i poveri, gli oppressi, gli
afflitti, gli infermi e, lieti quando possono stare in mezzo a loro, 'usino ad essi misericordia'. In
comunione fraterna con tutti coloro che in questo mondo sono socialmente i minori e rendendosi
conto della condizione di coloro che sono i veri poveri nell'evoluzione del mondo d'oggi, i frati si
adoperino perché siano gli stessi poveri a prendere coscienza della loro dignità di uomini, la
difendano e la facciano valere".
In molti altri punti le Costituzioni esortano i frati ad essere consapevoli dei poveri e ad includerli
nella elaborazione della nostra vita in comune. La terminologia contemporanea ha classificato
questa inclusione dei poveri una "opzione preferenziale per i poveri". Che cos'è questa "opzione",
divenuta così centrale nel progetto francescano?
Ne Il Nuovo Dizionario del Pensiero Sociale Cattolico (Edizioni Liturgiche, 1994), Donal Dorr
tratta l'argomento della "opzione preferenziale per i poveri". Egli sostiene che una tale opzione è un
impegno a "respingere l'ingiustizia, l'oppressione, lo sfruttamento e l'emarginazione delle persone
che permeano pressoché ogni aspetto della vita pubblica. È un impegno a trasformare la società in
un luogo dove i diritti umani e la dignità di tutti sono rispettati". Ciò viene fatto generalmente da
coloro che non sono poveri e che hanno raggiunto una relativa ricchezza o un certo prestigio. Essi
scelgono di rinunciare almeno a una parte di questa ricchezza o di questo prestigio e di identificarsi
con i bisognosi. Una tale scelta è molto spesso basata su una profonda comprensione della fede
cristiana. Essa include anche una dimensione politica, dal momento che ci sono alcuni che, quando
arrivano a vedere le ingiustizie esistenti nella società, scelgono di mettersi dalla parte dei più deboli.
Una volta che i frati considerano che questa opzione è fatta in favore di tali persone, possono
estendere il loro interesse al di là dei poveri in senso stretto, cioè le persone economicamente
svantaggiate, fino a comprendere tutti coloro che sono privati dei fondamentali diritti politici,
culturali o religiosi. In questa definizione possiamo includere le donne, le vittime della
discriminazione razziale e quanti soffrono l'ingiustizia derivante dalle strutture.
Dorr sottolinea che le persone che fanno questa opzione per i poveri sono animate da uno spirito di
compassione. Una tale opzione, che prima di tutto richiede un atteggiamento di solidarietà con i
poveri nelle loro sofferenze, in pratica ha a che fare con il nostro stile di vita: "il tipo di cibo che
mangiamo, gli abiti che indossiamo, il modo in cui le nostre case sono arredate". In modo ancora
più importante, tuttavia, tocca questioni quali "l'area in cui viviamo, gli amici che coltiviamo, i tipi
di lavoro che intraprendiamo e gli atteggiamenti e lo stile che adottiamo nel fare tutte queste cose".
La compassione richiede anche un impegno all'azione, che cerca di sconfiggere l'ingiustizia
derivante dalle strutture. L'azione effettiva include l'analisi accurata di una situazione, il cosciente
distanziarsi da coloro che sono colpevoli di ingiustizia, oltre all'azione progettata e concertata a
livello politico per sfidare l'ingiustizia e, inoltre, l'elaborazione di alternative realistiche. Infine, nel
processo di opzione per i poveri, dobbiamo fare molta attenzione a non trasformare i poveri
nell'oggetto delle nostre azioni, per quanto ben intenzionate esse possano essere. La lotta è quella
dei poveri: essi devono essere i soggetti di questa lotta. Il nostro ruolo sarà sempre definito in
relazione a questa realtà centrale.
I francescani si sono sempre rivolti a Francesco come a una fonte di ispirazione e rinnovamento.
Nel cercare di integrare l'"opzione per i poveri" nel nostro approccio alla vita e al ministero, sorge
la domanda se Francesco può servire come modello per la nostra ricerca. La risposta, per essere
chiari, è sia sì che no.
In Nova Vita di San Francesco (Carucci, 1981), Arnaldo Fortini spiega con dettagli accurati la
struttura sociale del mondo di Francesco. Fu un'epoca di imponenti trasformazioni, in cui le
strutture del feudalesimo lentamente cedevano il posto a quelle del capitalismo nascente. Il
feudalesimo fu caratterizzato dai maiores e dai minores, dai maggiori e dai minori. Questi termini
latini erano usati per misurare e classificare il potere, la virtù, la nobiltà e l'autorità dei vari membri
della società. I signori detenevano il dominio attraverso il controllo delle terre e la creazione di
latifondi significò per la gente del popolo che quasi tutti divennero servi della gleba. Anche i liberi
agricoltori dovettero rivolgersi al signore per ottenere protezione, ma, per l'accresciuta importanza
delle città e del commercio come pure per l'inesorabile sviluppo dell'economia fondata sul denaro, i
signori si ritrovarono sempre più preoccupati dell'ascesa dei minori, inclusi i mercanti, gli artigiani
e i lavoratori dei campi. Queste classi inferiori si opponevano sia ai pedaggi imposti dai maiores sia
all'odiato sistema del lavoro forzato. Francesco apparteneva a una famiglia della classe media
benestante di Assisi, la cui fortuna era legata al commercio di tessuti. Come tale, in gioventù
Francesco partecipò al cambiamento sociale dell'epoca. Nel 1198, quando aveva sedici anni,
Francesco fu testimone della caduta della rocca maggiore, la fortezza che era il simbolo del
feudalesimo di Assisi. Il decennio successivo fu caratterizzato da massacri e violenze quando i
maiores lottarono per conservare il loro dominio in circostanze sempre più difficili.
Fu in quel periodo che Francesco udì la chiamata di Dio a seguire il vero Signore. Tutti i biografi
testimoniano il fatto che Francesco, quando cercò di scoprire che cosa Dio volesse da lui, mostrò
una speciale tenerezza verso i poveri, con la predilezione per i più poveri dei poveri, i lebbrosi. In
Francesco d'Assisi. Una alternativa umana e cristiana (Cittadella, 1982), Leonardo Boff dichiara
che il santo si convertì prima ai poveri, i crocifissi della società, e successivamente a Gesù Cristo
crocifisso. In vari passi delle sue Vite, il Celano testimonia la compassione di Francesco per i
poveri e la sua tenera cura dei lebbrosi. Il Celano aggiunge che i primi frati seguirono le orme del
loro fondatore. Il cammino di Francesco lo indusse a sfidare le strutture feudali in due modi. Primo,
egli rifiutò di accettare le ricchezze e i privilegi destinati ad essere riservati ai maiores, e si mise
dalla parte dei poveri che erano odiati e oppressi, e dei lebbrosi che erano detestati, segregati ed
esclusi dalla società. Francesco guardava ai poveri non dal punto di vista dei ricchi, ma attraverso
gli occhi degli stessi poveri, e scoprì in questo modo il valore dei poveri. Secondo, nel suo
approccio alla vita in comune cercò di infrangere la gerarchia feudale trattando tutti come "fratelli".
In 2 Cel 191, si riporta il desiderio di Francesco che nel suo gruppo i maiores si unissero ai
minores, che i sapienti si unissero ai semplici. Il suo modo di fare non era teorico, ma esistenziale,
per questo si opponeva alle distinzioni di classe rendendo tutti i suoi seguaci "fratelli" su uno stesso
piano.
Tuttavia, sia Fortini che Boff chiariscono ampiamente che l'opzione di Francesco per i "minores"
del suo tempo non fu una scelta per i minores che si stavano costituendo come nuovo
raggruppamento sociale. I minores, come rilevato più sopra, includevano i mercanti, gli artigiani e i
lavoratori dei campi. Come classe sociale essi erano ansiosi quanto i maiores di partecipare
all'accumulo della ricchezza e al potere che alla ricchezza si accompagna. In questa prospettiva,
Fortini, nel capitolo VIII del suo libro, raccomanda prudenza nel trattare la relazione del movimento
francescano con il crescente movimento mirante all'istituzione di un comune ad Assisi. Nel
commentare il patto sociale del 1210 che concluse anni di ostilità tra le differenti classi di Assisi,
Fortini sostiene che esso non si verificò come risultato dello spirito di armonia ispirato da
Francesco e dai suoi seguaci, ma fu piuttosto orientato ad aumentare il potere del comune. Afferma
inoltre che è assolutamente sbagliato considerare il movimento francescano come conseguenza
della rivolta dei minores. Piuttosto: "La nuova società comunale deriva [...] da un desiderio di
espansione commerciale. Vede nella guerra il mezzo per ottenerla. Oppone l'orgoglio dei mercanti
all'orgoglio dei signori feudali. Basa la sua principale forza sociale sulla ricchezza e
sull'imprenditoria. Sancisce la vendetta contro coloro che la offendono. Era crudele nell'infliggere
castighi e punizioni. Questa società di persone avide, violente, litigiose, ambiziose e brutali era la
perfetta antitesi del francescanesimo, come Francesco era l'antitesi di Pietro Bernardone". Così l'uso
del termine "minori" da parte di Francesco per descrivere i suoi frati non derivava dal nome di una
classe o di una fazione, bensì dall'aggettivo che indica "i più umili, gli inferiori, coloro che
prendono ordini piuttosto che darli". Boff aggiunge che Francesco scelse di cambiare la sua classe
sociale, passando dalla posizione di ricco borghese a quella di chi vive con e come i poveri.
Perciò Francesco può essere un modello per noi oggi quando scegliamo di fare una "opzione
preferenziale per i poveri". Egli fu capace di "liberare" i poveri poiché diede loro un rinnovato
senso della loro dignità e del loro valore come esseri umani. La sua scelta intuitiva dei poveri, come
luogo privilegiato per incontrare Gesù Cristo povero e crocifisso, e la sua intuizione di come la
povertà ci aiuti a purificare le nostre menti e i nostri cuori per meglio ricevere sia Dio che l'altro,
rimangono una ispirazione senza tempo per noi che vorremmo seguire le sue orme. Tuttavia non
possiamo aspettarci da Francesco la consapevolezza di un uomo del nostro tempo per quanto
riguarda la problematica che ruota attorno a questa opzione. Sebbene sia stato capace di vedere le
conseguenze delle divisioni sociali caratteristiche del feudalesimo e abbia intuito il significato
dell'ascesa dei minores nei Comuni, Francesco non ebbe la consapevolezza della "ingiustizia
strutturale", né fu in grado di assumere un impegno "politico" per correggere tale ingiustizia. Nello
spirito di Francesco, noi che siamo capaci di fare queste distinzioni, siamo chiamati a studiare le
cause e i meccanismi dell'ingiustizia strutturale e il processo da compiere per una "opzione
preferenziale per i poveri", che stette così a cuore sia a Gesù Cristo che a Francesco d'Assisi.
Già durante la vita di Francesco, la questione della povertà divenne motivo di controversia tra i
frati. Non è sorprendente, allora, che poco più di trent'anni dopo la morte di Francesco, quando
Bonaventura fu eletto Ministro Generale dell'Ordine, egli fosse subito coinvolto nella controversia e
trovasse necessario difendere la virtù così cara al cuore del suo fratello spirituale. Nella sua prima
lettera enciclica, Bonaventura richiamò i frati ai loro obblighi: "I frati stanno interessandosi troppo
di sepolture e lasciti. Le residenze dei frati stanno cambiando frequentemente e con grande spesa
[...] (il che) denota capricciosità e compromette la nostra povertà. [...] Infine, le spese stanno
crescendo a un livello inconsueto". Nelle sue Istruzioni per i Novizi, Bonaventura ricorda ai suoi
lettori che la povertà è "il fondamento primario dell'intero edificio spirituale". Egli incoraggia
ulteriormente i frati ad "abbracciare la povertà con tutte le forze, poiché come testimoniano le
Scritture, essa è un albero di vita per quelli che ad essa si attengono, e coloro che ad essa si
stringono sono chiamati beati (cfr. Prv 3,18). Perciò, se mantenete la santa povertà sino alla fine,
entrerete nel regno dei cieli, come la Verità stessa ha promesso: 'Beati i poveri in spirito, perché di
essi è il regno dei cieli' (Mt 5,3)".
Ma pur con tutta la sua preoccupazione, Bonaventura differì da Francesco nel trattare la questione
della povertà. La conversione di Francesco si compì attraverso il contatto con coloro che erano i più
disprezzati della società e la sua vocazione fu sostenuta dal costante incontro con Gesù Cristo
povero e crocifisso nei poveri e attraverso i poveri del mondo che erano altrettanto crocifissi. Il suo
fu un approccio relazionale alla povertà, in cui coloro che soffrivano gli effetti della povertà
concreta nella loro vita giocavano un ruolo essenziale. Di contro, la povertà difesa da Bonaventura
era più un'entità a sé stante, che poteva essere valutata senza riferimento ai poveri del mondo. Essa
si prestava alla discussione erudita e così si preparò il terreno per secoli di dibattito sul concetto di
povertà con scarso riguardo a coloro che, di fatto, erano poveri e vivevano tale condizione nella
carne.
Oggi vi è una nuova urgenza per i francescani di riconsiderare la questione della povertà o, per
esprimerci in maniera più attuale, di fare una "opzione preferenziale per i poveri". Noi francescani,
messi di fronte all'enorme povertà delle masse di nostri fratelli e sorelle nel mondo, siamo sfidati a
rinnovare lo spirito di Francesco fra noi. Siamo invitati a compiere questo passo dalle grida che si
levano da luoghi come l'America Latina, l'Asia e l'Africa, dagli insegnamenti di papi come
Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II, e da molti dei documenti elaborati dal nostro
Ordine. Francesco rispose alle condizioni di povertà del suo tempo con un abbraccio effettivo ed
immediato di coloro che erano poveri. Noi siamo chiamati a non fare di meno.
Quali forme possiamo dare a questa contemporanea "opzione per i poveri"? Un modello possibile è
quello dell'"accompagnamento". In San Francesco e la follia di Dio (Dennis, Nangle, Moe-Lobeda
e Taylor: Orbis, 1993), gli autori sostengono che la nostra risposta migliore alle attuali condizioni di
povertà, alla rabbia e al dolore che suscitano, alla grazia e alla bontà che troviamo tra i poveri, al
bisogno di analisi e strutture alternative, può essere più propriamente sintetizzata nel termine
"accompagnamento". Usando le loro parole, ciò significa: "deviare da altri percorsi per un momento
(e poi per sempre), camminare con coloro che sono ai margini, essere con loro, lasciar andare.
Attraverso questo incontro con Cristo ai margini, noi che con Francesco un tempo vedevamo il
povero solo come l'"altro", la persona da temere, l'oggetto della paura, poi della pietà e della carità,
possiamo ora, come individui e società, sperimentare una profonda, continua conversione del cuore,
dell'anima e della mente per opera dello Spirito. Lentamente i nostri centri di gravità si spostano
fuori di noi e, improvvisamente, ci ritroviamo a danzare con il Poverello e i suoi amici disprezzati
in luoghi sconosciuti e con grande gioia". Per Francesco, la decisione di scendere da cavallo per
abbracciare il lebbroso, per accompagnare coloro che vivevano ai margini della società, non fu
facile e gli richiese tempo. Una volta presa, tuttavia, essa orientò il resto della sua vita e lo fece
entrare in contatto con la fonte della Vita. La decisione da parte nostra di camminare con gli esclusi
dalla società ci farà similmente entrare in contatto con le sofferenze di Gesù, che con la sua morte
in croce ha portato la vita, e ravviverà in noi il desiderio di seguire le orme del Poverello.
Per chi osserva dall'esterno, le figure di san Francesco e di santa Chiara incarnano forse più
chiaramente di qualunque altra figura della Chiesa il concetto di divenire una cosa sola con i poveri,
partecipando alla loro esperienza di vita. Il "Poverello", come Francesco è tuttora conosciuto in
Italia, e la fondatrice delle Sorelle Povere furono personaggi controversi del loro tempo, a causa
della loro identità di minori e della loro apertura a quelli _ come i lebbrosi _ considerati di minor
valore nella società.
La questione della povertà è stata un punto di rinnovamento e di divisione all'interno della famiglia
francescana. Francesco e Chiara scoprirono la libertà che accompagna una vita vissuta sine proprio.
La loro povertà non fu un impegno di frugalità, ma una scelta, una passione dell'anima che li rese
liberi di vivere generosamente entro l'opera divina della creazione, senza pretendere di possedere
alcuna persona o cosa. La dedizione di Francesco a questo stile di vita fu motivata da Cristo povero.
Anche oggi tale scelta radicale del povero continua ad essere una scelta controversa, sia nel
contesto di una società sempre più materialistica ed orientata al successo, sia all'interno della stessa
famiglia francescana. Quando i frati, le suore e i secolari lottano per seguire le orme dei loro
fondatori, si trovano di fronte a domande complesse circa la misura in cui possono o dovrebbero
identificarsi con i poveri del mondo d'oggi. Alcuni frati ritengono che la loro missione debba
rimanere all'interno delle strutture della comunità tradizionale dove possono lavorare meglio per i
poveri. Altri credono di essere chiamati a lavorare accanto ai poveri, fornendo servizi vitali nelle
baraccopoli, nei quartieri poveri o nelle aree rurali isolate. Altri ancora scelgono di identificarsi con
i poveri in tutti i modi possibili, condividendo le loro situazioni di vita, la loro oppressione e anche
la loro morte.
In alcuni paesi le scelte radicali in favore dei poveri sono state imposte ai frati dai governi e dalle
circostanze, al di là del loro controllo. In Vietnam, per esempio, tutti i conventi sono stati confiscati
dai governanti comunisti che occuparono il paese nel 1975. Molti frati vedono oggi questa
sofferenza come un'azione della Provvidenza, che li ha obbligati a rinunciare al loro "confortevole"
stile di vita e a prendere la decisione cosciente di condividere la vita della gente del luogo.
Consegnando i maggiori conventi al governo e condividendo la vita dei lavoratori, i frati divennero
più consapevoli di certi valori francescani e furono in grado di testimoniarli in un modo nuovo.
Oggi la Chiesa in Vietnam affronta la rinnovata sfida di come meglio servire la gente in un paese
che sta avanzando in modo radicale verso la modernizzazione e una economia di libero mercato.
ALEXIS TRAN DUC AHI, Ministro Provinciale della Provincia di San Francesco in Vietnam, fu
ordinato nel 1975, l'anno della "rivoluzione" comunista, ed è sempre più preoccupato del ruolo che i
francescani possono avere nella sua patria in rapida evoluzione. Poiché il paese va verso la
modernizzazione, dice, "io sono convinto che la Chiesa in Vietnam può competere con gli altri
settori della società, non costruendo un'immagine di potere, ma rafforzando la dimensione morale e
umana del nostro popolo".
Tra i frati che hanno deciso per le scelte più radicali troviamo DIEGO URIBE, che si unì a un
gruppo di guerriglieri che combattevano per liberare il loro paese dall'ingiustizia e dalle
diseguaglianze sociali. Operando sempre con il desiderio di servire il popolo e di rimanere fedele ai
suoi voti, Diego giunse ad occupare un alto rango nella gerarchia del suo gruppo di guerriglia prima
di essere assassinato dall'esercito in Colombia il 2 dicembre 1981. Anche prima dei voti solenni,
egli era stato molto colpito dalla povertà estrema e dall'ingiustizia che vedeva attorno a lui quando
studiava teologia a Bogotà, e mise a confronto tutto questo con la vita privilegiata di coloro che
stavano all'interno delle mura del convento. Ispirati dai profondi cambiamenti di mentalità introdotti
dal Concilio Vaticano II, Uribe e alcuni altri studenti francescani decisero di lasciare i loro alloggi
confortevoli nel seminario e spostarsi in una delle aree più povere della città. Dopo la sua
ordinazione, fu mandato a lavorare nella regione costiera occidentale, una delle enclaves più umide
e inospitali del paese. Questa regione è ancora popolata dai discendenti dei gruppi africani portati là
circa due o tre secoli fa come schiavi per sfruttare le antiche miniere d'oro, ora esaurite, e molti
continuano ancora oggi a vivere e a lavorare come schiavi di fatto. Col passare del tempo, Diego
cominciò a esaminare ancor più profondamente le strutture attuali della società e il significato della
propria missione. Nel 1974 ritornò a lavorare in una delle zone periferiche di Bogotà, dove per la
prima volta venne in contatto con i membri dell'Esercito Nazionale di Liberazione. "Diego era una
persona molto umile e amabile", dice suo fratello Fernando Uribe che ora insegna all'Antonianum, a
Roma. "Eravamo otto figli, cinque maschi e tre femmine e lui era il più amabile di tutti. Ma la sua
gentilezza non smorzava la sua profonda sensibilità per la miseria della povera gente e, nel suo
desiderio di fare qualcosa di efficace per i poveri, pensava che la lotta armata fosse l'unico modo
per liberarli dall'oppressione". Fernando dice che l'Esercito di Liberazione Nazionale, a cui Diego si
associò verso la metà degli anni '70, è andato verso una evoluzione violenta negli ultimi dieci o
quindici anni, specialmente per quanto riguarda i metodi impiegati per finanziare e promuovere la
propria causa. Fernando fu il primo a conoscere la decisione di suo fratello di unirsi al gruppo _
"sempre rispettata, ma mai condivisa". Egli fu anche l'unico ad andare sulle montagne alla fine del
dicembre 1981 per identificare il corpo di suo fratello. "Diego e un altro dei suoi compagni furono
assassinati mentre stavano facendo un incontro di lavoro insieme con altri due membri del gruppo
in una fattoria situata su un alto monte. I sopravvissuti del gruppo e gli abitanti della casa, inclusi i
bambini, furono torturati. A quel tempo, le azioni di Diego furono causa di controversia fra i
francescani della Colombia, ma il Governo Generale dell'Ordine a Roma, tenendo conto della
particolare situazione del paese, rispettò le sue scelte personali".
I frati della Colombia sono ancora impegnati per i poveri e gli oppressi che continuano anche oggi a
essere vittime di gravi violazioni nei loro diritti umani, non sempre evidenziate dalla stampa. Le
statistiche compilate dalla Commissione Inter-Congregazionale per Giustizia e Pace della Colombia
mostrano che nel 1995 le vittime della violenza hanno raggiunto approssimativamente il numero di
9.500. Nel 1996 il rapporto del Dipartimento di Stato Americano sulla violazione dei diritti umani
in Colombia mostra che il conflitto armato e le uccisioni indiscriminate continuano a distruggere la
società, essendo la polizia e le forze armate responsabili della maggior parte di questa violenza.
In molti paesi del mondo, fare una opzione per i poveri significa anche stare dalla parte dei
perseguitati. In Terra Santa oggi ciò significa correre il rischio di essere presi nel fuoco incrociato
del violento conflitto che ha opposto gli Arabi agli Ebrei, da quando lo Stato di Israele fu fondato
mezzo secolo fa. Con l'occupazione israeliana della West Bank e della striscia di Gaza, quasi un
milione di Palestinesi hanno dovuto lasciare le loro case paterne e spostarsi in squallidi e
sovraffollati campi profughi dove molti di loro sopravvivono in condizioni disumane. Essi hanno
bisogno di tutto, dal cibo fresco alle forniture mediche, dall'educazione di base al lavoro.
Soprattutto hanno necessità di soluzioni durevoli per tutta la regione, che portino la speranza per un
futuro migliore e più pacifico. I francescani sono presenti in Terra Santa fin dal tempo di Francesco
stesso, per cui essi rappresentano la più antica organizzazione legalmente fondata nella regione. Nel
corso dei secoli essi si sono trovati al centro delle molte "guerre sante" che hanno devastato la
regione. Tradizionalmente sono i custodi dei luoghi santi e hanno fornito una costante
testimonianza della carità cristiana nel mezzo delle lotte di potere che hanno infuriato intorno a
loro. "Questo è ancora l'aspetto più visibile della presenza francescana oggi", dice GIUSEPPE
NAZZARO, ex Custode di Terra Santa. Tuttavia, dietro le quinte, più di 300 frati di 32 nazionalità
lavorano attualmente in molti modi diversi per migliorare la vita dei poveri, cristiani e non cristiani
in egual misura. La loro missione si estende a tutte le aree dove vivono i rifugiati (Israele,
Giordania, Egitto, Siria, Libano, Cipro e Rodi). Essi gestiscono 16 scuole e collegi per oltre 10.000
studenti, così come orfanotrofi, cliniche, officine, case per anziani e centri parrocchiali per i
giovani, offrendo loro un'alternativa alla violenza sperimentata fin dall'infanzia. Nello sforzo di
arginare il costante defluire dei cristiani dalla Terra Santa, i frati forniscono anche soluzioni
abitative gratuite per centinaia di famiglie, come pure contributi scolastici per incoraggiare i giovani
a continuare gli studi nel Medio Oriente.
In Italia l'opzione per i poveri di cui furono pionieri Francesco e Chiara è da sempre una
caratteristica dell'opera dei frati. In Toscana, nell'Italia centrale, i francescani furono gli ideatori dei
"monti dei pegni", prestiti di denaro a beneficio dei poveri. Questa prima agenzia di prestiti,
conosciuta come Mons Pietatis, fu iniziata da due frati in particolare, BERNARDINO da Feltre e
BARNABA da Terni, già nel 1462. Nonostante l'opposizione di molti settori della società, inclusi
altri Ordini religiosi, i frati fornirono una maniera sicura di prestare il denaro a bassi tassi di
interesse, mettendo così in condizione i poveri di pagare i loro debiti senza cadere nelle mani degli
usurai. Nel 1515 a questi istituti di credito autonomi fu concesso il riconoscimento ufficiale da
Leone X, dando esecuzione al Concilio Lateranense V. Simili unioni di credito cominciarono a
crescere in fretta, prima nell'Italia settentrionale e poi in tutto il paese, precursori delle moderne
banche.
Più recentemente i frati italiani hanno manifestato il loro interesse per i problemi della povertà a
livello internazionale. Nel 1991 la Conferenza dei Ministri Provinciali dei Frati Minori Italiani
(COMPI) ha compiuto l'innovativo passo di pubblicare Sfide globali di etica economica, un
documento che affronta il problema del debito internazionale e del modo in cui esso pregiudica la
vita dei poveri.
Un altro modo di occuparsi del problema dei poveri in differenti aree del mondo oggi è quello dei
viaggi di scambio, per mezzo dei quali i francescani di un paese possono condividere di persona gli
sforzi e le esperienze dei frati in altre nazioni. Durante un viaggio di questo tipo un gruppo di frati
coreani ha visitato alcune delle zone più povere intorno alla capitale delle Filippine, Manila.
Riflettendo successivamente sulla loro esperienza, i frati coreani hanno detto di essere stati
particolarmente impressionati dal fatto che i loro fratelli e le loro sorelle filippini vivessero in
povertà con la gente di tali aree urbane. Centinaia di migliaia di famiglie, che lottano per
sopravvivere nelle baraccopoli attorno a Manila, si confrontano con la minaccia quotidiana di
sfratto e demolizione delle loro abitazioni di fortuna a causa dei piani governativi di ristrutturazione
della zona. Parimenti negli Stati Uniti il programma di formazione della Provincia della California
include un periodo in Guatemala, dove i frati possono sperimentare direttamente la vita e la
sofferenza di una parte della popolazione più povera dell'America Centrale.
In Giappone l'opzione radicale per i poveri da parte di PIO (Tetsuro) HONDA continua a causare
controversie tra molti dei sui confratelli. Fu durante il suo servizio come Ministro Provinciale che
l'Ordine tenne il suo Consiglio Plenario a Bahia nel 1985, un evento che lasciò un'impronta
profonda e duratura in Pio. Con il fervore di un neoconvertito, dedicò i suoi sforzi a convincere i
frati della Provincia ad essere capaci di vivere una vita profetica con i poveri. Il suo entusiasmo
contagiò alcuni frati, ma creò serie difficoltà ad altri nella Provincia. Dopo un burrascoso periodo
come Ministro Provinciale, Pio andò a lavorare in una zona della città di Osaka chiamata
Kamagasaki , come lavoratore giornaliero, una delle categorie più povere in una nazione in
apparenza prospera e vincente. Kamagasaki è precisamente uno dei quattro più grandi punti di
raccolta del Giappone per tali lavoratori disoccupati, migliaia dei quali migrarono in quest'area
quando il Giappone passò bruscamente da una società agricola a una società industriale, basata sulla
tecnologia. Quanti sono abbastanza robusti si radunano intorno alle quattro del mattino, nella
speranza di guadagnare la paga di un giorno, facendo spesso lavori pericolosi e difficili. Per anni
questi lavoratori, fornendo una fonte costante di lavoro manuale senza obblighi per i datori di
lavoro, sono stati considerati la valvola di sicurezza della fiorente economia giapponese. Quando
l'economia ha subito delle flessioni, anche i lavoratori giornalieri ne hanno risentito, e le statistiche
hanno registrato un forte calo numerico degli impieghi a disposizione. Un numero sempre maggiore
di uomini sono cacciati dalle loro piccole stanze in affitto e spinti sulla strada, obbligati a dipendere,
per la loro sopravvivenza, da denaro, cibo o vestiario ricevuto in beneficenza. Anche coloro che
sono in grado di sostenere il costo di una stanza devono far fronte a vessazioni da parte della polizia
e delle autorità locali che "spesso trattano gli uomini come animali", come riferisce la gente del
luogo. Le cure mediche per questi lavoratori sono notoriamente inadeguate, a dispetto del numero
allarmante di incidenti sul lavoro. Oggi Pio continua a vivere tra i poveri di Kamagasaki con altri
frati che hanno avviato un centro diurno dove i disoccupati possono consumare un pasto, farsi
tagliare gratis i capelli o semplicemente socializzare in un ambiente accogliente.
Anche nei paesi europei, i frati stanno sempre più facendo la scelta di vivere accanto ai poveri che
cercano di servire. Per molti frati questo impegno è stato anche condizionato dagli eventi della
storia. Durante la seconda guerra mondiale in Francia, la maggioranza dei sacerdoti e dei religiosi
furono obbligati a lavorare nelle fabbriche e negli impianti industriali. Molti di questi cosiddetti
preti operai trovarono che il contatto quotidiano con i loro colleghi _ spesso cristiani disaffezionati
che avevano lasciato la Chiesa _ era molto gratificante. Un Vangelo sociale prese vita e si
manifestò in una rinascita della fede tra molti lavoratori. Alla fine della guerra, molti di questi
lavoratori religiosi continuarono il loro ministero vivendo il Vangelo ed evangelizzando nelle
piazze come "preti operai". Prima della sua morte nel 1997, PIERRE ALLART passò quarant'anni
come prete operaio tra i poveri della città. Lui e altri due frati vissero nei sobborghi di Parigi dove
furono sempre più coinvolti nei problemi degli immigrati dalle nazioni africane. In Germania,
anche KARL MÖHRING e JOACHIM STOBBE vivono come preti operai. Come Pierre, essi
vedono lo stile di vita da loro scelto come una testimonianza del carisma di Francesco, e ritengono
la collaborazione con altre comunità francescane e con organizzazioni consociate ispirate allo stesso
orientamento una componente essenziale del loro ministero. Pierre, portando l'esempio del
coinvolgimento della sua comunità nella "Campagna internazionale per bandire le mine terrestri",
afferma che, se ci si associa con altri, la voce dei poveri riceve maggior credito.
Negli Stati Uniti molte delle parrocchie presenti da più anni hanno ridisegnato le strutture esistenti
per trattare i nuovi problemi dei poveri delle aree urbane. Queste grandi parrocchie, sviluppatesi
all'inizio del secolo grazie all'afflusso di famiglie cattoliche immigrate, sono state gradualmente
abbandonate quando le famiglie si sono spostate verso le più ricche periferie. Nelle città, da New
York a San Francisco, da New Orleans a Detroit e Chicago, i frati che lavorano in queste parrocchie
offrono ora un'ampia varietà di servizi per alcolisti e tossicodipendenti, i senza tetto e coloro che
sono affetti da HIV o AIDS.
Quando JOE NANGLE lasciò New York per il Perù nel 1970, iniziò un'esperienza di conversione
che avrebbe cambiato il suo cuore e il suo modo di vivere. Durante gli anni in cui aveva lavorato in
una parrocchia dell'alta borghesia, aveva rilevato una evidente disparità tra la vita dei ricchi _ verso
i quali si dirigeva gran parte del lavoro della chiesa _ e quella dei poveri nelle condizioni più
disumane. Un momento decisivo per Joe arrivò quando i vescovi latino-americani si riunirono a
Medellín, in Colombia, e rilasciarono la loro dichiarazione finale sull'opzione radicale per i poveri
da parte della Chiesa. Oggi Joe vive nella Casa di Assisi, nel cuore di un'area economicamente
depressa di Washington, D.C. Egli ha aiutato a costruire questa piccola comunità francescana di
religiosi e laici, uomini e donne, che attivamente perseguono la giustizia e la pace, testimonianza di
povertà e vita condivisa. Joe è il direttore del Servizio della Missione Francescana (SMF), una
organizzazione che pone particolare enfasi sul ruolo della "missione di ritorno", che ha luogo una
volta che i volontari ritornano negli Stati Uniti.
I frati nella regione dei Grandi Laghi in Africa forniscono supporto vitale a coloro che hanno perso
tutto nei conflitti etnici che hanno afflitto il Burundi, il Rwanda e lo Zaire. La loro presenza fra i
rifugiati è una eloquente testimonianza del loro impegno a vivere tra i più poveri dei poveri.
VJEKO CURIC racconta un commovente esempio di solidarietà che ebbe luogo in Rwanda durante
il periodo di Natale: "Nel periodo di Natale avevamo migliaia di rifugiati che tornavano dalla
Tanzania. La diocesi usò tutti i suoi mezzi per trasportare i più esausti verso le loro case. Una
squadra medica del nostro ospedale era sempre in movimento e numerose donne partorivano sui
carri o sul bordo della strada. Vedemmo straordinari atti di solidarietà, come persone che donavano
quel poco di cibo che avevano e gli abiti che avevano addosso. Alcuni dei nostri lavoratori
donarono del denaro che avevano ricevuto in acconto sulla paga di Natale. Il vescovo stesso andò
frequentemente a parlare con la gente per la strada per accertarsi della loro situazione e offrire
qualunque aiuto possibile. Le più importanti organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, la
Croce Rossa e l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati erano assenti da questa
scena di povertà abominevole. L'intera strada da Kigali a Kabgayi e Butare era ostruita dalla gente
in viaggio. Ma i cristiani avevano la sensazione che fosse Gesù a camminare lungo quella strada;
ognuno diede cibo, abbigliamento o soldi alla messa di Natale. Successivamente i rappresentanti
uscirono a distribuire le offerte. I più bei doni come sempre furono quelli dei bambini: essi avevano
raccolto così tante cose (caramelle, avocados, patate dolci, fagioli, piselli e legna da ardere per
cucinare o riscaldarsi) da offrire a quei bambini meno fortunati di loro". Vjeko venne fucilato in
Rwanda nel 1998.
ANASTÁCIO RIBEIRO è uno dei molti frati che lavorano con le persone senza terra del Brasile.
Ha vissuto nei due decenni passati nelle zone rurali e negli ultimi sette anni ha lavorato in diversi
stati del Brasile nord-orientale, aiutando più di duemila famiglie ad occupare e talvolta a prendere
possesso legale di terreni incolti. Il processo è lungo, difficile e spesso pericoloso, ma è diventato
una delle chiavi della lotta per la liberazione dei poveri in Brasile. Proprio come gli ebrei
dell'Antico Testamento furono condotti in una nuova terra dove avrebbero trovato la salvezza, i frati
cercano di condurre le persone senza terra in un nuovo luogo in cui abitare, dove possano allevare
ed educare una famiglia, imparando a prendere parte alle strutture democratiche della società.
Regolarmente si spara a questi gruppi che si "stabiliscono" su un pezzo di terra inutilizzato; qualche
volta vengono uccisi, spesso scacciati. Essi si spostano allora su un altro pezzo di terra e lo
occupano. Alla fine riescono a produrre alcuni raccolti e cominciano una lunga e contrastata
battaglia legale, perché il governo confischi i terreni e li distribuisca ai senza terra. Anastácio è stato
regolarmente vessato, arrestato e trattenuto in lunghe prigionie dalle autorità brasiliane. Le
campagne internazionali in suo favore hanno contribuito a mantenere libero Anastácio.
JUSTUS WIRTH, che vive in Texas vicino al confine col Messico, testimonia un altro modo in cui
i frati possono sostenere i poveri nella loro lotta per un tipo di vita decente. Egli ha scritto
innumerevoli articoli per svariate pubblicazioni, volte a mettere in luce le condizioni della gente in
tutto il Messico e nelle zone circostanti dell'America del Nord e del Sud. Recentemente ha lavorato
instancabilmente per creare la consapevolezza degli effetti nocivi dell'Accordo Nord-Americano sul
Libero Scambio (ANALS) sulle popolazioni del Messico settentrionale. Justus ha fornito anche la
documentazione essenziale per la delegazione interfrancescana al Vertice Mondiale delle Nazioni
Unite sull'Alimentazione tenutosi a Roma nel novembre del 1996. Egli ha messo a fuoco la
condizione di circa quindici milioni di messicani rimossi dalle loro tradizionali aziende agricole
(riflesso dei problemi dell'urbanizzazione in tutta l'America Latina) per incoraggiare
l'Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura delle Nazioni Unite a continuare la sua politica
di sostegno dell'autonomia delle nazioni in via di sviluppo quanto alla produzione degli alimenti di
base. L'impegno a fornire una accurata documentazione a partire dalle persone con cui viviamo
costituisce una componente chiave dell'opera di sensibilizzazione a livello internazionale, e ci
permette di raccogliere informazioni sicure che le autorità governative sono spesso restie a dare.
Altri riferimenti: art. 8,1-3; 32,3; 34,2; 66,1-2; 72,1-3; 78,1-2; 87,1.3; 93,1; 132.
1. Quale è stata l'ultima persona povera che ha inciso significativamente nella tua vita? Qual è
stato l'effetto?
2. Ti sei mai sentito emarginato? Che cosa ti ha insegnato questa esperienza in riferimento a te
stesso? Alla fraternità? Alla società in cui vivi?
3. La nostra fraternità locale ha un coinvolgimento diretto con i poveri? In caso di risposta
negativa, come potrebbe averlo?
4. Come trattiamo i poveri che vengono alla nostra porta o chiamano al telefono?
5. La nostra fraternità sostiene iniziative provinciali riguardanti l'opzione per i poveri?
Economicamente? Fornendo appoggio morale?
6. Il lavoro per i poveri ha strutturato la nostra identità provinciale? In che modo?
7. Hai mai protestato per il maltrattamento dei poveri sui giornali, esprimendo i tuoi punti di
vista su riviste o altri mezzi di comunicazione? Per mezzo del voto?
8. L'opzione per i poveri ti ha mai messo in conflitto con la tua famiglia d'origine? Come hai
gestito questa difficoltà?
9. A quale livello ci troviamo, sia dal punto di vista personale che comunitario, nella nostra
relazione con i poveri? Quali misure concrete ci potrebbero aiutare ad approfondire e
sviluppare tale relazione?
10. Nella nostra vita fraterna (preghiera, missione, dialogo, stile di vita), quale peso reale ha
l'opzione per i poveri?
11. Nella nostra fraternità locale, che cosa possiamo già fare per assimilare il principio di
inserimento o preferenza per i poveri e gli emarginati?
12. A livello personale e fraterno, qual è il nostro atteggiamento verso il consumismo?
13. È opportuno chiedere che i frati siano consapevoli delle strutture politiche e sociali che
causano situazioni di ingiustizia nel nostro mondo, o è sufficiente essere impegnati nel
servizio diretto ai poveri?
14. Per Francesco fu più facile compiere una scelta radicale per i poveri nel tredicesimo secolo
di quanto lo sia per noi oggi alle soglie del ventunesimo?
15. Conosci dei frati tuoi coetanei che hanno compiuto un'opzione preferenziale per i poveri?
Che cosa sostiene il loro lavoro? Che cosa pensi di essi e del loro ministero?
2. operatori di pace
Francesco fu operatore di pace in diverse città italiane. Ad Arezzo fece pregare frate Silvestro
perché i demoni, che stavano causando un conflitto civile, lasciassero la città (cfr. Legper 81). Con
l'aiuto di Francesco i cittadini di Gubbio fecero un patto di pace con il lupo che li aveva terrorizzati
(cfr. Fior 21). Certamente il sultano trattò Francesco con rispetto perché lo riconobbe come uomo di
pace (cfr. 1 Cel 57). In risposta ad una contesa fra il vescovo e il podestà di Assisi, Francesco
aggiunse due versetti al Cantico delle Creature (Cant 10-11):
A un altro livello, il Perdono di Assisi ottenuto dal Papa per la gente che prega alla Porziuncola e la
famosa storia del lupo di Gubbio sono due dei più forti esempi dell'impegno di Francesco a portare
la pace. La storia del lupo di Gubbio contiene molti insegnamenti per noi, anche se dovremmo
riconoscere che essa compare solo in fonti successive, la cui storicità è dubbia (cfr. Fior 21).
• un lupo feroce terrorizza la cittadinanza di Gubbio. Attacca animali ed esseri umani. Essi
non ardiscono uscire dalla porta della città;
• Francesco si trova in città e ha compassione della gente;
• esce con un compagno per incontrare il lupo; alcuni contadini si uniscono a loro e
rapidamente indietreggiano;
• il lupo si avvicina ferocemente;
• Francesco fa il segno della croce sul lupo che si calma;
• Francesco chiama il lupo "fratello", lo rimprovera per la sua crudeltà e fa un patto con lui;
• essi vanno insieme in città;
• Francesco esorta la popolazione alla conversione; il patto è rinnovato pubblicamente e la
cittadinanza promette di nutrire il lupo;
• il patto è rispettato e tutti sono felici.
• il coraggio di Francesco che riconosce che "Cristo è il signore di tutte le creature" e ripone
tutta la sua fiducia nella potenza di Cristo;
• l'approccio non minaccioso di Francesco, che va senza armi, ma con il segno della croce;
• il suo coraggio nel mettere il lupo a confronto con i suoi crimini, anche se allo stesso tempo
comprende perché il lupo li ha commessi;
• la sua franchezza con i cittadini nell'evidenziare i loro peccati, mostrando tuttavia di
comprendere il loro bisogno di sicurezza e il bisogno di cibo da parte del lupo;
• la sua insistenza per ottenere un patto chiaro fatto pubblicamente.
Operatore di pace
A Francesco fu rivelato di dire: "Il Signore ti dia la pace", ed egli cominciava le sue prediche con
queste parole. Per otto secoli "Pace e bene" è stato usato come saluto dalla famiglia francescana.
Qualunque saluto può essere una formula vuota, se non c'è corrispondenza nel cuore di chi lo
rivolge. Per Francesco, la pace che desiderava nasceva dalla sua pace interiore e dal suo profondo
rispetto per ogni creatura che viene dalle mani di Dio. Chi augura la pace e non ospita i semi della
pace dentro di sé, è uno che desidera la pace, ma non un pacificatore. Una tale persona non
trasmette un dono ricevuto da Dio. Il segreto di Francesco quale pacificatore era che egli lasciava
che fosse Dio dentro di sé a portare la pace a coloro che incontrava. Quando il lupo di Gubbio
corse verso di lui, Francesco fece il segno della croce sul feroce animale e lo chiamò "fratello".
Queste due azioni rimettono il lupo al suo posto all'interno del cerchio familiare delle creature di
Dio, riconciliato dall'amore di Cristo manifestato sulla croce. A causa delle sue azioni crudeli, il
lupo si era staccato dalla famiglia di Dio. Dopo aver ricevuto il beneficio della redenzione, il lupo si
calmò e fu pronto ad ascoltare i rimproveri di Francesco e la sua richiesta di un patto con gli
abitanti di Gubbio.
Se non riconosciamo la nostra dignità, se non siamo in intimo contatto con il Dio uno e trino che
abita dentro di noi, se siamo contaminati dalla mentalità di fare di ogni realtà un "oggetto" _ oggetti
che possiamo contare _, anche l'amore cessa di essere un prezioso mistero e diventa una cosa. La
presenza di colui che è Amore, che stabilisce la sacralità della nostra dignità, diventa difficile da
riconoscere.
La nonviolenza attiva modella la sua metodologia sulla nonviolenza di Dio. Il suo primo
fondamento è il dialogo tra due sacralità. Questo avviene quando qualcuno o un gruppo di persone,
che hanno ripudiato la schiavitù della violenza e sono in contatto con il centro della loro esistenza
(il vero sé), richiamano i loro avversari a riscoprire il divino in se stessi, usando tale riscoperta per
risolvere i conflitti che li mettono in opposizione. Non tutte le persone violente fanno questo
cammino interiore che richiede libertà di volontà. Esse hanno bisogno di essere costrette dai non
violenti a riconoscere che la forza interiore è un potere in grado di opporsi al loro potere e che il
loro interesse è quello di accettare alcune delle condizioni dei loro avversari. Altrimenti,
continuando la loro violenza, essi perderanno di più. Essi sono messi a confronto con un coraggio,
un amore, una risolutezza che ricevono il loro potere da una fonte immateriale. L'abilità della
metodologia non violenta, se è adeguatamente seguita, spesso farà loro abbassare la guardia e li
spingerà fuori della loro logica sicura.
Lasciateci insistere: il potere non violento viene da Dio, ma Dio non opererà miracoli se noi
rimaniamo inattivi. Molti di noi francescani ancora non si rendono conto che il maggior numero
delle violenze e delle ingiustizie sono parte di una complessa rete di cause e sono altamente
organizzate. La maggior parte dei conflitti aperti, militari o economici, sono di tale intensità e
sofisticatezza che sarebbe ingenuo e irresponsabile fare affidamento solo sull'amore di pochi
individui dal cuore puro che testimoniano la loro sacralità e sfidano coloro che per ora dimenticano
o nascondono il divino in una parte segreta di se stessi.
Ogni creatura, umana o non umana, è nostro fratello e nostra sorella. Questo non è metaforico. Non
è sentimentale. Dio invita noi e l'intero creato ad essere parte di questo pleroma, di questa pienezza
il cui capo è Cristo, nella quale il rispetto per la presenza divina trasforma ogni relazione. Il nostro
rispetto per la presenza di Dio negli altri è ciò che diffonderà una vera pace e un vero rispetto per la
salvaguardia del creato.
In nessun luogo il bisogno di vera pacificazione è oggi più necessario che in molte delle nazioni
africane lacerate dalla guerra. Significativamente fu nella piccola nazione dell'Africa orientale del
Rwanda che GIACOMO BINI, attuale Ministro Generale, e altri due frati si stabilirono quando
diedero inizio ad una nuova presenza francescana nel continente agli inizi del 1980. Là essi
costruirono la loro semplice casa nello stile locale e cominciarono un ministero che lentamente si
propagò a otto paesi della regione (Rwanda, Burundi, Kenya, Uganda, Zambia, Malawi, Tanzania,
Madagascar). Oggi le mete di quella prima comunità, con base a Nairobi, Kenya, sono di sostenere
le molte vocazioni fra gli africani di differenti paesi e retroterra etnici e di creare una fraternità
veramente internazionale, multiculturale _ una testimonianza quotidiana ai valori della
riconciliazione e della mediazione che sono così urgentemente necessari in tutta la regione. Alcuni
dei frati hanno pagato a caro prezzo quel continuo impegno di pace: nel 1986 un frate di 33 anni,
KEVIN LAWLOR, fu ucciso in Uganda. Quando nel 1994 cominciò il genocidio tribale in
Rwanda, il ministro di una nuova fraternità secolare francescana fu assassinato. Nell'aprile dello
stesso anno, GEORGE GASHUGI, un Tutsi di 32 anni, fu brutalmente picchiato a morte solo pochi
mesi prima della professione perpetua dei voti. Nell'aprile del 1996, VJEKO CURIC a stento sfuggì
alla morte mentre ritornava da solo alla casa francescana a Kivumu, 20 chilometri fuori Kigali. Tre
uomini armati con una pistola e lunghi coltelli gli chiesero dei soldi e gli ordinarono di mettersi
faccia al muro. Curic fece appello al suo ingegno e riuscì a fuggire attraverso la porta aperta di una
sala da pranzo. Non era la prima volta che veniva minacciato sia dagli estremisti Hutu che dai Tutsi,
a causa del suo impegno nell'aiutare entrambi i gruppi etnici senza pregiudizi. Egli si era votato a
continuare la sua missione, anche se ciò significava "rischiare la propria vita, proprio come le altre
persone qui". Il 31 gennaio 1998, Vjeko fu ucciso a colpi di arma da fuoco davanti alla chiesa della
Sacra Famiglia a Kigali, Rwanda. Il Papa Giovanni Paolo II gli rese un tributo dicendo: "Così
un'altra vittima si aggiunge alla lunga lista dei missionari che con il sacrificio della loro vita hanno
suggellato il loro amore per Cristo e per i popoli dell'Africa".
Altrove nel continente i frati sono al centro del complesso processo di risanamento e riconciliazione
che sta proseguendo nella nuova democratica nazione del Sud Africa. Come membri delle
numerose Commissioni per la Verità e la Riconciliazione sparse in tutto il paese, i frati ascoltano le
vittime e i carnefici che raccontano la verità sul regime dell'apartheid, aiutando lentamente gli
individui e le comunità a riprendersi dagli oltre quarant'anni di oppressione e brutalità.
"È una nazione traumatizzata che guarda nella sua anima e sta lentamente e dolorosamente
rinascendo". Queste sono parole del frate irlandese PADDY NOONAN, che ha trascorso gli ultimi
venticinque anni a lavorare in alcuni dei più poveri distretti meridionali di Johannesburg, dove la
violenza e l'ingiustizia erano un modo di vivere. Lui e altri francescani vivono in una zona vicino a
Boipatong, famosa per il massacro in cui egli fu il primo ad arrivare e ad essere testimone della
terribile carneficina che aveva avuto luogo durante la notte. "La pacificazione non era proprio in
cima ai tuoi pensieri, quando attorno a te avvenivano massacri del genere", spiega col suo accento
irlandese dolcemente cadenzato. (La maggior parte del suo lavoro è condotto nel dialetto del
distretto locale, poiché egli crede che sia l'unico modo per comunicare realmente con la gente). "Il
primo pensiero che viene in mente è: 'Chi c'è dietro a tutto questo?'. C'erano tante forze invisibili
che rendevano più difficile abbattere il regime dell'apartheid e parlare di pace nel paese!". Non fu
arduo mantenere viva la speranza in mezzo a una simile violenza e repressione? Noonan ritorna al
tempo che ha trascorso visitando le baracche dopo il massacro di Biopatong del 1992: "Avevo
trascorso ore vedendo quei corpi picchiati duramente e martoriati e ascoltando le famiglie delle
vittime, quando uno venne verso di me per strada e mi bisbigliò: 'Padre, noi sappiamo che il
Signore è qui'. Che diritto dunque abbiamo noi, gente di chiesa, di dubitare, se la gente comune
poteva mantenere in vita tale speranza?". Noonan era anche amico intimo di alcuni dei capi della
lotta anti-apartheid, persone che ora occupano posizioni di responsabilità nel nuovo governo. "Era
parte del nostro ministero parlare ad alcuni dei combattenti politici di strada, ma sapevamo che
erano persone oneste e non i ribelli comunisti che erano considerati".
Una simile visione interna della situazione in Sud Africa indusse le chiese a giocare un ruolo
sempre più attivo nel sostenere il movimento anti-apartheid. "Abbiamo sempre lavorato come un
fronte cristiano unito", sottolinea Noonan. "Quando i gruppi politici e civili furono banditi o esiliati,
furono le chiese che entrarono a riempire il vuoto". Egli cita l'esempio del boicottaggio degli affitti
e dei servizi che durò per circa sette anni: "Tutte le parrocchie francescane parteciparono e
rifiutarono di pagare qualunque tassa municipale, perché era uno dei mezzi più efficaci di protesta
non violenta". Quando i funzionari locali minacciarono di spegnere le luci della città, Noonan ed un
gruppo di altri ministri si mossero per tentare di negoziare una via d'uscita dall'impasse. I loro sforzi
fallirono e fu convocata la polizia antisommossa per arrestare il gruppo. Una tale esperienza
personale della lotta per la pace rese la liberazione finale del Sud Africa un evento di gioia quasi
indescrivibile per Noonan. Egli fu a disposizione nello stesso distretto per monitorare le prime
elezioni democratiche, che ebbero luogo nell'aprile del 1994. Paddy e l'austriaco URLICH
ZANKANELLA occuparono posizioni ufficiali come osservatori elettorali _ Paddy come
osservatore locale e Ulrich su invito della conferenza dei vescovi del Sud Africa per fungere da
osservatore elettorale internazionale. "Nei termini della mia missione francescana sentii che
monitorare quelle elezioni era come percorrere le ultime miglia a fianco del popolo. Fu un modo di
essere con loro, mentre entravano in una nuova era di pace e democrazia dopo l'inferno e
l'immoralità degli anni dell'apartheid".
DAVID BARNARD, della Provincia di Nostra Signora Regina della Pace (Sud Africa), visse una
forte esperienza durante il suo anno sabatico in Inghilterra. Là ebbe l'opportunità di riflettere sui
pregiudizi razziali e tribali che continuano ad affliggere il Sud Africa. Per la prima volta nella sua
vita fu in grado di ponderare per un periodo di tempo prolungato come si sentiva un frate nero
africano all'interno di una comunità prevalentemente bianca. Attraverso questa importante
esperienza internazionale, poté condividere la sua rabbia e scoprire il potere del perdono nella più
ampia famiglia francescana al suo ritorno in patria.
Anche in America Latina e in Asia, i frati si sono impegnati per la pace nelle loro fraternità e hanno
visto come i regimi repressivi sono stati rovesciati e fragili democrazie si sono messe in moto. Nelle
Filippine, per esempio, i frati stavano sulla linea di fuoco nella lotta per la giustizia e per la pace
sotto il dittatore di lunga data Ferdinand Marcos, che fu infine rovesciato dalla rivoluzione del
potere popolare nel 1986. Nel corso di quella insurrezione, i frati giocarono un ruolo chiave nel
mantenere le proteste ad un livello non violento, nonostante l'eccezionale oppressione sofferta dalla
maggioranza della popolazione per tanto tempo. Anche nel decennio successivo alla rimozione di
Marcos dal potere, i frati continuarono a chiedere una maggiore giustizia sociale tra il popolo.
Sebbene l'economia della popolosa nazione isolana stia lentamente iniziando a riprendersi dalla
devastazione degli anni di Marcos, il retaggio della dittatura, insieme con la corruzione che
continua e una serie di disastri naturali, indica che la povertà e la violenza continuano ad affliggere
oggi molte parti del paese. Nell'isola meridionale di Mindanao, il governo si è finora dimostrato
incapace di risolvere i problemi della grande comunità musulmana, i cui capi chiedono una qualche
forma di autonomia per la regione. Talvolta i frati sono presi nei vortici della violenza che si agita
intorno a loro. Per esempio, nell'ottobre 1992, AUGUSTINE FRASZCZAK fu sequestrato sotto la
minaccia delle armi e tenuto in prigione per più di due mesi dagli estremisti musulmani. In una
dichiarazione che annunciava il rilascio del loro fratello, i frati dissero: "Il passo più importante
verso l'eliminazione del reato di sequestro è quello di migliorare le condizioni economiche e sociali
di Basilan".
In Giappone i frati PHILIP HAMADA e JOB TODA hanno preso l'iniziativa di promuovere una
più profonda riconciliazione e comprensione tra i popoli della regione asiatica del Pacifico.
Nell'agosto 1995, mentre il Giappone festeggiava il 50° anniversario della fine della seconda guerra
mondiale, essi redassero una dichiarazione che chiedeva il perdono al popolo coreano per i molti
atti di aggressione che erano costati la vita a più di venti milioni di persone nella regione. Nella
dichiarazione i frati riconoscono le molte difficoltà incontrate dalla Chiesa cattolica in Giappone nel
periodo prebellico. Tuttavia si scusano anche per il fallimento della Chiesa nel prendere posizione
contro il governo e nel proteggere coloro che erano stati così brutalmente oppressi, specialmente in
Cina e in Corea.
Come contributo per risanare quelle ferite, BOZE VULETA e altri membri della famiglia
francescana hanno fondato L'Istituto Francescano per la Cultura della Pace. L'Istituto, che è stato
aperto nell'aprile 1996, ha sede a Spalato con centri per il dialogo interetnico e interreligioso nella
capitale bosniaca, Sarajevo. L'obiettivo che si prefigge è di effettuare uno studio dettagliato di tutte
le questioni riguardanti la pace nella regione, promuovendo il dialogo tra nemici antichi e
soprattutto fornendo programmi di educazione alla pace per i giovani. Boze è ottimista riguardo alle
possibilità di successo dell'istituto. "Se la gente della Bosnia e della Croazia è disposta ad ascoltare
qualcuno oggi, questi sono i francescani", dice con un sorriso ironico. "La gente crede in noi, perciò
dobbiamo far fruttare la loro fiducia nella ricerca della pace e della riconciliazione. Il nostro fine è
anche di prevenire ulteriori conflitti, alimentando la comprensione reciproca e il rispetto per le
diversità di cultura e di religione _ premesse che sono state completamente distrutte sotto il dominio
comunista". I frati hanno anche tenuto una conferenza ampiamente pubblicizzata sul perdono,
mettendo insieme scienziati, psicologi, operatori sociali, catechisti ed esperti nel dialogo
interreligioso. La conferenza ha avuto un tale successo che i frati hanno ora pubblicato un libro
sull'argomento, che è largamente usato come sussidio da coloro che si occupano dei problemi dei
traumi postbellici.
Un altro modo di promuovere la pace è quello dei frati dell'Erzegovina che hanno curato i feriti
durante tutta la guerra. Essi hanno sviluppato un progetto per assistere coloro che hanno perso gli
arti a causa delle mine anti-uomo. I frati sono in contatto con una fabbrica ortopedica in Germania e
nel solo 1996 sono stati in grado di fornire di protesi 204 persone. Nello stesso anno una pratica
dentaria strutturata in modo simile ha fornito le cure dentali necessarie ad altre 1286 persone.
I missionari francescani originari dell'Irlanda sono stati sempre in prima linea negli sforzi di
pacificazione in tutta l'Asia, l'Africa o l'America Latina. Detto piuttosto ironicamente, i nostri frati
solo recentemente sono tornati nell'Irlanda del Nord, dopo secoli di assenza datata dal tempo della
riforma protestante. Nel 1984, LIAM MCCARTHY si unì ad altri tre francescani irlandesi che
risposero alla richiesta di assistenza da parte di un gruppo di clarisse e fondarono la prima "nuova"
fraternità nella chiesa di S. Giuseppe nell'area industriale della zona portuale di Belfast. Per Liam
ciò ha rappresentato un evento lungamente atteso nella storia francescana irlandese e una splendida
opportunità per rafforzare il processo di riconciliazione e di perdono tra le comunità settarie
dell'Irlanda del Nord. Gruppi di pace e riconciliazione cominciarono a fiorire in tutto il nord,
incluso il Gruppo interreligioso di preghiera Shalom. Nel 1993 i frati hanno aperto una seconda
casa, una fraternità inserita a Ballymurphy, che offre un programma di solidarietà alla popolazione
di Belfast Ovest, una comunità fortemente repubblicana e cattolica. La loro apertura incoraggia il
dialogo fra le fraternità secolari francescane sia di tradizione protestante che cattolica romana, e la
loro presenza ha aiutato il rafforzamento di iniziative ecumeniche per la pace in tutto il nord.
In un convento disabitato sito a Cori, la Provincia OFM del Lazio ha realizzato un programma di
formazione residenziale per giovani, intitolato "I Giovani Educatori della Pace". Secondo PAOLO
MAIELLO, molti giovani che sono stati toccati dalla vita di Francesco e Chiara e dalla crescente
testimonianza dei francescani di oggi cercano nuovi modi per diventare attivi operatori di pace nella
loro società.
La collaborazione francescana per la pace spesso include sforzi a livello interprovinciale o tra le
Conferenze. Durante l'estate del 1995, due frati di Toledo, Spagna, EMILIO ROCHA e JULIAN
MARTIN ARAGON, raccolsero carichi di materiali medici dalle farmacie spagnole che
destinarono ai rifugiati in Bosnia. In segno di solidarietà e aiuto ai frati della regione, Emilio e
Julian vissero per diverse settimane nel convento di Fojnica in Bosnia, dove i frati LEON MATE
MIGIC e NIKOLA (NIKICA) MILICEVIC furono uccisi il 13 novembre 1993 da membri della
milizia musulmana.
Nel Nord America il movimento antinucleare, e in particolare l'esperienza del deserto del Nevada,
è un esempio del modo in cui i frati lavorano insieme ad altre persone religiose e laiche di diversa
estrazione sociale, impegnate per la pace. Fare pratica nell'aeronautica degli Stati Uniti non è tipico
di un attivista antinucleare, ma per LOUIS VITALE la sua esperienza nella struttura militare
americana e la sua disponibilità ai cambiamenti del Concilio Vaticano II sono stati come il
background al suo impegno totale con i francescani e con il movimento per la pace. Dopo aver
conseguito il diploma in sociologia, Louis chiese di andare a Las Vegas per fondare un ufficio di
giustizia sociale per la diocesi. Lì gradualmente divenne consapevole di quanto stava avvenendo
con gli esperimenti nucleari in Nevada, dove i governi statunitense e britannico effettuavano
esplosioni nucleari sotterranee. Egli cominciò a chiedersi perché ci fosse così poco interesse per
quello che avrebbe successivamente descritto come "forse il più grande disastro ambientale di tutti i
tempi".
"Era chiaro per noi", dice Louis, "che, finché i governi continuavano a sperimentare e sviluppare
nuovi apparati bellici, la corsa agli armamenti sarebbe continuata. Ci impegnammo ad accrescere la
conoscenza di quanto stava avvenendo nel Nevada e ad organizzare proteste e altre azioni per
raggiungere l'obiettivo di una completa proibizione degli esperimenti".
A poco a poco attraverso una serie di incontri di preghiera annuali e una crescente cooperazione con
altri gruppi di cristiani e di indigeni americani, i partecipanti cominciarono a comprendere come
ogni test stesse danneggiando l'ambiente locale e la sopravvivenza del popolo indigeno dei
Shoshone. Malgrado la crescente evidenza scientifica del danno causato dalla sperimentazione, le
veglie annuali si scontravano con la violenta resistenza delle autorità sia locali sia nazionali. Il
numero di persone presenti e arrestate sul luogo è aumentato costantemente durante gli anni '80, ma
il movimento si è rinforzato per il sostegno ricevuto da persone di tutto il mondo. Dopo la sua
elezione a Ministro Generale nel 1991, HERMANN SCHALÜCK andò a pregare nel deserto nella
base per esperimenti del Nevada, in occasione del suo primo viaggio come Ministro Generale. Le
visite di capi di governo, vescovi e rappresentanti di diverse tradizioni religiose evidenziano il forte
impatto che la testimonianza ha avuto sulla opinione pubblica. Gradualmente i lavoratori del centro
hanno cominciato a conoscere alcuni degli attivisti di pace ad un livello più personale e le tensioni
dei primi anni sono diminuite. Anche se dopo il crollo dell'Unione Sovietica è stato possibile
mettere in atto un divieto totale di sperimentazione, il movimento per la pace porta ancora avanti il
suo impegno per impedire la sperimentazione di tutti i sistemi di armi.
ALOYSIUS FLORIO, della Custodia di Terra Santa, ricorda l'impegno pratico dei frati durante la
Guerra del Golfo del 1991, quando la comunità francescana rimase con la popolazione locale
mentre molti altri fuggirono. "La nostra presenza pacifica fra la gente di tutte le fedi, dando loro da
mangiare, ascoltando le loro storie e seppellendo i morti, fu un segno tangibile del nostro impegno
portato avanti per ottocento anni verso gli abitanti della Terra Santa". Questo impegno fu
dimostrato una volta di più quando fu compiuto il massacro degli oltre venti palestinesi che
pregavano nella moschea di Ebron nel 1994. La Custodia in quella occasione condannò
pubblicamente quello che chiamò "l'atto criminale" commesso da un colono ebreo. CLAUDIO
BARATTO, rappresentante del Custode, ALBERT ROCK, PAOLO MASTRANGELI, HALIM
NOUJAIM, GEORGE ABU KHAZEN visitarono immediatamente il municipio della Città di
Ebron e i numerosi feriti come segno della loro missione di pace per i palestinesi spesso
"dimenticati e ignorati" dai cristiani dell'Ovest.
Articolo 1,2
Quali seguaci di san Francesco, i frati devono condurre una vita radicalmente evangelica, in spirito
di orazione e devozione e in comunione fraterna; dare testimonianza di penitenza e di minorità;
portare in tutto il mondo l'annuncio del Vangelo, animati dall'amore verso ogni uomo; predicare con
le opere la riconciliazione, la pace e la giustizia.
Altri riferimenti: art. 33,1; 39; 69,1-2; 70; 95,1-3; 96,2; 98,1-2.
1. Come hai fatto l'esperienza di essere un operatore di pace? Nel tuo lavoro apostolico? Nella
tua fraternità? Nella tua famiglia? Nella tua fraternità provinciale?
2. Quali sono i maggiori ostacoli alla pace nella città in cui vivi? Nel tuo paese?
3. Quale contributo alla pace potresti dare nella città in cui vivi? Quale contributo potrebbe
dare la tua fraternità locale?
4. I vescovi del tuo paese o della tua regione hanno identificato le priorità per una azione di
pace? Come potresti tu personalmente sostenere tali sforzi? Come potrebbe essere coinvolta
la tua fraternità locale? La tua fraternità provinciale?
5. Quali sono le caratteristiche personali più importanti di un operatore di pace? Queste
caratteristiche stanno crescendo nella tua vita?
6. C'è un episodio che preferisci nella vita di san Francesco quale pacificatore? Questo
episodio ti ha aiutato nel tuo impegno di pace?
7. Abbiamo compassione non solo per le vittime della violenza e dell'ingiustizia, ma anche per
coloro che, a causa delle loro passioni o cecità, impongono ad altri sofferenze, violenze o
ingiustizie? Preghiamo per loro? Vogliamo senza presunzione liberarli, accettando il rischio
di affrontarli e la necessità di cambiare noi stessi?
8. Abbiamo scoperto "il lupo" dentro di noi, pronto a divorare? Il lupo sta per essere domato?
9. È possibile che la paura di essere poveri con i poveri sia il nostro maggiore ostacolo nel
partecipare a una lotta non violenta?
10. Nel nostro stile di vita personale e comunitario è presente l'impegno per la giustizia, la
promozione umana, la liberazione e la pace?
11. Pensi che la tua fraternità potrebbe compiere qualche azione per la giustizia e la pace o
partecipare a quelle iniziate da altri? Pensi che ciò potrebbe "complicare" la vita della nostra
fraternità o quella dei nostri gruppi e delle comunità cristiane e che perciò sarebbe meglio
per noi stare in disparte?
12. Che posto occupa nel progetto di evangelizzazione della tua fraternità/della tua Provincia la
dimensione della promozione umana, della giustizia e della pace? Che cosa dovrebbe essere
fatto per progettare o promuovere maggiormente una struttura esistente?
13. Che cosa sai della nonviolenza? Pensi che potrebbe essere un valido strumento per noi
nell'impegno per la giustizia e la pace che le CC.GG. ci propongono?
14. Valuta la percezione e la risposta che tu hai dato in situazioni di conflitto. Come ti ha
influenzato la tua vocazione e il tuo tipo di educazione in questo ambito?
15. Osserva l'ambiente della tua fraternità e indica i semi di violenza che puoi percepire.
Analizza i differenti tipi di risposta che emergono.
3. salvaguardia del creato / giustizia ambientale
Francesco proibì ai suoi frati di recidere interamente un albero; ordinò ai giardinieri di lasciare un
bordo di erba attorno ai giardini; disse che il miele e il vino avrebbero dovuto essere posti fuori per
le api in inverno e chiamava gli animali fratelli. "Quella Bontà 'fontale', che un giorno sarà tutto in
tutti, a questo Santo appariva chiaramente fin d'allora come il tutto in tutte le cose (1 Cor 12,6)" (2
Cel 165). Una volta un uccellino si posò nelle sue mani (cfr. 2 Cel 167); un falco annunciava i
tempi di preghiera (cfr. 2 Cel 168); un fagiano crebbe affezionato a Francesco (cfr. 2 Cel 170); e la
cicala cantava la lode del suo Creatore (cfr. 2 Cel 171). A Natale egli voleva che venissero dati
grano e fieno in più al bue e agli asini mentre granturco e grano venivano sparsi sulle strade per
nutrire gli uccelli, specialmente le allodole (cfr. 2 Cel 200). I compagni di Francesco lo vedevano
"dilettarsi intimamente ed esteriormente di quasi ogni creatura: le toccava, le guardava con gioia,
così che il suo spirito pareva muoversi in cielo, non sulla terra" (Legper 51).
Giustizia ecologica
Ogni cosa ci parla di Dio e ci rimanda a Dio. L'universo nella sua unità così come nella sua
diversità è un sacramento di Dio, una scala che ci porta al Creatore (cfr. 2 Cel 165; LegM 9,1).
"Tutto il mondo è ombra, parte, traccia, è il libro scritto", scrive san Bonaventura (cfr. Collationes
in Hexaemeron 12,14). Per Francesco, come per Bonaventura, Dio è do-vunque e allo stesso tempo
in nessun luogo. Dio è alla fine della strada della conformità a Cristo e della contemplazione
estatica. Ma è anche là, sulla strada, vicino a coloro che lo cercano, anche nelle profondità di ogni
creatura e specialmente nelle nostre profondità. In ogni cosa e in ogni evento Dio è presente. "Dio è
intimamente presente alle sue creature" (Bonaventura, De scientia Christi, q. 2, ad 11). La terra è
sacra.
Quello straordinario amore che Francesco portò agli esseri e alle cose derivava da questo. Egli era
entrato in fraterna e rispettosa comunione con tutto ciò che vive e tutto ciò che è. Per questa anima
supremamente cristiana, amare le opere di Dio e amare Dio era la stessa cosa. Da ciò deriva anche
quell'ammirazione, espressa spesso nei cantici di lode e ringraziamento, davanti alla diversità e alla
gratuità del creato che trova le sue origini nella sovrabbondanza dell'amore trinitario. Scrisse
Tommaso da Celano: "Quella Bontà 'fontale', che un giorno sarà tutto in tutti, a questo Santo
appariva chiaramente fin d'allora come il tutto in tutte le cose" (2 Cel 165). Questa visione estetica e
religiosa si oppone ad una concezione puramente scientifica e materialistica del mondo, in tutte le
sue diverse forme.
Da un lato, la storia della salvezza include la storia umana ma anche l'intero cosmo nella sua
apertura alle promesse divine: "Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad
oggi nelle doglie del parto" (Rm 8,22). Dall'altro, gli stessi esseri umani furono creati dalla terra e il
nome "Adamo" (Adamah) ricorda la loro origine terrestre. E attraverso "sora nostra Morte
corporale, da la quale nullu homo vivente po' skappare" (Cant 12), essi ritorneranno un giorno alla
madre Terra che li vide venire alla luce, secondo l'eterna legge della vita di tutte le creature.
L'umanità è in comunione con la natura nella vita così come nella morte (cfr. Gen 1-3; Cantico di
Frate Sole).
Questa concezione è opposta a quella dei diversi fondamentalismi metafisici filosofici e religiosi
che mettono troppo l'accento sul soprannaturale a discapito del naturale.
Di conseguenza, l'umanità dovrebbe estendere l'etica e la giustizia alla natura, a tutte le persone che
vivono sulla terra, poiché distruggendo l'ambiente esse distruggono il proprio habitat. I beni del
creato non sono riducibili agli interessi economici della sola umanità; essi sono destinati all'armonia
universale di tutti gli esseri. "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona" (Gen
1,31). L'aggettivo "buono" deve essere qui inteso nel significato globale, onnicomprensivo, cioè
ontologico, morale, vitale, estetico, e non semplicemente nel significato esclusivo di un bene
economico.
Una spiritualità ecologica francescana ci pone davanti alla sfida di trascendere noi stessi per entrare
nella comunità universale di tutti gli esseri. Presa in tutte le sue relazioni complesse con l'universo,
la nostra vita allarga il nostro senso di responsabilità verso noi stessi e gli altri. Ciò richiede un
atteggiamento inclusivo verso tutti gli esseri che incontriamo sulla nostra strada, compresi quelli del
mondo naturale, e allo stesso tempo uno sguardo contemplativo di stupore, quando ci troviamo di
fronte alla diversità e alla misteriosa singolarità di ognuno di essi. Una inclusività senza alcuna
appropriazione, una solidarietà che include un profondo rispetto per l'alterità.
La spiritualità francescana centrata su una visione integrale della vita, sulla dignità della terra e
l'intrinseco valore di ogni essere nell'universo, rifiuta di vedere il mondo naturale e l'essere umano
meramente e semplicemente come capitali da sfruttare. Noi dobbiamo prendere le distanze da un
sacramentalismo irresponsabile che è disincarnato e privato di tutto l'impatto sociale, e da un'idea di
progresso illimitato che la terra e i suoi sistemi vitali non possono sostenere.
Ogni essere ha diritto alla vita. Una tortora selvatica, un piccolo fiore insignificante, una
povera donna sofferente, un vecchio uomo cieco, ecc., tutto è stato chiamato all'esistenza e a
partecipare alla stessa avventura d'amore. Francesco nutriva una speciale predilezione per le
creature più piccole ed umili. "Raccoglie perfino dalla strada i piccoli vermi, perché non siano
calpestati" (2 Cel 165). Sui sentieri creati dagli uomini non mancano i passanti che distruggono la
vita.
La terra, come pure gli esseri umani e gli animali che vivono su di essa, ha diritto alla
rigenerazione; essa è soggetta alla legge del sabato, un tempo di riposo necessario per il
rinnovamento della vita (cfr. Lv 25,1-7). La creazione di Dio non si fermò al sesto giorno quando
comparve l'umanità. L'umanità non è la fine della creazione; essa è piuttosto coronata dal settimo
giorno, il sabato, quando Dio si riposa e contempla (cfr. Gen 1-2). È il Creatore che è il principio e
la fine di tutte le cose. Ciascun francescano è un profeta di vita. Nel nome del Dio vivente, egli
denuncia la cultura della morte e cerca di salvaguardare la qualità della vita _ di tutta la vita _ e, nel
deserto del mondo, diviene dovunque e sempre segno di rigenerazione e di speranza.
b) Il francescano è pure attento all'interdipendenza degli esseri. Nessun essere vive di e per se
stesso. La sopravvivenza degli esseri umani, e specialmente dei poveri, dipende dalla sopravvivenza
della terra e dalla qualità della vita di tutto l'universo, e viceversa. Francesco era consapevole dei
doni della terra per mezzo dei quali gli esseri umani sono nutriti: "Laudato si', mi' Signore, per sora
nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et
herba" (Cant 9). Da parte loro gli esseri umani dovrebbero avere cura della terra e salvaguardare la
varietà di frutti, fiori ed erbe. La monocultura per provvedere ai bisogni del mondo industrializzato,
e quindi lo sfruttamento illimitato della terra, porta alla morte della terra stessa e anche dei poveri
che si vedono sistematicamente spogliati delle loro risorse di vita. Migliaia e migliaia di "senza
terra" che muoiono di fame e migliaia e migliaia di ettari di foresta distrutti in Brasile e altrove sul
nostro pianeta sono le disastrose conseguenze di questa politica economica unilaterale.
Questa povertà francescana non è solo individuale. È anche sociale e porta con sé una dimensione
profetica. Rinunciando alla proprietà e scegliendo di vivere poveramente tra i poveri, Francesco
rifiutò il sistema economico e politico del suo tempo. La sua opzione di vivere in povertà si traduce
a livello pratico in una opzione per i poveri. Ciò è in contrasto da un lato con la mentalità feudale
centrata sul possesso di terre e sullo sfruttamento dei contadini, e dall'altro con la società
consumistica introdotta dalla nuova classe sociale, la borghesia.
Ritornando un giorno da Siena, Francesco incontrò un povero. A causa della sua malattia,
Francesco indossava un piccolo mantello oltre al suo abito. Egli vide la miseria del povero e non
poté trattenersi dal dire al compagno: "Bisogna che restituiamo il mantello a questo povero: perché
è suo" (LegM 8,5). L'opzione di vivere sine proprio deve essere legata alla carità, senza la quale la
povertà non ha senso. Per Francesco l'appropriazione è un reale ostacolo all'amore fraterno. Essa
aumenta in noi la volontà di dominio sugli altri. La storia di un novizio che, guidato dal desiderio
del possesso, mancò di rispetto agli altri, è un esempio del legame intrinseco tra povertà e fraternità
(cfr. Legper 70; 72-73). La tentazione di dominare la terra ci porta a dominare gli altri,
specialmente i poveri e gli indifesi. L'accumulazione di ricchezze da parte di alcune persone porta
con sé, come conseguenza, l'impoverimento e anche la distruzione degli altri. Francesco avverte i
suoi frati di stare in guardia contro questo pericolo: "Si guardino i frati, ovunque saranno, negli
eremi o in altri luoghi, di non appropriarsi di alcun luogo e di non contenderlo ad alcuno" (Rnb
7,13).
Marx mise in evidenza il legame fra lo sfruttamento dei lavoratori e quello della terra nel sistema di
produzione capitalista, quando scrisse ne Il Capitale: "Tutto il progresso nell'agricoltura capitalista
è progresso non solo nell'arte di sfruttare il lavoratore, ma anche nell'arte di spogliare il suolo; tutto
il progresso nell'arte di aumentare la sua fertilità per un periodo, è il progresso nel rovinare le fonti
durevoli della fertilità. [...] La produzione capitalistica sviluppa solo le tecniche e la combinazione
dei processi di produzione sociale mentre allo stesso tempo estingue le due fonti da cui la ricchezza
proviene: la terra e il lavoratore" (K. Marx, Il Capitale, vol. 1, libro 1, sezione 4, c. 13, § 10 / Marx-
Engels, Werke, vol. 23, Dietz Verlag, Berlino 1962, pp. 529-530). La giustizia ecologica e la
giustizia sociale sono inseparabili.
Francesco non dimenticava che la pace tra le persone è solo un aspetto della riconciliazione
universale tra gli esseri umani e la terra, e tra queste realtà e il loro Creatore. Egli aggiunse una
strofa sul perdono del prossimo nel suo Cantico delle Creature: "Laudato si', mi' Signore, per quelli
ke perdonano per lo Tuo amore" (Cant 10). L'amore è ancora possibile, no-nostante tutte le ombre
di morte che ci opprimono. Quando tutti gli argomenti della ragione sono insufficienti a portare la
pace, non vi è altra strada da seguire che quella del perdono. È il perdono che rende all'amore la sua
chiarezza e riscopre la dignità della persona. Consapevoli che le armi non ristabiliscono la pace, che
causano non solo morte agli esseri umani ma anche la distruzione radicale dell'ambiente, i frati
vanno per il mondo denunciando ogni attacco alla salvaguardia del creato, testimoniando attraverso
la nonviolenza la misericordia di Dio, quali artigiani della riconciliazione universale.
La salvaguardia del creato è sempre stata al cuore della spiritualità francescana, ma negli anni
recenti i temi della giustizia ambientale sono passati dalla nozione romantica del curare le piante e
gli animali a un più urgente impegno per la promozione dei diritti umani e la giustizia sociale. In
America Latina in particolare, il diritto di insediarsi e prendersi cura di un terreno è visto sempre di
più come un primo passo vitale per dare pieni poteri ai poveri e superare le strutture opprimenti
della società. In tutto il continente e in altri posti, i frati vivono accanto ai poveri, sviluppando modi
creativi di proteggere l'ambiente e promuovere l'autosufficienza delle comunità indigene.
Purtroppo è ancora raro trovare frati che siano in grado di dedicarsi interamente a questo tipo di
lavoro. Una eccezione è JIM LOCKMANN (U.S.A.) che ha conseguito il dottorato in ecologia e ha
lavorato per promuovere metodi di sviluppo sostenibile vicino alla città di Belém nel bacino del Rio
delle Amazzoni. La sua specialità è lo studio biologico delle specie di piante locali, cercando di
conoscere sempre meglio gli alberi che potranno contribuire alla conservazione a lungo termine
dell'ambiente. L'area nord-est del Brasile è estremamente povera ed è abitata da famiglie profughe
che vi furono insediate con la forza dai militari. Di conseguenza esse non sanno nulla del loro
nuovo habitat e non hanno supporti finanziari o educativi dal governo che possano aiutarle a
prendersi cura del loro ambiente. Ci vogliono di solito circa cinque anni per una piccola comunità
per tagliare tutti gli alberi e per sfruttare al massimo un appezzamento, quindi sono obbligati a
spostarsi in un altro luogo. Lockmann vive con una comunità di lavoratori, aiutandoli a sviluppare
una visione a più lungo termine del loro ambiente. "La vita è molto dura per questa gente", dice, "e
ci vuole tempo per guadagnarsi la loro fiducia. Ma dopo un po' arrivano a capire che possono
costruire un futuro migliore per i loro figli".
Oggi RODRIGO DE CASTRO AMÉDÉE PÉRET sta sviluppando un modo nuovo e creativo di
portare avanti questo lavoro, autorizzando gli agricoltori poveri a difendere i loro diritti e a
proteggere le specie locali di piante e colture. Una particolare iniziativa pionieristica nello stato di
Minas Gerais, Brasile, è la fondazione di banche delle sementi. Volontari raccolgono, coltivano e
distribuiscono i semi di molti differenti alberi e piante locali, riducendo in tal modo la dipendenza
degli agricoltori da semi stranieri e ibridi e cercando di invertire la tendenza a coltivare vaste distese
di terreno a monocultura per la produzione di caffè, frumento, soia e altri prodotti di vendita per
l'esportazione. Attraverso il suo lavoro nel Vivaio Agro-Ecologico di San Francesco di Assisi,
Rodrigo e il suo gruppo hanno messo i piccoli agricoltori in condizione di provvedere alle loro
famiglie e allo stesso tempo di preservare la stabilità dell'ambiente a lungo termine. Le maggiori
priorità del vivaio sono la ricerca nel campo della gestione delle risorse del suolo e dell'acqua e la
eliminazione dell'erosione del suolo. I volontari inoltre catalogano accuratamente le proprietà
farmaceutiche degli alberi, dei frutti e delle erbe locali che una volta venivano utilizzate
efficacemente per il trattamento di molti tipi di malattie, assicurando la loro reintroduzione
nell'ecosistema regionale.
Quale cofondatore della coalizione SAVE ME (Samar Alliance of Vigilant Endeavors for Mother
Earth), JOSI CALVIN BUGHO, facendo propria la scelta di vita dei frati PASTOR ALTA e
ALBERTO BALDO, si è unito a loro e ai parrocchiani di Tinambacan, Samar-Nord, Filippine. Una
recente campagna interfrancescana contro il vertice dell'APEC del 1996 nelle Filippine ha messo in
luce il crescente bisogno di guardare al degrado ambientale da una prospettiva di giustizia sociale
più inclusiva.
A Makarska, Croazia, JURE RADIC (1920-1990), della Provincia francescana di Spalato, fondò
un museo marino nel 1963, dopo anni di ricerca scientifica sulla flora e la fauna della Croazia
meridionale e del Mare Adriatico. Egli raccolse anche numerose conchiglie marine da tutto il
mondo e diede inizio ad un impressionante erbario e ad una raccolta paleontologica. Come
professore di liturgia, scienziato e frate francescano, credette profondamente nella necessità di
salvaguardare il creato. Per aiutare ad accrescere la consapevolezza di tali questioni, fondò anche il
cosiddetto Istituto della Montagna e del Mare, che organizza molte conferenze scientifiche e lavora
insieme con altri istituti scientifici internazionali.
Sul confine che separa il Messico dagli U.S.A., JOE BAUR, LUIS BALDONADO, LIZ
CUMMINS hanno lavorato insieme con altri leaders laici al progetto, conosciuto come SWEEP o
Progetto per l'Equità Ambientale Sud-occidentale, per cercare di bloccare la legge che permette alle
compagnie di scaricare rifiuti tossici senza ripulire i cantieri. Molte di queste aree di rifiuti tossici
sono localizzate nelle regioni afroamericana e ispanica lungo il confine U.S.A.-Messico. I residenti
non vengono informati di questi rischi e ancor più manca il potere politico di influenzare la
localizzazione di tali aree. Le percentuali di cancro e altre malattie sono spesso più alte in queste
aree che non altrove. SWEEP continua a portare capi della chiesa da Phoenix a visitare le famiglie
di Nogales, Arizona, dove la diffusione del cancro e di altre malattie è stata chiaramente
documentata. Incorporare le questioni di giustizia sociale nel più tradizionale "movimento verde" è
un ragguardevole esempio dell'essenza francescana di SWEEP.
In una povera comunità ispanica a Oackland, California, U.S.A., KEITH WARNER ha lavorato per
accrescere la consapevolezza dell'interdipendenza tra il degrado ambientale e la povertà in tutto il
mondo. "La gente non vuole curarsi delle foreste pluviali tropicali in Brasile o in Micronesia -
secondo Keith - a meno che non abbia un senso del legame con la sua situazione locale". Stando a
quanto riferisce, la gente di campagna sapeva meglio come gestire la terra. Oggi, con il tremendo
esodo di persone dalle aree rurali a quelle urbane, la gente ha perso il riferimento alla natura. Keith
crede che dando alla popolazione urbana il senso dei doni della natura attraverso piccoli passi, come
giardini di comunità, riciclaggio e piantagione di alberi, si possa ottenere una etica ambientale più
pratica ed olistica. Recentemente, nella città di Oakland è iniziata una campagna per combattere lo
smaltimento dell'olio per motori che una volta usato viene gettato nel sistema fognario cittadino _
una pratica molto comune nella zona del Convento di S. Elisabetta. Nel tentativo di promuovere il
riciclaggio di tale tipo di olio, Keith costruì una strada modello sul retro della Chiesa di S.
Elisabetta, dove i bambini del luogo poterono verificare l'impatto negativo che lo smaltimento di
quell'olio stava avendo sull'intera area della baia di San Francisco. "In una comunità povera come
questa, composta da salvadoregni, messicani e molti stranieri senza documenti, il governo della
città semplicemente non ha la considerazione necessaria né le strutture e la capacità di linguaggio
per affrontare il problema", dice Keith. "La gente dei dintorni teme il governo, in particolare il
Servizio Immigrazione e Naturalizzazione, e ha poco tempo per gli interessi ambientali che
preoccupano i ricchi californiani settentrionali".
Spesso gli interessi politici ed economici hanno la precedenza sulle questioni ambientali e sui diritti
delle popolazioni locali. In mezzo al disordine politico in Israele, l'ex Custode di Terra Santa,
GIUSEPPE NAZZARO, cercò di combattere i piani per confiscare enormi appezzamenti di terreno
vicino a Betlemme per la costruzione di un lussuoso complesso turistico. Fin dal 1967, più del 60%
di tutta la terra nella regione è stata confiscata e dichiarata zona militare dal governo israeliano.
Betlemme è ora quasi totalmente circondata da insediamenti ebraici e da circonvallazioni. Autobus
di turisti si muovono rapidamente dentro e fuori la città, scoraggiando il contatto con la comunità
cristiana locale. In un contesto politico già esplosivo, l'ulteriore confisca delle terre significherà la
perdita di mezzi di sussistenza per diverse migliaia di famiglie, la distruzione di molte terre dei
padri della gente palestinese e una maggiore opposizione al fragile processo di pace.
In altri paesi dove ha avuto luogo la trasformazione politica, vi è un crescente senso di giustizia
ambientale. In Sud Africa, per esempio, con il sistema dell'apartheid dei governi del passato,
enormi zone di terreno erano state destinate per lucrose riserve naturali e per gli insediamenti degli
afrikaner, mentre i territori delle tribù e i sobborghi per la maggioranza nera erano stati lasciati in
uno stato di totale abbandono. Un progetto mirato ad aiutare le comunità nere a combattere la
deforestazione piantando boschi di eucalipti a crescita rapida è risultato aver influito malamente
sull'ambiente locale. In un paese di cui si conosce la carenza di acqua, un bosco di 100 eucalipti può
assorbire più di 50.000 litri di acqua al giorno, trasformando perciò le aree circostanti in un vero e
proprio deserto. Fino alla sua recente morte, CRISPIN CLOSE era stato un pioniere nello sforzo di
tagliare i boschi di questi alberi e sostituirli con varietà di alberi indigeni locali che crescono da
sementi.
In altri paesi del mondo, i frati stanno promuovendo la conservazione delle piante indigene e delle
antiche tecniche agricole come il modo migliore di sostenere i piccoli agricoltori nella lotta contro il
tentativo dei governi di convertire vaste aree di terreno in lucrose coltivazioni a monocoltura. In
Papua Nuova Guinea i frati hanno protetto la crescente coltivazione delle piantagioni di palme da
olio. Gli alberi sono coltivati per i loro frutti a grappolo, dei quali la polpa e i semi producono olio
da vendere sui mercati stranieri. Ancora una volta la diversità ecologica della regione e il
sostentamento della popolazione locale sono minacciati da questo tipo di sviluppo non sostenibile.
Articolo 9,1.4
Con il voto di castità, i frati ... si possono occupare, con cuore indiviso, delle cose del Signore (1).
Per vivere il voto di castità, i frati ... guardino con devota umiltà tutte le creature, consapevoli che
esse sono state create per la gloria di Dio (4).
1. Quali sono le più grandi minacce all'ambiente che affronta la tua città? Il tuo paese? Il
mondo?
2. Che cosa hai fatto personalmente in risposta alla domanda 1? Che cosa ha fatto la tua
fraternità locale o la tua fraternità provinciale?
3. La tua fraternità locale ricicla quando è possibile?
4. Le questioni di giustizia ambientale sono presenti nel tuo lavoro apostolico (impegni
quotidiani, conversazioni, predicazione, ecc.)?
5. Molte persone guardano a san Francesco come ad un importante alleato nei loro sforzi a
favore della giustizia ambientale. Tu incoraggi ciò? In che modo?
6. Nel tuo lavoro apostolico, usi mai esempi ecologici per evidenziare il fatto che tutte le
persone del pianeta sono interrelazionate tra loro? Hai mai usato il Cantico delle Creature
nella preghiera pubblica per rinforzare questa convinzione?
7. Avverti che tu personalmente e la tua fraternità siete abbastanza sensibili ai problemi
ecologici e a conoscenza dei medesimi? Giudichi che la partecipazione dei francescani alle
azioni e ai movimenti ecologisti sia adeguata?
8. Cosa criticheresti nella tua vita e in quella della tua fraternità riguardo alla sensibilità e alla
responsabilità per l'ecologia: uso eccessivo di energia, distruzione di materiali che
potrebbero essere riciclati? Pensi che ciascuno di noi alla stessa maniera è responsabile del
consumismo e del cosiddetto "sviluppo"?
9. Dal punto di vista di una opzione per i poveri, quali passi potremmo fare verso una più
effettiva responsabilità nell'area dell'ecologia?
10. Credi che la consapevolezza odierna riguardo all'ecologia richieda una nuova lettura del
Cantico delle Creature? La tua fraternità potrebbe fare una lettura di questa preghiera in
comune, con un commento dal punto di vista del tema di questo capitolo.
4. vita
Poiché Francesco riferiva tutto il creato al Creatore (cfr. 2 Cel 165), il Poverello di Assisi era
fondamentalmente gioioso. Solo il peccato costituiva motivo di tristezza; tuttavia, anche in tal caso,
i frati dovevano "guardarsi dall'adirarsi e turbarsi per il peccato di qualcuno" (Rb 7,3). Al contrario
degli Albigesi, che consideravano buono lo spirito e cattiva la materia, Francesco vedeva tutto il
creato come benedetto da Dio. Perciò Francesco spingeva le persone a frequentare i sacramenti,
segni visibili dell'amore e della grazia di Dio (cfr. 2 Lf). Il Poverello qualche volta cantava in
francese e usava due bastoncini per rappresentare un violino e il suo archetto (cfr. 2 Cel 127).
Poiché Francesco per primo viveva ciò che predicava, poteva predicare con fiducia, muovendo i
cuori prima induriti al pentimento e riportando la salute alle anime e ai corpi (cfr. LegM 12,8). Il
Trattato dei miracoli del Celano ci ricorda alcuni dei molti miracoli compiuti da Francesco o
attribuiti alla sua intercessione. Francesco trattò sempre le persone malate compassionevolmente.
Egli esortava i frati a guardarsi "dal mostrarsi tristi all'esterno e oscuri in faccia come gli ipocriti",
ma dovevano mostrarsi "lieti nel Signore e giocondi e garbatamente amabili" (Rnb 7,16). Verso la
fine della sua vita Francesco disse: "Cominciamo, fratelli, a servire il Signore Iddio, perché finora
abbiamo fatto poco o nessun profitto!" (1 Cel 103). Francesco scrisse al ministro che aveva
difficoltà con certi frati: "Non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile
peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede;
e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato" (Lmin 9-10). Il perdono, la
penitenza e le opere di compassione alimentarono incessantemente l'amore di Francesco per la vita.
Prospettive francescane
L'autore britannico G.K. Chesterton ha osservato che una componente del genio del Santo di Assisi
era il modo in cui Francesco concentrava la sua attenzione sulla singola persona che aveva di
fronte. Era un segno della sua cortesia il fatto che Francesco non facesse mai differenze tra una
persona e un'altra, ma desse ad ognuno _ dal lebbroso al sultano, da donna Jacopa al mendicante _
la sua attenzione e il suo interesse. Nel suo famoso Cantico delle Creature, Francesco mostrò che la
sua attenzione e il suo rispetto erano diretti non solo agli uomini ma a tutte le creature. E la ragione
dell'atteggiamento di Francesco verso gli altri era proprio che Dio li aveva creati e attraverso essi
Dio poteva essere glorificato.
Duns Scoto, così diverso nel metodo e nel contenuto da Bonaventura, ha tuttavia in comune con il
Dottore Serafico l'ispirazione di Francesco. Come è risaputo, non è il peccato ma la bontà che
domina la visione del creato in Scoto. Poiché Dio è libero, la creazione non ha ragione di essere ad
eccezione che per il divino favore di Dio. L'amore di Dio è manifestato nella creazione e più
chiaramente nell'incarnazione. Tutto ciò che esiste non è necessario che sia, ma che qualcosa esista
è dovuto solamente all'amore di Dio che vuole che esista. Vi è una importanza e una dignità in ciò
che esiste, e la storia della salvezza è la storia di come Dio liberamente entra in dialogo con
particolari persone in tempi e luoghi concreti. La creatura individuale, nella unicità della sua
situazione storica, è parte della storia della presenza attiva di Dio. Mentre l'incarnazione è, di certo,
l'apice più alto della creazione, essa serve anche per affermare il valore del mondo creato. La carne,
la corporeità, la materialità, lo storicamente contingente - tutto ciò non deve essere evitato ma
accettato, come Dio stesso lo accetta. All'enfasi di Scoto riguardo a questo punto viene data
espressione dal termine haecceitas, la specificità di una cosa. Haecceitas, ciò che rende qualcosa
singolare e differente dalle altre che condividono la sua natura, sottolinea il valore di una realtà
contingente e particolare, poiché ogni essere possiede qualcosa che esso solo può rivelare.
Perfezionismo
Questa visuale attribuisce grande importanza al valore della vita, nella misura in cui essa manca di
ostacoli o battute d'arresto al successo, alla popolarità o all'autonomia. Messa di fronte alle
imperfezioni della condizione umana, questa visione del mondo non può continuare ad accettare
l'essenziale bontà e dignità dell'ordine creato. Quindi infermità o malattia sono viste derubare le
persone della loro dignità, rendendo marginale il loro ruolo nella vita sociale, rendendole indegne
della nostra attenzione o del nostro interesse. Il trattamento del malato, specialmente del
moribondo, spesso riflette un disagio che le persone provano quando si confrontano con la
diminuzione della forza e della salute. In molte società i movimenti per il suicidio fisico assistito, o
per la legislazione del diritto a morire, possono essere un riflesso di una incapacità a sostenere una
vita che è degna di essere vissuta nonostante il dolore e la sofferenza. Nelle menti di alcune
persone, la vita è degna di essere vissuta solo se una persona può avere il controllo del proprio
corpo e non esperisce limitazioni fisiche.
Molto spesso nelle culture moderne l'importanza dell'immagine porta a spese e sforzi esorbitanti per
aumentare o mantenere la bellezza fisica. Dobbiamo relegare coloro che sono deturpati o non
attraenti alla periferia della nostra vita; può essere molto più facile servire le persone che
rispondono ai requisiti culturali della bellezza o dell'attrattiva. Molto spesso i giovani sono attratti
dal sogno di ottenere la bellezza eterna e tendono a valutare gli altri (specialmente i coetanei) solo
sulla base dell'apparenza fisica. Rispetto alla natura vi è la tentazione alla "Disneyficazione"
dell'ambiente, cioè l'impulso continuo di rendere la natura "graziosa", liberandola di tutto ciò che
non è armonioso, piacevole e conveniente per il turista cittadino. Molte nazioni povere stanno
cercando di attirare i visitatori stranieri, eliminando o cambiando elementi dei loro ambienti naturali
che non attraggono i forestieri. Insetti, animali selvatici, colline e montagne scoscese, linee costiere
frastagliate, usi e costumi e diete indigene possono essere tutti sacrificati alla causa di una
omogeneità imposta umanamente, che sia familiare e confortevole per chi viaggia a scopo
ricreativo.
Un perfezionismo morale può impedirci di rispettare e amare quelli che hanno ceduto alle
tossicodipendenze, abbracciato uno stile di vita problematico o commesso azioni malvagie. È facile
trasformare i giudizi sul comportamento in condanne delle persone. Tali condanne possono quindi
estendersi alla negazione dei diritti del condannato, come, per esempio, la carcerazione ingiusta, la
repressione e la stigmatizzazione, la tortura e la pena capitale. In tutti i nostri rapporti con le
persone, anche quelle non ancora pronte a cercare la conversione, dobbiamo ricordare la massima
"odiare il peccato, ma non il peccatore".
I francescani, che sono consapevoli della loro stessa fragilità e debolezza e sanno anche che sono
amati da Dio, devono essere pronti ad estendere l'amore a tutte le altre componenti della vita, anche
quando è incontrata in quelle forme che mostrano la non pienezza della promessa e della speranza
che Dio assicura di portare a compimento nel futuro.
La razionalità strumentale
In un'epoca di mirabili conquiste scientifiche, nella quale l'ingegneria ha compiuto meraviglie in
una varietà di campi, c'è il rischio che un modo di pensare adatto ad una dimensione della vita
venga esteso in aree in cui è meno appropriato. È legittimo poter usare gli elementi dell'ordine
creato come mezzi per ottenere un bene maggiore, ma se noi vediamo gli altri solo dalla prospettiva
di come possono servire ai nostri scopi, allora possiamo perdere la ricchezza e la bellezza delle
persone e delle cose in se stesse.
Un rischio costante nella vita morale è che poniamo noi stessi al centro dell'esistenza. L'io umano
può sorprenderci per la sua ingenuità nell'affermare se stesso in varie guise per tutta la vita.
Precisamente, poiché Francesco abbraccia una visione cristocentrica del mondo, noi dovremmo
essere capaci di resistere più efficacemente all'impulso persistente dell'io di porci al centro delle
cose. Ciò significa che una razionalità strumentale che giudica ogni cosa secondo l'ottica del
tornaconto personale non dovrebbe essere il modo dominante di pensare. La razionalità strumentale
è tuttavia presente nell'espressione sia individuale sia collettiva.
La vera amicizia è una delle relazioni che possono essere a rischio in una vita dominata dal
ragionamento strumentale. Oggi in molte società gli individui di successo sono quelli che sono
capaci di collegarsi, "network", bene con gli altri. Sia nel lavoro sia nel servizio sociale, nelle arti o
nelle professioni, viene dato molto peso alla creazione di una catena di contatti, persone o colleghi a
cui poter chiedere aiuto. Mentre l'amicizia si diletta e gioisce dell'esistenza dell'altro come presenza
nella propria vita, il pensare strumentale vede l'altro come mezzo per raggiungere qualche scopo.
Una volta che esso è stato raggiunto, la relazione è alterata, poiché la base della relazione non è mai
stata la premura e la gioia reciproca che accompagna l'amicizia. Non si vuole dire che il
ragionamento strumentale sia assolutamente sbagliato; quando però esso diventa il modo dominante
di pensare, può distorcere le relazioni fondamentali che dovrebbero operare su un'altra base.
Logica di mercato
Forse nessuna ideologia è divenuta sovrageneralizzata, cioè estesa in ambiti per cui non aveva
significato, come quella del libero mercato. Come Giovanni Paolo II ha suggerito, un libero
mercato adeguatamente regolato può essere un mezzo efficace di produrre e distribuire beni e
servizi che promuovano il benessere. I mercati possono incoraggiare la creatività,
l'imprenditorialità, la diversità e la prosperità. Senza vincoli adeguati i mercati possono anche
portare a ineguaglianze nocive, danno ambientale, rovinosa competizione e sfruttamento dei deboli.
Mentre non si negano i benefici e i rischi del mercato per la vita economica, vi è un altro aspetto
della mentalità di mercato che i francescani devono riconoscere: l'estensione della logica di mercato
in ambiti non economici. Il risultato è un riduzionismo che vede l'uomo semplicemente come Homo
oeconomicus e il resto della vita come avente valore solo di merce. Come ha detto un critico, "il
mercato conosce il prezzo di ogni cosa ma il valore di niente". Vi è il rischio che con la mentalità di
mercato la società dia un valore finanziario a cose che non dovrebbero essere comprate né vendute.
Le libertà politiche e civili dei cittadini, i beni economici e sociali fondamentali necessari per la
dignità, gli affetti che legano i familiari e gli amici, l'onore, la sincerità e il rispetto reciproco _
queste cose non dovrebbero essere in vendita.
La logica di mercato può cancellare una sensibilità estetica, che si diletta della bellezza per se
stessa. Ridurre il valore di un dipinto, il piacere della musica, la vista di un tramonto sull'acqua, il
ritmo di un poesia a quello che potrebbe valere sul mercato impedisce di apprezzare le cose per il
loro valore intrinseco. Uno dei doni della contemplazione è quello di alimentare nel soggetto
l'abilità di cogliere aspetti del creato in termini diversi dall'utilità di mercato. La preghiera ha valore
in se stessa, indipendentemente da ciò che dice il mercato. La visione francescana include molti
altri elementi che sono tenuti in gran conto e rispettati non per il loro valore monetario, ma perché
danno gloria a Dio e accrescono il nostro apprezzamento per ciò che Dio ha fatto, donando la vita a
tutte le creature nel loro diverso splendore.
Celebrare la vita e la dignità di ogni individuo è stato elemento integrante della visione francescana
fin dal tempo di san Francesco. In un certo senso oggi vi è una maggiore consapevolezza dei diritti
umani dell'individuo, come si vede dai molti gruppi di pressione, da organizzazioni non governative
e movimenti per la vita. D'altro canto la nostra società consumistica è sempre più dominata da un
sistema di valori alternativo, che enfatizza i soldi, la bellezza, il successo e l'autogratificazione al di
sopra di ogni altra cosa. È facile trovare esempi di frati che lavorano in diversi paesi per
promuovere una "cultura della vita" tra i settori più poveri della società. È più difficile identificare
gli sforzi pazienti da parte di alcuni frati nell'incoraggiare un nuovo entusiasmo per la vita nei fatti
più mondani o nella vita di tutti i giorni. Scrittori, artisti o musicisti comunicano questo gusto per la
vita attraverso il loro lavoro, predicatori di talento lo passano ai membri delle loro congregazioni,
insegnanti aiutano le persone giovani a sviluppare una visione positiva e salutare della vita.
A Merchants Quay, una zona depressa di Dublino, Irlanda, SEAN CASSIN sta lavorando per
promuovere questa "cultura della vita" tra coloro che soffrono di HIV e AIDS. Sean ebbe il primo
impatto con la tossicodipendenza quando era giovane studente a Roma. L'incontro quotidiano con i
molti drogati che dormono di notte nelle strade di Roma lo preoccupò così tanto che ebbe difficoltà
a rispettare i suoi programmi di studio. Ispirato dalle parole del Vangelo di Matteo 25,35-36, Sean
cominciò ad andare verso la "gente di strada" di Roma. Al ritorno in Irlanda, concentrò i suoi sforzi
sugli eroinomani che spesso si ritrovavano nei dintorni di Merchants Quay. Sean si è sempre più
convinto che i programmi tradizionali di trattamento delle droghe possono avere solo un successo
limitato, perché non si occupano delle più ampie sfide sociali che oggi tanti giovani irlandesi si
trovano ad affrontare. La squadra di Merchants Quay cominciò ad esaminare nuovi modi di
rispondere a questi bisogni; per esempio, era inutile discutere "il male della disoccupazione" senza
programmi professionali che fornissero ai tossicodipendenti nuove abilità rispondenti alle esigenze
di mercato; era necessario rieducare all'autostima i consumatori di droghe attraverso terapie di
gruppo e l'assistenza di esperti; era possibile arrestare la trasmissione dell'HIV fornendo aghi puliti,
una soluzione spesso disapprovata dagli osservatori esterni. Amici di lunga data di Merchants Quay
sono tuttora ammirati per l'impegno allargato dei centri a favore della giustizia sociale tra gli
indigenti. Per Sean non c'è ministero più importante, poiché egli vede i cambiamenti che il centro è
stato capace di fare nella vita di così tante persone.
Anche nei Paesi Bassi, molti giovani che vanno ad Amsterdam per studiare arrivano alla
tossicodipendenza, e la prostituzione è spesso vista come l'unico modo di poter mantenere tale
abitudine. L'uso di aghi sporchi e rapporti sessuali non sicuri portano inevitabilmente all'infezione
da HIV e all'AIDS. Lavorando tra la "gioventù dimenticata" di Amsterdam, LOUIS BOTHE è stato
capace di offrire sostegno e fornire opportunità pratiche per alcune di quelle persone, che riescono a
sconfiggere la loro tossicodipendenza e intraprendono una nuova vita.
Lavorando in una delle zone più degradate presso Karachi in Pakistan, KEN VIEGAS incontra
molte persone che hanno perso tutte le speranze in una vita migliore. Circa i tre quarti della
popolazione della sua parrocchia non hanno acqua corrente, pochissimi hanno un reddito regolare,
molti non hanno coscienza del loro valore, o ne hanno solo un senso molto vago. La malattia, la
disoccupazione, l'usura e l'abuso di droghe sono i duri fatti della vita per molte famiglie di qui. È
per questo che l'opera di giustizia e pace è così importante per Viegas. "Non è solo un passatempo",
dice, "è una vera passione quella che io sento così fortemente. E quando soffri e hai fame di
giustizia, cominci a vedere la passione di Gesù più chiaramente". Quando visita le case dei più
bisognosi ed emarginati, cerca di incoraggiare le persone a riscoprire il senso della loro dignità, dei
loro talenti unici. "Cerco di visitare cinque case al giorno e dico alle persone che non vado per
mangiare o bere con loro, perciò non devono correre in giro a comprare cibo e prepararlo per me.
Quando comprendono che vai solo per ascoltarli e non per vedere cosa hanno da offrire, allora puoi
avvicinarti molto a loro".
Un altro frate, YOUNIS WALTER, lavora con bambini mentalmente handicappati a Karachi,
cercando di combattere le superstizioni e i pregiudizi profondamente radicati che aggravano il
problema in questa parte del mondo. Molte famiglie credono che un bambino handicappato sia un
segno di punizione da parte di Dio. Nel centro che egli ha collaborato a costruire, il focus
dell'attenzione non è solo sulla cura di qualità per i bambini ma anche sull'educazione e sulla
prevenzione, insegnando ai genitori la connessione tra handicap e povertà, tra fragilità di salute e
l'usanza frequente di matrimoni all'interno della stessa famiglia. Il centro è aperto sia ai cristiani sia
ai musulmani, in un paese dove convertirsi al cristianesimo è visto come un crimine capitale. Molte
famiglie delle due fedi creano una nuova comprensione reciproca cucinando, mangiando insieme e
curando i loro bambini.
Anche JESU IRUDAYAM in India aiuta i bambini ad avere una vita migliore. Egli lavora
specialmente con i bambini di strada a Madras attraverso vari progetti che sta sviluppando dal 1991.
Nel gennaio di quell'anno fondò una ONG conosciuta come SEEDS _ Società di Educazione e
Sviluppo dei Folletti di Strada _ sebbene localmente l'organizzazione sia meglio conosciuta come
Nesakkaram, un termine tamil che significa "mani amiche". Alcuni bambini vengono aiutati
mediante programmi di collocamento in famiglie che li accolgono, altri sono indirizzati a istituti,
altri ancora ricevono cibo, consulenza medica e altri servizi attraverso un centro situato presso la
locale stazione ferroviaria di Madras.
In Brasile, pallottole e minacce di morte non sono riuscite ad impaurire MARIANO GIJSEN al
punto di fargli abbandonare il suo lavoro con i bambini di strada di Belo Horizonte. Nel 1989,
mentre stava lavorando nelle strade di Rio de Janeiro, Mariano fu colpito da un proiettile e ferito
gravemente da un ragazzo che agiva su ordine del suo "padrone", il quale gli chiedeva di uccidere il
frate perché altrimenti lo avrebbe ucciso. Il lavoro di Mariano è considerato una seria minaccia per i
protettori e altri boss della criminalità, che usano i bambini di strada per il commercio sessuale e
come corrieri della droga. Dopo essersi ristabilito, Mariano si trasferì da Rio a Belo Horizonte nel
1990 per continuare là il suo lavoro con i bambini di strada. In Brasile vi sono decine di migliaia di
ragazzi abbandonati o fuggitivi _ alcuni di loro con bambini propri _, che sopravvivono per strada
rubando e sniffando colla per tenere a bada la fame. Lavorando pazientemente per anni, Mariano ha
assistito centinaia di questi bambini e ha aiutato molti nella fatica di rientrare in case dove possono
avere una migliore possibilità di sopravvivere. A nessun bambino è fatta pressione perché lasci la
strada e ognuno è rispettato come individuo.
In molti paesi del mondo, dalla Corea al Vietnam, alla Guinea Bissau, dei frati si prendono cura di
coloro che soffrono di lebbra, seguendo da vicino le orme di Francesco stesso. Negli Stati Uniti, i
frati lavorano nel lebbrosario della Louisiana, l'unico ospedale del paese specializzato nel morbo di
Hansen o lebbra. In Vietnam sono i bambini di genitori malati di lebbra che beneficiano del lavoro
di FIDELIS LE TRONG NHUNG nei sobborghi di Saigon, o Ho Chi Minh City, come è oggi
chiamata. Se le attività dei frati in Vietnam sono limitate dal governo, l'Ordine è altamente
rispettato dalla gente per la sua decisione di non fuggire dal paese durante la guerra civile e la
conquista del Vietnam del Sud da parte dei comunisti nel 1975. Prima della guerra i frati gestivano
due lebbrosari, uno a Nha Trang e l'altro sul delta del Mekong. Poiché questi centri furono
confiscati dal nuovo governo, nel 1983 Fidelis ha ricominciato con un piccolo dispensario di
medicine. Gradualmente il suo lavoro è cresciuto fino ad includere classi di catechismo e lezioni di
lettura, scrittura e cucito per più di 120 bambini. Dato che i frati non sono ufficialmente autorizzati
a condurre le scuole, queste lezioni sono conosciute come "classi di compassione" per i lebbrosi e i
loro bambini, che non possono frequentare le scuole pubbliche o avere alcun contatto con la gente
che ancora vive nel terrore di questa malattia.
DIEGO KIM, esperto di agopuntura diplomato e sostenitore delle medicine tradizionali, incominciò
a percepire la sua vocazione in favore degli emarginati mentre dava sostegno ai pazienti del
Villaggio dei Lebbrosi del Sacro Cuore condotto dai frati coreani. Come nel caso di Francesco, il
contatto con i lebbrosi portò Diego alla conversione del cuore e ad una più profonda comprensione
del bisogno di giustizia. Quando l'Ordine cercò dei volontari per servire nelle ex repubbliche
sovietiche dell'Asia centrale, Diego si unì ad una suora francescana della Slovacchia per far fronte
all'urgente necessità di fondare una clinica nella zona rurale del Kazakhistan. Ivi l'uso delle sue
capacità di agopuntore offre un approccio medico alternativo, che attira particolarmente la grande
comunità coreana del Kazakhistan. La clinica accoglie tutti coloro che cercano assistenza, senza
tener conto della razza, del credo o dell'origine etnica o nazionale. Anche una piccola comunità
secolare francescana è cresciuta là, condividendo lo stesso impegno per la giustizia e la dignità
umana che Diego considera la vera essenza dell'essere francescano.
Con l'aiuto di ANDRIJA BILOKAPIC, la diocesi di Zadar in Croazia ha realizzato un ufficio "per
la vita", per consigliare le donne che stanno prendendo in considerazione l'aborto. Le donne non
ricevono solo una consulenza riservata e un sostegno mentre affrontano questa difficile decisione,
ma viene anche offerto loro un aiuto pratico e finanziario attraverso la Caritas o una associazione di
donne e giovani della parrocchia locale, se decidono di tenere il bambino. Poiché l'ufficio ha
ottenuto un rilevante grado di successo, l'iniziativa ha cominciato ad estendersi ad altre città della
Croazia.
Per DAVID SCHLATTER negli U.S.A. fare un'opzione in favore della vita significa venire in
contatto quotidiano con coloro che affrontano una morte certa. Egli è assistente spirituale dei
detenuti nello stato del Delaware, alcuni dei quali stanno affrontando la pena di morte. Le autorità
statali stavano ristabilendo l'uso della pena capitale quando egli si trasferì là circa sei anni fa, ed ora
ci sono almeno una o due esecuzioni ogni anno. Schlatter ha passato molti anni a servizio di coloro
che si preparano alla morte o di quanti affrontano lo smarrimento che segue il suicidio di un parente
o di un amico amato. "La maggior parte di noi, che lavoriamo con persone provate da un dolore di
questo tipo, trova che serviamo meglio condividendo le nostre ferite. È quando una ferita viene a
contatto con un'altra che permettiamo a Dio di lavorare più pienamente", spiega Schlatter. "C'è una
salutare autoconsapevolezza della nostra natura peccatrice, che permette a un francescano di sedere
con uomini e donne in carcere, e di vedere che non vi è tanta distanza tra loro. Il fatto che Francesco
stesso sia stato imprigionato e abbia instaurato un rapporto con i suoi compagni detenuti ci aiuta ad
identificarci con loro e a fare esperienza di Cristo in mezzo a loro". Schlatter attualmente lavora con
altri due frati in un centro di Wilmington, Delaware, dove offrono ospitalità, consulenza e vari
programmi di recupero in dodici fasi per persone affette da vari tipi di dipendenze, fornendo tutto
ciò che di fatto può aiutare le persone a cercare di dare un senso e uno scopo alla propria vita.
Un problema comune per i bambini di tutto il Brasile ed altrove nei paesi in via di sviluppo è la
diarrea, che di norma porta alla disidratazione e alla morte. KLAUS FINKAM ha lavorato con la
Conferenza dei Vescovi Brasiliani e con il Fondo per l'Infanzia delle Nazioni Unite, UNICEF, per
progettare un programma di reidratazione con possibilità di successo per i bambini del Brasile.
Migliaia di giovani vite sono state salvate con una semplicissima soluzione di sale, zucchero e
acqua. Il programma di reidratazione prepara le madri a lavorare come "squadre mediche" nei
villaggi di tutto il paese, educando altri a diagnosticare e a trattare adeguatamente i sintomi prima
che sia troppo tardi.
Sviluppare un adeguato programma di educazione sull'AIDS è una sfida speciale per i frati in
Pakistan, dove le leggi islamiche rinforzano i tabù sulla sessualità. KUSHI LAI, della Provincia di
San Giovanni Battista in Pakistan, tiene una serie di seminari di sensibilizzazione sull'AIDS a
livello popolare in diverse parti del paese e ha sviluppato alcuni modi creativi per affrontare le
restrizioni del governo. In Pakistan molti barbieri lavorano non in negozi ma per la strada, tagliando
i capelli e radendo uomini con un comune rasoio, raramente sterilizzato. Sostenuto da volontari
cristiani e musulmani, il programma di sensibilizzazione sull'HIV di Kushi comincia attirando
l'attenzione sui rischi di infezione attraverso i rasoi e i ferri dei dentisti, prima di passare più
accuratamente all'argomento delle malattie trasmesse sessualmente.
Molti frati in tutto il mondo si sono impegnati in modo particolare per la vita, lavorando con
giovani di tutte le razze, religioni e provenienze sociali. Dalla Sicilia alla Colombia, i frati lavorano
nelle scuole, nei gruppi giovanili o semplicemente nelle parrocchie cercando di incitare i giovani a
prendere una posizione coraggiosa contro la cultura della morte delle droghe. Lavorando con i
giovani fuggitivi nelle strade di New York, U.S.A., è cominciata la missione personale di PLACID
STROIK. Presso la Covenant House, dove è direttore del servizio pastorale, agli adolescenti
vengono forniti il riparo e la cura di cui hanno bisogno per smettere di vivere sulla strada. La
consulenza e il sostegno sono solo due aspetti dell'opera pastorale di Placid tra i giovani che sono
arrivati a New York e sono stati ripetutamente costretti alla prostituzione e alla tossicodipendenza.
Il loro stato di impoverimento è spesso solo il segno esteriore di una vita di abuso e trascuratezza.
Molti di loro trovano in Placido e nei suoi colleghi i primi adulti in cui abbiano mai potuto avere
veramente fiducia. La posizione di Placido inoltre gli consente di fornire consulenza allo staff della
Covenant House _ spesso formato da "veterani" della strada. Lavorando accanto ad altri
professionisti in campo sociale e sanitario, Placido è impegnato nel patrocinio a favore dei bambini
e dei giovani americani, che - dice - "sono culturalmente sfruttati dalle droghe, dalla povertà, dalla
pornografia e dai modelli culturali perpetuati dalla pubblicità e dalla televisione".
Articolo 7,3
I frati "per carità di spirito volentieri si servano e si obbediscano l'un l'altro" e concordemente
cerchino i segni della volontà del Signore Dio.
Articolo 89,1
La testimonianza della vita [...] costituisce in certo modo l'inizio e il primo mezzo di
evangelizzazione. [...] Infatti allorché vivono la loro minorità in fraterna comunione, essi
professano efficacemente di essere cristiani.
Altri riferimenti: art. 66,1-2; 67; 69,2; 71; 96,1-3; 97,1-2; 98,2; 132.
1. Nella tua città quali sono i maggiori ostacoli nel promuovere il rispetto per la vita a tutti i
livelli (dal concepimento alla morte naturale)?
2. Le persone ti sentono come un difensore della vita umana, specialmente della vita dei
membri più vulnerabili della tua società?
3. Visiti i frati che sono malati in ospedale? Che sono malati cronici?
4. Ti sembra che il consumismo dilagante minacci il rispetto per la vita a tutti i livelli? Se è
così, ti riferisci mai a ciò nella tua opera apostolica?
5. Come la tua fraternità locale o la tua fraternità provinciale mostra il suo rispetto e
l'entusiasmo per la vita?
6. Le richieste di suicidio assistito stanno crescendo nella tua società? Come rispondi ad esse
come individuo? Come fraternità locale? Come Provincia?
7. Sosteniamo la difesa della vita, dal momento del suo concepimento nell'utero fino alla sua
naturale conclusione?
8. Cerchiamo di aumentare la qualità della vita cosicché essa possa migliorare e raggiungere
livelli conformi alla dignità della persona umana?
9. Quali sono gli attentati contro la vita che avvengono più frequentemente nella zona in cui
vivi?
5. diritti: individuali e collettivi
Articolo 96,3
Anche nella Chiesa e nell'Ordine i frati operino con umiltà e con coraggio perché siano tutelati i
diritti di ciascuno e rispettata la dignità umana.
Gli esempi già fatti in questa sezione del primo capitolo (Opzione per i poveri) si applicano anche
qui, poiché i membri più emarginati di ogni società sono coloro che corrono il maggior rischio di
vedere messi da parte i loro diritti umani individuali e collettivi. Prima della sua conversione,
Francesco si comportava esattamente così con quelli che soffrivano di lebbra. Tutto ciò cambiò un
giorno quando Francesco incontrò un lebbroso per strada, smontò da cavallo, gli diede qualche
soldo e poi lo baciò. Alcuni giorni dopo Francesco visitò il lebbrosario e fece lo stesso. "Così
preferiva le cose amare alle dolci" (2 Cel 9).
Francesco diede istruzione che i ministri dei frati non ordinassero nulla che fosse contro la
coscienza dei frati o contro la Regola. I frati avrebbero dovuto avere la possibilità di parlare con i
loro ministri, come i padroni parlano con i loro servi (cfr. Rb 10,5). I frati possono fare qualunque
lavoro onesto eccetto i lavori che li mettono in una posizione di autorità in casa di chiunque (cfr.
Rnb 7,1). Senza esitazione i frati dovrebbero far conoscere all'altro le loro necessità (cfr. Rb 6,8). I
superiori tra i frati non devono appropriarsi del ruolo (cfr. Am 4). Quando un frate gridò di notte
che stava morendo di fame, Francesco si alzò e radunò gli altri frati per mangiare con lui e con il
frate che gridava. Francesco poi parlò loro della virtù della discrezione, dicendo loro di non rifiutare
al corpo ciò di cui aveva bisogno (cfr. 2 Cel 22; Legper 1).
I governanti dovrebbero ricordare che essi saranno giudicati da Dio un giorno e dovrebbero, perciò,
attenersi ai suoi comandamenti, aiutando i loro sudditi a tenere Dio in gran rispetto (cfr. Lrp 3.7).
Frate Leone fu incoraggiato a prendere la strada in cui avrebbe potuto meglio compiacere Dio,
seguendo le sue orme e la sua povertà (cfr. LfL). Se un novizio appena arrivato fosse stato fatto
guardiano di Francesco, il Poverello gli avrebbe obbedito gioiosamente (cfr. LegM 6,4). Il rispetto
di Francesco per ogni persona si estendeva anche ai non credenti e ai veri nemici del vangelo di
Cristo.
Riflessione
Nonostante la diversità delle interpretazioni, i diritti umani, avendo validità giuridica, tutelano e
promuovono il benessere di tutti i cittadini, la loro libertà, la loro vita, la loro sicurezza, le
condizioni di educazione, di lavoro e di salute. Essi organizzano e regolano le mutue relazioni tra
gli individui e la società e le relazioni tra le nazioni. Come prototipo, la struttura dei diritti umani fu
effettivamente usata nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti nel 1776 e nella
Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino della Rivoluzione Francese promulgata nel
1789. I principi di libertà, eguaglianza, fraternità sono impressi da tempo immemorabile in queste
dichiarazioni. Solo dopo gli orrori, la distruzione e il sacrificio di milioni di persone nella seconda
guerra mondiale, i diritti umani si sono affermati universalmente e sono stati ratificati
dall'Organizzazione delle Nazioni Unite, con la firma di quasi tutti i go-
verni.
In uno spirito liberale, la famosa "Dichiarazione Universale dei Diritti Umani" assume la difesa e la
protezione di tutte le persone, tutelando la loro libertà e i loro diritti contro ogni discriminazione e
con equità se la legge è applicata senza parzialità. La Dichiarazione include i diritti alla privacy, alla
proprietà e alla partecipazione democratica (1948). Sotto la forte influenza del socialismo e dopo
molte discussioni riguardanti i diritti collettivi primari, fu formulato e confermato l'ordine politico,
economico, sociale e culturale tra le nazioni (1966). Insieme con il riconoscimento della sovranità e
l'autodeterminazione interna di ogni paese, i paesi partecipanti si obbligarono a garantire
l'uguaglianza tra uomini e donne, il diritto al lavoro, lo sviluppo economico, condizioni sicure e
igieniche per i lavoratori, la libertà di associazione, il diritto alla sicurezza sociale, specialmente per
le madri e le donne che lavorano, il progresso del benessere e dell'educazione ad ogni livello. Altre
convenzioni internazionali hanno approfondito e spiegato in dettaglio questi diritti, includendo
coerentemente tra le priorità l'urgenza di misure per migliorare la gestione del creato.
I diritti umani sono per tutti gli esseri umani o, in caso contrario, perdono la loro validità. Gli
antichi romani distinguevano tra ius in re e ius in spe, il diritto reale che le persone possiedono e di
cui godono veramente, e il diritto che è soltanto una speranza, un ideale non ancora realizzato, e
attualmente per milioni di persone un diritto senza nessuna speranza. Quanto più il fenomeno della
globalizzazione prende piede nella società e si estende a tutto il mondo, tanto più appaiono le
schiaccianti disuguaglianze e le ovvie distanze tra le classi sociali per quel che riguarda potere,
beni, libertà, condizioni di benessere e sopravvivenza, educazione, sicurezza, servizi sociali, salute,
ecc. Una pace senza giustizia funziona, al massimo, come rete per camuffare una realtà umana
ingiusta, nella quale milioni di persone _ uomini, donne, bambini e anziani _ sono vittime.
I primi cristiani non sentirono mai parlare di tali diritti umani. Il termine non fa parte del
vocabolario di Francesco, questo povero di Gesù. Tuttavia egli non fu una persona che visse in una
tomba o in un reliquiario. Il movimento che in concreto iniziò continua forte e vivo ai giorni nostri.
La vitalità di questo cristiano, fedele alla Chiesa, continua ad ispirare molti contemporanei, anche al
di fuori del cristianesimo.
Con le stimmate come firma di Cristo, il Poverello di Assisi irradia ancor oggi lo spirito del Verbo
che "si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi ... pieno di grazia e di verità" (Gv 1,14).
Certamente Francesco fu condizionato dal contesto storico, politico ed ecclesiastico del suo tempo,
ma superò queste limitazioni attraverso la lettura del vangelo e con il suo coraggio di assumerlo
come forma di vita personale e condotta da seguire nel mondo. La sua comunicazione aperta con i
lebbrosi e i principi, i capi e i mendicanti, le élite e i poveri, oltre al profondo rispetto con cui
trattava tutte le creature, fu un'esperienza umana straordinaria. Quest'uomo è capace di motivare
nuove generazioni ad affrontare le incredibili sofferenze di coloro che sono privi dei diritti umani
fondamentali: diritti accettati ed espressi in bella forma sulla carta, ornati di molte firme importanti,
ma non messi in pratica nella realtà.
Chiamato il "pazzo di Dio", Francesco d'Assisi non conosceva gli indicatori, le tabelle e le
statistiche sociali ed economiche che circolano nel mondo odierno, ma penetrò profondamente la
realtà del suo tempo e la riformò. L'espressione "l'Amore non è amato" comunica bene e senza
sentimentalismo la chiarezza della fede con cui egli analizzava e valutava la sua società di grandi e
piccoli, ricchi e poveri, potenti e impotenti, liberi cittadini ed esclusi, e attraverso la quale
interpretava i molti conflitti, gli atti di violenza e le guerre del suo tempo.
Inoltre, il Vangelo non era per lui una questione di conoscenza, ma piuttosto una vita d'azione che
cominciò con il servizio ai lebbrosi e il trasporto di pietre e cemento per restaurare vecchie
cappelle. Nel progetto di Dio, ciò si realizzò nel movimento di molti uomini e donne che, in antitesi
con il "mondo", divennero piccoli, poveri, fratelli e sorelle senza nulla di proprio, liberi di servire
tutti in umiltà e, attraverso la testimonianza della loro vita, di predicare il Vangelo sino agli estremi
confini della terra.
Dominato dai due poteri del papato e dell'impero, il Medioevo non offriva un clima favorevole per
la formulazione dei diritti di qualsiasi essere umano. Il linguaggio che prevaleva nella filosofia e
nella teologia era generico e universale, con scarso interesse per il concreto, il contingente o la
varietà delle forme. Furono due francescani che aiutarono a infrangere questo modello. Leggendo i
segni dei tempi, Duns Scoto sottolineò l'individualità delle persone e delle cose, create a immagine
di Cristo. L'amore di Dio non opera con concetti e categorie astratte, ma con individui che hanno un
nome e un volto. Superando il discorso astratto sulla natura o sulla nostra comune dignità umana,
l'individualizzazione ci obbliga a colmare la distanza tra gli esseri umani in termini di necessità,
diritti e responsabilità. William di Ockham è sulla stessa linea. Secondo lui, Dio crea le persone e le
cose, singole e diverse, in piena libertà. Il riconoscimento empirico della realtà nella sua
diversificazione prende la priorità e forma le basi per la pratica etica con le sue luci e le sue ombre.
Contrario alla concentrazione del potere, Ockham divenne il "padre della Chiesa conciliare", dando
voce attiva ai fedeli e ai loro rappresentanti nell'edificare il Corpo di Cristo sulla terra.
Per i frati, Francesco è la via al Vangelo vivente, che è il Signore Gesù. La vita di Gesù fu segnata
da un'aperta solidarietà verso ogni individuo, mirante alla salvezza di ciascuno. Egli fece del bene a
tutti e, con la grazia di Dio, testimoniò fino alla morte in favore di tutti gli esseri umani (cfr. At
10,38; Eb 2,9). Risorto dai morti, iniziò la grande opera di asservimento, con la cooperazione di
tutto il creato. Quando infine tutto sarà stato sottomesso a Cristo, il Figlio unigenito, Cristo a sua
volta sarà assoggettato a Dio, e così Dio sarà tutto in tutti (cfr. Rm 8,18-25; 1 Cor 15,28).
All'interno di questo vasto panorama d'amore, consacrazione e servizio, il movimento francescano
incontra la ragione della sua vitalità e della sua opera. È evidente che i frati devono osservare le
norme delle leggi civili con giustizia, mentre altri lavorano per la fraternità (cfr. CC.GG. 80). È
anche evidente che il diritto canonico regola i diritti dei fedeli laici e chierici e delle loro
associazioni (cfr. CIC, 208-329). Tuttavia il mondo della sofferenza umana si estende ben oltre i
confini dell'Ordine e della Chiesa cattolica.
La globalizzazione del potere economico e politico concentrato nelle mani di pochi costituisce una
continua fonte di violazione dei diritti umani contro la vita e il benessere delle masse, provocando
reazioni sempre più violente. Persino i paesi ricchi stanno cominciando a scoprire i loro poveri, gli
emarginati, i disoccupati, i tossicodipendenti e i giovani senza futuro. Le percentuali variano da
paese a paese, da regione a regione. Una grande città in America Latina, una ex colonia in Africa,
un paese musulmano o buddista hanno i loro particolari problemi umani e impongono speciali stili
di vita e pratiche evangeliche per i frati secondo l'ispirazione del Signore.
Poiché le fraternità francescane sono locali, non è sufficiente avere le statistiche dalle Nazioni
Unite, dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, ecc. Ogni fraternità deve pensare alla situazione
umana locale e studiare le condizioni e le possibilità d'azione nella regione per evitare di cadere
nella paralizzata passività che ci prende di fronte alle statistiche globali. Per questo, la
coscientizzazione inizia dove i frati vivono e lavorano come promotori di giustizia sociale e di pace
in mezzo ai poveri, agli oppressi e ai più deboli. Liberi da tutte le paure e strumenti di
riconciliazione, i frati sono chiamati a lavorare per sostenere i diritti umani che fino ad ora sono
stati negati agli oppressi; imitando da vicino il profondo amore di Francesco per tutto il creato, da
fratello sole a sorella formica, i frati aiuteranno a suscitare il rispetto necessario per madre natura in
modo che essa possa garantire il benessere di tutti gli esseri umani (cfr. CC.GG. 69-71).
Nell'epoca contemporanea, da tempo è venuto il momento per la Chiesa di riprendere il dialogo con
il mondo. Le encicliche e i messaggi sociali e politici di Leone XIII, Pio XI e Pio XII sono ben noti,
ma è solo con Giovanni XXIII che il Magistero inizia ad occuparsi esplicitamente dei diritti umani,
insieme con altri diritti e doveri ad essi connessi, e a porli nel contesto del Vangelo e della missione
dei cristiani sulla terra (Pacem in terris, 1963). Il Concilio Vaticano II ha dato il suo contributo con
due importanti documenti: La Chiesa nel mondo contemporaneo e la Dichiarazione sulla libertà
religiosa. Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno proseguito su questa linea in risposta ai nuovi
problemi del mondo odierno. No-nostante le resistenze, i diritti umani sono diventati parte
integrante degli insegnamenti sociali della Chiesa e della pratica di molti laici cattolici.
Secondo il modello di Francesco, i frati non vivono per se stessi ma per gli altri, dentro e fuori la
Chiesa istituzionale. In questa vita di servizio senza frontiere, i diritti umani ci aiutano a scoprire
nei volti dei poveri e dei sofferenti i bisogni propri di ogni uomo. Per coloro che si impegnano per il
Vangelo, l'opzione preferenziale per i poveri non è un abbellimento ma un obbligo. Il criterio che
determinerà il giudizio finale sull'umanità dipenderà dalla nostra solidarietà con i più piccoli dei
nostri fratelli e delle nostre sorelle. "Ogni volta che avete fatto del bene al più piccolo dei miei
fratelli e delle mie sorelle, i piccoli, i poveri, gli abbandonati, i malati, gli emarginati e gli esclusi
dalla società, lo avete fatto a me" (cfr. Mt 25,40). Dove ci sono violazioni dei diritti umani, il
peccato appare in tutta la sua violenza. Tuttavia, la grazia di Dio sarà più abbondante attraverso
l'impegno di mediazione dei fratelli (cfr. Rm 5,20-21).
Imparare ad entrare nella sfera dei diritti umani a favore dei poveri, dei maltrattati e degli
emarginati non è facile. I francescani non sono abituati a essere senza casa, lavoro, cibo, servizi,
scuola e denaro. Anche se può andare contro la nostra volontà, noi disponiamo facilmente di
privilegi, di denaro per le nostre opere, di cortese assistenza e sostegno sociale in caso di un
processo legale o di una carcerazione che può derivare dalle lotte a cui partecipiamo a fianco dei
poveri. In paesi con pochi sacerdoti, molti francescani sono assorbiti dal loro servizio ministeriale
all'interno del piccolo mondo della parrocchia locale. Al fine di creare solidarietà con le classi
sociali che vivono ai margini della società, la sfida è di penetrare nelle comodità del ceto medio che
vive accanto alla porta del convento.
La mentalità francescana che non vuole niente per sé "se non i vizi e i peccati" (Rnb 17,7), apre la
porta al lavoro ordinario nel mondo e nella Chiesa oltre alla collaborazione nei movimenti locali,
nelle organizzazioni non governative e nei servizi ufficiali nel campo dei diritti umani, della qualità
della vita, dell'ecologia e della politica mondiale. I problemi che affliggono l'umanità non sono
proprietà di nessuno e le loro soluzioni non sono monopolio di nessuna entità. Nemmeno nei paesi
cattolici la Chiesa è capace di dare risposte adeguate alle esigenze fondamentali dei poveri, gente
senza potere. Le tre fasi "vedere, giudicare, agire" richiedono che i frati analizzino la realtà
subumana dei poveri, creino opzioni realizzabili ed attuino progetti per rompere il ciclo di
assistenza paternalistica dall'alto in basso. I soggetti principali di qualunque azione sono le vittime
violentate nei loro diritti umani fondamentali. La povera gente dice: "Dio sia lodato".
I diritti umani, che sono il prodotto della lunga storia dell'umanità, non rimangono a un punto morto
né in teoria né in pratica. Di fronte alle proteste, alle dimostrazioni, alle ribellioni, alle propagande
politiche e alle lotte armate, nuovi diritti stanno emergendo e si radicheranno saldamente nella
coscienza collettiva. Insieme con questa continua genesi, nuovi soggetti sociali, gruppi, associazioni
e organizzazioni non governative si stanno formando in molti paesi e stanno cercando di ottenere il
loro spazio legittimo attraverso il riconoscimento e la crescita. Lavoratori, donne, giovani, anziani,
persone socialmente svantaggiate, minoranze e altri gruppi emarginati stanno lottando per
migliorare la loro situazione e per essere rispettati come esseri umani con pieni diritti.
Rivendicazioni riguardanti la giustizia sociale, la pace, il lavoro, la sicurezza, il nuovo ordine
economico, la democrazia e la preservazione dell'ordine naturale stanno emergendo in tutto il
mondo. "Cominciamo, fratelli, a servire il Signore Iddio" (1 Cel 103).
Se si nomina il tema dei diritti umani a quasi tutti in Brasile oggi, il nome di un uomo in particolare
è più probabile che salti alle loro labbra. Negli ultimi venticinque anni, il Cardinale PAULO
EVARISTO ARNS si è reso noto come uno dei maggiori difensori in America Latina dei diritti dei
poveri e degli oppressi, prendendo posizione coraggiosamente contro i peggiori eccessi dei ventun
anni di regime militare, che ebbe termine nel 1985.
Durante questi due decenni di repressione e terrore, l'economia brasiliana si espanse con l'aiuto di
prestiti stranieri a basso tasso, spronando milioni di persone piene di speranza a migrare in città
come San Paolo in cerca di lavoro. Ma la crescita economica mostrò subito di beneficare solo una
minuscola élite, mentre le condizioni di vita della stragrande maggioranza della popolazione
precipitarono. Nel 1976 la Commissione di Giustizia e Pace di San Paolo, fondata da Arns,
pubblicò un libro che esponeva in dettaglio i legami tra tale crescita economica, la violenza
istituzionalizzata e la povertà della gente. Molto prima di ciò, tuttavia, Arns stava già mettendo il
suo marchio sull'arcidiocesi, incoraggiando religiosi e laici qualificati a portare il Vangelo fuori
dalle più ricche parrocchie del centro, e ad introdurlo nei quartieri poveri che stavano spuntando in
periferia. Questo approccio popolare negli anni sessanta pose le fondamenta delle comunità di base
che sarebbero diventate il nuovo volto della Chiesa in Brasile, come altrove in America Latina.
Fin dai suoi primi giorni come vescovo ausiliario nella zona nord di San Paolo, Arns dimostrò di
impegnarsi a sostegno dei diritti dei poveri. Rapidamente divenne famoso come "il vescovo che
guida il bus", poiché viaggiava per tutta la diocesi osservando di persona quanto occorreva fare per
migliorare la condizione del crescente numero di famiglie, che vivevano in una povertà e in uno
squallore abietti. Quando divenne arcivescovo della città nel 1970, scandalizzò gran parte dei fedeli
e del clero con la vendita del palazzo episcopale e del parco circostante, destinando il profitto alla
costruzione di centri di comunità nelle aree depresse. La visione di Arns e l'entusiasmo per la sua
missione furono largamente ispirati dal lavoro del Concilio Vaticano II, come pure dalla sua
esperienza nelle favelas intorno a Rio de Janeiro durante i primi anni del suo ministero sacerdotale.
Don Paulo stesso fa risalire il suo primo interesse per i diritti umani agli anni in cui studiò a Parigi,
immediatamente dopo la seconda guerra mondiale. Là incontrò degli ex prigionieri di guerra che
erano stati torturati in Germania sotto il regime nazista _ un'esperienza che dovette rivivere nel suo
paese durante gli anni peggiori della dittatura militare. Quando la repressione contro gli oppositori
politici si inasprì durante gli anni settanta, Arns acquistò popolarità a livello internazionale per la
sua condanna esplicita di tali abusi. Egli stesso visitava regolarmente i prigionieri politici, offrendo
il suo sostegno personale alle vittime delle torture e alle famiglie di coloro che erano stati
assassinati dalle squadre della morte alle dipendenze del governo. Uno dei suoi contributi più
significativi alla lotta per i diritti umani in Brasile fu l'archivio segreto che compilò, elencando
minutamente quasi duemila resoconti di torture da parte dei militari. Una ristretta cerchia di
avvocati prestò la propria assistenza nella redazione di questa accurata relazione sulle vittime e i
loro torturatori, copiando le trascrizioni dei procedimenti della corte militare, che furono poi
contrabbandate fuori dal Brasile. Il documento completo, intitolato Brazil Nunca Mais! (La tortura
in Brasile) fu pubblicato nel 1985. Anche dopo il ritorno del Brasile al governo civile, Arns
continuò la sua opera rivoluzionaria per i diritti umani a favore dei poveri e dei più deboli. Egli
chiese il rispetto per le popolazioni indigene del Brasile, e sostenne i gruppi afrobrasiliani che
reclamano il riconoscimento della loro cultura all'interno della Chiesa. Arns iniziò progetti per
aiutare i malati di AIDS e le loro famiglie e parlò chiaramente a sostegno del movimento
ambientale e dei senza terra in Brasile. Inoltre fu attivo nel promuovere la campagna culturale dei
vescovi, che incoraggia la gente ad organizzarsi politicamente in modo da realizzare la giustizia
sociale. Quando LEONARDO BOFF fu convocato dal Vaticano in seguito alla sua opera sulla
teologia della liberazione, Arns e il confratello cardinale ALOIS LORSCHEIDER andarono a
Roma per lanciare un appello in suo favore. Nei cinquanta anni dalla sua ordinazione, Arns è
rimasto tenacemente ancorato ai suoi principi di giustizia e di rispetto dei diritti umani _ all'interno
della Chiesa e fuori di essa. Sebbene si sia ufficialmente ritirato, continua ad essere una delle voci
più chiare per i senza voce dell'America Latina di oggi.
In Sud Africa i concetti di giustizia, dignità e diritti umani sono ora custoditi nella costituzione
della nuova nazione "dell'arcobaleno", che è emersa con la caduta dell'ex regime dell'apartheid. La
parola "uguaglianza" è sulle labbra di tutti, e in capo a pochi anni molti potrebbero cominciare a
dimenticare le diffuse ingiustizie e discriminazioni, sofferte dalla maggioranza della popolazione
per più di quarant'anni. In quest'arco di tempo molti cristiani impegnati, neri e bianchi, locali e
stranieri, hanno lavorato instancabilmente per i diritti umani degli individui e di intere comunità
nere e di colore. Uno di questi uomini è SEAMUS BRENNAN o padre Stan, come è
affettuosamente conosciuto da letteralmente migliaia di persone che sono passate per il centro
parrocchiale da lui fondato negli anni sessanta. Originario di County Roscommon in Irlanda, Stan
giunse per la prima volta in Sud Africa nel 1965 come "pastore della gente di colore" in un'area
arretrata nota come Reiger Park fuori Joannesburg. Parlando un giorno con un vicino, un uomo che
beveva molto, "il nuovo prete" intuì per la prima volta la vita della maggioranza non bianca:
quando riversò fuori le sue frustrazioni, l'uomo gli disse che non aveva superato gli esami scolastici
e che non poteva permettersi i libri necessari per continuare gli studi. "È facile per voi bianchi",
disse, "voi potete andare in biblioteca e avere tutto l'aiuto di cui avete bisogno, ma nessuno fa niente
per noi". L'incontro portò all'apertura di una piccola biblioteca nel 1966, seguita da corsi di
istruzione per adulti di tutte le razze _ un'iniziativa rivoluzionaria, se si tiene conto della rigida
segregazione razziale in quella nazione. Anno dopo anno, il numero di studenti che si radunavano
presso il centro della Parrocchia di S. Antonio aumentò da alcune centinaia ad alcune migliaia. Così
in poco tempo, oltre ad aggiungere altre aule, si installarono anche laboratori scientifici e linguistici
e un'aula di computer. Di pari passo con la popolarità del centro di Stan, aumentava l'opposizione
da parte delle autorità del governo locale, le quali dissero al frate che stava violando la legge,
perché teneva gli studenti neri in una zona riservata solo a persone di colore. Fu solamente grazie a
tutta la sua creatività, ai suoi contatti e alla sua conoscenza della burocrazia del governo locale, che
Stan fu in grado di evitare la chiusura o l'esilio, per non dire di peggio. Durante i moti di Soweto,
nel giugno 1976, quella di S. Antonio fu l'unica scuola nera nella zona a non chiudere _ ormai gli
studenti adulti qui vedevano i loro studi come parte integrante ed efficace della lotta per
l'uguaglianza. Ma il centro non offriva solo la possibilità di istruzione a persone che altrimenti
avrebbero avuto un futuro tetro; si è anche espanso, con l'aiuto di imprese locali, fino ad includere
attività sportive e sociali, un club per la gioventù, un centro anziani, assistenza medica, formazione
professionale pianificata per uomini e donne, e un ristorante _ tutti operanti su basi non razziali.
Aggiunte più recenti hanno incluso la Casa della Misericordia, un centro di trattamento per alcolisti
e tossicodipendenti, che sono accolti gratuitamente se non possono permettersi le modeste rette, e la
Casa di S. Francesco per i malati terminali. Stan si era reso conto del bisogno di una tale casa di
accoglienza, dopo essere stato testimone della solitudine e della morte straziante di molti malati di
AIDS, che erano stati rifiutati dai familiari, dagli amici e dalla comunità. Il suo credo e la sua difesa
dei diritti e della dignità di ogni individuo sono diventati un modello per molte altre scuole e centri
parrocchiali, che lottano per superare la terribile eredità degli anni dell'apartheid.
Nei primi anni sessanta, OSWALD GILL era soddisfatto di insegnare greco e latino ai seminaristi
irlandesi, ma segretamente nutriva anche la vocazione di lavorare in America Latina. Quando gli fu
offerta la possibilità di una comunità parrocchiale di 35.000 abitanti a Santiago, Cile _ dove un
approccio del tutto nuovo alla catechesi si stava sviluppando a livello diocesano _ egli colse al volo
l'opportunità. Era l'inizio di un personale viaggio di scoperta delle differenze tra nord e sud, delle
condizioni di vita in gran parte del cosiddetto Terzo Mondo, e delle ragioni che davano origine a
tale dura povertà. Oswald vide con i propri occhi come le persone senza accesso ai terreni, alle
risorse naturali o all'istruzione, fossero incapaci di sviluppare le loro potenzialità individuali ed
economiche. Due fatti in particolare lasciarono un'impressione duratura nella mente di Oswald: la
sua esperienza durante il violento colpo di stato che rovesciò il presidente cileno Salvador Allende,
eletto democraticamente, e il Concilio dei Vescovi Latino Americani (CELAM) incontratisi a
Medellín e Puebla. Queste esperienze lo aiutarono a comprendere la povertà dalla prospettiva dei
suoi parrocchiani, "come insicurezza: l'inabilità a possedere una casa, a nutrire la propria famiglia, a
educare i propri figli". Era un'insicurezza che Oswald avrebbe incontrato di nuovo lavorando in
California con i braccianti immigrati. I messicani e gli americani filippini della sua parrocchia
lavoravano in alcune delle aziende agricole più fertili del mondo, e tuttavia vivevano come cittadini
poveri di seconda classe. I ricchi agricoltori di frutta e verdura, che traevano vantaggio dal loro
lavoro massacrante in tutta la stagione della semina, soffocarono persino i loro tentativi di
organizzare i servizi sociali di base e cercarono di negare loro la cittadinanza statunitense. La
missione di Oswald tra questi lavoratori mirò sempre più a restituire loro una dignità umana
attraverso la difesa dei loro diritti civili e penali. Riflettendo sul suo lavoro, Oswald sceglie di
parafrasare le parole di papa Paolo VI: "Per favore, smettete di parlare di pace se non siete pronti a
lavorare per la giustizia".
Quando la Provincia di Santa Barbara, California, U.S.A., proclamò il diritto d'asilo per i profughi
dell'America Centrale nel 1985, dopo un processo di discernimento a livello provinciale della
durata di un anno, ad ogni frate fu chiesto di fare qualcosa in risposta. Alcuni si limitarono a
raccogliere coperte o scrissero lettere ai loro rappresentanti congressuali; altri corsero il rischio
maggiore di offrire lavori agli immigranti illegali o di offrire loro un posto per dormire. La
Parrocchia di S. Anna a Spokane, Washington, frequentata dalla classe operaia, fu così scossa dalla
storia di una rifugiata salvadoregna e dei suoi nove bambini, la quale era stata testimone di orrori
indicibili perpetrati contro la sua famiglia, da invitarli a trasferirsi nel seminterrato della chiesa.
Dopo alcuni mesi il Servizio di Immigrazione e Naturalizzazione annunciò che sapeva dove la
famiglia si stava nascondendo e che intendeva rimpatriarli a El Salvador. La Parrocchia di S. Anna
rispose con una conferenza stampa pubblica, durante la quale i responsabili dichiararono che il
governo statunitense avrebbe dovuto esiliarli prima di poter toccare "la loro famiglia salvadoregna".
Secondo ED DUNN, "i parrocchiani cominciavano a capire il legame universale della loro fede. Un
rifugiato salvadoregno aveva diritto alla loro compassione tanto quanto la persona accanto a loro
sulla panca in chiesa alla domenica. Questo era un passo straordinario". Sostiene Ed: "La gente
correva dei rischi di fronte al governo, rischi che imponeva al proprio benessere". Forse il risultato
più notevole del Movimento per il diritto d'asilo, che a un certo punto includeva quasi cinquanta
chiese nella parte occidentale del paese, fu che le scelte di comuni cittadini forzarono un
cambiamento nella coscienza sociale dei cristiani in tutti gli Stati Uniti. "Non era più sufficiente
dire che si credeva nella dignità umana degli altri", aggiunge Ed, "come cattolico dovevi esser
disposto a mettere la tua vita in prima linea a favore dei loro diritti umani fondamentali".
La Commissione interfrancescana di GPSC in Spagna da tempo vede il suo lavoro a favore degli
immigranti e degli stranieri senza documenti come una componente essenziale del suo impegno per
i diritti umani. Le statistiche mostrano che in Spagna vivono oggi circa 600.000 immigranti legali e
80.000 stranieri senza permesso di soggiorno, esattamente il 2% della popolazione. Con il suo
crescente desiderio di essere parte della "prima serie" di paesi europei in piena unione monetaria, il
governo spagnolo sta via via intensificando la discriminazione nei confronti di tutti gli immigranti. I
francescani spagnoli hanno risposto con numerose iniziative concrete, che mettono in risalto la
dignità fondamentale di ogni immigrante. I frati hanno lavorato insieme con gruppi dello stesso
orientamento, per accrescere la consapevolezza pubblica dei problemi all'interno delle parrocchie e
delle scuole francescane. Speciali schemi di occupazione sono stati ideati, e l'opera di sostegno a
favore degli immigranti è stata adattata ai bisogni di coloro che lottano per inserirsi nel loro nuovo
ambiente culturale. Altre risposte degne di nota sono state l'attiva promozione di un progetto
educativo multiculturale e del dialogo interreligioso, nonché gli sforzi per assicurare la tutela dei
diritti degli immigranti da parte della legge spagnola. VICENTE FELIPE ricorda che la sua
fraternità ha aiutato "quattro famiglie di rifugiati guatemaltechi, offrendo amicizia, consulenza
professionale e assistenza materiale".
La prima presenza francescana registrata negli Stati Uniti sud-occidentali risale al 1539, sebbene
l'attività missionaria organizzata nella regione sia cominciata con la fondazione della Missione di S.
Michele nell'Arizona nord-orientale nel 1898. Un frate in particolare, ANSELM WEBER, si
guadagnò il rispetto della popolazione indigena Navajo grazie alla sua padronanza del loro idioma e
alla sua disponibilità a viaggiare per centinaia di miglia a cavallo, per incontrare ogni anziano della
tribù. Per questo frate tedesco-americano la principale preoccupazione dei Navajo era la violazione
del loro territorio da parte del governo statunitense. La sua sensazione che i Navajo facessero eco
all'impegno francescano come "amministratori della terra" lo portò a lavorare attivamente in loro
favore, ed egli fu spesso invitato ad appianare le controversie tra il governo degli Stati Uniti e il
popolo indigeno. Egli usò le nuove tecnologie del moderno rilevamento topografico, per aiutare a
schedare e ad esaminare le richieste di concessione di terreno per innumerevoli famiglie, oltre a
recarsi annualmente a Washington D.C. a nome dei Navajo, per incontrarsi con i capi dell'Ufficio
degli Affari Indiani, e a dare una mano a sistemare quel numero ingente di domande. Al momento
della sua morte avvenuta nel 1921, grazie al suo efficace contributo, l'estensione del territorio
Navajo era aumentata di un milione e mezzo di acri. In quello stesso anno, i frati collaborarono alla
fondazione del Consiglio Tribale dei Navajo, che si è rivelato un organo essenziale della leadership
tribale nel corso di tutto il ventesimo secolo.
Nel 1902 un altro frate francescano, l'antropologo BERARD HAILE, giunse alla Missione di S.
Michele per servire da cappellano della scuola della missione. Il suo interesse appassionato per la
lingua Navajo dovette avere un impatto ugualmente forte sulla vita della popolazione del luogo.
Lavorando accanto a MARCELLUS TROISTER e ad altri frati su una macchina da scrivere
appositamente modificata, Berard sviluppò il primo alfabeto, utilizzando i simboli greci per
rappresentare i suoni usati nella lingua Navajo. Allo stesso tempo, Marcellus diligentemente
modificò ed ampliò il "censimento parrocchiale", per fornire una visione completa della cultura,
della struttura familiare, dei legami tra i vari clan, delle nascite, delle morti, degli usi e costumi
sociali e religiosi dei Navajo, che diversamente avrebbero potuto andare persi per sempre. Come
Anselm Weber, anche Berard viaggiò molti giorni a cavallo per raggiungere le lontane comunità
Navajo, dove poté registrare rituali e narrazioni mitiche delle origini. "Mi sembrava che si
dovessero studiare i loro costumi, la loro visione della vita, dell'universo, le loro idee sull'origine
dell'uomo, della vegetazione, degli animali, prima di poterli avvicinare su questioni religiose",
sosteneva Berard, spesso a dispetto dello scherno da parte di alcuni dei suoi confratelli.
Da iniziative individuali in difesa dei diritti umani, i francescani hanno recentemente iniziato a
sviluppare delle strategie per una linea d'appoggio e d'azione più efficace a livello internazionale.
Fin dalla Conferenza per i Diritti Umani svoltasi a Vienna nel giugno del 1993, i Frati Minori si
sono uniti a Franciscans International per occupare un ruolo sempre più attivo presso
l'Organizzazione delle Nazioni Unite e negli enti governativi ad essa associati. IGNACIO
HARDING e MICHAEL SURUFKA sono stati particolarmente coinvolti nello sviluppo della
partecipazione dell'OFM alle conferenze e ai vertici delle Nazioni Unite. Riflettendo sul suo
incarico biennale quale animatore OFM per Franciscans International, Michael così commenta:
"L'Organizzazione delle Nazioni Unite, sebbene abbia certamente i suoi limiti, è l'unico luogo
d'incontro della comunità internazionale, ed è la sede in cui si svolge il dialogo mondiale. Essa
andrà avanti con o senza di noi, ma noi siamo stati invitati a prendervi parte; inoltre, come
francescani, abbiamo qualcosa da dire e da sentire".
Articolo 69,1-2
Nella difesa dei diritti degli oppressi, i frati, rinunciando ad ogni azione violenta, ricorrano ai mezzi
che possono usare anche i più deboli (1).
[...] i frati denuncino fermamente ogni specie di guerra e la corsa agli armamenti come una piaga
gravissima per il mondo e la più grande ingiustizia verso i poveri. Non risparmino fatiche e pene
per costruire il Regno pacifico di Dio (2).
Altri riferimenti: art. 32,3; 92,2; 96,1-3; 97,2; 109,1; 129,1; 185,1.
1. Appartieni a qualche gruppo nazionale o internazionale che si occupa dei diritti umani?
Pensi che dovresti farne parte? Fai riferimenti positivi a tali gruppi nella tua opera
apostolica?
2. Includi le violazioni dei diritti umani nella tua preghiera personale? Nella preghiera della tua
fraternità locale? Nella preghiera durante gli incontri o i raduni provinciali?
3. Quali gruppi nella tua società rischiano maggiormente di non vedere riconosciuti i loro
diritti?
4. Hai mai subito maltrattamenti riguardo a qualche diritto umano fondamentale? Se non ne
hai subiti, conosci qualcuno che si sia trovato in questa situazione? Quanto ha inciso in te o
in lui/lei tale esperienza?
5. Come tratta il tuo paese la questione dell'immigrazione? Hai mai sostenuto o protestato
pubblicamente contro la posizione da esso assunta rispetto a tale tema?
6. Quanto efficacemente la tua fraternità provinciale tratta le istanze più importanti relative ai
diritti umani che il tuo paese deve affrontare? Attraverso dichiarazioni? Azioni? Entrambe?
7. Quali sono i diritti umani che sono violati nel tuo paese e a livello internazionale?
8. Quali cause sono alla base della violazione di questi diritti umani: economiche, politiche,
psicologiche...?
9. Perché accade che ciascuno di noi è più sensibile alla violazione di certi tipi di diritti umani
e meno a quella di altri?
10. A proposito della coscientizzazione della Chiesa e dell'azione che questa ha sostenuto in
favore dei diritti umani, possono essere entrambe considerate un segno dei tempi?
11. Qual è la relazione tra evangelizzazione e diritti umani? Che cosa è più opportuno: che la
comunità cristiana abbia le proprie organizzazioni in favore dei diritti umani o che i cristiani
vengano coinvolti in organizzazioni sociali insieme con altri uomini e donne di buona
volontà?
12. Quale tipo di azione ritieni sia più appropriata per i francescani in difesa dei diritti umani?
Lista di controllo per future campagne locali in favore dei diritti umani
Se in risposta alle violazioni dei diritti umani desiderate avviare una campagna:
• Disponete di indicazioni chiare e concise riguardo agli eventi che sono successi?
• Potete spiegare in che misura è coinvolta la comunità francescana?
• Avete un'approvazione scritta dalla Commissione francescana locale di GPSC?
• Il superiore francescano locale e/o il vescovo hanno espresso il loro sostegno?
• Avete approvazioni scritte dal superiore francescano e dal vescovo?
• Avete i nomi e i numeri di coloro (giudici, politici, ecc.) che dovete contattare?
• Avete le fotografie di coloro che state cercando di aiutare? Sapete come usare il fax e/o l'e-
mail?
• Avete designato un(dei) coordinatore(i) incaricato(i) di rispondere a tutte le indagini della
campagna?
• Avete una lista stampata di persone e organizzazioni disposte a sostenere il vostro appello?
• Avete preparato una pubblicazione di notizie con informazioni chiare, direttive focalizzate,
numeri da contattare, e il nome del coordinatore della vostra campagna?
6. le donne e il carisma francescano-clariano
Articolo 56,2
È dovere del Primo Ordine mantenere e tutelare l'unità spirituale con le monache del Secondo e
Terzo Ordine. Salvaguardando sempre la loro autonomia di vita e soprattutto di governo, devono
essere promosse le loro Federazioni.
Francesco, con cortesia ma anche con fermezza, sfidò molti dei capisaldi della sua società,
specialmente quelli riguardanti le donne. Egli sentiva che era giusto che Chiara iniziasse una forma
di vita religiosa per donne senza entrate garantite da rendite. Furono necessari più di 40 anni perché
il Papa approvasse definitivamente il Privilegio della povertà, alla quale si fa riferimento nella
Regola di Santa Chiara, e poi lo estese solo alle Sorelle Povere di San Damiano!
Secondo lo studioso fr. Ignatius Brady, prima del Concilio Lateranense IV Chiara e le sue sorelle
probabilmente assistevano Francesco e i suoi frati nel prendersi cura dei malati di lebbra. Francesco
dette un Nuovo Testamento usato dalla fraternità alla madre di due frati, venuta a chiedere
un'elemosina (cfr. 2 Cel 91). Un'altra volta egli dette un mantello ad una donna povera (cfr. 2 Cel
92). Molti miracoli furono operati a favore di donne (cfr. 3 Cel).
Sebbene Francesco vietasse ai frati di avere "rapporti o conversazioni sospette con donne" (Rb
11,1), l'esempio del suo legame con Chiara e Donna Jacopa indica che non tutte le relazioni sono
"sospette". Francesco stesso incluse donne sposate e non sposate nel gruppo che i frati avrebbero
dovuto invitare a perseverare "nella vera fede e nella penitenza" (Rnb 23,7).
Francesco non esitò ad applicare immagini femminili a se stesso e agli altri frati. Descrivendo la sua
comunità di frati, una volta raccontò al Papa di una donna che aveva avuto molti figli da un re e alla
fine li aveva mandati a reclamare la loro legittima eredità (cfr. LegM 3,10). La Regola di vita negli
eremi divide i frati in due gruppi, che si alternano nel ruolo di Marta e di Maria ad intervalli stabiliti
(cfr. Cer). "...se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, quanto più premurosamente uno deve
amare e nutrire il suo fratello spirituale?" (Rb 6,8). La legge della clausura non fu applicata quando
"frate Jacopa" visitò Francesco morente (cfr. Legper 101).
Riflession
1. Contesti differenti
L'entusiasmo generato dal nostro apprezzamento per l'eminente genio spirituale di Francesco
d'Assisi ci permette di trovare aspetti della sua vita e della sua opera per sostenere innumerevoli
speranze e ambizioni. Allo stesso tempo, questo entusiasmo può condurci all'illusione che
Francesco (o Chiara nella fattispecie) siano in grado di offrire modelli per tutte le situazioni che ci
sfidano oggi. Quando parliamo di Francesco in relazione alle donne _ le donne della sua famiglia,
della sua città, del suo movimento _ questo pericolo diventa particolarmente evidente. È difficile
distinguere con precisione nelle prime fonti la realtà delle sue relazioni con le donne dagli strati di
interpretazione ai quali questi documenti sono soggetti. È ugualmente difficile sapere quali aspetti
delle domande che poniamo sono attribuibili a una visione del mondo resa possibile dalla filosofia e
dalla scienza moderne. Questa visione del mondo, che supporta i nostri sforzi di reincarnare l'ideale
francescano nel nostro tempo, contiene molti elementi che lascerebbero Francesco a grattarsi la
testa meravigliato e, per quello che sappiamo, costernato.
Il francescano che si interroga oggi si muove, vive e respira in un mondo in cui una convergenza di
interesse e impegno da e per le donne si vede dovunque. Sul piano mondiale, abbiamo la
testimonianza della Conferenza delle Nazioni Unite sulle Donne di Beijing del 1995. I partecipanti
tornarono alle loro terre di origine con affascinanti storie di unità nella diversità sperimentata e
celebrata dalle migliaia di donne presenti. Nella Chiesa, vediamo da parte di Giovanni Paolo II
nuovi sforzi di rivolgersi ai problemi delle donne: la sua Lettera alle donne (1995) e Mulieris
Dignitatem (un'enciclica pubblicata nel 1988). Inoltre, conferenze episcopali regionali, unioni di
superiori maggiori e organizzazioni laicali hanno scritto documenti o condotto studi che prendono
in esame sia le ingiustizie fatte alle donne sia il bisogno di rettificare queste distorsioni all'interno di
varie prospettive culturali. È importante comprendere che, in una pubblicazione come questa, un
esame generale della questione deve essere dibattuto all'interno di contesti culturali che variano in
modo significativo. I frati che lavorano in regioni dominate da istituzioni patriarcali troveranno
mentalità e realtà differenti da quelle di chi opera in culture dove le basi matriarcali continuano ad
influenzare credenze e comportamenti. Tenendo presenti queste avvertenze, torniamo alla storia di
Francesco e chiediamoci come egli incontrò le donne mentre cercava di camminare sulle orme di
Gesù.
Quando studiamo le sue biografie, ci troviamo a chiederci: "Quante donne giocarono un ruolo
significativo nella vita di Francesco?". Tre emergono immediatamente: sua madre Pica, Chiara e
Donna Jacopa. Tuttavia, se continuiamo la nostra ricerca, troviamo che numerose altre donne
completano le dramatis personae della sua storia; ma esse spesso passano sulla scena senza nome e
senza una voce propria. Si considerino le donne di Greccio, che egli a quanto ci è riferito ammirò,
le suore di San Severino, Prassede di Roma, le cinque candidate che presentò a Chiara per il suo
Ordine. E che dire dell'intera comunità di San Damiano, che lo riveriva e negli ultimi anni aspettava
ansiosamente le sue rare visite e le sue prediche? Andando avanti nella nostra ricerca, cominciamo
a notare quanto spesso le donne siano al centro del Trattato dei Miracoli. Quante donne aprirono la
porta a Francesco, quando elemosinava ad Assisi e in altri paesi? Quante donne stettero ad
ascoltarlo nelle cattedrali e nelle piazze? Non parlò mai con loro? Non ci furono mai conversazioni
con le centinaia di donne che divennero le prime Sorelle della Penitenza?
Francesco si sentì sostenuto nel vedere Gesù, che era il suo modello in tutto, andare oltre i limiti
imposti dalla società nei suoi rapporti con le donne? Gli furono ugualmente di insegnamento i passi
che parlano delle donne che seguivano e servivano Gesù? Queste indicazioni della disponibilità di
Gesù a rischiare di essere criticato per la scelta di associare delle donne al suo ministero dettero a
Francesco la libertà di cui aveva bisogno per credere e comportarsi come fece?
Tuttavia, non possiamo permetterci di trascurare i racconti che ritraggono un'immagine differente,
un Francesco che appare ansioso, duro e insensibile di fronte alle donne cui è legato da amicizia.
Ricordiamo la sua predica a San Damiano, che sembra negare alle suore il conforto che aspettavano
quando si cosparge di cenere, recita il Miserere e se ne va in silenzio (cfr. 2 Cel 207). Gli sono
attribuite affermazioni negative sulle donne che riflettono chiaramente le tendenze misogine della
letteratura clericale di quel periodo (cfr. 2 Cel 112). Sappiamo anche che Francesco dovette lottare
per custodire la castità e che la tensione opposta che sentiva in sé verso la sua natura passionale e
incline al peccato assorbì molte sue energie. Questo conflitto interiore gli avrebbe reso impossibile
una visione rosea delle relazioni con le donne. Che ciò non gli abbia impedito di stabilire legami di
radicale uguaglianza e affettuosa ammirazione è già in sé un miracolo della grazia del Vangelo.
Dunque, possiamo affermare che Francesco era una persona straordinaria non interamente libera
dalla propaganda contro le donne della Chiesa del suo tempo e dalla visione generalmente negativa
della natura umana _ specialmente nella sua dimensione sessuale _, che fu un tema diffuso
nell'insegnamento cristiano e un pregiudizio dal tempo di Agostino al medioevo. Francesco creò
una forma di vita che richiedeva il celibato, ma senza la protezione della clausura monastica. Dalla
sua Regola e dalle sue biografie traspare la sua crescente preoccupazione per la condotta dei frati
più deboli e meno fermi nella loro consacrazione. L'aspirante cavaliere è sensibile all'influenza
della nuova letteratura cortese e della musica trovadorica; il suo linguaggio e le sue immagini
adottano le raffinatezze e l'atmosfera romantica di questa visione di uomini e donne uniti da legami
improntati a sentimenti di gentilezza e finalizzati a nobili ideali. La forza e la fedeltà eroica al
Vangelo di certe donne nella sua vita ottengono da lui ammirazione e amicizia devota, pubblica e
dichiarata. Egli attira nell'ambito del suo movimento un gran numero di donne, allo scopo di far
riconoscere il Vangelo come norma di ogni sforzo umano. Egli accoglie queste donne non meno
degli uomini e le include esplicitamente nei suoi piani di formazione (Lettere ai fedeli).
Abbiamo bisogno, d'altra parte, di stare attenti a comprendere che Francesco non dà risposta
ad alcuno dei nostri dilemmi:
1. L'evoluzione del ruolo delle donne nel mondo occidentale industrializzato, la nuova
consapevolezza delle donne in tutte le culture eccetto le più primitive e il territorio
inesplorato della vita nelle società postmoderne e postmarxiste sono i problemi che
dobbiamo risolvere. Francesco non ha camminato dove dobbiamo camminare noi adesso. La
vera esplosione di consapevolezza della natura sessuale della vita umana e l'esplicita
attenzione che essa riceve in tutti i mezzi di comunicazione ci pongono sfide senza
precedenti.
2. Le difficoltà che le donne incontrano nella Chiesa, dove il pregiudizio patriarcale e sessista
spesso le ha umiliate e ha ridotto la loro partecipazione, in alcune zone stanno creando serie
spaccature. La chiamata dei fratelli di Francesco ad essere una fonte di riconciliazione e di
giustizia per le donne è urgente nella comunità ecclesiale di oggi.
Infine, dovremmo affermare che un segno della fedeltà creativa della Famiglia francescana nel
nostro tempo è l'aumento delle strutture e delle occasioni nelle quali le sorelle e i fratelli francescani
possono svolgere il loro servizio fianco a fianco. Oggi vediamo molto lavoro in progetti di
collaborazione interni ai nostri Ordini e nelle strutture a livello internazionale e continentale che ci
mette faccia a faccia nella tensione di realizzare la nostra vocazione e di far sentire la nostra voce
nella comunità mondiale. Il nostro cuore sia colmo di gratitudine per l'esempio e l'ispirazione che
Francesco ci offre e impegniamoci a vivere la nostra responsabilità di discernere quale energia
evangelica ci occorre per camminare come una volta fecero Francesco e Chiara nel giardino
fiammeggiante della Porziuncola.
Il rapporto termina con due racconti di ANTONIO EGIGUREN, che ha lavorato a Lamsai, in
Tailandia, presso la Casa di accoglienza per moribondi Santa Chiara. Il primo parla di una donna
musulmana, costretta alla droga e alla prostituzione a Bangkok dal marito camionista. Abbandonata
dalla propria famiglia, sta morendo da sola di AIDS a Lamsai. Il secondo è quello di una giovane
donna di origine cinese. Anche lei ha sposato un camionista a Bangkok, ma senza essere a
conoscenza della tossicodipendenza e delle ripetute infedeltà del marito. Nel giro di un anno il suo
unico figlio è morto di AIDS, seguito da suo marito all'età di 31 anni. Lei stessa non ha più molto
da vivere. Nonostante tutto, interrogata sul suo atteggiamento verso il marito, ella risponde: "Fin
dall'infanzia mi è stato insegnato da mia madre ad accettare che gli uomini sono tutti promiscui e
troppo deboli per vincere i loro desideri sessuali. Io sono cresciuta secondo tale insegnamento, per
cui non mi fa male sapere che a mio marito piaceva andare con altre ragazze".
I francescani, uomini e donne, sia secolari sia religiosi, sono sempre più consapevoli che la chiave
per cambiare tali atteggiamenti è l'educazione, che può spesso apparire in contraddizione con le
tradizioni religiose e culturali dominanti. Per troppo tempo _ essi dicono _ il contributo di Santa
Chiara al carisma francescano è stato nascosto all'ombra di San Francesco, e ciò è cominciato ad
emergere solo durante le celebrazioni per il recente 800° anniversario. Finché questo non sarà
riconosciuto, le donne non potranno ottenere l'uguaglianza di riconoscimento e responsabilità che
cercano nella vita della Chiesa. La suora francescana Maria Elena Martinez è una donna che ha
beneficiato del cambiamento di atteggiamento verso le donne nella Chiesa. Attualmente maestra del
noviziato per le suore Francescane della Penitenza e della Carità Cristiana in California, negli
U.S.A., Maria Elena è nata da genitori messicano-americani. Intorno ai vent'anni entrò in una
comunità francescana, fu mandata a formarsi come direttrice spirituale e imparò molto sulle sfide
del contesto multiculturale. In seguito, mentre insegnava in una scuola superiore di Los Angeles,
negli U.S.A., le venne chiesto di svolgere il servizio di direttrice spirituale di una comunità locale di
prenoviziato, che non riusciva a trovare un frate per ricoprire il posto. Maria Elena accettò e,
sebbene non vivesse con i frati, poteva pranzare con loro ogni giorno, prestare servizio come
direttrice spirituale e tenere corsi. Dato che in quel periodo stavano per la prima volta accedendo al
noviziato in gran numero anche uomini latino-americani provenienti da El Salvador e dal Messico,
Maria Elena continuò a far parte della "squadra di formazione" della Provincia per dodici anni.
Secondo Maria Elena, lavorare con uomini latino-americani era particolarmente gratificante perché,
"per il loro modo di porsi in relazione con le loro madri e con altre donne nella loro vita, essi sono
molto più aperti e vulnerabili in presenza di una confidente donna. Per molti degli uomini
angloamericani era più difficile. Si trattava di un processo di guida e di ascolto specialmente nei
campi in cui io ero capace di mediare le grandi divergenze tra le culture inglese e spagnola". Alla
fine Maria Elena cominciò anche a coordinare il programma di orientamento per l'"Esperienza
Guatemala" della Provincia. Dopo il noviziato, i frati si trasferiscono nei sobborghi di Città del
Guatemala, dove lavorano in una parrocchia povera gestita dalla Provincia dell'America Centrale e
vivono in una casa inserita costruita, quasi letteralmente, in cima ad un mucchio di rifiuti. Prima
che i frati inizino questa esperienza, Maria Elena lavora con loro in piccoli gruppi, affrontando i
temi della rabbia, della solitudine e della sessualità, che certamente emergono durante la
permanenza in un paese straniero. Dopo che i frati sono stati in Guatemala per alcuni mesi, Maria
Elena si incontra con ciascuno di essi individualmente. Il suo approccio diretto è una grande
benedizione per molti di loro, che possono esprimere liberamente i propri dubbi e le proprie
preoccupazioni. Al loro ritorno negli Stati Uniti, Maria Elena continua ad essere direttrice spirituale
di quanti cercano di applicare la loro esperienza in Guatemala a nuovi modi di concepire la
giustizia, la pace e l'ecologia nelle loro comunità. Sebbene alcuni dei frati si installino in seguito in
posizioni più tranquille nella Provincia e divengano meno aperti all'idea del dialogo con le donne,
Maria Elena ritiene che sia essenziale continuare a sfidarli proprio come fece Chiara con Francesco
negli atteggiamenti e nella capacità che tutti gli uomini e le donne hanno di vivere nel rispetto
reciproco.
"Alcuni uomini sono profondamente interessati, ma altri non accettano il bisogno di dare potere alle
donne _ essi hanno paura di lasciare il proprio potere, specialmente in alcune tradizioni e culture".
Tale è stata l'esperienza di Rose Fernando, coordinatrice di Giustizia e Pace per le Missionarie
Francescane di Maria. Originaria dello Sri Lanka, il primo paese ad eleggere un primo ministro
donna già negli anni '50, spende molto del proprio tempo viaggiando per condurre seminari sui temi
della giustizia e della pace. Vestita con il suo abito grigio al ginocchio e il velo, con le mani
raccolte sul grembo in atteggiamento di riserbo, Rose è molto distante dall'immagine stereotipata
della femminista radicale impegnata nella Chiesa che chiede l'ordinazione di donne-prete. Anche
quando è interrogata sulla promozione delle donne, le sue parole e la sua espressione entusiastica
raccontano una storia abbastanza diversa. "Dovunque io vada, vedo che le donne diventano più
consapevoli della loro situazione e fanno sentire con coraggio la propria voce", dice, "anche in
quelle culture dove sono state tenute quiete fino ad ora. In Asia, per esempio, tutte le differenti
religioni del mondo hanno tradizionalmente cospirato per tenere sottomesse le donne. Dovunque io
vada, insisto molto sull'educare gli uomini e le donne insieme; è veramente la chiave del
cambiamento". E le cose stanno cambiando in meglio _ benché lentamente _ anche all'interno della
Chiesa, secondo Rose. Ella cita l'esempio di una suora di 91 anni da lei conosciuta in Australia, la
quale recentemente ha cominciato ad usare il linguaggio inclusivo durante le preghiere e i salmi
quotidiani.
Interrogata sulla sua esperienza di cooperazione tra i frati, le suore e i francescani secolari a livello
internazionale, Rose rispose: "Sono andata alla Conferenza delle Nazioni Unite sulle Donne di
Beijing come membro dell'Organizzazione Non Governativa Franciscans International e non sono
troppo sicura di quanti uomini comprendano realmente ciò che stiamo cercando di dire, cioè che
tutto ciò che vogliamo è collaborazione nella società come anche nella Chiesa". La sua esperienza
personale di pressione politica a questo livello è stata molto positiva, sia a Beijing nel settembre del
1995 sia al Vertice dell'Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura (FAO) sulla fame
tenutosi a Roma nel novembre del 1996. Franciscans International è un nuovo e concreto impegno
a lavorare insieme su temi di interesse comune.
Anche la Danimarca è un paese dove tale tipo di cooperazione si sta verificando a livello
nazionale, secondo Marianne Powell, coordinatrice di Giustizia e Pace per il Consiglio
Internazionale dell'Ordine Francescano Secolare (OFS). Ex professoressa universitaria di inglese,
lavora oggi nel campo dell'educazione per la Diocesi di Copenhagen, la sola diocesi cattolica in
Danimarca. Il numero limitato di cattolici e la scarsità di sacerdoti, secondo lei, sono in parte la
ragione per cui uomini e donne laici in quella zona del mondo hanno imparato a lavorare così bene
insieme. Lei stessa è stata coinvolta nella fondazione dell'Ordine Francescano Secolare in
Danimarca nei primi anni '80. Nei quindici anni successivi, sono sorte sette fraternità con oltre 50
membri, ma il loro piccolo numero rende essenziale la collaborazione con i religiosi se intendono
lavorare efficacemente. A livello internazionale, ella ha cooperato a redigere un'indagine sugli
ordini secolari in altre parti del mondo. "Le scoperte sono state varie; in alcuni paesi i laici sono ben
organizzati con le suore e i frati francescani. In altri non ci sono strutture ufficiali, ma i francescani
lavorano insieme nelle commissioni diocesane di Giustizia e Pace. Il mio compito è quello di creare
in questi gruppi una maggiore consapevolezza per quanto riguarda i temi su cui possono
collaborare". Nelle aree della giustizia e della pace, ella crede che la cooperazione sia il modo
naturale di lavorare insieme; ma ammette: "Tale visione non è ancora condivisa da molti uomini e
donne in gran parte del mondo in via di sviluppo".
Come ex frate, KENGO KOBAYASHI in Giappone era conosciuto come sostenitore dei diritti
delle donne, in particolare di quelle che là sono in condizioni di maggiore bisogno, le immigrate.
Molte migliaia di donne ogni anno lasciano le Filippine e si ammassano in Giappone in cerca di un
lavoro che permetta loro di sostenere la propria famiglia, rimasta a lottare a casa. Alcune vengono
inserite nel business dell'intrattenimento, altre sono comprate come spose da ricchi giapponesi, altre
ancora lavorano come domestiche, ma tutte corrono il rischio di essere sfruttate da datori di lavoro e
"padroni" senza scrupoli. Come capo del Centro di Solidarietà per Immigrati di Yokohama, Kengo
può talvolta essere visto dimostrare per le strade a favore di queste donne. Per aiutarle ad
organizzarsi e a rafforzarsi, ha anche redatto un manuale completo per gli immigrati, elencando i
loro diritti secondo la legge giapponese e le organizzazioni a cui possono rivolgersi per ricevere
aiuto. Il libro, pubblicato nell'agosto del 1996, include ogni cosa, dai permessi d'ingresso e di
soggiorno ai temi del lavoro e della salute, con particolare riferimento all'ambito ginecologico, così
come le leggi relative al matrimonio, al divorzio e all'educazione dei figli. Per Kengo, lavorare con
queste donne povere ha prodotto una conversione inaspettata: vedere il mondo dal punto di vista
delle donne povere e accompagnarle piuttosto che condurle.
Articolo 56,1
I frati, ben consapevoli di condividere con le monache del Secondo e Terzo Ordine di san
Francesco il medesimo carisma e di avere con loro reciproci legami, abbiano sempre per esse
diligente cura e sollecita attenzione.
1. Le religiose francescane hanno accresciuto la tua stima della tua vocazione francescana? Le
donne dell'OFS hanno fatto lo stesso?
2. Le francescane (religiose o dell'OFS) hanno sfidato i punti deboli della tua visione
francescana? Se sì, come hai risposto loro?
3. Tra i tuoi collaboratori ci sono delle francescane? Ciò influenza il tuo lavoro apostolico, le
tue conversazioni quotidiane o la vita nella tua fraternità locale?
4. La tua comunità locale coopera con gruppi vicini di francescane? La tua fraternità
provinciale fa lo stesso?
5. La tua Provincia ha recentemente invitato una francescana a parlare a un incontro
provinciale o a condurre un ritiro provinciale?
6. Tu o qualche tuo compagno frate avete francescane come direttrici spirituali? Come ciò ha
influenzato la realizzazione del tuo/loro vivere la vocazione francescana?
7. In che modo Chiara contribuisce a farti comprendere e vivere la tua vocazione francescana?
8. Quale contributo portano oggi le donne alla fede delle nostre comunità cristiane?
9. Quale contributo viene portato oggi alla Chiesa dalle donne nella vita religiosa?
10. Quali sono i contributi femminili all'idea di Dio e della Chiesa? Quale speciale contributo
possono portare le donne al nostro ingresso nel mondo dei poveri?
11. Ci sono valori femminili che possono arricchire le varie forme della sequela di Gesù?
12. La situazione delle donne nella Chiesa le favorisce nel comprendere e nel vivere la vita
evangelica?
13. Le donne possono giocare un ruolo importante in un'evangelizzazione condotta con calore e
sensibilità? Quale contributo unico possono portare le donne cristiane per il rinnovamento
della Chiesa?
7. dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale
Forse non può essere citato un esempio migliore di Francesco come uomo di dialogo della risposta
estremamente positiva dei capi religiosi all'invito di Papa Giovanni Paolo II a recarsi ad Assisi per
pregare per la pace nel mondo il 27 ottobre 1986. L'umiltà e l'onestà che Francesco mostrò verso
ogni persona sono fattori chiave in ogni dialogo _ sociale, politico o religioso.
Quando Francesco disse ai primi frati che presto la loro fraternità avrebbe incluso francesi,
spagnoli, tedeschi e inglesi (cfr. 1 Cel 27), li stava preparando al bisogno di dialogare! Quando i
frati si riunivano nei capitoli, parlavano di ciò che Dio aveva già compiuto attraverso di loro e di
quale nuova opera poteva volere che intraprendessero. Perciò i frati partirono per la Germania, due
volte (Cronaca di Giordano di Giano, 5; 17). Imparare la lingua del luogo era un prerequisito per
un dialogo efficace!
Ad un certo punto il Celano loda l'unità degli animi e l'armonia del comportamento tra i frati (cfr. 1
Cel 46). Francesco mostrò uno spirito di dialogo durante la sua visita al Sultano Melek-el-Kamel
(cfr. 1 Cel 57). Coloro che vanno tra i non credenti hanno due possibilità: a) evitare liti o dispute,
ma essere soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio; b) annunziare la parola di Dio
apertamente (cfr. Rnb 16,5-7). Coloro che evitano discussioni ed agiscono cortesemente (cfr. Rb
3,10-11) hanno qualche possibilità di essere capaci di dialogare. L'umiltà di Francesco aveva
portato un grande albero [Papa Innocenzo III] a piegarsi ed innalzare un piccolo albero [Francesco
quando chiedeva al Papa di approvare la forma di vita della fraternità] (cfr. 3 Comp 53). Quando
Francesco predicava, "con pari fermezza di spirito parlava ai piccoli e ai grandi" (LegM 12,8).
"Gente di ogni età e d'ogni sesso correva a vedere e ad ascoltare quell'uomo nuovo, donato dal cielo
al mondo" (LegM 12,8). Francesco diceva ai frati che, finché avessero dato il buon esempio, la
gente avrebbe provveduto ai loro bisogni. Se i frati avessero cessato di darlo, il patto si sarebbe
rotto (cfr. 2 Cel 70). Il "dialogo di vita" continua!
Riflessione
Introduzione
Possiamo credere in un dialogo tra le religioni considerando ciò che è accaduto nel 1994 nel Medio
Oriente, nell'Europa dell'Est e in molte altre parti del pianeta? Comunque, il dialogo tra i
rappresentanti ufficiali delle religioni esiste già, discreto, paziente e fiducioso. Due punti in comune
li uniscono: una curiosità motivata dall'interesse reciproco e la promessa solenne di non esercitare
alcun proselitismo.
Le religioni non cristiane non hanno colto facilmente l'interesse di questo dialogo: ognuna di esse
ritiene di possedere il vero Dio, ben "inculturato". Che cosa c'è da imparare dagli altri e che cosa si
può insegnare? La coesistenza pacifica è sufficiente. Due preoccupazioni tormentano i cristiani che
hanno preso l'iniziativa di questi incontri. La prima è essere fedeli al comando del Signore:
"Ammaestrate tutte le nazioni e battezzatele". La seconda è comprendere in che senso possiamo
professare che Cristo è il solo salvatore dell'umanità.
Per rispondere a questo, i cristiani pensano di avere bisogno delle altre religioni; per quanto
rispettoso, il dialogo è destinato a continuare per qualche tempo. Questo verrà studiato in profondità
a quattro livelli:
Il Concilio Vaticano II ha dichiarato che le altre religioni sono "semi del Verbo". Giovanni Paolo II,
con un'espressione profetica, ha affermato: "Quando una persona prega, è lo Spirito che la fa
pregare".
Alcuni uomini e alcune donne hanno lasciato un segno nella storia della Chiesa attraverso la loro
testimonianza di fedeltà a Dio e di fiducia nell'umanità. Tra questi testimoni, Francesco d'Assisi è
stato, e continua ancora ad essere, un simbolo di pace, riconciliazione e fraternità per le decine di
migliaia di persone che lo venerano in tutto il mondo.
È facile individuare dei momenti della sua vita nei quali il dialogo gioca un ruolo centrale, quello di
dirigere verso la riconciliazione, la pace e la fraternità. Noi non desideriamo presentare qui un
elenco dettagliato, poiché tale lavoro sarebbe troppo lungo, ma intendiamo indicarne alcuni che
sono correlati con differenti forme di dialogo.
• Un dialogo che converte: Signore, cosa vuoi che io faccia? (cfr. LegM 1,3).
• Un dialogo che libera: come San Francesco sanò miracolosamente il corpo e l'anima di un
lebbroso (cfr. Fior 25).
• Un dialogo che porta la pace: come San Francesco addomesticò, per effetto del potere
divino, un ferocissimo lupo (cfr. Fior 21).
• Un dialogo che apre il cuore: come San Francesco insegnò a frate Leone in che cosa
consiste la perfetta letizia (cfr. Fior 8).
• Un dialogo basato sulla pratica di vita: la sua conoscenza delle Scritture; il suo spirito
profetico (cfr. LegM 11,1).
• Uno spirito che si apre agli stranieri: l'incontro con il Sultano (cfr. LegM 9,8).
• Un dialogo che cura: il lebbroso (cfr. 1 Cel 146); il sordo e il muto (cfr. 1 Cel 147-148).
• Un dialogo che trasforma: come San Francesco convertì tre pericolosi ladri e assassini (cfr.
Fior 26).
LINEE DIRETTIVE
Motivazioni
Struttura
• dialogo ecumenico
• dialogo interreligioso
• dialogo con le culture.
Motivazioni
1. Non è solo il Concilio Vaticano II che impegna la Chiesa cattolica e ogni cristiano
all'ecumenismo e al dialogo (cfr. specialmente i documenti Unitatis Redintegratio e Nostra
Aetate). Anche l'attuale Papa ha recentemente sottolineato, con tre importanti documenti, la
necessità e l'urgenza dell'impegno per l'unità dei cristiani allo scopo di raggiungere l'unità di
tutti gli uomini (cfr. le Lettere Apostoliche Tertio Millennio Adveniente e Orientale Lumen e
l'enciclica Ut Unum Sint).
2. L'Ordine dei Frati Minori non può sottrarsi a questa nuova consapevolezza o a questi nuovi
orientamenti. Infatti, stabilendo la nostra presenza nei paesi della Comunità degli Stati
Indipendenti, le autorità dell'Ordine hanno seguito, fin dai primi passi, i principi di dialogo e
di collaborazione proclamati dalla Chiesa cattolica. Il risultato di buone relazioni stabilite
con i principali Patriarchi ortodossi è il frutto di un impegno umile e convinto a servizio del
dialogo.
3. La nuova situazione che sta emergendo alle soglie del terzo millennio è caratterizzata da
domande finora sconosciute, che richiedono che l'impegno ecumenico dell'Ordine assuma
stabilità e continuità in modo da offrire a tutti i frati l'opportunità di cultura e formazione
ecumenica.
Motivazioni
1. "[...] la Chiesa esamina con maggiore attenzione la natura delle sue relazioni con le religioni
non-cristiane. [...] esamina qui innanzitutto ciò che gli uomini hanno in comune e che li
spinge a vivere insieme il loro comune destino. Una sola comunità infatti costituiscono i
vari popoli. Essi hanno una sola origine poiché Dio ha fatto abitare l'intero genere umano su
tutta la faccia della terra (cfr. At 17,26)" (NA 1).
2. "La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera
con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere [...]. Essa perciò esorta i suoi figli
affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci
delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana,
riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che
si trovano in essi" (NA 2).
3. "Se, nel corso dei secoli, sono sorti non pochi dissensi e inimicizie [...], il Sacrosanto
Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua
comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia
sociale, i valori morali, la pace e la libertà" (NA 3).
4. La storia dei Frati Minori è ricca di incontri con membri di altre religioni, specialmente di
quelle chiamate storiche: giudaismo, islamismo, induismo e buddismo. C'è un legame
speciale con il giudaismo. La Chiesa "afferma che tutti i fedeli di Cristo, figli di Abramo
secondo la fede, sono inclusi nella vocazione di questo Patriarca [...]. Per questo la Chiesa
non può dimenticare che ha ricevuto la rivelazione dell'Antico Testamento per mezzo di
quel popolo con cui Dio, nella sua ineffabile misericordia, si è degnato di stringere l'Antica
Alleanza [...]. Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad
ebrei, questo Sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua
conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto dagli studi biblici e teologici e da un
fraterno dialogo" (NA 4).
5. Riguardo all'islamismo, è stato fatto un considerevole sforzo per continuare la nostra
presenza francescana e per aiutare tutti i fratelli e le sorelle che lavorano in paesi
musulmani. Dal 1982 il Definitorio Generale sostiene questo aspetto del dialogo
interreligioso attraverso la Commissione Internazionale OFM per le Relazioni con i
Musulmani. "Sull'esempio di san Francesco e dei primi missionari dell'Ordine i frati
continuino a mantenere viva la loro presenza umile e devota tra le popolazioni di religione
Islamica, per le quali parimenti non c'è nessuno onnipotente eccetto Dio" (CC.GG. 95,3).
6. "Tra i credenti delle altre religioni la presenza dei frati sia improntata alla benevolenza e al
rispetto. Infatti Dio li ha affidati alla loro opera, affinché con essi sia edificato il suo popolo"
(CC.GG. 95,2). Perciò, il Definitorio Generale desidera promuovere la formazione
interreligiosa dei frati con la creazione della Commissione per il Dialogo Interreligioso e
prende delle misure riguardo alle sue strutture ed attività.
Commissione per il Dialogo con le Culture (CDC)
Motivazioni
1. L'evangelizzazione è una parte essenziale della vita del Frate Minore. Noi evangelizziamo
perché è necessario aiutare la persona umana a trovare una risposta alle proprie ansietà.
L'obiettivo principale dell'evangelizzazione è la persona, non l'aumento del numero dei
credenti. Inoltre, l'amore di Gesù Cristo per la persona spinge la Chiesa, e quindi l'Ordine, a
continuare la propria missione.
2. L'evangelizzazione non penetra nelle profondità della persona umana se non raggiunge la
parte più intima della cultura in cui questa vive. "Una fede che non diventa cultura è una
fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta".
3. L'evangelizzazione delle culture ha come conseguenza l'inculturazione del Vangelo. La
sintesi tra cultura e fede non è solo una necessità della cultura, ma anche della fede. "Se,
infatti, è vero che la fede non si identifica con nessuna cultura ed è indipendente rispetto a
tutte le culture, non è meno vero che, proprio per questo, la fede è chiamata ad ispirare, ad
impregnare ogni cultura".
4. La profonda inculturazione della fede produrrà valori cristiani che avranno la loro base
nell'amore di Dio e nell'amore del prossimo, compendio dell'intero cristianesimo. Da questo
punto di vista, la CDC lavorerà all'interno del Servizio per il Dialogo (SD), in modo che i
frati cooperino con buona volontà allo sviluppo di questo processo di inculturazione (cfr.
CC.GG. 92,2), che è chiamato ad impregnare tutta la loro azione pastorale.
5. Molti elementi culturali dei popoli sono manifestazioni dei "semi della Parola di Dio" (cfr.
CC.GG. 93,2). Ma questa presenza non significa che le culture siano già evangelizzate.
L'Ordine dei Frati Minori ha riaffermato nella propria antichissima tradizione l'urgenza di
annunciare il messaggio del Vangelo in tutte le epoche, in tutti gli ambienti e in tutte le
culture. La presenza di Frati Minori che rispettano le culture è un'esperienza della storia
della nostra fraternità. La diversità di popoli, razze, religioni e culture con cui i Frati Minori
sono in relazione attraverso la loro vocazione esige da loro una preparazione speciale, che li
aiuterà a condurre più facilmente un'attività fruttuosa.
6. Per la loro vocazione, i Frati Minori sono chiamati a "riparare la mia Chiesa" in ogni
generazione. Ciò può essere raggiunto solo attraverso l'evangelizzazione. Questa azione può
essere realizzata solo tramite una sincera attività di evangelizzazione delle culture, che
giustifica l'esistenza di un organismo che aiuti il Ministro Generale e il suo Definitorio ad
animare questo impegno, che è parte essenziale della vocazione ricevuta dal Signore.
7. Avendo chiara la loro identità, che nasce dalla loro vita totalmente evangelica, i Frati Minori
sapranno come discernere i valori delle culture autentiche, evitando ogni sincretismo e
rifiutando gli antivalori che le false culture o le anticulture vogliono introdurre nei diversi
popoli. Allo stesso tempo, l'inculturazione del Vangelo richiede il rispetto delle varie forme
in cui si manifesta la cultura di chi evangelizza; mentre egli porta il Vangelo, le culture
arricchiscono il Frate Minore e fanno crescere lui e la sua fraternità religiosa. L'Ordine
evidenzia nella diversità dei frati, che provengono da culture differenti, la varietà con cui è
possibile essere fedeli al carisma ricevuto.
Nell'attuale mondo multiculturale, il dialogo tra fedi differenti è una chiave essenziale per la pace.
Poche persone hanno capito ciò meglio di FRANÇOIS PAQUETTE, ex capo della Commissione
Francescana per le Relazioni con i Musulmani. Formatosi come neuropsichiatra a Montreal, in
Canada, si trovò ad occuparsi sempre più di pazienti provenienti dallo Sri Lanka, dall'India, dalla
Cina e dal Vietnam presso il centro di igiene mentale dove lavorava prima di entrare nell'Ordine nel
1987. Rimase affascinato dalle diverse culture e religioni che stavano rapidamente diventando una
parte permanente della sua città natale; la sua curiosità lo portò a cominciare a collaborare come
volontario presso un centro interculturale locale.
Ma fu solo mentre stava facendo il suo noviziato che Paquette scoprì realmente la forza di tali
attività interreligiose. Uno dei frati stava organizzando una riunione locale nello spirito dell'incontro
di pace svoltosi ad Assisi nel 1986 ed egli andò a dare una mano. "Per me era una specie di
miracolo", ricorda con un sorriso. "Ero sbalordito al vedere i capi di tutte le differenti religioni di
Montreal riunirsi a pregare per la pace invece di lottare l'uno contro l'altro". Gli occhi di Paquette si
illuminano quando spiega come l'iniziativa annuale si è sviluppata con la sua partecipazione ad
essa. "Ora abbiamo circa un centinaio di diverse delegazioni delle popolazioni indigene, i baha'i, gli
indù dello Sri Lanka, i buddisti vietnamiti, i buddisti tibetani, i buddisti del Laos, i buddisti
cambogiani, due gruppi di ebrei, musulmani sciiti e sunniti, sikh e anche cristiani di sedici diverse
denominazioni _ circa un migliaio di persone in tutto che vengono nel nostro convento di Montreal
a pregare per la pace! L'ambiente è molto scarno, c'è solo una semplice croce su cui poniamo una
bandiera per ciascuna delle diverse religioni che partecipano e una grande raffigurazione di una
colomba, che simboleggia la pace. Vogliamo che ognuno si senta a proprio agio e dopo sono tutti
invitati a condividere con noi un pasto vegetariano". Tale raduno annuale, trasmesso in diretta alla
radio e in televisione, può essere visto come l'attività francescana di maggior rilievo a Montreal. Ma
durante tutto l'anno Paquette e i suoi fratelli sono ugualmente impegnati in molteplici attività
concrete per sostenere i membri di molte altre religioni presenti in città. Queste possono includere il
fare petizioni per il terreno per la costruzione di una pagoda vietnamita, il protestare contro un
gruppo di skinhead che hanno inciso graffiti sulle tombe degli ebrei, l'organizzare un funerale
islamico-cristiano o l'intervenire per soffocare la violenza tra sikh e musulmani presso una scuola
superiore locale. "Quest'ultimo esempio", dice Paquette, "fa vedere realmente come possiamo avere
un'influenza significativa sul futuro della nostra società. Lavorando insieme con un capo sikh ed un
imam, abbiamo potuto mostrare ai ragazzi i numerosi aspetti delle loro culture che essi han-no in
comune con persone di altre fedi. Quando essi cominciano a vedersi gli uni gli altri come persone
reali piuttosto che come parte di gruppi stereotipati, possono abbandonare i pregiudizi che sono stati
trasmessi loro e perfino cominciare a sfidare gli atteggiamenti dei loro stessi genitori".
Ci sono molti altri esempi di francescani che promuovono il dialogo e la pace tra i giovani, talvolta
attraverso programmi di educazione, più spesso semplicemente mettendo quotidianamente in
contatto le une con le altre famiglie di differenti gruppi etnici. Una scuola materna interreligiosa in
Bosnia o una scuola per musulmani e cristiani nel Libano meridionale aiutano i bambini di queste
turbolente parti del mondo a crescere con un rispetto maggiore per le abitudini e le tradizioni delle
persone di altre fedi. Un festival cinematografico e mediatico a carattere interreligioso che si tiene
ogni anno al Cairo influenza migliaia di giovani e li aiuta a superare i pregiudizi del passato.
L'intento dei francescani non è mai quello di essere visti come "organizzatori" di eventi o attività,
ma piuttosto quello di facilitare questo "dialogo della vita quotidiana".
Nella città di Meknes, in Marocco, altri tre frati dirigono il Centro Sant'Antonio, biblioteca e centro
culturale che fornisce corsi di cultura e letteratura islamica, lezioni di lingua e attività sportive a
circa 600 studenti del luogo. Essi sono aiutati da un gruppo di dodici volontari, che si sono
diplomati al centro e ora vogliono collaborare con i frati. GUSTAVO SANCHEZ è un giovane frate
messicano che ha trascorso due anni sui monti dell'Atlas e altri quattro vivendo e lavorando con gli
studenti del Centro Sant'Antonio. Dopo aver concluso i suoi studi a Roma, egli intende ritornare in
Marocco per portare avanti il suo lavoro là. "È un progetto gestito dagli studenti stessi", spiega.
"Ogni mese ci incontriamo per decidere cosa vogliamo fare, come vogliamo lavorare e in che modo
possiamo aiutare gli studenti a comprendere e apprezzare meglio la cultura in cui vivono. Per
esempio, durante il mese del Ramadan modifichiamo gli orari dei corsi e lavoriamo per tutto il
giorno senza la pausa per il pranzo. Ciò ci consente di digiunare insieme ai musulmani e dà loro il
tempo di preparare i pasti speciali con le loro famiglie".
Nonostante le continue tensioni tra le popolazioni croata, musulmana e serba della ex Iugoslavia, il
decimo anniversario della Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace (Assisi, 1986) ha fornito
un'occasione per vari sforzi mirati a promuovere il dialogo interreligioso a Sarajevo, Mostar e
Spalato. A Sarajevo si è tenuta presso l'Accademia delle Arti e delle Scienze della Bosnia-
Erzegovina una tavola rotonda sul tema del ritorno dei profughi come condizione preliminare per
una pace duratura; ad essa sono intervenuti l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i
Rifugiati, l'Organizzazione Internazionale per la Migrazione e rappresentanti ufficiali dei governi
bosniaco e croato. C'è stata anche una preghiera interreligiosa presso il cimitero di Sarajevo, con la
partecipazione di una delegazione di suore e frati francescani di Assisi, che ha donato un olivo da
piantare a Sarajevo come segno di pace. MARCO ORSOLIC ha lavorato assiduamente per sfruttare
queste iniziative in modo molto concreto, aiutando ad aprire a Sarajevo nel dicembre del 1996 un
centro multiculturale con una biblioteca.
La popolazione curda dell'Iran, dell'Iraq, della Turchia e della Siria chiede da molto tempo una
patria unificata, dopo secoli di dominio da parte di governanti oppressivi. Le loro comunità che si
moltiplicano in esilio in tutta la Germania hanno portato nuove opportunità di amicizia e
collaborazione. Come membri della Commissione GPSC dei frati tedeschi, JÜRGEN NEITZERT e
altri fratelli hanno lavorato accanto a sette organizzazioni di pace cristiane nella "Campagna contro
il commercio delle armi". Insieme agli altri membri di questa campagna, hanno cominciato a
suscitare la presa di coscienza dell'importantissima relazione esistente tra la vendita di armamenti
tedeschi e la condizione del popolo curdo in Iraq e in Turchia. Jürgen Neitzert si è recato in
numerose occasioni in Turchia insieme ad amici curdi, portando aiuti umanitari e un leggero
sentore di pace alle persone che vivono in rifugi di fortuna nei quartieri poveri di Ankara,
Diyarbakir, Istanbul e di altre città turche. Punteggiano la campagna più di tremila villaggi, ora città
fantasma a causa dell'evacuazione forzata che accompagna i maltrattamenti dei militari turchi nei
confronti della popolazione curda. La sola città di Diyarbakir ha quadruplicato la propria estensione
dai primi anni '80. Gli abitanti dei sobborghi curdi storicamente autosufficienti sono spesso costretti
a cercare il cibo nei mucchi di rifiuti e molti soffrono di serie infezioni bronchiali durante tutto il
rigido inverno. Jürgen e i suoi colleghi incoraggiano incontri comunitari tra i curdi e i turchi che
vivono in Germania e i capi dei partiti politici tedeschi, per cercare di fermare il commercio di armi.
Come francescano, Jürgen si è sentito chiamato in modo singolare ad incoraggiare soluzioni non
violente e la collaborazione tra cristiani e musulmani.
Lavorando insieme per la giustizia e la pace, persone di differenti tradizioni cristiane spesso
scoprono lo stesso profondo impegno personale per gli altri, che è parte essenziale della loro fede.
Circa sette anni fa, i francescani irlandesi iniziarono un ministero di pace e riconciliazione tra i
cattolici e i protestanti a Rossnowlagh, in Irlanda. Rossnowlagh è una delle tre "Case con un
ministero specifico" organizzate dai frati irlandesi _ le altre sono una fraternità di preghiera a
Killarney e il complesso di Merchants Quay (molo dei mercanti) a Dublino _ ed è particolarmente
ben situata a Donegal, vicino al confine che separa la Repubblica e il Nord. Il Centro offre ospitalità
a circa trenta persone ed è un luogo dove cattolici e protestanti possono andare da tutta l'Irlanda ad
incontrarsi, pregare e riflettere sulla riconciliazione. Per dare impulso alle normali attività del
Centro, vengono organizzate regolarmente conferenze con oratori ospiti. JOHN O'KEEFE, il
direttore del Centro, ha aiutato a creare una rete di "esperti" sulla preghiera e la riconciliazione,
affiliati informalmente a Rossnowlagh. Il Centro sta attualmente completando una biblioteca, che
sarà collegata alla casa di ritiro e conterrà collezioni speciali sul dialogo interreligioso e sulla
pacificazione.
Per più di dieci anni pastore della Chiesa di Nostra Signora della Carità a Brooklyn, New York,
negli U.S.A., ROBERT SEAY, un noto opposito-re della pena capitale, è stato strettamente
coinvolto negli sforzi per trovare soluzioni pacifiche a situazioni difficili che coinvolgono tensioni
razziali ed etniche. Nell'"incidente di Howard Beach", un giovane afroamericano ucciso da una
gang di giovani bianchi era il figlio di uno dei parrocchiani di Robert. L'omicidio causò gravi
disordini razziali nella città di New York. Robert lavorò in molti modi con i capi politici e religiosi
e servì da consulente alla famiglia del giovane ucciso nello sforzo di raggiungere la pace. La
semplicità e dignità del funerale che Robert organizzò fu un fattore significativo nel trattenere le
tensioni razziali dall'esplodere.
In un altro incidente, conosciuto come "rivolta di Crown Heights", un ebreo hasid fu ucciso da un
afroamericano. Robert ed altri sacerdoti furono convocati alla stazione di polizia per aiutare a
evitare il degenerare della situazione. Robert lavorò con il sindaco della città di New York di quel
periodo, David Dinkins, dando un sostegno morale ai suoi sforzi per assicurare la giustizia e
l'armonia razziale. In conseguenza della rivolta di Crown Heights, si costituì una coalizione per
esaminare come promuovere in modo permanente nella città un dialogo significativo tra gruppi
etnici e culturali diversi.
Anche il programma dei Pastori per la Pace, che ha aiutato a trasportare ingenti quantità di forniture
di base e di materiale da costruzione ai popoli del Salvador e del Nicaragua, è fondato sulla
collaborazione ecumenica. Nel corso di un ventennio di organizzazione di comunità, ED DUNN ha
scoperto che la collaborazione intercristiana è una componente essenziale delle iniziative di pace e
giustizia sociale. Ed si è recentemente unito ad un ministro presbiteriano, Chris Hartmire, e a un
coordinatore di progetto locale, Ellen Rogers, nell'organizzare una celebrazione di gemellaggio a
Sacramento, in California. L'incontro, chiamato "Celebrare la speranza", è stato il culmine di quasi
un decennio di collaborazione tra la popolazione di Sacramento e la "nuova città" di San Bartolo,
nel Salvador. Attraverso il suo sostegno al progetto del gemellaggio con San Bartolo e il suo
ininterrotto coordinamento del Pellegrinaggio centroamericano, Ed ha condotto centinaia di
francescani e di loro parrocchiani a imparare di più circa la vita e la testimonianza intramontabile
dei martiri dell'America Centrale. Per Ed, tali sforzi di collaborazione per la giustizia sono più
efficaci quando sono parte di una comunità di fede condivisa.
PHILIPPE SCHILLINGS si è convinto che i francescani hanno doni speciali da dare all'impegno
per gli immigrati in tutto il mondo. Egli è stato missionario in Brasile per venti anni prima di
ritornare nel suo paese di origine, il Belgio, nel 1985, a lavorare con gli immigrati portoghesi. Come
direttore dell'Ufficio Europeo della Commissione Cattolica Internazionale dell'Emigrazione a
Bruxelles, Philippe fu avvicinato da un immigrato curdo, che gli disse: "Il nostro sindacato ha
bisogno di un cappellano e noi vogliamo che lo faccia lei". Philippe replicò: "Perché io? Io sono
cattolico e voi siete musulmani". Il curdo rispose: "Ma lei è un francescano; voi frati siete un ponte
tra musulmani e cattolici". Philippe è convinto del bisogno di sviluppare una spiritualità su tale
ruolo di "costruttori di ponti". Oggi che i paesi dell'Europa dell'Est lottano per riassestare le loro
economie e le loro strutture sociali dopo decenni di controllo comunista centralizzato, migliaia di
persone stanno ancora bussando alle porte delle nazioni dell'Europa occidentale, alla ricerca di asilo
politico o semplicemente di una vita migliore. Piuttosto che focalizzarsi solamente sui problemi e
sull'impatto negativo dell'immigrazione, Philippe aggiunge: "Dobbiamo sottolineare gli aspetti
positivi dell'arrivo di nuovi venuti in mezzo a noi. Spesso, i francescani si trovano più a loro agio
nell'aiutare i profughi e gli immigrati nei loro bisogni immediati di cibo, vestiario e riparo. Ma
dobbiamo anche pensare a lungo termine alla loro situazione e giocare un ruolo di sostegno per
loro. Focalizzare l'attenzione internazionale sulle cause alla base dell'emigrazione è di importanza
cruciale perché tutti i popoli possano godere del diritto fondamentale di vivere una vita decente nel
loro paese di origine".
Il desiderio di condividere più profondamente la vita quotidiana della locale popolazione indù ha
portato SCARIA VARANATH e SWAMI DAYANAND a spostarsi dal loro tradizionale convento
francescano in India e a creare la loro comunità ashram, a circa 300 km a nord di Bangalore.
Dipendendo totalmente dalle donazioni della popolazione locale, i due uomini vivono una vita
molto semplice di preghiera e meditazione, in una casa donata loro dal vescovo del posto e sempre
aperta a chiunque voglia andare a parlare, imparare, meditare o semplicemente condividere un pasto
con i due frati. "Molta gente comune viene per stare con noi all'ashram per alcuni giorni", dice
Scaria, "anche dei ricchi che stanno cercando una luce o un significato nella loro vita". Scaria
ricorda come, crescendo in una famiglia cattolica molto tradizionale nei giorni precedenti il
Concilio Vaticano II, gli era stato insegnato a temere le altre religioni. "I miei genitori e le autorità
della Chiesa mi dicevano di non parlare con persone di altre fedi e di non guardare neppure i templi
e gli dei indù". Ora dice che i suoi studi delle scritture e della letteratura indù lo hanno portato a una
maggiore penetrazione nella sua visione fran-cescana del mondo. "L'induismo è basato su una
profonda visione spirituale dell'unità della realtà, in cui i fiumi, i mari e ogni cosa vivente sono una
manifestazione del divino e quindi devono essere trattati con rispetto".
Portare alla vita lo spirito di San Francesco in mezzo a culture e religioni diverse era l'idea che
spinse a stabilire un centro per ritiri vicino a Bangkok, in Tailandia, nel 1985. Oggi tale centro
offre ancora un luogo per la meditazione e la preghiera, ma si è allargato ad includere una casa di
accoglienza per malati di AIDS, quasi tutti buddisti che non hanno nessun altro posto dove andare a
morire in pace. Questo è uno dei molti esempi presenti nel mondo di dialogo attraverso gesti
concreti piuttosto che attraverso idee intellettuali. Uno dei frati che lavorava là, ANTONIO
EGIGUREN, ricordando come la maggior parte della gente del posto confondeva San Francesco
con Sant'Antonio, così si esprime: "Essi erano semplicemente due statue che si potevano vedere
nelle chiese cattoliche! Noi volevamo mostrare alla gente il volto di San Francesco attraverso il
nostro stile di vita semplice e attraverso il nostro servizio ai più bisognosi". La casa può accogliere
fino a dieci pazienti e ha fatto molto per combattere le paure e i pregiudizi che circondano quel tipo
di cura per persone che stanno morendo di AIDS. I frati non sono interessati a convertire al
cristianesimo i loro pazienti, ma raccontano la storia toccante di una giovane madre di due bambini
piccoli, giunta al centro dopo che suo marito era morto di AIDS. Non molto tempo prima di morire
anche lei per la malattia, disse a uno dei frati che Me Pra (Maria) era venuta a vi-sitarla e a
confortarla durante la notte. "Ma tu sei buddista", replicò il
frate. "Sì", disse lei, "ma Me Pra sa cosa significa essere una madre che soffre".
Articolo 70
[...] impegnati a promuovere la reciproca accettazione e benevolenza tra gli uomini, i frati siano
strumento della riconciliazione operata dalla croce di Gesù Cristo.
1. Quali sono i più grandi gruppi cristiani nel tuo paese (oltre ai cattolici)? Ti unisci mai a loro
nella preghiera? Nel dialogo formale? Nelle opere di carità?
2. Quali sono i più grandi gruppi non cristiani nel tuo paese? Ti sei mai unito a loro nella
preghiera per la pace nel mondo o per qualche altra intenzione? Nel dialogo formale? Nelle
opere di carità?
3. Come è visto San Francesco dai gruppi cristiani e non cristiani del tuo paese? Se
positivamente, hai usato questo fatto come un possibile punto di partenza per il dialogo?
4. La tua comunità locale o la tua fraternità provinciale partecipano a dialoghi ecumenici o
interreligiosi nello spirito dell'incontro dell'ottobre del 1986 ad Assisi, dove i capi religiosi
si riunirono per pregare per la pace nel mondo? La storia di Francesco che incontra il
Sultano ti incoraggia a partecipare al dialogo interreligioso? Con quale atteggiamento?
5. Quali ostacoli al dialogo potresti incontrare? Quali la tua comunità locale? Quali la tua
fraternità provinciale?
6. Puoi identificare nella vita di San Francesco altre forme di dialogo come quelle che sono
state suggerite sopra?
7. Quali indicatori ricorrenti noto nel modo in cui Francesco d'Assisi entra in dialogo? Quali
sono le sue forze chiave nel promuovere il dialogo?
8. Quale tipo di dialogo mi sfida di più?
9. Quali sono le occasioni in cui posso promuovere il dialogo nella mia vita quotidiana?
10. Quali sono i fattori che possono motivarmi a fare così?
11. Chi potrei coinvolgere nel dialogo (persone o circostanze)?
12. Dove, in quali circostanze e come?
13. Quali sono le mie paure e che cosa mi sfida?
14. Quali sono le mie forze e che cosa può aiutarmi ad avere l'iniziativa del dialogo?
15. Nella tua fraternità hai incontri con membri di altre confessioni cristiane o di altre religioni?
Qual è lo scopo di questi incontri? La preghiera, il dialogo, la riflessione? Qual è la tua
esperienza di questi incontri?
16. Collabori a campagne o attività a favore dei poveri, della pace o dell'ambiente?
PARTE 3
SEZIONE PRATICA DEL “COME FARE
Questa terza parte presenta due sezioni. La prima descrive le strutture dell'Ordine in relazione a
Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato. La seconda propone idee ed iniziative su come GPSC
può essere presente in diversi ministeri. Questa seconda sezione si apre con un capitolo sull'analisi
della realtà poiché, qualunque sia il nostro lavoro o la nostra attività, essi devono essere preceduti
da questa analisi per un discernimento migliore di quello che Dio ci chiede.
Temi:
1. Il movimento Giustizia e Pace nel contesto dell'evoluzione postconciliare dell'Ordine:
Capitoli e Consigli Plenari
2. Le strutture di Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato nell'Ordine
3. La collaborazione interfrancescana nel lavoro per GPSC
4. Analisi sociale
5. Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato in contesti ministeriali
specifici
• Vita quotidiana
• Missione "ad gentes"
• Ministero parrocchiale
• Ministero della Parola
• Ministero dell'educazione
• Ministero della formazione
1. il movimento Giustizia e Pace nel contesto dell’evoluzione postconciliare dell’Ordine:
Capitoli e Consigli plenari
In breve, c'era un concetto di Dio, della salvezza cristiana e della missione della Chiesa che
esentava le persone dalla preoccupazione per i problemi sociali, dall'impegno per il cambiamento
sociale. Questa spiritualità tendeva a sperare che Dio sarebbe intervenuto al momento opportuno a
porre rimedio al male nel mondo. Così tutto ciò che uno doveva fare era pregare per l'intervento di
Dio.
È certo che anche prima del Concilio Vaticano II, specialmente dalla Rerum Novarum, si stava
verificando un notevole cambiamento in questo tipo di spiritualità e che la Chiesa si occupava in
misura molto maggiore della soluzione di problemi sociali e politici. Ma è soprattutto nella
Gaudium et Spes che divenne chiaro che un impegno nell'azione sociale e politica veniva
direttamente associato alla missione ricevuta da Cristo: "Certo, la missione propria, che Cristo ha
affidato alla sua Chiesa, non è di ordine politico, economico e sociale: il fine, infatti, che le ha
prefisso è di ordine religioso. Eppure proprio da questa missione religiosa scaturiscono dei compiti,
della luce e delle forze, che possono contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini
secondo la legge divina" (GS 42).
Tra i molti contributi del Concilio alla Chiesa, uno dei più importanti, che ne ha già condizionati e
sollecitati molti altri, è l'atteggiamento verso il mondo, la storia e il problema sociale. Il Concilio
riuscì a far volgere alla Chiesa lo sguardo verso il mondo e verso la storia. Nella Gaudium et Spes
c'è una valutazione positiva del mondo come qualcosa che è stato creato da Dio, redento da Cristo e
chiamato alla pienezza oltre a una analisi della realtà storica poiché qui Dio rivela se stesso come
redentore dei popoli. Il Concilio ha orientato l'intera Chiesa e ogni cristiano verso il servizio del
mondo per la costruzione del Regno. Questo orientamento è stato descritto nella famosa
dichiarazione di apertura della Gaudium et Spes: "Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce
degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le
speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo" (GS 1). Attraverso l'Incarnazione, il
Regno di Dio è considerato come la trasformazione della storia. È nella storia condotta dallo Spirito
che il Regno di Dio, con la Chiesa al suo servizio, avanza sempre più. Quindi, è stata aperta una
strada nelle direzioni seguenti:
- Ascolto del mondo: capacità di leggere i segni dei tempi stando in mezzo ad esso,
condividendo le sue gioie e le sue preoccupazioni. In questo modo c'è stato un esodo della Chiesa
verso gli emarginati.
- Accoglienza dei desideri, dei valori, dei dolori e dei successi del mondo: libertà,
uguaglianza, partecipazione, pluralismo, democrazia e preoccupazione per la giustizia. Ciò
comporta una pratica evangelica basata sulla testimonianza di vita, sul servizio, sulla collaborazione
e sulla solidarietà.
Dall'insegnamento del Concilio sono stati fatti molti progressi teologici: nella promozione della
giustizia come parte integrante del Vangelo (Sinodo del 1971) e nel sottolineare inoltre la forte
relazione evangelica e teologica esistente tra evangelizzazione e promozione umana: "È impossibile
accettare che nell'evangelizzazione si possa o si debba trascurare l'importanza dei problemi, oggi
così dibattuti, che riguardano la giustizia, la liberazione, lo sviluppo e la pace nel mondo. Sarebbe
dimenticare la lezione che ci viene dal Vangelo sull'amore del prossimo sofferente e bisognoso"
(EN 31). È sufficiente ricordare i sinodi, le encicliche sociali, le dichiarazioni dei vescovi, la
teologia politica e della liberazione. In tutto questo è stata posta seria attenzione all'orientamento
così spesso ripetuto da Giovanni Paolo II fin dall'inizio del suo pontificato: "L'uomo, nella piena
verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale,
[...] quest'uomo è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione"
(RH 14).
Come conseguenza dello stimolo del Concilio alla Chiesa a preoccuparsi del mondo, nel 1967
Paolo VI nominò la Commissione Pontificia "Giustizia e Pace", proprio come auspicato da GS 90:
"Il Concilio, poi, dinanzi alle immense sventure che ancora affliggono la maggior parte del genere
umano, ritiene assai opportuna la creazione d'un organismo universale della Chiesa, al fine di
fomentare dovunque la giustizia e l'amore di Cristo verso i poveri. Tale organismo avrà come scopo
di stimolare la comunità dei cattolici a promuovere lo sviluppo delle regioni bisognose e la giustizia
sociale tra le nazioni".
2. La centralità dell'impegno per la giustizia e la pace nella nuova teologia della vita
religiosa
Di fronte a una situazione che vedeva la vita religiosa separata dalla società, mancante di forza
significativa e profetica e persa in forme antiquate, il Vaticano II pianificò un adeguato
rinnovamento che comportasse "il continuo ritorno alle fonti di ogni forma di vita cristiana [la
sequela di Cristo conformemente al Vangelo] e allo spirito primitivo degli istituti, e nello stesso
tempo l'adattamento degli istituti stessi alle mutate condizioni dei tempi". A tal fine, gli istituti
dovrebbero procurare ai loro membri "un'appropriata conoscenza sia delle condizioni dei tempi e
degli uomini, sia dei bisogni della Chiesa, in modo che essi sapendo rettamente giudicare le
circostanze attuali di questo mondo secondo i criteri della fede e ardendo di zelo apostolico siano in
grado di giovare agli altri più efficacemente" (PC 2).
Gli Ordini, le Congregazioni e gli Istituti seguirono immediatamente la chiamata del Concilio e
attraverso i documenti dei capitoli generali, dei consigli plenari e delle costituzioni generali
possiamo vedere come sia i documenti del Concilio sia altri documenti del magistero, specialmente
l'Evangelii Nuntiandi e le encicliche sociali, hanno influenzato profondamente una nuova
formulazione della vita religiosa, in cui le caratteristiche evangelizzatrici e profetiche sono
fondamentali, come lo sono per tutta la Chiesa. Già dalla fine del Concilio cominciarono ad
apparire nella vita religiosa certe tendenze fondamentali e piuttosto generali.
Per cominciare, l'opzione per i poveri e per la povertà reale all'interno degli Istituti e delle comunità
iniziò ad essere presa sul serio.
Negli Ordini e nelle Congregazioni, l'impegno per la promozione della giustizia e la difesa dei
diritti umani venne ad essere inteso come parte della propria missione.
Per concretizzare questi impegni, ci fu un movimento verso piccole comunità inserite in contesti
poveri, condividendo le condizioni di vita dei bisognosi e partecipando alle loro difficoltà e lotte.
Le strutture tradizionali, che molti Istituti religiosi avevano nei campi dell'educazione, del servizio
sanitario, degli orfanotrofi, ecc., cominciarono ad essere messe in discussione. Nacque una corrente
a favore della deistituzionalizzazione, proponendo che i religiosi, uomini e donne, prestassero il
loro servizio attraverso istituti distinti dai loro Istituti religiosi, sia che i primi fossero ecclesiali sia
che fossero secolari e civili.
Queste tendenze furono confermate nel 1980 dalla Sacra Congregazione per i Religiosi e gli Istituti
Secolari nel documento Religiosi e Promozione Umana, che offriva criteri per il discernimento
dell'importanza e dell'urgenza di un'adeguata partecipazione dei religiosi alla promozione integrale
delle persone. Troviamo lo stesso in Vita Consacrata, l'esortazione apostolica postsinodale sulla
vita consacrata (1996), specialmente nel capitolo III.
Il primo momento importante è stato il Capitolo Generale di Medellín (1971). Il suo documento
La formazione nell'Ordine dei Frati Minori dichiara che il rinnovamento dipende in gran parte dalla
formazione dei frati. Al numero 7 afferma che l'intuizione di Francesco risponde ai bisogni e alle
aspirazioni del mondo moderno. Al n. 8 dice che dobbiamo diventare poveri con i poveri e minori
con i minori. Al numero 10 parla del nostro inserimento nel mondo di oggi e del nostro impegno
per le sue grandi cause (cfr. Octogesima Adveniens, nn. 5; 48). Al n. 11 chiede se siamo le persone
che dovremmo essere, se ci sentiamo veramente chiamati a occuparci dei bisogni del mondo; e
conclude affermando che questo ci chiama sicuramente ad una conversione continua da parte
nostra, individualmente e in comune. Al n. 26 parla della minorità come caratteristica della vita
francescana e dice che essa rende ogni frate e la fraternità strumenti di pace.
In aggiunta a queste citazioni, il Capitolo di Medellín cominciò a parlare del bisogno di inserirci nel
mondo di oggi, per rispondere ai suoi bisogni. Ma, per allora, esso non aveva molto da dire e, con
una certa dose di ambiguità e paura, non identificò i problemi a cui deve essere data risposta. Già
nell'altro documento Le missioni dell'Ordine francescano, al capitolo V, "Noi siamo uomini di
pace", afferma che, fedeli alla nostra vocazione di pace, fondamentalmente siamo uomini di pace,
ma non siamo impegnati direttamente, poiché la pace per cui noi ci battiamo è il frutto della
giustizia e dell'amore. C'è un'opzione esclusiva per la testimonianza.
Il capitolo VII è intitolato "Araldi di pace nel mondo" e il suo contenuto può essere sintetizzato nei
punti seguenti.
La nostra missione essenziale consiste nel vivere il nostro progetto di vita: vivere-creare una
fraternità di amore ed essere aperti al servizio di tutti, vivere in povertà e lavorando, condividere le
speranze dei poveri. Il nostro contributo alla Chiesa e all'umanità è proprio questo: dare anzitutto
testimonianza attraverso il nostro stile di vita (cfr. n. 31).
Il nostro desiderio di creare una comunità fraterna proprio in mezzo alla gente comporta, piaccia o
no, ripercussioni sociali e politiche. E l'ammonimento è per noi di stare attenti a non confonderci
con alcuna corrente e vivere perfettamente le beatitudini (cfr. n. 33).
Cominciando da questo punto di partenza, sarà possibile condividere realmente i problemi politici e
le lotte sociali di oggi. A tal fine, dobbiamo avere informazioni precise, che ci permettano una
analisi obiettiva della realtà, così come, per unire la nostra voce a quella degli oppressi, dobbiamo
condividere il lavoro dei poveri e degli emarginati. Dobbiamo inserirci nel loro modo di vivere (cfr.
n. 34).
Il Capitolo Generale del 1979. È soprattutto a partire da questo Capitolo Generale che l'Ordine ha
fatto un'opzione decisa per un impegno a favore della giustizia e della pace. Delle sette priorità che
il Capitolo stabilì per l'Ordine per il sessennio successivo, la quinta richiede che i Frati Minori
cooperino alla costruzione del mondo attraverso la condivisione dei suoi problemi e attraverso una
molteplice ed intensa presenza nell'ambito degli stessi. La sesta ci invita a metterci, consapevoli
della nostra posizione di promotori di pace e giustizia, a fianco di coloro che soffrono persecuzioni
e molteplici manipolazioni, vivendo in modo tale che le nostre stesse vite possano promuovere la
pace e la giustizia.
Alla fine del Capitolo, fu preparato ed approvato un documento in cui fu fatto esplicito riferimento
alle molte pressanti questioni e alle difficoltà nel risolverli: la fame, la povertà, la mancanza di case
e lavoro, l'ingiustizia, i problemi dei bambini e degli anziani, la violazione dei diritti umani, il
terribile pericolo delle armi nucleari, il degrado dell'atmosfera, come anche le emergenze concrete
del momento in diversi paesi del mondo (Nicaragua, rifugiati vietnamiti, Brasile, Rodesia).
In risposta a quel Capitolo, la prima lettera del Definitorio Generale all'Ordine, datata 10 settembre
1979, riguardò la tragica situazione dei rifugiati, specialmente nel Sud-est asiatico. In
quell'occasione esso annunciò la costituzione nell'Ordine di una Commissione di Giustizia e Pace,
che manifestasse "l'impegno francescano" in questi problemi, in accordo con le priorità stabilite dal
Capitolo Generale. Nel suo programma di governo, il Definitorio Generale annunciò anche che ogni
Conferenza dei provinciali avrebbe dovuto nominare una Commissione di Giustizia e Pace o
almeno cooperare con tali commissioni già esistenti nella loro regione.
Il Consiglio Plenario di Bahia (1983). Fin dai primi anni '80, c'è stata nell'Ordine una
consapevolezza molto chiara che la nostra missione è evangelizzare nel mondo in cui ci è toccato di
vivere e che dobbiamo comprendere chiaramente, se desideriamo davvero dare una risposta ai suoi
problemi e ai suoi bisogni.
A causa dell'importanza del tema dell'evangelizzazione in se stesso e del bisogno per l'Ordine di
studiarlo più approfonditamente in modo da discernere come i francescani possono essere mediatori
tra i valori evangelici (francescani) e la cultura e la società moderne, questo divenne il soggetto del
Consiglio Plenario del 1983 a Bahia, in Brasile. Qui fu approvato un documento significativo ed
interessante, Il Vangelo ci sfida. Insieme ai documenti dei Capitoli Generali di Medellín e di
Madrid, esso ha avuto la maggiore influenza sulle CC.GG. del 1987. Ciò diventa ovvio se
osserviamo come le note in margine agli articoli che esse dedicano al tema fanno costante
riferimento a questi tre documenti; infatti, per comprendere il messaggio che le attuali CC.GG.
desiderano comunicare, è essenziale leggerle alla luce dei medesimi.
Nel documento di Bahia ci viene ricordato il nostro dovere di contribuire all'evangelizzazione nella
Chiesa (cap. 1) e alla costruzione della giustizia e della pace nel mondo (cap. 4), come anche il
modo francescano ed evangelico in cui dobbiamo comportarci dal momento che siamo Frati Minori,
mandati come fratelli (cap. 2) e minori tra i poveri (cap. 3).
a) Pregare perché possiamo divenire uomini di pace con Dio e con l'umanità, facendo della
preghiera e del digiuno parte dei nostri sforzi per la pace.
b) Sostenere i movimenti che cercano la pace nella nostra società partecipando personalmente
ad essi.
c) Appoggiare i movimenti non violenti a favore della pace, dando il nostro sostegno a coloro
che, per ragioni di coscienza, sono contrari alle guerre, specialmente a quelle nucleari, e a coloro
che si oppongono alla corsa agli armamenti e al traffico di armi; sostenere coloro che sono
imprigionati per le loro convinzioni e i loro sforzi nel nome della giustizia e della pace.
d) Sviluppare una pedagogia della pace, specialmente per i giovani dei nostri seminari e delle
nostre scuole.
e) Cercare modi di eliminare le ingiustizie che si trovano in mezzo a noi. Questo tema
dovrebbe essere pienamente discusso nel capitolo locale nel corso di un anno; così dicono le
Priorità del Capitolo per il 1985, perché possiamo essere testimoni credibili della pace di Cristo.
f) Ogni Provincia dovrebbe avere una Commissione Giustizia e Pace e, dove possibile, frati
che lavorano a tempo pieno per la giustizia e la pace, sostenendo altri frati già occupati in
Commissioni Giustizia e Pace. I rappresentanti delle Province dovrebbero formare un'assemblea per
Giustizia e Pace all'interno della Conferenza.
Questa è la strada percorsa dall'Ordine dopo il Concilio prima di arrivare alle attuali CC.GG.,
approvate dal Capitolo Generale del 1985, nelle quali i temi della giustizia e della pace sono molto
in evidenza, specialmente nei capitoli IV e V.
Il Capitolo Generale del 1985. Così come approvò il testo delle CC.GG., il Capitolo Generale del
1985 pubblicò un Piano sessennale (1985-1991) in un breve messaggio intitolato La nostra
chiamata all'evangelizzazione. Proposte per l'azione. Il capitolo comprese che nelle Costituzioni
Generali e in altri recenti documenti francescani c'erano tre temi che venivano costantemente in
rilievo: la dimensione contemplativa della nostra vita, l'opzione per i poveri/giustizia e pace, la
formazione nello spirito missionario/evangelizzazione. Questi furono rapidamente noti nell'intero
Ordine come le nostre "tre Priorità". Il numero 23 di questo documento riporta nove proposte
concrete nell'area di Giustizia e Pace, alcune delle quali sono state citate sopra. La riflessione su di
esse, specialmente nei nostri capitoli (generale, provinciale e locale), ci fornirebbe materiale utile
per la meditazione su elementi essenziali della nostra eredità, nonché l'opportunità di un proficuo
esame di coscienza e un impulso verso l'attuazione delle proposte stesse.
Tre anni dopo il Capitolo Generale del 1985, il Consiglio Plenario dell'Ordine si incontrò a
Bangalore, in India. Anche questo Consiglio Plenario pubblicò un documento, intitolato Ministri
della Parola... servi di tutti. Il Consiglio nota con soddisfazione nell'intero Ordine un reale
"entusiasmo per le tre Priorità dell'ultimo Capitolo Generale" (n. 14). Esso tratta della seconda
priorità (Giustizia e Pace) ai nn. 33-44. Rileva con soddisfazione che l'interesse dei frati per questi
temi sembra sulla giusta strada (cfr. n. 34). "Per un numero sempre maggiore di frati il povero non è
semplicemente un fratello, ma un fratello da preferirsi" (n. 36). La povertà è vista non solo come
voto, ma anche come solidarietà con i poveri e condivisione del loro processo di liberazione (cfr. n.
36). Un numero crescente di Province ha almeno una fraternità inserita in zone povere o tra gli
emarginati. Alcune comunità hanno trasformato i conventi in centri per il ricovero di alcolisti,
tossicodipendenti e casi simili (cfr. n. 37). Il Consiglio nota la partecipazione dei frati a campagne
pacifiche per la giustizia e la pace in molte parti del mondo e constata con soddisfazione che anche
l'ecologia è un problema che preoccupa un numero sempre maggiore di frati (cfr. n. 39). Inoltre,
registra la creazione di Commissioni di Giustizia e Pace in molte Province e Conferenze e osserva
con speciale soddisfazione che l'Ufficio di Giustizia e Pace della Curia Generale "assolve una
continua attività di animazione e coordinazione [...] dando informazioni e proponendo modelli e
progetti" in quest'area per l'Ordine, per la Famiglia francescana e per altri settori della Chiesa (cfr.
n. 40).
Il Capitolo Generale del 1991 decise di continuare con una trattazione più piena delle tre priorità
del Piano sessennale del Capitolo del 1985, collocandole nel contesto delle CC.GG. Il Capitolo
aggiunse le parole "e salvaguardia del creato" alla seconda priorità (giustizia e pace) e propose alle
entità dell'Ordine di esaminare i passi concreti compiuti o da compiere nella loro opzione per i
poveri, nel loro impegno per una società di giustizia e pace e nel loro rispetto per il creato (cfr.
L'Ordine e l'evangelizzazione oggi, n. 26). È un argomento appropriato per un esame di coscienza,
specialmente nei nostri capitoli.
Cercando la volontà di Dio nelle Scritture, nelle nostre fonti, negli avvenimenti degli ultimi sei
anni, nella contemplazione dei volti di così tanti esseri umani, nella realtà dei "segni dei tempi", il
Capitolo Generale del 1997 decise di approvare un Servizio per il Dialogo, articolato in tre
commissioni: dialogo ecumenico, dialogo interreligioso e dialogo con le culture. Inoltre, invitò le
Conferenze a studiare la convenienza di istituire nel proprio territorio tale servizio (cfr. Dalla
memoria alla profezia, n. 7,1-2). Il Capitolo ratificò l'opzione preferenziale per i poveri (cfr. n. 8,2);
esso "stimola ad attuare, a livello di Conferenze e in unione con la Famiglia francescana, un
impegno concreto a favore della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato, impegno che
nasca dalla nostra spiritualità e costituisca il contributo francescano alla celebrazione del nuovo
millennio" (n. 8,3). Inoltre, "sollecita il Definitorio Generale, attraverso l'Ufficio di Giustizia, Pace
e Salvaguardia del Creato in collaborazione con tutte le Conferenze e Province, a creare una rete di
personale e di risorse per intervenire nelle necessità dei profughi" (n. 8,4).
COMITATO DI ANIMAZIONE
CONSIGLIO INTERNAZIONALE
COMMISSIONI DI CONFERENZA
COMMISSIONI PROVINCIALI
COMMISSIONE INTERFRANCESCANA
1) Livello provinciale
2) Livello di Conferenza
3) Livello internazionale
L'Ordine spera di impegnare a tempo pieno dei frati per la giustizia e la pace, dove possibile, e di
sostenere quelli che già lavorano negli uffici di Giustizia e Pace dell'Ordine e delle Province (cfr. Il
Vangelo ci sfida: riflessioni sull'evangelizzazione, n. 38,5, Bahia 1983). Mentre il contenuto del
lavoro di GPSC è specifico per ciascuna Provincia e cultura, sono utili alcune raccomandazioni
generali riguardo alle strutture di GPSC ai livelli provinciale e di Conferenza.
1) Livello provinciale
Alcune Province identificano in ogni fraternità locale un animatore o una squadra di GPSC. Molte
hanno un comitato di frati (con altri incarichi a tempo pieno o part-time) che lavorano sui temi di
GPSC. Altre hanno un ufficio di GPSC con un frate che lavora a tempo pieno, in alcuni casi
assistito da uno staff laico.
Il lavoro principale del Coordinatore provinciale è quello di animare i frati della sua Provincia nelle
aree della giustizia, della pace e dei problemi ecologici. Vi contribuisce attraverso la distribuzione
di informazioni, sviluppando un processo di analisi sociale all'interno della Provincia e prendendo
parte a programmi di azione che riguardano i temi della giustizia sociale.
Il Consiglio Plenario dell'Ordine svoltosi nel 1983 a Bahia incoraggiò, dove possibile, il modello a
tempo pieno; gli incontri del Consiglio Internazionale di GPSC del 1993, 1995 e 1997
riaffermarono questo desiderio.
I frati impegnati nel ministero di GPSC di una Provincia hanno bisogno di una descrizione
dettagliata del servizio, che dovrebbe includere:
2) Livello di Conferenza
I consigli o le commissioni di GPSC a livello di Conferenza sono uno sviluppo dell'articolo 114
delle nostre Costituzioni Generali e dell'articolo 164 degli Statuti Generali. Ci sono strutture simili
per le aree della formazione e dell'evangelizzazione missionaria. Il Consiglio/la Commissione di
GPSC della Conferenza è formato/a dai coordinatori di GPSC di ogni Provincia ed entità di quella
particolare Conferenza.
Ha bisogno di avere tempo per poter non solo lavorare al suo livello provinciale, ma anche
coordinare il lavoro di GPSC a livello di Conferenza e sviluppare i progetti di collaborazione tra
Conferenze.
b. Consiglio/Commissione
COSTITUZIONE
Il Consiglio per Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato (Consiglio) è un consiglio permanente
della Conferenza anglofona dell'Ordine dei Frati Minori (Conferenza), formato dai rappresentanti
di Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato (GPSC) delle Province, Viceprovince e Custodie della
Conferenza.
1. Servire come istituzione di sostegno alla Conferenza, fornendo l'assistenza necessaria nella
trattazione dei temi riguardanti GPSC e nello sviluppo di progetti esecutivi.
2. Fornire ai frati e agli altri che sono coinvolti nei ministeri di GPSC opportunità per lo
sviluppo di competenza, la condivisione di informazioni e risorse e il mutuo sostegno.
"I frati, pienamente consapevoli dell'importanza e della gravità dei problemi sociali,
approfondiscano la conoscenza della dottrina della Chiesa sull'ordinamento della società, sulla
famiglia, sulla persona umana e ne facciano oggetto del loro insegnamento. Studino anche, con
senso critico, gli aspetti delle varie culture che si prestano ad iniziare il dialogo e a proporre una
risposta cristiana" (Costituzioni Generali OFM, art. 96,1).
"Consci altresì degli atroci pericoli che minacciano l'umanità, i frati denuncino fermamente ogni
specie di guerra e la corsa agli armamenti come una piaga gravissima per il mondo e la più grande
ingiustizia verso i poveri. Non risparmino fatiche e pene per costruire il Regno pacifico di Dio"
(Costituzioni Generali OFM, art. 69,2).
I. Statuti e norme
f) Ogni anno il Consiglio assegna il Premio Martin J. Wolf a una persona o a più persone che
vivono nello spirito del Vangelo.
II. Appartenenza
A. Membri
Ogni entità della Conferenza nomina uno o più rappresentanti di GPSC come membri del
Consiglio. Anche chi fa da tramite tra il Consiglio e la Conferenza è un membro.
B. Membri associati
Ognuna delle varie famiglie francescane, p.e. Cappuccini, Conventuali, TOR, "Espiazioni",
Federazione Francescana, Ordine Francescano Secolare, Sorelle Povere, ecc., è invitata a
delegare un rappresentante come membro associato del Consiglio. Un simile invito è esteso
all'Interprovinciale per l'Evangelizzazione Missionaria; al Consiglio Interprovinciale per la
Formazione, a Franciscans International e al Servizio Missione Francescana.
C. Altri partecipanti
Quando opportuno, potranno essere invitate altre persone a presenziare agli incontri del
Consiglio.
"Per un più efficace annunzio del Vangelo i frati ricerchino l'unione e la collaborazione con tutti i
membri della Famiglia francescana" (Costituzioni Generali OFM, art. 88).
III. Strutture
A. Presidente
Il Presidente viene eletto dal Consiglio e resta in carica per tre anni. Può essere rieletto per un
altro triennio. Il Consiglio può scegliere di estendere il numero dei trienni oltre i due. Le
competenze del Presidente sono definite dal Consiglio.
Chi fa da tramite tra la Conferenza e il Consiglio è un membro ufficiale del Consiglio, nominato
dalla Conferenza per rappresentare la Conferenza agli incontri del Consiglio e per relazionare alla
Conferenza a nome del Consiglio.
C. Segretario
Il Presidente designa un segretario per redigere i verbali degli incontri del Consiglio. Il segretario
non è necessariamente membro del Consiglio.
D. Tesoriere
Il Consiglio può eleggere un tesoriere per controllare i registri finanziari del Consiglio. Il tesoriere
ha la responsabilità di fare un rapporto finanziario annuale al Consiglio e alla Conferenza.
L'elezione del tesoriere coincide con quella del Presidente. Se non viene eletto nessun tesoriere, il
Presidente svolge tale funzione.
E. Comitati
1. Comitato di animazione
Il Consiglio elegge un Comitato di animazione di due o più membri, uno dei quali è il Presidente,
che presiede il Comitato. Le competenze del Comitato di animazione sono definite dal Consiglio.
2. Altri comitati
Dei comitati saranno istituiti dal Consiglio quando necessario. Sia i membri sia i membri associati
potranno assumere incarichi in essi. I membri associati avranno voce attiva nel lavoro e nelle
deliberazioni dei comitati. Ogni comitato eleggerà un Presidente e farà rapporto al Consiglio.
IV. Incontri
A. Frequenza
B. Finalità
2. Mutuo sostegno ed educazione per i membri, i membri associati e gli altri partecipanti.
C. Votazione
2. Se necessario, si può votare con voto deliberativo, uno per ogni entità membro. Per
l'approvazione è necessaria la maggioranza.
V. Finanze
Ad ogni entità è richiesto di versare, attraverso la sua struttura di GPSC, una somma in dollari,
basata sul reddito annuale dei frati della Conferenza, per finanziare il lavoro ordinario del
Consiglio.
VI. Emendamenti
A. Gli Statuti e le norme sono responsabilità del Consiglio. Gli emendamenti devono essere
proposti ad un incontro e decisi a quello successivo.
B. Gli emendamenti sono fatti attraverso il processo descritto nella precedente sezione IV.C, con
l'eccezione che, se si vota con voto deliberativo, per l'approvazione è necessaria la maggioranza
dei due terzi delle entità membro presenti. Gli emendamenti devono essere approvati dalla
Conferenza.
Le Costituzioni e le norme sono state approvate dai Ministri Provinciali della Conferenza
anglofona nel loro incontro dell'ottobre del 1997.
3) Livello internazionale
a) Ufficio di GPSC, Roma
L'Ufficio internazionale di GPSC (Roma) è stato istituito nel 1981. Esso deve assistere il Ministro
Generale e il suo Definitorio in questioni riguardanti la giustizia, la pace e la salvaguardia del
creato, conformandosi quindi alle decisioni dei Capitoli Generali e dei Consigli Plenari nello spirito
delle Costituzioni Generali e degli Statuti. Lo staff dell'Ufficio viene nominato dal Definitorio
Generale. Inizialmente l'Ufficio era chiamato "Commissione per Giustizia e Pace". Dal 1985 il
termine 'ufficio' è entrato in uso negli Statuti Generali dell'Ordine (art. 120,1).
Direttori dell'Ufficio sono stati: Marco Malagola (Provincia del Piemonte, Italia, 1981-83), Ken
Viegas (Provincia del Pakistan, 1983-85), Gerard Heesterbeek (Provincia dell'Olanda, 1985-88) e
John Quigley (Provincia di San Giovanni Battista, USA, 1988-1997). Nel luglio del 1997 è stato
nominato direttore dell'Ufficio Peter Schorr, il Definitore Generale dell'Europa centro-occidentale,
e nel settembre del 1997 Gearóid Francisco O'Conaire (America Centrale) è stato designato
direttore delegato.
Il Direttore/Direttore Delegato partecipa agli incontri, tiene riunioni con i gruppi provinciali e
viaggia all'interno delle Conferenze. Per aumentare le comunicazioni tra il governo centrale
dell'Ordine, le Conferenze e le Province, lo staff dell'Ufficio internazionale mantiene contatti con i
membri del CIGPSC (tramite posta e e-mail), organizza incontri, scrive e pubblica documentazioni
e testi informativi e tiene delle banche dati del materiale inviato. L'Ufficio sta facendo anche degli
sforzi per integrare una consapevolezza e una metodologia di GPSC nei programmi di formazione
dell'Ordine.
L'Ufficio di GPSC ha coordinato delle iniziative che sostengono e promuovono i fratelli e le sorelle
che soffrono a causa della loro fede, delle loro convinzioni o di attività intraprese per la giustizia, la
pace e la salvaguardia del creato. Alcune di queste iniziative hanno riguardato frati incarcerati nella
ex Cecoslovacchia (1986), frati e suore in Bosnia (1992), francescani in Ruanda (1994), la confisca
delle terre dei cristiani palestinesi a Betlemme (1994), frati che lavorano con i senzaterra del Brasile
(1996) e francescani che si impegnano per i diritti umani in Colombia (1997). L'Ufficio ha
comunicato con governi e Organizzazioni Non Governative, ha mobilitato campagne di
sensibilizzazione mediante invio di lettere, ha fatto interventi alla Commissione delle Nazioni Unite
per i Diritti Umani (Ginevra) e ha iniziato le Missioni Francescane di Pace in Croazia e in
Colombia.
"Il Consiglio Internazionale per Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato (CIGPSC) dei Frati
Minori è un gruppo consultivo, costituito dal Definitorio generale e finalizzato ad aiutare il
Direttore dell'Ufficio GPSC, il Definitorio generale e le Conferenze nell'importante compito di
formazione, di coscientizzazione, di animazione e di impegno dell'Ordine nel campo della giustizia,
della pace e della salvaguardia del creato" (Statuti particolari per il CIGPSC approvati il 7 luglio
1989, rivisti il 9 novembre 1994 e approvati di nuovo dal Definitorio Generale nel marzo del 1999,
art. 1). "L'assemblea del CIGPSC viene convocata dal Direttore dell'Ufficio GPSC una volta ogni
due anni; riunioni straordinarie possono essere convocate previo consenso del Definitorio generale"
(Statuti particolari per il CIGPSC, art. 4,1).
"Membri del CIGPSC sono: i coordinatori (delegati) delle Conferenze, uno per ciascuna
Conferenza, eletti dalle stesse secondo i propri statuti particolari e le norme del CIGPSC; i
componenti del Comitato di animazione; ed altri eventuali membri nominati dal Ministro Generale.
I delegati del CIGPSC possono essere eletti tra i coordinatori per GPSC che svolgono attività di
promozione di GPSC nelle Conferenze, o hanno comunque competenza nel settore" (art. 2).
* Roma, Italia (1987). L'argomento era "Giustizia e Pace e formazione". L'attenzione era
posta sul programma di formazione inserito tra i poveri di Manila nella Provincia filippina.
* New York e Washington, D.C. (1993). Argomenti a New York: la nostra partecipazione a
Franciscans International alle Nazioni Unite, l'identità del Consiglio Internazionale; e a
Washington: una esposizione alla Chiesa cattolica americana (Conferenza Cattolica degli Stati Uniti
a Washington). Numerosi progetti internazionali di GPSC per l'Ordine furono proposti al
Definitorio Generale e vennero approvati (p.e., Il Progetto Croato; una particolare attenzione
all'ecologia; il sostegno a Franciscans International e la nomina di un frate OFM, Michael Surufka,
per la partecipazione dei frati a Franciscans International; la pubblicazione di Pax et Bonum e di
Contact da parte dell'Ufficio di Roma). Dalla dichiarazione rilasciata al termine dell'incontro,
emerge che il CIGPSC crede giunto il tempo in cui per noi e per le nostre società diventa necessario
avere dei frati esonerati da altri uffici e formati per ministeri a tempo pieno nelle aree della
giustizia, della pace e dell'ecologia. Il Consiglio incoraggia fortemente lo sviluppo di una squadra
internazionale di frati che lavorino a tempo pieno nelle aree della giustizia, della pace e
dell'ecologia. Ognuno di loro dovrebbe essere selezionato e formato per una particolare area di
competenza, per esempio il lavoro per i diritti umani, il lavoro per l'ecologia, il lavoro per i
rifugiati. Questi frati non devono necessariamente vivere a Roma. Infatti, è preferibile che essi
siano dislocati in tutto il mondo e lavorino insieme in coordinamento con l'Ufficio Generale di
Roma.
* Seoul, Corea (1995). Questo incontro presentò vari progetti, che furono sottoposti al
Definitorio Generale per essere approvati. Molti di essi erano lo sviluppo di progetti iniziati dal
CIGPSC nel 1993; p.e., la riuscita esperienza dell'impegno dei frati nel Progetto Croato durante la
guerra dette origine al concetto di "Missione Francescana di Pace", che potrebbe coinvolgere i frati
in altri paesi che hanno bisogno di assistenza internazionale o di attenzione durante un conflitto
civile locale. Il Consiglio a Seoul richiese la compilazione del Sussidio di GPSC e focalizzò meglio
il nostro lavoro per l'ecologia chiamandolo giustizia ambientale. Il Consiglio dette anche il suo
sostegno alla promozione di opportunità di formazione permanente per frati in esperienze
internazionali.
* Roma, Italia (1997). Il CIGPSC sottopose al Definitorio Generale undici proposte, molte
delle quali necessarie per la continuità e il rafforzamento di progetti presentati in precedenti incontri
del CIGPSC (p.e., l'approvazione della Missione Francescana di Pace in Colombia, il
completamento del Sussidio e il progetto "Giubileo 2000").
Statuti particolari per il Consiglio Internazionale Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato
(CIGPSC)
Art. 1:
Il Consiglio Internazionale per Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato (CIGPSC) dei Frati
Minori è un gruppo consultivo, costituito dal Definitorio generale e finalizzato ad aiutare il
Direttore dell'Ufficio GPSC, il Definitorio generale e le Conferenze nell'importante compito di
formazione, di coscientizzazione, di animazione e di impegno dell'Ordine nel campo della giustizia,
della pace e della salvaguardia del creato.
Art. 2:
§1 Membri del CIGPSC sono: i coordinatori (delegati) delle Conferenze, uno per ciascuna
Conferenza, eletti dalle stesse secondo i propri statuti particolari e le norme del CIGPSC; i
componenti del Comitato di animazione; ed altri eventuali membri nominati dal Ministro Generale.
§2 I delegati del CIGPSC possono essere eletti tra i coordinatori per GPSC che svolgono
attività di promozione di GPSC nelle Conferenze, o hanno comunque competenza nel settore.
Art. 3:
§1 favorire la conoscenza e l'applicazione dei documenti della Chiesa e dell'Ordine dei Frati
Minori riguardanti GPSC;
§2 collaborare con le Segreterie generali per la formazione e gli studi e per l'evangelizzazione
missionaria ed altri Uffici della Curia generalizia a favore della formazione iniziale e permanente
nel campo della spiritualità francescana riguardo a GPSC;
§3 analizzare gli aspetti di GPSC presenti nella tradizione del carisma francescano e la loro
applicazione al mondo d'oggi;
§8 riflettere sulle finalità e priorità emerse dal lavoro delle Assemblee del CIGPSC e
formularne adeguate valutazioni circa l'applicazione alla vita e all'attività dei frati;
§9 proporre modifiche agli Statuti particolari del CIGPSC da sottoporre all'approvazione del
Definitorio generale;
§ 10 presentare la lista dei candidati per il Comitato di animazione.
Art. 4:
§1 L'assemblea del CIGPSC viene convocata dal Direttore dell'Ufficio GPSC una volta ogni
due anni; riunioni straordinarie possono essere convocate previo consenso del Definitorio generale.
Art. 5:
§1 Il Direttore dell'Ufficio GPSC, dopo aver consultato il CIGPSC, propone i membri del
Comitato di animazione al Ministro Generale e al suo Definitorio per la loro nomina. Il Comitato è
composto dal Direttore dell'Ufficio, dal Vice-Direttore e da almeno quattro altri membri.
§3 I membri del Comitato restano in carica per quattro anni; la metà dei membri è nominata
ogni due anni.
Art. 6:
§1 aiutare il Direttore dell'Ufficio GPSC nella realizzazione dei progetti e dei suggerimenti
proposti dall'assemblea del CIGPSC e approvati dal Definitorio generale;
§4 preparare con il Direttore dell'Ufficio GPSC una relazione annuale circa le attività di GPSC
nell'Ordine, da far pervenire a tutte le Province.
"Il Direttore dell'Ufficio GPSC, dopo aver consultato il CIGPSC, propone i membri del Comitato di
animazione al Ministro Generale e al suo Definitorio per la loro nomina. Il Comitato è composto
dal Direttore dell'Ufficio, dal Vice-Direttore e da almeno quattro altri membri" (Statuti particolari
del CIGPSC, art. 5,1).
Tra i compiti del Comitato di animazione i più importanti sono i seguenti: aiutare il Direttore
dell'Ufficio GPSC nella realizzazione dei progetti e dei suggerimenti proposti dall'assemblea del
CIGPSC e approvati dal Definitorio generale; preparare l'agenda e il programma di lavoro da
sottoporre all'approvazione del Definitorio generale; proporre e incoraggiare nuove iniziative e
progetti nel campo di GPSC (cfr. Statuti particolari del CIGPSC, art. 6).
L'art. 55,2 dice: "I frati impegnino tutte le loro forze per alimentare e promuovere la piena
maturazione del carisma francescano in tutti coloro che si ispirano all'ideale di san Francesco.
Colgano ogni opportunità di incontrarsi con loro per dare il proprio appoggio alle iniziative
comuni".
È una chiara indicazione che dal Concilio Vaticano II c'è stato un movimento di avvicinamento, di
conoscenza reciproca e di successiva stima e collaborazione tra i numerosi rami francescani: il
Primo Ordine, le Sorelle Povere e altri gruppi contemplativi femminili, l'Ordine Francescano
Secolare e la moltitudine di gruppi TOR.
Questo senso di famiglia è frutto di una nuova sensibilità culturale ed ecclesiale, più universale ed
ecumenica, e di una maggiore comprensione degli scritti di San Francesco e Santa Chiara da parte
di tutti. Le recenti Regole del Terzo Ordine Regolare e Secolare, come pure le Costituzioni del
Primo e del Secondo Ordine, che applicano i valori permanenti delle Regole di Francesco e di
Chiara alle situazioni di oggi, sono riuscite a presentare i valori fondamentali della vita francescana.
Sono essi, condivisi da noi tutti, che ci permettono di avere una sola vocazione ed un solo carisma e
di sentirci parte di un'unica famiglia.
È un movimento di comunione tra i differenti gruppi francescani trovato ai livelli più bassi _ si sta
propagando fra noi un certo senso di famiglia _ e anche ai più alti livelli di responsabilità; sono stati
pubblicati congiuntamente dei documenti in varie occasioni e, nel 1996, è stata istituita
ufficialmente la Conferenza della Famiglia Francescana (CFF), comprendente OFM, OFMConv,
OFMCap, TOR, OFS e CFI-TOR.
Questo movimento di comunione, sebbene ancora abbastanza limitato, è reso reale attraverso la
collaborazione nella formazione iniziale e permanente, nella ricerca storico-spirituale, nell'opera
pastorale, nell'attività missionaria e nell'impegno per Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato.
La crescente collaborazione interfrancescana, sebbene ancora molto limitata, viene attuata, forse nel
modo più intenso, nell'area di lavoro per la giustizia, la pace e la difesa della natura. Ciò è dovuto a
vari fattori:
• Comprendiamo che questi valori sono centrali nel nostro carisma.
• Essi sono parte dei segni dei tempi.
• Offrono possibilità concrete di collaborazione.
• I fratelli e le sorelle più sensibili a questi valori sono di solito i meno attaccati alle proprie
idee e i più aperti alla collaborazione con tutti, specialmente con coloro che lavorano sulle
stesse linee.
• È anche possibile che, essendo ancora una minoranza i francescani di ciascun ramo
impegnati in queste aree, essi sentano il bisogno di unirsi per avere più forza e capacità e un
impatto maggiore, nella nostra famiglia e nella società. Il lavoro interfrancescano, infatti, in
queste aree va avanti da alcuni anni; anzi, in alcuni paesi il movimento francescano per
GPSC è nato "interfrancescano".
Tuttavia, anche se questo lavoro interfrancescano è stato molto positivo, specialmente
nell'affrontare la nostra presenza nella società, non dobbiamo perdere di vista il bisogno di portare
avanti l'animazione dei nostri fratelli di ogni ramo sulla base di questi valori per un'opzione per i
poveri e per il lavoro per la pace e la protezione dell'ambiente. In alcuni luoghi è accaduto che il
lavoro interfrancescano di gruppi minoritari abbia dimenticato il bisogno di animazione in ciascun
ramo e in ciascuna Provincia.
La Commissione interfrancescana per Giustizia e Pace (CIFGP) esiste a Roma dal 1981. Essa è
composta da sei delegati della Conferenza della Famiglia Francescana (CFF), cioè l'Ordine
Francescano Secolare, i frati OFM, i Conventuali, i Cappuccini, la Conferenza Francescana
Internazionale del Terzo Ordine Regolare (CIF-TOR) e i fratelli del TOR. Questa Commissione
normalmente si riunisce tre volte all'anno. I suoi membri ricercano come collaborare e come
sostenere il lavoro fatto da ciascun gruppo. Rispondono anche alle domande e agli appelli che
fratelli e sorelle di tutto il mondo inviano loro. Negli ultimi cinque anni la CIFGP ha scritto una
dichiarazione congiunta, Le caratteristiche del lavoro dei francescani per la giustizia, la pace e
l'ecologia. Nel 1995 ha scritto una proposta per la riorganizzazione di Franciscans International
(FI), presentata alla CFF e al Comitato Esecutivo Internazionale di FI.
3. Franciscans International
Franciscans International è, finora, il solo progetto internazionale comune per l'evangelizzazione
della Famiglia francescana. Ebbe inizio nel 1983 negli U.S.A. come progetto interfrancescano.
L'appartenenza era individuale e volontaria e veniva corrisposta una piccola quota annuale. Un
ufficio con il suo personale fu istituito a New York. Il 3 febbraio 1989 fu registrato come
Organizzazione Non Governativa (ONG) al Dipartimento per la Informazione Pubblica (DPI)
dell'ONU e nella sua dichiarazione dei principi si propose di lavorare, in collaborazione con le
Nazioni Unite e con altre ONG, a favore dei poveri, della pace e della salvaguardia del creato.
Nei primi anni '90 fu istituito un Comitato Esecutivo Internazionale. Esso richiese lo status
consultivo delle ONG di categoria ECOSOC (Consiglio Economico e Sociale), che fu concesso il 4
agosto 1994. Questo ci permette di avere voce attiva e diretta nel proporre temi per l'ordine del
giorno, di trasmettere informazioni su questioni della vita internazionale, di presentare le nostre
preoccupazioni e soluzioni a problemi sociali urgenti.
Nel 1995 la CIFGP presentò al Comitato Esecutivo Internazionale una proposta che ricevette
l'appoggio dei Ministri Generali e dei Presidenti delle Famiglie francescane. I suoi punti centrali
erano i seguenti:
1) Poiché Franciscans International parla a nome dei francescani di tutto il mondo, dovrebbe
essere tenuto a rendere conto, in qualche modo, ai superiori della Famiglia francescana.
Nell'ottobre del 1995, al momento della sua istituzione ufficiale, la Conferenza della Famiglia
Francescana assunse la responsabilità di Franciscans International e nominò un "Gruppo di
Lavoro", che avrebbe dovuto discutere e proporre nuovi statuti e pianificare il futuro di FI. La
discussione tra Franciscans International e la Conferenza della Famiglia Francescana (CFF),
facilitata dal Gruppo di Lavoro, indicherà l'orientamento futuro di FI e coloro ai quali dovrà rendere
conto all'interno della struttura della Famiglia Francescana e delle Nazioni Unite.
5. Valutazione finale
Le esperienze degli ultimi sei anni mostrano che i vantaggi e le difficoltà che accompagnano la
collaborazione nella Famiglia francescana sono molti. La CIFGP ha cercato di cooperare in vari
progetti, con relativo successo. La strada non è mai facile ed è complicata dal fatto che per
settecento anni siamo stati identificati attraverso le nostre differenze. È relativamente semplice
cooperare in un progetto particolare, l'VIII centenario dei Santi Francesco e Chiara per esempio; ma
è una sfida dalle grandi implicazioni collaborare in progetti permanenti, che presuppongono risorse
finanziarie e di personale, come accade in una casa di studio comune, in un programma di
formazione internazionale o in uno sforzo comune di evangelizzazione missionaria. Franciscans
International è un esempio di come possa essere vantaggioso e difficile cercare di lavorare insieme.
La società laica non capisce le divisioni tra i francescani e spera che "i francescani" cooperino con
facilità nei progetti di pace, nell'identificazione con i poveri e nel loro interesse per il creato.
Introduzione
La lotta per la trasformazione del mondo non è un compito per sognatori ingenui né per fanatici
entusiasti. Per trasformare il mondo bisogna saperne qualcosa e sapere che cosa deve essere
trasformato. Ogni impegno nell'azione per la giustizia deve riconoscere l'ingiustizia strutturale che è
la causa della fame nel mondo, della situazione dei senzatetto, della violenza e della distruzione
dell'ambiente. Ogni programma di formazione alla giustizia, alla pace e all'integrità del creato deve
anche informare sui sistemi o sulle strutture ingiuste e sul come e perché essi agiscono. Ciò che
serve è un metodo o un procedimento per esaminare i sistemi sociali e valutare i sintomi del loro
cattivo funzionamento che portano all'ingiustizia. A tale proposito esistono testi di analisi sociale e
strutturale; e forse il più esauriente è quello di Holland e Henriot: Social Analysis. Linking Faith
and Justice.
È necessario che i promotori/animatori GPIC esaminino molto attentamente i problemi relativi alla
giustizia prima di agire per risolverli, e lo facciano con metodo, onde evitare che tali problemi
vengano aggravati, se coloro che operano per la giustizia non sono pienamente consapevoli delle
cause che li originano.
L'analisi sociale è uno strumento largamente praticato ed efficace che ci permette di esaminare le
strutture della società: politiche, economiche, culturali, sociali e religiose _ e di scoprire le cause
originarie dell'ingiustizia sociale. Essa ci aiuta a spostare l'accento da quella che Donald Dorr
chiama "la compassione faccia a faccia" alle domande sul come e sul perché: come è successo che
queste persone sono diventate povere? Perché è in aumento la disoccupazione? L'analisi sociale
individua chi detiene il potere, chi prende le decisioni, chi trae e chi non trae beneficio da queste
decisioni nella società. Ci permette di vedere le interconnessioni e le influenze che operano in ogni
sistema sociale. Questo metodo è stato ulteriormente sviluppato dai gruppi cristiani che oltre
all'analisi sociale usano la riflessione teologica cristiana per sviluppare un piano di azione per la
promozione della giustizia, della pace e dell'integrità del creato.
L'analisi sociale è un richiamo ad "aprire gli occhi, gli orecchi e la bocca". Il Vangelo secondo
Marco presenta tre miracoli che esprimono l'invito di Gesù ad aprire gli occhi, le orecchie e la
bocca nella nostra ricerca per comprendere la missione. Egli rimprovera i suoi discepoli dicendo:
"Non intendete e non capite ancora? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete
orecchi e non udite? E non vi ricordate...?" (Mc 8, 18).
Si veda anche:
L'analisi sociale ci invita ad ascoltare e a guardare il mondo in cui viviamo con i suoi problemi
concreti.
(Prima di intraprendere l'effettivo processo di analisi sociale, sarebbe utile tenere una discussione
sui valori.)
a) Strutture in generale
b) Strutture economiche
c) Strutture politiche
d) Strutture di classe
e) Strutture culturali
• La nostra cultura e le nostre tradizioni contribuiscono a creare, mantenere o aggravare
questo problema?
• Quali valori e tradizioni culturali contribuiscono ad aggravarlo?
• Esaminare il problema in relazione agli atteggiamenti o alle strutture mentali.
f) Strutture religiose
• Quali sono le strutture religiose o le organizzazioni della Chiesa che potrebbero essere
coinvolte nel problema in questione?
• Queste strutture religiose o organizzazioni della Chiesa, come contribuiscono a creare,
mantenere o aggravare questa situazione?
• Qualche organizzazione religiosa o della Chiesa trae vantaggio da questo problema?
• Lo usa per mantenere la propria importanza o per aumentare il numero dei suoi membri?
L'ingiustizia è spesso causata da strutture ingiuste della società. Tuttavia, anche se queste strutture
venissero cambiate, il problema dell'ingiustizia rimarrebbe ancora, a causa degli atteggiamenti o
della mentalità delle persone.
Questi atteggiamenti, chiamati a volte "strutture mentali", sono difficili da cambiare. Per cambiare
le strutture mentali o gli atteggiamenti che creano situazioni ingiuste è necessaria la conversione.
Questa conversione richiede menti e cuori che abbiano "fame e sete di giustizia".
• Quali sono le nostre strutture mentali, individuali o comunitarie,
che contribuiscono a creare, mantenere e alimentare questo pro-
blema?
Alla fine della II fase, sarebbe utile dedicare qualche momento a rispondere alle seguenti
domande:
• Alla luce delle considerazioni e discussioni fatte, stiamo raggiungendo una migliore
comprensione delle cause del problema?
• Quali sono gli approfondimenti o le nuove idee più importanti che sono venuti alla luce in
seguito a questa analisi?
III fase: riflessione cristiana sul problema alla luce delle Scritture e degli insegnamenti della
Chiesa
Per scoprire se la Bibbia e l'insegnamento della Chiesa possono contribuire a gettare nuova luce sul
problema è importante porsi le seguenti domande:
• Che cosa dice la Bibbia a questo proposito?
• Possiamo individuare alcune dichiarazioni della Chiesa, fatte da un papa, un concilio o un
gruppo di vescovi, che si riferiscono o possono essere riferite a questo problema?
a) Piano di azione
• Qual è la soluzione di questo problema?
• Che cosa possiamo fare noi, come gruppo o individualmente?
• Quali mezzi abbiamo che ci aiutino nel nostro piano di azione?
• Possiamo trovare altre risorse che ci aiutino?
• C'è una parte del problema che possiamo affrontare subito?
• Qual è il primo passo che dovremmo fare?
• Si dividono le responsabilità tra i membri.
• Si stabilisce un limite di tempo per ogni fase del piano, e per l'attuazione dell'intero piano.
• Si riflette sulle risorse finanziarie e sugli altri mezzi, e li si calcola accuratamente.
b) Valutazione
o Che cosa ci eravamo proposti di fare, quando abbiamo incominciato?
o Fino a dove siamo arrivati?
o Che cosa ci ha aiutato a progredire?
o Che cosa ha intralciato il nostro lavoro?
o Che cosa dobbiamo fare adesso? Cambiare obiettivo? Cambiare metodo? Rinnovare le
nostre risorse?
NOTA BENE
Il metodo: vedere-giudicare-agire
Vedere
Che cosa vediamo intorno a noi? Perché le cose sono come sono?
Giudicare
Quali pregiudizi ci portiamo dietro nel giudicare una situazione? Attraverso quali "lenti"
guardiamo? Quale potrebbe essere la nostra percezione inconscia del problema? Quale saggezza ed
esperienza di vita testimoniamo davanti a questa situazione? A quale saggezza facciamo riferimento
_ a quella dei ricchi o a quella dei poveri?
Abbiamo fatto realmente un'opzione per i poveri nel valutare la situazione? Nella nostra percezione
della realtà ascoltiamo di più l'élite o l'esperienza dei poveri? Dov'è la sapienza del Vangelo?
Lavorare per la giustizia richiede una spiritualità profondamente radicata nelle Scritture, altrimenti
la nostra opera sarà gravosa e impossibile. Chiamati ad evangelizzare oltre che a trasformare la
società, preghiamo, riflettiamo e cerchiamo il progetto di Dio per portare a compimento il suo
regno. Giudichiamo la situazione alla luce del progetto di Dio.
Agire
Per agire è necessario essere più consapevoli di ciò che succede nel mondo e giudicare la situazione
dal punto di vista del Vangelo. La collaborazione con altri nella comunità _ organizzazioni non
governative, altre confessioni religiose, gruppi locali _ e, dove è possibile, il lavoro internazionale
"in rete", è estremamente importante e probabilmente molto più efficace.
Un approccio pratico
Io
sono una donna nera
alta come un cipresso
forte
decisa fino all'estremo.
Sfido luoghi
e tempi
e circostanze
assalita
impervia
indistruttibile.
Guardami e sii
rinnovato.
Mari Evans
(I Am A Black Woman in Margaret Busby (a cura di),
Daughters of Africa, Pantheon Books, New York 1992, 300)
"Mi strapparono via dalla strada. Cercai di opporre resistenza alle forze di sicurezza, ma i poliziotti
mi colpirono sulla testa. I volti di mio padre e mia madre mi apparivano ripetutamente. Uno dei
metodi usati nelle prigioni irachene, e il simbolo per eccellenza della loro barbarie, è lo stupro. Per
quanto ne avessi sentito molto parlare, niente mi aveva preparato all'esperienza reale. Continuo a
riviverlo dentro di me. Sanguino ancora. Non fu compiuto da un uomo solo, ma da un gruppo di
uomini. Soffocarono le mie urla e le mie proteste. Dovetti arrendermi. E fu una specie di spettacolo
a buon mercato: un sacco di gente venne a vederlo".
Come abbiamo detto nella Prima Parte, per molte donne la violenza è un terribile fatto di vita
quotidiana _ violenza nella guerra, violenza politica, violenza sessuale e violenza domestica. La
violenza contro le donne è stato il denominatore comune di tutti gli interventi fatti alla Conferenza
Mondiale delle Donne a Pechino. Ayesha Khanam del Consiglio delle Donne del Bangladesh ha
detto: "La violenza contro le donne è un problema che richiede un'azione globale". Tra i problemi
della violenza sollevati a Pechino c'erano: la mutilazione genitale delle ragazze, le "morti per la
dote" in India, dove migliaia di giovani spose vengono uccise ogni anno perché le loro famiglie
pagano doti insufficienti, i maltrattamenti fisici domestici _ negli USA, circa un terzo delle donne
uccise muoiono per mano del marito o del fidanzato _ e l'uso dello stupro e della prostituzione
forzata come armi di guerra. Come fermare questa violenza è una sfida per tutti noi: donne, uomini,
laici, religiosi, cristiani e appartenenti ad altre fedi.
Presentiamo uno schema di approccio al tema: "Donne e violenza", basato sull'analisi sociale.
Descrizione della scena. Un gruppo parrocchiale sta discutendo di un'inchiesta nazionale di recente
pubblicazione sulla violenza domestica. L'inchiesta rende noto che una donna su cinque ha subìto
violenza da un partner maschio. Il 59% delle intervistate sapeva di altre donne che erano state
vittime di violenza; il 13% riferì di violenze psicologiche _ erano state chiuse a chiave nelle loro
stanze, era stato loro impedito di incontrare le amiche, erano state insultate e private del denaro; il
10% aveva subito gravi violenze fisiche _ prese a calci, spinte giù dalle scale, picchiate, accoltellate
e fatte oggetto di tentato strangolamento. Altre avevano subito violenza sessuale, erano state
minacciate con coltelli e armi da fuoco. Il documento conclude: "E così, mentre il governo può
promulgare leggi migliori per la protezione delle donne, non è in grado di elaborare un programma
che riduca la violenza domestica, finché non sa che cosa causi tali violenza. Dovrebbe porsi questo
obiettivo e, nel frattempo, fare tutto il possibile per sostenere i centri di accoglienza per le donne e i
centri antistupro".
Come possiamo contribuire a risolvere questo problema? Che cosa possiamo fare? Chi è vittima di
violenza in questa parrocchia, senza che noi lo sappiamo? Subito emergono queste domande e altre.
Come può rispondere un gruppo di questo tipo, usando un metodo di analisi sociale? È importante
osservare che l'analisi di un problema come questo richiederebbe almeno due riunioni di due ore
ciascuna.
Fate ricerche e passatevi informazioni sulla violenza domestica. Acquistate una copia dell'inchiesta,
magari invitate un esperto a parlare. Delineate brevemente la storia della violenza domestica nel
nostro paese. Quali sviluppi politici, economici, culturali, sociali e religiosi nella società hanno
contribuito alla violenza contro le donne? Cercate i collegamenti. Quali valori sono in gioco?
Ci sono strutture economiche che portano alla violenza contro le donne (per es. il sistema delle doti;
la mancanza di diritti giuridici e di proprietà; le donne considerate come proprietà personale
dell'uomo; gli uomini come unici portatori di reddito; la disoccupazione)? Ci sono delle forze nella
società che traggono vantaggio dalla dipendenza economica delle donne?
Chi ha il potere nelle strutture politiche? Ci sono dei partiti o dei gruppi politici che danno un tacito
consenso all'uso della violenza fisica contro le donne? Chi trae vantaggio dal "tenere le donne al
loro posto"? Quali ruoli ministeriali ricoprono le donne nel governo? Ci sono dei gruppi che
considerano l'avanzata del femminismo una minaccia? Le donne hanno dei diritti?
Ci sono degli elementi culturali di legittimazione della violenza contro le donne (per es. una
tradizione maschilista)? Quale forma assume il rapporto sociale tra i sessi (collaborazione,
isolamento)? L'alcool è considerato un rituale maschile importante? Si pretende la castità dalle
donne e non dagli uomini? Qual è il grado di istruzione degli uomini? E delle donne? Come
presentano la figura femminile i mezzi di comunicazione: come oggetto sessuale, capricciosa,
volubile, stupida?
Le strutture sociali incoraggiano la violenza (pensiamo per esempio ai datori di lavoro che sono i
"proprietari" dei lavoratori e li trattano da schiavi; agli alloggi scadenti; al problema dell'assistenza
sanitaria e sociale insufficiente)? Chi ha il potere decisionale?
Quali ruoli hanno le donne nelle strutture religiose? Ci sono insegnamenti, tradizioni e pratiche che
assegnano alle donne un ruolo particolare? Come sono rappresentate le donne nella mitologia?
Nella Bibbia? Nella Chiesa?
Ci sono dei rapporti tra le strutture economiche, politiche, sociali, culturali e religiose che
contribuiscono alla violenza contro le donne?
Fate riferimento a un brano delle Scritture come quello della Samaritana (Gv 4,1-42). Che cosa dice
questo brano su questo problema? Come risponde Gesù? Ci sono degli insegnamenti della Chiesa,
delle dichiarazioni del Papa, dei vescovi e dei capi religiosi che contribuiscono a chiarire il
problema?
Qual è la soluzione? Concretamente, che cosa vorremmo che cambiasse? Quali risorse abbiamo nel
gruppo che ci aiutino a rispondere al problema della violenza domestica? Quale parte del problema
possiamo affrontare adesso? Come comunicare con il resto dei parrocchiani? Quale provvedimento
prendere per primo? Chi sono i responsabili dei vari aspetti del progetto? Quali sono i tempi di
attuazione delle varie fasi dell'azione?
Valutazione
È molto importante stabilire una serie di incontri a scadenze fisse per valutare il cammino realmente
compiuto in relazione a ciò che ci si propone di fare.
VITA QUOTIDIANA
Vi presentiamo queste opzioni come proposta pratica di come concretizzare le idee offerte in modo
teorico nelle prime due parti del Sussidio. Vogliamo farlo in modo tale che queste idee divengano
quanto più possibile questione di vita quotidiana e incarnazione storica del nostro stile di vita
francescano.
1. Livello generale:
livello locale (che cosa potrebbero fare ogni fraternità e ogni frate);
2. Livello particolare:
A. A livello provinciale:
1. "Ad intra"
a) Nella formazione iniziale, non fare discriminazioni contro i candidati che non hanno optato
per il sacerdozio. Dare loro uguali opportunità di studio e di formazione tecnica.
b) Mantenere il diritto dei fratelli laici di occupare qualunque carica nella Provincia e di avere
un certo numero di delegati al Capitolo.
c) Fornire la più grande cura ed assistenza, diretta e indiretta, ai frati anziani e malati, se
possibile nei loro rispettivi conventi. Altrimenti, ci dovrebbe essere per loro una infermeria
confortevole e accogliente.
d) Aiutare i parenti più stretti dei frati nelle loro difficoltà economiche o logistiche, anche
mettendo a loro disposizione parte delle nostre strutture.
e) Al momento delle elezioni civili, fornire ad ogni frate, attraverso l'ufficio provinciale di
GPSC, informazioni adeguate e quanto più possibile complete riguardo ai programmi e ai candidati
dei vari partiti politici.
2. "Ad extra"
a) Fare un controllo annuale dei conti, con la determinazione di una percentuale delle entrate
totali, fissata annualmente, da restituire ai poveri sotto la forma di un progetto di promozione
umana, possibilmente deciso da tutti i frati.
b) Fare uso sia della capitalizzazione e del risparmio sia di banche etiche e di fondi comuni di
investimento autoamministrati. Inoltre, rinunciare a interessi più alti o al profitto personale.
c) Avere come priorità il miglioramento delle strutture per il culto e per l'accoglienza, e
prendere in considerazione frati non malati.
d) Verificare direttamente e personalmente ad intervalli fissati, attraverso l'ufficio provinciale
di GPSC, se la fiducia posta in un candidato politico era meritata o no.
B. A livello locale:
1. "Ad intra"
a) Favorire quanto più possibile una distribuzione equilibrata delle responsabilità, in modo tale
che tutti i membri della fraternità siano corresponsabili, secondo i loro carismi, della buona gestione
della casa. Programmare turni che coinvolgano tutti nei servizi più elementari e faticosi, come
cucinare e occuparsi della pulizia generale degli spazi comuni.
b) Facilitare a ciascun frate la possibilità di godere di periodi di vacanza, fornendo a tutti il
denaro necessario, senza dimenticare il voto di povertà.
c) Fare in modo che ciascun frate possa sviluppare liberamente i propri talenti mettendoli a
servizio della fraternità e della Chiesa.
2. "Ad extra"
a) Se è necessario assumere persone esterne per i lavori domestici, il primo criterio di scelta
non dovrebbe essere la produttività e l'efficienza, ma il bisogno del potenziale candidato.
b) Pagare un giusto salario al personale dipendente da noi, anche in assenza di una legislazione
adeguata, mettendo al primo posto la sua sicurezza nella società.
c) Comprare ed usare quanto più possibile i prodotti di commercianti giusti e disposti alla
collaborazione, anche se il costo è sopra la media.
d) Aiutare e sostenere, unendosi eventualmente a loro, i gruppi religiosi e civili che lottano per
la giustizia (p.e., Amnesty International, ecc.).
e) Interessarsi dell'attività politica e sociale della zona, aiutando, sostenendo e nel caso
formando gruppi per la difesa dei più emarginati, anche a costo della propria integrità fisica e della
propria libertà.
f) Esercitare sempre e dovunque il diritto di voto. Quindi, votare partiti e movimenti che
lottano per una maggiore uguaglianza tra le persone e salvaguardano la libertà religiosa e la dignità
della persona.
A. A livello provinciale:
1. "Ad intra"
2. "Ad extra"
B. A livello locale:
1. "Ad intra"
a) Fraternizzare quanto più possibile migliorando le maniere, salutandoci ogni giorno e
condividendo con i confratelli le nostre gioie e le nostre sofferenze; pregare gli uni per gli altri;
ricordare e festeggiare compleanni e onomastici.
b) Non cercare sempre di "avere l'ultima parola". Accettare le opinioni degli altri.
c) Non sentirsi vittima della comunità. Non vittimizzare nessuno.
2. "Ad extra"
A. A livello provinciale:
1. "Ad intra"
2. "Ad extra"
B. A livello locale:
1. "Ad intra"
a) Opporsi al diffuso consumismo scegliendo uno stile di vita moderato, specialmente nel cibo
e negli abiti, e per quanto è possibile semplice e naturale.
b) Non favorire ma contrastare qualunque cosa sia nello stile "usa e
getta".
c) Separare i rifiuti, specialmente carta, vetro e plastica. Ogni casa dovrebbe avere uno o più
punti di raccolta e persone responsabili di raccogliere i materiali.
d) Vivere in case riscaldate con metano o gas naturale. Dove è possibile, convertire l'impianto
dal carbone o dal gasolio.
e) Limitare l'uso di energia e di acqua a quanto è strettamente neces-sario.
2. "Ad extra"
Come abbiamo detto all'inizio, questa è una lista di proposte che non pretende di essere esaustiva e
che certamente non abbraccia tutte le possibili situazioni geografiche dei Frati Minori. Abbiamo,
tuttavia, cercato allargare il nostro orizzonte quanto più abbiamo potuto.
Sta a te, buon fratello, calare con la tua coscienza nel tuo contesto il messaggio che abbiamo cercato
di offrirti alla luce del Vangelo e della nostra legislazione. Portalo nel tuo ambiente e potrai
divenire un insostituibile segno dell'amore di Dio. Questo segno si esprimerà in uno stile di vita
contemporaneamente sobrio e gioioso, seguendo l'esempio di San Francesco e di Santa Chiara.
• La missione "ad gentes" consisteva nel portare la civiltà, la legge e l'ordine del Regno di Dio
a persone ignoranti, povere e spesso violente.
• La missione "ad gentes" divenne un progetto di cristianizzazione degli indigeni del Nuovo
Mondo.
• La nostra missione "ad gentes" doveva portare più persone del mondo possibile alla verità,
che per noi in quel tempo significava alla Chiesa cattolica romana.
Per secoli l'osservazione del sole, che ogni giorno sorgeva e tramontava all'orizzonte, ha dato
all'uomo motivo di pensare che noi eravamo il centro dell'universo e che il sole ci ruotava intorno.
Ciò che cominciò come una osservazione casuale divenne una cosmologia, cioè una interpretazione
della percezione. Su questa cosmologia la Chiesa cristiana e la civiltà occidentale costruirono una
visione completa del mondo, comprendente il disegno di Dio per il genere umano, il bisogno di
salvezza, il culto, il profondo, l'etica, l'iconografia, ecc. Le nuove percezioni di Galileo Galilei non
erano osservazioni innocue o semplicemente curiose. Usando una semplice nuova lente, egli portò
un cambiamento enorme nella percezione di come l'umanità comprendeva il proprio posto e il
nostro sistema solare nell'universo. L'esperienza della nuova percezione fece crollare la cosmologia
precedente e molti dei suoi corollari, sostituendone altri nuovi. Questa crisi comportava seri
problemi. Queste nuove conoscenze costituivano una tremenda minaccia al modo in cui i cristiani
avevano compreso Dio, il loro mondo e il proprio posto in esso. La minaccia ai fondamenti
cosmologici della società era così forte che non solo era difficile, ma perfino pericoloso, parlare ai
vescovi e cercare di convincerli a vedere la realtà in modo nuovo.
Oggi siamo in un simile tempo di crisi, in cui i nostri assunti cosmologici stanno cambiando. Forse
la nuova lente che ha introdotto l'inizio di una nuova cosmologia è quella della telecamera
attraverso la quale noi abbiamo visto la terra dalla luna. Persone di tutto il mondo hanno avuto
l'esperienza comune di guardare altri uomini infrangere la legge di gravità, muoversi nello spazio e
osservare dalla luna il nostro pianeta ruotare come uno scintillante ornamento natalizio sospeso
contro un cielo nero. Insieme abbiamo guardato noi stessi e il nostro pianeta, un globo senza
confini, fragile, solo e luminoso, da una telecamera posta sulla luna a 280.000 miglia di distanza.
Oggi le donne, che costituiscono la metà del genere umano, stanno definendo se stesse e i propri
diritti vis-à-vis rispetto all'altra metà, rappresentata dagli uomini. Questa è probabilmente una delle
discussioni più importanti nella storia della famiglia umana. Il mondo sta diventando un villaggio
globale, dove più persone sono interessate alla spiritualità, ma non si identificano con alcuna
religione. Quando impariamo di più sul creato e incontriamo elettronicamente nuovi fratelli e
sorelle di tutto il mondo, le nostre percezioni cambiano. Non solo vediamo in maniera differente la
natura e gli altri, ma cambia anche la nostra comprensione di Dio. Meno persone sono spaventate
dal concetto di Dio. Tutte le religioni sono viste come buone e utili per il cammino dell'uomo. Più
spiritualità sono centrate sul creato e si identificano con le lotte dei poveri e per i diritti umani. I
fisici, che erano prima considerati nemici della religione, ora ci danno lezione su come la materia e
lo spirito sono aspetti della stessa realtà e ci insegnano che la base di tutta la materia è spirito.
Per la prima volta nella storia, l'intera famiglia globale può ora essere toccata simultaneamente dalla
stessa esperienza nello stesso momento. La televisione ci ha unito attorno a un nuovo fuoco del
villaggio. Noi guardiamo la Casa Bianca russa a Mosca venire attaccata; insieme centinaia di
milioni di persone di ogni paese del mondo restano senza fiato nello stesso istante in cui guardiamo
segnare a Parigi il gol vincente della Coppa del Mondo. Possiamo far passare telefax attraverso
confini chiusi, sulle teste dei dittatori, dando alle persone speranza, come pure dati aggiornati sulle
violazioni dei diritti umani. L'accesso alle informazioni ha trasferito il potere dalla produzione
industriale all'informazione. Questa dà agli uomini la possibilità di fare scelte per la loro vita.
Nell'ultimo decennio siamo stati testimoni del passaggio da un modello di missione _ e anche di
vita religiosa _ ecclesiocentrico e/o esclusivamente cristocentrico a un modello che, sebbene
pienamente ecclesiale e fondato sul vero discepolato, è aperto sull'orizzonte del mondo a venire, del
"nuovo cielo e della nuova terra", cioè del Regno di Dio. In questo modo, è il Regno di Dio che
definisce l'identità della Chiesa e che è legato anche alla ridefinizione della vita religiosa nella
Chiesa. Se l'identità della Chiesa è la missione, allora il Regno di Dio e i suoi valori (pace, giustizia,
filiazione divina e fratellanza tra gli uomini, rispetto incondizionato per ogni forma di vita, amicizia
tra tutte le nazioni sotto un solo Dio) diventano il fine della missione della Chiesa.
Sembra che la teologia contemporanea abbia raggiunto un consenso abbastanza ampio sulla base
per l'autocomprensione della Chiesa, e anche della vita religiosa: il centro della vita e del ministero
di Gesù era la proclamazione dell'irruzione del Regno di Dio attraverso le parole, i gesti ("azioni") e
soprattutto attraverso la sua morte e la sua resurrezione. I biblisti ci dicono che Gesù comprendeva
se stesso come profeta di quella nuova realtà che è chiamata Regno di Dio. Egli parla di un Dio che
entra in relazione con ogni singolo essere umano, con l'intero creato, con la storia, nella quale e
attraverso la quale il suo amore si dilaterà e si estenderà fino alla fine del tempo. "Il Regno di Dio
[...] è la visione utopica di una società di amore, giustizia, uguaglianza, basata sulla trasformazione
interiore o sul dare pieni poteri agli uomini, una visione in cui le persone 'agiranno' e 'vivranno
insieme' in maniera differente, perché essi 'saranno' e 'si sentiranno' diversamente" (P. Knitter).
Domande
La consacrazione al Regno di Dio farà sorgere molte domande su come agiamo quando affrontiamo
la nostra missione. Per esempio, che cosa significherebbe per noi, come religiosi, stare in Cina ed
andare in Cina in futuro? Quale sarebbe lo scopo di tale missione? I cinesi hanno la civiltà
ininterrotta più antica del mondo. Noi crediamo che Dio ha amato il popolo cinese, vivendo e
lavorando tra loro per migliaia di anni. Così, perché dovremmo sentirci chiamati ad andare a vivere
tra loro? Che cosa dovremmo sentire il bisogno di dire loro? O di chiedere loro?
Quale lezione stiamo imparando dalla nostra recente esperienza di evangelizzazione in Ruanda? E
in altre parti dell'Africa? Che cosa dire della fattibilità dell'attività di comunità religiose come ONG
associate con le Nazioni Unite? Come potremmo predicare o testimoniare alla comunità delle
Nazioni Unite la nostra fede che Cristo è morto, che Cristo è risorto e che Cristo verrà di nuovo?
Quando impiantiamo la Chiesa o il nostro Istituto in altri paesi, quanto siamo duttili, flessibili e
poveri? Quanto è rispettoso il nostro atteggiamento verso la cultura e i modi del popolo che ci
ospita? Conserviamo il possesso delle strutture e delle giovani Chiese locali? È giunto il tempo in
cui le "giovani" Chiese sviluppatesi per opera dei nostri Istituti dovrebbero diventare esse stesse
attive nel "mandare" missionari? Perché non sono più numerosi i missionari provenienti dall'Africa,
dall'Asia, dall'America Latina? Annunciamo attraverso la nostra testimonianza della dignità ed
uguaglianza evangelica tra noi _ laici e sacerdoti, uomini e donne _ dal momento che siamo tutti
legati insieme dallo stesso fondamentale lavoro di evangelizzazione? Esportiamo nelle giovani
Chiese i nostri vecchi problemi e le nostre divisioni?
Sfide
Che cosa possiamo dire del rinnovamento della vita religiosa e della nostra missione "ad gentes"?
Per non ingannare noi stessi, dobbiamo ricordare che in natura la maggior parte dei rinnovamenti
avviene attraverso la morte. Se il seme non cade a terra e non muore, esso non produce un chicco di
grano. La morte apre la possibilità di progresso e sviluppo, una rinascita a una vita molto differente
dallo stadio precedente. Forse veniamo preparati per essere piantati e, come il seme, possiamo solo
credere e sperare che il futuro sconosciuto è in noi. Forse siamo introdotti nel periodo successivo,
attraverso la soglia. Spesso vi è resistenza ogni volta che il creato giunge ad attraversare un confine
evolutivo. Nuova energia viene creata dall'attrito causato dalla resistenza all'avanzamento
evolutivo. Questa nuova energia aiuta a spingere la creazione nel suo stadio successivo.
Tutti i nostri Istituti hanno bisogno di adattarsi, sia quelli in patria sia quelli all'estero, ai problemi
che ci circondano: la sfida di formare gruppi più piccoli di cristiani che vivono una vita ispirata al
Vangelo tra persone indifferenti, cieche o ostili al Regno di Dio; l'apprendimento di come vivere in
comunità internazionali e interculturali, non solo per necessità, ma come testimonianza pubblica
della solidarietà del genere umano; il lavoro e la collaborazione, uomini con donne, donne con
uomini; la preghiera e il lavoro, con frequenza regolare, con persone di altre religioni; la
condivisione con la comunità scientifica del messaggio che Dio è diventato parte della creazione; il
parlare a favore di coloro che non hanno voce in incontri pubblici, come il Vertice Mondiale sullo
Sviluppo Sociale (Copenaghen), la Conferenza Mondiale sulle Donne (Beijing), la Conferenza
Mondiale sull'Ambiente (Turchia).
Possiamo imparare delle lezioni sul rinnovamento della vita religiosa e della nostra missione "ad
gentes" dalle nostre sorelle più piccole, le molecole di idrogeno e di ossigeno, che, anche se sono
così ben definite ed utili, spesso si legano e trovano nuova vita quando si perdono e diventano
nostra sorella acqua, che, come ci ricorda San Francesco, è preziosa, utile, casta e pura. Nell'acqua,
l'idrogeno e l'ossigeno hanno un compimento temporaneo ed utile che era impensato. Comunque,
ogni cosa deve cambiare, convertirsi, perdersi per unirsi, per diventare qualcosa di nuovo. Presto
nella storia, il messaggio dell'Incarnazione è passato da Israele in Occidente, in Grecia e a Roma,
dove c'è stata una fusione tra il messaggio proveniente dall'Oriente e la cultura occidentale. Sotto
molti aspetti, questo scambio o unione è simile al legame tra l'idrogeno e l'ossigeno per formare la
nostra gentile sorella acqua. Una domanda per noi: siamo preparati, personalmente o come Istituti, a
prendere la molecola del nostro mondo e a lasciarla legare completamente con il mondo di un altro,
così che ci sia una nuova comprensione dell'Incarnazione e delle sue ramificazioni? Per esempio,
che cosa accadrebbe se l'Occidente portasse il suo mondo di teologia e riflessione e lo lasciasse
trasformare e inculturare negli insegnamenti di Confucio, formando così una Chiesa cattolica
cinese?
Gran parte della vita religiosa come noi la conoscevamo sta morendo e cambiando in una nuova
vita che è ancora sconosciuta, impensata. Per il prossimo secolo, io credo che ci saranno varie
esperienze di vita religiosa nella Chiesa. Non solo esse saranno diverse, ma potranno funzionare
fuori dalle diverse ecclesiologie e in situazioni sociali molto differenti. In alcuni paesi, le comunità
religiose prospereranno come cinquanta o sessanta anni fa al nord. In altri posti, anche con le
migliori intenzioni e i più grandi sforzi, la risposta alle nostre preghiere sarà un numero inferiore e
anche la scomparsa di alcune comunità che in passato hanno servito molto bene la Chiesa. Farà
sorgere nella Chiesa anche nuove forme di vita religiosa per la società globale, forme che saranno
coerenti con quelle che le hanno precedute in passato, ma differenti, forse tanto quanto un seme
confrontato con un alberello.
Si deve richiamare l'attenzione sul pericolo di una lettura non corretta della vita religiosa, un
pericolo che esiste sia nelle Chiese locali del Sud sia in quelle dell'emisfero settentrionale. Alcuni
considerano solo l'aspetto utilitaristico e perciò relegano sullo sfondo la "raison d'être", il carisma
fondamentale della vita religiosa, che consiste nell'essere un segno umile e tuttavia profetico della
presenza amorevole di Dio nel mondo e nell'intero creato, nell'essere un segno dello Spirito vivente
che dà vita a una incarnazione sempre nuova del Vangelo e testimonia la venuta del Regno di Dio
nelle diverse culture del mondo. Vorrei sottolineare il fatto che, nella sua dimensione più profonda,
la vita religiosa non è una risorsa al servizio del ministero pastorale. Essa è, piuttosto, importante
essenzialmente in se stessa, nel e attraverso il dare testimonianza di Dio e del potere trasformante
del Vangelo nella Chiesa e nella società. "L'apostolato di tutti i religiosi consiste in primo luogo
nella testimonianza della loro vita consacrata, che essi sono tenuti ad alimentare con l'orazione e
con la penitenza" (CIC 673).
Conclusione
Seguono alcune semplici domande per la vostra riflessione e, forse, per la vostra discussione:
2. "Passare"
La missione di Gesù fu una Pasqua, un passaggio personale (kenosis) da ciò che è familiare e sicuro
ad un mondo di peccatori, emarginati, indifferenti, corrotti e impuri. Oggi, una sequela creativa di
Gesù deve contemplare e compiere il passaggio della nostra comunità nelle vite dei poveri, facendo
della nostra opzione per loro uno svuotamento di sé in altri contesti e in altre culture, una vera
inculturazione.
Per aiutarci, offriamo il seguente obiettivo: la giustizia, la pace e l'ecologia siano una parte
fondamentale del ministero parrocchiale e non solo competenza di pochi specialisti.
Si può sperare che le idee e i consigli pratici che seguono possanno aiutare l'impegno della
parrocchia per la giustizia, la pace e l'ecologia. Prenderemo in considerazione le aree seguenti:
1. Il triplice ministero di Gesù.
2. Il ministero sociale e profetico.
3. La parrocchia e gli altri gruppi.
4. L'educazione dei leader.
5. La comprensione della gente.
6. Il ruolo della fraternità.
Chiarito questo, è più facile inserire la giustizia, la pace e l'ecologia nel ministero parrocchiale. Un
buon coordinamento dei ministeri è fondamentale. A questo punto, sorge una serie di difficoltà:
l'autosufficienza dei gruppi e dei movimenti, una rottura dell'unità e l'incapacità di raggiungere
mete comuni.
Noi suggeriamo che ogni parrocchia si sforzi di creare un consiglio parrocchiale coordinato e
partecipativo, formato da persone di gruppi ecclesiali e ministeri diversi. Prendere in considerazione
l'andatura, la cultura e la situazione socio-politica e religiosa della gente è essenziale per elaborare
un progetto pastorale con priorità da valutare.
Secondo lo studio parrocchiale della realtà socio-economica e politica (diagnosi), dove esso esiste,
queste commissioni possono identificare delle aree di promozione umana e i gruppi più vulnerabili
che richiedono attenzione. Nessuna parrocchia può rispondere a tutte le sfide. È necessario fare una
lista delle più importanti priorità di sviluppo umano sulle quali ci si deve concentrare e delle
questioni relative su cui le comunità e i gruppi della parrocchia devono riflettere.
Allo stesso tempo, ci saranno sempre aree specifiche che richiedono un'azione immediata da parte
di pochi. Spesso il punto non è il numero di iniziative o di risposte a problemi locali, nazionali e
internazionali, ma il coordinamento di ciò che è stato detto e la condivisione delle informazioni con
l'intera comunità.
Non è saggio ridurre l'impegno per la giustizia, la pace e l'ecologia a un lavoro per pochi specialisti.
Se la gente identifica un gruppo specifico, conoscendo la natura umana, il lavoro sarà lasciato ad
esso. Tutto il lavoro inizia con pochi. Questi, tuttavia, dovrebbero avere la visione globale di
coinvolgere altri ed essere pronti a passare responsabilità e leadership al momento opportuno.
Occorre andare al ritmo della gente. Senza una buona e ampia educazione religiosa, non ci si può
attendere molto. Quando diventa ovvio che la promozione della vita e dei diritti umani è parte
fondamentale della santità, si può ottenere qualcosa.
Come si può entusiasmare la gente?
1. All'inizio, selezionare progetti o attività semplici che non soffochino le persone. Niente è
capace di motivare come il successo.
2. Al principio, evitare progetti polemici e rischiosi.
3. All'inizio, i progetti dovrebbero rispondere a ciò che la maggioranza sente importante.
4. Selezionare responsabili e persone chiave, meglio ancora se sono capaci di motivare.
5. Non imporre progetti, per quanto importanti.
6. Assicurarsi che vi sia una continuità di leadership.
7. Chiarire gli obiettivi e fare valutazioni.
Nel corso dei secoli, i temi di GPSC sono stati parte del ministero della Parola dei frati. Per i
sermoni quaresimali di Antonio nel 1231, per esempio, i cittadini di Padova approvarono una legge
contro la carcerazione dei debitori. I frati predicatori ebbero un ruolo nella nascita e nella diffusione
delle agenzie di prestiti su pegno, consentendo alla gente di ottenere capitali senza pagare gli alti
tassi di interesse imposti dalle banche. Scrittori e predicatori hanno difeso i diritti delle popolazioni
indigene in molti continenti. I frati si sono uniti con altre parti della Famiglia francescana per
quanto riguarda ciascuna delle sette questioni di GPSC evidenziate nella seconda parte di questo
sussidio.
In tutti i loro ministeri, i frati affrontano una doppia sfida, identificata da San Francesco nella
Regola del 1223: "osservare il santo Vangelo" (1,1) vivendo con passione i consigli evangelici, ma
senza arrogarsi il diritto di giudicare coloro "che vedono vestiti di abiti molli e colorati ed usare cibi
e bevande delicate" (2,17). Una ragione maggiore per cui Francesco d'Assisi ha influenzato
profondamente i suoi contemporanei e le generazioni successive è che egli unì la passione per il
vivere il santo Vangelo con un acuto senso della propria incompletezza nel farlo. La gente, quindi,
ha visto Francesco come un uomo equilibrato e trasparente, che cercava di rispondere sempre più
generosamente all'abbondante grazia di Dio. Francesco li ha sfidati e allo stesso tempo li ha
incoraggiati a "ricominciare".
Quando i frati hanno rispettato l'esigenza di umiltà così come la passione nel vivere il Vangelo,
sono riusciti a influenzare i loro contemporanei a migliorare le condizioni di giustizia e di pace.
Quando i frati hanno eccelso nella passione per il vivere il Vangelo, ma hanno mancato di umiltà
circa la loro incompletezza nel farlo, sono stati controtestimonianza del Regno di Dio e non sono
riusciti a migliorare le condizioni di giustizia e di pace.
Uno squilibrio tra passione e umiltà nel passato ha ostacolato la testimonianza evangelica dei
francescani e potrebbe farlo di nuovo in futuro, in tutti i ministeri. L'esperienza pratica con gli
emarginati e con i poveri porterà molto frutto nella vita e nel ministero di ogni frate.
Seguono alcune possibilità per trattare temi riguardanti GPSC attraverso la predicazione popolare,
testi scritti, la radio, la televisione e la comunicazione multimediale, senza tenere conto se i frati
consapevolmente stabiliscono una connessione tra la vita e il ministero e i temi di GPSC.
Testi scritti
• Articoli di livello popolare, su pubblicazioni francescane o di altro tipo, riguardanti iniziative
correlate ai sette temi presentati nella seconda parte di questo Sussidio;
• interviste con francescani e altre persone di rilievo in queste sette aree;
• scrivere lettere all'editore per lodare buoni articoli su questioni riguardanti GPSC o per
protestare contro travisamenti in questi ambiti (p.e., caricature);
• promuovere la riconciliazione all'interno della Chiesa e nella famiglia umana;
• per le pubblicazioni francescane, assicurare ai membri dello staff un trattamento giusto per
quanto riguarda i salari, le pensioni e le promozioni;
• mantenere contatti con frati impegnati in prima linea in tali questioni (p.e., con loro contributi
nei notiziari provinciali, con visite o lettere personali);
• impegnare parte del proprio tempo in ministeri diretti in una di queste sette aree (p.e., ufficio di
cappellano in una prigione, cottura della minestra, opera di sostegno);
• scrivere testi eruditi (articoli di giornale o libri) su queste sette aree e altre correlate a GPSC.
Missioni parrocchiali
• Riferirsi ai gemellaggi tra parrocchie (nella stessa diocesi, nello stesso paese o a livello
internazionale) come a qualcosa di già fatto o come a una possibilità da analizzare;
• riprendere in considerazione discorsi già sviluppati e, possibilmente, includere nuovo materiale
su uno o più di questi sette temi;
• testimonianza personale del predicatore sul suo crescente apprezzamento per uno o più di questi
sette temi;
• preparare la gente al sacramento della riconciliazione, includere nell'esame di coscienza
elementi riguardanti questi sette temi (p.e., il raccontare barzellette razziste o sessiste);
• esortare gli ascoltatori a informarsi meglio su questi sette temi;
• considerare di consegnare l'intera missione o parte di essa a un modello di squadra con una
donna;
• usare per questi temi materiale audiovisivo appropriato, e nelle conferenze parlare del pericolo
di una religione privatizzata, priva di conseguenze sociali.
Ritiri
• Sviluppare conferenze e meditazioni che contengano il maggior numero possibile di questi sette
temi;
• incoraggiare i partecipanti al ritiro a riconsiderare il posto di questi sette temi nella loro vita,
specialmente il cambiamento della loro comprensione di un tema particolare e la possibilità di
agire direttamente a tale riguardo (p.e., lavoro volontario);
• usare per questi temi materiale audiovisivo appropriato;
• considerare di consegnare l'intera missione o parte di essa a un modello di squadra con una
donna;
• chiedere alla persona attraverso la quale mantenete il contatto con questo gruppo quale è lo stato
o la storia recente di ognuno di questi sette temi per quel gruppo;
• fare riferimento, dovunque sia possibile, a iniziative locali riguardo a questi sette temi;
• raccomandare libri, riviste o film per continuare l'educazione dei partecipanti al ritiro e la
riflessione su questi sette temi, e condividere esperienze personali di crescita riguardo ad essi.
Sguardo generale
Nell'attuale clima di tensione tra nazioni che hanno il potere di distruggere la nostra sorella madre
terra, il bisogno di sviluppare nuove iniziative di educazione alla giustizia, alla pace e alla
salvaguardia del creato è evidente. Non è più sufficiente apprendere come evitare i conflitti, ma
come promuovere l'arte positiva della pacificazione; né basta sviluppare nuove tecnologie per
risolvere i problemi ecologici piuttosto che promuovere una amorevole responsabilità verso il
creato. La sopravvivenza fisica della vita sulla terra e la sopravvivenza spirituale del genere umano
richiedono che l'educazione alla giustizia, alla pace e alla salvaguardia del creato divenga il
soggetto centrale dell'educazione, e non solo un suo tema. Tale educazione è intesa nel senso più
vasto come una base pedagogica da usare in un'ampia varietà di contesti. Essa si concentra sulla
meta di favorire il rispetto per la diversità di tutti gli uomini e di tutto il creato e conduce verso il
fine ultimo di amarli. In un atteggiamento acquisito attraverso questo tipo di educazione, la
realpolitik del pensiero politico e degli sforzi politici per la pace, come pure dello "sviluppo
sostenibile", possono non riuscire a dare testimonianza alla "realtà". Questo tipo di educazione può
portare ad una richiesta di politiche alternative che amplino il "realismo" della realpolitik fino ad
includere la realtà dell'autentica riconciliazione tra gli uomini e quello dello "sviluppo sostenibile"
fino a considerare il bene del creato non umano.
Ci sono molti conflitti nelle scuole di tutto il mondo, conflitti che troppo spesso prendono un corso
distruttivo. Essi rimangono irrisolti e le tensioni aumentano; aggressioni ad alunni, insegnanti e
proprietà sono cosa di tutti i giorni. Le istituzioni educative, che dovrebbero fornire un ambiente
favorevole per resistere alla spinta verso la violenza, sono raramente efficaci nell'affrontare le cause
del comportamento antisociale. Esse, spesso, ricorrono a misure di sicurezza e compiono azioni
ostili contro i colpevoli.
Tuttavia, il tentativo di reprimere la violenza con metodi che sono essi stessi violenti verso bambini
e giovani in conflitto conferma solo che la violenza è un metodo accettabile, se non preferibile, per
risolvere i problemi in una determinata società. Tali metodi sono disumanizzanti e non riescono a
dare ai giovani alternative positive ai modelli violenti di comportamento. Da come noi rispondiamo
all'aggressione e al conflitto essi imparano più di quanto apprendono dalle nostre parole. Ciò che
diciamo è importante, ma deve corrispondere a quello che facciamo.
Molte persone non sviluppano mai gli atteggiamenti e le capacità per gestire costruttivamente i
conflitti che affrontano nel corso della loro vita. Molta della loro conoscenza di gestione dei
conflitti è acquisita casualmente e in contesti che mettono in evidenza metodi distruttivi
(televisione, videocassette e cinema). Se ai bambini fosse insegnato sistematicamente a gestire i
conflitti in modo costruttivo, essi diventerebbero meno vulnerabili ai disordini emotivi, al suicidio,
alla violenza e ad altre forme di comportamento antisociale. Al di là di questo, dobbiamo preparare
la giovane generazione ad affrontare in modo costruttivo i conflitti che inevitabilmente si verificano
tra nazioni nella nostra era nucleare.
Non-violenza non vuol dire solo cessazione delle guerre. Significa anche creare la pace nei nostri
cuori. Insegnare la pace attraverso la non-violenza significa dare ai giovani la possibilità di
sviluppare una filosofia della forza: la forza della giustizia, dell'amore, della condivisione delle
ricchezze, della resistenza organizzata al potere corrotto, la forza delle idee. Le scuole dovrebbero
armare di idee gli studenti e fare conoscere loro la storia, le tecniche e i "professionisti" della non-
violenza. Scegliere di vivere secondo una filosofia di forza non violenta significa preferire Gesù a
Cesare, San Francesco a Napoleone, ecc. Corsi sulla non-violenza dovrebbero cominciare alla
scuola materna e in prima elementare, e poi continuare per tutta la scuola elementare e la scuola
media inferiore e superiore.
È spesso irrealistico sperare di risolvere i conflitti con la forza non violenta (negoziazione,
compromesso, resistenza organizzata, non cooperazione, disobbedienza civile, difesa basata sui
civili), perché questi metodi sono insegnati raramente nelle scuole. Fino a tempi recenti,
l'insegnamento di capacità di soluzione non violenta dei conflitti è stato in gran parte relegato alle
scuole private e orientate in senso pacifista. L'effetto dell'aver trascurato corsi scolastici di pace è
un analfabetismo della pace. Non solo alla pace dovrebbe essere data una possibilità, ma le
dovrebbe essere anche dato un posto nel programma.
Invece di biasimare, però, ognuno di noi deve chiedersi che cosa possiamo fare di più per riformare
le scuole. Sono gli studenti stessi che devono fare pressione morale per ottenere corsi di pace. Ad
essi noi dobbiamo insegnare che questo mondo è loro, come lo è il futuro; insegnare a pensare al
mondo in cui vogliono vivere, a cosa serve loro per costruirlo e quindi a chiedere che ciò venga
insegnato.
H. Felder nel 1923 descrisse il movimento francescano come "la più grande iniziativa di pace mai
intrapresa e il più grande ideale di pace mai proclamato". La necessità di vivere questo ideale è
sempre stata attuale e ha sempre costituito una sfida per i francescani. Noi siamo provocati a
trasformare la cultura globale della violenza nella direzione di una cultura di pace. Possiamo trovare
una guida nella nostra grande tradizione cristiana e francescana. Con apertura mentale e cuori
recettivi, la pace può essere insegnata ed appresa.
Noi abbiamo la responsabilità di ispirare nelle giovani generazioni la determinazione e la capacità
di risolvere i conflitti senza usare armi. Un mondo in cui le persone sono capaci di diventare
raffinate nell'abilità di risolvere i problemi, dialogare e negoziare è un mondo in cui noi stiamo
educando alla sopravvivenza.
Suggerimenti pratici
Per insegnare con successo, l'educazione deve essere fermamente diretta alla pratica, cioè
all'interazione concreta tra gli abitanti della nostra comune madre terra. Si ritiene spesso che,
acquisendo la conoscenza, stiamo già cambiando la situazione a portata di mano; ma non è così.
Acquisire conoscenza può cambiare una situazione solo se questa conoscenza guida le azioni e le
parole nell'interazione con gli altri. Di conseguenza, i principi di base dell'educazione alla pace e
alla salvaguardia del creato, che implica l'imparare una reciprocità positiva e il disimparare la
dannosa reificazione, devono essere messi in pratica perché possano dare risultati positivi.
Per i programmi educativi religiosi esistono molte opportunità di focalizzare la dottrina sociale
cattolica riguardante la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato. Quanti sono coinvolti in
programmi di educazione religiosa e nell'insegnamento nelle scuole potranno voler considerare
alcune delle idee che seguono.
Introduzione
Nella Ratio Formationis Franciscanae ci sono molteplici riferimenti alla giustizia, alla pace e alla
salvaguardia del creato. Se non siamo capaci di tradurre queste idee ispirazionali in azione concreta,
non abbiamo niente da offrire agli emarginati, ai poveri e agli oppressi del nostro mondo. Come
disse l'ex Generale John Vaughn nel 1985: "Noi abbiamo molti documenti e molte parole. Ciò che
il mondo si aspetta da noi è l'azione".
Ciò che speriamo di fare in questa sezione è condividere con voi alcune di queste azioni concrete
che vengono vissute nelle Province di tutto il mondo. Ce ne sono ovviamente molte di più che non
riporteremo qui, ma speriamo che questi esempi incoraggino i nostri frati in formazione sia iniziale
sia permanente a continuare a lottare per un mondo più giusto e pacifico in armonia con tutto il
creato.
Nella Ratio ci sono molti riferimenti alla giustizia, alla pace e alla salvaguardia del creato. Noi
abbiamo scelto sei sottotitoli, sotto i quali vengono indicati alcuni articoli della Ratio e vengono
dati degli esempi concreti di esperienze vissute nelle Province. Questi sottotitoli sono: Fraternità,
Presenza, La voce dei senza voce, Consapevolezza critica, Apertura a tutti e rifiuto della violenza,
Formazione permanente.
I. Fraternità:
a) # (RFF 18)
# (RFF 21a)
# (RFF 28b)
b) Esperienze vissute
2) In Africa, negli U.S.A., in America Centrale e in India, frati di differenti gruppi culturali e
linguistici condividono la formazione iniziale. Alcune Province incoraggiano i loro frati giovani a
studiare, lavorare o vivere per un certo periodo durante i loro primi anni formativi con frati
provenienti da altre culture. Ciò favorisce la tolleranza e insieme prepara i frati alle future sfide
internazionali.
II. Presenza:
a) # (RFF 22b)
# (RFF 25a)
# (RFF 32a)
# (RFF 155)
b) Esperienze vissute
1) L'inserimento tra i poveri in piccole fraternità è una pratica comune in molte Province. Nelle
Filippine, in Brasile, in America Centrale, in Germania, in Italia e in Colombia, la maggior parte dei
frati, a qualche stadio della formazione iniziale o per tutto il tempo di essa, vive in una comunità
inserita tra i poveri. I frati stessi fanno tutti i lavori domestici. In alcuni casi, essi collaborano nelle
parrocchie. Altri lavorano in vari apostolati ecclesiali e secolari per guadagnarsi da vivere. Essi, in
genere, sono economicamente autosufficienti.
Per la vicinanza alla gente e la semplicità del loro stile di vita, i frati hanno l'opportunità di
sperimentare le lotte quotidiane delle persone, dando così alle loro riflessioni teologiche ed
accademiche una prospettiva più realistica e concreta.
I novizi della Provincia di Santa Barbara, in California, trascorrono il loro secondo anno di
noviziato vivendo in una zona emarginata nei sobborghi di Città del Guatemala. Essi imparano lo
spagnolo e vivono per un anno tra i poveri prima di cominciare gli studi o le occupazioni regolari.
La maggior parte delle Province incoraggia i frati in formazione dopo il noviziato a visitare i
detenuti, gli ammalati, i rifugiati, i tossicodipendenti, gli anziani e i lebbrosi, ecc., e alla
condivisione con loro.
4) In molte Province, i frati giovani fanno una pausa nei loro studi e danno alle loro Province
un anno o più di servizio. Alcuni vanno in territori di missione della loro Provincia o di altre e
lavorano con i poveri. Altri accompagnano gruppi emarginati restando in patria, di solito dove i
frati hanno già impegni.
b) Esperienze vissute
In America Centrale, i giovani frati vengono incoraggiati a impegnarsi nel lavoro della
commissione per Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato. Essi sono parte integrante della
squadra, che non fa affidamento soltanto sui frati designati ufficialmente dal governo provinciale.
Alcuni di questi frati sono stati incoraggiati a prepararsi in aree attinenti attraverso la partecipazione
a corsi di breve durata, seminari, ecc., sia in patria sia all'estero. Così, la Provincia sta facendo dei
passi per assicurare la continuità e l'essere pronti per il futuro.
b) Esperienze vissute
In alcune Province i frati, durante i loro capitoli locali mensili, dedicano un tempo stabilito a
riflettere insieme su questioni e temi correlati con la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato.
Uno dei frati prepara una breve analisi di ciò che è accaduto a livello locale e nazionale in campo
sociale, economico, politico e religioso. Gli altri, poi, condividono tutto quello che sanno e tutte le
conseguenze che ciò ha o potrebbe avere per i frati e per la gente. Se ci sono implicazioni pratiche,
si stabiliscono compiti specifici e si assegnano responsabilità.
b) Esperienze vissute
1) I frati della regione basca rifiutano di fare il servizio militare, che in Spagna è obbligatorio
per tutti. Essi rifiutano anche di fare il servizio civile, che è offerto come alternativa. In quel
contesto, essi sentono che questo servizio sostiene il costume militare. Per la loro obiezione molti
hanno affrontato un anno di prigione.
In Uruguay, i frati, in associazione con la Famiglia francescana, hanno aperto una delle loro
case a organizzazioni non governative impegnate nel lavoro per la promozione e i diritti umani, e
che riflettono su queste sfide che derivano dal nostro carisma.
b) Esperienze vissute
1) Incontri provinciali
Molte Province organizzano regolarmente (una volta all'anno oppure ogni due o tre anni) un
incontro provinciale per riflettere sui temi della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato.
Tutti i frati sono invitati. Nella maggior parte dei casi, partecipano i promotori locali. La finalità è
quella di condividere le esperienze di lavoro e di accordarsi sull'impegno futuro. In alcune
Province, questi incontri sono organizzati in unione con la Famiglia francescana. I professi semplici
sono incoraggiati a partecipare.
2) Molti frati si uniscono ad organizzazioni della comunità locale che lottano per il
miglioramento della loro zona. In generale, essi evitano le posizioni protagonistiche di comando.
Altri frati si uniscono a gruppi di sostegno e lavorano in patria per accrescere la consapevolezza
sulle questioni riguardanti la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato in altri paesi, continenti e
culture.
1. Opzione per i poveri _ Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato nei Capitoli
Generali e nei Consigli Plenari dal 1971 al 1997
2. Testi biblici
3. Testi francescani
4. Dottrina sociale della Chiesa
5. Opzione per i poveri _ Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato nelle Costituzioni
Generali
6. Selezione di testi su GPSC nella Ratio Formationis Franciscanae
7. Caratteristiche del lavoro francescano per GPSC
8. Indirizzi
9. Preghiere di varie tradizioni di fede
1. opzione per i poveri – Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato nei Capitoli Generali e nei
Consigli Plenari dal 1971 al 1997
Queste aspirazioni e tante altre simili possono realizzarsi, e di fatto si realizzano, in maniere
differenti. Forse che esse non corrispondono alla geniale intuizione di San Francesco, che era uomo
fraterno, povero, minore, operatore di pace, ardente del desiderio di condurre una vita evangelica e
di far conoscere "l'Amore che non è amato"?
I contemporanei di San Francesco riconobbero in lui il Vangelo realizzato pienamente, nel suo
anelare di seguire il Cristo fino al vertice della contemplazione del Tabor e della Passione del
Calvario, rianimando la carità nei cuori degli uomini e insegnando loro, con l'esempio e con le
parole, a vivere in pace con tutti e a riconoscere la dignità e l'uguaglianza del prossimo. Egli volle
che i frati fossero poveri coi poveri e minori coi minori.
Il nostro Ordine se, mantenendosi fedele al santo Fondatore, saprà inserirsi nel mondo di oggi e
dedicarsi ai suoi grandi problemi, potrà ancora attrarre a sé alcuni di coloro che, sospinti dal
desiderio interiore della dedizione assoluta, aspirano a vivere i valori attuali.
La forma di vita francescana si esprime vivendo nell'amore di Dio sopra ogni cosa, amore che
riguarda, evidentemente, anche gli uomini. Questo significa lasciarsi assorbire interamente da
Cristo nella vita con il Padre, amare tutti gli uomini ed essere buono e cortese con tutte le creature.
Il frate minore, seguendo la vita apostolica di Cristo e degli Apostoli, vuole essere segno e rendere
testimonianza dell'avvento del Regno di Dio, per mezzo di una vita lieta, umile, semplice, serena e
pienamente umana. Il frate minore si impegna ad un continuo confrontarsi con il Vangelo, nella
luce del quale è sempre pronto a cominciare di nuovo.
Immerso nella vita concreta degli uomini, cerca di approfondire lo spirito apostolico di San
Francesco, per riuscire ad animare dall'interno tutte le sua attività; con la testimonianza e
l'esortazione, si sforza di riferire al Vangelo tutte le realtà socio-culturali del mondo d'oggi.
26. Minorità
La minorità, come la fraternità, è una caratteristica essenziale della nostra vita. Il religioso
francescano è minor nella misura in cui si impegna a conformarsi al Signore nella kenosis,
seguendolo nell'umiltà e nella mitezza, pronto a servire Dio con obbedienza filiale e gioiosa come
anche a servire tutti i fratelli, fino a prendere l'ultimo posto. Il frate minore, mentre cerca un
appropriato adattamento della Chiesa e dell'Ordine al nostro tempo per portare tutti a Dio, rifiuta
ogni forma di dominazione sugli altri. Egli è pronto a soffrire, con audacia sana ed umile, anche
incomprensioni e pericoli. La minorità non deve essere confusa con la debolezza.
La minorità rende ogni frate nella fraternità uno strumento di pace, preparando ogni francescano a
sacrificare serenamente le proprie possibilità e predisponendolo alla rinuncia secondo le esigenze
del bene comune: lavoro, cambiamento di residenza e attività, disponibilità a servire senza
ricompensa, ecc. I francescani devono anche essere preparati a costituire nella Chiesa, in caso di
necessità, un gruppo di servizio a di-sposizione (suppletivo). Tuttavia, la minorità non è né
superficialità né incapacità; al contrario, richiede una necessaria abilità e perseveranza nella fatica.
S. Francesco ricorda a tutti i suoi Frati come Gesù Cristo vivesse povero e pellegrino, e come lui
anche la B.V. Maria e i suoi discepoli, per stimolarli ad imitarne l'esempio. In questo senso gli
educatori si preoccuperanno di insegnare ai giovani a vivere questa "minorità", nota tipica della
nostra fraternità (frate minore). Insegnino pure ai Frati, con la loro vita e le loro parole, che devono
essere minori e soggetti a tutte le creature umane per amore di Dio.
Questo suppone una continua abnegazione di se stessi, ed una sincera umiltà. Non dobbiamo
esaltarci e fare vanto per il bene che il Signore dice ed opera per mezzo nostro, ma accettare di
essere considerati vili, semplici e poveri, perché l'uomo vale solo quanto vale davanti a Dio e non
più.
La formazione dei candidati sia compiuta in una forma povera di vita; le abitazioni siano semplici e
poste in umili contrade. Non è da confondersi la povertà con la trascuratezza. Vengano favoriti i
contatti con i poveri, per essere in grado di conoscere le loro difficoltà e aspirazioni, e per
comprendere il loro desiderio di partecipazione ai beni e per un senso di solidarietà veramente
evangelico verso di loro.
Come S. Francesco, i frati dovranno gioire quando potranno vivere accanto agli umili e ai
disprezzati, accanto ai poveri e ai deboli e agli infermi, e vicino ai mendicanti per la via.
Una vera educazione dovrà concretarsi anche col promuovere la formazione dei candidati nei loro
rapporti col mondo, di cui fanno parte e nel quale debbono operare.
La vita francescana non è fuga dal mondo, ma, sull'esempio del Verbo Incarnato, è vita nel mondo
per testimoniare la certezza di una realtà trascendente, e per scoprirvi i valori che Dio vi ha
immesso ed assumerli in ogni espressione vitale, ordinandoli a Dio, con piena aderenza ai segni dei
tempi.
Tale inserimento deve essere proporzionato al grado di maturità raggiunto dai canditati sotto
l'aspetto umano, professionale e spirituale. Dovrà pure intendersi nello spirito degli atteggiamenti di
S. Francesco, il quale lavorava con intensità in mezzo agli uomini, però attendeva sempre con ansia
il momento di ritirarsi nell'eremo, ad imitazione di Cristo, in preghiera e in comunione di vita col
Padre; e dimostrava inoltre come vivesse nel mondo senza essere del mondo, e quanto fosse vicino
agli uomini.
Oltre alle ordinarie relazioni con la propria famiglia, dovranno pure ritenersi utili incontri
occasionali od anche di lavoro con ogni genere di persone, perché i canditati maturino bene il loro
carattere e conoscano la psicologia degli altri, cosa che sarà utilissima al loro futuro apostolato, e
sappiano prendere coscienza della vera complementarità essenziale del celibato e del matrimonio
nella Chiesa.
Si ritiene pure utile stabilire un responsabile rapporto con tutte quelle mediazioni educative e sociali
che possono favorire lo sviluppo della personalità dei candidati. Si tenga tuttavia presente che, di
fronte a questa vasta e complessa realtà sociale, gli educatori devono aiutare gli alunni a non restare
spettatori passivi, ma piuttosto a sviluppare un atteggiamento critico di fronte ai valori ed influssi
del mondo d'oggi.
Si abituino pure i candidati alla comprensione e alla valutazione dei fenomeni sociali, onde, in
futuro, sappiano informare di spirito cristiano le diverse mentalità e consuetudini, le leggi e le
strutture sociali in cui vivono, e quindi, con la parola e con la vita, sappiano collaborare per quanto
loro spetta alla creazione di un ordine temporale più giusto ed umano.
7. Formazione all'ecumenismo
Il movimento ecumenico in atto esige che la formazione tenga presente la necessità di creare nei
candidati una mentalità profondamente universale.
Oltre che programmare per essi un assiduo studio della teologia ecumenica o una introduzione a
questa materia, sia data possibilità o l'occasione ai frati di coltivare il loro animo ecumenico con
dialoghi amichevoli di informazione e con discussioni e preghiere comuni con cristiani acattolici o
con persone di altre religioni, benché tutto sia da compiersi secondo le norme della Chiesa che ha
manifestato le sue intenzioni e le sue preoccupazioni in questa materia di grande importanza.
Siamo fermamente convinti che questa forma di vita fraterna basata sulla imitazione di Cristo e di
S. Francesco possa, ancora oggi, rendere un servizio all'umanità. Perciò vogliamo andare incontro
ai bisogni dei nostri contemporanei.
L'esempio di Cristo al riguardo è particolarmente stimolante: "Il Figlio di Dio, infatti, ha percorso la
via di una reale incarnazione per rendere gli uomini partecipi della natura divina; per noi egli si è
fatto povero, pur essendo ricco, per arricchire noi della sua povertà (2 Cor 8,9). Il Figlio dell'uomo
non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita in riscatto di molti, cioè di
tutti".
Speriamo e ardentemente desideriamo che le nostre Fraternità, che formano un'unica e grande
famiglia francescana, siano sempre disponibili a prestare questo servizio agli uomini per aiutarli a
raggiungere i valori evangelici della dignità, del progresso integrale e dell'autentica liberazione.
Perché questi valori sono alla base delle società moderne, ne sono inoltre la spinta operativa e
l'obiettivo finale del loro progresso.
13. Dio che parla per bocca della Chiesa, non c'invia a conquistare terre, ma uomini che vivono in
particolari società. Uomini che potranno avere la nostra o altra fede, o magari nessuna fede. Ma
chiunque essi siano, noi desideriamo divenire loro servi, amici e fratelli, già con la semplice
testimonianza della nostra presenza, come spesso ci ha insegnato il padre San Francesco: "Che non
facciano liti né contese (...), e confessino che sono cristiani". Perciò la nostra preoccupazione si
volge a tutti gli uomini, principalmente a coloro che vanno alla ricerca di un nuovo senso della vita;
che hanno sete di una verità piena, di giustizia, di libertà e di dignità umana; che sono poveri o
infermi o abbandonati ed emarginati dal mondo. Tra costoro vogliamo vivere ancora più che nel
passato.
Soprattutto oggi urge l'obbligo che diventiamo generosamente prossimi di ogni uomo, e rendiamo
servizio con i fatti a colui che ci passa accanto sia vecchio da tutti abbandonato o lavoratore
straniero ingiustamente di-sprezzato, o emigrante, un fanciullo nato da un'unione illegittima, che
patisce immeritatamente per un peccato da lui non commesso, o affamato che interpella la nostra
coscienza, rievocando la voce del Signore: "Quanto avete fatto ad uno di questi minimi miei fratelli,
l'avete fatto a me" (Mt 25,3-46).
Noi frati non possiamo essere ciechi davanti alle dure realtà che molti nostri fratelli affrontano oggi
in molte parti del mondo. È innegabile che in molte zone la miseria degli uomini, la povertà e
l'ingiustizia sono giunte all'estremo. "La pace è sviluppo" è il nostro punto fermo. Tuttavia, la pace
non è possibile senza giustizia.
Noi crediamo che la vita cristiana sia essenzialmente conversione al Cristo crocifisso e risorto e
conseguente testimonianza concreta di tale conversione. Come seguaci di Francesco, dobbiamo
essere testimoni autentici del Vangelo, servendo il nostro popolo con lealtà e dedizione, e dobbiamo
essere pronti ad accettare tutti i rischi che bisogna assumersi nella via della pace, della giustizia,
della persecuzione e del Regno di Dio.
Fedeli alla nostra vocazione, noi siamo fondamentalmente "uomini di pace", ma non coinvolti
direttamente; la pace per la quale ci battiamo è frutto della vera giustizia e dell'amore. Quando si
tratta di rivoluzione violenta, la norma o regola generale per i cristiani è disapprovarla; ma essi
riconoscono anche che c'è una tradizione teologica, sociale e giuridica che in certi casi ammette
l'uso della violenza.
12. Non da soli, ma con i fratelli. Il Signore ci ha chiamati a vivere secondo il Vangelo, non da soli,
ma in una comunità di fratelli. La nostra vocazione si realizza nella fraternità e per mezzo della
fraternità, poiché essa è il luogo privilegiato del nostro incontro con Dio. Noi vogliamo vivere non
soltanto l'uno accanto all'altro, tesi verso il medesimo fine e aiutandoci a raggiungerlo, ma piuttosto
volgendoci gli uni verso gli altri, per amarci vicendevolmente come il Signore ci ha dato l'esempio
e il comando. Noi dobbiamo considerarci tutti fratelli, dimostrandoci rispetto, manifestarci con
semplicità tutte le nostre necessità, renderci i più umili servizi, evitare le dispute, le mormorazioni,
la collera, i giudizi negativi; in breve, dobbiamo amarci con le opere e non solo a parole; e questo
con la tenerezza di una madre con i suoi bambini.
15. Amore che non fa discriminazioni. La fraternità non è una realtà chiusa in se stessa: essa, per il
suo intrinseco dinamismo, si apre a tutti gli uomini che sono per noi una manifestazione del Cristo.
Noi dobbiamo amare ed accogliere con benevolenza amici e nemici, sia che essi vengano a noi, sia
che noi andiamo verso di loro. Anzi, per coloro che lo desiderano noi potremo cercare delle nuove
forme di accoglienza e di rapporto con la nostra famiglia francescana. Il nostro mondo è diviso in
classi sociali e in categorie ideologiche; ma noi ci rifiutiamo di giudicare gli uomini sulla base della
loro appartenenza a delle classi. Consapevoli che è nostro dovere essere in ogni luogo testimoni del
Vangelo, noi, nei nostri contatti, non dobbiamo lasciarci coinvolgere in dispute o liti: ma, senza
alcuna pretesa, vogliamo essere operatori di pace, cortesi e gioiosi, sottomessi a tutti e convinti che
non siamo altro che servitori di una Parola più grande di noi. Con il nostro amore limpido e
benevolo noi vogliamo testimoniare a tutti quelli che incontriamo il valore insostituibile di ogni
persona.
16. Liberare gli oppressi e gli oppressori. Situati in un mondo in cui delle strutture economiche,
sociali e politiche influiscono sull'uomo e, attraverso forme sottili di manipolazione, gli
impediscono di essere veramente libero, noi non possiamo rimanere indifferenti di fronte a tale
stato di cose, né accettare situazioni in cui l'uomo non può vivere da uomo, a causa del
sottosviluppo o dello sfruttamento. Per questo, in nome della carità e della giustizia, e proprio per
essere fedeli alla nostra vocazione di "araldi della pace", noi siamo chiamati a combattere questi
mali e a lavorare per la liberazione degli oppressi e degli oppressori, annunciando loro la fede e la
conversione al Vangelo (cfr. Mc 1,15).
18. Rifiutare il desiderio di potere. Il nome che portiamo, "Frati Minori", esprime sia l'esigenza di
fraternità sia quella di umile servizio ("minorità"). Già all'interno del nostro gruppo siamo invitati
ad obbedirci vicendevolmente (cfr. Rnb 5,14) e, quando una posizione ci dà una certa autorità, ad
escludere ogni dominio e desiderio di potere e a prestare i più umili servizi.
19. Ordine di piccoli fratelli. Di fronte a tutti, poi, sottomessi ad ogni creatura per amore di Dio,
dobbiamo presentarci, sia in quanto comunità sia in quanto individui, come piccoli, come servi, che
nessuno teme, perché essi cercano di servire e non di dominare, né di imporsi sia pure per fini
spirituali. Un tale atteggiamento richiede "lo spirito di infanzia", la piccolezza, la semplicità e un
ottimismo risoluto di fronte agli uomini e agli avvenimenti. Dobbiamo accettare l'insicurezza al
livello delle istituzioni e delle idee, l'incertezza di fronte all'avvenire; dobbiamo riconoscere di
essere deboli e vulnerabili, "servi senza valore", e che solo Dio è forte. Contribuiremo così, da parte
nostra, a ridare alla comunità cristiana il volto del suo Signore, che è "venuto per servire e non per
essere servito" (cfr. Mt 20,28).
20. La nostra sfida permanente. La nostra regola e la nostra vita consistono nel seguire in tutto le
orme di Gesù Cristo. Poiché egli si fece povero per noi, siamo chiamati a servire il Signore in
povertà ed umiltà, vivendo nel mondo come pellegrini e forestieri. Vivere la povertà nella sua
duplice dimensione sociale e spirituale è la nostra sfida particolare e continua.
22. Vivere come gli umili. In una situazione socio-economica ben diversa, noi siamo sollecitati a
vedere come possiamo mantenere l'essenziale della nostra scelta di povertà e come possiamo, oggi,
esprimere la stessa esigenza di radicalità. Durante la sua storia l'Ordine, attratto dalla scelta di
povertà di Francesco, ha sempre reagito, con più o meno vigore, contro la naturale tendenza ai
falsi accomodamenti. La maggior parte degli uomini del nostro tempo vive una condizione di vita
caratterizzata dalla non proprietà fondiaria, dal lavoro come fonte di sussistenza, dalla precarietà
dell'occupazione e dalla modestia della abitazione. Accanto a coloro che vivono così, vi sono, però,
ancora molti che vivono in una condizione disumana. È in questa direzione, tenendo conto delle
situazioni locali, che bisogna portare avanti la nostra ricerca per vivere come la gente più umile di
oggi. Condividendo questa situazione, ma senza accettare le strutture che mantengono tanti dei
nostri fratelli nella miseria, noi cercheremo di essere, insieme con loro, il lievito di una società
nuova chiamata a partecipare in modo pieno alla salvezza operata da Cristo (cfr. Rm 11,12).
23. Liberi e alleggeriti. Se impariamo a vivere in questo modo, potremo avere un ruolo di sfida in
una società largamente impostata sulla produzione e sul consumo. Non avendo proprietà, vivendo
del nostro lavoro, in modo semplice, modesto, ma dignitoso, rifiutando di sottometterci alla
pubblicità, che tiene presente solo il mondo dei consumi, noi daremo il vero significato ai beni
materiali, avvicinandoci maggiormente ai poveri, agli emarginati e anche a tutte quelle persone
che non hanno trovato un senso in una società di abbondanza e cercano una vita che sia più libera
e essenziale.
24. Liberi dalla paura. La nostra povertà implica anche la condivisione. Ciò che abbiamo, non lo
condividiamo solo tra noi, ma cerchiamo anche di donarlo per aiutare altri che sono nel bisogno, sia
materiale sia spirituale. Liberati da tutte le paure dalla povertà che abbiamo scelto, vivendo
gioiosamente la speranza che è basata sulla Promessa, possiamo testimoniare agli uomini del nostro
tempo che il mondo ha un significato che lo sorpassa e lo attira verso un futuro che noi chiamiamo
Gesù Cristo.
25. Ecologia e umanità fraterna. Ponendoci nella linea del "Cantico di frate sole", noi estendiamo
la nostra simpatia e attenzione fraterna alla natura, che oggi è minacciata dalla condotta
irresponsabile e avida della società industriale e di consumo. La terra che noi abbiamo ricevuto
gratuitamente dall'amore di Dio, vogliamo umanizzarla attraverso un dominio che la renda
totalmente fraterna e al servizio di tutti. Così noi daremo soddisfazione all'inquietudine del nostro
tempo e insieme mostreremo quale è la ragione del nostro atteggiamento: questa creazione ha
un'origine di Amore, che le dà un senso; e questo consiste nel progressivo farsi di una umanità
fraterna, radunata nel Cristo, attraverso il quale e per il quale il mondo è stato creato.
31. La nuova umanità. La missione essenziale della nostra fraternità, la sua vocazione nella Chiesa
e nel mondo, consiste nella realizzazione vissuta del nostro progetto di vita. Noi crediamo che,
sforzandoci di vivere l'esperienza della fede nella comunità cristiana, creando una fraternità di
amore e di servizio aperta a tutti, vivendo nella povertà, partecipando alle speranze dei poveri,
possiamo essere un "segno" della nuova umanità riunita intorno a Gesù Risorto per la potenza del
suo Spirito. Il nostro contributo alla costruzione della Chiesa e dell'umanità è principalmente di
questo genere: noi vogliamo dare testimonianza soprattutto con la nostra vita.
33. Nel cuore della città. La nostra volontà di creare nel cuore stesso di un quartiere di città una
fraternità, in cui gli uomini più diversi condividono la vita, i beni, il lavoro: una fraternità che rifiuta
il potere, e che sceglie uno stile di vita che la riavvicina ai poveri e la rende sensibile alla sorte di
tutti gli oppressi, comporta senza dubbio, lo si voglia o no, delle ripercussioni sociali e politiche. Ci
si guarderà bene dall'identificare questa nostra volontà con qualche corrente politica, qualunque
essa sia, o dal lasciarla strumentalizzare dall'una o dall'altra tendenza. Piuttosto essa esige da noi
un impegno a vivere e a ricordare le esigenze radicali delle Beatitudini. Così noi potremo
dimostrare la possibilità, sempre relativa, però, poiché nessun successo può essere identificato con
il Regno di Dio, di una comunità in cui l'uomo è libero, è accettato come un fratello e rispettato
nella sua dignità.
34. Lotte sociali e politiche. A partire da qui e tenendo presente la nostra vocazione di araldi della
pace, ci sarà possibile partecipare davvero ai problemi dell'uomo del nostro tempo. Ma ciò esige
una informazione molto seria, che ci faccia evitare infatuazioni sentimentali, giudizi sommari
ingiusti, dichiarazioni irresponsabili e che ci permetta un'analisi obiettiva delle situazioni. Se,
d'altra parte, ci sforzeremo di vivere tra noi la giustizia e la condivisione dei beni, se prenderemo
parte, secondo le nostre possibilità e i nostri carismi, alla sorte e al lavoro dei poveri, degli
emarginati del nostro tempo, allora noi avremo il diritto e il dovere di unire la nostra voce a quella
degli oppressi. Ma questo non lo faremo in nome di una classificazione ideologica, ma per amore
della persona che riconosceremo in ogni uomo, qualunque sia il gruppo sociale al quale appartiene.
Così, lavorando per la pace, noi faremo progredire la realizzazione del Regno di Dio, nel quale non
devono più esistere degli steccati fra gli uomini, ma tutti saremo liberi e figli di Dio (cfr. Gal 3,26-
28).
2. I frati minori, in mezzo a un mondo sempre più secolarizzato, devono contribuire alla sua
edificazione cristiana attraverso il loro coinvolgimento fraterno nei suoi problemi, attraverso la loro
numerosa e profonda presenza e attraverso la predicazione evangelica.
6. Cooperiamo con le "comunità ecclesiali di base" perché lo spirito del Vangelo possa essere
manifestato più chiaramente. Allo stesso modo, consci della nostra missione di promotori di pace e
di giustizia, mettiamoci accanto a coloro che soffrono persecuzione e sfruttamento. Viviamo in
modo tale che le nostre vite promuovano la pace e la giustizia, memori delle parole del Signore
riportate nella nostra Regola: "Beati quelli che sopportano persecuzione a causa della giustizia,
poiché di essi è il regno dei cieli" (Rb 10,11).
Il Vangelo ci sfida
13. Nel nostro mondo, pieno di speranze ed aspirazioni, troviamo un desiderio diffuso di vita
comunitaria, di pace, di giustizia e di promozione della dignità umana insieme con il desiderio di
soddisfare le necessità umane essenziali. Allo stesso tempo la società, ci accorgiamo, è malata di
ateismo e di indifferenza religiosa, è lacerata da conflitti ideologici, da guerre, dal razzismo,
dall'oppressione e da un divario sempre più ampio tra ricchi e poveri. Di fronte ad una tale
situazione del mondo che cosa possiamo fare noi frati minori?
14. Gesù ci dice: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e
mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la
liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del
Signore" (Lc 4,18-19). Egli vuole liberare tutti gli uomini dal peccato e da tutto ciò che li opprime
così che possano godere della pienezza della sua vita: una vita di giustizia, di pace, di speranza, di
gioia e di amore. La missione della Chiesa è questa: rivelare Gesù e il regno da Lui proclamato.
15. Da parte nostra l'accettazione della strada indicata da Gesù esige "metanoia", una conversione
personale e comunitaria, se vogliamo lievitare le culture con i valori del Vangelo. Dobbiamo
sempre più essere evangelizzati noi stessi, liberandoci dal peccato e da qualsiasi nostra
responsabilità nei confronti della ingiustizia e della oppressione e da tutto ciò che in qualche modo
ci ostacoli dal ricevere e proclamare l'amore di Dio che lavora nel mondo.
16. Con l'intenzione di diventare migliori evangelizzatori, noi guardiamo a Francesco che ha portato
nuove intuizioni e idee vive per il suo tempo:
Fratellanza. Quando qualcuno nella chiesa si preoccupava di condannare come eretici quelli che
non le appartenevano, inviando persino eserciti contro di loro, Francesco proclamò la Buona
Novella che essi erano nostri fratelli e sorelle.
Pace. Quando una città era in guerra contro l'altra e la società era divisa dal sistema feudale, egli
proclamò la Buona Novella della pace.
Povertà. Quando le ricchezze erano agognate come il più grande bene, egli proclamò la Buona
Novella della beatitudine dei poveri.
Minorità. Quando tanti avevano solo sete di potere e di forza, egli proclamò la Buona Novella di
essere i più piccoli.
Ecologia. Quando alcuni avevano paura della natura ed altri si sforzavano di assoggettarla ai propri
interessi, egli proclamò la Buona Novella che la terra è nostra sorella madre, e tutta la creazione una
famiglia da trattare con rispetto.
Presenza. Quando alcuni Ordini religiosi si tenevano separati dalla gente, Francesco volle che i suoi
frati stessero vicino alla gente di vile condizione, presenti ai "minores".
Spirito Santo. Quando la chiesa era fortemente istituzionale, Francesco ebbe coscienza del ruolo
dello Spirito e non cessò mai di ricordare ai suoi fratelli di essere uomini dello Spirito e disse loro
che lo Spirito Santo era il vero ministro generale del nostro Ordine.
17. Come frati minori, dunque, noi siamo chiamati ad essere una "avanguardia evangelizzante" in
una Chiesa che deve essere continuamente reincarnata e rinnovata. Conseguentemente, dobbiamo
essere soprattutto attenti e disponibili allo Spirito Santo sia all'interno che all'esterno della Chiesa.
Oltre al ministero a favore dei fedeli, noi siamo chiamati a portare il Vangelo a quanti nella società
contemporanea non sono stati evangelizzati nel senso tradizionale del termine ed a quelli che se ne
sono allontanati. Con la nostra presenza tenteremo di aiutarli ad interpretare la loro esperienza nel
mondo ed incoraggeremo il bene che troviamo dentro di loro. Qualora poi ci sembri che sia volontà
di Dio, noi proclameremo esplicitamente il Signore (Rnb 16,7). Più ancora noi domandiamo ai
nostri frati di rispondere generosamente soprattutto agli appelli delle chiese locali dell'Asia,
dell'Africa e dell'America Latina che si trovano in grave bisogno di evangelizzazione. Tre miliardi
di persone non hanno ancora ricevuto l'annuncio del Vangelo! A noi frati minori si presenta oggi
una grande occasione ed un'autentica sfida: portare la visione di Francesco alle culture del nostro
mondo, lasciandoci allo stesso tempo arricchire dalle medesime.
19. Oggi l'egoismo, il razzismo, l'oppressione, la guerra dividono i popoli. Ma i semi della speranza
di una nuova vita si possono vedere in quei gruppi che favoriscono la solidarietà specialmente a
livello internazionale, e nei movimenti che promuovono i diritti umani, l'ecumenismo, i sindacati,
l'unione tra i giovani e la condivisione pratica dei beni con le popolazioni dei paesi in via di
sviluppo.
20. Tale solidarietà nella condivisione della vita e del lavoro costituisce la caratteristica della
famiglia, e gli uomini, essendo figli dello stesso Dio nei cieli, costituiscono una sola famiglia e sono
tutti fratelli e sorelle. Gesù divenne nostro fratello al fine di unire tutte le cose in cielo e sulla terra.
Egli invita tutti a fare parte della famiglia di Dio. E punto focale dei nostri sforzi è proprio quello di
costituire una tale famiglia.
24. Molta gente soprattutto nel terzo mondo vive in baracche e soffre di una povertà disumana:
fame, malattie, analfabetismo, disoccupazione. Gli immigrati e i profughi vengono lasciati ai
margini della società. Milioni sono politicamente oppressi, molti torturati e persino uccisi. La
Chiesa ha una lista sempre più ampia di nuovi martiri. Ogni anno trenta milioni di uomini muoiono
di fame. Le donne sono trattate come oggetti e umiliate. La maggioranza del popolo viene esclusa
dal progresso sociale, economico e politico; non fruisce di alcuna, o quasi, giustizia e non avendo
né casa, né terra, né lavoro, né denaro, né libertà è tentata di disperarsi.
25. Anche i paesi più ricchi dell'Oriente e dell'Occidente hanno i loro poveri "emarginati":
immigrati, gruppi di minoranza, disoccupati, handicappati e perseguitati politici e religiosi. Persino
tra i ceti "abbienti", c'è un numero crescente che soffre di isolamento o che sono mentalmente
ammalati e vittime dell'alcool e di altre droghe.
26. È triste vedere come il mondo sviluppato sia colpito dal consumismo che valuta le persone solo
per quello che producono e posseggono. Attraverso i "mass-media" il consumismo si espande
altresì nei paesi in via di sviluppo e crea bisogni fittizi, mentre distrugge i valori autentici.
27. Già nell'Antico Testamento, e specialmente nel Nuovo, la compassione di Dio per i poveri è
esplicita. Gesù diede alla povertà il suo più profondo significato nella sua stessa persona: nella sua
nascita, nella sua vita e nella sua morte sulla croce. Egli si identificò con i poveri (cfr. Mt 25,40).
Con la parola e l'azione proclamò la forza di quanti sono senza potere. Anziché emarginare i poveri,
Gesù li mise al centro della sua vita e del suo ministero e, inviando i suoi apostoli, volle che essi
andassero in povertà (cfr. Lc 10). Anche Maria sua Madre visse come una di loro (cfr. Lc 1,46ss.; 2
Lf 5; Uv 1; Rnb 9,5).
28. Francesco trovò Cristo attraverso il più povero dei poveri, il lebbroso. L'amore del Padre
divenne reale per lui attraverso il Bimbo povero di Betlemme e il Servo Sofferente del Calvario.
Egli visse e lavorò con i lebbrosi e con i poveri al fine di condividere la loro "beatitudine". Godette
della loro piccolezza e del loro disinteresse al potere, della loro illimitata confidenza nella
Provvidenza e della loro libertà. Anche noi francescani troveremo Gesù sostenendo i poveri,
vivendo con i poveri e come i poveri. Così, attraverso la nostra povertà e minorità, noi siamo
evangelizzati ed evangelizziamo.
29. La nostra sequela di Cristo povero (cfr. Rnb 9,1) ci porterà a vivere con i poveri come minores,
vivendo cioè la loro stessa vita, in solidarietà con loro e, come loro, piccoli ed umili ed impotenti.
In questo modo mentre noi li evangelizziamo siamo altresì evangelizzati da loro.
30. Dobbiamo francamente riconoscere, purtroppo, che al presente noi viviamo spesso molto
lontani dai poveri. Dobbiamo specialmente a questo riguardo evangelizzarci sempre più, noi
diventeremo veramente poveri quando condivideremo le loro ansietà, le loro insicurezze e i loro
bisogni essenziali. Come fratelli poveri fra i poveri, privi di potere, potremo confidare nella
Provvidenza di Dio e, spogliati di molte cose, saremo aperti al dialogo di vita con la gente che ci
circonda.
31. Questa visione del bisogno cambia la nostra posizione francescana nel mondo contemporaneo,
nel quale molte Chiese locali dell'America Latina hanno fatto un'opzione preferenziale per i poveri.
1) Di vivere con i poveri, così che possiamo vedere la storia e la realtà dal loro punto di vista.
3) Di imparare dai poveri lo spirito di solidarietà e di fraternità autentica per noi così
frequentemente difficili nelle nostre case, spesso più grandi di quanto occorra e troppo comode.
4) Di sensibilizzare noi stessi e il popolo intorno al sistema che impone una dominazione
socio-economica, politica e culturale da parte delle super potenze e dei paesi più ricchi dell'est e
dell'ovest, delle multinazionali e delle trans-nazionali su milioni di persone del terzo mondo; e di
promuovere un nuovo ordine economico e politico che porti una maggiore giustizia nel nostro
mondo.
32. Il Capitolo precedente si riferiva all'ingiustizia che i poveri soffrono quando sono privati dei
loro diritti essenziali. Insieme con gli altri esseri umani, i poveri soffrono altresì l'ingiustizia causata
dalla guerra. I contrasti tra i ricchi e i poveri esistono in tutte le nazioni del mondo.
33. "La corsa alle armi, il grande crimine della nostra era, è da una parte il risultato e dall'altra la
causa di tensioni tra le nostre nazioni amiche", così hanno dichiarato i Vescovi dell'America Latina
a Puebla. "A causa di ciò, enormi risorse sono stornate per l'acquisto di armi invece di essere usate
per risolvere problemi vitali" (n. 67). Il Papa Giovanni Paolo II a Hiroshima ha proclamato con
forza che nel nostro mondo la pace è un aspetto vitale della evangelizzazione. "È soltanto attraverso
una scelta cosciente... che l'umanità può sopravvivere!".
34. Noi siamo consapevoli della violenza della guerra, ma non siamo altrettanto coscienti della
violenza causata dall'ingiustizia. Quando un bambino muore di fame, è violenza; lasciare che i
nostri bambini crescano senza futuro, è violenza. In Brasile, la Chiesa ed altri aiutano la crescita di
una coscienza circa questo genere di violenza: la violenza della fame, di chi è scacciato dalla
propria terra, l'imprigionamento, la tortura e la disoccupazione. Il soffrire la violenza, diretta o
indiretta, costituisce una maniera di vivere per molta gente.
36. Dio non ha destinato il genere umano a distruggere se stesso assieme al pianeta in cui vive.
Ascoltiamo Isaia: "Io manterrò la mia promessa di pace per sempre!" (Is 54,10). Gesù stesso ha
promesso: "Io vi lascio la pace, io vi do la mia pace" (Gv 14,27). Di fronte al fatto che ogni giorno
si spendono in armamenti un miliardo e quattrocentoquaranta milioni di dollari, mentre
quarantamila bambini quotidianamente muoiono di fame, occorre che il nostro mondo trovi il modo
di realizzare l'ammonizione di Isaia, cioè di cambiare le spade in vomeri (Is 2,4), e di usare questo
immenso ammontare di denaro (500 miliardi di dollari all'anno) per i bisogni della nostra famiglia
umana.
38. Essere dei pacificatori è un elemento vitale della nostra vita francescana e della nostra
evangelizzazione del mondo. Il Consiglio Plenario chiama i frati:
1) A pregare per essere uomini in pace con Dio e con tutti i popoli; a fare della preghiera e del
digiuno una parte dei propri sforzi per la pace; a sostenere i movimenti che cercano la pace nella
nostra società e a lasciarsi personalmente coinvolgere in tali movimenti.
2) A sostenere gli sforzi non violenti per la pace; a sostenere gli obiettori di coscienza contro la
guerra, specialmente contro la guerra nucleare; a mettersi dalla parte di quelli che sono imprigionati
per le loro convinzioni e i loro sforzi a favore della giustizia e della pace.
3) A sviluppare una pedagogia della pace, soprattutto per i giovani delle nostre scuole e dei
nostri seminari.
4) A trovare modi per eliminare le ingiustizie tra di noi e a vivere in pace insieme nelle nostre
fraternità, nonostante le nostre differenze, come testimoni della pace di Cristo.
5) A coinvolgere dei frati a tempo pieno per la giustizia e la pace là dove è possibile e a
sostenere quei frati che già sono impegnati in questo lavoro negli uffici di giustizia e pace
dell'Ordine e delle Province.
6) Ad essere una voce per i diritti di quelli che non sono nati e per quelli che sono nati, ma che
sono privi di speranza per il futuro.
7) A condannare altamente e chiaramente la corsa agli armamenti e tutti gli ordigni nucleari
che sono già stati prodotti.
5. Le Costituzioni e gli Statuti, votati in questo Capitolo, permettono di formulare in modo attuale
la nostra comune risposta alla chiamata del Vangelo. Esaminandoli attentamente, come pure
esaminando gli altri documenti recenti, scopriamo che i punti d'interesse dei frati si concentrano
attorno a tre temi fondamentali, continuamente ricorrenti:
1. la dimensione contemplativa della nostra vita;
2. l'opzione per i poveri: giustizia e pace;
3. la formazione allo spirito missionario: l'evangelizzazione.
"E devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra i poveri e deboli,
tra infermi e lebbrosi e tra mendicanti lungo la strada" (Rnb 9,3).
23. Parlando dell'opzione per i poveri, teniamo in conto che le forme e le cause della povertà sono
diverse da paese a paese. In quanto "frati minori", vogliamo essere con i poveri e aiutarli a ottenere
giustizia.
1. Ogni Provincia è incoraggiata ad avere almeno una fraternità inserita in aree di povertà,
dove i frati possanno identificarsi con i poveri, riflettere con loro nella preghiera e unirsi a
loro nell'impegno per un mondo migliore. Siamo persuasi che i poveri possono aiutarci a
meglio ascoltare la Parola di Dio.
2. Incoraggiamo l'Ordine, particolarmente le Province, a trovare modi concreti per una
effettiva espropriazione dei beni, così da vivere veramente come minori.
3. Ogni fraternità e ogni frate nell'uso delle cose scelga ciò che è più povero e rifiuti di avere o
di acquistare ciò che è superfluo, per dare una testimonianza profetica contro lo spirito del
crescente consumismo.
4. Ogni Provincia trovi modi concreti di condivisione dei propri beni con i poveri. Si presti
particolare attenzione: alle fraternità francescane che non hanno mezzi sufficienti per la
formazione e i bisogni della missione; alle famiglie dei frati in condizioni di necessità; ai
frati che hanno lasciato l'Ordine.
5. Coscienti dell'impegno di Francesco per la pace, noi, frati minori d'oggi, dobbiamo sforzarci
di mettere in atto un programma positivo per la pace, per la riconciliazione, per il rifiuto
della violenza in ogni sua forma. Dobbiamo unirci a quanti s'oppongono alla corsa agli
armamenti, alla vendita di armi, e dare il nostro appoggio al disarmo nucleare e alla difesa
dell'umanità. Ogni Provincia, ogni fraternità e ogni frate, nel modo più efficace, assuma le
iniziative concrete suggerite dal documento di Bahia al n. 38. Poiché non tutti i frati sono
portati a fare questo tipo di esperienza, si incoraggino alcuni a viverla e altri a sostenerla.
6. Ogni Provincia abbia la commissione "Giustizia e Pace". I rappresentanti delle Province
formano l'assemblea della Conferenza. Con la collaborazione di tutte le Conferenze,
l'Ordine istituisca strutture adeguate per sviluppare un programma valido e concreto per la
Pace e la Giustizia.
7. I singoli frati e l'insieme dell'Ordine abbiano a cuore il dialogo con i popoli dei paesi in via
di sviluppo, inclusi quelli che si ispirano ad altre fedi e ideologie, per promuovere la pace e
la giustizia nel mondo.
8. La pace e la giustizia, che si applicano in primo luogo e anzitutto alla vita interna della
fraternità, siano argomento annuale di attenta discussione al capitolo conventuale. Si ponga
particolare attenzione a situazioni di ingiustizia fra i frati, per essere testimoni credibili della
pace pasquale.
9. La nostra vita di contemplazione, l'attenzione ad ascoltare la Parola di Dio, l'esempio di S.
Francesco, il contatto con un mondo sempre più in balìa della violenza e delle guerre tra le
nazioni, ed ora la minaccia di un olocausto nucleare, esigono che ciascuno di noi sia "un
operatore di pace".
"Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato
per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi
la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore" (Lc 4,18-19).
34. Sembra che la sensibilità dei Frati riguardo a questa priorità vada sempre più concretizzandosi; i
risultati sono ancora modesti, ma promettenti. A seconda delle condizioni locali, le stesse
espressioni acquistano significati molto differenti.
35. I Frati sanno che la questione dell'effettiva parità di diritti e doveri fra gli stessi Frati non è stata
ancora risolta. Il Consiglio Plenario ha discusso il modo di presentare alla Chiesa la nostra
concezione di uguaglianza di tutti i Frati, chierici o laici che siano. Nelle comunità locali ci
dovrebbe essere veramente una giusta ripartizione nell'espletare le faccende domestiche, nel
consegnare tutto il proprio introito per il fondo comune del convento o della provincia, nella giusta
ripartizione tra i Frati dell'uso dei beni comuni, nelle vacanze, nel portare insieme le responsabilità
della comunità, ecc... Nel discorso di apertura il Ministro Generale si è domandato se sia tenuto nel
debito conto il carattere laico dei nostri Fratelli laici e che cosa si stia facendo per incoraggiare le
vocazioni di coloro che non desiderano intraprendere una carriera intellettuale o professionale.
36. Nel loro atteggiamento verso gli altri, per un numero sempre maggiore di Frati il povero non è
semplicemente un fratello, ma un fratello da preferirsi. L'unirsi in matrimonio con Madonna
Povertà, come per Francesco e i suoi primi compagni, non significa soltanto praticare la povertà
personalmente o in comunità, ma anche vivere coi poveri, condividerne l'incerto domani e
affrontare insieme il lento e penoso processo della loro liberazione. In alcune Province di recente
erezione, quasi tutti i Frati conducono questo genere di vita. Sono sempre più numerosi i Frati che
solidarizzano con i poveri per la realizzazione della loro libertà e promozione umana.
37. Un numero non piccolo di Entità nell'Ordine hanno almeno una fraternità inserita in ambienti
poveri (tra i lavoratori, i nomadi, la gente rurale) o tra la gente emarginata (disoccupati, i senza
casa, i drogati). Alcune comunità sono impegnate in centri per alcoolizzati e drogati, centri di
accoglienza per handicappati, anziani, profughi, senza casa, lebbrosi, e anche nel servizio ai
carcerati. Diverse fraternità hanno riconsiderato il loro modo di vivere cercando di semplificarlo.
38. Proprio qui durante il Consiglio Plenario siamo stati commossi dalla testimonianza di P. Guy-
Marie Nguyen, Ministro provinciale del Vietnam. Di fronte alla nuova situazione politica e dopo
aver perso tutte le loro strutture educative e sociali, i Frati hanno deciso di condividere, nella nuova
società, le condizioni di vita e di lavoro della gente. In uno spirito di distacco e di servizio, i Frati
lavorano alcuni nelle parrocchie, altri nei campi o nelle cooperative di produzione, altri ancora in
servizi sociali ed educativi. Essi credono fermamente che il Signore è presente nella evoluzione
storica del loro popolo e che anch'essi sono chiamati a condividere le traversie della Chiesa del
Vietnam, rendendo testimonianza a Gesù Cristo. Ciò che essi sono stati obbligati ad accettare, ora
sembra loro un vero dono di Dio.
39. La Commissione Internazionale OFM per la Giustizia e la Pace sta cercando di formulare una
Dichiarazione di non-violenza, tenendo nel dovuto conto la lotta che in molte parti del mondo si sta
facendo per superare l'oppressione di governi tirannici. Si sta lavorando con un progetto inter-
francescano per ottenere dall'O.N.U. un riconoscimento giuridico non-governativo. Qui in India
abbiamo incontrato lo spirito religioso della non violenza: âhimsa, che ci fa ricordare la grande
eredità morale lasciata da Mahatma Ghandhi1. II problema ecologico diventa sempre più una
preoccupazione anche per i Frati2.
1
Il Centro per la Pace in Assisi è promotore di pace con i Leaders di Governi nel mondo. I frati hanno digiunato per la
pace e si sono uniti per lo stesso motivo anche prima dell’Incontro per la Pace in Assisi nel 1987.
2
In seguito ad un pellegrinaggio nella terra di S. Francesco, i Frati polacchi, insieme ad alcuni scienziati Francescani
dell’Ordine Secolare, hanno fondato in Polonia un Centro Ecologia. Fr. Scaria Varanath, della Provincia Indiana, ha
suggerito al Consiglio Plenario dell’Ordine “una spiritualità cosmica” derivante da fonti Hindu e Francescane, quale
rimedio contro l’avvelenamento generale della terra, dell’aria e dell’acqua. Egli dice che la spiritualità Hindu è molto
vicina al profondo rispetto che Francesco aveva per tutte le creature.
40. Molte Province e Conferenze, in linea con i suggerimenti del messaggio "La nostra Chiamata
alla Evangelizzazione", hanno istituito la commissione di Giustizia e Pace. L'ufficio di Giustizia e
Pace che si trova nella Curia Generale assolve una continua attività di animazione e coordinazione
tra le Province, le Conferenze ed a livello generale dell'Ordine, dando informazioni e proponendo
modelli e progetti; cura anche i problemi riguardanti la giustizia e la pace in relazione con le altre
Famiglie francescane e anche con altri settori della Chiesa.
41. Inoltre, sono stati preparati speciali programmi che trattano dei problemi sociali per la
Formazione iniziale o permanente dei Frati. In qualche Provincia è stato fatto uno studio ampio ed
approfondito sulle cause della povertà e delle ingiustizie. Ci sono anche delle pubblicazioni che
incoraggiano la ricerca di nuovi metodi per eliminare i sistemi che causano la povertà e la violenza.
42. Le Costituzioni Generali ci guidano in questa scelta per i poveri. "Ricordino i Frati che
l'altissima povertà deriva da Cristo e dalla sua Madre poverella e, tenendo presenti le parole del
Vangelo: Va', vendi quello che hai e distribuiscilo ai poveri, si studino di condividere la condizione
dei poveri" (8,2). "In conformità a Cristo, siano lieti quando vivono tra persone di poco conto e
disprezzate" (8,3) e "di tutte queste cose i Frati devono dare una chiara testimonianza" (8,3).
Dobbiamo condividere quello che abbiamo con i bisognosi, specialmente i poveri (53). Dobbiamo
dare ascolto al povero (93,1) e farci solidali con lui nel digiuno (34,2), nel nostro servizio e
ministero (78,1) e nella nostra opera di evangelizzazione (97).
44. Possiamo porci un certo numero di interrogativi in relazione alla Chiesa e alla nostra tradizione
francescana:
a) Nella Sollicitudo Rei Socialis il Papa Giovanni Paolo II ribadisce che anche la Chiesa deve
elargire non solo dal superfluo, ma anche dal necessario, perfino se fosse necessario vendere oggetti
preziosi o costose suppellettili del culto (31). Diamo noi l'esempio nel condividere le nostre risorse
con i poveri?
b) Nella stessa enciclica il Papa Giovanni Paolo II fa notare "il crescente impegno di
solidarietà tra gli stessi poveri, il loro sforzo di aiutarsi vicendevolmente, e le loro proteste sulla
scena sociale, dove, senza far ricorso alla violenza, mettono in risalto i propri bisogni e diritti contro
la inefficienza o la corruzione delle autorità pubbliche" (39). Come persone povere, siamo anche
noi al loro fianco?
c) Condividiamo il sentimento di Francesco: "Vorrei riverire tutti come miei fratelli e miei
padroni" (cfr. Anper 38)? Fino a che punto siamo noi disposti a diventare "servi e soggetti a tutti gli
uomini per amore di Dio" (2 Lf 9,47)?
d) Ci consideriamo noi così legati ai poveri come Francesco, il quale nel povero "rimirava la
faccia di Cristo e, perciò, se aveva ricevuto qualcosa di necessario per sostentarsi, incontrandosi con
qualcuno di essi, non solo glielo offriva generosamente, ma lo faceva come se in effetti la cosa
fosse appartenuta al povero" (LegM 3,7)?
e) Quali operatori di pace, facciamo nostra l'ammonizione di Francesco: "La pace che tu
annunci con le labbra, devi averla abbondantemente nel cuore. Non provocare nessuno all'ira o allo
scandalo, ma fa' che tutti siano attirati alla pace, alla bontà e alla concordia della tua mitezza" (cfr. 1
Cel 29)?
Consapevoli delle domande che ci sono poste dal discernimento dei segni dei tempi, suggeriamo:
32. I Ministri provinciali con i loro Definitori diano un giudizio delle attività tradizionali di
evangelizzazione delle loro Province, alla luce delle nuove sfide, cercando nuovi campi di
evangelizzazione e nuove forme di servizio, e preoccupandosi di preparare per questo i frati.
33. Nelle Entità in cui ci sono culture locali ben definite, i Ministri provinciali e i loro Definitori
siano attenti a favorire il discernimento del loro servizio di evangelizzazione di queste culture,
sviluppando un progetto di evangelizzazione alla luce di esse.
34. Nei paesi in cui si avverte una particolare presenza di altre religioni, le Province si impegnino a
rivedere le forme del loro dialogo interreligioso, cercando nuovi approcci nello spirito del capitolo
16 della Regola non bollata e della Giornata per la Pace di Assisi.
35. Il Definitorio Generale dell'Ordine incoraggi e sostenga il servizio dei frati e delle Entità nei
territori con popolazione prevalentemente musulmana e in altri paesi in cui i musulmani hanno una
presenza significativa, aiutandoli a portare avanti la loro testimonianza evangelica in quei posti,
seguendo l'esempio di San Francesco; e sia dato sostegno alla Commissione per l'Islam.
36. Le Entità dell'Ordine esaminino particolari passi fatti e ancora da fare nella loro opzione per i
poveri, nel loro impegno per una società basata sulla giustizia e sulla pace, e nel loro rispetto per il
creato. Questo esame è valido soprattutto nella nostra ricerca di soluzioni per problemi quali il
debito estero dei paesi più poveri, l'oppressione dei più deboli tra noi, la violenza, il disprezzo della
vita umana e lo spreco dei beni del creato.
37. Le Entità dell'Ordine esaminino il loro servizio di evangelizzazione dal punto di vista della loro
collaborazione con organizzazioni di uomini e di donne, particolarmente quando esso si realizza tra
minoranze etniche e maggioranze oppresse. Procurino inoltre di rafforzare sempre più il loro
impegno in questi settori.
Capitolo Generale di Assisi (1997)
Dialogo
7. Avvertendo che il "dialogo è il nuovo nome della carità" e che il pluralismo religioso, le
esigenze della pace, l'interdipendenza in tutti i settori della convivenza e della promozione umana
esigono uno stile dialogico dei rapporti, il Capitolo generale:
7.1. approva il Servizio per il Dialogo, istituito dal Definitorio generale ed articolato in tre
Commissioni: dialogo ecumenico, dialogo interreligioso e dialogo con le culture;
7.2. invita ogni Conferenza a studiare la convenienza di istituire nel proprio territorio il Servizio
per il Dialogo;
7.3. esorta le Conferenze, nei cui territori esiste una forte presenza musulmana, ad istituire una
sottocommissione per il dialogo con l'Islam;
8. Per essere promotori di una nuova "cultura di speranza e di solidarietà", in questo mondo
che soffre e che, nello stesso tempo, lascia trasparire segni di speranza, il Capitolo generale:
8.2. ratificando l'opzione preferenziale per i poveri e gli esclusi della società di oggi, chiede ai
Frati di condividere la loro vita, la loro storia e la loro speranza, per essere anche da loro
evangelizzati;
8.3. fedeli alla nostra identità di Frati Minori ed interpellati dalle disuguaglianze, che creano un
fossato sempre più profondo tra ricchi e poveri e producono esclusione ed emarginazione, stimola
ad attuare, a livello di Conferenze e in unione con la Famiglia francescana, un impegno concreto a
favore della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato, impegno che nasca dalla nostra
spiritualità e costituisca il contributo francescano alla celebrazione del nuovo millennio;
8.4. preoccupati della situazione di tanta gente costretta ad abbandonare i propri territori,
specialmente i lavoratori emigrati, i profughi, le minoranze etniche, sollecita il Definitorio generale,
attraverso l'Ufficio di Giustizia, Pace e Salvaguardia del creato in collaborazione con tutte le
Conferenze e Province, a creare una rete di personale e di risorse per intervenire nelle necessità dei
profughi;
8.5. in vista del Giubileo del 2000, esorta il Definitorio generale e i Ministri provinciali ad
iniziare a provvedere Frati che prendano parte al programma preparato dalla Custodia di Terra
Santa.
2. testi biblici
Indichiamo alcuni testi biblici su
Giustizia
Donne
Liberazione
Oppressione
Pace
Perdono _ riconciliazione _ misericordia
Poveri
Condivisione _ solidarietà
Fraternità
Dialogo _ ecumenismo
Servizio _ carità
Natura _ creazione
1. Giustizia
Esodo 23,6
Deuteronomio 15,7-11; 16,20; 27,19
Levitico 19,12-18
Giobbe 29,14
Salmi 9,8.16; 11,7; 33,5; 72; 89,14; 103,6; 140,12
Proverbi 21,15; 29,4.7
Geremia 9,23-24; 22,15-16; 23,5
Isaia 1,10-20; 5,23; 10,2; 29,21; 30,18; 32,15-20; 42,4; 61,8
Osea 12,6
Amos 2,7; 5,12
Malachia 2,17
Matteo 5,20; 23,23; 25,31-46
Luca 3,10-14; 11,42; 18,8
Atti 4,32-37
Romani 3,25-26
2. Donne
Giudici 4,5
Giuditta 8,4-8; 9,8-10
Ester 4,12-14; 5,1-3.7-8
Rut 1,16-18; 2,8-13; 4,9-17
Leggere insieme Matteo 16,17 e Giovanni 11,27
Marco 14,9
Luca 7,36-50; 10,38-42; 21,1-4
Atti 2,17-18; 21,8-9
Galati 3,28
3. Liberazione
4. Oppressione
Esodo 1,11
Deuteronomio 26,6; 28,33
Neemia 9,36-37
Salmi 6,3-10; 17,9-12; 44,22-25; 94,5-6
Geremia 50,33
Michea 3,3
5. Pace
Levitico 19,1.9-18
Salmi 32; 72; 85,9-11; 122,6-8
Isaia 2,1-5; 9,5-6; 11,1-9; 32,15-20; 52,7; 53,5; 57,19
Proverbi 24,1-4; 22,31
Matteo 5,1-12.38-48; 10,5-13.34
Luca 10,35; 12,51; 24,36
Giovanni 14,23-27; 19,19-23; 20,19.21
Romani 12,18; 14,17.19
2 Corinzi 3,11
Efesini 2,11-18; 4,3.31-32
Galati 5,22
Filippesi 2,5-11
Giacomo 3,13-18
Ezechiele 11,17-21
Matteo 7,1-5; 18,21-35
Luca 6,27-38; 15,1-10
Romani 5,11
2 Corinzi 5,14-21
Efesini 2,14-18
Colossesi 3,12-17
Filemone 1,18-21
2 Pietro 3,8-12
7. Poveri
8. Condivisione - Solidarietà
1 Re 17,7-16
Isaia 58,1-12
Marco 12,38-44
Matteo 25,31-46
Luca 1,46-55; 10,25-37; 16,19-31
Atti 4,32.34-35
Filippesi 2,4-11
Ebrei 13,12-16
Giacomo 2,14-18; 5,1-6
Apocalisse 21,1-6
9. Fraternità
Proverbi 3,27-33
Matteo 12,46-49
Giovanni 17,1.6-11.20.26
Ebrei 2,10-17
2 Pietro 2,12; 3,8-9.13-16
1 Giovanni 4,4-21
Genesi 17,1-7
Isaia 54,1-3
Matteo 10,41-45; 18,12-19; 22,1-10
Giovanni 17,18-24
Atti 2,1-11
1 Corinzi 12
Efesini 1,3-14
Colossesi 3,12-17
Ebrei 2,8b-12
2 Pietro 4,7-11
1 Re 17,7-16
Siracide 4,1-10
Matteo 10,35-45
Luca 10, 25-37
Giovanni 13,1-17.34-35; 15,9-17
Romani 12,9-17
1 Corinzi 13,1-13
Filippesi 2,1-4
1 Pietro 4,7-11
1 Giovanni 4,7-17
Legper 62
"Curare i mali dell'umanità con interventi concreti" (la Lettera messaggio dei ministri della
Famiglia francescana per la celebrazione dell'ottavo centenario della nascita di san Francesco di
Assisi)
Documento di Bahia, cap. IV, nn. 32-38
Mattli, 4, "Nella lotta per la giustizia e la pace"
2. Donne
1 Cel 18 b-d
Fior 15; 16; 19
LegM 12,2
Legper 101; 107
LegsC 5
Messaggio interfrancescano da Mattli (1982), n. 2, "In sostegno delle donne e contro la
discriminazione"
3. Pace
4. Poveri
Am 27
Lmin 1-11; 13-17
2 Lf 5,28-29
Pater 1; 7; 8
1 Cel 23; 89
2 Cel 185b
LegM 3,2; 8,1
Legper 1; 44; 67
SP 101
3 Comp 11-12; 26
Fior 21
Mattli, n. 5, "Strumenti di riconciliazione"
6. Condivisione - Solidarietà
2 Test 1-3
2 Cel 175
LegM 1,2c-3a
3 Comp 11-12
Documento di Bahia, nn. 19-23a
7. Fraternità
1 Cel 38-39a
2 Cel 175
San Francesco educò alla comunione universale e allo spirito di famiglia (Ministri Generali, "Io ho
fatto la mia parte; la vostra ve la insegni Cristo", 1981)
Documento di Bahia, cap. II, "Inviati come fratelli"
8. Dialogo - Ecumenismo
9. Servizio - Carità
2 Test 1-3
2 Cel 172; 175; 177
LegM 9,1.4
3 Comp 11-12
RsC 8,12-16
Cant
1 Cel 77; 79; 81
2 Cel 165
Legper 84; 51
4. dottrina sociale della Chiesa
Antropologia cristiana
a) Dignità dell'uomo, immagine di Dio
- Divini Redemptoris: 30; 32-33
- Mater et Magistra: 219-220
- Pacem in terris: 31; 28-34 e soprattutto 44
- Gaudium et Spes: 31
- Ecclesiam Suam: 19
- Redemptor Hominis
- Istruzione su alcuni aspetti della "Teologia della liberazione":
20; 34
- Laborem Exercens: 4-9
- Orientamenti: 31
- Catechismo della Chiesa Cattolica: 355-379; 1700-1709
b) L'uomo, via della missione della Chiesa
- Gaudium et Spes: 1; 3
- Evangelii Nuntiandi: 29; 31; 33; 35; 36; 38
- Redemptor Hominis: 13-14
c) L'anelito dell'uomo alla libertà
- Istruzione su alcuni aspetti della "Teologia della liberazione": 1; 38
d) Uomo e donna, persone solidali
- Mater et Magistra: 218-219; 59-67
- Pacem in Terris: 31
- Gaudium et Spes: 24-25
- Istruzione su alcuni aspetti della "Teologia della liberazione": 73
e) Fondamentale uguaglianza di tutti gli uomini
- Gaudium et Spes: 24; 29
f) Primato della persona sulle strutture
- Istruzione su alcuni aspetti della "Teologia della liberazione":
73; 75
- Gaudium et Spes: 31
- Redemptor Hominis: 14
- Reconciliatio et Penitentia: 16
g) Strutture di peccato
- Gaudium et Spes: 13; 25
- Istruzione su alcuni aspetti della "Teologia della liberazione": 75
- Sollicitudo Rei Socialis: 36-37
- Centesimus Annus: 38
- Catechismo della Chiesa Cattolica: 1878-1889
Diritti umani
a) Violazione dei diritti umani
- Gaudium et Spes: 27
- Octogesima Adveniens: 23; cfr. RH 17
- Sollicitudo Rei Socialis: 15; 26; 33
b) Panorama dei diritti fondamentali
- Pacem in terris: 11-34; 75-79; 143-144
- Gaudium et Spes: 27; 29; 52; 59-60; 65; 67-69; 71; 75; 79
- Octogesima Adveniens: 23
- Puebla: 3890-3893
- Redemptor Hominis: 17
- Sollicitudo Rei Socialis: 26; 33-34
c) Diritti umani, esigenza evangelica
- Puebla: Discorso d'apertura
- Istruzione su alcuni aspetti della "Teologia della liberazione": 65
Il bene comune
- Mater et Magistra: 65; 78-81
- Pacem in terris: 53-66; 136
- Gaudium et Spes: 26; 74
- Populorum Progressio: 54
- Octogesima Adveniens: 46
- Redemptor Hominis: 17
- Sollicitudo Rei Socialis: 26; 33-34
- Centesimus Annus: 9; 37-38; 47
- Catechismo della Chiesa Cattolica: 1897-1912
Solidarietà e sussidiarietà
a) Definizione, correlazione e fondamento logico
- Gaudium et Spes: 32; 80
- Istruzione su alcuni aspetti della "Teologia della liberazione": 73
- Catechismo della Chiesa Cattolica: 1883-1884; 1939-1942; 2437-2440
b) Solidarietà
- Pio XII, Radiomessaggio natalizio del 1952: 26-27
- Pacem in terris: 98
- Sollicitudo Rei Socialis: 38-40
- Centesimus Annus: 10c; 33; 41d; 51
c) Sussidiarietà
- Quadragesimo Anno: 79-80
- Mater et Magistra: 51-52; 54-55; 57-58
- Pacem in terris: 140-141
- Laborem Exercens: 17
d) Partecipazione sociale
- Mater et Magistra: 91-92
- Gaudium et Spes: 31; 55; 59; 63; 68
- Octogesima Adveniens: 22; 24; 46-47
- Istruzione su alcuni aspetti della "Teologia della liberazione":
86; 95
- Sollicitudo Rei Socialis: 45
- Centesimus Annus: 33
- Catechismo della Chiesa Cattolica: 1913-1917
Proprietà privata
- Rerum Novarum: 3; 12-16
- Quadragesimo Anno: 44-52
- Mater et Magistra: 104-121
- Gaudium et Spes: 69-71
- Populorum Progressio: 19; 22-24
- Laborem Exercens: 14
- Sollicitudo Rei Socialis: 28; 42
Proprietà pubblica
- Rerum Novarum: 23-25
- Quadragesimo Anno: 105-110
- Mater et Magistra: 51-67
- Gaudium et Spes: 70-71
- Populorum Progressio: 23-24; 33-34
- Laborem Exercens: 14
- Sollicitudo Rei Socialis: 15
Lavoro e salario
a) Riflessione sul lavoro umano
- Rerum Novarum: 32
- Mater et Magistra: 82-103
- Gaudium et Spes: 67
- Laborem Exercens: 1; 3-10; 18-19; 22-27
- Sollicitudo Rei Socialis: 18
b) Salario personale o familiare?
- Rerum Novarum: 32-33
- Quadragesimo Anno: 71
- Laborem Exercens: 19
c) Il sistema salariale riduce le persone a merce?
- Quadragesimo Anno: 64-68
- Mater et Magistra: 75-77
- Laborem Exercens: 19
d) Il problema pratico: la quantità
- Rerum Novarum: 32
- Quadragesimo Anno: 70-75
- Mater et Magistra: 68; 71
Sciopero
- Rerum Novarum: 29
- Quadragesimo Anno: 94
- Gaudium et Spes: 68
- Octogesima Adveniens: 14
- Laborem Exercens: 20
Sindacati
- Rerum Novarum: 34-40
- Quadragesimo Anno: 34-38; 81-97
- Mater et Magistra: 97-103
- Gaudium et Spes: 68
- Populorum Progressio: 38-39 e Octogesima Adveniens: 14
- Laborem Exercens: 20
- Sollicitudo Rei Socialis: 15
Politici e politica
- Gaudium et Spes: 73; 76
- Octogesima Adveniens: 3-4; 48-51
- Sollicitudo Rei Socialis: 47-48
Potere politico
a) Lo Stato: organizzazione politica
- Mater et Magistra: 20-21; 44; 52-53; 104; 201-202
- Pacem in terris: 68-69; 72; 75-79; 130-131
- Gaudium et Spes: 73-75
- Octogesima Adveniens: 46
b) Regimi politici
- Pacem in terris: 52; 68; 73
- Gaudium et Spes: 73-75
- Redemptor Hominis: 17
- Sollicitudo Rei Socialis: 41
La comunità internazionale
a) Fondamenti: Gaudium et Spes: 84
b) Relazioni internazionali: Pacem in terris: 86-108; 120-125; Gaudium et Spes: 85-90;
Populorum Progressio: 78; Centesimus Annus: 21; 27; Sollicitudo Rei Socialis: 14; 16; 43; 45
Violenza sociale
a) Tipologia della violenza sociale:
- Violenza strutturale
- Violenza rivoluzionaria: Pacem in terris: 161-162; Populorum Progressio: 30-31; Laborem
Exercens: 11-13
- Violenza in guerra: Pacem in terris: 109-116; Gaudium et Spes: 77-82; Populorum
Progressio: 53; 78; Sollicitudo Rei Socialis: 10; 20; 23-24; 39
b) Non-violenza attiva:
Gaudium et Spes: 79; Istruzione su alcuni aspetti della "Teologia della liberazione": 77-79;
Catechismo della Chiesa Cattolica: 2306
Pace
a) La realtà della guerra
- Pacem in terris: 109-117; Gaudium et Spes: 79-80; 82; Centesimus Annus: 14b; 17a,b; 19a;
Catechismo della Chiesa Cattolica: 2307-2317
b) Lo scandalo della corsa agli armamenti e il disarmo
- Pacem in terris: 109-112; Gaudium et Spes: 81; Populorum Progressio: 53; Sollicitudo Rei
Socialis: 23-24; Centesimus Annus: 28c
c) Etica di pace
- Pace al di sopra di tutto: Pacem in terris
- Lavoro di tutti per la pace: Gaudium et Spes: 78-82; Catechismo della Chiesa Cattolica:
2302-2305
- Sviluppo, il nuovo nome della pace: Populorum Progressio: 76
- La pace, frutto della giustizia e della solidarietà: Gaudium et Spes: 78; Sollicitudo Rei
Socialis: 26; 39; Centesimus Annus: 5c; 23c; 29a
Ecologia
- Mater et Magistra: 196-199; Octogesima Adveniens: 21; Redemptor Hominis: 8; 15;
Laborem Exercens: 4; Sollicitudo Rei Socialis: 26; 29; 34; Centesimus Annus: 37-38
- Messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale della Pace (1.1.1999): Pace con
Dio Creatore, pace con l'intero creato
- Catechismo della Chiesa Cattolica: 299-301; 307; 339-341; 344; 2415-2418
Nota: Si tratta di parafrasi, e non di citazioni, degli articoli delle Costituzioni Generali che si
riferiscono a GPSC.
5. opzione per i poveri – Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato nelle Costituzioni Generali
Nota: Si tratta di parafrasi, e non di citazioni, degli articoli delle Costituzioni Generali che si
riferiscono a GPSC.
Capitolo I
Art. 3: I Frati Minori costituiscono una "fraternità" in cui tutti sono fratelli, con gli stessi diritti e
doveri, e testimoniano che le persone cercano vera fraternità e comunione, in cui nessuno è
emarginato per alcuna ragione.
Art. 4,1: I frati, inseriti nel popolo di Dio, dovrebbero esaminare i nuovi segni dei tempi e mettersi
sempre in relazione con un mondo in continuo sviluppo.
Art. 7,3: I frati dovrebbero servirsi ed obbedirsi volentieri l'un l'altro e cercare insieme i segni della
volontà del Signore Dio.
Art. 8: Essi dovrebbero vivere radicalmente il Vangelo, "vendendo tutto", per essere segno della
Provvidenza del Padre, in grado di condividere il destino dei poveri, facendo la scelta, che è
soprattutto una scelta personale, di seguire l'esempio di Gesù e di sua Madre. Dovrebbero essere
felici di vivere tra i poveri, anche in modi nuovi.
Capitolo II
Art. 27,1: Lo stare tra i semplici, ai quali è rivelato il Regno di Dio, e il conversare con loro
dovrebbe alimentare lo spirito di preghiera e di devozione dei frati. Insieme essi possono imparare
sane espressioni della pietà popolare e acquisire la capacità di nutrire la vita cristiana in se stessi e
negli altri.
Art. 27,2: La preghiera con la gente fa propria la loro realtà e diviene segno e condivisione di fede e
di speranza.
Art. 32,3: La penitenza si esprime nel servizio degli altri, specialmente dei più umili, dai quali non
riceviamo niente in cambio. San Francesco la esprime nel servizio ai lebbrosi.
Art. 33: Il frate è per vocazione segno e strumento di riconciliazione con ognuno dei suoi fratelli e
con la fraternità. Questo è un particolare "ministero" della sua vocazione.
Art. 34,2: Digiunare significa condividere le sofferenze di Cristo, presente in coloro che soffrono
molte privazioni.
Capitolo III
Art. 39: La vera fraternità, fondata sull'amicizia, è mezzo di educazione ad una cordiale (cortese)
accettazione di tutte le persone; diviene segno di speranza e proclamazione di pace e felicità; è
anche via a una integrale maturità umana, cristiana e religiosa.
Art. 52: La comunione nella fraternità porta alla comunione con tutti. Dobbiamo accogliere ogni
persona con cortesia e trattare gentilmente tutti, amici e avversari, sia che vengano da noi sia che li
avviciniamo noi stessi.
Art. 53: Come testimonianza di povertà e di carità, i frati sono tenuti a sovvenire alle necessità della
Chiesa, a soccorrere coloro che si trovano in stato di reale necessità e a condividere con i poveri i
beni materiali dati alla fraternità.
Capitolo IV
Art. 64: La "minorità" (umiltà), segno della sequela di Cristo e della sua obbedienza alla volontà del
Padre, è una testimonianza di gioia e un requisito indispensabile per la proclamazione della pace.
Art. 66,2: L'umiltà permette un certo modo di condivisione, cosicché coloro che sono i più piccoli
nella società non si sentano esclusi dalla nostra fraternità, chiamata a favorire quanti sono privi dei
beni che sono il risultato del progresso sociale ed economico.
Art. 67: L'umiltà ha un particolare valore profetico come testimonianza dei veri valori evangelici e
come condanna dei falsi valori del mondo.
Art. 68,1: La pace viene proclamata e portata facendo il bene; essa non si instaura attraverso la
violenza.
Art. 68,2: Un altro aspetto della proclamazione della pace è il non provocare ira e non
scandalizzare; la pace e le opere di giustizia e di pace nascono dalla pace del cuore.
Art. 69,1: L'opera di pace, specialmente con coloro che sono privati ingiustamente dei loro diritti,
nasce da un cuore nuovo e dall'amore per la giustizia e la pace. Questi diritti devono essere difesi,
non con mezzi violenti, ma piuttosto con gli stessi che sono a disposizione dei poveri.
Art. 69,2: I frati con gli stessi mezzi dovrebbero condannare le guerre ed ogni forma di violenza. La
pace si costruisce denunciando apertamente ogni violenza e ingiustizia.
Art. 70: Questo articolo mette in evidenza l'aspetto liberante della povertà e favorisce relazioni
libere e giuste tra tutti gli uomini, l'accettazione reciproca e la riconciliazione. La ricchezza e
l'attaccamento alle persone facoltose e ai potenti sono occasione di schiavitù e costituiscono un
ostacolo al vivere in modo libero ed integrale la vita di consacrazione e missione, propria della
nostra vocazione di minori.
Art. 71: L'immagine di Dio Creatore è presente in tutto il creato. Il frate dovrebbe, quindi, trattare
con riguardo ogni forma di vita presente nel mondo, per rispetto verso Dio.
Art. 72,1: La professione di povertà è il segno fondamentale della sequela di Cristo pellegrino, che
cammina con noi. Il distacco del pellegrino deve riflettersi nella nostra vita e in tutto ciò che usiamo
per vivere e lavorare.
Art. 72,2: Gli edifici che usiamo dovrebbero essere in armonia con le condizioni di povertà in
mezzo alle quali i frati vivono; lo stesso vale per tutto ciò che acquistiamo o usiamo.
Art. 73: I frati non dovrebbero possedere edifici, ma semplicemente usare ciò che è necessario per
vivere e per proclamare il Vangelo. La proprietà dovrebbe piuttosto appartenere a coloro che siamo
chiamati a servire, ai nostri benefattori o alla Santa Sede.
Art. 76: Il lavoro dei frati dovrebbe essere considerato come "servizio", non come mezzo di
autosufficienza e indipendenza, e ancora meno come opportunità di controllo sugli altri. Il lavoro è
un dono da condividere con coloro che non lo hanno; quanti lavorano dovrebbero condividere con
chi non lavora e non ha i mezzi per sostenersi.
Art. 77,1-2: Il frate dovrebbe essere qualificato per la sua attività, ma la prima qualifica è quella di
essere un frate, vivendo in fraternità, con gli stessi diritti e doveri degli altri; nessun lavoro dà diritti
particolari, ancor meno quello di inamovibilità da una determinata casa.
Art. 78: Il lavoro non dovrebbe separare nessuno dai fratelli. Esso dovrebbe essere un mezzo per
favorire una maggiore solidarietà con tutti in un "servizio" più appropriato verso i "poveri".
Art. 80,1-2: Per quanto possibile, tutti i frati devono attendere essi stessi ai lavori domestici nelle
fraternità. Nel caso che altri lavorino per la nostra fraternità, la giustizia richiede che vengano
osservate le norme delle leggi civili.
Art. 82,3: Qualunque cosa i frati ricevano per il loro lavoro non dovrebbe diventare un'occasione
per accumulare denaro. Quando c'è abbondanza, essi dovrebbero ricordare che appartiene alla
Chiesa e ai poveri. Noi dobbiamo usarne in quanto poveri e come i poveri, non come possessori.
Capitolo V
Il capitolo V parla della nostra chiamata all'evangelizzazione; questa è la base della nostra fedeltà
all'umiltà e alla povertà. Perciò, essa dovrebbe essere portata avanti con mezzi che siano in armonia
con la nostra professione e dovrebbe essere indirizzata principalmente alle zone più povere.
Art. 87,1: I frati non dovrebbero vivere solo per se stessi, ma a beneficio di altri. Essi dovrebbero
cercare di estendere a tutti gli uomini le relazioni fraterne che sviluppano tra loro.
Art. 87,3: Come segno di speranza, i frati dovrebbero costituire delle fraternità in zone povere e tra
le masse secolarizzate, e considerare tali fraternità come mezzi privilegiati per la proclamazione del
Vangelo.
Art. 91: I frati non dovrebbero cercare né accettare privilegi, poiché l'umiltà è il fondamento della
loro missione nella Chiesa.
Art. 92,2: I frati dovrebbero collaborare con buona volontà all'impegno dell'inculturazione,
dovunque essi vivano.
Art. 93,1: L'autentico amore fraterno richiede che i frati vedano i poveri come loro maestri e che li
ascoltino. Così, essi saranno capaci di mantenere un vero dialogo con loro.
Art. 94: L'evangelizzazione delle culture è un impegno di somma importanza e dovrebbe essere
promossa a fondo dai frati.
Art. 95,1-3: Lo spirito ecumenico dovrebbe essere promosso ovunque. I frati dovrebbero cercare
modi per collaborare con altri cristiani e con credenti di altre religioni, specialmente con le
popolazioni islamiche.
Art. 96,1: L'evangelizzazione richiede la comprensione dei problemi sociali affrontati dalle persone
e dalle famiglie. Tale conoscenza dà origine ad una risposta cristiana adeguata.
Art. 96,2: Le questioni della giustizia, della libertà e della pace sono fondamentali. I frati
dovrebbero dedicarsi a trovare una soluzione ai seri problemi che sorgono dalle violazioni della
giustizia e della libertà. Essi dovrebbero lavorare insieme a coloro che sono impegnati nel
ristabilimento della giustizia e della pace nel mondo.
Art. 96,3: I frati dovrebbero operare con umiltà e con coraggio affinché nella Chiesa e nell'Ordine
siano tutelati i diritti di tutti e sia rispettata la dignità umana.
Art. 97,1: I frati dovrebbero seguire l'esempio di San Francesco, che fu condotto dal Signore tra i
lebbrosi. Ogni frate dovrebbe riscoprire la propria chiamata tra i lebbrosi di oggi: gli emarginati, i
poveri e gli oppressi, gli afflitti e gli infermi. Essi dovrebbero essere felici di vivere tra loro e di
manifestare compassione.
Art. 97,2: Essi dovrebbero adoperarsi perché i poveri stessi prendano maggiore coscienza della loro
dignità di uomini, la difendano e la facciano valere.
Art. 98,1: I frati non dovrebbero disprezzare i ricchi e i potenti, né giudicarli. Essi dovrebbero
suggerire umilmente anche a loro il bisogno di conversione e ricordare loro il dovere di restituire
ogni bene al Signore Dio, sempre presente nei poveri.
Art. 98,2: Seguendo l'esempio di San Francesco, i frati dovrebbero avvicinare gli uomini che
minacciano la vita e la libertà altrui e portare loro il lieto messaggio della riconciliazione, della
conversione e della speranza di una vita nuova.
Capitolo VI
Il capitolo VI tratta della formazione dei frati. Tutto ciò che è stato detto sulla vita e sull'attività dei
frati è assunto come orientamento costante per la formazione iniziale e permanente. Alcuni esempi:
Art. 127,2-3: I frati dovrebbero essere preparati ad inserirsi attivamente nella vita sociale. La
formazione dovrebbe favorire un rapporto intimo con Dio e relazioni improntate all'amore con tutti
gli uomini e con le altre creature, come pure far crescere il senso della comunione ecclesiale e del
servizio apostolico.
Art. 127,4: È compito primario della formazione fare apprendere e sperimentare il modo
francescano di vivere il Vangelo in fraternità e minorità, nella pratica della povertà e del lavoro e
nel vivere la visione della missione nel nostro Ordine.
Art. 128: La formazione francescana dovrebbe essere una formazione integrale dell'intera persona e
tenere conto sia della dimensione personale sia di quella sociale.
Art. 129,1-2: Nel processo formativo, i doni particolari di ogni persona dovrebbero essere trattati
con grande riverenza e dovrebbe essere incoraggiato il senso di responsabilità nell'uso della libertà.
La formazione dovrebbe sviluppare un equilibrato giudizio critico circa gli eventi.
Art. 132: La formazione della maturità è necessaria per vivere in fraternità e per una vita di
solidarietà con i poveri.
Art. 153,2: Per fare più profondamente esperienza della vita francescana, i novizi dovrebbero
dedicarsi alla contemplazione, alla penitenza, alla povertà, al lavoro e ad un servizio senza pretese
dei poveri del nostro tempo, sia all'interno del convento sia fuori, a norma degli Statuti.
6. Giustizia, Pace e Rispetto per il Creato nella Ratio Formationis Franciscanae
"La sequela di Gesù Cristo, secondo la forma di S. Francesco, conduce il frate minore ad
impegnarsi con la Chiesa e a mettersi al servizio degli uomini del nostro tempo, come messaggero
di riconciliazione e di pace" (RFF 3).
"Il frate minore contempla l'infinito amore di Dio per lui ed è condotto a ricercare e trovare Gesù
Cristo nelle Scritture, nella storia, in ogni aspetto della vita, nel fratello e in tutta la creazione, in
una continua opera di discernimento per riconoscere l'azione dello Spirito" (RFF 12b).
"Il frate minore si mette dinanzi al Cristo povero e crocifisso, suo Maestro, affermando
continuamente la sua fedeltà a Lui e al Vangelo, alla Chiesa, all'Ordine e alla sua missione,
all'uomo e al nostro tempo" (RFF 15b).
"La fraternità [...] è l'ambiente di riconciliazione e di pace in cui è possibile l'incontro con il Cristo
vivo e vero" (RFF 18).
"L'esperienza della paternità di Dio e della fraternità con il Cristo porta i frati minori a rendersi
fratelli di tutti gli uomini e di ogni creatura, in spirito di minorità, di semplicità, di letizia e di
solidarietà" (RFF 21a).
"Il frate minore accoglie tutti con bontà, senza escludere nessuno, ama tutti gli uomini, in
particolare i poveri e i deboli, che serve con premura materna, rifiuta la violenza, opera per la
giustizia e la pace, e rispetta la creazione" (RFF 21b).
"Il frate minore scopre la propria piccolezza e la totale dipendenza da Dio, sorgente di ogni bene, e
vive come pellegrino e forestiero, riconciliato e pacifico, accogliente, fratello e soggetto ad ogni
creatura"
(RFF 22b).
"I frati minori seguono l'esempio di S. Francesco che fu condotto da Dio in mezzo ai lebbrosi
scegliendo la vita e la condizione dei poveri, si identificano con essi, servono gli oppressi, gli afflitti
e i malati, e si fanno evangelizzare da loro" (RFF 25a).
"Il frate minore si rende sensibile e lavora per eliminare ogni forma di ingiustizia e le strutture
disumanizzanti nel mondo, fa una opzione esplicita per i poveri diventando la voce di coloro che
non hanno voce, come strumento di giustizia e di pace, e lievito di Cristo nel mondo" (RFF 25b).
"I frati minori, discepoli del Signore e annunziatori della sua Parola, sull'esempio degli Apostoli,
partecipano alla missione evangelizzatrice della Chiesa e portano a tutti quelli che incontrano la
pace e il bene del Signore" (RFF 26a).
"Il frate minore dà testimonianza di vita attraverso la comunione fraterna, la vita contemplativa e
penitente, il servizio nella fraternità e nella società umana, come uomo di pace, in letizia e
semplicità di cuore" (RFF 28b).
"Quando piace al Signore, i frati minori proclamano esplicitamente il Vangelo con la testimonianza
della parola, annunziando soprattutto il mistero di Cristo povero e crocifisso, predicando la
penitenza, la riconciliazione e la pace a tutti gli uomini" (RFF 29a).
"Seguendo il Cristo che ha posto la sua dimora nel mondo, i frati minori sono chiamati a vivere il
loro carisma fra tutti gli uomini e ad essere attenti ai segni dei tempi, come strumenti di giustizia e
di pace" (RFF 32a).
"Il frate minore acquisisce la visione francescana del mondo e dell'uomo, sviluppa un equilibrato
giudizio critico circa gli eventi, e scopre nel mondo il bene che Dio vi realizza" (RFF 32b).
"Il frate minore, come araldo della pace, la porta nel cuore e la propone agli altri, ed è pronto a
denunciare con vigore tutto ciò che è contrario alla dignità umana e ai valori cristiani" (RFF 34b).
"Fra gli aspetti più importanti della crescita [...] cristiana [...] la formazione presta attenzione a:
"Fra gli aspetti della crescita [...] francescana, la formazione presta attenzione a:
"La formazione permanente avviene nel contesto della vita quotidiana del frate minore, nella
preghiera e nel lavoro, nelle sue relazioni sia interne sia esterne alla fraternità, e nel rapporto col
mondo culturale, sociale e politico in cui egli si muove" (RFF 58).
"La fraternità della Casa di formazione è attenta al mondo e alla sua storia, alla precisa realtà
sociale, e aperta specialmente ai poveri e agli emarginati, in sintonia con la nostra identità di
minori" (RFF 79).
"Il frate in professione temporanea si inserisca e sia solidale con la realtà del mondo e con la
problematica del Paese nel quale è chiamato a vivere la sua vocazione" (RFF 155).
"Nella valutazione dell'idoneità del frate alla professione solenne, alcuni criteri che dovrebbero
essere tenuti in conto sono:
- maturità affettiva;
- segni manifesti di una adeguata e matura relazione personale con Dio nella preghiera;
- iniziativa personale e responsabilità della propria vita religiosa;
- capacità di vita e di lavoro con la fraternità;
- capacità di essere attivo e orientato al servizio degli altri, specialmente dei più poveri;
- senso di giustizia, pace e rispetto del creato;
- spirito di misericordia e di riconciliazione;
- capacità di assumere un impegno definitivo osservando i consigli evangelici;
- disponibilità a testimoniare e annunciare il Santo Vangelo;
- sufficiente libertà interiore e pratica della povertà;
- senso di appartenenza alla fraternità, alla Provincia, all'Ordine e alla Chiesa" (RFF 156).
È facile identificare seri problemi sociali ed ambientali a livello globale e locale. Le violazioni dei
diritti umani, l'aborto, il genocidio, l'abbandono dei bambini, le industrie di armamenti, le droghe e
l'inquinamento ambientale sono solo alcuni di questi. È, tuttavia, difficile trovare delle soluzioni e
la determinazione ad affrontare questi problemi. Le difficoltà sono aggravate dalle voci di varie
tradizioni, che suggeriscono o chiedono risposte contrastanti. Alcune di esse sono pacate, altre
violente. La nostra risposta deve essere autentica e francescana.
"Pace e Bene!" è un saluto che, fin dal tempo di San Francesco, milioni di francescani in tutti i
continenti rivolgono allo stesso modo a contadini e governanti, santi e peccatori. Esso è giunto ad
essere un motto non ufficiale della Famiglia francescana. In modo semplice e intuitivo, "Pace e
Bene" esprime l'approccio francescano alla vita. A questo punto, la nostra domanda è: quale
significato assume oggi il nostro augurio e il nostro impegno di "Pace e Bene"?
Pace
I Santi di Assisi hanno irradiato una pace gioiosa che è stata universalmente riconosciuta. Questa
pace non era il risultato delle loro conquiste, del loro benessere fisico o della loro sicurezza. In
modo pubblico essi scelsero di passare dal loro ben difeso luogo di nascita, il Comune di Assisi,
alle precarie abitazioni dei reietti lebbrosi e dei poveri che vivevano ai margini della loro società.
I loro contemporanei riconobbero lo stile di vita povero dei santi come un commento profetico ai
Vangeli e come una critica alla loro società. L'implicita analisi sociale espressa nel loro modo di
vivere non era motivata soltanto da preoccupazioni umanitarie, né da una filosofia o da una
condanna dello "status quo". Piuttosto, essi erano impressionati dall'Incarnazione di Dio. Gesù
Cristo, il loro Signore povero e crocifisso, era il donatore e la ragione della loro pace. Il loro sforzo
di seguire letteralmente la vita e il Vangelo di Gesù in assoluta semplicità divenne il fondamento e
la regola della loro vita. Diversamente da similari gruppi "evangelici" o profetici di quel tempo,
Francesco e Chiara furono tenaci nell'assicurarsi la conferma e l'approvazione della Chiesa
universale per le loro ispirazioni e convinzioni personali.
La povertà è la lampada che usiamo per passare attraverso il portale della fede in modo da entrare
nel mistero di Dio, nel quale troviamo la vera pace (cfr. San Bonaventura). Nel corso dei secoli, le
interpretazioni della povertà hanno generato molte dispute e riforme nel francescanesimo. I
francescani, per la maggior parte, si vedono come persone che lavorano per i poveri; molti lavorano
con i poveri e tra i poveri; e alcuni si sono identificati completamente con i poveri nello stile di vita
e nel lavoro. La ricerca della "perfezione" di Dio portò Francesco a sposare Madonna Povertà e alla
pace della "perfetta letizia". Per tutta la sua vita, Chiara insistette sulla povertà assoluta e sul
Privilegio della Povertà per sé e le sue sorelle.
Bontà
L'approccio francescano alla vita è segnato dal riconoscimento dell'importanza, della bellezza e
della bontà della creazione, creata da un Dio buono per nessun'altra ragione che per amore. Noi
condividiamo questa terra, le sue risorse, la nostra vita e il nostro lavoro con tutte le creature di Dio,
che sono per noi fratelli e sorelle. Diversamente da quanti si sono sforzati di addomesticare e
dominare la natura, i due grandi santi di Assisi cercarono solo di vivere leggeri su nostra sorella
madre terra, senza essere un peso né per la terra né per coloro che li nutrivano e li vestivano.
La teologia e la spiritualità pratica di Francesco gli fornirono una analisi sociale secondo la quale
tutti gli uomini hanno responsabilità e pari diritti davanti a Dio. La consapevolezza francescana del
valore sacro dell'individualità fiorì nel pensiero di Giovanni Duns Scoto. Ogni individualità _ una
pianta, una pietra, un'ameba _ è preziosa. Nessuna creatura, nessuna parte del creato, può essere
messa da parte come insignificante. Ogni creatura deve raggiungere la piena misura della propria
individualità, se l'amore di Dio deve esprimersi totalmente nel creato.
Caratteristiche
Il movimento francescano ebbe inizio con le vite e le preziose biografie di San Francesco e Santa
Chiara di Assisi, che gli danno costante ispirazione e orientamento. Per secoli, centinaia di migliaia
di uomini e donne sono stati guidati dallo Spirito Santo e ispirati dalla genialità semplice e dalla
sapienza teologica pratica di Chiara e Francesco. Generazione dopo generazione, fratelli e sorelle
hanno sviluppato e reso popolare l'ispirazione francescana originale. Questa evoluzione dello spirito
di Francesco e Chiara ha avuto profondi effetti umanizzanti nella cristianità, nella civiltà
occidentale e in altre culture.
I francescani, uomini e donne, hanno una storia di risposte concrete a gravi problemi sociali,
motivate dalle convinzioni ereditate da San Francesco: l'assoluta bontà di Dio e del creato, il
primato dell'amore, l'Incarnazione e le sue implicazioni cristocentriche. L'antico divieto di usare
armi per i membri dell'Ordine Secolare contribuì ad abbattere il sistema feudale in Europa. I
francescani furono responsabili della costituzione di alcune delle prime farmacie europee,
inizialmente per rispondere ai bisogni dei pellegrini infermi che inondavano Assisi. Per proteggere i
poveri che venivano rovinati da enormi interessi ingiusti sui prestiti, i frati in Italia organizzarono il
Mons Pietatis, una società finanziaria che precorse il moderno sistema bancario. Innumerevoli
francescani aprirono le loro case a giovani senzatetto, dando la protezione e l'educazione non
fornite dalla società. In paesi dove i poveri non potevano sostenere le cure mediche, donne e uomini
francescani risposero in modo concreto istituendo ospedali e sistemi sanitari.
Francesco era totalmente preso da una grande missione. Egli era l'araldo di Dio e del suo annuncio
di pace. Il messaggio dell'amore di Dio bruciava così fortemente in Francesco che non poteva
essere contenuto. Come gli araldi del suo tempo, che precedevano i loro signori annunciandone
l'arrivo, Francesco viaggiava di villaggio in villaggio proclamando la bontà e la pace di Dio.
Secondo Francesco, il Vangelo deve essere annunciato prima di tutto attraverso la nostra
testimonianza di vita evangelica, non solo con le parole. Quando è opportuno e siamo spinti dallo
Spirito di Dio, cogliamo l'occasione di spiegare agli altri le ragioni della nostra fede, senza mai
diventare polemici. Per Francesco la forma ideale di evangelizzazione è il martirio, nel quale siamo
uniti a Gesù, l'evangelizzatore perfetto, donando completamente la nostra vita per il messaggio
evangelico dell'amore di Dio.
In scritti come il Cantico delle creature e la Regola di vita negli eremi, come pure nell'interazione
tra i Frati Minori, le Donne Povere e i Penitenti, vediamo che fin dall'inizio il movimento
francescano unì le energie e i talenti maschili e femminili. Storicamente e teoricamente, la vita
francescana implica rispetto reciproco, cooperazione e collaborazione tra uomini e donne.
Il Gran Re di Francesco era lo stesso Dio dei cristiani del suo tempo, anche se molto differente.
Mentre la Chiesa stava intraprendendo una santa crociata contro i suoi nemici, i saraceni,
l'interpretazione di Francesco della vita evangelica e delle sue richieste era rivoluzionaria. Egli era
non violento, creativo e attivo nel suo approccio al conflitto. Non era passivo. Prese l'iniziativa di
fare da mediatore e cercò di far dialogare le parti opposte per ottenere la riconciliazione. Francesco
fu pronto al dialogo con il ricco Sultano, che era considerato nemico dei cristiani, e con il lupo
temuto dagli abitanti di Gubbio. I frati riuscirono a riportare la concordia tra il vescovo e il podestà
di Assisi, non umiliandoli con un rimprovero pubblico, ma cantando loro il Cantico delle creature.
Durante un periodo di profondo scoraggiamento, Francesco scrisse il Cantico delle creature. Egli
allora continuava a provare la perfetta letizia, sebbene fosse malato, soffrendo per le stimmate di
Gesù e lo scoraggiamento psicologico dovuta alla delusione da parte dei suoi fratelli. La sua gioia
nel dolore non era masochista, era piuttosto un riconoscimento onesto del suo dolore e delle sue
ferite, accompagnato dalla sorprendente letizia di essere sostenuto in ciò. Ci doveva essere una
grazia, o Qualcuno, che lo sosteneva nella sua sofferenza. La gioia di Francesco veniva dal
riconoscere che lo Spirito di Dio lo stava sostenendo nelle situazioni per lui più dolorose. Lo Spirito
Santo, il "Ministro Generale", aiutò Francesco a comprendere piuttosto che essere compreso, a
consolare piuttosto che essere consolato, ad amare piuttosto che essere amato. La gioia francescana
non è una negazione ingenua della sofferenza e dei problemi umani. È la convinzione che,
nonostante tutto il male che c'è nella vita, lo Spirito di Dio è sempre dentro di noi, negli altri e nel
creato. La gioia trattenne Francesco dal cedere all'amarezza nella sofferenza e nella delusione.
Conclusione
San Francesco e Santa Chiara sapevano come modificare gradualmente e assorbire la violenza
attraverso l'amore. Con occhi aperti e rispetto carico di affetto per tutte le categorie di persone, essi
scelsero di essere poveri tra i poveri. Piuttosto che fissarsi sulle negatività e i mali della loro società,
decisero in modo profetico di mettere in evidenza il positivo con azione costruttiva.
I francescani hanno tradizioni consapevoli e inconsapevoli di lettura dei segni dei tempi rivelati nei
bisogni dei poveri. Le risposte a queste necessità sono state passi concreti, spesso piccoli, che hanno
contribuito a scardinare sistemi culturali oppressivi.
Oggi, la nostra sfida collettiva e personale è quella di sviluppare questi carismi francescani
tradizionali secondo le nostre particolari circostanze e culture. Rivolgendo l'attenzione alle cause
profonde e non semplicemente ai sintomi dei problemi, dobbiamo lavorare diligentemente per
escogitare rimedi pratici costruttivi.
Con educazione e pratica determinate, dobbiamo approfittare dei nuovi strumenti che abbiamo a
disposizione per portare "Pace e Bene" nelle nostre società. Noi speriamo che i nostri programmi di
formazione francescana, sia iniziale sia permanente, conterranno riflessioni bibliche, religiose e
morali sulla giustizia, sulla pace e sulla salvaguardia del creato, e che renderanno familiari le
scienze sociali, psicologiche e politiche. Esortiamo a una testimonianza più pubblica e collettiva del
nostro lavoro e del nostro sostegno alla pacificazione, all'interesse per i poveri e alla cura del creato.
Con tutti gli uomini di buona volontà condividiamo un obbligo e una sfida importante: rispondere ai
problemi del nostro pianeta e delle sue società. Per la nostra tradizione, il nostro numero, la nostra
educazione e la nostra influenza morale in differenti società, la comunità internazionale non ha il
diritto di aspettarsi dalla Famiglia francescana un considerevole impatto positivo sui problemi del
mondo? "A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto".
Presidente CFI-TOR
Piazza del Risorgimento, 14 int. A-1
00192 Roma, Italia
Tel: (+39.06) 39 72 35 21
Fax: (+39.06) 39 72 35 21
E-mail: isctorsg@tin.it
Fraternitas
Curia Generalizia dei Frati Minori
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00165 Roma, Italia
Tel: (+39.06) 68 49 19 Curia
Fax: (+39.06) 63 80 292 Curia
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Web: http://www.ofm.org/
Organizzazioni di Roma
Franciscans International
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International Alert
I Glyn Street
Londra SE 115 HT, Regno Unito
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Fax: (+44.1) 71 793 79 75
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Peace Brigades International
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Tel: (+44.1) 71 272 44 48
Fax: (+44.1) 71 272 92 43 (all'attenzione di PBI _ Colombia)
E-mail: pbicolombia@gn.apc.org
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OMCT/SOS Torture
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1211 Ginevra 20, Svizzera
Tel: (+41 22) 733 31 40
Fax: (+41 22) 733 10 51
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Fondo Monetario Internazionale (FMI)
700 19th Street, N.W.
Washington D.C. 20431, USA
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Fax: (+1.202) 623 46 61
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Primo Ministro
10 Downing Street
Londra SW1A 2AA, Regno Unito
Tel: (+44.171) 270 30 00
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Bundeskanzler
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Primo Ministro
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Tel: (+1.613) 992 42 11
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Presidente della Repubblica
Palais de l'Elysée
55, rue du Faubourg Saint-Honoré
75008 Paris, France
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Primo Ministro
Ufficio del Primo Ministro
57, rue de Varennes
75700 Paris, France
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Primo Ministro
Palazzo Chigi
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00187 Roma, Italia
Web: http://www.palazzochigi.it/
Agenzie
Misereor
(Agenzia di finanziamento per l'America Latina,
Vescovi Cattolici Tedeschi)
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OneWorld,
un insieme di oltre 350 organizzazioni per la giustizia globale. OneWorld si dedica a promuovere i
diritti umani e uno sviluppo sostenibile imbrigliando il potenziale democratico di internet.
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9. preghiere di varie tradizioni di fede
Preghiera a San Francesco
(Papa Giovanni Paolo II, La Verna, 17.9.1993)
.
Essere costruttori di pace
(Paolo VI)
O Signore,
da cent'anni gli uomini hanno fatto quasi cento guerre:
insegna ai tuoi figli ad amarsi.
Perché, Signore, non vi è amore senza il tuo amore.
Fa' che ogni giorno e per tutta la vita,
nella gioia, nel dolore,
noi siamo fratelli, fratelli senza frontiere.
Allora i nostri ospedali saranno anche le tue cattedrali
e i nostri laboratori i testimoni della tua grandezza.
Nei cuori dei proscritti di un tempo
risplenderanno i tuoi tabernacoli.
Allora,
non accettando alcuna tirannia che quella della tua bontà,
la nostra civiltà, martoriata dall'odio,
dalla violenza e dal denaro,
rifiorirà nella pace e nella giustizia.
Come l'alba diventa aurora e poi giorno,
voglia il tuo amore
che i figli del duemila nascano nella speranza,
crescano nella pace, si estinguano infine nella luce,
per ritrovare Te, Signore, che sei la Vita.
Donaci la concordia e la pace
(Clemente I, Papa)
Ti preghiamo, Signore,
non calcolare tutti i peccati
dei tuoi servi e delle serve,
ma purificaci con la purezza della tua verità
e drizza i nostri passi,
per camminare in santità di cuore
e fare ciò che è bello e gradito
agli occhi tuoi
e agli occhi di chi ci guida.
Sì, Signore, mostraci il tuo volto
per offrirci i beni della pace,
per proteggerci con la tua mano potente,
per liberarci da ogni peccato
col tuo braccio sovrano
e per salvarci da coloro
che ingiustamente ci odiano.
Da' la concordia e la pace
a noi e a tutti gli abitanti del mondo
come l'hai data ai nostri padri,
che santamente ti invocavano
nella fede e nella verità;
dalla anche a noi che siamo sottomessi
al nome tuo potente e pieno di ogni virtù.
Ai nostri principi
e ai nostri capi sulla terra
tu, Signore, hai dato il potere del regno
per la tua potenza magnifica e ineffabile,
affinché riconoscano la tua gloria e l'onore
che hai concesso loro.
Concedi loro, Signore,
la salute, la pace,
la concordia e la fermezza,
affinché esercitino senza impedimenti
l'autorità che hai dato loro.
Dirigi, o Signore, il loro volere
secondo ciò che è bello e gradito
ai tuoi occhi,
affinché, esercitando santamente,
in pace e mansuetudine,
il potere che hai dato loro,
ti abbiano propizio.
A te che solo puoi fare tra noi
queste cose buone
ed altre ancora maggiori,
noi rendiamo grazie
per mezzo del gran sacerdote
e protettore delle nostre anime,
Gesù Cristo,
per il quale a te è resa
gloria e magnificenza
ora
e di generazione in generazione,
nei secoli dei secoli! Amen.
Signore, insegnaci
(Raoul Follerau)
Signore insegnaci
a non amare noi stessi,
a non amare soltanto i nostri,
a non amare soltanto quelli che amiamo.
Insegnaci a pensare agli altri
ed amare in primo luogo
quelli che nessuno ama.
Signore, facci soffrire
della sofferenza altrui.
Facci la grazia di capire
che ad ogni istante,
mentre noi viviamo una vita troppo felice,
protetta da Te,
ci sono milioni di esseri umani,
che sono pure tuoi figli e nostri fratelli,
che muoiono di fame
senza aver meritato di morire di fame,
che muoiono di freddo
senza aver meritato di morire di freddo.
Signore, abbi pietà
di tutti i poveri del mondo.
E perdona a noi di averli,
per una irragionevole paura, abbandonati,
e non permettere più, Signore,
che noi viviamo felici da soli.
Facci sentire l'angoscia
della miseria universale,
e liberaci da noi stessi.
Così sia.
Era in mezzo alla strada
(Michel Quoist)
O Signore,
preserva le mie labbra
dal pronunciare il male,
l'inganno e la frode.
Dammi la forza
di non reagire
contro chi mi oltraggia.
Fa' che mi sia di gioia
adempiere i precetti
e ch'io comprenda
appieno le Tue Leggi.
Fa' che non sia superbo.
Annulla
i perversi progetti
di chi vuol farmi danno.
Concedimi sapienza,
pazienza ed intelletto,
mezzi di sussistenza,
pietà e misericordia.
O Tu, che hai stabilito
l'armonia del creato,
concedi pace all'uomo
e ad Israele.
Aiutaci a costruire una cultura senza violenza
(Giovanni Paolo II)
O Signore e Dio di ogni cosa, tu hai voluto che tutti i tuoi figli,
uniti dallo Spirito, vivessero e crescessero insieme
in reciproca accettazione, in armonia e in pace.
Abbiamo il cuore colmo di afflizione, perché il nostro umano egoismo e la nostra cupidigia hanno
impedito
che in questo nostro tempo fosse realizzato il tuo disegno.
Noi riconosciamo che la pace è un dono che proviene da te.
Sappiamo anche che la nostra collaborazione,
in qualità di tuoi strumenti, richiede che amministriamo
con saggezza le risorse della terra per il reale progresso di tutti i popoli. Essa esige un rispetto e
una venerazione profondi per la vita,
una viva considerazione della dignità umana
e della sacralità della coscienza di ogni persona,
e una costante lotta contro tutte le forme di discriminazione,
di diritto e di fatto.
Noi ci impegniamo, assieme a tutti i nostri fratelli e sorelle,
a sviluppare una più profonda consapevolezza
della tua presenza e della tua azione nella storia,
ad una più efficace pratica di verità e di responsabilità,
alla incessante ricerca di libertà da tutte le forme di oppressione,
alla fratellanza attraverso l'eliminazione di ogni barriera,
alla giustizia e alla pienezza di vita per tutti.
Mettici in grado, o Signore, di vivere e di crescere
in attiva cooperazione comune e gli uni con gli altri
nel comune intento di costruire una cultura senza violenza,
una comunità mondiale che affidi la sua sicurezza
non alla costruzione di armi sempre più distruttive,
ma alla fiducia reciproca e al sollecito operare
per un futuro migliore per tutti i tuoi figli,
in una civiltà mondiale fatta di amore, verità e pace.
Signore, vorrei tanto
(Raoul Follerau)
La preghiera buddista
La preghiera indù
Preghiere dall'Upanishads
Risposta dell'assemblea
Noi riaffermiamo il nostro impegno a consolidare la giustizia e la pace attraverso lo sforzo solidale
di tutte le religioni del mondo.
Noi, rappresentanti delle religioni, qui riuniti,
preghiamo Dio per la giustizia fra uomo e uomo,
che si realizzi attraverso il nostro sforzo comune,
e preghiamo anche per l'amore e la pace fra tutte le nazioni.
Dite: "Noi crediamo in Dio e nella rivelazione che è stata data a noi,
e in quella data a tutti i Profeti dal loro Signore:
noi non facciamo differenza fra l'uno e l'altro di essi:
e ci inchiniamo a Dio nell'Islam".
(Sura II, v. 136)
Dio Onnipotente,
Grande Pollice al quale non possiamo sfuggire
per legare qualsiasi nodo;
Tuono Ruggente che spacca gli alberi possenti;
Signore Onniveggente lassù nell'alto, che distingue anche
le impronte dell'antilope
su un masso di pietra quaggiù sulla terra,
Tu sei l'unico che non esita a rispondere alle nostre chiamate;
Tu sei la pietra angolare della pace.
Noi tutti ci rivolgiamo a Te oggi per una ragione importante.
Il nostro mondo è privo di pace.
Siamo circondati da continue guerre e contese.
Abbiamo bisogno di pace.
Questo ha spinto il Santo Padre a invitare tutte le religioni del mondo a riunirsi per pregare per la
pace.
Perciò preghiamo per la pace nel mondo.
Che la pace regni nel Vaticano.
Dona la pace all'Africa.
Dona la pace alle singole persone, alle case e alle famiglie,
e fa' lo stesso dono in tutti gli angoli del mondo.
Imploriamo lunga vita, saggezza, pace, prudenza e coraggio
per Sua Santità Papa Giovanni Paolo II e i suoi consiglieri.
Fa' piovere benedizioni su di loro.
Siano maledette tutte quelle persone perverse
che cercano di rendere vano questo lodevole sforzo
fatto per realizzare la pace.
Possano le tue benedizioni avere effetti molteplici
su tutti coloro che sostengono l'idea e lottano per la pace.
Infine, ti preghiamo brevemente.
Tu ci hai protetto e condotto felicemente fin qui;
riconducici altrettanto sicuramente alle nostre case.
Che tutti gli antenati e spiriti avversi ricevano le loro bevande
e quindi fuggano nel loro regno.
Ma voi, spiriti e antenati buoni che noi abbiamo implorato,
ricevete le nostre bevande, benediteci largamente e donateci la pace.
La preghiera ebraica