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PEDALANDO La traversata
del Canada
IN CANADA in inverno:
la grande
fatica bianca
The world on bike COME NUMERO
I viaggi in bici di Mariano
3° puntata
Una nuova puntata dei grandi viaggi in bici-
cletta di Mariano Lorefice intorno al mondo.
PRECECENTE
di Mariano Lorefice
Nelle prime due puntate lo abbiamo accom-
pagnato in Pakistan, in Tibet e poi in Nepal.
O ARRIVA
Una lunga traversata di 2400 km in terre di
grande isolamento ed assoluto fascino.
QUELLA
La traversata del Canada in inverno fa parte
di un viaggio precedente, che Mariano fece
NUOVA?
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nel 1996. Un’avventura al limite del possibile,
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con neve quasi ovunque, rigidissime tempe-
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rature e vento ricorrente.
Lo spirito di questo viaggio in solitaria ris-
pecchia in pieno il carattere appassionato
e visionario del personaggio. Viaggiatore
senza posa, con mezzi poveri, quasi sempre
da solo in bicicletta, Mariano si accontenta
come al solito di pochissimo ma sa regalare
a tutti noi emozioni e sogni che non è facile
provare.
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“Vancouver, la bici, la mia bandiera Argentina e quella spagnola (inizio e traguardo finale del
giro del mondo che feci nell’emisfero nord). In un paese dove tutto era bianco, i colori vivi della
bandiera spagnola scaldavano la mia vista e il mio cuore. Posizionata sulla parte anteriore della
bici, per ricordare a tutti coloro che incontravo che la mia meta era la Spagna. Anche la bandiera
argentina si faceva onore con la sua presenza, sebbene i suoi colori si confondevano con quelli
della neve e del gelo. “
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Roger Pass
“Attraversare questa catena di montagne comportò l’ascesa e la discesa di vari colli di
prima categoria, con salite anche di 35 e 40 Km. Il più difficile fu Roger Pass. Mentre
salivo, riuscivo a manternermi caldo, anche se dovevo fare attenzione a inspirare forte
a causa del forte freddo che penetrava nei polmoni. Poi quando lo sforzo diminuiva
era un problema perché il sudore si congelava rapidamente. In discesa si formavano
delle specie di placche ghiacciate sopra al torace… che alla fine diventavano uno scudo
contro il vento, una sorta di “icestopper”. Dovevo in ogni caso controllare attentamen-
te la velocità, non solo per evitare le cadute sul fondo ghiacciato, ma soprattutto per
il pericolo di morire congelato. La cosa più difficile era resistere ai congelamenti dei
piedi, delle mani e della testa. La velocità era come se non contasse nulla: più lento era
assolutamente meglio! Dalla lentezza dipendeva la sopravvivenza…”
Ice man
“Tutto si congelava! La capacità dei miei termos per trasportare l’acqua era
molto limitata e la distanza da un paese all’altro era spesso grande (il Ca-
nada è un paese immenso ed ha una popolazione di soli 27 milioni di per-
sone). Il trasporto dell’acqua fu un vero problema da risolvere. Quasi sempre
usavo un “camel back” pieno di acqua bollente dentro ad uno zaino ricolmo
di indumenti pesanti. Però non appena succhiavo l’acqua dal tubo, essa si
congelava nel condotto e così non potevo bere la restante.
In maniera quasi istantanea, il vapore che si produceva col mio respiro gelava
la barba saldandola col passamontagna, formando delle assurde stallattiti
che scendevano fino al torace. Per scongelare tutta questa strana bardatura,
dovevo usare acqua bollente. Le stalattiti sotto alla barba erano diventate
un’abitudine di tutti i giorni. Anche sugli occhi avevo problemi. Le sopraci-
glia si incrostavano di ghiaccio e spesso facevo fatica a vedere.”
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Laghi prima di arrivare ad Ottawa… La regione dei grandi laghi fu la più difficile da
percorrere a causa delle nevicate davvero intense.
- Giorni di viaggio: 51
- Giorni di riposo: 8
- Tappe in bici: 43
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All’interno del Canada
“Il clima continentale freddo della provincia di
Saskatcheawan mi fece fare esperienza di una
temperatura di 35 gradi sotto zero. Il vento a 60
km/h elevava la sensazione termica intorno ai
meno 65…! Alcune località rimanevano coperte di
neve per otto mesi l’anno. La gente che viveva da
quelle parti, quando mi incontrava, mi chiedeva se
ero pazzo o meno, se ero sicuro di volermi sobbarcare
una tale fatica e un rischio così elevato. Risponde-
vo che quello che mi teneva in vita era un esercizio
costante di attenzione e lucidità, e che ormai avevo
collaudato me stesso da quel punto di vista. L’ag-
gressività climatica si trasformò per me in “bellezza
salvatrice”. Una sorta di collegamento interiore con
la natura, qualsiasi condizione essa mi presentas-
se. La monotona distesa freddissima e bianca da
un certo momento in avanti divenne una magica
combinazione di colori. Trovai armonia profonda
e forza.”