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Capitolo 1: Il Ragtime e lo Stride piano

I pianisti del periodo compreso tra il 1896 e i primi anni venti si esprimono con uno stilema
inconfondibile realizzato con una destrezza di altissimo livello tecnico.
Indipendenza delle mani, velocità esecutiva, forte senso ritmico della sincope e del
contrattempo, sono solo alcune delle caratteristiche tecniche di questo stile pianistico che,
anche nei periodi successivi, ha costituito un ottimo training strumentale ed uno stimolo
creativo non indifferente.

Nato come genere di intrattenimento, il ragtime ci è stato tramandato, nelle esecuzioni


originarie, grazie ai rulli dei pianoforti meccanici e alle partiture dei principali interpreti di
questo periodo musicale. Sono del 1897 infatti i primi spartiti di ragtime: "Mississippi Rag"
di William Krell e "Harlem Rag" di Tom Turpin (Savannah, Georgia, 1873 - 1922), uno dei maggiori
interpreti di questo stile pianistico.

Il carattere evasivo ed allegro del ragtime, sorto per risollevare gli animi dopo la ricostruzione
del nuovo stato americano, non nasconde le sue origini dotte. Il ragtime è infatti uno stile, a
differenza dello stride piano, completamente scritto e composto secondo una struttura
multitematica, solitamente AA BB A CC DD (Maple Leaf Rag). Gli esecutori, che solo in pochi
casi sono anche compositori, vantano un'ottima lettura e variano le melodie originarie con
sincopi, abbellimenti e accenti, anticipando di qualche anno le prime improvvisazioni jazz di
Jelly Roll Morton (nato Ferdinand Lamothe, New Orleans, 20 ottobre 1890 - 10 luglio 1941) e dei pianisti di
stride piano.
Le melodie, suonate dalla mano destra, si incastrano ritmicamente con l'incedere regolare
della sinistra e vengono spesso doppiate a terze o seste secondo un andamento ritmico
generalmente non superiore all'ottavo.

La mano sinistra procede solitamente a quarti, scanditi da fondamentale e accordo, quinta e


accordo o bassi ad ottave come nell'esempio 1. Gli accordi sono solitamente triadi e settime
variate dall'accordo diminuito con funzione di sospensione armonica.

Esempio 1 - Ascolta MIDI

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Sul ragtime si sovrappone spesso un ballo concitato
denominato cakewalk. Anche molti compositori europei
sono influenzati dal ragtime come Brahms, Debussy
(Golliwog cakewalk - 1908), Strawinsky (Ragtime per
11 strumenti - 1918, Piano rag music -1919). Inoltre,
parte del jazz degli anni venti non è altro che
l'arrangiamento orchestrale di alcuni ragtime di cui
mantiene la stessa struttura con l'aggiunta di brevi
assoli strumentali. Il personaggio di spicco del ragtime
è senz'altro Scott Joplin (Bowie City, TX, 24 nov 1868 - New
York, 1 apr 1917) che, oltre a brani pianistici, si cimenta
anche in alcuni esperimenti operistici come A guest of honor del
1903 e la celebre Treemonisha in tre atti del 1911.
Con la scomparsa di Joplin nel 1917 l'era del ragtime tramonta,
aprendo le porte al jazz di Jelly Roll Morton a New Orleans e,
successivamente, allo stride piano di James Price Johnson (New
Brunswick, New Jersey, 1 feb 1894 - 17 nov 1955) a New York.
Morton scrive molti ragtime per pianoforte, orchestrandoli per i suoi
Red Hot Peppers che registrano anche i primi dischi di jazz nel
periodo d'oro di Chicago.

James P. Johnson è letteralmente un caposcuola per molti pianisti,


inclusi i primi, Fats Waller (Thomas "Fatz" Waller: New York, 21 mag 1904 - 15 dic
1943) e Duke Ellington (Edward Kennedy Ellington: Washington, 19 apr 1899, New
York, 24 mag 1974), introducendo nel ragtime la componente nera del blues. Anche altri pianisti di
periodi più recenti sono stati influenzati da Johnson: tra essi ricordiamo Earl Hines, Bud
Powell, Thelonious Monk e lo stesso McCoy Tyner.

Nei primi anni venti fa la comparsa sulle scene di New York un altro fuoriclasse del pianoforte:
Fats Waller, che, oltre alla maestria pianistica, mette in luce delle ottime doti di compositore
e di cantante. Waller è, inoltre, tra i primi ad usare con maestria l'organo Hammond.

Esempio 2 - Ascolta MIDI

Sebbene noto come trombettista, Leon "Bix" Beiderbecke (Davenport, 10 mar 1903 - 6 ago 1931)
scrive molti pezzi per pianoforte tra cui il celebre In a mist . Bix lavora per molti anni a
questo pezzo in cui emerge pienamente la sua cultura classica e l'uso sapiente di intervalli ed
estensioni di accordi inusuali per quel periodo (none eccedenti, tredicesime).

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È molto utile esercitarsi nella tecnica dello stride piano per acquisire indipendenza tra le due
mani alternando fondamentale/accordo e quinta/accordo anche con voicings più avanzati.
La fondamentale al basso può anche essere doppiata secondo uno stile stride più avanzato
(James P. Johnson utilizzava spesso solo le toniche).
Applicando lo stride piano ai voicings di cat. A si suona la fondamentale in un'ottava esterna al
voicing e la quinta all'interno. Nelle categorie B e C (voicings costruiti sulla sesta) si inverte la
successione.

Esempio 3

Infine si applica lo stride piano al modo mix in tutte le tonalità.

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Esempio 4

4
In una progressione minore, realizzata con posizioni equivalenti, il movimento dei bassi è
quello riportato nell'Es. 5. Si noti che sia l'accordo semidiminuito che l'alterato alternano alla
fondamentale la quinta diminuita.

Esempio 5

Naturalmente gli esempi sono indicativi e possono essere variati con molte soluzioni.

Esempio 6

Anche l'accordo diminuito alterna fondamentale e quinta diminuita.

Esempio 7

Ecco l'applicazione dello stride piano con voicings avanzate ad un brano.

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I tre più grandi esponenti dello stride sono Johnson negli anni venti, Waller negli anni trenta e
quaranta, Art Tatum
(Toledo, Ohio, 13 ott 1909 -
Los Angeles, California, 5 nov
1956) negli anni trenta,
quaranta e cinquanta,
oltre ad altri pianisti
come Duke Ellington,
Willie "The Lion"
Smith (Goshen, New York,
25 nov 1897 - 18 apr 1973),
Lucky Roberts (Charles
Luckeyeth Roberts:
Philadelphia, 7 ago 1887 - New York, 5 feb 1968) che hanno utilizzato spesso, nelle loro esecuzioni, questa
tecnica pianistica.

Con l'avvento del bebop l'accompagnamento del pianoforte diventa più leggero ed essenziale e
quindi la tecnica stride viene abbandonata a favore di quella a "shell" di Powell. E' tuttavia un
abbandono momentaneo, perché sia Powell che Monk sfruttano ampiamente lo stride in
contesti di piano solo (si ascoltino a questo proposito gli album The genius of Bud Powell,
The Amazing Bud Powell e Solo Monk). Anche Jaki Byard (John A. Byard, Jr.: Worcester, MA, 15 giu
1922 - Queens, NY, 11 feb 1999) ha usato lo stride nei gruppi di Mingus, attuando nei suoi soli una
mirabile e originalissima sintesi tra stride, blues, bop, free.

Byard utilizza maggiormente lo stride di Tatum con fondamentale, settima e decima nella
sinistra alternata ai voicings.

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Capitolo 2: Dagli albori del jazz a Kansas City

Nei primi anni del novecento, fino circa all'inizio del primo conflitto mondiale, la musica più
popolare e diffusa nelle grandi città rimane il ragtime pianistico.

Nel sud, e più precisamente a New Orleans, il ragtime si fonde con le marce europee ed il
blues nero, dando vita al primo jazz.

L'improvvisazione è ancora circoscritta a poche battute e la conduzione è naturalmente in


mano al bandleader, ma all'interno dell'esecuzione è previsto sempre un piccolo spazio per le
variazioni collettive. Solitamente sono brevi breaks ritmo-melodici, con la funzione di
collegamento tra le varie sezioni del brano, ma sono sufficienti per mettere in mostra le grandi
qualità solistiche dei primi jazzmen come: King Oliver, Kid Ory, Sidney Bechet, Baby
Doods, Louis Armstrong...

Jelly Roll Morton è da considerare il primo grande pianista di jazz. La sua musica deriva
ancora dal ragtime, arrangiato per gli strumenti a fiato, con l'aggiunta di alcune brevi
improvvisazioni.

Nel 1914 incomincia il grande esodo dei neri verso le


città industriali del nord (Chicago, New York, Detroit).
Anche i jazzisti si spostano in città portando con loro la
musica di New Orleans e soprattutto il blues. La musica
che si suona infatti in quegli anni a Chicago e New York
è ancora ragtime senza alcun accenno blues. Le
condizioni dei neri nelle città del nord non sono però pari
alle aspettative. Si costruiscono i primi grandi ghetti di
Chicago e di New York (Harlem) dove la popolazione
americana di colore, appena uscita dall'incubo della
schiavitù, deve fare i conti con il nuovo razzismo bianco.
Nonostante le grandi concentrazioni di neri e di musicisti jazz, il primo disco ufficiale è di un
gruppo bianco, la Original Dixieland Jazz Band, che viene registrato nel 1917 a New York.
Al di là delle valutazioni estetiche, bisogna comunque dire che l'effetto causato dalla ODJB sul
mondo musicale americano è enorme ed apre indirettamente la strada anche ai jazzisti neri.
Successivamente infatti fanno i loro passaggi a New York Louis Armstrong nel 1922,
Fletcher Henderson nel 1924 e tutti gli altri grandi jazzmen di quel periodo, cogliendo grandi
successi. Morton ha occasione di essere a New York già nel 1911, a Los Angeles nel 1917
(dove sta per cinque anni) trasferendosi nel 1923 a Chicago.

Nel fermento di quegli anni non mancano neppure gli equivoci artistici come le ibridazioni di
Paul Whiteman e George Gershwin, entrambi bianchi, che cercano di rendere il jazz più
classico e levigato, con sonorità pulite e controllate. In altre parole
fanno l'opposto di King Oliver, di Armstrong e di altri che si esprimono
con un linguaggio "dirty" e sanguigno, inadatto all'austerità delle sale
da concerto.

La sera del 24 febbraio 1924 Whiteman ottiene comunque un


successo clamoroso sebbene con un programma molto confuso che
prevede la Rapsodia in Blue di Gershwin, brani di Nick La Rocca,
dello stesso Whiteman e i canti dei battellieri del Volga. Da quel
momento il termine jazz, seppure in modo distorto, entra a far parte
del lessico dei ceti medi americani. La musica di Fletcher Henderson
e degli altri "veri" jazzisti neri è infatti ancora pressoché sconosciuta
al grande pubblico e gli stessi musicisti di colore suoneranno più tardi
le canzoni di Gershwin per ottenere maggiori ingaggi.

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Subito dopo, il jazz "hot" vive un periodo di fulgore fino al 1929 (prima della grande crisi) e
Armstrong, Beiderbecke, Henderson ed Ellington hanno occasione di esibirsi in moltissimi
teatri.

Sotto il profilo strettamente pianistico, se ad Harlem dopo il 1920 si impone lo stride piano di
James P. Johnson e con Armstrong si mette in mostra un altro grande pianista (Earl
Hines), a Chicago incomincia a ottenere successo il boogie-woogie di Meade Lux Lewis (Meade
Anderson Lewis: Chicago, 4 set 1905 - Minneapolis, 7 giu 1964).

Honky Tonk Train Blues (Mead Lux Lewis)

Il boogie, che verrà ripreso qualche decennio più tardi, gettando le basi al rock & roll e al rock
successivo, fonde il pianismo ritmico e percussivo del ragtime con il sapore e la struttura del
blues. A differenza del ragtime, che è in tempo binario, il boogie si sviluppa in 12/8 con un
incessante movimento della mano sinistra mentre la destra ripete dei semplici riff di poche
misure abbelliti da trilli, tremoli ed altri artifizi di grande effetto.

Esempio 9 - Ascolta MIDI

Earl "Fatha" Hines (Earl Kenneth Hines: Dusquesne, PA, 28 dic 1903 - Oakland, CA, 22 apr 1983) è un
capostipite del pianismo moderno. Impara subito a suonare a ottave parallele per ottenere
maggiore sonorità ma, a differenza di altri pianisti, mette in luce un tocco raffinato e cristallino
che gli deriva da studi classici. Fin dall'inizio ascolta molto i pianisti più all'avanguardia come
James P. Johnson, preferendoli a Jelly Roll Morton per il vigore delle sue frasi e il profondo
senso del blues.

Nel 1924 si trasferisce a Chicago dove ha modo di mettersi in mostra e di conoscere, nel

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1926, Louis Armstrong con cui stringe uno dei sodalizi più creativi e longevi della storia del
jazz. Sebbene Hines e Armstrong abbiano avuto lunghi periodi di separazione, nei loro concerti
mettono in luce una perfetta intesa stilistica. Il pianismo di Hines viene persino denominato
"trumpet style" per sottolineare la simbiosi con Satchmo.

Lo stile di Hines è in realtà molto articolato: la sinistra esegue ottave e decime secondo lo
stilema post-stride, mentre la destra suona frasi molto cantabili e liriche in cui si intravede il
vigore ed il tocco delicato del concertista. Talvolta Hines abbandona l'incedere a quarti della
sinistra per partecipare alla conclusione delle frasi che passano armonicamente da una mano
all'altra.

Hines dà vita a molte orchestre tra cui quella del 1943 con alcuni dei nuovi innovatori della
rivoluzione bebop (Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Benny Green) e la grandissima
cantante Sarah Vaughan. Dopo un periodo di offuscamento negli anni cinquanta, risorge nei
primi anni sessanta con una serie di concerti in trio con cui suona persino in Russia.

Earl Hines Orchestra


sull'estrema sinistra Dizzy Gillespie e all'estrema destra Charlie Parker

La crisi del 1929 convince molti jazzisti ad abbandonare gli Usa a


favore dell'Europa. Armstrong lascia il continente americano nel
1932, Ellington nel 1933, Hawkins nel 1934. Se però Chicago
chiude i battenti al jazz, New York offre alcune opportunità, come
all'orchestra di Cab Calloway che sostituisce con successo Ellington
al Cotton Club.

I locali di Harlem continuano a lavorare ma con minore intensità di


prima. Alcuni jazzisti cambiano persino mestiere; altri, invece, cercano
spazio nelle incisioni commerciali che privilegiano però essenzialmente
i bianchi: Tommy e Jimmy Dorsey, Benny Goodman, Glenn
Miller.

Nel sud, a Kansas City, la situazione è totalmente diversa e anche il jazz vive un periodo di un
certo benessere. Lo stile di Kansas City è meno raffinato di quello del nord, ma le orchestre, a
cominciare da quella di Bennie Moten (Benjamin Moten: Kansas City, 13 nov 1894 - 2 apr 1935) e
successivamente del pianista Count Basie e di Andy Kirk (Andrew Dewey Kirk: Newport, KY, 28 mag
1898 - New York, 11 dic 1992), propongono una musica travolgente, ricca di riffs.

A Kansas City sono attivi molti jazz clubs in cui si tengono interminabili jam sessions con i

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migliori strumentisti del momento: Lester Young, Ben Webster, la pianista e cantante Mary
Lou Williams (Scruggs, Mary Elfrieda: Atlanta, 8 mag 1910 - Durham, NC, 28 mag 1981) e il giovanissimo
Charlie Parker.

Esempio 10 - Ascolta MIDI

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Capitolo 3: Swing

Il crollo di Wall Street Impone al governo americano una cura drastica che, grazie al
presidente Roosvelt, risolleva le sorti del paese. Il "new deal", cioè la nuova ripresa degli Stati
Uniti, necessita degli sforzi di tutti i cittadini inclusi i neri che quindi possono partecipare
maggiormente alla vita del paese anche sotto il profilo imprenditoriale. Nasce in quegli anni la
nuova borghesia nera, fatta principalmente da commercianti e piccoli artigiani.

Nel 1935 la crisi appare superata quasi del tutto e la musica riprende a moltiplicarsi nelle
grandi città, soprattutto a New York. Dopo la grande paura, tutti, bianchi e neri, hanno voglia
di divertirsi e di cercare svago nel ballo. La musica asseconda i movimenti della danza ed il
ritmo diventa più fluido e levigato così come le sonorità delle orchestre. Ecco, quindi, che da
una motivazione commerciale prende avvio un nuovo modo di concepire il tempo sul quale si
baserà tutto il jazz moderno del dopoguerra. Si passa infatti da un tempo essenzialmente
binario ad uno quaternario, sottolineato dalla scansione del beat dal piatto sospeso della
batteria (ride), dal contrabbasso, dal pianoforte e, quando utilizzata, dalla chitarra. In altre
parole si incomincia a sfruttare il walking bass. Il pianoforte abbandona spesso l'andamento
stride e raddoppia la linea del contrabbasso, poco udibile in orchestra, aggiungendo le decime
(walking tenth).

Esempio 11 - Ascolta MIDI

Per agevolare l'esecuzione delle decime si può arpeggiare velocemente l'intervallo


aggiungendo la quinta dell'accordo (quando si tratta di accordi di tonica o minore settima), la
quinta diminuita sugli accordi semidiminuiti o la settima diminuita sugli accordi diminuiti. Sul
quarto beat solitamente si esegue una inversione delle decime costituita da terza maggiore,
tonica e quinta (partendo dalla nota più grave).

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Esempio 12 - Ascolta MIDI

Alcuni pianisti come Art Tatum (Arthur Tatum, Jr.: Toledo, OH, 13 ott 1909 - Los Angeles, 5 nov 1956) ,
aggiungono la settima alla decima.

Esempio 13 - Ascolta MIDI

Anche il fraseggio della mano destra diventa più fluido e legato, con
l'inserimento di note di valore superiore all'ottavo: terzine e
sedicesimi.
I pianisti che determinano il passaggio dallo staccato di Hines al
nuovo fraseggio in legato sono Teddy Wilson (Theodore Shaw Wilson:
Austin, TX, 24 nov 1912 - New Britain, CT 31 lug 1986) e Art Tatum. Entrambi
sono degli abilissimi accompagnatori anche se, per l'esuberanza
musicale e il perfezionismo tecnico, armonico e melodico, Tatum si fa
apprezzare maggiormente come solista.
Wilson, prima di collaborare con il re dello swing Benny Goodman,
suona con molti solisti e cantanti (come Billie Holiday), acquistando
un notevole senso della misura ed una eleganza melodica e armonica
che lo pone in una posizione di rilievo nel jazz moderno.

È invece difficile schematizzare lo stile di Art Tatum senza


banalizzare qualche aspetto tecnico, formale ed esecutivo della sua enorme personalità
musicale. È senz'altro influenzato più da Fats Waller che da James P. Johnson ed in
generale dal blues nero, proprio per le sue origini (proviene infatti dall'Ohio cioè dal nord e non
dal sud) ma il suo stile diventa in fretta personalissimo e originale. La condizione di non
vedente lo spinge a curare l'aspetto spettacolare delle sue esecuzioni basate spesso più
sull'imprevedibilità e varietà delle soluzioni che sulla continuità.

Proprio per questo, oltre all'ammirazione incondizionata di tutti i pianisti classici e jazz, ha
raccolto qualche critica da studiosi di fama come Andrè Hodeir (Parigi, 22 gen 1921). Tatum suona
quasi esclusivamente songs, di cui rielabora in modo magistrale la melodia. In altre parole
sceglie la via della "variazione sul tema" più che la ricerca compositiva. Ma le variazioni sono
talmente straordinarie da assumere spesso una autonomia propria sotto forma, quasi, di un
concerto per pianoforte.

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Esempio 14 - Ascolta MIDI

Sotto il profilo pianistico Tatum porta nel jazz molti procedimenti della musica colta che
conosce e suona con successo. (Ricordiamo a tal proposito anche alcune "jazzificazioni" di
brani classici come Humoresque di Dvorak). Ama suonare spesso a "tutta tastiera", facendo
passare le melodie dalla destra alla sinistra con un tocco che ha già in se le caratteristiche del
moderno legato jazz, ma al tempo stesso la precisione e la nitidezza dello staccato. Tatum è un
fanatico della tecnica a cui dedica parecchie ore al giorno. Si dice anche che tenesse sempre in
mano una nocciolina per mantenere la muscolatura delle mani sempre calda e scattante.

Non bisogna infine dimenticare la sua competenza armonica derivata dagli studi sia della
letteratura romantica che delle esperienze d'avanguardia di Ravel. Tatum ha influenzato
moltissimi pianisti dei periodi successivi tra cui lo stesso Bud Powell e, soprattutto, Oscar
Peterson da molti considerato l'unico vero continuatore dell'opera di Tatum.

Il termine swing perciò è un ombrello molto ampio sotto cui si collocano varie esperienze nel
decennio che va dal 1935 al 1945 circa. C'è comunque da dire che le proposte più conosciute
e diffuse con il termine swing sono principalmente bianche, come quelle di Benny Goodman,
Jimmy e Tommy Dorsey, Glenn Miller e delle loro big bands. A Ciò nonostante lo swing
bianco apre ancora una volta indirettamente la strada alle orchestre nere e soprattutto a quella
di Duke Ellington e Count Basie (trasferitosi nel 1936 a New York), dando vita ad uno tra i
periodi più straordinari e creativi della loro carriera. Ellington, a differenza dei bianchi, non ha
mai ceduto completamente a compromessi commerciali. Anche nelle melodie più orecchiabili e
accattivanti scritte appositamente per ballare i si può sempre ammirare la profondità armonica
delle sezioni e l'uso sapiente dell'arrangiamento.

Le estensioni dei voicings secondo la codifica in A e B forms (cara a Bill Evans), si possono già
vedere chiaramente nelle armonizzazioni delle ance (con l'aggiunta del quinto sax in basso)
così come nell'uso del pianoforte.

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Da questo punto di vista si può riconoscere l'importanza di Ellington pianista: ha portato cioè
sulla tastiera la ricchezza armonica dell'orchestra. Ellington è partito dallo stride, che suona
con maestria, mettendo gradualmente a punto uno stile personale che si può ben apprezzare
negli organici ridotti della sua orchestra (dopo il '50), in trio con Mingus e Roach o nei lavori
con Coltrane negli anni '60.

È interessante notare il grande senso dello spazio dato da Ellington ai soli di pianoforte rotti
talvolta da frammenti dissonanti (undicesime eccedenti, none minori come, da lì a poco, farà
Thelonious Monk).

L'influenza bianca dello swing ha effetto anche sul blues e cioè sulla componente più nera del
jazz. Il blues viene trasformato in una progressione armonica tonale con l'inserimento di altri
accordi di settima con funzione di dominanti secondarie (batt. 8 - Es. 16) o di estensioni (batt.
6 - Es. 16: F#° è praticamente F7b9).

Tale manipolazione si rivela ben presto un arricchimento armonico del blues che mantiene allo
stesso tempo la sua componente modale. Si dà così avvio a quel processo di sintesi tra
modalità e tonalità che si rivela ancora oggi il modo più moderno e attuale di suonare jazz.

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Parker forzerà ulteriormente le progressioni armoniche mantenendo però, soprattutto nel
blues e nei rhythm changes, sempre il senso complessivo del centro tonale e della scala
relativa (scala blues, ionica bop ecc.).

Più tardi Davis e Coltrane escluderanno completamente la progressione degli accordi per
mantenerne uno solo. L'improvvisazione avverrà perciò completamente sulle scale: sarà perciò
modale.

A ben vedere anche il concetto di riff, tipico del jazz Kansas City, si rifà alla concezione
moderna di modalità seppure in una dimensione embrionale. Una sequenza di note, eseguite
nella stessa tonalità, viene infatti ripetuta ciclicamente mentre gli accordi si spostano secondo
la progressione armonica. Si tenga presente, comunque, che il concetto di tonalità è di origine
bianca occidentale, mentre quello di modalità è più nero ed ha agganci anche col retroterra
africano. Il jazz, in quanto espressione afro-americana, attua perciò una sintesi tra queste due
concezioni musicali.

Lo swing è inoltre un periodo fecondo per quanto riguarda il rinnovamento del repertorio
jazzistico. Gershwin compone moltissimi songs suonati ancora oggi così come Cole Porter,
Irving Berlin, Jerome kern, Rodgers e Hart.

Nel 1937 Rodgers e Hart, alla ricerca di nuove soluzioni per i musical, scrivono una canzone
il cui bridge costituirà, vent'anni dopo, il manifesto delle progressioni armoniche rivoluzionarie
di Coltrane. Have you met miss Jones, infatti, sposta i centri tonali secondo intervalli di
terze maggiori.

L'artificio armonico serve per concludere una semplicissima modulazione momentanea sul IV
grado (Bb) e ritornare quindi nella tonalità di partenza (F). In realtà la progressione porta con
sè anche la melodia offrendo notevoli spunti improvvisativi.
Suddividendo infatti una scala cromatica per terze maggiori si ottengono tre centri tonali che
girano continuamente su se stessi.

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Rodgers e Hart interrompono il moto perpetuo con una cadenza composta in F, scendendo
cioè cromaticamente da Gb a F. Coltrane invece sceglie di rimanere nell'incertezza tonale e
continua, nel suo famoso Giant Steps, a girare nelle tre tonalità del brano (seppure con una
maggiore insistenza nella tonalità di Eb).

Tra le innovazioni introdotte dai musicisti swing, è importante sottolineare il nuovo ruolo della
sezione ritmica che, oltre a sostenere efficacemente le sezioni delle big bands e gli interventi
dei solisti, acquista una propria autonomia anticipando la concezione moderna del combo
bebop.

La batteria sottolinea l'andamento in quattro con il supporto del walking bass del contrabbasso
e della mano sinistra del pianoforte.

L'aggiunta della chitarra alla sezione ritmica obbliga spesso il pianoforte ad abbandonare la
continuità dell'accompagnamento a quarti. Per questo motivo si incomincia a introdurre una
nuova tecnica di accompagnamento pianistico a "strappi" che verrà ampiamente sfruttata e
sviluppata nei periodi successivi.

L'esempio migliore di questi nuovi procedimenti è dato dalla sezione ritmica di Count Basie
costituita da Walter Page al contrabbasso, Jo Jones alla batteria, Freddie Green alla
chitarra ed il leader al pianoforte.

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Capitolo 4: La rivoluzione del Bebop

Durante la "swing era" i problemi razziali rimangono momentaneamente in sordina e bianchi e


neri intravedono una possibile soluzione di convivenza. Lo swing,
suonato prevalentemente da bianchi ma anche da neri, fa da colonna
sonora a questa momentanea tregua.

Gli Stati Uniti, del resto, stanno combattendo una guerra, seppure a
migliaia di chilometri di distanza, e quindi non si possono occupare dei
problemi interni tra cui, in primis, quello razziale. Inoltre le truppe
statunitensi sono in Europa anche per dare una lezione di civiltà nei
confronti del razzismo nazista, quindi devono dare un buon esempio di
pacifica convivenza multietnica. Nonostante ciò le discriminazioni
razziali sono sempre latenti sia tra i militari in guerra che in patria e
sfociano spesso in tumulti e scontri sanguinosi nei ghetti delle città del
nord e del sud. I più violenti avvengono nel 1943 a Detroit ove si era
verificata in quegli anni una consistente concentrazione di operai neri.
AI termine degli scontri si contano 34 morti di cui 25 neri.

Sul fronte musicale c'è da segnalare la massiccia diffusione dello swing attraverso la radio ed i
"V disc" cioè i dischi prodotti in America per la quinta armata in Europa. A causa di un
lunghissimo sciopero del sindacato americano dei musicisti, che rivendicava un migliore
trattamento economico dei "turnisti" e dei compositori di studio, i "V disc" rimangono
praticamente l'unico esempio su disco del miglior jazz degli ultimi anni di guerra.

L'Europa, che aveva avuto modo di conoscere appena la musica d'oltreoceano nel corso delle
tournée dei primi anni trenta dei grandi jazzisti come Ellington e Armstrong, ora può
immergersi completamente nella musica americana, scoprendo soprattutto il jazz edulcorato di
Glenn Miller ma anche, sebbene in misura minore, le esperienze delle orchestre e dei solisti
neri (Coleman Hawkins, Fatz Waller, Art Tatum, Lester Young, Count Basie, Duke).

Proprio con la morte di Glenn Miller nel 1944, anno dello sbarco in Normandia, si fa
coincidere anche la fine dello swing e l'inizio del nuovo corso musicale rivoluzionario: il bebop.

Già da qualche mese infatti suonavano stabilmente nei locali della 52a strada di New York
alcuni musicisti neri come il trombettista Dizzy Gillespie e il bassista Oscar Pettiford, il
pianista Thelonious Monk, il batterista Kenny Clarke e lo straordinario sassofonista Charlie
Parker.

A dir la verità parecchi di loro si esibivano già dal 1940, anno di riapertura del mitico
MINTON'S (jazz club della 118a strada ovest di New York), nel corso di interminabili jam a
notte tarda, quando i musicisti erano ormai in libera uscita dai "gigs" commerciali.

Molti di loro provenivano dalla big band di Earl Hines come Gillespie, Benny Harris, Benny
Green e Charlie Parker (che suonava originariamente il sax tenore). L'orchestra di Hines di
quegli anni eseguiva già alcune composizioni bebop come Salt Peanuts, ma purtroppo non ci
ha lasciato documentazioni discografiche.

L'effetto causato sul mondo musicale è straordinario anche se, inizialmente, il pubblico è
formato soprattutto da colleghi musicisti vogliosi di capire i meccanismi di quella musica
indiavolata.

I brani privilegiano dei tempi fast a velocità di metronomo inconcepibili fino a qualche anno
prima; i temi, quasi sempre songs in 32 misure o blues ampiamente rivisitati, sono eseguiti
all'unisono da tromba e sax all'inizio e alla fine del brano, mentre durante l'esecuzione si
alternano gli assoli dei vari solisti sulla forma ciclica della canzone (AABA oppure ABAC)

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Di seguito si riassume brevemente lo schema "standard" di un brano di 32 misure di forma
canzone AABA secondo l'esecuzione bop.

• Esposizione del tema all'unisono (32 misure AABA)


• Assolo di sax alto (open su AABA)
• Assolo di tromba (open su AABA)
• Assolo di pianoforte (open su AABA)
• Assolo di contrabbasso (open su AABA)
• Scambi dei solisti con la batteria
• Esposizione del tema finale

Naturalmente lo schema può essere modificato introducendo breaks, assoli di batteria sul
chorus o liberi, parti soliste, introduzioni e code.

Per quanto riguarda gli scambi con la batteria essi possono avvenire in vari modi. A questo
proposito occorre tener presente alcune indicazioni generali:

• lo scambio è una sorta di dialogo, solitamente di 4 o 8 misure, tra i solisti e la batteria


(bisogna quindi rispettare la successione degli accordi). Gli interventi della batteria sono
intesi come improvvisazioni melodiche su progressioni armoniche (si ascoltino a tal
proposito gli scambi suonati da Kenny Clarke o Max Roach).

• lo scambio viene solitamente lanciato da uno strumento a fiato. Vale a dire che le prime
4 o 8 misure dello scambio sono suonate dal sax o dalla tromba. In questo modo le
ultime misure di scambio sono automaticamente suonate dalla batteria che lancia così a
sua volta l'esposizione dell'ultimo tema (Es. 20).

• nel caso si utilizzi una struttura blues di 12 misure bisogna tener presente che lo
scambio di quattro misure porta ad avere la batteria come ultimo strumento solista solo
su di un numero pari di chorus (2 - 4 - 6 - 8 ecc.).

Gli scambi sul blues possono anche essere di 12 misure oppure di 4 + 8.

19
In questo modo la batteria è sempre l'ultimo strumento solista anche su un un numero dispari
di giri.

Sul versante strettamente pianistico il primo musicista che si


presenta sul palcoscenico del MINTON'S nel 1941 è Thelonious
Monk. Nato nel 1917 nella Carolina del Nord, si trasferisce a New
York ancora bambino imparando a suonare nei rent parties di
Harlem e nelle chiese insieme alla madre.

Sebbene Monk sia considerato uno tra i boppers della prima ora, in
realtà ha seguito fin dagli inizi una strada personale ed autonoma
che non ha praticamente mai modificato sotto il profilo stilistico nel
corso del tempo. Analizzando attentamente il suo solismo in un
contesto di gruppo possiamo notare che è molto differente dagli
stilemi boppistici di Powell, Gillespie e Parker. Quando invece
suona da solo spesso si affida allo stride alla James P. Johnson
che modifica e arricchisce con accordi dissonanti.

La nota etichetta discografica "Blue Note" s'interessa a Monk solo nel 1947 proponendogli un
contratto discografico per alcune incisioni in sestetto e in trio. La sua
musica non incontra però molti estimatori e così le sue apparizioni in
pubblico diventano meno frequenti.

Tra il 1951 e il 1957 Monk smette addirittura di suonare a New York


perché sprovvisto del permesso di polizia (cabaret card). Il lungo esilio
forzato è interrotto nel 1954 da un apprezzatissimo concerto a Parigi
al Salon du jazz seguito da incisioni per l'etichetta Swing (riedite dalla
Vogue). Nel 1955 passa alla nuova etichetta indipendente "Riverside"
gestita da due tra i più importanti produttori discografici del jazz (Bill
Grauer e Orrin Keepnews). Monk si cimenta con il repertorio
ellingtoniano a fianco del batterista Art Blakey (con cui suonerà
successivamente nei Jazz Messengers) ottenendo però degli esiti
inferiori al suo grande talento. Solo dall'anno successivo Monk può finalmente proporre la sua
musica e riavere il permesso per suonare nei clubs.

Si giunge così al periodo caldo e concitato dell'hard bop dove Monk ha modo di mettere in
mostra quattro tenoristi di altissimo livello e cioè: John Coltrane, Sonny Rollins, Johnny
Griffin e Charlie Rouse (che diventerà poi il miglior interprete dell'estetica monkiana per
molti anni). Anche nel periodo hard, Monk mantiene una posizione anomala, assolutamente
priva dei cliché in voga al momento, ma perfettamente in linea con la lucida e originale cifra
espressiva già delineata fin dagli inizi.

Monk ha inoltre rivoluzionato il repertorio jazzistico regalando. alla storia del jazz delle
composizioni di rara bellezza. Ricordiamo, tra le sue composizioni più famose: Round About
Midnight, scritta a soli 18 anni, Well you needn't, Ruby my dear, Ask me now,
Crepuscule with Nellie, Pannonica e i blues Straight no chaser e Blue Monk.

Pianisticamente parlando, Monk è sicuramente innovativo sotto il profilo ritmico per l'arditezza
delle soluzioni e il senso dello spazio nobilitato da un sapiente uso del silenzio. Anche

20
l'approccio tecnico a dita piatte, che gli ha causato non poche critiche, in realtà è voluto per
ottenere una sonorità particolare quasi scampanante che si fonde perfettamente con gli effetti
dissonanti degli accordi.
Monk è stato inoltre criticato per le soluzioni armoniche che si diceva derivassero da "errori
esecutivi". Oggi, purtroppo molti anni dopo la sua scomparsa (Monk è morto nel 1982 dopo
quasi dieci anni di assenza dal palcoscenico), si può valutare pienamente la ricchezza armonica
del pianista, la novità delle progressioni adottate, la perfezione ritmica delle scomposizioni
oltre al lirismo delle melodie considerate tra le più belle in assoluto.

Come per altri grandi come Ellington, Mingus, Parker, Coltrane, anche in Monk si assiste ad
una completa fusione delle componenti armoniche, compositive, melodiche e strumentali.
Anche la tecnica pianistica, tanto denigrata, risulta perciò perfettamente funzionale al progetto
musicale complessivo.

Nell'esempio che segue possiamo notare alcune caratteristiche del pianismo di Monk come
l'uso delle dissonanze degli accordi di dominante con la quinta diminuita (batt. 2, 6, 13); le
scale a toni interi (batt. 6, 7, 8, 9); le seste parallele (batt. 3); l'utilizzo di posizioni "scarne"
della mano sinistra spesso a sole due note (arricchite dai toni ornamentali della melodia); lo
"zoppicare" ritmico della melodia (batt. 6, 7).

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Facciamo ora un passo indietro e torniamo agli albori del bebop ed a suoi protagonisti.

Nei primi anni quaranta si presenta al Minton's un pianista diciassettenne amico di Monk: Bud
Powell.

Il suo stile è ancora in via di definizione e così nessuno bada più di tanto a quel ragazzo che,
tra l'altro, si comporta in modo ombroso e schivo. Dopo qualche anno trascorso con Cootie
Williams, Powell ricompare a New York nel 1946 e questa volta si fa apprezzare da tutti i
santoni del bebop e soprattutto dal musicista di punta del momento: Dizzy Gillespie.

Fino al 1953 Powell suona in modo fantastico sebbene le esibizioni talvolta debbano essere
interrotte dai suoi problemi psichici che lo obbligano a lunghe degenze ospedaliere.

Sono di quegli anni le famose sedute in trio per la Blue Note (The
Amazing Bud Powell) in cui Powell mette in mostra il nuovo stile
bebop del pianoforte.

A differenza di Monk, che cura l'aspetto verticale della musica


anche nello sviluppo melodico, Powell suddivide abbastanza
nettamente il ruolo delle due mani.
In altre parole nel lavoro della
destra si nota il senso orizzontale
(cioè melodico) dell'improvvisazione
quasi sempre a single notes, nella
sinistra quello armonico.
Per questo motivo lo stile di Powell è stato associato a quello
sassofonistico di Parker, così come si parlò in passato di trumpet
style per Hines.
Nonostante le similitudini e le reciproche influenze derivate da
lunghe collaborazioni con il celebre sassofonista, Powell
introduce nelle improvvisazioni alcuni elementi tipicamente
pianistici come la rapidità di certi passaggi difficilmente
eseguibili con il sax o il fraseggio derivato da posizioni
caratteristiche del piano. Powell, inoltre, ha un senso della
costruzione della frase molto personale e nuovo. Il periodo
infatti si sviluppa spesso a cavallo di più battute spostando in questo modo il senso metrico. Si
ascolti a questo proposito il seguente solo di Bud Powell tratto dal brano Parisian
Thoroughfare.

File Audio - Parisian Thoroughfare (MP3 259KB)

La mano sinistra usa posizioni scarne, spesso di due sole note (shell), che intercala
ritmicamente con strappi ed accenti molto incisivi che si collocano spesso nei "respiri della
frase".
Powell inaugura inoltre la strada "nera" del trio pianistico moderno a cui si contrapporrà più
tardi quella "bianca" di Bill Evans.

Nel trio di Powell il pianoforte fa la parte del leone e viene accompagnato dal contrabbasso e
dalla batteria che assicurano continuità ritmica con un solido walking bass, nel trio bianco,
come vedremo più avanti, i tre strumenti hanno ruoli paritari nell'economia complessiva del
gruppo.

Anche il concetto di interplay, cioè di dialogo tra musicisti è perciò differente: nel trio nero gli
spazi e le componenti di dialogo sono più ristrette e nascoste e perciò i musicisti della ritmica
possono giocare sulle dinamiche e sull'incastro ritmico che diventa quasi simbiotico. Il
pianoforte resta comunque lo strumento leader che determina i vari tipi di situazioni che si
vengono a creare.

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Nel trio alla Evans i contributi musicali sono di tutti e tre gli strumenti, con
affioramenti ora del basso, ora del piano o della batteria. Spesso i musicisti
improvvisano in contemporanea lasciando il metro ritmico nell'aria. In altre
situazioni i tre strumenti suonano per contrasti. Ad esempio: mentre il pianoforte
swinga in quattro sul tempo, il basso e/o la batteria spezzano la continuità del
beat per poi riallacciarsi al walking solo per poche battute ecc.

Quando Powell suona da solo vengono maggiormente alla luce le sue influenze
come il preludiare alla Tatum, l'incedere stride alla P. Johnoson o ancora, l'uso di
dissonanze e scale, in stile tipicamente monkiano.

Powell è stato inoltre influenzato da Hines e da un altro pianista, meno noto, ma ugualmente
importante che militava nel sestetto di John Kirby, Billy Kyle. Powell sostituì Kyle nel 1946
cercando inizialmente anche di imitarlo per potersi inserire meglio nel gruppo.

Tra gli altri pianisti importanti del bebop bisogna ricordare Tadd Dameron che contribuì non
poco alla riscrittura di nuovi motivi sulle progressioni armoniche di noti songs (Hot House è
una ristrutturazione di What is this thing called love di Cole Porter) oltre alla composizione di
brani originali come Ladybird.

Dodo Marmarosa appartiene ad una lunga schiera di pianisti italo-americani in mostra nel
periodo bebop, Al Haig ha suonato spesso con Parker e Gillespie, così come Barry Harris e
John Lewis che, insieme ad un altro bopper della prima ora, Milt Jackson, formerà più tardi
il Modern jazz Quartet.

Ritchie Powell, fratello di Bud, morì giovane mentre riscuoteva un meritato successo con il
gruppo di Max Roach e lo straordinario trombettista Clifford Brown.

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Capitolo 5: Jazz bianco e nero

Spenta l'euforia dell'immediato dopoguerra, calato definitivamente il sipario sulla musica swing
delle grandi orchestre, il jazz vive un momento di riflessione.
Le concezioni rivoluzionarie del bebop ed il ritorno alla dimensione artistica del jazz, dopo la
lunga parentesi commerciale, necessitano infatti di un po' di tempo per poter essere accettate
dai musicisti e dal pubblico.
La riflessione avviene perciò con molta calma e relax anche se, in verità, occuperà un arco di
tempo abbastanza breve con un culmine nel 1949.
Il movimento musicale viene denominato cool jazz, non tanto per sottolineare il distacco degli
esecutori, soprattutto bianchi, quanto per evidenziare la giustezza del suono, del clima
musicale, delle esecuzioni rilassate. In inglese, infatti, quando si afferma che una cosa va
bene, cioè che è perfettamente calata nel contesto giusto, si dice "It's cool". Da qui deriva,
molto probabilmente, la denominazione del jazz di quegli anni.

Il cool jazz si afferma soprattutto grazie ad un cospicuo gruppo di musicisti bianchi, capeggiato
dal pianista italo americano Lennie Tristano, e ad uno meno numeroso, ma non per questo
meno importante, di neri comprendente Miles Davis e il pianista John Lewis.
Altri importanti musicisti si muovono nella west coast come il pianista bianco Dave Brubeck
che anticipa di qualche anno lo stile californiano di Shorty Rogers, Shelly Manne, Art
Pepper e il pianista nero Hampton Hawes.
Il fulcro però rimane ancora una volta New York ove, oltre a Tristano, Davis e Lewis, operano
l'arrangiatore e pianista Gil Evans e il sassofonista Gerry Mulligan.

Intorno a Tristano si forma una vera e propria scuola musicale e di pensiero che ha nei
sassofonisti Lee Konitz e Warne Marsh, nel chitarrista Billy Bauer, nel bassista Arnold
Fishkin e nel clarinettista John La Porta, i principali esponenti.

Nella musica di Tristano e dei suoi gruppi emergono pienamente i caratteri di questo stile che
si contraddistingue più per l'approccio sonoro e le procedure musicali adottate che per le novità
solistiche.

Il gergo improvvisativo è, infatti, di derivazione boppistica con un grande uso di cromatismi e


di accordi alterati anche se, alla tumultuosità parkeriana, viene preferìto l'approccio di Lester
Young: suono pulito, fermo, senza vibrato.

A differenza del bebop, la musica di Tristano è inoltre più legata a


stilemi "classici" quasi "bachiani" che alla dimensione bluesy di
Parker. Il pianista usa spesso il contrappunto sia nel lavoro delle
due mani sul pianoforte sia in quello dei solisti del suo gruppo,
oltre ad alcuni movimenti fugati di stampo europeo. Quando suona
da solo sfrutta spesso la tecnica a due voci distinte: la destra
disegna audaci linee melodiche, la sinistra sostiene il beat
improvvisando il walking bass.
In altre parole adotta la tecnica dell'invenzione a due voci di
bachiana memoria che, proprio per gli ampi spiragli armonici
lasciati dalle parti, conduce l'improvvisazione in terreni al confine
della tonalità.
Si ascolti a questo proposito il disco Descent into the Maelstrom che raccoglie parecchie
incisioni storiche di Tristano tra il 1951 e il 1966.
Nell'opera di Tristano inoltre viene valorizzata la chitarra, sia come strumento vero e proprio
sia nell'approccio stilistico, che il pianista spesso adotta nelle sue improvvisazioni per sola
mano destra o sinistra nel registro medio-basso della tastiera (è esemplare l'assolo su Line Up
del 1955).

Tristano adotta inoltre alcuni artifici di registrazione come il multitaping e l'accelerazione del
nastro che gli causano non poche critiche. In realtà i trucchi tecnici, realizzati in modo così
evidente da fugare ogni dubbio di contraffazione, servono, ancora una volta, per ottenere una

24
sonorità particolare (in Line Up il pianoforte ha una sonorità da quarto di coda con pedale del
piano sempre schiacciato). I

La definitiva consacrazione del nuovo stile avviene comunque nel 1949 ad opera di un
musicista di colore, Miles Davis, che, dopo la parentesi formativa con Parker, si butta a
capofitto nelle nuove sonorità cool, a lui particolarmente congeniali. È di
quell'anno infatti Birth of the cool, il disco manifesto dell'estetica cool,
registrato con una formazione allargata (nove elementi) in cui sono raccolti
i principali solisti del momento, Gerry Mulligan, Lee Konitz, Gunther
Schuller, John Barber e i boppers J.J. Johnson, John Lewis, Kenny
Clarke, Max Roach sempre disponibili a sperimentare nuove soluzioni.

Il fatto comunque più rilevante, oltre all'approccio rilassato dei solisti e la


sonorità pura e cristallina del gruppo, è il peso consistente degli
arrangiamenti di Gil Evans, Gerry Mulligan e John Lewis (oltre all'apporto non indifferente
di John Carisi e dello stesso Davis). Già in passato infatti, nella swing era, la figura
dell'arrangiatore era ben presente anche se rimaneva sempre in sordina, dietro le quinte. La
parte del leone infatti veniva recitata, sempre e comunque, dal solista che attirava l'attenzione
del pubblico. Ora invece il lavoro dell'arrangratore viene valorizzato alla pari degli altri
musicisti di spicco della band. Solo questo la dice lunga sulla nuova concezione musicale
basata su un sapiente controllo della partitura e dell'improvvisazione.

A ben vedere si tratta di un procedimento molto vicino alla tradizione classica europea pur in
presenza di un elemento basilare del jazz: l'improvvisazione. La ritmica è di impostazione
boppistica in cui spiccano i pianisti John Lewis e Al Haig ed i batteristi Max Roach e Kenny
Clarke, anche se i musicisti neri si adeguano al clima rilassato dell'esecuzione ponendosi
quindi in modo diverso rispetto ai solisti e alla musica. Nel bebop, infatti, la ritmica interagisce
in modo più accentuato col lavoro degli improvvisatori, sottolinenando la dimensione
poliritmica di retaggio africano.
Qui, anche nei pezzi più mossi come Move e Budo , piano, basso e batteria badano a
mantenere una regolare scansione del tempo con una attenzione particolare ai background
orchestrali che si insinuano tra gli assoli.

Il suono caldo e ovattato della band (denominata Tuba Band, proprio per la presenza
dell'ingombrante ottone) è comunque voluto da Gil Evans che già in passato con l'orchestra di
Claude Thornhill aveva sperimentato l'impasto tra sax, ottoni ed il corno francese. Il risultato
è originalissimo e si sposa in pieno con gli elementi compositivi, armonici e solistici.

Un altro elemento innovativo è l'utilizzo di metri differenti. Il tema di Jeru si sviluppa secondo
una forma canzone AABA. Le prime due sezioni sono di 8 battute mentre il bridge è di 12
misure così composto:

1 misura in 4/4; 1 in ¾; 1 in 2/4; 4 in ¾; 1 in 6/4; 4 in 4/4

File Audio (MP3)

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La ripresa dell'ultima sezione del primo tema è di 9 battute (contro le otto del tema iniziale).

Il solo di Davis si snoda in 32 misure, segue un interludio di 9 battute ritornellate (4 battute in


¾; 1 in 2/4; 4 in 4/4).

L'intervento successivo di Mulligan è di 16 battute per concludere con un nuovo tema ancora in
forma canzone AABA. Le sezioni A di questo tema sono quindi diverse da quelle iniziali non solo
nello sviluppo melodico ma anche nelle progressioni armoniche. Il bridge è lo stesso del tema
iniziale (con l'intervento solistico di Davis nelle ultime quattro battute).

L'ultima sezione di otto misure è seguita da una coda di 5 battute.

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File Audio (MP3)

La stagione del cool jazz si sviluppa, sebbene con caratteri propri e differenti, anche nella west
coast che fino a quel momento non aveva dato un contributo significativo allo sviluppo del jazz
moderno.

Oltre al già citato pianista Dave Brubeck, che si interessa all'improvvisazione su tempi dispari
(5/4, 7/8), si forma intorno al trombettista Shorty Rogers un nucleo molto interessante di
musicisti, quasi tutti bianchi, ad eccezione del pianista nero Hampton Hawes.
Tra essi ricordiamo il batterista Shelly Manne, il clarinettista Jimmy Giuffrè, il sassofonista
Art Pepper.

Gerry Mulligan inoltre lascia New York nel 1952, per trasferirsi in California dando vita ad un
famoso quartetto "pianoless" in cui militano il trombettista Chet Baker e il batterista Chico
Hamilton.

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Per quanto riguarda il pianoforte californiano la figura di Hawes rimane ancora oggi molto
significativa. Hawes, scomparso nel 1977, ha la sua prima importante esperienza con Charlie
Parker con cui si esibisce nel corso del tour californiano del sassofonista. Il contatto è
fulminante. In breve Hawes scopre, attraverso Parker, lo stile di Bud Powell che personalizza
grazie ad un ottimo senso ritmico ed una propensione naturale al blues.
Verso la metà degli anni cinquanta Hawes forma un trio, con il bassista Red Mitchell e il
batterista Chuck Thompson, i cui dischi ottengono un grande successo. Hawes introduce più
tardi nel gruppo il chitarrista Jim Hall e il bassista Scott La Faro che già agli inizi fa
intravedere le nuove concezioni strumentali sviluppate nel trio di Bill Evans.

Negli anni cinquanta l'unico gruppo che continua a portare avanti l'estetica cool è il Modern
Jazz Quartet del pianista John Lewis.
Partito dal bebop con Parker e Gillespie, Lewis approda verso il finire degli anni quaranta al
cool jazz di Davis ed Evans di cui condivide e sviluppa in pieno le idee. Dotato di un tocco
molto elegante, derivato da una posizione rotonda delle dita ed il polso basso (la posizione
ideale per suonare Bach), Lewis studia approfonditamente il repertorio classico, soprattutto
quello barocco, che introduce attraverso vere e proprie fughe e contrappunti. Il quartetto inizia
l'attività nel 1952 ma incide solo due anni più tardi, dando vita ad una carriera ricca di
successi ed apprezzamenti.

Un pianista nero assolutamente originale affermatosi nel secondo dopoguerra è Erroll Garner.
Sebbene abbia suonato parecchio con i boppers, lo stile di Garner è difficilmente assimilabile
ad un genere particolare. Come Monk, Garner ha una sua cifra personale molto caratteristica
basata sulla sintesi tra il pianoforte jazz classico e l'idioma del bebop.
In lui si riconosce, ad esempio, la lezione di Fats Waller (decime, stride...) così come il
fraseggio a single notes appreso dal concittadino Dodo Marmarosa (sono entrambi di
Pittsburg).
Ma la caratteristica più evidente di Garner è il leggero sfasamento dato alle due mani, per cui
mentre la sinistra scandisce i quarti, la destra disegna delle figure melodiche leggermente
indietro rispetto al beat.
Garner è inoltre uno specialista dei block chords così come del "trumpet style" di Hines (anche
lui di Pittsburg) che introduce spesso nelle sue improvvisazioni.

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Capitolo 6: Gli anni cinquanta

Gli anni cinquanta rappresentano un periodo di grandi cambiamenti sotto il profilo sociale,
artistico e politico da cui il jazz viene investito in pieno creando i presupposti della rivoluzione
free del decennio successivo.
Gli americani vivono in Corea la scottante esperienza di
un'altra guerra fuori dai confini mentre in patria respirano
aria di repressione (è il periodo della famosa "caccia alle
streghe").
I movimenti culturali e di pensiero non rimangono
comunque inattivi. AI contrario interpretano il malumore
diffuso esprimendo lo attraverso forme assolutamente non
convenzionali: la pittura gestuale di Pollock, le vite
spericolate di James Dean e Marlon Brando, la poesia e la
narrativa "contro" di Kerouac, Ginsberg, Ferlinghetti.
È del 1955 la protesta di Rosa Parks: una tranquilla donna
di colore che aveva commesso il "grave errore" di sedersi
nella zona di un autobus riservata ai bianchi.
Da quell'episodio apparentemente marginale scaturisce un
colossale boicottaggio dei neri, capeggiati da Martin Luther
King, nei confronti della compagnia di autobus che arriva
sull'orlo del fallimento.
Nel sud i bianchi reagiscono violentemente con spedizioni punitive del Ku Klux Klan, spesso
supportate dalla polizia e dalle istituzioni locali.
Il presidente Eisenhower manda persino le truppe federali a Little Rock ove era stato vietato
l'ingresso ai bambini neri nelle scuole. In tutta risposta il governatore Faubus, irritato
dall'ingerenza federale, decide di chiudere durante l'anno scolastico
1958/1959 tutte le scuole regalando così ai bianchi una lunga
vacanza ma negando di fatto ai neri uno dei più elementari diritti.

L'ondata di proteste è immediata e durissima nonostante l'esempio


pacifista di Luther King. In ogni settore si levano echi di dissenso che
coinvolgono anche la musica. Charles Mingus (Nogales, AZ 22 apr 1922 -
Cuernavaca, Mexico 5 gen 1979) dedica provocatoriamente una suite ai fattacci
di Little Rock, la famosa Fables of Faubus.

Gli anni cinquanta sono anche gli anni della beat generation e del rock
and roll nato dall'esperienza del rhythm & blues ma ispirato anche dal
country (hillybilly) bianco. Il massimo esponente dal r'n'r' è Elvis
Presley a cui si affiancano, sul versante nero, Little Richard, Chuck
Berry, Fats Domino e Ray Charles. Il look anticonformista e trasgressivo della nuova musica
è in grado di coinvolgere anche le fasce sociali moderate che pur vivono il clima di malessere
generale non condividendo i comportamenti estremisti dei beatniks. Elvis Presley è la figura di
riferimento più importante per tutte le generazioni grazie alla sua capacità di essere
trasgressivo ed incarnare al tempo stesso l'immagine dominante del "self made man"
americano.

Il jazz, dopo la breve ma pur significativa parentesi cool, vive uno dei periodi più fecondi della
sua storia. In particolare il pianoforte, nell'arco di circa dieci anni, vede nascere e affermarsi un
consistente numero di musicisti importanti per lo sviluppo moderno dello strumento.

Il punto di partenza è il bebop, rivisto e corretto in chiave molto dura e aggressiva, in linea
con il clima di quegli anni, in cui si riconosce sempre la matrice fondamentale del blues pur in
chiave più ritmica e marcata: funky appunto. Sono gli anni del cosiddetto hard bop che vedono
l'affermazione dei gruppi del trombettista Clifford Brown (Wilmington, DE 30 ott 1930 - Pennsylvania, 26
giu 1956), del batterista Art Blakey (Abdullah Ibn Buhaina: Pittsburgh, 11 ott 1919 - New York, 16 ott 1990) con i
suoi Jazz Messengers e del pianista Horace Silver (Horace Ward Martin Tavares Silver: Norwalk, CT, 2
set 1928). Anche Miles Davis si appropria della nuova estetica dando vita ad alcune tra le

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formazioni più straordinarie della sua carriera.

Sebbene vicini al lessico improvvisativo hard bop, per la presenza di alcuni importanti solisti
del momento, si affermano negli anni cinquanta anche i gruppi di due compositori chiave del
jazz: il pianista Thelonious Monk e il contrabbassista (ma anche notevole pianista) Charles
Mingus.
La loro musica, come già detto in precedenza, è difficile da assegnare a questo o quello stile.
Si tratta di due esperienze completamente autonome e diverse che hanno lasciato un segno
indelebile nella storia della musica contemporanea costituendo nel contempo una scuola
musicale di altissimo livello per i musicisti degli anni cinquanta e sessanta.
La profondità armonica di Monk, ad esempio, influenza non poco i tenoristi del suo quartetto
che, proprio dopo l'esperienza con il pianista, mettono le ali di una fulgida carriera. Si tratta di
John Coltrane, Sonny Rollins e Johnny Griffin (John Arnold Griffin III: Chicago, IL, Apr 24 apr 1928)
senza dimenticare Charlie Rouse che rimane praticamente sempre nella sfera monkiana
anche dopo la morte del pianista.

Charles Mingus vive l'esperienza bebop a fianco di Parker, Powell e Gillespie ma un po' in
ritardo (1951) per mietere i successi della critica. Ciò nonostante è proprio per merito di
Mingus che nel 1953 a Toronto si riesce a costituire un formidabile quintetto composto da
Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Bud Powell, Max Roach e Charlie Mingus.
Il concerto viene considerato il canto del cigno del bebop, infatti da lì a poco morirà Charlie
Parker (1955) dopo un tremendo periodo di continue crisi e ricoveri ospedalieri.

Mingus è molto attivo anche sul versante discografico (è del 1952 la costituzione con Max
Roach della etichetta autogestita Debut) e della ricerca compositiva.

Nel 1953 dà vita ad una serie di concerti/laboratorio


denominati JAZZ WORKSHOPS, e più avanti JAZZ COMPOSERS
WORKSHOPS, in cui incomincia a sperimentare le forme aperte
ed organici anomali (ad esempio quattro tromboni). È
comunque nel 1956, con la pubblicazione dell'album
Pithecanthropus Erectus, che viene realizzata la prima
grande opera del periodo maturo di Mingus. Il brano che dà il
nome al disco è una suite in quattro movimenti in cui vengono
messe in luce le qualità dei suoi solisti, secondo una filosofia
che lo accompagnerà sempre nella sua ricca produzione.
Al sax alto c'è l'originalissimo Jackie McLean (John Lenwood
McLean, Jr: New York, 17 mag 1932), mentre al pianoforte siede il
pianista nero Mal Waldron che si era già fatto le ossa come raffinato accompagnatore della
cantante Billie Holiday.
Il batterista Dannie Richmond (Charles D. Richmond: New York, 15 dic 1935) inizia in quegli anni una
lunghissima collaborazione con Mingus (gli sarà a fianco fino alla sua morte avvenuta nel
1979) caratterizzata da un interessante ed originale approccio ritmico (cambi di tempo,
esecuzioni in rallentando o accelerando). Alla fine degli anni cinquanta Mingus registra alcuni
album di grande valore come Tijuana Mood, Blues and Roots, Mingus Ah Um, anche se il
grande successo giunge solo nel 1964 durante una leggendaria tourneè in Europa. Nel suo
gruppo ora ci sono i sassofonisti Eric Dolphy e Clifford Jordan, il trombettista Johnny
Coles, Dannie Richmond, ma soprattutto il pianista nero Jaky Byard (John A. Byard, Jr.:
Worcester, MA, 15 giu 1922 - Queens, NY, 11 feb 1999).
Byard infatti è il pianista che meglio di altri si adatta alla sintesi mingusiana. Ottimo esecutore
stride (di cui sfrutta la tecnica a decime con l'aggiunta della settima di Tatum), Byard fonde in
uno stile originale il fraseggio serrato del bebop, la tecnica delle scale modali e i clusters della
musica contemporanea e del free jazz. Byard è inoltre un ottimo compositore ed arrangiatore
le cui qualità possono essere pienamente apprezzate nella sua big band e nel gruppo
Experience insieme al multisassofonista Roland Kirk (Ronald T. Kirk: Columbus, OH, 7 ago 1936 -
Bloomington, IN, 5 dic 1977).

Sulla linea di Byard si colloca molto più recentemente negli anni settanta il pianista Don

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Pullen (Don Gabriel Pullen: Roanoke, VA, 25 dic 1941 - East Orange, NJ, 22 apr 1995). Anche lui
nell'improvvisazione sintetizza bop e free, conferendo molta energia alle interpretazioni. Pullen,
a differenza di Byard, non utilizza lo stride piano ma suona, in altri contesti e con grande
maestria, l'organo Hammond. Pullen sfrutta la pedaliera dei bassi doppiandoli all'unisono con la
mano sinistra. Tale tecnica, proprio per le grosse difficoltà tecniche, è utilizzata da pochissimi
specialisti.

Per quanto riguarda l'hard bop il pianista che più di altri


rappresenta l'estetica degli anni cinquanta è Horace
Silver. La sua figura è associata solitamente a quella
del batterista Art Blakey con cui, a partire dal 1952,
ha dato vita alla celebre formazione dei Jazz
Messengers. Silver riveste un ruolo determinante nel
gruppo: è direttore musicale oltre che autore di gran
parte del repertorio, quindi dipende da lui l'indirizzo
stilistico dei Messengers.
A differenza del bebop, considerato di difficile
comprensione, la musica di Silver assume caratteri più
immediati sia sotto il profilo ritmico che armonico, con
un riferimento costante alla musica gospel e blues.
Proprio per questa immediatezza e per la sonorità scura del sax tenore, che si impone proprio
negli anni dell'hard bop, la musica viene denominata funky.
Inizialmente il termine è inteso dai bianchi in senso dispregiativo. Nello slang newyorkese
infatti viene usato per denominare qualcosa di maleodorante in riferimento alla comunità nera
dei sobborghi e dei ghetti. Naturalmente i musicisti, in virtù del clima repressivo degli anni
cinquanta, non si fanno scappare l'occasione per utilizzare il termine in senso provocatorio e
così la musica funky si diffonde a macchia d'olio.

Sotto il profilo armonico, sebbene Silver sia un profondo conoscitore dell'armonia boppistica,
che arricchisce ulteriormente con l'uso di none, undicesime e tredicesime, preferisce
progressioni semplici: solitamente fondamentali, sottodominanti e dominanti. Anche il
riferimento al blues vìene personalizzato, infatti Silver è solito suonare degli intervalli minori
invece di aggirare la melodia con le blue notes.

Questa consuetudine oltre a dare vita a vere e proprie composizioni in tonalità minore
consente una rapida diffusione dello schema del blues minore che avrà un ruolo particolare nel
jazz modale di Coltrane. Vediamo la struttura.

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I brani di Silver, come già detto, adottano spesso progressioni semplici, talvolta si tratta di
triadi e accordi di settima, derivate dai gospels.

Oppure, come in Senor Blues, introduce il tempo latino in 6/8 in cui la mano sinistra del piano
si incastra con gli accordi della destra e lo sviluppo tematico.

Anche la struttura armonica del brano (in minore) anticipa di qualche anno le procedure modali
di Davis (So What). Infatti gli accordi vengono mantenuti per un numero ripetuto di battute
consentendo perciò all'improvvisatore di muoversi con maggiore libertà sulle scale. Senor blues
è del 1956.

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Silver collabora in quegli anni anche con Davis in alcuni takes per l'etichetta Prestige.

Doxy: File Audio (MP3 271KB)


Tratto da Bag's Groove (Pres. LP7109)
NYC, 24 dic 1954

Altri pianisti, influenzati dalla tradizione swing ed, in parte, dal bebop trovano proprio negli
anni cinquanta la definitiva affermazione. Oltre al già citato Oscar Peterson, unico grande
erede della tradizione di Tatum, ha un grande successo il pianista e cantante Nat King Cole,
l'eclettico Ray Bryant (Raphael Bryant: Philadelphia, PA, 24 dic 1931) (è molto interessante e complesso
il suo uso della mano sinistra) e Phineas Newborn (Whiteville, TN, 14 dic 1931 - Memphis, TN, 26 mag
1989), che, tra gli altri, collabora anche con Mingus.

Particolarmente significativa ed innovativa è la figura di Ahmad Jamal (il cui vero nome è
Fritz Jones). In primo luogo introduce un uso "ritmico", più che armonico, della mano sinistra
mentre la mano destra privilegia spesso il registro alto della tastiera. Inoltre rivoluziona il
concetto di trio nero alla Powell dando maggiore libertà alla sezione ritmica. In altre parole in
lui sono presenti tutti quegli elementi che verranno poi sviluppati da Bill Evans e Herbie
Hancock.

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Capitolo 7: Bill Evans e i pianisti di Davis
Anche durante l'hard-bop Miles Davis ricopre un ruolo decisivo. Dopo le atmosfere morbide
della tuba band il trombettista rimane folgorato dall'energia dei nuovi boppers decidendo così
di aggiornare lo stile alle tendenze del momento. Il suo gruppo diventa vibrante e vigoroso
grazie al sanguigno tenorista John Coltrane e, più tardi, al sax alto di Julian Cannonball
Adderley, oltre alle straordinarie sezioni ritmiche di quel periodo d'oro.

Che Davis sapesse ben scegliere i suoi partners musicali non era una novità eppure, nel
periodo 1955-1963, Miles mostra di avere un fiuto particolare nella scelta dei pianisti del suo
gruppo.

Personalità improvvisativa, ottimo senso dello swing, passione per la ricerca e sperimentazione
e, soprattutto, doti fuori dal comune come accompagnatori, sono solo alcune delle
caratteristiche dei suoi pianisti che, proprio dopo l'esperienza con Davis, prenderanno slancio
per brillanti carriere personali.

Nel 1955 è la volta di Red Garland che, con Paul Chambers al basso e Philly Joe Jones
alla batteria, costituisce la sezione ritmica del quintetto prima e del sestetto poi, con
Cannonball.

L'intesa del gruppo è perfetta, i ruoli sono definiti, così come l'organizzazione e
l'arrangiamento dei brani. Davis nelle ballads utilizza spesso la stessa formula che consiste in
una esposizione/variazione del tema, giocata sui chiaroscuri e sul bilanciamento ritmico tra
tempo lento e raddoppio, a cui segue l'improvvisazione sul corposo walking, degli altri solisti
(Coltrane o Garland).

L'esempio che segue è una magistrale interpretazione del 1956 appunto di una ballad: My
Funny Valentine.

L'esposizione del tema (in quattro quarti slow) è ampiamente rielaborata al punto che Davis
non affronta neppure la prima improvvisazione affidando il compito direttamente a Garland.
Davis inoltre non termina l'esposizione alla fine del tema ma "sfora" nelle prime quattro
battute del chorus del pianista che inizia ad improvvisare dalla quinta misura in tempo
raddoppiato. Dopo l'assolo di piano, della durata di un solo chorus, Davis riprende la
rielaborazione del tema partendo dal pedale posto alla diciassettesima battuta fino alla
conclusione, a corona, della melodia.

L'assolo di Garland è un capolavoro in miniatura, sia per varietà d'idee che per perfezione
esecutiva: lo stile è di derivazione bebop (si veda la citazione parkeriana alla misura 40/41)
condotto a single notes con moltissimi abbellimenti cromatici e fraseggi verticali. Infatti in
molti punti dell'assolo si possono capire chiaramente gli arpeggi della progressione.

La mano sinistra interviene poco nella frase, solo per suggerire alcuni accordi (eseguiti in
posizioni A e B), lasciando spazio al lavoro della ritmica, soprattutto del basso.

Proprio il senso dello spazio pervade l'intera esecuzione anche quando Garland accompagna
Davis, che lascia appositamente alcuni respiri per stimolare l'interazione della ritmica.

Tale concezione verrà ulteriormente accentuata nei gruppi degli anni '60, soprattutto nel
quintetto con Tony Williams, Herbie Hancock, Ron Carter e Wayne Shorter (o George
Coleman) sviluppando anche le possibilità di apertura ritmica.

Nella versione del 1956 Philly Joe Jones tiene saldamente il tempo dall'inizio alla fine,
mentre nel disco My Funny Valentine del 1964, Tony Williams lascia spesso il metro ritmico
nell'aria, suonando "sul" tempo ma spesso anche "contro" il tempo. In altre parole usa un
metro "interiore" di natura fisiologica, come può essere, ad esempio, il pulsare del cuore o di
altri organi vitali.

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File Audio (MP3)

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Red Garland è inoltre un ottimo improvvisatore con la tecnica a block chords .

Nel 1958 entra nel gruppo un giovane e brillante pianista che aveva da poco licenziato un
disco in trio molto apprezzato dalla critica e dai musicisti: Bill Evans.

Davis si accorge immediatamente che le nuove concezioni musicali di Evans, maturate nello
studio degli autori classici (Chopin, Debussy, Ravel), dei pianisti jazz (Tristano, Powell, Silver)
e delle nuove teorie modali di George Russell, possono essere funzionali al suo progetto
musicale e così lo ingaggia nel sestetto.

Con Evans, Miles può sperimentare il nuovo tipo di improvvisazione modale che applica
immediatamente ad alcune sue composizioni: So What, Milestones, All Blues.

La concezione modale presuppone che l'improvvisazione avvenga su una scala o un limitato


numero di scale per la durata di parecchie battute invece di spostare continuamente il centro
tonale mediante le modulazioni. In questo modo l'improvvisatore può avere molta libertà di
azione e decidere perciò di stare all'interno della scala o al di fuori, parzialmente o totalmente.
Naturalmente occorre che i musicisti siano disponibili a rischiare ascoltandosi attentamente ed
interagendo così reciprocamente.

Il disco "manifesto" della nuova improvvisazione modale collettiva è Kind Of Blue del 1959.
La formazione è composta da Davis, Coltrane, Adderley, Evans, Chambers e Jimmy Cobb
alla batteria. In un brano Wynton Kelly sostituisce Evans al pianoforte.

Nelle note di copertina del disco è lo stesso Bill Evans che spiega le modalità dei takes di
registrazione che sono avvenuti al "buio" senza cioè aver effettuato alcuna prova preventiva
del nuovo materiale.

Il primo brano, So What, è particolarmente significativo ed adotta la forma canzone AABA di


trentadue misure, ma in modo profondamente diverso.
La sezione A è infatti composta da otto misure basate sulla scala dorica di RE, la sezione B
sulla scala dorica di MI bemolle.

Il pianoforte accompagna il solista muovendosi abbastanza liberamente sulla scala mediante


accordi per quarte.

Nei So what voicings, la mano sinistra suona un accordo per quarte mentre la destra suona un
intervallo di terza (maggiore o minore a seconda dello sviluppo della scala). Tra le due mani c'è
un intervallo di quarta.

Naturalmente ci si può sbizzarrire ritmicamente usando dei side slipping cromatici.

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La dimensione del trio è comunque più congeniale a Bill Evans che lascia dopo meno di un
anno il posto a Wynton Kelly.
Nel 1959 Evans si unisce al giovane astro del contrabbasso Scott La Faro e al batterista Paul
Motian suonando ininterrottamente fino al 1961,. anno della tragica scomparsa di La Faro in
seguito ad un incidente automobilistico.

Il concetto dominante del trio è l'interplay cioè il dialogo interno tra i musicisti che
improvvisano collettivamente. La Faro abbandona spesso il walking bass a favore di linee
spezzate di contrappunto.

Paul Motian è apparentemente il musicista più ancorato al beat anche se, analizzando
attentamente la scansione del piatto sospeso, ci accorgiamo che la figurazione interagisce in
continuazione con basso e pianoforte.

Per quanto riguarda le novità armoniche, Evans porta al massimo sviluppo i voicings estesi ai
toni ornamentali, costruiti con l'omissione di tonica (cat. A, B, C) sovrapponendo triadi,
frammenti e accordi di quarta. (Si veda a questo proposito JAZZ vol.1 LPM 051). È
interessante anche notare il movimento interno ai voicings secondo una procedura
assolutamente nuova, di derivazione orchestrale, non ancora sviluppata fino a quel momento
dai pianisti bop.

Evans ama inoltre sfruttare spesso la dissonanza "stretta" della seconda minore che introduce
nei suoi voicings. La posizione C del voicings di settima maggiore viene perciò spesso sostituita
da una posizione B.

L'utilizzo degli intervalli di seconda minore si evidenzia ancor di più nei voicings a "frammenti".

Proprio queste posizioni consentono a Evans di spaziare con maggiore libertà


nell'improvvisazione

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Come visto nel primo volume, i voicings di cat. A, B, e C possono essere modificati e alterati
dando origine ad una serie di "posizioni equivalenti" molto interessanti per i riferimenti modali.

I voicings possono avere molteplici denominazioni e applicazioni, con il pregio, non


indifferente, di essere facilmente memorizzati.
Si analizzi il turnaround dell'Es. 40.

I primi tre voicings sono ricavati dalle rispettive scale lidie di dominante.

Per quanto riguarda la costruzione dei voicings, si noti che la mano sinistra suona dei voicings
di Cat. A la cui tonica sta un tono sopra (Db7#11 = Eb7 Cat. A; C7#11 = D7 Cat. A; B7#11 =
Db7 Cat. A).
La mano destra suona invece degli accordi per quarta. Tra la sinistra e la destra c'è un

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intervallo di quarta perfetta.
Le possibilità di manipolazione dei voicings sono infinite.

L'Es. 42 riguarda un voicing costruito sulla scala simmetrica 1-2 (semitono/tono).

La mano sinistra suona un voicing b9 derivato dalla posizione equivalente di una dominante di
Cat.B situata una terza minore sopra (C7 b9 = Eb7 Cat. B). Questo voicing viene detto anche
Hancock voicing (vedere JAZZ vol. 1 LPM 051).

La mano destra suona un voicing #9 derivato dalla posizione equivalente di una dominante di
Cat. B situata un tritono sopra (C7#9 = F#7 Cat. B).

Lo stesso voicing si sposta sulla scala simmetrica 1-2 salendo o scendendo per terze minori.
Date le equivalenze della scala simmetrica ogni combinazione viene riferita a quattro accordi.

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Bill Evans dopo la morte di Scott La Faro rimane per sei mesi inattivo ed incapace di reagire
alla tragica fatalità.

Nel 1962 ricostituisce il trio con il bassi sta Chuck Israel ed incide con Freddie Hubbard,
Jim Hall, Zoot Simms e Shelly Mann, ma il fatto più rilevante è che Evans ha il coraggio di
smettere l'uso degli stupefacenti.

La rinascita fisica e psicologica è immediata ed il pianista l'anno successivo si cimenta in un


interessante progetto discografico (Conversation With Myself) con tre pianoforti sovraincisi
vincendo un Grammy.

Nel 1964 raccoglie un enorme successo in Europa. Nello stesso anno incide con il
tenorsassofonista Stan Getz oltre che con il suo trio. Al basso troviamo Gary Peacock mentre
alla batteria c'è sempre il fido Motian.

La trascrizione riportata nell'Es. 44 riguarda proprio quel trio del 1964. Il brano, Little Lulù, è
tratto da un cartone animato e ripropone la fortunata rilettura di brani popolari già adottata
con Someday My Prince Will Come la colonna sonora di un celebre film di Walt Disney.

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File Audio (MP3)

Nel 1965 Evans registra con un'orchestra d'archi diretta da Klaus Ogerman, nel '66 incide in
duo con Jim Hall. Dopo il successo del concerto alla Town Hall, nel corso del quale propone al
piano solo un brano dedicato alla memoria del padre scomparso due settimane prima,
ricompone il trio con Eddie Gomez al basso e Shelly Manne, Jack De Johnette (Live in
Montreux) o il vecchio amico Philly Joe Jones alla batteria.

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File Audio (MP3)

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La formazione si stabilizza con l'ingresso del batterista Marty Morell a cui talvolta si unisce il
flautista Jeremy Steig. Nel 1972 co-dirige con George Russell una grande orchestra,
mentre l'anno successivo incide, in duo con Eddie Gomez, l'album Intuition. Evans si
cimenta con notevole successo al piano elettrico Rhodes, registra con il popolare cantante
Tony Bennett ed ottiene un nuovo Grammy nel 1975 per il disco Alone realizzato in piano
solo in California.

Dopo alcune collaborazioni con Lee Konitz e Warne Marsh, Evans torna a New York ove
sostituisce Gomez con Marc Johnson, il giovane bassista dell'orchestra di Woody Herman.

Negli ultimi anni di vita, Evans modifica ulteriormente il suo stile utilizzando un attacco
percussivo soprattutto della mano sinistra che diventa più incalzante e presente per
l'accentuazione di nuove scomposizioni ritmiche e concezioni armoniche molto avanzate, a
tratti atonali. Già nel 1973 Evans aveva inserito la sperimentazione seriale in un brano: TTT
(Twelve Tone Tune) la cui melodia è costituita infatti da tre serie dodecafoniche.

L'ultima esibizione di Evans è del 9 settembre 1980 a New York (con Marc Johnson e Joe
La Barbera alla batteria). Pochi giorni dopo, viene ricoverato d'urgenza al Mount Sinai
Hospital ove muore il 15 settembre 1980.

Facciamo ora un passo indietro e torniamo a Kind of Blue di Davis del 1959, dove troviamo in
un brano un altro pianista, questa volta di colore, che sostituirà Bill Evans per i due anni
successivi (1959 e 1960): si tratta di Wynton Kelly.

Sebbene abbia in comune ad Evans uno straordinario talento di accompagnatore, per certi
versi anche superiore, Kelly si differenzia da lui proprio per il colore della pelle che porta
inevitabilmente a privilegiare la componente bluesy della sua musica.

Anche Wynton Kelly utilizza ampiamente i voicings estesi ai toni ornamentali oltre a posizioni
modali a quarte.

La trascrizione dell'assolo riguarda proprio il blues Freddie The Freeloader di Kind of blue. La
struttura armonica è basata sugli accordi di tonica, sottodominante e dominante del blues
classico.

Si noti il senso dello swing di Kelly, sicuramente tra i più limpidi e moderni in assoluto.

L'incedere della sua improvvisazione si fonde benissimo con il timing "stretto" del batterista
Jimmy Cobb e del bassista Paul Chambers. Il modo di stare sul tempo della ritmica risulta
infatti lievemente in anticipo rispetto al beat con, alcuni, brevissimi, accenni in shuffle time: il
tipico tempo, appunto, del blues.

Wynton Kelly suona e incide con il sassofonista Julian Cannonball Adderley attuando una
notevole e moderna sintesi tra blues, bebop e jazz modale.

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File Audio (MP3)

Wynton Kelly viene sostituito nel 1963 dal pianista ventitreenne di Chicago Herbie Hancock
che aveva già avuto modo di mettersi in mostra a New York con alcuni importanti gruppi tra
cui quello del trombettista Donald Byrd e del sassofonista Eric Dolphy.

Herbie Hancock è in effetti un vero e proprio enfant prodige: a 11 anni suona già Bach e
Mozart con l'orchestra sinfonica di Chicago imparando nel contempo il lessico jazzistico di
Peterson e Shearing.

Il pianista precorre i tempi anche nella produzione discografica, condotta all'insegna del
successo e del business. Il suo primo disco, Taking Off inciso ne1 1962 con il sassofonista
Dexter Gordon e il trombettista Freddie Hubbard, contiene infatti già un brano,
Watermelon Man, destinato a riscuotere negli anni settanta un enorme successo di vendite.

Lo stile pianistico è già personale anche se si intravedono chiaramente le influenze armoniche


di Bill Evans, il blues feeling di Wynton Kelly e l'approccio funky di Horace Silver.

La breve esperienza passata con Dolphy è comunque molto formativa sia sotto il profilo
artistico (Hancock impara infatti ad armonizzare in contesti di improvvisazione libera) che
umano.

Grazie a Dolphy, conosce il batterista adolescente Tony Williams (già con Jackie Mclean)
con cui stringe una grande amicizia. Nel maggio del 1963 entra nel gruppo di Davis proprio
grazie alla segnalazione di Tony Williams. L'incontro è decisivo: dopo pochi giorni è già in
studio di registrazione (Seven Steps To The Heaven), mentre nell'estate dello stesso anno
tiene un impegnativo tour in Europa che lo vede anche al Festival di Antibes con il quintetto di
Davis di cui fanno parte Williams, il bassista Ron Carter ed il sassofonista George Coleman.

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Nel 1964 incide a suo nome l'album Empyrean Lsles e con Davis lo splendido My Funny
Valentine in cui il quintetto dimostra un'intesa perfetta, pur basandosi su continui rischi
armonici e ritmici. Sempre nel 1964, entra a far parte del quintetto il sassofonista Wayne
Shorter, inaugurando un lungo periodo estremamente ricco sotto il profilo creativo.

Tra gli album più importanti del nuovo quintetto ricordiamo ESP del 1965, in cui Davis
sperimenta l'improvvisazione libera, e Miles Smiles del 1966.
Il 1965 è anche l'anno in cui Hancock registra il suo album più famoso: Maiden Voyage.

Tre anni dopo abbandona definitivamente il gruppo di Miles, sostituito da Chick Corea, anche
se partecipa nel 1969 e nel 1972 alla svolta elettrica di Miles con gli album In A Silent Way
e On The Corner.

Dopo il disco a suo nome Speak Like A Child e la colonna sonora del film Blow up,
sperimenta le tastiere negli album Mwandishi, Crossings e Sextant, in cui la ricerca
elettronica si fonde con l'improvvisazione collettiva e i ritmi africani.

Il 1973 è l'anno del jazz rock interrotto dalla parentesi acustica del quintetto VSOP nel '76.

Durante gli anni ottanta e l'inizio dei novanta dà sfogo al suo eclettismo dedicandosi al jazz
con Wynton Marsalis, al cinema (con Round midnight, Hancock vince anche un Oscar per la
migliore colonna sonora) e alla fusion di Jack De Johnette con Pat Metheny (Parallel
Realities).

Tra gli ultimi lavori discografici si segnala l'omaggio a Davis, A tribute to Miles (1994)
realizzato con i vecchi amici Shorter, Williams, Carter ed il giovane trombettista Wallace
Roney, il disco in duo con Shorter, 1+1 del 1997, il quintetto del 2002 Directions in Music
con Brecker, Hargrove, Patitucci e Blade .

L'influenza di Hancock sul pianismo jazz contemporaneo è tra le più importanti, proprio per
quella sintesi attuata tra tradizione, blues feeling, jazz modale e approcci libertari.

Il suo comportamento marcatamente professionale ha talvolta suscitato non poche critiche a


causa della spigliatezza con cui ha alternato momenti di altissima creatività ad operazioni
meramente commerciali. Resta da dire che Hancock, sebbene il suo talento e la sua maestria
siano ancora oggi rimaste inalterate, ha espresso i suoi estri migliori nel periodo compreso tra
il 1963 e 1969, cioè nel periodo della militanza con Davis.

Anche i lavori a suo nome di quegli anni rimangono nella storia del jazz, a riprova che lo
stimolo esercitato da Davis ha rappresentato una tappa molto significativa nella carriera del
pianista di Chicago.

Tra i pianisti più legati all'estetica di Hancock citiamo Kenny Kirkland, che dopo la
collaborazione con Wynton Marsalis e la parentesi commerciale con Sting, ha licenziato un
bellissimo album nel 1991 (Kenny Kirkland, Grp).

L'assolo di Hancock riguarda l'esibizione dal vivo ad Antibes con Davis nel 1963.

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File Audio (MP3)

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Capitolo 8: Jazz in libertà
Durante gli anni sessanta e parte dei settanta, la comunità americana ed internazionale vive
un periodo di grandi cambiamenti sociali, culturali e politici. I mutamenti avvengono in modo
rapido, con frequenti manifestazioni di intolleranza a cui corrispondono, di conseguenza,
reazioni violente e incontrollate.

In questo panorama i neri giocano un ruolo determinante per la diffusione del dissenso, della
rivolta, dell'ascesa della nuova sinistra americana.
Sono gli anni della definitiva affermazione di Martin Luther King, la cui politica non violenta
viene rapidamente abbandonata dai nuovi leader neri Malcom X e Stokely Carmichael,
fautori del Black Power attraverso la rivolta armata. Inizialmente, a dir la verità, la politica del
presidente Kennedy era riuscita a far illudere gli americani, neri e bianchi, nell'integrazione
razziale, eppure nel giro di pochi mesi a partire dal 1965 una serie di circostanze concomitanti
fanno scoppiare una vera e propria rivoluzione: Kennedy viene assassinato, l'America inizia la
tragica esperienza del Vietnam, gli stati del sud reprimono con la violenza le proteste dei neri.

I musicisti non rimangono a guardare e trasformano la musica in una forma di protesta


sonora: "la musica fucile, pallotttola, aeroplano, la musica contro la società americana" come
recita Le Roi Jones nel 1967.

I protagonisti, anche sotto il profilo politico, di questa protesta, sono i sassofonisti Albert
Ayler e Archie Shepp, gli appartenenti all'AACM (l'associazione sorta nel 1965 a Chicago per
promuovere e tutelare la musica nera) e altri musicisti che, per dare maggior dignità alle
proprie origini, scelgono di convertire il nome americano in quello musulmano.

La maggioranza è, come sempre, concentrata nella produzione musicale e aderisce alla


protesta più creativamente che operativamente. Ciò nonostante si moltiplicano, anche in
Europa, i concerti di protesta che vedono l'ascesa di una folta schiera di musicisti.

Il free jazz, questo è il termine coniato per identificare la musica afroamericana di quegli anni,
è un vero crogiuolo di esperienze spesso profondamente diverse tra loro.

Lennie Tristano LINE UP File Audio

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Come abbiamo visto l'improvvisazione libera era già stata sperimentata parecchi anni prima da
Lennie Tristano, soprattutto nei lavori per piano solo, da Charles Mingus e, sebbene con
modalità proprie, da Davis, eppure il cambiamento di rotta avviene improvvisamente nel
1960 ad opera di quattro musicisti: i sassofonisti Ornette Coleman e John Coltrane, il
pianista Cecil Taylor e il batterista Max Roach.

Sono emblematiche le produzioni di quegli anni: Coleman registra il disco per doppio
quartetto pianoless Free Jazz, Coltrane incide per la prima volta una lunga improvvisazione
su un solo accordo, My favourite things, Roach offre un contributo ai neri del Sud Africa
nella Freedom now suite.
Nel 1960 inoltre si afferma definitivamente l'alto sassofonista Eric Dolphy, che collabora
spesso con Coleman e Coltrane, e il pianista Cecil Taylor nel cui gruppo fa capolino il tenorista
Archie Shepp.

Proprio Taylor è il musicista che attua nel modo più radicale la rivoruzione del pianoforte
costituendo un modello di riferimento imprescindibile per l'evoluzione stilistica dello strumento.
Di solide radici classiche, Taylor fonde procedimenti tipici della musica contemporanea
(Stockhausen, Bartok, Strawinsky) con elementi neri-americani (blues, boogie, bebop...) in un
unico flusso magmatico di grande impatto ed energia.

In lui è predominante l'aspetto poliritmico realizzato con un originalissimo approccio


orchestrale alla tastiera. Anche l'uso delle armonie è essenzialmente di tipo coloristico per
condurre la musica, e l'ascoltatore, in un viaggio complesso e articolato in cui ora emerge un
fraseggio jazzistico, ora un frammento di una ballata, ora una sequenza di pura energia
sonora.

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Taylor, nato nel 1933, si cimenta fino a venticinque anni in contesti "regolari" suonando con il
trombettista Hot Lips Pace e l'orchestra di Johnny Hodges, che in quegli anni aveva lasciato
temporaneamente Ellington. Oltre agli autori classici studia Brubeck e Tristano avvicinandosi
successivamente a Silver, Powell, Ellington e Monk la cui influenza si fa sentire nel disco In
transition del 1955 in cui Taylor si cimenta in una originale riproposizione di standards
(soprattutto di Cole Porter).

Nel 1958 incide anche con Coltrane e Kenny Dorham in un disco (Coltrane Time) poco
significativo per lo sviluppo creativo delta sua musica ma interessante per sentire Taylor in un
contesto boppistico a lui inusuale.

Due anni dopo Taylor dà una svolta alla carriera dedicandosi completamente alla sua musica,
abbandonando così definitivamente i canoni tradizionali. Registra Air con Archie Shepp,
sostituito l'anno successivo dall'altista Jimmy Lions con il quale inaugura un lungo sodalizio.
Si interessa al rapporto tra teatro, movimento e musica collaborando con il Living Theatre più
tardi, nel 1979, con la stella della danza contemporanea, Mickail Baryshnikov.

Incide molti album tra cui ricordiamo ì due Blue Note Unit structures e Conquistador
(1966), i tre album live Nuits de la Fondation Maeght (1969), il disco per piano solo
registrato, sempre live, a Montreux nel 1974, Silent Tongues, e la produzione del 1979 in
duo con Max Roach.
Negli anni ottanta e novanta le apparizioni in pubblico diventano meno frequenti sebbene
Taylor dimostri di essere ancora oggi uno tra i musìcisti più creativi della scena jazzistica
internazionale.

Ben diversa è la strada percorsa dal sassofonista Ornette Coleman. In lui l'approccio
libertario è innato sia sotto il profilo melodico che armonico e ritmico. Per questo motivo si
utilizza spesso il termine "armolodia" proprio per significare lo stretto rapporto tra lo sviluppo
delle melodie, sempre liriche ed intense, e l'andamento libero delle armonie che spesso non
hanno dei centri tonali precisi ma offrono un ampio margine di manipolazione.
A ciò contribuisce la scelta di privilegiare gruppi senza pianoforte e anche quando, più
recentemente, Coleman ha utilizzato uno strumento armonico come la chitarra, ha collaborato
con musicisti caratterìzzati da un approccio assolutamente non convenzionale sia nello stile
esecutivo che nell'accordatura (spesso realizzata in modo naturale e non temperato).

Del resto il fattore suono è sempre stato fondamentale nella musica di Coleman che, fin dagli
inizi, ha lavorato sulla microintonazione o addirittura ha suonato, in modo assolutamente
"espressivo", il violino e la tromba.

Gli unici pianisti che si sono cimentati nella musica di Coleman sono Walter Norris e Paul
Bley. Il primo suona nel disco d'esordio di Ornette, Something else (1958), mettendo in
mostra un pianismo boppistico mutuato dall'esperienza West Coast; il secondo, di origine
canadese, si è calato maggiormente nell'estetica colemaniana chiamando Ornette a far parte
del suo gruppo l'anno successivo, il 1959, insieme a Don Cherry.

Bley ha un approccio totalmente diverso al pianoforte rispetto a Cecil Taylor.

In lui l'armonia è ben presente sotto il profilo funzionale anche se viene piegata alle necessità
improvvisative di stampo tematico.
L'improvvisazione è a tutti gli effetti composizione istantanea nella quale vengono sviluppati
alcuni frammenti tematici che portano spesso la melodia lontano dalla tonalità d'impianto o
dagli accordi originari.

In questo senso il suo approccio è libero e per certi versi analogo a quello di Ornette.

Il suo gruppo con Charlie Haden e Billy Higgins, costituito nel 1957, rappresenta un
modello di riferimento unico e innovativo nello sviluppo del trio pianistico. Un modello originale
ed alternativo a quello di Bill Evans, come ha avuto modo di precisarmi lo stesso Bley nel

50
corso di uno stage.

Bley inoltre dimostra una notevole apertura alla sperimentazione tecnologica: è tra i primi ad
usare il sintetizzatore MOOG nei primi anni settanta. Attualmente si interessa alle possibilità di
realizzare un CD video e audio introducendo una sorta di improvvisazione multimediale
interattiva.
Da segnalare inoltre i concerti e le incisioni del trio dei primi anni sessanta col clarinettista
Jimmy Giuffrè e il bassista Steve Swallow (il trio si è ricomposto anche di recente ma con
risultati molto meno interessanti e creativi rispetto all'idea originaria), i vari trii con i bassisti
Dave Holland, Mark Levinson, Jasper Lungaard, Niels Orsted Pedersen e i batteristi
Pete La Roca, Barry Altschul, Paul Motian, Billy Hart, la collaborazione con Sonny
Rollins e Coleman Hawkins del 1963, fino ai più recenti concerti in duo con Gary Peacock.

Una strada ancora differente percorre il sassofonista John Coltrane raggiungendo tra il 1960
e il 1967 (anno della sua scomparsa) la completa libertà espressiva.

La formazione musicale di Coltrane è lunga e sofferta.

Dopo aver suonato il sax alto in gruppi rhythm and blues nel 1947, Coltrane entra
nell'orchestra del cantante/sassofonista Eddie Vinson che lo convince a passare al tenore. Nel
1949 fa parte per un breve periodo, come sassofonista di sezione, della big band di Dizzy
Gillespie, collabora quindi con le orchestre di Earl Bostic e Johnny Hodges per giungere nel
1955 al quintetto di Miles Davis. Il primo ingaggio è brevissimo: viene infatti
immediatamente licenziato a causa della tossicodipendenza che non gli consente di adempiere
agli obblighi contrattuali del gruppo.

L'anno successivo forma il suo primo quartetto con McCoy Tyner e Jimmy Garrison ma il
progetto si rivela ancora una volta un disastro: dura infatti solo tre serate.

Coltrane tocca il fondo e decide quindi di smettere definitivamente con la droga nel modo più
drastico e difficile. Prova il cosiddetto "tacchino freddo" che consiste nel chiudersi in una stanza
e aspettare che le crisi di astinenza passino, bevendo solo acqua.

I risultati sono immediati. Nel 1957 inizia una vera e propria rinascita non solo sotto il profilo
umano ma anche artistico e musicale. Suona con il quartetto di Thelonious Monk, incide i
suoi primi dischi da leader (The first Trane e Blue Trane) e ritorna con Davis. Si mette
subito in mostra per il suono vigoroso e lo stile personale costituito dai famosi "sheets of
sound", delle cascate di note eseguite con rapidità in scala ascendente e discendente dando
l'impressione di differenti piani sonori in collisione.

Il 1959 è l'anno della definitiva consacrazione. Incide, con Davis, Kind Of Blue e, a suo
nome, Giant Steps. Proprio i "passi da gigante" rappresentano la novità armonica introdotta
da Coltrane che, da tempo, stava studiando i rapporti matematici tra le note.

Giant Steps si basa su centri tonali distanti una terza maggiore, così come nell'inciso di Have
you met miss Jones, ma il fatto sorprendente è che il procedimento può essere applicato alle
consuete progressioni II V I consentendo un approccio differente anche agli standards.
Vediamo la procedura.

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Coltrane infatti realizza delle splendide versioni di songs applicando queste nuove teorie.
Naturalmente si tratta di un approccio completamente nuovo e diverso dalle progressioni
adottate fino a quel momento, al punto che anche l'espertissimo pianista Tommy Flanagan
(accompagnatore di Ella Fitzgerald) si trova in evidente difficoltà nell'improvvisazione inclusa
nel disco del 1959.

Coltrane a questo punto non può più accontentarsi di accompagnatori occasionai e così trova
nel giovane pianista McCoy Tyner, nel bassista Jimmy Garrison (preceduto da Reggie
Workman) e nel batterista Elvin Jones, i compagni ideali del suo gruppo.

Nel 1960 abbandona Davis e registra con il suo quartetto una versione di un celebre brano in
tre quarti tratto da un musical di Rodgers e Hammerstein: My Favourite Things.

Il procedimento adottato da Coltrane non è però quello di Giant Steps bensì quello modale
già sperimentato con Davis.

Gli accordi/scale sono ancora più elementari (si tratta della scala dorica di Mi e nel finale di
quella ionica sempre della stessa tonalità) e consentono al solista di esplorare con maggior
libertà l'improvvisazione.

McCoy Tyner, dal canto suo, mette a punto un nuovo tipo di accompagnamento basato
prevalentemente su accordi per quarte.

Tale sistema si rivela validissimo quando si opera in un contesto modale ma è altrettanto


efficace in un approccio di sintesi tra modale e tonale.
Nell'esempio che segue si vede l'armonizzazione di una scala dorica, quindi l'applicazione: si
tratta dell'accompagnamento di Tyner in My favourite things.

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Nell'accompagnamento dell'Es. 50, Tyner usa voicings a quarte perfette nella sinistra costruiti
sull'I, II, IV e V grado aggiungendo alla destra delle terze maggiori poste sulla scala dorica.
Un'altra posizione tipica della mano sinistra di Tyner, soprattutto quando accompagna i suoi
soli, è quella riportata nell'Es. 51.

Come si può vedere, dopo aver suonato il poderoso basso con la sinistra (Tyner è mancino
come Bill Evans) si sposta sui voicings di quarte costruiti sul III, IV e V grado. Si noti che la
destra arpeggia velocemente un accordo di Cm6.

In contesti di sintesi modale/tonale, come ad esempio nell'esecuzione di uno standard con


intenzione modale, si possono attribuire delle funzioni di massima ai voicings per quarta. In
una scala ionica armonizzata per quarte, ad esempio, i voicings III e VI hanno funzione di
tonica (sono infatti dei voicings di cat. A e C); quelli costruiti sul IV e VII di dominante; sul II,
V e I di sottodominante.

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I voicings per quarte non sono costruiti tutti da intervalli perfetti. In particolare il voicing
costruito sul IV grado è formato da una quarta eccedente e una quarta giusta, mentre quello
costruito sul I da una quarta giusta e una quarta eccedente.

Proprio questi accordi possono dare vita ad alcune posizioni equivalenti. Il voicing I può anche
essere inteso come un G7sus4, mentre quello costruito sul IV dà vita a più possibilità.

Ecco perciò come si possono applicare dei voicings per quarta ad un brano tonale.

Coltrane e Tyner hanno messo in rapporto, ai voicings per quarta, delle scale pentatoniche che
possono appartenere al modo del brano o starne al di fuori.
Proprio da questo procedimento Coltrane ha tratto spunto per sviluppare le sue
improvvisazioni libere.

Si noti che quando Coltrane accenna ad uscire dalla tonalità anche i compagni lo seguono
creando tensione, armonica e ritmica, che risolve nuovamente sulla scala principale. Da questo
alternarsi di dinamiche si è man mano definito uno dei caratteri più evidenti del quartetto di
Coltrane, ripreso e sviluppato ampiamente da tutto il jazz successivo.

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Vediamo un esempio di uso di scale pentatoniche all'interno e all'esterno del modo.

Coltrane sperimenta con il suo quartetto, spesso allargato a quintetto con la partecipazione di
un altro sassofonista di punta del jazz di quegli anni (Eric Dolphy), l'improvvisazione modale
registrando nel 1964 un disco chiave della sua produzione: A Love Supreme.

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Nel disco, concepito sotto forma di suite in quattro movimenti, non emerge solo la statura
musicale del sassofonista ma anche la sua profonda spiritualità. A Love Supreme è una sorta di
elevazione musicale a Dio, che non corrisponde affatto alle tendenze politiche di Malcom X e
delle Black Panters, bensì alla lotta pacifica e non violenta di Martin Luther King.

L'anno successivo, il 1965, Coltrane registra The J. Coltrane quartet plays e Transition
(due dischi vicini all'estetica di A Love Supreme), quindi cambia rotta scegliendo la via
dell'improvvisazione totale e l'adesione, di fatto, al free jazz più agguerrito.

Il 16 giugno registra un duetto con Elvin Jones, Vigil, che viene poi pubblicato nell'album
Kulu se Mama e il 28 giugno realizza Ascension. Si tratta di un disco/manifesto del free jazz
realizzato con 11 musicisti: oltre al suo quartetto sono presenti i trombettisti Freddie
Hubbard e Dewey Johnson, i sassofonisti Archie Shepp, John Tchicai, Marion Brown e
Pharoah Sanders e il bassista Art Davis, che affianca Jimmy Garrison.

Coltrane registra due takes in cui i musicisti improvvisano in libertà, da soli e collettivamente,
in una sorta di rito orgiastico e delirante.

Dopo Ascension Coltrane produce nello stesso anno altri importanti album come Kulu Se
Mama, Selflessness (con Roy Haynes alla batteria) e Meditations allargando il gruppo a
quintetto e a sestetto con Pharoah Sanders e il batterista Rashied Alì.

McCoy Tyner, non condividendo più le idee di Coltrane ma soprattutto non sopportando più il
volume del gruppo, sceglie la via solistica: "Non riuscivo più a sentire il suono del pianoforte e
quindi non potevo partecipare attivamente alla ricerca del gruppo" ha confidato di recente
Tyner.

Subito dopo viene seguito da Elvin Jones.

Coltrane, nonostante la grande stima e amicizia per il pianista e il batterista, sente di dover
proseguire nella strada intrapresa e sostituisce Tyner con la nuova moglie Alice Mc Leod,
mentre alla batteria mantiene Rashied Alì.

Il nuovo progetto musicale si concretizza artisticamente nel 1967 con due capolavori
discografici: Expression e Interstellar space.

In Expression, Coltrane sceglie il quartetto come formazione base, ad eccezione del brano To
be in cui eccezionalmente suona il flauto traverso affiancato, all'ottavino, da Pharoah
Sanders.

Interstellar space esplora la dimensione del duo con la batteria, già inaugurato con Elvin
Jones in Kulu se mama.

Il disco è l'ultima opera dì Coltrane e realizza, di fatto, una sintesi tra la percussione nera e la
semplice melodia. Coltrane infatti sta ancora una volta cercando nuovi stimoli nelle radici
africane. Nello stesso anno contribuisce alla creazione di un Centro Culturale Africano e
progetta di compiere un lungo viaggio nel continente nero con il percussionista Olatunji.

Il tumore al fegato, derivato ancora dalla vecchia tossicodipendenza, interrompe la vicenda


umana e musicale di John Coltrane il 16 luglio 1967.

Coltrane non aveva ancora 41 anni.

L'eredità lasciata da Coltrane è enorme. Dopo di lui nessun sassofonista ha, di fatto, inventato

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uno stile musicale che non gli sia in un certo modo debitore. Il discorso vale soprattutto per il
sax tenore mentre il soprano, che Coltrane scopre nel 1960, poteva già contare su uno
specialista e ricercatore di grande talento, Steve Lacy, senza dimenticare, naturalmente,
Sidney Bechet.

I compagni di Coltrane hanno proseguito sulla strada solistica rimanendo sempre abbastanza
vicini alla esperienza di Coltrane. Elvin Jones ha persino cercato di riproporre il clima
infuocato del celebre quartetto, mettendo in luce molti nuovi talenti del sax tenore come Dave
Liebman e Joe Lovano.

Tyner ha dato avvio a quel pianismo "sintetico" tra tradizione e avanguardia che rappresenta
oggi la via più interessante intrapresa dal pianoforte.
Del resto, anche durante il periodo trascorso nel quartetto di Coltrane, Tyner aveva già
licenziato afcuni dischi a suo nome in quello stile (Nights of ballads and blues e Today and
Tomorrow).

La trascrizione è tratta proprio quel periodo: oltre agli sprazzi modali tipicamente tyneriani,
compaiono la lezione powelliana e le raffinatezze di Bill Evans.

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Capitolo 9: Il pianoforte oggi (Ia parte)
Durante gli anni settanta si assiste alla definitiva affermazione del jazz libero, soprattutto in
terra europea sebbene con caratteristiche differenti da quelle originarie e derivate da una felice
sintesi tra improvv1sazione, musica colta, spunti etnici, melodie popolari.

Il termine jazz viene sostituito spesso con "musica creativa" proprio per sottolineare la
possibilità di estendere gli orizzonti musicali ad ogni latitudine. Il pianista e compositore
milanese Giorgio Gaslini va ben oltre, non solo teorizzando la filosofia "della musica totale" (o
del musicista totale, dal titolo di un suo libro fondamentale) ma, quello che più conta,
dimostrando concretamente nella sua produzione artistica le molteplici possibilità di sintesi.
Precorre i tempi con la suite in quattro movimenti Nuovi Sentimenti del 1966, a cui
partecipano dieci musicisti tra cui il trombettista Don Cherry e i sassofonisti Steve Lacy e
Gato Barbieri, proseguendo fino ai giorni nostri attraverso una personale ricerca ricca di
stimoli e di continue scommesse creative. Della sua ampia discografia ricordiamo Message
(1973), Fabbrica Occupata (1973), Colloquio con Malcom X (1973), Graffiti (1977),
Live at the Public Theatre (1980), G.G. plays Monk (1981), Schumann reflections
(1984), Multipli (Premio Polillo 1988), Aylers wings (Premio Polillo 1991), Lampi (Premio
Polillo 1994), Freedom Jazz Dance, Urban Griot e l'integrale Gaslini legend.

Altri importanti pianisti della scena "creativa" europea sono Misha Mengelberg, Alex Von
Schlippenbach, Joachim Kuhn, mentre negli Stati Uniti il personaggio più rappresentativo è
il leader dell'AACM di Chicago Muhal Richard Abrams che, oltre a collaborare con il
polistrumentista Anthony Braxton e coltivare una brillante carriera solistica, ha portato il jazz
creativo nella grande orchestra.

Contemporaneamente al jazz creativo si impone nel corso degli anni settanta l'ultima
"creazione" stilistica di Miles Davis, che a partire da In A Silent Way attraverso il disco
capolavoro Bitches Brew, sperimenta ininterrottamente,la dimensione elettrica.

I discepoli sono gli stessi musicisti della prima ora ed in special modo il pianista Joe Zawinul
ed il sassofoni sta Wayne Shorter che danno vita negli anni settanta al più straordinario
gruppo elettrico della storia del jazz: il Weather Report.

Zawinul, di origine austriaca, è un ottimo pianista jazz cresciuto soprattutto con il quintetto di
Cannonball Adderley. Il suo stile è senz'altro debitore dell'esperienza funky di Horace
Silver ma anche del jazz modale di Coltrane reso personale grazie ad una felice vena melodica
e compositiva.

Zawinul è inoltre uno specialista delle tastiere elettroniche che sfrutta in modo creativo e
originale senza eccedere in facili effettismi.
È tra i primi ad usare il piano elettrico Fender Rhodes e i sintetizzatori analogici (Oberheim,
Arp, Moog). Più recentemente Zawinul è passato anche ai campionatori e alle tastiere digitali
(Korg, Fairlight, Yamaha) sfruttando pienamente le possibilità di collegamento MIDI.

Zawinul è considerato un vero inventore di nuovi suoni elettrici, "umanizzati" mediante l'uso
del vocoder (un'apparecchiatura che consente di intervenire sull'emissione del suono
elettronico al fine di emulare la voce umana o uno strumento a fiato). Nei suoni di Zawinul
inoltre si possono scoprire riferimenti etnici (strumenti arabi, dell'India o del centro Africa) o
addirittura richiami cosmici di altre galassie.

Lo strumento principe del jazz elettrico è comunque il piano RHODES. Comparso verso la fine
degli anni sessanta ha avuto una enorme diffusione e successo per tutto il decennio
successivo, per essere infine rimpiazzato dallo YAMAHA DX7 e dai campionatori. Il piano
elettrico, oltre al pregio non indifferente di essere trasportabile, consente di ottenere
contemporaneamente un suono morbido e vel1utato ed un attacco aggressivo, leggermente
distorto. Il trucco consiste, soprattutto nella versione Seventythree Suitcase (cioè nel modello

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a 73 tasti dotato di amplificatore valvolare Fender), nel regolare il volume del pianoforte a
livelli bassi alzando al massimo quello dell'amplificatore. Percuotendo il tasto fino in fondo si
uni- sce la vibrazione esasperata del diapason alla distorsione delle valvole.

L'esempio riportato è tratto da un breve intervento solistico di Zawinul al piano Rhodes nel
brano Eurydice nel primo album del Weather Report del 1971 (Bitches Brew di Davis è del
1969). L'assolo è condotto dalla sola mano destra su un free walking in si bemolle reso
magistralmente dal contrabbassista Miroslav Vitous, dal batterista Alphonse Mouzon e dal
percussionista Airto Moreira (l'altro componente del gruppo è Wayne Shorter).

Es. 56

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Altri specialisti del piano elettrico sono George Duke, Herbie Hancock, Chick Corea.
Quest'ultimo porta nel jazz elettrico del suo gruppo, Return to Forever, elementi musicali
iberici e della cultura latina in generale, integrando la ricerca modale con la solarità spagnola.

L'elemento ritmico è inoltre preponderante nella musica di Corea così come nel tocco pianistico
reso ancor più scintillante da un leggero anticipo sul beat. Corea ha sviluppato la conoscenza
anche dei ritmi cubani e sudamericani nel corso delle sue prime esperienze a New York ove ha
collaborato con il percussionista "salsa" Mongo Santamaria, col gruppo afro-jazz del flautista
Herbie Mann e soprattutto, nel 1967, con Stan Getz che, proprio in quegli anni, si interessa
alla bossa nova.

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In Corea è inoltre presente la componente funky appresa dallo studio di Horace Silver (che
sostituisce nel 1964 nella band di Blue Mitchell), così come il fraseggio bebop di Bud
Powell, la modalità di McCoy Tyner, le dissonanze monkiane ed illirismo degli impressionisti
francesi (Debussy e Ravel).

Il 1968 è un anno importante per Chick, infatti entra a far parte del gruppo di Davis, ma
soprattutto inaugura la sua carriera solistica con un album che costituisce una pietra miliare
del pianismo moderno.

Il disco Now he sings now he sobs è registrato in trio con il batterista Roy Haynes
(conosciuto nel gruppo di Getz) ed il giovane talento del contrabbasso Miroslav Vitous con
cui Corea aveva collaborato nel gruppo di Donald Byrd (vero talent scout di giovani
musicisti).

La cifra pianistica di Corea in quel disco è il jazz modale di Tyner che riesce però a rendere
originale con alcuni accorgimenti. Facciamo un raffronto tra Tyner e Corea. Entrambi usano
spesso voicings a quarte così come le scale pentatoniche eseguite a quartine di ottavi o
sedicesimi secondo una prassi in voga nel jazz modale. Tyner però preferisce inserire spesso
delle pentatoniche ibride con omissione di quarta o, in parole semplici, degli arpeggi di accordi
minori sesta (già introdotti nell'improvvisazione da Teddy Wilson).

Tyner, come già visto, suona dentro e fuori il modo. Tra parentesi è indicato l'accordo mino- re
sesta/pentatonica ibrida relativa. Da notare che sull'accordo di settima alterato Tyner usa una
pentatonica ibrida costruita un semitono sopra (G7alt - Ab ibrida)

Chick Corea, al contrario, privilegia nella quartina di ottavi l'intervallo di seconda maggiore
all'interno delle pentatoniche maggiori.

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Ecco una applicazione delle pentatoniche dentro e fuori dal modo nello stile di Corea.

Sia Tyner che Corea utilizzano spesso delle pentatoniche alterate.

Tyner usa la pentatonica giapponese In-sen rapportandola ad un accordo alterato o a un


voicing susb9 (Hancock voicing). Per memorizzare la scala In-sen basta sostituire ad una
pentatonica minore la terza minore con la seconda minore.

Corea modifica la pentatonica ibrida rapportando la scala ottenuta ad un accordo alterato.


Anche in questo caso si sostituisce la terza minore con la seconda minore.

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Corea, dopo l'esordio modale (ripreso negli anni ottanta) si avvicina alla musica "creativa" nel
1970 dando vita ad un altro trio (Arc) col batterista Barry Altschul e il bassista Dave
Holland spesso allargato a quartetto (Circle) con il sassofonista Anthony Braxton.

Nel disco live del quartetto a Parigi, oltre a composizioni sperimentali, compare una versione
originalissima di uno standard, There is no greater love, in cui Corea anticipa i tratti del
pianismo sintetico attuale, coniugando bop, free e jazz modale.

Nel 1972 cambia rotta e si dedica alla musica elettrica registrando il primo album della lunga e
alterna serie del Return to Forever. Corea suona in tutto il disco il piano Rhodes con notevoli
spunti creativi. L'atmosfera è latineggiante anche per la presenza del percussionista Airto
Moreira.
Nel brano La fiesta, Corea si immerge completamente nella musica spagnola utilizzando
persino una tipica scala e la relativa progressione armonica. La scala deriva dalfa minore
armonica (quinto modo) allungata dalla terza minore.

La progressione armonica è molto semplice e utilizza delle triadi maggiori costruite sui primi
tre gradi della scala, ma Corea riesce a renderla interessante introducendo dei voicings a
quarte. In altre paroie colora jazzisticamente la modalità spagnola.

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File Audio

Sul versante latino bisogna inoltre ricordare la famosa composizione Spain registrata
nell'album Light as a feather.

La seconda formazione del Return to forever (con i chitarristi Bill Connors e Al Di Meola e i
batteristi Lenny White e Steve Gadd) è sicuramente meno riuscita a parte alcuni album
molto interessanti soprattutto sotto il profilo compositivo, come Friends, peraltro non
licenziato come R.T.F.

Dalla fine degli anni settanta fino ad oggi, la produzione di Corea è condotta all'insegna

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dell'eclettismo. Sperimenta il duo pianistico con Friederick Gulda e l'amico Herbie Hancock,
ripropone il trio con Vitous e Haynes, si cimenta col repertorio classico, dà vita ad un
bellissimo quartetto con Michael Brecker (Three quartets), e, più recentemente, fonda due
formazioni molto diverse tra loro, impegnate sul versante elettrico (Electric Band) ed acustico
(Acoustic Band).

Nel 1994 realizza in piano solo un notevole album di standars jazzistici (Expression)
riproposto con uno stile naturalmente differente dalle Piano improvisation di oltre vent'anni
prima.

L'esempio successivo è del 1984 e vede Corea impegnato dal vivo in trio con Haynes e
Vitous.

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Trattando artisti contemporanei viventi, o scomparsi da pochissimo, è difficile attribuire a


questo o quel pianista un ben preciso ambito stilistico.
Ciò nonostante possiamo tracciare delle linee di tendenza rispetto a quella sintesi stilistica e

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creativa che pare orientare il jazz di oggi e, nello specifico, il pianoforte più attuale.

Parlando di pianoforte "sintetico" faccio riferimento a quel processo di interazione tra molteplici
e differenti elementi che si sono sviluppati nella storia del jazz che è, per sua natura,
contemporanea.

Per questo motivo è facile intravedere riaffioramenti di esperienze solo apparentemente


arcaiche.

Ad esempio, l'opera pianistica di Beiderbecke è modernissima così come quella di Monk,


Ellington, Taylor e di molti altri, meno noti ma altrettanto importanti, destinati, purtroppo, ad
essere messi da parte troppo frettolosamente sia dall'atteggiamento modernista ad oltranza
dei giovani cultori della fusion sia da quello esasperatamente "di tendenza" di alcuni musicisti e
appassionati. Senza alcun dubbio una maggiore e più consapevole coscienza della cultura
jazzistica, acquisita con un atteggiamento realmente moderno e quindi propositivo e
spregiudicato al tempo stesso (come ha insegnato la stessa storia del jazz) non potrebbe che
portare dei vantaggi alla nostra vicenda musicale sia in veste di appassionati, che di studiosi o
di musicisti.

Ritornando al pianoforte di oggi è interessante notare come quasi tutte le esperienze attuali
prendano spunto dalle seguenti linee di tendenza:

• lessico bebop (Bud Powell)


• modernizzazione del blues feeling (Wynton Kelly)
• armonizzazione Evansiana (Cat. A, B, C, poliarmonie, frammenti}
• concezione modale (Tyner, Coltrane)
• approccio libertario e creativo (Lennie Tristano, Cecil Taylor)
• repertorio jazzistico
• introduzione di elementi e procedure proprie di varie culture (inclusa quella classica
europea)
• ricerca poliritmica

In tale situazione, senza dubbio dinamica e complessa, proprio per la estrema varietà di
inputs, si rileva uno spostamento delle tendenze verso una dimensione "bianca" di stampo
europeo a scapito, forse, di alcune componenti nere tipiche del jazz, come ad esempio il blues.

Lo scenario internazionale risulta perciò diviso tra l'esperienza statunitense, orientata verso
una ulteriore modernizzazione del bebop, e quella europea, caratterizzata da una maggiore
ricerca compositiva e di organizzazione strutturale della musica e più disponibile alla sintesi di
nuovi elementi extra jazzistici in senso stretto. Naturalmente si tratta di tendenze di natura
creativa che non hanno nulla a che vedere con la provenienza geografica. Anche il jazz vive,
come le altre forme di cultura e comunicazione, pregi e difetti del "villaggio globale" della
nostra società.

Alcuni protagonisti della scena americana, ad esempio, si collocano culturalmente nello


scenario europeo e viceversa. Il terreno comune di incontro diventa perciò il repertorio
jazzistico ed in particolare quello degli standards. Quasi tutti i musicisti di oggi, pur
continuando nella propria ricerca compositiva, si cimentano più o meno frequentemente con i
songs della tradizione jazzistica, sia che si tratti di evergreen (Autumn Leaves, Stella By
Starlight...), che di brani meno consueti.

Al di là degli esiti artistici, differenti da soggetto a soggetto, lo standard fornisce al musicista


una enorme libertà esecutiva e di rielaborazione istantanea, realizzata senza preoccupazioni
tecniche o timori. Le progressioni e le melodie degli standards sono metabolizzate a tal punto
che consentono un intervento radicale su tutte le componenti musicali: armonia,
scomposizione ritmica, ricerca melodica, elaborazione del suono, reinvenzione dei ruoli degli
strumenti...

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Il tutto può avvenire senza particolari preoccupazioni di aderenza all'estetica compositiva
originaria (naturalmente quando il repertorio è quello dei songs). Per le riletture di autori come
Monk, Ellington, Mingus occorre naturalmente un lavoro preparatorio molto più accurato anche
se può essere mantenuto ugualmente un atteggiamento creativo e, per certi versi,
spregiudicato.

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Capitolo 9: Il pianoforte oggi (IIa parte)

Sul versante "americano" di tradizione nera, derivato direttamente dal bebop, si colloca il
pianista Kenny Barron. Barron è attivo sulla scena jazzistica dai primi anni sessanta anche se
è balzato sulla ribalta internazionale solo recentemente, vincendo le più importanti graduatorie
jazzistiche.

In lui si intravede chiaramente la lezione di Bud Powell, così come il blues feeling moderno di
Wynton Kelly, oltre all'influenza non indifferente di Thelonious Monk. Ha dato vita per anni
ad un gruppo, Sphere, dedicato alla musica di Monk di cui faceva parte anche l'ex compagno
di Monk, Charlie Rouse.

Lo stile di Barron è comunque in continua evoluzione ed ascesa e riserva sempre nuove


sorprese. Nel suo fraseggio si può scoprire ad esempio l'approccio modale di Tyner, o le
influenze dei suoi coetanei (Hancock, Corea...) o ancora il gusto per la ballad di Bill Evans e
le qualità di grande accompagnatore di Wynton Kelly.

A tal proposito risulta esemplare il disco registrato in duo con il tenorista Stan Getz nel 1991
al Cafè Montmartre di Copenhagen in cui Barron mette in mostra tutte le sue qualità.

Nell'accompagnamento Barron usa spesso un voicing aperto realizzato da due intervalli di nona
sovrapposti.

Barron ha saputo ritagliarsi una posizione di rilievo nella dimensione del trio, affrontato
secondo una logica nera in cui il pianoforte riveste it ruolo principale accompagnato da ritmiche
di altissima qualità: Victor Lewis - Rufus Reid o Ben Riley - Ray Drummond.
È interessante notare come, con la prima ritmica, Barron si sposti spesso su un versante più
modale mentre con la seconda rimanga più vicino al lessico bebop.

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Sul versante americano "bianco" fa scuola Keith Jarrett, anche se la sua personalità, il
talento pianistico e la completezza della cultura musicale lo collocano in una dimensione
creativa di stampo decisamente europeo.

L'Europa è presente in lui nelle concezioni musicali tardo-romantiche della sua musica che si
riflettono inevitabilmente in una completa immedesimazione dell'evento sonoro. Per questo in
lui l'improvvisazione è più che mai creazione istantanea, sempre nuova e diversa, senza alcun
ricorso a cliché o frasi predefinite. L'improvvisazione è perciò melodia pura.

Jarrett si cimenta spesso con il repertorio classico di Bach, Skrjabin e Rachmaninoff portando
le atmosfere impressioniste di Debussy nei suoi piani solo o nelle introduzioni degli standards.

Proprio per questa sua tendenza Jarrett è associato ad un altro grande romantico del jazz, Bill
Evans, di cui ha saputo cogliere e sviluppare la dimensione aperta del trio con basso e
batteria.

In Jarrett si coglie anche l'influenza di un altro bianco, Paul Bley, le cui atmosfere vengono
rievocate nei primi lavori con Charlie Haden e Paul Motian, a cui Jarrett aggiunge spesso la
voce del sax tenore di Dewey Redman (collaboratore di Ornette Coleman).

Un'altra tappa importante per il pianista viene vissuta direttamente in Europa e precisamente
nei paesi scandinavi ove Jarrett non solo incide (gli studi della etichetta ECM sono ad Oslo) ma
collabora con tre fuoriclasse nordici: il sassofonista Jan Garbarek, il batterista Jon
Christensen e il bassista Palle Danielsson. Quindi si giunge all'attuale acclamatissimo trio
con Jack De Johnette e Gary Peacock.

Prima però di affrontare la sua produzione più recente facciamo un passo indietro notando che
Jarrett è stato l'unico pianista di una lunghissima serie a non rimanere contagiato in modo
significativo dall'esperienza di Davis. Le motivazioni sono molteplici, partendo dal fatto che
Jarrett non si è mai trovato molto a suo agio in situazioni elettriche e che la sua personalità
egocentrica e individualista ha portato il pianista a privilegiare dei contesti in cui potersi
mettere in evidenza (fortunatamente con grandi esiti artistici).

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Per quanto riguarda la sua formazione c'è da segnalare
l'espulsione dal celebre Berklee College Of Music di Boston, a
riprova ulteriore del carattere difficile di Jarrett, e il debutto con
il quartetto del sassofonista Charles Lloyd.

Con Lloyd, Jarrett ha occasione di farsi conoscere a livello


internazionale anche attraverso la ricca produzione discografica
del sassofonista americano.

Rimane nella storia il break di Jarrett nel brano Forest Flower,


sia per l'impressionante velocità esecutiva che per varietà di
idee concentrate in poche battute. Sempre nel quartetto di
Lloyd, Jarrett stringe amicizia con il batterista De Johnette che
è anche un ottimo pianista. Proprio da questa qualità di Johnette scaturiscono i presupposti
rivoluzionari del trio degli anni ottanta.

Il gruppo si muove essenzialmente sul terreno degli standards rivisti ed elaborati in grande
libertà anche se la scomposizione ritmica è il tratto più caratteristico e straordinario reso
possibile dall'affiatamento tra i tre musicisti e dalle qualità tecniche ma, soprattutto,
dall'atteggiamento anticonvenzionale di De Johnette che può prendere degli enormi rischi
proprio per la perfetta conoscenza armonica e melodica del pianoforte.

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Un pianista vicino all'estetica di Bill Evans è il francese Michel Petrucciani.

Nato nel 1964, ha avuto modo anche lui di suonare con Charles Lloyd proseguendo in parte
l'eredità lasciata da Keith Jarrett.

Nonostante un grave handicap fisico, Petrucciani ha elaborato una tecnica straordinaria

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caratterizzata da un notevole senso ritmico (si noti la scomposizione ritmica in tre quarti nella
trascrizione di Beautiful Love) e da raffinatezze armoniche di stampo evansiano.

Nel 1986 registra in duo e in trio al festival di Montreaux con il chitarrista Jim Hall e il
sassofonista Wayne Shorter (Power of three) di fronte a 3500 persone accorse soprattutto
per ascoltare i gruppi in programma nella stessa serata (il McCoy Tyner group con Hubbard,
Scofield e Joe Henderson, il quartetto di Wayne Shorter, la solo performance di Al di
Meola). Petrucciani, allora ventitreenne, non si lasciò impressionare dal confronto ottenendo
un successo così straordinario che l'etichetta Blue Note volle ricavarne un disco tra i più belli e
ricercati dell'ultima produzione.

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Negli Stati Uniti si sono recentemente messi in evidenza i pianisti Kenny Kirkland, Marcus
Roberts, Bennie Green, Stephen Scott, Joe Calderazzo, Uri Caine mentre sul versante
latin-salsa Michel Camilo e Gonzalo Rubalcaba. Russell Ferrante (Yellow Jackets) e Dave
Grusin si muovono sul terreno della fusion pur introducendo spesso nelle loro improvvisazioni
il linguaggio jazzistico di stretta osservanza bebop modernizzato dal suono del sintetizzatore.

I paesi europei, oltre ad ospitare numerosi musicisti americani, possono contare su un


cospicuo numero di pianisti. La Francia, oltre al già citato Petrucciani, ha dato i natali a Martial
Solal, l'Inghilterra a Gordon Beck (già con Phil Woods), John Taylor e Stan Tracey,
l'Olanda al tastierista Jasper Van't Hof, la Svizzera a George Gruntz (anche lui con Phil
Woods), la Svezia a Bobo Stenson, la Spagna a Tete Montoliu, la Russia a Simon
Nabatov, la Germania a Joachim Kuhn, Alex Von Schlippenbach e Wolfang Dauner.

Per quanto riguarda l'Italia occorre fare un discorso più complesso non solo per doveri
patriottici, ma soprattutto per la lunga tradizione vantata dal nostro paese proprio nel
pianoforte jazz. Oltre al già citato Gaslini, da tempo affermato a livello mondiale, i pianisti
Franco D'andrea e Enrico Pieranunzi rappresentano in modo esemplare l'altissimo livello
raggiunto dai jazzisti di casa nostra. Nello stile di D'Andrea si possono intravedere molte
influenze: il bebop di Powell (visto attraverso l'esperienza dei californiani Hawes, Freeman,
Jolly), il jazz modale di Hancock e Tyner, l'armonizzazione di Evans, lo stride piano arcaico...
anche se, data la sua statura internazionale, sarebbe più corretto parlare di un vero e proprio
"stile D'Andrea".

Enrico Pieranunzi ha alle spalle un background classico di tutto rispetto (insegna pianoforte
principale al Conservatorio) che ha saputo ben integrare e indirizzare nel jazz moderno. Il suo
riferimento principale è Bill Evans di cui, soprattutto in passato, ha sposato in pieno l'estetica
e l'approccio pianistico. Più recentemente, grazie alla riscoperta di Chick Corea, Pieranunzi ha
messo a punto uno stile modernissimo, a tratti atonale, in cui l'aspetto ritmico e la padronanza
completa della tastiera e dell'elemento armonico lo pongono in una posizione di assoluto
rilievo. Come D'Andrea, Pieranunzi è un ottimo compositore. È inoltre l'unico italiano di cui sia
stata pubblicata una composizione sul Real Book, la bibbia delle composizioni di jazz di tutti i
tempi.

Particolarmente significativa è la produzione di Enrico Intra, che oltre alla felice


collaborazione pluriennale con Franco Cerri, ha al suo attivo una notevole produzione
discografica e compositiva. Enfant prodige negli anni '50, si è dedicato alla musica
contemporanea, ai corali liturgici e alla dimensione multimediale (ha sonorizzato dal vivo il film
muto di Murnau, Nosferatu). Il suo stile è attualmente molto avanzato, collocandosi a metà tra
l'esperienza Evans-Jarrett e l'approccio libertario di Taylor con una predilezione particolare per
i preludi e la tecnica, tanto straordinaria quanto poco utilizzata, per l'improvvisazione a block
chords di cui è un autentico maestro.

Sebbene l'argomento necessiti di costanti aggiornamenti in tempo reale, occorre comunque


ricordare: Guido Manusardi, Riccardo Zegna, Stefano Battaglia, Antonello Salis, Danilo
Rea, Dado Moroni, Andrea Pozza, Antonio Faraò, Stefano Bollani.

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