di P. Carlo Serri pubblicato in: La Squilla dei fratini di S.Antonio, LXXXI, gennaio/febbraio 2011,11-14.
Il Natale di Gesù, che la Chiesa celebra ogni anno, è un evento fondamentale
nella fede cristiana. La verità dell’incarnazione del Figlio di Dio nella natura umana non disegna solo la nostra immagine di Dio, ma determina anche la nostra concezione dell’uomo. Gesù non è un’apparizione fantastica, e nemmeno un mito letterario. Il Figlio di Dio è entrato nella storia, e ha assunto la pienezza della nostra umanità, nascendo da una donna, per opera dello Spirito Santo. Una domanda sorge spontanea: gli ebrei, che vivevano nell’attesa del Messia, si aspettavano anche che questi sarebbe stato il Figlio di Dio? Certamente no! Nelle attese di Israele c’era un profeta, o un sacerdote o un re appartenente alla discendenza di Davide. Le aspettative messianiche degli ebrei nei confronti della casa di Davide erano fondate sulla parola dei Salmi e dei profeti. Una delle predizioni più famose del Vecchio Testamento Vecchio, riferite alla casa di Davide, è quella contenuta nel capitolo 7 del libro di Isaia. Erano tempi difficili per il regno di Giuda. Il regno di Israele e la Siria erano in guerra contro l’Assiria, e volevano coinvolgere nel conflitto anche il regno di Giuda. Il Re Acaz, invece di confidare nel Signore, come suggeriva il profeta, ebbe paura di scendere in campo e chiese aiuto all’Egitto. Il re di Giuda, in questa difficile contingenza politica, rifiutò di chiedere a Dio un segno di conferma o di protezione: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». Forse non credeva possibile un intervento divino, o forse non voleva rischiare di impegnarsi. Il profeta Isaia gli portò allora un messaggio di Dio, che preannunziava la nascita del Messia dalla discendenza davidica: “Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele” (Is 7,14). Gli ebrei pensarono che questo bambino sarebbe stato semplicemente un figlio di Acaz, o comunque un discendente della famiglia reale. Ma Dio ha compiuto le sue promesse superando infinitamente le aspettative umane. La Vergine che concepisce il Figlio di Dio sarà Maria, una fanciulla di Nazaret. E, nel vangelo di Matteo, al posto dell’incredulo re Acaz troviamo Giuseppe, l’uomo della fede, capace di comprendere i segni di Dio. A quest’uomo, un giusto di Israele, Dio chiederà una grande prova di fede, un’obbedienza tanto difficile da diventare per noi esemplare. L’evangelista ci riferisce che “sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto” (Mt 1,18-19). Per comprendere appieno questa situazione dobbiamo ricordare che, secondo le consuetudini ebraiche al tempo di Gesù, gli sposi andavano a coabitare solo dopo un certo tempo dalla celebrazione delle nozze. La celebrazione del matrimonio consisteva in due eventi distinti. Il primo era la celebrazione degli sponsali, che si celebravano in forma privata. Questi sponsali non erano una semplice promessa del matrimonio futuro, come un fidanzamento, ma un vero contratto matrimoniale. Gli sponsali facevano già nascere diritti e obblighi del matrimonio. Se la sposa tradiva lo sposo era considerata adultera; se lo sposo moriva in questo periodo la sposa era considerata una vedova. Dopo un certo periodo di tempo, si celebravano le nozze pubbliche e solenni, che consistevano nel condurre la sposa, tra musica e feste, nella casa dello sposo. Da questo giorno cominciava la coabitazione. Giuseppe e Maria contrassero un autentico matrimonio nel momento in cui celebrarono gli sponsali. Ma prima che andassero ad abitare insieme avviene il colpo di scena: Maria rivela a Giuseppe la sua gravidanza. Possiamo immaginare il dolore e l’angoscia di Giuseppe! Egli è un uomo giusto e non vuole ripudiare Maria, esponendola al ludibrio del tribunale e al disonore pubblico. Decise di ripudiarla in segreto; ma possiamo immaginare la sua sofferenza. Il Signore, però, interviene a rivelargli la vocazione altissima alla quale era chiamato: assumere la paternità legale del Figlio di Dio. La rivelazione dell’angelo lo chiama ad una risposta di fede unica e sublime: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,20-21). Giuseppe è chiamato a compiere una missione altissima: essere cooperatore nello Spirito Santo, accogliendo Gesù per la salvezza del mondo. Giuseppe riconosce, nella fede, il miracolo che Dio sta compiendo nella sua sposa Maria, e accoglie la volontà del Signore in obbedienza ed umiltà. Subito prese nella sua casa Maria e il bambino. Da quel momento la sua vita è consacrata alla guida e alla custodia della santa famiglia. Egli sarà il collaboratore più prezioso di Dio. Giuseppe è una figura unica nella santità cristiana. Egli non fu soltanto, come tutti i santi, un imitatore di Cristo. Egli fu il maestro e il modello quotidiano dell’umanità di Cristo! Il bambino Gesù ha imparato da lui ad essere un uomo, a pregare, a lavorare. Gesù lo ha chiamato papà (Lc 2,48) e lo ha onorato con affetto filiale. A questo uomo giusto Dio ha affidato suo Figlio e la Vergine santa, e questo ci dice che non c’era sulla terra uomo migliore di lui.