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SILVANA GHIGONETTO

“ISRAEL DES ALPES”

Nuove ipotesi sulla microstoria dell’alta Valle Po

Dispensa “Università delle Alpi- Associazione culturale alpina “tribù di Levi”


Bedigliora- Paesana 2011

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In Memoria di Rav. Mordechai Robbio (Hebron 1785)
e di mia nonna, Maria De Robbio

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Ringraziamenti:

Un ringraziamento sincero va a Mariella Becchio che, non senza litigi e feroci insulti reciproci
(non ci parliamo più da ben tre anni!), mi ha instancabilmente sollecitata, facendomi comprendere
la necessità di intervenire e riscrivere la storia.

Ringrazio alcuni rappresentanti della Comunità Ebraica di Torino, in particolare la famiglia Segre
di Saluzzo, per avermi fornito importanti spiegazioni circa gli usi, ,i costumi e le tradizioni
ebraiche in Piemonte; rispondendo inoltre alcuni miei interrogativi circa i contenuti del Talmud.

Ringrazio il Signor Daniel Vogelmann, titolare della Casa editrice “La Giuntina” ( Firenze), per
avermi permesso di riprodurre gratuitamente la cartina “Gli ebrei dell’Impero Romano”, tratta da
M. Gilbert, “Atlas of Jewish History”, Edizioni Giuntina, Firenze 1984.

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PRESENTAZIONE

“Israel des Alpes” è la sintesi di uno studio che mette in luce gli aspetti intimi della nostra vallata,
l’Alta Valle Po.
Si tratta di un insieme di codici di comportamento, cultura e tradizione fino ad oggi nota solo
all’interno della nostra gente, la quale pur tramandando gli insegnamenti di generazione in
generazione ha finito col perderne il significato originario.
Il lavoro di Silvana Ghigonetto ha messo insieme questi aspetti profondi della nostra tradizione
ponendoli in relazione con la documentazione storica ufficiale.
Ne è emerso un quadro storico sorprendente nel quale l’ autrice ipotizza antichissime radici
semitiche delle nostre genti oltre ad un susseguirsi di afflussi ebraici “ad ondate” nel corso della
storia, che toccano anche la Valvaraita e le vallate limitrofe .
Discendenti della tribù sacerdotale isreaelita dei Levi (e da una parte della tribù di Giuda per via del
toponimo Ustana) imprigionati e deportati dai babilonesi nel 500 a. C., secondo l’ipotesi di Silvana
Ghigonetto, i nostri antenati sarebbero stati tradotti qui come schiavi per lavorare nelle miniere della
valle.
La stessa sorte, molti secoli dopo, toccherà a migliaia di ebrei (molti di loro cristiani) deportati dai
romani in tutto il cuneese e in Valle Po dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 d. C.
Dal lavoro dell’autrice apprendiamo che l’Alta Valle Po, i cui toponimi risultano verosimilmente
essere in ebraico e aramaico, fu raggiunta anche dagli Apostoli in predicazione in Gallia subito dopo
la morte di Cristo e nell’XI secolo fu sede di una importante Scuola teologica che ebbe come allievo
della “Crissolana gens” il vescovo di Milano. Nel medioevo, Paesana accolse i “marrani” (ebrei
condannati al rogo) in fuga dalla Provenza, Catalogna, Savoia, Portogallo…

Dunque, un quadro storico avvincente che, come la stessa autrice auspica, meriterebbe ulteriori
studi, verifiche ed approfondimenti in futuro.

Aldo Perotti

Presidente Comunità Montana


Valli Po, Varaita, Bronda e Infernotto

Ai discendenti dei “valdenses”( montanari dell’Alta Valle Po),

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ho deciso di rendere pubblici i miei appunti sulla storia della Vallis Peysana perché mi sono resa
conto dell’esistenza di alcuni aspetti sorprendenti che ho avuto modo di comprendere solo
recentemente e sono sinceramente convinta che questi meritino la vostra attenzione.
Gli studi di Vindimmio e Di Francesco sulle comunità di Paesana e Crissolo mi avevano permesso,
già alcuni anni fa, di intravedere alcune stranezze e una sorta di filo conduttore “sotterraneo”dal
quale ho ricavato una nuova chiave di lettura sul passato della nostra valle. Ciò significa che molte
vicende erroneamente interpretate hanno lasciato individuare contenuti di stampo ereticale, un
tempo pericolosissimi. Talmente pericolosi da essere stati occultati dai nostro stessi antenati.
Eretici, i paesanesi tutti e non solo quelli del terziere di Santa Margherita come spesso vien detto, i
nostri antenati erano gli eredi di una storia molto antica, che li ha visti protagonisti di una visione
sociale all’avanguardia persino per la società contemporanea.
Dopo anni di letture, dopo aver ascoltato decine di lezioni accademiche sulle radici “germaniche e
latine dei toponimi” paesanesi, trascritti oltretutto senza averne mai colto il suono (Un-din non può
essere tradotto in Odino e Bër-sàh-iàh non può diventare una spagnoleggiante “Bersalha”, per non
parlare poi dello stiracchiato “Padus-Zana”, ecc.) e dopo aver visto assemblare i documenti antichi
in modo troppo schematico e rigorosamente incatenato ai dettami imposti dalla storia ufficiale,
credo si debbano considerare tracce e percorsi di ricerca alternativi.
Sul fatto che i nostri antenati fossero molto religiosi e osservassero principi e regole morali molto
forti non ho dubbi, ma non concordo con chi scrive paginate esaltanti sulla devozione cattolica dei
paesanesi sapendo che i cosiddetti “ferventi catholici”, quelli ’d’zà (Parrocchia di Santa Maria)
hanno portato il Sambenito (saio benedetto), ossia la veste gialla degli ebrei e degli eretici torturati
dall’inquisizione, fino al 1961. Questi reperti oggi sono spariti nel nulla e non si sa più dove siano
andati a finire né i Sambenito, né i documenti relativi alle confraternite; però fortunatamente
rimangono le testimonianze degli anziani.
Avete presente la cosiddetta “Cunfraternita d’l fià cürt?”*. Ecco, proprio quella lì,…chissà “come
mai” la chiamavano così!
L’uso del Sambenito dimostra che sia a Paesana ’d’zà che ’d’là si è avuta una repressione
inquisitoriale forte, alla quale sono seguite alcune reazioni molto violente ma comunque sempre
finalizzate al raggiungimento di una coesistenza pacifica tra le varie confessioni di matrice ebraico-
cristiana tipiche del Medioevo che probabilmente sussistevano contemporaneamente in valle. Gli
storici spesso hanno scritto che gli eretici di Paesana venivano da fuori, ma non è così: la storia, di
fatto, pare molto più complicata e articolata.
Forse cristiani fin dalle antichissime origini, ma non precisamente cattolici, i paesanesi erano
“valdenses”, cioè montanari eretici che si dicevano discendenti dei Profeti, affermando così di
avere origini israelitiche. A questo proposito sappiamo che alle sorgenti del Po è attestata la Tribù
dei Levi che secondo la storiografia sarebbero celti, mentre invece i Libici anch’essi attestati in
Piemonte nella stessa epoca sarebbero per l’appunto libici. Poiché Libia e Palestina sono vicine, non
si capisce il perché di questa interpretazione. Quindi, se da un lato la storia del Piemonte attesta i
Libici verso Novara nel V secolo A. C., non si comprende la ragione che spinge a considerare la
Tribù dei Levi un tribù celtica “a sinistra”*, senza aver nemmeno minimamente considerato che
potrebbe trattarsi di una tribù israelita.
Le affermazioni esternate dai “valdenses” in epoca inquisitoriale circa la loro discendenza dai
profeti suonano infatti molto strane sulla bocca di presunti montanari ignoranti e analfabeti: come
avrebbero potuto avere una simile consapevolezza storica dei poveri pastori semi-pagani arroccati
sulle pendici del Monviso?
Come questo, gli interrogativi che ci poniamo in generale sulla storia della nostra valle sono
molteplici.
Come mai proprio a Paesana venne a morire e fu sepolto Desiderio, Re dei Longobardi? Perché
nell’XI secolo, il Vescovo di Milano si definì “ alunno della gens Crisolana”? Cosa spinse il nipote

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di Calvino e, secondo la tradizione orale, Calvino stesso a venire a Paesana? Perché proprio a
Paesana si tenne il synodo valdese?
Forse le parole dei nostri antenati andrebbero riconsiderate oggi con minore sufficienza di quanto
fatto in passato. Ne consegue che la storia andrebbe ristudiata, uscendo dai percorsi “canonici” e
valutando tutti i documenti; utilizzando perciò anche l’ottica ereticale e non solo quella delle
versioni ufficiali. I segnali, i documenti e la tradizione che mi sono impegnata a raccogliere e ad
esporre suscitano perplessità e interrogativi anche a me stessa poiché sono scomodi, imbarazzanti,
difficilmente collocabili e decodificabili. Non possono tuttavia essere interpretati come semplici
casualità: sono troppi, per nulla sporadici e costringono ad una riflessione.
Perciò dopo essemi documentata e aver letto approfonditamente quanto gli altri hanno scritto
sull’argomento, ritenendomi insoddisfatta nel constatare troppe discrepanze, ho voluto intervenire
per evitare l’accrescersi di alcune distorsioni che a mio modesto avviso stanno diventando
macroscopiche proprio perché non tengono conto di questi elementi.
Nell’ambito di questo studio che tiene dunque in considerazione la tradizione orale e
comportamentale tramandatasi all’interno dei nuclei famigliari, emergono molti aspetti
sorprendenti, sapientemente criptati dai nostri antenati in difesa dell’azione inquisitoriale.

Certo, io non ho la presunzione di dare risposte ad un fenomeno complesso che peraltro intuisco
nitidamente sia nella sua evoluzione che nei contenuti, al contrario questo mio lavoro è proprio il
susseguirsi di tutta una serie di domande che spero valgano l’invito agli studiosi di voler considerare
nuove chiavi di lettura probabilmente più vicine alla realtà.

Silvana Ghigonetto

*”Cunfraternita d’l fià cürt”= lett. “Confraternita del “fiato corto”

*sui Levi “Tribù a sinistra” vedi p. 36

Indice:

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Capitolo I: L’eresia nella Vallis Peysana
L’eresia nella Vallis Peysana (aspetti generali)….......................................................................p.9
Il Credo degli eretici di Peysana……………………………………………………………….p.15
La procedura nei processi d’inquisizione contro i valdenses……………………… ………….p.20
I nostri antenati: stregoni o rivoluzionari?..................................................................................p.23
Le reazioni anti-inquisitoriali…………………………………………………………………..p.28
Capitolo II: Le tracce ebraiche
1) I levi alle sorgenti del Po………………………………………………………………p.42
2) Gli ebrei nelle Alpi in epoca romana e paleocristiana……………………....................p.55
3) I valdenses e lo Shabbat………………………………………………………………..p.59
4) Gli appellativi Bar-ba e Bar-bet………………………………………………………..p.63
5) I toponimi di probabile radice ebraica e aramaica……………………………………..p.75
6) I cognomi nella genealogia ebraica…………………………………………………….p.81
7) I valdenses di Paesana in fuga da Francia, Portogallo, Catalogna……………………. p.94
8) canti in ebraico nell’arco alpino……………………………………………………..p.100
9) I modi di dire in ebraico……………………………………………………................p.104
10) La “chabra”= compagnia……………………………………………………………..p.107
11) I misteriosi riti: la Yeshiva e il Talmud dell’Alta Valle Po…………………………..p.111
12) L’insegnamento morale dei valdenses………………………………………………..p.122
13) I due versanti della valle e il marchio mamzen……………………………………….p.124
14) La Cunfraternita d’l fià cürt e il Sambenito…………………………………..............p.129
Capitolo III: La vera storia di Paesana sarà andata
così?..........................................................................................................................................p.137
Sintetizzando………………………………………………………………………………….p.138
Prima fase: i Levi e
Profeti…………………………………………………………………………………………p.139
Seconda fase: a)i romani insediano i prigionieri ebrei in Piemonte e Liguria; b) arrivano gli
Apostoli……………………………………………………………………………………….p.139
Terza fase: “Leone” fonda la setta cristiana dei valdenses…………………………………...p.144
Quarta fase : i valdenses di Crissolo danno vita ad una importante scuola
teologica………………………………………………………………………………………p.146
Quinta fase:Valdo si innesta sul valdismo e lo
diffonde……………………………………………….………………………………………p.151
Conclusioni: ………………………………………………………………………………….p.153
Bubliografia…………………………………………………………………………………..p.156

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Capitolo I

L’eresia nella Vallis Paysana

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L’ eresia della Vallis Peysana (aspetti generali)

Le vallate del Piemonte, la Savoia, il Delfinato, la Valle d’Aosta, Ginevra, l’Embrunaise, Gap e
l’Arras sono luoghi in cui la repressione cattolica è stata violentissima, forse più violenta che
altrove, poiché proprio da questi territori gli eretici fuggivano dall’inquisizione per trovare scampo
altrove, ad esempio in Lombardia, per essere successivamente sterminati dalla morsa di Carlo
Borromeo.
Un fenomeno vastissimo quello ereticale, durato a lungo nel tempo e che proprio per questo
dovrebbe essere documentatissimo, eppure se cerchiamo notizie sulle eresie dei secoli compresi tra
l’XI e il XVII notiamo che tutte le informazioni si basano solo ed esclusivamente su materiale di
provenienza inquisitoriale, senza mettere a disposizione nessuna fonte documentaria autenticamente
ereticale. A rigore di logica ci si chiede: come è possibile che non sia rimasto un solo scritto, un solo
vangelo, un solo documento completo autenticamente “eretico”? Come è potuto accadere che una
chiesa vastissima come ad esempio quella catara, presente su tutti i territori compresi tra la Francia
del sud (Occitania), l’Italia centro-settentrionale e la Bosnia non abbia lasciato la minima traccia
della sua struttura, gerarchia, riti, riflessioni teologiche e dottrinali? Eppure sappiamo che i catari
costituivano una chiesa di grandi dimensioni, guidata da una complessa struttura gerarchica
composta da vescovi e un Papa.
Non potendo dare una risposta resta comunque il fatto che i documenti cartacei sulle eresie e sui
movimenti ereticali attualmente in nostro possesso non sono la voce degli eretici ma
“l’interpretazione degli eretici” tramandataci dai loro oppositori, ossia dagli “inquisitori”.

1)La “Setta valdenses” più pericolosa in assoluto. Nel contesto generale, rispetto agli altri
territori noi dell’Alta Valle Po siamo però più fortunati, poiché, grazie a quei paesanesi che hanno
aderito in parte alla Riforma Protestante, la memoria, la tradizione e i molti documenti sono stati
conservati all’interno della Chiesa Calvinista, consentendoci oggi di capire meglio il nostro passato.
Ecco perché possiamo ricostruire il pensiero “rivoluzionario” dei nostri antenati e sapere che furono
considerati la “setta valdeses” più pericolosa in assoluto, quella che gli inquisitori chiamavano i
“Leonisti”.
Questa notizia ricavata dagli “errores” degli eretici di Paesana é confermata dall’inquisitore
Rainero nel libro IV contro i Valdesi : “le sette degli eretici furono più di settanta, le quali tutte per
grazia di Dio distrutte sono tranne quelle de’ Manichei, degli Ariani, dei Roncarii, e dei Leonisti,
che infettarono l’Alemagna. Tra tutte queste sette che sono o furono, niuna è che sia alla Chiesa di
Dio più perniciosa dei Leonisti. E ciò per tre cagioni. La prima, perché è più antica; poiché alcuni
dicono che durato abbia insin dal tempo di Silvestro, alcuni da quello degli apostoli. La seconda
perché è più generale, poiché non vi è quasi alcuna terra in cui questa setta non vi sia. La terza
perché tutte le altre sette, per l’enormità delle loro bestemmie contra Dio inducono orrore negli
uditori, laddove questa dei Leonisti fa pompa di grande pietà, perché innanzi agli uomini vivono
secondo giustizia.(1).”

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Note:

1) Mons. Andrea Charvaz, Vescovo di Pinerolo, ” Origine dei Valdesi”, 1838, pag 155-156.

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2) L’accusa: “stregoni e adoratori del Diavolo”. Per sconfiggere questi valdenses i cattolici
adottarono varie strategie e, tra queste, la diffamazione: iniziarono quindi a far circolare strane voci
riguardanti misteriosi riti proibiti, stregoneschi, praticati di notte nelle grotte.
Fu così che quegli stessi “Barba”sopravvissuti in Piemonte nelle valli Pellice e Chisone (a suo
tempo massicciamente presenti nelle valli Po e Varaita), secondo questa accusa furono appellati
“stregoni”. Definiti dall’inquisizione d’Arras del 1459 una “setta demoniaca”, i valdesi vennero in
seguito riabilitati con una sentenza collettiva del 1491 dal Parlamento di Parigi.
Una riabilitazione in verità solo formale, poiché il danno si era ormai irrimediabilmente prodotto:
nell’immaginario collettivo infatti, l’associazione “valdenses-eretici-stregoni”era aleggiante
ovunque, acquisito e incancellabile.
Nella realtà di ieri e di oggi sappiamo invece che gli “stregoni” di Arras altri non erano che quelli
che oggi chiamiamo Pastori della “Chiesa Evangelica Riformata”, peraltro conosciuti da sempre per
essere molto rigorosi, severi e intransigenti, alla peggio un po’ bacchettoni, ma ovviamente
lontanissimi da simili pratiche.
Forse il mondo cattolico peninsulare, soprattutto del passato (ricercatori universitari compresi), non
conoscendo la realtà valdese da vicino e ignorando, fino a pochi anni fa, l’esistenza di intere vallate
piemontesi ufficialmente “non cattoliche” da circa un millennio (se non addirittura dall’epoca
apostolica), potrebbero aver creduto che tali accuse potrebbero essersi motivate in misteriosi, ma
tuttavia legittimi fondamenti.
Ma noi, montanari piemontesi delle valli saluzzesi, i valdesi li conosciamo bene anche perché quasi
tutti, prima di passare per le maglie dell’inquisizione, eravamo “valdenses” o comunque “non
cattolici” nel senso “canonico” del termine.
Ecco perché sorge il coraggio di escludere categoricamente questo parallelismo demoniaco e
stregonesco “a priori”, anche a rischio di ricevere accuse di “non- scientificità” da parte degli
studiosi di storia medievale. E questo non perché non si voglia accettare la realtà, ma perché
un’accusa del genere non corrisponde affatto alla realtà stessa.

3) Gli inquisitori e gli “scemi del villaggio”. A mio avviso, gli studiosi, nell’impegno di provare la
veridicità o meno di tali deposizioni, hanno dimostrato a volte di non capire un granché dalle poche
carte in loro possesso, poiché di fatto estranei alla tradizione culturale “ereticale” tramandatasi
velatamente per intere generazioni all’interno delle famiglie storiche delle valli menzionate e mai
esternata al di fuori del proprio contesto.
Ciò significa che costoro solo raramente sono stati in grado di interpretare nel giusto modo quanto
hanno avuto sotto gli occhi.
Per i ricercatori i problemi di approccio scientifico alla materia davvero sono molteplici poiché oltre
all’oggettiva impossibilità di cogliere il profondo contenuto ereticale, per l’ovvia mancanza di un
rapporto diretto con tale cultura, devono anche saper riconoscere le distorsioni scaturite dalle
deposizioni forzate, architettate dal Clero, a danno degli eretici.
Mi riferisco a questo proposito alla metodologia inquisitoriale e alle sconcertanti confessioni usate
come pretesto per muovere contro i valdenses accusandoli di stregoneria.
Un esempio macroscopico è riportato da Cameron (studioso valdese). Negli atti dell’inquisizione
provenzale, una valdese di nome Jeanne Bosque confessò nel 1532 che la “Madonna è una
prostituta e Cristo il Diavolo”, (2).
Una affermazione davvero sconvolgente in bocca a una valdese!
Aprendo però la visuale e analizzando più a fondo i documenti si capisce bene cosa ci sia stato
dietro a tutto questo tramite le testimonianze coeve (3).
Queste ci dicono che quella povera Jeanne Bosque era una donna semplice e mentalmente ritardata;
probabilmente spaventata dalle accuse, dall’interrogatorio e dal clima di terrore che aleggiava

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ovunque, aveva confuso la Maria Maddalena (la prostituta) con la Madonna lanciandosi poi nel
panico e in affermazioni senza senso, forse volutamente imboccate.
Del resto è noto a tutti che nei tempi passati non era infrequente incontrare nei villaggi persone un
po’ tonte, ma bisogna ricordare che durante il parto all’insorgere di complicanze nel travaglio, che
oltretutto in alta montagna avveniva nelle stalle con poca luce, igiene e ossigeno, i bambini a volte
rimanevano ritardati mentalmente perché semi-asfissiati o male ossigenati alla nascita.
Il fatto poi, che anche a Paesana i documenti ci dicano che gli inquisitori siano andati a prelevare un
individuo considerato tra i peggiori dell’intera comunità, lascia supporre che queste scelte
dipendessero da una vera e propria strategia: arrestare di proposito e terrorizzare i soggetti più
deboli delle comunità (4), i quali essendo scemi, tarati oppure esclusi dalla stessa per i più svariati
motivi, finivano col dire delle cose assurde offrendo così il pretesto voluto per giustificare
l’offensiva violenta contro tutta la popolazione.
Così, subito dopo aver estorto le confessioni più disparate da questi individui deboli, l’inquisizione
era legittimata ad intraprendere ulteriori interrogatori impostati secondo uno schema veramente
diabolico che non dava alcuna chance di difesa al malcapitato.

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Note :
2) G. Audisio, E. Cameron « Les Vaudois des Alpes- Débat sur un ouvrage récent », in: « Revue de l'histoire des
Religions », tome 203 n°4, 1986. pp. 395-409.» alle p. 396-397 : ( Audisio in polemica con Cameron scrive ) : “Mais
pour ne pas quitter l’aire Vaudoise, je peux apporter deux exemples tirés des procé dures que l’inquisiteur Jean de Roma
dirigea contre les hérétiques de Provence en 1532. Il affirme « qu’il en a mis…à la question qui disoit quod Virgo Maria
erat meretrix et quod Christus fuerat conceptus ex Lucifero diabolo ». Voilà una affirmation tout a fait extravagante
dans la bouche d’un Vaudois ou d’un réformé ! » …. « Per non lasciare l’area valdese, posso apportare due esempi tratti
dai processi condotti dall’inquisitore Jean de Roma contro gli eretici di Provenza nel 1532. Egli afferma “…alla
domanda disse che la Vergine Maria era una prostituta e Cristo il Diavolo”. Ecco un’affermazione del tutto
stravagante sulla bocca d’un Valdese o d’un Riformato!.”

3) G. Audisio, E. Cameron « Les Vaudois des Alpes- Débat sur un ouvrage récent », in: « Revue de l'histoire des
Religions », tome 203 n°4, 1986. pp. 395-409.» p. 397, in polemica con Cameron scrive : “Mais le témoignage porté
contre l’inquisiteur par un habitant du Luberon permet de comprendre comment le tribunal pouvait extorquer de tels
aveux: Jeanne Bosque, simple e hors du sens…Roma lui a fait dire et confesser que Marie avait bien fait faute et que
Dieu lui avait bien pardonné, et que elle espérait que Dieu lui pardonnerait ; pensant, comme à confessé, qu’ elle parlât
de Marie- Madeleine…mais le dit de Roma….chouca en son procès de Marie, mère de Dieu. »… « Ma la testimonianza
portata contro l’inquisitore da un abitante del Luberon permette di comprendere come il tribunale riusciva ad
estorcere tali confessioni : Jeanne Bosque, semplice e fuori di testa…Roma le fa confessare che Maria aveva
peccato e che Dio l’aveva perdonata, e che lei sperava che Dio la perdonasse ; pensando, data laa confessionme,
che lei stesse parlando di Maria Maddalena…ma a detta di Roma si riferisce a Maria, madre di Dio”…

4) G.Di Francesco, T. Vendimmio, “Paesana-Documenti storia e arte ai piedi del Monviso, Pinerolo-Torino, 1998,p. 74.
Gli autori si riferiscono le notizie del 1509 riportate dal Charneto del Marchese di Saluzzo Paesana, essendo il Marchese
medesimo comandante del braccio secolare. “Quando padre Angelo raggiunse la Valle Po, non avendo prove certe ma
solo sospetti…solite prediche esortando i colpevoli all’abiura…non vi furono ammissioni. Perplesso, non potendo
distinguere i cattolici dai valdesi (non sarà perché erano tutti valdesi?) …le cose mutarono dopo che un sospetto, tale
Pér Julian di Pratoguglielmo venne fatto confessare…si trattò di una confessione fin troppo estesa che incolpava tutti gli
abitanti di Pratoguglielmo, Bioletto, Bietonetto e Oncino, ma proveniva da persona degna di poca Fede, che aveva
sempre tenuto una condotta moralmente riprovevole e che era conosciuto per disonesto”…

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4) La difesa: discendenti dei Profeti e degli Apostoli. Basandoci sull’analisi dei documenti e della
tradizione scritta e orale tramandata all’interno dei nuclei famigliari, emergono molti aspetti
sorprendenti proprio a seguito dell’azione inquisitoriale.
Innanzi tutto emerge che i valdenses hanno origini antichissime: torturati dall’inquisizione questi
indicavano 4 origini del valdismo: a) i Profeti (epoca pre-cristiana); b) Gli Apostoli (prima epoca
paleocristiana; c) Leonas (tarda epoca paleocristiana); d) Valdo (medioevo). Tali affermazioni
erroneamente considerate contraddittorie dagli storici e dagli inquisitori, trovano verosimilmente e
semplicemente risposta nella “continuità storica” del popolo israelita.
Quindi, considerando l’ipotesi che i nostri antenati non fossero celti, perciò pagani, ma israeliti si
tratterà di verificare più avanti la consistenza di questa supposizione.
Del resto, l’ intuizione che i valdenses non fossero celti e non avessero origini pagane è ampiamente
espressa dalla letteratura Protestante dei secoli scorsi. E infatti, con le parole “Israel des Alpes”,
Muston titolava il suo libro sulla storia dei Valdesi, pubblicato a Parigi 1851.
Il suo studio, che ancora oggi costituisce un riferimento importante sull’argomento, è stato a lungo
ritenuto provocatorio dai cattolici, ma in realtà non lo è: dichiara semplicemente le origini
Apostoliche del cristianesimo nelle nostre valli.
Verificheremo quindi, nell’ambito di questo studio, che che i toponimi di Paesana, le esclamazioni e
i modi di dire, l’educazione (che ancora oggi ricalca alcuni precetti talmudici non contemplati dal
cristianesimo) e i cognomi conducono ad una radice ebraica e non pagana.
Constateremo infine che anche i pricipi morali e il sentimento religioso “scolpito” nel cuore dei
paesanesi (e non semplicemente indossato come un rivestimento) non fu sradicato dall’inquisizione,
anzi, si paleserà che non fu il clero ad educare i paesanesi ma furono proprio questi ultimi ad
educare i sacerdoti giunti in valle, i quali dovettero adeguarsi alla morale e ai principi della
popolazione locale e non viceversa.
Per dirla alla Don Raso (v. p. 36), i preti, qui da noi, dovevano “filare dritto…”.

5) Israel des Alpes: metodologia di ricerca. Sappiamo che i valdenses hanno sempre sostenuto di
discendere dai Profeti e dagli Apostoli, scatenando per questo l’isteria degli inquisitori cattolici e
degli storici dei secoli successivi, i quali chiedevano loro di produrre prove e documenti .
Trascurando l’assurdità della richiesta è comunque chiaro che i “Barba” non avrebbero mai potuto
inventarsi una storia del genere se non fossero stati realmente a conoscenza delle loro ascendenze
attraverso le tradizioni e i racconti tramandati al loro interno nel corso delle generazioni.
Volendo per un attimo accogliere la loro versione, (tenuto conto che tramite i documenti stiamo
dialogando con i “Barba” e non con poveri montanari ignoranti) è doveroso almeno tentare di
individuare eventuali conferme o palesi smentite sulla questione. I punti che giocano a favore dei
Barba, e che analizzeremo nel dettaglio più avanti, sono:
La Tribù di Laevi (Levi), popolazione stanziata il Lombardia, Liguria e Piemonte proprio alle
sorgenti del Po, almeno dal V secolo a.C. (e qui siamo proprio all’epoca dei “Profeti” come loro
dichiarano)
La cartografia storica ci indica una massiccia penetrazione ebraica nei territori dei Laevi tra il 100 e
il 300 d.C.
La tradizione orale: gli Apostoli nelle Alpi. Stranamente, coerentemente alla penetrazione ebraica
storicamente documentata, in tutte le vallate piemontesi e francesi si tramanda il racconto degli
Apostoli venuti personalmente in predicazione nell’arco alpino. Alla luce della traccia che indica
una presenza ebraica nelle Alpi, possiamo ipotizzare che non si tratti di una semplice leggenda ma
che gli Apostoli si siano realmente recati qui, proprio perché consapevoli della presenza di una
diaspora. A questo proposito è significativa la deposizione dei valdenses della Val Sangone (Torino)
nel corso dei processi inquisitoriali.
Costoro spiegano di non essere i successori di Valdo, a loro completamente sconosciuto, ma “dei

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quattro apostoli che, dopo l’ascesa del Cristo in cielo, si erano serbati fedeli ai suoi autentici libri, e
per tale loro fedeltà erano stati costretti alla clandestinità dagli altri otto apostoli, quelli che erano
scesi a compromessi con il mondo”. Segue quindi la fondazione della prima vera e propria “setta
valdenses”, che i Barba indicano attorno al 350 d.C., ad opera di Leone, un discepolo di Papa
Silvestro.
Oltre a questi dati, peraltro molto significativi ed importanti, che pertanto tenderei a non
sottovalutare, vi sono altre indicazioni che rafforzerebbero sia l’ipotesi di un’ascendenza ebraica
delle nostre genti, sia il susseguirsi, nel corso dei secoli, di una continua e pressoché costante
stratificazione ebraica sul nostro territorio.
Espulsioni, massacri, fughe e persecuzioni caratterizzano infatti le vicende di questo popolo in
tutta l’Europa e cio’ mi spinge a considerare plausibile l’ipotesi di un costante afflusso di ebrei nelle
Alpi, essendo queste perfette come zona-rifugio; una sorta di “isola” in mezzo all’Europa. Quindi, la
presunta ascendenza ebraica dei Valdesi, peraltro verosimile, non sarebbe da considerarsi come fatto
specificamente riguardante loro, bensì come comune denominatore di tutta la popolazione dell’Alta
Valle Po.
Del resto, sappiamo che il termine “valdenses” veniva utilizzato dall’inquisizione per indicare tutti i
montanari delle Alpi e va quindi associato esclusivamente a coloro che attualmente consideriamo
seguaci di Valdo.

-Cosicché, se dal lato prettamente “Valdese di Valdo” abbiamo:


Lo Shabbat. I Valdenses sono anche detti “Sabbatati” e “Insabbatati” per l’uso di festeggiare il
Sabato e non la domenica (un uso per altro piuttosto diffuso anche tra gli Ariani della Chiesa di
Milano).
“Case” (Sinagoghe) e non “Chiese”; esattamente come gli ebrei tutti dalla distruzione del Tempio
di Gerusalemme. Infatti non avendo avuto riti quali la messa, il battesimo, l’eucarestia, la
venerazione dei santi e il culto dei morti non avevano le chiese, intese nel senso cattolico del
termine, ma le Case (scuole), come palesato anche dal nome “Bar-Bet” = “Figlio della Casa”.
Gli appellativi “Barba” e Bar-bet” che, come vedremo più avanti potrebbero essere parole in
aramaico…

-Dal lato generale, ossia “valdenses-eretico-montanaro”, vi sono:


I toponimi.Come mai vi sono toponimi in antico-aramaico nelle Valli alpine? Ad esempio nelle
Valli Po, Chisone, Varaita
I cognomi della Vallis Paysana (Valle Po) sono tutti di inseriti nella genealogia ebraica. Si tratta di
cognomi di varia provenienza: Provenza, Savoia, Germania, Polonia, Spagna, Portogallo.
I ricordi delle fughe dai luoghi in cui gli ebrei furono perseguitati nel medioevo. I racconti di alcune
famiglie scappate da Chambery, Provenza e Portogallo.
I canti in ebraico, quali ad esempio il ritornello della canzone “L’ase d’Alegre”.
I modi di dire in Yiddish (lingua degli ebrei tedeschi) e in ebraico. Frasi e esclamazioni in uso in
Valle Po e diffusi un p’o ovunque nel vecchio Piemonte: “Oyoyoy!”, “Ammi-Ammi!”, “Ammi- lu
Sgnur!” , “Ayayay!”, “Ay…my, my!”, “nàh!”
La “compagnia dei matrimoni indesiderati”: la “Chabra”. L’usanza della Chabra, erroneamente
confusa col termine capra, significa in ebraico fare una “compagnia”. E non c’è dubbio che la
Chabra nostrana non avesse niente a che fare con le capre, ma fosse una “compagnia contro i
matrimoni indesiderati”
La yeshivà e il Talmud dell’alta Valle Po. Nelle famiglie di Agliasco (Naiash’kh) i figli vengono
istruiti seguendo l’impostazione della Yeshivà (scuola ebraica) ed è sopravvissuta l’osservanza di
alcuni precetti talmudici (che ovviamente solo gli ebrei conoscono).
L’uso del Sambenito fino al 1961. I Paesanesi di Santa Maria, Agliasco (Naiash’kh), Calcinere,
Ostana hanno portato il Sambenito, la veste gialla che l’inquisizione imponeva agli ebrei-marrani
come umiliazione pubblica e atto di pentimento, fino ai giorni nostri.

13
Il “marchio Mamzer” sulla popolazione di Santa Margherita e Pratoguglielmo.L’odio tra i due
versanti della Valle quasi sempre motivato con giustificazioni sostanzialmente riconducibili ai
dissidi religiosi scatenatisi nel corso del ‘600 tra i “barbet” e i “cattolici” si giustificano, di fatto,
nella Legge ebraica e non nelle presunte tensioni religiose tramandate dalla letteratura cattolica:
infatti, come analizzeremo più avanti, tutti i paesanesi erano eretici e non solo i Barbet di
Pratoguglielmo.
Ecco perchè la vera ragione dei conflitti interni alla valle e dell’odio degli eretici di Santa
Margherita verso gli altrettanto eretici paesanesi di Santa Maria (Paesana d’zà) è molto
probabilmente il marchio “Mamzer” che risale a tempi remotissimi. I paesanesi di Santa Maria,
proprio per questo motivo, e non in ragione del fatto che gli altri fossero protestanti, hanno
impedito da sempre ai propri discendenti di sposare i paesanesi di Santa Margherita perché non li
consideravano integri sotto il profilo fisico e morale. Nella legge ebraica la condizione di Mazmer è
un marchio pesantissimo e qui da noi era lo stesso: potrebbe aver suscitato nella popolazione di
Santa Margherita e Prato Guglielmo il sentimento d’odio, la rivalsa e la volontà di uscire da una
sorta di Limbo resa possibile con l’adesione alla Riforma.

------o------

14
Il Credo degli eretici di Peysana”
La presenza di “non cattolici” a Paesana (Valle Po) è accertata e ampiamente documentata fin dal
Medioevo, quantunque non si possa affermare che le correnti eterodosse fortemente radicate in
valle fossero tutte valdesi in senso moderno, cioè seguaci di Valdo.
Infatti, non è da oggi ma dal 1800 che gli storici della Chiesa Valdese dicono che “valdesi” vuol
dire “cristiani delle valli”, cioè “montanari” in generale (5) Rispetto agli storici valdesi, io mi
discosto un pochino perché sono convinta che le popolazioni alpine, soprattutto quelle vicine alle
sorgenti del Po fossero Levi, cioè ebrei. E perciò ritengo che i “cristiani delle valli” in questione
fossero ebrei, o giudeo-cristiani, e non per forza tutti cristiani ( e men che meno cristiani di origine
pagana).
Detto questo, sembra comunque escludibile che nelle nostre vallate gli eretici fossero catari, come
spesso supposto dagli occitanisti, poiché eminenti studiosi dell’argomento, quali Grado Merlo, sono
convinti che costoro, pur essendo numerosi e in fuga dalla Linguadoca, attraversarono sì le Alpi, ma
per raggiungere la Lombardia, senza fermarsi nelle valli.
Resta comunque il fatto che secondo Gonnet a partire dal XIV secolo in poi con il termine
“Valdenses” gli inquisitori indicassero tutti i gruppi “non cattolici” con credenze anche diverse tra
loro (6).
E così, secondo tale ipotesi, se da un lato la repressione inquisitoriale finì col creare solidarietà tra
gli eretici che vennero a costituire per un certo periodo una sorta di “fronte compatto”, dall’altro
viene ammesso che il “valdismo” fosse in quell’epoca un movimento ricco di ramificazioni e
varianti interpretative in piena evoluzione.
Ciò significa che si arricchiva anche di tutti gli influssi culturali caratteristici del territorio occitano,
al quale il Marchesato di Saluzzo apparteneva.
Questa riflessione é stata esternata da noti studiosi protestanti i quali hanno riconosciuto delle
evidenti forzature metodologiche nel ricercare a tutti i costi una “continuità uniforme” tra il
“valdismo” di quei secoli e l’attuale Chiesa Valdese (7).
Ne consegue che il “valdismo” della Valle Po potrebbe essersi caratterizzato attraverso tre forme di
valdismo: un valdismo Originario, un successivo valdismo di Valdo e un valdismo Riformato
(rifiutato).
Situazioni simili dovevano riguardare anche le vallate limitrofe, nelle quali quasi non esisteva il
cattolicesimo. Sappiamo infatti che la concentrazione ereticale delle Alpi del Piemonte Occidentale
doveva essere così marcata che il Vescovo di Torino, Claude de Seyssel, nel suo trattato “Adversus
Errores Valdensium del 1520 scrive : “nella nostra Diocesi di Torino, nelle valli che separano la
Gallia dall’Italia, questa eresia é radicata….e non c’è nessun prelato che osi penetrare all’interno
delle loro vallate” (8).

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Note:
5) A. Muston. “Israel des Alpes, vol.1, 1851, a p. 32.
6) G. Di Francesco, T. Vindemmio “Paesana- Il cristianesimo i Valle Po”, Pinerolo 1998, p. 69; Gonnet, “Le confessioni
di fede”, Torino 1967.
7) A. Molnar “I valdesi primitivi: setta religiosa o movimento rivoluzionario?, in “Protestantesimo”, 29, 1974.
8) Claude de Seyssel, “Adversus Errores Valdensium”, Paris 1520,( f. 2).

15
1)Il Papa contro le “sette” composte di Giudei e Cristiani. Cerchiamo dunque di capire la
situazione. Ed ecco ad esempio di cosa erano accusati i “valdeses ” della Valle Po in un Editto del
1510, con il quale la marchesa di Saluzzo, Margherita di Foix, motiva la crociata contro i suoi
sudditi dell’intera valle (9).
La lista composta da 64 “errores” * rilevati dall’inquisitore, frate Angelo Ricciardino (10) è datata
indicativamente all’inizio del XVI secolo.
Tuttavia gli “errores” contengono orientamenti di pensiero più antichi, risalenti almeno agli inizi del
1400.
A questo proposito sappiamo che già nel 1313 un frate, tale Francesco Pocapaglia, si era recato per
una lamentazione dal Marchese di Saluzzo, denunciando la presenza degli eretici nel marchesato e,
poco dopo, nel 1332 due lettere pontificie confermano che il marchesato era diventato territorio di
predicazione del “Barba” Martino Pastre.
Inoltre, per comprendere l’atteggiamento inquisitoriale degli inizi del Quattrocento, cui fanno
riferimento gli errores paesanesi è opportuno tener presente quanto espresso da Papa Alessandro V
nella Bolla del 1409. Qui sono elencati cinque punti fondamentali, tutti sostanzialmente diretti
contro gli ebrei (11):
1) il primo denuncia in molte regioni la presenza di “nuove sette” composte da giudei e cristiani
nelle quali si praticano “riti proibiti” e viene fatto proselitismo contro la fede cristiana;
2) nel secondo è affermato che tali cristiani e giudei, indovini e invocatori di demoni, usano pratiche
criminali e proibite e pervertono il popolo;
3) il terzo si concentra sul problema riguardante i giudei impegnati nel tentativo di ricondurre
all’ebraismo i loro correligionari convertitisi al cristianesimo;
4) il quarto accusa i giudei di diffondere il Talmud e altri libri “sbagliati” e per giunta distaccati
dalla legge mosaica;
5) il quinto affronta la questione dell’usura specificando che tanto i giudei che i cristiani reputano
corretto pretendere il 10% di interessi su un prestito.

Papa Alessandro V, francescano, fu eletto pontefice al Concilio di Pisa nel 1409. Stando
all’opinione di alcuni studiosi, in particolare di Martine Ostorero, i contenuti della sua Bolla del
1409 gli sarebbero stati suggeriti da Ponce Feugeyron, anch’egli francescano, probabilmente
originario di Aosta, inquisitore di un territorio vastissimo ad alta concentrazione ebraica ed
ereticale.
Sotto il suo controllo erano poste le province di Aix, Arles, Embrun, le diocesi di Lione, Vienne
(Delfinato), Belley, Grenoble, Maurienne, Die, Valence, Vivarais, Tarantasie, Aosta, la contea di
Provenza, la contea di Forcalquier, il contado Venaissino, il principato d’Orange e la diocesi di
Avignone.

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Note:

9) “Errores Valdensium in Paesana Commemoratium”, Archivio di Stato di Torino, Miscellanea sc.3 f.19.

10) G. Di Francesco, T. Vindemmio “Paesana- Il cristianesimo i Valle Po”, Pinerolo 1998, p. 71-74.

11) Martine Ostorero “Itinéraire d’un inquisiteur gâté: Ponce Feugeyron, les juifs et le sabbat des sorciere”- Médievales,
2002, vol.21, n.43, p.103-118

*solitamente vengono considerati 63 ma questo perché ne sono stati assemblati due sotto un'unica voce, io preferisco
distinguere

16
Inquisitore per oltre trentanni, Feugeyron fu confermato nel suo incarico dai Papi Martino V nel
1418 e Eugenio IV nel 1435; i quali oltre a mantenere in vigore la Bolla di Papa Alessandro V,
estesero ulteriormente il suo potere sul ducato di Savoia e su Ginevra.
Nel leggere attentamente la Bolla di Alessandro V, emerge un fatto singolare: il pensiero di ben tre
Papi e un di grande inquisitore non si concentra sull’arcinoto problema dell’”usura ebraica” (che
peraltro risulta essere l’ultimo articolo della lista); il dato emergente è che i cristiani e gli ebrei (si
noti bene l’uso della parola “cristiani” e non “eretici”) sono associati nella creazione di “nuove
sette” composte da individui di entrambe le religioni*.

2)Questi gli “errores” degli eretici di Paesana, confessati sotto l’inquisizione:


1)Bisogna obbedire solo a Dio ed al re o ad altra autorità terrena
2)La Chiesa Romana è sede della falsità ed è rimproverata da Dio
3)Il Papa non ha la podestà che ebbe San Pietro, né è buono come lo fu lui
4)Non si devono temere le censure provenienti dalla Chiesa romana, perché esse non hanno il potere
di legare o di assolvere
5)Le indulgenze dei prelati e dei Pontefici non valgono, né apportano benefici all’anima, perché
mancano di autorità
6)Gli ordini della Chiesa Romana non provengono da Dio, ma si fondano sulla tradizione umana
7)L’acqua benedetta non può più di quanto possa o abbia effetto l’acqua piovana
8) Giova all’anima la sepoltura in un campo allo stesso modo di quella in una chiesa
9)I cattivi sacerdoti non possono comunicare il corpo di Cristo. Quindi esso non è da venerare, né da
ricevere, né da credere esistente nell’ostia
10)Non è necessario comunicarsi il giorno di Pasqua, perché basta ricevere il pane benedetto
(similmente all’ebraismo in cui si riceve un pezzetto di pane azimo)
11)I laici “Valdenses” possono confessare e anche le donne sono abilitate a farlo.
12)E’ sufficiente una confessione generale all’anno (come nell’ebraismo)
13)Anche gli uomini coniugati possono confessare ed assolvere dai peccati
14)Ha maggiore autorità un buon laico che un cattivo sacerdote, perché l’autorità è collegata alla
bontà
15)I “valdeses” sono inviati di Dio, come gli Apostoli
16)Essi possono predicare senza licenza
17)Non hanno effetto i canoni e le leggi, in particolare quelle contro i “Valdeses”
18)Ciò che è ordinato dai Sindaci e dai Consiglieri delle Comunità non deve essere obbedito
19)Condannare gli uomini a morte anche se per giusta causa è peccato mortale
20)Ogni giuramento è peccato mortale
21)Ogni bugia è peccato mortale
22)La Chiesa Romana perseguita i “Valdenses” per invidia e con malizia, perché essi insegnano la
verità

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Note:

* questo dato è confermato dal ritornello in ebraico della canzone « L’ase d’alegre », vedi capitolo successivo “I canti in
ebraico nell’arco alpino”.

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23)Chi indica i nomi dei “Valdensens” commette peccato mortale
24)I non “Valdenses” saranno dannati in eterno
25)Esistono solo Inferno e Paradiso ma non il Purgatorio
26)Elemosina e suffragi per i defunti non hanno utilità per le anime dei credenti, ma solo per le
tasche dei sacerdoti cattolici.
27)Non ci sono e non ci furono miracoli certificati dalla Chiesa di Roma
28)Maria e i Santi ignorano le cose terrene, perciò le preghiere di intercessione non vengono
neppure ascoltate
29)I Santi non sentono le nostre “richieste particolari” e quindi non dobbiamo ricorrere ad essi
30)La vera Chiesa cristiana finì con la morte di Papa Silvestro (cioè finì già subito col primo papa
dopo l’editto di Costantino)
31)La Chiesa Romana è una meretrice e non è la Chiesa di Cristo, ma di chi agisce male
32)Il Papa non è diverso da qualsiasi laico ed essi stessi, i “Poveri” (intesi come Poveri di Lione
cioè i “valdenses”), sono la Chiesa di Dio
33)Poiché i cattivi sacerdoti non possono consacrare né conferire i Sacramenti, nessuno può
salvarsi, se presta fede alla Chiesa Cattolica
34)Nessuno al mondo può assolvere o legare al Posto di San Pietro, se non gli stessi “Valdenses”
35)Chi entra nella Chiesa dei Valdenses si salva senza bisogno del battesimo
36)Nella Chiesa di Dio non ci devono essere né ordini, né unzioni sacre e le indulgenze e i
pellegrinaggi non hanno alcun valore
37)Non valgono la costituzione della Chiesa Romana e il permesso di mangiar carne durante la
Quaresima. San Lorenzo non è affatto un santo
38)Solo i “valdenses” hanno l’autorità di predicare, perché sono senza peccato
39)Non è peccato mortale prendere in moglie una consanguinea
40)Poiché non esiste il Purgatorio non ha effetto far celebrare Messe in suffragio dei defunti
41)Non merita edificare chiese, quindi, chi le atterra o adibisce ad altro uso e fa lo stesso con le
croci, non pecca
42)I Santi e la Madonna non hanno alcun potere per cui non si deve ricorrere ad essi per ottenere
una grazia da Dio
43)Le processioni della Croce, delle reliquie e delle immagini e la venerazione dei Santi sono un
atto idolatrico
44)Condannare gli uomini a morte anche se per giusta causa è peccato mortale. Pur di salvare una
vita è permesso lo spergiuro
45)Il Papa di Roma non può essere il vero capo della Chiesa, perché non tiene una condotta
apostolica, al contrario dei “valdenses” e specialmente dal tempo di Papa Silvestro in poi
46)Le festività dei Santi non devono essere osservate
47)Solo i “valdenses” si salveranno e nessun altro, tranne i “molto ignoranti” e gli infanti
48)Il mondo durerà fintanto che esisteranno “valdenses” sulla terra
49)I giuramenti fatti contro i “valdenses” davanti agli inquisitori sono privi di valore, da non
rispettare nel profondo (Da qui si comprende quanto fosse religiosamente importante salvaguardare
la vita in ogni modo, anche a costo di dover compiere uno spergiuro. La sacralità della vita, del resto
viene ribadita non solo dai “valdeses” ma anche dal Talmud dove è affermato che prima
dell’osservanza di un qualsiasi precetto viene il dovere di salvaguardare la vita. Quindi ogni
conversione al cattolicesimo, accusa, abiura fatta da un “valdense” verso la sua Fede e verso i suoi
confratelli, era giustificata dai “Barba”in ragione di questo precetto dal quale non si poteva
prescindere. Pertanto un “valdense” convertito a forza restava nel suo intimo un “valdense”,
indipendentemente da quello che a forza aveva detto, fatto o spergiurato. Per contro, il Barba, vista
la sua funzione di guida della comunità tentava di evitare in tutti i modi lo spergiuro)
50)Qualunque laico del Gruppo può benedire l’acqua, pronunciando “in nomine Patris , ecc.”(Per
capire questa affermazione bisogna conoscere il carattere dei montanari della Valle Po e cogliere il

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sarcasmo e la presa in giro che rivolgono con queste parole agli inquisitori. Siccome l’acqua
benedetta, come già affermato nell’”error” 7 ha lo stesso valore dell’acqua piovana, ecco che
chiunque può “benedirla”… tanto rimarrà sempre e solo acqua)
51)Nessun appartenente alla “progenie infrascriptorum Barba” potrà “deficere in boni temporalis”,
né essere condannato (nessun inquisitore potrà mai privare il “valdese” della protezione divina
anche a riguardo i beni materiali)
52)Non bisogna dire orazioni delle quali non si conosca l’autore, come accade con “l’Ave Maria”
(non recitiamo l’Ave Maria perché nella Bibbia c’è solo il Padre Nostro)
53)Bisogna santificare solo la Domenica e non anche altre festività (perché quasi tutte venerano i
Santi al cui culto i “valdenses” non credono)
54)Non bisogna osservare le vigilie e i digiuni, perché la Chiesa Romana non ha nessuna autorità
per farle osservare
55)I Sacramenti della Chiesa Cattolica sono stati inventati a scopo di lucro
56)Il cunnilinguo praticato dalla donna sull’uomo è peccato, perché la natura non v’inclina;
l’introduzione del pene in vagina non è peccato perché naturalmente l’uomo vi inclina
57)L’uomo può conseguire tanta perfezione nella vita presente da risultare impeccabile
58)I sacerdoti della Chiesa Romana non hanno diritto a decime, redditi, primizie né elemosine
coercitive
59)Il Papa e i prelati non hanno autorità di legare (unire in matrimonio) o di assolvere (dai peccati),
ma tutta l’autorità risiede nei “Barba” e nei “Maestri” valdesi che continuamente si spostano di casa
in casa per predicare, udire le confessioni ed impartire penitenze
60)A causa della loro santità, nel giorno stesso del Giudizio, essi (i “Barba) siederanno su dodici
sedie, alla sinistra e alla destra di Cristo, come eletti di Cristo e Assessori di Dio, per giudicare
l’umana creatura
61)Portare il lutto, pregare le immagini o la croce, porre candele sugli altari, sono atti di idolatria.
62)Tanto vale adorare la croce effigiate sulle monete come quella presente in chiesa
63)La Setta ebbe origine da un sant’uomo chiamato Leone, al tempo dell’imperatore Costanzo.
Costui, abbandonati gli onori e le dignità che gli sarebbero state proprie, avrebbe scelto per sé la vita
apostolica: papa Silvestro lo avrebbe elevato alla dignità di suo “socius”
64)Un grande Re di Boemia, loro correligionario, arriverà con un grande esercito a soggiogare
province, città paesi, distruggendo le chiese cattoliche ed uccidendo tutti i preti. Anche tutte le
autorità civili perderanno i loro posti di potere. Verranno tolti i pedaggi e le angarie e si pagherà
solo più una tassa d’un “grosso” a persona. Tutti i beni diverranno comuni

Sintetizzando quindi i contenuti del pensiero ereticale attraverso questa lista di “errores”, rileviamo
una differenza abissale tra il credo dei “valdenses” e il cattolicesimo. I “valdenses” infatti
proponevano un cristianesimo intellettualizzato, probabilmente più “talmudico”che “rituale”, che
era poi quello utilizzato da Cristo stesso.

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La procedura nei processi d’inquisizione contro i valdenses

Ma come procedevano gli inquisitori per strappare di bocca gli “errores” ai nostri “valdenses” sotto
tortura, senza peraltro riuscirci un granché?
Seguivano una ricchissima manualistica, talmente contorta e tendenziosa, che qualsiasi cosa il
malcapitato avesse risposto sarebbe risultato colpevole!
Preoccupati di non riuscire a riconoscere gli eretici che si simulavano cattolici, gli inquisitori
iniziano a dotarsi di strumenti “efficaci” per esaminare i sospetti; talmente “efficaci” da provare
sempre, solo e comunque la colpevolezza del “valdense”, indipendentemente da cosa questi avesse
risposto nell’interrogatorio.
Molto in auge in tutta l’Europa, il “Manuel des inquisiteurs”, scritto nel 1376 in Catalogna dal padre
domenicano Nicolas Eymerich e ristampato durante la “Contro-Riforma”, fu “arricchito” dal
canonista Francisco Penha.
Tale Manuale, che prende spunto dalla pratica inquisitoriale di Bernard Gui, padre domenicano
operante in Linguadoca verso il 1324, si imposta sul presupposto che gli eretici fossero “falsi” e
ipocriti, e utilizzassero delle tecniche dialettiche molto sottili per non farsi smascherare.
La grande preoccupazione di Bernard Gui e dei successivi inquisitori consisteva dunque nella
grande difficoltà di interrogare e esaminare i valdenses per la loro caratteristica di dissimulare
gli“errori” attraverso la falsità e la doppiezza delle loro parole.
E prima ancora di Bernard Gui, agli inizi del 1300, un altro francescano chiamato Davide
d’Asburgo sottolinea l’ambiguità degli eretici durante gli interrogatori.
In base a tutta la pratica inquisitoriale precedente ecco che Eymerich individua i 10 modi in cui gli
eretici tentavano raggirare gli interrogatori con lo scopo di non farsi scoprire senza però dire
menzogne o giurare (poiché per loro era peccato gravissimo dire o giurare il falso).
I principali segnali che venivano considerati prova di eresia erano: l’equivoco, l’uso del
condizionale, le risposte a una domanda con un’altra domanda, finto stupore, il rigirare la frase,
fingere di fraintendere le parole, auto –giustificazioni, ecc..
Ecco qualche esempio delle tattiche utilizzate dai frati nel corso degli interrogatori per smascherare
gli eretici. Dal “Manuel des inquisiteurs”….

1) “L’equivoco”.I Valdesi non proclamano mai i loro errori che


fingono di equivocare, “Se si domanda loro: Questo è il Corpo
di Cristo? Loro rispondono sì, ma in realtà si riferiscono al loro
proprio corpo, nel senso che tutti i corpi sono del Cristo, perché
sono di Dio”.
“Se domandate: Credi il battesimo un sacramento necessario?
Loro rispondono: lo credo riferendosi alla loro credenza e non
alla vostra”
“Alla questione: Credi tu che Gesù é nato da una Vergine?
L’eretico risponde: fermamente!” Ma nel senso che si attiene
fermamente alla sua perfidia.”
2) Il condizionale. L’eretico a volte risponde con l’uso di un
condizionale. Alla domanda: “Credi tu che il matrimonio é un
sacramento? Lui risponde: se Dio vuole, lo credo fermamente!
Nella realtà la sua risposta sottintende che Dio non vuole” .

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Se domandate: “Credi nella resurrezione della carne? Vi
sentirete rispondere: Certo! Se questo è il volere di Dio. In
realtà sottintende: siccome Dio non lo vuole non credo!”
3) Rispondere con un’altra domanda. Spesso l’eretico
risponde alla domanda con un’altra domanda. Se ponete la
questione: “Credi che lo Spirito Santo proceda dal Padre e dal
Figlio? L’eretico risponde chiedendo: “Voi cosa credete?” E se
rispondete “Noi crediamo che lo Spirito Santo procede dal
Padre e dal Figlio”. Allora l’eretico asserisce dicendo:
“Anch’io lo credo”, ma il nel senso, “anch’io credo che tu lo
creda”!
4) Finto stupore . A volte l’eretico finge ingenuità e si esprime
con stupore. Se domandate “Tu credi che il figlio di Dio si è
incarnato nel seno della Vergine Maria? esclamerà: “mio Dio
perché mi fate questa domanda, io credo tutto quello che un
buon cristiano deve credere”! Questa risposta sottintende che il
buon cristiano non deve credere in questo.”

Secondo gli inquisitori l’atteggiamento generale che caratterizzava gli eretici era quello di fornire
risposte apparentemente ortodosse e nel contempo portatrici di significati contrari.
Dalla lettura degli esempi del “Manuel des inquisiteur” sorge però il sospetto che siano gli stessi
inquisitori ad inventarsi i doppi-sensi (12).
Le tattiche degli eretici, valdesi e catari, utilizzate per evitare dichiarazioni menzognere e lo
spergiuro quando, messi alle strette si trovavano a dover giurare il falso (cosa per loro gravissima e
proibita) sono ampiamente descritte dal grande inquisitore Bernard Gui che riguardo ai valdesi dice
(13): “Ne fiat directa forma jurandi sed quidam locutio non juratoria, ut tamen ad jurasse putetur”.
Valdesi e catari, utilizzavano secondo gli inquisitori, spesso frasi come “ci sembra”, “se è così”,
“può darsi” al fine di non rischiare di dire il falso.

A questo proposito già Davide d’Asburgo e poi Bernard Gui dicono espressamente che: “quando si
“invita” il valdese a giurare inizialmente questi cercherà di servirsi di formule responsive non
giuratorie, oppure di trasformarle in preghiera o ancora farfuglierà una risposta senza giurare
realmente”.

Dagli atti inquisitoriali di Carcasonne, riportati da Cavaillé nel suo studio emerge un quadro
sconcertante: delirante.
L’eretico, o presunto tale, non aveva nessuna possibilità di poter essere ascoltato senza pregiudizio e
soprattutto senza l’intenzione di essere comunque condannato.

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Note :

12) Jean Pierre Cavaillé “L’art des équivoques: héresie, inquisition et casuistique. Questions sur la transmission d’une
doctrine médiévale à l’époque moderne », in Médievalés n.43, 2002 , a p. 124 « Quello che caratterizza in ogni caso
l’atteggiamento generale dell’eretico, secondo l’inquisitore, é che questi fornisce risposte solo apparentemente
ortodosse, nelle quali il senso reale è conforme alle sue false dottrine. Si può però constatare che queste risposte portate
come esempi probanti l’astuzia degli eretici sembrano dirette e univoche…é molto difficile non supporre che sia
l’inquisitore ad inventarsi il doppio-senso”.

13) Bernard Gui “ De secta allori qui se dictunt esse de ordine apostolorum”, in Muratori, “ “Rerunm Italicorum
Scriptores”, t. IX; Jean-Pierre Cavaillé “L’art des équivoques: héresie, inquisition et casuistique. Questions sur la
tansmission , d’une doctrine médiévale à l’époque moderne », in Médievalés n.43, 2002 , a p. 129.

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Ecco un esempio di questi interrogatori che lo studioso francese, come altri prima di lui, trascrive
(14) “l’eretico….risponde elevando gli occhi al cielo: “Signore, tu sai che io sono innocente che
non ho mai avuto altra fede al di fuori della vera fede cristiana”.
L’inquisitore dice: “Tu parli della tua fede, perché consideri la nostra fede falsa ed eretica, ma io ti
ordino di dirmi se non hai mai insegnato o considerato come vera un’altra fede che quella che è
considerata vera dai fedeli della Chiesa romana”.
L’eretico risponde: “Questa fede che la Chiesa approva la considero la mia fede”. L’inquisitore
dice: “Tu credi che i complici del tuo errore formino la Santa Chiesa Romana e tu credi alla sua
fede?”
L’eretico risponde: “Io credo nella vera fede che crede la Chiesa Romana , è la stessa della
vostra”.
L’inquisitore risponde: “Può darsi che a Roma ci sia qualche membro della tua setta che tu chiami
Chiesa Romana e tu credi nella loro fede….”
L’eretico risponde: “Io credo in tutto quello in cui deve credere un cristiano. L’inquisitore dice: Io
capisco le tue astuzie, poiché, come ti ho già detto, tu ritieni che un cristiano debba credere quello
che credono i complici della tua setta”.

L’atteggiamento della Chiesa, per noi oggi è incomprensibile, visto che di Chiese Cristiane
differenti da quella Cattolica è pieno il mondo (solo per citarne alcune abbiamo: Ortodossi, Copti,
Riformati, Anglicani, Battisti, Avventisti, Mormoni, Testimoni di Geova ecc.), si motiva in una
sorta di incubo collettivo che ottenebrava le menti del Clero e del popolo nel corso del Medioevo. In
effetti, io credo che nel torturare orribilmente e mettere al rogo tanta povera gente gli inquisitori
fossero sinceramente convinti di lottare contri i Demoni, ovvero di far soffrire ed “uccidere i
diavoli”.
In quei frangenti loro non vedevano più le persone in quanto tali, ma il Diavolo in carne ed ossa.
Cosicché in una sorta di delirio allucinatorio collettivo, gli inquisitori avevano ingaggiato una sorta
di guerra contro il Male che si svolgeva uccidendo coloro che ritenevano ne fossero impossessati.
Una battaglia contro le ombre, estranea ad ogni logica razionale ed irrazionale; poiché è assurdo
pensare di poter sconfiggere il Diavolo in un modo così naif. Cosicché mentre la povera gente
moriva per mano degli uomini di Chiesa, che in nome del “Bene” contravvenivano ai
Comandamenti, il Diavolo, in tutto questo rimaneva tale e quale, ridendosela forse anche un po`.

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Note :

14) Jean Pierre Cavaillé “L’art des équivoques: héresie, inquisition et casuistique. Questions sur la tansmission d’une
doctrine médiévale à l’époque moderne », in Médievalés n.43, 2002 , a p.133, tradotto dal testo latino : « l’hérétique….
il répond en grande confiance et en levant les yeux au ciel: Seigneur, tu sais que je suis innocent et que je n’ai jamais eu
d’autre foi hors de la vraie foi chrétienne. Je dis : tu parles de ta foi, parce que tu tiens notre foi pour fausse et
Hérétique ; ma je t’ajure de me dire si tu n’as jamais enseigné ou tenu comme vraie une autre foi que celle qui est tenue
pour vraie par les fidèles de l’Eglise romaine. Il repond : cette foi, que l’Eglise approuve, je la considère comme ma foi.
Je dis :Tu crois que les complices de ton erreur forment la Sainte Eglise romaine et tu crois à sa foi. Il repond : je crois
en la vraie foi qui croit l’Eglise romaine et celle-là même que vous prêchez ouvertement. Je dis : Peut-être y a-t-il à
Rome quelques membres de ta secte et tu les appelles l’Eglise romaine, et tu crois en leur foi….Il repond : je crois tout
ce que doit croire un chrétien. Je dis : je comprand tes astuces, parce que, comme je l’ai déjà dit, tu estimes qu’un
chrétien doit croire, ce que croient les complices de ta secte »

22
I nostri antenati: stregoni o “rivoluzionari”?

Constatiamo che i “valdenses” avevano un’elevatura intellettuale che sinceramente non può essere
equiparata ai seguaci di altre confessioni (se non agli ebrei). I seguaci delle altre confessioni , infatti,
hanno necessitato di grandi architetture, ritualità e gesti “teatrali”, sollecitazioni educative, morali e
di coscienza “infantili” se confrontate con l’insegnamento dei “Barba”.
A questo proposito, ricordiamoci sempre che nel leggere i pochi scritti rimasti non ci troviamo
affatto di fronte al pensiero rozzo scaturito dalle menti grette di poveri montanari un po’ “turulu”
(dial. “tonti”) e analfabeti, ma siamo confrontati con le deposizioni di quegli stessi intellettuali che
hanno anticipato le conquiste sociali che siamo riusciti ad ottenere (per giunta solo parzialmente)
appena adesso, nel recentissimo XX° secolo. Questi pensatori sono gli stessi che hanno istituito
concretamente nelle loro comunità, già nel medioevo, la parità uomo-donna, la parità tra le classi
sociali, il “socialismo” ante-litteram, il rifiuto della pena di morte a favore della “rieducazione” del
reo, ecc., ecc. Tutti questi concetti traevano fedelmente spunto dalla Bibbia e non certo da ideologie
politiche che in quell’epoca neanche esistevano.

Stabilito che i “valdenses” non credevano:


-nel battesimo
-nell’eucarestia
-nella croce
-nelle reliquie
-nel purgatorio
-nel culto dei morti
-nella Madonna
-nei Santi
-nel Papa
-nei sacerdoti
-nella Chiesa Romana

E stabilito che credevano:


-nell’incompatibilità tra il vero messaggio cristiano e la logica del potere temporale
-nella sacralità della vita
-nel rifiuto della pena di morte (anticipando di almeno cinque secoli- se partiamo da Valdo- la teoria
di Cesare Beccaria “Dei delitti e delle pene” con conseguente abolizione della pena di morte inItalia.
Inoltre i “valdenses”interpretavano in pieno medioevo la “punizione” del reo solamente come forma
di recupero dell’individuo)
-nell’uguaglianza tra uomini e donne (stessa autorevolezza e dignità sociale e religiosa)
-nella bontà (poiché attributo di Dio)
-nella verità (rispetto del comandamento: “non dire falsa testimonianza”, cosicché non riuscivano
a giurare il falso venendo scoperti e finendo al rogo)
-nell’uguaglianza sociale ,la società dei “valdenses”della Valle Po si imposta, dal passato remoto ad
oggi, sul principio sull’uguaglianza; quindi sull’orizzontalità sociale cosicché non ci sono classi
sociali. L’unico requisito riconosciuto come distintivo di un individuo (uomo o donna che sia)
dagli altri, non risiede né nei soldi, né nei beni materiali, né nelle cariche pubbliche…ecc., bensì

23
nell’”intelligenza-sapienza”. L’intelligenza è infatti l’unico bene ritenuto prezioso che non
potendosi vendere o comprare conferisce rispetto e autorità a chi lo possiede.
-nel progetto di una società anti-feudale di tipo comunistico (socialismo “ante-litteram). Che aveva
iniziato a palesarsi anche attraverso le cariche pubbliche che non venivano affatto a coincidere con
posizioni di privilegio e inamovibilità. Infatti, dalle Carte Comunali di Paesana del 1533, si
apprende che i tre sindaci (uno per terziere) al termine del loro mandato, dovevano presentare il
bilancio del Comune a “sindacato”, cioè sottoporsi a un organo di controllo che dipendeva dai Capi
di Casa che erano i capifamiglia della comunità. Qualora fosse risultato un ammanco di cassa o di
bilancio, anche per un errore in buona fede, i sindaci uscenti erano obbligati a versare il rimanente
di tasca propria e pareggiare improrogabilmente i conti.
Come se non bastasse, la tutela della parità sociale era ulteriormente garantita dalla rotazione delle
cariche pubbliche: ogni sei mesi cambiava completamente sia il Consiglio Comunale che le
magistrature (15).

Ecco che leggendo questi punti è impossibile continuare a sostenere, come fatto in passato anche da
eminenti studiosi, che questi “eretici” fossero dei poveri montanari, illetterati e ignoranti.

1)Il “Socialismo-evangelico” dei valdenses. Dobbiamo ammettere che in pieno medioevo i


“valdenses” di Paesana, hanno saputo anticipare concezioni politiche e sociali avanzatissime,
sviluppatesi nelle società occidentali solo a partire dal 1900. E da dove i “valdenses” potrebbero
aver tratto questa concezione, spesso erroneamente confusa con la “lezione” monastica?
Loro, infatti non fuggivano dalla realtà chiudendosi in una sorta di “mondo parallelo”, ma si
ponevano a pieno titolo nella società con tanto di famiglie, mogli, figli.
Non erano dei sigles ascetici, ma uomini inseriti nella società con tanto di responsabilità, impegni
comunitari e spirituali.
Certamente più simili ai Rabbini che ai monaci, gli uomini valdenses avevano il compito di dare
l’esempio alla famiglia e alla comunità, affrontando per primi tutti i problemi riguardanti la vita di
ogni essere umano. Inoltre si dichiaravano “ in attesa di una “rivoluzione”, per sbarazzarsi di preti e
autorità civili e mettere “tutti i beni in comune” .
Tale rivoluzione sarebbe stata condotta dal “Re di Boemia”, identificato dalla storiografia in Jan
Hus (condannato al rogo al Concilio di Castanza nel 1415), per l’appunto leader dell’omonimo
movimento hussita sviluppatosi nell’Università di Praga.
E da dove i Barba hanno attinto il concetto sociale di centralità del popolo e uguaglianza di ogni
individuo di fronte a Dio?
Ritengo che il pensiero dei “valdenses” potrebbe sintetizzarsi in questa concezione, rimasta tuttora
radicata tra le genti dell’Alta valle Po, da sempre refrattarie a sottomettersi a pensieri e all’autorità
altrui: “se tutti gli uomini sono uguali di fronte a Dio, che è la massima autorità dell’universo,
potranno mai essere diversi o subalterni di fronte ad un qualsiasi altro essere umano, sia questo un
sovrano, un nobile o un prete?” La risposta ovviamente è no!
Ecco quindi che su tale pensiero, tramandato nelle valli da generazioni e giunto fino a noi, presumo
possa essersi impostato il progetto di Valdo con la sua prima traduzione della Bibbia in lingua
volgare, destinata a soddisfare concretamente il concetto di uguaglianza tra gli uomini in rapporto
con Dio.
Una vera “bomba ad orologeria” per la Chiesa cattolica, ma soprattutto per il potere temporale
costituito, poiché da quel momento chiunque, potendola leggere, si sarebbe posto in grado di
confutare gli insegnamenti dei sacerdoti, svincolandosi per di più da ogni gerarchia istituzionale.
Volendo analizzare un po’ più da vicino alcuni punti sopra elencati sorge spontaneo rilevare
l’estensione del concetto di parità anche tra uomo e donna (recitato dall’Errores undicesimo
elencato precedentemente ).

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2) La donna valdense: uguale all’uomo e tutelata dalla legge. Anche questo é un aspetto
rivoluzionario sorprendentemente in anticipo di almeno sei secoli su quei valori sociali acquisiti dal
mondo occidentale solo pochi decenni fa.
I “valdenses”, dal medioevo ad oggi, hanno sempre posto le donne in parità con gli uomini, tanto da
ritenere normale e legittimo che esse “confessassero” i fedeli (ammesso che la loro affermazione
circa la confessione,corrispondente all’errore 45 non fosse un modo per dire “siccome non credo nel
sacramento della confessione ecco che anche le donne possono confessare”).
Una parità certamente radicata che ha avuto un deterioramento solo nel secolo scorso con l’avvento
dell’industria manifatturiera stabilitasi in valle.
E’ proprio a causa del lavoro in fabbrica, spesso per molte donne delle frazioni raggiungibile con
più di un ora di cammino in mezzo alla neve, congiunto all’attività dei campi, della casa,
l’educazione dei figli e la cura degli anziani, che la donna ha subito un carico lavorativo disumano,
venendo meno al concetto tradizionale di parità.
Precedentemente all’industria il suo ruolo era molto più equilibrato e meno faticoso. Ma non solo.
Gli Statuti del 1425 (16) ci confermano gli insegnamenti che per tradizione e cultura sono giunti
fino a noi attraverso i modi del vivere quotidiano.
Ci dicono che le donne della Valle Po erano le assolute proprietarie della propria dote e dei propri
beni materiali: “in caso di divorzio e scioglimento del matrimonio “per qualsiasi motivo”, il marito
aveva l’obbligo di restituire l’intera dote alla moglie”.
Inoltre, “la dote era impignorabile e non poteva essere intaccata per nessuna ragione, nemmeno per
onorare il pagamento di un debito del marito”.
Quindi una moglie “valdenses” che avesse voluto soccorrere il marito, ad esempio per evitargli il
fallimento, non poteva farlo perché essendo lei per religione e mentalità ritenuta un essere pari
all’uomo ma nel contempo un po’ più delicata e fragile, veniva tutelata dall’intera comunità
attraverso questi provvedimenti nonché l’intervento delle magistrature comunali e dell’autorità
marchionale.
Inoltre, “il marito che si impossessava dei beni e delle cose appartenenti per dote alla moglie era
condannato per impossessamento indebito delle cose altrui”.
Accanto a queste disposizioni emanate al fine di garantire il principio di uguaglianza tra i sessi, vi è
anche un articolo che tutela l’uomo da eventuali soprusi femminili: per impedire al marito
indebitato di finire completamente sul lastrico, senza nemmeno più un tetto sulla testa, ecco che gli
Statuti del 1425 ci dicono anche che “egli non può restituire i beni e le proprietà dotali alla moglie,
e sciogliere il matrimonio, prima di aver estinto tutti i suoi debiti verso terzi”.
Il concetto di uguaglianza della donna, le dava libertà di pensiero, di parola, uguali diritti, ma nel
contempo, come ora accennato, comprendeva la consapevolezza della sua natura più fragile.
Per questo in molte famiglie è rispettata ancora oggi la norma di “non far piangere una donna”(
persino ai bambini e ai giovanissimi si rimprovera seccamente: “…ma las fala piuré? as fan pas
piuré le fie!!!- ma l’hai fatta piangere? non si fanno piangere le ragazze! ).
Sebbene la parità tra uomo e donna nell’ebraismo non ci sia, questo delle lacrime é un passaggio che
troviamo nel Talmud.

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Note:

15) G.Di Francesco, T. Vendimmio, “Paesana-Documenti storia e arte ai piedi del Monviso, Pinerolo-Torino, 1998, a p.
111.

16) Archivio comunale di Paesana, gli “Statuti di Ostana del 1425”

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3) Una società, quella valdenses, in attesa della rivoluzione. Un altro passaggio degli “errores”
che merita una riflessione é quello relativo all’errore 63 in cui gli inquisitori riferiscono: “un grande
Re di Boemia, loro correligionario, arriverà con un grande esercito a soggiogare province, città
paesi, distruggendo le chiese cattoliche ed uccidendo tutti i preti. Anche tutte le autorità civili
perderanno i loro posti di potere.
Verranno tolti i pedaggi e le angarie e si pagherà solo più una tassa d’un “grosso” a persona. Tutti i
beni diverranno comuni”.
Molti studiosi hanno voluto ricondurre il significato di questa frase al movimento Hussita e ai
collegamenti che i “valdenses” di Paesana avrebbero istaurato con l’università di Praga ecc.
Certo, questa è la lettura più immediata, tuttavia a mio modesto avviso il significato della frase non
si ferma lì. Si tratta infatti di una visione che ha dei fortissimi contenuti messianici poiché prevede
l’arrivo di un Re (il Messia?), Hus non era certo un re, che porterà un radicale ribaltamento dei
poteri civili e religiosi; eliminerà i malvagi (i sacerdoti della Chiesa Romana e i potenti), istaurerà la
giustizia e la ripartizione comune dei beni tra tutti gli uomini.
Il contenuto minaccioso e “rivoluzionario” di questa frase, imputata ai “valdenses” come “errore” è
semplicemente una sintesi di quanto esattamente previsto dalla Torah ma anche dal Vangelo con la
venuta del Messia.
Il valdismo, si caratterizza quindi, da un punto di vista strettamente politico, in un socialismo ante-
litteram, effettivamente realizzato: non si tratta di una semplice visione astratta “di un mondo a
venire” secondo un intendimento religioso più o meno fanatico o ascetico, ma di un “socialismo
praticato”. Così forte e radicato da essere rimasto nel carattere e nella struttura sociale delle varie
comunità della Valle per secoli e secoli fino ad oggi.
Il valdismo soprattutto, così come le altre sette ereticali, articolavano il loro pensiero in maniera
antigerarchica estremamente pericolosa per il potere feudale, poiché tutte ruotavano attorno a
concetti comunitari e sociali, realmente messi pratica (vedi gli Umiliatiti ad esempio). Per queste
Sette la giustizia tra gli uomini non si doveva creare nel modo a venire ma riguardava il presente,
regolato da uguaglianza, onestà: un progetto di vita concreta. Nella loro totalità gli eretici
criticavano all’unisono la Chiesa Cattolica perché corrotta e non rispettosa di uno solo di questi
valori. Eppure, benché fosse disprezzata dal popolo per la condotta dei suoi sacerdoti e benché fosse
contrastata dalle sette “ereticali” estese su tutto il territorio europeo, la Chiesa Cattolica ha
comunque avuto la meglio poiché è stata l’unica ad essere funzionale al potere feudale, in quanto:
1) era strutturata gerarchicamente in modo rigido e speculare alla monarchia, tanto da potersi
arrogare il potere “divino” di vita e di morte sulle persone, contraddicendo nientemeno che i
Comandamenti
2) prevedeva una giustizia ultraterrena ammettendo di fatto l’ingiustizia terrena come stato di
cose normale e immodificabile.
3) impediva all’individuo un accesso diretto a Dio arrogandosi il potere di agire in piena
autorità quale “facente funzione di Dio in terra” e affermando, di fatto, la diversità degli
individui tra loro e di fronte al Creatore. La Confessione era lo strumento più immediato per
segnalare questa differenza che conferiva al clero il potere di “giudicare” da un piano divino,
gli uomini
4) i vertici del clero e degli ordini monastici erano quasi sempre rappresentati dai figli della
nobiltà. Ecco quindi che gli interessi economici e politici si intrecciavano facendo si che le
economie agricole dei monasteri, (nel Marchesato di Saluzzo ad esempio) fossero di fatto
controllate dalla nobiltà medesima.
5) Entrambi agivano sottomettendo il popolo col terrore: il potere temporale facendo leva sulle
paure fisiche e materiali legate alla sopravvivenza quotidiana; quello ecclesiastico

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manipolando le paure ancestrali e il rapporto col sovrannaturale. Entrambi i poteri tenevano
in pugno le persone con facoltà di poter togliere loro la vita a piacimento.

Quindi non erano i valdenses ad essere arbitrariamente ribelli e rivoluzionari; semplicemente il loro
pensiero era troppo avanzato rispetto all’arcaicità sociale e morale proposta dalla Chiesa Cattolica e
dal potere temporale dell’epoca. La loro superiorità intellettuale è dimostrata dai principi sociali e
morali che sono all’avanguardia persino nell’ambito della nostra società contremporanea.

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Le reazioni anti-inquisitoriali

Certo che alcune volte, dopo aver subito vessazioni di ogni genere, gli “eretici” hanno dimostrato di
saper reagire violentemente. Ma del resto non é possibile chiedere la vocazione alla santità sempre e
solo da una parte. Ecco perché i prelati, consci del loro operato, non sempre innocuo e cristallino,
dichiarano spesso la loro paura ad avventurarsi nelle valli “valdenses”.
E così, come a Milano l’Abate Farina dell’ordine degli “Umiliati” per esasperazione sparò a San
Carlo Borromeo, senza peraltro riuscire ad ucciderlo, altrove gli eretici hanno sporadicamente
reagito ai roghi, alle torture e ad angherie di ogni genere, perpetrate dal clero nei loro confronti.
Dalle nostre parti, per quanto ne sappiamo, le prime reazioni violentemente antinquisitoriali si
registrano già nel 1374 con l’assassinio dell’inquisitore, Antonio Pavonio, nella vicina località di
Bricherasio.
Circa questi avvenimenti, la storia lascia passare il messaggio che gli eretici fossero dei sanguinari
propensi a massacrare chi li avvicinava per portare un messaggio d’amore universale. Ma le cose
saranno andate veramente così? Dai nostri documenti emerge una storia completamente diversa.

1)Il fatto scatenante: i frati mettono al rogo degli innocenti. Nel 1510 un episodio sconvolgente
indigna l’intera popolazione paesanese e lo stesso Marchese di Saluzzo-Paesana. Su ordine degli
inquisitori e della Marchesa di Saluzzo (l’odiatissima francese Margherita di Foix), fu attuato un
rastrellamento nelle borgate di Paesana- Santa Margherita.
Queste si presentarono vuote e solo cinque eretici reticenti, rei di essersi arroccati nelle loro
abitazioni per intraprendere una difesa armata, furono catturati e imprigionati. Restii all’abiura
furono condannati a morte, riuscendo però a fuggire notte-tempo dalla prigione sita in Croesio.
Il giorno successivo, non potendo giustiziare gli eretici fuggitivi, l’inquisitore Ricciardino ordinò di
mettere al rogo al posto loro, tre correligionari precedentemente graziati con l’abiura.
La vicenda suscitò un tale orrore che persino il capo del braccio secolare, Giovanni Andrea Saluzzo-
Paesana, si scandalizzò per la grave ingiustizia, perpetrata a danno dei suoi sudditi nientemeno che
dagli uomini di Chiesa.
Il marchese di Paesana imputava l’origine di tutti i mali del Marchesato di Saluzzo a Margherita di
Foix e ai suoi Consiglieri, Pietro Vacca e Francesco Cavassa.
Ecco cosa troviamo scritto nel suo Charneto”…e questi, che son tutti e tre tirannissimi, non hanno
remore a distruggere il paese, chiese, ospedali, non guardano in faccia né vedove né bambini pur
di avere denaro” (17).

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Note:

17) P. Natale, “Mombracco, Montagna sacra”, Savigliano 2001, p.67: “Pietro Vacca…contro questo, il suo compare
Francesco Cavassa e Madama la Marchesa, Giovanni Andrea si scaglia con veemenza addossandogli la colpa di gran
parte dei mali che colpiscono il Marchesato: …et questi che son tuti tre tirannissimi et non aviano respecto a dispare el
paiso, nì giesse, nì ospitali, nì vardavano in fassa nì a vidue nì a pupilli pura che potessano avere dinari”.

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2) I valdenses ricattano economicamente la Marchesa Margherita di Foix. La conseguenza di
questa vicenda scandalosa fu che tutti i beni (case, cascine, bestiame, boschi e pascoli) degli eretici
fuggiti dalle borgate, vennero in massima parte confiscati proprio dalla Marchesa di Saluzzo.
Avvenne però che nessun paesanese volle andarvi ad abitare, anche perché si diceva i fuggitivi
ritornassero a sorpresa dalle valli vicine, armati, per uccidere uomini e bestiame, bruciare case e
fienili.
Fu così che a causa dello spopolamento di un intero versante della montagna, le entrate fiscali
destinate alla Marchesa si dimezzarono.
Per risolvere il problema delle entrate, dopo aver escluso che i paesanesi rimasti potessero farsi
carico delle tasse altrui, i Sindaci e la nobiltà premettero sulla corte marchionale per far rientrare i
“banditi” valdesi di Valdo, quale unica soluzione al problema economico.
La Marchesa accettò purché questi pagassero la restituzione dei loro beni tre volte il valore reale. I
negoziatori firmarono il compromesso, entrando subito in urto con gli eretici che nel frattempo, con
fucile alla mano, erano già rientrati delle loro abitazioni (18).
Le manovre diplomatiche, intraprese per far ritornare gli eretici, sommate alla loro stessa reazione
circa il pagamento del riscatto “perché già rientrati…”, lascia supporre che in questa storia, sia la
popolazione, che i fuggitivi, così come il Marchese di Saluzzo-Paesana e i Sindaci, fossero tutti
tacitamente complici contro la Marchesa e gli Inquisitori.

Sorge il dubbio infatti gli eretici presi di mira non siano mai mai andati via, bensì :
1) probabilmente si dileguavano appena dall’alto vedevano sopraggiungere qualcuno; lasciando
credere di essere partiti e di aver abbandonato la valle.
2) quando venivano casualmente sorpresi nei pascoli o nelle vicinanze delle loro abitazioni
sparavano e uccidevano per non lasciare testimoni.
Ecco spiegato il perché non volevano pagare una cifra, oltretutto assurda, alla Marchesa: avrebbero
dovuto pagare per avere quello che già avevano e che era loro?

E infatti, nonostante il compromesso nessuno pagò e fu emanato un nuovo sfatto congiunto ad un


editto di morte. A questo punto molte personalità importanti del marchesato si ribellarono a questa
nuova ingiustizia, intercedendo per gli eretici affinché la vicenda assumesse un tono equilibrato.
Sulla base di questi trascorsi rileviamo che la politica della Chiesa cattolica, sostenuta da Margherita
di Foix, non era assolutamente condivisa né dalla famiglia marchionale, né dalla borghesia e
tantomeno dal popolo.

Finita l’epoca di Margherita di Foix con l’arrivo dei Savoia le cose non andarono meglio poiché è
proprio tra il sei e il settecento che la situazione precipita.
Nella prima metà del ‘600, l’inquisizione inasprisce i toni creando nuovi scenari: l’intera
popolazione reagisce contro i frati inquisitori e si determina la frattura definitiva tra “valdenses filo-
calvinisti” e “valdenses anti-calvinisti”.
Ciò avviene attorno al 1633, allorché i Cappuccini diedero fuoco ad intere borgate e terzieri della
Valle, intonando esorcismi, canti e preghiere “purificatorie” ad alta voce.

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Note:

18) G. Di Francesco, T. Vindemmio “Paesana- Il cristianesimo i Valle Po”, Pinerolo 1998, p. 141: “I negoziatori
valdesi accettarono, ma non ottennero l’assenso dei correligionari che erano già rientrati manu militari nelle borgate
d’origine”.

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3) I cappuccini incendiano intere borgate valdenses. Posti al fianco delle milizie marchionali, in
marcia contro la popolazione, nel 1633 i frati esortavano i soldati contro i “valdenses di Valdo”
durante le azioni militari (19). Ciò significa che praticamente li esortavano al massacro.
Massacro che per altro non ci fu per quello stesso atteggiamento di buon senso che aveva
caratterizzato altri episodi avvenuti nel passato e anche perché gli inquisiti (più di mille persone)
erano stati sicuramente avvisati, dileguandosi e lasciando perciò vuote le abitazioni.
Similmente a quanto avvenuto nel corso dell’ondata inquisitoriale del secolo precedente, allorché gli
eretici incarcerati erano riusciti a fuggire, con l’ovvia complicità delle guardie e il benestare del
Marchese di Saluzzo-Paesana, la notte precedente l’esecuzione capitale.

Tutta la popolazione di Paesana accusava i frati Cappuccini di essere la causa di quanto stava
succedendo in valle a quell’epoca. In quanto inquisitori, erano loro a spingere il Duca di Savoia e i
vescovi ad ordinare le repressioni. La colpa della distruzione dei terzieri, a loro attribuita e tuttora
raccontata in valle, trova conferma in una testimonianza scritta del 1697 (20).
Si tratta di una dichiarazione del 26 giugno 1697 di Costanzo Lorenzato di Ostana, il quale
ultraottantenne confermò tale verità peraltro notoria e manifesta in tutta la valle. Dichiarò che
nell’anno 1633 furono i frati Cappuccini residenti nel luogo di Paesana ad incendiare le case dei
Terzieri di Prato Guglielmo, Biatonetto e Bioletto.
La responsabilità dei cappuccini si evince anche in un altro documento ufficiale del decennio
successivo il quale scagiona la popolazione di Paesana nell’azione repressiva scatenatasi con i roghi
delle abitazioni dei terzieri presi di mira dall’inquisizione.
La deposizione del 1644, fatta dal Secretario della Magnifica Comunità di Paesana al Procuratore
attesta infatti che i paesanesi in quell’occasione erano stati mandati a distruggere le abitazioni degli
eretici su ordine di Sua Altezza Reale e di Monsignor Marengo Vescovo di Saluzzo. Ordine al
quale, è sottinteso, non potevano sottrarsi. (21)

4)Tutti i valdenses reagiscono: uccidono e cacciano i Cappuccini. Inquisiti da una parte e


obbligati dall’altra ad agire contro i “valdesi di Valdo” i “valdenses” tutti, iniziarono a ribellarsi
contro il clero, come documentato negli archivi dei Cappuccini di Torino e riportato sia nel
Bollettino parrocchiale scritto da Don Raso nel 1983 che nello studio su Paesana di Vindimmio e Di
Francesco.
Dagli scritti di Don Raso emergono le testimonianze dei frati di Paesana dalle quali rileviamo che,
molto stranamente, non vengono mai menzionati i nomi dei valligiani implicati nelle vicende. E
possiamo ben capirne il perché. Provenendo dalle pianure piemontesi, i frati non sapevano
riconoscere i loro assalitori, tant’é che nei resoconti hanno lasciato scritto: “un uomo”, “un
sicario”, “un vicino”, “trenta uomini”, “sette uomini”.

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Note:

19) G. Di Francesco, T. Vindemmio “Paesana- Il cristianesimo i Valle Po”, Pinerolo 1998, p. 103

20) G. Di Francesco, T. Vindemmio “Paesana- Il cristianesimo i Valle Po”, Pinerolo 1998, p. 101

21) G. Di Francesco, T. Vindemmio “Paesana- Il cristianesimo i Valle Po”, Pinerolo 1998, p. 100

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Questo particolare significa che nonostante le tensioni fratricide tra i “valdenses” e i “valdenses di
Valdo” (ossia i Valdesi), nessuno della valle riferiva l’identità degli aggressori, degli aggrediti, dei
rivali o degli attentatori al clero.
E nemmeno le autorità comunali e marchionali denunciavano le identità dei “rei” in questione, pur
sapendo senza dubbio chi fossero (22).
Evidentemente a causa dell’intricata situazione tutti i paesanesi, nobili compresi, erano costretti a
giocare un doppio ruolo.
Per tacita convenzione interna alla popolazione, nessuno denunciava nessuno, nemmeno quando le
aggressioni e le uccisioni avvenivano tra gli stessi ”valdenses” (ciò dal momento in cui i “Barba” si
divisero in due fazioni; rispettivamente pro-calvinisti e anti-calvinisti”).
Se interrogati quasi sicuramente rispondevano che non sapevano e che “forse era gente venuta da
fuori”.
Del resto l’atteggiamento “marranico” era dettato dalla sopravvivenza, tanto che il Vescovo Ottavio
Viale nella sua visita pastorale dell 1613 scrive che la parte superiore della parrocchia della valle “è
occupata tutta da eretici, eccetto pochi: tuttavia non lasciano di pagare le decime alla chiesa e le
“comitas” (le tasse) al Duca”…”alcuni di loro si comportano da cattolici e ascoltano la Messa, ma
non ricevono mai i sacramenti”.
Quindi se togliamo la Ghisola, Lerasca, i Battagli, La Croce, i Giordani e l’insieme della pianura di
Paesana, questa frase ci lascia capire che Agliasco, Calcinere, Ostana, Oncino, Pratoguglielmo,
Biatonè ecc. erano tutti eretici.

5)L’eccezione che conferma la regola: altro che mettere al rogo gli eretici, i monaci di Paesana
ce le prendevano di santa ragione dai valdenses. Ecco dunque alcune testimonianze di cosa
accadeva al tempo dell’inquisizione ai monaci e ai parroci di Paesana, tratte dai documenti resi noti
da Don Raso (23) :

1) Nel 1579 i paesanesi uccidono Enrico di Saluzzo, Priore del Monastero di Pagno, gettandolo giù
da una finestra del castello di Paesana.

2)Nel 1622 frà Angelo viene minacciato. La gente di Paesana tenta di ucciderlo.

3) Nel 1646 il parroco di Oncino fu aggredito da un uomo che tentò di tagliargli la testa con un sol
colpo. Fu bloccato all’ultimo istante da un vicino.

4) Nella Quaresima seguente uno degli abitanti del paese, “lanciata una palla di fuoco” con uno
strumento da guerra (con una catapulta o una cannonata?), ferì il sacerdote che aveva il torto di
tenere una condotta criticabile.

5) Nel 1646 il parroco di Santa Maria di Paesana, troppo libero nel parlare, dovette fuggire.

6)Nel 1646 il parroco fuggiasco ritornò. Ma non cambiò stile e allora dovette andarsene
definitivamente per non venire ammazzato.

7) 1649.Un giorno mentre frà Anastasio da Montalto predicava in chiesa e rimproverava a Paesana
duramente gli amanti dei vizi e gli indisciplinati e i delinquenti, un sicario, non potendo più a lungo
sopportare il rimprovero, uscì di chiesa, accese il fucile sulla porta e gli sparò.
Circa gli attentati armati ai frati và ricordato che i “valdenses” di Paesana, oltre che dediti alla
pastorizia, erano addestrati alla guerra: sapevano sparare, all’occorrenza tagliare una testa e usare
una catapulta o un cannone.

31
6)Non semplici eretici montanari, ma soldati del Marchesato di Saluzzo e dell’Esercito
Sabaudo. E`da notare, però, che mentre i “valdenses” di Paesana d’zà (Santa Maria) tendevano
prevalentemente a spaventare e minacciare il clero, cacciandolo senza ricorrere all’omicidio, i
paesanesi d’là (cioè i vadesi di Valdo ubicati sul versante di Santa Margherita) ) uccidevano
direttamente forse perché più esasperati.
Non deve stupire la loro dimestichezza con le armi poiché i documenti ci informano che ogni
“ruata” (frazione) doveva presentarsi con le “squadre” per la guardia al Castello, e la chiamata al
servizio di ronda era obbligatoria.
Nel caso in cui la squadra non si fosse presentata il comandante della “ruata” avrebbe dovuto pagare
una multa per sé e per gli altri. (24)
Il fatto che i contadini piemontesi non fossero semplici lavoratori agricoli, ma le milizie del
temutissimo esercito sabaudo e prima ancora del Marchesato di Saluzzo, non è una novità. I
viaggiatori lombardi dell’800 (e gli scrittori europei in generale), sottolineano spesso questo aspetto
marziale del Piemonte, riportando innanzi tutto un proverbio francese che diceva “il Piemonte è la
sepoltura del Francesi” e riferendo con stupore di aver visto gli agricoltori arare i campi con la
addosso la divisa militare: “i piemontesi sono talmente animati da uno spirito marziale, che gli
stessi contadini ambiscono di mostrarsi con qualche segno militare. È comune il vederli seguire
l'aratro in uniforme, che un forestiere il quale non sapesse che sogliono comperare tali vestimenti
per loro uso, potrebbe credere che il Piemonte abbia più soldati di quanti ne hanno gli Stati del re
di Prussia”(25).
Quello di vestirsi militarmente non era solo una moda o una specie di costume carnevalesco così
come interpretato dagli stranieri in viaggio in Piemonte, bensì una vera e propria identificazione con
il ruolo sempre latente: quello di milizia militare. A questo proposito, dai documenti del 1794
concernenti la mobilitazione generale per arrestare l’ avanzata delle armate rivoluzionarie francesi,
apprendiamo che l’abbigliamento e le armi delle milizie spesso erano frutto di “autodotazione”.
Infatti, in quell’occasione Paesana fornì 500 uomini, su un totale di 2000 uomini chiamati alla leva
nella provincia di Saluzzo; e nel bando veniva specificato che questi dovevano essere “provvisti di
fucile” e chi fosse strato sprovvisto di arma da fuoco doveva marciare dietro quelli che l’avevano,
raccogliendo sul campo di battaglia le armi dei nemici morti (26). Ecco perché i contadini
piemontesi si premunivano prima della mobilitazione, sempre in agguato, dell’ abbigliamento e
delle armi.
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Note:

22) G. Di Francesco, T. Vindemmio “Paesana- Il cristianesimo i Valle Po”, Pinerolo 1998, p. 115

23) Don Domenico Raso, Bollettino Parrocchiale dicembre 1983, p. 27-28.

24) G. Di Francesco, T. Vindemmio “Paesana- Il cristianesimo i Valle Po”, Pinerolo 1998, p. 115

25) G. Baretti “Gl’Italiani o sia relazione degli usi e costumi d’Italia, Milano, 1818, p.142: “Contuttochè le loro truppe
non sieno mai state numerose, non v' è persona un po' versata nella storia che ignori con qual valore resistettero per
più secoli contro i Francesi, contro gli Spagnoli e contro i Tedeschi , tuttavolta che questi popoli vollero soggettarli.
Vero è che sovente furono costretti di cedere alla forza ed al numero de' loro nemici ; ma hanno sempre scosso il giogo
con molta costanza e prontezza ; talchè in Francia dicesi per proverbio che il Piemonte è la sepoltura del Francesi…. I
Piemontesi sono talmente animati da uno spirito marziale, che gli stessi contadini ambiscono di mostrarsi con qualche
segno militare. È comune il vederli seguire l'aratro in uniforme, che un forestiere il quale non sapesse che sogliono
comperare tali vestimenti per loro uso, potrebbe credere che il Piemonte abbia più soldati di quanti ne hanno gli Stati
del re di Prussia…..I Francesi hanno più volte minacciato Brunetta, Fenestrelle ed Exilles ; ma non hanno mai osato
assediarle ….. credo impossibile che le armate francesi possano penetrare nell' Italia senza la permissione dei
Piemontesi”.

26) G. Di Francesco, T. Vindemmio “Crissolo..”, op. cit. , p. 189.

32
7)Le lotte interne: i valdenses si spaccano in due gruppi. Detto questo e considerato la gravità del
clima inquisitoriale nel XVII secolo, la posizione ambigua dei calvinisti (che intendevano a loro
volta modificare, così come già facevano i cattolici, il “credo” dei valdenses sottomettendoli alla
Riforma con violenza pari a quella dei cattolici) la necessità di mantenere la propria libertà di
coscienza, di pensiero e di cultura, si capisce bene il perché ad un certo punto, alla metà del ‘500, la
popolazione della Valle Po si spacchi definitivamente in due fazioni, i “filo-riformati” e gli “anti-
riformati”:

a)i “filo.riformati” o “filo-calvinisti” che dir si voglia è la fazione fusasi con i Valdesi della Val
Pellice dal 1533. Le comunità di Paesana ‘d’là e Valle Pellice si associano ai Calvinisti di Ginevra
sottomettendosi ai dettami della “Riforma protestante”. Il loro è un passaggio “sofferto” poiché
opposizioni e attriti dottrinali tra valdenses e Riformati si verificarono almeno fino al 1560 (27).
Assorbiti dalla riforma, questi “valdenses”, secondo un processo molto più complesso di quello
solitamente mitizzato, attuano alcuni cambiamenti radicali imposti, ovvero: l’accettazione del
Battesimo, dell’Eucarestia (la “Santa Cena”), della disparità uomo-donna, della pena di morte ecc.
La speranza di questi “valdenses” è quella di poter ottenere la protezione dei Riformati di Ginevra
svincolandosi ufficialmente dalla morsa inquisitoriale cattolica. Alla fine però, più di mille di loro
abbandoneranno solo apparentemente la valle, mentre gli altri rimasti si convertiranno formalmente
al cattolicesimo;

b)gli “anti-riformati” o “anti-calvinisti”. Questa fazione, composta dai Paesanesi d’zà si chiude
in sé stessa. Diffidenti sia verso i cattolici, con i quali cercano comunque di stabilire un modus
vivendi dello stile “vivi e lascia vivere”, sia verso i Calvinisti poiché altrettanto impositivi e
dottrinalmente differenti, tentano probabilmente in tutti i modi di evitare di finire dalla padella alla
brace.
Lo stesso Mons. Chavaz, nonostante il tono sempre ironico e sprezzante coglie effettivamente
l’incompatibilità dottrinale tra i valdenses e i calvinisti, tanto che scrive: “Certamente questa
opposizione di dottrine era tanto grande, che sarebbe stato più facile, starei per dire, conciliare i
valdesi coi cattolici, che non era accordare i valdesi con i calvinisti”(28).
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Note:
27)Audisio Gabriel, Cameron Euan, . Les vaudois des Alpes. Débat sur un ouvrage récent. In: Revue de l'histoire des
religions, tome 203 n°4, 1986, a p. 396 : « le passage au protestantisme ne sarait pas tant opéré au synode de Chanforan
en 1532- d’ailleur mythique- que durant toute la période de 1530 à 1560, ayant rencontré chez les vaudois une
opposition plus grande qu’on ne dit traditionnellement ». (« il passaggio al protestantesimo non fu pienamente realizzato
al Sinodo di Chanforan nel 1532, quanto piuttosto nel periodo che va da 1530 al 1560, a causa dell’opposizione di
Valdesi, più marcata di quanto vien detto tradizionalmente»)

28) Monsignor Andrea Charvaz” Storia dei Valdesi”, op. cit., alle p. 87-88. In merito alle differenze dottrinali Chavaz
sottolinea poi il distacco creatosi in occasione dell’Assemblea di Angrogna tra valdesi e Calvinisti: “Parlando di
alcune modificazioni conformi ai riti dei riformati dal culto valdese introdotti nel secolo XVI, Muston ne dà la ragione
seguente: tutti i Protestanti di quel tempo avevano bisogno di fare un insieme, e prestarsi vicendevolmente soccorso.
Le nostre povere comunità soprattutto, trovandosi appunto dove più vive bollivano le persecuzioni contro di loro, se
non avessero ottenuto di conguagliarsi, e mettersi sotto la medesima tutela delle chiese riformate, avrebbero mancato
di potenti protettori, e forse ora più non esisterebbero”…..In quanto alle modificazioni o variazioni che questa
riunione operò nelle dottrine valdesi, Muston non si mostra ripugnante a crederle, benché duri pena confessarle
interamente. Imperciocchè avendo dapprima nella prefazione parlato delle novità introdotte nella disciplina valdese,
probabilmente per condiscendere ai riformatori, ei dice, all’occasione di un’assemblea che “i pastori valdesi tennero in
Angrogna nel 1532, che questi pastori si riunirono allora per decidere alcuni punti di dottrina poco determinati insino
a quel tempo, e che la riforma allora metteva in campo. Prevalendo quest’ultima si decise interamente. Così la
confessione fattasi in questa circostanza molto differisce dalle più antiche che ci furono tramandate. Del resto tanto
manca che i nostri ministri si sieno accordati che anzi, due tra loro, avendo niegato assolutamente ogni concessione,
abbandonarono incontanemente le valli”

33
8) I valdenses inseguono Calvino che nella fuga perde le mutande. Il conflitto dottrinale tra i
valdenses paesanesi contrari alla Riforma e i calvinisti deve essere stato molto grande e così acceso
che quando Calvino, stando ai racconti, giunge in predicazione a Paesana nel 1535 (ossia tre anni
dopo le tensioni dell’assemblea di Angrogna), viene letteralmente messo in fuga dalla popolazione.
Aggredito dalla gente, per la fretta di fuggire, non riesce a nemmeno rivestirsi completamente, tanto
che lasciò lì le mutande(29).
A questo proposito, la tradizione orale di Paesana è molto precisa e narra che Calvino, fuggito da
Ginevra nel 1538, si era rifugiato a Oncino sotto il falso nome di Carlo Despeville. Gli anti-
riformati paesanesi erano molto diffidenti verso i Calvinisti che venivano percepiti prevaricatori,
tanto quanto i cattolici. E a questo proposito un atteggiamento dei calvinisti appare particolarmente
ambiguo. Dopo aver scorazzato in lungo e in largo per la nostra valle, creando scompiglio ovunque
e scatenando tensioni e repressioni inquisitoriali fortissime, la volta che i nostri filo-riformati
chiesero un aiuto, loro si dileguarono. Accadde infatti che nel 1616 alcuni “valdenses filo-
riformati”di Paesana furono protagonisti di un’esperienza davvero umiliante. Esausti, dopo tre
secoli di lotte religiose, inquisizione, roghi e quant’altro, cercarono appoggio armato presso i
Calvinisti di Ginevra.
Inviata a Ginevra una delegazione per spiegare la drammaticità della situazione e chiedere la tutela
diplomatica internazionale questa fu accolta dai Pastori ginevrini con molta freddezza,
incompetenza, reticenza e, molto elusivamente, fu loro consigliato di intraprendere una trattativa
direttamente con i Pastori di Berna.
Risultato? Una perdita di tempo, di energie e di speranze.

9) Tutti contro tutti: ci si spara tra valdenses e insieme si spara contro il clero. Ecco perché,
visto probabilmente l’ “exploit di grande empatia ed altruismo” dei Riformati ginevrini e bernesi, i
“valdenses” di Paesana ‘’d’za (anti-riformati), che dal canto loro già avevano capito con largo
anticipo come stavano le cose, giunsero probabilmente alla conclusione di rompere i rapporti con i
Calvinisti e di non voler più sentir parlare di Riformati, compresi gli ex-correligionari ormai
convertitisi alla “Riforma”. Probabilmente proprio per questo motivo si aprì un nuovo fronte: oltre a
combattere contro l’inquisizione, le popolazioni “valdenses” dei due versanti della Valle Po
iniziarono una guerra fratricida tra “filo-riformati” e “anti-riformati”. Con quale risultato?
Massacrandosi da ogni parte senza pietà.
Tale situazione di conflitto perdurò nel tempo. Ecco infatti cosa scrive Frà Ilario da Torino nel
1650: “ nell’anno 1644 regnando tra le due parochie (cioè due interi versanti della valle) una
grande inimicizia, essendovi da una parte più di trenta huomini, talmente erano predominati
dall’ira, che più volte vennero alle mani, et una volta ve ne restò sette morti nella piazzetta di Santa
Margherita (terziere filo-calvinista )”.

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Note:

29) G. Di Francesco, T. Vindemmio “Paesana- Il cristianesimo i Valle Po”, Pinerolo 1998, p. 105; E. Giacovelli “Un Po per non
morire”, 2003, p.26: “A pochi chilometri dalle sorgenti del Po e dalle Baite in cui Giovanni Calvino si rifugiò nel 1538 per
sfuggire sotto il falso nome di Carlo Despeville alla mano della Controriforma…).

34
Frà Angelo da Fossano, lo stesso che, come già detto, dovette fuggire perché anche lui minacciato di
morte dai suoi parrocchiani del versante anti-riformati fu testimone di una di queste sparatorie
riportate in un documento parrocchiale: “Durante le festività natalizie del 1646, è scritto che mentre
Frà Angelo entrava a Paesana, di ritorno da una predica in montagna: sentì le campane della torre
comunale di Santa Maria (degli anti-riformati) che chiamava la gente, non per far festa, ma alle
armi. Seppe che quel popolo diviso in opposte fazioni e formata una squadra di sicari chiamati da
“altrove” stava combattendo a morte. Alcuni di una fazione, chiusi in una casa, erano assediati
dagli altri, dall’altra parte, armati, in attesa di sterminarli tutti durante la notte ormai vicina,
mentre intanto si scambiavano colpi di schioppo”….
Dunque la situazione era drammatica. Dovendo pur sopravvivere e vista la situazione di sfiducia
verso i Calvinisti, gli “anti-riformati “ decidono quindi di cercare un “modus vivendi” con i
cattolici, mantenendo nel contempo intatta la loro libertà di pensiero. Ecco quindi che adottano un
atteggiamento di gentilezza e di rispetto verso il clero in ragione della civile convivenza,
mantenendo comunque distacco, discrezione e diffidenza. E si badi bene: senza mai sottomettersi.
Una caratteristica dei paesanesi è quella di aver sempre relazionato alla pari (anzi forse un po’
dall’alto al basso) con chiunque, anche con le alte cariche civili e religiose.
Prese le distanze da tutto e da tutti, questi “valdenses”, hanno potuto così conservare regole,
insegnamenti, usi e costumi sociali tradizionali, convivendo pacificamente con i cattolici. Si tratta
della tradizione che oggi traduco, per evitare di continuare a vedere scritti fiumi d’inchiostro
“vuoti”, poiché privi della giusta chiave di lettura.
Poiché è ovvio: l’ insieme delle tensioni che percorrevano la valle non venivano palesate agli
inquisitori. Differentemente da quanto avveniva in altri territori la Chiesa qui non è riuscita a
mettere gli uni contro gli altri potendo far leva su denunce reciproche. O per meglio dire : erano gli
uni contro gli altri ma non si denunciavano.
Avvenne così che in valle Po, quandoVittorio Amedeo I cacciò i valdenses filo-riformati svuotando
e spopolando interi borghi, come già successo nel secolo precedente con Margherita di Foix, tutti
gli altri si rifiutarono di prendere possesso di quelle case e dei terreni cosicché alla successiva
riscossione delle tasse il Duca dovette a sua volta confrontarsi con la metà delle entrate dell’anno
precedente. E così se da un lato i valligiani (attraverso i comuni), gli avevano fatto capire che non
era conveniente torturare e cacciare i sudditi, d’altro canto il Duca voleva a tutti i costi gli incassi
come se nulla fosse successo.
La popolazione riuscì a convincere le autorità a risolvere il problema facendo ritornare i paesanesi
esiliati (30), cosa che avvenne.

10) I valdenses “cattolici” uccidono i monaci ed incendiano le canoniche. Bisogna però


aggiungere che all’insaputa del clero e duca, in realtà probabilmente gli “eretici” non erano mai
andati via del tutto, anzi. Sappiamo che tornavano nelle loro terre per raccogliere ciò che avevano
seminato, per litigare con i loro parenti convertiti al cattolicesimo, per farsi alloggiare nelle loro
case visto che le proprie erano andate distrutte.

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Note:

30) Don Raso, Bollettino Parrocchiale della Comunità cattolica di Santa Margherita di Paesana, n. 7 anno 1984,
Vindimmio, p.92 “Ragion per cui toccati nelle tasche i cattolici cercarono di convincere poco dopo le Autorità Civili a
lasciar tornare la popolazione cacciata nel 1633”.

35
E così, intanto che la storia ufficiale segnava la vittoria sugli eretici con la grandiosa celebrazione
del 1634 nel Duomo di Saluzzo (31), su per i pendii della valle Po le croci innalzate venivano
distrutte e gli eretici erano sempre lì: sempre gli stessi, intenti a litigare nell’anonimato.
Nel loro insieme tutte queste vicende ci fanno capire che il tentativo di repressione è stato molto
forte in Valle Po.
Le tensioni fratricide insorte tra gli stessi eretici e comunque rivolte contro la Chiesa cattolica
devono essere state davvero molto feroci se ancora nel 1961 veniva portato il Sambenito, l’abito
penitenziale dei marrani, (vedi paragrafo successivo), sorprendentemente non dagli abitanti di
Pratoguglielmo o Biatonetto, cioè dagli abitanti delle località eretiche prese di mira
dall’inquisizione, ma proprio da quelli che la storiografia cattolica ha definito “cattolici”, cioè gli
abitanti di Paesana ‘d’zà delle località: Croce, Agliasco (Naìash’k), Calcinere e Ostana.
Questo significa che tutta la valle era eretica e non solo una parte, come trasmesso dalla storiografia.
Al di là di queste notizie, peraltro piuttosto significative, non abbiamo ulteriore documentazione sui
trascorsi paesanesi, perché nel 1724 prese fuoco la canonica della parrocchia di Santa Maria di
Paesana e con essa gran parte della storia della valle. Don Giovanni Levet scrisse infatti nel 1803
che in tale occasione “erano periti tutti i registri parrocchiali del 400 e scritture antichissime”(32).
Ora, se si fosse trattato di un incidente o di un incendio doloso non è dato sapere, però è consentito
propendere per quest’ultima ipotesi basandoci sugli episodi dei secoli precedenti e sulle
manifestazioni di insofferenza anticlericale avvenute nel corso dell’800. In particolare apprendiamo
dai documenti comunali di Ostana che nel 1832 (perciò in epoca piuttosto recente) ci fu una violenta
lite tra la popolazione e il parroco a proposito della nuova ubicazione del cimitero: il prelato voleva
che il Camposanto fosse mantenuto accanto alla chiesa.
La tensione tra gli ostanesi e il sacerdote (originario della Valvaraita) si inasprì così tanto che
l’intera comunità lo minacciò di morte. Il documento che narra questa vicenda dice testualmente:
“minacciarono di ucciderlo e di sventrarlo come un pesce e di appiccargli il fuoco alla casa” (33).
Questo episodio è significativo perché ci fa capire l’insofferenza popolare nei confronti
dell’ingerenza della Chiesa riguardo le questioni comunitarie.
Rende inoltre sostenibile l’ipotesi dell’incendio doloso della canonica di Paesana- Santa Maria.
Del resto sono tante le notizie che descrivono chiaramente la belligeranza dei montanari dell’Alta
Valle Po.
A questo proposito, solo per citare un esempio tra i tanti, è significativo rilevare che nella Visita
Pastorale del 1613, il Vescovo oltre a sottolineare, come al solito, la maggioranza di eretici nella
popolazione, il loro distacco dai Sacramenti ecc., scrive questa frase: “…è parroco da tre anni Don
Luchino Papa: nessuno si lamenta di lui”. Ciò significa che i parroci di Paesana in qualche modo
temevano la gente(34) tant’è che Don Raso nel commentare alcune aggressioni armate contro i preti,
riferendosi in particolar modo alla cannonata sparata contro il parroco d’Oncino nel 1646, scrive: “
..a quei tempi, o filare dritto, o ricevere di queste gentilezze!”(35).
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Note:

31) G. Di Francesco, T. Vindemmio “Paesana- Il cristianesimo i Valle Po”, Pinerolo 1998, p 91 “Il giorno dell’epifania
del 1634 si celebrò nel Duomo di Saluzzo una grande Funzione di ringraziamento, perché la Diocesi e la Valle Po
erano liberi dagli eretici”

32) G. Aimar ( coll. Don L. Destre),“Gente del Monviso (due)”, Saluzzo, 2007, a p. 92: “…a causa dell’incendio della
parrocchiale di S. Maria di Paesana avvenuto il 17 luglio 1724 che ha distrutto tutti i documenti…”.

33 ) AA. VV, Museo Etnografico di Ostana Alta Valle Po, “Ostana: non solo ricordi”, quaderno 1, p. 21

34)Don Domenico Raso, Bollettino Parrocchiale dicembre 1983, p. 20

35) Don Domenico Raso, Bollettino Parrocchiale dicembre 1983, p. 28

36
11)I valdenses “cattolici” rifiutano i Sacramenti. E ancora, nel descrivere l’atmosfera generale
che imperversava tra filo-calvinisti e anti-calvinisti Don Raso sottolinea: “…sette morti, …come
risultato di una rissa non c’è male! E sparavano con gli archibugi….allora non c’era da andar al
fronte per ammazzarsi: la guerra era qui …e non si pelavano “barotte” (castagne), ma si
sparava!”
Comunque sia, è certo che i valdenses non sono mai venuti meno al loro carattere, tant’è che alla
luce di questi fatti forse si capisce anche da dove possa originare il particolare atteggiamento
maschile nei confronti della Messa domenicale in uso fino ai tempi recenti.
In linea di principio la maggior parte degli uomini accompagnava le mogli a Messa, ma mentre
queste entravano con i figli, quasi sempre impegnati a fare i chirichetti, loro rimanevano fuori sul
sagrato a chiacchierare fino alla fine della funzione.
Oppure, entravano per “pié mac ‘n toc ’d m’ssa” (prendere solo un pezzetto di messa) rimanendo
accalcati in fondo alla chiesa, per uscire poco prima dell’ Eucarestia e raggiungere gli altri che nel
frattempo si erano già spostati al Caffè della piazza per bere l’aperitivo: “nuiautri la cumuniun la
fuma a l’ostu” (“noi la comunione la facciamo al bar”).
Questo atteggiamento molto probabilmente ha origine proprio dai tempi dell’inquisizione che già
lamentava l’abitudine dei paesanesi di non avvicinarsi ai sacramenti. Il fatto che gli uomini
accompagnassero le mogli e i figli alle funzioni, standosene contemporaneamente più o meno fuori,
può essere interpretato in vari modi.
A mio avviso però il più logico è il seguente: mandando avanti nella devozione le donne e i
bambini, gli uomini si assicuravano una certa impunità: come avrebbero fatto i preti a mettere al
rogo i padri, i fratelli, gli zii e i nonni di tutte le pie donne del paese?
Ecco quindi che mentre le donne assicuravano con la loro devozione la sopravvivenza di tutti,
garantendo una presenza fervente e continua ad ogni messa, rosario, funzione e processione, gli
uomini dal canto loro sviluppavano un percorso fideistico un po’ anomalo: che iniziava con la
tunica del chierichetto per finire col sambenito.
E`ovvio infatti che tutti quei chirichetti, una volta adulti, finivano per comportarsi esattamente come
i padri.
Questo comportamento, per chi non è di Paesana, potrebbe sembrare frutto di una descrizione
esagerata e senza senso: una mia forzatura per chissà quali scopi.
Quindi, per evitare che sorgano dubbi, riporto il pensiero del nostro vecchio parroco (36) che
rivolgendosi a noi paesanesi, attraverso il bollettino parrocchiale del 1983, così scrive : “Noi non
veniamo dal futuro, ma dai secoli passati, dalle generazioni che ci hanno preceduti, dai fatti che
sono stati compiuti…Il passato è un po’ la nostra fotografia…per capire chi siamo, è bene
conoscere chi erano gli avi…
Volete uno specchio?… il 2 ottobre 1635, il parroco Stefano da Vinovo elenca alcuni “mancamenti
gravi” che trova da noi:
1) Il primo è che vi sono qua a Paesana alcuni borghi, o ruate come dicono essi, i cui habitanti
difficilmente si puono ridurre a sentir la Santa Messa per le feste comandate
2) Il secondo è che di raro s’accostano ai Sacramenti e se alcuno li frequenta, se ne ridono: e
dicono che quelli fanno più peccati degli altri e perciò più spesso si confessano”….
“Specchiamoci! Questi “mancamenti gravi” sono spariti dopo 330 anni?”…non siamo forse pecore
sbandate?

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Note:

36) Don Domenico Raso, Bollettino Parrocchiale dicembre 1983, p. 28

37
12) Il “denominatore comune” dell’eresia valdenses: l’ebraismo? Come appena esposto, i
paesanesi hanno reagito a volte in modo molto violento contro gli inquisitori. Ma come non capirne
le ragioni?
La storia ci dice che nei luoghi in cui la gente è stata meno compatta nel fronteggiare gli inquisitori
si verificarono dei veri propri isterismi di massa e denunce reciproche tra la popolazione. Proprio a
causa delle denunce seguirono i massacri e la messa al rogo di centinaia di persone.
Un esempio? Nella Valle Mesolcina, nella Svizzera italiana, sotto il presidio di San Carlo Borromeo
ogni anno finivano al rogo un’ottantina di persone, tra “streghe”, “stregoni” ed eretici in generale;
compresi i bambini
In Spagna, Francia, Lombardia e nel Cantone Ticino l’inquisizione ha avuto ovunque gioco facile
poiché gli eretici, evidentemente, non appartenevano tutti alla stessa “setta”: c’erano i marrani (ebrei
convertiti), i valdesi (che tra l’altro erano diversi dai nostri valdesi, con i quali si trovavano in
dissidio), c’erano i catari, gli umiliati ecc.
Da noi, invece, stando ai cognomi, i nostri eretici avevano tutti un identico comune denominatore.
Quindi: benché forse marrani, forse catari, forse valdesi, provenienti dalle zone più disparate
d’Europa , ossia Provenza, Savoia, Portogallo ecc., erano probabilmente tutti ebrei.
Evidentemente, per questa ragione, si sentivano un “unicum” e non si denunciavano reciprocamente
agli inquisitori, riuscendo così a fare fronte comune.
Se a questo aggiungiamo che li sappiamo, in alcuni casi, specificatamente fuggiti da Chambery e da
luoghi imprecisati della Savoia e dal Portogallo, possiamo anche presumere che siano giunti in valle
Po dopo aver vissuto esperienze personali quantomeno sconvolgenti.
Mi chiedo: avranno visto morire sul rogo, tra il plauso e il fanatismo generale, i loro fratelli, sorelle,
genitori, amici, fidanzati ?
Ricordiamoci che a Chambery (37) e in Savoia, così come nel Delfinato e in Portogallo, nel 1348 gli
ebrei vennero sgozzati, arsi vivi e massacrati dalla folla inferocita perché accusati di compiere
sacrifici rituali, cioè di crocifiggere i bambini cristiani alla vigilia di Pasqua per berne il sangue, e
perché ritenuti responsabili di aver diffuso il terribile morbo della peste in tutta l’Europa.
In tutto il mondo occidentale nei secoli a cavallo tra il medioevo e il ‘600, sia gli ebrei che i nuovi
convertiti, cioè i cristiani di origine ebrea, sono stati oggetto di persecuzioni fortissime.
Per assurdo però venivano torturati e perseguitati prevalentemente i cristiani di origine ebrea
piuttosto che gli ebrei rimasti fedeli all’antica religione.
Questo perché la Bibbia a proposito degli ebrei è categorica nel ricordare che quella è “la radice” e
i cristiani sono “rami di oleastro innestati su un olivo buono” (38) “Se ti vuoi proprio vantare, sappi
che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te”…. (39).
Tale presupposto biblico incisivamente espresso da San Paolo nella “Lettera ai Romani”, fungeva
abbastanza da deterrente all’offensiva diretta, ma solo finquando gli ebrei rimanevano ebrei. Le cose
mutavano appena gli ebrei diventavano cristiani: i nuovi correligionari li detestavano, percependoli
falsi, opportunisti ed eretici. In due parole: diversi!.
I cristiani provenienti dall’ebraismo erano colti persino rispetto al clero e perciò polemici, fastidiosi
e « autonomi ». Inoltre conoscevano perfettamente il Talmud che, oltre al resto, offre tutta una serie
di consigli pratici su come affrontare la vita e i problemi quotidiani. E questo anche dal punto di
vista sessuale, di coppia, medico, ecc.
Tutti argomenti considerati tabù dai cattolici e dai riformati fino a tempi piuttosto recenti.
A questo proposito é sufficiente ricordare che quando io ero bambina molte mie coetanee
(compagne di scuola a Torino), non avevano ricevuto le spiegazioni necessarie dalle madri sul loro
futuro sviluppo fisico, perché la morale non lo consentiva, perciò figuriamoci come stavano le cose
nel Medioevo!.
Non dimentichiamoci poi che nell’ebraismo non esiste tradizionalmente la figura del “padre-
padrone”, che ordina, impone, giudica e punisce.

38
Esiste il rispetto e l’autorevolezza paterna che è ben altra cosa. Nella cultura cattolica, e in modo
addirittura più marcato in quella Calvinista e Luterana, il padre-padrone non solo esisteva in
famiglia in posizione ampiamente legittimata, ma si sintetizzava globalmente su tutta la società
cattolica nella figura del Papa.
Questa concezione sociale dei cattolici, ereditata dai romani, veniva a porsi in modo diametralmente
opposto alla cultura ebraica, nella quale l’autorità agisce nell’ottica del consenso e del ragionamento
e non con le minacce. E per comprendere questo fondamento culturale è sufficiente ricordare
l’atteggiamento di Cristo nei confronti degli Apostoli, dei discepoli, della gente.
Detto questo immagino che un ebreo convertito al cristianesimo, in un impeto di fervore mistico
anche sincero, possa aver avuto serissimi problemi di adattamento subito dopo la sua scelta:
impattando contro una società rigida, gerarchica e dogmatica, quale è la società cattolica.
Non potendo più tornare all’interno della comunità d’origine (per orgoglio, litigi, e quant’altro) e
non riuscendo ad adattarsi alla società cristiana, il “marrano” venne a trovarsi in una situazione
paradossale; in una sorta di limbo, nel quale da una parte era accusato di tradimento dai suoi parenti
ebrei, e dall’altra veniva odiato dai nuovi correligionari perché troppo diverso e comunque sempre
deicida nelle ascendenze.
Come dice lo stesso Cecil Roht, l’idea che l’inquisizione bruciasse gli ebrei è sbagliata poiché al
rogo ci finivano i cristiani di origine ebraica (40). La qual cosa, se guardata da un certo punto di
vista, è ancora più tremenda. Assomiglia ad una sorta di fagocizzazione premeditata poiché é
impensabile credere che l’inquisizione si stupisse del fatto che un giudeo di nascita potesse essere
poi un cristiano“giudeizzante”: era il minimo che ci si potesse aspettare! Vuoi perché il messaggio
cristiano rifletteva l’insegnamento di Hillel* (rabbino vissuto nel I sec. a.C), vuoi perché il
cristianesimo era una questione totalmente ebraica, l’ebreo che diventava cristiano probabilmente
non si sentiva di dover cambiare e diventare qualcos’altro da quello che già era.
Quindi, tutta la vicenda sembrerebbe proprio il frutto di una premeditazione: attirare gli ebrei nelle
comunità cristiane e, una volta cristiani, distruggerli dall’interno, aggirando così il monito di San
Paolo: “Anch’io sono Israelita, della discendenza di Abramo, della Tribù di Beniamino. Dio non ha
ripudiato il suo Popolo che egli ha scelto fin da principio.. non montare dunque in superbia, ma
temi!” (41).
Inoltre, quasi sempre queste vittime dell’inquisizione si professavano cristiane fino alla fine anche
nell’ora del supplizio, che frequentemente avveniva sul rogo. Cecil Roth ci dice: “ Tra coloro che
morivano sul rogo, quasi tutti in vita avevano negato il proprio ebraismo, e gran parte lo ripudiavano
anche nell’ora della morte….le vittime morivano professando fino all’ultimo la propria fede
cattolica” (42).
Considerato il contesto generale, il clima di terrore, il fanatismo, le torture, il sangue, il dolore,
violenza e fanatismo che avvolgeva la società occidentale nei secoli compresi tra il Medioevo e il
‘600, possiamo dunque concludere che quei due o tre omicidi di frati in valle Po sono da
considerarsi poca cosa: atti di semplice autodifesa conseguenti all’ingiusta messa al rogo di
innocenti. I nostri antenati, di fatto, si sentivano nel giusto, differentemente dai Valdesi di Valdo
non facevano proseliti, non aggredivano nessuno e volevano solo essere lasciati vivere in pace.

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Note :

37) G. Depping, « Les juifs dans le moyen age » p. 167 « Les juifs furent égorgés, et subirent même des tourments
affreux sans qu'il fût possible de les soustraire à ce sort déplorable. Les aveux arrachés par la douleur à quelques juifs
mis à la question servirent à entretenir cette animosité générale. On livra des juifs aux flammes à Zurich, Berne et
autres villes de la Suisse »… ; a.p. 170 « …1348… dans le Dauphiné, le souverain fut malheureusement complice
dela cruauté populaire : tandis que la tourbe forcenée fondait sur les Israélites et les assassinait, le dauphin en
faisait arrêter d'autres, les faisait condamner par les juges, et s'emparait des biens des juifs, victimes de ces massacres*.
On a trouvé dans les archives du Dauphiné les comptes des sommes qu'ont coûtées les exécutions de ceux que les juges

39
dauphinois trouvèrent coupables. La procédure contre les juifs de Vizille dura dix jours et coûta vingt-sept francs …. A
Veynes, dans le pays de Gap, on massacra treize individus de cette nation; ceux de Saint-Saturnin éprouvèrent le
même sort quelques jours après…A Strasbourg l'autorité fit mettre beaucoup de juifs dans une maison
particulière, d'où ils pouvaient aisément s'échapper. Le peuple les traîna à leur cimetière et les y brûla dans une
cabane, au nombre de quelques centaines. Plusieurs se sauvèrent par le baptême ; encore, lorsqu'ils avaient des
ennemis , étaient-ils exposés à des dénonciations qui entraînaient presque infailliblement la mort ….Des scènes
également cruelles eurent lieu à Spire, à Worms, à Oppenheim et à Mayence où beaucoup de juifs se donnèrent la mort
après avoir enterré leurs trésors pour ne rien laisser à leurs persécuteurs. On mit leurs cadavres dans des tonneaux que
l'on fit rouler dans le Rhin …. ». (I giudei furono sgozzati e torturati senza avere alcuna possibilità di sfuggire a tale
sorte. Le confessioni di alcuni ebrei sotto accusa, ottenute tra i tormenti, servivano a mantenere l’animosità generale. Gli
ebrei furono dati alle fiamme a Zurigo Berna e in altre città della Svizzera "...; a. p 170 "... 1348 ... nel Delfinato, il
sovrano fu complice della crudeltà popolare: mentre folla forsennata si scagliava sugli Israeliti e li uccideva il Delfino
ne faceva arrestare degli altri, li faceva condannare dai giudici e si accaparrava i beni delle vittime .
Negli archivi del Delfinato sono stati trovati i conteggi relativi ai costi delle esecuzioni. La procedura contro gli ebrei
di Vizille durata dieci giorni costò 27 franchi …. A Veynes , nella regione di Gap, furono massacrate tredici persone di
quella stessa nazione; gli ebrei di Saint-Saturnin ebbero la stessa sorte pochi giorni ... A Strasburgo le autorità fecero
ammassare molti ebrei in una casa privata da dove potevano facilmente sfuggire. Il popolo li trascinò al loro cimitero
per poi bruciarli in una baracca; si trattò di diverse centinaia di persone. Diversi ebrei poterono salvarsi mediante il
battesimo; ma, se avevano dei nemici, erano esposti alla denucia che quasi certamente si risolveva con la condanna a
morte. ... Scene simili e ugualmente crudeli si sono verificate a Spira, Worms e Magonza a Oppenheim dove molti gli
ebrei si sono suicidati dopo aver seppellito i loro tesori per non lasciare nulla al loro persecutori. I loro cadaveri furono
messi in botti che furono fatte rotolare nel Reno ....).

38) La Bibbia, testo ufficiale CEI, S.Paolo “lettera ai Romani”, 11: 24. a p.2123

39) La Bibbia, testo ufficiale CEI, S.Paolo “lettera ai Romani”, 11: 18, a p.2123.

40) Cecil Roth, “Storia dei Marrani”, 2003, a p. 105.

*Hillel era un Rabbino nato in Babilonia, forse verso l’80 a.C., in una famiglia di ascendenza davidica. Verso l’anno 30 a.C., durante
il regno di Erode il Grande, Hillel fondò la scuola che prese il suo nome (bet Hillel), contrapposta a quella di Shammai (un altro
grande rabbino). La scuola di Hillel, assai più liberale della seconda, era basata su un’interpretazione indulgente della Legge, senza
tuttavia allontanarsene o tradirla. Divenuto a sua volta presidente del Sinedrio, fu lui che per primo insegnò ad un candidato alla
conversione la cosiddetta Regola d’Oro (che Gesù avrebbe fatto sua), una definizione sintetica della Legge: “Non fare agli altri ciò
che non vuoi che essi facciano a te. Questa è tutta la Torà, il resto è solo commento”. Seppe coniugare sapienza e umiltà, giustizia e
amore profondo alle creature, ragione e religione del cuore. Morì nel 10 d. C., quando Gesù, a Nazareth, era ancora solo un
adolescente e tutto lascia credere dovesse conoscere bene gli insegnamenti del dell’anziano Rabbino. È curioso il fatto che, di tutte
le correnti presenti nel giudaismo del 1° secolo, le uniche a sopravvivere sono quelle che hanno la loro origine nel
pluridecennale magistero di Hillel e nella parabola fulminea ed efficace del Rabbi di Galilea, che permearono, nei secoli
successivi, fino ai nostri giorni, la storia del giudaismo e del cristianesimo.

41) La Bibbia, testo ufficiale CEI, S.Paolo “lettera ai Romani”, 11:1; 11: 19. a p.2122

42) Cecil Roth, “Storia dei Marrani”, 2003, a p. 105.

40
Capitolo 2

“Le tracce ebraiche”

41
I Levi alle sorgenti del Po (? sec. - V sec. a. C.)

Il primo dato, finora trascurato, che andrebbe scandagliato a fondo poiché pertinente alla versione
dei “Barba”, riguarda una notizia proveniente dalla storiografia antica: gli scritti di Polibio e
Strabone attestano l’esistenza di un popolo, in mezzo alle tribù “celtiche”, chiamato Levi (Laevi) e
stanziato in Lombardia .
Le fonti precisano che il territorio dei Laevi venne ridotto e diviso dall’invasione di altre
popolazioni.
Fu così che la fazione più occidentale risultò separata dal resto e relegata ai margini : alle sorgenti
del Po (43).
Ne consegue che potrebbe davvero non essere un caso, quello che indica proprio alle sorgenti del Po
la secolare roccaforte dei “valdenses”, i quali facendo risalire le loro origini ai Profeti (44),
dichiarano la discendenza dal popolo d’Israele e, più precisamente, potremmo aggiungere noi
adesso, …dalla tribù di Levi.
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Note:

43)Tito Livio Ab Urbe condita libri (V, 35): « Libui considunt post hos Salluuiique, prope antiquam gentem
Laeuos Ligures incolentes circa Ticinum amnem. (Dopo di loro, Libui e Salluvi si stabilirono presso l'antico
popolo dei Levi liguri che vive nelle vicinanze del fiume Ticino)”;
Plinio il vecchio, Naturalis historia (III, 124) “…Ligurum, ex quibus Laevi et marici condidere Ticinum non
procul a Pado” « dei Liguri, dei quali i Levi e i Marici fondarono Pavia non lontano dal Po”.
I Levi erano quindi un popolo ligure abitante attorno al Ticino, nei pressi di Pavia;
Polibio (II, 17, 4) afferma che "I primi abitanti all'estremità occidentale della pianura Padana, vicino alle
sorgenti del Po, erano i Laevi e i Lebecii". Egli elenca questi popoli tra i Celti cisalpini, in contraddizione (almeno per
quanto riguarda i Levi ) con quanto affermato dagli autori latini, che li attribuiscono ai Liguri;
T. Vindimmio, G. Di Francesco “Oncino, Crissolo e Ostana, tre comunità occitaniche alpine. Microstoria dell’Alta
Valle Po”, ed. Alzani, Pinerolo 2004 “ ….Laevi? Secondo Polibio e Strabone sarebbe attestata nella regione presso
le sorgenti del Po proprio una tribù facente parte di questo antico popolo….il loro territorio venne ridotto e
diviso dall’invasione di altre popolazioni, che relegò al margine la fazione più occidentale.” ; I Khoen “Le storie di
Polibio da Megalopoli”, Milano 1924, a p. 258 :“…Le prime terre dunque che giacciono circa le sorgenti del Po
tennero i Lai e i Lebici..”, e a p. 345 spiega chi sono i Lai: “Lai. Levi (Laevi) li chiamano T. Livio e Plinio. La loro
capitale era Ticino…”; G. B. Rampoldi “Corografia dell’Italia”, 1833, a p. 446 :LEVI o LAEVI, antico popolo della
Liguria, che soggiornava in vicinanza agli Insubri, lungo il Po. Di esso ne fanno menzione Plinio e Tito Livio, e
sembra che abitasse tra Pavia e Valenza, e quindi nella regione in oggi chiamata Lomellìna; AA.VV. “I miti della
fondazione delle città lombarde”, 2010, a p. 79: “Il passo di Polibio (II, 17,1-4)….nella zona percorsa dal Po, vicino alle
sue sorgenti si stabilirono Levi e Lebici....nella sua presentazione sembra si tratti di due popolazioni di origine celtica”,a
p. 79: “Livio….il passo liviano attesta l’esistenza di una popolazione di Laevi insediata presso il Ticino; ma a differenza
di Polibio li definisce esplicitamente come Ligures…nell’area occupata dai Laevi, secondo Livio si fermarono
successivamentele tribù celtiche dei Libui e dei Salluvi”…”Plinio nella sezione del III libro dedicato all’Italia…dal
testo latino non risulta chiarissimo se Plinio definisca Liguri soltanto i Levi….”…”e’ stato ipotizzato che gli Insubri di
Mediolanm fossero riusciti ad acquisire il controllo delle aree vicine (Pavia), forse anche quelle abitate dai Levi, che
quindi col tempo furono classificate come celtiche dalle fonti che meno conoscevano l’origine precisa degli
insediamenti”.; H. Malden, « History of Rome »,1830, p. 64 : the Laevi, a Ligurian tribe, dwelt about the river
Ticinus … and the Laevi, with the Marici, who were also Ligurians, founded the city Ticinum (Pavia).The Libui, Libici,
or Lebecii (for they are mentioned by these various names) inhabited the same regions, and were a kindred people,
.deriving their origin from the Salfuvii or Salyes, Ligurians beyond the Alps. (… I Levi, una tribù di liguri,
dimorarono sul fiume Ticino… Levi, con i Marici, che erano anche i Liguri, fondò la città di Pavia. I Libui, Libici o
Lebecii (vengono citati con questi nomi diversi) hanno abitato le regioni stesse, ed erano un popolo con origine affine
…derivati dai Salluvi, ossia liguri di là delle Alpi).

42
Del resto la storiografia accetta senza grandi polemiche il fatto che in Piemonte fossero stanziati i
Libici (45); ecco perché risulta difficile capire come mai i libici vengono considerati provenienti
dalla Libia e i Levi, sebbene originari delle stesse zone, sono detti invece di origine celtica.
Ma non solo, circola anche l’ipotesi che traduce il significato di Laevi con un generico: “a sinistra”
(46). Poiché in latino laevi vuole dire “a sinistra” alcuni studiosi hanno supposto che questo
termine stia ad indicare i celti stanziati “alla sinistra del Po”. Si tratta di una interpretazione difficile
da condividere, poiché tutte le tribù avevano un nome. In più non risulta l’esistenza di una “tribù
dextera” o “directa”. Nessuna tribù era era detta “a destra”. E poi i Levi non erano gli unici ad
essere alla sinistra del Po: i Taurini e Libui, ad esempio. E ancora: questa sarebbe una tribù “a
sinistra”, guardando da dove? Certamente non da Roma. I romani guardavano il mondo mettendosi
loro al centro del mondo, e perciò l’ interpretazione geografica dei Levi “a sinistra”, sapendo dov’è
il Po e dov’è Roma, sembrerebbe davvero molto strana.
Perciò ci si domanda: come mai gli studiosi reputano oggi più logica questa interpretazione, che
sinceramente non sta né in cielo né in terra, piuttosto che verificare una connessione con l’omonima
e semi-dispersa Tribù israelita?
Gli storici del Settecento e dell’Ottocento, Mazzocchi, Bardetti, Capsoni, Pittarelli e Spangenberg
avevano già cercato di dare delle risposte a questi interrogativi, ma i loro studi furono lasciati cadere
dagli ambienti accademici dei secoli successivi per privilegiare l’interpretazione “direzionale”,
nonostante che dal 1782 si sappia che il Levi abitavano con certezza sia alla destra che alla sinistra
del Ticino (47), non si capisce perciò la spiegazione riferita al Po, poiché, come vedremo più
avanti, i Levi erano stanziati tra il Monviso e le Alpi Retiche, cioè in un preciso settore delle Alpi,
e non lungo tutto l’Arco Alpino Italiano come di fatto fa il Po.

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Note:
44) Monsignor Andrea Charvaz, Vescovo di Pinerolo, ” Origine dei Valdesi”, 1838, p. 206: Ma Léger trasva, come
suole, e temendo che la sua setta non voglia esser creduta così antica come ei pretende, dagli Apostoli trapassa
volontieri ai Profeti, siccome abbiam già veduto, e ai Patriarchi altresì.; a p. 137 …”l'inventore di questa setta
d'altro non ci parlerà che dell'antica ed irradiativa esistenza dei Valdesi di elemento progressivo di opposizione che si
sviluppa nel Nord dell'Italia di eresia inveterata che nelle Alpi si nasconde... di scintilla or coverta ed or luminosa
d'indipendenza religiosa di raggi che sembrano uscire primitivamente. ; J. Léger « Histoire générale des Eglises
évangéliques des vallées du Piémont ou vaudoises » , 1669, p. 164: « … cette Religion en laquelle nous vivons, n’est
pas feulement nôtre ,…. c’est la Religion de nos Pères, de nos ayeuls, des Ayeuls de nos Ayeuls, … autres plus
Anciens, nos Predecesseurs …des Saints Martyrs, ..Apôtres , Prophètes » ossia, « questa religione nella quale noi
viviamo , non é solamente nostra…é la religione dei nostri Padri, dei nostri avi, degli avi dei nostri avi,…altri più
antichi, nostri predecessori…i Santi Martiri, Apostoli, Profeti »;Mons. Andrea Charvaz, Vescovo di Pinerolo, ”
Origine dei Valdesi”, 1838, p. 97: “ Quindi facilmente si formerà la catena di successione, ed i Valdesi nel dirizzare
alberi di genealogia, troveranno di che spaziarsi a loro posta, e vi spaziano veramente, e se ne mostrano pur soddisfatti,
se un solo ne eccettui, il quale di verità è di troppo difficile contentatura. Quest' è il fastidioso Giovanni Léger ; ed è
per avventura il solo a cui questa gloriosa antichità è poca. Zelante , se tal vocabolo basti, dell' antichità della sua
setta , volle farla risalire insino ai profeti dell' antica legge. Ma noi crediamo che, se vivesse ancora Léger, si
potrebbe con buone ragioni convincere che molto più prudente consiglio sarebbe fermarsi agli apostoli, e far valere sue
pretensioni sulla Chiesa cattolica” (V. Léger, Hist. gén. des égl, vaud, lib. V, 1669 p. 164). »

45) I. Khoen “le storie di Polibio da Megalopoli”, Milano, 1984, a p. 345: “Libici: il luogo principale di questo
popolo era Novara”.

46) Siro S. Capsoni “Memorie Istoriche Della Regia Città di Pavia E Suo Territorio Antico E Moderno, Volume
1, 1782: “ p. 35 p. 36: “Quindi opinò piuttosto il Sacco medefimo che Laevi fossero “nuncupati quoniam juxta
Padum a laeva manu titrelinquuntur , nobis secundo flumine navigantibus ; G. Brera “Storie dei lombardi”, 1993, p.
96 : “luogo fortificato dei Levi, cioè di riva sinistra” e a p. 349: “Tribù dei Laevi, cioè della riva sinistra del Po”

47) Siro S. Capsoni “Memorie Istoriche Della Regia Città di Pavia E Suo Territorio Antico E Moderno, Volume 1,
1782: p. 33: “è vero, in materia di etimologia, ma non così di territorio: alla destra e s'aggiunga pure con
sicurezza maggiore alla sinistra del basso Ticino abitavano i Levi…” ).

43
1) L’Appennino dei Levi: dal Monviso a Brescia. Nell’insieme questi studiosi del passato ci
hanno lasciato prove piuttosto significative: la prima riguarda il ritrovamento di una tavola romana
in bronzo detta “Tavola alimentaria di Traiano” (48) in cui appare un fondo agricolo del II secolo
d.C., detto “Apennino Laevia”, ovvero montagne appartenenti al popolo dei Levi (49).Sapendo dai
documenti che l’Appennino Laevia corrispondeva al Pago Florejo (50) ovvero ad un territorio che
dal Monviso si estendeva fino alla Lombardia (51), il fossanese Pittarelli, nel 1790, si chiese dove
fossero allora questi Appennini poiché in tale territorio abbiamo le Alpi (52). Senza troppo
disquisire, come continuano a fare i nostri contemporanei, (53), appare ovvio che per ragioni a noi
ignote, presso i romani deve essere in qualche modo sussistito l’uso di chiamare le Alpi anche
“Appennini”, altrimenti non ci sarebbe questa corrispondenza. Anzi, su questi dati potremmo dire
che i romani chiamavano “Appennini” la catena montuosa dell’Italia centrale e “Apennino dei Levi”
(Apennino Laevia) il settore delle alpi Centro-Occidentali. Infatti: il Pago Florejo, cioé
l’Appennino Laevia, che a sua volta coincideva col territorio dei Veleiati (54) , si estendeva
precisamente dalla Valle Po fino a Milano, Mantova e Brescia . Ciò significa che le Alpi Cozie,
Graie, Pennine, Lepontine e Retiche erano il territorio dei Laevi ( dal quale si escludevano le Alpi
Marittime, Carniche e Giulie). Inoltre c’è una connessione fonetica tra “Apennino” e “Pennine”
(Alpi Pennine). Quest’ultimo toponimo non è latino ma Ligure, la cui radice “pen”, secondo alcuni,
significherebbe “monte”. Ecco quindi che tutto il ragionamento sulla dizione latina degli Apennini e
sul perché e sul per come non possono essere le Alpi, verrebbe a cadere: probabilmente non stiamo
parlando degli Appennini ma delle Alpi “Pennine”. -
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Note: 48) Giuseppe Pittarelli “Della celebratissima tavola alimentaria di Trajano scoperta nel territorio piacentino
l'anno MDCCXLVII” , Accademia di Fossano, 1790, p. 328: “Questo Monumento metallico, che ora conservasi in i
Parma, fu scoperto nel 1747 da alcuni villani ne' contorni di Macinesso , terra posta ne' colli del Piacentino , dove
dappoi nel 1761 furono ritrovate numerosissime le vestigie dell'antica città di Veleja. Infranto in varj pezzi da'
grossolani scopritori già era destinato. Egli è composto di lamine di getto , congiunte , e lo scritto c diviso in sette
colonne, la sua larghezza c di piedi. due liprandi, ed oncie dieci

49) E. Sereni, “Comunità rurali dell’Italia antica”, 1955, p. 497: “nella tavola… cum Appennino Laevia: un settore
montano intero che prende probabilmente il nome dal Popolo dei Laevi…”

50) Giuseppe Pittarelli, op. cit., Accademia di Fossano, 1790,p. 119-120: “Granianus Fundd . col. 4. lin. 5., col. 6. lin.
13. Nella colonna quarta leggesi : Fund. Granianum Afranianum cum Apennino Laevia et Valerianum Laeviam in
Pag. S. S. cioè nel Florejo; p. 119-120: “il Pago Florejo detto pur anche una volta Fiorito, fosse de'Velejari, veniamo a
conoscere apertissimamente quanto ampiamente fosse esteso il loro paese tra il monte Vesulo, e i1 Ducato di Mantova
; questo Pago occupava il Bresciano-, il Gremasco, e parte del Milanese sin verso il Lambro

51) Giuseppe Pittarelli, op. cit., Accademia di Fossano, 1790,p. 119-120: “il Pago Florejo detto pur anche una volta
Fiorito, fosse de'Velejari, veniamo a conoscere apertissimamente quanto ampiamente fosse esteso il loro paese tra il
monte Vesulo, e i1 Ducato ài Mantova ; Questo ,Pago occupava il Bresciano-, il Gremasco, e parte del Milanese sin
verso il Lambro…..).

52) Giuseppe Pittarelli, op. cit., Accademia di Fossano, 1790,p. 120 ..”non mai troveremo l'Àpennino nei Pago
Florejo… .

53) A. B. Terracini, “Linguistica al Bivio”, 1981, p. 24: “la tradizione degli scrittori classici è concorde nel concepire le
Alpes come una catena della Regione Gallica….; a p. 25: “la tabula reca cum Apennino Laevia….tutte le
testimonianze latine di Appenninus conoscono questa voce come nome proprio di tutta o parte della catena cui
noi diamo il nome di Appennino..”

54) Giuseppe Pittarelli, op. cit., Accademia di Fossano, 1790,p. 120: qui Lo studioso ci dice inoltre che il Pago Florejo,
situato nell’Appennino dei Laevi, apparteneva ai Velejati (plinio cap. 5, libro 3) cioè una tribù discendente dai Liguri
(descritta ampiamente a p. 332) e ci dice anche, con precisione dove fossero ubicati: a p. 36 …”Velejati. Questi per
lungo , largo, e successivo tratto stendendosi a destra, ed alquanto a sinistra del Po dal monte Vesulo sin verso il lago di
Garda, occupavano del tutto , od in parte i Marchesati di Saluzzo, e di Ceva, le provincie diAlba , d' Asti, d'Acqui,
d'Alessandria , di Tortona, il Bobbiese , parte del Novarese, forse parte del Pavese, ed il Bresciano ecc.”

44
2)Pianura Padana, Canaan e Mesopotamia. Lo stesso Terracini (55), che da una parte esclude
categoricamente la possibilità che i romani confondessero gli Apennini con le Alpi, non esclude
questa ipotesi e sottolinea l’esistenza di una radice ligure nel toponimo “Apennino Laevia”.
Ragion per cui l’Alpe Pennina potrebbe essere stata trascritta dai romani utilizzando una
contrazione derivante della lingua ligure “ad-Penninus”.
Volendo ricercare una etimologia ebraica in “Pennine” apprendiamo che la radice, “Pen”, vuol dire
“angolo”, “angolo del capo” , “angolo del governatore” (56) quindi “l’angolo dei Levi” che erano
giustappunto le guide spirituali dell’ebraismo antico.
Del resto già nel 1782 Siro Capsoni nel suo studio sulla città di Pavia aveva detto espressamente che
i Levi ivi stanziati fossero appartenenti alla Tribù sacerdotale dei Levi il cui nome fu scritto senza
dittongo in Plinio (cioè Levi) e due volte con dittongo “ae” in Livio (cioè Laevi), (57).
Fu deciso comunque, dalla storiografia ufficiale, di ritenerli “la tribù a sinistra”, nonostante
l’esistenza di ulteriori parallelismi etimologici tra la Pianura Padana, Canaan e la Mesopotamia,
ampiamente analizzati da Mezzocchi nel 1741. Nello specifico lo studioso rilevò che tutti i toponimi
alle foci del Po presentano radici linguistiche caldee o ebraiche (58). Lo stesso nome Pado (Po)
deriverebbe da Paddan, antico nome della Mesopotamia che, come riportato nella Bibbia da Ezra e
Salomone significa “Pianura campestre”. Quindi la “Pianura Padana” sarebbe un omonimo di
Mesopotamia, cioè Pianura campestre, così come detto nelle Scritture e il Pado sarebbe stato così
chiamato poiché è il fiume che l’attraversa (59) .
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Note:
55) A. B. Terracini, “Linguistica al Bivio”, 1981 , p. 27: “Penninus…Ora, l’accezione di quest’ultima voce, che è un
aggettivo fatto sulla base di “penn”…è sicura: l’Alpe Pennina era la cima del Passo del Bracco e del Gran San
Bernardo, indicato come “Summo Pennino”…..é una di quelle voci che il Ligure accomuni col gallico e la morfologia
gallica spiega pure bene il prefisso; il gallico conosce infatti nomi di persona (cioè aggettivi) composti “ad-
”…..Appenninus sarebbe dunque “ad Penninus”.

56) (sul sito “Bible Study tools, Lessico ebraico Antico Testamento”: “Pen”= angolo, angolo del governatore, capo;
sul sito “Strong ebrew dictionary “Pen= un angolo, in senso figurato, un capo, un baluardo, una torre”

57) Siro S. Capsoni “Memorie Istoriche Della Regia Città di Pavia E Suo Territorio Antico E Moderno, Volume 1,
1782: “ p. 35: “….sette mari che formava il Po, nelle fosse Filicine ( lavoro de’ Filistei ) , e ne’ ..Palestini dell’
antica Piceno lì riconoscono traccie innegabili di nazioni state un tempo nel Canaan: Levi, mi li permetta il dirlo,
sarebbe una bella pruova, una pruova migliore, comunque a Bernardo Sacco non piaccia , che oriondi fossero i nostri
dalla Sacerdotale tribù del popolo eletto….. Incontrandoli d'ordinario tal nome senza dittongo in Plinio , e con
ae dittongo in due luoghi di Livio, quella seconda lezione sembra doverli preferire. ; p. 36: “Quindi opinò
piuttosto il Sacco medefimo che Laevi fossero “nuncupati quoniam juxta Padum a laeva manu titrelinquuntur ,
nobis secundo flumine navigantibus

58) (Mazzocchi, “Saggi di dissertazioni accademiche: pubblicamente lette nella nobile Accademia etrusca, dell'
antichissima città di Cortona”, Volume 3, 1741, p. 22 p. 12: da che ho scorto che tutte le bocche del Pò …abbiano i
loro nomi dall'Ebreo, o Caldeo, senza che possa affatto dubitarne.

59) (Mazzocchi, “Saggi di dissertazioni accademiche: pubblicamente lette nella nobile Accademia etrusca, dell'
antichissima città di Cortona”, Volume 3, 1741, p.p. 7: Ora in questa Tirrenia , che intorno al Pò si distende avendo i
primi abitatori trovata una pianura sì terminata, che in tutta Italia non. è altra maggiore; per la somiglianza, che
vi corgeano colla loro Mesòpotamia , la chiamarono, penso io , collo stesso nome col quale chiamavano il lor
Paese cioè Paddan ( siccome nella Scrittura viene spesso detta la Mefopotamia ) la qual voce per testimonianza di
Aben Ezra, e di Rab. Salomone denota appunto una Pianura campestrec. E così poi dal nome Padan , che aveano
messo al Paese, anche il Fiume, che vi corre per mezzo ebbe il nome di Pado : ed in vero questa congettura avea
io fatta una volta intorno a questo nome del Fiume.); La Bibbia, testo ufficiale Cei, Genesi 35:9, 48: 7, 28:2,
28:6,7,10; 29:4; Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, Perspicacia nello Studio delle Scritture, vol.II, p. 463:
“Paddam: forse “pianura”, forma abbreviata di Paddam-Aram… “Paddam –Aram: Campo della Siria (Aram)”…
Oltretutto vi sono altri documenti riguardanti gli ebrei presenti nelle nostre aree geografiche fin

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dall’antichità.
La stessa storiografia ebraica infatti ci conferma la grande concentrazione di ebrei in Liguria, nelle
Alpi Piemontesi e in Lombardia dall’ epoca romana e più precisamente dal II al III secolo d.C. (60)
e studi più recenti attestano grandi insediamenti ebraici (cristiani) nelle Alpi dal I secolo alla
seconda metà del V secolo d. C. (61).
Non solo le università israeliane hanno riscontrato queste tracce. Il Professor Linus Brunner ha
ampiamente pubblicato i suoi studi sulla rivista “Helvetia Archaeologica” dimostrando che il Retico
(grigionese) è una lingua semitica arcaica, molto vicina all’accadico e al babilonese. Ha inoltre
riscontrato che il termine Alpi significa “pascolo” in semitico.
Vi è poi Lanfranco dè Clari che nel suo studio dal significativo titolo “L’insostenibile mito della
celticità dei Leponti” (Lugano, 2001) propende per l’origine semitica delle nostre genti alpine
ridicolizzando le forzature dell’approccio scientifico sulla “celticità”.

3)Liguri e Libici: uno stesso popolo. Essendo noi tutti a conoscenza della dispersione delle 10
tribù di Israele, deportate dagli Assiri non si sa dove (tuttora i Rabbini sono impegnati a cercarle)
sorprende constatare che pur essendo dimostrata, in ambito scientifico, la massiccia presenza
semitica in tutta la Gallia dall’Età del Bronzo non si accenni ad un possibile loro insediamento nelle
valli alpine.
Oltretutto pare che i Liguri e i Libici, finora ritenuti popolazioni distinte, siano stati, di fatto, la
stessa cosa. A dircelo è Frédéric de Rougemont, geografo, storico, filosofo, e teologo svizzero,
nonché Consigliere di Stato, vissuto a Neuchatel a metà ‘800 : « …un popolo dei paesi caldi, un
popolo Libico, quello dei Liguri, introdottosi probabilmente fino al cuore della Gallia (62).
Tra le varie fonti che associano i Libici ai Liguri abbiamo anche un poema attribuito a Hesiodo e
datato all’VIII sec. a. C, riportato da Strabone, che cita in un passaggio i Liguri (63).
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Note :
60) Gilbert, Atlas of Jewish History, 1984, cartina 17 (vai a p. 20)

61)T. M. Blodgett, « Sur les traces de la dispersion- De nouvelles études de linguistique nous fournissent une pièce à
verser au dossier de la dispersion d’Israël », 1994 (vedi nota a p. 22)

62) F. de Rougemont : « L'age du bronze, ou les Sémites en occident; matériaux pour servir à l'histoire de la haute
antiquité », 1866, a p. 257 « Un peuple des pays chauds, un peuple libyen, celui des Ligures, a probablement
introduit jusques au cœur des Gaules » (Un popolo dei paesi caldi, un popolo libico, quello dei Liguri, si é
probabilmente introdotto fino al cuore delle Gallie) ; a p. 343 : « Les Ligures, qui ont possédé les côtes de la
Méditerranée, appartenaient à une race africaine » (I liguri, che hanno posseduto le coste del Mediterraneo,
appartenevano a una razza africana) ; a p. 327 : « I Nous supposerons donc que d'Afrique et des îles italiennes et
espagnoles sont arrivés sur les côtes des Gaules des tribus appartenant à plusieurs peuples libyens …Ces enfants
du sud auront rencontré les enfants du nord-est, les Celtes, vers la région moyenne de cette France où le Nord et le Sud
se touchent, se mêlent et s'harmonisent.( Si suppone dunque che dall’Africa e dalle isole italiane e spagnole siano
arrivate sulle coste della Gallia delle tribù appartenenti a diversi popoli Libici…incontrando i Celti verso il centro della
Francia, dove il Nord e il Sud si toccano, mescolandosi…).

63) D. Garcia, « Les Celtes de Gaule méditerranéenne : définition et caractérisation », 2006, p. 67 : « On peut tenter une
chronologie de cette Ligurie en tant qu’espace exploré, et son évolution en tant que territoire plus circonscrit. Pour cela,
il faut, en premier lieu, remettre en avant un fragment épique attribué à Hésiode (VIIIe s. av. J.-C.), cité par Strabon
(VII, 3, 7) d’après Eratosthène, évoquant: « Les Éthiopiens, les Ligyens et les Scythes(Fragment n° 55 Rzach 2) ».
Dans cet extrait, les trois peuples mentionnés servent à marquer les limites du monde connu, dans le cadre d’une
représentation spatiale de l’époque archaïque : les Éthiopiens au sud, les Scythes à l’est et les Ligures à l’ouest. (Si
può tentare una cronologia di questa Liguria sia quanto spazio esplorato che come territorio maggiormente circoscritto.
Per far questo bisogna, innanzi tutto, considerare un frammento epico attribuito ad Esiodo, VIII sec. a. C., citato da
Strabone dopo Eratostene, evocante: “Gli Etiopi, i Liguri e gli Sciiti (Frammento n° 55 Rzach 2)” . In questa
sintesi, i tre popoli menzionati servono ad evidenziare i limiti del mondo conosciuto, nel contesto di una
rappresentazione spaziala dell’epoca arcaica: gli Etiopi al Sud, gli Sciiti ad Est e i Liguri ad Ovest).

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Si tratta dello stesso poema, riportato anche in un papiro egiziano del III sec. a. C. (64), che nel
medesimo passaggio li chiama Libici.
Trascurando la polemica in atto tra gli studiosi italiani e francesi, che vede gli italiani convinti del
fatto che gli egizi si possano essere sbagliati nel trascrivere il poema sul papiro; confondendo la
lettera “gamma” con “beta” ….”cosicché “Lygiens” (Liguri) sarebbero diventati “Lybiens”
(Libici)….” (65), apprendiamo che insieme ai Libici sarebbero quindi giunti in occidente i Semiti i
quali avrebbero portato cultura e civiltà ai Libici stessi, agli Iberi, ai Galli, ai Celti (66).
A dircelo è il già citato F. de Rougemont, nel 1866 a questo proposito scriveva che: “Libici e
Liguri, che la storia ha dimenticato, sono probabilmente d’origine africana e rivendicano al tribunale
della scienza i loro diritti sul territorio compreso tra i Pirenei e la Loira, fiume al quale hanno dato il
nome Ligur o Ligier ”(67).
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Note :
64) D. Garcia, op. cit., p. 67 : « Ce texte (frammento di Esiodo) avait été retenu, anciennement (Arbois de Jubainville
1894, p. 11-12 ; Jullian 1920-1926, p. 110, 119) ou plus récemment (Barruol 1969, p. 148 et de manière plus nuancée p.
151) avant d’être, aujourd’hui, le plus souvent rejeté (par exemple dans Roman1997 ; Arnaud 2001) à la suite, très
certainement, de la position tranchée de P.-M. Duval (1971, p. 174)dans l’édition du volume des Sources de l’Histoire
de France consacré à l’Antiquité. Pour ce dernier, la critique moderne devait retirer « ce fragment à Hésiode pour
l’attribuer à un poète inconnu (…) depuis la découverte d’un papyrus égyptien attribué au IIIe s., qui porte, à
cette place du même vers, le nom des Libyens (…) ». (Sintetizzo: il Testo, in passato, e anche più recentemente fu
ritenuto valido, prima di essere per lo più rigettato, soprattutto in seguito alla posizione di P. M. Duval, nell’attribuzione
ad Esiodo. Per questo motivo la critica moderna ha dovuto ritrattare l’attribuzione di questo frammento ad Esiodo
per attribuirlo ad un poeta sconosciuto…., ciò è avvenuto in seguito alla scoperta di un papiro egiziano attribuito
al III sec., che riporta allo stesso posto nel medesimo verso, il nome Libici…

65) D. Garcia, op. cit., p. 67 : “….. Or, …. c’est sans doute la présence d’une mention aussi ancienne, gênante au regard
des constats archéologiques connus à l’époque, qui incite à clore aussi fermement le débat. En effet, les chercheurs
italiens, par exemple, moins enfermés dans une interprétation classicisante des sources anciennes et plus au courant de
la documentation archéologique, utilisent sans gêne le fragment tel qu’il est attribué à Hésiode (par exemple, encore
récemment, Gambari 2004 ; Colonna 2004). Ils considèrent simplement, dans le papyrus récent, la modification du
gamma en bêta comme une erreur de transcription ». (…Ora,… è senza dubbio la presenza d’una citazione così
antica, imbarazzante allo sguardo delle constatazioni archeologiche dell’epoca, che incita a chiudere il dibattito. In
effetti, i ricercatori italiani, per esempio, meno impuntati in una interpretazione classicheggiante delle fonti antiche e più
al corrente della documentazione archeologica, utilizzano senza imbarazzo il frammento arttribuendolo ad Esiodo, per
esempio Gambari nel 2004 e Colonna nel 2004. Essi considerano semplicemente, nel papiro recente, la
modificazione del gamma con la beta quale errore di trascrizione.

66) F. de Rougemont : « L'age du bronze, ou les Sémites en occident; matériaux pour servir à l'histoire de la haute
antiquité », 1866, a p. 5 : « c'est la présence des Sémites en Occident pendant l'âge du bronze, et leur influence
civilisatrice non seulement sur les Libyens et sur les Ibères, mais sur les Celtes des Gaules et des îles
Britanniques, sur les Germains et sur les Scandinaves. Cette idée semblera peut-être un paradoxe à ceux de nos
lecteurs qui sont peu au courant des discussions tout récemment soulevées par les bronzes d'un travail exquis qu'on
découvre dans toute l'Europe transalpine et jusques dans le sud de la Suède. Mais, en laissant même de côté l'ai
rhéologie, il nous serait aisé de citer plusieurs historie is qui, tels que M. H. Martin, n'hésitent pas à admettre que le
génie de la race gauloise s'est éveillé au contact de l'industrie et du commerce des Phéniciens. Et quel est le mythologue
qui, en présence du druidisme et de sa doctrine de la migration des âmes, ne recherche point les liens qui rattachent
l'Occident à la terre du Nil?..... En poursuivant les traces des Sémites dans l'ouest et le nord de l'Europe, on est
rapidement entraîné des siècles voisins de l'ère chrétienne, où florissait le commerce des Gaditains, vers les temps
les plus reculés de la haute antiquité »….. (é la presenza dei Semiti in Occidente durante l’età del Bronzo, e la loro
influenza civilizzatrice non solo sui Libici e sugli Iberi, ma sui Celti delle Gallie e delle isole britanniche, sui Germani, e
sugli Scandinavi. Questa idea può sembrare un paradosso a coloro che non sono al corrente delle recenti discussioni
sollevati a proposito dei bronzi di pregevole fattura scoperti in tutta l’Europa transalpina fino al sud della Svezia).

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Dalle analisi svolte sui territori semitici dell’antichità, sappiamo che esistevano tre terre semitiche e
una di queste comprendente le nostre Alpi; le nostre Alpi sarebbero state parte del terzo territorio,
quello occidentale «…a nord- est c’è una terza terra semitica, quella che comprende i Pirenei, la
Biscaglia, la Garonna così come le Alpi Marittime(68).
Oltretutto, parlando dei Taurini, gli storici dell’antichità Polibio, Strabone e Plinio il Vecchio
(Naturalis Historia 18:141) li definiscono “antigua ligurum stirpis”(cioè “antica stirpe ligure”.
Quindi, Liguri e non Celti.

4)Le miniere del Delfinato scavate dai semiti. Ma quello che cattura l’attenzione riguarda
quest’affermazione: “In particolare, in epoca remotissima le miniere del Delfinato furono esplorate
dai Semiti » (69).
Se ciò è accaduto nelle miniere del Delfinato, probabilmente i semiti hanno esplorato anche le
leggendarie miniere d’oro della Valle Po, posta oltretutto in vicinanza della “Via dell’Ambra” che
dalla Durance passava a Embrun, Briançon, conducendo alle miniere d’oro del Piemonte per poi
raggiungere le città etrusche lungo il Po (70).
Noi sappiamo infatti che la Valle Po era chiamata la “valle dell’oro”. La storia a più riprese ci
informa dell’enorme ricchezza aurifera di questa valle senza che nessuno sia mai riuscito a trovare
le misteriose miniere dell’antichità (71).
Considerata la presenza di popolazioni semitiche nell’esplorazione delle miniere alpine, viene
spontaneo chiedersi per quale ragione la Tribù di Levi in Valle Po non sia stata riconosciuta in
ambito accademico per quello che verosimilmente è: una tribù semitica e non celtica.

5)La tribù sacerdotale dei Levi e le venti divisioni scomparse. Stabilito infatti che i Liguri erano
probabilmente Libici e che le Gallie furono praticamente invase dalle popolazioni semitiche
cerchiamo ora di capire come potrebbero essere arrivati qui i Levi.
La storia biblica descrive precisamente le vicende accorse a questa tribù e la sua parziale
dispersione.
Dai racconti (Esd 2:36-39) apprendiamo che i Levi furono portati in schiavitù in Babilonia.
Successivamente tornarono a Gerusalemme dall’esilio babilonese solo quattro delle ventiquattro
divisioni sacerdotali stabilite da Re Davide. La Bibbia spiega che nell’insieme i Levi erano
trentottomila uomini (1Cr 23:3) con funzione effettiva, di età compresa tra i venticinque e i
cinquantanni. In questa cifra erano esclusi i bambini, gli adolescenti, gli anziani, i malati, gli
imperfetti e le donne. Calcolando quindi che ne tornarono solo seimilatrecento, mentre degli altri
trentunmilasettecento non si seppe più niente, é ipotizzabile che alcune delle divisioni disperse siano
potute finire, chissà come, sulle Alpi Cozie (72).
Sappiamo inoltre che non tutti i Levi erano tutti aggregati alla Tribù di Giuda, sconfitta e deportata a
Babilionia nel 587 a. C. (73). Proprio perché avevano una funzione sacerdotale destinata a tutto il
popolo, i Levi, erano sparpagliati anche nel Regno d’Israele (detto Regno del Nord), che in lotta col
Regno di Giuda (con Beniamino e Simeone), si componeva delle altre 9 tribù.
Gli ebrei del Regno di Israele furono sconfitti, ridotti in schiavitù e deportati in Mesopotamia dagli
Assiri tra il 733 e il 722 a. C.; e questo avvenne molto prima dell’esilio babilonese che ha avuto per
protagonista la Tribù di Giuda.. I nostri Levi, quindi, potrebbero essere giunti in Valle Po in epoca
davvero molto antica: attorno al 700 a. C., inquanto aggregati a qualcuna delle tribù d’Israele
prigioniere degli Assiri. Tuttavia, la presenza del toponimo Hustana in Valle Po sembrerebbe
indicare che da noi vi fosse, accanto ai Levi, proprio una parte della tribù di Giuda (vedi p….) ed è
un aspetto, questo, che in futuro bisognerà approfondire.
In generale, è comunque necessario precisare che quella che oggi tutti noi conosciamo è proprio la
tribù di Giuda fusasi con quella di Beniamino, le altre sono sparite nel nulla, tanto da essere

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diventate le mitiche “10 tribù disperse”, delle quali molto è stato detto e ipotizzato nella letteratura
rabbinica antica e medievale.

6)Le dieci tribù d’Israele (scomparse). A questo proposito, sebbene si tratti di un assunto che per
chi proviene dalla cultura cattolica rientra in un contesto favolistico, visionario e bizzarro, intendo
accennare anche alla leggenda del mitico fiume Sambatyon.
Nel Medioevo, tra i maestri del Talmud, quindi tra i Rabbini studiosi delle Sacre Scritture, vi era
una diffusa convinzione che il misterioso luogo dell'esilio delle 10 tribù d’Israele fosse ben
focalizzato, diversamente da quello che stato il destino riservato alle altre due tribù (Giuda e
Beniamino), le quali erano invece sparse per tutta la terra.
La convinzione dei Rabbini, (peraltro supportata anche dai racconti degli storici ebrei quali Flavio
Giuseppe così come da quelli non ebrei, quali Plinio) era che il territorio sconosciuto in cui si
trovavano le tribù perdute, fosse delimitato da un mitico fiume chiamato Sambatyon.
Nel IX sec. , queste fonti leggendarie, elaborate da un testo di Eldad Danita, ebbero un enorme
influsso sull'ebraismo medioevale. Fu così che si radicò la convinzione che le 10 tribù perdute non
si trovassero tutte in un unico punto, bensì fossero disperse in diversi nuclei: un primo gruppo che
ne raccoglieva una parte era collocato in Asia, un secondo gruppo collocato in Etiopia; in prossimità
di quest'ultimo, ma separato dal fiume Sambatyon, un altro nucleo, costituito da discendenti della
tribù di Levi (74).
Quindi la letteratura messianica ebraica ci dice che accanto al fiume Sambatyon sarebbero insediati i
figli di Mosé: cioè la tribù di Levi.
Il Sambatyon viene inoltre descritto come un corso d’acqua dotato di una forza impressionante, tale
da far rotolare grandi quantità di massi e sabbia, impedendone a chiunque l’attraversamento. Questa
leggenda non ha mai abbandonato l’ebraismo.
Piuttosto recentemente, il pensiero del rabbino J. Immanuel Schochet (*), apparso su un articolo sul
sito Moshiach, dal titolo: “Le Dieci Tribù Scomparse”, precisa che il Sambatyon é un fiume
circondato da montagne : “… le Dieci Tribù del regno del Nord di Israele, esiliate dagli assiri
prima della distruzione del primo Santuario (II Re 17)…. disperse al di là del fiume Sambation e
delle "montagne dell'oscurità”, anch'esse ritorneranno…”.
Ora, pur restando nel campo dell’immaginario, senza voler esternare alcuna considerazione che
possa andare al di là di una semplice citazione, sorprende comunque constatare la presenza dei Levi
alle sorgenti del Po, “tra le montagne”, proprio come nella leggenda delle 10 tribù scomparse. Sarà
un caso che i Levi siano documentati sulle sponde di fiume che fino a quarantanni fa era molto
difficile da attraversare e spesso esondava violentemente? Sarà sempre un caso che come il
Sambatyon, il nostro Po tuonava proprio per il gran fragore prodotto dal ruzzolio di pietre, massi e
sabbia, trascinati da una corrente potentissima che rimbombava in tutta la valle? Sarà un caso che
mentre tutte le valli limitrofe strombazzano la loro storia con contenuti occitanisti e quant’altro,
della valle Po nessuno parla mai e sembra che nessuno la conosca nonostante la sua storia e
centralità anche geografica? Come mai persino a Cuneo (capoluogo di provincia), quasi nessuno
conosce la nostra valle, tanto che molti credono che sia in provincia di Torino? Come mai,
nonostante tutta la nostra storia, siamo come invisibili da 3000 anni a questa parte?
Detto questo, vi sono poi altri dettagli di questa leggenda che lasciano senza parole perché
evidenziano connessioni abbastanza precise con la geografia dell’Italia e del Po. Il racconto, infatti,
ci dice anche che quando i Levi furono catturati dai babilonesi vennero costretti a suonare per i
nemici. Ma loro, che erano la tribù sacerdotale che suonava solo per Dio nel Tempio, si sentirono
persi di fronte a questo obbligo sacrilego. Alcuni Levi si tagliarono le dita per non suonare, altri
scoppiarono a piangere disperati… All’apice della tragedia e nel bel mezzo del dramma scese di
colpo dal cielo una nebbia molto fitta che avvolse i Levi completamente. Nascosti così dai loro
nemici, videro aprirsi una strada illuminata da torcie e la seguirono percorrendola tutta. Il mattino

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successivo si trovarono in una terra circondata dal mare su tre lati e chiusa dal fiume Sambatyon
sul quarto lato (potrebbero essere il Tirreno, Ionio, Adriatico e Po ?).
Secondo la leggenda, benchè nascosti da quell’epoca ad oggi oltre il Sambatyon, i figli di Mosè
hanno sempre potuto comunicare con i loro fratelli della tribù di Neftali, Gad e Asher, insediatisi
anche loro nelle vicinanze del fiume.
Da allora i figli di Mosè, protetti dal Sambatyon, secondo la leggenda vivono lì, in quella terra
misteriosa, in pace e godono di prosperità in sintonia con la loro fede e non avendo bisogno né di
Principi, né di giudici, poiché ognuno lavora per il benessere della comunità, e ognuno prende dal
patrimonio comune soltanto ciò che serve per sue le necessità (immagino si tratti di acqua, terreni,
boschi e pascoli comuni). Le loro case sono costruite di uguale altezza, cosicchè nessuno può
ritenersi superiore al suo prossimo.
Tutto ciò mi sembra, per assurdo, molto simile a noi.
A questo si aggiunge che, come vedremo più avanti, il toponimo Arvel (Revello) potrebbe
corrispondere ad una omonima località di Galilea in cui era insediata la Tribù di Gad, cioè di una
delle Tribù che stando alla leggenda, si trovano vicine al fiume Sambatyon e dialogano con i Levi.
Sarà un caso anche questo?

7)L’enigma di Ezechiele. E ancora, a proposito di pensieri “visionari”, si registrano alcune strane


riflessioni anche da parte dei sacerdoti cattolici.
Incuriosisce una considerazione esternata da Monsignor Charvaz nel 1800 circa i nostri antenati.
Guardando oltre alla derisione del Vescovo, che giudica i valdenses dei poveracci ignoranti e
testoni, si avverte in sottofondo un certo senso di agitazione: quella che i valdenses potessero essere
i predestinati delle Profezie di Ezechiele nelle quali è scritto che Dio avrebbe disperso il popolo
d’Israele a Babilonia ma ne avrebbe preso un ramoscello, e lo avrebbe piantato su un’alta montagna.
Che questo fosse un argomento di preoccupazione per la Chiesa Cattolica lo si deduce dalle parole
dell’alto prelato: “sarebbero questi (i valdenses) l’eredità delle Nazioni, le famiglie de’ popoli stati
promessi al Messia, quel regno che la Scrittura rassomiglia a una città edificata sopra un alto
monte, a cui traggono i popoli d’ogni lingua e tribù? Sarebbe mai ella, in queste valli, la luce che
dee illuminare tutti gli uomini, le società i cui ministri debbono far risuonare le dottrine insino ai
confini del mondo?” (75).
Tradotto in parole semplici e chiare, Charvaz spostando il problema ereticale sul piano profetico-
apocalittico si riferì a una visione di Ezechiele.
Il Profeta Ezechiele, attraverso le sue visioni sul destino del popolo ebraico prigioniero in Babilonia,
dettò su volere di Dio questo “Enigma”( Ezechiele 17, 1-24) : “proponi un enigma e racconta una
parabola agli israeliti…ecco, il re di Babilonia ha preso i re e i principi e li ha trasportati con sé in
Babilonia…ha deportato i potenti del paese, perché il regno fosse debole e non potesse
innalzarsi…Tutti i migliori cadranno di spada e i superstiti e saranno dispersi a tutti i venti…Io
prenderò dalla cima del cedro, coglierò un ramoscello e lo pianterò sopra un monte alto e
massiccio….lo pianterò sul monte alto d’Israele…Io il Signore ho parlato e lo farò.”
L’enigma quindi ci dice che Dio, preso un piccolo ramoscello di eletti del popolo d’Israele lo ha
piantato su una montagna alta e massiccia, senza dire però qual’ è la montagna (e qui sta l’enigma).
L’unica precisazione che Dio comunica a Ezechiele è che quella montagna è il monte alto d’Israele.
Ecco quindi dove nasce l’accanimento e il bisogno di infierire su un popolo di montagna, di un’alta
montagna, che diceva di originare dai profeti e che vivendo pacificamente nelle sue valli, pagava le
tasse, si autogestiva sotto il profilo giuridico e sociale, ed era ben lontano dall’essere una specie
combriccola di banditi. Un popolo che da secoli e secoli seguiva i suoi principi e le sue tradizioni,
indipendentemente dall’Enigma dettato da Ezechiele e dai fanatismi religiosi catto-riformati.

50
8) I “Sacerdoti ubriaconi” nel Libro di Osea e Isaia

Un aspetto che balza all’occhio, se non fosse che i teologi assicurano che le profezie di Osea si sono
già avverate e risolte col ritorno della Tribù di Giuda a Gerusalemme dopo la prigionia in Babilonia,
è la descrizione che riguarda Israele, ovvero le dieci tribù perdute, attraverso il rimprovero di Dio al
suo popolo.
Lo stesso dicasi circa il capitolo dal titolo “Sacerdoti e profeti barcollano a causa del bere”, che
troviamo in Isaia.
In entrambi i casi viene descritta la situazione del popolo ebraico, in particolare l’infedeltà del
Regno d’Israele (cioè delle 10 tribù perdute) e il dominio assiro ed egiziano, come punizione divina.
Questi i passaggi del Profeta Osea che colpiscono maggiormente. Si trovano nella Bibbia al capitolo
“Dio fa il processo al popolo adultero”:

1 Ascoltate la parola del Signore, o Israeliti,


poiché il Signore ha un processo
con gli abitanti del paese.
Non c'è infatti sincerità né amore del prossimo,
né conoscenza di Dio nel paese.
2 Si giura, si mentisce, si uccide,
si ruba, si commette adulterio,
si fa strage e si versa sangue su sangue.

4…contro di te, sacerdote, muovo l'accusa.

6 Perisce il mio popolo per mancanza di conoscenza.


Poiché tu rifiuti la conoscenza,
rifiuterò te come mio sacerdote;
hai dimenticato la legge del tuo Dio
e io dimenticherò i tuoi figli.

11 Il vino e il mosto tolgono il senno.

15 Se ti prostituisci tu, Israele,


non si renda colpevole Giuda.

18 (israele) si accompagna ai beoni;

9. 3
Non potranno restare nella terra del Signore,
ma Efraim (Israele) ritornerà in Egitto
e in Assiria mangeranno cibi immondi.
9.6
Ecco sono sfuggiti alla rovina,
l'Egitto li accoglierà,
Menfi (Egitto) sarà la loro tomba.

Dio dice quindi al Profeta Osea che Israele (ovvero le dieci tribu`perdute, che distingue dalla Tribù
di Giuda) non sarebbero più tornate a Gerusalemme ma sarebbero finite in Egitto e in Assiria.

51
Rimproveri simili li troviamo in alcuni passaggi del profeta Isaia al capitolo “Sacerdoti e Profeti
barcollano a causa del vino”.

28:1 Guai alla corona superba degli ubriachi di Efraim (Israele),


al fiore caduco, suo splendido ornamento,
che domina la fertile valle, o storditi dal vino!

28:3 Dai piedi verrà calpestata


la corona degli ubriachi di Efraim (Israele).

7 Anche costoro barcollano per il vino,


vanno fuori strada per le bevande inebrianti.
Sacerdoti e profeti barcollano
per la bevanda inebriante,
affogano nel vino;
vanno fuori strada per le bevande inebrianti,
s'ingannano mentre hanno visioni,
dondolano quando fanno da giudici.

E` davvero strano leggere questi passaggi sapendo che: la valle Padana porta il nome della
Mesopotamia (Paddan), le popolazioni delle Alpi erano semitiche, ci sono 10 tribù tuttora
scomparse. Inoltre vi sono 20 divisioni di Levi (sacerdoti) che non fecero mai ritorno a
Gerusalemme e sono verosimilmente tuttora in giro. L’abitudine al bere, del resto, è abbastanza
tipica delle nostre valli.
Detto questo, vi sono aspetti geografici della Profezia di Osea altrettanto singolari. Questi sono
l’11: 8, l’11: 9 e l’11:10 in cui Dio dice che nonostante il tradimento, il vino, le gozzoviglie e
l’idolatria degli israeliti, Lui, proprio perché è Dio e non è un uomo, non li distruggerà ma
continuerà ad amarli e ad avrà pietà.
Dio attraverso Osea spiega anche il modo in cui li riporterà Israele definitivamente a casa:

11: 8 Come potrei abbandonarti Efraim (Israele)


Come potrei consegnarti ad altri, Israele?

11:9…(Io Dio) non tornerò a distruggere Efraim (Israele)

11: 10 seguiranno il Signore (gli israeliti) ed egli ruggirà come un leone:


quando ruggirà accorreranno i figli dall’Occidente,
accorreranno come uccelli dall’Egitto,
come colombe dall’Assiria.

Ora, Dio dice che alla fine di tutte le peripezie e gli sbagli del suo popolo, Egli perdonerà e
radunerà Israele da Occidente.
E qui iniziano i nostri interrogativi che non riguardano la profezia (argomento che lasciamo ai
teologi) ma la geografia.
Poiché, se appare chiaro che, come dice il versetto, l’Egitto si trovi ad Occidente della Palestina,
non è per niente chiaro come questo possa dirsi per l’Assiria, che é notoriamente ad Oriente.
Non dimentichiamoci infatti che la Mesopotamia (Iraq), conquistata prima dai Sumeri, poi dai
Babilonesi e infine dal popolo degli Assiri, si estende tra il Tigri e l'Eufrate. Con il tempo l'uso di
questa definizione divenne di più ampio respiro, fino a comprendere anche le zone limitrofe ma
sempre poste ad Oriente.

52
E’ ovvio dunque che di questa immensa area geografica tutto può essere detto fuorché sia situata ad
Occidente di Gerusalemme.
Allora di quale Assiria parla Dio attraverso Osea?
Io certamente non lo so, però se supponiamo che l’Assiria in questione possa indicare la Pianura
Padana, ecco che la descrizione risulterebbe perfetta. La Pianura Padana è a Occidente di
Gerusalemme e quindi i conti tornerebbero…..ma, chissà.
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Note:

67) F. de Rougemont ,op.cit., p. 304 « mais libyens, et les Ligures, que l'histoire négligeait et qui sont
probablement d'origine africaine, revendiquent au tribunal de la science leurs droits sur le vaste territoire
s'étendant des Pyrénées jusques au fleuve, la Loire, auquel ils avaient donné leur nom de Ligur ou
Liger….(“Libici e Liguri, che la storia ha dimenticato, sono probabilmente d’origine africana e rivendicano al tribunale
della scienza i loro diritti sul territorio compreso tra i Pirenei e la Loira, fiume al quale hanno dato il nome Ligur o
Ligier ”…)

68) F. de Rougemont ,op. cit., p .205 : « Enfin, les Sidoniens en se retirant de la scène du monde, avaient légué aux
Tyriens vers le nord-ouest une troisième terre sémitique, que nous connaissons déjà, et qui comprenait les Pyrénées,
l'Ebre, la Biscaie et la Garonne, ainsi que les Alpes méridionales. ….("Infine, i sidoniti, ritirandosi dalla scena del
mondo, avevano lasciato in eredità a Tiro al nord-ovest, una terza terra semitica, che sappiamo già, e che comprendeva i
Pirenei, l'Ebra, la Biscaglia e la Garonna , così come le Alpi meridionali).

69) F. de Rougemont ,op. cit., p .205 : A une date fort reculée les mines du Dauphiné ont été exploitées par des
Sémites ( In epoca molto remota le miniere nel Delfinato sono state sfruttate dai semiti….).

70) F. de Rougemont , op. cit., p. 296 : « … avait ouvert, par les Alpes méridionales, au commerce de l'ambre et de
l'étain, une route si sûre que tout voyageur, barbare ou hellène, y était à l'abri de tout danger. Cette route suivait
la vallée de la Durance, passait par Embrun (Ebrodunum) et Briançon (Brigantio) et conduisait aux mines d'or
du Piémont (des Taurins), d'Aoste (des Salasses), de Verceil, aux cités étrusques du Pô et à la fameuse Adria….(...
aveva aperto dalle Alpi del Sud, il commercio di ambra e stagno, una strada così sicura che tutti i viaggiatori, ellenici e
barbari, erano al sicuro dai pericoli. Questa strada seguiva la valle della Durance, passava da Embrun (Ebrodunum) e
Briançon (Brigantio) e portava alle miniere d'oro del Piemonte (la Taurins), Aosta (Salassi) di Vercelli, e alle città
etrusche del Po e alla famosa Adria….).

71) F. A. Della Chiesa, “Relazione dello stato Presente del Piemonte: 1635”a p. 41-42:: “Nelle medefime alpi, e in
quelle maffime dell' Argentera, e nelle valli di Grana, di Macra, e Po fi fono in diverfi tempi scoperte miniere di
oro, e di argento, d'azzurro, onde furono Argenterà, e ValLaurìa da quei metalli denominate; così Monteorofio
nella valle di Grana, e Crisolo dalla Greca parola Cryfos nella valle del Po, la quale anco per tal causa fu alle volte
Valle dell’ oro chiamata. Nei monti di Demont si cava il piombo, come pure nella valle di Veraita, e ad Elva nella
valla di Macra l'oro, del quale le ne trova anco nelle alpi d'Oncino, e in quelle della Rocca presso Dronero, e nelle
vigne di Villanovetta,e in altre parti del marchesato di Saluzzo: le cui miniere sebbene ne' tempi de' Marchesi, e poi de'
Francesi si cavassero; sono però state tralasciate per non potere gli utili eguagliar le grandi spese degli operai : e io
stesso ho veduto alcune delle caverne, dalle quali le suddette -miniere si cavavano, e parlato con molti di coloro, che
videro di quell' oro, e di quelle miniere. Nella valle del Po, e in quella di Macra alla Rocca, e al Villar di -s. Costanzo,
come pure in quella di Veraita a s. Pietro, e a Bellino , e in quella di Grana, e in altre parti si trovano ricche miniere di
ferro, e in alcuni luoghi…Pradileves quelle di rame, vitriolo, e di alume. ……Nei monti di Villar di s. Coftanzo, e in
quei di Revello si cavano diamanti, e cristaIli, i quali da valenti orefici intagliati ….”.; F. A. Della Chiesa,
“Descrizione del Piemonte, vol. V, a p. 1088 : “Nel monte Bracco (Mumbrak), dietro il castello di Revello si cavano
diamanti…”; D. Muletti, C. Muletti, “Memorie storico-diplomatiche appartenenti alla città ed ai marchesi di Saluzzo”,
volume 5, 1838, a p. 228: cita lo studio del Conte Vincenzo Malacarne di Saluzzo“il Malacarne, pubblicato nel 1787: “
cita nel suo Ragguaglio istortea d'un'antica miniera d'oro in Val di Po, Plinio ed altri antichi scrissero che il Po volge
nel suo letto arene d'oro; ciò replicarono alcuni autori delsecentoi la voce greca crysos, da cui dicono venuto il nome a
Crissolo, significa oro. Tutte queste cose fecero credere all'esistenza di miniere del pregiato metallo nella valle di Po:
comunque però, non v'ha oro nelle valli che si dirimono dal Monviso”.( aggiungo io….…ma evidentemente non erano
miniere , conme tutti in tempi piu recenti hanno cefcato, ma sabbia nell’acqua… il testo dice benissimo che era sabbia ,
arena nel letto del po); Don Luigi Destre, Gianni Aimar, “Crissolo, Chiesa e Comunità”, 2006, a p. 116: “in merito
all’oro, il Parroco di Crissolo Don Lorenzo trecco (nel 1879), ribatté ancora il concetto precisando non solo che una

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miniera d’oro esisteva ma anche che la fonderia primitiva si trovava a Paesana alla quale si aggiunse, in seguito,
una seconda ad Oncino”.

72) La Bibbia, Testo Ufficiale CEI, 1 Cronache, 23: 3, 1988, a p.611: “ Si contano i Leviti dai trent’anni in su; uno per
uno, risultarono trentottomila. Di costoro ventiquattromila dirigano l’attività del tempio, seimila siano magistrati e
giudici, quattromila portieri, e quattromila lodino il Signore con gli strumenti inventati da me per lodarlo”;
Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova “Perspicacia nello studio delle Scritture”, 1990, a p. 821: “Delle 24
divisioni sacerdotali stabilite dal re Davide, 16 erano della Casa di Elzearo e 8 della Casa di Itmar (1 Cr 24:1-19).
Tuttavia, almeno inizialmente, tornarono dall’esilio in Babilonia solo sacerdoti appartenenti a quattro divisioni
(Esd: 2:36-39). Alcuni ritengono che, per conservare la precedente disposizione organizzativa, queste quattro
famiglie siano state suddivise in modo da avere di nuovo 24 divisioni. E` stata avanzata l’ipotesi (A. Edersheim
“The Temple”, 1874, p. 63) che per raggiungere lo scopo ogni famiglia tirasse a sorte cinque volte per coloro che
non erano tornati, formando così altre 20 divisioni alle quali furono dati i nomi originali.

73) E. Kopciowski, “Invito alla lettura della Torà” p. 272 “…i Leviti vivranno senza terra, sparpagliati fra il resto
delle tribù,…e la dispersione fra il popolo diverrà per loro segno distintivo di un ruolo di importanza determinante per
il futuro: quello di guida e di insegnamento”. I Levi andarono sia col Regno di Israele sia con il regno di Giuda
…..Ci chiediamo: ma com'è che ad un certo punto ci furono due regni, quello di Giuda e quello di Israele ? Ebbene,
dall'unione di 9 tribù era nato il territorio di Israele (a dire il vero 8, perché quelle di Efraim e Menashe avevano uno
statuto particolare, visto che facevano capo ai due figli di Giuseppe): Issacar, Zebulon, Asher, Neftali, Dan, Menashe,
Efraim, Ruven e Gad. A queste si unirono anche molto membri della tribù di Levi, a cui non era stata allocata alcuna
porzione del territorio di Canaan. Perché questa divisione ? Perché ci fu una guerra civile, nel 922 a.C.: Geroboamo
guidò la rivolta delle tribù del nord e la loro unione diede appunto vita al regno di Israele. A sud, Roboamo divenne re di
Giuda, la cui popolazione era formata dalle tribù di Giuda, di Beniamino e di Simeone. Vi erano anche membri della
tribù di Levi. Questi eventi sono narrati del I Libro dei Re.

74) Jewish Virtual Library- Encyclopaedia Judaica, “Sambatyon (anche Sanbatyon e Sabbatyon)”: “Un leggendario
fiume lungo il quale sono state esiliate parte delle dieci tribù dal re assiro Salmanassar …. Il fiume è menzionato
nel Targum Pseudo -Jonathan (Es. 34,10) : "Io li porterò da lì e per metterli dall'altra parte del fiume Sambatyon ". I
rabbini hanno dichiarato che le dieci tribù furono esiliati tre volte: una volta al di là del fiume Sambatyon , una
volta a Daphne di Antiochia, e una volta quando la nube divino scese su di loro e li coprì (TJ, Sanh. 10:06 , 29c ;
Lam. R. 2:9; cfr. Gen. R. 73:6 ). Plinio il Vecchio ( 24-79 C.E.) Ha descritto il fiume nel suo testo Di Storia Naturale, e
le sue osservazioni sono d'accordo con le fonti rabbiniche . Egli ha inoltre affermato che il fiume scorreva rapidamente
per sei giorni la settimana e si riposava il sabato ( 31:24 ). Questa caratteristica del Sambatyon avrebbe impedito
alle dieci tribù di lasciare il loro luogo di esilio, non potendo attraversare il fiume durante i sei giorni della
settimana …Giuseppe Flavio , invece, ha descritto la periodicità di questo fiume in modo diverso , sostenendo che si
trattava di riposo durante la settimana e che scorreva solo di sabato. Eldad ha- Dani ha sostenuto che il Sambatyon
non circonda la terra delle dieci tribù , ma piuttosto quella dei figli di Mosè. ……"I figli di Mosè sono circondati
da un fiume simile ad una fortezza , che non contiene acqua, ma piuttosto rotola sabbia e pietre con grande
forza; se incontrasse una montagna di ferro potrebbe ridurla in polvere. …, al tramonto, una nube circonda il
fiume, in modo che nessun uomo è in grado di attraversarlo ; circa la deportazione dei Levi, leggere la “Rivista degli
studi orientali”, vol. 72, 1999, a p. 39 : “ ….nebbia che li nascondeva ai nemici, ma furono guidati lungo la strada dal
faro di una colonna di fuoco. Tornato giorno essi si trovarono in una terra bagnata dai tre lati del mare e chiusa sul
quarto dal fiume Sambatyon ….la fitta coltre di nebbia …funzione difensiva. Chiusi in questa terra i figli di
Mosé….”; sul fiume Sambatyon vedi ancora : A. Toaff, “Mostri giudei. L’immaginario ebraico dal Medioevo alla prima
eta` moderna”, 1996, in particolare le pp. 9-27: A. Rothkoff, “ Sambatyon, in Enyiclopaedia Judaica, XV”, Jerusalem
1971, coll. 1003-1006; A. Foa, “Il popolo nascosto. Il mito delle dieci tribu` perdute d’Israele tra messianismo ebraico
ed apocalissi cristiana (XVI-XVII secolo)”, in M. Caffiero, A. Foa, A. Morisi Guerra (curr.), “Itinerari ebraico-cristiani.
Societa` , cultura, mito”, 1987, pp. 129-160; M. Perani, “Eventi sonori nelle relazioni dei viaggiatori ebrei del
Medioevo”, in «Musicae Storia», IX, n. 2, 2001, pp. 463-471.

* rabbino J. Immanuel Schochet- Ha insegnato presso le società Chabad nelle università di Yale, UCLA, Berkeley,
McGill, Oxford, Londra, Città del Capo, Melbourne, e ha rappresentato le comunità ebraiche in USA, Canada ed
Europa, Australia, Sud Africa, Estremo Oriente e Israele. Professore-emerito di Filosofia e religione comparata, al
Humber College di Toronto (Canada), ha insegnato come coadiuvante professore di bioetica ebraica alla University of
Toronto Medical School, diritto ebraico e Filosofia. Ha pubblicato più di 30 libri, e tra questi “ Mashiach: Il principio di
Mashiach e dell'era messianica nella legge e della tradizione ebraica”, (che è stato tradotto in otto lingue).

75) Mons. Chavaz, op. cit. p. 260

54
Ra** bbi Immanuel Schoche ----t ha scritto e tenuto conferenze sulla storia e la filosofia del chassidismo e temi di
2) Gli ebrei nelle Alpi in epoca romana e paleocristiana

Come mai gli atlanti di storia ebraica segnano la massiccia presenza ebraica nel Piemonte
meridionale tra il I e il V secolo d. C. e noi non ne sappiamo niente?
Credo che il forte sentimento antisemita, che ha caratterizzato la cultura occidentale nel corso dei
secoli su istigazione cattolica, sia la causa di una mancata comunicazione in ambito scientifico;
cosicché noi continuiamo a cercare improbabili radici “celtiche” nonostante che qualche dato già ci
smentisca al primo impatto tali ipotesi. E così, intanto che le università ebraiche sanno la nostra
storia, la scrivono, la divulgano anche via internet, noi continuiamo imperterriti a scrivere sempre le
stesse cose, a non vedere niente, a non confrontarci e a celebrare nebulose “radici nordiche”
risultando anche un po`ridicoli. Sapendo dell’attenzione che gli ebrei pongono nella ricerca
genealogica dubito grandemente che l’errore sia loro. Non so come facciano a sapere questo nostro
passato ma credo fermamente nella loro attendibilità scientifica “a priori”.
Del resto anche le università americane sono a conoscenza, con tanto di pubblicazioni, della
massiccia presenza ebraica sulle Alpi italiane nei primi secoli dopo Cristo.
Possibile che nonostante i toponimi delle nostre valli, le affermazioni dei nostri antenati che si
dicevano discendenti dei Profeti e degli Apostoli, gli usi e costumi talmudici, i cognomi,
l’impostazione sociale tipicamente ebraica, le canzoni tradizionali in ebraico, gli scritti sull’Israel
dea Alpes dei Valdesi, i sambenito ecc., gli unici a continuare a credere e a sostenere di essere i
discendenti di non meglio definiti “celti” (adoratori di pietre, alberi e fontane) siamo proprio noi
perché oltre a non saperne più niente (a causa dell’inquisizione), abbiamo le nostre università
piemontesi che continuano a raccontarci storie completamente diverse?
Come mai, nonostante si viva in piena globalizzazione nessuno compie lo sfrozo di aprire
leggermente gli orizzonti e leggere cosa scrivono le università israeliane, statunitensi e straniere in
generale sulla storia delle nostre vallate?
Tanto per citare un esempio: il professor Terry M. Blodgett, della Southern Utah University
(Università americana, nella quale insegna lingua, lettereratura e storia germanica ed ebraica),
afferma che nel 70 d.C in seguito all’invasione romana di Gerusalemme, migliaia di ebrei fuggirono
dalla Palestina. Questi ebrei in fuga, e in particolare quelli cristianizzati, che tra l’altro parlavano
aramaico, cercarono rifugio sulle Alpi italiane (76). Stando ai suoi dati, è certo che dal 450 d.C.
proprio sulle nostre Alpi si sia insediata una comunità ebraica di dimensioni davvero importanti.
Dalla stessa, nei secoli successivi si sarebbero poi diramati alcuni filoni migratori verso nord, in
direzione di Svizzera, Austria e Germania.

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76)T. M. Blodgett, « Sur les traces de la dispersion- De nouvelles études de linguistique nous fournissent une pièce à verser au
dossier de la dispersion d’Israël », 1994, pp. 64-70 :« Quand la Perse conquit Babylone, Cyrus le Grand libéra les prisonniers juifs et
leur permit de retourner dans leur patrie en Palestine. Tous ne voulurent cependant pas quitter la belle ville de Babylone pour
retourner dans leur pays, qui avait été détruit. Certains restèrent. Beaucoup des tribus de Juda et Benjamin retournèrent. Ceux qui
rentrèrent en Palestine se trouvèrent entourés de populations de langue araméenne et ils ne tardèrent pas à adopter l’araméen comme
langue de tous les jours .
Il en résulte que les Juifs parlaient araméen en 70 apr. J.-C., lorsque les Romains envahirent Jérusalem et provoquèrent la
fuite de Palestine de milliers de Juifs. Au cours des années qui suivirent, beaucoup de ces Juifs de langue araméenne partirent
vers le nord, vers l’Europe. Les Juifs christianisés, en particulier, cherchèrent refuge dans les Alpes italiennes, et dès 450 apr.
J.-C., ils y avaient installé une population importante. Au cours des siècles qui suivirent, ils se répandirent graduellement vers
le nord, en Suisse, en Autriche et en Allemagne »….( Quando Persia conquistò Babilonia, Ciro il Grande liberato i prigionieri ebrei
e ha permesso loro di tornare in patria in Palestina. Ma non tutti volevano lasciare la bella città di Babilonia di tornare al loro paese,

55
che era stato distrutto. Alcuni eimasero. Molte persone delle tribù di Giuda e di Beniamino ritornarono. Coloro che sono tornati in
Palestina si sono trovati circondati da persone che parlavano l'aramaico e ben presto adottato l'aramaico come lingua di ogni giorno.

Fig. 1) Gli ebrei dell’Impero Romano 100-300 d. C, tratta da M. Gilbert, “Atlas of Jewish History”, Edizioni Giuntina,
Firenze 1984, ( cartina p. 17).
(La riproduzione di questa cartina è stata gentilmente concessa dal Signor Daniel Vogelmann, titolare della Casa editrice
“La Giuntina” , Firenze).

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(segue nota) Ne consegue che gli ebrei parlavano l'aramaico nel 70 dC. DC, quando i Romani invasero Gerusalemme e
provocarono la fuga di migliaia di ebrei in Palestina. Negli anni che seguirono, molti di questi ebrei di lingua aramaica andò a
nord verso l'Europa. Ebrei cristianizzati, in particolare, hanno cercato rifugio nelle Alpi italiane, e dal 450 dC. DC, avevano
installato una grande popolazione. Nei secoli successivi, gradualmente si espansero verso nord, Svizzera, Austria e Germania
"...).

56
Del resto anche l’Enciclopedia Judaica Castellana, nel capitolo dedicato al cristianesimo, riporta
fedelmente l’argomento dicendo: “…i Barba inviavano i missionari in Italia per predicare il
pentimento e alimentare nella Fede le pecorelle disperse di Israele, cercandole nelle valli delle
Alpi…., le loro parrocchie consistevano nelle disperse tribù di Israele delle Alpi….” (77).
Se a questi dati aggiungiamo la documentazione Valdese e i documenti francesi concernenti la
primitiva diffusione del cristianesimo nelle Gallie, della quale tratteremo più avanti, non possiamo
pensare che così tante informazioni siano frutto di una sorta di delirio collettivo
Senza contare che la storiografia ebraica nostrana, da anni scrive e divulga i dati riguardanti la
presenza ebraica documentata in Piemonte dal IV secolo, cioè dal 300 d. C. (78).
Da questi rileviamo che ebrei a Torino dovevano essere così tanti che Massimo (79), il Vescovo, nel
V secolo giunse ad esprimersi duramente, esortando i cristiani a non conversare con i giudei per
non rimanere “contaminati”(80).
Un tale atteggiamento significa che c’erano forse più ebrei che cristiani e non il contrario; tant’é
che la Mariani Puerperari dice chiaramente che doveva trattarsi di una comunità, quella ebraica a
Torino, di una certa consistenza (81).
Per contro, la storiografia “canonica” affronta spesso con toni stizzosi l’argomento, sostenendo
l’assurdità delle ipotesi sull’ antica presenza ebraica in Piemonte così come in Europa, e
ridicolizzando gli studiosi che già nei secoli scorsi avevano notato queste cose.
Solo per citare un esempio: Depping, nel 1845 contesta i documenti riguardanti la presenza di
Sinagoghe a Worms e a Ulm quali prove di un insediamento ebraico in Germania dall’epoca di
Cristo.
Non accetta la tesi spagnola circa il ritrovamento di un epitaffio riferito ad un tesoriere di Re
Salomone, morto a Sagonte (Valencia).
Sottostima una iscrizione romana del IV secolo, rinvenuta nel Sisteron (Alpes-de-Haute-Provence),
che menziona alcuni giudei tra gli assassini di un prefetto dell’Illiria, dicendo che questo non prova
comunque la presenza giudaica nelle Gallie (82).
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77) Enciclopedia Judaica Castellana, tomo III, vocablo Cristianismo, pp. 223, 224: “Los valdenses se consideraban como el
`verdadero Israel´ o según expresión de su jefe Muston, `Israel de los Alpes´. Comba y Muston hablan del éxodo y dispersión de los
creyentes. Pedro Valdo es `el Moisés de ese pequeño pueblo…´. Los `barbas´ valdenses enviaban misioneros a Italia `para predicar
el arrepentimiento y alimentar a las ovejas dispersas de Israel perseguido en los valles de los Alpes´. Los `barbas´ mismos, bien
versados en las ciencias, las lenguas y las Escrituras se comparaban a los `Ancianos´ de Israel, cuyas `parroquias consistían en las
dispersas tribus de Israel de los Alpes,.. ´ “…( I Valdesi si consideravano come il vero Israele o secondo l’espressione del Suo
Capo Muston , “Israele degli Alpi”. Comba e Muston parlano dell’esodo e della dispersione dei credenti….. Pietro Valdo è il Mosé
di quel piccolo popolo… I ` Barba ' Valdesi mandavano missionari in Italia, per predicare il pentimento e nutrire le pecore
disperdere Israele nelle valli degli Alpi . I ` Barbas ' stessi , ben esperti nelle Scienze , nelle Lingue e nelle Scritture si
paragonavano agli Anziani di Israele, le cui parrocchie consistevano nelle disperderse Tribù dell'Israele delle Alpi ,…)

78) G. Massariello Merzagora, « Giudeo-italiano », 1997, a p. 12: “ La presenza di ebrei in Piemonte è documentata dal IV secolo
ma un lungo periodo di silenzio si estende fino al 1424…;”M. Mariani Puerari, “Sermoni liturgici”, 1999, a p.84 …”già sul finire
del IV secolo doveva esistere a Torino una comunità ebraica di una certa consistenza…”.

79) G. Massariello Merzagora, « Giudeo-italiano », 1997, p. 12; M. Mariani Puerperari, Sermoni Liturgici, a p. 84: “..ripetuti attacchi
al fronte giudaico, tali da indurre a credere che la giovane Chiesa (torinese) se ne sentisse fortemente minacciata. Non siamo in grado
di stabilire né l’entità dell’insegnamento ebraico a Torino, né la qualità esercitata dalla Sinagoga…”

80) M. Mariani Puerperari, Sermoni Liturgici, p. 84: “E’ certa però la durezza di Massimo (vescovo di Torino) che esorta a evitare la
conversazione con gli ebrei ritenendola una “grande contamonazione”…

81) M. Mariani Puerari, “Sermoni liturgici”, 1999, a p.84 …”già sul finire del IV secolo doveva esistere a Torino una comunità
ebraica di una certa consistenza…”.

-0--
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Anzi, lo studioso dopo lunghi ragionamenti tendenti alla negazione assoluta di queste ipotesi,
sistema tutti in un sol colpo, ebrei e montanari delle Alpi, aggiungendo lapidario: “l’iscrizione
trovata nel Sisteron prova solamente che lì c’é stato qualche giudeo, può darsi tre o quattro, in
mezzo ai banditi che infestavano le Alpi » (83).
Argomenta poi questa sua opinione sostenendo che lo spirito nazionalista ebraico, così come le loro
leggi avrebbero impedito di comunicare con i popoli occidentali; quindi non sarebbero penetrati nei
paesi stranieri prima della distruzione del Tempio di Gerusalemme.
Secondo Depping nessun giudeo sarebbe uscito dal suo territorio prima della schiavitù ad opera dei
romani, che successivamente li deportarono in occidente (84).

Naturalmente non mi trovo molto d’accordo con Depping e con chi ancora oggi ragiona come lui.
Prima di tutto, perché si parla sempre e solo di Giudei, ben sapendo che la storia ci dice che in epoca
pre-cristiana non furono solo i Giudei (Tribù di Giuda), gli ebrei costretti a sparpagliarsi per il
mondo antico, ma tutte le altre tribù ebraiche, compresa una parte della tribù di Levi che per sua
stessa funzione non poteva abbandonarle, seguendone il destino.
Inoltre sappiamo che gli ebrei sulle Alpi c’erano eccome, ed erano sicuramente molti più di tre o
quattro, vista la presenza dei Levi che per ruolo e funzione avevano l’obbligo di insediarsi
all’interno delle loro tribù.

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Note :

82) G. Depping, « Les Juifs dans le moyen âge », Didier 1845, a p. 2 : « On a voulu reculer beaucoup l’ epoque des premiers
établissements des Juifs en Europe. A Ulm et à Worms, en Allemagne, on a prétendu posséder des actes prouvant qu'il y avait des
synagogues dans ces deux villes à l'époque de la mort de Jésus-Christ. En Espagne, on a produit une prétendue épitaphe d'un trésorier
du roi Salomon, mort à Sagonte. En France on n'a pu trouver de monuments aussi antiques; cependant on a cherché à inférer
d'une inscription faite sous le règne de Constance, et mentionnant des Juifs parmi les assassins d'un préfet d'Illyrie, qu'à cette
époque les Juifs étaient établis dans les Gaules » …. (si voluto retrocedere parecchio l’era di insediamento di ebrei in Europa. A
Ulm e Worms, in Germania, si è preteso di possedere gli atti a comprovanti la presenza di sinagoghe in entrambe le città al momento
della morte di Gesù Cristo. In Spagna, si è prodotto un presunto epitaffio di un tesoriere del re Salomone, che morì a Sagonte. In
Francia non siamo riusciti a trovare monumenti coi antichi, ma abbiamo cercato di avvalerci di una iscrizione risalente al regno di
Costanzo, menzionante degli ebrei fra gli assassini di un prefetto di Illiria, per sostenere che in quel momento gli ebrei si erano
insediati in Gallia….).

83) G. Depping, « Les Juifs dans le moyen âge », Didier 1845, a p. 2 Quant aux prétentions des Juifs d'Espagne et d'Allemagne,
la critique n'a pas eu de peine à en montrer l'absurdité, et l'inscription trouvée auprès de Sisteron prouve seulement qu'il y
avait quelques Juifs, peutêtre trois ou quatre, parmi les bandits qui infestaient les Alpes . …( Per quanto riguarda le
rivendicazioni degli ebrei dalla Spagna e dalla Germania, la critica non ha avuto difficoltà a mostrare l'assurdità e l'iscrizione trovata
da Sisteron prova solo che ci sono stati alcuni ebrei, forse tre o quattro, tra i banditi che infestavano le Alpi).

84) G. Depping, « Les Juifs dans le moyen âge », Didier 1845, a p. 2 : « Avant que la Judée fût subjuguée par les Romains, sous le
commandement de Pompée, il n'est pas probable que les Juifs se soient répandus chez des peuples éloignés. Leur esprit national et
leurs lois les portaient à n'avoir point de communications avec les peuples occidentaux; mais depuis qu'ils obéissaient à Rome,
ils ne purent plus éviter ces communications; et quand leur capitale fut prise et renversée, la nécessité les força de chercher une
autre patrie. C'est donc depuis cette époque qu'il faut s'attendre à les voir pénétrer dans les pays étrangers…("Prima che la
Giudea fosse conquistata dai Romani sotto il comando di Pompeo, è improbabile che gli ebrei si possano essere diffusi tra popoli
lontani. Il loro spirito nazionale e le loro leggi li portavano a non avere comunicazione con le nazioni occidentali; solo in seguito alla
loro obbedienza a Roma, non poternono più evitare tali comunicazioni e, quando il loro capitale fu occupata, la necessità li
obbligò a cercare un'altra patria. Dunque è da quella data che dovremmo aspettarci di vederli entrare in paesi stranieri ...”).

58
3) I valdenses e lo Shabbat
I “valdenses” erano anche chiamati Sabbatati o Insabbatati.
Termini derivanti ovviamente da Shabbat e non certo da “zabata” (ciabatta) o da “sabot” (dal
francese sandalo di legno, zoccolo) che secondo alcuni studiosi (85) erano di foggia aperta e
lasciavano i piedi nudi. I Barba li avrebbero indossati per imitare i francescani (non si sa come, visto
che i francescani vengo dopo Valdo) (86). Indubbiamente Valdo, innestandosi sul valdismo già
esistente introdusse novità e comportamenti importanti, che però non possono essere omologati
come se fossero stati la caratteristica universale l’intero valdismo.Il fatto poi che i valdenses di
Paesana, all’errore 53 del tribunale inquisitoriale (vedi capitolo precedente) avessero dichiarato di
osservare la Domenica non esclude che osservassero anche lo Shabbat, cioè il sabato quale giorno
festivo come documentato dalla Chiesa valdese. Sappiamo infatti che esistevano sicuramente più
valdismi o più forme di valdismo e quella dei Leoniti di Paesana apparteneva al tronco principale, il
più antico, che traeva le sue origini dall’ebraismo.
La storia ci dice che i “Barba itineranti”, che con Valdo si mossero in predicazione votandosi al
celibato, probabilmente non furono le uniche guide spirituali valdenses, sennò il valdismo prima di
lui non sarebbe esistito. Del resto se non ci fosse stata una radicalizzazione religiosa sul territorio, e
se il movimento fosse stato concepito in modo ascetico e itinerante, a cosa sarebbero servite le
“Sinagoghe delli heretici”? E`implicito infatti che in una Sinagoga si seguisse lo Shabbat. I
documenti a questo proposito ci dicono che l’inquisizione distrusse parecchie Sinagoghe in Vallis
Paysana: praticamente una in ogni gruppo di case prese di mira. Ciò lascia supporre che tutti gli
uomini avessero una responsabilità spirituale, fossero sposati e per nulla inclini a camminare per le
Alpi con i “sabot”.
Lo stesso Euan Cameron sostiene che il valdismo é stato una religione popolare di laici, “fondata
sulla tradizione orale nella quale la dottrina sarebbe passata soprattutto attraverso i proverbi e l’
elevata moralità” (87), e ciò prima che con Valdo i Barba iniziassero la predicazione itinerante con
tanto di Bibbia alla mano. Ma non solo, Grado Merlo, ne “Valdesi e Valdismi medievali”, a questo
proposito ci dice che a Milano, già prima del 1206 i valdesi avevano la loro “Schola”(88), quindi
una sede stabile.
Teniamo poi conto che gli insediamenti storici della Valle Po erano tutti ad una quota
approssimativa di 1000 metri e piu`. Quello che è oggi il villaggio di Paesana, a fondo-valle,
praticamente fino al 1700 non esisteva; era una sorta di palude. Va da se che se forse qualche Barba
itinerante poteva permettersi di morire per la fede, questi uomini di montagna non potevano mettere
a repentaglio la loro vita facendosi prendere “dall’estasi religiosa”, camminando praticamente a
piedi “nudi” e affondando le estremità in due metri di neve ghiacciata a spasso per i sentieri delle
Alpi o facendosi mordere da una vipera, ferendosi, oppure scivolando giù per le scarpate a causa
dell’erba bagnata e della poca stabilità sui piedi. Erano padri di famiglia: dalla loro stessa vita
dipendeva quella di molte persone, anche quella degli anziani e delle donne vedove della comunità.
Quindi oltre che dover sostentare la propria famiglia, gli uomini “valdenses”, svolgevano il lavoro
essenziale anche per i più deboli (attraverso le röide). Le vedove con bambini piccoli e anziani che
non erano in grado di svolgere da soli i lavori del vivere quotidiano erano aiutati dalla röida (89) (
letteralmente “ruota”); cioè dall’ insieme degli uomini del villaggio che ogni dieci giorni, o quando
più urgente, si riunivano per svolgere le mansioni pesanti e necessarie per la loro sopravvivenza:
abbattere gli alberi, spaccare la legna, aggiustare i tetti delle case, far partorire le mucche, aggiustare
gli attrezzi agricoli, fare i formaggi, macellare il bestiame, tagliare il fieno e l’erba per le mucche,
pulire le stalle, ecc.
Poiché è ovvio: le donne collaboravano e aiutavano attivamente ma stando al seguito, chi di fatto
svolgeva le mansioni pesanti e difficili erano gli uomini.

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Detto questo e, come se non bastasse, abbiamo anche le Sinagoghe degli eretici e ci si chiede come
gli inquisitori potessero chiamare Sinagoga i templi dei valdenses se questi non fossero stati in
qualche modo associati agli ebrei o comunque ritenuti vicini a loro “nell’errore”.
Per tutte queste ragioni, e non da ultimo il fatto che il Valdismo di Valdo si sviluppa in area
“valdenses (montanara)” che è il territorio della tribù di Levi, non mi sembra così assurdo ipotizzare
che Sabbatati derivi più facilmente da Shabbat che non da sabot.
Inoltre, tutte le polemiche fatte per trovare incoerenze e strane spiegazione sul perché alcune volte i
valdesi fossero chiamati Sabbatati e in altri documenti Insabbatati, ci tengo a precisare che questo
apparente dissonanza non significa affatto nel primo caso osservassero il Sabato o avessero i sabot e
nel secondo caso non osservassero il Sabato o non portassero i sabot. E’ semplicemente una
questione dialettico- grammaticale-fonetica. Nella parlata d’alta montagna, nelle frazioni di Paesana
ad esempio, quell’”in” è un rafforzativo e non una negazione. In dialetto, dire “a sùn en -sabatà”
vuol dire “fanno il sabato” “sono nel sabato”. Del resto è sufficiente ragionare un po’ per capire che
si tratta di una forma grammaticale di derivazione francese. Il gerundio, in francese si esprime con
“en”+ il verbo, ad esempio: “en disent” (dicendo) “en buvant” (bevendo) “en cherchant”(cercando).
Ne consegue che “en” non è mai una negazione ma, al contrario è una forma attiva che implica
un’azione. Del resto qualche esempio lo abbiamo anche in italiano: quando si dice “insabbiato”, che
è l’azione e il risultato dell'insabbiare o dell'insabbiarsi, a nessuno viene in mente che possa
significare “senza sabbia”.
Esiste una consistente letteratura che pur prescindendo dalla grammatica, vede negli insabbatati
l’uso di ossevare lo Shabbat, negando l’interpretazione che vuole a tutti i costi cercare connessioni
con i sabot. In particolare E. White (90) ha descritto molto esaurientemente il contrasto tra i Valdesi
e la Chiesa di Roma proprio per l’uso dei primi nell’osservare lo Shabat e da ciò il nomignolo
“Insabbatati”. Non mancano critiche anche recenti che giudicano questa “una vecchia
interpretazione” (91) e pertanto liquidano la faccenda con una sommariamente smentita.
In pratica la White sosteneva che una delle cause principali che segnarono la separazione tra valdesi
e cattolici riguardava proprio l’uso dei primi nell’osservare il Sabato ebraico.
Secondo la studiosa, la Chiesa romana nutriva un tale odio verso l’osservanza del Sabato che gli
stessi valdenses, offuscati e sconcertati dal clima venutosi a creare, finirono con l’osservare il
Sabato biblico astenendosi dal lavoro la domenica.
Samuele Baiocchi nel contestare con forza l’analisi della White dice che si tratta di una
interpretazione del tutto superata poiché “è sicuro che i valdenses indossassero i sandali”.
Béh, se la Valle Po fosse in Sicilia forse si potrebbe dubitare di quanto detto dalla White, ma sfido
chiunque a convincere qualsiasi paesanese di ieri e di oggi ad indossare i sandali in pieno inverno,
(che da noi è rigidissimo e inizia ad ottobre per finire a volte ad aprile-maggio) con un tempo di
sopravvivenza massima di mezza giornata, e non di più.
Quella dei sandali è una interpretazione così assurda, tenuto conto del clima, dell’ubicazione dei
villaggi posti tra i 1000 e i 1200 metri di quota e degli inverni, che mi chiedo come si possa avere il
coraggio di esternarla senza avvertire un minimo senso di vergogna. Forse chi ha scritto e sostiene
ancora oggi tale presunta “verità” considera noi e i nostri antenati dei poveri trogloditi cerebrolesi
con quoziente intellettivo e capacità critica pari a zero; tanto ritardati e deficienti da accogliere
senza banfare una simile idiozia.
Quindi, per chiarire una volta per tutte le idee riguardanti le calzature dei montanari dell’Alta valle
Po, sintetizziamo che queste erano di tre tipi: le “cussìe”, le “socche” e le “succhëtte”, cioè
le“scarpe”, gli “zoccoli”, gli “zoccoletti”. Come del resto già ben spiegato sui “Quaderni di Ostana”
(92) i modelli differivano in qualità e robustezza a seconda che fossero destinati agli uomini o alle
donne. Inoltre, le “suchëtte”, cioè gli “zoccoletti” erano esclusivamente femminili e venivano
adoperate solo in casa o per compiere piccoli spostamenti che non implicavano la necessità di far
forza sulle caviglie e avere molta stabilità sui piedi.
Le “cüssìe”. Le cüssìe degli uomini erano in pelle di vacchetta molto resistente. Alte fin sopra la
caviglia venivano allacciate con stringhe di cuoio, proprio come i moderni scarponi. Utilizzate per

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svolgere lavori pesanti e spesso in discesa, quali taglio del fieno e della legna, le “cussìe”
garantivano ampia stabilità sui piedi e loro suola era in gomma. Le cussìe femminili, non
differivano molto: erano, anche questi, stivaletti alti sopra la caviglia chiusi con stringhe. Venivano
però prodotte con pellame di scarsa qualità ed erano spesso di colore rosso con in punta un pezzo di
metallo giallo, detto chapin.
Le “soche”. Erano uguali alle “cüssìe” in tutto, salvo nella suola che era di legno. La tomaia in pelle
le rendeva in tutto e per tutto simili a scarponi chiusi e allacciati (93). Si utilizzavano per i lavori
nella stalla, per raccogliere le patate e per andare al pascolo mentre per i lavori più impegnativi si
usavano, come già detto, le “cussìe”.
Infine. Molto rari in valle Po sia le “soche basse”, cioè gli zoccoli senza chiusura alla caviglia, sia i
“sabò” (sabot) ossia gli zoccoli tutti in legno e perciò privi della tomaia in cuoio. Questi modelli
giungevano dalla pianura attraverso il mercato di fondo valle e venivano a volte comprati per i
vecchi che non li utilizzavano per lavorare ma solo per passeggiare un po’. Inoltre sembra che
fossero più caldi e leggeri delle “socche”, ma assolutamente inadatti a muoversi per i pendii con
carichi pesanti e gerle sulla schiena.

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85) Charvaz, Storia dei Valdesi, op. cit., p. 38: “ Zabatatesi « vogliono piuttosto essere chiamati da zabata « ( ciabatta o zoccolo ),
anziché Cristiani da Cristo. Pongono sui calzari la croce…. i sandali loro coronano….”; a p. 138: “…Valdo ed i suoi primi
seguaci miravano, era di formare un ordine religioso. Essendo loro andato fallito il disegno, riuscirono a formare una setta. Si
chiamano altresì Sabbatati e Insabbatati ( Sabbatati, Insabbatati, Xabatenses ), perciocché volendo nel loro superstizioso modo
in ogni cosa , o per meglio dire dal capo ai piedi imitare gli apostoli, portavano, secondo alcuni, una specie di calzari tagliati al di
sopra, in guisa che nudi i piedi lasciavano vedere ; o, come altri vogliono, una sorta di ciabatte o zoccoli segnati di una croce, o
di un altro segno a foggia di scudo , avvisando che di tal figura stato fosse il calzare degli apostoli, quantunque la scrittura , dai
Valdesi a torto ed a sproposito citata , nulla ci dica su questo rispetto”. Aggiungo io: il fatto che la storiografia valdese non
menzioni questi strani calzari lascia supporre che questo appellativo potrebbe riguardare eretici “valdenses”, cioè montanari, che
osservavano lo Shabat.

86) Monsignor Andrea Charvaz “origine dei valdesi”, op. cit. p. 140 “Portavano gli zoccoli su cui era figurata una croce per
distinguersi dagli altri cristiani (ma, aggiungo io, non è possibile visto che rifiutavano la Croce e per causa di tale rifiuto della croce
finivano al rogo) e ciò fece che fossero chiamati Sabbatati ed Insabbatati. Quindi pare che i Sabbatati fossero soltanto quelli che
aveano il calzare segnato dalla croce, cioè i Perfetti, e che i semplici credenti fossero detti Isabbatati”.

87)Euan Cameron, The Reformation of the Heretics. The Waldenses of the alps (1480-1580, Oxford 1984, XVII-p. 291)

88) Grado Merlo, ne “Valdesi e Valdismi medievali”, Torino 1984 a p. 21, “C’è da considerare che i valdesi ebbero in Milano buoni
rapporti con l’organismo comunale, che prima del 1206 aveva loro concesso “quoddam pratum nel quale era sorta la loro Schola”

89) dizionario piemontese online: röida= lavoro pubblico

90) E. White « The Great Controversy », 1911, 2008 p. 65 : « Among the leading causes that had led to the separation of the
true church from Rome was the hatred of the latter toward the Bible Sabbath. As foretold by prophecy, the papal power cast
down the truth to the ground. The law of God was trampled in the dust, while the traditions and customs of men were exalted. The
churches that were under the rule of the papacy were early compelled to honor the Sunday as a holy day. Amid the prevailing error
and superstition, many, even of the true people of God, became so bewildered that while they observed the Sabbath, they refrained
from labor also on the Sunday. » (Tra le cause principali che avevano portato (i valdesi) alla separazione della vera Chiesa di
Roma era l'odio di questi ultimi verso il sabato biblico. Come preannunciato dalle profezie , il potere papale offuscò la verità. La
legge di Dio fu gettata nella polvere, mentre le tradizioni ei costumi degli uomini furono esaltati . Le chiese che erano sotto il
dominio del papato furono presto costrette ad onorare la Domenica come giorno sacro. Tra l'errore prevalente e la superstizione ,
molti , anche del vero popolo di Dio , rimasero così sconcertati che mentre osservano il sabato , si sono astennero dal lavoro anche di
Domenica”).

91) Samuele Baiocchi professore di Filosofia e Storia della Chiesa presso la Andrews University , nel 2001 scrive questa replica
sull’interpretazione che lega lo Shabbat agli “insabbatati”: S. Baiocchi “Endtime issues n.87: a reply to criticism, part 1 “The use of
E. G. White’s writings in interpreting scriptures”, 2001:. « Did the Waldenses Observe the Sabbath? A second example of existing
inaccuracies in the Great Controversy, is the reference to the observance of the Sabbath by the Waldenses. Ellen White wrote:
"Through ages of darkness and apostasythere were Waldenses who denied the supremacy of Rome, who rejected image worship as
idolatry, and who kept the true Sabbath. »….

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…What they have found in some documents are references to the insabbati, a common nickname for the Waldenses. In the past some
uninformed readers have taken this term to mean that the Waldenses were Sabbathkeepers. It is possible that Ellen White was
influenced by this old interpretation. Unfortunately the term insabbati has no connection to Sabbathkeeping. As Adventist Church
Historian, Daniel Augsburger explains in the symposium The Sabbath in Scripture and History, the Waldenses were often called
insabbati, not because they kept the Sabbath, but because the wore sandals. "The Latin word for sandals is sabbatum, the root of the
Spanish zapato and the French sabot.
(Un secondo esempio di inesattezze esistenti nella Grande Controversia, è il riferimento all'osservanza del Sabbath per il Waldenses.
Ellen White ha scritto: "in un’ Era di oscurità e apostasie, i Waldenses hanno negato la supremazia di Roma, rifiutato il culto
delle immagine poiché idolatria e osservato il Sabbath.”… “Vi sono alcuni documenti che si riferiscono agli insabbati, un
soprannome comune per i valdesi. In passato alcuni lettori non informati hanno adottato questo termine per indicare che i
valdesi osservavano lo Shabbat. E 'possibile che Ellen White sia stata influenzata da questa vecchia interpretazione. Purtroppo
il termine insabbatati non ha alcun legame di con il Shabbat. Lo storico della Chiesa Avventista, Daniel Augsburger spiega nel
simposio “Il sabato nella Scrittura e nella Storia”, che i Valdesi sono stati spesso chiamati insabbati, non perché hanno
mantenuto il sabato, ma perché la indossavano sandali. La parola latina per i sandali è sabbatum, la radice è zapato in
spagnolo e in francese Sabot ..”)

92) AA.VV.,“Ostana”,op.cit. Quaderno n.3 , Civico Museo etnografico, 1999, pp. 48, 55, 56.

93) AA.VV. ,“Ostana”, op.cit. quaderno 3, p. 48.

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4) Gli appellativi “Bar-ba e Bar-bet”
Anche gli appellativi “Barbet”e “Barba”, se visti in quest’ottica, suonano strani: sono davvero
parole piemontesi, oppure potrebbero essere parole dette in un’altra lingua? I valdesi, per
distinguersi, avranno attinto dall’ebraico?
In piemontese i valdesi sono chiamati “Barbet” sia al plurale che al singolare. I “Barbet” sono la
comunità, così come il singolo individuo è il “Barbet” (è l’articolo che stabilisce il plurale o il,
singolare). Il “Barba” è un “anziano”, è una guida della comunità. Ora, volendo riflettere su questi
appellativi, sorge il dubbio che queste parole potrebbero non essere quello che noi siamo abituati a
credere comunemente, cioè che siano sinonimi dialettali delle parole: “valdese”=Barbet e
“zio”=Barba.
Bar-Bet, in aramaico significherebbe “Figlio-della Casa”- (Tempio?) inquanto “Bet” è una forma
contratta di Bayt (94) che significa appunto “casa”, la quale corrisponde nella sua forma estesa al
nostro termine “bayta”; mentre “Bar”, come spiega chiaramente Richard Bauckham (95), risponde
all’uso ebraico di distinguere le persone specificando di chi fossero figlie. Cosicché, come avviene
anche da noi che in Valle Po diciamo “X ’d’Y” ( es: Menni ‘d’Teu, Bep ‘d’ Giacu…, ossia
Domenico di Stefano, Giuseppe di Giacomo ecc.) gli ebrei dicevano “X bar Y”, ossia : “X figlio di
Y”.
Similmente, Bar-Ba potrebbe essere una forma contratta, ancora dall’aramaico, per non palesare la
parola Padre o Maestro (Abba) (96), poiché vietato da Matteo 23:9-10: “E non chiamate nessuno
“padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi, chiamare
“maestro”, perché uno solo è il vostro maestro, il Cristo”. Tuttavia, Bar-Ba potrebbe anche essere
tradotto in “Figlio–che conosce”, cioè “Figlio –Sapiente”. E, riflettendo ancora, la radice “ba”
potrebbe anche essere una contrazione di “Banah” ossia “Costruttore”. Ne consegue che “Bar-Bet
che indica genericamente il valdese singoloe i componenti dell’intera comunità, distingue il “Bar-
Ba”, in quanto colui che tra i Figli del Tempio è la Guida, il “Figlio-Sapiente”, il “Figlio-Guida”,
“il Figlio “che costruisce”, che “mantiene la Casa”, cioè colui che ha l’ autorità morale: il Rabbino o
Pastore che dir si voglia.
Inoltre, tutti sappiamo che il termine “Barba”, utilizzato ancora oggi in tutto il nord-Italia, non
indica semplicemente un grado di parentela (lo “zio”) ma ha un significato molto più esteso; è un
appellativo di riguardo, o più ancora di rispetto, verso qualsiasi uomo adulto, anche sconosciuto,
appena incontrato per la strada. Costui, soprattutto in passato, veniva salutato per primo: donne,
bambini e uomini più giovani gli si rivolgevano con un ossequioso “Bundì Barba!” (Buongiono
Barba!). Inoltre, il significato di “zio” forse potrebbe avere qualche connessione con la preghiera
ebraica del sabato che invita lo “zio”, ossia il Rabbino ad entrare in Sinagoga .
Il canto del venerdì sera che viene cantato nelle sinagoghe per celebrare l’arrivo del Sabato dice
così: “Lecha Dodi (97), che tradotto significa: “vieni, o mio caro (zio)".Letteralmente
tradotto“Dodi” vuol dire: “caro”, “amato”, ma vuol dire anche “zio”. Cosicché si constata un
ulteriore parallelismo: il Rabbino viene chiamato “zio”, anche il Barba è chiamato “zio” (98).
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94) A. Room “Placenames of the world: origins and meanings of the names for 6,600 countries, cities, territories,
natural features, and historic sites” , 2006 a p. 57 : “Bethany , the Biblical village, has an aramaic and hebrew name,
meaning “hause of poverty”, from “bet” – “house of”( cosrtruct state of “bayt”, “”house”)….(il villaggio biblico di
Betania, ha nome sia aramaico che ebraico che significa “casa della povertà, da “bet”- “casa di” (la cui radice è “bayt”,
“casa”); Aramaic (Assyrian/Syriac) dictionary and phrasebook, 2007, a p. 40 : “ Bet : Hause, building ( Bet: casa,
palazzo)

95)R. Bauckham « Jesus and the eyewitnesses : the Gospel as eyewitness testimony », 2007, p. 79 : “X son of Y”
(aramaic Bar, hebrew Ben)….for exemple Bar Simon, Bar Yeshua…”Bar” is the Aramaic word for “son” ( X figlio
di Y, in aramaico Bar, in ebraico Ben…..per esempio Bar Simon, Bar Yeshua…”Bar” è la parola aramaica di
“figlio”…).

96) F. Youngblood, Bruce Frederick Fyvie, R. K. Harrison “Nelson's Student Bible Dictionary: A Complete Guide to
Understanding the World of the Bible, 2005, a p. 1: Abba (ab’bah) father- an aramaic word

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97) Lekhah Dodi (Ebraico: ‫ ;ידודהכל‬anche traslitterato Lecha Dodi, L'chah Dodi, Lekah Dodi, Lechah Dodi;) è una
canto liturgico ebraico recitato il venerdì al crepuscolo, solitamente dentro sinagoga, per dare il benvenuto a Shabbat
(Sabato) prima dei servizi della sera (funzione). Fa parte del rito di “accettazione” del Sabbath ebreo.

98) sul sito internet : Ivrit bkalut- Hebrew is easy , si legge : « Dodi= oncle (dodi = zio)….my uncle= dodi (mio zio=
dodi) » ; sul sito arabo Yabiladi. com, alla voce « Le nom Muhammad dans la Bible ! » é scritto: « dans le chapitre 5
du Cantique des Cantiques…est le fait que les termes Chéri (dodi)et ami (rai), peuvent aussi être traduit par oncle et
voisin. En effet, dodi est traduit seize fois par oncle, dans toute la Bible » (al capitolo quinto del Cantico dei
Cantici…..di fatto i termini « caro » (dodi) e amico (rai), possono essere tradotti con « zio » e « vicino ». In effetti
“dodi” è tradotto in tutta la Bibbia sedici volte con “zio”…

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5) I toponimi di probabile radice ebraica ed aramaica
Anche i toponimi presentano alcune particolarità che andrebbero approfondite, per cercare di
verificare la possibile origine levitica delle popolazioni “valdenses”. Prendendo in esame tre valli
alpine piemontesi, delle quali una è proprio alle sorgenti del Po e l’altra immediatamente a fianco
rileviamo che i toponimi potrebbero essere nelle lingue aramaico ed ebraica. Certo, in questa sede
non si pretende di offrire una risposta corretta ed esaustiva agli interrogativi che gli stessi ci
pongono anche perché io, professionalmente parlando, sono architetto, ricercatrice in storia
dell’architettura e non in lingue antiche. Tuttavia, pur rimanendo nell’attesa di una opinione
qualificata da parte di istituti universitari intenzionati a verificare l’ipotesi di una possibile origine
semitica dei toponimi, intendo comunicare alcune piccole constatazioni che gradirei venissero prese
in considerazione. Sono talmente convinta della mia intuizione che non mi preoccupo affatto di
correre il rischio di venir tacciata per ignorante, incompetente, presuntuosa e näif. Del resto, il mio
atteggiamento è più legato al pormi delle domande, di fronte a delle palesi evidenze, che non al
fornire rigidi responsi.

Vallis Peysana (Valle Po). Il topomimo Peysana o (Paysana, Paysanae a seconda delle trascrizioni
e tenendo conto che le variante non modifica il testo poiché in aramaico la “e” si pronuncia anche
“a” indifferentemente), più volte analizzato da molti studiosi e comunque sempre considerato una
parola composita (“Padus”- “Zana”, ecc.) potrebbe derivare dall’aramaico pey= “bocca”, e per
estensione “parola”, “espressione”, “discorso” e sana= ”mettere da parte”(99), cioè “chiudere”. La
parola aramica “sana” viene comunemente tradotta con “odio”, ciò nonostante doveva avere anche
altri significati poiché sono molti gli studiosi che discutono la corretta traduzione -dall’aramaico in
greco- del Vangelo di Luca. In Luca 14: 16 si legge infatti questa frase detta da Cristo: “Se uno
viene a me e non (sana) odia suo padre e sua madre e moglie e figli e fratelli, si, e persino la
propria vita, non può essere mio discepolo”. E’ ovvio che la parola aramaica, sana =odio, nel
contesto specifico, significa “mettere da parte”, poiché non ha alcun senso pensare che Cristo
dicesse ai suoi discepoli di seguirlo e odiare i genitori, tenuto conto, oltretutto, che a proposito
dell’odio, la Bibbia dice che “chi odia è un assassino”. Cristo, fautore dell’amore universale,
avrebbe mai potuto dire, odia la tua famiglia e seguimi?
Quindi Vallis Peysana potrebbe significare la “Valle della bocca chiusa”= “Valle che non parla”=
“Valle del silenzio” . E questa è una prima ipotesi.
Seguendo però il ragionamento di chi ha voluto indicare nel termine Pey il fiume Po e nel Sana il
torrente Zana (che gli scorre a fianco) il significato è ugualmente adattabile, pur cambiando
completamente.
“Pey” indicherebbe fisicamente il Po e “Sana” il suo affluente. A questo proposito, coloro che come
me hanno superato la cinquantina d’anni ricordano la “voce” del Po prima che le sue acque fossero
deviate e incanalate negli anni ‘70 nelle tubature della centrale idroelettrica.
Il Po di fatto“parlava” nel senso che aveva veramente la voce; e quando era in piena il suo
“discorso” lo si sentiva persino nel centro del paese.
Il suo tono greve, come un respiro pesante, simile ad un rimprovero severo e minaccioso, risuonava
in tutta la valle.
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99) Sul sito internet « Becoming Jewish.Org. - Jewish information & education », si legge : « pey » represents the "mouth" of G-
D »…., Pei represents the power of human speech, for it begins the Hebrew word for mouth (peh). In the Jewish mystical
viewpoint, whenever people speak they release a spiritual energy into the universe- an energy setting both visible and invisible
events into motion. (Pey rappresenta la “parola di Dio”….Pey rappresenta il potere di discorso umano, dato che comincia la parola
ebraica che significa bocca (peh). Per la mistica ebraica, ogni volta che la gente parla scarica un'energia spirituale nell'universo, è
un’energia che mette in moto eventi visibili che invisibili) ; Sul sito , « Hebrew Symbols For Words » si apprende il valore
simboloco di « Pey » : « As a double letter, Pei conveys twin messages. In its positive aspect, it signifies that we ought strive to
offer cheerful, supportive words to one another. At the same time, it connotes the importance of silence: of knowing when not
to speak. » («Come una lettera doppia, Pei veicola i messaggi di gemelli. Nel suo aspetto positivo, significa che dobbiamo offrire
allegria, parole di sostegno l'uno all'altro. Allo stesso tempo, si connota l'importanza del silenzio: di sapere quando non parlare. )

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Esiste poi una ulteriore versione che non si riferisce all’aramaico ma all’ebraico (100): mentre in
aramaico abbiamo appena visto che la parola “sana” ha una valenza decisamente negativa (che mal
Il Po era veramente un elemento centrale della valle, presente e vivo. Ecco perciò che Pey potrebbe
aver significato il “Fiume che parla” e Sana viorrebbe indicare il torrente “da parte, a lato, a
fianco”. Quindi Pey-Sana potrebbe aver significato il punto in cui si incontrano il “Fiume che parla”
, ossia il Po e il torrente “a fianco”, lo Zana.
si associa alla “Parola di Dio”, che è racchiusa nel significato “Pey” che la precede), apprendiamo
che “sana” in ebraico significa “anno”, “annuale”.
Questo termine è inserito in frasi o contesti di grande importanza religiosa; ad esempio il capodanno
ebraico si chiama “rō'š haš-šānâ”. Si tratta di una festività religiosa molto importante in cui Dio è
chiamato a giudicare l’operato degli uomini i quali sono tenuti a fare un esame di coscienza e
rimediare agli sbagli compiuti nel corso dell’anno.
Si chiama “Giorno del Giudizio”. Questo significato mi lascia supporre che, siccome Pey sta per
“Parola di Dio” e “Sana” per “anno”, potrebbe essere che a Paesana si svolgesse annualmente il
“rō'š haš-šānâ” (lett. inizio anno, capodanno), cioè la festa `annuale del “Giorno del Giudizio”. In
questo caso, Paesana, significherebbe “la Parola nel giorno del giudizio”.
Fin qui abbiamo analizzato in rapporto all’aramaico e all’abraico il termine Paesana, suddividendolo
in due parole il toponimo, Pey e Sana, esattamente come fatto finora da tutta la letteratura che ci
precede (Padus-Sana).
Il risultato è che, sebbene le parole corrispondano effettivamente ad entrambe le lingue, il senso che
ne deriva è davvero stiracchiato, per non dire assurdo.
Perciò mi chiedo: e se la suddivisione esatta fosse stata Pey-sàh-nah, cosa ne risulterebbe? Se la
suddivisone fosse questa avremmo:

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100) la parola aramica Sana viene comunemente tradotta con Odio, ciò nonostante doveva avere anche altri significati poiché sono
molti gli studiosi che discutono la corretta traduzione -dall’aramaico in greco- del Vangelo di Luca. In Luca 14: 16 si legge infatti :
“Se uno viene a me e non odia suo padre e sua madre e moglie e figli e fratelli, si, e persino la propria vita, non può essere mio
discepolo”. E’ ovvio che la parola aramaica, sana =odio, nel contesto specifico, significa “mettere da parte”, perché sappiamo che, a
proposito dell’odio, la Bibbia dice che “chi odia è un assassino”;
A Bomhard, J. Kerns, “The Nostratic macrofamily: a study in distant linguistic relationship”: “hebrew-“sanah”= “to change; year”;
Aramaic- “sana= “to change”; proto-semitic “san-an”= “to grow old, “to reach old age”, ossia: ebraica "sanah" =
"cambiamento; anno", aramaico-"Sana =" cambiamento ", proto-semita" san-an"="invecchiare ", raggiungere la
vecchiaia"; Hosanna (hōzăn'ə) [Heb.,=save now; Psalm 118], zăn'ə, che vuol dire “salvaci ora” è la pronuncia esatta di Pae
zăn'ə . Considerata la radice “Sana” ( che si pronuncia, come abbiamo detto “zăn'ə”) , notiamo che questa è per l’appunto inserita in
parole frasi o contesti di grande importanza religiosa; ad esempio il capodanno ebraico si chiama “rō'š haš-šānâ”;
ed ecco il suo significato: Jewish Enciclopedia, “Hebrew rō'š haš-šānâ : rō'š , head, beginning + ha- , the + šānâ , year”;
Encyclopedia Britannica, alla voce “Rosashannah- Giorno del Giudizio” (che qui sintetizzo), dice: secondo il Talmud , ogni
individuo è giudicato annualmente in base ai Rosh Hashana, come lo è il mondo intero. It is therefore a time characterized by
personal and communal E 'quindi un momento caratterizzato da personale e comunitario “pentimento”: si guarda indietro per valutare
il proprio pensiero, parole e fatti nel corso dell'anno precedente allo scopo di risolvere e migliorare nei confronti del prossimo; si
prega Dio per il perdono e la misericordia. The Rosh Hashana liturgy depicts God sitting upon his throne, inscribing each of his
creatures in the Book of Life (or the opposite); each person's livelihood is determined for the coming year, as well. La liturgia di Rosh
Hashana raffigura Dio seduto sul suo trono, inscrivendo ogni sua creatura nel Libro della Vita o della Morte, determinando il
sostentamento di ogni persona per l'anno successivo. There is a threefold prescription to help in obtaining a favorable decree: Vi è
una triplice ricetta per aiutare ad ottenere un decreto favorevole: teshuva teshuva (repentance), tefilla (prayer), and (Pentimento),
tefilla (preghiera), e tzedaka tzedaka (charity). (Carità). Rosh Hashana inaugurates a ten-day period called the Days of Awe
culminating in Yom Kippur , or the Day of Atonement.
Rosh Hashana inaugura un periodo di dieci giorni chiamato Giornate del timore " che si conclude con Yom Kippur o il Giorno
dell'Espiazione. These are days of heightened introspection, efforts at self-improvement, and pleas for forgiveness from those we
have wronged. Forse Peysana era il luogo in cui avveniva la preghiera annuale del Capodanno ebraico e quindi la “Sentenza divina”.

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Pey= Parola (di Dio), sàh= splendore; nah=pregare (101). Ecco che forse il significato potrebbe
diventare più logico: “Imploriamo la Splendente Parola (di Dio)”. La vallis Paesana sarebbe quindi
la “Valle in cui si implora la Parola di Dio” .

Valle Varaita. Valle Varaita. Varaita è un termine che corrisponderebbe a Baraita (102), e ciò
perché in ebraico ed aramaico la B si pronuncia anche V. In ebraico biblico,la lettera ‫ ב‬è stata
utilizzata per rappresentare [b], ma è anche da notare che [v] è un allofono di [b]. Allofoni sono
suoni tra i quali una lingua parlata non fa distinzione e ciò significa che i suoni [b] e [v] sarebbero
stati utilizzati in modo intercambiabile nell’ ebraico biblico così come nell’aramaico .Ecco quindi
che Barayta o Varayta vengono ad essere la stessa cosa. Baraita, in ebraico, significa “ripetitori della
tradizione” che è il titolo che veniva dato ai Rabbini. Quindi Valle Varaita= “Valle dei Rabbini” ma
potrebbe anche significare “Valle esterna,” poiché il termine è utilizzato per indicare tra gli scritti
talmudici una mishnà esterna, cioè non incorporata nel testo canonico della Mishnà. Ne consegue
che forse valle Varaita é sinonimo di Valle Esterna, così chiamata perché di tutte le valli del
territorio dei Levi, come descritto nella Tavola Alimentaria di Traiano, che si estendeva dal
Monviso fino a Brescia ( v. p. 33), la Varaita era l’unica situata dall’altra parte del Po.

Valle Chisone. In aramaico “Nahal- Quishon” = “Valle del Chison”, (in dialetto Chisùn) ossia la
“Valle del torrente” (103). Oltre ad avere questo significato è anche il luogo in cui gli israeliti
riuscirono a liberarsi dall’invasione cananea (Bibbia, Giudici 4:6,7,12,13).
Nell’Alta Val Chisone(valle Troncea) troviamo molto spesso il toponimo “Bet”: “Colle del Bet”,
“Miniere del Bet”, “Grotta del Bet”, “Laghi del Bet”. Come già detto Bet in ebraico vuol dire
“casa”.

Valle Pellice (Val Pèlësh)= “Valle degli intrusi”. Pellice, in dialetto è pronunciato Pèlësh ed in
ebraico Pelesh (‫)שלפ‬, significa dividere, passare attraverso, rotolare, o invadere, e per estensione il
suo significato è "migrante" o "invasore" (104). Sappiamo che Pelesh, ovvero “intrusi”, “invasori”
era il nome dato dagli ebrei ai Filistei, popolo nemico macchiatosi del furto dell’Arca dell’Alleanza,
non appartenente alla popolazione semitica e di probabile origine cretese. Da questa radice che é
nato il termine palestinesi (intrusi).
Segue quindi la domanda: in Valle Pellice c’erano i filistei?
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101) Galia Hatav (University of Florida) “Anchoring word and time in Biblical Hebrew”, Jurnal of Linguistic, Chambridge Press,
2004, “ La particella “nah” viene aggiunta al verbo per fare una richiesta (è un imperativo). Una recente teoria sostiene che questa
particella fa le richieste più urgenti”; Sul sito internet “B-Grek- Biblical Greek” (Center of Christian Study, University of Virginia) si
legge: “In ogni caso, la particella precative "na" non contenere l'idea di "ora", ma di “implorare”, il nostro "favore". “Il termine
Hosannah (Osanna) "deriva da una aramaicizzazione "di due parole ebraiche: ysha (hiphil) e Nah (si prega o pregare tali fatti).

102) “Baraita” (pron. “Baraita” o “Varaita”) E’ una parola aramaica che designa una tradizione tannaite di testi non inseriti nella
Mishnà (che scritti “canonici” ebraici). La forma aramaica è , e si trova in un vecchio manoscritto in Grünhut, "Sefer ha
Liḳḳutim," II. 20 b, si vocalizza ("Barayta"). La parola significa "all'esterno" della tradizione, ed è probabilmente
un adattamento del termine neo-ebraico "sefarim ha-ḥizonim" (al di fuori libri), che indica il Apocrifi. Il rapporto della Baraita alla
Mishnah è quindi rappresentato come simile a quella del Apocrifi agli scritti biblici canonici.
Un'altra spiegazione del termine "Baraita" è la seguente: la Mishnah, cioè la raccolta di tradizioni tannaite compilate da Judah ha-
Nasi- hanno formato oggetto di insegnamento autorevole (nell’ accademia palestinese e babilonese); mentre le Baraitas sono
state insegnate nelle scuole private. Un punto a favore di questa spiegazione si lega all’ insegnante di una Baraita, "Tanna bara”
cioè “fuori della scuola”; e il suo insegnamento è Baraita.

103) Testimoni di Geova, “ Perspicacia nello studio delle Scritture”, 1988, vol. I, p. 479: “ Chison= valle del torrente”. Corso
d’acqua identificato col Nahr el- Muquatta (Nahal Quishon). All’epoca di Barac e Debora la “valle del Chison” ebbe una parte
importante nella liberazione degli israeliti dall’oppressione cananea.

104) Jastrow, M., “A Dictionary of the Targumim, the Talmud Babli and Yerushalmi, and the Midrashic Literature”. New York:
Judaica Press, 1989, p.1185.

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Sul sito israeliano di Studi Biblici, “Israel and the Bible”, in un articolo dal titolo “Perché li
chiamano i palestinesi?”, Esch Alfred scrive: “ Nelle “storie” di Erodoto leggiamo che i Filistei
una volta abitavano la costa meridionale dell’odierno Israele. Vivevano in una regione di cui parla
l'Antico Testamento:…questa era chiamata Peleshet. Peleshet é un nome ebraico, spesso tradotto
come: “terra dei Filistei, o Filistea Palestina” (vedi ad esempio: Genesi 21:32, Isaia 14:29 e Salmo
60:8) . La parola Peleshet deriva dalla radice Pelesh: '” divisori” o “intrusi”.
Antiche iscrizioni egiziane menzionano i Pelesh come popolo marinaro non semita, proveniente
Creta (= Caphtor, vedi Amos 9:7) , giunto ad invadere l'Egitto. Cacciati da Ramses II (1194 aC), i
Pelesh si stabilirono nella regione costiera posta nel sud di Israele e fondarono cinque città:
Ashkelon, Ashdod, Ekron, Gath e Gaza.
Ancora prima di conquistare Gerusalemme (587 a.C.) Nabucodonosor aveva distrutto tutte e cinque
le città deportandone gli abitanti a Babilonia (cfr. 2 Re 25). Dopo di che nulla è più stato scritto e
non si é più sentito parlare di questi Filistei!”
Dunque, gli antenati degli attuali valdesi potrebbero essere stati gli antichi Filistei scomparsi dalla
storia? Questo non lo sappiamo, ma certamente dovevano essere considerati dai loro vicini, cioè
dagli abitanti delle altre vallate e dalla nostra in particolare, intrusi o invasori, essendo questo il
significato del termine.
Tutto ciò stride un po’ con la convinzione valdese di avere ascendenze ebraiche, ma se
consideriamo che tutti noi eravamo “valdenses” non è escluso che probabili matrimoni tra il gruppo
dei Levi della Valle Po e i Pelesh della Val Pelesh abbiano consentito a questi ultimi di portare
avanti la tesi della radice ebraica. Detto questo dobbiamo però anche considerare, come descritto sul
sito “Old Testament Hebrew Lexicon”, che in ebraico esiste il termine Pele (scritto ‫ אלפ‬e
pronunciato Peh’-Lèh), che pur essendo meno calzante del precedente, é comunque molto simile e
significa “meraviglia”, “stupore”. Resta quindi il dubbio che Pelësh possa anche essere una
deformazione fonetica, prodottasi nei secoli, di Pele, cioè di “meraviglia”.
Pur mantenendo viva questa eventualità resta però il fatto che Pelësh, come gli altri toponimi della
valle qui analizzati, coincide perfettamente con la parola ebraica Pelesh e che questa indica i
Filisteisi. Ecco che allo stato delle attuali conoscenze si è portati a propendere per questa versione.
Quindi, probabilmente in Valle Pellice c’erano degli “intrusi” o dei Filistei, deportati insieme agli
ebrei, prima a Babilonia e a Elam, e poi qui, sulle Alpi.
Questo è un elemento che se approfondito, potrebbe concorrere alla comprensione degli atriti
teologici e politici tra le popolazioni della Valle Po e della Valle Pellice verificatesi nel corso dei
secoli più recenti. Il fatto, ad esempio, che gli abitanti di Prato Guglielmo, benché giunti in Valle Po
da Luserna attorno al XIII secolo, siano sempre stati considerati dei “forestieri” e che noi ci si
consideri “un’altra razza” rispetto a loro, forse potrebbe in questo trovare una spiegazione.

Valle Susa. Della valle Susa colpiscono in particolare due toponimi: Susa e Gad. Susa è il nome
originale (ossia in lingua elamita) della capitale dell’antico Elam, che fu uno dei più antichi regni
del mondo. Susa fu la residenza preferita di Re Dario il Grande (522-486) ed il racconto biblico di
Ester (detto “Libro di Ester”) riferisce la vicenda svoltasi proprio nell’antica Susa al tempo di Re
Assuero.
Per quanto concerne il “Lago di Gad” e la “Frazione di Gad”, sappiamo che Gad in ebraico vuol
dire “soldato” ed è il nome di una delle 10 tribù scomparse.

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I toponimi della valle Pey-sàh-nah

Naìash’kh.
Il fatto poi che in valle Po, ad esempio ci siano toponimi come (pron.) “Naìash’kh” (in italiano
Agliasco) e che in aramaico Najash o Nahas, voglia dire “serpente” è sorprendente (105).
Ed è altrettanto sorprendente constatare che le precedenti analisi linguistiche, ignare della fonetica
locale, hanno reso significati a mio modesto avviso molto discutibili.
Impostare l’analisi del toponimo Agliasco, così come scritto oggi in italiano, dicendo che “Allia”
corrisponde a un nome di persona (106) (peraltro si tratta di un cognome ebreo, attualmente Allio)
e Asco è una desidenza ligure che vuol dire “area” andrebbe bene se non fosse che noi diciamo
“Naìash’kh” che foneticamente parlando non ha nulla a che vedere con Agliasco. Inoltre il termine
Agliasco corrisponde ad una trascrizione molto recente del toponimo (in divese epoche il luogo è
stato scritto Arpeascho, Alliasco ecc).
Anche Erasca, sedime in cui era ubicato il Castello di Paesana (distrutto da francesi) è stato tradotto
senza tener conto che noi pronunciamo Lerasca e non Era-sca. Secondo questi studi (107) la
particella “Era” derivante dal latino e significherebbe “aia”, cioè cortile: un nome un po’ strano per
un castello.
Pertanto, chiarito che “Naìash’kh”, in aramaico vuol dire serpente cerchiamo ora di capire cosa vuol
dire ‘kh’. La particella finale ‘kh (108) significa “domare”, “sottomettere”.
Ecco quindi che il senso del toponimo potrebbe essere “serpente domato-sottomesso”.
Forse a Naiash’kh abitavano medici, guaritori, esorcisti. Sarà un caso, ma è proprio lì che esiste
ancora oggi un un ramo della famiglia Bossa nel quale si tramanda l’arte di curare fratture,
distorsioni, strappi, tendiniti e quant’altro.
Il “Naìash‘kh” è sia un villaggio che un torrente.

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Note:

105) R. G. Morison “ The serpent in Old Testament” in “The american journal of semitic languages and literatur”, Toronto
University, vol. 21, n.2, Toronto 1905 pp. 115-130: “the generic word of serpent is Naiash” (il nome generico del serpente è
Neiash); Eduardo Winfeld, “Enciclopedia judaica Castellana: el pueblo judio en el pasado y el presente; su historia, su religion, sus
constumbres, sus literature, au arte, sus homibres, sus situacion en el mundo, Volume 8, 1951, p. 182: “…del hebreo -Najash-
serpente” (dall’ebraico Najash-serpente); su internet, “Dictionary of the Bible”, vol. 4, p. 602, “ the hazen image of the serpent
worshipped in the reign of Hezekiah, and the occurence of the nome Najash among Canaanite peoples, point te to prevalence of the
serpent cult” (qui apprendiamo che la scultura raffigurante il serpente di bronzo era piuttosto diffusa durante il regno di Ezechia -721
circa al 693 a.C., che che veniva chiamata Najash tra i cananei);

106) G. di Francesco, F. Vindimmio “Paesana- documenti arte e storia ai piedi del Monviso”, vol. 1, 1998, p. 12

107) G. di Francesco, F. Vindimmio “Paesana- documenti arte e storia ai piedi del Monviso”, vol. 1, 1998, p. 12
108) “Dictionary, Encyclopedia and Thesaurus: kaph [kɔ f kɑ f (ebraico)] kaf n(Linguistics / Letters of the
Alphabet (Foreign)) the 11th letter of the Hebrew alphabet (‫ כ‬or, at the end of a word, ‫ )ך‬transliterated as k or, when
final, kh, la lettera 11 dell'alfabeto ebraico (‫ כ‬o, al fine di una parola, ‫ )ך‬traslitterato come k o, se definitivo, kh [Ebraico,
letteralmente: palmo della mano]”; più approfonfitamente :J.A. Benner, “The ancient hebrew Lexicon of the Bible”,
2005, p. 26: “ Kaph: The ancien form of this letter is the open palm of hand. The meanings of this letter are bend and
cure from the shape of the palm as well as to tame or subdue as one who has been bend to another’s will. The modern
hebrew name for this letter is Kaph, a hebrew word meaning « palm » and in the original name for the letter. This letter
is pronunced as « K », as in the word « Kaph », when used as a stop or as a « Kh » (pronunced hard like the german
name Bach), as in the word « yalakh » (to walk) when used as a spirant ». In poche parole : questa lettera dell’alfabeto
ebraico , Kaph, corrisponde al palmo della mano e il suo significato è “domare” (tame), “”sottomettere”( subdue); la
sua pronuncia se posta alla fine della parola è Kh, come “Naiash’kh”, che a questo punto potrebbe significare: il
“serpente sottomesso… domato”.

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Sana
E’ un corso d’acqua che attraversa Naìash’kh ed ha il suo stesso nome finquando giunge a Paesana.
A Paesana il suo toponimo muta e diventa il “Sana”. Sana, come già detto, in ebraico, significa
“Odio”.

Ramai
La frazione detta “le Ramai” (109) forse non vuol dire (come altrove ipotizzato) che anticamente li
si lavorasse il rame, o che derivi da “ramo” (inteso come ramo d’albero).
Potrebbe invece significare truffatori, imbroglioni, traditori . Quindi “le (case) degli imbroglioni”.

Ramà
Anche il termine Ramà (pronunciato ramaah, italianizzato: ramate) che troviamo molto spesso in
valle sembrerebbe essere aramaico.
Infatti in antico aramaico “Ramà”(110) vuol dire “alta”: quindi “località alta” (e in dialetto, a meno
che non ci si trovi in punta al Monviso, si dice sempre “vùn sü à le ramà”, cioè vado su, in alto).

Tur-Nur
Vi è poi una delle cime delle montagne di Paesana che si chiama il “Turnur”. Sappiamo che in
aramaico “Tur”(111) vuol dire “monte” e “nur” (112) vuol dire “fuoco”. Quindi “Tur-nur” potrebbe
essere la “Montagna di fuoco”.

Bërsàhiàh
Anche il nome di un’altra montagna della valle, erroneamente trascritta in uno “spagnoleggiante”
“Bersalha” (leggasi Bersaglia) è stata, forse per questo equivoco fonetico, probabilmente mal
interpretata. Infatti suona stranamente semitico nella sua pronuncia reale: la “Bërsàhiàh”.
Non sono riuscita a trovare un corrispettivo esatto a questo toponimo, ma ciò non mi ha impedito di
sentire un suono analogo ad altre parole semitiche che contengono le particelle “Ber” e “Jah”, quali
ad esempio “Berajah”.
Se consideriamo che in ebraico: “Ber” (113) vuol dire “sorgente”, “creazione”; “sàh” (114) vuol
dire “splendore” e “Jah” (115) vuol dire Dio, ecco che forse “Bër-sàh-iàh”potrebbe significare
“dove sorge lo spendore di Dio”, oppure “sorgente luminosa di Dio”. La “Bërsàiàh” inoltre è cima
che volge verso sud-est, in direzione di Gerusalemme.
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Note: 109) Ramai, aramaico ed ebraico vuol dire “frode”, “inganno”. Su internet: Rabbi Zweig on the Parsha - Pesach,
5770 - Torah.org . “Pesach- Ha Lachma Anya”: “Un ramai è un uomo di fiducia, che possiede l'abilità di ingannare la
vittima facendogli credere che sta guadagnando dalle azioni del ramai stesso. E ' solo più tardi che la vittima si rende
conto che egli è stato vittima. La capacità di perpetrare un tale crimine richiede al ramai di sapere esattamente quello è il
pensiero della vittima” . Questa caratteristica, pur avendo una connotazione negativa, può diventare una qualità,
se utilizzata a fin di bene “…Questa qualità può essere utilizzata in modo positivo. Il più grande degli atti di
bontà è sempre svolto da un individuo che è sensibile alle esigenze del destinatario”. La traduzione di Ramai in
ebraico si concentra sul punto di vista del donatore (positiva), mentre la traduzione in aramaico si concentra
sulle prospettive del destinatario (è perciò negativa poiché significa frodare, manipolare la vittima”.

110) A. Room, « Placenames of the world » op. cit., p. 310 : « Ramah, the Biblical Town on the border of Ephraim, derives its name
from hebrew rama , « heigt », « hill »…(Ramah, città biblica al confine con Efraim, il suo nome deriva dall’ebraico rama, che
significa « altura », « cima »)…There are other places of the name, wich is also spelled Ramath ; Ramaah, and Rama…(Ci sono
altri posti con questo nome che sono pronunciati Ramath, Ramaah e Rama…). La nostra pronuncia è Ramaah.

111) L. Disegni "The Onomastikon of Eusebius and the Madaba Map", in The Madaba Map Centenary, Jerusalem 1999, a. p. 116:
“Tur Garizin – Jabal-al tur…the mounts Ebal and Gerizim, called 'Tur' (transliterated Tour), 'mountain' in Aramaic, ….( i monti
Ebal e Garizim , chiamati ' Tur '( traslitterato Tour) , 'montagna' in aramaico).

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Mum-brak
Un’altra montagna, il “Mum-Brak” (in italiano Mombracco) trova rispondenza nell’aramaico
“brak” (116) che vuol dire “inginocchiarsi” La particella antistante,“mum”, significa“macchia-
difetto- impurità” sia fisica che morale (utilizzata per indicare: ladri, adulteri, assassini, storpi,
deformi…).
Quindi il “Mum-brak”, che funge da barriera verso l’Alta valle Po ed è una specie di porta d’accesso
alla valle medesima, porta un nome simile a un monito: “impuri, inginocchiarsi”.

Khast-El-Hun-Din
Anche il toponimo Castel “Undin”, spesso italianizzato dagli studiosi in “Castello Odino” (divinità
della mitologia nordica), località brulla, in alta montagna, dove non c’è traccia di nessuna
costruzione e tanto meno di un castello, trova connessione con l’aramaico, in quanto “Din” vuol
dire “sentenza-giudizio” (117).
Quindi, stando sempre nell’ambito di queste ipotesi: “Castel Undin” potrebbe essere “Khast-El-hun-
Din” . Ecco quindi che Khast si traduce col termine “verità” (118), El significa “Dio” (119) , Hun
vuol dire “loro” (120), Din è il “giudizio”, la “sentenza”.
Quindi il significato del toponimo Khast-El-hun-Din potrebbe essere di questo tipo: “nella verità
Divina la loro sentenza” , oppure “verità in Dio nel loro giudizio”.

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Note:

112) H. Ringgren “ Theological dictionary of the Old Testament”, vol. 13, 2004, a p.364 ; Nur: fuoco in Aramaico – “Nur” in
Daniele 3:22; “Nel libro di Daniele, in aramaico, si legge che nessun “odore di fuoco”- “reah nur”….”

113) “Ber”in “Strong Hebrw dictionary “…da “Bara” la cui radice è “creare”, “fare”, “sorgere”.

114) E. Lipinski, “Studies in Aramaic inscriptions and onomastic”, vol.2, cap.V, 1994, p.152: “The verbal adjective « sah » of the
root « shh » or “stylih” « to pine away », « to sink », wich is attested in Jewish Aramaic, in Siriac, and Hebrew. The verbal adjective
“sah” appears once in Job 22:29 with the meaning “downcast”, that would also suit our text.” Il «aggettivo verbale sah» del »radice"
shh o "stylih" …..«a scendere», che è attestato in ebraico aramaico, in Siriaco, ed ebraico. L'aggettivo verbale "sah" appare una volta
in Giobbe 22:29, con il significato di "abbattuto", che risponderebbe meglio il nostro testo ";
Jewish Encyclopedia:” He uses by preference such rare…and "sah" ="he spoke" (“Egli usa di preferenza tali espressioni rare come
…. "sah" = "ha parlato"). “Sah” - "Transliterated Hebrew spelling for the word 'respect' [Genesis 4:4]. Otherdefinitions include: to
look at; to regard ». ("Ebraico = rispetto' [Genesi 4:04]. Altre definizioni includono: “vedersi”, “a riguardo”; “guardare”.
G. Sawma, “The Qur’an misinterpreted, mistranslated and mirtea: the aramaic language of the Qur’an: “ ...Syr. "sàh"....means to
glow, clear sky. Aram. "s h h" means "dazzling, glowing, clear (Isaia 18:4,Jer. 4:11, song of Salomon 5:10), (.. Syr..... “Sah” significa
luce, cielo sereno. Aram. "Shh" significa "splendente, luminosa, chiara (Isaia 18:04, Ger. 04:11, il canto di Salomone 5,10).

115) Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, “Perspicacia nello studio delle Scritture”, vol.1, 1988, p. 1230: “Iah, forma
poetica abbreviata di Geova, nome dell’Iddio Altissimo (Esodo 15:1,2)”.

116) Strong’s hebrew Bible dictionary,1289:”Brak, (radice aramaica),“benedire, inginocchiarsi”… Brak (ber-ak-Aramaic)
corresponding:--bless, kneel” (benerire, inginocchiarsi);
Geraldo Holanda Cavalcanti “O Cantico dos Canticos- um ensaio de interpretaçao atraves se suas traduçoes”, 2005 ,a p. 348: “ a
palavra hebraica “mum” admite o sentido de sem imperfeçao fisica e sem macula moral…utilisada para indicar o estado de pureza
ritual dos animais a serem oferecidos como sacrifìcio…sinonimo de perfeita integridade fisica” (La parola ebraica “mum” ammette il
significato di “senza imperfezione” fisica o macchia morale…utilizzata per indicare lo stato di purezza rituale degli animali da offrire
in sacrificio…sininimo di perfetta integrità fisica…);
Su internet: “Biblioteca Biblica Cristà virtual”: “A palavra hebraica para um “defeito” físico ou moral é mum…… Entre aqueles
cuja aparência física é descrita como ‘sem defeito’ encontravam-se Absalão, a moça sulamita e certos filhos de Israel em Babilônia.
(2Sa 14:25; Cân 4:7; Da 1:4) Todos os sob a Lei eram incentivados a se importarem uns com os outros e a se protegerem
mutuamente, para não ficar de algum modo maculados. (La parola ebraica indicante un “difetto” fisico o morale è “mum”…tutti
sotto la Legge ebraica erano incoraggiati a prendersi cura di loro e a proteggersi gli uni dagli altri in modo da non venire corrotti”);
S. Chwarz,“ Uma visao da esterilidade na Biblia hebraica”, 2004, a p. 175 “…portatores de defeitos que os desqualificam para a
pràtica do sacerdòcio….cego, coxo, desfigurado, deformado, que tenha pè o braço fraturado, ou seja corcunda, anao, belida no olho,
ou dartro, ou pragas pourulentas, ou seja eunuco,…ele tem un defeito (mum) e nao deve profanar…” ( portatori di difetti
dequalificanti per il ruolo sacerdotale…ciechi, storpi, sfigurati, deformi, nani,….evirati (eunuchi)…questi hanno difetto “mum”… )

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Hun-Sin
Di fronte a “Khast-El-hun-Din” abbiamo poi la località “Hun-sin”(121). Stabilito che “hun” vuol
dire “loro” sarebbe da capire cosa potrebbe significare Sin. La parola Sin o Shin ha una traduzione
ambigua: può riferirsi sia allo “stinco” che al “peccato”.

Chiri
Sempre in Valle Po esiste poi il cognome Chiri che in aramaico vuol dire “insediamento- città” e
che pare fosse il nome una città elamita; lo stesso termine dà il nome a una frazione detta Miri-Chiri
(122). Ma c’è anche il Miri- Dò e “Miri-Brard-Ebreu”, il cui riferimento, “Ebreu”è molto preciso,
e che probabilmente indica un ramo dei Brard, cioè della famiglia Bernardi.

Batàhi
Anche la località “Batàhi” è una parola ebraica composita: “Bat-ahi”, nella quale Bat vuol dire
“figlia” e “Ahi” è un nome di persona. Quindi, i Batàhi potrebbe significare, nel contesto che
stiamo trattando, la “casa dove abita la figlia di Ahi” (123).

Roé
Passiamo ora alla frazione “Roé”. In ebraico è “Roéh” significa “profeta, visione, profezia” (124),
quindi possiamo pensare che ai Roéh anticamente vi fossero dei veggenti, poiché noi pronunciamo
la parola al plurale “i Roéh” e non “il Roéh” .
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Note:
117) The Jewish Chronicle Online: “Din” significa sentenza”; Jewish Glossary: Beit “Din” (al. Bayt, Bet) - "House of
Judgment [Law] Jewish court employing religious and Talmudic law...Rabbinical court », ossia : « Beit Din (Al. Bayt,
Bet) - "Casa del giudizio [legge]" corte di giustizia ebraica ... tribunale rabbinico”. Ne deduciamo che Din sta per:
giustizia, giudizio, sentenza

118) W.O.E Osterley “Wisdom of Egipt and the Old Testament”, 1998, p. 65 “…in the first line the first “truth” is an
aramaic word (“Kasht”)… » « nella prima riga la prima « verità » è una parola aramaica (“Kasht”)…”

119) Jewish encyclopedia: “La parola El ( ) Appare in assiro (UCI) e fenicio, come pure in ebraico, come un nome
comune di Dio. Si trova anche nei dialetti del Sud-arabo, in aramaico, arabo, etiope e, come anche in ebraico, come un
elemento di nomi propri. E 'utilizzato sia in singolare e plurale, sia per altri dèi e per il Dio di Israele. In nome di Dio,
tuttavia, è utilizzato principalmente nella poesia e il discorso profetico, raramente in prosa, e poi di solito con qualche
epiteto allegata, come "un Dio geloso". Altri esempi del suo uso con qualche attributo o epiteto sono: El 'Elyon ("Dio
altissimo"), El Shaddai ("Dio Onnipotente"), El' Olam ("eterno Dio"), El Hai ("Dio vivente") , El Ro'i ("Dio di vedere"),
El elohe Israele ("Dio, il Dio di Israele"), El gibbor ("Hero Dio"). La derivazione comunemente accettata di questo
nome dalla radice ebraica , "Essere forte", è estremamente dubbia”. E’ possibile trovare molti casi di parole
composite contenenti la radice El; ad esempio in “Isra-el”. A questo proposito su Online Ethimology Dictionary
troviamo: Yisra'el (ebraico) significa "colui che s'ingegna con Dio" (Gen. xxxii.28),

120) su internet: “Risorse per lo studio della Bibbia e linguistica: Imperial aramaic ( c.600-c200 aC)” alla parola “hun”
si legge: “ hun- pronome personale- terza persona plurale maschile”. Ciò significa che vuol dire “loro”.

121) su internet : Balashon - Hebrew Language Detective: shin and sin: The letter ‫ ש‬marks two different sounds: sin
and shin. Hebrew sin corresponds to Aramaic shin … last of the 22 letters of the Hebrew alphabet - shin / sin ( la lettera
‫ ש‬ha due differenti suoni : sin e shin. L’ebraico sin corrisponde all’aramaico shin….ultima delle 22 lettere dell’alfabeto-
stinco /peccato…)

122) Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, “Perspicacia nello studio delle Scritture”, vol.1, 1988, p. 447:
Chir= città….”Chir è associata a Elam, alcuni ritengono che doveva trovarsi più o meno nella stessa zona di Elam, ad
est del Tigri (Isaia 21:2) dove la Media, geograficamente vicina al paese di Elam, è similmente abbinata ad esso”.

72
Biulé. La frazione Beolé, che noi pronunciamo "biulé", forse è una parola ebraica e non un termine
derivato da “betulla”, come finora asserito dai dizionari etimologici. Sul sito “Hebrew-Bible
dictionary” si legge che il termine ebraico Beulah la cui pronuncia è molto simile alla nostra, ovvero
“byū'lə”, significa donna sposata e, nella Bibbia è un nome allegorico di Israele (125). “Beulah.
Heb.,=married, used of a woman, in the Bible, allegorical name for Israel”.Un nome simbolico per
Israele, in riferimento alla restaurazione di Gerusalemme, che non sarà più chiamata "Forsaken" o
"Desolata", ma "Hephzibah" - "La mia delizia è in lei" e "Beulah" - "Married" (Is 62:4).

Lerah-s-kha. Riguardo a questo toponimo, ho moltissimi dubbi, e infatti non sono riuscita a trovare
il verosimile significato completo. Tuttavia leggendo “A Dictionary of the Only Bible” di John
Brown (1807, p. 356) ho rilevato una possibile radice “Leràh”, che in ebraico significa “insegnante”
(chabar-lerah, maestro di comunità; chabar, che è una parola di origine aramaica, vuol dire
comunità).

Arvel. A proposito dell’origine e dell’appartenenza linguistica del toponimo Revello, paesino


situato ai piedi del Mum-Brack (Mombracco). Giovanni Peyron e gli Amici della Storia e dell’Arte
di Revello (126) già alcuni decenni orsono scrivevano che probabilmente Revello è un nome di
origine preistorica successivamente latinizzato in “Revellum”. Sempre secondo Peyron, i romani
latinizzavano i nomi indigeni e a questo proposito, riprendendo gli scritti del Savio (127) ci dice: “
In Revello e nelle sue terre finitime non si ode mai la voce “Revel”, bensì sempre “Arvel”. Ed è
questa certamente la forma verbale adoperata dal popolo sin dai tempi preistorici…”. Fortemente
ancorato a questa convinzione, Peyron aggiunge (128):“ Per lo studio del nome e per la
individuazione delle radici costituenti…il termine, la storia e l’archeologia non ci offrono forme del
nome in periodo preistorico o protostorico, né possiamo servirci del termine per questo luogo in
uso nel tempo romano. L’indagine migliore ci appare essere quella che prende il suo inizio dalla
voce espressa in dialetto, poiché essa può eludere il travestimento fonetico fatto dai romani”.Detto
questo, ed appurato il fatto che non siamo gli unici ad aver individuato nella fonetica dialettale dei
toponimi il significato linguistico verosimilmente autentico, riprendiamo il nostro ragionamento: in
dialetto Revello si pronuncia “Arvel” e sappiamo che in ebraico la “B” si pronuncia anche “V”
(come già visto in Varaita e Vizu); sappiamo anche che “Arbel” è una località del Galaad, vicina
alla Galilea (129). Galaad è più volte menzionata nella Bibbia per essere la zona a est del fiume
Giordano occupata dalle tribù di Ruben e Gad e metà di Manasse ( Bibbia, Nu 32:1,26,29; De 3:12-
16; Gios 13:11; 22:9-15; 2Re 10:33; Sal 60:7; 108:8). Ecco quindi che i riferimenti toponomastici ci
riconducono all’ebraismo confermandosi anche in questo caso.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Note:
123) Testimoni di Geova “ Perspicacia nello studio delle Scritture”, 1988, vol. I, p.79 “ Ahi, da un termine che significa
“fratello”; figlio di Abdiel capofamiglia della tribù di Gad- 1Cr 5:15; uno dei quattro figli di Semer, capo principale
della Tribù di Aser-(1Cr 7:30,31,34).

124) su internet: “The Old Testament Hebrew Lexicon”: Ro’eh= profeta…(uno dei termini per indicare i profeti e i
veggenti è Roéh, termine derivante da una radice che significa “vedere”)
125) “Hebrew-Bible dictionary”: “Beulah. Heb.,=married, used of a woman, in the Bible, allegorical name for Israel”.

126) G. Peyron “Revello”, Revello, 1982 a p.6.

127) G. Peyron “Revello”, Revello, 1982 a p.5

128) G. Peyron “Revello”, Revello, 1982 a p.10

73
129) Testimoni di Geova “perspicacia nello studio delle scritture”, vol I, p 177 : “Arbel” (Bet- Arbel -Casa di Arbel), in epoca
imprecisata la casa di Arbel venne saccheggiata da Salman (Os 10: 14). Questa località di solito viene identificata con Irbid, circa a
29 Kilometri a Sud-Est del Mare di Galilea, quindi in Galaad.

-o----

74
I Toponimi di Paesana con radice accadica e elamita

Finora abbiamo analizzato i toponimi in lingua ebraica e aramaica presenti nella nostra valle.
Vediamo ora quelli che hanno radici accadiche ed elamite, cui si aggiungono quelli greci e in tempi
storicamente recentissimi, quelli turchi e catalani (i francesi li tralasciamo perché sono dati per
scontati ed esulano, al momento, dalla nostra traccia di studio).

Vizu
Veniamo quindi al Monviso. La grande montagna viene chiamata “Vizu”, termine che contiene la
radice “zur” che significa “roccia”(130). Considerando però che la “V” potrebbe corrispondere alla
“B”, come già abbiamo visto con “Varaita” e Baraita”, ecco che “Visu” potrebbe essere “Bizu”, una
parola accadica, pronunciata con fonetica ebraica.
Se così fosse “Vizu” si traduce con “buco, incavo, varco, fenditura” (131). L’accadico era la lingua
parlata dagli assiri in Babilonia nel periodo in cui gli ebrei furono sconfitti è lì condotti in prigionia.
Cosicché durante il periodo babilonese gli ebrei utilizzarono questa lingua contemporaneamente all’
ebraico e all’aramaico (che per dirla in parole povere, erano per loro come per noi l’italiano e il
piemontese).
Con il tempo, quest’ultimo sostituì l’accadico e venne in seguito parlato in tutta la Mesopotamia.
Sappiamo che alcune parole ebraiche hanno una radice accadica (132), questo dato, congiuntamente
al fatto che “Bizu” significa “buco” lascia spazio a qualche riflessione e consente di riprendere le
antiche teorie che indicano l’apertura del “Buco di Viso” (guarda caso lo chiamiamo ancora oggi
“buco”, come in accadico, e non traforo o galleria) ad epoche remote.
Fu l’Eandi nel 1835 (133) che, nell’intento di magnificare i Marchesi di Saluzzo, attribuì a
Ludovico II quest’opera nella quale il marchese intervenne probabilmente solo per un ripristino
(134), poiché è difficile credere, come tuttora viene insegnato, che si sia potuto scavare un traforo
così impegnativo in un solo anno e mezzo: dal giugno 1479 al dicembre 1480.
E`già di per se impensabile ritenere possibile la realizzazione di tale galleria, scavata con “fuoco,
aceto e acqua bollente” in soli 18 mesi, figuriamoci poi quale può essere il nostro pensiero quando,
facendo i calcoli col clima, ci rendiamo conto che i mesi di lavoro effettivo possono essere stati al
massimo sei o sette pur tenendo conto che forse nel Medioevo l’inverno era un po’ più mite. Tutti
noi sappiamo che è impossibile accedere alle Traversette, poste ad una quota di 2882 di altitudine,
nei mesi compresi tra ottobre e giugno.
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130) Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, “Perspicacia nello studio delle Scritture”, vol.1, 1988, p. 1241:
“Zur”= roccia; idem, vol 1, a p. 159: “Bet-zur”= “casa nella roccia”

131) Su internet : Journal of Assyrian academic studies 2010, « Assyrian Language » : Bizu= buco,varco,incavo… Durante i loro
anni di esilio a Babilonia gli ebrei adottato anche la scrittura assira che era comunemente nota come Ketav Ashuri o il testo assiro. La
legge esigeva infatti che un rotolo della Torah essere fosse scritto in lingua assira….”.

132) Sul Sito internet: “Terrasanta. Net” dei frati francescani, Padre Massimo Pazzini scrive: “Per comprendere i
significati di shalom (e della radice shlm) nella Bibbia ebraica occorre fare un passo indietro e rivolgersi alla lingua
accadica….

133) «Statistica della Provincia di Saluzzo» di G. Eandi (1835), p. 54: “...Questa galleria da alcuni scrittori senza fondamento
attribuita al Cartaginese Annibale, da altri al gran Pompeo, e da altri infine ad un Delfino di Vienna, questa galleria, che già si volle
servisse alle scorrerie dei Saraceni, quando invasero le Alpi del Delfinato, venne senza dubbio aperta circa l'anno 1480 sotto la
dominazione del marchese di Saluzzo Ludovico secondo. Lo scopo dell'apertura tendeva a rendere sicuro il passaggio per l'entrata del
sale, drapperie e metalli provenienti di Francia, e per, l'uscita dell'olio di noce, del vino, del riso, della canapa, ed altri prodotti dalle
terre del marchesato di Saluzzo...”

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Il “Buco di Viso”, ovvero la galleria delle “Traversette”, che attraversa il Monviso

Quindi, come considerare attendibile questa affermazione, alla quale dobbiamo aggiungere la storia
dei “sabbatati” (vedi capitolo precedente)? Non dimentichiamoci infatti che secondo gli storici
“ufficiali”, i nostri antenati portavano i sandali di legno ai piedi (sabot). Pensarli al mese di gennaio,
in mezzo ai ghiacciai e alla tormenta, a piedi nudi (perché secondo le suddette teorie i nostri
volevano imitare i francescani), a 3.000 metri di quota, intenti a portare carichi impressionanti di
legna su un dislivello di 2.000 metri (per chi non lo sapesse, dai mille metri in su non ci sono più le
piante) per poter scaldare l’acqua che, con l’aceto, serviva a spaccare la pietra… sembra un quadro
talmente surrealista che si stenta a credere che qualcuno l’abbia sostenuto seriamente.
Ciò nonostante, senza tener minimamente conto di queste evidenze concrete, nel corso
dell’Ottocento furono accantonati gli studi precedenti nei quali l’apertura della galleria del Monviso
veniva riconosciuta come opera antichissima, attribuita oltre che a Re Cozio anche ad Annibale e a
Pompeo, cioè ai cartaginesi e ai romani (135), i quali, forse, a più riprese la restaurarono varie volte
nel corso della storia.

Il Buco di Viso è dunque un traforo verosimilmente molto più antico del Marchesato di Saluzzo

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anche perché si dice che proprio di lì, e non dal più pericoloso valico delle Traversette, sia passato
Desiderio, Re dei Longobardi per venire in esilio a Paesana dopo essere stato imprigionato in
Francia da Carlomagno (136).
Sebbene la vicenda longobarda venga negata della storiografia ufficiale, nonostante l’esistenza dei
documenti che la riportano, il fatto non pregiudica l’antichità della nostra galleria che, chiamandosi
in accadico “Bizu” potrebbe essere stata costruita molto prima di quanto asseriscono tutte queste
teorie messe insieme, ovvero attorno al 500 a. C. dagli schiavi ebrei deportati in Valle Po, e non nel
1400 d. C. dai loro stessi discendenti.

Usthana
Infine. Per quanto concerne il toponimo Usthana (Ostana), troviamo risposte nella lingua Elamita,
che lo traduce in :“avere un bel posto” ma che che significa anche “governatore di Babilonia”
(137).Cosa che, nel primo caso, risponde ad una caratteristica paesaggistica reale del borgo. Ostana
è un magnifico villaggio, che ha un panorama stupendo, soleggiatissimo, con una vista sul Monviso
e sulle Alpi davvero eccezionale.
L’elamitico fu una delle lingue ufficiali dell’impero persiano dal VI al IV secolo a. C., e poiché a
quel tempo l’Impero persiano si estendeva dalla Mesopotamia, Egitto, Palestina , fino alla Libia,
ecco qui torniamo sulla questione dei Libici e degli ebrei deportati a Babilonia e da lì forse in
Piemonte. Il Regno elamitico aveva come capitale Susa (sarà un caso, ma anche nelle nostre Alpi
come già detto, abbiamo Susa che era la capitale del Regno di Re Cozio al quale la nostra valle
apparteneva), città poco distante da Babilonia, luogo principale in cui furono deportati gli israeliti.

La storia ci informa con precisione che parte dei prigionieri ebrei, catturati dagli assiri, da Babilonia
furono condotti a Elam. Come dice J. Kajon, sintetizzando una vastissima letteratura biblica e
rabbinica: “Furono esiliati in Babilonia, esilati in Elam, e la Shekhinah (spirito personificato del
popolo d’Israele) era con loro”(138). Ancora in riferimento alla dispersione del popolo d’Israele,
Elam e la Shekhinà è scritto: “Allo stesso modo in cui Dio e Israele sono andati in esilio, insieme ne
faranno ritorno, quando gli israeliti un giorno ritorneranno dall’esilio, ritornerà anche la Shekhinà
insieme con loro, come è detto: ritornerà il Signore tuo Dio con i tuoi deportati” (139).
Un documento babilonese del 502 a. C. ci dice inoltre che la Tribù di Giuda durante la prigionia
babilonese aveva un funzionario superiore chiamato Ushtani o Ustana e questo spinge a supporre
che i nostri Levi della Valle Po fossero stati qui deportati insieme ad una parte della tribù di Giuda
(140), posta sotto la giurisdizione di Ustana che era il Governatore di Babilonia. Ecco quindi
spiegato quali potrebbero essere le connessioni con la storia del nostro toponimo “Ustana”, luogo
nel quale, come già detto prima, un cognome del luogo e un borgo si chiamano “Chiri”, parola che
corrisponde al nome di una città di elamita.
Ancora ad Ostana, che a quanto pare potrebbe essere la chiave per comprendere i misteri della
nostra valle, compare anche il toponimo “Miri” (141), termine usato nell’Impero Ottomano per
indicare una porzione di terreno, una “proprietà” fondiaria.
Sia i “Miri” che i “Can” sono termini che vanno distinti dai precedenti finora analizzati inquanto
presumibilmente introtti in valle in epoche molto più recenti, probabilmente nel Medioevo.
Che Miri stia ad indicare una proprietà si palesa anche nel confronto con il “Can” usato ad Agliasco
(Najash’kh), parola di origine catalana e qui introdotta dai marrani in fuga dalla Penisola iberica nel
Medioevo, che vuol dire casa, proprietà. Ad Agliasco abbiamo i “Can di Picca” e “Can di Bossa”
che in catalano stanno ad indicare le “Case Picca”, “Case Bossa”. I “Can” di Agliasco,
corrispondono quindi ai “Miri” di Ostana. Questi toponimi ci fanno capire i differenti gruppi di
persone insediatesi in valle in epoche diverse. Nel caso delle famiglie di Naìash’kh (Agliasco), per
quanto Nene Picca (che è un po`la nostra memoria storica) affermi con certezza che la sua famiglia
e quella dei Bossa, oltre che la mia, provenissero dalla Savoia e da Chambery ho qualche dubbio in
proposito. Ovvero, i miei vengono da Chambery, ma i Picca e i Bossa forse sono arrivati da più
parti e attraverso differenti ondate, cosicché un ramo catalano, probabilmente già insediato qui, deve
avere accolto i parenti fuggiti dalla Francia. Poiché appare ovvio che il nucleo principale di queste
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famiglie era catalano o comunque legato a radici catalane, sennò non avrebbero mai chiamato “Can”
le loro proprietà. La regione spagnola della Catalogna subì una delle forme più violente di
antisemitismo del Medioevo. La maggior parte degli ebrei catalani fu cacciata dal paese alla fine del
‘300. I Picca e i Bossa, arrivati qui dalla Savoia e Chambery potrebbero essere stati vittime, in
tempi successivi, di una generale persecuzione degli ebrei in Savoia e in Piemonte avvenuta nel
1490, istigata nel 1466 da Luigi di Nizza o di Provenza, un medico ebreo convertito, a cui il Duca
aveva chiesto di fare un inventario dei libri degli ebrei di Chambéry accusati di stregoneria e di
sacrilegio (142). Ma di queste cose parleremo più avanti.

Note:
134) D. Cerri “O papa, o irreligione,anarchia e morte”, 1859 p. 203… così la costruzione dello stesso antecede d'assai le epoche
assegnate dai più moderni scrittori, che forse illusi da amor patrio , o parziali ragioni, vollero tributarne l'onore a Lodovico II signore
del Saluzzese, il quale probabilissimamente non ne l.i i tranne il restauratore”

135) D. Cerri “O papa, o irreligione,anarchia e morte”, 1859 p. 203: “Questa secolare galleria con molta verisiraiglianza si può
credere che fosse dessa opera dei cartaginesi o romani, meramente di Cozio re delle Alpi cozie ; perocchè antichissimo tradizioni di
alcuni scrittori, e dei paesi Unitimi attribuiscono simile apertura ad Annibale, oppure al gran Pompeo. Essendosi cotesto famoso
generale cartaginese fermato in Italia per diciotto anni, egli provvide con quella sua somma scaltrezza al mantenimento delle sue
milizie per questa via di comunicazione sicura e spedita, di grande costanza, dottissimo egli stesso…”

136) D. Cerri “O papa, o irreligione,anarchia e morte”, 1859 p. 203: “Oltra il tragitto di questa galleria per penetrare in Francia, ve ne
esiste ancora un altro più lungo e pericoloso invero sul colle della Traversette alla sinistra del Monviso, ab immemorabile praticato
tanto dai saluzzesi, quanto dai francesi. Per uno di questi due ebbe a passare Desiderio re dei longobardi, quando dopo una lunga
cattività sofferta in Vienna nel Delfìnato, ottenne il permesso da Carlo Magno suo vincitore di venire e di fissare il suo soggiorno in
Paesana, secondo narra il Moriondo137 ) J. Tavernier “Iranica in the achameneid period (ca.550-330b.C), p. 211: “(H)ustana: “having
a good place” (Ustana = “avere un buon posto”): A.Kuhrt “The persian empire”, p. 735, qui l’a studiosa si pone l’interrogativo sul
fatto che Usthani e Usthana, un personaggio importante, siano due modi per indicare la stessa persona , cioè il Governatore
babilonese al tempo di Dario..; A Goetze - 1944 , Additions to Parker and Dubberstein's Babylonian Chronology: “discovery in
Babylonian tablets of Tat- tenai, called Ushtani, governor of Babylon ......' (La scoperta in tavolette babilonesi di Tat-tenai,
chiamato Ushtani, governatore di Babilonia…); R. P Dougherty “Writing upon Parchment and Papyrus among the
Babylonians” 1928 : “Ushtani was governor of Babylon and the district beyond the river in the 3rd year of Darius..” (Hustani il
Governatore di Babilonia e del distretto oltre il fiume nei tre anni del regno di Dario…); C. Clark Kroeger, M. J. Evans “The IVP
women's Bible commentary , 2002:.. “mentioned in a Babylonian record dated 502 BC Judah as well as all of Syria- ... to a higher
official, Ushtani, over the combined satrapy of Babylon...” (menzionato in un documento babilonese del 502 d. C. la tribù di
Giuda, così come tutti i siriani hanno un un funzionario superiore, Ushtani, sopra la satrapia di Babilonia...)

138) J. Kajon, “La Storia della filosofia ebraica”, 1993, p. 239 : «il furent exilés en Babylonie, exilés en Elam, la Shekhinah
demeura avec eux».

139) B. Moriconi, G. Immarrone, “Antropologia cristiana”, 2001, p. 646.

140) C. Clark Kroeger, M. J. Evans, “The IVP women's Bible commentary , 2002:.. “mentioned in a Babylonian record dated 502
BC Judah as well as all of Syria- ... to a higher official, Ushtani, over the combined satrapy of Babylon...” (menzionato in un
documento babilonese del 502 a. C. la tribù di Giuda, così come tutti i siriani hanno un un funzionario superiore, Ushtani, sopra la
satrapia di Babilonia...)

141) su internet: “Archivio istituzionale università degli Studi, Roma 3”, S. Meridionali “L’eredità Ottomana- Il dominio turco: 1522-
1912” p. 69: nell’Anatolia, cuore della Turchia, non vi furono in nessuna epoca dei grandi proprietari terrieri ed una classe
aristocratica che possedessero intere province, come la Persia e alcune regioni arabe. La terra o era di proprietà dello Stato (Mirì) o
proprietà di fondazioni religiose (Wacf) o privata proprietà del contadino (Mulk)….. lo Stato percepiva diritti e si serviva dei
feudatari delle terre vicine mirì o wakf come esattori” ; Rivista di diritto agrario, Volume 34, s. n. 1955, p. 192: “Le Terre Miri: il
termine Miri fu adoperato per indicare la terra sulla quale fosse stato garantito dallo Stato, ad un persona privata, il diritto di
sfruttarle….norme successorie valide per le terre Miri, la terra di principio torna allo Stato”. Quindi Miri- Chiri potrebbe voler dire
“esattore della città”?

142) Enciclopedia Giudaica: “Solomon ibn Verga racconta di un generale persecuzione degli ebrei in Savoia e in Piemonte nel 1490.
Gerson (l.c. p. 236) pensa, non senza ragione, che questa persecuzione sia stata istigata nel 1466 da Luigi di Nizza o di Provenza, un
medico ebreo convertito, che fu incaricato dal duca Louis di fare un inventario dei libri degli ebrei di Chambéry , che erano stati
accusati di stregoneria e di sacrilegio”.

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Localizzazione dei toponimi semitici in Valle Po

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Quindi, sintetizzando, ecco la toponomastica nostrana di radice
semitica :

Peysana (valle)= Pey-sàh-nah= parola/splendore/si prega= Valle della preghiera


Varaita (valle)= Baraita= esterna (o della ripetizione)= Valle esterna
Chisone(valle)= Chisun=Quishon= torrente= Valle del torrente
Pellice (valle)= Pelësh= Pelesh= intrusi/invasori/filistei= Valle dei Filistei
Naìash’kh= Naiash= serpente, ‘Kh= sottomettere= serpente/ sottomesso
Gad= soldato/ nome di una delle tribù d’Israele scomparse
Sana= odio/ a fianco
Ramai= traditori/manipolatori/imbroglioni
Ramà= alta (località alta)
Bër-sàh-Jàh= sorgente/luminosa/ Dio= sorgente luminosa di Dio
Mum-Brak= impurità- inginocchiarsi
Khast-El-Un-Din= verità/Dio/loro/ sentenza= verità del giudizio di Dio
Hun-Sin= loro peccato
Hustana= bel posto/ governatore di Babilonia
Chiri= città
Bathài= Bat-Ahi= figlia di Ahi
Beulè= Beulàh= Biulè= donna sposata/ Israele
Bet (laghi del Bet, Miniere del Bet, Colle del Bet, grotta del Bet)= casa di
Roè= Roèh= profeta/visione/profezia
Arvel= Arbel (città della Galilea)
Susa= Susa (antica città elamita)
Vizu= Bizu= buco
Chiri = città
Miri= proprietà
Paddan= Mesopotamia
Alpes= pascoli
Lerah-s-(kha)= mestro, capo.
Gad=soldato/ nome di una tribù israelita

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6) I cognomi di “Pey-sàh-nàh” nella genealogia ebraica

Sono moltissimi i cognomi della Valle Po, peraltro considerati piemontesi “doc” che
sorprendentemente appaiono nella genealogia ebraica. Cito solo quelli di Paesana nella loro
trascrizione del XVII secolo, ma potrei fare lo stesso per l’intera valle, dove non mancano ad
esempio i Nasi (principi nell’ebraismo), e trovare le medesime risposte. Si tratta di cognomi
sefarditi e askhenaziti riferiti alle due grandi comunità ebraiche (sinagoghe) esistenti, che così si
distinguono: i sefarditi sono gli ebrei dell'area spagnola e del mediterraneo, invece gli askenaziti
sono quelli della parte centro- orientale dell'Europa, Polonia , Ungheria, Russia ecc.
Questi i cognomi di Paesana (praticamente tutti escluso il mio(?)) che si trovano nella genealogia
ebraica di facile consultazione su internet “Avotaynu: Consolidated Jewish surname index”, di cui
riporto anche i codici di classificazione e i riferimenti d’archivio e bibliografici :

Adrit, (Adret 039.300 PQY). Questo è un cognome sefardita (143). E’ singolare notare che mentre
molti cognomi ebraici risultano oggi modificati nella versione moderna tanto che per i genealogisti
risulta quasi una sfida tentare di ricavare gli equivalenti nella loro forma modernail nostro Adrit è
pressoché invariato. E`ovvio infatti che nel corso di 800 anni i cognomi tendano a modificare per
errata trascrizione o mutata fonetica. Il nostro Adrit cambia pochissimo sostituendo una “i” con la
“e”. Il cognome Adret nel libro sulla “storia degli ebrei d’Aragona” appare tra quelli resi noti
all’inquisizione della denuncia degli ebrei convertiti al cristianesimo, i “conversos”, che
frequentemente collaboravano con gli inquisitori denunciando i loro congiunti.

Aguto, (Agout 053.000 J) é un cognome sefardita (144) rilevato in Borgona tra il 1546 e il 1905.
L’origine di questo cognome, è molto antica e nobiliare. Appartiene ad un casato spagnolo che
risale all’anno 809 nella persona di Fernand Fernandez Agudo, capitano di Re Alfonso II, distintosi
nella Battaglia di Roncisvalle. Lo scudo degli Agudo presenta tre stelle d’oro a sei punte (stella di
David) su campo verde.

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Note:
143)Questo cognome appare nel “Dizionario dei cognomi sefarditi” (II volume), il cui titolo originale è: “Dictionary of
Sephardic Surnames: Second Edition by Guilherme Faiguenboim, Paulo Valadares, Anna Rosa Campagnano (2003)”; è
inserito nelle fonti bibliografiche della Genealogia ebraica “Sourcebook for Jewish Genealogies and Family Histories”
by David Zubatsky and Irwin Berent e nella lista dei Cognomi Sefarditi depositata presso l’Università di Harvard
(consultabile su internet).
Sul sito internet di Genealogia sefardita, “Sephardim. com.”, viene riportato il cognome Adrit nei due volumi, "A
History of the Jews in Christian Spain", di Yitzhak Baer. In un libro sugli ebrei di Aragona, dal titolo "History of the
Jews in Aragon", di Jean Règnè (1978), è tra i nomi sefarditi registrati durante il periodo 1213-1327

144) sul sito: “The Jewish Gen Family Finder (JGFF)”; e sul sito “Sephardic. Com”

81
Alberto, (Alberto 087.930 JKPZ). Cognome sefardita (145). Alberto é il nome di nobile casato,
sorto probabilmente in Francia e diramatosi in Aragona, Isole Baleari, Catalogna e Provenza. Gli
Alberto, che a seconda delle località hanno variato il nome in Albert, Alberti, Albertin e Alberto
hanno generato molti uomini d’arme e i loro blasoni sono sono nove.
Sul sito della genealogia sefardita è scritto che si tratta di un lignaggio di origine francese che ha
sviluppato più rami di discendenza: Albert, Albertí, Albertín y Alberto. La denominazione Albert
sembra essere la più antica ed è considerato originario dalla Provenza, anche se vi sono opinioni
differenti che a questo proposito indicano la nascita degli Albert in Piccardia e nel Roussilon.
Comunque siano le cose, in tempi molto antichi un ramo di questo casato si spostò in Spagna
assumendo le diverse varianti del nome originario Albertí, Albertín y Alberto .
Alberto si trova anche in alcuni studi che documentano le radici giudaiche dei Brasiliani ed è
compreso nell’elenco di circa mille di cognomi sefarditi di immigranti a Brasile.

Allio, (Allia 080000 DJK) (146) è inserito in diverse liste e perciò non ho capito se è askenazita o
sefardita, anche se propenderei per quest’ultimo. inserito nella lista” JewishGen Belarus Database”,
in quella del “The JewishGen Family Finder (JGFF)”, e nell’elenco “Family Tree of the Jewish
People”.

Anselmo (Anselm 064860 JOR). Askhenazita (147). Diffuso in Germania, in Russia e più
recentemente negli Stati Uniti. questo cognome é riportato nel Dizionario dei cognomi degli ebrei-
tedeschi dal titolo « Dictionary of German-Jewish Surnames”.

Aymaro (Aimer 069000 A, Aymer 069000 T). E’ un cognome askhenazita (148), pricipalmente
localizzato in Polonia e molto diffusosi negli Stati Uniti dal 1654. Presenta moltissime varianti.
Alcune di queste sono: Aymar, Aymer, Aimer, Eimer ….

Barnaodo (Barnaut 796300 N). Si tratta di un cognome askhenazita (149) localizzato nella Galicia,
territorio posto tra Polonia e Ucraina, che fu anche la regione più popolata e più settentrionale
dell’Impero austro-ungarico. Perciò da non confondere con la Galizia spagnola.

Note :

145) Dictionary of Sephardic Surnames: Second Edition di Guilherme Faiguenboim, Paulo Valadares, Anna Rosa
Campagnano (2003); sul sito “Les Fleurs de l'Orient, e nella lista “Family Tree of the Jewish People”; sito Sephardic.
Com ; "Raizes Judaicas no Brasil" di Flavio Carvalho (1992) , in “Origem Judaica dos Brasileiros", di Jose Geraldo
Rodrigues de Alckmin Filho (lista su internet).

146)inserito nella lista” JewishGen Belarus Database”, in quella del “The JewishGen Family Finder (JGFF)”, e
nell’elenco “Family Tree of the Jewish People”.

147) Dizionario dei cognomi degli ebrei-tedeschi dal titolo « Dictionary of German-Jewish Surnames” di Lars Menk
(2005); il cognome Anselm è inserito anche nell’elenco “Index to Russian Consular Records (38,533 surnames)”. La
lista comprende 70,000 nominativi legati a scambi commerciali tra la Russia zarista e gli Stati Uniti tra il 1849-1926.

148) Sul sito, “Jewish Records Indexing - Poland”. Dal libro di Malcom H. Stern, « First American Jewish Families”
(1991).

149) I cognome Barnaut appare nello studio di Alexander Beider “Dictionary of Jewish Surnames from Galiciar”
(2004).

82
Barra, (Barra 790000 JKVYZ). Cognome sefardita (150) menzionato dall’inquisizione spagnola.
in "Sangre L'elenco è un risultato di un censimento della Chiesa Cattolica delle comunità ebraiche
di Spagna e indica anche i nominativi dei giudei convertiti al cristianesimo. Questo cognome, nella
variante Barrah è portoghese.

Barrera (Barrera 799000 JPY). È un cognome nobile sefardita (151) radicato in Castiglia ma
anche molto esteso in tutta la Penisola Iberica. Di questo ceppo abbiamo alcune notizie: nel 1536 a
Pedro de la Barrera, conquistatore delle Indie, fu dato titolo nobiliare dall’ Imperatore Carlo I nel
1536; molti Barrera fuggirono in Brasile e altri finirono col rendersi crypto-ebrei (furono vittime di
conversioni forzate).

Barrial (Barral 798000 AKPY). Questo cognome appare nel Dizionario dei cognomi sefarditi
(152) e nella “Lista dei cognomi sefarditi” sul sito internet di Avotaynu.Alcuni rami di questa
famiglia sono documentati in Polonia in epoche piuttosto recenti.

*Battaglio (dialett. Batai) (Batai 730000 D) E’ un cognome askenazita (153) prevalentemente


circoscritto al territorio russo.

Benzo (Benz 764000 AJKX). Questo cognome è quello del grande statista Camillo Benso di
Cavour, il quale, evidentemente, doveva avere ascendenze ebraiche. E’ un cognome ashenazita
(154) ed è registrato in Polonia e Germania. Molti Benz, discendenti dei sopravvissuti
dall’olocausto, vivono oggi negli Stati Uniti e Canada.

Billot, (Bilet,Billett 783000 ABYKNVX). Lo troviamo nella genealogia sefardita (155) ed è anche
presente nell’elenco dei cognomi polacchi.

Bolla, (Bolla, 78000 G). E’ un cognome ebreo-ungherese , perciò askenazita (156).

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Note:

150) Il cognome si trova in "Sangre Judia" di Pere Bonnin, un elenco di 3.500 nomi usati dagli Ebrei o assegnato a Ebrei
dal Sant'Ufficio di Spagna. Si tratta di una lista redatta per censire le comunità ebree di Spagna e indica anche i
nominativi dei giudei e giudeo-conversi al cristianesimo. Il cognome Barra, nella variante Barrah, appare anche in una
lista detta di “Bevis Mark”. Si tratta del “Registro dei circoncisi 1715-1775” di Isaac ed Abraham De Paiba pubblicato
da Bevis Mark (1991),concernente la Comunità ebraica portoghese di Londra.

151) Sul sito internet di Avotaynu “Lista dei cognomi sefarditi”; David Gitliz “La segretezza e l’inganno: la religione
dei crypto-ebrei” (1996).

152) Sul sito internet di Avotaynu “Lista dei cognomi sefarditi”.

153) Sul sito internet di Avotaynu.

154) Sul sito internet di Avotaynu.

155) Sul sito internet di Avotaynu.

156) Sul sito internet di Avotaynu.

83
Boneto (Bonet 76300 ABHKXY), è un cognome sefardita (157) che appare spesso anche nella
variante Boneti: (5)i nomi sefarditi hanno estratto dal libro, "Trovando Nostri Padri", da Dan
Rottenberg.; (22) dal libro, "la Storia degli Ebrei in Aragona", da Regne. Essenzialmente una serie
di decreti reali dalla Casa di Aragona. Contiene dei nomi sefarditi registrati durante il periodo 1213-
1327.; "Sangre Judia" (il "Sangue Ebreo") da Pere Bonnin. Un elenco di 3.500 nomi usati dagli
Ebrei o assegnato a Ebrei dal Sant'Ufficio (il la Santo Oficio) di Spagna in questo stesso elenco il
nome appare anche nella variante “Boneti”.

Bonomo, (Bonomo 766000 JKPUWY). Questo cognome sefardita (158) compare nella lista
dell’inquisizione spagnola e nelle liste di ebrei in fuga verso il Brasile.in "Sangre Judia" (il "Sangue
Ebreo") di Pere Bonnin. Un elenco di 3.500 nomi usati dagli Ebrei o assegnato a Ebrei dal
Sant'Ufficio (il la Santo Oficio) di Spagna. L'elenco è un risultato di un censimento di comunità
Ebree di Spagna dalla Chiesa cattolica e come trovato nelle a tempo di record di ricerca (46)
"Diciionario Sefaradi De Sobrenomes" ("il Dizionario di Cognomi sefarditi") : Questo riferimento
fornisce il migliaio di nomi sefarditi di immigranti a Brasile.

Borgia, (Borgia 795000 Y). Cognome sefardita (159), notissimo ed estremamente nobile. Scritto
Borgia o Borja é originario da un unico ceppo radicato nella città di Borja. Alcuni rami di questa
famiglia hanno dato origine a casati di grande nobiltà, non da ultimo quello di Papa Borgia.

Borrello, (Borello 798000 JK). E’ un cognome sefardita (160).

Bozo, (Bozo 740000 Q). E’ un cognome ebreo ma non sono riuscita a capirne di più. Questo
cognome è inserito nello studio di David Zubatsky and Irwin Berent “Sourcebook for Jewish
Genealogies and Family Histories”, edito nel 2004.

Bozza, (Bozza 46 Shepardim.com). Bozza è un cognome di ebrei sefarditi fuggiti in gran numero in
Brasile durante l’inquisizione spagnola (161).

Bozzy, (è semplicemente il plurale di Bozo o Bozza).

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Note:

157) Dan Rottenberg, “Finding our fathers: jewish genealogy”, 1996 ; "History of the Jews in Aragon", di Jean Règnè
(1978); "Sangre Judia" (il "Sangue Ebreo") di Pere Bonnin, op. cit. .

158) "Sangre Judia” di Pere Bonnin, op. cit.; "Diciionario Sefaradi De Sobrenomes" , op. cit.

159) Sul sito internet di Avotaynu.

160) Sul sito di genealogia ebraica JewishGen Family Finder e sul sito “Online database Family Tree of the Jewish
People”. Inoltre appare nell’elenco “A Large Selection of Sephardic Jewish Surnames”.

161) Bozza è inserito nel "Diciionario Sefaradi De Sobrenomes" che tratta l’argomento della fuga degli ebrei e dei
convertiti verso le Americhe. Il cognome, nella variante “Boza” appare anche nello studio "Raizes Judaicas no Brasil"
(Radici giudaiche in Brasile) di Flavio Rammenda Carvalho, op. cit..

84
Burdigha (Burdyga 7935000 R), pare si tratti un cognome askhenazita (162).

Carasso, (Carasso 594000 JKPUWYZ) è sefardita (163).

Crespo, (Crespo 494700 JKPY) E’ un cognome sefardita (164) nobile di Burgos, Navarra,
Aragona, Rioja, Jaca e Santander. E’ segnalato anche nei Balcani trail 1400 e il 1900 e nella lista
degli ebrei che fuggirono in Brasile durante l’inquisizione.

Dana,(360000Dana ABJKPTWYZe). E`un cognome sefardita (165). Nei secoli scorsi era molto
diffuso a Beirut, Damasco, Libano, nell’Impero Ottomano, Siria, Alessandria d’Egitto. Dana è
presente nel Dizionario dei cognomi sefarditi “Dictionary of Sephardic Surnames: Second Edition
by Guilherme Faiguenboim, Paulo Valadares, Anna Rosa Campagnano.

Danna, (360000 Danna AKP). Più raro del precedente, appare nel dizionario dei cognomi sefarditi
(166). : “Dictionary of Sephardic Surnames” (seconda edizione) di Guilherme Faiguenboim, Paulo
Valadares, Anna Rosa Campagnano

Dao, (Dau 3000000 AK) Questo cognome, parrebbe essere molto diffuso in Polonia nella variante
Thau e Tau. Molto più raro nella versione Dau che è la più vicina alla nostra. Dau parrebbe
circoscritto in Prussia nella provincia di Bydgoszcz. Si tratta quindi di un cognome askenazita
(167).

Do, (Doh 300000 J) Probabile variante di Dao-Dau- Thau. Doh, nella variante nostrana, è un
cognome di probabile origine prussiana localizzato in Alsazia (Francia) e probabilmente da lì giunto
anche in Piemonte. Si tratterebbe quindi di un cognome askenazita (168).

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Note:
162) su internet: é presente nel fascicolo « Index to Russian Consular Records” .

163) Carasso appare in "Sangre Judia" di Pere Bonnin, op. cit.; e nel "Diciionario Sefaradi De Sobrenomes", op.cit.
nella lista degli ebrei fuggiti in Brasile.

164) Crespo appare nel libro: "Gli Ebrei del Balcani- La comunità giudeo-spagnola dal 15esimo al 20esimo secolo"
(Sephardi Jewry: a history of the Judeo-Spanish community, 14th-20th centurie) di Esther Benbassa e Aron Rodrigue,
2000; nel libro "la Segretezza e l'Inganno: La Religione dei Crypto-ebrei", di David Gitlitz (op. cit.) e in "Sangre
Judia" di Pere Bonnin, op. cit.; nel libro"Diciionario “Sefaradi De Sobrenomes", op.cit.

165) Dana è presente nel Dizionario dei cognomi sefarditi “Dictionary of Sephardic Surnames: Second Edition by
Guilherme Faiguenboim, Paulo Valadares, Anna Rosa Campagnano, op. cit..

166) “Dictionary of Sephardic Surnames” (seconda edizione) di Guilherme Faiguenboim, Paulo Valadares, Anna Rosa
Campagnano, op. cit.

167) appare sul sito online “Jewish Records Indexing - Poland” All’interno di questa lista, Dau parrebbe circoscritto in
Prussia nella provincia di Bydgoszcz.

168) Doh, dalla lista sul sito internet: “JewishGen Family Finder”.

85
Durando (Durand 396300 JKPWYZ). E’ un cognome sefardita (169).

Eymaro (Eymer 069000 A). E’ un cognome askenazita (170).

Garcino (Garcin 594600 KP). Sefardita (171), è un cognome molto diffuso (nelle varianti Gershon,
Korkin, Garcon ecc.) anche in Russia, Polonia, Lituania, Germania, Francia. Garcino, anche nella
variante Garsin è presente in Spagna. come rilevato nel “Dictionary of Sephardic Surnames:
Second Edition” di Guilherme Faiguenboim, Paulo Valadares, Anna Rosa Campagnano.

Garneryo (Garnero 596900 Z). Questo cognome parrebbe essere ebreo d’adozione (172) poiché é
registrato un Egitto (Cairo) nel 1944 alla nascita dei figli di un probabile matrimonio misto (Garnero
sposa una donna ebrea?). Scritto in tale modo, Garnero appunto, appare in questo unico caso sulla
lista degli ebrei sefarditi. Sefarditi sono per altro cognomi molto simili e molto frequenti: Charnero,
Carnerio ecc.

Garrino (Garin 596000 BCHJKg). Askhenazita (173), questo cognome si trova nei documenti
delle comunità ebraiche di Polonia, Lituania e Romania.

Gelos (Gelis 584000 ACKLNRUh),è un cognome askenazita (174) registrato in Russia, Polonia e
Lituania. Tra le varie fonti menzionate dal sito genealogico Avotaynu, appare nel dizionario dei
cognomi ebrei nell’Impero Russo dal titolo « Dictionary of Jewish Surnames from the Russian
Empire”(Revised Edition) di Alexander Beider, 1993.

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Note:

169) Lo troviamo nel “Dizionario dei cognomi sefarditi”, dal titolo “Dictionary of Sephardic Surnames”- seconda
edizione- di Guilherme Faiguenboim, Paulo Valadares, Anna Rosa Campagnano op. cit.

170) Lo troviamo in Polonia e si presenta in molte varianti: Eymer, Ejmer, Eimer, Immer, Amer, Emer…Si trova sul
sito: “Jewish Records Indexing - Poland”.

171) “Dictionary of Sephardic Surnames: Second Edition” di Guilherme Faiguenboim, Paulo Valadares, Anna Rosa
Campagnano, op. cit.

172) appare sul sito internet di genealogia ebraica “Les fleurs de l’Orient”.

173) Sul sito internet “Avotaynu”

174) « Dictionary of Jewish Surnames from the Russian Empire”(Revised Edition) di Alexander Beider, 1993

86
Gilly, (Gilly 580000 JVZ). Molto raro, forse è un cognome ebreo d’adozione (conversione o
matrimonio) anche se appare nella genealogia sefardita (175). Lo anche troviamo in
Germania.Gilly è anche un cognome valdese.

Giraudo (Giraud 593000 KZ). E`un cognome sefardita (176) circoscritto alla regione del Limousin
(Francia) in cui appare registrato dal 1600 come riportato dal sito “Les Fleurs de l'Orient” (sito di
genealogia sefardita)

Giuliano, (Julian 186000 AJKQY). Cognome sefardita (177) diffusosi a Venezia, in Polonia, in
Inghilterra.

Gontero (Gonter 563900 CKLn). E’ askenazita (178) e lo troviamo nel “Dizionario dei cognomi
ebrei dell’Impero Russo” così come nell’elenco dei cognomi ebrei della Lituania.

Martino, (Martino 693600 JKVW) . E’ un cognome sefardita (179), che ha dato vita ad un
importante casato nobiliare con diversi rami sia nella Penisola Iberica che in Francia. Dal sito
“Separdim.com” apprendiamo che Martino, ebrei convertitisi al cristianesimo erano considerati
“nuovi cristiani”. Sospettati di cripto-giudaismo finirono in blocco nelle maglie dell’inquisizione.
L’accusa verso di loro non riguardava, come comunemente avveniva, i singoli individui, ma tutta la
famiglia e cosi’intero ceppo dei Martino fu messo “sotto-controllo” dall’inquisizione. Dalle liste
degli ebrei vittime della persecuzione del Sant’Uffizio apprendiamo inoltre che alcuni di loro
ritornarono all’ebraismo, altri si diedero alla fuga alla fine del 1500 recandosi in Argentina e
Inghilterra.

Mattio- Mathio, Matio (Mattio 630000 KV). E’ un cognome antico che presenta molte varianti:
Matthia, Matti, Mathau, Mattie, Mati, Majtei..ecc. ed è inserito nell’elenco sul sito “ Family Tree of
the Jewish People”(180).

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Note:
175) Sul sito internet “Sephardim. com”.

176) Sito internet: “Les Fleurs de l'Orient” (sito di genealogia sefardita)

177) Sul sito “Sephardim.com”. Informazioni su questo cognome si possono rilevare anche nel libro, "la Storia degli
Ebrei in Venezia", di Cecil Roth e nel libro, "I sefarditi d’ Inghilterra", di Albert M. Hyamson.

178) Sul sito “Avotaynu” e nel testo “Dictionary of Jewish Surnames from the Russian Empire: Revised Edition by
Alexander Beider, op. cit.

179) Questi aspetti sono rilevabili nel libro, "Gli Ebrei nel Brasile Coloniale", di Arnold Wizhitzer, nel libro "La
Segretezza e l'Inganno: dal testo la Religione di theCrypto-ebrei", da David Gitlitz, nel libro "Judios Conversos" da
Mario Javier Saban, nel libro "Sangre Judia" da Pere Bonnin (che raccoglie un elenco di 3.500 nomi usati dagli Ebrei o
assegnato a Ebrei dal Sant'Ufficio ed è il risultato di un censimento di comunità ebraiche di Spagna da parte della
Chiesa cattolica), dal “Registro dei circoncisi” di Isaac ed Abraham De Paiba (1715-1775) di Bevis Mark, e dal libro
"Conversos in prova" da Haim Bienart. Quest’ultimo testo è la storia della comunità di ebrei”convertiti” di Ciudad Real
nella metà del 15mo secolo.

180) si trova nell’elenco del sito “ Family Tree of the Jewish People”.

87
Maunero (Mauner 6690000 AW).E’ un cognome askenazita (181) abbastanza raro trovarlo nella
nostra trascrizione, come risulta dal sito di genealogia. E’ molto diffuso in Polonia, soprattutto
nelle varianti Meiner, Maenner, Miener…

Maynero (Mayner 669000 ABC) è lo stesso cognome del precedente solo che è molto più comune.
Si trova in Polonia e Lituania (182).

Mina, (Mina 660000 AHKP). E’ un cognome presente nel Dizionario dei cognomi sefarditi (183).
Nel corso dei secoli si é diffuso in Polonia e Romania.

Mineto (Mineto 663000 B) è riportato nel database di genealogia ebraica della Lituania (184).

Nicolino (Nicolin 658600 J ). Questo cognome appare nelle liste di genealogia ebraica anche nella
variante Nikolin e Nikulin che coincide con la pronuncia piemontese del nostro Nicolino ed è
localizzata in Romania. Ne consegue che i nostri Nicolino dovrebbero essere askenaziti (185).

Olliva (Oliva GJKPTYl, Olivi 087000 JKZp) . Olliva o Oliva è un cognome sefardita (186)
perseguitato dall’inquisizione. Molti componenti di questa famiglia fuggirono in Brasile per sfuggire
al Sant’Uffizio ma poi furono perseguitati anche lì.

Peglione (Peglion 758600 KZ). Forse è un cognome adottivo, ovvero un cognome non ebreo
entrato nella genealogia ebraica per conversione e matrimonio. E’ comunque inserito nella
genealogia sefardita, ma resta da approfondire (187).

(de) Petris, (Petri, 739000 BIJKV). E’ un cognome verosimilmente askhenazita (188), localizzato
in Ucraina, Polonia, Scandinavia e Germania.
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Note:

181) dal sito internet “Jewish Records Indexing - Poland”.

182) Per approfondire la storia di questo cognome, consultare i siti: “Jewish Records Indexing - Poland “; “All-Poland
Database” ; “All Lithuania Database”.

183) nel testo “Dictionary of Sephardic Surnames: Second Edition”di Guilherme Faiguenboim, Paulo Valadares, Anna
Rosa Campagnano, op. cit.

184) sul sito di genalogia ebraica: “All Lithuania Database”.

185) sul sito: “JewishGen Family Finder”.

186) Oliva compare nel testo "Sangre Judia" di Pere Bonnin. Molti componenti di questa famiglia fuggirono in Brasile
per sfuggire al Sant’Uffizio ma poi furono perseguitati anche lì, come dimostrato da "Raizes Judaicas no Brasil" di
Flavio Mendes Carvalho e nel libro " e dal libro “A Origem Judaica dos Brasileiros", di Jose Geraldo Rodrigues de
Alckmin Filho.

187) sul sito “Les Fleurs de l'Orient “

188) E’ rintracciabile sui siti: “All-Poland Database”, “All Scandanavia Database”, “JewishGen Family Finder”,
“Family Tree of the Jewish People”, “Gedenkbuch, Surnames German Jews”.

88
Peyroto, (Perot, 739000 W, Perotti KQZ). E’ principalmente localizzato in Francia (189) e si
presenta con notevoli eccezioni: Perot, Perriot, Perret, Perotin. E`un cognome che si presta infatti a
molte varianti fonetiche e quindi a differenti trascrizioni. Ad esempio sappiamo che il rabbino di
Chambery accusato nel ‘300 di aver avvelenato i pozzi col morbo della peste si chiamava Peyret…

Picha, (Picha 750000 RZ). Il cognome Picha, nelle varianti Piha, Pica, Picca è sefardita (190) e
localizzato in Francia (Borgogna) e in Egitto (Cairo e Alessandria).

Picha- Zoc (Zoch 450000 AKN). E’ un cognome doppio. Come abbiamo visto sopra, Picha é
sefardita mentre Zoch è askhenazita polacco (191).

Putto, (Put, 730000 L). Put è un cognome askenazita (192) russo e lo troviamo nel dizionario
specifico di genealogia ebraica. Quindi, se da un lato Putto potrebbe significare “bambino” in
italiano antico e quindi non avere nulla a che vedere con la genealogia ebraica, resta il fatto che,
inserito nel nostro contesto e considerata la presenza in valle di molti cognomi askhenaziti, potrebbe
essere l’italianizzazione di Put.

Razzetto (Rassett, 943000 A). Rassett è un cognome askenazita (193) polacco.

Reggio, (Reggio 950000 JKP). E’ un cognome sefardita (194).

Roseta (dial. Ruset), (Roset 943000 ABJMNW). E’ un cognome askenazita (195) principalmente
registrato in Polonia, nella Galicia polacca e in Germania.

Sibilia (Jewish family name p. 716, nota 59, Sibilli- Sibili 478000 Y ). Sefardita (196) potrebbe
significare Siviglia, ovvero persona proveniente dalla città di Siviglia oppure, se derivato da Sibili
essere un cognome ebreo aragonese registrato tra il 1213- 1327.
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Note:

189) sul sito “Avotaynu”.

190) sul sito “Sephardim.com”

191) sul sito internet: “Jewish Records Indexing - Poland”.

192) su : « A Dictionary of Jewish Surnames from the Russian Empire: Revised Edition by Alexander Beider ».

193) rintracciabile sul sito “Jewish Records Indexing - Poland”.

194) si trova nel: “Dictionary of Sephardic Surnames: Second Edition by Guilherme Faiguenboim, Paulo Valadares,
Anna Rosa Campagnano”, op. cit.

195) sui siti internet: “Jewish Records Indexing - Poland”, “All-Poland Database”, “Family Tree of the Jewish People”,
“A Dictionary of Jewish Surnames from the Kingdom of Poland”, “A Dictionary of Jewish Surnames from Galicia
(Polonia)”.

196) H. Guggenheimer, E .Guggenheimer, « Jewish family names and their origins: an etymological dictionary », 1992,
p. 716, nota 59 ; il cognome Sibilia è anche rintracciabile nel libro, "la Storia degli Ebrei in Aragona", di Règnè, op. cit.

89
Silvestri, (Silvestre 487439 J). E’ un cognome ebreo-ungherese, quindi askenazita (197), rilevato
dal sito: “JewishGen Family Finder”.

Talliani, (Tallian 386000 Q). Questo cognome é citato nel libro “Sourcebook for Jewish
Genealogies and Family Histories by David Zubatsky and Irwin Berent”. E’ una probabile
contrazione del termine “italiani- italiano” (198).

Oltre a questi nominativi reperibili nel censimento della popolazione di Paesana del 1633 (199) è da
notare che anche quelli dei 132 eretici banditi dal Duca di Savoia nel 1622 (200), salvo alcuni casi
un po’ incerti perché variano forse troppo, quali Mondone (Mondion), Mayrone (Mairan) e Peglione
(Peglion), erano presumibilmente ebrei: Gavino (Gavin), Maria (Maria), Ellia (Ellia), Bertone
(Berton), Bonetto (Bonet), Sibillia (Sibilli o Sibilia).
Di alcuni cognomi sono riuscita a saperne il significato consultando il testo “Jewish family names
and their origins: an etymological dictionary” (201): Benzo, ad esempio, è un diminutivo di
Bertoldo, Billet viene dal nome biblico Bilha (tra l’altro Bilia è un cognome saluzzese) e lo
troviamo in Genesi 29:29, Barra vuol dire “essere pio”, Dana e Danna sono cognomi di antiche
famiglie sefardite (ebrei spagnoli) e derivano da Dan e Daniele e il loro significato è “ professare la
religione”. Carasso è un cognome sefardita, Garin vuol dire sorriso, Bonomo definisce il tipo di
persona quindi un buon uomo, Mina vuol dire vetro, Reggio indica la provenienza da una delle città
italiane (Reggio Calabria, Reggio Emilia), Razet significa “rosa” che è il colore della tribù di
Neftali, Roseta vuol dire “piccola rosa”, Sibilia significa proveniente da Siviglia (202).
Particolare è il cognome Sibilia che è ebreo ma potrebbe avere un’origine araba. E’opinione di P.
Wexler che molti cognomi considerati ebrei sefarditi, di fatto siano il prodotto di una certa
confusione con nomi arabi derivanti dai toponimi. Si tratta di uno studio molto contestato, tuttavia
davvero interessante (203).
Infine: unici cognomi di tutta Paesana risultanti estranei alla genealogia ebraica sono Fenoglio e
Ghigonetto.
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Note:

197) rilevato dal sito: “JewishGen Family Finder”.

198) questo cognome é citato nel libro “Sourcebook for Jewish Genealogies and Family Histories by David Zubatsky
and Irwin Berent”.

199) Archivio Comunale e Vindimmio, di Francesco op.cit. vol 1 p.119-124

200)Vindimmio di Francesco, op.cit. vol 1 p.83

201) Heinrich Walter Guggenheimer, Eva H. Guggenheimer “Jewish family names and their origins: an etymological
dictionary”, 1992, a p. 716:

202) Heinrich Walter Guggenheimer, Eva H. Guggenheimer “Jewish family names and their origins: an etymological
dictionary”, 1992, a p. 716: “ Sibilia ( city in Spain)”;

203) P. Wexler “The non- jewish origin of the sephardic jews”, 1996, p. 132: “…some arabic names derived from
toponyms begin to assume romance forms among iberian jews in the late 14th century, for example Axibil (1321),
Axivil (1352), Ar-Isbilyya “Seville” vs. de Sibilia (1373)… and Sevillano (late 15th century)> Sp Sevilla… ( alcuni
nomi arabi derivati da toponimi cominciano ad assumere forme fantasiose tra gli ebrei iberici alla fine del secolo 14, per
esempio Axibil (1321), Axivil (1352), Ar-Isbilyya “Seville” vs. de Sibilia (1373) e Sevillano (fine del XV secolo) > PS
Sevilla…)

90
* Battaglio è il nome italianizzato di “Batai”. Nel nostro contesto è il toponimo (in dialetto) di una località di Paesana da cui
prende il nome la famiglia Battaglio.

--0---

91
I “valdenses” di Paesana, in fuga da Francia, Catalogna e Portogallo

Abbiamo visto che i cognomi antichi paesanesi, tutti inseriti nella genealogia ebraica sono di
provenienza provenzale, spagnola e tedesca. I Borgia e Sibilia (Siviglia), ad esempio, sono
spagnoli; Maynero e Maunero sono tedeschi …
E`difficile però documentare con esattezza le ragioni che possono aver spinto queste persone ad
insediarsi nella Valle Po. Da alcuni racconti di famiglia, raccolti da Antonio Picca (Nene) sappiamo
che parte dei Picca e Bossa e di Agliasco (Nahias’k), sono arrivati qui dalla Francia. Loro, così
come i Ghigonetto erano in fuga da Chambery.
Nel caso di Picha e Bozza, trattandosi di cognomi ebrei sefarditi (spagnoli) è possibile che
insediatisi in Francia in un periodo imprecisato, siano poi giunti nel Marchesato di Saluzzo a causa
dall’inquisizione.
Perseguitati nel periodo della peste nera del 1348, gli ebrei furono espulsi dalla Francia meridionale
nel 1394 e poi ad ondate successive. Pertanto si presume che queste famiglie siano giunte qui,
approdando ad Agliasco, in una di queste ondate.
Però non tutti i fuggiaschi venivano dallo stesso posto, perché, a proposito dei Crespo, ricordo
perfettamente che quando ero bambina, la signora Rina Crespo (che abitava nei pressi del mulino,
lungo la strada che porta al cimitero), scomparsa molti anni fa, mi raccontava che in tempi molto
antichi i suoi antenati erano arrivati a Paesana scappando dal Portogallo e lei non sapeva perché. Al
che io le dicevo: “a si? Anche i tuoi sono scappati? Pensa che anche i miei sono scappati dalla
Francia!... da Chambery!” Una conversazione, la nostra, su fughe e misteri che ci sembrava
assolutamente attuale e soprattutto del tutto normale.
Per quanto riguarda i Ghigonetto (Guigonetto) i racconti, nella loro nebulosità, sono un po’ più
corposi degli altri ma anche per certi versi, contradditori. Ci dicono che erano tre fratelli fuggiti
dalla Francia, da Chambery.
Dai nostri racconti di famiglia sappiamo che arrivarono a Calcinere “dopo” qualcosa,…”i
Ghigonetto sun pà ‘d sì, sun arivà sì, dopu”…”quand sun arivà iautri ieru già sì” (i Ghigonetto non
sono di qui, sono arrivati qui “dopo”,… quando sono arrivati a Calcinere“gli altri” erano già qui).
Quindi sappiamo che hanno raggiunto qui altri fuggitivi da Chambery, che loro conoscevano bene e
che li avevano preceduti, ma non sappiamo chi fossero. Questo dettaglio è importante perché ci fa
capire che i fuggiaschi si spostavano in gruppi, provenienti anche da molto lontano.
I Ghigonetto del ramo di Agliasco tramandano la notizia della fuga da Chambery, mentre il ramo
dei Ghigonetto di Calcinere pur specificando la medesima provenienza, menzionano una tappa ad
Embrun.
In fuga per oscuri motivi, appaiono nei documenti pesanesi del 1630, anno in cui il cognome,
peraltro piuttosto raro, compare nella lista dei “caporali di ruata” per la guardia al castello (Marcello
Guigonetto), nel censimento della Chisola del 1633 con Gioanni Bartolomeo Guigonetto e Giacomo
e fratelli “de Guigoneti” alla borgata Roseti e Calvinone.
L’esistenza agli inizi del Seicento di più rami genealogici, Calcinere e Chisola, Roseti e Calvinone
lascia intendere che in quell’epoca fossero già insediati in valle da qualche generazione.
Per quanto ne sappiamo Guigonet è un cognome illustre del Contado Venassino. Si tratta del casato
dei baroni di Sanas, Cavallion, Les Taillades, Riez.
Il fatto poi che a Paeseana il cognome sia trascritto nel censimento del 1633 “de Guigoneti” mi
invita a non escludere la possibilità che i nostri provengano proprio da lì, dalla Provenza.

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Un dato curioso, che ho potuto rilevare dopo complicate ricerche, è che alla fine del ‘500, il
barone“Antoni de Guigonet” sposa la marchesa Marguerite “de Sabran” di Avignone, dopodicché di
lui, dei suoi figli e discendenti non si sa più niente.
Totalmente scomparsi dalla storia, il loro blasone e le loro proprietà furono assorbite dal casato “de
Sabran”, per poi finire in eredità a una lontana parente dei “de Sabran” stessi.
Un’altra cosa singolare è che la maggior parte dei documenti concernenti i Ghigonetto di Paesana si
legano ad attività militari: caporali di ruata nel ‘600, capitani, furieri e ufficiali in epoca napoleonica
(Antonio, Michele, Battista ecc.).
Anche la lapide posta in Memoria sulla facciata del Municipio ricorda tre Ghigonetto morti in
battaglia durante le Guerre d’Indipendenza. Tutte queste cose non possono essere casuali. Forse
questi Ghigonetto hanno portato avanti una tradizione militare incorporata da secoli. Tra l’altro: dai
documenti osserviamo che il cognome negli archivi di Paesana è registrato Guigonetto fino al 1800,
dopodiché si tramuta in Ghigonetto.
Fatte queste considerazioni, va sottolineato che “Guigonet”, in epoca medievale, è anche
semplicemente un nome proprio di persona (come Mario, Giacomo ecc.) abbastanza in voga in
Savoia e Provenza. Ecco quindi che l’origine dei Nostri potrebbe essere molto più semplice e meno
altisonante di quanto prima accennato.
Infine, non possiamo escludere ancora un’altra possibilità che si vocifera in famiglia da sempre:
Guigonet potrebbe non essere il loro vero cognome, la qual cosa sarebbe comprensibile se si fosse
trattato di un nominativo facilmente distinguibile ed ultra- ricercato dall’inquisizione.
Un fatto però appare chiaro: i nostri Ghigonetto, non erano né calvinisti né ugonotti, altrimenti si
sarebbero insediati sul versante di Pratoguglielmo e non certo a Calcinere.
Di loro sappiamo che attraversarono le Alpi con un grosso mulo. Questo particolare è significativo
poiché lascia intendere che chi giungeva e si insediava nel Marchesato di Saluzzo non era
completamente povero.
Probabilmente quelli che arrivavano in valle dovevano corrispondere in denaro il diritto di
insediarsi: acquistando il terreno per costruirsi la casa, i boschi e prati per poter lavorare la terra e
sopravvivere (non credo proprio che i Marchesi concedessero tutto questo gratis).
Del resto, il fatto stesso che i Marchesi prima, e i Savoia poi, abbiano espropriato case e terreni alle
famiglie calviniste di Pratoguglielmo, Beolé e Biattonet, vuol dire che quelle stesse case, stalle e
terreni erano di loro proprietà; evidentemente le avevano acquistate, sennò non ci sarebbe stato
l’esproprio e successivamente la richiesta di un riscatto in denaro per riprenderne possesso.
Quindi, il mulo in questione sarà servito per il viaggio (trasporto degli effetti personali, coperte e
vivande e tutto il necessario per affrontare le intemperie e i bivacchi sulle Alpi) ma avrà anche
rappresentato un valore in se stesso, poiché facilmente barattabile o sostituibile in denaro.
A questo proposito Domenica Alberto (Meca) di Calcinere (classe 1919), la cui nonna materna era
Ghigonetto, mi diceva che stando ai suoi racconti di famiglia, i Ghigonetto erano passati da Embrun.
Si tramandava infatti che appena giunti a Calcinere, come prima cosa si fossero avvicinati alla
fontana pubblica per far bere il mulo, che proprio non voleva saperne. Cosicché, dopo un certo “tira
e molla” con l’animale, che tra l’altro era anche molto forte e di grandi dimensioni, uno dei tre
fratelli avrebbe esclamato “ma… at pias pà la funtana?…(non ti piace la fontana?) si sa i muli sono
abitudinari), aggiungendo preoccupato: v’s pas turnè à beivi à Embrun?” (non vuoi mica tornare a
bere ad Embrun?). Si, perché a quanto pare l’animale non solo si era bloccato ma si era poi voltato
per incamminarsi con fermezza sulla via del ritorno….
E così continuò a fare, quotidianamente, per tutti gli anni a seguire. Era un mulo nostalgico!
Ora, come conciliare la versione che vede i Ghigonetto giunti da Chambery e quella che li dice
arrivati da Embrun? Quello che non si capisce è come mai da Chambery questi miei antenati siano
scesi a Embrun per poi tornare indietro e risalire in Piemonte. Sarebbe stato infatti molto più
semplice venire direttamente da Chambery anziché fare tutto quel giro.

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Ma chissà come andarono le cose: forse in fuga da Chambery in una delle ondate repressive
verificatesi tra la metà del ‘300 e la fine del ‘400, si sarebbero recati inizialmente verso il Contado
Venassino, per poi fuggire nuovamente ed arrivare qui.
Questa é una possibilità che va tenuta in considerazione, visto che gli stessi storici dell’ebraismo
ipotizzano percorsi “a tappe”, non necessariamente lineari, quale caratteristica degli spostamenti
che facevano gli ebrei europei scappando qua e là nei secoli dell’inquisizione.
Pare infatti che gli ebrei piemontesi si siano mossi raggiungendo a più tappe gli amici o i parenti
insediati in altre località della Francia, apparentemente più tranquille, per poi muoversi non appena
si scatenava una nuova ondata repressiva.
Ma non solo. L’esodo ebraico dalla Francia verso il Piemonte è stato delineato come un fenomeno
di grande entità, addirittura un vero e proprio “spostamento in massa” (204).
In sintesi stando ai racconti di famiglia: una parte dei Bozza e dei Picha sarebbero giunti qui da
Chambery e da altri imprecisati villaggi della Savoia, i Crespo dal Portogallo, i Guigonetto da
Chambery passando però per Embrun.
Volendo avanzare alcune ipotesi sulle ragioni di tutte queste fughe: sappiamo che Chambery e in
Savoia furono gli ebrei a dover fuggire nel 1348 a causa della peste. Possiamo quindi ipotizzare che
i Picca i Bossa di Agliasco siano giunti in valle nel 1348 quando gli ebrei, accusati di aver
avvelenato i pozzi col terribile morbo per uccidere i cristiani, furono perseguitati in tutta la Savoia e
massacrati proprio a Chambery (205).

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Note :

204) M. Luzzati in “L’espulsion des juif de provence et de l’Europe mediterranéenne (XV-XVI siécle), 2005 : a p. 136 :
les juifs provenent de France installés dans le Piémont…mettent en évidence l’entité d’une immigration caractérisée par
un déplacement presque « en masse » d’une population juive dans une aire proche « …

205) A. Foa “gli ebrei in europa”: “E nel luglio del 1348, nel Delfinato, che gli ebrei furono accusati per la prima volta
di aver avvelenato i pozzi e le fontane per spargere la peste tra i cristiani. Dal Delfinato, l’accusa si sparse rapidamente
in Savoia, dove il conte d’Aosta Amedeo VI ordinò un’inchiesta, in seguito all’insistente voce pubblica di
avvelenamento: dodici ebrei furono arrestati e posti alla tortura. Molti confessarono. Così, a Chàtel, sul lago di Ginevra,
il mercante di seta ebreo Agimet ammise di aver sparso polveri velenose su incarico di un rabbino di Chambéry, in
pozzi e cisterne di Venezia, Calabria, Puglia e Tolosa, nel corso dei suoi viaggi d’affari” ; 1)Gerson, "Notes sur les Juifs
des États de la Savoie ", in" Rev. Et. Juives, "VIII. P. 235; confrontare Loeb," Un episodio de l'Histoire des Juifs de
Savoie ", in" Rev. Et. Juives, "Capitale del dipartimento della Savoia, in Francia”: “Quando gli ebrei furono cacciati
dalla Francia da Filippo Augusto nel 1182, molti di loro si rifugiarono a Chambéry e nella campagna circostante, in
particolare a Yenne, Seissel, Aiguebelle, e Saint-Genis..”; Costa de Beauregard, lc; "Gesch. Der Juden", VII. P. 362: “In
1348, at the time of the Black Death, the Jews of Chambéry were accused of having poisoned the wells at the incitation
of Rabbi Peyret and Aboget, a rich Jew”. (“Nel 1348, al tempo della peste nera, gli ebrei di Chambéry furono
accusati di aver avvelenato i pozzi su incitazione di Rabbi Peyret e Aboget, un ricco Ebreo. Molti di loro furono
massacrati a Chambéry, Montmélian, Chillon, Chatel, Yenne, etc.); in "Mémoires de la Société Savois. d'Histoire
et d'Archéologie ", xv,. 21, citato da Gerson in" Rev. Et. Juives, "VIII p. 239”: “ In 1417 two converted Jewish
physicians, Guillaume Saffon and Master Pierre of Macon, were commissioned to examine the books of the Jews at
Chambéry in order to find therein the alleged blasphemies against the Christian religion with which they had been
charged ("Mémoires de la Société Savois. d'Histoire et d'Archéologie," xv. 21, cited by Gerson in "Rev. Et. Juives," viii.
239). (“Nel 1417 due medici ebrei convertiti, Guillaume Saffon e Maestro Pierre di Macon, furono incaricati di
esaminare i libri degli ebrei di Chambéry per trovarvi le presunte bestemmie contro la religione cristiana delle
quali erano accusati “); “In At the request of the archbishop of Lyons, Marie de Berry, duchess of Bourbon, who
governed the city of Trévoux in the absence of her husband, Jean de Bourbon, had the Jewish books examined in 1430”.
(“Su richiesta dell'arcivescovo di Lione, Marie de Berry, duchessa di Borbone, che governarono la città di
Trévoux in assenza del marito, Jean de Bourbon, aveva esaminato i libri ebraici nel 1430)…. “The physician Ayme
(Amadeus), a converted Jew of Chambéry, was commissioned to examine works written in Hebrew, and to translate the
passages that were to be condemned ("Rev. Et. Juives," x. 34)”. (“Il medico Ayme (Amadeus), un Ebreo convertito di
Chambéry, fu incaricato di esaminare le opere scritte in ebraico, e di tradurre i passaggi che dovevano essere
condannati”); ibidem p. 239: “ He also conducted an inquiry against the Jews of Savoy, whose books he ordered to be
burned”. (“Ha inoltre condotto un'inchiesta contro gli ebrei di Savoia, ha ordinato quali libri dovevano essere
bruciati”)…”.Solomon ibn Verga ("Shebeṭ Yehudah") tells of a general persecution of the Jews in Savoy and Piedmont
in 1490” . (“Solomon ibn Verga ("Shebeṭ Yehudah”) racconta di una generale persecuzione degli ebrei in

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Anzi, per essere più precisi, i documenti storici ci dicono proprio che il 10 agosto 1348 gli ebrei di
Chambery furono sterminati.
Tuttavia considerando che a Paesana i cognomi Picca e Bossa sono diffusissimi e rilevato che ad
Agliasco abbiamo i “Can di Picca” e Can di Bossa” che in catalano significa “Casa dei Picca” e
Casa dei Bossa”, ritengo possibile che il ramo principale di queste famiglie provenisse dalla
Catalogna e non dalla Savoia.
Sappiamo infatti che le persecuzioni di ebrei e marrani si fecero sentire moltissimo anche in
Catalogna.
A Barcellona, insieme ad altre città quali Siviglia e Valencia, durante il 1391 gli ebrei, o più
probabilmente i cristiani di origine ebraica furono sterminati e tutte le loro case saccheggiate..
La comunità ebraica di Barcellona cessò di esistere nel 1393 (206) e ciò avvenne nonostante che re
Giovanni II d’Aragona si fosse impegnato a fondare una nuova comunità ebraica nel 1392.
Gli ebrei non tornarono più in quella città e fecero bene, visto che le cose peggiorarono sempre di
più.
Infatti, qualche decennio dopo, nel 1424 Alfonso V d’Aragona emanò provvedimenti molto rigidi e
tra questi quello che stabilì che gli ebrei potevano risiedere in città solo per periodi massimi di
quindici giorni..
Per quanto riguarda i Crespo è probabile che siano giunti a Paesana in occasione dell’espulsione
degli ebrei nel 1497 dal Portogallo (207).
Sul versante portoghese, che a noi interessa per capire perché i Crespo siano fuggiti per arrivare qui,
la spiegazione ci viene offerta da Cecil Roth (208), nel suo citato libro sulla Storia dei Marrani. Lo
storico, alle pagine 162 e 163, afferma che i marrani fuggivano dal Portogallo cercando di
raggiungere paesi estranei al cattolicesimo. La meta preferita era la Turchia, ma anche le coste più
vicine dell’Africa. La loro fuga fu però molto difficile a causa di due editti, nel 1499 e nel 1521, che
proibivano a tutti i nuovi cristiani di lasciare la nazione. Cosicché, per non far capire la loro volontà
di fuga i marrani usavano pretesti commerciali per recarsi nelle Fiandre o in altre nazioni cattoliche,
e da lì attraversavano le Alpi e l’Italia per raggiungere i Paesi mussulmani. Per cui oggi noi ci
domandiamo, non senza qualche polemica, quale fosse il ragionamento dei portoghesi, visto che
avevano in odio i neo-convertiti e nel contempo non li lasciavano uscire dal loro territorio: avevano
forse in progetto di sterminarli tutti?
Al di là di queste domande, è significativo apprendere che per fuggire passavano dalle Alpi
(209)…ecco perché i Crespo sono qui.
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Note:

Savoia e in Piemonte nel 1490”). Gerson (op. cit. 236): “… thinks, not without reason, that this was the persecution
instigated in 1466 by Louis of Nice or Provence, a converted Jewish physician, commissioned by his god-father, Duke
Louis, to make an inventory of the books of the Jews of Chambéry, who had been accused of witchcraft and sacrilege”.
...(“pensa, non senza ragione, che questa era la persecuzione istigata nel 1466 da Luigi di Nizza e di Provenza, (in
quell’occasione) un medico ebreo convertito, su incarico del duca Luigi, fece un inventario dei libri degli ebrei di
Chambéry, accusati di stregoneria e di sacrilegio”…) “This accusation was later acknowledged to be false (Costa de
Beauregard, lc p. 106; compare "Rev. Et. Juives," viii. 239). (“Questa accusa fu in seguito dichiarata falsa”)…. “In 1430
the Jews were confined to a special quarter assigned to them by Amadeus VII.”… (“Nel 1430
gli ebrei furono confinati in un quartiere speciale- ghetto- assegnato loro da Amedeo VII”). …“The count of Savoy
compelled them to wear, like the Jews of France, a wheel, half red and half white, upon the left shoulder ("Rev. Et.
Juives," x. 33)….. (“Il conte di Savoia costrinse ad indossare, come gli ebrei di Francia, una ruota, metà rosso e bianco e
mezzo, sulla spalla sinistra “)…”They were finally forced to leave Chambéry in consequence of the general banishment
of the Jews from Spain in 1492”. (“Loro,- gli ebrei- sono stati infine costretti a lasciare Chambéry in conseguenza
della messa al bando generale degli ebrei dalla Spagna nel 1492”).

206) M. Kayserlyng, in <<rev. Etudes Juives>>, 1894, XXVIII, 114

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Ma perché i fuggiaschi si rifugiavano nell’Alta Valle Po?
Come abbiamo visto i cognomi di Paesana, esclusi i Ghigonetto, appartengono alla genealogia
ebraica. Sappiamo che alcuni di loro erano in fuga da Chambery e altri dal Portogallo. Ma allora
perché si sono fermati qui sulle montagne e non hanno raggiunto i Segre, i Levi, i Lattes, anch’essi
fuggiti dalla Francia, e insediatisi a Savigliano o a Saluzzo?
Le risposte potrebbe essere due:
1)erano giudeo-cristiani. Erano ebrei che avevano abbracciato il cristianesimo a “modo loro”:
continuavano a osservare i Precetti, si istruivano nella Yeshivà, applicavano la Legge, discutevano
talmudicamente pur considerando il messaggio e l’insegnamento di Cristo; che oltretutto
probabilmente percepivano come una sintesi del pensiero della “Scuola di Hillel”, ovvero di una
scuola rabbinica precedente a Cristo in sintonia con gli insegnamenti cristiani.
Questa scelta di accogliere il messaggio cristiano però li metteva sicuramente in una condizione di
“non ritorno” presso le comunità d’origine. Nello stesso tempo si manifestava l’ incompatibilità con
l’ambiente cristiano proprio per una profonda divergenza culturale, anche semplicemente nei
comportamenti del vivere quotidiano.
2)erano ebrei ma non avevano sufficienti mezzi economici per potersi dichiarare pubblicamente,
tutelandosi con consistenti risorse di natura economica.
Forse non avevano abbastanza denaro per potersi “comprare” l’immunità. Gli ebrei saluzzesi,
infatti, erano ricchissimi banchieri e col loro potere economico potevano mettersi in luce, uscendo
quindi allo scoperto, garantendosi però nel contempo l’immunità (210).
I nostri, invece, pur dotati del necessario per potersi insediare sul territorio (acquistando casa,
boschi e terreni, pascoli e animali per lavorare e sopravvivere) forse non potevano far leva su una
posizione di forza come la loro loro.

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Note:

207) Cecil Roth, Storia dei Marrani”, 2003, a p 162

208) Cecil Roth, Storia dei Marrani”, 2003, a p 162-163

209) Cecil Roth, Storia dei Marrani”, 2003, a p 163: “I marrani ottenevano il permesso di lasciare il Paese per una meta
diametralmente opposta,…in genere le Fiandre,…da li ripartivano attraversando le Alpi…a volte attraversavano
anche l’Italia”…

210) Cecil Roth “Storia dei marrani”, 2003, a p. 168: “ Gli ebrei possedevano una sola arma con la quale rivalersi di
questa selvaggia esplosione d’odio: quella economica”.

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Spogliati del denaro e delle risorse economiche
La tattica di spogliare di ogni avere le comunità ebraiche, da parte dell’aristocrazia, per raccimolare
denaro e proprietà era una pratica ampiamente sperimentata e piuttosto diffusa in quell’epoca. A tal
proposito sappiamo che dopo lo sterminio di 62 intere famiglie di Chambery accusate nel 1348 di
aver sparso il morbo della peste nera, nel 1466 il Duca di Savoia ordinò un’inchiesta contro tutta la
comunità ebraica di Chambery che venne accusata di: omicidi rituali di bambini cristiani in
occasione della Pasqua (dicevano che li uccidevano crocifiggendoli per berne il sangue),
stregoneria, di provocare aborti alle donne cristiane, di insultare le autorità. Tutti gli ebrei di
Chambery furono imprigionati, condannati al rogo e privati dei loro beni poiché questi servivano al
Duca di Savoia per onorare un debito contratto col Conte di Bresse (211).
Dal canto loro, gli ebrei, comprese le vere ragioni di quell’attacco e capita l’avidità del Duca
riuscirono in molti a riscattare la libertà pagando, oltre all’esproprio, un’ammenda grandissima in
denaro per avere salva la vita. I documenti riferiscono con precisione che i sopravvissuti lasciarono
la Savoia cercando rifugio in Piemonte (212).

I sottogruppi tra la popolazione della valle

Ecco dunque la spiegazione sul perché gli ebrei di Chambery finirono in Valle Po e non a Saluzzo:
non avevano più niente, erano stati spogliati di ogni ricchezza. Erano fragili e facilmente
vulnerabili. Ne consegue che la mancanza consistente di mezzi per potersi esporre deve aver
determinato senza dubbio la necessità di nascondersi. E così, mentre gli ebrei di Saluzzo si
difendevano probabilmente a “suon di mazzette”, i nostri, quando non potevavano far diversamente,
si difendevano gioco-forza a “suon di mazzate” restando nell’anonimato e nell’ombra.
I nostri antenati infatti, riparati in valle Po hanno potuto difendersi raggruppandosi nei vari borghi
secondo delle logiche di gruppo che noi oggi non sappiamo spiegare, poiché va sottolineato che pur
essendosi tutti compattati in un unico fronte difensivo i nostri marrani si distinguevano (e si
distinguono tuttora) in sotto-gruppi specifici con caratteristiche differenti.

Oncino (Un-sin):
quelli di Oncino (Un-sin) sono considerati bella gente, fisicamente prestanti ma allo stesso tempo
scaltri, furbi, affaristi. Per questi motivi, considerati molto negativi, sono trattati con diffidenza
circospezione dal resto della valle;

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Note:

211) AA.VV. “Mémoires de Académie des sciences, belles lettres et art de Savoie”, 1854, p. 105.

212) (J.L. Chabot, S. Gal, C. Tournu “Figures de la médiation et lien social”, 2006, p. 78.

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Crissolo (Crisol): quelli di Crissolo, a nostro giudizio (ma si badi bene che loro di noi dicono lo
stesso) non sono né belli né brutti e sono in competizione con noi di Paesana per il primato sulla
valle. Perciò ci si percepisce vicendevolmente con affetto e un po’ diffidenza. Noi diciamo che sono
egoisti e pensano principalmente a loro stessi; loro dicono che stando bene loro (economicamente)
per logica stiamo bene anche noi….Cosicché, su questa premessa, ci si sabota vicendevolmente in
ogni iniziativa economica, ingaggiando poi polemiche e lamentele mai più finite.

Calcinere (Causinere “calce nera”/ “calcinai” ?):


gli abitanti di Calcinere hanno grande forza fisica e di carattere, sono rigorosi, guerrieri, decisi,
coraggiosi, tutti d’un pezzo, leali e onesti. Non è gente da far “volare la mosca al naso”.

Ostana (Hustana):
quelli di Ostana (Ustana) sono belli, forti, onesti e buoni. Sono molto rispettati e tendenzialmente
poco propensi alle polemiche. Se ne stanno fuori dalla mischia, forse anche perché si trovano a metà
strada tra Paesana e Crissolo.

Agliasco (Naiash’kh):
sono considerati i più belli di tutta la valle: alti, forti, sani, raffinati. La loro caratteristica principale
è l’intelligenza: sono considerati intelligentissimi e per questo molto stimati da tutta la valle.

In futuro sarà necessario approfondire le conoscenze e le ragioni di queste differenti caratteristiche


per comprendere meglio la provenienza delle famiglie e gli specifici legami.
Non da ultimo bisognerebbe anche rianalizzare il fenomeno rilevato dagli studiosi Iancu-Agou e
Perani circa l’assenza di marrani in Provenza (213). Sappiamo che ovunque in Europa i cristiani di
origine ebraica sono stati perseguitati, inquisiti, mandati al rogo perché giudicati marrani , cioè
cristiani “giudaizzanti”. Stranamente questo fenomeno non si registra in Provenza. Una tale
anomalia che certamente può avere molte spiegazioni, lascia però spazio all’ipotesi che i marrani
provenzali siano finiti tutti qui, su per le Alpi. Ecco perché in Provenza non c’è traccia di cripto-
giudaismo.
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Note :

213) D. Iancu-Agou, « Les Juifs exilés de Provence (1486-1525), in “L’espulsion des juif de provence et de l’Europe
mediterranéenne (XV-XVI siécle), 2005, p. 119-134 : « …semble qu’il n’y ait pas eu en Provençe au debut di XVI
siécle de réelle propension au crypto-judaisma… » (sembra che non ci sia stata in Provenza agli inizi del XVI secolo
una reale propensione al crypto giudaismo); M. Perani « Jufs provençaux en Sardaigne » , in “L’espulsion des juif de
provence et de l’Europe mediterranéenne (XV-XVI siécle), 2005 ; a p. 83 : « il n’y a jamais eu de marranisme
provençal.. » (non c’è mai stato il marranesimo in Provenza”..

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8) I canti in ebraico nelle Alpi Cozie e Marittime

Un altro dato, assolutamente sorprendente, riguarda la constatazione dell’utilizzo della lingua


ebraica in un canto popolare medievale delle nostre valli e di quelle poste sul versante francese. Tra
l’altro è singolare notare che tale canto fa parte anche del patrimonio tradizionale dei Valdesi di
Guardia Piemontese (Calabria), cioè di quei valdesi che per fuggire dall’inquisizione ripararono al
sud nei secoli scorsi. Si tratta de “L’ase d’Alegre” una canzone che prende in giro un “asino
allegro”. Il testo ci dice che “L’asino allegro” lascia la vita per il convento, dando in eredità gli
occhi a chi già ci vedeva benissimo, le orecchie a chi già ci sentiva benissimo, le sue ossa ai cani, la
coda ai cuochi per scacciare le “moishas” dai fornelli. Ora, stabilito che quel “moishas” suona già di
per sé un po’ strano, vediamo cosa dice il ritornello comunemente ritenuto una specie di “trullallà”
poetico e senza senso. Sebbene possa per qualche istante balenare l’idea che il gioco di parole del
ritornello ruoti attorno alla parola “levra” , cioé “lepre”, il rapporto non regge poiché “levrin” non
esiste in piemontese, il diminutivo di levra è “levrot”(piccola lepre) e il “levran” non c`è, è una
parola che non significa niente L’equivoco interpretativo tra la parola lepre e il vero significato del
ritornello appartiene probabilmente alla logica del marrano e dei messaggi criptati tipici di chi si
nasconde e dialoga solo con i propri simili.
Qui di seguito il testo della canzone come viene comunemente trascritto avendone perso il
significato:

L’ase d’alegre
L'ase d'Alegre fai testament
Laissa la vida per lo convent
E levrin e levron ton-ton
E levran dalión e levrin e levron
Laissa las chambas ai pauri sòps
Quora corrián, corrián au galòp
E levrin e levron ton-ton
E levran dalión e levrin e levron
Laissa ‘s'aurelhas ai pauri chòrnhs
Quora auvián, auvián da luenh
E levrin e levron ton-ton
E levran dalión e levrin e levron
Laissa l'uelhes ai pauri bòrnhs
Quora veián, veián da luenh
E levrin e levron ton-ton
E levran dalión e levrin e levron
Laissa l'òsses ai pauri chans
Quora mordián fasián an! an!
E levrin e levron ton-ton
E levran dalión e levrin e levron
Laissa la coa ai cusiniers
Parar las moishas dai potagiers
E levrin e levron ton-ton
E levran dalión e levrin e levron

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Prendendo ora in analisi il ritornello, subito osserviamo che la scansione è sbagliata o per meglio
dire il testo è stato trascritto sbagliando la scansione della parlata: lo rileviamo innanzi tutto
attraverso quel “daliòn” che è incontestabilmente “da Lion”, cioè “da Lione” che corrisponde alla
roccaforte Valdese. Da notare inoltre, che sebbene ciò non pregiudichi affatto la traduzione, nella
versione cantata a Borgo San Dalmazzo si dice “levrà daliòn” e non “levran da Liòn”.
Ecco comunque cosa salta fuori se prendiamo in mano un dizionario di lingua ebraica.
In ebraico il nostro ritornello si scrive:
E l’evrin e l’hevron (ton-ton)
E l’hevra da Lión e l’ evrin e l’hevron

Che tradotto significherebbe:

E gli ebrei e gli alleati (ton-ton)


E il gruppo di Lione e gli ebrei e gli alleati

Per comprendere il significato di “Evri” è sufficiente accedere a un qualsiasi sito internet per
leggere il suo significato: “ Evri= the Hebrew Nation of the Torah”, ossia “il popolo ebraico”.
Per quanto riguarda Hevron , apprendiamo che è la pronuncia ebraica di Hebron il cui significato è
il seguente: “Hebron (Habar 598) significa essere uniti, unita, alleata. I derivati sono:
(Heber 598a), azienda, associazione; (Haber 598c), socio, compagno; (Hoberet 598e),
un comune (una connessione, come ad esempio utilizzato nella 26:10 Ex tabernacolo);
(Habbar 598f), associato, partner; (Mehabbera 598k), legante, morsetto.
Lo stresso dicasi per “Hevra” o “Chevra”, la cui traduzione letterale è: gruppo, comunità,
associazione. Come da “Dizionatrio Prolog-ebraico-italiano” (ed .Giuntina, 2001, p. 100) “chevrà”,
la cui radice è “chaver” che significa “amico,compagno, membro di una organizzazione”, si traduce
con: compagnia, lega, unione,azienda, società, combriccola, essere socio, amicizia, assicurazione. Il
compito sociale della chevrà era, ed è tuttora, anche quello di assistere i malati, offrire aiuto ed
assistenza alle persone bisognose. Per visualizzarne il significato possiamo dire che quelle che per i
cattolici sono la Caritas, le Confraternite, le Associazioni di volontariato negli ospedali, nelle Case
per anziani ,corrispondono alla Chevrà ebraica.
La “N” aggiunta in finale, (che trasforma ad esempio Evri in Evrin ecc.), ad ogni termine,ci viene
spiegata sul sito “Risorse per lo studio della Bibbia e Linguistica”, in cui è detto che si tratta di una
forma rara del plurale, solitamente prodotto dall’utilizzo della “M” finale.
In sintesi si ipotizza che questo canto, tuttora presente nelle vallate piemontesi, (ma non a Paesana,
probabilmente a causa degli atriti sorti tra Paesanesi d’zà e Calvinisti), sia una presa in giro che i
nostri rivolgevano ad inquisitori e ordini monastici; questi ultimi convinti di illuminare chi di fatto
si sentiva ben al di sopra delle loro conoscenze.
Come abbiamo già visto nei precedenti paragrafi, le preoccupazioni degli inquisitori riguardavano la
nascita di nuove sette composte da ebrei e cristiani (giudeo-cristiani), e situate nell’arco alpino nel
corso del Medioevo. “L’ase d’Alegre” conferma quindi in pieno i sospetti dell’inquisizione: le
alleanze tra ebrei e giudeo-cristiani c’erano davvero!.
Ciò che stupisce é che con tutto quel cercare l’eresia, gli inquisitori non si siano mai accorti che
quello che volevano sapere ce l’avevano sotto il naso: i montanari glielo dichiaravano a piena voce,
apertamente, “cantandoglielo in musica”. Detto questo ci si chiede: e come mai i nostri montanari
parlavano l’ebraico? Avrebbero potuto parlare in ebraico senza essere ebrei? Forse la spiegazione
possiamo trovarla in una frase di Henri Bresc (214).

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214) Henri Bresc « L’expulsion des juifs de Sicilie »,in L'expulsion des Juifs de Provence et de l'Europe méditerranéenne (XVe-XVIe
siècles), 2005, p. 63 : « L’identification par l’Inquisition espagnole de rites trasmis à des convertis qui se disent chatoliques
sincères, la remonteée probable de tendances judaïsates »…; a p. 76 : « la constitution de milieux “marranes” et la répression sévère
qui s’ensuite jusque vers le 1550 pour laisser ensuite la place à la recherchedes Luthériens… »

101
Lo studioso francese, in un suo scritto sull’espulsione degli ebrei di Sicilia (215) ipotizza che
questi pur dichiarandosi sinceramente convertiti al cristianesimo, fossero rimasti legati legati a riti e
tradizioni giudeizzanti. Del resto che ci fosse un connubio tra ebrei e comunità valdesi (di Valdo) e
successivamente calviniste e luterane non é una novità. Leggendo attentamente la già citata Bolla di
Papa Alessandro V sappiamo che ebrei e cristiani formavano “nuove sette” nelle quali entrambi
confluivano (216).
Questo lascia supporre che molti ebrei invece di aderire al cattolicesimo si avvicinassero
preferibilmente ad altre forme di cristianesimo: cioè alle eresie. Qualche intuizione a questo
proposito la offre anche la storia di Pietro Valdo, avvenuta qualche secolo prima del periodo di cui
stiamo trattando ma che comunque risulta pertinente alla nostra analisi. Nel 1173, Pietro Valdo,
ricchissimo prestatore di denaro di Lione (quindi banchiere e non un semplice bottegaio come
spesso asserito) divulgatore della dottrina “Valdense” (cioè “Valdese”), potrebbe in effetti essere
stato ebreo prima di affacciarsi al cristianesimo .
L’Anonimo di Laon afferma infatti che prima della sua conversione, Valdo avesse accumulato
grandi ricchezze in denaro mediante il prestito ad interesse. E aggiunge: “restituì il denaro a coloro
da cui ne aveva avuto ingiustamente”.
I documenti su Valdo ci dicono che “scoprì i Vangeli” e si “convertì”(217) a circa 36 anni, ma non
spiegano da cosa in che cosa.
Se fosse stato ebreo avrebbe avuto molta facilità nel far propri gli argomenti teologici dei
“valdenses” grazie alla sua conoscenza della Bibbia (Torà), potendo così divulgare da un giorno
all’altro, come di fatto avvenne, il messaggio di un grande movimento religioso e intraprendere
un’impresa davvero impossibile per un neo-convertito.
La sua capacità divulgativa fu infatti così incisiva che fino a oggi molti credono che sia stato lui il
fondatore della Chiesa Valdese.
Resta quindi il sospetto che, per logica di ragionamento, Valdo non dovesse essere inizialmente un
cristiano, sennò i Vangeli li avrebbe già saputi e non avrebbe dovuto “scoprirli” per poi
“convertirsi”.
E soprattutto, non è pensabile sostenere che si sia convertito ad una Chiesa, quella cattolica, con
l’intento di fondarne subito dopo un’altra.
Probabilmente, la conversione di Valdo al cristianesimo deve aver seguito un tragitto del tutto
personale, non necessariamente filtrato direttamente dal Credo cattolico. Inoltre la sua conversione
sembrerebbe essere avvenuta in “gruppo”.
Infatti i suoi primissimi seguaci sono proprio gli ex- compagni e dunque presumibilmente i suoi ex-
correligionari (218) che non appartenevano affatto ai ceti inferiori della società come solitamente si
presume.
Per tornare al testo della canzone ”Ase d’Alegre” questo è da considerarsi uno dei rarissimi
documenti che comprovano l’alleanza tra ebrei e valdesi e la mescolanza fra gli stessi.
Rimanendo sul tema canoro constatiamo un’altra particolarità. La più antica e poetica canzone delle
nostre valli, forse risalente al XII secolo, è il “cantico dei Cantici”, un soggetto biblico che da
quanto mi risulta, viene cantato solo qui da noi, sulle nostre montagne.

102
La Bërgera e il Cantico dei Cantici”

Oltre a noi, gli unici che cantano questo tema, chiamato “Shir Ha Shirim”, guarda caso, sono
nuovamente gli ebrei. Nel nostro caso stiamo parlando della “Bergera”, la versione piemontese del
Poema scritto da Re Salomone in cui si narra la storia dell’amore incrollabile di una una contadina,
la Sulamita, per un pastore.
Il racconto puntualizza il vano tentativo del re di conquistare l’amore della ragazza che però lo
rifiuta, nonostante la sua posizione, perché innamorata di un altro.
La contadina Sulamita preferisce un pastore al Re! Anche la nostra “Bergera” è una pastorella che
incontra un ricco signore, un francese, che si offre di curarla, proteggerla ed avvolgerla nel suo
ricco mantello, ma anche lui, proprio come Re Salomone, viene rifiutato perché il cuore della
ragazza batte per un altro e nessuna ricchezza può comprare l’amore.
Stando all’opinione di Gianni Barbiero (219) “il “Cantico dei Cantici” ha avuto un ruolo singolare
nella vita di Israele….considerato dai Rabbini come la chiave per comprendere la Thorà…il Cantico
si distingue nettamente sia dalle religioni orientali della fertilità, che divinizzavano la sessualità
nella sua dimensione materiale, corporea, sia dal platonismo greco, che svincolava l’amore dalla sua
componente sessuale. Il cantico è un libro profondamente biblico. L’amore in esso corrisponde alla
logica dell’incarnazione: è a un tempo corpo e anima, sensuale e spirituale, terreno e trascendente,
umanissimo e divino”.
Questa ulteriore contatazione conferma la profonda spiritualità delle nostre vallate nelle quali i
codici di comportamento morale attingevano alla radice dell’ebraismo.
Ne consegue che il canto “la Bergera” si poneva come modello da seguire rigorosamente nella
scelta pratica dello sposo o della sposa. Scelta che doveva osservare i precetti espressi anche dal
Talmud, escludendo del tutto la possibiltà di compiere matrimoni per interesse (rinunciare all’amore
per inseguire la ricchezza) , nati da “tradimenti” amorosi (la Sulamita avrebbe potuto concedersi a
Re Salomone senza dire niente al fidanzato, ma non lo fa), troppa differenza d’età …

In pratica la Bergera, attualmente ritenuta una semplice memoria folkloristica delle popolazioni
alpine piemontesi, in realtà racchiude l’essenza dei valori della vita ed insegna il corretto approccio
alla stessa.
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Note:

216)Monsignor Andrea Charvaz, op. cit., p. 34 “…un testimonio contemporaneo che è esatto e chiaro così che nulla
più si potrebbe desiderare, stabilisce manifestamente che i Valdesi, eretici nuovi , non conosciuti prima del pontificato
dì Lucio, apparvero la prima volta a' tempi d'un papa di questo nome, da cui furono condannati. Questo papa non è altri
che Lucio III che governò la Chiesa dall'anno 1181 insino al n85, sotto il cui pontificato la prima volta nella storia si fa
menzione de' Valdesi, ed il quale veramente pronunziò loro sentenza di condanna nel con”….; a p. 29: “… i Valdesi
sono, secondo che si « crede, iti dietro agli errori di Claudio vescovo di Torino, che « al principio del secolo IX era stato
dalla Chiesa condannato. « Presero in seguito il loro nome dai seguaci di un Pietro Valdo « e cacciati da Lione e dal
Delfinato perchè professavano una « eresia somigliante in parte a quella degli Albigesi, si ripararono « verso la fine del
secolo XII nelle valli che eglino abitano »

217)Carlo Papini, “La rivoluzione del valdismo Medievale”-estratto conferenza presso il Centro culturale protestante,
Bergamo, 2009

218)Carlo Papini: ” Valdo e le origini del suo movimento”, 2009, p. 103 “Valdo convince alcuni ricchi, suoi “ex
compagni”, a diventare poveri seguendo il suo esempio: i suoi primi seguaci non provengono affatto dalle classi
inferiori della società ma dal suo stesso ceto borghese…”

219)Gianni Barbiero, “Cantico dei Cantici, ed.Paoline 2004

103
9) I modi di dire in ebraico.

Non bisogna dimenticare che in Piemonte sono moltissimi i modi di dire, universalmente utilizzati
nella parlata corrente, che non sono piemontesi ma ebraici. Per citarne alcuni:

1)“oyoyoy” è una frase comunissima esternata in caso di stupore, sorpresa, stanchezza a fine
lavoro o al ritorno da un viaggio. In quest’ultimo caso si posano le valigie, ci si lancia sul divano e
si dice “oyoyoy!”. Una delle applicazioni tipiche é :“oyoyoy! las-me seté nà minüta!”, ossia
“oyoyoy! lasciami sedere un momento!”, ma è anche molto usata per esprimere sorpresa. Ad
esempio nell’aprire un regalo si dice “oyoyoy… che bello…ma è per me?!” oppure nell’incontrare
un amico che non si vede da tempo si esclama:: “oyoyoy! …che bello rivederti!…che sorpresa!”.
Comunque venga applicata, non si tratta di una esclamazione piemontese ma Yiddish (lingua
parlata dagli ebrei tedeschi), talmente autenticamente ebraica da essere il titolo dell’attuale
rassegna ebraica di Casale Monferrato (220).

2) “Ammi-ammi” è una esclamazione diffusissima tra gli anziani di Paesana e molto utilizzata nel
vecchio Piemonte ma non è piemontese e vuol dire “Popolo d’Israele- Popolo
d’Israele!”(221).Viene usata principalmente in occasioni di grande sconforto e di disgrazia, ad
esempio alla notizia della morte di qualcuno o di un brutto matrimonio o di un incidente si esclama
in modo un po’ sofferente e sospiroso “Ammi…ammi!”, oppure la variante “Ammi…, lu Sgnur!”,
che significa “Popolo d’Israele…, oh Dio!”. Vi sono però anche espressioni più diffuse, che
troviamo oltre che in Piemonte in altre parti del nord Italia, come “ay-yay-yay”. Anche queste sono
Yiddish e non locali. Nello specifico ay-yay-yay nell’ebraismo è espressone gioiosa o sarcastica a
seconda dei casi, da noi invece viene utilizzata per esternare delusione, malessere, rincrescimento,
rimprovero, errore (es: “ay-yay-yay!...ma mi fai cader le braccia…come hai potuto far
così?!”..oppure, perdendo il treno si appoggiano le valigie a terra esclamando…”ay-yay-yay!...e
adesso cosa facciamo?!”....) (222).
3) Nàh. Un’altra esclamazione, tipicamente paesanese è “nàh!” (223) seguita quasi sempre da
stupore. Ad esempio: “nàh! ma cò fas!?” (nah! ma cosa fai?), oppure quando viene raccontato un
episodio strano, che non si sa come valutare si dice: “nàh! sai propi pà cò dì” (nàh! non so proprio
cosa dire) o ancora, quando ci si trova in una situazione imbarazzate, è usanza dire “nàh! anduma
via da sì” (nàh! andiamo via da qui). Nel caso che qualcuno sia in difficoltà nel fare qualcosa si
dice: “nàh! ven si che tlu fun mi” (nah! vieni qui da me che lo faccio io). Oltre a questi usi, nàh!
segna anche sorpresa,: “nàh! varda ‘n po’ chi l’è arivà…!”, (“nàh! guarda un po’ chi sta
arrivando…!).
Nah, in ebraico vuol dire “ti prego”, quindi queste frasi dovrebbero avere un senso di questo tipo:
“ma ti prego! adesso cosa fai?”, “ma ti prego! non so proprio cosa dire”, “ma ti prego! andiamo via
da qui!”, “ma ti prego!...guarda un po`chi sta arrivando…!”.
Il suo impiego è simile all’esclamazione Yiddish “nu”. Una parola generale che richiede una
risposta e viene applicata per dire: "Allora?" "Eh?" "Bene?" "Dove vai?", o "Ciao! (224).

4) “Oy…my-my” A Paesana diciamo anche “oy…my-my” che potrebbe essere la contrazione di


una esclamazione yiddish per esprimere sgomento, dolore, o esasperazione. L'espressione "Oy Vey
iz mir" (225) significa: "Oh, guai a me". Nel nostro “oy…my-my”, i guai sono sottintesi dal tono

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di voce ed è sottolineato due volte il fatto che colpiscano “me” (my-my). Questa esclamazione può
esprimere anche paura, shock, stupore.

5) “Batiàhìa”. Anche “Batiàhìa”, che in Valle Po è il nome del biscotto tipico delle feste (una sorta
di ciambellina dolce a base di granturco, forata al centro che a Torino viene chiamata “pasta
d’melia”) è un termine ebraico: “Bat” vuol dire “figlia” mentre “Iahia” è una doppia ripetizione
della forma abbreviata del Nome di Dio. La doppia enfasi ottenuta dall’unione “Iàh-Iàh” potrebbe
essere una sorta di “Alleluia” cioè di Lode a Dio. Ecco che “Batiàhìa”potrebbe essere “figlia-
alleluia”. Questa doppia ripetizione del nome di Dio, la troviamo ad esempio nel libro di Isaia, al
versetto 12: 2. Qui dice: “confiderò e non avrò terrore poiché Jah-Jahwé* è la mia forza e la mia
potenza” e, sempre in Isaia al versetto 38:11, così come riportato traduzione letterale della Bibbia
dall’ebraico, del Pastore Robert Young, la doppia ripetizione è trascritta esattamente come sul testo
ebraico, ovvero Jah-Jah (226). Il concetto di “figlio” o “figlia di Dio”, espresso in lingua ebraica
utilizzando però il nome di Dio nella forma poetica esclusivamente scritta sulla Torah e non sulle
Bibbie cristiane, indica quasi certamente una presenza giudeo-cristiana. Infatti: solo il cristianesimo
definisce il legame “Padre –figli” tra gli Dio e gli uomini e, nel contempo, solo l’ebraismo utilizza
la doppia ripetizione del nome di Dio nella forma “Jah-Jah”. Cio` rafforzerebbe dunque l’ipotesi di
una compresenza ebraica e cristiana in Valle Po fin dall’antichità.
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Note:

220) Su internet: Casale Monferrato- Festival internazionale di cultura ebraica”, si legge: “L'espressione "Oy, Oy, Oy!"
è presente nella tradizione yiddish (ebrei tedeschi). Un'esclamazione, un intercalare gergale, onomatopeicamente
interpretabile, per indicare lo stupore che suscitano le cose problematiche. Pronunciato in una sorta di yiddish-
piemontese rende subito l'idea, con un pizzico di autoironia, che bisogna prendere sul serio quel che sta accadendo”.

221) Internet sul sito “Select Yiddish Words and Phrases” si legge: “Ammi, nella Bibbia, è il nome figurativo di
Israele dopo la riconciliazione con Dio”, “Ammi (ăm'ī) , in the Bible, figurative name of Israel after reconciliation
with God”. Sempre sullo stesso sito troviamo una definizione più estesa con i riferimenti biblici: “Ammi, mio popolo, il
nome dato da Dio al popolo di Israele nella Bibbia ebraica”, “Ammi (Bible) - my people, a name given by God to
the people of Israel in the Hebrew Bible (Hos. 2:1, 23. Comp. 1:9; Ezek. 16:8; Rom. 9:25, 26; 1 Pet. 2:10)”.

222) Internet sul sito “Select Yiddish Words and Phrases” si legge : « ay-yay-yay » esclamazione gioiosa o sarcasitica
a seconda dei casi.

223) Galia Hatav (University of Florida) “Anchoring word and time in Biblical Hebrew”, Jurnal of Linguistic,
Chambridge Press, 2004, “ La particella “nah” viene aggiunta al verbo per fare una richiesta (è un imperativo). Una
recente teoria sostiene che questa particella fa le richieste più urgenti”; Sul sito internet “B-Grek- Biblical Greek”
(Center of Christian Study, University of Virginia) si legge: “In ogni caso, la particella precative "na" non contiene
l'idea di "ora", ma di “implorare”, il nostro "favore". “Il termine Hosannah (Osanna) "deriva da una aramaicizzazione
"di due parole ebraiche: ysha (hiphil) e Nah (si prega o pregare tali fatti);

224) su internet “The Yiddish Handbook: 40 Words You Should Know “nu” A general word that calls for a reply. It can
mean, “So?” “Huh?” “Well?” “What’s up?” or “Hello?” (Nu, una parola generale che chiede una risposta. Si può dire:
"Allora?" "Eh?" "Bene?" "dove vai?" o "Ciao!")

225) su internet “The Yiddish Handbook: 40 Words You Should Know” : « Oy vey » exclamation of dismay, grief, or
exasperation. The phrase “oy vey iz mir” means “Oh, woe is me.” “Oy gevalt!” is like oy vey, but expresses fear, shock
or amazement. (Esclamazione di sgomento, il dolore, o di esasperazione. L'espressione "Oy Vey iz mir" significa "Oh,
guai a me ". "Gevalt Oy!" È come Oy Vey, ma esprime la paura, shock o stupore.

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Quando canticchiamo il ritornello di una canzone senza saperne le parole diciamo “nàrànnànnà”,
guarda caso “neranenah” (pron. nerànnènnà) in ebraico vuol dire “cantiamo”.
Infine, tanto per complicare un po`le cose, segnaliamo l’esclamazione “ommi!” (227), che oltre ad
essere abbastanza usata, pare voglia dire “mamma” in arabo. Non è facile capire se sia da
considerarsi un’eredità saracena oppure se possa trattarsi di una espressione portata qui dagli ebrei
sefarditi in fuga da Spagna e Portogallo (che in quelle terre convivevano con i mussulmani, i quali
ovviamente parlavano arabo). “Ommi” viene esternato con un sussulto in caso di spavento, quando
scivola qualcosa di fragile dalle mani o per segnalare da una distrazione.
Il nostro intercalare con esclamazioni appartenenti alla lingua ebraica ci sorprende… ma solo fino
ad un certo punto. Non siamo noi l’unico caso. Nel XIX secolo de Rougemont (228) aveva
costatato l’esistenza di alcune parole ebraiche, in particolare “shoal” (volpe) e “chamache”(grasso),
nel dialetto svizzero francese escludendo che si trattasse di un influsso riconducibile all’ epoca
medievale quanto piuttosto al prodotto di una radicalizzazione linguistica proveniente dall’età del
Bronzo.

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Note:

226) Testimoni di Geova “Perspicacia nello studio delle Scritture”, 1988, vol. I, p.1231 “Iah” forma poetica abbreviata
…nome dell’Iddio Altissimo. …Altri casi in cui ricorre “Iah” riguarda l’esaltazione di Geova in cantici e
suppliche..In Isaia si nota una doppia enfasi ottenuta ottenendo i due nomi Jah-Geova (Jahwé)… Iah è la forma
abbreviata …e si ricollega di solito ai più profondi sentimenti di lode, a cantici, preghiere…e in genere ricorre quando si
parla di gioia per una vittoria o per una liberazione o si riconosce la possente mano e la potenza di Dio). * Nel testo
“Sacre scritture” dei Testimoni di Geova Jahwé e scritto Geova, ma ovviamente il significato non cambia, inoltre
sappiamo che nel testo ebraico la doppia ripetizione compare anche col nome Jah-Jah. A dircelo è il pastore scozzese
Robert Young, autore della traduzione letterale dall’ebraico della Bibbia : Robert Yuoung “The Holy Bible”, 1863,
p.443: (Isaia 38:11) “I said, i dont not see Jah-Jah, in the land of the living… ». (“Ho detto, non vedo Jah-Jah nella
terra dei viventi”).

227) Ommi, probabilmente deriva dall’arabo e significa “madre”

228) F. de Rougemont : « L'age du bronze, ou les Sémites en occident; matériaux pour servir à l'histoire de la haute
antiquité », 1866 , p. 310 : « Les patois romands contiennent, dit-on, un certain nombre de mots sémitiques. On
en a attribué l'introduction dans notre contrée aux médecins juifs du moyen-âge. Aujourd'hui la question se présente
sous un jour tout nouveau et elle mériterait d'être étudiée avec quelque attention. Deux mots m'ont particulièrement
frappé : cramache et schouël. Nos lecteurs se rappellent Carséoles et sa fête des renards lâchés dans l'arène ou dans la
campagne. N'est-il pas étrange qu'à Neuchâtel un certain jeu de cache-cache où les enfants se dispersent au loin en tous
sens, se nomme schouël, qui est l'hébreu SCHOUAL, renard. — Dans le patois de ce même pays, cramache signifie
l'écume du beurre cuit, et le mot hébreu a le sens d'être gras, CHAMASCH. On dirait que le terme étranger qui désignait la
graisse, a perdu en route son sens et a fini par signifier le résidu d'une substance grasse.

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10) La“Chabra” = “compagnia”

Iniziamo subito col dire che in occitano “chabra” vuol dire capra. E su questo non v’è alcun dubbio.
Però non escluderei che la “chabra”, intesa come il particolare rituale in auge fino agli inizi del ‘900
in occasione di taluni matrimoni ritenuti in contrasto con la nostra morale (per troppa differenza
d’età tra gli sposi, sposa “straniera”, matrimonio per denaro, ecc.), abbia sovrapposto il significato
ovino ad un altro più antico e autentico.
Qui da noi la questione matrimoniale era così sentita e regolata da rigide normative morali che ad
Agliasco (Najash’kh), villaggio anticamente di circa 1000 persone (229), il matrimonio era uno dei
temi centrali dell’antico carnevale.
I ragazzi e le ragazze facevano un elenco di tutti i single del paese. Scapoli, vedovi, vedove e nubili
venivano poi abbinati nei modi più assurdi, ad esempio un vecchio con una quindicenne, una
vecchia zitella con lo scapolo “tombeur des femmes” suo peggior nemico, ecc..
Queste persone erano poi costrette a far coppia per i balli che si tenevano durante tutto il periodo
delle feste. Inutile dire che, essendo così male assortiti, venivano presi in giro e facevano ridere tutto
il villaggio.
Dietro l’aspetto goliardico di questa usanza, il messaggio però era profondo: si trattava di un vero e
proprio un monito nella scelta del partner.
Monito che si concretizzava nel dissenso generale nel caso in cui, nella realtà, una coppia mal
assortita avesse deciso di sposarsi.
Ecco che scattava la protesta popolare affinché il matrimonio non venisse celebrato. Cosicché i
giovani si riunivano facendo un baccano infernale e tenendo sveglio tutto il paese alla vigilia delle
nozze.
Avveniva cisì che nel cuore della notte la “chabra” si radunava sotto le finestre dei maritandi
facendo un rumore martellante fino all’alba con campane, campanelle, campanacci, coperchi di
pentola, raganelle, lamiere percosse da bastoni… urla, risate, schiamazzi e prese in giro!
Lo scopo era quello di far cambiare idea ai maritandi e di mandare all’aria il matrimonio.
Si trattava di un rituale molto duro e psicologicamente violento.
Documentato in tutto l’arco alpino cuneese, questa usanza spesso assumeva risvolti pesanti. Ad
esempio, in Val Maira i ragazzi catturavano i futuri sposi, li legavano su un asino (come dei sacchi
di farina , cioè di traverso, col sedere per aria), portandoli a spasso per il paese tra le risate e gli
schiamazzi di tutta la popolazione (230) .
Questo eccesso non è documentato in Valle Po. Da noi avveniva che solo il vedovo venisse
“sequestrato” e quindi obbligato a offrire da bere a tutti (evidentemente i nostri antenati erano un
po’ più baldorianti che in Valle Maira poiché, con un pretesto o con un altro, facevano sempre in
modo di trasformare qualsiasi occasione in festa, per finire con l’andare a “cimpare”all’osteria).

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Note:

229) M. Bossa Picca Cesa “Paesana ieri e oggi”, 2004, p.75

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Tutto questo avveniva mentre la futura sposa veniva assalita da un fracasso madornale, infarcito di
risate e prese in giro.
Tuttavia, da noi nessuno si sarebbe mai permesso di metterle le mani addosso legandola su un asino
(col sedere in aria), anche perché i maschi della sua famiglia non lo avrebbero permesso e la
situazione avrebbe potuto facilmente degenerare.
Questa usanza era così radicata che io stessa ho partecipato con i miei amici ad una scatenatissima
“chabra” indirizzata ad una signora che, trentacinque anni, fa abitava nel caseggiato prospicente la
piazza di Paesana Santa Maria. Mi ricordo che le nostre intenzioni erano bonarie, semplicemente
goliardiche, ma lei l’aveva presa un po’ male: aveva chiamato i carabinieri.
Ora, questo rituale anticamente in uso persino in Svizzera (231), non ha alcun riferimento con le
capre a parte un solo caso nelle Langhe, a Paroldo, che peraltro non è da considerarsi significativo
visto che lega questa usanza alla stregoneria. Paroldo infatti è conosciuto per essere il paese delle
streghe, e forse il loro gruppo, cioè il gruppo di streghe, anticamente era detto “Chabra d’le
Masche”. Anche nel caso in cui a Paroldo la chabra fosse stato davvero un rituale delle Masche
(streghe) si tratterebbe comunque di un’associazione decisamente anomala che non trova riscontri
da nessuna altra parte: né qui da noi, né in Francia, né in Svizzera.
Inoltre non avrebbe avuto un gran senso “fare la capra” per poi portare gli sposi su un asino, come
succedeva in Valle Maira. Tanto valeva chiamarla “l’asu”. Suppongo quindi che “chabra”, possa
solo significare “compagnia” e non altro. Del resto, lo stesso Massimo Centini, antropologo del
Centro Studi Tradizioni Popolari di Torino, studioso di cultura alpina, (in uno scritto pubblicato dal
periodico Coumboscuro), ci dice che la “chabra” è una tradizione medievale organizzata in gruppi,
con a capo un Abate della festa. Ecco perché io suppongo che il termine “chabra” indicasse il
gruppo, la corporazione; la combriccola che si costituiva per l’occasione .
Alcuni documenti piemontesi del 1500 la trascrivono anche Zabra (232), ma è evidentemente che si
tratta di una semplice variante fonetica, tenuto conto che in piemontese la “Z” viene pronunciata
“Sh”, cioè “Sabra” la parola non cambia, è solo una questione di pronuncia.
“Chabra” in ebraico significa “gruppo di amici”, “soci”, “società”, “compagnia” ed è un termine
usato correntemente ancora oggi nelle comunità ebraiche per indicare gruppi di vario genere:
assistenziali, culturali.
Persino per dire “Compagnia di Assicurazioni”, oggigiorno in Israele si usa dire “Chabra”. Ritengo
quindi che “Chabra” sia una parola ebraica di origine greca, un sinonimo di “Hebra” che significa
appunto “compagnia” (233).
Del resto, l’ipotesi di una radice ebraica del termine trova conferma anche nella parola “Chiarivari”
che è il suo sinonimo provenzale.
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Note:

230) S. Ottonelli, “Il matrimonio- strategie e riti, 1998, p. 114: “In Val Maira un interessante documento del XVI
secolo…si riconosce ai vedovi che si risposavano la possibilità di riscattarsi dalla “Chabra” pagando due testoni.
Evitavano in questo modo di essere posti su un asino, condotti in giro in quella sgradevole posizione e esposti ad altri
scherni”.

231) Dizionario storico della Svizzera: “Charivari- Antico rituale di pubblica condanna e derisione, caratterizzato da una
musica assordante, con il quale durante l'ancien régime la comunità sanzionava matrimoni atipici, comportamenti
devianti e infrazioni in campo etico e morale.

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In tutta la Provenza, ma anche in Liguria e Svizzera, la nostra “chabra” è chiamata “Chiarivari”, il
cui significato, erroneamente ricondotto al latino, è stato tradotto dall’ebraico con “comunità
israelita”. Questa traduzione, apparsa agli inizi degli anni ’60 su una Rivista ebraica francese, segue
l’ipotesi di H. e R. Kahane in cui Chiarivari deriverebbe dall’ebraico “haverim” che significa:
“persone appartenenti a una comunità israelita” (234).
Il “Dizionario storico della Svizzera” ne offre una buona descrizione (235) :”Charivari è un antico
rituale di pubblica condanna e derisione, caratterizzato da una musica assordante, con il quale la
comunità sanzionava matrimoni atipici, comportamenti devianti e infrazioni in campo etico e
morale. Nato come rituale di condanna informale delle seconde nozze dei vedovi, nel corso del XVI
sec. lo Charivari venne esteso dalle relazioni matrimoniali al controllo della morale pubblica e della
vita politica. Protagonisti principali dello Charivari erano i giovani, che agivano in luogo degli
adulti e con il loro consenso, interpretandone la volontà e prendendo di mira chi veniva identificato
come avversario della comunità. Nonostante i divieti delle autorità civili e religiose, lo Charivari
rimase nelle usanze svizere dal XV fino al XIX sec.; in alcuni villaggi del canton Vaud si mantenne
fino agli inizi del XX sec. come una sorta di tributo che tutti gli sposi dovevano versare ai giovani:
in quanto garanti dell'endogamia della comunità, i giovani esigevano un'offerta dagli sposi per far
cessare il baccano”.
Quindi Chiarivari e Chabra sono la stessa cosa: sinonimi appartenenti entrambi alla lingua ebraica
ed indicanti la medesima usanza.
Tale considerazione si palesa nel giusto quando apprendiamo che in diverse località italiane i
documenti del XV secolo chiamano la nostra chabra, " chevramariti ", parola compostita che si
avvale di due termini: “chevra-mariti” (compagnia del matrimonio) ed ha come variante fonetica,
"zavramaritum ", " capramaritum"(236) e, nella nostrana Chianale (valle Varaita) “chabromarin”
(237); la traduzione è palese: Chabra del matrimonio= compagnia del matrimonio.

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Note:

232) Dal “Glossario Medievale” di Girolamo Rossi, “Zabra”* “Ciabre” in Piemonte, e “Chiaravugli” in Liguria. “De
zabra secundo nubentibus non fienda (Synod. Epis. Taurinensis Provane, 1507, cap.XXXX)”. La Zabra al secondo
matrimonio non è da farsi”….

233) J. J. Simons, « The geographical and topographical texts of the Old Testament », 1959, a p. 147 : Cabbon, in the
greek test remplacet by « Chabra »which seems to be hirbet « Hebra », (cioè” Cabbon, nel testo greco è ripiazzato con
«Chabra» che sembra corrispondere a «Hebra». Ed Hebra sappiamo che vuol dire “società”, “gruppo”, “alleanza” (v.
p.); H. Grotius, J. Clerc « The truth of the Christian religion », a p. 53 : « Chabra, a companion, by the ancien Greek
« abra » (Chabra, compagni, dal greco antico « abra »); Testimoni di Geova, “Torre di Guardia”, “Aid to Bible
Understanding”, 1969, p. 271: “Cabbon, one of the cities of Judah…the septuagint version reads « Chabra » instead of
Cabbon ; and this as led some to relate the town whit « Hebra »; cioe’ “Cabbon, una delle città di Giuda ... la
versione dei Settanta si legge «Chabra» invece di Cabbon, e questo ha portato alcuni a collegarela alla città di
«Hebra»; Strong Hebrew Dictionary: “Chebrah, association-company (Chebrah, associazione, compagnia); H.
W Guggenhaimer, E. H. Guggenehimer “Jewish family names…”, op. cit. a p. 338: “Hevra= society (Hevra=
società).

234). “Centre National de ressources textuelles et lexicales” Chiarivari (subst. masc.) « …L'hyp. d'une orig. sémitique,
hébreu ḥaverim plur. collectif de ḥaver « personne appartenant à une communauté israélite » [dont les membres
fêtaient parfois bruyamment certains événements] (H. et R. Kahane ds Jewish Quarterly Review, t. 52, 1961-62, pp.
288-296), demanderait à être davantage approfondie, notamment du point de vue hist ». (ipotesi di una origine semitica,
ebraico haverim, plur. di haver « persona appartenente a una comunità israelita » in cui i membri a volte festeggiavano
rumorosamente certi avvenimenti…)

109
La pratica della “chabra” veniva molto osteggiata dalla Chiesa perché impediva la celebrazione di
matrimoni ammessi dal clero, tant’è che nel 1516, il nuovo Vescovo di Saluzzo la condannò
espressamente. Lui stesso fu accolto al suo ingresso in città dalla “chabra” e dal rumoroso fragore di
casseruole, raganelle, fischi, risate, prese in giro. Il prelato, per poter superare la barriera umana ed
entrare in città, dovette sborsare ai “folli” dodici ducati d’oro. Una cifra consistente per l’epoca
(238). Capo della “chabra” era l’”Abbà”, così come ancora oggi si tramanda nella “Bajò” di
Sampeyre (Valvaraita). Un titolo questo, erroneamente tradotto con “abate”. In realtà è un termine
ebraico e vuol dire “saggio, maestro, papà” (239). Ancora oggi, fedelmente alla tradizione, il
carnevale di Sampeyre è capitanato dagli Abbà, definiti i “capi della rivolta popolare” con il
compito di organizzare tutta la festa, di guidare le sfilate nei loro vari spostamenti , secondo la
consuetudine .
Ne consegue che tradizionalmente la chabra era una associazione di origine ebraica che poteva
riunirsi per svariati motivi; ad esempio per ostacolare i matrimoni indesiderati (chabra mariti), per
contestare il vescovo con ovvie finalità politiche (chabra di foi), per organizzare il carnevale
(chabra d’l carlevé), per raggruppare le streghe (chabra d’le masche)…
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Note:

235) Dizionario storico della Svizzera: “Charivari- Nato come rituale di condanna informale delle seconde nozze dei
vedovi, nel corso del XVI sec. lo Charivari venne esteso dalle relazioni matrimoniali al controllo della morale pubblica e
della vita politica; da qui la particolare importanza che assunse durante la Riforma. Protagonisti principali dello
Charivari erano i giovani, che agivano in luogo degli adulti e con il loro consenso, interpretandone la volontà e
prendendo di mira chi veniva identificato come avversario della comunità. Nonostante i divieti delle autorità civili e
religiose, lo Charivari rimase nelle usanze svizzere dal XV fino al XIX sec.; in alcuni villaggi del cant. Vaud si
mantenne fino agli inizi del XX sec. come una sorta di tributo che tutti gli sposi dovevano versare ai giovani: in quanto
garanti dell'endogamia della comunità, i giovani esigevano un'offerta dagli sposi per far cessare il baccano.
Bibliografia «Katzenmusik», in Handwörterbuch des deutschen Aberglaubens, 4, 1932, 1126-1131 (rist. 1987), L.
Junod, «Le charivari au Pays de Vaud dans le premier tiers du XIXe siècle», in SAVk, 47, 1951, 114-129, N. Schindler,
«I tutori del disordine», in Storia dei giovani, a cura di G. Levi, J.-C. Schmitt, 1994, 1, 303-374

236) AA. VV. “Midwestern folklore”, Indiana State University, 1996, vol.22-24, p. 5: …”the chiarivari ritual takes on a
variety of shapes under hundreds of names. Many local name derived from the latin "caribaria" are found in France,
italy and Spain. In Italy, some of the local names such as “zavra maritum” , “chevra mariti”, “capra maritum” have
written reference since the 15th century…” ( il rituale chiarivari prende su una varietà di forme sotto centinaia di nomi.
Molto nomi locali derivano dal latino "caribaria" questi sono in Francia, in italia e Spagna. In Italia, vi sono espressioni
locali come "zavra maritum ", " chevra mariti ", " capra maritum" documentate dal 15° secolo)

237)S. Ottonelli “Il matrimonio, strategie e riti nelle valli Po, Varaita, Maira, Grana e Stura”, 1998, a p. 113: …” gli
ultimi episodi di “chabromarìn” a Chianale risalgono agli anni ‘20”…

238) G. Aimar “Gente del Monviso”, 2007 a p.189.

239) John J. Pilch”The cultural dictionary of the Bible”, 1999, a p. 2 : « Abba- Many preachers and teachers have
taught learners that Abba is an Aramaic word that means "Daddy. ... Tanti predicatori e gli insegnanti hanno insegnato
agli studenti che Abba è una parola aramaica che significa "papà) ; Guggheneimer, op. cit. a p. VVIII: “ In the Talmud
appear two sages both of whom are called Abba….” (Nel Talmud appaiono due saggi entrambi i quali sono chiamati
Abba….).

110
I “misteriosi riti”dei valdenses:
la “Yeshivà” e il “Talmud dell’Alta Valle Po”

Nonostante i loro manuali, nel nostro caso gli inquisitori non sono mai riusciti a centrare in pieno la
“vaudixia” generale, cioè il tipo di eresia (comprendente l’accusa di stregoneria) che coinvolgeva le
popolazioni di tutto l’arco alpino piemontese, perché i nostri antenati si sono dati efficacemente al
marranesimo. Ossia hanno cercato di sopravvivere camuffando il più possibile la loro “eresia”. Dal
canto mio ho individuato gli aspetti ereticali che gli inquisitori hanno a lungo cercato senza
successo, scoprendoli candidamente nei nostri stessi comportamenti odierni. Naturalmente si tratta
di fattori più o meno marcati, a seconda delle famiglie e del loro legame con la tradizione ma nel
complesso possiamo dire che caratterizzano l’intera popolazione di vallata.
La preoccupazione degli inquisitori e la loro incapacità nel riuscire a capire “i misteriosi riti”
praticati dai valdenses di Paesana ritengo possa trovare risposta in alcune consuetudini giudeizzanti,
tuttora in uso presso alcune famiglie di mia conoscenza, originarie di Agliasco (Naìash’kh). La
prima, che adesso esporrò, non sembrerebbe essere altro che la didattica della Yeshivà, ovvero della
Scuola Talmudica e Rabbinica, applicata nel nostro contesto principalmente la domenica. Gli altri
aspetti sono semplicemente quei precetti ebraici elencati nel Talmud che non si richiamano o non
vengono seguiti o si differenziano sostanzialmente dall’insegnamento cristiano. Ecco quindi, quali
potrebbero essere stati i “misteri” dei “valdenses”, in base ad alcuni comportamenti ancora in uso in
Valle Po:

a) La Yeshivà (scuola): é consuetudine discutere secondo uno schema ben preciso in ogni
occasione della giornata. Tuttavia la pratica dialettica è di fatto l’attività principale che viene svolta,
per ore intere, in occasione dei cosiddetti “pranzi di famiglia” della domenica e di altre ricorrenze.
Dopo mangiato avviene che uno degli uomini, “lancia un argomento di discussione” (quasi sempre
un tema politico o morale) attraverso un’affermazione; immediatamente un altro degli uomini
presenti coglie la sfida e controbatte con un’affermazione del tutto contraria (non tanto per
convinzione quanto piuttosto per disputa dialettica e, soprattutto, perché richiesto dallo “schema”).
Ecco che i due iniziano a sostenere le rispettive posizioni contrarie, argomentandole.
Progressivamente tutti gli altri, donne, bambini e ospiti, assumono tesi e varianti intermedie
sull’argomento entrando a loro volta nella discussione.
Si tratta di un “gioco dialettico” che dura l’intera giornata e che non risparmia l’uso di frasi sottili e
taglienti tra i partecipanti (anche i bambini possono “stilettare” gli adulti).Ognuno argomenta fino
all’inverosimile la sua posizione e non molla assolutamente, a meno che non venga platealmente
dimostrato che ha torto; cosa che generalmente, dato l’allenamento di tutti, avviene molto
difficilmente.
Lo scopo di tutto questo dibattere non è quello di imporre un’idea agli altri, ma di analizzare un
tema qualsiasi attraverso più punti di vista. Alla fine, avviene quasi sempre che “vince” chi riesce a
far “perdere il controllo” ovvero a far “arrabbiare” l’altro o gli altri, spesso utilizzando frasi
pungenti quali vere e proprie lame verbali. A questo punto (generalmente tra le 17.30 e le 18,30) il
capo famiglia chiude le discussioni, stappa una bottiglia di vino e dice “ura basta! stapuma nà buta e
veni tüti a mangé merenda”; ossia, “adesso basta, stappiamo una bottiglia di vino e venite tutti a far
merenda”.

111
Ordina quindi ai presenti, che nel frattempo, infervorati dal dibattito sono in piedi, camminano,
gesticolano e si agitano animatamente nella discussione ancora accesissima, di sedersi a tavola per
mangiare merenda (si tratta della cosiddetta “merenda sinoira”, che in italiano sarebbe “la merenda
della cena”).
E siccome tutti danno per scontrato che non esiste una verità assoluta, ma tutto al più una opinione
condivisa, ecco che ognuno sa di dover tirare le somme per conto suo di tutto quel parlare.
Cosicché tutti si siedono a tavola, gli ultimi brontolii progressivamente si spengono e tutti mangiano
(in attesa della cena vera e propria) in allegria, cantando, ridendo, scherzando, ballando …..
Questo comportamento, è molto simile allo Shabbat ebraico.

Il Talmud. Per quanto riguarda il Talmud, che è un manuale in ebraico e aramaico composto da
molti volumi (come una enciclopedia), per ovvie ragioni linguistiche non ho potuto leggerlo se non
nella forma ridottissima in lingua italiana attualmente in circolazione nelle librerie. A breve il vero
Talmud verrà tradotto e così spero che si potranno approfondire molti aspetti posti in relazione ai
nostri comportamenti. Per ora dobbiamo accontentarci di questo:

Non mangiare animali morti per malattia o feriti. Oltre alle particolarità comportamentali appena
esposte, che forse potrebbero essere un ricordo di una ritualità valdenses, vi sono altri usi che
stranamente ricalcano i precetti ebraici.
Infatti, un altro aspetto che lega i valdenses all’ebraismo riguarda il divieto assoluto di mangiare
carne di animali morti per malattia o accidentalmente o recanti strane macchie o segni (240). Queste
carni, non sono considerate Kasher, ovvero commestibili, nell’ebraismoe nemmeno da noi. Anzi, è
singolare ricordare che in piemontese antico era usuale definire un alimento non commestibile
“taref”, che è il termine ebraico per indicare un cibo non adatto al consumo umano.
La Valle Po è stata sempre luogo di transumanza e pascolo e non doveva essere rara la morte
accidentale di un capo di bestiame che però non veniva consumato per il timore che fosse ammalato
(“sa l’è tumbà giü p’ r la riva, l’è pr‘ché l’era malavi”, “se è caduto giù per la scarpata è perché era
già ammalato”). Nelle nostre famiglie lo stesso scrupolo rivolto al rifiuto di cibarsi di animali con
macchie, bubboni, ferite purulente o infezioni si estendeva anche agli ortaggi , alla frutta e verdure
imperfetti.
Pertanto, sebbene alcune testimonianze ci dicano che ad Ostana (241), in tempi relativamente
recenti, vi fosse l’uso di mangiare le carni di animali morti incidentalmente, questo va considerato
un fatto episodico, poiché non corrispondeva alla regola generale.
Forse il caso registrato ad Ostana ha coinciso con un momento di carestia o comunque difficile per
quella comunità. Anche l’ esistenza di una “bassa macelleria” in tempi più recenti, non può essere
giudicata conforme alla tradizione.
Non dimentichiamoci che con l’arrivo delle fabbriche a Paesana, nel secolo scorso, sono giunte
molte persone forestiere estranee a queste regole.
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Note:

240) Precetto 189 “Non mangiare la carne di animali feriti a morte” (Es. 22:30); sul sito internet Morashà della
Comunità ebraica di Milano, “la macellazione rituale”: “Shekità- In pratica questo comandamento fa divieto di cibarsi di
qualsiasi animale portatore di una lesione in un organo vitale che ne causerebbe il decesso entro un anno. Il Talmud nel
trattato di Hulin elenca una settantina circa di queste patologie e il controllo sulla presenza di queste patologie, detto
Bedikà, é una mansione delicata e complessa. Il controllo è più severo di quello dei veterinari. E spesso le bestie da noi
scartate passano invece il controllo veterinario”….” un animale treifa ovvero malato, è già destinato ad essere cibo per
la terra o per gli altri animali e perciò inadatto al consumo umano”.

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Lavare la carne prima di cucinarla: un’altra regola alimentare ebraica (242) , tuttora in uso a
Paesana e più generalmente in tutto il cuneese, consiste nel lavare la carne prima di cucinarla (vien
fatta passare sotto l’acqua). Inoltre, se è molto sporca di sangue, spesso presente nel contenitore in
cui si trova, oltre a lavarla bisogna buttarle sopra anche un po’ d’aceto e risciacquare
abbondantemente. Il nostro sistema, non prevede l’utilizzo del sale, come invece richiesto nella
normativa ebraica, ma a conti fatti forse è anche meglio per scongiurare la presenza di possibili
residui ed eventuali effetti ipertensivi. Ciò nonostante è ovvio che il pricipio e l’obbiettivo è
analogo.

Non toccare i morti: Sappiamo poi che i valdenses non avevano il culto dei morti, come dichiarato
nell’errore n. … Il loro pensiero su questo aspetto può essere ancora percepito da alcune
comportamenti tradizionali che originano dall’ebraismo, i cui precetti prescrivono l’impurità a
contatto con morti e la proibizione assoluta, per i Rabbini (243) di avvicinarsi ai cadaveri.
Questo, a grandi linee, è il comportamento paesanese:
1) le veglie funebri vengono fatte esclusivamente dagli uomini. Generalmente si tratta di due uomini
con parentela di primo grado. Questi non si mettono mai vicino al morto ma seduti sulle sedie in
cucina per tutta la notte.
2) presso alcune famiglie i morti non vengono toccati. La loro vestizione, in tempi ancora recenti,
veniva fatta da parenti alla lontana. Difficilmente si trattava di un parente stretto del defunto
probabilmente per il pudore di scoprirne la nudità, trattandosi ad esempio, di un padre, di un fratello,
di una madre ecc.. A questo proposito sappiamo che il “pudore della nudità”, è un altro precetto
ebraico.

Non camminare sulle tombe: inoltre, “camminare sulle tombe”, anche solo per pulirle o mettere i
fiori, diventava ed è ancora oggi, per alcune famiglie, un’operazione difficile. Di fatto bisognerebbe
riuscire a fare tutto quanto il necessario “senza passarci sopra”, e senza “toccare troppo”, con non
poche e inutili acrobazie. Ecco perché si cerca sempre, quando è possibile, di scaricare
l’incombenza a qualcun altro. Al ritorno dal cimitero è d’uso pulire accuratamente le scarpe prima
di riporle, lavarsi e cambiarsi d’abito.
Si tratta di una norma igienica che non troviamo nel cattolicesimo, anzi: i fedeli spesse volte sono
costretti a rimanere a stretto contatto con i cadaveri, con le sepolture, con corpi mummificati esposti
nelle chiese e baciare le reliquie dei santi.
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Note:

241) AA.VV “Ostana”, Museo etnografico, quaderno n. 8, 2005, a p. 63: “ Se un animale moriva a seguito di una
caduta, dopo aver avuto il consenso del’autorità sanitaria, veniva venduto e tutta la Comunità di Ostana si recava dalla
famiglia a cui era capitata la disgrazia per comperare un pezzo di carne cercar di rendere meno gravoso il danno”.

242) Precetto 192 Non mangiare sangue. - Lev. 3:17; sul sito internet Morashà della Comunità ebraica di Milano, “la
macellazione rituale” si legge: “Kasherizzazione- La spurgatura del sangue dalla carne è basata sul versetto di Vayikrà
7. La Halakhà prescrive la seguente procedura per la rimozione del sangue residuo: la carne deve essere messa ammollo
nell’acqua per almeno mezz’ora, poi posata su una superficie perforata (per permettere il deflusso del sangue) e
abbondantemente salata con del sale grosso. Dopo che la carne è stata sotto sale per un’ora, è lavata con l’acqua ed è
pronta per l’uso.

Un’altra particolarità comportamentale, più o meno accentuata a seconda delle famiglie, è quella di

113
evitare di piangere ai funerali e mantenere un doloroso contegno che non saprei come definire,…se
non: “regale”. Questo però non riguarda l’ebraismo in generale in quanto pratica adottata
esclusivamente dai Rabbini.

Importanza del nome: non disonorarti pubblicamente, perché il buon nome è la tua unica vera
ricchezza. Sul Talmud leggiamo (244): “Il più grande tesoro che l’uomo può acquistarsi è il rispetto
del prossimo. Ci sono tre corone: la corna della Torah (della Bibbia), la corona del sacerdozio e la
corona della regalità; ma la corona del buon nome le supera tutte” e a p. 127: “Se l’uomo soccombe
alla sua triste natura, almeno non aggiunga al peccato il disonore, che importerebbe anche una
profanazione del Nome (di Dio)”

Repulsa alla calunnia: non parlar male degli altri e non mettere in dubbio la reputazione altrui,
poiché una volta scatenato il germe del dubbio la persona calunniata sarà rovinata per sempre.
Questo insegnamento si ricollega all’importanza del “nome” e perciò: la profanazione del “nome”
equivale ad omicidio. Il Tamud a questo proposito ci dice (245): :” per indicare questa pecca si usa
la curiosa espressione “terza lingua”. Fu così chiamata perché uccide tre persone: quegli che parla,
quegli cui si parla,quegli di cui si parla”…”come un uomo considera il proprio onore, così non deve
mai cedere al desiderio di calunniare la reputazione del suo vicino”…”Chiunque pronuncia una
calunnia accumula peccati uguali alle tre trasgressioni di idolatria, impudicizia e spargimento di
sangue”.

Condanna della “manipolazione mentale”: è proibito “rubare” la mente altrui per manipolarla a
fini leciti o illeciti poiché ciò equivale a compiere assassinio (246). Plagiare una persona è quanto di
più vigliacco si possa fare. Il Talmud a tale proposito specifica: ” Nessuno può rubare la mente delle
creature (cioè ingannarle), neppure quella di un pagano. E’ più grave rubare ad un pagano che ad un
ebreo, perché ciò implica anche la profanazione del Nome”.

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Note:

243) Precetto 458 Osserva le leggi sull'impurità rituale provocata da un animale morto (chi tocca una carcassa sarà
impuro fino a sera). - Lev. 11:39; Precetto 589 Il Sommo Sacerdote non si avvicini ad alcun cadavere. - Lev. 21:11;
Precetto 590 Il Sacerdote non si renda immondo per il contatto con un cadavere se non quello di un parente stretto. -
Lev. 21:1

244) Abrham Cohen “Il Talmud”, Bari 2003, p. 231: “Il più grande tesoro che l’uomo può acquistarsi è il rispetto del
prossimo. Ci sono tre corone: la corna della Torah (della Bibbia), la corona del sacerdozio e la corona della regalità; ma
la corona del buon nome le supera tutte” e a p. 127: “Se l’uomo soccombe alla sua triste natura, almeno non aggiunga al
peccato il disonore, che importerebbe anche una profanazione del Nome (di Dio)”

245) Abrham Cohen “Il Talmud”, Bari 2003, p. 135:” per indicare questa pecca si usa la curiosa espressione “terza
lingua”. Fu così chiamata perché uccide tre persone: quegli che parla, quegli cui si parla,quegli di cui si parla”…”come
un uomo considera il proprio onore, così non deve mai cedere al desiderio di calunniare la reputazione del suo
vicino”…”Chiunque pronuncia una calunnia accumula peccati uguali alle tre trasgressioni di idolatria, impudicizia e
spargimento di sangue”.

246) Abrham Cohen “Il Talmud”, Bari 2003, p. 260:” Nessuno può rubare la mente delle creature (cioè ingannarle),
neppure quella di un pagano. E’ più grave rubare ad un pagano che ad un ebreo, perché ciò implica anche la
profanazione del Nome”.

E` gravissimo far peccare gli altri ( nel nostro “Talmud”si ricollega al punto 3). Far peccare

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un’altra persona significa manipolarla abusando della sua ignoranza, debolezza ecc. In definitiva si
lega alla “proibizione di manipolare la mente altrui”, ossia al “furto” della mente che è un peccato
gravissimo poiché corrisponde ad assassinio. Quindi, se proprio vuoi peccare fallo da solo ed
assumitene la totale responsabilità, senza mascherarti dietro ad altri o coinvolgendo altre persone
per sentirti meno colpevole; infatti in tal caso sei doppiamente colpevole. Riguardo a questo
insegnamento dice il Talmud (247):” il più grande peccato è far peccare gli altri. Far peccare un
altro é peggio che ucciderlo; perché uccidere una persona è solo allontanarla da questo mondo, ma
farla peccare è escluderla dal Mondo Avvenire”.

Condanna verso chi si sposa per denaro: l’insegnamento da noi si estende fino a ricollegarsi al
concetto: "non venderai il tuo corpo per denaro". Il matrimonio per denaro è infatti inteso, senza
mezzi, termini come atto di prostituzione . Inoltre, i figli nati da un tale matrimonio sono destinati
ad avere gravi problemi, a causa di tutti quegli impliciti sottintesi dettati dalla mancanza d’amore,
dal calcolo, dall’opportunismo; ripercuotendosi inoltre sui figli per il pessimo esempio morale. Nel
Talmud leggiamo (248): ”Sposarsi per denaro è severamente condannato nel detto, “ chiunque sposa
una donna per il suo denaro avrà dei figli di cui dovrà vergognarsi. La mancanza di amore tra i
genitori avrà conseguenze sul carattere sulla discendenza”. Questo insegnamento era così sentito
presso la nostra cultura alpina che l’infrazione dello stesso faceva scattare la “Chabra” (vedi
paragrafo a parte) che non solo protestava a nome di tutta la comunità verso quel matrimonio
ritenuto contro le regole ma tentava in tutti i modi di far si che i due promessi sposi si ravvedessero
e cambiassero idea.

Condanna verso i matrimoni in cui gli sposi hanno grande differenza d'età: l’insegnamento si
impronta sul concetto di una sorta di “contro-natura” dovuta all’impossibilità di una corretta
“fusione”- fisica, emotiva, sentimentale e mentale tra i due coniugi; si ricollega sostanzialmente al
punto 5, “non venderai il tuo corpo per denaro” e sottintende tutta una serie di possibili malesseri
emotivi e psicologici.
Anche il Talmud dice (249):” L’eccessiva differenza d’età, è biasimata….”Che senno c’è a sposare
una donna più giovane di te? oppure: che senno c’è a sposare una donna più vecchia di te? Va, e
sposa una donna che sia quasi della tua età e non introdurre discordia in casa tua”…. “Chi dà sua
figlia in matrimonio a un vecchio, oppure chi prende una vecchia per moglie a un suo figlio
giovane, aggiunge l’ebrietà alla sete e il Signore non glielo perdonerà”. Come nell’infrazione del
precedente precetto a cui spesso si sommava anche questo, si scatenava la “Chabra”.
Poiché era difficile pensare che una giovane sposasse un vecchio, magari già vedovo, per puro
folgorio d’amore.

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Note:

247) Abrham Cohen “Il Talmud”, Bari 2003, p. 137:” il più grande peccato è far peccare gli altri. Far peccare un altro é peggio che
ucciderlo; perché uccidere una persona è solo allontanarla da questo mondo, ma farla peccare è escluderla dal Mondo Avvenire”.

248) Abrham Cohen “Il Talmud”, Bari 2003, p. 203:”Sposarsi per denaro è severamente condannato nel detto: chiunque sposa una
donna per il suo denaro avrà dei figli di cui dovrà vergognarsi. La mancanza di amore tra i genitori avrà conseguenze sul carattere
sulla discendenza”.

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“Guardati dai governanti..": i paesanesi evitano da sempre rapporti troppo confidenziali e
ravvicinati con chi ha potere; hanno infatti adottato nei secoli la tattica di assecondare
apparentemente i potenti, standone il più lontano possibile, per meglio potersi fare i fatti loro.
Trattandosi di gente non manipolabile, incline ad assecondare superficialmente, ma sostanzialmente
anarchica e abituata a ragionare col proprio cervello, tendono a tenere le distanze. Su questo aspetto
il Talmud dice (250): “ama il lavoro, detesta la potenza e non cercare l’intimità con i governanti.
Guardati dai governanti, perché non avvicinano un individuo se non nel loro interesse; mostrandosi
amici quando fa loro comodo , non assistono l’individuo nell’ora della sua necessità”

“L’autorità seppellisce chi la possiede": da secoli a Paesana regna una sorta assoluta parità
sociale, di “anarchia” e di grande litigiosità (mai palesata verso l’esterno). E` per questa ragione
che, ad esempio, fare il sindaco o rivestire una carica pubblica è cosa da sfuggire a meno che non ci
sia nessun altro disposto a farlo: poiché significa, in calcolo percentuale, avere un amico (se stesso)
e 99 nemici. Consapevoli di assumere un compito gravoso e di grande responsabilità i sindaci
paesanesi sapevano inoltre di venir chiamati in prima persona a rispondere di tasca propria per
eventuali deficit di bilancio dell’intero Municipio. Ecco a questo proposito cosa dice il Talmud
(251): ” Una delle cose che abbreviano la vita dell’uomo è darsi arie di superiorità. L’autorità
seppellisce coloro che la possiedono ed è di fatto servitù…. L’intenzione non è quella di indurre la
gente a rifuggire dalle responsabilità delle cariche, ma di biasimarne la ricerca affannosa, frutto di
una ambizione egoistica. Inoltre, quando necessita un lavoro per la comunità non essere troppo
presuntuoso e non ti mettere avanti ; ma quando gli altri trascurano questa attività, assumitela tu
stesso. E, soprattutto, tale lavoro deve essere compiuto con disinteresse…Tutti coloro che si
occupano delle cose della comunità, lo facciano in nome del Cielo, perché allora il merito dei loro
padri li sostiene..”

Non bisogna mangiare in piedi perché fa male: tutto ciò che mangi in piedi è veleno é meglio
piuttosto saltare il pasto. Dal talmud (252):” Bisogna mangiare stando seduti, perché mangiare e
bere stando in piedi rovina il corpo dell’uomo”.

Mai mangiare pane caldo: è indigeribile, si appallottola e forma un pericoloso "mattone" nello
stomaco. Così si legge nel Talmud (253): :”Il pane deve essere mangiato freddo. C’è un proverbio a
Babilonia che il pane caldo ha la febbre al suo fianco”.
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Note:
249) Abrham Cohen “Il Talmud”, Bari 2003, p. 203:” L’eccessiva differenza d’età, ad esempio, veniva fortemente biasimata….”Che
senno c’è a sposare una donna più giovane di te? oppure: che senno c’è a sposare una donna più vecchia di te? Va, e sposa una donna
che sia quasi della tua età e non introdurre discordia in casa tua”.

250) Abrham Cohen “Il Talmud”, Bari 2003, p. 234: “Ama il lavoro, detesta la potenza e non cercare l’intimità con i governanti.
Guardati dai governanti, perché non avvicinano un individuo se non nel loro interesse; mostrandosi amici quando fa loro comodo ,
non assistono l’individuo nell’ora della sua necessità”

251) Abrham Cohen “Il Talmud”, Bari 2003, p. 203:” Una delle cose che abbreviano la vita dell’uomo è darsi arie di superiorità,
L’autorità-è detto- seppellisce coloro che la possiedono ed è di fatto servitù. L’intenzione non è quella di indurre la gente a rifuggire
dalle responsabilità delle cariche, ma di biasimarne la ricerca affannosa, frutto di una ambizione egoistica”…; a p. 235: “Quando
necessita un lavoro per la comunità non essere troppo presuntuoso e non ti mettere avanti ; ma quando gli altri trascurano questa
attività, assumitela tu stesso. E, soprattutto, tale lavoro deve essere compiuto con disinteresse…Tutti coloro che si occupano delle
cose della comunità, lo facciano in nome del Cielo, perché allora il merito dei loro padri li sostiene..”

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Mai rifiutare l'elemosina e cercare di fare beneficenza nell'anonimato: aiuta il tuo prossimo
perché la vita è una ruota e potrebbe capitare a te, ma non umiliarlo mettendolo in condizione di
doverti ringraziare perché allora quello che stai facendo non è più beneficenza ma arroganza. Ecco
cosa dice il Talmud (254): “ Un Dottore (Rabbino) ammoniva sua moglie: quando viene un povero
dagli del pane perché lo stesso possa venir fatto ai tuoi figli.
Ma tu li maledici!- essa esclamò- prospettando la possibilità che i suoi figli potessero ridursi a
chiedere l’elemosina. Nel mondo-egli replicò- c’è una ruota che gira, cioè la ruota della fortuna che
fa arricchire il povero e impoverire il ricco”…. “Ciò che più importa, la vera carità è praticata in
segreto…la forma migliore di elemosina è quella di chi fa un dono senza sapere chi lo riceve e chi
lo riceve non sa chi ha donato”.

Timore dell'ombra: nell’alta Valle Po, l'ombra, è considerata l’unica vera causa della “cattiveria”
dei Barbet- filo-calvinisti, (“chi lì sun gram p’ërché sun a l’umbra) e dei casi incesto che si dice
siano avvenuti nei secoli scorsi presso coloro che abitavano in una precisa parte della montagna,
per l’appunto posta all’ombra. Nessuno della valle ha mai attribuito la responsabilità dei presunti
incesti e della cattiveria alle singole persone ma solo ed esclusivamente allo stare “all’ombra”, quale
causa di tutti i guai. Dal Talmud si apprende (255): “per evitare il chiarore della luce solare, gli
spiriti maligni si ritirano nei luoghi ombrosi: per tale ragione il pericolo è in agguato nell’ombra”.

Non bere acqua da fiumi o sorgenti di notte: anche i serpenti e gli animali selvatici (secoli fa
c’erano anche i lupi e gli orsi) devono bere, potresti non vederli ed essere attaccato. Questa
raccomandazione riguarda anche l’avvicinarsi ai corsi d’acqua durante il giorno, perché si sa che i
serpenti in particolare si accovacciano sotto le pietre vicino ai torrenti, ma ovviamente di notte è
peggio perché non si può nemmeno vedere dove mettere i piedi o le mani, cosicché i rischi sono
maggiori. Dal Talmud (256): : “nessuno beva dai fiumi o da sorgenti di notte; se beve il suo sangue
ricadrà sulla sua testa per il pericolo. Quale pericolo? Il pericolo del Demone della cecità”. Guarda
caso il Talmud parla di cecità e, strano a dirsi, questa è proprio una caratteristica del morso di
alcuni serpenti africani.

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252) Abrham Cohen “Il Talmud”, Bari 2003, p. 295:” Bisogna mangiare stando seduti, perché mangiare e bere stando in piedi rovina
il corpo dell’uomo”

253) Abrham Cohen “Il Talmud”, Bari 2003, p. 295:”Il pane deve essere mangiato freddo. C’è un proverbio a Babilonia che il pane
caldo ha la febbre al suo fianco”.

254) Abrham Cohen “Il Talmud”, Bari 2003, p. 266:” L’assistenza ai poveri non è un atto di grazia da parte del donatore bensì un
dovere.” A p. 269-230: “ Un Dottore (Rabbino) ammoniva sua moglie: quando viene un povero dagli del pane perché lo stesso possa
venir fatto ai tuoi figli. Ma tu li maledici!- essa esclamò-… -egli replicò- c’è una ruota che gira…. A p. 271: “Ciò che più importa, la
vera carità è praticata in segreto…la forma migliore di elemosina è quella di chi fa un dono senza sapere chi lo riceve e chi lo riceve
non sa chi ha donato”.

255) Abrham Cohen “Il Talmud”, Bari 2003, p. 266:” Per evitare il chiarore della luce solare, gli spiriti maligni si
ritirano nei luoghi ombrosi: per tale ragione il pericolo è in agguato nell’ombra”.

Importanza delle evacuazioni regolari: la funzione intestinale viene osservata con molta
attenzione e quando si verifica dopo svariati tentativi e qualche difficoltà è usanza dire a gran voce,
alzando occhi e mani al cielo, cosicché il tutto parentado possa sentire: “Grasie a lu Sgnur sun
andait al gabinet!!!” (grazie al Signore sono andato al gabinetto!), oppure “Lu Sgnur l’a fame la
grasia e sun andait al gabinet!!! (il Signore mi ha fatto la grazia e sono andato al gabinetto).Questa

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non è proprio la preghiera che recita il Talmud per tale occorrenza, ma il significato è molto simile
ed è certamente pertinente. A questo proposito il Talmud specifica (257):” tre cose non entrano nel
corpo dalle quali esso però trae beneficio: le abluzioni, le unzioni, e le evacuazioni regolari”…
“Abbiamo già accennato alle conseguenze della stitichezza e alla necessità di un alvo regolare. E
ammonisce: “la stitichezza fecale produce l’idropisisa..”… “la liturgia comprende una preghiera da
recitarsi dopo aver soddisfatto i bisogni naturali.

Non avere rapporti sessuali durante le mestruazioni (258): questo ammonimento, da noi,
riguarda soprattutto una norma di carattere igienico-sanitario poiché è ampiamente sottolineato il
pericolo di infezioni e malattie gravissime sia per l’uomo che per la donna. Per l’ebraismo questo è
un precetto fondamentale che non ammette alcuna trasgressione, tanto che se un figlio dovesse
essere concepito in vicinanza del periodo mestruale sarebbe considerato imperfetto già alla nascita.

Non commettere adulterio: sembrerebbe un precetto cristiano, ma in realtà è un po’ diverso dalla
morale cristiana generalmentea adottata. L’adulterio infatti riguarda tutti, sia le giovani coppie di
ragazzi non sposati- “murus” -che quelle sposate. I vecchi di Paesana hanno sempre brontolato
pesantemente sugli atteggiamenti sessuali dei giovani, tradizionalmente piuttosto precoci ed “osè”,
ma in definitiva ha anche sempre tollerato la loro esuberanza affettiva e sessuale, purché non
implicante il “tradimento” (259) .
L’insegnamento nostrano è : “si possono cambiare i “morosi” prima di sposarsi ma bisogna farlo
senza tradire e in modo corretto. Bisogna agire nella più trasparente onestà allo scopo di non far star
male l’altro, mettendolo oltretutto in ridicolo di fronte a tutti.
Finché si è fidanzati l’adulterio è considerato ugualmente grave sia che a compierlo sia il ragazzo
che la ragazza. Bisogna però aggiungere inoltre che il “terzo incomodo” è generalmente molto
disprezzato. Una volta sposati le cose cambiano un po`: quello dell’uomo, pur essendo grave è un
atto po’ più digeribile, ma è ritenuto davvero inaccettabile l’adulterio femminile. In simili casi la
reazione generale è il silenzio: nessuno dice niente sulla vicenda e si innesca automaticamente un
processo di emarginazione pesantissimo. Da quel momento infatti il parere dell’adultera e le sue
opinioni non vengono più prese in considerazione da nessuno: viene completamente esclusa ed
emarginata.

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256) Abrham Cohen “Il Talmud”, Bari 2003, p. 317: “Nessuno beva dai fiumi o da sorgenti di notte; se beve il suo
sangue ricadrà sulla sua testa per il pericolo. Quale pericolo? Il pericolo del Demone della cecità”. Il Talmud parla di
cecità e questa è una caratteristica del morso di alcuni serpenti africani.

257) Abrham Cohen “Il Talmud”, Bari 2003, p. 291:” Tre cose non entrano nel corpo dalle quali esso però trae
beneficio: le abluzioni, le unzioni, e le evacuazioni regolari”; a p. 292: “Abbiamo già accennato alle conseguenze della
stitichezza e alla necessità di un alvo regolare. Ammonisce il Talmud: la stitichezza fecale produce l’idropisisa..”; a p.
293: “La liturgia comprende una preghiera da recitarsi dopo aver soddisfatto i bisogni naturali: Benedetto sii Tu, o
….Signore, nostro Dio, re dell’Universo, che hai formato l’uomo con sapienza ed hai creato in lui molti orifizi e cavità.
E`rivelato e conosciuto dsinnanzi al Trono della Tua Gloria, che se una di queste si aprisse o uno di quelli si chiudesse,
sarebbe impossibile vivere e mantenersi dinanzi a Te. Benedetto sii Tu o Signore, che curi ogni carne e agisci
meravigliosamente”.

258) Precetto 454 Osserva le leggi sull'impurità rituale del flusso mestruale. - Lev. 15:19

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Del resto, che in tutto Piemonte vigesse fin dai tempi antichi una morale differente dagli altri posti
ce lo ricordano i viaggiatori che nell’’800 percorrevano le nostre contrade. Esprimendosi sul
carattere dei piemontesi a proposito dei sentimenti, delle avventure galanti, tradimenti e disguidi
amorosi gli stranieri in Piemonte notavano una certa “freddezza” di temperamento che impediva il
verificarsi di intrallazzi, amori clandestini e omicidi passionali (260). Quindi, in linea di principio i
comportamenti poco ortodossi in materia sessuale prima del matrimonio, dalla nostra morale,
venivano perdonati purché l’individuo, uomo o donna che fosse, si “inquadrasse” nel matrimonio e
non sgarrasse più.

Tratta bene chi lavora per te. Da noi si insegna a rispettare il dipendente per tutte quelle le ragioni
morali che ben conosciamo ed è superfluo elencare. In aggiunta ci viene puntualizzato un pericolo
che potrebbe derivare da una condotta ingiusta: “non schiacciare chi lavora per te col peso del
lavoro eccessivo, retribuisci giustamente e ricorda , tratta bene queste persone anche per fare un
piacere a te stesso, evitando così che qualcuno possa portare, per ripicca, all’esterno i fatti tuoi e la
tua stupida condotta possa ritorcersi contro tè stesso”. Sul Talmud (261) i termini di riferimento
sono un po’ arcaici, poiché i lavoratori sono chiamati “servi mercenari”. Tuttavia è sufficiente
evitare di fossilizzarsi sulla definizione per cogliere il significato essenziale dell’insegnamento.

Circoncisione (262): in valle, tuttora, c’è una certa facilità alla circoncisione. Data la delicatezza
dell’argomento, tolto alcuni uomini (anche molto anziani) ai quali ho potuto rivolgermi ottenendo
risposte di carattere strettamente igienico, non ho potuto indagare le ragioni di questa
predisposizione al bisturi. Sappiamo però che questa pratica è un segno distintivo dell’ebraismo,
ampiamente dibattuta agli inizi del cristianesimo che giunse a sostituire la “circoncisione della
carne” con la “circoncisione del cuore”, stabilendo quindi che è nell’animo che si riconoscono i figli
di Dio.

Note:

259) Su internet: Tesi di laurea di Rivka Barissever - L’educazione nella famiglia ebraica moderna: Matrimoni
proibiti: “Il caso in cui una donna adultera voglia sposare il proprio amante od un altro uomo, anche qualora abbia
ottenuto il divorzio”…..(Come accennato, da noi, questo principio interessa anche i giovani innamorati e non solo le
coppie sposate);

260) Baretti, a p. 144: “sui cicisbei e sugli omicidi dell' Italia ; ma queste accuse calunniosissime, … lo sono
maggiormente riguardo ai Piemontesi in particolare. Niuno di questi due caratteri appartiene meno a questo popolo”.
Cioè da noi non c’erano né i cicisbei, né gli omicidi passionali.

261) Abrham Cohen “Il Talmud”, Bari 2003, p. 241: “non opprimere il tuo prossimo, non rubargli…non opprimere un
servo mercenario, povero e bisognoso (Deut. Xxiv,14)…Israel fu esiliato per aver trattenuto il salario dei servi
mercenari…”, a p. 248: “…quando mangiava carne ne dava al suo schiavo. Quando beveva vino ne davaun poco anche
a lui, e applicava a sé stesso il verso: chi ha fatto me nel ventre, non ha fatto anche lui?”

262) Sul sito “Zehùt- identità ebraica” il Rabbino torinese Alberto Somekh, scrive: Il “Brit milà”, "patto della
circoncisione", fu comandato da Dio ad Abramo, il Padre del popolo ebraico, come segno del legame eterno fra il Santo
Benedetto e la Casa d’Israele (Genesi 17,7).

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Non mangiare il primo frutto. Traggo questo insegnamento da un episodio raccontato nella mia
famiglia. Nel lontano 1930, mio nonno Stefano Ghigonetto (classe 1880) aveva piantato un pero nel
giardino di casa. L’albero aveva poi gettato un primo frutto che lui proteggeva con cura, dicendo
severamente a tutti: …“quella pera deve rimanere lì dov’é…guai a chi la stacca dall’albero”. Diceva
che quella pera era sua! Una cosa davvero strana.
Sta di fatto che mio padre, che a quell’epoca aveva cinque anni, iniziò a subire un’attrazione
fortissima per quella “pera proibita”e, attento a non staccarla per non disubbidire il genitore, salì su
una sedia e se la mangiò attaccata all’albero; voleva solo “assaggiarla un po`”!.
Fu grandissima la sorpresa di mio nonno quando, andando in giardino, vide il torsolo appeso…
La proibizione di quel “primo frutto”, che si concluse con una gran risata, torta e gazzosa come
premio per l’intelligenza del pargolo, doveva essere davvero una cosa importante se questa storia,
scavalcando vicende familiari molto più gravi come quelle avvenute durante la seconda guerra
mondiale, è giunta fino a me a distanza di ottantanni.
Ed ecco allora cosa leggo nel Talmud (263): “un’altra importante norma alimentare per gli ebrei è
quella che proibisce di mangiare il primo frutto del primo albero. Questa particolare restrizione sulla
frutta è giustificata dall’idea che a Dio spetta ogni primogenito, in questo caso il primo frutto poiché
le primizie sono consacrate al Signore”.

Non far piangere la donna: i nostri bambini, da sempre e fin da piccolissimi, vengono severamente
rimproverati nel caso in cui facciano piangere una bambina e, successivamente, con la crescita, una
ragazza e una donna. Causare le lacrime femminili è considerato davvero indegno di un uomo.
Nel talmud è detto: "state molto attenti a far piangere una donna, che poi Dio conta le sue lacrime.
La donna è uscita dalla costola dell'uomo. Non dai piedi perché fosse calpestata, né dalla testa per
essere superiore, ma dal fianco per essere uguale.... un po' più in basso del braccio per essere
protetta e dal lato del cuore per essere amata...."

Non pensare con preoccupazione a quello che mangerai domani: non pensare con
preoccupazione al domani ma cerca di sentirti felice con quello che hai oggi , perché, anche se lo
ritieni impossibile, sicuramente non ti mancherà mai nulla. Negli errori dei nostri valdenses è detto
espressamente che “a un valdenses non mancherà mai nulla”, e così noi crediamo ancora oggi noi.

Non sposare una donna più ricca di te. Il talmud dice di non sposare una donna più ricca di te
poiché il rischio è quello di essere poi sottostimato e umiliato da lei e dalla sua famiglia, lo stesso
vale anche da noi.
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Note:
263) precetto 255: “nessuno, oltre il Sacerdote potrà mangiare le primizie consacrate al Signore” (Levitico 22:10).
Una cosa davvero strana, perché mio nonno era un uomo molto autorevole ma non era certo un “padre-padrone” e
tantomeno un pusillanime. Inoltre era molto benestante. Con i suoi fratelli aveva fatto una gran fortuna in Brasile.
In un contesto familiare in cui lui spesso tornava in Brasile, tutti i figli erano in collegio agli studi; ecco, mi domando
come in questo contesto mio nonno si sia potuto impuntare sulla “proprietà” di una pera…. E’ da notare che a fine ‘800
i maschi delle famiglie Ghigonetto, Barra, Re, Nicolino e Picca di Paesana, tutti più o meno imparentati e tutti panettieri,
erano emigrati in Brasile diventando in poco tempo imprenditori, industriali (industrie chimiche e manifatturiere),
proprietari immobiliari, importartatori ed esportatori (caffè, vino, olio ecc.), grandi azionisti di grosse imprese
multinazionali. Dopo qualche decennio di lavoro durissimo vivevano tutti di rendita sia qui che in Brasile. Ecco perché
la “proprietà di una pera” mi sembra assurda.

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Bisogna essere onesti negli affari la lezione oltre a collegarsi col comandamento “non rubare” si
incentra sul concetto di “intelligenza”, ossia: è facile diventar ricchi rubando ma questo non
corrisponde affatto ad essere intelligenti. E` invece prova di grande intelligenza ed abilità diventare
ricchi senza danneggiare il prossimo. Il Talmud è molto rigido su questo aspetto e addirittura
prospetta conseguenze disastrose all’intera comunità qualora si verifichi disonestà negli affari (264).

E`proibito sposarsi con chi è nato da incesto traggo questo insegnamento dalla storia di Paesana:
a causa del sospetto (non sono mai state tramandate informazioni dettagliate o i nomi riguardanti
questa credenza) che tra i paesanesi d’là vi fossero stati dei casi di incesto, nessun paesanese del
versante di Santa Maria si sposava con loro. E così è stato fino a pochi anni fa. Il Talmud (265) a
questo proposito è altrettanto categorico e del tutto simile: i figli ebrei nati da incesto sono marchiati
e non possono sposare altri ebrei geneticamente in regola; possono sposarsi solo tra loro. Questo
precetto, tuttora rigorosamente ossrevato in valle, urta con l’errore 38 accusato dall’inquisizione in
cui i valdenses sotto tortura dichiarano che “non è peccato sposare una consanguinea”. E’ ovvio che
tutto dipende dal grado di consanguineità.
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264) Abrham Cohen “Il Talmud”, Bari 2003, p. 274-275

265) Deuteronomio, 23,3: "Non entri un mamzer nell'assemblea del Signore, neppure alla decima generazione entri nell'assemblea del
Signore"; il mamzer , nella interpretazione rabbinica, è il figlio nato da una relazione sessuale incestuosa o adulterina. Il divieto di
entrare nell'assemblea del Signore è interpretato, quale divieto di contrarre matrimonio.La Legge Orale consente ad un mamzer di
sposarsi con un altro mamzer o con un proselita, ma non ritiene mai ammissibile un matrimonio con un Israelita che non rivesta tale
condizione.

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12) L’insegnamento morale dei valdenses

L’insegnamento morale, religioso e sociale dei valdenses si esprimeva soprattutto attraverso la


forma “proverbiale”, “sintetica” e “dialettale”.
Abbiamo già visto che proponevano e attuavano un sistema sociale “orizzontale e comunistico”, nel
quale l’unica gerarchia ammessa ed esistente era quella morale.
I valori che distinguevano (e distinguono ancora oggi) i valdenses tra loro, all’interno delle loro
comunità, si legavano a fattori totalmente estranei agli schemi politici e temporali della Chiesa
cattolica e consistevano nelle qualità proprie all’individuo: intelligenza, sapienza, cultura in perfetta
rispondenza a quanto scritto, ad esempio, da Salomone nei “Proverbi”.
Ed è proprio a proposito di “Proverbi” che rilevo una polemica tra Gabriel Audisio e Euan Cameron
circa l’uso valdenses di tramandare l’insegnamento religioso attraverso la forma proverbiale,
sintetica e dialettale (266).
In particolare lo storico Protestante Cameron, nel giudicare il valdismo precedente alla Riforma una
religione popolare basata su una “dottrina piuttosto incoerente” che si esprimeva soprattutto con
“proverbi”, ha indicato quale unico aspetto distintivo tra valdenses e cattolici l’ alto livello di
moralità “puritana” dei primi rispetto a questi ultimi e nient’altro.
Gabriel Audisio (storico valdese) smonta la tesi di Cameron poiché è ovvio che i valdenses avessero
una dottrina.
Infatti: è proprio perché avevano una dottrina che, attraverso la medesima, contestavano punto per
punto quella cattolica.
E’ possibile infatti ritenere che siano stati i pagani ad aver avuto facilità nel passare dalle loro
religioni al cattolicesimo per le forti analogie, ad esempio, con il culto di Mitra, con il politeismo
romano ecc., mentre invece per chi proveniva da una cultura ebraica, come si suppone possa essere
stato per i valdenses in generale, il dover ritualizzare l’assunzione del sangue nell’Eucarestia, così
come seguire il culto dei morti, credere il purgatorio, sottoporsi al battesimo, venerare la croce ecc.,
probabilmente risultava inacettabile.
Considerando quindi l’ipotesi della possibile discendenza dei valdenses dai Levi, ecco che il loro
schema orale di insegnamento attraverso la ripetizione dei “Proverbi”, doveva essersi radicato e
incorporato da millenni, come di fatto avveniva nella cultura ebraica.
Ne consegue che pur avendo verosimilmente accolto il messaggio cristiano, diffusosi attraverso le
massiccie penetrazioni ebraiche in Piemonte all’epoca romana, “dottrinalmente” parlando i
valdenses erano rimasti forse fermi a Salomone, cioè alla dispersione da Babilonia.
Sappiamo infatti che i “Proverbi” biblici sono la guida per attenersi ad uno stile di vita confacente
alla morale dettata dalla religione e vengono considerati la “somma della sapienza giudaica” (267).
Finalizzati all’educazione e all’istruzione, si esprimono con massime brevi, favole, enigmi con
riferimenti pratici e molto terreni, aventi però un senso religioso e morale assai profondo in quanto
derivati dal pensiero di Dio.
Anche Cristo insegnava con le parabole ed è quindi da considerare privo di “cultura”?
Lo stile di insegnamento dei valdenses si incentrava sui “proverbi”, inquanto come già detto sintesi
della sapienza giudaica, e sulla realizzazione pratica dei principi morali professati: la cultura
valdenses non ammetteva la separazione tra pensiero e messa in pratica degli stessi. I valdenses
vivevano la religione attraverso la realtà della vita e la realizzazione effettiva dei pricipi professati.
La loro era una dottrina praticata in ogni gesto quotidiano e questo li distingueva dal Cattolicesimo e

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dal Calvinismo. Ecco perché, avendo già avuto una pessima esperienza con i cattolici, i paesanesi
rifiutarono l’alleanza con i Riformati.
Derisi e insultati (268) ampiamente da tutta la letteratura cattolica, sporadicamente la loro antichità
ha trovato consensi. Sappiamo infatti che il gesuita Campiano aveva chiamato i valdenses “maiores
nostros”, dunque più antichi della Chiesa Romana, ossia israeliti (269).
Ma sappiamo anche che il dover ammettere ufficialmente questa verità avrebbe creato non pochi
problemi alla Chiesa cattolica.

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Note :

266) Euan Cameron, The Reformation of the Heretics. The Waldenses of the Alps (1480-1580), Oxford, 1984, XVII,
critique de G. Audisio. Réplique de E. Cameron, in Revue de l’Histoire des Religions, CCIII-4, 1986, p.395-409

267) La Bibbia, Testo Ufficiale CEI, 1988, p. 1101

268) Mons. Chavaz, op. cit. p. 259 “In sostanza poi chi può tener le risa veggendo come questi scrittori si travaglino per
darci ad intendere che una setta oscura sia la vera Chiesa da Cristo fondata ; una setta, dico, rinchiusa da alcuni secoli in
cantucci di anguste valli, della quale per poco niuno avrebbe mai udito ragionare , se non fosse stato delle sue turbolenze
e ribellioni ? Non è egli ridicolo il loro voler ad ogni modo pretendere che sia la Chiesa propagata dagli apostoli”…

269) Léger, Libro I ch.XXVIII, p.171; Mons. Chavaz, op. cit. p 205 “Un Campiano, gesuita, chiama i Valdesi maiores
« nostros ; dunque più antichi della Chiesa « romana »

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13) I due versanti della valle, le lotte tra Valdenses e i Valdesi di
Valdo, il marchio “Mamzer”

La storiografia insiste spesso sulle persecuzioni che i Paesanesi del versante situato alla sinistra del
Po (guardando dalla sorgente del Pian del Re, verso valle) avrebbero inflitto ai valdenses filo-
riformati. Però mettendo insieme le informazioni e i racconti tramandatici attraverso i secoli, sembra
proprio che le cose non stiano affatto così.
Infatti, dalla lettura dei documenti conservati presso l’archivio comunale di Paesana (già esposti nei
capitoli precedenti) apprendiamo che i valdenses di Paesana d’za hanno sempre protetto,
nonostante tutti i contrasti esistenti, i valdenses filo-riformati, cioè quelli di Paesana d’là. Ecco
cosa si ricava assemblando i documenti e la tradizione orale in merito all’atteggiamento dei
paesanesi anti- riformati nei confronti di quelli filo-riformati:

a) innanzi tutto non li hanno mai denunciati. Non sono stati i paesanesi d’zà, nonostante la loro
avversione alla Riforma protestante, ad aver denunciato le borgate eretiche finite nell’occhio del
ciclone dell’inquisizione. Al contrario sappiamo che fu proprio proprio un individuo delle loro
stesse borgate riformate, ad aver denunciato la sua stessa comunità scatenando quindi l’inquisizione
in tutta la valle. Questa premessa non è un’inezia perché scagiona definitivamente i paesanesi anti-
riformati, vittime a loro volta del clima inquisitoriale provocato dagli stessi barbet. I documenti a
questo proposito sono inconfutabili. Infatti è lo stesso Marchese di Saluzzo-Paesana che nel suo
diario (il famoso Carneto) racconta questa vicenda dicendo che Pér Julian di Pratoguglielmo venne
fatto confessare…si trattò di una confessione fin troppo estesa che incolpava tutti gli abitanti di
Pratoguglielmo, Bioletto, Bietonetto e Oncino, “ma proveniva da persona degna di poca Fede, che
aveva sempre tenuto una condotta moralmente riprovevole e che era conosciuto per disonesto”…
(270).
I valdenses di Paesana d’za nonostante la situazione difficilissima con gli inquisitori e le pazzie
persecutorie della Marchesa Margherita di Foix prima, e del Duca di Savoia poi, non si sono venduti
al soldo cavalcando l’onda per trarne profitto. Ne è prova il fatto che non hanno mai consegnato
all’inquisizione i nominativi degli eretici ricercati, nemmeno quando tra le rispettive comunità
avvenivano scontri armati e ci scappava il morto. Inoltre. Sappiamo che fu un abitante di Oncino
con la ovvia complicità delle guardie, presumibilmente d’zà (poiché è ovvio che il Marchese non
poteva mica far controllare gli inquisiti dagli stessi inquisiti), ad aver fatto fuggire i condannati a
morte per eresia dalle carceri nelle quali erano rinchiusi in attesa del supplizio.
Inoltre, per ben due volte i valdenses di Paesana d’za hanno utilizzando i più disparati pretesti per
rifiutare di insediarsi nelle case confiscate dalla Marchesa di Foix agli eretici. Né è prova che i
borghi rimasero disabitati per ben cinquant’anni.

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Note:

270) Vindimmio di Francesco, op.cit. vol 1 p.94

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Ovviamente i paesanesi d’zà non potevano esprimere pubblicamente le ragioni del loro rifiuto,
avrebbero mai potuto dire: “anche noi siamo “valdenses”? ma è sufficiente interpretare i documenti
e conoscere la tradizione per capire che:

b) non si sono appropriati dei beni appartenenti agli esiliati perché moralmente perseguivano
valori quali l’intelligenza, la sapienza, la giustizia, l’onorabilità e non avrebbero mai accettato di
rendersi complici di furti, omicidi e ingiustizie;

c) le borgate in questione erano esposte all’ombra e questo era considerato un fatto molto
negativo: per ragioni che noi oggi non riusciamo a comprendere, ma che sono menzionate anche nel
Talmud, secondo i nostri antenati l’ombra non era luogo adatto per vivere e costruire casa.

d) li hanno fatti rientrare ben due volte. I valdenses di Paesana d’za hanno fatto in modo, per
ben due volte, di convincere la nobiltà a far rientrare nelle loro case i Valdesi di Valdo espulsi per
eresia dalla valle: riuscendovi! L’aver rifiutato di occupare i borghi e i terreni abbandonati dagli
esplulsi è stata una mossa talmente abile e sottile da produrre un totale ribaltamento della posizione
di potere tra il popolo e la nobiltà.

I Valdenses ribaltano la posizione di potere del Marchesato

Rifiutandosi di occupare le proprietà dei Valdesi di Valdo cacciati dalla valle, i Valdenses
riuscirono a mettere alle strette la nobiltà.
Infatti, alla cattiva fama che faceva sì che persino i preti avessero paura di avventurarsi nelle nostre
valli, cosicché nessuno era disposto a trasferirvisi, si aggiungeva ora la voce (probabilmente falsa)
che i Valdesi di Valdo nottetempo invadevano la valle per uccidere i nuovi occupanti delle loro
case.
Fu così che l’economia della valle precipitò e la Marchesa iniziò a venire a più miti consigli.
Questa fu una strategia di ricatto sorprendente. Con il dimezzamento delle entrate, conseguente al
rifiuto di impossessarsi e lavorare le terre degli espulsi, il popolo valdenses esternò un messaggio
inequivocabile: se si volevano riempire le casse del marchesato bisognava smetterla di perseguitare,
cacciare e mettere al rogo i sudditi.
È vero che in entrambi i casi (con Margherita di Foix e con il Duca di Savoia) il ritorno degli eretici
cacciati dalla valle è stato segnato dall’ accettazione di una tassa, quale unica possibilità offerta per
riprendere possesso dei loro beni.
Va aggiunto però che attraverso successive discussioni, prese di posizioni e suppliche i tributi
richiesti, in entrambi i casi, vennero poi annullati.
Visti i fatti fin qui esposti ci si chiede: ma la causa dei dissapori tra Paesanesi d’za e Paesanesi d’là
(perché al di qua o al di là del Po, che taglia in due la valle) sarà stata davvero riconducibile al
rifiuto dei primi di aderire alla Riforma calvinista oppure erano altri i motivi che potrebbero aver
spinto i valdenses filo-riformati all’odio verso quelli d’zà e successivamente all’alleanza con i
Calvinisti?
Sono infatti convinta che la vera ragione delle avversioni, perdurate nei secoli fino a qualche
generazione fa, forse non è del tutto imputabile all’ adesione alla Riforma di un versante della valle,
ma potrebbe risalire a moltissimo tempo prima.
Inoltre, la situazione di conflitto tra le popolazioni dei due versanti della valle doveva essere
davvero molto radicata visto che è durata fino a pochi decenni fa. Ancora nella generazione di mio
padre, i ragazzi delle opposte discendenze, erano divisi in “lasarde” (lucertole)* e “ciat” (gatti)* e

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da qui il detto nostrano: “i ciàt mangiu le lasarde! (risposta)… se,…s’ai ciapu!” (i gatti mangiano le
lucertole!....si,…se le prendono!).
Già solo da questa frase capiamo che ad aggredire erano sempre quelli d‘là, cioè i Valdesi di Valdo.
Divisi dal Po, che taglia in due la valle, difficilmente i giovani delle due fazioni si incontravano;
tendevano a stare, ciascuno sul proprio versante. Ciò nonostante quando capitava se le suonavano di
santa ragione tirandosi le pietre con le fionde. Solo in tempi più recenti, quando ero bambina, si è
instaurato un comportamento di non aggressione.
La rivalità si è poi estinta una trentina di anni fa, per lasciar posto ad una sorta di indifferenza
reciproca e di civile convivenza. Ciò è avvenuto in seguito ad un matrimonio tra ragazzi di Paesana
d’za con gruppetto di bellissime ragazze francesi, alcune originarie di Paesana d’là (Prato
Guglielmo) e di quello stesso versante verso Sanfront.
Per tornare invece ai tempi antichi, visto che i documenti provano inconfutabilmente l’aiuto che i
paesanesi ‘d’za hanno dato ai valdenses filo-calvinisti d’là, palesato nel vasto rifiuto di
impossessarsi delle loro proprietà e nell’ intercedere presso la nobiltà per farli rientrare, ci si chiede:
quale sarà stato il vero motivo di tanto odio?

Il marchio “Mamzer”

Non me ne vogliano i paesanesi d’là per quello che sto per scrivere. Concordo che possa sembrare
un po’ offensivo e probabilmente anche un po’ diffamatorio, ma del resto, se dobbiamo parlare di
storia, bisogna dire le cose fino in fondo, anche quelle sgradevoli.
Ecco quindi il pensiero degli antenati di noi paesanesi d’za e i motivi che nel corso dei secoli
scorsi hanno caratterizzato i conflitti interni alla valle:

1) i valdenses di Paesana d’za si sono sempre considerati di spessore morale, cultura, intelligenza,
bellezza e prestanza fisica, “superiori” ai valdenses “filo-riformati”: “nui suma n’autra raza”- “noi
siamo un’altra razza”, sottintendendo che noi saremmo fisicamente, psichicamente, moralmente
perfetti, mentre invece loro: “lùr a sùn tarà, sun tüi stort, brüt, neir, pelùs, cìt e gràm…” cioè “loro
sono tarati, tutti storti (malformati), brutti, neri, pelosi, piccoli e cattivi…”.

2) a causa dei presunti* incesti (e si badi bene che non stiamo parlando di endogamia, cioè di
matrimoni tra cugini, ma, stando alla tradizione orale, di “mare chä va cun el fiël, frel chà va cun la
souri, pare cha va cun la fia”…madre che va col figlio, padre che va con la figlia, fratello che va con
la sorella, ) i valdenses di Paesana d’za avevano la proibizione di sposarsi con quelli di Paesana
d’là (Pratuguglielmo in particolare).
Il monito era questo: “venta pà mariese cun chi-lì,… lur as mariu mac tra lur”, “non bisogna
sposarsi con quelli li,… loro si sposano solo tra loro”.
Considerato che valdesi di Paesana d’za hanno sempre dato una risposta talmudica al
comportamento dei paesanesi ‘d’là, attribuendo al posizionamento delle loro borgate, in zona
d’ombra, la ragione che li avrebbe “obnubilati” portandoli ad agire scriteriatamente, ecc. ecc.,
ecco che mi affiora il sospetto che vere cause dell’atrito tra i due versanti della valle abbiano radici
molto antiche e che Calvino e la Riforma siano stati, di fatto, solo dei fattori aggiuntivi ad una
discriminazione già esistente.
Leggendo il Talmud ho trovato la voce “Mamzer” e penso che sia li da ricercare la causa di tutto. Il
Mamzer, secondo la legge ebraica, è il bambino nato da una relazione adultera o incestuosa. Il
mamzer o la mamzeret (se è una ragazza) non possono sposare liberamente altri membri della
comunità ebraica. Il Talmud dice:“Un mamzer può contrarre matrimonio soltanto con altri
mamzerim o con convertiti ed il marchio passa da una generazione di ebrei all’altra”. Vista la
gravità della situazione che si viene a creare, l’ebraismo generalmente attribuisce il marchio di

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mamzer solamente in quei casi in cui non è assolutamente possibile altra interpretazione. Però non
sempre è così. Ancora oggi, nel moderno Stato d’Israele, dove le leggi matrimoniali sono
appannaggio del rabbinato ortodosso, sono stati ritenuti sufficienti i sospetti sullo stato di mamzer
di alcuni cittadini per l’attivazione di questa norma. Detto questo e constatato che è sufficiente il
“sospetto di incesto” per l’applicazione di questa rigidissima regola (vero e proprio marchio che
segue le generazioni nei secoli e che verrà tolto, solo alla venuta del Messia che, come sappiamo,
per gli ebrei deve ancora arrivare) ritengo di aver individuato la vera ragione dell’odio dei
paesanesi ‘d’là nei confronti di chi li aveva “marchiati”.
Il fatto che il marchio memzer presso gli ebrei “scomparirà solo con la venuta del Messia” è un
aspetto che dà spazio a qualche ulteriore riflessione e ad alcune domande. Infatti, se i paeanesi d’za
fossero stati davvero cristiani, essendo già arrivato il Messia, non avrebbero dovuto più avere
mamzer in tutta la valle. Quindi, ci si chiede, perché è sopravvisuta fino ad oggi l’attuazione di
questa regola?

3) i valdenses hanno giudicato con molta severità l’arroganza e la cattiveria dei Valdesi di Valdo
quando, forti della presenza delle armate ugonotte francesi, avrebbero iniziato a comportarsi peggio
di quanto avevano fatto fino a quel momento gli inquisitori cattolici (271).

4) i valdenses, hanno sempre considerato dei “loro” tutti quelli di del territorio di Santa Maria, e in
particolare: Agliasco (Naiash’k), Ghisola, Calcinere, Roé, Ostana (Usthana), Battagli (Bat-hai).
Da notare che la località di Oncino (Un-sin) è posta sul versante versante d’là. Eppure gli oncinesi,
peraltro stanziati in pieno sole, sono ritenuti abbastanza ‘d’za,….ma con un po’ di diffidenza.
Considerati scaltri, e abilissimi commercianti, sono soprannominati “Oncino- rapino” e da qui il
detto “se non sai rapinare ad Oncino non puoi stare”. Rigattieri, fioristi, e straccivendoli sono tutti
molto ricchi e lavorano da genereazioni nei mercati generali di Torino e di Milano.
Sarà quindi un caso che in aramaico Sin o Shin significhi “peccato”? Infatti, nella sua accezione
“rapino” ha indubbiamente qualche analogia con “peccato”.
Sarà forse che gli abitanti di Oncino (Un-Sin) si caratterizzano dalla notte dei tempi per un
comportamento un po’ opportunista e poco cristallino?
Per quanto riguarda Crissolo anche i crissolesi facevano abbastanza parte della “cerchia dei nostri”,
ma con molta cautela, non perché di “un’altra razza” (d’nautra raza) ma perché in competizione con
Paesana. Non so bene per quale ragione ma ritengo possa trattarsi di una questione di primato
religioso sulla valle.Vedremo infatti più avanti che forse proprio a Crissolo sorse verosimilmente
una importante scuola teologica cristiana che formò addirittura il Vescovo di Milano, Pietro
Crisolano .

5) i toponimi che sembrerebbero essere in aramaico antico ed in ebraico, sono legati a luoghi posti
sul prevalentemente posti sulversante di Paesana d’za. Le borgate eretiche prese di mira
dall’inquisizione sono, toponomasticamente parlando, recenti e principalmente di radice occitano-
francofona: Prato Guglielmo (Prà vierm), Biatonèt, Beolé ecc.

6)i toponimi con significati verosimilmente negativi sono sul territorio di Paesana d’là: oltre ad
Un-sin (cioè Oncino), vi sono infatti “le Ramai”, insediamento considerato dei “loro” e che in
aramaico vuol dire “ingannatori”, “imbroglioni”, “traditori” che parrebbero avere significati negativi
Detto questo ci poniamo la domanda: siamo di fronte a coincidenze casuali oppure queste sono
indicazioni significanti? Possiamo supporre che già dalla notte dei tempi sussistesse una rivalità tra
le popolazioni dei due versanti della valle? Potrebbe essersi trattato di etnie diverse? Forse i Libici
e i Levi? O i Levi e i Filistei?
Comunque sia sappiamo trattarsi, in epoche molto più recenti (prima del 1200), come dice Gilles,
nel caso di Pratoguglielmo, Biolet e Biétonnet, di persone venute dalla valle di Lucerna (272), cioé

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dalla Val Pelésh (termine che in ebraico vuol dire Filistei) e da noi considerati “forestieri” ancora
nel 1600, nonostante fossero passati 400 anni dal loro arrivo.
Cosa vuol dire Muston quando afferma che questi valdesi di Luserna non sono “nati
contemporaneamente agli altri valdesi alla sinistra del Po (cioè a noi)”? (273).
Vorrà forse dire che noi eravamo preesistenti: eravamo “valdenses” (montanari) ma non seguaci di
Valdo, come già si supponeva.
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*Lasarde= lucertole, soprannome dato ai paesanesi d’za, inquanto “rettili esposti al sole”.
*Ciat = gatti, soprannome dato ai paesanesi ‘d’là, perché perfidi, sornioni e traditori e infidi come i gatti
*Presunti incesti= non so quanto fondata fosse questa credenza, sta di fatto però che ai giovani di Paesana ‘d’za era proibito
amoreggiare con i giovani di Paesana ‘d’là proprio per questa ragione.

271) Monsignor Andrea Charvaz, Vescovo di Pinerolo, ” Origine dei Valdesi”, 1838, p. XX: “… Il Botta, storico benigno anziché
acerbo ai Valdesi, come dimostreremo, non dubita di dire : « I seguaci delle dottrine di Pietro Valdo tollerati in prima, anzi
pacificamente che no dai principi di Savoia, finché nella quiete si contennero, furono poscia combattuti quando diventarono molesti e
con pretensioni maggiori per l'esempio delle guerre cagionate in Francia dalla introduzione della religione riformata. D' esempio di
incentivo e d'appoggio serviva loro la « potenza, che col mezzo di contrastare « all' autorità sovrana si era la parte ugonotta acquistata
in quel reame. Dal che procedette che quelle valli, le quali per lo innanzi erano vissute quiete esse stesse, ed anzi avevano dato un
ricovero sicuro ai protestanti che fuggivano le persecuzioni di Francia, vennero turbate ed insanguinate dalle ire più feroci che mai
abbiano in alcun tempo travagliato i mortali . » (Botta, Storia d'Italia continuata da quella del Guicciardini, ed. di Capolago, tom.
VII, Iib. XXV, p. 55).

272) A. Muston, « Les Lys d `Israel abattus par l’orage - Histoire des églises évangeliques de Paesane, de Praviglielm et de Saluces
(De 1550 à. 1580.) » : au fond du bassin et sur les plateaux élevés de Paësane, ainsi que dans les profondes vallées de Cruzzol et
d'Onzino, où les sources du Pô découlent du mont Vizol, que les Vaudois paraissent avoir été le plus anciennement établis dans la
province de Saluces. « Al fondo valle e sui pianori di Paesana, così come nelle profonde vallate di Crissolo e Oncino, da dove le
sorgenti del po scendono dal Monviso, sembra che siano stati i più antichi insediamenti valdesi nella Provincia di Saluzzo”…

273) On a prétendu que leur origine dans ces montagnes était contemporaine de celle des autres Vaudois qui habitent sur la rive
gauche du Pô. Mais Gilles nous apprend que les habitants de, Praviglelm, Biolet et Biétonnet étaient sortis de la vallée de Luzerne.
Cette émigration devait remonter à une époque bien reculée, puisque sa descendance a peuplé le marquisat de Saluces, et que nous y
trouvons déjà des Vaudois dès le treizième siècle . È nel fondo valle e sui pianori di Paesana, così come nelle profonde valli di
Crissolo e di Oncino, dove le sorgenti del Po scendono dal Monviso, che i Vaudois sembrano essersi insediati molto anticamente
nella provincia di Saluces. Si è preteso che la loro origine in queste montagne fosse contemporanea a quella degli altri Valdesi che
abitano sulla riva sinistra del Po. Ma Gilles c'insegna che gli abitanti di Pratoguglielmo, Biolet e Biétonnet erano usciti dalla valle di
Lucerna. Questa emigrazione doveva risalire ad un'epoca molto remota, poiché la sua discendenza ha popolato il marchesato di
Saluzzo in cui troviamo già dei Vaudois fin dal tredicesimo secolo.

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14) La “Cunfraternita d’l fià cürt” e il “Sambenito”

A Paesana Santa Maria esisteva la Confraternita, popolarmente chiamata la “cunfraternita d’l fià
cürt” (lett.: la confraternita “del fiato corto”) in cui tutti gli uomini erano costretti a portare il
Sambenito soprattutto in occasione della Quaresima.
Antonio Picca (Nene) afferma che, sebbene vi fossero anche le consorelle, erano solo gli uomini ad
indossare il “kàmms” (camice) giallo. Ricorda inoltre che la confraternita usciva solo durante la
Settimana Santa, in particolare per compiere il rito della lavanda dei piedi.
Giacomo Mattio (Culin) della località Croce ci dice che sia suo padre, Battista Mattio, che suo
nonno materno, Chiaffredo Bonansea, portavano il sambenito. Margherita Bianco e sua figlia
Giuliana riferiscono di aver visto con indosso il sambenito: Giuseppe Garzino (Pin-Pinot),
Giuseppe Perotti, Agostino Crespo, Giacomo Bonansea (Giaculin Giuseppe), Paolo Bonansea Billet,
Chiaffredo Bossa (Fredu d’la Frera), Giuseppe Bossa (Bep ‘d’la Frera).

La famiglia Giaime afferma con sicurezza che il sambenito è stato portato anche da molti abitanti di
Calcinere e di Ostana. Anche Emilio Colomba, dice che suo zio materno aveva l’obbligo di portarlo
per il rito della “lavanda dei piedi” durante la funzione quaresimale di fronte a tutta la comunità.
Secondo la testimonianza di mio padre, Michele Ghigonetto (Iuccio), l’appellativo “d’l fià cürt”
rispondeva all’effettiva realtà ancora vissuta negli anni ’60, quando molto raramente veniva aperta
la chiesa della Confraternita ed erano solo i vecchi ad indossare la tunica.
Avveniva così che mentre la maggior parte degli uomini rimaneva in piazza, fuori dalla chiesa, ad
“aspettare la processione”, alla quale solitamente partecipavano prevalentemente donne e bambini,
quelli della confraternita in corteo camminavano lentamente, ondeggiando e cantilenando a fil di
voce, “e non si poteva dire che stessero pregando o cantando come normalmente si vede fare alle
processioni,… chissà,..forse essendo anziani e venendo alcuni da laggiù, dalla Croce, quando
arrivavano in piazza avevano il fiatone e sembravano più morti che vivi”.

Può darsi che come dice mio padre il fiato risultasse “corto” per via dell’anzianità dei confratelli,
ma potrebbe anche essere la sopravvivenza gestuale di qualche strapazzo inquisitoriale tramutatosi
col tempo in una semplice forma comportamentale .
Sappiamo infatti che il sambenito introdotto in Spagna dall’Inquisizione e significante “abito
benedetto” (saco-bendito) era il simbolo penitenziale degli ebrei e degli eretici, cioè dai cristiani di
origine ebrea, torturati dall’inquisizione.

Il Sambenito in genere veniva indossato dai cristiani giudaizzanti ricaduti nell’errore dopo aver già
abiurato una volta. In pratica erano i recidivi a doverlo indossare.
Questi abiti si presentavano in diversi modelli, a seconda della gravità della pena: potevano essere
semplici, con croci nere o rosse, con fiamme e demoni dipinti.

Questi ultimi venivano indossati quando l’accusato era destinato al rogo, e noi non sappiamo come
fossero stati vestiti i valdenses di Pratoguglielmo, cioè gli unici quattro malcapitati che Margherita
di Foix sia riuscita a mettere al rogo, nonostante l’abiura.
Nell’alta Valle Po, a Paesana, Oncino, Ostana, il modello in voga nei tempi recenti era quello
semplice: si componeva della sola la tunica gialla senza simboli.
Attualmente le tuniche sono scomparse nel nulla: non ci sono più i documenti, i parroci attuali non
ne sanno più niente, e nulla appare registrato da nessuna parte.

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Questi sono i tipi di Sambenitos utilizzati dall’inquisizione spagnola per segnare la gravità e i vari livelli d’eresia.

Con i sambenito sono scomparsi i registri con le condanne e “gli errori” imputati alle famiglie
storicamente condannate ad usarlo per espiazione nel corso della Pasqua.

Come gli ebrei, anche i valdesi venivano condotti al rogo con questa tunica addosso. A questo
proposito ecco cosa scrive Muston nel suo libro “Les Parfums de l’hysope” (274) : « Nel 1318, (la
Chiesa Cattolica) scomunicando in anticipo chiunque tentasse di controbatterla ; dodici malcapitati
valdesi scelti per l’occasione dovettero subire le torture della superstizione e della crudeltà.
Condotti a Embrun, di fronte alla cattedrale , in mezzo a una grande folla, circondati da monaci
fanatici, rivestiti con un abito giallo sul quale erano dipinte in rosso le fiamme simbolizzanti
l’inferno a cui si credeva fossero condannati; viene pronunciato l’anatema su di loro, le loro teste
vengono rasate, sono messi a piedi nudi, viene loro passata una corda attorno al collo; poi, al
rumore delle campane “a morto” il clero cattolico intonava un canto di maledizione e di morte. I
poveri prigionieri furono portati, uno in fila all’altro, su una pira, circondata da carnefici”.

Cecil Roth ci dice: “i sambenito dovevano essere indossati in pubblico, in particolare la domenica e
nelle feste affinché chi lo indossava fosse esposto al disprezzo e alla derisione generale…. affinché
chi l’aveva indossato e i suoi familiari fossero bollati da duratura umiliazione…queste
testimonianze di vergogna sparirono con l’abolizione dell’Inquisizione, all’inizio del XIX secolo”.
(275)

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Note :

274)A. Muston “Les Parfums de l’hysope”, 1849, p. 6 : »… 1318, en excommuniant d'avance quiconque tenterait de la
rebâtir; et douze malheureux Vaudois qui furent saisis à cette occasion, durent subir toutes les tortures de la superstition
et de la cruauté. Conduits à Embrun, en face de la cathédrale, au milieu d'un grand concours de peuple, entourés de
moines fanatiques, revêtus d'une robe jaune, sur laquelle étaient peintes en rouge des flammes symboliques de
celles de l'enfer, auxquelles on les croyait voués; on prononça anathème sur eux, on leur rasa la tête, on leur mit les
pieds nus, on leur passa une corde autour du cou; puis, au bruit des cloches qui sonnaient des glas funèbres, le clergé
catholique entonna un chant d'exécration et de mort. Les pauvres captifs furent alors menés, les uns après les autres, sur
un bûcher, entouré de bourreaux. 0 saintes âmes, … ces images de flammes dont vos tuniques étaient couvertes n'étaient
que le symbole de celles qui allaient vous dévorer ! »

275) Cecil Roth « Storia dei marrani », 2003, a p. 109.

276) G. Di Francesco, T. Vindemmio “Paesana- Il cristianesimo i Valle Po”, Pinerolo 1998, v..2 p. 93

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Apprendiamo quindi un’altra notizia sconcertante, cui segue la domanda: se altrove questa pratica si
è esaurita nel diciannovesimo secolo, cioè agli inizi dell’’800, anche perché dopo non c’era
nemmeno più l’Inquisizione, come mai in valle Po invece abbiamo portato il sambenito fino alla
fine del ventesimo? Inoltre non si capisce che tipo di umiliazione volesse impartire la Chiesa ai
nostri avi, visto che il sambenito lo portavano tutti: non c’è una sola famiglia che non abbia avuto
un rappresentante con addosso quel camice.
Come se non bastasse, ciò che concerne la Confraternita di Paesana Santa Maria è avvolto nel
mistero. Ecco quali sono i pochi dati ufficiali in nostro possesso: costruita nella seconda metà del
XVII secolo (1650 circa) (276), la Confraternita della Parrocchia di Santa Maria fu inizialmente
dedicata a San Rocco e successivamente, presumibilmente nel XIX secolo in occasione dei restauri,
intitolata al SS. Nome di Gesù (277).
Questo è tutto quello che si sa sulla Confraternita e non si può fare a meno di sottolineare che simile
constatazione costituisce già di per sé un fatto strano. L’unica certezza è che in quella Confraternita,
che veniva aperta una sola volta all’anno, gli uomini indossavano il sambenito e uscivano in corteo
nel corso della Settimana Santa (Pasqua) e questo aspetto, legato all’usanza diffusa in Francia,
Svizzera, Germania, Inghilterra e Italia di oltraggiare i giudei nel corso della Settimana Santa perché
discendenti di coloro che avevano crocifisso Cristo (278), deve per forza avere qualche connessione.
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Note :

276) 276) G. Di Francesco, T. Vindemmio “Paesana- Il cristianesimo i Valle Po”, Pinerolo 1998, v..2 p. 93. Così dicono i due autori
in base ai dati forniti da Don Celestino, attuale parroco di Paesana- Santa Maria. Tra l’altro, colgo l’occasione per
segnalare che il nostro parroco originario della Val Grana, appunto Don Celestino, ha un cognome “sospetto”: “Ribero”.
Ho controllato sul sito:”Avotaynu: consolidated jewish surname index ed ecco cosa trovo: “Ribero”, cognome sefardita
(979000 PY). Anche lo scomparso Don Zali, che come gli altri parroci di Paesana era anche lui nativo della zona, aveva
un cognome ebraico: “Zali” (480000 JK). E anche Don Raso, figura nella lista: “Raso” (940000 KQ). Per quanto
riguarda Don Destre ho qualche dubbio perché non so se anticamente il suo cognome é stato trascritto male. Comunque,
sulla lista trovo “Dester” (343900 KW) che più o meno mi sembrerebbe essere un po’ simile.

277) Vindimmio, Di Francesco, op.cit

278) G. Depping, « Les juifs dans le moyen age », 1845, p. 56 , una considerazione che si affaccia bene al tema del
Sambenito indossato dai Paesanesi nel corso della Settimana Santa : « paraît que partout où il y avait une population
mêlée, les cérémonies de la semaine sainte donnaient lieu à des excès blâmables. En France1, en Suisse, en
Allemagne, en Angleterre, en Italie, on se croyait en droit d'outrager les Juifs pendant les cérémonies de la
Passion…En Languedoc…l’ evêque montait en chaire et adressait ces paroles au peuple : « Vous avez autour de vous
les descendants de ceux qui ont crucifié Jésus-Christ , dont nous allons célébrer la Passion. Fidèles à la coutume
de vos ancêtres, armez-vous de pierres avec l'aide de Dieu, lancez-les contre les Juifs, et vengez courageusement
l'injure du Sauveur autant qu'il se peut. » Hordonnait ensuite la bénédiction à la multitude déjà toute disposée à lui
obéir; on se munissait de pierres, seule arme dont il était permis de se servir dans cette occasion, et l'on courait assaillir
les maisons des Juifs. Ceux-ci avaient, suivant la même coutume ancienne, la faculté de se défendre aussi à coups
de pierres ; la ville se trouvait dans un état d'anarchie et de guerre civile qui durait jusqu'au jour de Pâques. Une
chronique assure qu'il y avait ordinairement beaucoup de blessés de part et d'autre »….. (Sembra che ovunque ci
fosse una popolazione mista, le cerimonie della Settimana Santa hanno dato luogo a eccessi. In Francia, in Svizzera,
Germania, Inghilterra, Italia, si pensava di avere il diritto di insultare gli ebrei durante le cerimonie della
Passione ... In Linguadoca ... il vescovo saliva sul pulpito e si rivolgeva ai fedeli con queste parole: "Avete intorno a voi
i discendenti di coloro che crocifissero Gesù Cristo, di cui celebriamo la Passione. Fedeli al costume dei vostri padri,
armatevi di pietre e con l'aiuto di Dio, gettatele contro gli ebrei e vendicate coraggiosamente l'insulto del Salvatore, per
quanto possibile. " poi dopo la benedizione della moltitudine di gente già pienamente disposta ad obbedire; ci si muniva
di pietre, uniche armi permesse in tale occasione, e si correva ad attaccare le case degli ebrei. Questi, seguendo
un’antica usanza avevano il diritto di difendersi anche con le pietre; la città era in uno stato di anarchia e guerra civile
che durò fino a Pasqua. Una cronaca assicura che c’erano di solito di solito un sacco di vittime da entrambe le parti "...

131
Cosa però sia realmente successo a Paesana agli uomini con addosso il sambenito non lo sappiamo.
E ci sorprende leggere quanto scrive Margherita Bossa-Picca-Cesa (279) sui riti della Confraternita
in tempi recenti recenti: “Il giovedì santo veniva celebrata nella chiesa della Confraternita la messa
in coena Domini, durante la quale una dozzina di uomini facenti parte della Compagnia
impersonavano gli apostoli e il celebrante lavava loro i piedi”.
Ora, come spiegare il gesto del parroco prostrato ai piedi dei dodici Confratelli che, con quel vestito
addosso, più che assomigliare agli apostoli dovevano sembrare i replicanti di uno solo: l’apostolo
“Giuda”?
Possiamo supporre che nel corso del XX secolo il sambenito, pur simboleggiando l’eresia, sia stato
impiegato in occasioni specifiche, con risvolti soprattutto “didattici””. Compiere la lavanda dei piedi
agli eretici, gesto di grande avvicinamento e amore da parte della Chiesa, significava dire che
nonostante gli errori essa ama il suo gregge e si sacrifica per lui. Quindi il sacerdote di Paesana,
come il Maestro compiva un gesto di umiltà per dimostrare l’amore verso i parrocchiani. Del resto
Cristo compì questo rito ben sapendo che subito dopo gli Apostoli stessi lo avrebbero rinnegato e
venduto. Presumo quindi che con la lavanda dei piedi ai Confratelli paesanesi, il sacerdote,
impersonando Cristo, volesse far capire il sacrificio del Messia "non è venuto per essere servito, ma
per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Marco 10,45).
Con l’aiuto di Don Celestino Ribero, il nostro parroco, ho potuto recuperare alcuni tabelloni in
pessime condizioni riportanti l’elenco dei Confratelli. Si tratta strutture in legno simili a delle
cornici per quadri al cui interno venivano infilati dei listelli recanti ognuno il nome di un confratello
(vedi foto).
Nel leggere la grafia dei nominativi, tra i moltissimi ormai illeggibili, ho potuto escludere che si
tratti dei tabelloni di epoca antica a causa della trascrizione dei nominativi stessi, che direi
ottocenteschi. I cognomi Picca, Bossa, Mattio, Depetris, Re, Ghigonetto sono scritti nella versione
attuale e non più in maniera conforme a quella documentata nel censimento del 1633; ovvero,
Picha, Bozza, Mathio, Reggio, De Petris, Guigonetto. Possiamo altresì essere piuttosto sicuri che i
tabelloni in oggetto siano successivi all’anno 1800 poiché attraverso la lettura dei documenti
concernenti la “Nomina degli ufficiali e sottufficiali della Guardia Nazionale” osservo una
mutazione utile ai nostri fini: il 27 luglio del 1800 il Capitano della 2° Compagnia della Guardia
Nazionale è Antonio Guigonetto e assieme a lui vi sono anche il Sottotenente Battista Guigonetto e
il Sergente Michele Guigonetto. Stranamente in un altro documento del trenta ottobre del medesimo
anno, riguardante la nomina del sostituto (in caso di morte in battaglia) del Capo Battaglione delle
Truppe Francesi, il Capitano Antonio Guigonetto si trasforma in Ghigonetto e con lui il
Sottotenente Battista Ghigonetto. Questi dati, recuperabili da chiunque nell’archivio storico di
Paesana e comunque già trascritti da Vindimmio e Di Francesco nel primo volume del loro studio
(280) contestualizzati all’analisi della grafia dei tabelloni della Confraternita, ci fanno capire che
l’elenco dei confratelli é indubbiamente quello ottocentesco. L’ ipotesi si avvalora nella presenza in
elenco di cognomi paesanesi inesistenti nel 1600 e aggiuntisi in seguito probabilmente per il
richiamo delle fabbriche e della tessitura insediatesi a Paesana nel corso dell’800.

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Note:

279) Margherita Bossa-Picca-Cesa “Paesana ieri e oggi”, (op. cit.), p. 119

280) G. Di Francesco, T. Vindemmio “Paesana- Il cristianesimo i Valle Po”, Pinerolo 1998, vo.1. p. 133-135

132
Alcuni esempi delle bacchette con i nomi dei Confratelli

133
Questo è il tabellone completo con i nomi degli appartenenti “Cunfraternita dël fià cürt”

134
Fig… « Marieta d’Ostana dal “Racueil General des modes d’habillements des femmes des Etats de Saa Majesté le Roi
de Sardaigne”, 1780

Ecco i nomi dei Confratelli elencati in modo ancora leggibile nei suddetti tabelloni: Bossa,
Ghigonetto, Bonansea, Barra, Crespo, Bonetto, Depetris, Picca, Mattio, Re, Nicolino, Garzino, Rio,
Rossetto, Alberto, Chiri, Bonetto, Bergia, Miolano, Bonetti, Margaria, Mariotta, Destre, Lorenzati,
Bertorello, Forno, Gilio, Martino, Allemando, Martellotto, Fantone, Bellone, Gervasone,
Ternavasio.
Per quanto riguarda le donne, abbiamo detto che non portavano il Sambenito e apparentemente
sembra che non abbiano sofferto di pratiche inquisitoriali, tuttavia un’incisione del 1785

135
appartenente ad una serie di disegni denominata “Racueil General des modes d’habillements des
femmes des Etats de Saa Majesté le Roi de Sardaigne”, raffigura una giovane di Ostana in abiti
tradizionali. Ed è sorprendente notare che la cuffia che indossa è rossa così come le brache
sottostanti la gonna. Anche le scarpe sono particolari.
Presentano una foggia antica, in disuso da almeno quattro secoli. Aventi la punta allungata rivolta
all’insù secondo un modello molto in voga tra il 1100 e il 1300 queste scarpe furono inventatre dal
Conte d’Anjou per poter nascondere i piedi deformi e Re Carlo VII di Francia (1403-1461) le bandì
emanando addirittura un editto. Frivole, scomode e demodée da almeno quattro secoli, Marieta le
indossa alla fine del 1700. Come mai?
Sappiamo che nel passato erano le prostitute a doversi distinguere dalle donne per bene con
calzature e abbigliamenti particolari, i quali però frequentemente coincidevano con i segni distintivi
portati dalle donne ebree (281).
A seconda dei periodi e delle aree geografiche, gli ebrei hanno dovuto rendersi distinguibili
attraverso segni rossi e gialli, a volte portati singolarmente oppure abbinati. Ecco qualche esempio:
a Pitigliano (Grosseto), nel 1622 gli uomini dovevano indossare un cappello rosso e le donne un
nastro rosso sulla manica, come le prostitute francesi. A Bologna dal 1555 in poi, a seguito alla
Bolla emanata da Papa Paolo IV Carafa, gli ebrei sono stati obbligati a indossare come segno
distintivo un cappello giallo (e in seguito rosso) e le donne un velo. Detto questo mi sembra
improbabile che Marieta, peraltro accollatissima, da come descritta delicata e laboriosa, possa
essere stata scelta quale prostituta perché rappresentativa delle donne della vallata.
Il pensiero mi riporta nuovamente ad intravedere un significato legato all’inquisizione e
all’ebraismo. Sappiamo infatti che in tutte le altre vallate, anche quelle riformate, le cuffie delle
donne erano bianche, cosi come i grembiuli. E allora perché oltre alle scarpe strane Marieta ha
anche anomalie nel colore giallo del grembiule, nella cuffia e nelle brache rosse?
Un tipo di abbigliamento orientaleggiante, che ricorda un po’ quello di Pantalone, la maschera
veneziana raffigurante il mercante ebreo, i cui segni caricaturali erano il cappello rosso, le brache
rosse e le babbucce orientali con punta all’insù. Erano solo le ebree che vestivano come le meretrici
e ad Ostana c’è una località che si chiama ancora oggi Miribrad- ebreu. Circa l’abbigliamento e i
segni distintivi che gli ebrei sono stati costretti ad indossare nel corso dei secoli, in Piemonte come
altrove questi non seguivano un ordinamento univoco, se non nell’uso di determinati colori che
erano appunto il rosso e il giallo.
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Note:
281) M.G. Muzzarelli, “Il vestito degli ebrei” , ne “Gli ebrei nella vita di ogni giorno”, vol IV, 2000, a p .165; “come
abbiamo visto, sia a Genova sia a Torino, un esponente della parte ebraica sosteneva la riconoscibilità estetica delle
donne ebree, il che rendeva pleonastico il ricorso al segno.Certo poteva trattarsi di un’argomentazione finalizzata ad
evitare il segno, ma è possibile che a voler essere distinguibili, ma non da un tondo o da un velo giallo bensì da una
forma estetica più generale, fossero in certi casi gli stessi ebrei che intendevano mantenere una relazione con i paesi dai
quali provenivano, continuando ad indossare i capi che in essi erano in uso. Più che un modo di vestire all’ebrea sembra
piuttosto un modo di vestire all’orientale, o alla spagnola o alla turca, un’estetica cioè regionale, alla quale, quant’anche
lontani dal paese di provenienza, uomini e donne amavano restare fedeli magari proprio per marcare la loro specificità”.

136
Parte III

Ricapitolando:

La vera storia di “Pey-sàh-nah” sarà andata così ?

--0--

137
Sintetizzando: Gli inquisitori nel trascrivere le confessioni rilasciate sotto tortura dagli eretici di
Paesana ci dicono: “La Setta ebbe origine da un sant’uomo chiamato Leone, al tempo
dell’imperatore Costanzo. Costui, abbandonati gli onori e le dignità che gli sarebbero state proprie,
avrebbe scelto per sé la vita apostolica: papa Silvestro lo avrebbe elevato alla dignità di suo socius”.
I riferimenti a Leone, Papa Silvestro e Costanzo trovano risposte storiche verosimilmente
confermabili. Queste consentirebbero di intravedere nell’Arianesimo il pensiero originale dell’eresia
dei “valdensis” di Paesana: Costanzo è infatti imperatore dal 337 al 361, Papa Silvestro muore nel
335 (quindi più o meno ci siamo), Leonas è il vescovo di fiducia dello stesso Costanzo e, nel 359,
presenzia al Sinodo di Seleucia con l’intento di riunificare il cristianesimo sotto l’arianesimo…ecc.,
ecc. Ma se le cose fossero state davvero così, che tipo di ariani sarebbero stati questi “valdenses” di
Paesana, visto che nell’errore 35 dichiarano di rifiutare categoricamente il battesimo. Un tale
contrasto dottrinale come si potrebbe spiegare sapendo che sono stati proprio gli ariani ad aver
cosparso di monumentali “battisteri ad immersione” tutta la Penisola e non solo?
Inoltre, troviamo negli stessi errores il rifiuto di Papa Silvestro…. La deposizione degli eretici di
Paesana potrebbe essere assunta alla lettera, e accettata, se non sapessimo che ovunque è scritto che
il “Valdismo” è stato “fondato” nel XII secolo a Lione.
Per giunta, oltre a queste due versioni, concernenti la nascita della “Setta” dei Valdenses, se ne
aggiunge una terza che insiste sull’origine dei “valdenses” dall’epoca dei Profeti.
Ora, queste tre versioni, oltre ad aver scandalizzato gli inquisitori, hanno dato seguito a molti
discorsi; tutti ovviamente tendenti al rifiuto e concentrati sulla presunta contradditorietà di tali
affermazioni (messe spesso in ridicolo).
Monsignor Charvaz infatti, nel suo studio sui valdesi, polemizza con lo storico valdese Léger per
aver riportato con enfasi una lettera indirizzata ad Emanuele Filiberto di Savoia (282) nel 1597
ironizzando sul fatto che i valdesi volessero farsi credere giudei a tutti i costi (283) per il presunto
legame storico con i profeti e gli apostoli.
Quindi attacca lo storico Léger perché nel commentarla si dimenticò di accennare ai “Profeti”, e
quindi alle “ovvie radici giudaiche” e scrive: “Qui Léger dimenticò i profeti; si accorse per
avventura della catastrofe, e temette di non farsi giudeo col suo voler per forza essere cristiano
primitivo” (284).
Per quanto in passato la letteratura cattolica abbia ironizzato e ridicolizzato un pensiero così forte ed
importante come quello dei Barba, ci rendiamo conto che non sono affatto contradditore e
tantomeno ridicole, anzi, palesano una linearità cristallina. Le tre versioni infatti non solo non si
contraddicono le loro origini, ma corrispondono semplicemente a tre fasi evolutive del “Valdismo”,
ora chiaramente delineabile quale antichissima chiesa ebreo-.cristiana. La plausibile origine israelita
dei “valdenses”, in base all’analisi dei documenti, toponimi, cognomi delle valli piemontesi, nonché
i comportamenti delle persone (ovvero i riflessi delle antiche usanze valdenses, in uso ancora oggi

282) Muratori, op. cit. pag 247-248: Muratori trascrive per intero la lettera delle suppliche dei Valdesi del 1597 presso Emanuele
Filiberto di Savoia, come pubblicata dallo storico Léger: “Consideri l’A. V.(Altezza Vostra), se così le piace che questa religione in la
quale noi viviamo non è nostra soltanto, o da poco tempo in qua ritrovata, siccome falsamente incolpata, ma la religione de’ padri
nostri e de’ nostri avoli, e degli avoli degli avoli nostri, ed altri più antichi nostri predecessori e de’ santi martiri, confessori, apostoli,
profeti; e se alcun è che possa dimostrarci il contrario, noi siamo pronti….”

283) Muratori, op. cit., a pag 247 polemizza col Valdese Léger per aver riportato con enfasi la lettera indirizzata ad Emanuele
Filiberto di Savoia nel 1597 e ironizza (attraverso una frase un po’ ambigua) sul fatto che i valdesi volessero farsi credere giudei a
tutti i costi per il presunto legame storico con i profeti e gli apostoli.

284) Muratori op.cit. p.247 “i profeti” “…dagli apostoli? Qui Léger dimenticò i profeti; si accorse per avventura della catastrofe, e
temette di non farsi giudeo col suo voler per forza essere cristiano primitivo”.

138
nell’alta Valle Po, proprio per la mancata adesione alla Riforma ), trova peraltro rispondenze negli
studi sul valdismo russo, attraverso i quali è tutt’ora in corso un dibattito sul perché del carattere
“cripto-ebraico” dei testi valdesi di quelle terre (285).
Ecco quindi come le fasi: Profeti-Leonas-Valdo siano, di fatto, la sintesi evolutiva del Valdismo e
non una contraddizione sulle origini del valdismo:

1)Prima fase: i “Profeti”. I valdenses dichiarano la loro tradizione religiosa come risalente ai
Profeti e tramandata, per generazioni e generazioni, da padre in figlio. Trattandosi dei Profeti il
riferimento va direttamente agli israeliti, pertanto tale affermazione equivale a quella di dichiararsi
israelita.
La qual cosa potrebbe essere verosimile se la si lega alla “misteriosa” Tribù dei Laevi (Levi), della
quale non si sa niente se non che fosse insediata dal V sec.a.C. (ma forse anche prima) proprio nelle
storiche vallate alpine del Piemonte.
Quello che ci è noto però, è che dall’esilio babilonese tornarono a Gerusalemme solo quattro delle
ventiquattro divisioni sacerdotali stabilite dal re Davide ed é ipotizzabile che alcune delle divisioni
disperse siano potute finire, chissà come, sulle Alpi Cozie. Andrebbe approfondito lo studio attorno
al toponimo elamita “Ustana” (Ostana) che significa “bel posto”.
Questo potrebbe indicare che i Levi, potrebbero essere stati condotti schiavi in Val Po dopo essere
stati imprigionati a Elam, uno dei luoghi in cui furono deportati gli ebrei dagli Assiri. Sarà ancora
un caso ma bisognerà in futuro spiegare come mai la capitale del Regno di Elam era Susa e
stranamente il nostrano Regno di Cozio, oltre ad Ostana, aveva come capitale Susa.
Del resto i nominativi “Usthani” e “Hustana” sono anche stati riconosciuti dagli studiosi, come due
modi utilizzati nell’antichità per indicare il Governatore di Babilonia all’epoca del Re Dario, proprio
nell’epoca della schiavitù ebraica a Babilonia e ad Elam.
Quindi il nostro toponimo “Ostana”, pronunciato in dialetto “Usthana”, sembrerebbe proprio legarsi
a doppia mandata, sia linguisticamente che epocalmente, ai semitici Levi. Ma non solo.
Un documento babilonese del 502 a. C. ci dice che la tribù di Giuda aveva un funzionario superiore,
“Usthani”, sopra la satrapia di Babilonia (286).
Questo ulteriore dato concorre a rafforzare la nostra ipotesi.
Si pone infatti a conferma del fatto che la presenza semitica in Occidente, congiunta alle tracce
semitiche nell’esplorazione delle miniere del Delfinato e quindi della Valle Po (detta Valle
dell’Oro), può in qualche modo riferirsi alla schiavitù e deportazione delle tribù israelite. Anzi il
legame con Ustana e Susa sembrerebbe suggerire che noi dicendiamo dai Levi e dalla Tribù di
Giuda.

2) Seconda fase: a) i romani insediano i prigionieri ebrei in Liguria e Piemonte: b) arrivano


gli Apostoli
In epoca romana la notizia della venuta del Messia si diffonde in tutta la Penisola, passando
principalmente all’interno delle comunità ebraiche della diaspora.
Ecco quindi che il messaggio apostolico raggiunge i Laevi e gli altri ebrei che nel frattempo, a
ondate successive, si sono massicciamente insediati sul territorio ligure e piemontese (287),
accogliendo il messaggio di Cristo.
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Note :
285) De Michelis Cesare G., . Il valdismo e le terre russe (secc. XIV-XVI). In: Revue de l'histoire des religions, tome
217n°1, 2000. Les Vaudois. pp. 139-153.; a p. 146: « Ciò facendo non passerò sotto silenzio quella che a mio avviso è
stata l’unica voce di rilievo,… ribadendo con nuove argomentazioni la vecchia tesi del carattere “cripto-ebraico” …del
movimento ereticale in questione”…; a p. 147: ”Coregge il testo seguendo un modello ebraico, e ne deduce la natura
ebraica del testo…Si tratta di M. Taube ..convinto appunto dell’origine “cripto-giudaica” dell’eresia di Novgorod”…”

139
A questo proposito abbiamo uno scritto del 1335, in cui l’inquisitore Alberto de Castellario riporta
la notizia che fin dai tempi antichi, in Valle Sangone (Torino), i “valdenses” raccontavano di essere
successori dei quattro apostoli di Cristo che avevano dovuto rimanere nella clandestinità per colpa
degli altri otto apostoli, i quali invece erano scesi a compromessi con il mondo (288), mentre loro
erano rimasti fedeli al vero insegnamento. Siamo comunque ancora nei primissimi secoli, in cui
ebrei e ebrei-cristiani non si distinguono, fin quando con Leone nel (circa 350 d.C.), nasce la “Setta
dei Valdenses”, che è quindi con ogni probabilità una setta giudeo-cristiana (289).
Perché giudeo cristiana? Per una questione idiomatica. Infatti per quanto il Vangelo (Atti 10:44-46)
ci dica che Pietro per opera dello Spirito Santo riuscisse a parlare “in lingue”facendosi capire dai
pagani, non è detto che gli altri Apostoli, che si presume siano giunti da noi, sapessero fare lo stesso.
Visti i documenti precedentemente citati sembrerebbe infatti più plausibile l’ipotesi che gli Apostoli
arrivati qui parlassero aramaico nel predicare a popolazioni che li comprendevano perfettamente
perché, vista la presenza dei Levi, anch’esse parlavano l’aramaico.
E non solo, nelle nostre vallate si documenta la convinzione di una cristianizzazione precocissima
operata dagli stessi Apostoli di Cristo tanto che Monsignor Charvaz, con un moto di stizza esclama:
“Al sentire come gli scrittori valdesi parlano delle loro valli, riguardo al viaggio di san Paolo,
diresti che queste valli formano niente meno che tutto il Piemonte. Quale pretensione ! !” (290). E
questo senza sapere che, come abbiamo sopra accennato, in Piemonte erano stati portati gli ebrei
prigionieri dei romani (si presume migliaia di persone) dopo la caduta di Gerusalemme.

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Note:

286) A. Goetze “Additions to Parker and Dubberstein's Babylonian Chronology”, 1944 , p...; “discovery in Babylonian
tablets of Tat- tenai, called Ushtani, governor of Babylon and of "Across the River."' scoperta in tavolette babilonesi
di Tat-tenai, chiamato Ushtani, governatore di Babilonia e di "Across the River." '; R. P Doughert “Writing upon
Parchment and Papyrus among the Babylonians and the ... di RP Dougherty – 1928: “Ushtani was governor of Babylon
and the district beyond the river in the 3rd year of Darius.;
Catherine Clark Kroeger, Mary J. Evans “The IVP women's Bible commentary” , 2002:.. “mentioned in a Babylonian
record dated 502 BC Judah as well as all of Syria- ... to a higher official, Ushtani, over the combined satrapy of
Babylon –“( menzionato in un documento babilonese del 502 aC… la tribù di Giuda, così come tutti i siriani hanno
un funzionario superiore, Ushtani, sopra la satrapia di Babilonia...);
A.Kuhrt “The persian empire”, 2007 p. 735. “ The name in ist the Greek form is Hystanes, and occours several times in
the archive and elsewhere. Koch (1990) identifies a person with this name as an important officiel in charge of grain
cultivation in the region on the Fars- Elam borders » E di seguito la la studiosa si pone l’interrogativo sul fatto che
Usthani e Usthana (personaggio importante) siano due modi per indicare la stessa persona , cioè il Governatore
babilonese al tempo di Dario “whether this Usthana is the same man cannot be determined… (.... se questo
Usthana è lo stesso uomo non può essere determinato)…, a p. 779 “…a sealed document…Usthana…; a p. 735: “
Usthana (Gr. Hystanes) played an important role in grain production in the Elamite region. …In the persepolis
texts, a person of equal rang ».
Enciclopedia Giudaica: “The hopes in the Messianic era were vain, for soon the Persian rule was more firmly
established than ever. Jerusalem received a visit from the satrap of 'Abarnahara (the Persian province of Syria), Tatnai
(Greek Σισίνης; Babylonian, "Ushtani")”.

287) vedi nota76 a p. 55-56 e cartina a p. 56

288)Grado Merlo “valdesi e Valdismi”, op.cit. p. 33

289) vedi elenco degli “errores”

290) Mons. Charvaz, op. cit., a p. 356

140
Lo stesso Jeaques- Paul Migne, eminente Abate e Teologo del XIX secolo, nell’Enciclopedia
teologica del 1856 (291) scrive chiaramente che fino al 1600 era comunemente accettata dalla
Chiesa di Francia la credenza che il Cristianesimo in Gallia fosse stato diffuso da San Lazzaro (il
celebre Lazzaro risuscitato nei Vangeli), primo Vescovo di Marsiglia, dalle sue due sorelle, Santa
Marta e Santa Maria Maddalena (attualmente ritenuta la prostituta), e da San Massimo, uno dei
settandadue discepoli di Cristo divenuto vescovo d’Aix en Provence.
Dice anche che secondo la medesima credenza, San Pietro in persona avrebbe inviato in Gallia,
insieme ad altri missionari, Trophimed (Vescovo d’Arles) , Paul (Vescovo di Narbona), Martial
(Vescovo di Limonges), Austremoine (Vescovo di Clermont), Gatien (Vescovo di Tours), Valère
(Vescovo di Trêves).
Ma l’informazione più rilevante che il celebre Abate riporta, è la seguente: San Luca (discepolo di
Cristo, autore del Vangelo omonimo) avrebbe predicato in Gallia e in Italia così come l’Apostolo
Filippo (292) e Crescenzio discepolo di San Paolo.

Questa affermazione, in aggiunta alla storia della predicazione dell’Apostolo Paolo (293) nelle Alpi
e dei quattro Apostoli “dissidenti” in Val Sangone, spinge a non ritenere possibile che in tutta la
Provenza e in tutto l’arco alpino piemontese e francese ci fosse una massiccia concentrazione di
pazzi visionari, tutti concordi nell’imputare agli Apostoli la diffusione del cristianesimo da queste
parti.

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Note :

291) « Introduction du christianisme dans les Gaule », in « Troisieème et dernière Encyclopédie théologique, (abate-
teologo) Jeaques-Paul Migne, Parigi 1856, p 1198-1206 : « Depuis deux siècles, les opinions en France ont varié sur la
première introduction du christianisme dans les Gaules. Jusqu’alors on yavait cru, comme partout ailleurs, que le
christianisme avait été prêché dans la Gaule méridionale par saint Lazare, premier évêque de Marseille ;par ses deux
sœurs, sainte Marthe et sainte Marie-Madeleine, et par saint Maximin, un des soixante-douze disciples, évêque d’Aix ;
que, sous l’empereur Claude, saint Pierre, avait envoyé dans les Gaules,accompagné d’autres missionnaires, les sept
évêques suivants : Trophimed’Arles, Paul de Narbonne, Martial de Limoges, Austremoine de Clermont,Gatien de Tours
et Valère de Trêves ; que le pape saint Clément,troisième successeur de saint Pierre, envoya Denys l’Aréopagite,
premierévêque de Paris ».

292 ) « Introduction du christianisme dans les Gaule », in « Troisieème et dernière Encyclopédie théologique, (abate-
teologo) Jean-Paul Migne, Parigi 1856, p 1198-1206 : « D’un autre côté, saint Epiphane dit de saint Luc qu’il prêcha en
Dalmatie, en Gaule, en Italie, mais principalement en Gaule. Le mêmeEpiphane dit encore que Crescent, disciple de
saint Paul, vint prêcherdans la Gaule, et que c’est une erreur d’appliquer à la Galicie ce que dit il’apôtre à cet égard dans
sa deuxième épître à Timothée. Saint Isidore de Séville compte encore l’apôtre saint Philippe parmi ceux qui
prêchèrent l’Evangile dans les Gaules. Aussi, dès l’année 190, saint Irénée de Lyon prouvait-il la vérité de la foi
catholique par l’unanimité de la tradition dans toutes les Eglises du monde, parmi lesquelles il met les Eglise sétablies
chez les Celtes ou Gaulois. Quelques années après, Tertullien disait aux juifs que les diverses nations des Gaules
s’étaient soumises au Christ, avec le reste de l’univers. Les diverses nations des Gaules sont les quatre provinces en
lesquelles Auguste les avait divisées : Narbonne, Lyon, Belgique, Aquitaine. Telle était donc l’ancienne tradition, et du
pays et d’ailleurs, sur la première introduction du christianisme dans les Gaules.

141
Il fatto stesso dell’esistenza di una credenza così diffusa su un territorio così ampio costituisce già di
per sé un documento!
F. Trivellin, in particolare nega con forza questa eventualità poiché si appoggia sui risultati
archelogici dell’università di Torino che attestano la presenza di cristiani solo a partire dal III secolo
in Piemonte e dal V-VI in Savoia.
Ma il fatto che ad oggi i dati scientifici non confermino la presenza di San Paolo nelle Valli non
significa che Paolo e gli Apostoli qui non siano venuti: non é una prova. Si tratta solo del non essere
riusciti a confermare, con prove documentarie tangibili, la tradizione orale fortemente radicata nella
cultura popolare. E`quest’ultima, che di per sé, è già una prova. Pertanto l’assenza di documenti non
può essere assunta quale prova di una negazione, quando, per contro, vi sono migliaia di persone
che in epoche ed occasioni diverse, hanno detto tutte, sempre, la stessa cosa..
Ora, come già detto, nei primissimi tempi il cristianesimo si diffuse nella Diaspora, cioè in quelle
comunità ebraiche sparse per l’impero poiché si riteneva di dover diffondere la notizia della venuta
del Messia a chi il Messia lo stava aspettando: cioè gli ebrei. Ma non solo: il suddetto abate ci dice
anche che : « dei Greci orientali, o piuttosto degli ebrei ellenizzanti, richiamati dai loro commerci
in Gallia, sono stati verosimilmente i primi ad aver professato il cristianesimo, comunicandolo in
seguito ai romani e agli altri abitanti del paese » (294) . E allora ci chiediamo: tutto quel via-vai di
Apostoli e discepoli nelle nostre zone, come si potrebbe giustificare se non in una consistente
presenza ebraica in Provenza e nell’arco Alpino?
Appare strano che in valle, ad esclusione di Paesana in cui si menziona la chiesa di Santa
Margherita come luogo di sepoltura di Desiderio, Re dei Longobardi, (295) , non sono documentate
chiese cattoliche fino alla seconda metà del 1300.
Ma appare ancora più strano l’atteggiamento generale manipolatorio, volto confondere o mettere in
dubbio sempre e solo quei documenti che non sono funzionali alla storia ufficiale.
Noi sappiamo che il Papa in persona fece profanare la tomba di Re desiderio sepolto a Paesana nella
Chiesa di Santa Margherita, facendo disperdere i resti del sovrano chissà dove. A dircelo é un
documento del XIV secolo, redatto dal Domenicano Jacopo di Acqui, che descrive perfettamente
l’accaduto. Questa notizia, che storicamente è importantissima, stranamente non ha mai suscitato
l’interesse di nessuno. Come mai nessuno si è chiesto perché il Papa possa aver voluto cancellare
dalla storia il più grande e venerato simbolo longobardo? Perché il re dei Longobardi ha voluto
venire a morire e a farsi seppellire a Paesana? Come mai i Levi erano stanziati a Pavia, la capitale
Longobarda era Pavia, la corte di Re desiderio era a Pavia, la fazione più occidentale dei Levi era a
Paesana, a Paesana è il covo degli eretici più incalliti, a Paesana Desiderio e la sua corte chiedono
di venire in esilio?
La ragione per la quale il Papa fece sparire le spoglie di Re Desiderio forse non la sapremo mai, ma
questo non rimarrà l’unico enigma. Infatti sempre a fini manipolatori e chissà per quali oscure
ragioni, furono cambiate addirittura le affermazioni di Sant’Epifanio e Sant’Isidoro di Siviglia. Il
Baronio (296), cardinale italiano vissuto nel 1600, non contento del fatto che l’apostolo Filippo
avesse portato personalmente il cristianesimo in Gallia (e che la maggior parte delle chiese cristiane
di quella zona risalissero al I secolo , essendo così antiche quanto la chiesa romana) decise di
correggere gli scritti di Sant’Isidoro sostituendo “Galli” con “Galati”(297). Questa modifica e
ulteriori polemiche sulla mancanza di documenti scritti comprovanti, secondo un ottica strettamente
cattolica, le tradizioni apostoliche francesi, portarono alla negazione di questi fatti. E fu così che,
con tutto il resto, ovvero con S. Paolo, S. Maddalena, S. Lazaro, S. Luca e i Quattro apostoli della
Val Sangone, anche l’apostolo Filippo scomparve dalla Gallia (298).

142
Note :

293) Muston, “L’Israel des Alpes”, op. cit., p. 97-98 “ poter essere « che nelle valli v'avessero già dei cristiani «
discepoli di san Paolo”, ; Charvaz, op. cit. : « Leggesi ( parla qui Peyran ), ed « é scritto al capo XV, v. 24 , 28 dell'
Epis stola ai Romani, che san Paolo avea divisato « di gir nella Spagna attraversando Y Italia. Se « questo suo
disegnato viaggio fece, verosimile cosa é che passasse anche pel Piemonte, « ed il Vangelo quivi insegnasse,
siccome « faceva dovunque passava. Però bene si po« Irebbe conghietturare che i Valdesi da san « Paolo in persona
ricevessero la dottrina cristiana (1). » Quanto , e come fondato sia questo suo congetturare, non esamineremo ora noi.
Per fermo i Valdesi, d'un tratto, acquisterebbono otto secoli d' antichita più che non voleva il venerabile Léger. (1)
Peyran, pag. 52, 33”; G. Perrone “Catechismo intorno al protestantesimo ed alla chiesa cattolica ad uso del popolo”,
1855, a p. 65: Questa che voi chiamate setta ignobile (Setta Valdese), discende in linea retta dall'Apostolo san Paolo, il
quale andando nelle Spagne si gettò nelle gole delle Alpi per ammaestrare quei poveri abbandonati. Perciò quella sola
setta conservò la cristianità pura ossia il puro Vangelo in mezzo alla corruzione universale della Chiesa romana”; F.
Trivellin “Che Dio non voglia”, s.d. p. 83: “ conversione dei montanari valligiani all’opera di San Paolo, questa
leggenda tende a porre l’evangelizzazione delle Valli al I secolo,d. C., ciò che storicamente non poté essere, sia perché
non è provato che Paolo ebbe a transitare per le Valli…sia perché le prime comunità cristiane sopraggiunsero in
Piemonte verso il III secolo e in Savoia verso il V –VI secolo.

294) Le Chatalogue des archevesques et évesques de la cité de Crisopolis, a présent Besançon » in « Memoires et
documents inedits », Besançon 1839, p.. 93 : « La lumière de l'Évaugile, dit un savant historien, étoit déjà répandue,
depuis plus d'un siècle, dans tout l'Orient et dans l'Italie, que les provinces les plus occidentales de l'empire romain se
trouvoient encore plongées dans les ténèbres de l'idolâtrie. Des Grecs asiatiques, ou plutôt des Juifs hellénistes,
appelés par leur commerce dans les Gaules, paroissent y avoir les premiers professé le christianisme, qu'ils
communiquèrent ensuite aux Romains et aux autres habitants du pays. »

295) Re Desiderio sepolto a Paesana: la notizia ci è data da Jacopo di Acqui (1330), domenicano IACOBI de AQUIS
“Chronicon imaginis mundi”, ed. G. Avogadro in HPM, SS, III, Torino l 848, p. 1493 :"Fuit autem rex Desiderius per
multos annos in confinibus in civitatem Vienne in Gallia. Tamen ultimo sibi conceditur quod in Lombardia revertatur et
habitet in valle Padi, in villa que dicitur Peysanna ultra Revellum et citra montem Vesulanum. Et ibi vitam
finivit. Corpus autem positus fuit in ecclesia sancte Margarite in monumento eiusdem ville. Sed postmodum multo
tempore transacto, aliqui de Papia illuc vadunt, et nocte circa monumentum faciunt vigiliam, et dormiente sacerdote
monumentum frangunt et ossa inde accipientes Papie portaverunt".

296) Cesare Baronio (30 agosto 1538 - 30 giugno 1607) è stato un Cardinale italiano e storico della Chiesa..

297) AA. VV. « Le Chatalogue des archevesques et évesques de la cité de Crisopolis, a présent Besançon » in
« Memoires et documents inedits », Besançon 1839. P. 92 : « Mais cette tradition a paru si absurde à BARONIUS, que,
pour sauver l'honneur d'Isidore de Séville, il a corrigé le texte, et a mis, en place des Gaulois, les Galates »

298) AA. VV., « Le Chatalogue des archevesques et évesques de la cité de Crisopolis, a présent Besançon » in
« Memoires et documents inedits », Besançon 1839. p. 91 , « Tel a été autrefois le sentiment des savants auteurs de la
Gaule chrétienne. Ils ont mieux aimé fixer l'époque de l'établissement de la religion dans les Gaules et la fondation
de plusieurs de nos Églises au premier siècle, que de rejeter les traditions de ces Églises, qui prétendent tirer leur
origine des apôtres ou de leurs disciples, ou tout au moins de leurs premiers successeurs. Cependant, il faut le dire,
ces auteurs changèrent d'opinion dans la suite. Ces traditions leur parurent suspectes, parce qu'elles n'étoient
appuyées sur aucune pièce authentique… » ; p. 92 « Un si grand nombre d'autorités imposantes, tendant toutes a
prouver que l'Évangile fut annoncé dans les Gaules dès le l". siècle, me frappe au point que je ne crois pas possible de
révoquer le fait en doute. M'appuyant sur ces autorités, je pense donc qu'il y eut des chrétiens dans plusieurs
parties des Gaules dès le 1". siècle : mais je crois aussi qu'ils y furent ou si peu nombreux, ou tellement
dissémines, qu'ils ne formèrent, pas alors de véritables Églises ; que l'établissement des plus anciennes ne remonte
pas plus haut que le milieu du second siècle, et que le plus grand nombre de celles qui pretendent dater du premier n'ont
point été fondées avant le milieu du troisième, comme je le démontrerai dans le développement de la proposition
suivante….. ISIDORE DE SÉ VILLE assure aussi que St. Philippe, l'un des apôtres, éclaira les Gaulois, ces nations
barbares voisines de la mer, et qu'il les fit surgir heureusement au port. Mais cette tradition a paru si absurde à
BARONIUS, que, pour sauver l'honneur d'ISIDORE DE SÉVILLE, il a corrigé le texte, et a mis, en place des Gaulois, les
Galates. Cependant M. BULLET a fait une dissertation ou il tâche de relever et faire revivre le premier sentiment;
mais je ne crois pas qu'il en soit venu à bout….

143
3) Terza fase: “Leone” fonda la “Setta cristiana valdenses” (IV secolo d. C). Nel 350 d.C.cioé in
un’epoca in cui in cui ebrei e ebrei-cristiani non si distinguono ancora completamente, nasce nelle
nostre vallate la “Setta dei Valdenses”, fondata da Leone contemporaneo di Papa Silvestro (299).
Questo è quanto in due parole, tramanda la tradizione orale circa l’introduzione e la fondazione
della Chiesa cristiana in Valle Po.
Naturalmente la storiografia cattolica ha sempre negato tale eventualità, considerando questo Leone
un perfetto sconosciuto in ambito teologico (300). Monsignor Charvaz nel suo studio sull’origine
dei valdesi considera Leone una favola e ironizza sul fatto che Valdo abbia tratto ispirazione da
questa presunta antica fonte, rimanendo infine contagiato da tale “pestifera setta” (301), ribadisce
quindi l’idea che trattandosi di poveri valligiani ignoranti, i nostri antenati si siano potuti confondere
pensando così che Valdo di Lione e Leone fossero due persone distinte vissute in epoche differenti,
quando in realtà erano la stessa persona.
Giunti a questo punto e constatato che tutto quello che le nostre genti hanno tramandato è stato
travisato e minimizzato facendo leva sul fatto che fossero montanari ignoranti (302), viene da
chiedersi se sia davvero da considerasi sinonimo di cultura asserire che i Laevi furono una tribù
celtica “a sinistra”, oltretutto senza nemmeno aver preso in considerazione il fatto che potessero
essere una tribù israelita; dire che nell’insieme la tradizione orale di circa 15 miloni di persone
(Liguria, Piemonte, Savoia, Provenza) non è una testimonianza e perciò non è un documento;
asserire, dopo aver torturato a morte la gente per farsi dire il nome del fondatore della setta cristiana
valdenses, che Leone non è mai esistito; escludere in ogni modo il passaggio degli apostoli nelle
Alpi e in Savoia anche a costo di contraddire sant’Isidoro di Siviglia e sant’Ireneo.
Ora, dal canto mio penso che i nostri sapesso distinguere tra Leone e Valdo di Lione lo dimostra il
fatto che negli errores ricavati dal tribunale dell’Inquisizione i torturati specificano l’epoca in cui
Leone era vissuto e quando aveva fondato la setta : al tempo di Papa Silvestro, cioè alla metà del IV
secolo.
Possiamo dunque escludere che nelle nostre Alpi, nelle quali si erano insediati gli ebrei della caduta
di Gerusalemme, una parte di loro possa aver adottato il cristianesimo continuando però a seguire
norme e precetti dell’ebraismo?
Forse le Chiese greche e latine non conoscevano Leone perché questi antichi “valdenses” non
intendevano affatto fare proseliti: se erano ebrei (come supponiamo), fedelmente alla loro cultura
non avrebbero mai coinvolto altri all’interno di una questione totalmente ebraica.
Ed ecco quindi la logica conseguenza: il messaggio cristiano giunto in valle probabilmente insieme
ai flussi migratori ebraici in epoca romana, ha coesistito con l’ebraismo preesistente e coevo,
rimanendo chiuso in valle, fino all’epoca in cui Valdo lo trasforma e lo diffonde. Si suppone perciò
che accanto all’ebraismo tradizionale vi fosse un gruppo di ebrei cristiani discepoli di Leone,
vissuto all’epoca di Papa Silvestro.
Il continuo riferisi, da parte della storiografia, alla Chiesa romana come centro del cristianesimo
primitivo, forse è sbagliato. Siamo certi che i cristiani di origine ebraica fossero davvero tutti
daccordo nel fare proseliti pagani? Forse è proprio lì, in questo semplicissimo presupposto, la chiave
del mistero. Chiedersi, come fa ad Monsignor Charvaz, il motivo che spinse Leone a staccarsi dalla
chiesa di Roma benché questa non fosse ancora, a detta dei valdenses, “contaminata” da “idolatria e
“superstizioni” (303), né è una prova.
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299) Charvaz, p. 172: “dice che essi cominciarono da un certo Leone, uomo oltre ogni credere religiosissimo che viveva sotto
Costantino il Grande, primo imperador cristiano…; a p. 312: “ Poiché, se Leone avesse dato l'origine a questa setta al tempo di
Silvestro, ella sarebbe avvenuta quattro secoli prima. Ma perché mai questo Leone si sarebbe separato dalla Chiesa romana nel
secolo IV, se, al dire di Léger il quale in ciò è degnissimo di fede, la Chiesa a questo tempo non era ancora contaminata né da
superstizioni , né da idolatria, né da eresia ?

300) Charvaz, p. 176: se Leone alcuno vi fu a' tempi di s. Silvestro, non dié luogo alla nascita di alcuna setta, e molto meno a
quella dei Valdesi….. la pone tra le favole da ridere, e prova anzi con evidenza, che mai non esistette cotesto Leone ; che ni uno

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istorico ecclesiastico greco né latino il conobbe mai, e che la setta di cui si suppone fondatore lasciò nell' istoria quei vestigi che
lasciano gli avvenimenti che mai non furono , e di cui niuno udì parlare. E così cotesti istorici valdesi i quali non credono né
a Leone, né alla sua separazione, né alla sua setta, né tampoco alla donazione di Costantino, s' accomodano collo spacciar questa
favola nelle dispute loro contro dei cattolici;

301) Charvaz, p. 175: “Valdo , come ognun dice, si appellava ed era cittadino di Lione, d'onde, come dalla sua primiera sorgente ,
trasse il contagio di questa pestifera setta.

302) Charvaz, p. 176: …”cittadino di Lione chiamato Valdo. Costui sotto spezie di voler fondare una nuova religione , persuasi da
prima alcuni semplici e ignoranti « tra uomini e donne , eziandio con false interpretazioni della sacra Scrittura sotto infìnta «
spezie di povertà e di santità pigliò a seminare alcuni errori in questa città e ne' suoi dintorni”…

303) Charvaz a p. 312: “ Poiché, se Leone avesse dato l'origine a questa setta al tempo di Silvestro, ella sarebbe avvenuta quattro
secoli prima. Ma perché mai questo Leone si sarebbe separato dalla Chiesa romana nel secolo IV, se, al dire di Léger il quale
in ciò è degnissimo di fede, la Chiesa a questo tempo non era ancora contaminata né da superstizioni , né da idolatria, né da
eresia ?

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4) Quarta fase: i valdenses di Crissolo danno vita ad una importante scuola teologica (…?sec.-
XI sec.)

Come già accennato, a Paesana non sono documentate (con certezza) chiese fino alla fine del 1200 e
resta misteriosa la data di edificazione della chiesa di Santa Margherita inquanto luogo di sepoltura
di Re Desiderio (re dei Longobardi). Lo stesso mistero aleggia attorno alla fondazione del Santuario
di San Chiaffredo a Crissolo, forse risalente al VI sec., ma di fatto è documentato per la prima volta
al 1375. Per contro sappiamo però che in valle che esistevano le Scuole. Queste, nel medioevo,
erano scuole teologiche.
Apprendiamo infatti che nel XIV secolo, stando allo studio di Don Luigi Destre, Parroco di
Crissolo, i crissolesi possedevano la scuola e questo aspetto congiunto al fatto che nell’XI secolo il
Vescovo di Milano si sia dichiarato “alunno” della “Crissolana gens” lascia spazio a qualche
riflessione.
Pare infatti che sia stato istruito alla scuola di Crissolo un eminente teologo del Medioevo: il
Vescovo Crissolano.
Omero Masnovo nel tentativo di comprendere e delineare la figura di questo personaggio inghiottito
dalla storia ha scritto: “Attorno a Pier Grosolano i documenti scarseggiano e le testimonianze, non
molto numerose, sono talvolta in contraddizione l'una con l'altra….Dove il Grosolano sia nato e
dove abbia atteso agli studi, niuno sa dirci. Alcuni lo ritennero greco o italo-greco.. Il Muratori
congettura che fosse di patria calabrese.. Il Giulini invece ritiene che fosse nativo di Lombardia..
Dello stesso parere è il Savio che lo dice insubro, cioè dell'alta Italia. Se poi domandiamo dove
visse fino alla sua elevazione alvescovado di Savona, ossia sino al suo ingresso nella storia, niuno
sa darci una risposta che soddisfaccia la nostra legittima curiosità”(304).
Siamo alla fine dell’anno 1000 è questa è brevemente la sua storia. Eremita, nominato vescovo di
Savona e successivamente di Milano (305), Crissolano (detto anche Crisolano) e spesso appellato
Grossolano (306) per i suoi modi semplici, fu molto osteggiato nel capoluogo lombardo perché
giudicato trasandato e poco rappresentativo per la prestigiosa cattedra vescovile ambrosiana. Parente
di Matilde di Canossa (307), quindi di nobili ascendenze, Crissolano viveva molto umilmente. Fu
rimproverato dai milanesi per la sua trasandataggine, percepita come un vero disonore per la Chiesa.

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Note:

304) Omero Masnovo, “Pier Grosolano e il suo epitaffio”, in Archivio Storico lombardo, giornale della società storica lombarda, vol.
9, Milano 1922, a p. 2.

305) Omero Masnovo, “Pier Grosolano e il suo epitaffio”, in Archivio Storico lombardo, giornale della società storica lombarda, vol.
9, Milano 1922, a p. 1 : Egli governò la chiesa milanese i dieci anni che scorrono dal 1102 al 1112”..; p. 4: “Grossolano fu
consacrato vescovo di Savona nel 1098”…; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, p. 853: “PietroGrossolano, Parma-Roma 1117. Fu
vescovo di Savona (1098) e arcivescovo di Milano (1102). Fu deposto nell’anno 1112. FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Pier Grosolano
ed il suo epitafio, Milano, Tipografia San Giuseppe, 1922; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 853.

306) G. g. Andres, “Dell’origine, progressi e stato attuale d’ogni letteratura”,- mantova – 1799, p 284: Pietro Crisolano, o come
altri dicono Grossolano, eruditissimo nelle scritture, e versato ugualmente nell'eloquenza greca e nella latina, nato ed allevato nella
Grecia, e diventato poi vescovo di Milano, è forse l'unico greco, che abbia scritto contro la dottrina de' suoi nazionali a favore della
romana … scrisse tre libri su la processione dello Spirito santo, che ci si rendono particolarmente interessanti, per trovarvisi esposti i
sofismi, e i vani ragionamenti di Nicolao metonense, di Giorgio nicomediense, di Niceta tessalonicense, e d'altri greci.

307) Omero Masnovo, “Pier Grosolano e il suo epitaffio”, in Archivio Storico lombardo, giornale della società storica lombarda, vol.
9, Milano 1922, a p. p.12: “Ma chi ben consideri la vita di quest'uomo trova che la stoffa del simoniaco non c'è e trova anche che non
doveva poi essere molto grossolano un consanguineo di Matilde che aveva consuetudini con papi e imperatori”.

146
Dopo varie insistenze e successivamente ai ribrotti del prete Liprando, che gli disse: ” in questa
Città ogni persona civile usa pelli di vaio , di grira, di martora, ed altri ornamenti, e cibi preziosì.
Con questi vostri grossolani abiti vedendovi i forestieri, ne vien disonore a noi altri…”, (308) si
convinse ad assumere comportamenti eleganti, indossare abiti riccamente decorati e cibarsi con
vivande raffinate.
Non passò molto tempo che proprio Liprando, infido personaggio, prese questo pretesto per
sollevare l’opinione pubblica contro di lui a causa degli abiti sfarzosi e il gran tenore di vita: lo
accusò pubblicamente di simonia (che noi oggi chiameremmo “tangenti”, “mazzette”) e Crissolano,
sentendosi innocente, gli chiese di fornire le prove.
Siccome si trattava evidentemente di un’accusa infondata e strumentale a finalità politiche e di
potere, le prove non c’erano. Cosicché Liprando volle dimostrare di aver ragione affrontando la
“prova del fuoco”; una sorta di drammatica pagliacciata che il vescovo osteggiò in tutti i modi.
Richiamata tutta la popolazione di Milano, il prete fece innalzare una enorme catasta di legna, la
incendiò, e vi si lanciò dentro uscendone apparentemente illeso. Questa fu la prova divina, secondo
Liprando e la folla acclamante, che il vescovo era corrotto. Crissolano abbandonò Milano, andò a
Roma dove fu accolto con affetto e stima dal Papa. Nel frattempo tra i milanesi iniziò a farsi strada
l’opinione che Liprando avesse barato, che fosse nel torto avendo nascosto le ustioni procuratesi a
mani e piedi . Ne seguirono tensioni, lotte e uccisioni.
Stimato teologo(309), Crissolano è ricordato nel suo epitaffio quale alunno della “gente Crissolana”
dichiarazione che noi oggi non riusciamo a cogliere nel suo significato profondo ma che doveva
essere importantissima per venir posta sulla tomba allo scopo di nobilitare il defunto a futura
memoria.
Considerato dagli storiografi l’unico “greco” che abbia scritto contro la “dottrina dei suoi nazionali
a favore della romana”(310) su di lui scarseggiano i documenti e le testimonianze. Innanzi tutto non
si sa dove sia nato; c’è chi lo considera lombardo, greco, calabrese, insubro ed è molto strana anche
l’iscrizione sulla sua lapide poiché, tra le altre cose, appare sgrammaticata, come se fosse stata
modificata successivamente. C’è anche chi sostiene, con scarso successo documentario, che fosse
un monaco benedettino, agostiniano o vallambrosano. In particolare sappiamo però che non vi
erano monaci vallabrosani nella diocesi di Savona ai suoi tempi (311). Sulla sua figura aleggia
quindi il mistero.
Questo il testo dell’epigrafe (312):
« Insubrius patriae Chrysolana gentis alumnus
Ambrosiae praesul Relligionis eram
Romana lasso pro te non Itala tantum
Lustrata est omnis Parrhasis ora mihi.
Invidia mors meritum nihil est quod tollis honorem,
Pensata aeternis sunt mea damna bonis”
L’epitaffio posto sulla tomba del prelato nella chiesa di San Sebastiano a Roma, ed oggi
misteriosamente scomparso, fu trascritto in modo talmente sgrammaticato da scatenare interrogativi
e accesi dibattiti tra gli studiosi del secolo XIX. Masnovo giunse infine a questa traduzione: “Io
insubro (lombardo) di Patria, alunno della gente Crisolana, sono stato presule della religione
(Chiesa) ambrosiana”. I versi seguenti, dopo articolati ragionamenti e aggiustature sono stati
interpretati così: “Oh romano, per te io trascorsi senza posa non soltanto l’itala ma pure la greca
contrada. Dopo tanta aspra fatica ecco sopravvenire la morte invidiosa a privarlo della meritata
ricompensa terrena. Solo grande conforto il pensiero della mercede celeste. Di qui il distico finale.
Il danno che tu mi arrechi, o morte invidiosa, è di gran lunga compensato dai beni eterni a cui mi
avvii”.

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Ora, lasciando ai latinisti la problematica grammaticale che forse può essere ricondotta ad una
pessima trascrizione o alla scarsa cultura dei sacerdoti successori di Crissolano artefici
dell’epitaffio, resta il fatto della “gentis crisolana”.
E ci si chiede: perché un personaggio tanto importante anche sul piano internazionale, come
Crissolano, ha voluto essere ricordato a futura memoria quale “allievo gente crissolana”? Di lui
sappiamo che si trovò a Costantinopoli nel 1112, quando vi giunse anche la grande ambasciata della
Chiesa romana e la legazione pontificia ad Alessio Comneno. Non figura il suo nome nella lettera di
accreditamento dei legati trasmessa dal papa all’imperatore, ciononostante agli occhi dei Greci fu lui
il personaggio più importante della missione, per cui il suo nome ha oscurò tutti gli altri; infatti tutti
i discorsi rimastici, pronunciati in quell’occasione, non ricordano altro interlocutore che Pietro
Grosolano arcivescovo di Milano, il quale nei suoi solenni dibattiti con i teologi greci alla presenza
dell’imperatore, del senato e del sinodo, diede vita a uno tra i momenti più vivaci di libellistica
polemica (313).
Uno dei teologi greci presenti alla disputa, Eustrate di Nicea (314), scrisse che alla fine delle accese
discussioni tutti erano ridotti all’afonia mentre Grosolano chiudeva il proprio discorso con queste
parole: “Oh Greco che ti dirò ancora? ... Padre, perdona al greco perché non sa quello che fa”.
Dunque chi fosse Crissolano, da che località dell’Insubria (cioè della Lombardia) venisse, come sia
potuto diventare il teologo romano più importante agli occhi dei teologi greci, dove avesse studiato,
a quale ordine monastico appartenesse, come sia potuto scomparire dalla storia, per ora nessuno lo
sa.
Gli studiosi si sono chiesti in mille modi dove fosse la “scuola crissolana” presso la quale il vescovo
ambrosiano aveva studiato. Alla fine si sono convinti che l’unico toponimo verosimilmente calzante
potrebbe essere solamente Crissolo(315), inquanto nessun altra località avente come base Chrysos,
che in greco significa Oro, per svariate ragioni può essere adeguata al nostro caso(316). Del resto i
legami del nostro territorio con la Grecia li conosciamo: sappiamo che Susa, la nostra Susa, fino
all’invasione Longobarda fu una città Greca (317) e quindi anche Crissolo, visto che è
inequivocabilmente un toponimo greco.
Perciò, stando alle analisi degli storici, nessuna Chrysopolis, e tra queste né Parma (l’antica
Chrysopolis), né Briançon con le sue miniere d’oro anch’essa chiamata Chrysopolis,
corrisponderebbero al luogo della Gens Crisolana (318) menzionata nell’epigrafe, poiché in tutti i
casi ne sarebbe derivato l’appellativo Gens Crisopolitana: il nostro vescovo si sarebbe quindi
chiamato Crisopolitano e non Crisolano. L’unico toponimo corrispondente è dunque Crissolo=
Crisolano. Ecco quindi che gli studiosi , non potendo comprendere come un luogo di così grande
cultura possa aver corrisposto ad un paesino sconosciuto e sperduto sulle Alpi, hanno dato sfogo ad
una serie incalzante di domande: “Chi è insomma questa Crysolana gens? Crisolano dovette tener
molto a passare anche in vita per alunno crisolano se, morto, volle ricordata sulla sua tomba
questa sua qualità. Per qual ragione? Per dirci che aveva attinto alle più pure fonti del sapere di
allora? Chi era pertanto questa gens Crysolana? Quest’aurea gente chi è?” (319).
Beh, nessuno ha la risposta, però se come supponiamo in Valle Po c’erano i Levi e successivamente
passarono gli Apostoli, il fatto che Crisolano si vantasse di essersi istruito nella nostra valle, cioè
“alle più pure fonti del sapere di allora”, non dovrebbe stupire molto.
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Note:

308) A. Muratori “Annali d’Italia ed altre opere varie”, 1838, p. 159 ; Egli era vescovo di Savona, uomo assai dotto, sapea predicare
al popolo, e nell'esteriore affettava grande mortificazione, sommo sprezzo del mondo, usando vesti grosse e plebee , e cibi vili dopo
molta astinenza. Un dì quel prete Liprando, a cui gli Scismatici aveano tagliato il naso e gli orecchi, persona di gran credito non
meno nella sua patria che in Roma stessa, l'esorto a cavarsi di dosso quel sì orrido mantello, e a prenderne uno più
conveniente…. ne vien disonore a noi altri.

309) D. Martuscelli, N. Morelli di Gregorio, P. Panvini, “Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli”, Napoli 1825, a p. 63:
“Nell’undicesimo secolo venne alla luce Pietro Crisolao, Uomo insigne per Greca e per Latina eloquenza il quale scrisse un’opera del
procedimento dello Spirito Santo, e fu poscia Vescovo di Savona, quindi Arcivescovo di Milano”: A. Amelli, “Due sermoni inediti di

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Pietro Grosolano”, 1933 (Fontes Ambrosiani, VI), pp. 14-35; A. Demetrakopoulos, Ekklesiastie Biblioteke, I, Lepzig 1866, pp. 37-
127.

310) D. Martuscelli, N. Morelli di Gregorio, P. Panvini, “Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli”, Napoli 1825, a p.
…sulla figura di Pietro Crisolao, l’abate benedettino, e occultista, tedesco Giovanni Tritemio, vissuto tra il 1462 e il 1516), scrive :
Joh. Trithemius, De scriptoribus ecclesiasticis, in Fahricii Biblioteca Ecclesiastica, T. 397 scrive: « Crisolanus, vir in divinis scrip
turis eruditissimus et in secuiaribus literis doctus, graeca et latina eloquentia insignis, edidit quaedam magnae auctoritatis
opuscula,quibus nomen suum ad notitiam posteritatis cum gloria transmisit, de quibus ad manus nostras nuum pervenit. Fertur eius de
Spiritu Sancto contra graecos lib. 1, de Sancta Trinitate lib. 1. Epistolae, sermones, et alii diversi tractatus qui mihi incogniti sunt ».
Questo brano del Tritemio è riprodotto alla lettera dal Baronio, negli Annali Ucclesiasticij al termine dell'anno 1116.

311) Omero Masnovo, “Pier Grosolano e il suo epitaffio”, in Archivio Storico lombardo, giornale della società storica lombarda, vol.
9, Milano 1922, a p.2-3 : “Forse trascorse la giovinezza e la virilità in qualche monastero, poiché pare fosse monaco
vallombrosano….sennonchè questa ipotesi è smentita dal fatto che a Ferrania, luogo posto nel territorio di Cairo Monte notte, tra
Acqui e Savona, non v'erano a quel tempo i vallombrosani, né sembra vi fossero in seguito . E allora in che qualità poteva
esservi Grosolano? Da un documento in data 21 gennaio 1090 pubblicato dal Moriondo {Monumenta Aquensia, Torino 1790, Voi. II,
col. 311) e ricordato dal Savio {loc. cit.) Grosolano vi apparirebbe prevosto della Chiesa dei Beati Apostoli Pietro e Paolo. Qualunque
sia il valore di questo documento, è certo che nel 1099 doveva già essersi ritirato a vita eremitica se i legati milanesi lo trovarono in
«n bosco dei dintorni. Dove forse vennero indirizzati dai cittadini Savonesi, ai quali doveva esser nota la sapienza e la santità
dell'eremita. Non mancano però autorevoli scrittori, come il Della Chiesa e il Mabillon, a sostenere, contro il Savio, che ad
amministrare da principio la parrocchia di Ferrania furono chiamati verso la fine del secolo XI i benedettini. Il Casalis parla invece di
canonici agostiniani, in numero di sei, che avevano come preposto Pier Grosolano (Casalis, op. cit. pag. 291).

312) Omero Masnovo, “Pier Grosolano e il suo epitaffio”, in Archivio Storico lombardo, giornale della società storica
lombarda, vol. 9, Milano 1922, a p. 20.

313) su internet: Cesare Alzati “Chiesa Ambrosiana, mondo cristiano-greco e spedizioni in Oriente”, atti del Congresso
Internazionale del IX centenario dalla I Crociata, Bari 1999: “NelGrosolano, al cui nome nei documenti relativi al suo soggiorno
costantinopolitano s’affianca quello di Pietro, non era milanese. Uomo di notevole cultura, conoscitore della lingua greca, di alcune
sue composizioni Era dunque estraneo alla scientia Ambrosiana, come ben mostra anche il suo ricordato atteggiamento nei
confrontidelle vesti ecclesiastiche in uso a Milano. Egli si trovò a Costantinopoli nel 1112, quando vi giunse anche la grande
ambasciata del popolo romano e la legazione pontificia …. ”agli occhi dei Greci era il personaggio più importante della missione,
percui il suo nome ha oscurato tutti gli altri; infatti tutti i discorsi rimastici, pronunciati in quell’occasione, non ricordano altro
interlocutore che Pietro Grosolano arcivescovo di Milano …Pietro Grosolano, nei suoi solenni dibattiti con i teologi greci alla
presenza dell’imperatore, del senato e del sinodo, non seppe che contrapporsi violentemente ai suoi interlocutori, dando vita a uno
tra i momenti più vivaci di libellistica polemica.

314) A. Demetrakopoulos, Ekklesiastie Biblioteke, I, Lepzig 1866, pp. 62.

315) Omero Masnovo, “Pier Grosolano e il suo epitaffio”, in Archivio Storico lombardo, giornale della società storica lombarda, vol.
9, Milano 1922, a p. 22 :A meno che non si voglia intendere per Crixolana gens la popolazione di Crixolum o Crixoluim o
Crixolum, nome antico di Crissolo, comune della provincia di Cuneo…

316) L. A. Muratori, “Dissertazioni sopra le antichità italiane”, Società tipografica dei classici italiani, 5 voll., Milano 1837: II
Crociuolo. In Modenese e Spagnuolo, Crisol o Grisol. Si sente in questa voce Chrysos, significante Oro. Forse perché qui vi si
squaglia l’oro?”; B. Zucchelli “Chrysopolis. Una problematica denominazione di Parma , p. 21: “Possiamo a questo punto tirare
le somme. Le ipotesi interpretative del toponimo appaiono incerte: e infatti per quasi tutte le località che portano il nome di Crisopoli
sono possibili spiegazioni molteplici. Tra le più condivise v’è quella che presuppone un accumulo di denaro proveniente da imposte o
dazi (Crisopoli della Bitinia, Fordongianus) oppure di oro ricavato dalle vicine miniere (ancora Crisopoli della Bitinia, Apulum,
Besançon). Si è anche pensato molto spesso ad un’origine metaforica del nome, che alluderebbe all’eccellenza del sito. Anche per
Parma sono state tentate analoghe spiegazioni.

317) Jacopo Durandi “Notiza dell’antico piemonte transpadano”, Torino 1803 p. 2: “ Susa, anche alcun anno dappoi l’ invasione de'
Longobardi, è stata in questa regione l'ultima città perduta dal Greco imperio.

318) Bruno Zucchelli “Chrysopolis. Una problematica denominazione di Parma , p. 21: “Si possono infine menzionare due località che
ebbero tra la fine dell’impero romano e i primi secoli del medioevo il nome Crisopoli. L’una è Besançon, l’antica Vesontio, per la
quale troviamo la prima testimonianza in una lezione di alcuni codici della Notitia Galliarum, in un documento che risale al 400 d. C.
circa…si legge: civitas Crisopolinorum hoc est Vesontiensium …..trova in ogni caso conferma in diversi scritti medievali nei quali
la città appare nuovamente come Chrysopolis. I tentativi di spiegazione del nome in questo caso non si contano e fanno riferimento
alle circostanze più diverse: si va dalla presenza di granelli d’oro nella sabbia del fiume Doubs, che bagna Besançon, alle miniere
d’oro, all’eccellenza della città per posizione e ricchezza, all’assonanza di Besançon con Bisanzio di cui Crisopoli era un
sobborgo e ad altro ancora. L’ipotesi che riscuote maggiori consensi è tuttavia quella che presuppone un gioco di parole in cui
Besançon è intesa come besan sum “sono una moneta d’oro”. Il besant (in ital. bisante) era infatti la moneta d’oro (originariamente
quella di Bisanzio, giunta alla corte carolingia).

149
Di poco posteriore è l’altra attestazione del nome Crisopoli, riferito questa volta ad una località della Sardegna. Lo leggiamo
presso i geografi bizantini Ierocle e Giorgio Ciprio, vissuti tra il VI sec. e la prima parte del VII…”; B. Zucchelli “Chrysopolis. Una
problematica denominazione di Parma” [Edito a stampa in «Archivio storico per le province parmensi» ser. IV, LVII (2005), pp. 333-
360. Distribuito in formato digitale da Itinerari Medievali] a p. 7: …” Egli immaginava che il Grosolano…avesse frequentato la
celebre scuola di Parma, della quale l’epitaffio lo vanterebbe alunno. In realtà Chrysolanus non puo` essere l’equivalente di
Chrysopolitanus (o Chrysopolinus) e l’espressione si riferisce semplicemente al suo nobile casato: “discendente dalla stirpe
Grosolana”…La forma Grysolanus o Grisolanus invece di Grosolanus compare anche altrove e la grecizzazione del nome si può
forse spiegare con i rapporti che l’arcivescovo ebbe con Costantinopoli, ove sappiamo che si recò per una probabile missione religiosa
e diplomatica.
Analoghe considerazioni si possono fare per il nome Grixopolus attribuito ad uno dei pittori del Battistero di Parma che è venuto alla
ribalta in occasione dei recenti restauri. Ma nemmeno Grixopolus può interpretarsi, com’è stato….

319) Omero Masnovo, “Pier Grosolano e il suo epitaffio”, in Archivio Storico lombardo, giornale della società storica lombarda, vol.
9, Milano 1922, a p. 22: “ Chi è insomma questa Crysolana gens?...“Allora é da pensare che la Crysolana Gens ci richiami ad
una cittadinanza, in mezzo alla quale Gresolano fu allevato…E`indubitato che Grosolano dovette tener molto a passare anche in
vita per alunno crisolano se, morto, volle ricordata sulla sua tomba questa sua qualità. Per qual ragione? Per dirci che aveva
attinto alle più pure fonti del sapere di allora”; a p. 23: “Adunque l’insubro Grosolano come ci indica la terra che vide la sua
infanzia e la chiesa retta dalla sua virilità, così anche ci indica la gente o cittadinanza in mezzo a cui trascorse la sua adolescenza
studiosa. Chi era pertanto questa gens Crysolana? Quest’aurea gente chi è?”…p. 25: “Ma come intendere ragionevolmente la
parola alumnus? Che cosa il Gosolano poteva aver imparato fra i monti e le foreste di Crissolo?”.

---0----

150
5)Quinta fase: “Valdo” s’innesta sul “valdismo” e lo diffonde. Nel XII secolo un ricco mercante
di Lione (che avrebbe potuto anche essere ebreo perché nulla ci dice con certezza che fosse in
precedenza cattolico o cristiano) si converte alla religione dei “valdenses” e inizia a diffonderla
ovunque, anche attraverso la sua traduzione e pubblicazione della Bibbia in Volgare (320). Del resto
che il Valdismo esistesse già prima di Valdo è palese.
Nel riassumere le dottrine eterodosse di Pietro di Bruis, nato nelle Hautes- Alpes (forse in un
villaggio di Rosans) e messo al rogo nel 1113 nei dintorni di St.Gilles, al quale Emilio Tron, storico
valdese nel 1935 attribuiva la paternità del movimento valdese contestando la paternità a Valdo,
sappiamo da Pietro il Venerabile che questi aveva propagato idee contro il battesimo, le pratiche per
i defunti, i luoghi sacri, la croce, l’eucarestia e la liturgia. La sua radicalità dottrinale avrebbe
prodotto violenti disordini popolari contro i sacerdoti e gli oggetti di culto: “genti furono
ribattezzate,chiese profanate, altari divelti,croci date alle fiamme, carni mangiate pubblicamente il
giorno della Passione del Signore, sacerdoti percossi, monaci incatenati e monaci costretti a prender
moglie con minacce e tormenti”. (321)
Sempre riguardo all’eresia di Pietro di Bruis, Pietro il Venerabile (322) riferisce che questa fu
repressa nella Provincia di Septimania seu Alpium Marittimae, (cioè Embrun, Die e Gap) laddove
si era inizialmente sviluppata, per trasferirsi e propagarsi nelle regioni contigue raggiungendo la
Guascogna (323).
Grandi studiosi come Grado Merlo scrivono infatti: “….rimangono senza risposta una serie di
domande: quando si diffonde l’eresia nelle Alpi Occidentali? Essa nasce in ambiente montano
locale o è importata dall’esterno e da chi? Quali i caratteri originari e quali le modificazioni
successive? l’ipotesi di un rapporto con Pietro di Bruis, prima che con i seguaci di Valdo è proprio
cervellotica?” (324).
Grado Merlo, nell’intuire radici profonde del fenomeno ereticale valligiano scrivendo: “Tra le
montagne del Delfinato…agli inizi del XII secolo nasce un’eresia il cui respiro non è
esclusivamente locale: un’ eresia capace di trovare udienza in mezzo agli uomini delle città……”.
Quindi “nasce”, non viene importata!
Stando alla nostra ipotesi, l’eresia valdenses nata dall’ “ebraismo” e non dal cristianesimo
spiegherebbe il perché di una radicalizzazione omogenea e fortissima in tutto l’arco alpino di una
corrente “ereticale” portatrice di principi dottrinali univoci e coerenti indipendentemente dai nomi
che l’inquisizione le ha attribuito nel corso dei secoli.
Il fatto che questi eretici delle Alpi vengano definiti Petrobrusiani o Valdenses o successivamente
Valdesi, sotto il profilo dottrinale risulta un dettaglio irrilevante poiché il “ritornello” è
inconfutabilmente sempre lo stesso: negano il battesimo, l’eucarestia, il culto dei morti, la croce, la
venerazione della Madonna e dei santi, la liturgia ecc. Probabilmente le correnti “valdenses” fondate
da Leonas, Pietro Bruis e successivamente Valdo non sono altro che le ramificazioni di una
medesima matrice. Questa matrice, verosimilmente, non è il cattolicesimo romano e forse nemmeno
il cristianesimo, ma proprio l’ebraismo tout-court.
Stando a questo ragionamento, la presunta origine israelitica dei “valdenses” spiegherebbe, ad
esempio, il perché di quell’ “intellettualizzazione talmudica” e “non rituale” del pensiero dei
“Barba” paesanesi; nonché la loro visione teologica, messianica, sociale, così come l’assoluto
rifiuto dell’eucarestia e dei sacramenti. E si riuscirebbe a comprendere meglio anche la
preoccupazione, di Papa Alessandro V, che nella sua Bolla denuncia con apprensione la nascita di
“nuove sette” nelle quali convergono ebrei e cristiani (o forse, più probabilmente ebrei e “giudeo-
cristiani”). Il fatto preoccupante per il clero è infatti che queste “sette” sono colte e portatrici di una
visione del mondo assolutamente “rivoluzionaria”. All’avanguardia per il pensiero attuale (ad
esempio é solo da pochi anni che le Chiese Riformate hanno istituito il sacerdozio femminile, per
non parlare poi della pena di morte che tuttora è presente anche in Occidente, e di quello strano
ideale “socialistoide”, ecc.) figuriamoci come queste antiche idee dei “valdenses”, diffusesi

151
moltissimo in epoca medievale, potevano essere percepite dal pensiero feudale e, più in generale,
dalla cultura europea dei secoli XIV-XVI!
Sta di fatto, comunque che il valdismo sicuramente precede Valdo poiché Marauda, colonnello dei
valdesi nel Tableau du Piémont sous le régime des Roi scrive “ la dottrina dei Valdesi è tanto antica,
che il concilio di Vercelli già la proscriveva nel X secolo e quello di Tours, anno 1167, dichiarò
“damnata Haeresi Valdensium” (325)

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Note:

320) Merlo Valdesi e Valdismi…op. cit. p. 32-33


321) Petri Venerabilis, Contra Petrobrusianos eretico, a cura di J. Fearns, Turnholdi, 1968, p.7
322) Merlo Valdesi Valdismi, op. cit. p 33
323) Grado Merlo Valdesi e Valdismi medievali p.31
324) Merlo Valdesi, valdismo, p.35.
225) Charvaz, op. cit., p. 271

152
Conclusioni:

Successivamente a Valdo si verificano i fatti che abbiamo già ampiamente trattato nei capitoli
iniziali, congiuntamente all’accoglienza di perseguitati e marrani in fuga da Francia, Provenza,
Portogallo, Spagna.

Sappiamo con sicurezza che i nostri antenati valdenses, non facevano proseliti, ovvero non
predicavano ad estranei i loro principi e le loro credenze al fine di convertirli (326); inoltre non
cercavano il potere, i soldi e la fama.
Infatti, fu proprio a causa dell’inusuale predicazione (iniziata nel 1555) dei Valdesi di Valdo che
tutti i valdenses furono perseguitati; probabilmente se avessero continuato a mantenersi nell’ombra,
forse l’inquisizione non avrebbe agito come ha agito.
Monsignor Charvaz a questo proposito ci fa sapere che la “setta dei Valdenses” non ebbe culto
esterno fino al 1555 cosicché nessuno sa chi fossero i Ministri. Dice anche che la setta contava solo
poche migliaia di fedeli (327).

Queste frasi del Vescovo sono importanti perché ci dicono alcune cose molto significative dalle
quali scaturiscono le seguenti domande:

1) I valdenses erano poche migliaia di fedeli, non facevano proseliti? Chi normalmente non fa
proseliti? Sappiamo che cristiani fanno proseliti, i mussulmani fanno proseliti ..., sono solo
gli ebrei che non vanno in cerca di discepoli e conversioni…

2) E ancora: se i Valdenses non facevano proseliti che tipo di cristiani erano? Quali cristiani
avrebbero evitato la predicazione ad “estranei”?

3) Tale stranezza comportamentale potrebbe ricondurre ad una chiesa giudeo-cristiana?

4) Perché non c’erano Ministri di Culto? Non si conoscono i nomi dei Ministri perché,
probabilmente, tutti gli uomini erano Ministri ?

Refrattaria alla divulgazione del proprio Credo ma al contempo disponibile all’accoglienza dei
perseguitati e marrani, la Valle Po riuscì con intelligenza e diplomazia a ribaltare il rapporto di
potere con Chiesa e Marchesato e ad imporsi evitando stragi.
Questo accadde anche quando una parte dei paesanesi si alleò con i Calvinisti cercando di
sottomettere alla Riforma la popolazione di tutta la Valle che, dal canto suo, non era invece per
niente d’accordo con tale soluzione né sotto il profilo teologico, né comportamentale (poiché lo
stesso Calvino mandò al rogo molta gente, esattamente come i cattolici!).
Il comportamento dei Valdesi di Valdo, nella nostra tradizione orale, veniva mal giudicato e
disprezzato, perché ingiusto e molto violento al pari degli inquisitori cattolici.
Del resto, autorevoli testimonianze scritte comprovano queste voci. Una di queste proviene da
Alberto Ferrero Della Marmora , il quale dice che nel 1690 i Valdesi regolarono una loro vittoria “in

153
modo poco degno di gente umana e religiosa”, anzi, infierirono sui feriti: “al modo turco,
troncarono il capo ai nemici morti o feriti, e li inficcarono tutti sanguinolenti sull.e punte delle
loro palizzate” (238).
Nel leggere questo giudizio dobbiamo tener conto che Alberto Ferrero della Maromora non era un
damerino di Corte svenevole e cicisbeo, bensì un Generale dell’Esercito Sabaudo, ben esercitato
nelle guerre. Perciò quando un uomo come lui, abituato alle battaglie e ai combattimenti cruenti,
esprime un parere totalmente negativo in merito al comportamento crudele dei soldati valdesi, si
può pensare che qualcosa nei valdesi realmente non funzionasse.
Ecco quindi che, conoscendo la mentalità della Valle Po, e avendo letto tutto il possibile su queste
vicende, credo che i nostri antenati alla fine abbiano pensato: “numa già basta de stì si che sun già
mat…figürte mac se anduma a bütese cun cui là che sun mat cò lur…(ne abbiamo gia abbastanza di
questi qua che sono già matti (i cattolici)… figurati se andiamo a metterci con quelli là sono matti
anche loro ( i calvinisti)”…
Quindi: “Andé tüti via da sì (andate tutti via da qui)…lasene stée tranquii, che niautri stuma bin
parey”…(lasciate stare in pace, che noi stiamo bene così come siamo).

Dopo lotte e battaglie alcuni barbet filo-riformati se ne andarono e gli altri rimasero, convertendosi
al cattolicesimo“a modo loro”.
Fu così che tutti gli abitanti di Paesana finirono col rendersi marrani, cercando di evitare stragi e
coesistendo pacificamente, sebbene in modo un po’ anarchico, con la supremazia cattolica.

…..E il resto siamo noi!

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Note:

236) Charvaz, op. cit. p 350: “ Volgasi un' altra volta gli occhi alla supplica che verso l'anno 1585 presentarono a Carlo
Emanuele I, e si vedrà che eglino stessi espongono e confessano che il culto loro solo da trent' anni era pubblico
divenuto. Che anzi convenne che si appigliassero ad un consiglio ardito, dicono eglino, per tentar questa novità. Segreti
convegni, notturni assembramenti dapprima soltanto aveano avuto, né però libertà di sorta.Or quest' è cosa tanto
conosciuta che i più antichi istorici loro mai non dubitarono di convenirne. Gilles concorda in ciò con l'autore della
Memorabile istoria delle loro persecuzioni, la cui narrazione non dee a chicchessia parer sospetta. «L'anno 1555 (dice
quest'istorico), « sull' entrar dell' agosto , la sincera dottrina « dell' Evangelio pubblicamente si cominciò a «
predicare presso gli Angrognini. …. « tanta fu la moltitudine che d'ogni parte traeva, che fu necessario le prediche
fare in palese e innanzi agli occhi di tutti”.

237) Charvaz, op. cit. p. 350 “In sostanza poi chi può tener le risa reggendo come questi scrittori si travaglino per darci
ad intendere che una setta oscura sia la vera Chiesa da Cristo fondata; una setta, dico, rinchiusa da alcuni secoli in
cantucci di anguste valli, della quale per poco niuno avrebbe mai udito ragionare , se non fosse stato delle sue
turbolenze e ribellioni? Non è egli ridicolo il loro voler ad ogni modo pretendere che sia la Chiesa propagata dagli
apostoli, una setta i cui difensori stessi confessano anche a' nostri dì, che molti uomini religiosi dubitano della esistenza
di lei (t); una setta la quale non ebbe culto esterno, ne ministri conosciuti e giurati, se non se dopo il 1555, o dopo il
1488, se si vuole risalire insino alle prime menzioni che di questi ministri si fanno; una setta che per niun modo fu dal
mondo conosciuta prima della metà del XII secolo, e che da più di quattro secoli annovera pochi migliaia di
partigiani ?”

154
238) Alberto Ferrero della Marmora “Notizie sulla vita e sulle gesta militari di Emilio S. Martino di Parella”, Torino,
1863, p. 148: 2 maggio 1690…“Non dobbiamo però tacere che i Valdesi si regolarono dopo quella vittoria in modo
poco degno di gente umana e religiosa, come si davano vanto di essere; avvegnachè l'indomani stesso di quella
carnificina, essi, al modo turco, troncarono il capo ai nemici morti o feriti, e li inficcarono tutti sanguinolenti
sull.e punte delle loro palizzate. Giunse, egli è vero, dal campo francese un chirurgo per medicare il Tenente
Colonnello di Paral; ma questo infelice uffiziale era riservato alla stessa sorte dei due sergenti, come si vedrà qui
appresso”; a p. 155…..il 14 maggio….I Valdesi nel ritirarsi compirono un'atto di ferocia analogo a quello da loro
usato contro i miseri sergenti che si erano sacrificati per non abbandonare il loro capo, il signor di Parat; essi
trucidarono freddamente questo stesso ufficiale prigioniero. Un sì barbaro caso…”.

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