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Il Sole 24 Ore 08 Ottobre 2003 La vera molla per fare ripartire lo sviluppo sta nella definizione di nuovi orizzonti

politici, capaci di offrire ai cittadini traguardi credibili e condivisi - Globalizzazione come opportunit da sfruttare

Europa, pi fiducia per la crescita


Di Corrado Passera In Europa dobbiamo crescere di pi e possiamo crescere di pi. Con gli attuali livelli di crescita non solo a rischio il nostro benessere e diventa pi difficile realizzare le riforme strutturali delle quali abbiamo bisogno, ma sono a rischio conquiste fondamentali: sanit, istruzione, previdenza. Conquiste alle quali molti Paesi fuori dall'Europa devono ancora arrivare. Il declino europeo non inevitabile. La "vecchia" Europa non obbligata a subire i trend economici e geopolitici, ma pu avvantaggiarsi dei grandi cambiamenti in atto, di cui spesso un motore. L'Europa non arrivata n tardi n impreparata alla globalizzazione. Siamo una potenza commerciale senza pari, con scambi di circa 2.500 miliardi di euro, quasi pari alla somma di Stati Uniti e Sud-Est asiatico. Non ci mancano capitali, tecnologia, intelligenza, imprenditorialit. Abbiamo dimostrato anche negli ultimi anni che quando ci impegniamo in un settore per esempio tic, aviazione commerciale, farmaceutica diventiamo campioni del mondo. Abbiamo grandissime imprese, ma anche una struttura di PMI eccezionale e ineguagliata, che crea occupazione e valore. Reagire al declino. L'Europa certamente pi complessa della somma delle sue imprese. Ma dalla mia esperienza di capo azienda ho imparato che c' sempre una strada per riattivare la crescita, innovando con coraggio e creativit. Ci sono grandi spazi di crescita e di sviluppo sia all'interno dell'Europa dei Quindici, sia nei Paesi che parteciperanno all'allargamento, sia nelle aree limitrofe (il Mediterraneo in particolare), sia nelle nuove grandi aree di sviluppo del mondo. La modernizzazione delle nostre reti infrastrutturali una grande opportunit. I Paesi dell'allargamento hanno un forte desiderio di crescita. Con l'Europa, i Paesi della sponda sud del Mediterraneo hanno un'intera storia di relazioni commerciali e culturali. Nelle grandi aree di sviluppo mondiale tutta la gamma delle aziende europee, dalle grandissime alle piccole, sta investendo. D'altra parte, l'Europa

gi la destinazione di un consistente flusso di investimenti esteri. Sappiamo anche ci che dovremmo fare e ce lo ripetiamo da Lisbona e, ancor prima, dal Libro Bianco del presidente Delors: puntare sull'innovazione recuperando il gap di ricerca con gli Stati Uniti e investendo in istruzione e formazione; puntare sulla produttivit investendo in tecnologie e infrastrutture, eliminando rigidit e aprendo mercati ancora chiusi alla concorrenza; ammodernare senza indebolire i nostri sistemi di Welfare, eliminando sprechi e disparit; introdurre nel nostro sistema sociale pi opportunit, pi mobilit, pi meritocrazia; alzare in molti Paesi l'efficienza delle Pubbliche amministrazioni, portandola al livello dei migliori Stati europei. Negli ultimi anni molti passi sono stati fatti, come dimostrano gli oltre 12 milioni di posti di lavoro creati in Europa dal 1995 al 2002. Le recenti proposte di Chirac, Schroder e del ministro Tremonti vogliono dare impulso alla crescita. La Commissione Europea guidata da Prodi sta ponendo il tema di come fare del bilancio comunitario uno strumento pi orientato alla crescita. Rilanciare la crescita Perch allora da alcuni anni non cresciamo come nelle nostre possibilit? Perch agli obiettivi non fanno sempre seguito le azioni? Di ragioni ce ne sono tante, ma una sta alla radice di tutte: perch manca la fiducia. E futuro ci appare fonte di rischi pi che di opportunit, stiamo dimenticando le forze di cui disponiamo siamo bloccati dalle nostre differenze e specificit, che invece se valorizzate possono essere font di energia positiva. La fiducia viene anche dall'economia, ma la ripresa americana non sar sufficiente a innescarla. La fiducia in momenti come questi viene soprattutto dalla Politica con la "P" maiuscola. Per crescere di pi ci serve pi Europa, non meno Europa. L'Europa non ha esaurito il suo potenziale di integrazione economica: basta pensare al suo mercato interno. Molti progetti diventano pi facili da realizzare in contesto europeo, piuttosto che nel rapporto fra singoli Stati. Non abbiamo ancora deciso fino in fondo che ruolo vogliamo giocare nella nuova divisione del lavoro mondiale. Rincorrere al ribasso i nuovi concorrenti impossibile, oltre che stupido, perch metterebbe a rischio il Welfare, che e deve rimanere un vantaggio competitivo di lungo periodo. Non sappiamo ancora fare al meglio politica economica settoriale a livello europeo. Come ha notato il commissario Monti, le attuali azioni contro l'intervento dello Stato nella politica economica potrebbero essere mitigate se avessimo gi un'Unione stretta, con un bilancio federale sostanzioso sul modello statunitense. Si potrebbe fare una politica industriale comunitaria anche a favore di aziende strategiche in difficolt senza turbare la

concorrenza fra singoli Stati. In questa mancanza di idee forti ci facciamo male per seguire in modo meccanico un Patto di Stabilit nato in momenti di boom economico. Il potenziale europeo. L'Europa sta sfruttando solo in piccola parte il proprio potenziale politico, enormemente pi ampio di quello dei singoli Paesi. Peso politico vuol dire influenza e crescita. Nel processo di globalizzazione che stata inventata e avviata dall'Europa vogliamo lasciare decidere tutto agli Usa o aspettare che il G21 diventi cos forte da dirci cosa possiamo fare o non fare? Il fallimento di Cancun della responsabilit nostra. I nostri concorrenti sono pi convinti di noi della possibilit dell'Europa di diventare anche una potenza politica: basi leggere il Weekly Standard di tre settimane fa: Contro l'Europa Unita. Probabilmente non nell'interesse europeo. Certamente non nell'interesse americano. L'Europa non ha nemmeno iniziato a sfruttare il suo potenziale di forza militare di pace, e questo potenziale disponibile solo se sar politica militare europea e non di singoli Stati. Il settore militare un catalizzatore di ricerca e sviluppo. Certo, non solo una decisione di politica economica. Dovremo avere un'opinione europea sulle grandi questioni geopolitiche nel rispetto delle organizzazioni internazionali e dei diritti universali e dovremo avere l'energia per far valere il nostro punto di vista. Il rispetto lo si conquista anche con decisioni che comportano rischi. L'attivit militare nel futuro sar soprattutto peace keeping: chi meglio dell'Europa ha l'esperienza, la conoscenza, anche le "cicatrici sulla pelle" per gli errori compiuti, per dimostrare che l'occidente pi capace di quanto oggi appare in Afghanistan o in Irak? O nel conflitto Israele - Palestina? Pi Europa non significa certo essere antiamericani. Dalla collaborazione alla pari tra Europa e Stati Uniti potranno venire solo vantaggi al processo di globalizzazione, alla difesa della pace, alla diffusione della democrazia. Abbiamo davanti noi sfide culturali colossali: integrazione degli immigrati e societ multietnica, invecchiamento, dialogo tra civilt e religioni, democrazia sovranazionale. Sono tutti temi che, se non risolti, bloccano lo sviluppo mentre possono aprire, se risolti, opportunit illimitate di migliore qualit della vita. La fiducia che porta alla crescita viene anche dalla coscienza dei problemi e dalla volont di volerli affrontare. Molte soluzioni devono essere ancora inventate. Ma se da qualche parte del mondo tali soluzioni possono essere trovate, quel luogo l'Europa. La Costituzione europea un altro tassello importante di questa costruzione, verso quella identit europea che ancora ci manca.

Una nuova politica. La crescita economica sempre meno un fatto puramente economico. La vera molla che potr far ripartile la crescita sar soprattutto la politica - la grande politica della quale si vedono per ora pochi esempi. La politica che sa individuare nuovi traguardi, che sa elaborare piani credibili per raggiungerli e che sa condividerli con tutte le parti sociali. La politica che chiede anche sacrifici, ma che sa dimostrare il ritorno che pu derivare a tutti da tali sacrifici. La politica che sa difendere gli interessi legittimi, ma non si fa condizionare dalle lobby. La politica che considera le statistiche economiche non come il vincolo alla propria azione ma come la misura del proprio operato. Questa politica ha bisogno di leader competenti, coraggiosi e creativi, ma ha bisogno soprattutto di una classe dirigente impegnata ciascuno al suo posto, con la coscienza che la crescita responsabilit di tutti e che solo facendo squadra si ricrea la fiducia. Le squadre nazionali non bastano pi. La sfida che ci aspetta come classi dirigenti di creare la "squadra delle squadre", cio una classe dirigente europea con forti valori condivisi. Ci vuole un grande impegno, ma tutti insieme possiamo smentire il titolo che compariva sul Financial Times di qualche giorno fa: L'Europa il passato, gli Stati Uniti sono il presente e un'Asia dominata dalla Cina il futuro.

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