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Canto I Dante e Virgilio, usciti dalla voragine infernale attraverso la natural burella, si trovano sulla spiaggia di un'isola situata

nell'emisfero antartico, nella quale si innalza la montagna del purgatorio. Inizia il secondo momento del viaggio di Dante nell'oltretomba, durante il quale argomento del suo canto sar la purificazione delle anime prima di salire in paradiso: necessaria perci la protezione delle Muse, che egli invoca prima che la sua poesia afronti il tema dell'ascesa alla beatitudine eterna. L'alba prossima e i due pellegrini procedono in un'atmosfera ormai limpida e serena; dove brillano le luci delle quattro stelle che furono viste solo da Adamo ed Eva prima che fossero cacciati dal paradiso terrestre, situato per Dante sulla vetta del monte del purgatorio. Volgendo lo sguardo verso il polo artico Dante scorge accanto a s la figura maestosa di un vecchio: Catone Uticense, che Dio scelse a custode del purgatorio. Poich egli li crede due dannati fuggiti dall'inferno, Virgilio spiega la loro condizione e prega che venga loro concesso di entrare nel purgatorio, promettendo a Catone di ricordarlo alla moglie Marzia, che si trova con Virgilio nel limbo. Ma, risponde il veglio, una legge divina separa definitivamente le anime dell'inferno da quelle ormai salve; del resto non necessaria nessuna lusinga, dal momento che il viaggio voluto da una donna del ciel. Infine ordina a Virgilio di cingere Dante con un giunco (simbolo d'umilt) e di detergergli il volto da ogni bruttura infernale. I due pellegrini si avviano verso la spiaggia del mare per compiere i due riti prescritti da Catone. Introduzione critica La lettura del primo canto del Purgatorio segue, lungo l'arco della critica dantesca, un'oscillazione tra due poli: il polo della ricerca che il Croce avrebbe definito strutturale, attenta ad una esposizione problematica di tutte le implicanze storiche, mitiche e teologiche e il polo dell'esegesi attenta a definire il significato ritualistico e l'intelaiatura liturgica che sorregge tutto il canto. E due sono stati i motivi attorno a cui la critica ha sovrapposto strati di ricerche e di interpretazioni: il personaggio di Catone, osservato in rapporto al concetto di libert e al concetto di salvezza e il rito finale della purificazione, celebrato in sul lito diserto. Questa analisi ci porta ad accostare ancora una volta il problema dell'allegoria in Dante e in un canto la cui struttura tutta emblematica e che, sotto questo punto di vista, si offre efficace paradigma di tutta la seconda cantica. stato giustamente osservato che anche gli interpreti pi convinti della non poeticit dell'allegoria ammettono che nel primo canto "il simbolo del tutto disciolto nella rappresentazione" (Bigi): la figura di Catone esprime la riconquista della libert dopo l'esperienza del male, ogni gesto di Virgilio un'officiatura liturgica nella riconsacrazione del suo discepolo al bene, il personaggio Dante appare nello stato del catecumeno che comincia il suo ciclo di iniziazione- purificatrice. Su questi tre perni poggia la vicenda dell'anima nel momento in cui si avvia verso la penitenza e la redenzione, attraverso - secondo la distinzione del Bigi - "tre fasi successive: quella in cui l'anima si abbandona con immediato senso di benessere alla sua nuova condizione; il sopraggiungere della consapevolezza delle responsabilit e dei doveri che tale condizione comporta; e infine, raggiunta questa consapevolezza, l'inizio, ansioso e raccolto, della penitenza". un momento ancora drammatico, a torto dimenticato da molti critici che, sottolineando troppo l'atmosfera dolce e serena della spiaggia del purgatorio atmosfera del resto necessaria perch il senso del divino si distenda "con un'intima potenza affinante e pacificatrice" (Malagoli) - dimenticano che "questo aprirsi dell'anima strettamente avvinto al sentimento infernale: l la sua humus" (Malagoli), non avvertendosi affatto "una diminuzione di tensione rispetto all'Inferno, quanto piuttosto una diversa tensione, meno disperata e convulsa e pi controllata e solenne, ma pure anch'essa potentemente drammatica" (Bigi). Noi andavam per lo solingo piano non indica, come vorrebbero alcuni critici, il tranquillo procedere dei due pellegrini, ma la fuga da un incubo, (per l'Apollonio anzi questo motivo continua in tutta la seconda cantica: "se l'Inferno l'ipostasi della citt degli uomini, il Purgatorio il viaggio da quella citt, l'esilio alla ricerca di una pi vera patria, la fuga, anche da una minaccia bestiale e paurosa... di non so che malvagio uccello") che si compone infine in due gesti semplici e armoniosi, che sembrano seguire il ritmo prestabilito di una cerimonia liturgica. Per il cristiano e per l'uomo medievale in particolare, erede diretto di tutta la letteratura patristica, che faceva della liturgia la sua matrice - rientrare nella Grazia significa rientrare nella vita liturgica - che della Grazia l'espressione sensibile - cio nella vita comunitaria della Chiesa: e non fuori luogo ricordare che nel Purgatorio l'esistenza, delle anime e delle cose, corale e concorde. La recente lettura di Ezio Raimondi, perseguita con solidit di impianto critico e con finezza di proposte interpretative, segue, lungo tutto il canto, l'intreccio tra rito e storia alla ricerca d'una convergenza di significati, di ricordi, di miti, di simboli vitali in ciascuna delle immagini del canto, da quella della navicella alla descrizione dell'umile pianta, di cui Dante cinto da Virgilio. Dopo l'esordio, che segue le leggi retoriche delle artes dictandi, il tema sembra essere quello stesso di tutta la cantica, cio l'antitesi morte-risurrezione, male-libert, peccato-ritorno a Dio. Attorno a questo fulcro dimostrativo si raccolgono immagini ricche di risonanze classiche, bibliche, liturgiche e patristiche, ma tutte inscritte in una tensione verso il ritorno all'innocenza perduta, verso la purificazione totale. In effetti si pu affermare, col Raimondi, che "con quel gioco multiplo di suggerimenti e di registri che fa del simbolismo dantesco una invenzione geniale, il discorso del Poeta corre su due piani, l'uno retorico e l'altro, se si passa il termine, esistenziale". Ancora una volta "l'interpretazione allegorica con cui la spiritualit medievale intende i fatti della cultura e gli aspetti del mondo e le vicende della vita, un modo di pensare e di sentire: non si frappone tra l'intelletto e le cose, tra l'anima e i suoi movimenti, ma, anzi, ne agevola il contatto e la comprensione, ne suggerisce le vie per il possesso e l'unit" (Battaglia). La poetica del trascendente, intesa come ricerca e conquista dei supremi valori spirituali, ha avuto inizio e Dante vi si consacra separando per un attimo il poeta (l'invocazione alle Muse), smarrito di fronte alla difficolt della a "visione", dall'uomo-personaggio, smarrito di fronte alla difficolt dell'ascesa, ma legando inscindibilmente i due momenti, perch dal tema iniziale del "resurgere" (ma qui la morta poes resurga) al rito lustrale della fine, il motivo unitario la riconquistata libert attraverso l'umilt e in virt della purificazione. E sono proprio Catone, l'eroe mitizzato perch magnanimo, e Virgilio, il poeta vate e guida, a fare da ministri al rito : segno d'una rottura, attraverso la Grazia, del rapporto tra gloria ed umilt: "l'umilt non contraddice pi, ora, alla magnanimit" (Raimondi). L'umile pianta, divelta per cingere il Poeta, rinasce preludio alla totale rinascita spirituale che Dante avvertir alla fine del purgatorio, quando si sentir rifatto si come piante novelle rinnovellate di novella fronda PARAFRASI

Per correr miglior acque alza le vele omai la navicella del mio ingegno, 3 che lascia dietro a s mar s crudele; e canter di quel secondo regno dove l'umano spirito si purga 6 e di salire al ciel diventa degno.

La navicella del mio ingegno, per correre migliori acque, si eleva verso nuove frontiere, lasciando dietro di s l'infernale mare crudele, dove onde malefiche s'intersecano burrascose;

e canter di quel secondo regno, dove l'umano spirito si purifica e si predispone ad assorbire un migliore influsso energetico, che lo renda degno di accedere nei pianeti paradisiaci. E qui dove la foschia si sperde nella luce della Conoscenza, io che son dei vostri, divulgatore di Verit, vi prego, o sante Muse, di illuminare la mia mente, e prego Calliope che si levi in mio aiuto con quel suono di veritiera parola, di cui le misere Piche avvertirono dalla Giustizia Divina un colpo tale, che fece disperar loro di ottenere il Celeste Perdono. Le Piche, nella Mitologia, furono le Pieridi, figlie del re tassalo Pierio, le quali, abili nel canto, osarono sfidare le Muse, ma furono vinte dalla dea Calliope che le trasform in gazze dalla vice chioccia. Questo il commento letterale, ma ben altro offre al lettore attento il significato di queste parole.

Ma qui la morta poes resurga, o sante Muse, poi che vostro sono; 9 e qui Calop alquanto surga, seguitando il mio canto con quel suono di cui le Piche misere sentiro 12 lo colpo tal, che disperar perdono.

Ma qui la morta poes resurga - v. 7 In questi versi si esprime l'opera nefanda delle religioni errate, che distorsero la "melodia" della Divina Verit, che le muse, ovvero "le Sante", nella loro vita terrena, portarono al mondo. Ed ecco il canto gracchiante delle "piche" le gazze, il canto della negazione, che condusse gli uomini a rinnegare, lungo i sentieri errati, la vera melodia del Verbo Divino: il "Divin Suono". Non da escludere che, nel concetto dantesco, possa intendersi come espiazione di tale peccato anche quello di rinascere in corpo di gazze.

Dolce color d'orental zaffiro, che s'accoglieva nel sereno aspetto 15 del mezzo, puro infino al primo giro, a li occhi miei ricominci diletto, tosto ch'io usci' fuor de l'aura morta 18 che m'avea contristati li occhi e 'l petto.

Il dolce color zaffiro del ciel d'oriente, che s'accoglieva nel sereno aspetto del nascente sole dell'Acquario, nel centro di quello spazio puro fino al primo giro, che segna il confine della letale atmosfera infernale, cominci a palesarsi gradito agli occhi miei, appena uscii dall'aria fosca che mi aveva contristato il corpo e l'anima. Il sole, bel pianeta che invita all'Equilibrio d'Amore, faceva rifulgere l'Oriente della sua luce assorbita alla divina Sorgente della Vita e col suo splendore velava la costellazione dei Pesci che erano in sua scorta nell'armonico scibile stellare. La vibrazione dell'Era dei Pesci cominciava a velarsi cedendo il posto ad una frequenza di maggiore intensit della nuova Era dell'Acquario. Io mi volsi a destra e posi attenzione a quest'altro polo, lungi dal negativo che avevo lasciato e vidi"quattro stelle" non viste mai fuor che alla gente antica.

Lo bel pianeto che d'amar conforta faceva tutto rider l'orente, 21 velando i Pesci ch'erano in sua scorta.

I' mi volsi a man destra, e puosi mente a l'altro polo, e vidi quattro stelle 24 non viste mai fuor ch'a la prima gente.

e vidi quattro stelle non viste mai fuor ch'a la prima gente - v. 23-24 La gente antica le "vedeva" e riconosceva per quello che realmente sono: grandi piccole Divine navi dello spazio. Dall'astronave-madre che, per evitare di nuocere alle strutture energetiche terrestri di minore potenziale, resta "ancorata" nello spazio, usano spesso uscire i dischi volanti in numero di quattro. A tale proposito, a pag. 72 del volume "ANGELI IN ASTRONAVE" Ediz. Mediterrane, riportato un che mostra un'astronave e quattro dischi, cos come li ha visti il testimone. Sono come quelle raffigurate le "quattro stelle" di cui parla Dante. Oggi si parla di "Dischi Volanti" e di "Astronavi", ma nessuna delle due realt esclude l'altra; anzi, ne fornisce una sintesi rapportata in chiave religioso-scientifica e scientifico-religiosa. E mentre i nostri Fratelli del Cielo sono dappertutto e in vari modi sulla Terra e vicinissimi a contattisti e veggenti, gli scienziati stanno impiegando enormi capitali per mettersi in contatto con Loro nello spazio e molti si domandano ancora se questi esseri esistono. Ma quelle "STELLE", quelle "NUVOLE ARDENTI", quelle splendenti "UOVA D'ORO" del passato avevano a bordo i nostri padri, i nostri antenati, le Creature Celesti e non il Signore Iddio, puro Spirito Creatore, senza corpo, senza spazio, senza tempo, bens le Creature che noi adoriamo perch le riteniamo in Cielo. E cos viene facile rispondere ad Isaia, il quale, vedendo i dischi volanti entrare ed uscire dall'astronave-madre si chiedeva: Chi son costoro che volano come nuvole, come colombe al loro colombario? (Isaia 60:8).

Goder pareva 'l ciel di lor fiammelle: oh settentronal vedovo sito, 27 poi che privato se' di mirar quelle!

Pareva che il cielo godesse della luce divina delle"quattro stelle", rivelanti l'amore che spinge i Fratelli del Cielo a manifestarsi ai fratelli della Terra. O povero mondo terreno, lontano dalla Verit, incapace di riconoscere quelle "Luci Sante", che fanno testimonianza dell'amore immenso dei Fratelli del Cielo che vibra nel

Creato. Com'io da loro sguardo fui partito, un poco me volgendo a l 'altro polo, 30 l onde 'l Carro gi era sparito, vidi presso di me un veglio solo, degno di tanta reverenza in vista, 33 che pi non dee a padre alcun figliuolo. Lunga la barba e di pel bianco mista portava, a' suoi capelli simigliante, 36 de' quai cadeva al petto doppia lista. Li raggi de le quattro luci sante fregiavan s la sua faccia di lume, 39 ch'i' 'l vedea come 'l sol fosse davante. Chi siete voi che contro al cieco fiume fuggita avete la pregione etterna?, 42 diss'el, movendo quelle oneste piume. Chi v'ha guidati, o che vi fu lucerna, uscendo fuor de la profonda notte 45 che sempre nera fa la valle inferna? Son le leggi d'abisso cos rotte? o mutato in ciel novo consiglio, 48 che, dannati, venite a le mie grotte? Lo duca mio allor mi di di piglio, e con parole e con mani e con cenni 51 reverenti mi f le gambe e 'l ciglio. Poscia rispuose lui: Da me non venni: donna scese del ciel, per li cui prieghi 54 de la mia compagnia costui sovvenni. Ma da ch' tuo voler che pi si spieghi di nostra condizion com'ell' vera, 57 esser non puote il mio che a te si nieghi. Questi non vide mai l'ultima sera; ma per la sua follia le fu s presso, 60 che molto poco tempo a volger era. S com'io dissi, fui mandato ad esso per lui campare; e non l era altra via 63 che questa per la quale i' mi son messo. Mostrata ho lui tutta la gente ria; e ora intendo mostrar quelli spirti 66 che purgan s sotto la tua bala. Com'io l'ho tratto, saria lungo a dirti; de l'alto scende virt che m'aiuta 69 conducerlo a vederti e a udirti. Or ti piaccia gradir la sua venuta: libert va cercando, ch' s cara, 72 come sa chi per lei vita rifiuta. Tu 'l sai, ch non ti fu per lei amara in Utica la morte, ove lasciasti 75 la vesta ch'al gran d sar s chiara. Non son li editti etterni per noi guasti, ch questi vive, e Mins me non lega; 78 ma son del cerchio ove son li occhi casti di Marzia tua, che 'n vista ancor ti priega, o santo petto, che per tua la tegni: 81 per lo suo amore adunque a noi ti piega. Lasciane andar per li tuoi sette regni; grazie riporter di te a lei, 84 se d'esser mentovato l gi degni. Marza piacque tanto a li occhi miei mentre ch'i' fu' di l, diss'elli allora, 87 che quante grazie volse da me, fei. Distolsi da loro lo sguardo, volgendomi all'altro polo, l dove il Carro era gi sparito, vidi accanto a me un vecchio giunto solo (senza mezzo di volo), egli appariva degno di tanta reverenza che di pi non potrebbe averne per un padre alcun figliuolo. Aveva lunga barba e capelli brizzolati, che gli scendevano in due bande fino al petto. I raggi dei "dischi volanti" (che, usciti dall'astronave-madre, lo avevano accompagnato fino ad una certa distanza da noi), illuminavano il suo viso, cos che io lo vedevo come fosse stato illuminato dal sole. Chi siete voi che, in contrasto alla fiumana cieca di Conoscenza, siete fuggiti dalla prigione infernale?, (domand il vecchio illuminato dalle quattro luci sante). Chi vi ha guidati, chi vi illumina la mente cos tanto da farvi uscire dalla profonda notte che eternamente offusca la valle del pianto? Sono cos disarmonizzate le Leggi espiative? o mutato nel cielo, in un nuovo Consiglio, il processo della Divina Programmazione, fino al punto che voi dannati possiate giungere al riparo della mia dimensione? Il mio Duca allora si affrett, con parole, con mani e con cenni, a farmi inginocchiare e chinare il capo in segno di reverenza. Poi gli rispose: Non venni qui di mia iniziativa; fu una donna scesa dal Cielo che mi preg di accompagnare costui e di guidarlo sul Cammino della Conoscenza. Ma dal momento che tu vuoi sapere pi chiaramente la nostra condizione, non posso che ubbidire inchinandomi al tuo volere. Questi non vice mai la sua ultima ora nell'annullamento del "Gran Rifiuto", per Celeste aiuto, anche se l'ultima sera, per la sua follia, gli fu molto vicina. Come gi detto, fui mandato a lui, perch poco tempo aveva per salvarsi ed altra via non c'era oltre che questa. Ho mostrato a lui i peccatori e le loro colpe ed ora intendo mostrargli le anime che espiano affidate al tuo potere. Sarebbe lungo dirti come l'ho condotto fino qui. La forza che mi guida a condurlo da te scende dal Cielo. Ho sintonizzato la sua umana lunghezza d'onda visiva e uditiva sulla tua dimensione affinch lui possa vederti e udirti. Ora ti piaccia gradir la sua venuta: libert va cercando, che s cara a chi, consapevole della felicit di Lass, la vita umana coscientemente rifiuta, accettando le pene espiative, che portano al felice ritorno. Tu questo ben sai e pertanto non ti fu amara la morte in Utica, dove lasciasti il tuo corpo mortale, che allora rivestiva la tua anima, la quale nel Gran Giorno sar pi risplendente. Non son gli editti eterni per noi guasti, poich costui gi risvegliato ed io non son legato ai regni inferiori, ma appartengo al "cerchio" dove sono gli occhi puri della tua Marzia, che con il suo aspetto, ancora ti prega, o santa Coscienza, di considerarla sempre nell'abbraccio del tuo cuore: il suo amore, dunque, a noi ti pieghi. Il vecchio era Catone. Lasciaci proseguire per i sette regni, alle cui karmiche funzioni sei stato preposto ed io ringrazier lei per ci che tu farai per amor suo, se a te gradito che nel mondo umano ancor ti si ricordi. Marzia piacque tanto agli occhi miei, quando io fui sulla Terra, disse egli allora, che tutto ci che mi chiese, le accordai.

Or che di l dal mal fiume dimora, pi muover non mi pu, per quella legge 90 che fatta fu quando me n'usci' fora. Ma se donna del ciel ti muove e regge, come tu di', non c' mestier lusinghe: 93 bastisi ben che per lei mi richegge. Va dunque, e fa che tu costui ricinghe d'un giunco schietto e che li lavi 'l viso, 96 s ch'ogne sucidume quindi stinghe; ch non si converria, l'occhio sorpriso d'alcuna nebbia, andar dinanzi al primo 99 ministro, ch' di quei di paradiso.

Ma ora che oltre al mal fiume ella dimora, pi non pu muovermi per quella legge evolutiva che fin con la mia dipartita. Ma se una donna del cielo ti guida, come tu dici, non occorrono lusinghe, basta che tu in suo nome chieda il mio aiuto. Prosegui pure il tuo cammino, affinch costui venga cinto "d'un giunco schietto", da un alone di purezza e sia la sua mente ripulita dalle deleterie e sciocche credenze umane; poich la vista intellettiva offuscata dall'ignoranza non potrebbe presentarsi al cospetto "ch' di quei di paradiso", del Primo Ministro della Cosmica Dimensione.

non si converria, l'occhio sorpriso d'alcuna nebbia, andar dinanzi al primo ministro - v. 97-99 Da qui si pu intuire quanto sia indispensabile il pervenire alla Conoscenza della Divina Verit per poter proseguire verso il Celeste Traguardo. Ed ecco il criterio di "separazione" dell'erba buona dalla gramigna, dell'Umanit spiritualmente sana da quella malata, che sta avendo luogo sulla Terra, era che per l'Umanit si approssima un certo profetizzato tempo. Colui che sar pervaso dallo Spirito di Conoscenza avr la forza necessaria per presentarsi al"primo ministro, ch' di quei di paradiso". La Conoscenza dar la forza bastante, affinch il potere dell'energia, che viene per legge evolutiva rinnovata dall'esterno, non disintegri la molecola e la proteina della cellula-uomo, ci perch il suo proprio campo di forza si trover ad un livello spirituale, dove questo aumento dell'energia potr essere accumulata senza che la "cellula" e la proteina siano notevolmente disturbate da essa. La sopravvivenza assicurata quindi a coloro che per evoluzione spirituale hanno raggiunto una struttura fisica e una frequenza psichica che si armonizzano col superiore campo di forza. Costoro diventano dei "portatori di Luce" per i loro simili, sotto forma di energia mentale e di luce intensificatrice. Vi da dire, tra l'altro, che il potere dell'energia che viene dall'esterno produrr un certo effetto nei campi mentali umani; ci che negativo diventer ancor pi negativo e ci che positivo acquister una maggiore sintonia, poich il potere dell'aumento dell'energia agir per mezzo dell'energia che nell'uomo stesso. Quando questa energia - che spirituale - in disordine con il mentale, si produce un "cortocircuito" ed allora certi "fusibili" saltano. Ecco che, gi assistiamo ad una esasperazione della violenza e del male in generale, nonch ad un progressivo sfaldamento dei residui valori morali, etici, sociali, religiosi, spirituali, sui quali si struttura ancora la societ umana. Quei pochi, in cui il campo di forza in sintonia coi superiori valori del Campo di Forza Universale, dovranno faticare non poco per restare alieni alle sollecitazioni negative espresse dalla massa umana, presa nel possente vortice di un delirio distruttivo incontrollabile e inarrestabile. Ed ecco che, a tale proposito, nel seguente Canto II - v. 7-9: si dir: "che le bianche e le vermiglie guance... ...de la bella Aurora per troppa etate divenivan rance". Da questa necessit scaturisce la fraterna opera di aiuto degli Extraterrestri che, attraverso i messaggi di Amore e Saggezza, cercano di illuminare la mente dell'umanit incosciente, affinch essa possa raggiungere quella Forza Dimensionale che aiuta a proseguire verso il Regno di Dio.

Questa isoletta intorno ad imo ad imo, l gi col dove la batte l'onda, 102 porta di giunchi sovra 'l molle limo; null'altra pianta che facesse fronda o indurasse, vi puote aver vita, 105 per ch'a le percosse non seconda.

Questa isoletta che "ad imo ad imo", intorno all'estremo limite, l dove battuta dall'onda, porta dei giunchi sopra il molle limo; e dove nessuna pianta che germogliasse in fronda o che indurisse in tronco, potrebbe aver vita, "non seconda" non adatta alle percosse della coltivazione.

Questa isoletta... ...porta di giunchi sovra 'l molle limo - v. 100-102 Viene da chiedersi: quale materia compone l'isoletta che, pur non "secondando" alle percosse della piantagione e della coltivazione, porta, sull'estremo limite, del limo con dei giunchi sopra? Il limo che nasce dal fango del letto del fiume o del torrente, come potrebbe trovarsi su di un'isoletta dove nessuna pianta o albero potrebbe avere vita? E dove, in seguito, troveremo l'erbetta e la rugiada? Di fronte a simili descrizioni dall'apparenza irreale, nel groviglio delle solite supposizioni ed ipotesi, potremmo aggiungere quella che "l'isoletta" potrebbe essere un mezzo spaziale con propriet subacquee, il quale, affiorando alla superficie del mare, avesse trasportato "ad imo ad imo", sull'estremo bordo, il limo e i giunchi raccolti dal fondo marino. Solo accettando questa ipotesi, si potrebbe trovare spiegazione alla seguente raccomandazione di Catone.

Poscia non sia di qua vostra reddita;

Dopo non sia di qua (attraverso cio un mezzo extraterrestre) il vostro

lo sol vi mosterr, che surge omai, 108 prendere il monte a pi lieve salita.

ritorno nei superiori mondi felici; ma il sole della Nuova Era, che sorge per voi pi luminoso, (in virt delle cognizioni acquisite), per pi lieve salita attraverso meritata evoluzione (vi mostrer la via evolutiva, in corpo pi spiritualizzato). Cos dicendo, egli spar ed io su nello spazio mi levai senza parlare, stringendomi al duca mio e, richiedendo protezione ed aiuto, a lui rivolsi gli occhi. Virgilio m'incoraggi dicendo: Figliuolo, seguimi con fiducia: volgiamoci indietro, poich questo Piano di Coscienza da qui declina verso gli infimi valori del male terreno. L'alba vinceva l'ultima ora della notte, tanto splendeva per noi il cielo all'orizzonte, cos che io, da sopra e da lontano, di una superiore dimensione, ravvisai "il tremolar de la marina", il luccichio tremolante e inconsistente del mare terreno nella sua pochezza. Noi andavamo per il solitario Piano di Coscienza, come colui che torna sulla strada dimenticata e finch non ripercorre il cammino giusto, gli sembra di proseguire invano, con l'ansia e l'angoscia di chi si sente perduto. Quando noi fummo l dove la rugiada resiste maggiormente al calore del sole, in quella frescura dove, per grazia evolutiva, l'energia radiante consente minor pena anche ai vegetali, il mio maestro distese le mani sull'erbetta, soavemente irrorandola della sua benefica energia: ed io compresi dal suo gesto la grande arte d'amare tutte le anime bisognevoli d'aiuto, commosso e riconoscente porsi verso di lui le guancie lacrimose: consapevole pi che mai dell' "Universale Amore" che unisce Loro a noi in un'unica famiglia e al mio animo apparve perfetto l'Amore nel suo vero "colore", che l'aura fosca dell'inferno mi aveva nascosto.

Cos spar; e io s mi levai sanza parlare, e tutto mi ritrassi 111 al duca mio, e li occhi a lui drizzai. El cominci: Figliuol, segui i miei passi: volgianci in dietro, ch di qua dichina 114 questa pianura a' suoi termini bassi. L'alba vinceva l'ora mattutina che fuggia innanzi, s che di lontano 117 conobbi il tremolar de la marina. Noi andavam per lo solingo piano com'om che torna a la perduta strada, 120 che 'nfino ad essa li pare ire in vano. Quando noi fummo l 've la rugiada pugna col sole, per essere in parte 123 dove, ad orezza, poco si dirada, ambo le mani in su l'erbetta sparte soavemente 'l mio maestro pose: 126 ond'io, che fui accorto di sua arte,

porsi ver' lui le guance lagrimose: ivi mi fece tutto discoverto 129 quel color che l'inferno mi nascose.

Secondo i precedenti commenti, Virgilio e Dante, camminando l'uno dietro l'altro, giunsero in un punto di quella strana isoletta, dove nessuna pianta e nessun albero avrebbe potuto aver vita e dove, ancor pi stranamente, invece, trovarono l'erbetta che aveva germogliato e che era coperta di brina. vero quindi che non si pu respingere l'ipotesi che i due, dopo aver proseguito il viaggio sul mezzo spaziale galleggiante, approdarono sulla terraferma e vi trovarono, normalmente, l'erbetta e la rugiada. Venimmo poi sul lido deserto, che mai non vide uomo passar pi volte e che, pertanto, sia divenuto esperto di tale strada evolutiva. Ci significa che un uomo, reso idoneo di quei superiori lidi, puirtroppo "deserti" poich l'uomo ci giunge di rado, non potrebbe pi ricadere nel peccato, per poi tornare a raggiungerli pi volte e di tale passaggio divenire esperto. Qui Virgilio mi soffuse di Divina Energia ("giunco schietto") come al Cielo piacque: oh meraviglia! allorch compresi il grande Amore extraterrestre, che attraverso il mio maestro aveva fatto si che io, quale umile piantina della Creazione, venissi aiutato, similmente alla tenera erbetta carezzata da lui e, cos rigenerato, mi trovai nel mio piano dimensionale precedente dal quale Virgilio mi aveva divelto con grande amore.

Venimmo poi in sul lito diserto, che mai non vide navicar sue acque 132 omo, che di tornar sia poscia esperto.

Quivi mi cinse s com'altrui piacque: oh maraviglia! ch qual elli scelse l'umile pianta, cotal si rinacque 136 subitamente l onde l'avelse.

CANTO3

Canto III Dopo il rimprovero di Catone, mentre Dante e Virgilio si avviano verso il monte, il poeta latino in una lunga esortazione invita gli uomini ad accettare il mistero di cui avvertono l'esistenza: i saggi antichi che vollero spiegarlo, scontano ora nel limbo il loro folle desiderio. Mentre sostano ai piedi dell'erta. parete rocciosa, compare una schiera che avanza lentamente e verso la quale essi si dirigono, per chiedere informazoni. Sono le anime di coloro ch morirono nella scomunica della Chiesa, pentendosi solo in fine d vita, e che devono restare fuori della porta del purgatorio, nella zona chiamata antipurgatorio, trenta volte il tempo durante il quale vissero scomunicati. Esse invitano i due pellegrini, a procedere davanti a loro, verso destra, mentre una si rivolge direttamente al Poeta: lo spirito di Manfredi di Svevia, morto nella battaglia di Benevento nel 1266. Egli prega Dante di riferire alla figlia Costanza la vera storia della sua morte; ricevute le due ferite che ancora deturpano la sua figura, si affid pentendosi, prima di morire, alla misericordia divina. Ebbe dapprima sepoltura sotto un cumulo di sassi, secondo l'uso guerriero, ma i suoi nemici guelfi; e in particolare il vescovo di Cosenza Bartolomeo Pignatelli, legato del papa Clernente IV, vollero disseppellire il suo corpo e lo abbandonarono fuori del territorio della Chiesa (dove gli scomunicati non potevano essere sepolti), lungo le rive Garigliano. Chiede infine che Costanza preghi per lui, perch le preghiere dei vivi aiutano ed abbreviano il tempo della purificazione.

Introduzione critica La giustapposizione di un motivo di meditazione morale (il discorso di Virgilio) ad un episodio individuale (l'apparizione di Manfredi) nella tematica del canto III ferma l'attenzione su un problema nuovo, la cui soluzione possibile solo se viene prospettata nell'ambito della poetica dantesca. Gi Dante aveva avvisato all'inizio del Purgatorio che la sua poesia sarebbe profondamente mutata, ma solo una lettura critica superficiale pu fermarsi a cercare tale mutamento nel paesaggio o nella diminuita carica di passioni dei vari personaggi o nel superamento di ogni urgenza polemica, cio nella tonalit elegiaca della nuova creazione, perch sulla diversa posizione del Poeta di fronte alla sua materia che deve essere condotta l'indagine pi utile per non isolare in un giudizio negativo le parti specificatamente morali e dottrinali. Nel mondo dell'acquisita salvezza l'animo si rinfranca, accentuando la sua missione profetica: se Dante nell'Inferno ha fissato entro misure assai ridotte ogni excursus didascalico, perch non poteva, chi era ancora immerso nel peccato, costituirsi maestro di salvezza, preferendo affidare ogni forma di ammaestramento al volto orribile del peccato, ora ha, piena consapevolezza che, iniziando il momento pi difficile dell'ascesa spirituale, necessario un intervento diretto, e pressoch continuo, per spiegare, chiarire, esortare. Il binomio profeta-poeta, maestro-poeta, che risponde a uno schema mentale familiare al Medioevo, si dispiega in tutta la sua forza - e la sua unit - proprio a partire dal canto III, attraverso l'intensa esortazione di Virgilio. La critica giudica questo canto fondamentale per capire il tono che caratterizza la seconda cantica, attraverso "l'altezza degli ideali e l'umanit del sentire, e, tecnicamente, la sapiente tonalit di fondo e il tratto sicuro e dinamico della biografia poetica nell'insieme del quadro" (Caccia). Volendo pi chiaramente determinare il motivo che trasfigura la storia di un periodo avventuroso e violento in lirica purissima, esso va trovato in quello della "vanit dell'odio", che, fungendo da preludio in questo canto, diventer il Leitmotiv della sinfonia del quinto. Manfredi, che rievoca con precisione, ma con accoratezza la sua vicenda terrena, una anima pacificata con Dio, e quindi anche con se stessa e con gli uomini: "siamo nel Purgatorio; e dunque potrebbe sembrare che questa pensosa serenit sia imposta solo dalla materia, dalla necessit logica di rappresentarci anime pentite. Ma c' qualcosa che nessuna materia astratta avrebbe potuto imporre: la piet dell'artista, il suo senso dell'inutilit degli odi umani, la persuasivit totale della poesia che esprime l'una e l'altro" (Bosco). Quella piet che regger il racconto di Jacopo, di Bonconte e di Pia, sorregge anche "la rievocazione delle povere ossa di Manfredi bagnate dalla pioggia e mosse dal vento; il considerare, che il Poeta fa, l'inutilit dello scempio: inutile l'accanimento, inutile il trafugamento a lumi spenti, come si conveniva a uno scomunicato, a un dannato; ed era invece salvo, destinato al paradiso" (Bosco). Ci non significa che Dante, abbandonata la sua funzione di giudice, si disponga ad un esame acritico della storia (contrario del resto alla mentalit medievale, che nella storia vede possibilit amplissime di ammaestramento), negandosi ogni facolt di condanna in nome di un sentimento di indulgenza, perch orribil furono i peccati di Manfredi e tanto grave la sua colpa di fronte alla Chiesa e alla societ da ripercuotersi - attraverso la scomunica - anche nell'al di l, ma chiarisce in tutta la sua evidenza quanto gi alcuni episodi dell'Inferno avevano mostrato: che in Dante sussistono "due volti, quello del giudice del male e quello dell'uomo tristemente consapevole di non esserne immune; del giudice al di sopra e contro la comune umanit e del partecipe di questa umanit; del severo e del pietoso; dell'uomo di parte che sa amare quanto odiare, e dell'uomo che scopre la vanit dell'odio" (Bosco). Due momenti che non si susseguono in ordine cronologico

(come ad esempio affermano V. Rossi e, in misura minore, il Porena), legati a vicende storiche e biografiche del Poeta, ma che sono sempre coesistiti nel suo animo, dove per prevale il volto pietoso al di sopra di ogni mischia e di ogni discordia, quando nel Purgatorio lo spirito si apre al divino. su questa meditazione dolorosa della storia che si innesta l'episodio di Manfredi, liberandosi fin dall'inizio di ogni spirito faziosamente politico, e presentandosi - per usare una terminologia critica moderna - come aperta proclamazione della libert della poesia di fronte alla storia, allorch la poesia si dispone a studiare la vicenda umana non avulsa da ogni contatto con il sovrannaturale, ma nel suo rapporto con la realt divina. Per questo della figura di Manfredi - che per l'eccezionalit della vita e degli eventi di cui fu protagonista, occup a lungo l'interesse del suo tempo e di quello seguente - Dante coglie il momento pi tragico e religioso insieme, quando la creatura umana prende coscienza della gravit dei suoi errori e invoca l'intervento divino. una ricostruzione spirituale, che esige da parte del Poeta la capacit di scendere nel proprio personaggio, per riviverlo in tutta la sua dimensione interiore. Senza condividere la posizione della critica di ascendenza romantica, che analizza il personaggio di Manfredi fino ad identificarlo con il Poeta stesso, laddove la figura del re svevo ha una sua singolarit, che, nell'aristocratica bellezza, nella regale dignit, nel magnanimo coraggio ne ricollega l'immagine ad un mondo eroico e cavalleresco, indubbio che Dante rivive in Manfredi la sua dolorosa vicenda personale nell'ambito della crisi politica provocata dall'intervento temporale della Chiesa, e soprattutto la sua personale esperienza di peccato e di redenzione.

Avvegna che la subitana fuga dispergesse color per la campagna, 3 rivolti al monte ove ragion ne fruga,

Avvenne che (al rimprovero di Catone) le anime fuggirono improvvisamente, disperdendosi per la sconfinata prateria della vita, in direzione del monte, dove la giustizia fruga nei reconditi meandri della Coscienza,

i' mi ristrinsi a la fida compagna: e come sare' io sanza lui corso? 6 chi m'avria tratto su per la montagna? El mi parea da s stesso rimorso: o dignitosa coscenza e netta, 9 come t' picciol fallo amaro morso! Quando li piedi suoi lasciar la fretta, che l'onestade ad ogn'atto dismaga, 12 la mente mia, che prima era ristretta, lo 'ntento rallarg, s come vaga, e diedi 'l viso mio incontr'al poggio 15 che 'nverso 'l ciel pi alto si dislaga. Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio, rotto m'era dinanzi a la figura, 18 ch'ava in me de' suoi raggi l'appoggio. Io mi volsi dallato con paura d'essere abbandonato, quand'io vidi 21 solo dinanzi a me la terra oscura; e 'l mio conforto: Perch pur diffidi?, a dir mi cominci tutto rivolto; 24 non credi tu me teco e ch'io ti guidi?

allora mi strinsi alla fida compagnia del mio maestro: e come sarei andato io senza di lui per il sentiero della salvezza? chi mi avrebbe condotto verso la vetta suprema?

Virgilio mi pareva per se stesso turbato: o Coscienza nobile e pura, come anche una piccola grinza pu procurarti amaro rimorso!

Quando il maestro ebbe rallentato il passo, lasciando quella fretta che altera ogni atto, la mente mia che prima era concentrata al pensiero di quanto era accaduto,

rivolse l'attenzione ad altre cose, ed io alzai lo sguardo al monte, che pi in alto nel cielo si espande.

Il sole, che dietro di noi fiammeggiava infuocato, disegnava l'appoggio dei suoi raggi, che si interrompevano sul mio corpo fisico, nell'ombra che si stagliava davanti a me.

Allora che io vidi soltanto la mia ombra riflessa mi volsi di lato per paura di essere stato abbandonato dal mio maestro;

e Virgilio: Perch diffidi di me?, e piantandosi davanti a me con tutta la sua persona, cominci, a dire: non credi che io sia sempre qui con te e che ti guidi?

Vespero gi col dov' sepolto lo corpo dentro al quale io facea ombra: 27 Napoli l'ha, e da Brandizio tolto.

ormai vespro, nel tempo che avanza verso l'alba della nuova era; vespro nel mondo dove fu sepolto il mio corpo col quale anch'io facevo ombra. Il mio corpo a Napoli e vi fu portato da Brindisi. Com' noto, Virgilio mor il 22 settembre del 19 a.C. a Brindisi e poi fu trasportato a Napoli. Ora, se innanzi a me non scorgi ombra, non meravigliarti, poich "d'i cieli" delle diverse dimensioni una forma di luce non urta l'altra, vibrante di energia diversa. Tutto luce, anche la materia forma di luce condensata da velocit vibratoria, che rende le cellule compatte. La Perfezione Divina crea simili corpi pesanti di dolorosa materia densa, con la predisposizione a patire varie forme di tormento fisico, e, come fa non vuole che sia a noi svelato. I tormenti serviranno a cancellare le colpe e a ristabilire nell'anima l'equilibrio perduto nel male operare. L'Equilibrio non permette che all'uomo si svelino tutte le correlazioni provenienti da questi rapporti, poich non vi sono parole ed espressioni comprensibili alla mente umana, non idonea a guardare oltre la dimensione racchiusa nello Spazio e nel Tempo.

Ora, se innanzi a me nulla s'aombra, non ti maravigliar pi che d'i cieli 30 che l'uno a l'altro raggio non ingombra.

A sofferir tormenti, caldi e geli simili corpi la Virt dispone 33 che, come fa, non vuol ch'a noi si sveli.

Matto chi spera che nostra ragione possa trascorrer la infinita via 36 che tiene una sustanza in tre persone.

stoltezza sperare che la limitata ragione umana possa facilmente percorrere l'infinita via (della Conoscenza e penetrare la Realt Vitale della Mente Divina) che tiene una sostanza in tre persone (nella perfezione dei propri attributi, distinta in tre persone: "Una e Trina"). Anche l'uomo una Trinit formata da anima, corpo e Spirito. Nelle scritture sacre si legge che il corpo fisico e il corpo animico sono collegati allo Spirito, il quale pu attarversare all'infinito la Barriera Celeste, ma resta il mistero primo ed ultimo del Suo operare.

State contenti, umana gente, al quia; ch se potuto aveste veder tutto, 39 mestier non era parturir Maria;

Siate contente, umane genti, di conoscere la verit come fornita e riferita, senza pretendere di poterla razionalizzare, misurare con il limitato metro del vostro intelletto, poich se foste stati capaci di intendere tutto, "mestier non era parturir Maria" non avreste avuto bisogno di un Cristo redentore del peccato; e vedeste gli uomini desiderare la pace, senza speranza, e nella sconoscenza che il frutto del dolore, che eternamente dato loro veder per lutto, "tai che sarebbe lor disio quetato" altro non che la spinta che conduce verso il Traguardo di una nuova Luce:

e disar vedeste sanza frutto tai che sarebbe lor disio quetato, 42 ch'etternalmente dato lor per lutto: io dico d'Aristotile e di Plato e di molt'altri; e qui chin la fronte, 45 e pi non disse, e rimase turbato.

mi riferisco ad Aristotile e Platone e a molti altri; e qui chin la testa, pi non disse e rimase turbato.

Noi divenimmo intanto a pi del monte; quivi trovammo la roccia s erta, 48 che 'ndarno vi sarien le gambe pronte.

Giungemmo intanto ai piedi del "monte" (l dove la vetta maggiormente si eleva nella Conoscenza consentita alle anime del Purgatorio); ma vi trovammo la roccia cos alta che ogni agilit delle gambe sarebbe stata cosa inutile (in contrasto alla ragione umana che s'illude di poter da sola proseguire sulla via che porta al "Monte"). La ragione umana disconosce la realt della ineluttabile eterna Intelligenza Cosmica, che ha composto il veicolo fisico umano equipaggiandolo di tutti quegli elementi necessari per intraprendere nella legge limitata del tempo, il viaggio pi o meno lungo e a mettere in moto gli ingranaggi intellettivi pi o meno sviluppati, a seconda del numero delle vite gi vissute; e pertanto "'ndarno vi sarien le gambe pronte".

Tra Lerice e Turba la pi diserta, la pi rotta ruina una scala, 51 verso di quella, agevole e aperta. Or chi sa da qual man la costa cala, disse 'l maestro mio fermando 'l passo, 54 s che possa salir chi va sanz'ala? E mentre ch'e' tenendo 'l viso basso essaminava del cammin la mente, 57 e io mirava suso intorno al sasso, da man sinistra m'appar una gente d'anime, che movieno i pi ver' noi, 60 e non pareva, s venan lente. Leva, diss'io, maestro, li occhi tuoi: ecco di qua chi ne dar consiglio, 63 se tu da te medesmo aver nol puoi. Guard allora, e con libero piglio rispuose: Andiamo in l, ch'ei vegnon piano; 66 e tu ferma la spene, dolce figlio. Ancora era quel popol di lontano, i' dico dopo i nostri mille passi, 69 quanto un buon gittator trarria con mano,

Il pi accessibile dirupo roccioso esistente tra Lerici, nel golfo di La Spezia, e Turbia, nella impervia riviera ligure , in confronto, una scala agevole e aperta.

Ora chiss da quale parte la costa s'abbassa, disse Virgilio fermandosi, cos che possa salire chi va sanza ali?

E mentre egli a capo chino esaminava il cammino, che avrebbe consentito l'ascesa di un cos impervio dirupo, ed io guardavo s intorno al sasso,

dalla sinistra mi apparve una schiera di anime, le quali proseguivano verso di noi, ma tanto lentamente, che pareva non camminassero.

Alza, dissi io, gli occhi tuoi, Maestro: ecco di qua chi ci dar consiglio, se non riesci da solo a prendere una decisione.

Egli allora guard e con sereno aspetto mi rispose: Andiamo loro incontro, che essi vengono piano (la insufficiente evoluzione non consente loro un passo pi spedito sul camino evolutivo), e tu rinsalda la speranza, dolce figlio.

Dopo aver noi fatto un migliaio di passi, la turba era ancora lontana, quanto un valente tiratore riuscirebbe a scagliare un sasso con la mano,

quando si strinser tutti ai duri massi de l'alta ripa, e stetter fermi e stretti 72 com'a guardar, chi va dubbiando, stassi.

quando vedendoci si strinsero tutti ai duri massi dell'altra ripa e stettero fermi e stretti come stanno a guardare quelli pieni di dubbio (che si arrestano per paura di fronte alle divine rivelazioni e si stringono alle roccie delle ottuse errate interpretazioni, rallentando cos il loro passo evolutivo).

O ben finiti, o gi spiriti eletti, Virgilio incominci, per quella pace 75 ch'i' credo che per voi tutti s'aspetti,

Ben arrivati sul cammino della vita, o spiriti eletti, Virgilio incominci, per quella pace che, io credo, da voi tutti attesa,

ditene dove la montagna giace, s che possibil sia l'andare in suso; 78 ch perder tempo a chi pi sa pi spiace.

diteci dove la "montagna" giace meno ripida, cos che pi facile sia per noi l'ascesa, poich il procedere lentamente, a chi pi conosce il Vero, pi spiace. Chi pi conosce il vero sa cosa significa il perder tempo nelle esperienze di vita

necessarie all'evoluzione. Come le cellule del corpo umano, le quali nel lento pulsare vanno predisponendosi a disordinate vibrazioni e vanno incontro a malattie, cos anche le "cellule-uomo", nel lento ritmo vitale, scivolano in vibrazioni negative, in un modo errato di pensare e di agire, nuocendo al prossimo e a se stessi. Come le pecorelle escon del chiuso a una, a due, a tre, e l'altre stanno 81 timidette atterrando l'occhio e 'l muso; e ci che fa la prima, e l'altre fanno, addossandosi a lei, s'ella s'arresta, 84 semplici e quete, e lo 'mperch non sanno; s vid'io muovere a venir la testa di quella mandra fortunata allotta, 87 pudica in faccia e ne l'andare onesta. Come color dinanzi vider rotta la luce in terra dal mio destro canto, 90 s che l'ombra era da me a la grotta, restaro, e trasser s in dietro alquanto, e tutti li altri che venino appresso, 93 non sappiendo 'l perch, fenno altrettanto. Sanza vostra domanda io vi confesso che questo corpo uman che voi vedete; 96 per che 'l lume del sole in terra fesso. Non vi maravigliate, ma credete che non sanza virt che da ciel vegna 99 cerchi di soverchiar questa parete. Cos 'l maestro; e quella gente degna Tornate, disse, intrate innanzi dunque, 102 coi dossi de le man faccendo insegna.

Come le pecorelle escono dal recinto a una, a due, a tre e le altre stanno timidette, atterrando l'occhio e il muso;

e ci che fa la prima fanno le altre, addossandosi ad essa se essa si arresta, semplici e quiete senza conoscerne il motivo;

cos io vidi muovere e venire i primi di quella schiera fortunata di trovarsi sul cammino purgatoriale, umile e dignitosa nell'aspetto e nel portamento.

Appena i primi della schiera videro la luce del sole interrotta dal mio corpo denso, che proiettava la sua ombra dai miei piedi fino alla roccia,

si fermarono e ritrassero un poco indietro e tutti gli altri che li seguivano, non sapendo perch, fecero lo stesso.

Senza vostra domanda io vi chiarisco che questo corpo che voi vedete in dimensione umana ed per questo che la sua materia densa e pesante interrompe la luce.

Non vi meravigliate, ma credete che per Volont Divina egli cerca di oltrepassare i confini della sua dimensione.

Cos disse il maestro e quelle anime degne Tornate sui vostri passi, dissero, e andate sempre avanti, facendo cenno coi dorsi delle mani.

E un di loro incominci: Chiunque tu se', cos andando, volgi 'l viso: 105 pon mente se di l mi vedesti unque.

E uno di loro, mi disse: Chiunque tu sia, che vai oltre il tuo piano di luce (se vero che il tuo cammino voluto dal Cielo, ed i tuoi sensi pertanto sono in sintonia con la nostra frequenza energetica), volgi il viso: e poni mente se, di l della tua dimensione, vedessi il mio (di pi lieve materia). Qui conviene ricordare che l'occhio umano percepisce nella gamma energetrica racchiusa fra 0,38 e 0,75 micron e che i valori energetici dell'uomo del pianeta Terra si manifestano attraverso l'energia esistente nel "Raggio di Luce Bianca" che, urtando contro i vari strati dell'atmosfera, produce una gamma di colori circoscritta, oltre la quale l'uomo terrestre non sintonizzato.

Io mi volsi ver lui e guardail fiso: biondo era e bello e di gentile aspetto, 108 ma l'un de' cigli un colpo avea diviso. Quand'io mi fui umilmente disdetto d'averlo visto mai, el disse: Or vedi; 111 e mostrommi una piaga a sommo 'l petto. Poi sorridendo disse: Io son Manfredi, nepote di Costanza imperadrice; 114 ond'io ti priego che, quando tu riedi,

Io mi volsi verso di lui e lo fissai: era biondo, bello e di gentile aspetto, ma aveva un sopracciglio spaccato da un colpo.

Quando io ebbi umilmente affermato di non averlo mai veduto, egli mi disse: Or vedi; e mi mostr una piaga che aveva nella parte superiore del petto.

Poi (dopo che ebbe fugato ogni dubbio sulla mia persona) sorridendo mi disse: Io son Manfredi, nipote di Costanza imperatrice; perci ti prego che, quando ritorni nel tuo mondo, vada dalla mia bella figlia che gener l'onore di Sicilia e d'Aragona e dica il vero a lei (del mio stato di grazia e che la "scomunica", maledizione dei sacerdoti, che mi condannava alla disperazione eterna, nulla mi ha tolto della Misericordia del Divino Amore, e dille il Vero sulle Leggi Universali, tu che hai conosciuto), se pur altro si dice (nel mondo cieco, che ignora le grandi Verit).

vadi a mia bella figlia, genitrice de l'onor di Cicilia e d'Aragona, 117 e dichi 'l vero a lei, s'altro si dice.

Poscia ch'io ebbi rotta la persona di due punte mortali, io mi rendei, 120 piangendo, a quei che volontier perdona. Orribil furon li peccati miei; ma la bont infinita ha s gran braccia, 123 che prende ci che si rivolge a lei. Se 'l pastor di Cosenza, che a la caccia di me fu messo per Clemente allora, 126 avesse in Dio ben letta questa faccia, l'ossa del corpo mio sarieno ancora in co del ponte presso a Benevento, 129 sotto la guardia de la grave mora.

Dopo che io ebbi il corpo trafitto da due ferite mortali, che mi resero meritevole di grazia, mi affidai, piangendo, a Colui che volentieri perdona.

I miei peccati furono orribili, ma la Bont di Dio infinita ed ha cos gran braccia, che salva chiunque ad essa si affidi.

Se il cardinale, vescovo di Cosenza, che fu mandato alla mia caccia dal papa Clemente IV, avesse "in Dio ben letta questa faccia"conosciuto questo misericordioso aspetto della Suprema Bont, le ossa del mio corpo sarebbero ancora sul ponte del fiume Calore, presso Benevento, seppellite sotto "la guardia de la grave mora" il cumulo di pietre (eretto dai soldati di Carlo d'Angi, ognuno dei quali gett un sasso sul mio corpo). Ora le bagna la pioggia e le muove il vento fuori della mia terra di Napoli, quasi sulla riva del fiume Verde, dove "le trasmut a lume spento" il vescovo le trasport a ceri spenti.

Or le bagna la pioggia e move il vento di fuor dal regno, quasi lungo 'l Verde, 132 dov'e' le trasmut a lume spento.

Secondo il decreto ecclesiastico, che non permetteva agli scomunicati di venire seppelliti nella terra consacrata dei cimiteri e, quale altro oltraggio ad essi riservato, ordinava di trasportarli fuori da queste terre a ceri spenti e capovolti. Il pastore di Cosenza, oltre a non avere in Dio ben letta la faccia dell'Amore, non aveva letta neanche quella della Saggezza; fu per questo che, nel suo malanimo, dette grande importanza a quella sostanza fittizia che il corpo umano. Per le scomuniche, maledizioni dei sacerdoti, non si perde l'eterno Amore Divino, cos che l'anima non possa tornare a Dio nell'atteso Gran Giorno, mentre questa la sola speranza che "fior del verde" fiore della verdeggiante energia vitale della terrena esistenza. Vero invece che quel sacerdote che si sottrae alle regole "more in contumacia" di Santa Chiesa, cos come concepita dal misericordioso Pensiero Divino, anche se alla fine si pente, gli conviene stare "da questa ripa in fore" al di fuori, cio lontano, dalla Chiesa e dall'abito sacerdotale. per ogni vita vissuta, nella umana dimensione del tempo, con la sua presunzione (di potersi sostituire a Dio, vituperando, uccidendo e perseguitando in nome Suo), dovr espiare, nel corso di lunghi cicli di reincarnazione questa pesante colpa, a meno che tale decreto non venga mitigato per intercessione di "buone preghiere" (provenienti da creature degne di tale missione). Vedi, ormai, se puoi farmi lieto, rivelando alla mia buona Costanza lo stato di pace in cui mi hai visto, spiegandole anche che la scomunica e il suo divieto (quale maledizione dei sacerdoti), non ha attinenza alcuna con il Divino Amore (che Ges ci port, a prezzo del Suo Sacrificio sulla Croce).

Per lor maladizion s non si perde, che non possa tornar, l'etterno amore, 135 mentre che la speranza ha fior del verde.

Vero che quale in contumacia more di Santa Chiesa, ancor ch'al fin si penta, 138 star li convien da questa ripa in fore,

per ognun tempo ch'elli stato, trenta, in sua presunzon, se tal decreto 141 pi corto per buon prieghi non diventa.

Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto, revelando a la mia buona Costanza come m'hai visto, e anco esto divieto; 145 ch qui per quei di l molto s'avanza.

CANTO5

Canto V I due pellegrini, procedendo sempre nell'Antipurgatorio, lasciano la schiera delle anime negligenti, una delle quali, mostrando vivacemente la sua meraviglia nell'accorgersi che Dante vivo, fa volgere il Poeta, che rallenta il suo passo. Virgilio lo invita a non perdere di vista la propria meta, consacrando ad essa tutte le energie. Intanto lungo la costa del monte avanza, cantando il salmo Miserere, un gruppo di anime, che notano subito l'ombra proiettata dal corpo di Dante: due di esse, come messaggeri, si accostano ai poeti per chiedere spiegazioni intorno alla loro condizione e infine tutta la schiera si lancia verso di loro in una corsa sanza freno. Sono coloro che furono uccisi con la violenza e che si pentirono solo all'ultimo istante di vita: ora chiedono preghiere per affrettare la purificazione. Nella seconda parte del canto tre di queste anime narrano come avvenne la loro morte: Jacopo del Cassero fu ucciso dai sicari di Azzo VIII d'Este, signore di Ferrara, del quale era stato fiero avversario; il ghibellino Bonconte da Montefeltro scomparve durante la battaglia di Campaldino e le potenze infernali, non avendo potuto impadronirsi della sua anima, si vendicarono sul suo corpo, suscitandogli contro le forze della natura, che trascinarono il cadavere di Bonconte nell'Arno, dove fu coperto dai detriti del fiume; Pia dei Tolomei fu fatta uccidere dal marito.

Introduzione critica Vari sono i punti prospettici dai quali la considerazione critica del canto pu prendere avvio, puntualizzando l'esortazione moraleggiante di Virgilio (il cui richiamo alla necessit di non indugiare nel cammino amplia quello del canto precedente, costituendo un nesso di collegamento), il rapporto psicologico fra Dante e la schiera dei morti violentemente che invocano preghiere (rapporto di particolare intensit che si prolunga nell'inizio del canto sesto), il frangersi -di tale incontro in tre figure, che esemplificano - attraverso la loro personale esperienza - la passata vicenda terrena e la presente disposizione spirituale dei loro compagni di penitenza. Ed l'analisi del rapporto fra il mondo del peccato e quello della conversione, che per queste anime, pentitesi in punto di morte, si identifica con il mondo del purgatorio, che centralizza l'attenzione della critica, della quale una parte sottolinea il progressivo perdersi - nella speranza dell'ascesa definitiva - della presenza della vita terrena, e un'altra la persistenza di un ricordo angoscioso di violenze: concorre a mantenere questa incertezza di giudizio il linguaggio stesso, che, dopo il primo concitato colloqui fra Dante e le anime, assume un ritmo narrativo, in cui per il tono sospeso e distaccato della rievocazione si mescola alla notazione realistica e cruda. La soluzione d cercarsi stella prospettiva particolare dell'antipurgatorio, dove si aggirano anime la cui vita spirituale ancora all'inizio, il cui atteggiamento " come quello della creatura umana in generale, spogliata d una vivida tradizione, o come quella di ogni bambino o ragazzo che non ha ancora trovato s stesso nel mondo" (Fergusson) : esse, passando in un solo istante dal male al bene (peccatori infina all'ultima ora), non esperimentarono neppure un breve periodo di conversione, non ricordano, nella loro esistenza, nessuna tormentosa scelta di fronte al peccato, nessun dolce momento. trascorso nella preghiera, n possiedono uno spirito fortificatosi nella drammatica visione del mondo della dannazione. Per loro esiste solo la sacralit della morte, anche se essa arrivata dall'agguato dei sicar, dalla violenza dei nemici, dalla perfidia di un marito: la storia, raccontata tre volte, sempre la stessa, resa drammaticamente esplicita ed esaltante la maest della morte. Il tema della morte l'elemento terreno presente nel canto ed esprime una conquista che ha a suo fondamento un dono della Grazia, ma un dono che non diventa efficiente se non per un'accettazione attiva della creatura umana. II Poeta ha voluto fermare in loro per sempre il momento in cui la creatura si apre alla Grazia, arrestando ogni ricordo del passato all'istante in cui rifluisce in essa, con lo scorrere di nuovi sentimenti, la vita spirituale, in cui inizia la riscoperta di se stessa al di sopra di ogni odio, laddove le anime dei dannati per sempre immobilizzate nella loro tragedia terrena - vedevano la propria storia irrigidita nell'atto del peccato, trasformata in cosa, non in principio vitale, per cui la dimensione umana, ancora presente in Jacopo, Bonconte, Pia, serve ad intensificare il desiderio della espiazione. L'innestarsi del sovrannaturale non provoca in loro uno smemorante abbandono, ma li aiuta a determinare con suprema limpidezza lo svolgersi della loro esistenza, che ha trovato il suo motivo di essere solo nell'attimo in cui stata stroncata: Manfredi si preoccupa ancora di far sapere al mondo la verit intorno alla sua morte (vadi a mia bella figlia... e dichi il vero a lei, s'altro si dice), mentre l'atteggiamento di queste tre anime rappresenta, rispetto a quello, un pi fiducioso abbandono al tempo - al tempo della Provvidenza - che far durare lungo tutte le balze del monte del purgatorio l'istante in cui hanno avvertito, attraverso la violenza subita, la presenza del sovrannaturale: esse non fuggono dall'incubo e dallo strazio della loro fine, come afferma l'Apollonio, essendo quell'incubo e quello strazio indissolubilmente legati alla loro salvezza. Ma l'attenta psicologia di Dante, che presuppone tutta l'esperienza del dolce stil novo nelle sue direttrici fondamentali - lo studio approfondito dei moti dell'animo umano e

la capacit di spiritualizzare quanto fatto oggetto d quell'analisi - non nasconde in una indistinta sospensione l'umanissimo reagire di queste creature di fronte all'innaturale, distruzione del legame anima-corpo, rivelando anzi, in un mesto, triplice decrescendo, la loro lotta, il loro affanno, il loro abbandono, in un bisogno di dare sfogo ad un ricordo, sotto certi aspetti, ancora doloroso. Con molta chiarezza il Sacchetto afferma che "mentre nell'Inferno l'urnanit tende all'imbestiamento, e nel Paradiso alla trasfigurazione, nel Purgatorio essa vive nella compresenza del peccato e insieme del riscatto. Solo nel Purgatorio le anime, come sulla terra, soffrono e godono, alternano turbamenti e nostalgie a speranze ed elevazioni; espiano e pregano, nell'attesa trepida della liberazione. Solo nel Purgatorio il loro dramma - che il dramma della colpa - non si esaspera, come nell'Inferno, nella tragedia della dannazione; non si dissolve, come nel Paradiso, nella quiete immutabile della beatitudine; ma si consuma, pateticamente, in un'ombra di pianto, attraverso di cui si compie il processo consolatore della purificazione". Ancora una volta Dante riesce ad innalzare sul piano della poesia i fatti di cronaca del suo tempo, fissando in una ricchissima gamma di accenti, in cui il tono dominante quello singolarissimo della malinconia, i due momenti essenziali dell'anima cristiana, il peccato e la redenzione, e "perci, pi che nel realismo dell'Inferno o nella metafisica del Paradiso, il tono pi segreto ed autentico della poesia di Dante , forse, nel Purgatorio, dove la particolare situazione delle anime che patiscono il castigo nella luce della salvezza d una naturale tensione all'arco del canto (Sacchetto).

Io era gi da quell'ombre partito, e seguitava l'orme del mio duca, 3 quando di retro a me, drizzando 'l dito, una grid: Ve' che non par che luca lo raggio da sinistra a quel di sotto, 6 e come vivo par che si conduca!

Allontanatomi dalle ombre dei pigri, ripresi a salire seguendo Virgilio, quando uno di loro, vedendo me (che, se pure in corpo denso, grazie alla leggerezza cellulare raggiunta, pareva sfiorassi anch'io terra con i piedi), indicandomi col dito,

grid: Guardate come la luce del sole si arresta di colpo sul corpo di quello che sale per ultimo, pur se come vivo in questa dimensione par si comporti!

Li occhi rivolsi al suon di questo motto, e vidile guardar per maraviglia 9 pur me, pur me, e 'l lume ch'era rotto.

Mi volsi al suo di quella voce, e vidi tutti guardare con meraviglia sia me che la luce arrestata sul mio corpo. Il corpo di Dante proiettava ombra e lo distingueva da tutte quelle anime. Perch l'animo tuo tanto divaga, disse Virgilio, che l'andare allenti? impigliandosi in ci che si bisbiglia? Virgilio temeva che quelle manifestazioni di meravigia attardassero il cammino di Dante.

Perch l'animo tuo tanto s'impiglia, disse 'l maestro, che l'andare allenti? 12 che ti fa ci che quivi si pispiglia?

Vien dietro a me, e lascia dir le genti: sta come torre ferma, che non crolla 15 gi mai la cima per soffiar di venti; ch sempre l'omo in cui pensier rampolla sovra pensier, da s dilunga il segno, 18 perch la foga l'un de l'altro insolla. Che potea io ridir, se non Io vegno? Dissilo, alquanto del color consperso 21 che fa l'uom di perdon talvolta degno. E 'ntanto per la costa di traverso venivan genti innanzi a noi un poco, 24 cantando 'Miserere' a verso a verso. Quando s'accorser ch'i' non dava loco per lo mio corpo al trapassar d'i raggi,

Vieni dietro a me, e non ti curar dell'altrui giudizio: stai come torre ferma che non crolla, come cima che giammai si muove al soffiar dei venti;

poich l'uomo, il cui pensiero tentenna, facilmente viene distratto e s'attarda nell'ascesa, quando la foga del pensiero dell'altro lo coinvolge e gli arresta il cammino.

Come potevo rispondergli, se non Io vengo? Lo dissi accettando il suo saggio consiglio e le sue esortazioni, con quella vergogna che arrossa il viso e rende l'uomo degno di perdono.

E intanto in direzione trasversale, lungo la costa del monte, venivano persone un po' pi avanti di noi, cantando 'Miserere' "a verso a verso" da espiazione a espiazione.

Quando quelle anime si accorsero che il mio corpo non dava spazio al trapassare dei raggi, mutarono il canto in un prolungato oh! di meraviglia, lungo e roco;

27 mutar lor canto in un oh! lungo e roco; e due di loro, in forma di messaggi, corsero incontr'a noi e dimandarne: 30 Di vostra condizion fatene saggi.

e due di loro ci corsero incontro come messaggeri per domandarci: Dateci notizia delle vostre condizioni di vita.

E 'l mio maestro: Voi potete andarne e ritrarre a color che vi mandaro 33 che 'l corpo di costui vera carne.

E il mio maestro: Voi potete riferire a coloro che vi mandarono che il corpo di costui " vera carne" di materia vibrante in dimensione umana.

Se per veder la sua ombra restaro, com'io avviso, assai lor risposto: 36 fccianli onore, ed esser pu lor caro.

(Le Forze Cosmiche vivificano e ristabiliscono l'Equilibrio del Cammino Evolutivo, attraverso la Conoscenza). Se per vedere la sua ombra arrestarono il cammino, come io penso, li ho soddisfatti con la mia risposta. Il desiderio di Conoscenza, tanto gradito al Cielo, " fccianli onore" faccia loro onore e pu essere loro cara la mia chiarificazione (che costituisce, quale spinta evolutiva, un tassello del mosaico della Grande Verit).

Vapori accesi non vid'io s tosto di prima notte mai fender sereno, 39 n, sol calando, nuvole d'agosto, che color non tornasser suso in meno; e, giunti l, con li altri a noi dier volta 42 come schiera che scorre sanza freno. Questa gente che preme a noi molta, e vegnonti a pregar, disse 'l poeta: 45 per pur va, e in andando ascolta. O anima che vai per esser lieta con quelle membra con le quai nascesti, 48 venian gridando, un poco il passo queta. Guarda s'alcun di noi unqua vedesti, s che di lui di l novella porti: 51 deh, perch vai? deh, perch non t'arresti? Noi fummo tutti gi per forza morti, e peccatori infino a l'ultima ora; 54 quivi lume del ciel ne fece accorti, s che, pentendo e perdonando, fora di vita uscimmo a Dio pacificati, 57 che del disio di s veder n'accora. E io: Perch ne' vostri visi guati, non riconosco alcun; ma s'a voi piace 60 cosa ch'io possa, spiriti ben nati, voi dite, e io far per quella pace che, dietro a' piedi di s fatta guida 63 di mondo in mondo cercar mi si face.

Non vidi mai vapori accesi di prima notte, n al tramonto tra nuvole d'agosto, fendere cos rapidamente il sereno del cielo,

come vidi tornare su con le altre le due anime a riferire il messaggio, poi tutte si allontanarono veloci come schiera che scorre senza freno.

Molti sono gli uomini desiderosi di Conoscenza, e questi vegono a chiedere il tuo aiuto, disse il poeta: per tu non fermarti e nel proseguire ascolta.

O anima che vai per esser lieta con quelle membra con le quali nascesti, mi raggiungevano voci diverse, rallenta un poco il passo.

Guarda se alcuno di noi conosci, affinch tu possa portare di lui notizie al mondo umano: deh, perch vai? deh perch non ti fermi?

Noi fummo uccisi e peccatori fino all'ultima ora; qui, in questo momento la Luce Divina ci illumina il pensiero (la dolorosa morte ci purific e ci rese consapevoli dei nostri trascorsi errori, la Grazia ci pervase),

cos che pentendoci e perdonando chi ci dette la morte, uscimmo dalla sfera espiativa nella pace di Dio, ed ora ci accora il desiderio di giungere alla Vetta Suprema.

E io: Non riconosco di voi nessuno che mi sia noto, ma se volete cos che io possa, spiriti ben nati,

ditemi i vostri nomi, ed io vi aiuter per quella pace che cerco andando di mondo in mondo, seguendo i passi di s alta guida che la Grazia mi concede.

E uno incominci: Ciascun si fida del beneficio tuo sanza giurarlo, 66 pur che 'l voler nonpossa non ricida. Ond'io, che solo innanzi a li altri parlo, ti priego, se mai vedi quel paese 69 che siede tra Romagna e quel di Carlo, che tu mi sie di tuoi prieghi cortese in Fano, s che ben per me s'adori 72 pur ch'i' possa purgar le gravi offese. Quindi fu' io; ma li profondi fri ond'usc 'l sangue in sul quale io sedea, 75 fatti mi fuoro in grembo a li Antenori, l dov'io pi sicuro esser credea: quel da Esti il f far, che m'avea in ira 78 assai pi l che dritto non volea. Ma s'io fosse fuggito inver' la Mira, quando fu' sovragiunto ad Oraco, 81 ancor sarei di l dove si spira. Corsi al palude, e le cannucce e 'l braco m'impigliar s ch'i' caddi; e l vid'io 84 de le mie vene farsi in terra laco. Poi disse un altro: Deh, se quel disio si compia che ti tragge a l'alto monte, 87 con buona petate aiuta il mio! Io fui di Montefeltro, io son Bonconte; Giovanna o altri non ha di me cura; 90 per ch'io vo tra costor con bassa fronte. E io a lui: Qual forza o qual ventura ti trav s fuor di Campaldino, 93 che non si seppe mai tua sepultura? Oh!, rispuos'elli, a pi del Casentino traversa un'acqua c'ha nome l'Archiano, 96 che sovra l'Ermo nasce in Apennino. L 've 'l vocabol suo diventa vano, arriva' io forato ne la gola, 99 fuggendo a piede e sanguinando il piano. Quivi perdei la vista e la parola; nel nome di Maria fini', e quivi 102 caddi, e rimase la mia carne sola. Io dir vero e tu 'l rid tra ' vivi: l'angel di Dio mi prese, e quel d'inferno 105 gridava: "O tu del ciel, perch mi privi? Tu te ne porti di costui l'etterno

Ed uno di loro disse: Ciascuno di noi si fida della tua promessa, pur che alcuna Legge Divina non impedisca l'aiuto.

perci io, che ti parlo prima degli altri, ti prego, se mai vedessi il paese di Fano, che risiede tra la Romagna e la terra di Carlo d'Angi, il regno di Napoli,

che tu mi usi la cortesia di dire ai congiunti e agli amici di Fano, di pregare per me affinch la preghiera (proveniente da persone in grazia di Dio), mi aiuti ad iniziare l'espiazione nel Purgatorio delle mie gravi colpe.

Io nacqui in Fano, ma le ferite mortali sul corpo nel quale aveva sede la mia anima, mi furono inflitte "in grembo a li Antenori" nei pressi di Padova, fondata dal principe troiano Antenore,

l dove io pi sicuro mi credevo: Azzolino d'Este mi fece uccidere; egli mi odiava pi di quanto fosse guisto.

Se fossi fuggito verso Mira, quando fui raggiunto ad Oriaco, mi sarei salvato.

Corsi a nascondermi nella palude, e l tra le piante palustri m'impigliai, caddi; e l vidi formarsi per terra un lago del mio sangue.

Poi un altro disse: Possa esaudirsi il tuo desiderio di salire rapido il monte, con spirito di carit aiutami a realizzare la stessa aspirazione!

Io fui Bonconte di Montefeltro; n mia moglie Giovanna n altri hanno cura di pregare per me; perci io vado con costoro umiliato e triste.

E io a lui: Quale destino o sventura ti port fuori da Campaldino, tanto che mai si seppe il luogo di tua sepoltura?

Oh!, egli rispose, ai piedi del Casentino traversa un fiume che ha nome Archiano, che nasce sopra l'Ermo in Appennino.

L dove si spegne il suo nome (allor che l'acqua si riversa nell'Arno), io arrivai ferito nella gola, fuggendo a piedi e insanguinando il piano.

Qui perdetti la vista e la parola; fin col nome di Maria e qui caddi e rimase solo il mio corpo fisico.

Io ti dir il vero e tu lo ripeterai tra i vivi, in dimensione umana: l'angelo di Dio mi prese con s, mentre l'angelo dell'Inferno gridava: "O tu del ciel, perch mi privi?

Tu porti con te la sua animica parte eterna, per una lacrimetta che ti versa; ma io far dell'altra

per una lagrimetta che 'l mi toglie; 108 ma io far de l'altro altro governo!" Ben sai come ne l'aere si raccoglie quell'umido vapor che in acqua riede, 111 tosto che sale dove 'l freddo il coglie. Giunse quel mal voler che pur mal chiede con lo 'ntelletto, e mosse il fummo e 'l vento 114 per la virt che sua natura diede. CANTO5 l'angel di Dio mi prese, e quel d'inferno gridava - v. 104-105

parte altro governo (ristabilir in lui l'equilibrio perduto, con la mia opera purificatrice)!"

Tu sai certamente (continu Bonconte) come nell'aria si raccoglie il vapore che ricade in pioggia, dopo essersi condensato nel piano freddo dell'aria.

Cos giunse quel mal volere che, se pur mal chiede con l'intelletto, tramuta il Male in Bene (come "quell'umido vapor che in acqua riede"ritorna) e mosse il fumo e il vento per mezzo della potenza purificatrice che la sua natura diede.

Questa disputa tra l'Angelo bianco e l'Angelo nero, entrambi Angeli al servizio di Dio, se pur in differente missione, viene raccontata da Bonconte, affinch Dante la ripeta tra i vivi, che non conoscono le Leggi Divine della Vita e della Morte. L'Angelo punitore voleva riportare all'anima l'Equilibrio che era stato disarmonizzato col peccato, essendo il corpo fisico il terminale dell'anima, si prefiggeva di ristabilirlo, attraverso il dolore fisico. (Sia il dispiacere dell'anima che il dolore fisico raggiungono entrambi la stessa purificazione). A tal punto il lettore, al buio delle Leggi Divine, si domander: "Come potrebbe ristabilirsi l'equilibrio perduto, se la parte mortale, il corpo, morto e insensibile, poich privo di anima?" Come gi affermato nel Canto I - v. 25-27 dell'Inferno, per un tempo approssimativo ai tre giorni, dopo che il cuore ha cessato di battere, l'anima resta ancora collegata al suo involucro fisico attraverso un filo di energia che rende il corpo perfettamente sensibile, come nella vita cos per tre giorni dopo la "morte" e pertanto Bonconte dice: "Cos sul Pratomagno giunse quel male proveniente da ferrea volont che lo richiede e che la forza evolutiva concede, e mosse il fumo e il vento".

Indi la valle, come 'l d fu spento, da Pratomagno al gran giogo coperse 117 di nebbia; e 'l ciel di sopra fece intento, s che 'l pregno aere in acqua si converse; la pioggia cadde e a' fossati venne 120 di lei ci che la terra non sofferse; e come ai rivi grandi si convenne, ver' lo fiume real tanto veloce 123 si ruin, che nulla la ritenne. Lo corpo mio gelato in su la foce trov l'Archian rubesto; e quel sospinse 126 ne l'Arno, e sciolse al mio petto la croce

Poi quando il di' fu spento nelle tenebre della notte, il gran giogo della disarmonia delle forze naturali coperse il Pratomagno e una densa nebbia offusc la Terra e il cielo,

cos il pregno aere si convert in acqua; la pioggia cadde sferzante e copiosa nei fossati in una tempesta che mai prima di allora quella terra aveva sofferto;

e come avviene nelle grandi cascate, che si gettano verso il fiume cos veloce, si rovesci quell'acqua che nulla la ritenne.

Il mio corpo gelato si rivolt nella ghiaia e l'Archiano, nelle forze della natura disastrata, lo sospinse nel fondo dell'Arno, e si sciolse cos dal mio petto la croce del peccato

ch'i' fe' di me quando 'l dolor mi vinse; voltmmi per le ripe e per lo fondo, 129 poi di sua preda mi coperse e cinse.

nella Grazia, quando il dolore mi vinse e la tempesta mi rivolt contro gli scogli e nel fondo del fiume, il mio corpo gonfio di rena e di melma rimase sepolto sotto la ghiaia. Cos Bonconte svel la sua fine, il suo sconosciuto luogo di sepoltura e lo svolgersi della eterna Legge di Giustizia, che Dante avrebbe portato alla conoscenza umana.

Deh, quando tu sarai tornato al mondo, e riposato de la lunga via, 132 seguit 'l terzo spirito al secondo,

Deh, quando tu sarai tornato nel tuo mondo e riposato dalla lunga via, intervenne un terzo, dopo il secondo spirito,

ricorditi di me, che son la Pia: Siena mi f, disfecemi Maremma: salsi colui che 'nnanellata pria 136 disposando m'avea con la sua gemma.

ricordati di me, che son la Pia: nacqui a Siena, morii in Maremma: si svegli dalla lunga morte umana colui che prima di uccidermi mi aveva inanellata con la sua gemma. Di fronte a Dante, Pia de' Tolomei non dice n perch, n come era stata uccisa. Ella ha perdonato il suo assassino, che non nomina neppure.

CANTO6

Canto VI Le anime dei morti violentemente si stringono, per chiedere suffragi, intorno a Dante, che ha ripreso il suo cammino e che riconosce fra di loro molti noti personaggi del suo tempo. La richiesta di preghiere da parte dei penitenti provoca un dubbio nel Poeta, il quale ha presente l'affermazione da Virgilio fatta nell'Eneide circa l'inutilit della preghiera per mutare un decreto divino: ma, spiega il maestro, vana solo la supplica non rivolta al vero Dio, mentre nel mondo cristiano essa, con il suo ardore; pu muovere a misericordia la volont celeste. Virgilio poi si accosta a un'anima isolata dalle altre perch venga loro indicata la via migliore per salire: ma quella risponde chiedendo notizie della patria e della vita dei due pellegrini. Non appena Virgilio pronuncia il nome di Mantova, l'ombra si protende verso di lui, rivelandosi: lo sono Sordello e sono della tua stessa terra e abbracciandolo. Dante di fronte a questa manifestazione di amore patrio inizia una violenta invettiva contro l'Italia, i cui cittadini hanno dimenticato ogni virt e ogni concordia, combattendosi come nemici. Invano Giustiniano ha riorganizzato le leggi della vita civile, se la Chiesa, intervenendo in campo politico, impedisce all'imperatore di governare. Del resto gli ultimi imperatori, presi dai problemi della Germania, non si sono pi curati n dell'Italia n della citt imperiale per eccellenza, Roma. L'apostrofe termina con la visione di Firenze dilaniata dalle lotte interne e incapace di darsi uno stabile governo.

Introduzione critica L'impulso costante che sollecita Dante a trasferire entro un arco pi vasto e in un'atmosfera superiore, la rappresentazione del reale, contrapponendo la rivelazione del mondo eterno allo scandaloso disordine della realt storica terrena, si realizza compiutamente nella drammaticit articolata e piena dell'apostrofe all'Italia, dove ancora una volta l'autobiografismo del Poeta, che inserisce nella narrazione del viaggio d'oltretomba le passioni e gli sfoghi della sua anima, si fonde con la missione profetica che egli si attribuisce per legittimare la sua visione , ponendosi, quale riformatore morale e politico, al centro della storia e del mondo. Perci la sua analisi storica assume uno svolgimento per cerchi concentrici, inquadrando il problema particolare, la vicenda biografica, il fatto isolato in considerazioni pi largamente prospettiche. Dalle singole apparizioni dei morti violentemente - che sono stati protagonisti di cronache locali, concorrendo nella quasi totalit a fomentare lotte familiari, politiche e civili attraverso l'appassionato abbraccio di Virgilio e Sordello, che ricompone quel ricordo di violenze in un'armonia dimentica di differenze di tempo e di civilt, il Poeta attinge il centro di articolazione di quel disordine, l' Italia, non intellettualisticamente studiata per tradurne in freddi termini analitici la situazione politica, ma fervidamente persa con lo sguardo dell'esule che vede ripetersi in ogni citt; in ogni borgo, la storia dolorosa della sua Firenze. Per questo nell'ultima parte l'apostrofe che si era allargata nella considerazione dell'Impero, e della Chiesa, e` dei loro complessi rapporti, s'incurva improvvisamente (Fiorenza mia, ben puoi esser contenta di questa digression che non ti tocca), denunciando, ch da un motivo particolare, autobiografico - il dramma del Poeta esule e il dramma della sua tormentata citt - aveva avuto origine quella vigorosa accusa contro la societ del tempo. Il Malagoli osserva molto giustamente che questo modo di sentire la storia, mescolandovi il proprio sentimento e il proprio giudizio personale, "per la sua ricchezza e intima coerenza, nuovo" e, si pu aggiungere, del tutto rispondente allo spirito profetico che anima la Commedia, simboleggiando ogni profeta con la propria vita anche la vita del suo popolo, per cui nella redenzione di Dante l'immagine prefiguratrice della redenzione religiosa e politica di tutto il mondo. Questa affermazione porta necessariamente a sottolineare la significazione biblica dell'apostrofe, rilevabile non per una vicinanza verbale, come a volte pu avvenire, ma per una comunione di sentimenti: dalla passione pi biblica e insieme pi dantesca, l'ira, allo sdegno che ne consegue, capace, con la sua asprezza, di distruggere ogni riguardo umano (O Alberto tedesco... giusto giudicio dalle stelle caggia sovra 'l tuo sangue... vien, crudel, vieni... a vergognar ti vien della tua fama; ahi gente che dovresti esser devota), al disprezzo che trova le voci pi mordenti e allusive e il gusto pi realistico (non donna di provincie, ma bordello), al sarcasmo tanto pi lampeggiante quanto pi l'anima irritata dinanzi ai sottili e perversi accorgimenti della mente umana (tu ricca, tu con pace, e tu con senno), in una gamma spirituale ricchissima, che trova la sua interna unit nel ritmo spezzato e variato dello stile per seguire pi rapidamente il corso dei moti interni. "L'apostrofe Ahi serva Italia tutta travolta da succedenti flutti di passioni; e per la pressura dei motivi la famosa pagina ci tocca pi nel particolare che nell'intero svolgimento. Pagina oratoria, che in quelle circostanze val pi di una raccolta armonia, non idonea ad accogliere la voce immediata del cuore, cio la protesta del cittadino contro la forsennata politica del suo paese. Satira, ironia, sarcasmo guizzano e fremono per tutta l'apostrofe." In essa "gli elementi storici sono offerti da personaggi e avvenimenti contemporanei, collocati sul

quadro della regione Italica che, nella fervida immaginazione, si rimpicciolisce per poter tutta dispiegarsi allo sguardo del Poeta, dall'una all'altra proda, dall'interno alle marine, sicch nulla sfugga al suo spirito indagatore e persecutore. Per questa capacit di sintesi storica e topografica..: .e per la luce apocalittica che scende dall'alto a percuotere i potenti e i responsabili e si protrae minacciosa nel futuro, l'apostrofe ha pur essa una suggestione biblica; poich anche nella Bibbia c' questa semplicit e ampiezza di visione: un occhio che guarda acuto; e una mente che giudica spietata" (Marzot). L'apostrofe, la cui violenza trova riscontro solo in quella rivolta alla simonia della Chiesa nel canto XIX dell'Inferno, non un semplice artificio stilistico, assunto per convenienza o per necessit didascalica. Essa trova la sua origine in una dimensione psicologica e fantastica, che l'anima di Dante acquista quando avverte pi violento dentro di s lo spirito di ribellione al suo tempo, quando l'orrore e il disgusto del presente sono cosi forti da "scuotere le sue fibre di uomo, di credente e di cittadino" (Marzot), dissolvendo ogni linguaggio piano e composto - perch insufficiente a restaurare l'ordine morale e politico a cui egli mira - in uno stile epico ricco, secondo l'osservazione del Marzot, del tremore e della agitazione di chi posseduto dalla sua materia e vi si dibatte, e nello sforzo vittorioso la domina e la esprime. II passaggio dal termine proprio Italia a quello figurato fiera e giardin dello 'mperio, (da Roma all'immagine della donna vedova e sola) avviene senza soluzione e senza sforzo, perch le "cose" sono investite di un nuovo significato e su di esse fantasticamente si muovono, i pensieri e le passioni del Poeta: regioni e citt diventano persone vive, bersagli animati della sua polemica in un discorso scorciato e vibrante, nel quale tuttavia resta la chiarezza di delineazione degli avvenimenti e dei problemi storici, dovendo gli uni e gli altri essere capiti e interpretati per potersi costituire come motivi di insegnamento.
Quando si conclude la partita della zara, colui che perde resta a ripetere le gettate dei dadi per essere pi addestrato le prossime volte, e tristemente impara; Quando si parte il gioco de la zara, colui che perde si riman dolente, 3 repetendo le volte, e tristo impara; Dante viene attorniato dalle anime morte violentemente, le quali cercano di parlargli e si paragona, perci al vincitore del gioco della zara. Un tempo, il gioco dei dadi era chiamato cos per il fatto che la partita veniva annullata quando sulla faccia principale dei dadi appariva un numero convenzionale che corrispondeva allo zero e veniva definito "zara" dall'arabo "zehr".

con l'altro se ne va tutta la gente; qual va dinanzi, e qual di dietro il prende, 6 e qual dallato li si reca a mente; el non s'arresta, e questo e quello intende; a cui porge la man, pi non fa pressa; 9 e cos da la calca si difende. Tal era io in quella turba spessa, volgendo a loro, e qua e l, la faccia, 12 e promettendo mi sciogliea da essa.

il vincitore se ne va seguito ed attorniato da tutta la gente, ognuno cerca di ottenere in regalo una parte della vincita;

ma egli non si ferma, ascolta or questo, or quello, porge la mano, e fra una promessa e l'altra, si difende dalla calca.

Cos in quella turba spessa ero io, volgevo la faccia un po' qua e un po' l e promettendo mi allontanavo da essa.

Qui vi era l'Aretino, che ebbe la morte dalle feroci braccia di Ghino di Tacco, e vi era anche l'altro che si anneg correndo in caccia. Ghino di Tacco era conosciuto per la sua ferocia nelle ruberie, nelle aggressioni e per le feroci burle di cui parla anche il Boccaccio. Nei riguardi di Benincasa, chiamato "l'Aretino", perch nato presso Arezzo, Ghino di Tacco era stato di una tale ferocia che fece allibire tutti e andare sulle furie papa Bonifacio VIII. Benincasa, famoso giurista, era stato nominato podest di Bologna e aveva decretato varie condanne a morte. Dal suo castello dominante tutta la Maremma, Ghino aveva meditato contro l'Aretino un feroce delitto; avendo saputo che costui era stato convocato come giudice a Roma, si rec in tribunale in veste di spettatore. Ad un certo momento, Ghino gli salt addosso soffocandolo con le braccia e senza che nessuno intervenisse a fermarlo, lo decapit e port la sua testa come trofeo al castello di Radicofani. Nell'altro "ch'anneg correndo in caccia", molti commentatori riconoscono Guccio dei Tarlati, signore di Pietramala, il quale, durante una partita di caccia, fu inseguito e costretto dagli inseguitori a gettarsi in Arno.

Quiv'era l'Aretin che da le braccia fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte, 15 e l'altro ch'anneg correndo in caccia.

In questo posto, con le mani tese in avanti, pregava anche Federico Novello, e quello di Pisa che fece apparire forte il buon Marzucco. Federico Novello era figlio di Guido Novello, che aveva governato Firenze per sette anni, durante il predominio dei Ghibellini e fu ucciso dai propri parenti. Quello di Pisa, secondo vari commentatori, Gano degli Scornigiani, il cui padre, Marzucco, era stato prima uomo politico e poi frate francescano. Marzucco, nell'occasione dell'assassinio del figlio Gano, rivel la sua tempra morale; non pens di vendicarsi, ma riuniti tutti i consorti, tenne loro un discorso ispirato alle parole di Ges, sul perdono per i propri nemici, definito "il grande precetto di Cristo", affermando che ognuno doveva vivere in pace, senza mai vendicarsi, per porre fine, cos ai delitti del mondo. Tutte queste anime avevano subito penose morti attraverso il delitto ed erano, pertanto, giunte alle porte del Purgatorio.

Quivi pregava con le mani sporte Federigo Novello, e quel da Pisa 18 che f parer lo buon Marzucco forte.

Vidi conte Orso e l'anima divisa dal corpo suo per astio e per inveggia, 21 com'e' dicea, non per colpa commisa;

Vidi il conte Orso e l'anima divisa dal suo corpo, come egli stesso affermava, "per astio e per invidia", non per colpa commessa;

era l'anima di Pierre de la Brosse; e provveda costei a riparare alla sua colpa fino a che in quella vita, in modo che non vada incontro a"peggior greggia" sofferenze peggiori in vite successive. Pierre de la Brosse fu chirurgo di Luigi IX e poi di Filippo III, "l'Ardito". Tale chirurgo fu nominato Gran Ciambellano da Filippo l'Ardito, ma quando nel 1275, Luigi, primogenito del re, mor, egli accus la regina Maria di Brabante, seconda moglie di Filippo, di avere assassinato il figliastro Luigi, per assicurare la successione al trono al proprio figlio Filippo. Due anni dopo, durante la guerra tra Filippo III e Alfonso X di Castiglia, il rancore della regina Maria di Brabante si abbatt su Pierre, travolgendolo; venne infatti accusato di tradimento ed anche di aver tentato di sedurla. Questo avvenne per odio e per invidia, come egli stesso diceva, e non per colpa commessa, ma gli impulsi emanati dalle parole che promuovono il delitto tornano sempre a colpire di ritorno, similmente agli impulsi provenienti dal delitto stesso. Egli fu ucciso a sua volta dalle accuse che per astio e per invidia promosse la Regina Maria di Brabante.

Pier da la Broccia dico; e qui proveggia, mentr' di qua, la donna di Brabante, 24 s che per non sia di peggior greggia.

Come libero fui da tutte quante quell'ombre che pregar pur ch'altri prieghi, 27 s che s'avacci lor divenir sante, io cominciai: El par che tu mi nieghi, o luce mia, espresso in alcun testo 30 che decreto del cielo orazion pieghi; e questa gente prega pur di questo: sarebbe dunque loro speme vana, 33 o non m' 'l detto tuo ben manifesto? Ed elli a me: La mia scrittura piana; e la speranza di costor non falla, 36 se ben si guarda con la mente sana;

Quando fui libero da quelle anime che volevano che tutti noi per loro si pregasse, cos che venisse affrettata la loro salvezza,

io dissi: Mi sembra che tu neghi, o Virgilio, esplicitamente in un passo del tuo poema che una preghiera possa piegare un decreto del Cielo;

queste anime, invece, pregano per questo: dunque vana la loro speranza, oppure non mi ben manifesto quanto affermi?

Ed egli a me: Il mio testo chiaro; e la loro speranza non sbagliata, se si guarda attentamente con la mente libera da pregiudizi;

ch cima di giudicio non s'avvalla perch foco d'amor compia in un punto 39 ci che de' sodisfar chi qui s'astalla;

perch l'altezza del Giudizio Divino non si abbassa per l'ardore di carit di coloro che pregano), "un punto" un istante di preghiera (di fronte alla realt del tempo di Reincarnazione) non riesce a mitigare quella espizione necessaria all'anima che "qui s'astalla" qui dimora;

e l dov'io fermai cotesto punto, non s'ammendava, per pregar, difetto, 42 perch 'l priego da Dio era disgiunto. Veramente a cos alto sospetto non ti fermar, se quella nol ti dice 45 che lume fia tra 'l vero e lo 'ntelletto. Non so se 'ntendi: io dico di Beatrice;

e l (nell'Eneide), dove io chiarisco questo concetto, non si emendava con le preghiere, perch il perdono diviso dalla Giustizia di Dio.

Tuttavia non fermare il tuo pensiero in un dubbio cos profondo, prima che "quella" illumini la tua mente di Verit assoluta.

Non so se intendi: mi riferisco a Beatrice (che potr spiegarti questo concetto); tu

tu la vedrai di sopra, in su la vetta 48 di questo monte, ridere e felice.

la vedrai sulla vetta di questo monte ridere felice. La purificazione non pu avvenire se non attraverso il dolore. soltanto il dolore che libera l'anima dal negativo, assorbito nel male operare. Se l'amore, che accomuna nella pace e nella fratellanza, si eleva nelle alte Sfere Celesti in un'accorata preghiera, fatta di benefica energia, pu irrorare l'anima in pena, che dal positivo verr raggiunta ovunque essa sia, mediante la ForzaPensiero. Questa la vera "comunione dei Santi, che libera l'anima dal peccato"... Senza questa comunanza affettiva, fatta di Amore fraterno, la Santa Particola non avrebbe alcun senso e resterebbe alla Terra con tutte le cose che non hanno un'anima. Ed io: Signore, andiamo pi in fretta, poich non mi affatico come prima, e vedi ormai come il monte proietta la sua ombra su di noi (l'ora avanza). Al nome di Beatrice, Dante prende fretta.

E io: Segnore, andiamo a maggior fretta, ch gi non m'affatico come dianzi, 51 e vedi omai che 'l poggio l'ombra getta.

Noi anderem con questo giorno innanzi, rispuose, quanto pi potremo omai; 54 ma 'l fatto d'altra forma che non stanzi.

Noi finch dura il giorno andremo avanti, rispose, quanto pi potremo; ma le cose stanno in modo diverso da come tu pensi (riguardo a Beatrice).

Prima che sie l s, tornar vedrai colui che gi si cuopre de la costa, 57 s che ' suoi raggi tu romper non fai.

Prima che tu giunga alla vetta del monte (reincarnandoti ancora), vedrai rinascere il sole, in modo tale che tu non romperai pi i suoi raggi col tuo corpo. La materia del corpo di Dante sar pi spiritualizzata e la luce del sole non produrr di lui ombra alcuna.

Ma vedi l un'anima che, posta sola soletta, inverso noi riguarda: 60 quella ne 'nsegner la via pi tosta. Venimmo a lei: o anima lombarda, come ti stavi altera e disdegnosa 63 e nel mover de li occhi onesta e tarda! Ella non ci dicea alcuna cosa, ma lasciavane gir, solo sguardando 66 a guisa di leon quando si posa. Pur Virgilio si trasse a lei, pregando che ne mostrasse la miglior salita; 69 e quella non rispuose al suo dimando, ma di nostro paese e de la vita ci 'nchiese; e 'l dolce duca incominciava 72 Manta..., e l'ombra, tutta in s romita,

Ma vedi l un'anima che stata posta sola e che guarda verso di noi: ella ti insegner la via pi breve.

Ci avvicinammo a lei: o anima lombarda, come stavi altera e disdegnosa nel tuo guardare lento!

Ella non ci parlava, ci lasciava proseguire, seguendoci con lo sguardo a guisa di leone che riposa.

Anche Virgilio le si avvicin, pregandola di indicarci la migliore salita; e quella non rispose alla sua domanda,

ma ci chiese del nostro paese e della nostra vita, e il maestro cominci (pronunciando il nome della citt natale) Mantova..., e l'ombra, chiusa in se stessa fino a quel momento, si alz verso di lui dal luogo dove prima stava, dicendo: O Mantovano, io son Sordello della tua terra!; e si abbracciarono.

surse ver' lui del loco ove pria stava, dicendo: O Mantoano, io son Sordello 75 de la tua terra!; e l'un l'altro abbracciava.

Sordello da Goito, nato da famiglia nobile verso il 1200, fu giullare prima e poi uomo d'armi alla corte di Azzo VII d'Este; peregrin prima nelle corti di Provenza e poi lasci l'Italia, viaggiando nel mondo, sempre come uomo di corte. Al seguito di Carlo d'Angi nella spedizione in Italia, cade prigioniero prima di giungere nel Regno di Napoli, dove Carlo d'Angi sconfisse re Manfredi. Trovatore, uomo d'armi, signore di parecchi castelli, Sordello da Goito compose canzoni d'amore. Tra le sue poesie rest famoso "Il Pianto".

Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, 78 non donna di province, ma bordello! Quell'anima gentil fu cos presta, sol per lo dolce suon de la sua terra, 81 di fare al cittadin suo quivi festa;

Ahi serva Italia, albergo di dolore, nave senza nocchiero in gran tempesta, non pi Signora, esemplare di intere nazioni, ma bordello!

Quell'anima gentile fu cos pronta a far festa al suo concittadino, solo al nome della sua terra;

e ora in te non stanno sanza guerra li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode 84 di quei ch'un muro e una fossa serra.

e in te, Italia, si dilaniano fra loro i cittadini di una stessa citt, chiusa da fossi e da muri, con i suoi abitanti sempre rissosi e discordi. Qui il riferimento va anche agli uomini della Terra, "cittadini di una stessa citt" divisi in nazioni da confini e barriere, e che da fratelli sono divenuti nemici.

Cerca, misera, intorno da le prode le tue marine, e poi ti guarda in seno, 87 s'alcuna parte in te di pace gode. Che val perch ti racconciasse il freno Iustinano, se la sella vota? 90 Sanz'esso fora la vergogna meno. Ahi gente che dovresti esser devota, e lasciar seder Cesare in la sella, 93 se bene intendi ci che Dio ti nota, guarda come esta fiera fatta fella per non esser corretta da li sproni, 96 poi che ponesti mano a la predella. O Alberto tedesco ch'abbandoni costei ch' fatta indomita e selvaggia, 99 e dovresti inforcar li suoi arcioni, giusto giudicio da le stelle caggia sovra 'l tuo sangue, e sia novo e aperto, 102 tal che 'l tuo successor temenza n'aggia! Ch'avete tu e 'l tuo padre sofferto, per cupidigia di cost distretti, 105 che 'l giardin de lo 'mperio sia diserto.

Cerca, o sventurata, le tue regioni marittime lungo le coste e considera lo stato delle regioni continentali, per vedere se in una qualunque parte vi sia pace.

A che vale, o Iustiniano, riaccomodare il freno, se il trono vacante? Senza le leggi romane, la vergogna sarebbe minore.

Ahi gente che dovresti esser devota, e lasciar sedere un Cesare sulla tua sella, se bene intendi ci che Dio ti indica,

guarda come la fiera Italia divenuta riottosa, perch non corretta dagli sproni, da quando ponesti mano tu alla briglia, o gente incapace.

O tedesco Alberto d'Asburgo, che abbandonasti l'Italia, ora divenuta indomita e selvaggia, mentre tu avresti dovuto inforcare gli arcioni,

giusto giudizio venga dalle stelle per la tua trascuratezza e cada sul tuo sangue, talmente che il tuo successore ne abbia timore e insegnamento!

Tu e tuo padre avete permesso che l'Italia, "il bel giardino dell'Impero" rimanga privo di ogni bene, bellezza e virt.

Vieni a veder Montecchi e Cappelletti, Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura: 108 color gi tristi, e questi con sospetti!

Vieni a veder l'Italia, la famiglia dei Montecchi, dei Cappelletti, dei Monaldi, dei Filippeschi, uomo senza cura (vieni a visitare l'inselvatichito giardino dell'Impero): alcune di queste famiglie sono gi scomparse nelle guerre civili ed altre temono di subire la stessa sorte!

Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura d'i tuoi gentili, e cura lor magagne; 111 e vedrai Santafior com' oscura! Vieni a veder la tua Roma che piagne vedova e sola, e d e notte chiama: 114 Cesare mio, perch non m'accompagne? Vieni a veder la gente quanto s'ama! e se nulla di noi piet ti move, 117 a vergognar ti vien de la tua fama. E se licito m', o sommo Giove che fosti in terra per noi crucifisso, 120 son li giusti occhi tuoi rivolti altrove? O preparazion che ne l'abisso del tuo consiglio fai per alcun bene 123 in tutto de l'accorger nostro scisso? Ch le citt d'Italia tutte piene son di tiranni, e un Marcel diventa 126 ogne villan che parteggiando viene.

Vieni, o crudele, a vedere l'oppressione prodotta dai nobili feudatari e cura le loro magagne; vedrai la contea di Santafiora com' decaduta!

Vieni (Imperatore senza corona) a vedere la tua Roma che piange per la tua trascuratezza, e che vedova sola, giorno e notte ti chiama: Cesare mio, perch non mi accompagni?

Vieni a vedere la gente quanto si ama! e se nulla di noi piet ti muove, vieni a vergognarti della cattiva fama che ti sei acquistato presso gli italiani.

E se lecito mi , o sommo Giove che fosti in terra per noi crocifisso, son forse gli occhi tuoi rivolti altrove?

Oppure Tu permetti tanto male, in previsione di un bene concepito negli abissi dei Cieli e che l'intelligenza umana, col suo misero intuito, non raggiunge?

Poich le citt d'Italia son tutte piene di tiranni, e un Marcello diventa ogni villano che parteggiando per un partito sale (su un seggio di capo senza esserne degno).

Fiorenza mia, ben puoi esser contenta di questa digression che non ti tocca, 129 merc del popol tuo che si argomenta. Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca per non venir sanza consiglio a l'arco; 132 ma il popol tuo l'ha in sommo de la bocca. Molti rifiutan lo comune incarco; ma il popol tuo solicito risponde 135 sanza chiamare, e grida: I' mi sobbarco! Or ti fa lieta, ch tu hai ben onde: tu ricca, tu con pace, e tu con senno! 138 S'io dico 'l ver, l'effetto nol nasconde. Atene e Lacedemona, che fenno l'antiche leggi e furon s civili, 141 fecero al viver bene un picciol cenno verso di te, che fai tanto sottili provedimenti, ch'a mezzo novembre 144 non giugne quel che tu d'ottobre fili. Quante volte, del tempo che rimembre, legge, moneta, officio e costume 147 hai tu mutato e rinovate membre!

Firenze mia, puoi essere ben contenta (dice sarcasticamente) perch tutti questi mali non ti toccano, grazie al popolo tuo che a far bene s'ingegna.

Molti uomini hanno giustizia in cuore e tardi scocca per non giungere all'arco senza consiglio, ma il popolo tuo l'ha al sommo della bocca.

Molti uomini rifiutano il comune incarico; ma il popolo tuo risponde sollecito senza essere chiamato, e grida: Io mi sobbarco!

Or ti fa lieta, perch ne hai motivo: tu ricca, tu con pace, tu con senno! Se dico il vero, l'apparenza non lo nasconde.

Atene e Sparta, che pure ebbero savie leggi, fecero ben poco

in confronto a te, o Firenze, che fai tanto sottili provvedimenti, che a met novembre non giunge quello che tu inizi in ottobre.

Quante volte, nel tempo che rimembra legge, moneta, ufficio e costume tu hai mutato e rinnovate le tue membra!

E se ben ti ricordi e vedi lume, vedrai te somigliante a quella inferma che non pu trovar posa in su le piume, 151 ma con dar volta suo dolore scherma.

Se tu ricordi e vedi bene, vedrai te somigliante a quell'inferma, che non pu trovare posa in su le piume, ma si volta e rivolta, volgendosi ora su l'uno, ora su l'altro fianco, per fare schermo al dolore. qui presente il riferimento al genere umano costretto al dolore.

CANTO 11

CANTO XI Il canto inizia con la preghiera cantata dalle anime: il padre nostro.Nella traduzione in volgare dell'orazione il poeta non si limita a riportare i versetti testamentari ma fa segiure a ciascuno di essi un commento, una meditazione dell'animo pentito del eccato di superbia. L'ultima parte della preghiera un atto di carita dell'anime nei confronti di chi corre ancora il rischio di essere dannato.E' giusto quindi,osserva Dante,che i viventi in grazia di Dio,preghino nel mondo per abbreviare la loro pena. Virgilio augura agli spiriti purganti di essere presto liberati dalla giustizia e misericordia divina e chiede quale sia la via piu breve per raggiungere la seconda cornice.Il primo a rispondere lo spirito di Omberto Aldobrandeschi, il quale confessa che l'arroganza ispiratagli "dall'antico sangue e l'opere leggiadre" degli avi,lo spinse ad un tale altezzoso spregio degli altri a essere ucciso per questo.Mentre Dante ascolta il racconto di Omberto,un'altra anima tenta faticosamente di attirare l'attezione del poeta.

E' Oderisi da Gubbio,il quale si purga della sua vana gloria d'artista confassando che "lo grand disio/de eccellenza" gli ha impedito in vita di essere "cortese" di riconoscimenti verso un altro miniatore e spiega che "di tal superbia,appunto,si paga il fio nel primo girone".Oderisi si spinge poi ad una disincantata condanna della gloria terrena,mostrando il trapassare incessante della fama dall'uno all'altro artista,confermati da due esempi storici contemporanei:Cimabue superato da Giotto;Guido giunizzelli da Cavalcanti,alludendo cos all'eccellenza poetica di Dante.Oderisi conferma il suo discorso sull'effimera durata della fama mondana con un esempio storico,legato alla vita politica del suo

tempo:Provenzan Salvani,che fu "presuntuoso/a recar Siena tutta alle sue mani".Dante chiede come mai quest'anima sia gi qui nel purgatorio vero e proprio,malgrado la sua arroganza,protratta per tutto il corso della vita,fino alle soglie della morte.Oderisi narra allora che egli inizi ad espiare in vita la sua superbia,umiliandosi a mendicare per un amico.Non passer molto tempo e Dante stesso provera,per propria esperienza,cosa significhi stendere la mano per chiedere aiuto.E' questa,in Purgatorio,la seconda profezia dell'esilio dopo quella di Malaspina.
O Padre nostro, che ne' cieli stai, non circunscritto, ma per pi amore 3 ch'ai primi effetti di l s tu hai, laudato sia 'l tuo nome e 'l tuo valore da ogne creatura, com' degno 6 di render grazie al tuo dolce vapore. O Padre nostro che sei nei cieli, non circoscritto nello spazio e nel tempo, ma vivente nell'infinito Equilibrio d'Amore, lodato sia il Tuo Nome e la Tua Potenza da ogni creatura, secondo la sua capacit di rendere grazie al Tuo Fiato Creativo. Venga a noi quella Pace che avvolge e governa i mondi superiori, illuminati dalla Tua Luce d'Amore, ch noi ad essa non possiamo pervenire col nostro vivere peccaminoso - "non potem da noi", se ella non viene accompagnata da tutto il potere intellettivo consentito al genere umano - "con tutto nostro ingegno", - che ci renda idonei a mutare l'odio in amore, la vendetta in perdono in un equilibrio morale apportatore di pace. Come volontariamente gli Angeli Tuoi, osannando al Tuo universale amore si sacrificano per aiutare tutte le creature sparse nel Creato, cos facciano gli uomini per loro spontanea volont.

Vegna ver' noi la pace del tuo regno, ch noi ad essa non potem da noi, 9 s'ella non vien, con tutto nostro ingegno.

Come del suo voler li angeli tuoi fan sacrificio a te, cantando osanna, 12 cos facciano li uomini de' suoi.

D oggi a noi la cotidiana manna, sanza la qual per questo aspro diserto 15 a retro va chi pi di gir s'affanna. E come noi lo mal ch'avem sofferto perdoniamo a ciascuno, e tu perdona 18 benigno, e non guardar lo nostro merto. Nostra virt che di legger s'adona, non spermentar con l'antico avversaro, 21 ma libera da lui che s la sprona. Quest'ultima preghiera, segnor caro, gi non si fa per noi, ch non bisogna, 24 ma per color che dietro a noi restaro. Cos a s e noi buona ramogna quell'ombre orando, andavan sotto 'l pondo, 27 simile a quel che talvolta si sogna, disparmente angosciate tutte a tondo e lasse su per la prima cornice, 30 purgando la caligine del mondo.

Dai a noi il Tuo quotidiano aiuto spirituale, senza il quale retrocede chi pi si affanna ad avanzare.

Come noi perdoniamo coloro che ci causarono il male, tu perdona pietoso noi, senza guardare il nostro merito.

La nostra forza spirituale cos inconsistente non mettere alla prova con l'antico avversario del Bene, ma liberala dal suo diabolico potere, che tanto al malfare la sprona. Quest'ultima preghiera, o Signore caro, non la facciamo per noi, ma per coloro che pi di noi restarono indietro sul cammino della Vita. Cos le anime che vissero nella superbia vanno pregando, schiacciate sotto il peso della colpa, simile a quello che talvolta si avverte negli incubi, durante il sonno,

esse procedono cos liberandosi nel dolore, dalla superbia, nera caligine del mondo.

Se di l sempre ben per noi si dice, di qua che dire e far per lor si puote 33 da quei ch'hanno al voler buona radice?

Se le anime di l pregano per noi con tanto amore, considerandoci "morti", che fare e dire possiamo noi per loro, da questo nostro piano di Luce che ci rende predisposti, alla buona radice della Pace, del Perdono e dell'Amore? Si dovrebbe noi pregare per togliere loro le macchie del peccato, cos che, alleggerite dal peso del Karma, possano uscire verso il Bene ed elevarsi sugli alti Piani stellari. Virgilio si rivolse a quelle anime in preghiera: Deh, con l'augurio che giustizia e misericordia vi

Ben si de' loro atar lavar le note che portar quinci, s che, mondi e lievi, 36 possano uscire a le stellate ruote. Deh, se giustizia e piet vi disgrievi tosto, s che possiate muover l'ala,

39 che secondo il disio vostro vi lievi,

alleggeriscano la pena, cos che possiate subito volare verso ali alti Piani di Luce,

mostrate da qual mano inver' la scala si va pi corto; e se c' pi d'un varco, 42 quel ne 'nsegnate che men erto cala; ch questi che vien meco, per lo 'ncarco de la carne d'Adamo onde si veste, 45 al montar s, contra sua voglia, parco. Le lor parole, che rendero a queste che dette avea colui cu' io seguiva, 48 non fur da cui venisser manifeste;

mostrateci da quale parte si ascende e da dove meno ripida l'ascesa;

perch questo che viene con me, impedito dal peso del suo umano corpo pesante, che ancora lo riveste, ed spiacente di non potersi sollevare leggero.

Non apparve manifesto da chi venissero le parole della risposta;

ma fu detto: A man destra per la riva con noi venite, e troverete il passo 51 possibile a salir persona viva.

ma dal gruppo di quelle anime contratte sotto il peso della pietra che le rivestiva, usc una voce e disse: A mano destra, lungo la riva della pietra dentro la quale noi formiamo il muro ("con noi venite") seguite, il muro che ci riveste e troverete il passaggio possibile a persona che vive, libera nei suoi movimenti.

E s'io non fossi impedito dal sasso che la cervice mia superba doma, 54 onde portar convienmi il viso basso,

E se io non fossi impedito dal sasso che doma la mia cervice superba, per cui devo tenere il viso basso,

costui che con te, e che non stato nominato, io guarderei, per vedere se lo conosco, e per impietosirlo a questo mio peso corporeo ("e per farlo pietoso a questa soma"). cotesti, ch'ancor vive e non si noma, guardere' io, per veder s'i' 'l conosco, 57 e per farlo pietoso a questa soma. assolutamente da escludere che questa espressione sia, come pensa il Sapegno, "un modo di designare s stesso sprezzantemente, quasi dicesse: "...a questa bestia da soma". "Soma" in greco significa "corpo", da intendersi, perci: "a questo mio tormentato corpo di pietra". Io fui italiano, figlio di un gran toscano: Guglielmo Aldobrandeschi, di illustre casato; (qui evidente lo strascico dell'antica superbia). Il sangue nobile e le prestigiose imprese dei miei antenati mi fecero cos arrogante che ebbi tutti nemici, per questo io ne mor, come i Senesi sanno e lo sanno in Campagnatico tutti quanti. Umberto Aldobrandeschi, superbo e altezzoso, fu ucciso dai sicari mandati dal comune di Siena, mentre, di notte, si trovava nel suo letto al castello di Campagnatico, perci, egli dice:"come i Sanesi sanno". Io sono Umberto, ma non a me soltanto la superbia caus il male, poich da tal sentimento tutti i miei congiunti furono travolti. Ed ora bene che io porti tal peso e, poich non espiai abbastanza in corpo umano, ora in questa dimensione minerale espio tra i morti. Ascoltando questa voce, chinai in gi la faccia all'altezza del muro, da cui la voce usciva; e un di loro (delle anime immesse nella pietra) non questo che parlava, ma un altro, si fece attento ("si torse"), sotto il peso del muro in curva,

Io fui latino e nato d'un gran Tosco: Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre; 60 non so se 'l nome suo gi mai fu vosco.

L'antico sangue e l'opere leggiadre d'i miei maggior mi fer s arrogante, 63 che, non pensando a la comune madre, ogn'uomo ebbi in despetto tanto avante, ch'io ne mori', come i Sanesi sanno 66 e sallo in Campagnatico ogne fante.

Io sono Omberto; e non pur a me danno superbia fa, ch tutti miei consorti 69 ha ella tratti seco nel malanno. E qui convien ch'io questo peso porti per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia, 72 poi ch'io nol fe' tra' vivi, qui tra' morti.

Ascoltando chinai in gi la faccia; e un di lor, non questi che parlava, 75 si torse sotto il peso che li 'mpaccia,

e videmi e conobbemi e chiamava, tenendo li occhi con fatica fisi 78 a me che tutto chin con loro andava.

costui mi riconobbe e mi chiamava, tenendo gli occhi con fatica fissi verso di me, che tutto chino seguivo col pensiero ("con loro andavo") la loro via espiativa nel tempo che evolve. Oh!, io dissi a lui, non sei tu Oderisi, l'onor di Gubbio, l'onor di quell'arte delle miniature con le quali miniasti i codici sacri e che "illuminiatura" fu chiamata a Parigi? Fratello, egli disse, ridono di scherno quelle carte che pennelleggi pi Franco Bolognese di me, e per la cui arte il merito fu mio, soltanto in parte. Non sarei stato tanto propenso a far questo (se non per assecondare il mio orgoglio) nella mia vita, fu per il desiderio di apparire eccelso che lasciai credere fossi io il solo autore di tanta bellezza. Qui si paga il fio della superbia, ma io non sarei ora qui, se non avessi compreso il mio peccato e pregato Iddio, per ottenere la Sua Clemenza. Oh... vana gloria dell'umano potere! come per poco tempo verdeggia la tua cima, se non vi il risveglio della intelligenza nella umana et grossolana! Cos (secondo l'ambizione mondana), Cimabue credette di ave raggiunto l'apice della gloria nella sua pittura ed ora ha Giotto il primo grido, cos che la fama di Cimabue fu offuscata. Ci avvenne al dolce stile di Guido Guinizzelli, che fu spento dal dolce esprimersi di Guido Cavalcanti, ed gi giunto, forse un altro che caccer l'uno e l'altro dalla gloria. Il mondano rumore della gloria non altro che un soffio di vento, che ora viene ora va, e cambia nome perch muta il lato dalla cui direzione spira. Che risonanza avrai tu nel mondo, allorquando scinderai da te, la tua vecchia carcassa, pi che se fossi morto gi da bambino, prima che abbandonassi il linguaggio infantile del 'pappo' e del 'dindi' (cibo e denari), prima che sia trascorso un millennio? il quale millennio un lasso di tempo pi breve, rispetto all'eternit, di quello che pu essere un batter di ciglia a paragone della pi lenta rivoluzione stellare. Colui che a breve distanza mi precede, fece risonare del suo nome tutta la Toscana; ed ora appena di sfuggita se ne parla solo in Siena, della quale Siena era signore, allor che fu distrutta la rabbia fiorentina, che fu a quel tempo superba ed ora meretrice, pronta cedersi a chiunque. La vostra risonanza color d'erba, che nasce ed appassisce e il sole la scolora lo stesso, per cui essa spunta tenera dalla terra. Io gli risposi: La tua veritiera parola mi rincuora, mi infonde grande umilt e placa il mio timore; ma chi colui

Oh!, diss'io lui, non se' tu Oderisi, l'onor d'Agobbio e l'onor di quell'arte 81 ch'alluminar chiamata in Parisi? Frate, diss'elli, pi ridon le carte che pennelleggia Franco Bolognese; 84 l'onore tutto or suo, e mio in parte.

Ben non sare' io stato s cortese mentre ch'io vissi, per lo gran disio 87 de l'eccellenza ove mio core intese.

Di tal superbia qui si paga il fio; e ancor non sarei qui, se non fosse 90 che, possendo peccar, mi volsi a Dio. Oh vana gloria de l'umane posse! com'poco verde in su la cima dura, 93 se non giunta da l'etati grosse!

Credette Cimabue ne la pittura tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, 96 s che la fama di colui scura.

Cos ha tolto l'uno a l'altro Guido la gloria de la lingua; e forse nato 99 chi l'uno e l'altro caccer del nido. Non il mondan romore altro ch'un fiato di vento, ch'or vien quinci e or vien quindi, 102 e muta nome perch muta lato.

Che voce avrai tu pi, se vecchia scindi da te la carne, che se fossi morto 105 anzi che tu lasciassi il 'pappo' e 'l 'dindi',

pria che passin mill'anni? ch' pi corto spazio a l'etterno, ch'un muover di ciglia 108 al cerchio che pi tardi in cielo torto.

Colui che del cammin s poco piglia dinanzi a me, Toscana son tutta; 111 e ora a pena in Siena sen pispiglia, ond'era sire quando fu distrutta la rabbia fiorentina, che superba 114 fu a quel tempo s com'ora putta. La vostra nominanza color d'erba, che viene e va, e quei la discolora 117 per cui ella esce de la terra acerba. E io a lui: Tuo vero dir m'incora bona umilt, e gran tumor m'appiani;

120 ma chi quei di cui tu parlavi ora?

del quale tu ora parlavi?

Quelli , rispuose, Provenzan Salvani; ed qui perch fu presuntoso 123 a recar Siena tutta a le sue mani. Ito cos e va, sanza riposo, poi che mor; cotal moneta rende 126 a sodisfar chi di l troppo oso. E io: Se quello spirito ch'attende, pria che si penta, l'orlo de la vita, 129 qua gi dimora e qua s non ascende, se buona orazon lui non aita, prima che passi tempo quanto visse, 132 come fu la venuta lui largita? Quando vivea pi gloroso, disse, liberamente nel Campo di Siena, 135 ogne vergogna diposta, s'affisse; e l, per trar l'amico suo di pena, ch'e' sostenea ne la prigion di Carlo, 138 si condusse a tremar per ogne vena.

Quello fu, rispose, Provenzano Salvani; ed qui per la presunzione avuta di poter diventare l'assoluto signore di Siena. Egli giunto fin qui e va senza riposo, dopo la morte; di tal moneta viene retribuito colui che in vita umana pretese troppo. Ed io a lui: Se uno spirito cos superbo che attende, prima che si penta, l'estremo tempo della vita e che quaggi non dimora e Lass non ascende,

se buone preghiere non l'aiutano, come mai giunto salvo fin qui?

Quando egli visse tanto glorioso lui mi rispose, un suo amico cadde prigioniero di Carlo d'Angi nella battaglia di Tagliacozzo, e su di lui, a riscatto, venne posta una taglia di diecimila fiorini d'oro; egli non aveva quella somma, allora pose un tappeto nella piazza di Campo di Siena e chiese umilmente l'elemosina per salvare il suo amico prigioniero, per il quale, dolente, egli tremava in ogni vena. Pi non dir e so che ci che ho detto poco chiaro; ma non molto tempo passer, che i tuoi concittadini faranno in modo che tu potrai parlar di lui nel tuo messaggio e di questa opera buona che liber Salvani degli infernali confini.

Pi non dir, e scuro so che parlo; ma poco tempo andr, che' tuoi vicini faranno s che tu potrai chiosarlo. 142 Quest'opera li tolse quei confini.

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