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UN DISCORSO PARADOSSALE SPIACEVOLE MA PER CERTI ASPETTI SIMPATICO

Tante, oggi, possono essere le giustificazioni addotte per ridurre la dinamica delle tematiche e delle lotte radicali, per costringerle nell'ambito di un pacato fluire, magari col pretesto che la crisi economica e della democrazia cristiana, la corruzione dei corpi separati, le esigenze emerse dal corpo sociale di profonde riforme strutturali e sovra-strutturali, ecc., necessitano dalle forze di sinistra e dallo stesso Pr l'assunzione di un atteggiamento capace di rifondare la sinistra. Non nego che tale esigenza sia reale e che compito del Pr non sia que1lo di dare un contributo decisivo a tale prospettiva, n che non sia utile concorrere con tutti i mezzi, leciti e leali, perch anche in Italia prenda avvio una democrazia articolata sul ricambio di coalizioni di forze" al governo. Tutte queste esigenze sono positive e devono essere sostenute con convinzione, energia, coerenza. Dubito tuttavia del fatto che, sulla base del semplice mantenimento, o peggio su una eventuale e malaugurata restrizione, delle tradizionali esperienze e lotte del Pr, si possa contribuire in modo soddisfacente alla rifondazione democratica, socialista, libertaria delle forze di sinistra, mentre confido che solo col rigoroso mantenimento del tradizionale impegno per i diritti civili e col suo conseguente allargamento in campo economico-sociale, si possa contribuire in modo adeguato alla realizzazione di tali obiettivi. Le ragioni che mi spingono a nutrire tali dubbi e a confidare in queste speranze sono in parte espresse nel documento presentato in questo ciclostilato.

armando puglisi

Gi nella "Lettera aperta a la Prova Radicale, stesa verso la fine del 72 con Vincenzo Francone, avevo avuto modo di mettere in evidenza, pur in modo polemico e schematico, come la proposta centrale avanzata dal partito radicale a partire dal 63, e cio la proposta di raggiungere nella vita politica italiana una bi-polarizzazione capace di contrapporre a uno schieramento di destra imperniato sulla Dc uno di sinistra forte del contributo di tutte le sue componenti - PRI, PSDI, PSI, PCI" - e perci laico nei suoi metodi di lotta e di confronto, non fosse in grado di tenere nel dovuto conto quella che dovrebbe essere la strada alternativa da proporre, sviluppare, portare avanti con coraggio da tutte quelle forze che si richiamano ai valori democratici, socialisti, libertari. Tali riserve nascevano in me dalla scarsa fiducia che il PCI potesse accettare di rompere con le indicazioni maturate fin dal tempo della Resistenza e da Togliatti poste a presidio (oltre che nellarticolo 7 della Costituzione) a una strategia di lunga durata, tutta da realizzare, che avrebbe dovuto, attraverso tappe graduali, prima avvicinare e poi portare al governo la componente cattolica e quella marxista. Ancora e pi pensavo, come tuttora penso, che anche qualora si fosse giunti a un processo politico del tipo di quello proposto dal partito radicale in quegli anni, tale processo non avrebbe potuto rappresentare n la nascita di uno schieramento democratico, n di uno socialista, libertario ma, tutto sommato, solo la nascita di uno schieramento di ricambio alla Dc incapace, in quanto tale, di rinnovare e rigenerare la gestione economico-politica del capitalismo italiano. Sarebbe lungo e arduo, ed esulerebbe dagli stessi fini che si propone questo intervento, rendere motivate queste affermazioni e pertanto mi limiter a dire che, se le lotte laiche e per i diritti civili sostenute dal Pr hanno avuto il merito di scuotere il Pci e le altre forze di sinistra dal loro torpore e dalla sudditanza alla Dc , sarebbe ingiusto considerarle sicuro sintomo dellinizio di una alternativa alla Dc e, tanto meno, di una gestione democratica o socialista della cosa pubblica. Sarebbe ingiusto pensare che queste lotte possiedono tali capacit, non solo perch le lotte laiche e per i diritti civili possono rivelarsi catalizzatori solo momentanei delle forze di sinistra, senza peraltro riuscire a spingerle fuori dalla collaborazione con la Dc, ma anche perch, ammesso che raggiungano il livello di rottura, non garantito che civismo e laicismo di tali forze non si rivelino solo tattici e che, viste le caratteristiche culturali e politiche che informano Pci e Psi, non si apra la via italiana alla realizzazione di una societ di tipo stalinista da realizzarsi con o senza laicismo. Si potrebbe obiettare che tali affermazioni appartengono alla fantapolitica e in quanto tali prive di ogni fondamento. Infatti, se il pericolo di realizzazione di un capitalismo di stato autoritario da parte della sinistra poteva sussistere prima degli anni 60 - prima cio del XX Congresso del Pcus, del X e XI Congresso del Pci -, dopo questa data anche i pericoli residui di una tale remota possibilit sono tramontati al punto da risultare insignificanti. Si potrebbe obiettare che attorno agli anni 60 si verificato il declino della vecchia classe dirigente del Pci, di quella classe che, formatasi nella clandestinit e nelle scuole di partito a Mosca, era intrisa di ideologia e comportamenti stalinisti e che i quadri del partito sono stati riempiti di nuovi aderenti formatisi nella lotta di Resistenza, nei duri anni del centro-destra, con una preparazione culturale che affonda le radici non gi nel "Breve corso", bens nelle opere di Marx e di Lenin "filtrate" dal pensiero dei Labriola, Croce, Gramsci. Si potrebbe obiettare che il Pci in quegli anni, attraverso la perdita di 200 mila iscritti operai e laumento degli

iscritti appartenenti al ceto medio, riuscito ad accentuare la sua fisionomia riformista, dimostrandosi disposto a misurarsi con gli obiettivi dei settori progressisti laici e cattolici del centro-sinistra. E ancora si potrebbe obiettare che il Pci, apertamente, a partire dal X Congresso, non crede pi al trionfo del socialismo nel mondo grazie ai successi militari dellUrss, ma crede alla coesistenza pacifica, alla superiorit di un socialismo che si deve realizzare prima in Russia a mezzo del ritorno alla regolarit, di uno sviluppo economico che esalti le potenzialit complessive della scienza e della tecnica col dare migliori condizioni di vita alle masse popolari, con lavviare un diverso e pi umano sviluppo della persona, rispetto delle tradizioni e della cultura popolare, e che solo dal e sullesempio di tali conquiste possibile ai popoli scegliere e aderire al modello socio-economico proveniente dai paesi dell'est. A tali o ad altre simili obiezioni possibili vorrei rispondere. Pochi, anche fra gli appartenenti alla sinistra, pare abbiano compreso limportanza subdolamente condizionante del modello socioeconomico statalista rappresentato dallo stalinismo e come questo modello, oltre ad essersi gi affermato con la rivoluzione, con lespansione militare del "paese guida", con la lotta di lunga durata condotta dai contadini negli arretrati paesi del terzo mondo, possa anche affermarsi con il ricorso alla riforma nei progrediti paesi neo-capitalisti. Il pensiero liberale e socialdemocratico troppo spesso nello spiegare laffermarsi dello stalinismo ne ricerca le cause nella mancanza di tradizione democratica della Russia o ne addossa le responsabilit ai limiti della teoria marxista o alloperato di Lenin che volle "rompere" con il riformismo di stampo occidentale, e non vuole vedere e comprendere, o meglio finge di non vedere e comprendere, che la causa principale delle fortune dello stalinismo deve essere ricercata nellaggregazione di quanti avevano capito che, sposando gli interessi permanenti dello "Stato", si poteva, pur facendosi portatori di un assetto diverso da quello del passato, difendere sia gli interessi burocratici piccolo e grandi borghesi tradizionali, sia estendere tali privilegi a una parte delle classi popolari (proletariato, contadini) a scapito dellaltra. Non un caso che il Pci abbia adottato la teoria secondo la quale il proletariato non comprenderebbe soltanto i lavoratori manuali dei settori primario e secondario, ma includerebbe tutte le persone in qualsiasi modo impegnate in un lavoro o in un impiego dipendente. Non un caso che il Pci, nei lunghi anni del centro-destra, si sia fatto conseguente promotore del mito secondo cui statizzazione economica eguale a socialismo e abbia incanalato il malcontento e le lotte operaie verso la richiesta di un crescente intervento dello stato, senza peraltro curarsi di verificare se questa espansione era in grado di garantire equilibrio e giustizia alle diverse classi e sotto-classi che compongono la variegata societ nazionale. E noto come nel lasso di tempo che intercorre tra la fine del centro-destra e linizio del centrosinistra la Dc, asse centrale e portante di tutti i governi che si sono succeduti a partire dal dopoguerra, sia andata modificando il suo atteggiamento nei confronti del ruolo dello stato in campo economico. E parimenti noto come al Congresso di San Pellegrino (1961), a cui parteciparono tutte le componenti della Dc per preparare lincontro con i socialisti, il professor Saraceno riconobbe che il mercato abbandonato a se stesso non risolve, anzi aggrava, gli squilibri economici e che solo lintervento dello stato pu promuovere l'unificazione economica nazionale e fa raggiungere, entro termini di tempo stabilito, livelli di produzione e distribuzione capaci di eliminare gli squilibri geografico-sociali del paese. Ed altrettanto noto come la Dc - pur andando allappuntamento di centro-sinistra col proposito di lasciare spazio alla libera iniziativa privata - abbia poi finito col rinunciare al precedente atteggiamento liberista per attribuire allo stato la funzione di guida delleconomia. Sarebbe privo di fondamento attribuire il mutamento di indirizzo economico compiuto dalla Dc a motivi di ordine morale, a spirito cristiano o socialista, e non al desiderio di mettere ordine al precedente accresciuto intervento finanziario e industriale dello stato, allesigenza di tutelare e rafforzare i privilegi della propria burocrazia, di espandere le proprie clientele parassitarie, di infondere fiducia al proprio elettorato, soprattutto quello delle aree depresse, stanco di attendere soluzio-ne ai secolari problemi del sottosviluppo economico. Ciononostante, indubbio, che la disponibilit della Dc ad aprire al Psi larea di governo, a nazionalizzare lindustria elettrica, a istituire la commissione nazionale per la programmazione, a

permettere al ministro del bilancio La Malfa di proporre di coinvolgere il sindacato e indirettamente lo stesso Pci nella politica dei redditi, ha aperto in quegli anni determinati spazi che potevano essere utilizzati a sinistra per impostare una politica di ampio respiro, in grado di incominciare ad avviare il paese verso scelte economiche diverse da quelle ferocemente classiste perseguite dai governi di centro-destra. E se un esempio pu essere illuminante, questo esempio dato dal comportamento del Pci al momento della svolta operata dalla Dc verso il centro-sinistra e la politica di intervento statale. Per anni il Pci aveva dipinto la Dc come il partito dei monopoli, intendendo con tale termine significare che la Dc altro non era che espressione organica degli interessi dei grandi proprietari privati e in quanto tale incapace di farsi promotrice di una linea volta a fare dello stato il principale e autonomo organo di intervento economico nellarena nazionale. Per anni il Pci aveva affermato che il socialismo era possibile costruirlo solo se l'iniziativa privata veniva mortificata e le principali leve di intervento economico passavano nelle mani dello stato. Ebbene, proprio nel momento in cui la Dc voltava pagina in materia di politica economica, nellora in cui si offriva al Pci la possibilit di intervenire, anche se indirettamente, nelle scelte delle linee di riforma per delineare una prospettiva impegnata a favorire gli interessi delle classi pi laboriose o meno abbienti, affiorava e si delineava, in tutta drammaticit, limpostazione stalinista di questo partito. A cosa infatti tende il Pci, quando rifiuta di accostarsi alla politica dei redditi e scatena in tutto il paese, in azioni rivendicative, non solo gli operai agricolo-industriali e i diseredati di ogni tempo, ma anche le categorie, del ceto medio, anzi tutte le categorie, se non a: 1) ribadire che laccresciuta potenza dello stato non doveva essere utilizzata a favore di una equa ripartizione del reddito nazionale; 2) tranquillizzare la borghesia professionista e dipendente, i ceti medi improduttivi, gli impiegati dello stato, che sarebbero stati comunque favoriti i loro interessi; 3) a preparare una serie di obiettivi minimi per incanalare la pressione rivendicativa dei lavoratori manuali produttivi per meglio favorire gli obiettivi massimi dei ceti indicati nel punto precedente? Basta quindi guardare allatteggiamento del Pci nei confronti degli spazi potenzialmente aperti dal centro-sinistra, per comprendere come la portata della rigenerazione messa in atto attorno a quegli anni da questo partito non tale da scompaginare o anche solo da ipotecare quel bagaglio di dottrina e di esperienza accumulato durante gli anni della clandestinit e nelle scuole di partito a Mosca. Che cosa infatti lo stalinismo sotto il profilo economico, in senso lato, se non capacit del partito o dei partiti popolari di utilizzare il predominio economico dello stato per incanalare le richieste di riforma e/o di rivoluzione che emergono o sono fatte emergere dal seno delle classi meno abbienti, per favorire soprattutto gli interessi della borghesia professionista e dipendente, i ceti medi improduttivi, gli impiegati dello stato? Ma non solo guardando all'azione svolta dal Pci attorno agli anni 60 che essa appare per tanti versi quella che ho descritto. Basta infatti prendere in considerazione lazione svolta negli anni successivi per vedere che questo partito, per quanto abbia portato avanti un disegno che ha contribuito a migliorare la situazione operaia in fabbrica - sia in termini di redditi che di diritti civili - non uscito fuori da una logica complessiva di sostegno alle rivendicazioni provenienti da quelle classi e categorie a cui prima ho accennato. Vero quindi che il Pci, a partire dagli anni '60, pur aggiornando, rispetto agli anni precedenti, il bagaglio delle proprie conoscenze economico-sociali e la capacit di intervento, non riuscito ad andare oltre ad una ulteriore revisione neo stalinista del suo tradizionale bagaglio staliniano. In altri termini, se prima degli anni '60 il programma economico del Pci si proponeva di far giungere l'Italia e i paesi occidentali a un capitalismo simile a quello dei paesi dell'est -presentati come modelli del socialismo-, a partire da questi anni, pur non ripudiando tali modelli, esso tende a denunciarne determinati aspetti, scelti tra i pi ottusi e reazionari, senza comunque mettersi seriamente nella condizione di poter arginare il divario tra reddito e lavoro distribuito ai ceti burocratici e borghesi, alti e medi, e quello distribuito ai ceti popolari, n di avviare una problematica e una dinamica capaci di prefigurare, seppur in termini aggiornati, quella sostanza economico-sociale indicata e riassunta da Marx con il nome di socialismo.

Non quindi a mio avviso il caso di esaltare la portata della rigenerazione messa in atto dal Pci attorno agli anni 60 e in quelli successivi. E se vero che il XX e il XXII Congresso hanno segnato un punto di svolta politica del Pcus -denuncia del culto della personalit, ripudio della guerra fredda, disponibilit al dialogo e alla coesistenza, riconoscimento d'autonomia ai partiti aggregati al Cominform-, altrettanto vero che il Pci ha sostanzialmente agito nell'ambito di questi nuovi spazi ma senza mai proiettarsi al di fuori. E se impossibile negare valore positivo e innovatore al krusciovismo -pur nei limiti delle sue contraddizioni - rispetto alla sinistra et dello stalinismo, altrettanto impossibile misconoscere che il Pci, traendo spunto da tali congressi, ha contribuito ad imprimere valori innovatori alla sua precedente politica: 1957 riconoscimento che la Costituzione non pu essere intesa come un espediente da uti-lizzare ai fini della rivoluzione violenta e che linstaurazione del socialismo pu attuarsi col mante-nimento del quadro democratico-parlamentare; 1963 rinuncia a chiedere il recesso dellItalia dalla Nato; 1968 condanna dellinvasione cecoslovacca da parte dei paesi del patto di Varsavia; anni 70 contributo costruttivo ai lavori del parlamento europeo di Strasburgo, presa di posizione a favore del dissenso esistente allinterno dei paesi dellest, ecc. Sono quindi lungi dal misconoscere lo sforzo compiuto dal Pci a partire dagli anni 60, ma altrettanto vero che come il krusciovismo non ha portato al superamento dei valori politico-economici dello stalinismo - negazione dei diritti delluomo, delle libert culturali, di stampa, di associazione, ecc., perpetuazione dello sfruttamento delluomo sulluomo da parte delle classi improduttive statali -, cos il Pci ha attenuato e non superato il suo stalinismo, in quanto non ha rotto con la difesa delle pastoie culturali staliniane, non ha voltato le spalle agli interessi del Pcus e a quelli statali della Russia, non ha sostenuto con coerenza le forze di opposizione democratica esistenti nei paesi dellest, non ha rinnovato in senso liberal-socialista lorganizzazione del partito, n ha sufficientemente agito per far s che l'accentrarsi delle forze economiche in mano dello stato avvenga al di fuori della logica di copertura a interessi corporativi e burocratici, o perch il peso militare, clericale, poliziesco, incominci a decrescere, n ha preparato a sufficienza le condizioni per rendere possibile a livello europeo laffermarsi di un socialismo democratico-libertario autonomo ed equidistante dai blocchi. Ed per il peso di questi e di altri motivi che gi nel 72, nello scritto sopra citato, avevo modo di affermare che il Pci, anche qualora fosse andato al potere alla testa di uno schieramento di alternativa alla Dc, non avrebbe potuto rappresentare interessi sostanzialmente democratici, socialisti, libertari, ma interessi - pur con sfumature populistiche diverse - largamente omogenei a quelli della Dc e per di pi inseriti in uno spazio che avrebbe lasciata aperta la porta alla graduale realizzazione di un capitalismo di stato di stampo autoritario. E che dire del Psi? Forse che questo partito, se inserito in uno schieramento di sinistra laica e d'alternativa alla Dc, ha il potere di rappresentare interessi opposti a quelli del Pci e non invece interessi largamente omogenei ai disegni del fratello maggiore? So che a queste domande molti politologi, sociologi e cattedratici sorridono con ironia e malizia, ritenendo l'accostamento arbitrario. Eppure, nonostante le differenze che sul piano storico e teorico si possono cogliere tra Psi e Pci, ritengo che queste non siano tali da giustificare una diversa collocazione di ambiti di questi partiti. Non solo il fatto che il Psi rimasto per lunghi anni, col patto di unit d'azione, legato al Pci che mi spinge a formulare tale giudizio. No: non si tratta tanto di questo. Si tratta della constatazione che il Psi, pur nellambito della propria autonomia, si mosso su dei presupposti burocratici: ha puntato cio come il Pci ad esaltare l'intervento e l'espansione economica dello stato per favorire quellamalgama di interessi che in precedenza ho riassunto sotto il temine di stalinismo. Non vero che quando il Psi si avvicinato all'area di governo ha colto pi il lato tecnico-burocratico dellintervento economico dello stato che non il risvolto democratico, socialista, libertario? Non vero che Riccardo Lombardi, una delle pi significative ed impegnate voci del Psi nella promozione del centro-sinistra, tutto proteso a cogliere la dinamica dello scontro che si determina quando lazione della sfera pubblica riduce progressivamente lo spazio degli interessi privati e si

compiace di caratterizzare 1accentramento delle scelte decisionali e di intervento nelle mani dello stato democristiano-socialista come trasferimento di potere dalle mani della "borghesia" a quelle dei lavoratori? Non forse vero che Lombardi e la stessa maggioranza autonomista, allavvicinarsi del centro-sinistra, ritengono che se il Psi parteciper al governo e se sar possibile realizzare i contenuti programmatici, questi si dimostreranno portatori di socialismo: la nostra epoca le-poca del socialismo su scala mondiale? Ebbene, io non credo che i contenuti programmatici del centro-sinistra al momento della sua apertura o negli anni del suo proseguo fossero portatori di socialismo, n che quel tanto di progressivo che contenevano fosse in grado di avvicinarsi a questo obiettivo. Per rendere trasparenti e chiare queste affermazioni sarebbe opportuno prendere in considerazione, ad una ad una, le singole proposte di riforma (nazionalizzazione dellindustria elettrica, cedolare, riforma della scuola, ecc.) e oltre a misurarne lincidenza sociale stabilire se erano articolate in direzione della realizzazione di contenuti simili a quelli della Comune. Pur non intendendo intraprendere un tale lavoro, anche perch dispersivo ai fini di questo intervento, mi preme sottolineare che, se si prendono in considerazione le tabelle elaborate da Sylos Labini nel Saggio sulle classi sociali, si nota che fra i muta- menti di classe intervenuti negli anni 51-61, anni tutto sommato di centro-destra, e negli anni '61-71, anni di centro-sinistra, organici o meno, emergono due indicazioni, di carattere, generale: 1) si registrato nel secondo decennio rispetto al primo un netto regresso delloccupazione produttiva e un netto aumento delloccupazione terziaria; 2) sempre nello stesso periodo si avuta una netta diminuzione della popolazione attiva nei confronti della popolazione. Con buona pace dei propu-gnatori del centro-sinistra, l'Italia del centro-sinistra, pur trasformandosi sotto molti aspetti strut-turali e sovra-strutturali, non solo non diventata socialista ma nemmeno lontanamente ha incomin-ciato ad avviarsi verso tale modello socio-economico. E ci evidente. Infatti se con Marx, Engels, Lenin, per socialismo si intende partecipazione al governo da parte dei partiti popolari per realizzare, sulla base dell'espansione dell'intervento dello stato nella vita economica, una serie di obiettivi sostanziali quali, ad esempio, l'assunzione, da parte dei membri adulti di una determinata societ, di un lavoro direttamente produttivo o socialmente utile, per rendere pressoch universale la forma-zione dei redditi di tale natura e se si osservano, in base alle indicazioni di Sylos Labini, i risultati che si sono prodotti da quando il Psi entrato a far parte dell'area di governo, si costretti a consta-tare che si sono perseguiti degli obiettivi antitetici e negatori dei valori indicati dallideale socia-lista marxista. Gi quindi queste indicazioni, per quanto "generali" , sono sufficienti a dimostrare che l'azione di governo del centro-sinistra ha ben poco di tale socialismo. Ma anche qualora, pi modestamente (!!!) si guardi al dettato costituzionale -articolo terzo della Costituzione- l dove si dice che tutti i cittadini hanno il diritto di vedersi assicurata una vita dignitosa fuori dall'indigenza, si deve constatare che le indicazioni che emergono dall'azione perseguita dai governi di centro-sinistra sono ben lungi dal soddisfare tale dettato. E che non si venga a dire che tutte le colpe sono da addossare alla Dc. Alla Dc, in veste di principale gestrice del potere e di erede del Pnf, appartengono le colpe pi profonde e gravi; questo risaputo ed indubbio; ma il Psi non esente da pecche. Se si prendono in considerazione alcune riforme scelte tra quelle caldeggiate e sostenute da tale partito, facile constatare che queste sono inserite in un cumulo di vecchie e nuove storture. Cos, per esempio, la nazionalizzazione dellindustria elettrica; se ha ragione il Tamburano a coglierne e ad esaltarne gli aspetti positivi, non si pu passare sotto silenzio il fatto che in nessun caso si dove- va permettere che i salari e gli stipendi venissero unificati ai livelli pi alti; il che, come si sa, non solo fu allorigine dell'aumento del costo del lavoro e della caduta del saggio di profitto dellEnel, ma contribu a sviluppare unarea di privilegio perversa nel dividere categorie di operai e impiegati da altre categorie di operai e impiegati, favorendo per tale via il dilatarsi della miseria velenosa del corporativismo. Cos, ad esempio, la riforma della cedolare: se essa, nella misura in cui era rivolta a permettere allo stato laccertamento della posizione economica dei cittadini e lintroduzione della tassazione proporzionale diretta, si rivelava una misura positiva, per altri versi non poteva suonare che inopportuna, fittizia, strutturalmente falsa. Inopportuna perch, cadendo subito dopo la scossa

della nazionalizzazione del settore elettrico, inaspriva oltre misura le gi tese relazioni fra le opposte fazioni, privatiste e stataliste, incentivando l'esportazione di capitali e il gusto alla speculazione; fittizia perch nasceva inficiata dal desiderio di non rendere generalizzati, possibili e giusti la nominativit e il prelievo fiscale; falsa perch il programma economico a medio e lungo termine del centro-sinistra, sostenuto di fatto dal Psi, non si proponeva tanto di ridurre i redditi dei ricchi, quanto di colpire determinati interessi produttivi privati, per favorire complessivamente l'espansione del privilegio economico delle classi improduttive statali e parastatali. Cos, ancora, ad esempio, se si esamina la riforma delle regioni si deve constatare che, per quanto tendenzialmente positiva nel fornire elementi di razionalizzazione alla programmazione e permettere una pi aderente rappresentativit popolare, non poteva essere sostenuta dal Psi al di fuori di un serio contesto di riforma economico-sociale e di una effettiva ed efficiente lotta volta a risanare e razionalizzare gli ingombranti e aberranti apparati burocratici di stato e parastato. Mancando questi presupposti, la richiesta di attuazione delle regioni diventava un piano deliberatamente volto a rafforzare al centro e sviluppare in periferia quei mali che a parole si diceva di voler contrastare e cio un piano teso a dilatare l'impiego clientelare e parassitario che, proprio con le regioni, ha po-tuto celebrare l'apoteosi barocca del suo trionfo. E come si pu giudicare positivamente il Psi nei confronti di tale riforma quando si sa che quest'ultima ha visto il partito spendere le migliori energie di governo e sottogoverno per favorire un'operazione che ha portato ad un pauroso incremento degli impiegati dello stato e parastato senza che peraltro le esigenze della produzione e del servizi comportassero o anche solo sopportassero una cos violenta espansione? Mi sono brevissimamente soffermato sui limiti di alcune riforme caldeggiate e volute dal Psi o col suo concorso attuate. Se per l'analisi di tali riforme venisse approfondita o fosse estesa ad altre, emergerebbero ancora pi carenti e drammatiche le insufficienze di tale partito poich tutta limpostazione della sua politica economica che distorta. Il centro-sinistra, al momento della sua costituzione, si trovava di fronte ad alcuni nodi economici che i precedenti governi non erano stati in grado -meglio- non avevano deliberatamente voluto iniziare a risolvere. Tra i principali si devono annoverare: l'arretratezza economica del mez-zogiorno; larretratezza del sistema produttivo agricolo; il massiccio, caotico, inumano esodo contadino; l'arretratezza tecnologico-organizzativa di ampi settori produttivi; la polverizzazione del commercio; una diffusa sottooccupazione; forti e ingiustificate differenze di reddito e di lavoro tra classi e categorie sociali; un forte movimento speculativo sulle aree edificabili. Questi ed altri i formidabili nodi che si ergevano di fronte al Psi e alle altre forze di centro-sinistra al momento della sua costituzione. Data l'entit dei nodi da sciogliere, credere che una formula di governo, se pur orientata a sinistra, potesse portarli tutti contemporaneamente a soluzione non era nemmeno pensa-bile. Ma affrontarne alcuni e cercare di avviarli verso una parziale soluzione, questo non solo era pensabile, ma doveva essere compito e contributo del Psi, pena lobbligo di disimpegnarsi dal go-verno. Che il Psi al momento di aprirsi, e dopo essersi aperto, al centro-sinistra, si fosse proposto di incominciare a dare soluzione parziale alla questione meridionale, a colmare differenze esistenti fra settore industriale e agricolo , tra diverse classi e categorie sociali, indubbio. E se anche si riconosce che tali erano stati i propositi del partito, non si pu affermare che, dal momento del suo ingresso nellarea di governo, le misure propugnate siano state compatibili con i propositi poich esiste un iato tra tali intenzioni e le misure suggerite e adottate per raggiungerle. Infatti la prima condizione che si imponeva al Psi, nellambito dei governi di centro-sinistra, per raggiungere i grandi progetti di avanzamento sociale" -almeno quelli che sono rimasti scritti nei discorsi dei suoi leaders -, era quella di battersi per creare la disponibilit di enormi capitali di investimento. Ed di fronte a tale problema condizionante ai fini della possibilit di realizzare i grandi progetti di avanzamento sociale che si evidenzia tutta lincapacit del Psi ad assumere un atteggiamento progressista. E stato notato da pi parti, da ispirati di sinistra, che poich il miracolo economico era stato possibile per un regime di bassi salari non era pensabile che con lingresso del Psi al governo tale miracolo continuasse ad essere pagato in modo determinante dai lavoratori produttivi dipendenti e che pertanto i massicci aumenti salariali che si registrarono nel primi anni 60 erano giusti in quanto volti

a riparare una precedente iniquit. Devo dire che tali punti di vista sono accettabili se sostenuti dal solido convincimento che: a) gli aumenti salariali dovevano essere contenuti entro limiti capaci di garantire discreti margini di auto-finanziamento alle imprese; b) gli aumenti di stipendio dovevano essere negati - o comunque fortemente limitati- alle categorie impiegatizie statali, parastatali, private, qualora dal punto di vista retributivo e normativo, gi godessero di un trattamento superiore a quello medio degli operai specializzati dellindustria manifatturiera; c) il potere statale doveva essere posto nella condizione di contenere l'espansione dellorganico dei dipendenti pubblici fino a che non fosse organizzato il riordino dei vari settori secondo criteri di redditivit mediamente paragonabile a quelli esistenti nellindustria; d) lo stesso potere doveva proporsi di contenere la polverizzazione e i costi dei settori terziari avviandone il riordino secondo modelli di organizzazione ed efficienza esistenti nei pi avanzati paesi europei; e) lo stato doveva istituire il monopolio - almeno - sulle aree a pi intensa edificabilit previa espropriazione con indennizzo a prezzo limitato dei suoli. Solo partendo da tali criteri si possono accettare le posizioni di quelle parti di sinistra che difendono gli aumenti salariali dei lavoratori produttivi; solo partendo da essi si possono rendere credibili le indicazioni di riforma e l'impegno di governo del Psi. Infatti tali orientamenti, lasciando margini di profitto allimpresa privata e pubblica, permettendo al potere statale e parastatale di realizzare dei risparmi sui servizi, colpendo alcune intollerabili zone della speculazione privata, avrebbero creato quella disponibilit necessaria a tradurre le intenzionalit e i progetti di riforma in concreti atti di riforma. Se per riforma si intendeva rifornire il meridione di attrezzature industriali adeguate, mettere lagricoltura in grado di elevare in modo soddisfacente la propria redditivit, portare verso i migliori livelli europei il settore industriale italiano, fornire i lavoratori di case, ospedali, scuole, a prezzi ragionevoli, indubbio che necessitassero ingenti mezzi finanziari. Ma proprio su questo punto che il Psi cade. E infatti noto che quando nel 62-64, sotto lazione rivendicativa dei pubblici dipendenti, del proletariato e degli impiegati privati, si assiste alla caduta del saggio di profitto delle aziende a zero, il Psi adotta un atteggiamento, continuato anche negli anni successivi, favorevole allespansione della spesa pubblica da mantenersi soprattutto entro lambito dei consumi individuali e da non trasformarsi in adeguati investimenti produttivi e in durevoli beni di consumo collettivi. E se il risvolto strutturale negativo di tale atteggiamento fu lincapacit di dare (come si poteva) pi impulso all'azione, che doveva colmare gli squilibri territoriali del nostro paese e lincapacit di avviarlo verso una configurazione industriale e agricola pari a quella esistente nei paesi europei progrediti, il risvolto umanamente e socialmente pi grave fu la totale incapacit di individuare i modi e i mezzi per consolidare 1occupazione produttiva e avviare al miglioramento economico-normativo le masse diseredate e lavoratrici nel momento in cui si contribuiva a dilatare artificialmente la fascia dellimpiego improduttivo e degli interessi corporativi. Alla luce della condotta tenuta dal Psi durante gli anni del centro-sinistra si pu meglio comprendere laccusa di stalinismo da me rivolta al partito. Ho gi avuto modo di accennare, in altre occasioni, che nel mondo occidentale la caratteristica principale costituita dal passaggio del potere economico dalla mano privata a quella pubblica e come nel contesto di tale evoluzione emerga una nuova dinamica di classe. Se nel capitalismo privato le classi egemoni sono essenzialmente costituite dai detentori dei mezzi di produzione, finanziari e di scambio, -capitalisti, agrari, banchieri, commercianti, ecc.- che utilizzano lo stato per difendere e curare i loro interessi e in via subordinata gli interessi delle classi medie, degli impiegati medio alti a scapito degli interessi delle classi e categorie operaie produttive od emarginate - sotto occupati, disoccupati, poveri -, man mano che si verifica il declino della borghesia, le classi socialmente egemoni tendono a identificarsi con chi, a mezzo dello stato, controlla i mezzi finanziari, di produzione e di scambio, ceti e gruppi dell'alta e media burocrazia -funzionari di banca, tecnocrati, amministratori, politici, sindacalisti, professori, ecc.- che difendono e curano soprattutto i loro

interessi e in via subordinata gli interessi delle classi improduttive medio-alte borghesi, gli impiegati improduttivi dello stato a scapito delle classi e categorie povere direttamente produttive od emarginate. Man mano che tali eventi si verificano e col tempo si accumulano, si evidenzia una configurazione economico-sociale di tipo stalinista, almeno nel senso che tale configurazione assumer, sui generis, dei caratteri di stato economico-politico del tipo di quelli che per primo, con maggiore compiutezza e continuit, ha assunto lo stato dell'epoca di Stalin. Non detto quindi che nel mondo occidentale i partiti di governo che operano per realizzare una tale configurazione siano solamente di sinistra. E infatti comprovato che tale configurazione viene propugnata dai partiti di centro e di destra sospinti e dal fatto che la statizzazione viene alimentata dai sempre pi complicati e accentrati processi finanziari e di produzione che, per essere sostenuti, richiedono l'abbandono della conduzione privata a favore di una sempre pi marcatamente pubblica e dal desiderio di garantire ad ogni costo un assetto sociale gerarchico ed ingiusto. Per tale via avviene che il trasferimento del potere economico-politico dalla mano privata a quella pubblica, da qualunque parte venga sostenuto, dal momento che viene attuato in presenza di fortissime differenziazioni economico-sociali e di una rigida divisione del lavoro, rappresenta non il passaggio da forme di capitalismo verso formazioni economico-sociali ignote ma verso forme di capitalismo di stato staliniste, anche se evidente che la realizzazione di queste ultime potranno considerarsi compiute solo quando il peso economico dello stato avr raggiunto la preminenza schiacciante su quello privato e il pluripartitismo politico verr abolito. Se quindi, per le ragioni che ho esposto, avviene che i partiti di tradizione o ispirazione non marxista, a volte anche loro malgrado, seguono una strada che porta allo stalinismo, mi si conceda di affermare che il Psi, come il Pci, pu solo percorrere una tale strada dal momento che ambedue i partiti si presentano con la stessa fisionomia programmatica: realizzazione del capitalismo di stato sulla base del mantenimento di fortissime differenziazioni economiche tra le diverse classi sociali e di una rigida divisione del lavoro, che sono causa dello svuotamento della democrazia e del mantenimento (anche inconsapevole) di un percorso proteso alla realizzazione di una conduzione politica mistificatrice e autoritaria. Ci non toglie che non sia disposto ad ammettere esistenti diversit fra i due partiti. Non possibile infatti misconoscere che il Psi, a differenza del Pci, si dimostrato meno inquinato dalle pastoie ideologiche di stampo stalinista, pi aperto nel permettere un confronto culturale e di posizione, pi sensibile ad affermare che nei paesi dellest non esiste il vero socialismo" e che in tali paesi devono essere introdotte le libert borghesi e il rispetto della sovranit nazionale, pi solerte nel richiedere lautonomia dellEuropa dai blocchi e nel propugnare la necessit di giungere alla realizzazione dellunit politica dei paesi europei, pi sensibile in tema di diritti civili, ecc. Ma anche se le differenze sono considerevoli e apprezzabili, queste, come dicevo, non sono tali da giustificare una diversa collocazione di ambiti e di prospettive dei due partiti poich gli spazi economico-sociali nei quali si muovono Psi e Pci sono largamente omogenei e tali da lasciare aperti i denunciati pericoli. Ed per il peso di questi ed altri motivi che, al pari di tre anni fa, ritorno ad affermare con rinnovata energia: anche ammesso che si giunga ad unalternativa di sinistra, questa non rappresenterebbe una alternativa democratica, socialista-libertaria, ma di ricambio alla Dc nella gestione classista del capitalismo monopolistico di stato o dello stesso capitalismo di stato. N si pensi che se tale alternativa venisse raggiunta con la partecipazione degli altri partiti laici minori (Psdi, Pri) questi sarebbero in grado di alterare il quadro descritto, poich questi partiti da sempre, a dispetto di dichiarate buone intenzioni, si sono rivelati topi nel formaggio interessati, con la costante partecipazione ai governi, a salvaguardare interessi di gruppo e personali e nulla fa ritenere che l'inserimento in una eventuale nuova formula di governo sia motivo sufficiente per farli recedere da inveterate abitudini. E che dire delle forze sindacali di sinistra laica? Mi pare che non si possa negare che tali forze, dal punto di vista politico, a partire dalla guerra di Liberazione, siano state la cassa di risonanza dei partiti laici e che dal punto di vista economico siano

state gli strumenti tecnico-organizzativi pi efficienti nel costringere le classi laboriose o povere a rimanere subordinate prima, negli anni '50-'60, al disegno borghese-burocratico e poi, negli anni '6070 a servire una prospettiva di mera ristrutturazione capital-classista e non democratica, socialistalibertaria. Da tutte queste considerazioni emerge che, se i disegni delle maggiori forze politiche e sindacali di sinistra non sono ostacolati nemmeno dai disegni dei partiti laici minori coinvolgibili, o comunque potenzialmente coinvolgibili, nel disegno di alternativa, allora... allora sembra veramente non esistere anche la pi remota possibilit di incominciare ad alterare il corso degli eventi, di deviare il procedere del capitalismo di stato pseudo democratico verso forme di statalinismo variopintamente colorato. E non sembri un paradosso se affermo che in effetti, a livello di organizzazioni politiche ed economiche di massa, non esiste alternativa allo statalinismo. Ci troviamo quindi nel fondo di un imbuto, in un deserto privo di speranza? Credo e non credo in una tale situazione, credo e non credo che esista una via d'uscita; tutto dipende dai se e dai ma e la storia, almeno quando ancora progetto, fatta anche dai se e dai ma e quindi in questo senso confido che esista la possibilit di imboccare strade che portino verso altre mete. Ma quali sono le strade che permettono di avviarsi a queste altre mete? Ebbene io credo che oggi esse debbano essere ricercate, in campo economico-sociale, nell'impegno di operare per avviarsi verso una societ in cui i componenti adulti si assumano un lavoro socialmente utile, in cui partecipazione e remunerazione avvengano in modo sostanzialmente egualitario e il mantenimento di una rigida divisione del lavoro venga meno. Se si operer in tale direzione, per quanto possa essere ingenuo e utopistico pretendere di raggiungere un qualsiasi traguardo finale, anche una societ capitalista potr avviarsi verso quelle mete che dovrebbero stare a cuore a dei democratici. E ci evidente poich, nelle societ rette da avanzate Costituzioni democratiche, senza andare verso la realizzazione dei valori prima accennati, impossibile tradurre le norme e i principi costituzionali in viventi costumi e abitudini sociali in grado di rendere effettiva, progressiva, socialista-libertaria, una democrazia e che se delusi e disattesi non solo limitano, ostacolano, negano, ma continueranno a limitare, ostacolare, negare i principi e le norme stesse sulle quali pretendono di fondarsi tali democrazie. E ci evidente perch, se in societ rette da regimi autoritari la realizzazione della giustizia sociale e della caduta della divisione del lavoro connessa in via preliminare all'introduzione dei grandi principi sui quali si fondano le democrazie borghesi - diritto di parola, di stampa, di associazione, di rappresentativit, ecc.-, solo la effettiva realizzazione della giustizia sociale e la caduta della divisione del lavoro sono in grado di garantire l'autenticit del ripristino, della permanenza, dello sviluppo di tali principi. Per me quindi, sotto qualsiasi forma si presenti il dominio politico in un paese capitalista, la richiesta dell'attuazione della caduta della divisione del lavoro e della giustizia sono i contenuti dei quali gi si sostanziano i presupposti per una effettiva realizzazione dei principi e delle forme democratiche, socialiste-libertarie. Mi sia concesso pensare ed esprimermi in questo modo visto che nelluniverso capitalista le Costituzioni, i principi, le leggi reazionarie, come le Costituzioni, i principi, le leggi progressiste vengono attuate o sistematicamente violate a causa dell'interesse che determinate classi e gruppi sociali hanno a mantenere determinate condizioni di privilegio e divisioni del lavoro. Ma una volta indicata la strada che dovrebbe portare verso la democrazia e il socialismo, dove e in quali settori iniziarla? In altri termini mi si potrebbe obiettare: va bene, abbiamo capito, tu hai ragione ad affermare che per garantire la democrazia e il suo sviluppo si deve operare per una socie-t nella quale tutti gli adulti, senza distinzione di sesso, siano avviati a svolgere un lavoro socialmente utile sulla base di una partecipazione e remunerazione del lavoro sostanzialmente eguali e nella quale cada la divisione del lavoro. Ma dove si deve dare inizio a questo disegno: nell'Europa occidentale, nei paesi dell'est, ecc.? Ancora: da quali settori iniziare: da quelli pubblici, da quelli privati, ecc.? A tali sensati interrogativi rispondo che il terreno prossimo sul quale si deve operare non pu che essere l'Italia anche se, essendo questa inserita in un contesto europeo, l'azione che in essa si svolge dovr necessariamente essere proiettata nell'ambito di questa dimensione pi vasta. Per quanto

riguarda il come cominciare, mi pare che, vista l'importanza assunta dallo stato nel presie-dere e determinare lo svolgimento economico-sociale complessivo italiano, sia necessario concen-trare prima di tutto l'attenzione su questo organismo -sia detto per inciso: non si dimentichi che lo stato oltre ad essere il maggiore datore di lavoro in quanto ha alle proprie dipendenze 2.850.000 persone, circa 1/6 di tutta la popolazione attiva, parimenti il maggior controllore di risorse in quanto assorbe, consuma, ridistribuisce oltre il 45% di tutto il reddito nazionale che corrisponde a circa 40 mila miliardi di lire anno. E siccome lo stato malato, infarcito di clientelismo, di inefficienza, di parassitismo, di improduttivit, il compito preliminare dovrebbe essere quello di individuare la fisionomia di quei fattori che pi concorrono a renderlo corrotto e corruttore, onde poter intervenire per metterlo nelle condizioni di acquisire caratteri di efficienza e virt che soli possono permettergli di svolgere ruoli liberalizzanti. Ma quali sono i mali di cui pi soffre lo stato e sui quali pi urgente intervenire? Sylos Labini nel suo gi citato opuscolo lamenta che gli impiegati delle aziende municipalizzate, di credito, degli enti locali, di assistenza, di previdenza, del servizio telefonico, degli ospedali, di certi settori medio-alti della burocrazia costituiscono aree soggette a frequenti retribuzioni privilegiate. In altro luogo del suo saggio lamenta che un numero crescente di persone in possesso di diploma o di laurea, grazie a pressioni clientelari e politiche, sono riuscite ad entrare nella burocrazia centrale o locale occupando dei posti che sono larvati sussidi di disoccupazione per cui "In alcune sfere dell'alta burocrazia, nellarea degli enti pubblici e delle aziende municipalizzate, si trovano numerose persone le cui attivit sarebbe arduo giustificare con quelle delle necessit sociali. E ancora in altri passi lamenta che i partiti della sinistra storica (Pci, Psi) e i sindacati, i cui quadri sono costituiti da appartenenti alla classe media, non sempre sono stati immuni dalla tendenza di favorire tali ceti, compresi quelli statali e parastatali, e pertanto invita tali forze a rinnovarsi, a non dimostrarsi disposte ad indulgere alle rivendicazioni corporative se si vuole contribuire, in concomitanza ad altre misure riformatrici, a risanare una situazione caratterizzata da forti squilibri economici, fra i pi gravi dei quali bisogna annoverare la pi alta percentuale di occupati precari, la pi alta percentuale di semianalfabeti, una tra le pi alte percentuali di disoccupati fra quelle esistenti nei paesi altamente industrializzati. Ermanno Gorrieri, ne La giungla retributiva che ha come oggetto di indagine, soprattutto, lo studio sulle retribuzioni esistenti nei settori del lavoro dipendente, lamenta che allinterno di tali zone si configurino classi e gruppi sfruttati e altri privilegiati. Ora, senza pretendere di entrare in merito ai criteri adottati da Gorrieri per valutare e raggruppare le differenze di status esistenti tra addetti alle diverse mansioni e premesso che tale autore considera l'occupazione impiegatiziointellettuale privata un'area di privilegio rispetto al lavoro manuale (contadini-operai) dello stesso set tore, mi preme evidenziare che nel libro si sottolinea come in generale i dipendenti pubblici, a parit di qualifica, godano di un trattamento retributivo-normativo superiore ai dipendenti privati. Da questa situazione deriva che; a) allesterno delle qualifiche operaie, tra impiegati del settore pubblico e quelli del settore privato esistono delle differenze di trattamento retributivo-normativo favorevole ai primi; b) all'interno delle qualifiche operaie esistono tra occupati nei settori pubblici e in quelli privati delle differenze rilevanti tali da porre i primi in una situazione di netto privilegio nei confronti dei secondi; c) in conseguenza l'area dei pubblici dipendenti si configura, con le dovute eccezioni, come un'area di privilegio o di sfruttamento, come dir si voglia, nei confronti dei lavoratori manuali del settore privato. Sono consapevole che chi sente questa arida elencazione, senza riuscire a configurare la realt che dietro si nasconde, non percepisce la vivente ingiustizia che quotidianamente si consuma in questa Repubblica fondata sul lavoro dai gruppi e dalle classi occupati nello stato a danno di altri cittadini. In Italia -si noti a trenta anni dalla caduta del fascismo e a quasi trenta dalla promulgazione della Costituzione repubblicana e democratica- secondo stime del Labini esistono circa 3 milioni di persone che dispongono di un reddito inferiore alle 80 mila lire mensili. Di fronte a tale massa di

miseri si ergono 8.500 magistrati che mediamente dispongono di un reddito che si aggira sui 9 milioni di lire annue. Approssimativamente possiamo quindi dire che un sottoproletario, occupato precario, giornaliero, ecc., dispone di un reddito 10 volte inferiore a quello medio percepito da un magistrato. Ora,ammettendo che tra lanalfabeta, occupato precario, sottooccupato o altro, e il laureato ci debba essere una distinzione e che le difficolt e la delicatezza dei compiti ai quali chiamato il magistrato comportino e giustifichino una retribuzione tre volte superiore a quella di un operaio specializzato dellindustria metalmeccanica, essendo il guadagno medio di questo ope-raio inferiore a lire 200 mila mensili, si accetter che il magistrato percepisca una retribuzione non superiore alle 600 mila lire mese, mentre la parte eccedente risulter gratuitamente tolta dalle tasche di chi, adibito a un lavoro manuale, percepisce molto meno di un operaio specializzato. Se ora si tiene conto di quanto il magistrato percepisce e lo si moltiplica per la quantit dellorganico di categoria si vedr che, per difetto, non meno di 15 miliardi anno vengono sottratti ai pi essenziali bisogni. Non a caso ho voluto in primo luogo soffermarmi sui redditi di questa categoria: i magistrati, lo vogliano o no, hanno il compito-dovere di vigilare sulla tutela e lapplicazione del dettato costi-tuzionale. Ma possono svolgere tali mansioni quando loro stessi godono di privilegi tali da tra-sformarli in sfruttatori di concittadini meno istruiti, ma altrettanto laboriosi? Si rendono conto i magistrati di tali fatti? Sono consapevoli che lautoritarismo prima di essere unideologia, un assieme di concezioni, nasce sul terreno della difesa di privilegi economico-sociali da parte di determinate classi e categorie sociali? Chiusa questa parentesi esplicativa e tornando alle pi ragionevoli denunce di Labini e Gorrieri per coglierne pi che le diversit la complementariet, non si pu non arguire che il ruolo di sfruttamento svolto dallo stato sterminatamente grande. Senza ergermi a fedele interprete del lamento di Labini sulla eccedenza degli occupati nell'area degli enti pubblici e delle aziende municipalizzate, ecc., si pu e si deve dire che tale studioso considera patologico - vale a dire grave e inammissibile - che l'incidenza dei pubblici dipendenti sull'occupazione totale sia maggiore al sud che al nord. Al sud esiste infatti, sul totale della popolazione attiva, un 3,3% di dipendenti pubblici in pi che al nord; il che a "occhio e croce" corrisponde a 200 mila persone impiegate senza vera utilit sociale. Ora, presupponendo che tutti questi impiegati siano degli uscieri statali e che quindi perce-piscano uno dei salari pi bassi pagati nellambito pubblico, vale a dire - in cifre elaborate dal Corrieri - lire 162.000 mensili, si avr che all'anno tale massa di impiegati, sottrae senza costrutto, dalle tasche del pubblico erario 400 miliardi. E se passando da Labini a Gorrieri si condividono le idee di quest'ultimo sull'operaio specializzato metalmeccanico che, per capacit professionali e utilit sociale, paragonabile ad un maestro di scuola elementare e quindi dovrebbe percepire una pi o meno identica remunerazione, non pu passare inosservato il fatto che nella realt, essendo la remunerazione del primo -in cifre elaborate- di lire 155.000 al mese e quella del secondo - sempre in cifre elaborate- di lire 465.000 mese, quest'ultima di circa 300.000 lire superiore a quella del primo. Ora, sapendo che i maestri elementari - secondo stime fornite da Labini- sono 255.000, si deve concludere che tale categoria distoglie alla pubblica utilit e alla democrazia una massa monetaria che sfiora il tetto dei mille miliardi. E se per ventura si volessero riconoscere giuste le valutazioni di Gorrieri su quella che dovrebbe essere una meno iniqua ripartizione del reddito tra lavoratori manuali impegnati nel processo produttivo e impiegati dello stato svolgenti le pi diverse mansioni, l'indice di sfruttamento di questi ultimi raggiungerebbe tetti da capogiro. Ma limportanza di Ermanno Gorrieri non consiste solo nellindicare che nell'attuale contesto socio-economico l'impiego statale il luogo dove maggiormente si evidenzia e meno si giustifica il privilegio, ma altres nellaver saputo vedere che, a causa della dinamica capitalista in atto, proprio limpiego statale si riveler punta di lancia nel promuovere ed estendere l'iniqua struttura sociale esistente. Infatti, quando egli rileva che in avvenire si restringer loccupazione produttiva che solleciter quella terziaria ad estendersi non gli sfugge che saranno proprio gli occupati nel pubblico impiego che pi avranno la capacit di inventare sempre nuovi e superflui servizi e di aggiungerli a quelli gi sovradimensionati nei quali operano.

E poich, a partire dagli anni '60, con lampliamento dellintervento economico, lo stato ha ridotto e subordinato a s il ruolo economico svolto della borghesia, prestare pi attenzione alla politica economica della mano pubblica che a quella privata -a mio giudizio- doveroso. Infatti se in una societ in cui il capitalismo di stato utilizzato dalla nuova classe egemone non per difendere ed estendere equit e giustizia ma per dilatare loccupazione pubblica e potenziarne gli egoismi corporativi, continuare a prestare poca attenzione a quanto sta avvenendo, o peggio guardare altrove, significa favorire gli interessi burocratici, oltre che proteggere una forma deteriore di capitali-smo. Ma se forti della consapevolezza del processo in atto si assumer, come metro dazione, una prassi volta a colpire lo sperpero ingiustificato, l dove esso pi prospera, allora certo che si avr la possibilit di avviare un processo virtuoso. E anche questo mi sembra evidente: se per socialismo, in senso lato, si intende predominio economico dello stato per realizzare il riconoscimento non solo formale che tutti i cittadini hanno il diritto-dovere al lavoro per vedere realizzata una condizione dignitosa di eguaglianza, allora non si comprende come governi, seppur orientati a sinistra, si affannino a mantenere in ozio e privilegio determinate categorie di cittadini per condannarne altre a lavori mal remunerati e pesanti, o peggio in condizioni di sotto-occupazione degradante. E poich da noi lo stato ha raggiunto condizioni tecnico-economiche in presenza delle quali pi che possi-bile incominciare ad avviare tale disegno, mentre in realt esso, nel solco della peggiore tradizione dello stato capitalista privato, si attarda a fomentare una mentalit meschina, gretta, particolaristica, giunto il momento in cui le forze che sono interessate a farsi autentiche assertrici di democrazia e socialismo sentano limperativo morale di porgere mano al secondo Risorgimento civile di un popolo. Ma quali possono essere le forze interessate a sostenere un tale disegno, quando le stesse organizzazioni di sinistra sono impegnate a seguire tattiche e strategie stataliniste? Esistono, forse, in Italia solo i presupposti formali e materiali per rendere possibile la marcia verso democrazia e socialismo e non le disponibilit umane senza le quali impossibile tradurre tali presupposti in vivente realt? Non credo. Gi nel documento steso con Francone era affermato che per noi esisteva nel partito radicale e nelle forze fiancheggiatrici un nucleo di individualit che per coraggio, altezza di intenti, disinteresse, sono pi che in grado di costruire una avanguardia capace di lottare su tutti i fronti sui quali si difende e realizza democrazia e socialismo. Insistere sui meriti del Pr, discutere sulla insostituibilit del ruolo svolto, indicare in esso il propulsore di ci che di pi onesto e progressista si sia concepito in questi ultimi lustri, superfluo. Insinuare, come da alcune parti si tentato di fare, che il Pr ha lottato "solo" per difendere e diffondere battaglie sovra-strutturali, sarebbe stolto. Stolto e falso non solo perch, ad esempio, la lotta a favore dellaborto, qualora fosse realizzata nei termini proposti, risulterebbe una lotta di massima incidenza economico-sociale, ma anche perch tutte le lotte sovra-strutturali del partito non sono mai state separate da trasformazioni strutturali da nessuna muraglia cinese. Ci premesso vero -a mio giudizio- che lazione del Pr ha risentito di condizionamenti limitativi che affondano la radice nella stessa migliore storia radicale del secolo scorso: in una incompleta continuit nel dedicare attenzione alla cos detta questione sociale. E se vero che in quel secolo per lurgenza di affrontare i problemi imposti dallunit nazionale, dallestensione della rappresentanza popolare, dalla mancanza dei pi elementari servizi civili, spiegano e giustificano quella incompleta continuit, oggi lesistente realt impone ai radicali di accentuare linteresse verso la questione sociale. E che sia giunto questo momento provato dagli interessi radicali poich nella misura in cui tendono ad arricchire il cittadino con nuovi diritti non possono ignorare che proprio gli obiettivi economici perseguiti dalle forze di sinistra costituiscono -e sempre pi costruiranno- ostacolo insormontabile alla loro realizzazione. Ed a causa di questo pericolo che lazione radicale non pu esimersi dal coniugare le due lotte, per porle su uno stesso piano che gli consenta di sviluppare unazione tesa a: 1) ristrutturare limpiego pubblico per dare ad esso un carattere di efficienza e produttivit paragonabile a quello esistente nel settore privato; 2) ridurre le posizioni pi assurde e scandalose connesse alla rendita pubblica e privata;

3) riorganizzare loccupazione pubblica e privata secondo quei criteri normativi di equit e giustizia messi in evidenza dal Gorrieri. Devo ancora una spiegazione su quanto sono andato affermando sulle forze di sinistra. A pi riprese, irriguardosamente, ho sostenuto che queste forze non hanno la possibilit di farsi portatrici di un ordine democratico, socialista, libertario, anche qualora diventino forza di governo alternativa alla Democrazia cristiana. Quanto affermato non nega che il Pr possa partecipare a governi di tale natura anche qualora non si tratti di evitare mali peggiori, ma sarebbe sbagliato se per partecipare a questi governi trascurasse di coinvolgere i cittadini su problemi di interesse generale, visto che sono i soli capaci di rigenerare e di spingere le forze di sinistra a realizzare riforme autentiche. E che il partito possa assumersi tale responsabilit partendo dalle proprie lotte possibile dimostrarlo con qualche esempio, poich linvito che recentemente ha rivolto agli utenti della Rai-TV di non pagare il canone se non viene rinnovata la gestione dellEnte per garantire una corretta informazione, pu benissimo coniugarsi con linvito ad una generalizzata astensione dal lavoro, quando sia in preparazione o in atto un ennesimo sciopero rivolto ad imporre al governo di varare lennesima leggina corporativa, dal momento che entrambe le lotte perseguono un unico fine: difendere il prezioso interesse generale. Cos la lotta a favore dellabrogazione del Concordato, tenacemente sostenuta dal partito, in tutti questi anni, pu benissimo... .omissis. Sono ormai giunto alla fine di questo intervento e vorrei concluderlo con le seguenti considerazioni. Se spetta al Pr confutare coloro che fanno del Pci, perch legato a Mosca, un partito antisistema da collocarsi fuori dal quadro politico nel quale si muovono le altre forze dellarco costituzionale, altrettanto indubbio che oggi 1975 diventa urgente affrontare, senza complessi di infe-riorit, il nodo dei problemi che ostacolano la rigenerazione, politica e morale, delle forze di sinistra per consentirgli di potersi avviare verso mete autenticamente democratiche. Da quanto detto evidente che io non considero i legami internazionali del Pci la causa principale della sua incapacit di orientarsi in direzione della democrazia, poich ritengo che sia lintimo interesse burocratico dei suoi dirigenti ad indurlo a lottare per realizzare un ordinamento statalinista e quindi ad originare tanto la sua collocazione internazionale, quanto il mancato contributo dato alla lotta per un pi avanzato modello economico-sociale. Ed da queste considerazioni che scaturisce la convinzione che se il Pr e le forze federate saranno in grado -sul presupposto del mantenimento dei loro metodi di lotta e fedelt alle loro tematiche- di battersi per conquistare un capitalismo monopolistico di stato temperato dallimprescindibile necessit di garantire lesistenza di una consistente, diffusa, sana imprenditoria privata si avr la possibilit di contribuire in modo determinante a spingere il Psi, il Pci e le altre forze di sinistra verso la revisione e il rinnovamento delle loro tematiche e lotte, verso lunit e lalternativa alla Dc, nel contesto di unazione che non potr non risultare anche rinnovatrice del sistema democratico europeo e occidentale. NOTE 1 Questo intervento stato scritto in estate, in un periodo di caldo afoso, ed anche per questo che non sempre rigoroso e tanto meno scientifico.

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