Beruflich Dokumente
Kultur Dokumente
Maria Grossmann Franz Rainer La Formazione Delle Parole in Italiano de Gruyter 2004 PDF
Maria Grossmann Franz Rainer La Formazione Delle Parole in Italiano de Gruyter 2004 PDF
La formazione
delle parole in italiano
a cura di
Maria Grossmann
e Franz Rainer
ISBN 978-3-484-50711-1
1. INTRODUZIONE 1
1.1. Presentazione 3
1.2. Premesse teoriche 4
2. COMPOSIZIONE 31
2.1. Composizione con elementi italiani 33
2.2. Composizione con elementi neoclassici 69
3. PREFISSAZIONE 97
3.0. Introduzione 99
3.1. Differenze tra prefissazione e composizione 100
3.2. Caratteristiche definitorie dei prefissi 105
3.3. Identificazione dei prefissi 108
3.4. Produttività e analizzabilità 109
3.5. Selezione della base Ili
3.6. Caratteristiche fonologiche 118
3.7. Funzioni semantiche 126
4. PARASINTESI 165
4.1. Verbi parasintetici 167
4.2. Nomi cosiddetti parasintetici 182
4.3. Aggettivi cosiddetti parasintetici 183
5. SUFFISSAZIONE 189
5.1. Derivazione nominale 191
5.2. Derivazione aggettivale 382
5.3. Derivazione verbale 450
5.4. Derivazione avverbiale 472
5.5. Derivazione numerale 489
6. RETROFORMAZIONE 493
VI Sommario del contenuto
7. CONVERSIONE 499
7.1. Introduzione 501
7.2. Conversione in sostantivi 505
7.3. Conversione in aggettivi 526
7.4. Conversione in verbi 534
7.5. Conversione in avverbi 550
8. RIDUZIONE 555
8.1. Introduzione 557
8.2. Sigle: i tipi De, Fiat 558
8.3. Accorciamenti 561
8.4. Riduzioni per troncamento di suffisso 566
BIBLIOGRAFIA 611
SIGLE E ABBREVIAZIONI 645
INDICE DEGLI AFFISSI, INTERFISSI ED ELEMENTI FORMATIVI 651
Indice generale
1. INTRODUZIONE 1
1.1. P r e s e n t a z i o n e MARIA GROSSMANN / FRANZ RAINER 3
2. COMPOSIZIONE 31
2.1. Composizione con elementi italiani ANTONIETTA BISETTO 33
2.1.1. Definizione e delimitazione 33
2.1.1.1. Composti e derivati 34
2.1.1.2. Composti e sintagmi 34
VILI Indice generale
5. SUFFISSAZIONE 189
5.1. Derivazione nominale 191
5.1.1. Derivazione nominale denominale 191
5.1.1.1. Nomi di agente MARIA G. LO DUCA 191
5.1.1.1.1. Il tipo fioraio 194
5.1.1.1.2.1 tipi campanaro e palazzinaro 197
5.1.1.1.3. Il tipo barcaiolo / barcaiuolo / barcarolo 200
5.1.1.1.4.1 tipi barbiere e guerriero 202
5.1.1.1.5. Il tipo impresario 204
5.1.1.1.6. Il tipo autista 206
5.1.1.1.7. Itipi garibaldino, cigiellino, postino 209
Indice generale
7. CONVERSIONE 499
10. F O R M A Z I O N E D E L L E P A R O L E N E L L E T E R M I N O L O G I E
TECNICO-SCIENTIFICHE 573
BIBLIOGRAFIA 611
Scopo del libro che qui presentiamo è quello di offrire agli studenti e agli studiosi una espo-
sizione sistematica dei meccanismi di formazione delle parole nell'italiano contemporaneo.
L'idea di questo lavoro è nata nel 1998 a Bruxelles, dove noi editori del volume ci siamo
incontrati in occasione del XXII Congresso internazionale di linguistica e filologia ro-
manza. Non era, tra l'altro, la prima volta che discutevamo dell'esigenza di un'opera di
consultazione per l'italiano paragonabile alla Spanische Wortbildungslehre di Franz Rainer,
uscita nel 1993 a Tübingen, sempre presso la casa editrice Niemeyer. Convenivamo anche
sul fatto che, per giungere ad un risultato soddisfacente, dovevamo elaborare un piano di
lavoro collettivo. Abbiamo dunque invitato 17 colleghi, e cioè Pier Marco Bertinetto
(Scuola Normale Superiore di Pisa), Francesco Bianco (Università di Roma Tre), Anto-
nietta Bisetto (Università di Bologna), Andreas Blank (Università di Marburgo), Maurizio
Dardano (Università di Roma Tre), Livio Gaeta (Università di Torino), Claudio Giovanardi
(Università di Roma Tre), Claudio Iacobini (Università di Salerno), Maria G. Lo Duca
(Università di Padova), Lavinia Merlini Barbaresi (Università di Pisa), Davide Ricca (Uni-
versità di Torino), Christian Seidl (Università di Zurigo), Luca Serianni (Università di Ro-
ma «La Sapienza»), Heidi Siller-Runggaldier (Università di Innsbruck), Anna M. Thornton
(Università dell'Aquila), Miriam Voghera (Università di Salerno) e Ulrich Wandruszka
(Università di Klagenfurt), a collaborare con noi alla realizzazione dell'idea, affidando a
ciascuno di essi la stesura di capitoli o sottocapitoli del volume. Pur trattandosi di un'opera
con numerosi autori, desideravamo pervenire non ad una raccolta di saggi bensì, partendo
dallo stesso corpus (il DISC e diversi dizionari di neologismi) e coordinandone
l'impostazione complessiva, ad una presentazione omogenea dei diversi processi morfolo-
gici. Auspicavamo che gli autori si collocassero ad un livello teorico il più possibile comu-
ne e che mettessero in primo piano la descrizione dei fatti piuttosto che il dibattito teorico.
Il lettore noterà che le diverse parti, nonostante le direttive comuni e il lavoro finale di
omogeneizzazione, ancora rivelano inevitabilmente le diverse mani, differenze di taglio e di
esposizione, nonché inclinazioni teoriche diverse.
Questo volume è destinato in primo luogo ad un pubblico universitario italiano e stra-
niero, ma anche agli autori di manuali scolastici, ad insegnanti, lessicografi, terminologi e
psicolinguisti, e speriamo che vi possa trovare motivi d'interesse anche un pubblico più
ampio. Pur non essendo un'opera teorica, ricapitola nella forma più accessibile possibile i
risultati acquisiti dalla ricerca avanzata e, dunque, malgrado l'intento divulgativo, non può
non presupporre nel lettore una certa preparazione specifica.
Com'è inevitabile in questo tipo di imprese, l'opera ha richiesto da parte dei singoli au-
tori molta pazienza e spirito di abnegazione. A tutti rivolgiamo un caloroso ringraziamento.
Siamo grati anche a tutti i colleghi che ci hanno aiutato in varia maniera nel corso della
stesura del presente libro e alla casa editrice Niemeyer, e per averne favorito la pubblica-
zione e per la cura esperta con cui ha contribuito al suo assetto finale.
Desideriamo concludere questa presentazione rivolgendo un pensiero alla prematura
scomparsa di uno degli autori. Alla memoria di Andreas Blank, che ci ha lasciato a soli 40
anni, dedichiamo il presente volume.
4 1. Introduzione
La morfologia 1 è quel ramo della grammatica che studia le parole motivate, cioè le parole
di una lingua che, si potrebbe dire in una prima approssimazione, mostrano un rapporto
semantico-formale con altre parole della stessa lingua. Barista, ad esempio, è una parola
motivata in questo senso dato che il suo significato è deducibile in base a bar e una lunga
serie di parole come elettricista, giornalista ecc. in cui -ista ha un valore semantico identico
o per lo meno simile.2 Bar, invece, è una parola non motivata che non rimanda ad altre
parole dell'italiano: b, a, r, ba e ar infatti sono solo suoni o sillabe e non morfemi, cioè
elementi formali minimi dotati di significato proprio 3 (a, è vero, è una preposizione e un
prefisso e dunque un morfema, ma questi morfemi non contribuiscono per niente a spiegare
il significato di bar).
Il rapporto di motivazione è essenzialmente un rapporto paradigmatico, cioè un rapporto
fra una parola motivata e una o varie parole motivanti del lessico. Se spostiamo lo sguardo
dai rapporti fra parole del lessico sull'asse sintagmatico, osserviamo che, per lo meno nei
derivati finora considerati, le parole motivanti sono anche, integramente o parzialmente,
costituenti della parola motivata. Nel nostro esempio, bar è rappresentato integralmente in
barista, mentre la serie delle parole in -ista è solo presente attraverso questo stesso ele-
mento comune a tutte. In questa prospettiva sintagmatica, si suol dire che barista è una
parola complessa che consta di una base (bar) e di un suffisso (-ista). Nel caso di barista,
la base è una parola semplice, ma in altri casi, come quello di giorn-al-ista, si può natu-
ralmente anche trattare di una parola a sua volta complessa.
Non tutte le parole complesse presentano però le caratteristiche di barista, in cui tanto la
base quanto la parola complessa sono indubbiamente delle parole nel senso più intuitivo del
termine. La situazione è già molto meno evidente per una formazione come cambio gomme,
anch'essa tradizionalmente ritenuta di competenza della morfologia. Cosa distingue cambio
gomme da una costruzione indubbiamente sintattica come cambio delle gomme? Cosa ci
permette, in altri termini, di vedere nel primo una parola e nel secondo un sintagma?
Per rispondere a questa domanda, dobbiamo prima cercare di definire il concetto di pa-
rola (cfr. in merito Ramat 1990). In genere, l'uso di tale concetto nel linguaggio comune e
in linguistica sembra basarsi sui seguenti criteri, non completamente coestensivi. Si ritiene
che una parola si riferisca a un concetto unitario, sia modificabile solo globalmente, e che
eventuali parti costituenti siano inseparabili e presentino un ordine fisso. A questi criteri in
alcune occasioni si aggiungono altri come l'unità accentuale, che però sono più soggetti alla
variabilità interlinguistica.
1
Sulla morfologia teorica, cfr. Spencer 1991, Scalise 1994, Booij / Lehmann / Mugdan 2000, Spen-
cer 2001, Haspelmath 2002, così come lo Yearbook of Morphology, pubblicato annualmente da G.
Booij e J. van Marie presso la casa editrice Kluwer di Dordrecht.
2
Ci sono anche parole motivate isolate, senza serie al fianco. Menzioniamo come esempi cattiveria,
ostrogoto e visigoto, o il composto piano-bar.
3
Sulle molte definizioni del concetto di morfema riscontrabili in linguistica cfr. Berruto 1990.
1.2. Premesse teoriche 5
Nel caso di cui ci stiamo occupando (cft. anche 2.1.2.2.1.1.), i nostri criteri sembrano ef-
ficaci. Cambio gomme può certo considerarsi come concetto unitario: l'espressione si uti-
lizza soprattutto per un certo tipo di operazione altamente standardizzata durante una corsa
di formula uno, mentre cambio delle gomme è disponibile per qualunque operazione in cui
si cambiano delle gomme. L'ordine dei costituenti è fisso (*gomme cambio), mentre il
sintagma permette marginalmente l'inversione in un registro poetico (delle gomme il cam-
bio). Il criterio dell'inseparabilità serve più chiaramente a distinguere parola complessa e
sintagma ("cambio rapido gomme vs il cambio rapido delle gomme), mentre per la modifi-
cabilità del secondo costituente la differenza sembra un po' meno netta ('cambio gomme
lisce vs il cambio delle gomme lisce). Tutto sommato, i nostri criteri definitori della parola
ci hanno dunque separato soddisfacentemente le sequenze cambio gomme e cambio delle
gomme, intuitivamente molto vicine Γ una all'altra. Come vedremo però in 2.1.1.2., 2.1.1.3.
e 2.1.8.2.1., la delimitazione della morfologia dalla sintassi è un problema assai complesso.
Cambio gomme, contrariamente a barista, ha due basi, cambio e gomme, cioè è costituito
da due parole indipendenti. In termini paradigmatici, il nostro composto è motivato dalle
due parole indipendenti cambio e gomme, nonché da una serie di parole di simile fattura
come trasporto latte, movimento merci, rimborso spese ecc. Questo tipo di parola comples-
sa si chiama parola composta o semplicemente composto, mentre se uno dei due costituenti
non è una parola ma un affisso tipo -ista, si parla di parola derivata o derivato. I rispettivi
procedimenti formativi si chiamano composizione e derivazione, e ambedue insieme, for-
mazione delle parole.
La frontiera con la sintassi non è tuttavia l'unico problema di delimitazione. Mentre in
barista e cambio gomme tanto la base / le basi quanto il derivato / il composto sono parole
nel senso di concetti lessicali autonomi, in altri casi la struttura morfologica interna non
sembra accompagnata da un cambio concettuale così forte. Gomme, ad esempio, è
senz'altro una parola complessa come fa vedere l'opposizione con gomma, ma si ritiene che
il concetto veicolato dalla -e finale, cioè 'plurale', non crei una parola nuova indipendente
ma semplicemente una variante della stessa parola. Tali parole complesse che sono solo
varianti di una stessa parola sono chiamate tradizionalmente parole flesse, ed il procedi-
mento corrispondente, flessione.
La delimitazione fra derivazione e flessione è fra i problemi più discussi della morfolo-
gia (cfr. Booij 1998). Il criterio concettuale utilizzato sopra per distinguere derivazione e
flessione, per diffuso che sia, è senz'altro insufficente per definire con precisione il confine
fra i due procedimenti. Bellissimo, ad esempio, è tradizionalmente considerato come deri-
vato, anche se "bellissimo" difficilmente si può ritenere concetto indipendente rispetto a
"bello" nella stessa maniera in cui "bar" e "barista" costituiscono dei concetti autonomi. Di
tutti i criteri proposti per distinguere flessione e derivazione - una cinquantina in tutto! - il
più utile è ancora quello della pertinenza sintattica. Secondo questo criterio, un affisso è
flessivo solo se è pertinente per il funzionamento di una regola sintattica. Il plurale dei
nomi, ad esempio, è sintatticamente pertinente in questo senso perché rende necessaria la
concordanza di aggettivi modificatori, articoli ecc. La divisione tradizionale fra derivazione
e flessione non è però pienamente coerente con questo criterio. Così molti suffissi cam-
biano il genere della base e hanno dunque lo stesso effetto sintattico, ma non per questo
sono classificati come flessivi. Sembra dunque necessario limitare il concetto di pertinenza
sintattica ai soli casi in cui un morfema è indotto da una regola sintattica. Questo è il caso
degli aggettivi, in cui gli affissi flessivi sono indotti dalla presenza nel nome modificato
6 1. Introduzione
delle categorie 'singolare' / 'plurale' e 'maschile' / 'femminile'. È stato proposto (cfr. Booij
1996) di distinguere, in questo senso, una flessione inerente (plurale e genere dei sostan-
tivi) e una flessione contestuale (plurale e genere degli aggettivi), di cui la prima sarebbe
più vicina alla derivazione della seconda.1 Per quanto riguarda i verbi, infine, la categoria
'tempo-aspetto' è più vicina al polo inerente, perché normalmente non dipende dal contesto
sintattico, mentre le categorie 'modo', 'numero' e 'persona' sono contestuali in quanto
sintatticamente indotte dal soggetto della frase o dal tipo di costruzione (il congiuntivo
dopo certi verbi, ad esempio).
Analizzando la distribuzione di morfemi derivazionali e flessivi in italiano, si osserva
che questi ultimi, come anche in altre lingue, sono quasi sempre periferici rispetto ai primi.
Fra le eccezioni italiane conviene menzionare soprattutto gli avverbi in -mente (cfr.
5.4.2.1.), la cui base è la forma femminile dell'aggettivo (chiar-a-mente), ed il tipo antiru-
ghe, dove il suffisso del plurale -e del nome base è nella portata del prefisso derivazionale
anti-. Si noti però che in nessuno dei due casi l'affisso flessivo è indotto da una regola sin-
tattica. La generalizzazione della perifericità della flessione rimane dunque valida anche per
l'italiano se la limitiamo alla sola flessione contestuale.
Il terzo confine poco sicuro - e poco esplorato - è quello con la semantica. La nostra de-
finizione iniziale delle parole motivate come quelle che presentano un rapporto semantico-
formale con altre parole della stessa lingua include anche, se applicata meccanicamente,
tutte le metafore e metonimie. Anche piede "parte bassa di un tavolo", dopo tutto, presenta
un rapporto tanto semantico (similarità) quanto formale (identità) con piede "parte del cor-
po ecc.". E lo stesso vale per una coppia metonimica come direzione "il dirigere" / direzio-
ne "organo direttivo".
Per evitare questa eccessiva estensione del campo di ricerca si potrebbe precisare la de-
finizione esigendo che la parola complessa sia più complessa della base anche formalmente.
In questo modo elimineremmo elegantemente tutte le metafore e metonimie, dato che esse
mostrano, come abbiamo visto, un rapporto di identità formale con la base. Ma con una tale
mossa, disgraziatamente, escluderemmo anche tutta una serie di rapporti semantico-formali
che tradizionalmente sono considerati di competenza della formazione delle parole. Anche
l'aggettivo fisico e il sostantivo fisico "studioso di fisica", ad esempio, mostrano un rap-
porto di identità formale, ma secondo la tradizione si tratterebbe ciononostante di un rap-
porto derivazionale di «sostantivazione» o «nominalizzazione».
Per escludere le metafore e le metonimie dal campo della formazione delle parole senza
escludere esempi come quest'ultimo, si è soliti ricorrere a criteri ulteriori. Il più usuale è
quello del cambio della categoria sintattica: in caso di identità formale, si parla di forma-
zione delle parole solo se base e derivato appartengono a categorie sintattiche diverse. In
questo modo il sostantivo fisico rimarrebbe di competenza della formazione delle parole,
mentre l'uso metaforico di piede e quello metonimico di direzione non supererebbero
l'esame di ammissione. Questo criterio ha però lo svantaggio di escludere anche certe me-
tonimie che presentano cambi semantici molto simili a quelli osservabili in procedimenti
indubbiamente derivazionali. Così, ad esempio, le metonimie "contenitore" —• "contenuto"
tipo bere un bicchiere d'acqua sono semanticamente molto simili a derivati in -ata come
bicchierata "quantità di liquido corrispondente a un bicchiere" (DISC, accezione 1.). Di
fronte a tali esempi è legittimo domandarsi perché dovremmo esigere il cambio di categoria
1
L'idea di un continuum fra derivazione eflessioneè difesa con forza anche in Dressier 1989.
1.2. Premesse teoriche 7
solo quando c'è identità formale, e non per tutta la derivazione. Dato che questo problema
fondamentale non è mai stato indagato in profondità (cfr. Rainer 1993a, 78-80) ci è parso
opportuno includere un capitolo speciale sulla frontiera fra metonimia e formazione delle
parole (cfr. 1.2.6.). Un altro capitolo speciale (cfr. 7.4.3.) sarà dedicato a cambi della strut-
tura argomentale indotti da un cambio concettuale, come nel caso dell'uso causativo-transi-
tivo di crescere·, i figli crescono —* crescere i figli. Anche in questi casi, che non sono tra-
dizionalmente considerati come di competenza della formazione delle parole, il cambio
semantico è simile a quanto incontriamo nella formazione delle parole al di sopra di ogni
sospetto (cfr. hanno accresciuto la produzione) mentre non cambiano né la forma né la
categoria sintattica.
Concludendo possiamo dunque dire che il campo della formazione delle parole presenta
un centro netto in derivati tipo barista e certi tipi di composti, mentre esistono delle zone
grigie tanto verso la sintassi quanto verso la flessione e verso la semantica. Queste zone
grigie non sono solo dovute a deficienze analitiche ma sono, almeno in parte, inerenti
all'oggetto di studio stesso.
Il nostro punto di partenza è costituito, in linea di principio, dal cosiddetto lessico mentale,
cioè l'insieme delle parole memorizzate dai parlanti, tanto semplici quanto complesse, e
delle relazioni che i parlanti stabiliscono fra queste parole memorizzate. Tali relazioni pos-
sono essere di tipo formale, semantico, o semantico-formale. Esempi di relazioni puramente
formali sarebbero le rime fra serie di parole: osso, grosso, mosso ecc. Anche le assonanze o
gli schemi prosodici rientrano in questa categoria. Esempi di relazioni puramente semanti-
che sono, ad esempio, le relazioni di sinonimia, antonimia, iperonimia ecc. riscontrabili
anche fra parole di cui nessuna fa parte dell'altra, com'è invece il caso dei derivati e com-
posti. Alto e basso, ad esempio, hanno certo un rapporto privilegiato nel lessico mentale che
non può mancare in una descrizione completa del lessico italiano, ma il rapporto rimane
puramente semantico (a prescindere dalla desinenza, naturalmente). L'oggetto di studio
della formazione delle parole invece, come abbiamo già avuto modo di vedere, è costituito
solo da un certo tipo di relazioni allo stesso tempo semantiche e formali. Sarà il compito di
questo volume di fornire una descrizione il più possibile completa e sistematica di queste
relazioni semantico-formali riscontrabili nell'italiano moderno.
Se si è detto sopra che il lessico mentale costituisce il nostro punto di partenza «in linea
di principio», ciò si deve al fatto che siamo ben lungi dall'avere una rappresentazione onni-
comprensiva del lessico mentale, benché gli studi di psicolinguistica in materia abbiano
8 1. Introduzione
fatto progressi notevoli negli ultimi decenni (cfr., per una buona sintesi, Laudanna / Burani
1999). Sfuggendo dunque il lessico mentale all'osservazione diretta, dobbiamo scegliere
un'altra base empirica che sia più facilmente accessibile ma ne rispecchi comunque le ca-
ratteristiche indispensabili per un'analisi morfologica. Questo surrogato del lessico mentale
sarà costituito per noi da un dizionario della lingua italiana moderna, più concretamente il
DISC, la cui versione elettronica è di agevole maneggio per lo studioso della formazione
delle parole.
Il fatto di partire dal lessico mentale ci permette di descrivere adeguatamente alcuni fe-
nomeni strettamente connessi con la formazione delle parole, o più in generale la morfolo-
gia, come quello del blocco (cfr. Scalise / Ceresa / Drigo / Gottardo / Zannier 1983, Rainer
1988a). Si osserva frequentemente che una determinata parola che, secondo le regole di
formazione di parole della lingua, dovrebbe essere accettabile, è nondimeno evitata o re-
spinta dai parlanti a causa dell'esistenza di un sinonimo ben radicato nella lingua.
"Rubatore, ad esempio, sarebbe in tutto analogo alla serie delle parole in -tore come rapi-
natore ecc. e infatti è anche attestato in italiano antico, ma oggi viene evitato per l'esistenza
del sinonimo ladro. Ora, questo fenomeno del blocco di una parola virtuale da parte di un
sinonimo usuale è sensibile alla frequenza del sinonimo bloccante: più quest'ultimo è fre-
quente, più il blocco sarà efficace. Mentre, ad esempio, coraggio, un sostantivo relativa-
mente frequente, blocca efficacemente °coraggiosità, acrimoniosità sembra nettamente più
tollerabile accanto al raro acrimonia (cfr. Rainer 1989a, 30). Come numerosi studi di psi-
colinguistica hanno mostrato, la frequenza di una parola rende più facile «ripescarla» dal
lessico mentale; una teoria della formazione delle parole basata sul lessico mentale può
dunque rendere conto del fenomeno del blocco in maniera del tutto naturale. In concezioni
del lessico più astratte, meno direttamente psicolinguistiche, dove la nozione di frequenza
non appare, un trattamento adeguato del fenomeno del blocco sembra invece impossibile
all'interno della teoria morfologica.1
Quello del blocco, fra l'altro, non è l'unico fenomeno morfologico che consiglia di pren-
dere in considerazione la nozione di parola memorizzata / usuale nello studio della forma-
zione delle parole. Un altro è costituito dall'analogia, cioè la coniazione di un neologismo
sul modello di una parola usuale ben determinata o un piccolo gruppo di parole ben deter-
minato. L'analogia è più apparente quando il neologismo riprende da una parola complessa
determinata un'idiosincrasia assente dalla serie delle parole complesse comparabili. Il neo-
logismo giornalista squillo di C. Cederna, ad esempio, non rimanda genericamente alla
serie di N+N, ma più specificamente al modello ragazza squillo, di cui riprende
l'implicazione semantica idiosincratica "che si prostituisce". Analogie di questo tipo, che
sono più frequenti di quanto non si pensi, mostrano che lo studio della formazione delle
parole deve partire da un lessico costituito di parole memorizzate e dotate di tutte le loro
idiosincrasie, come appunto è il caso del lessico mentale.2
Si osservi che esiste anche un altro tipo di blocco che non dipende dalla frequenza in quanto è una
regola che blocca l'attuazione di un'altra regola. Il suffisso -età, ad esempio, blocca sistematica-
mente -ità con basi chefiniscononella semivocale [j]: unitario —> unitarietà / *unitarità ecc.
2
Per altri argomenti in merito, cfr. Booij 1987,44-51.
1.2. Premesse teoriche 9
Nel paragrafo precedente si è detto che il lessico mentale comprende tutte le parole memo-
rizzate più le relazioni fra di esse, e che esso è il punto di partenza ideale dell'analisi mor-
fologica. Ne consegue che l'unità di base di tale analisi deve essere la parola.
La scelta della parola come unità di base è ben radicata nella tradizione morfologica oc-
cidentale fin dall'antichità, quando i grammatici solevano descrivere i paradigmi flessivi
presentando dei casi «paradigmatici» ed invitando gli utenti a seguire tali modelli in tutti i
casi analoghi. Lo stesso procedimento veniva applicato anche alla derivazione e alla com-
posizione, un po' come abbiamo fatto anche noi poco sopra nell'analisi di giornalista
squillo: anche lì siamo partiti dall'ipotesi che la coniatrice, C. Cederna, abbia avuto in
mente il modello ragazza squillo, in cui poi avrebbe effettuato la sostituzione del primo
sostantivo lasciando intatto tutto il resto del significato fortemente idiosincratico. Ma anche
molti studiosi della formazione delle parole davano e danno per scontato la validità di tale
approccio, da Paul 1880 a Becker 1990.1
A questa metafora occidentale della parola-modello e la sua copia si contrappone però la
tradizione indiana, ripresa e diffusa nella linguistica moderna da Bloomfield 1933, che
concepisce la formazione di parole complesse piuttosto sulla falsariga del gioco delle co-
struzioni (la metafora tuttavia non è indiana). In questa tradizione, le unità di base o, per
riprendere l'immagine, i mattoni corrispondono ai morfemi, e le parole complesse si for-
mano a partire dai morfemi come i mattoncini si mettono insieme per fare una costruzione.
Qui si parte dunque dagli elementi minimi per arrivare alle unità più complesse, mentre
nella tradizione occidentale, al contrario, l'unità complessa è formata sul modello di
un'altra unità complessa preesistente o un insieme di unità complesse preesistenti.
La scelta fra queste due concezioni della morfologia non è ovvia. In molti casi, infatti,
specie quello delle formazioni pienamente regolari, esse sono più o meno indistinguibili.
Per le formazioni idiosincratiche, però, il modello occidentale è chiaramente preferibile,
dato che esse per definitionem non sono descrivibili esclusivamente mediante regole. Per
salvare il modello indiano, si potrebbe pensare di limitarne la portata alle sole regole pro-
duttive. Tale soluzione non sarebbe però senza problemi. Da un lato, la produttività è, come
vedremo in 1.2.5.2., un continuum, e dall'altro si osserva che anche formazioni idiosincrati-
che fungono spesso da punto di partenza per nuove formazioni, come si è già visto
nell'esempio giornalista squillo. Altri processi morfologici che presuppongono un lessico
costituito da parole complesse memorizzate sono la retroformazione e la sostituzione di
affisso, trattate nel prossimo paragrafo.
Fin qui abbiamo parlato di relazioni semantico-formali fra parole, senza pronunciarci sulla
direzionalità o meno di queste relazioni. Generalmente si assume che le regole di formazio-
ne di parole trasformino una parola meno complessa in una più complessa, che il processo
1
Cfr. anche, da un punto di vista più generale, Skousen / Lonsdale / Parkinson 2002.
10 I. Introduzione
cesso sia dunque orientato (cfr. Iacobini 1996).1 E per la stragrande maggioranza delle
formazioni tale assunzione è anche talmente ovvia che non ha bisogno di ulteriori giustifi-
cazioni. Chi infatti vorrebbe negare che tazzina è derivato da tazza, e non tazza da tazzina?
Nei casi chiari, l'uscita è più complessa tanto formalmente quanto semanticamente. Ci
sono però anche dei casi in cui alla complessità semantica non fa riscontro nessuna com-
plessità formale. Dobbiamo menzionare innanzitutto la conversione (cfr. 7.), un processo
formativo in cui il cambio di significato è accompagnato da un cambio di categoria sintat-
tica ma non da un cambio formale. Anche in assenza di un indizio formale la direzione
della conversione è in generale chiara: il sostantivo un superdotato, ad esempio, deriva
senza dubbio dall'aggettivo superdotato, non viceversa. Percepiamo come derivata la pa-
rola che semanticamente presuppone l'altra, come aveva già notato Marchand 1964b. Ma
l'intuizione non è sempre così netta, per esempio nelle coppie danza / danzare e collasso /
collassare. A prima vista sembra altrettanto plausibile definire il sostantivo con il verbo
quanto il verbo con il sostantivo: danza "l'azione del danzare", danzare "eseguire una dan-
za", collasso "il fatto di collassare", collassare "patire un collasso". Il criterio semantico è
anche l'unico che ci può guidare nella determinazione della direzione della relazione nelle
creazioni per sostituzione. Dal campo della composizione potremmo citare di nuovo gior-
nalista squillo, che rinvia a ragazza squillo, non viceversa, e dal campo della derivazione i
numerosi casi di sostituzione d'affisso come accelerare —> decelerare ecc.2 La centralità
del criterio semantico è ancora più ovvia nel caso della retroformazione (cfr. 6.), termine il
cui prefisso allude appunto ad un'inversione della direzione derivativa abituale. La bambina
menzionata in 6. che ha ricavato aviare "pilotare un aereo" da aviatore non ha fatto altro
che invertire la regola che serve a formare nomi di agente in -tore a partire da verbi. Che
anche una regola di conversione possa essere invertita è mostrato da telelavorare, ricavato
recentemente da telelavoro secondo il modello di lavorare —* lavoro. Anche l'accorcia-
mento (cfr. 8.3.) è un processo in cui l'uscita, pragmáticamente più complessa, viene sen-
tita come derivata benché sia più breve della base: bicicletta —» bici ecc. Mentre nel caso
dell'accorciamento la forma dell'uscita è definita attraverso una caratterizzazione della
forma dell'uscita stessa e non della stringa cancellata, in una sottrazione il processo se-
mantico è accoppiato al contrario ad una definizione della riduzione formale da operare. È
però dubbio che in italiano esistano autentici casi di sottrazione. Coppie come psichiatria
—*• psichiatra "specialista in psichiatria", biologia —• biologo "specialista in biologia" ecc.
potrebbero al limite descriversi associando al significato "specialista in" l'operazione di
sottrazione di -ia. Per ottenere le uscite corrette, bisognerebbe però ancora aggiungervi
un'operazione di velarizzazione e la specificazione della desinenza richiesta nei singoli casi
(-a nel caso di psichiatra, -o nel caso di biologo). Siccome dunque una tale regola di sottra-
zione dovrebbe ad ogni modo far riferimento a elementi formativi come -iatra e -logo,
sembra preferibile vedere nelle coppie di questo tipo delle formazioni per sostituzione. La
morfologia italiana conterrà così una regola che indica che a un sostantivo in -logia può
sempre corrispondere un altro in -logo col senso "specialista in X", e similmente per
-iatria / -iatra ecc. Una formazione in -logo si può dunque formare sia aggiungendo -logo a
Questa assunzione generalizzata traspare dalla terminologia stessa: entrata e uscita, base e deri-
vato, basi e composto.
2
II fenomeno della sostituzione non si tratterà in un capitolo a parte bensì nei capitoli dedicati ai
rispettivi affissi o tipi compositivi.
1.2. Premesse teoriche 11
Una parola complessa è spesso l'iponimo di uno dei suoi costituenti: un vagone letto è una
specie di vagone, un'autostrada una specie di strada, un elettricista è un tipo di «-ista» ecc.
Il costituente iperonimico che, oltre alla categoria semantica, determina anche normalmente
aspetti grammaticali della parola complessa come la categoria sintattica, il genere o la clas-
se flessiva, sarà chiamato testa: vagone è dunque la testa di vagone letto, strada la testa di
12 1. Introduzione
autostrada, -ista la testa di elettricista ecc. Il secondo costituente delle formazioni citate,
che ha la funzione di modificare la testa, riceverà il nome di modìfìcatore.' Nei nostri
esempi il modìfìcatore ha l'effetto di restringere l'estensione della testa aggiungendo ulte-
riori tratti al suo significato: un vagone letto è una sottoclasse di vagoni forniti di letti ecc.
Non in tutti i casi la sua funzione è però quella di definire un sottoinsieme dell'insieme
delimitato dalla testa: la classe delle frasi inaccettabili, ad esempio, non è un sottoinsieme
delle frasi accettabili, ma l'insieme complementare.
La nozione di testa è di grande importanza per la descrizione della formazione delle pa-
role. Nella composizione, essa serve a distinguere composti endocentrici e composti eso-
centrici (cfr. anche 2.1.). Sono endocentrici quelli in cui uno dei costituenti serve da ipero-
nimo del composto intero, come nel caso di vagone letto, mentre nei composti esocentrici
nessuno dei costituenti può fungere da iperonimo: un apribottiglie, ad esempio, è uno stru-
mento, non una bottiglia, un pettirosso un uccello, non un petto ecc. L'esocentricità è un
fenomeno presente soprattutto nella composizione, ma marginalmente esiste anche nella
prefissazione: anticucina, antipalchetto, e simili, ad esempio, non designano una cucina, un
palchetto ecc. ma una stanza, un locale, un ambiente ecc. che si trova all'entrata di una
cucina, un palchetto ecc. Questi prefissati semanticamente esocentrici però sono esocentrici
solo a metà, dato che il genere è endocéntricamente determinato dal sostantivo: cucina f. —*
anticucina f., palchetto m. —» antipalchetto m. ecc. Confrontando il tipo nominale AN-
TICUCINA con il tipo aggettivale (fari) ANTINEBBIA, anch'esso esocentrico, si vede che le
proprietà di un tipo formativo non sono deducibili da quelle dei costituenti in base a prin-
cipi generali (chiamati nella letteratura principi di «percolazione»). Esistono certo delle
tendenze in questo campo: nel caso delle formazioni endocentriche, per esempio, è gene-
ralmente la testa a trasmettere le proprietà grammaticali, ma cfr. anche scarpa —> scarpino
(indubbiamente un tipo di scarpa, che sarebbe dunque la testa) e casi simili. In fondo tanto
il significato quanto il comportamento grammaticale sono delle proprietà idiosincratiche del
singolo tipo formativo.
La nozione di testa infine è anche utile per formulare certe regolarità molto generiche
sulla formazione delle parole dell'italiano. Così si osserva, ad esempio, che un derivato da
una parola complessa formata da prefisso + testa sceglie quasi sempre lo stesso suffisso che
sceglie la testa: conversione / riconversione, gratitudine / ingratitudine ecc.
1.2.2.5. Conclusione FR
Una regola di formazione di parole viene dunque concepita come una relazione - il più
delle volte direzionale - fra due (classi di) parole. Questa relazione si articola su vari livelli,
di cui i più fondamentali sono quello formale e quello semantico. La regola con cui si de-
scrive il suffisso -bile, ad esempio, è una relazione fra l'insieme delle basi verbali potenziali
e l'insieme degli aggettivi corrispondenti in -bile. A livello semantico, la regola menzionerà
che gli aggettivi significano "che può essere PP" (es. omissibile "che può essere omesso"), 2
1
Invece della coppia testa / modìfìcatore si utilizzano anche, nella letteratura, testa I non-testa,
determinatum / determinans, nucleo / satellite ecc.
2
Per non complicare eccessivamente le cose, prescindiamo qui dal fatto che alcuni aggettivi in -bile
presentano invece un significato attivo, come variabile "che varia".
1.2. Premesse teoriche 13
e che questo cambio semantico induce anche un cambiamento nella struttura argomentale
(l'oggetto diretto del verbo, per esempio, diventa soggetto dell'aggettivo: X può omettere Y
—* Y è omissibile). A livello formale, essa deve menzionare che le basi verbali prendono la
forma del tema nella prima e terza coniugazione (compra-bile, fini-bile), che nella seconda
invece della [e] finale troviamo una [i] (vende(re) vs vendi-bile), e che in varie forme irre-
golari la forma della base può anche corrispondere ad un allomorfo identico alla base dei
rispettivi nomi d'azione in -ione aumentato della vocale tematica [i] (omette(re) vs omissi-
bile / omiss-ione). Una descrizione completa dovrà poi anche delimitare il dominio della
regola, identificando le restrizioni che permettono di delimitare l'insieme delle basi poten-
ziali - essenzialmente i verbi transitivi, nel nostro caso - , e indicare la sua produttività, cioè
la probabilità con la quale s'incontrano neologismi formati secondo questa regola. A questi
tre aspetti fondamentali - significato / struttura argomentale, forma (allomorfia) e restri-
zioni / produttività - saranno dedicati i sottocapitoli 1.2.3. a 1.2.5.
lessicale impossibile di arabista nello stato attuale della lingua italiana). Infatti, l'eccessiva
astrattezza di molti significati morfologici proposti accoppiata a una mancata esplicitezza
circa le inferenze che permetterebbero la deduzione dei significati lessicali è un difetto
molto diffuso delle descrizioni semantiche negli studi di formazione delle parole (come
anche, fra l'altro, il suo contrario, cioè l'identificazione fra significato morfologico e signi-
ficato lessicale). Aggiungiamo ancora che, a causa del fenomeno della lessicalizzazione che
pervade il lessico, non si pretenderà che tutti i significati lessicali siano deducibili a partire
dal significato morfologico.
Il divario fra significato morfologico e significato lessicale è dovuto a varie cause. Una
prima causa è costituita dal fatto che le regole di formazione di parole hanno spesso un
significato abbastanza generico che viene concretizzato in base a inferenze come quelle che
abbiamo osservato nel caso di -ista. In altri casi, la formazione è ristretta a uno di vari signi-
ficati lessicali potenziali nel momento stesso della coniazione: lavafrutta e lavadita, ad
esempio, contrariamente a quanto si osserva con lavapiatti e lavastoviglie, per ragioni refe-
renziali hanno da sempre denotato solo uno strumento e mai una persona, anche se
quest'ultimo significato sarebbe possibile in teoria. E per ultimo si deve menzionare il fatto
che le parole complesse usuali, come tutte le altre parole del lessico, possono essere sog-
gette a cambiamenti semantici, idiosincratici come nel caso delle lessicalizzazioni, o più o
meno sistematici come nel caso delle estensioni semantiche. Con quest'ultimo termine ci
si riferisce a regole semantiche più o meno generiche che trasformano un significato in un
altro significato. Un caso tipico è costituito dalle estensioni metonimiche che trasformano
"qualità x" in "persona x" (Maria è una bellezza) o "qualità x" in "atto, detto x" (coprire
qn. di insolenze). Un altro esempio sarebbe quello dell'estensione metonimica che tra-
sforma "carica di N" in "durata della carica di N" (durante il consolato di Cesare). Queste
estensioni, che andrebbero ancora descritte esaurientemente, variano fortemente nel loro
grado di produttività (cfr. Rainer 1989a, 352-368).
1
Si parla anche, alternativamente, di valenza. Invece di argomenti, in questa tradizione terminologi-
ca, si usa aitanti.
16 1. Introduzione
Con la sola eccezione della conversione, la formazione delle parole si manifesta sempre
anche in un cambio formale, sia di aggiunta che di riduzione o di cambio di materiale foni-
co. Mentre l'aggiunta (cfr. bar —* barista) e la riduzione (cfr. biciletta —• bici) di materiale
fonico possono da sole segnalare, in italiano, un processo di formazione delle parole, il
cambio di materiale fonico è solo un indizio addizionale che può accompagnare certi pro-
cessi di formazione delle parole. Questo cambio può toccare sia la base (cfr. luogo —•
loc(ale) ecc.) sia l'affisso (cfr. le varie realizzazioni del prefisso in-: in(attivo), imperfetto)
ecc.). La natura di questi cambi fonici concomitanti è stata al centro delle discussioni lin-
1.2. Premesse teoriche 17
guistiche durante tutto il ventesimo secolo (cfr. Anderson 1985), e ancora oggi le opinioni
in merito sono tutt'altro che unanimi. La divergenza delle opinioni si manifesta anche in
una certa variabilità terminologica. In questo manuale parleremo di allomorfìa ogniqual-
volta una variazione formale indotta da una regola di formazione di parole non sia attribui-
bile a un processo fonologico completamente automatico. Le varianti formali, conseguen-
temente, saranno chiamate allomorfi.
I risultati della formazione delle parole sono naturalmente, come ogni altra stringa fonica
della lingua, soggetti a processi fonologici del tutto automatici. Variazioni foniche dovute a
tali processi non verranno perciò prese in considerazione in questo manuale, già che non
dipendono crucialmente dalla previa attuazione di regole di formazione di parole. L'italiano
conosce, ad esempio, un processo fonologico del tutto automatico che velarizza una /n/
davanti a consonanti velari come /k/: così, ancora si pronuncia [aqkora], in Canada [iq
kanada] ecc. La pronuncia del prefisso in- come [iq] in incauto [iqkauto] e simili è dunque
dovuta a un processo fonologico generale e non deve essere menzionata nella descrizione
della regola di formazione di parole.
Altre variazioni foniche sono invece condizionate da determinate regole di formazione di
parole. Davanti a basi che cominciano con Irl, per esempio, il prefisso negativo appare nella
forma [ir]-: irresponsabile ecc. Contrariamente a quanto abbiamo osservato nel caso di /in/-
seguito da occlusiva velare (realizzato come [iq]-), l'assimilazione di /n/ davanti a /r/ - o /I/,
cfr. in Russia, panrusso, in loco ecc. - non è invece un processo automatico nella sincronia
dell'italiano; anche se tale può essere considerato, sia pure con eccezioni lessicali, nel par-
lato spontaneo, non formale, delle varietà centromeridionali. L'assimilazione Ini > Iii da-
vanti a Irl è dunque una proprietà idiosincratica del prefisso in- (e di alcuni altri prefissi
italiani), è, per dirlo in un'altra maniera, condizionata morfologicamente. Menzioneremo
perciò, nella descrizione stessa del prefisso in-, che esso appare nella forma ir- davanti a
basi che cominciano con Irl, il- davanti a basi che cominciano con IM.
L'allomorfìa appena descritta non è dunque pienamente automatica, ma conserva co-
munque una chiara motivazione fonetica. In altri casi viene meno anche la motivazione
fonetica, come nel caso di luogo —> loc{ale) menzionato nel paragrafo precedente. Il grado
di disparità formale può aumentare continuamente fino ad arrivare al caso estremo del sup-
pletivismo forte, dove non c'è più nessun rapporto formale fra i due morfemi coinvolti:
Bologna —• felsin{eo), Napoli —* partenopeo) ecc.
La definizione di allomorfo varia da scuola a scuola e da autore a autore. Alcuni conside-
rano come allomorfi tutti i morfemi sinonimi in distribuzione complementare, indipenden-
temente dall'esistenza o meno di una similarità fonica. In questa concezione partenop-
sarebbe un allomorfo di Napoli. Altri invece preferiscono una definizione più restrittiva.
Fra i criteri ulteriori che un morfema deve soddisfare per poter essere chiamato allomorfo
di un altro si menzionano soprattutto la similarità fonica e a volte anche la distribuzione
fonologicamente condizionata. Il suffisso -età soddisfa anche a questa definizione più re-
strittiva: è chiaramente simile a -ità ed è condizionato fonologicamente dalla presenza di
una [j] finale. Si noti però che non sempre tutt'e quattro i criteri sono soddisfatti simulta-
neamente. Il prefisso vis- di visconte, ad esempio, è in distribuzione complementare con
18 1. Introduzione
vice- e conserva anche una certa similarità fonica, ma non è condizionato fonologicamente
bensì lessicalmente e il rapporto di sinonimia forse non è ovvio a tutti i parlanti. Nel caso di
-tore / -ore, al contrario, la sinonimia è fuori discussione, ma si osserva che la distribuzione
complementare non è perfetta (cfr. lettore / leggitore ecc.). Nel presente manuale, ogni
morfema la cui forma non è attribuibile a un processo fonologico completamente automa-
tico è considerato come entità indipendente, anche se chiamato allomorfo o variante.
L'importante, da una prospettiva descrittiva, è descrivere esattamente la distribuzione delle
forme in questione.
Un altro problema spinoso è quello dei cosiddetti interfasi. In molti casi, fra la radice / il
tema e il suffisso appare una sequenza fonica la cui appartenenza non è ovvia, come la -u-
di man-u-ale, la -c- di camion-c-ino, l'-acchi- di ors-acchi-otto, Y-or- di temp-or-ale ecc. A
priori, ci sono tre possibilità di analisi: il materiale fonico in questione può analizzarsi come
parte di un allomorfo della radice / del tema (manu-ale ecc.) o del suffisso (man-uale ecc.),
oppure considerarsi come entità morfologica autonoma, chiamata appunto in parte della
letteratura scientifica interfisso. Quest'ultima scelta è giustificata soprattutto quando
l'interfisso conserva ancora un valore semantico autonomo, seppur residuale, normalmente
di tipo connotativo, come in ors-acchi-otto. In questo manuale, però, la nozione di inter-
fisso a volte si utilizza anche in modo più vago come termine comodo per riferirsi a qua-
lunque tipo di «materiale fonico» fra radicale / tema e suffisso, senza implicazioni seman-
tico-morfologiche.
Oltre ai casi di allomorfia menzionati nel paragrafo precedente si osservano ancora, in ita-
liano, alcuni casi in cui la parola complessa o l'allomorfo della sua base sono sistematica-
mente identici ad una forma ricorrente in un'altra formazione della lingua (cfr. Rainer
2001a). Il caso più noto è quello dell'avverbio in -mente, che prende come base la forma
femminile singolare dell'aggettivo (chiar-a-mente ecc.), senza che il tratto 'femminile'
abbia alcuna motivazione semantico-grammaticale in tali formazioni (cfr. 5.4.2.1.). Ben
noto è anche il caso dei nomi d'azione del tipo corsa, che coincidono formalmente con la
forma femminile singolare del participio passato corrispondente (cfr. 5.1.3.1.2.3.). Anche
qui i tratti 'participio' e 'femminile' non hanno nessuna giustificazione semantica nella
grammatica sincronica dell'italiano. I seguenti due casi di allomorfia determinata paradig-
maticamente invece non sono ancora stati descritti in questi termini nella tradizione gram-
maticale italiana.
Formazioni come camminatore, comunicativo, discriminatorio ecc. sono normalmente
considerate, in base al loro significato, come derivate dai temi cammina-, comunica-, di-
scrimina· ecc. per mezzo dei suffissi -tore, -tivo, -torio ecc. Ora, tale soluzione non si ap-
plica a tutte le parole complesse con questi suffissi o, più precisamente, con gli allomorfi in
-ore, -ivo, -orio ecc. In estorsore, estensivo, dimissorio e molte altre formazioni simili si
osserva infatti che la forma della base è identica non al tema ma alla base del nome
d'azione corrispondente: estorsione), estensione), dimiss(ione) ecc. Si noti che la base non
coincide più, come in latino, con il participio passato lì dove c'è una differenza formale fra
queste due categorie: estort- vs estors-, estes- vs estens-, dimess- vs dimiss- ecc.
1.2. Premesse teoriche 19
In 1.2.2.2. siamo giunti alla conclusione che la parola è l'unità fondamentale dell'analisi
morfologica. Ciò è certamente vero se parola si definisce come unità concettuale; la forma-
zione delle parole serve infatti soprattutto a derivare nuove unità concettuali da unità con-
cettuali esistenti. Se però affrontiamo la questione dal punto di vista formale, osserviamo
che la base di una parola complessa appare raramente nella sua forma completa: il tipo bar
—* barista, ad esempio, è molto più raro del tipo latino —* latinista, dove non appare la
vocale finale (desinenza) della base latino. Quando si dice che la formazione delle parole
dell'italiano è basata sulla parola, si deve dunque intendere il concetto di parola nel senso di
lessema, cioè di unità del lessico, di parola senza le desinenze.
Un verbo italiano non è mai una forma inanalizzabile. Quelli regolari (cfr. Dressler /
Thornton 1991) contengono sempre, oltre alla radice, per lo meno una desinenza e spesso
anche una vocale tematica. Per radice s'intende quella parte del verbo che porta
l'informazione semantica, come cant- "cantare". In molte forme verbali, la radice porta
l'accento ed è seguita immediatamente da una desinenza che esprime categorie come il
tempo, il modo, il numero o la persona, spesso cumulativamente: canto, canti ecc. In altre,
la radice è atona e seguita da una vocale tematica, che segnala a quale coniugazione ap-
partiene il verbo, seguita a sua volta dalle desinenze: cant-a-re, fin-i-re, ved-e-re (dove -re
rappresenta la desinenza dell'infinito) ecc. Una stringa formata da radice e vocale tematica
è chiamata tema. Esso, come la radice, non appare mai nella frase come forma libera. An-
che nella formazione delle parole ambedue i tipi di base, radici e temi, giocano un ruolo. Il
nome d'azione cant-o, ad esempio, è formato sulla base della radice cant-, mentre il nome
d'agente canta-nte è basato sul tema canta-.
Nel campo dei nomi e degli aggettivi, esistono alcune parole monomorfematiche come
bar o blu, ma nella stragrande maggioranza dei casi la radice è seguita da una desinenza che
indica la classe flessiva: cas-a, cas-o,fot-o, clim-a, torr-e, bell-o, grand-e ecc. In superficie,
la base derivazionale è sempre costituita dalla radice: cas-ereccio, bell-ezza ecc. Perciò,
anche in casi come casale, climatico, grandezza ecc. la segmentazione giusta è cas-ale,
clim-atico, grand-ezza ecc., anziché casa-le, clima-tico, grande-zza ecc. Quest'ultima seg-
mentazione comporterebbe anche un'inutile inflazione del numero di suffissi o allomorfi di
suffissi: -ale / -le, -ático / -tico, -ezza / -zza ecc.
L'interpretazione teorica dei fatti appena descritti è molto controversa fra gli studiosi di
morfologia italiana. C'è chi pensa che bellezza derivi, come appare in superficie, da una
base beli-, mentre altri assumono come base la forma non marcata (maschile singolare)
bello, la cui vocale finale verrebbe cancellata nel processo di derivazione (cfr. Scalise
1994). Empiricamente, i due modi di descrivere la derivazione di bellezza sembrano più o
20 1. Introduzione
meno indistinguibili, e si noti che anche nella versione che parte dalla radice la -o finale
deve comunque essere presente nella radice stessa sotto forma di un tratto diacritico, sennò
il parlante non potrebbe sapere che beli- appare nel maschile singolare come bello e non
come belle (cfr. grande). In questo manuale ci atterremo, in linea di principio, alla prima
posizione, che assume come basi le forme che appaiono in superficie (cfr. per una posizione
simile Crocco Galèas 1998). Per comodità di lettura si utilizzeranno, però, il più delle volte,
per riferirsi alle basi, le forme di citazione - l'infinito per i verbi e il maschile singolare per
nomi ed aggettivi - ogniqualvolta non sia cruciale per l'argomentazione la distinzione fra
radici, temi e parole. Si dirà dunque generalmente che grandezza è derivato da grande per
mezzo di -ezza, e non che grandezza è derivato da grand- per mezzo di -ezz-.
Una regola di formazione di parole non si applica mai indistintamente a tutte le parole di
una lingua e nemmeno a tutti i membri di una categoria sintattica. Uno dei compiti princi-
pali della descrizione della formazione delle parole di una lingua consiste dunque nella
delimitazione del domìnio delle singole regole, cioè dell'insieme di basi alle quali una
determinata regola si applica. Nel caso di regole non produttive, il dominio è chiuso e dun-
que definibile enumerando i singoli membri: nuovi membri possono accedervi tutt'al più
per via di analogie molto locali. Il dominio delle regole produttive invece è aperto e va
dunque definito indicando la o le proprietà che una parola deve presentare per poter fare da
base alla regola in questione. Nel paragrafo seguente, si vedrà che quasi tutte le proprietà di
una parola possono essere rilevanti ai fini della delimitazione del dominio nella formazione
delle parole.
Nella letteratura sul problema delle restrizioni nella formazione delle parole si è soliti di-
stinguere fra restrizioni più o meno arbitrarie che valgono per singole regole e restrizioni
che si applicano universalmente. Fra le proposte avanzate su presunte proprietà universali
delle regole di formazione di parole si possono menzionare le seguenti: tutte le parole com-
plesse avrebbero una struttura interna binaria; la semantica di tutte le parole complesse
regolari sarebbe composizionale, cioè deducibile dal significato della base (o basi, nel caso
di composti) e quello della regola; tutte le regole di formazione di parole opererebbero su
parole (nel senso di lessemi); solo membri delle categorie sintattiche maggiori - nomi,
aggettivi, verbi e avverbi - sarebbero delle basi potenziali; le basi dovrebbero sempre avere
un tratto definizionale omogeneo; le regole di formazione di parole potrebbero solo «ve-
dere» un insieme abbastanza ristretto di proprietà di parole base complesse, per esempio
quelle della testa o quelle introdotte dalla penultima regola; ecc. Lo stato della ricerca su
quest'ultimo tipo di restrizioni, chiamate anche a volte condizioni, è sintetizzato in Rainer
1989a, 37-52 e Scalise 1994, 199-227. Si desume da queste rassegne che, più che di uni-
versali veri e propri, si tratta di tendenze più o meno diffuse la cui esistenza ed articolazione
dovrebbero poter essere spiegate da una teoria completa. Nel contesto del presente manua-
1.2. Premesse teoriche 21
le, che persegue finalità essenzialmente descrittive, sono invece più importanti le restrizioni
limitate a singole regole.
Cominciamo con le restrizioni fonologiche. In linea di principio, tutti gli aspetti - seg-
menti, sillabe e accento - della rappresentazione fonologica possono giocare un ruolo nella
definizione del dominio di una regola di formazione di parole. Le restrizioni fonologiche
sono particolarmente frequenti nella suffissazione. Il suffisso -ità (cfr. 5.1.2.1.2.1.1.), ad
esempio, predilige basi che finiscono in determinate sequenze finali come -ale, -ile, -ivo,
-oso ecc. Queste sequenze finali hanno spesso lo status di morfemi, ma non è una condi-
zione necessaria per l'aggiunta di -ità: rivalità, senilità, passività, meticolosità ecc. In vista
di tali esempi è preferibile parlare di restrizioni fonologiche anziché morfologiche. Mentre
in questo caso la presenza di determinati segmenti nella base favorisce l'aggiunta del suf-
fisso, in altri casi si osserva un condizionamento negativo: il suffisso diminutivo -etto (cfr.
5.1.1.7.5.), ad esempio, non si aggiunge a basi la cui ultima consonante è una [t] : fata —>
*fatetta ecc. Non è probabilmente un caso che condizionamenti negativi di questo tipo
abbiano (quasi) sempre una motivazione eufonica, dissimilatoria. Si noti che c'è anche in
italiano, come in altre lingue, una tendenza abbastanza generale a evitare l'aggiunta di un
suffisso a una base con una sequenza finale omofona: Cristo —• *cristista, Guareschi —•
*guareschesco ecc.
Nel caso di restrizioni morfologiche un affisso dev'essere sensibile alla presenza nella
base di un certo morfema quale morfema, e non solo quale stringa fonologica, come ab-
biamo visto appena nel caso di -ità. Come esempio si potrebbe menzionare la predilezione
di -ia per basi che finiscono in certi secondi elementi di origine greca come -filo, -fobo,
-latra, -mane ecc. Si noti però che anche in questo caso manca la certezza assoluta che
abbiamo a che fare con restrizioni morfologiche, dato che l'italiano non dispone di aggettivi
di altro tipo con sequenze finali del tutto omofone. Tutt'al più si potrebbe addurre un con-
trasto come quello fra umano —> umanità e Xmane —> Xmania.
Le restrizioni sintattiche comprendono restrizioni formulate in termini di categorie
sintattiche come sostantivo, verbo ecc. o di tratti sintattici come 'transitivo' ecc. La straor-
dinaria importanza della categoria sintattica delle basi per la delimitazione del dominio si
manifesta nell'alta frequenza di termini come denominale "derivato da un nome", dever-
bale "derivato da un verbo" o deaggettivale "derivato da un aggettivo", che hanno anche
servito come criterio di classificazione nel presente manuale. Molti affissi, infatti, sono
sensibili alla categoria sintattica delle basi - più i suffissi che i prefissi, è vero - , ed anche i
composti sono generalmente classificati in base alla categoria sintattica delle basi. La perti-
nenza dei tratti sintattici per la delimitazione del dominio delle regole di formazione di
parole è meno evidente, dato che la classificazione di un tratto come sintattico dipende
fortemente dalla teoria grammaticale adottata. Così, il tratto 'transitivo' è certamente im-
portante per la delimitazione del dominio degli aggettivi in -bile (cfr. casa abbattibile vs
*crollabile), ma il tratto stesso è considerato come sintattico da alcuni e come semantico da
altri.
Le restrizioni semantiche ci pongono davanti a un problema simile in quanto presup-
pongono una previa definizione del campo della semantica. Non solo la frontiera fra se-
mantica e sintassi dipende, come abbiamo visto, da scelte teoriche previe, lo stesso vale
anche per quella fra semantica e cognizione: alcuni linguisti considerano come semantica
tutta l'informazione veicolata da una determinata parola, mentre altri distinguono un nucleo
semantico dalla massa delle conoscenze enciclopediche. A seconda della posizione teorica,
22 1. Introduzione
una stessa restrizione potrà dunque essere chiamata semantica o enciclopedica. Un caso
tipico di restrizione «enciclopedica» in questo senso sarebbe quello del suffisso -esco nel
suo senso di similarità (cfr. 5.2.1.1.3.), che ricorre soprattutto con nomi propri i cui refe-
renti umani destano associazioni di stravaganza, comicità ecc.: aristofanesco, arlecchine-
sco, dongiovannesco ecc. Sono dunque le nostre conoscenze sulle persone designate dalla
base che sono pertinenti per la scelta del suffisso. All'altro estremo si trovano affissi che
fanno riferimento a tratti indiscussamente semantici, come quello della graduabilità, che è
rilevante per la delimitazione del dominio di -issimo (cfr. 5.2.3.2.): design italianissimo vs
Ha rivoluzione industrialissima ecc.
Fin qui abbiamo solo dato esempi di restrizioni che fanno riferimento alle basi di una re-
gola di formazione di parole. Ciò vale certamente per la maggioranza dei casi, ma non si
deve dimenticare che le restrizioni possono anche essere definite a volte con riferimento
all'uscita della regola, specialmente le restrizioni semantiche. Così, i derivati nominali in
-ista designano tutti dei ruoli sociali, ma non qualunque tipo di ruolo sociale si può espri-
mere con questo suffisso. Sono ben rappresentati gli artisti, i giuristi, gli scienziati, gli
sportivi, i fautori di determinate concezioni ecc., ma mancano i produttori (cfr. liutista vs
liutaio), i commercianti - con l'eccezione di grossista, di probabile origine tedesca - e
molti altri ruoli sociali. Questo stato di cose si potrebbe descrivere attribuendo al suffisso lo
scarno significato "persona" e corredandolo di una serie di restrizioni che specificassero gli
ambiti sociali in cui è adeguato. Alternativamente, però, si potrebbe anche argomentare che
il suffisso ormai si è scisso in vari suffissi distinti benché semanticamente affini: -ista1
"musicista", -ista2 "sportivo", -ista3 "fautore" ecc. In tal modo, ciò che nel primo approccio
appariva come restrizione semantica o enciclopedica verrebbe integrato direttamente alla
descrizione semantica del suffisso. Non è questo il luogo per decidere quale di queste due
descrizioni sia preferibile. E sufficiente aver messo in risalto l'intima connessione che esi-
ste fra restrizioni semantiche sull'uscita e descrizione semantica delle regole di formazione
di parole.
L'ultimo tipo di restrizioni da considerare, le restrizioni pragmatiche, concerne invece
quasi sempre l'uscita. Esse specificano in quali situazioni è adeguato l'uso di certe regole di
formazione di parole. Alcune sono limitate a certi linguaggi settoriali, altre al gergo, altre
ancora alla lingua scritta ecc. Possono però anche essere molto più specifiche: l'uso del
suffisso diminutivo -ino (cfr. 5.1.1.7.16.1.1.), ad esempio, è particolarmente adatto quando
ci si rivolge a bambini. Le restrizioni pragmatiche sull'entrata si riferiscono al livello stili-
stico delle basi.
Le restrizioni appena elencate non ricorrono normalmente da sole ma in combinazioni a
volte molto complesse. Questa complessità aumenta ancora per il fatto che abbiamo a che
fare in genere con delle preferenze, con tendenze piuttosto che con frontiere nitide.
1.2.5.2. Produttività FR
La nozione di produttività (cfr. Rainer 1993a, 29-34, Plag 1999, Bauer 2001) è intima-
mente legata a quella di restrizione: ogni restrizione infatti riduce il dominio di una regola
di formazione di parole e dunque diminuisce in qualche modo la sua produttività. Ma sa-
rebbe un errore equiparare questi due concetti, essendo le restrizioni solo uno di vari fattori
che influiscono sulla produttività di una regola.
1.2. Premesse teoriche 23
Bisogna innanzitutto chiarire cosa s'intende per produttività, dato che questo termine si
usa in molte accezioni diverse nella letteratura. Nella sua accezione centrale, il termine di
produttività si riferisce alla probabilità con cui s'incontreranno neologismi formati secondo
una determinata regola (cfr. Gaeta / Ricca 2003). Non è questa però l'unica accezione in cui
s'incontra il termine. A volte esso viene definito attraverso il numero di parole usuali for-
mate secondo una determinata regola. Siccome una regola con alta probabilità di attuazione
ha normalmente anche prodotto un gran numero di parole, queste due nozioni coincidono
spesso, ma non sono per niente identiche: l'esistenza anche di un gran numero di parole
complesse di un certo tipo non è una garanzia di produttività sincronica. La nozione di
produttività è a volte anche equiparata al numero di parole possibili formabili secondo una
determinata regola, cioè all'estensione del suo dominio. È per questa definizione che vale la
proporzionalità inversa fra restrizioni e produttività cui abbiamo accennato sopra. Ma il
fatto che ci siano ancora molte caselle vuote da riempire non è una garanzia che i parlanti
facciano effettivamente un uso molto frequente di una determinata regola. In studi diacroni-
ci, infine, la produttività è spesso misurata sulla base del numero di neologismi apparsi in
un determinato lasso di tempo. Questa definizione diacronica è quella che si avvicina di più
alla nostra definizione centrale: un rilevamento della frequenza di neologismi nel periodo
immediatamente precedente lo stato di lingua analizzato è, infatti, uno dei metodi più effi-
caci per accertare la produttività in tale stato di lingua. Nel presente manuale, le datazioni
del DISC e dei dizionari di neologismi sono state a tale scopo di grande aiuto.
Fin qui, abbiamo sempre parlato come se la produttività fosse una proprietà di tutta una
regola. In verità si osserva, però, che la produttività può variare nei vari sottodomini di una
regola. Il dominio di una regola di formazione di parole, infatti, è raramente omogeneo,
cioè delimitabile mediante un unico criterio necessario e sufficiente. Nel caso normale, il
dominio si compone di vari sottodomini più o meno autonomi anche se, magari, apparentati
da somiglianze di famiglia. Ora, in ognuno di questi sottodomini la produttività può essere
diversa. Il dominio può anche essere costituito da uno o vari sottodomini produttivi e un
numero più o meno elevato di formazioni isolate. Tal è il caso, ad esempio, del suffisso -ia,
che è diversamente produttivo nei sottodomini degli aggettivi in -filo, -mane, -latra ecc.,
mentre al di fuori di questi tipi di aggettivi ricorre solo in una ventina di aggettivi senza
denominatore comune (allegria, pazzia, ritrosia ecc.).
La teoria della formazione delle parole si inserisce nel quadro di una teoria
dell'innovazione lessicale. Secondo l'approccio proposto in Blank (1999a, e in stampa)
ogni innovazione lessicale si compone di un processo formale e di un processo semantico-
associativo. Tutte le associazioni risalgono ai tre principi associativi aristotelici della simi-
larità, del contrasto e della contiguità a cui si aggiunge l'identità concettuale come espres-
sione estrema della similarità (cfr. Blank in stampa per dettagli). L'associazione semantica
si impone perché permette al parlante o di sfruttare un rapporto concettuale preesistente o di
24 1. Introduzione
crearne uno convincente. Ambedue le strategie prevalgono su una creazione ex nihilo che
nella prassi lessicologica si rivela quasi inesistente.
Non è questo il luogo per illustrare in maniera estesa l'applicazione della prospettiva co-
gnitiva alla formazione delle parole (cfr. Blank 1998; Koch 1999a, Gévaudan 1999). La
comprensione della formazione delle parole come combinazione di un processo formale e
di una o più associazioni semantiche implica che, in principio, la formazione delle parole e
il cambio semantico condividono le stesse operazioni associative. Il cambio semantico però
lascia intatta la parte formale della parola e si realizza in maniera implicita creando così una
parola polisemica o aumentando una polisemia preesistente, mentre nella formazione delle
parole la differenza tra il concetto base e il concetto da verbalizzare è di solito reso palese
tramite l'affisso o tramite l'associazione di un secondo concetto. Oltre a questa base asso-
ciativa comune si nota che i due processi lessicali mostrano alcuni punti di intersezione
formali e semantici che esploreremo sistematicamente nei paragrafi seguenti.
Di solito la metafora lessicale poggia su un rapporto di somiglianza tra due sfere concettuali
e questo rapporto spesso è convenzionalizzato per tutta la comunità linguistica o per un
gruppo preciso di parlanti. Dal punto di vista formale, il concetto che viene verbalizzato
attraverso il ponte della similarità concettuale può essere realizzato come innovazione se-
mantica (ariete "maschio della pecora" > "macchina da guerra per sfondare porte o mura"),
come formazione (pescecane "squalo") o come locuzione (rimanere con un pugno di mo-
sche in mano "non avere concluso nulla"). Nelle formazioni metaforiche possiamo discer-
nere almeno due tipi diversi: (a) Le metafore integrali, come per es. bocca di leone o lingua
di gatto; queste metafore, pur essendo formalmente complesse, sono basate su una sola
associazione: il fiore è concepito come una bocca di leone, il dolce come una lingua di
gatto, cioè il concetto associato è verbalizzato in maniera complessa e la metafora viene
utilizzata in mancanza di una parola semplice per i concetti in questione (cioè il fiore e il
dolce); (b) Le metafore complesse a doppia associazione, come per es. pescecane, guerra
lampo, braccio di fiume, nave del deserto (cfr. Blank 1998, 19s.): nel caso di pescecane e
guerra lampo abbiamo a che fare con la combinazione dell'allontanamento da una conce-
zione prototipica (SQUALO-PESCE, RAPIDA AGGRESSIONE-GUERRA) con un'associazione
metaforica propria che unisce due ambiti concettuali diversi (SQUALO-CANE, RAPIDA
AGGRESSIONE-LAMPO). Gli esempi braccio di fiume, nave del deserto invece combinano la
r e l a z i o n e d i s i m i l a r i t à m e t a f o r i c a (RAMO LATERALE DI UN FIUME-BRACCIO, CAMMELLO-
NAVE) con una relazione di contiguità tra un oggetto e un suo aspetto tipico (RAMO LATE-
RALE DI UN FIUME-FIUME, CAMMELLO-DESERTO). Alcune formazioni metaforiche possono,
in certe condizioni, essere sottomesse all'assorbimento (ellissi), mentre altre sembrano esclu-
26 1. Introduzione
dere l'assorbimento perfino in un contesto ben preciso: si ammette allora la frase la barca
infila il braccio di sinistra, ma non *nel Mediterraneo i cani sono rari (parlando degli
squali).
Paragonate alle metafore integrali, le metafore complesse di ambedue i tipi hanno il
vantaggio di una certa chiarezza perché introducono o il contesto preciso nel quale funziona
la metafora (fiume, deserto), o addirittura un elemento della sfera di destinazione (pesce,
guerra) che nelle metafore semplici rimane implicito. È però difficile descrivere le regole
esatte per la scelta della metafora complessa. In un primo tempo, questo contesto esplicito
favorisce la comprensione della metafora. Si nota anche che la formazione metaforica si
impone per tutte le metafore dove l'ellissi è esclusa, cioè quando la sfera di partenza e la
sfera di arrivo sono semanticamente troppo vicine l'una all'altra (QUATTROZAMPE-PESCl).
Oltre alla composizione, dove occorrono regolarmente, le metafore si incontrano anche
nella prefissazione e nella suffissazione; in questi casi però si vedono limitate a casi singoli
che richiedono quasi sempre un'interpretazione individuale. Nel caso di ufficiale —> sot-
toufficiale, per esempio, il prefisso esprime una relazione gerarchica in termini di una rela-
zione spaziale. Le parole suffissate metaforiche sono spesso metafore semplici a base di un
senso letterale, come per es. cappuccino "frate appartenente a un ramo dell'ordine fran-
cescano" > "bevanda a base di caffè espresso e latte". Esistono però alcuni casi di parole
alterate che sembrano esprimere direttamente un concetto metaforico rispetto al senso della
parola base con l'aggiunta della nozione di piccolezza, come per es. lat. capitem "testa" >
lat. volgare *capitiolu "prominenza dell'areola mammaria" (it. capezzolo)}
Passiamo ora all'interazione della metonimia e di alcuni tipi di formazione delle parole. La
metonimia richiede un'associazione di contiguità tra due concetti ma, a differenza della
metafora, la metonimia presuppone un rapporto concettuale stabile e lo rende palese tramite
l'innovazione semantica (cfr. Blank 2002). Le diverse associazioni di contiguità si dividono
in rapporti di copresenza dei concetti coinvolti (vendemmia "raccolta dell'uva" > "il pe-
riodo della raccolta") e in rapporti di successione spaziale, temporale o logica dei concetti
(lat. parare "preparare, armare" > it. parare "schivare un colpo"). Questi due «domini di
contiguità» si suddividono in un numero più vasto di rapporti di contiguità che servono di
base concettuale alle metonimie concrete, come per es. ATTIVITÀ-PERIODO nel caso di ven-
demmia e PRESUPPOSTO-ATTIVITÀ nel caso di parare?
Per quanto riguarda la contiguità quale base dell'innovazione metonimica e della forma-
zione delle parole, in questa sede ci interessano soltanto le coppie concettuali che si realiz-
zano con ambedue i processi lessicali o esclusivamente nella formazione delle parole. Co-
me nel caso della metafora, esistono composti che sono interamente metonimici, i cosid-
detti composti esocentrici (cfr. 2.1.2.5.), come per es. pellerossa, caschi-blu: questi compo-
sti descrivono metonimicamente un tratto saliente (il colore della pelle o del casco) che
1
Per i diversi casi «regolari» di lessicalizzazione delle parole alterate attraverso le inferenze prag-
matiche cfr. Dressler / Merlini Barbaresi 1994 e Blank 1998, 1 Iss.
2
Una schematizzazione grafica di tutti i rapporti concettuali dei domini della copresenza e della
successione è stata elaborata in Blank 1999b, 178-182.
1.2. Premesse teoriche 27
Più interessante della composizione è il rapporto tra metonimia e derivazione. Per descri-
vere i rapporti tra parola base e derivato Schwarze 1988 ha sviluppato un'intera sequenza di
modelli concettuali. Nella suffissazione in italiano le relazioni di contiguità costituiscono
soprattutto il «modello delle attività» (Tätigkeitsmodell'), ma contribuiscono anche al «mo-
dello della costituzione dell'oggetto» (Modell der Gegenstandskonstitution) nonché al
«modello dell'avvenimento» (Ereignismodell) e al «modello di causalità» (Verursachungs-
modell) per la formazione degli aggettivi. Siamo in grado di riunire tutte le relazioni perti-
nenti intorno ai due concetti focali dell'ATTIVITÀ/AVVENIMENTO e dell'OGGETTO.
La suffissazione basata sulla contiguità realizza delle relazioni concettuali enciclopedi-
che e ha quindi un'impronta molto marcata.1 Alcune relazioni di contiguità si realizzano
anche sotto forma di prefissazione, come per es. PERIODO-PERIODO PRECEDENTE o
CONSECUTIVO {guerra —> anteguerra / dopoguerra), LUOGHI CONTIGUI (bottega retro-
bottega), RELAZIONE RECIPROCA ( a u t o r e —> coautore) O RELAZIONE GERARCHICA ( v e s c o v o
—» arcivescovo) e altre, ma nell'insieme la situazione è meno chiara che nella suffissazione
e richiederebbe ulteriori analisi.
1
Ad eccezione delle lingue nelle quali la suffissazione è formalmente bloccata (come in parte
accade nel francese) e dove i parlanti preferiscono altri procedimenti (come accade nel tedesco con
la composizione).
28 1. Introduzione
OGGETTO SOSTANZA
COLLETTIVO COLLETTIVA
PORZIONE/
fogliame
CONTENUTO calorifico
cucchiaiata pioppo foglia
bagaglio calore
OGGETTO giornale
cucchiaio bagagliai
atomo trasformatore
consolato
giornalista
chitarrista
chitarra
L'analisi della semantica dei diversi tipi di formazione delle parole e il confronto con il
cambio semantico ci mettono in grado di formulare più chiaramente i criteri secondo cui i
due processi d'innovazione lessicale si distinguono (cfr. tabella 1). Nella prospettiva se-
mantica il criterio essenziale è la presenza o l'assenza di un'associazione semantica altra
che l'identità concettuale. Dalla prospettiva morfologico-sintattica dobbiamo discernere le
categorie «assenza di ogni processo formale», «cambio di categoria sintattica» e i soliti
30 1. Introduzione
altre associa- metafora, assorbimento altri tipi seman- tipi semantici altri tipi se-
zioni (per es. metonimia, lessicale (tipo tici di suffissa- di prefissazio- mantici di
similarità assorbimento ESPRESSO) zione (per es. ne (per es. co- composizione
metaforica, lessicale (tipo trasformatore, autore, preve- (per es.
contiguità MACCHINA) ecc. consolato, ra- dere) pescecane,
concettuale) gazzino) chiusura
lampo)
I composti sono costruzioni complesse che si formano a partire da parole che possono ap-
partenere a categorie lessicali diverse oppure alla stessa categoria. La concatenazione dei
costituenti del composto è da mettere in relazione con le restrizioni di natura sintattica che
vigono tra le categorie lessicali. L'impossibilità di formare parole composte costituite da
N+P, ad esempio, è correlata al fatto che nella frase è la preposizione a precedere il nome;
anche l'impossibilità di formare parole composte concatenando un verbo ed un aggettivo
con l'ordine sia V+A che A+V oppure un aggettivo ed una preposizione con entrambi gli
ordini A+P / P+A dipende dal fatto che l'aggettivo è un modificatore del nome e non del
verbo e le preposizioni si accompagnano ai nomi e non agli aggettivi. La combinazione di
parole appartenenti a due categorie lessicali produce normalmente composti di categoria
nome, tranne nel caso in cui entrambi i costituenti sono degli aggettivi, nel qual caso si
forma un composto aggettivale (cfr. Scalise 1994, 123-125).
I composti si possono classificare, dal punto di vista semantico, in stretti e larghi, endo-
centrici ed esocentrici, coordinativi e subordinativi. I composti stretti sono composti che
hanno subito un amalgama fonologico in conseguenza o del fatto che il significato del
complesso non è più quello convogliato singolarmente dalle parole componenti, come in
quintessenza e gentildonna che derivano rispettivamente da quinta essenza e gentile donna,
oppure come conseguenza della frequenza d'uso come in benarrivato la cui forma origina-
ria è bene arrivato (cfr. Scalise 1994, 125-127). I composti larghi sono quelli nei quali le
parole costituenti mantengono la loro individualità fonologica e semantica, come in pesce-
spada e amministratore delegato. In base alla presenza o all'assenza della testa, cioè in
relazione al fatto che uno dei costituenti abbia la stessa categoria lessicale del composto e
ne possieda anche le stesse proprietà semantiche e sintattiche (funzioni quindi da determi-
natum nel senso di Marchand 19692, 11), si distingue tra composti endocentrici come va-
gone letto e composti esocentrici come senza tetto. Se si prende in considerazione il rap-
porto tra i costituenti si può parlare di composti coordinativi e composti subordinativi.
La definizione di composto come parola complessa formata da (due) parole, pur se può non
essere valida per altre lingue come ad esempio, il greco moderno (Ralli 1992, 151) e il
tedesco (ten Hacken 2000, 351) in cui il primo dei due costituenti del composto non sempre
coincide esattamente con una parola, si adatta abbastanza bene alle costruzioni dell'italiano.
In generale, infatti, gli elementi che appaiono nel composto corrispondono a forme che si
possono chiamare libere, cioè forme che possono stare in una frase come elementi indipen-
denti. L'accostamento di due parole non è però sufficiente a fare del complesso una parola
composta; è infatti necessario che tra i costituenti ci sia: (a) una relazione semantica possi-
bile, (b) che il complesso denoti un concetto unico, (c) che sia un atomo sintattico (Di
Sciullo / Williams 1987), ossia che i due costituenti non possano essere separati e siano
inaccessibili, separatamente, alle regole sintattiche. Atomicità sintattica e denotazione di un
concetto unico sono state accoppiate nella condizione sull'elemento di discorso unico
34 2. Composizione
(«single discourse element condition», ten Hacken 1994, 73) in base alla quale i composti
endocentrici costituiscono un singolo elemento di discorso, proprietà da cui segue che i
costituenti non hanno accesso indipendente al discorso. Questa condizione permette di
distinguere i composti dai sintagmi mentre la caratteristica di essere formati da (due) ele-
menti liberi permette di tracciare una linea di demarcazione tra composti e derivati. La
definizione dei costituenti come parole è rafforzata dal fatto che in italiano i due costituenti
rimangono «parole» anche dal punto di vista fonologico. 1 L'accento, spesso invocato in
altre lingue come criterio per distinguere i composti dai sintagmi, non è pertanto utilizzabile
come test in italiano.
La distinzione tra parole composte e parole derivate non è sempre agevole anche se la defi-
nizione di composto come parola formata da due costituenti liberi e la definizione di deri-
vato come parola complessa costituita da una forma libera e da un affisso, cioè una forma
legata, sembrano suggerire una buona linea di demarcazione tra le due classi di parole com-
plesse. Non è infatti difficile riconoscere nella parola mostra mercato un composto e nella
parola allenatore un derivato. Ma se si prendono in considerazione forme quali controfine-
stra, sopracciglio, sottobicchiere la difficoltà di stabilire se si tratta di composti o di deri-
vati per prefissazione appare chiaramente: il primo costituente di queste formazioni infatti
è, apparentemente, una forma libera, ha cioè la parvenza di una preposizione. A favore
dell'interpretazione di parole di questo tipo come prefissati (cfr. 3.1.2.) si può sostenere che
solo i prefissi si premettono a parole di categoria lessicale differente (contro, sotto e sopra
possono essere prefissati anche a verbi: controfirmare, sottomettere, sopraelevare ecc.),
mentre le preposizioni possono essere associate solamente a nomi. I composti di tipo P+N
possono quindi essere circoscritti alle formazioni esocentriche come senzatetto.
Stabilire quando una sequenza di due parole forma un composto e non un sintagma sembra
relativamente semplice in italiano, almeno nel caso delle formazioni che coinvolgono due
nomi. Due nomi in sequenza, senza che tra di essi vi sia la presenza della congiunzione o di
una preposizione, non possono generalmente costituire un sintagma nominale. Una nuova
coniazione come fiera cavalli,2 ad esempio, si presenta immediatamente come non sintag-
matica. La costruzione possiede infatti tutte le caratteristiche definitorie dei composti: in-
dica una unità semantica ed è una unità dal punto di vista sintattico; la parola testa (fiera) è
in relazione di iperonimia con il complesso e tra fiera e cavalli può essere costruita una
1
Questa proprietà viene dimostrata attraverso i test fonologici seguenti: (a) la mancanza di sonoriz-
zazione di /s/ in posizione intervocalica se la parola è composta (ca[z]a ma spargi[s]ale), (b) il co-
siddetto «sollevamento di vocale» che si manifesta in posizione atona all'interno delle parole deri-
vate ma non nei composti (['tolgo] / [to'XXevo] ma [.tosta'pane]), (c) l'allungamento vocalico che
si mantiene nelle parole composte ma non nelle derivate ([,ka:po'po:polo] ma [ka'pottja]); cfr. Ne-
spor/Vogel 1986, 126ss.
2
L'espressione è stata utilizzata in un servizio del TG 3 regionale del Veneto Γ 8 novembre 2002.
2.1. Composizione con elementi italiani 35
certa varietà di significati che vanno dalla semplice specificazione (fiera dei cavalli) ad una
relazione più ampia (fiera in cui si vendono / si espongono cavalli). Per essere considerata
un sintagma l'espressione dovrebbe essere fiera dei cavalli. Il confine tra composto e co-
struzione sintagmatica appare meno netto quando: (a) la formazione complessa ha la strut-
tura N+N ed è del tipo di trasporto materiali e rimozione auto, (b) si tratta di formazioni
con struttura N + A quali capitale sociale, anima gemella, (c) si tratta di costruzioni nomi-
nali che contengono un nome in funzione di apposizione come candela mangiafumo. I
complessi quali rimozione auto e trasporto materiali differiscono dalle parole composte
tipiche in quanto, pur indicando un concetto unico ed essendo la testa (rimozione, tra-
sporto) un iperonimo del complesso, non sono atomi sintattici (non rispettano cioè intera-
mente la «condizione sull'elemento di discorso unico»); ammettono infatti la modificazione
interna (rimozione rapida auto, trasporto materiali ingombranti) ed anche il riferimento
pronominale al costituente non-testa è talvolta possibile, anche se in costruzioni frasali
sovente peculiari come in: in questa città la rimozione auto¡ avviene regolarmente eccetto
che per quelle, di grandi dimensioni (cfr. Bisetto / Scalise 1999). Queste costruzioni, inol-
tre, non manifestano neppure variabilità semantica nella relazione tra i due costituenti in
ragione del fatto che il nome non-testa rappresenta l'argomento interno del nome testa.
Quest'ultimo è un astratto deverbale e la relazione è tipicamente di specificazione (rimo-
zione delle auto, trasporto dei materiali). Contro l'analisi di tali formazioni quali sintagmi
sta, invece, l'assenza dell'elemento di specificazione o assegnatore di caso.
I nomi, soprattutto quelli che derivano da verbi e vengono definiti nomi d'azione o nominalizzazioni
deverbali, possono essere argomentali, cioè possedere una struttura argomentale (cfr. 5.1.3.1.1.4.)
che, come nel caso dei verbi, consiste in un insieme - costituito anche di un solo elemento - di sin-
tagmi la cui realizzazione è obbligatoria affinché l'espressione che contiene il verbo sia grammaticale.
Un verbo quale distruggere, ad esempio, deve apparire con entrambi i suoi argomenti, pena la mal-
formazione della frase: gli invasori hanno distrutto la città vs *gli invasori hanno distrutto. È questo
il caso anche del nome derivato dal verbo quando sta ad indicare l'attività: la distruzione della città
da parte degli invasori vs *la distruzione da parte degli invasori (Graffi 1994, 59; Castelli 1988,
247-352). Possono però essere argomentali anche nomi non deverbali (Giorgi 1988).
La difficoltà a distinguere tra composti e sintagmi è sicuramente maggiore nel caso delle
formazioni N+A; l'aggettivo manifesta infatti due proprietà sintattiche: l'accordo di genere
(ma anche di numero) con il nome e la posizione post-nominale, fenomeni questi, tipici
delle costruzioni sintagmatiche dell'italiano. Una formazione come, ad esempio, nave spa-
ziale non sembra però poter essere pacificamente considerata un sintagma nominale conte-
nente un aggettivo: il complesso indica infatti un concetto unico, la relazione tra nome e
aggettivo può essere resa in modi diversi, l'aggettivo non ha accesso indipendente al di-
scorso e si tratta di un tipo di nave, anche se non si può parlare di iponimia dell'espressione
complessa rispetto alla parola nave ma piuttosto di estensione del concetto. Stabilire il con-
fine tra composti contenenti un aggettivo e sintagmi diventa particolarmente difficile se gli
aggettivi sono di tipo relazionale (come appunto spaziale in nave spaziale) dato che, in
questo caso, l'atomicità sintattica dell'espressione complessa può anche dipendere dalla
natura dell'aggettivo che, essendo di relazione, non ammette modificazione (*molto spa-
ziale).
36 2. Composizione
I composti devono essere distinti anche dalle polirematiche (eft. 2.1.8.), almeno da quelle
polirematiche che sono formate da due soli elementi. Se si può accettare, con buona con-
vinzione, che le costruzioni a più di due termini del tipo di sacco a pelo e giacca a vento
siano considerate polirematiche, non è altrettanto semplice stabilire quale sia la linea di
demarcazione tra composti nome-nome e nome-aggettivo e polirematiche con la stessa
struttura. Un criterio utile a stabilire se formazioni come amministratore delegato e confe-
renza stampa oppure capitale sociale e anima gemella sono composti o polirematiche si
può costruire sulla base della definizione di composto e di polirematica. Le polirematiche
sono considerate l'esito di processi di lessicalizzazione, quindi hanno un significato non
composizionale, cioè non desumibile dalla somma dei significati delle parole che le com-
pongono; il loro significato pertanto può essere o figurato oppure non iponimo della testa.
Se a tale caratterizzazione delle polirematiche accostiamo le proprietà definitorie dei com-
posti endocentrici possiamo stabilire, con buona approssimazione, quando abbiamo a che
fare con un composto e quando con una polirematica. Quindi, le formazioni che manife-
stano tra il complesso e la sua testa una relazione di iponimia / iperonimia e il cui signifi-
cato è composizionale possono essere definite composti mentre saranno classificabili tra le
polirematiche le formazioni che non manifestano tali proprietà.
Questo criterio è applicabile in misura massima ai composti larghi come nave cisterna
perché le condizioni di definizione sono rispettate entrambe: si tratta di una nave e la rela-
zione semantica con il costituente non-testa può essere esplicitata in più di un modo e dà
sempre un significato composizionale. Quanto alle formazioni che abbiamo chiamato com-
posti stretti (cavolfiore) e a quelle che la frequenza d'uso sta rendendo semanticamente
opache (pescecane), possiamo dire che si tratta di composti perché esiste sempre la rela-
zione di iponimia con la testa e le formazioni hanno, comunque, semantica composizionale.
Di contro, possiamo includere tra le polirematiche complessi quali conferenza stampa e
anima gemella perché in entrambi i casi non si parla di entità iponime della testa: nel primo
caso, infatti si fa riferimento ad una intervista e non ad una conferenza mentre Yanima
gemella non è un'anima.
I composti nominali sono formazioni, abitualmente a due costituenti, la cui struttura può
essere data da N+N (caposquadra), N+A (vino rosso), A+N (gentildonna), P+N (sotto-
scala), V+V (saliscendi), V+N (asciugacapelli), V+AVV (buttafuori). I composti con
struttura N+N, N+A e A+N sono normalmente endocentrici, anche se non si possono esclu-
dere costruzioni N+A esocentriche quali pellerossa e crocerossa. Le strutture P+N, V+V,
V+N e V+AVV formano invece composti esocentrici. Le formazioni N+N sono, tra gli
endocentrici, quelle massimamente produttive; ad esse seguono, a distanza ragguardevole, i
composti con struttura N+A. Le forme con struttura A+N sono considerate non produttive
(Scalise 1994, 124). Tra i composti esocentrici le formazioni produttive sono quasi esclusi-
vamente quelle di tipo V+N.
2.1. Composizione con elementi italiani 37
Sono abbastanza diffusi a tutti i livelli di lingua, ma soprattutto nello scritto dei giornali.
Sono formazioni giustapposte che, seguendo Tollemache 1945, 35-37, possiamo distin-
guere in apposizionali e copulative. 1 Le prime si hanno quando il nome testa è seguito da un
altro nome in funzione di apposizione: edizione pirata (in cui pirata significa "abusiva o
non autorizzata"), viaggio lampo (dove lampo significa "di breve durata"), parola chiave
(dove chiave significa "fondamentale"), auto civetta, discussione fiume, candela mangia-
fumo, calcio balilla, battello mosca ecc. Sono caratterizzate da una interpretazione figurata
o comunque non letterale della non-testa. E questa caratteristica, a mio avviso, che permette
di tracciare il confine tra i coordinati apposizionali, i coordinati copulativi e i composti
N+N subordinati. Sono interpretabili come coordinati perché l'oggetto cui fanno riferi-
mento ha le caratteristiche, pur se in senso figurato, come detto, di entrambi i nomi costi-
tuenti. Nonostante la coordinazione, accolgono il plurale solo sul costituente in prima posi-
zione (viaggi lampo, edizioni pirata ecc.) proprio in ragione dell'interpretazione figurata
del secondo nome. Come, e forse più dei copulativi, ammettono con grande facilità
l'interpretazione subordinata: "una discussione lunga come un fiume", "una candela che
mangia il fumo" ecc.
I coordinati copulativi si hanno quando i due nomi sono legati dalla copula nonostante
essa non sia presente (compravendita). Godono della caratteristica di avere due teste: non si
può infatti affermare la prominenza semantica di uno dei due nomi e considerare l'altro
nome come un modificatore. Possono fare riferimento: (a) a due professioni o ruoli svolti
da una persona (architetto-arredatore, studente-lavoratore, scrittore-regista, linguista-
psicologo, capocronista ecc.), (b) a due strumenti (pulitore-annaffiatore, misuratore-dosa-
tore, filtropressa), (c) ad un locale che riunisce in sé due attività (bar-pasticceria, risto-
rante-pizzeria) oppure indicare (d) due attività che si compiono contemporaneamente
(compravendita), (e) due concezioni politico-filosofiche (marxismo-leninismo), (f) un con-
tenitore che svolge anche un'altra funzione (cassapanca, cassamadia)·, altre volte indicano
(g) un indumento che assomma in sé le caratteristiche di due (calzamaglia) oppure (h) un
miscuglio di due alimenti (lattemiele, caffe(l)latte) o altre sostanze (vetroceramica, cera-
lacca, cartongesso, fluorocarburo, mercurocromo,2 lana-cotone, cremortartaro), (i)
l'insieme di due o più conformazioni nuvolose (cirrostrato, cumulonembo, stratocumulo)
ecc.
La caratteristica principale di questi composti è data dalla possibilità di istituire tra le parole
costituenti una relazione semantica variabile. Talvolta la relazione è di semplice specifica-
zione, come in capostazione che può essere definito come "capo della stazione" e fondo-
40 2. Composizione
valle che significa "fondo della valle"; altre volte la relazione deve invece essere resa attra-
verso una parafrasi che dà conto delle associazioni semantiche possibili, come in pesce-
spada "pesce con il muso allungato in forma di una spada appuntita", giornale-panino "due
quotidiani venduti assieme quasi a formare un panino", treno merci "treno adibito al tra-
sporto di merci" ecc. Possono avere la testa a sinistra (nella maggior parte dei casi) e quindi
seguire l'ordine romanzo tipico oppure a destra ed assomigliare o alle formazioni delle
lingue germaniche oppure a quelle «latine».
1
Le due forme di plurale sono attestate sia nello Zingarelli 2000 che nel DISC.
2.1. Composizione con elementi italiani 41
fioso", si fa riferimento ad un individuo che svolge mansioni di capo ma nel quale la rela-
zione con bastone non è chiara; il capocollo è un insaccato e la relazione tra i due nomi non
è evidente come non lo è in capocielo, che, in alcune chiese, è un baldacchino sospeso
sopra l'altare maggiore.
I nomi che formano il composto subordinato possono venire usati metonimicamente,
come accade, ad esempio, in capostanza e capoufficio nei quali i costituenti non-testa stan-
za e ufficio stanno per 1'"insieme delle persone che lavorano in una stanza e in un ufficio" e
il rapporto metonimico è quindi del tipo "contenitore per il contenuto". Può anche darsi la
situazione opposta, che si verifica ad esempio in vagone letto, la cui interpretazione è "va-
gone che contiene degli scompartimenti attrezzati con dei letti", per cui letto esemplifica il
rapporto "contenuto per il contenitore". La metonimia può riguardare anche la parola testa,
come nelle costruzioni del tipo di ufficio vendite / informazioni nelle quali (come nel caso
precedente), per ufficio si intende la "persona o insieme delle persone che vi lavorano".
Sono costruzioni N+N quelle che si formano dall'unione di un nome di colore in posi-
zione iniziale con un altro nome che funziona da non-testa e che costituisce un termine di
paragone. Sono le formazioni come verde bottiglia / mare, giallo limone, nero fumo, grigio
perla, rosso fuoco la cui parafrasi è: "verde come (è verde) una bottiglia / il mare", "giallo
come (è giallo) un limone" ecc. (cfr. Marchand 19692, 85ss. che analizza le corrispondenti
formazioni dell'inglese come composti aggettivali). Questi composti, che hanno funzione di
apposizione di nomi, sono indeclinabili (un maglione verde mela, tre sciarpe rosso mat-
tone).
Sono composti con testa a sinistra anche le formazioni del tipo di trasporto latte, ripara-
zione gomme, asporto rifiuti, controllo passaporti, raccolta francobolli. Si tratta di forma-
zioni la cui peculiarità è data dal tipo di relazione che vige tra i due costituenti, che è argo-
mentale. Queste formazioni si situano, in modo particolare, al confine tra composti e sin-
tagmi in quanto ammettono la modificazione interna (rivendita tabacchi nazionali, tra-
sporto rapido latte) che non è invece accettabile nelle altre forme composte (*treno veloce
merci). Quando sottoposte ai test (sintattici) utilizzati per verificare l'appartenenza delle
costruzioni complesse ai composti, 1 tuttavia, tali formazioni mostrano un comportamento
che dimostra la indisponibilità sintattica del costituente non-testa che ci permette di collo-
care queste formazioni tra i composti come si può vedere in (1):
(1) a. trasporto latte - Di quale trasporto ti occuperai oggi? *Di quello latte?
- *È latte il trasporto di cui ti occuperai oggi?
b. rivendita tabacchi - *È tabacchi la rivendita di via Cartolerie?
Formazioni di questo tipo si trovano soprattutto in intestazioni e costituiscono spesso un
gergo che potremmo chiamare delle «etichette».
1
Cfr. ten Hacken 1994.
42 2. Composizione
non è valido per le parole complesse con questa struttura in quanto non è decisivo. Anche
alcune costruzioni sintagmatiche, infatti, possono non ammettere la modificazione interna;1
si tratta degli insiemi costituiti da un nome e da un aggettivo di relazione che, come si è già
accennato (cfr. 2.1.), sono unità sintattiche «chiuse» e, come tali, non permettono inser-
zione di materiale (ad es. cellula nervosa / *cellula molto nervosa) come accade anche alle
formazioni composte: scatola cranica / *scatola davvero cranica. Il criterio cui far ricorso
per determinare la natura di composto di una sequenza N+A può però essere individuato in
una caratteristica particolare riguardante il funzionamento degli aggettivi nei composti in
base alla quale essi devono agire da restrittori del nome, non devono funzionare da aggettivi
qualificativi. Una costruzione come sci alpino / nordico, pertanto, può essere collocata tra i
composti in virtù del fatto che l'aggettivo funziona in senso restrittivo. Questa non è però la
sola funzione che l'aggettivo può svolgere; talvolta esso svolge prima una funzione di
espansione del significato del nome e poi una funzione restrittiva. Nel composto scatola
cranica ad esempio, che denota l'insieme delle ossa del cranio, l'aggettivo può essere con-
siderato avere due funzioni: la prima è quella di estendere alle ossa del cranio la denota-
zione scatola mentre la seconda è invece quella di restringere e specificare il significato
esteso del nome (cfr. ten Hacken, 1994, 71). Il criterio definitorio di composto con struttura
nome + aggettivo sembra quindi stare in questa proprietà dell'aggettivo. È questo duplice
comportamento dell'aggettivo a permettere di collocare formazioni quali nave spaziale,
sabbie mobili, cartone animato, giochi olimpici, acqua ragia, terraferma ecc. tra i compo-
sti. Ovviamente, trattandosi di costruzioni con testa a sinistra, l'interpretazione si sviluppa a
partire dal costituente nominale.
Le formazioni come mezza festa, bassorilievo, medio borghese, bassopiano, altoforno
sono composti con testa a destra che si interpretano, invece, da destra a sinistra. La possibi-
lità di classificare le formazioni di questo tipo tra i composti è da mettere in relazione con il
fatto che l'aggettivo, che si trova in posizione prenominale, assume un'accezione partico-
lare; la mezza festa, infatti, non è una "festa a metà" ma significa "festa solo per mezza
giornata", il bassorilievo è un "rilievo (scultoreo) in cui le forme sono «basse» cioè poco
rialzate dal piano di fondo", un piccolo borghese è un "borghese che appartiene alla bor-
ghesia di ceto medio", il bassopiano è un "piano (una pianura) poco elevato sul livello del
mare" e Y altoforno è un "forno particolare che si sviluppa in altezza". Si individua quindi
in queste formazioni sia la funzione speciale di restrizione / espansione che l'aggettivo
svolge all'interno delle forme composte (come in altoforno che significa che il forno è
«alto» dal punto di vista della dimensione, ma «essere alto» non è una proprietà prototipica
dei forni), sia il significato speciale che gli aggettivi in posizione prenominale sovente ma-
nifestano in ragione del fatto che questa è, in italiano, una posizione marcata.
L'aggettivo che si trova in prima posizione può subire un processo di cancellazione di
vocale (socialdemocrazia), come accade al primo costituente delle formazioni N+N.
Le opinioni sulla natura dei complessi N+A con A di relazione non sono concordi, ten Hacken
1994, ad esempio, sostiene che essendo queste delle costruzioni «chiuse» alla sintassi, essendo
cioè delle unità di discorso, debbono considerarsi composti. Per le costruzioni dello stesso tipo del
neogreco si veda Ralli / Stavrou 1998.
2.1. Composizione con elementi italiani 45
1
Rainer suggerisce questa soluzione anche per i composti V+N dello spagnolo in cui il verbo ha
però la forma (ma non il significato) dell'indicativo.
46 2. Composizione
Entrambe le parole sono considerate la riduzione di sintagmi, rispettivamente palla a volo e palla
a canestro. Questa struttura originaria è attribuita anche agli altri composti con palla come palla-
nuoto, pallamano, pallamuro ecc. (cfr. DISC). Nonostante siano femminili come il nome in prima
posizione, non si parla di "palle" bensì di "giochi / attività sportive che si fanno con la palla".
2.1. Composizione con elementi italiani 47
Appartengono alle formazioni coordinate i composti formati da due aggettivi che possono
comparire o nella usuale forma di parola libera come agrodolce, dolceamaro, cecoslovacco,
cristiano sociale, dacoromeno, lacero-contuso, sordomuto, oppure con un riaggiustamento
interno che può consistere: (a) nella cancellazione di vocale, come in imperial-regio e bian-
cazzurro, (b) nel troncamento di suffisso, come in balt(ic)oslavo, organ(ic)ometallico,
dorso(ale)ventrale (in cui appare anche la vocale o di raccordo), ort(icol)ofrutticolo, (c)
nell'aplologia (eroi(co)comico, tragi(co)comico), (d) nella cancellazione di una sequenza,
come in ferrotranviario in cui è stato cancellato viario che corrisponde ad un aggettivo
indipendente. Sono particolarmente produttive le costruzioni formate da due aggettivi di
colore, in particolare nel gergo del gioco del calcio, dove stanno ad indicare i colori solita-
mente caratterizzanti le magliette indossate dai giocatori: bianconero, rossoblu, gialloverde
ecc.
Le forme vengono interpretate come se tra esse vi fosse la congiunzione e e godono della
caratteristica dei composti coordinati di avere due teste, nel senso che l'aggettivo composto
indica le due proprietà in modo congiunto. Nonostante non vi sia alcun tipo di restrizione
che impedisce di invertire l'ordine dei costituenti, queste formazioni hanno, solitamente,
ordine fisso.
Sono possibili, anche se non diffuse, formazioni subordinate con un aggettivo in seconda
posizione e un nome in prima: occhiazzurro / ceruleo / bendato, chiomazzurro che si inter-
pretano da destra a sinistra ("azzurro / ceruleo di occhi", "bendato agli occhi", "azzurro di
chioma"). A dire il vero una interpretazione di direzione opposta - cioè del tipo "con gli
occhi azzurri / cerulei / bendati" ecc. - sembrerebbe maggiormente accettabile, ma in que-
sto caso la mancanza di accordo tra il nome e l'aggettivo giustifica la prima lettura. Fanno
parte di questo gruppo anche le forme, ormai lessicalizzate, come capinera, codimozzo,
pettirosso che sono nomi di uccelli. 2 Sono composte da un avverbio e un aggettivo altre
costruzioni sporadiche: mal / beneducato / odorante / fidato / nato / sano / sicuro ecc. che
sono interessate dalla cancellazione della vocale e di male / bene, diversamente da chiaro-
veggente e sempreverde in cui la cancellazione non opera. Si possono formare composti
aggettivali anche mettendo insieme un nome di colore e un aggettivo come biancovestito,
blucerchiato che vengono quindi ad avere testa a destra.
La distinzione tra avverbio e preposizione nel caso di forme come fuori, dopo ecc. è spesso pro-
blematica perché la sintassi contemporanea tende a considerare queste parole come preposizioni
che possono essere transitive o intransitive. Da qui la possibilità di raggruppare i composti che le
contengono in modo diverso.
2
Per la giustificazione di questa vocale si veda Zamboni 1997 e la bibliografia ivi citata.
48 2. Composizione
Sono composti aggettivali con testa a destra anche vasocostrittore / motore / dilatatore
nei quali le parole costrittore, dilatatore, motore sono da considerare aggettivi. Accolgono
il plurale nel costituente testa e quindi si accordano con il nome cui si accompagnano {me-
dicinali vasocostrittori).
Anche a numerose formazioni V+N come mangiafumo, pigliatutto, lanciamissili, lavate-
sta, levapunti, mangiasoldi, marcapiano, parafiamma viene attribuita (ad esempio nel
DISC) la categoria aggettivo. E dall'uso aggettivale che tali formazioni acquisiscono il
genere, in quanto ad essi viene attribuito il genere del nome che accompagnano; è quanto
accade ad esempio al composto mangiafumo al quale, oltre a venire assegnata la categoria
aggettivo in ragione del fatto che è stato utilizzato sin dalla sua coniazione come una appo-
sizione del nome candela, viene attribuito genere femminile (una mangiafumo) che è il
genere del nome candela. Talvolta questi aggettivi di struttura V+N ammettono anche la
graduabilità (dalla Torre Eiffel c'è la vista più mozzafiato di tutta Parigi).
Sono considerate aggettivi (nello Zingarelli e nel GRADIT) oppure locuzioni aggettivali
(nel DISC ma anche nel Devoto-Oli), le costruzioni del tipo di aria-aria, terra-aria, acqua-
terra che vengono utilizzate insieme al nome missile. Si tratta, come è evidente, di costru-
zioni esocentriche perché né aria né terra né acqua sono la testa delle costruzioni; questi
nomi stanno ad indicare il punto di partenza e di destinazione di un missile (un missile
terra-aria, ad esempio, è un "missile che viene lanciato da una postazione a terra per colpire
un bersaglio aereo"). A dire il vero è piuttosto difficile attribuire una categoria lessicale a
queste formazioni poiché, pur essendo utilizzate come aggettivi, di questi non manifestano
le proprietà caratteristiche. Sarebbe quindi forse più opportuno considerarle come costru-
zioni nominali che fungono da apposizioni del nome missile. In questo caso, quindi, do-
vrebbero essere collocati tra i composti N+N esocentrici. La loro collocazione tra le forme
aggettivali si giustifica con la categoria che viene ad essi attribuita dai dizionari. La possi-
bilità di costruire formazioni come aria-sott'acqua, date da un nome e da un sintagma pre-
posizionale, sembra inoltre metterne in discussione la natura di composti a favore di
un'analisi quali polirematiche.
Non sono più produttive costruzioni esocentriche quali nullafacente e nullatenente la cui
struttura è pronome indefinito+V (participio presente) e che sono sia nomi che aggettivi, e
non sono produttive nemmeno formazioni come destro / sinistrógiro. Poiché giro viene
analizzato come un tema verbale, le formazioni, cui si attribuisce categoria aggettivo, sono
N+V (cfr. DISC). È classificato come aggettivo anche millerighe la cui struttura è NUM+N
in quanto utilizzato come modificatore di un nome (coperta millerighe) ma che è anche un
nome, quando indica un tipo particolare di maccherone. Sono formazioni esocentriche an-
che altisonante / tonante la cui struttura è AVV+V (participio presente) e sono utilizzati sia
come nomi che in funzione di aggettivi le formazioni esocentriche di struttura P+N doposcì,
doposole, dopobarba, dopoteatro, rasoterra.
sino non significa "atesino alto" ma "dell'Alta vai d'Adige". Lo stesso vale per le altre
formazioni: centroafricano si riferisce al "centro Africa", estremo e medio orientale signi-
ficano rispettivamente "dell'estremo e medio Oriente", medio palatale fa riferimento al
"palato medio" e infine nazionalcomunista e liberalsocialista fanno riferimento al "nazio-
nalcomunismo" e al "liberalsocialismo" rispettivamente. Questi composti, pertanto, pur
essendo formati da due aggettivi non possono, come quelli del tipo agrodolce, essere con-
siderati composti di coordinazione ma piuttosto come formazioni con testa a destra.
I numerali cardinali, che nella tradizione grammaticale sono considerati aggettivi, sono
trattati dalla sintassi teorica moderna come quantificatori. Questi quantificatori formano
composti cui spetta una menzione particolare in virtù di alcune caratteristiche che non coin-
volgono tutte le formazioni ma suggeriscono, al contrario, raggruppamenti distinti.1 Una
particolarità dei composti numerali è di non essere formati da due soli costituenti come la
maggior parte dei composti italiani. Accanto a formazioni quali ventisei, trentacinque,
ottantanove, ci sono infatti formazioni quali centoventisei, millequattrocentodieci, cin-
quantottomilaseicentoquarantadue il cui numero dei costituenti, come si vede, varia da tre
a sette. I composti con il più alto numero di quantificatori coinvolti (nove) sono quelli che
vanno da duecentoventunomiladuecentoventuno a novecentonovantanovemilanove-cento-
novantanove, con l'esclusione dei numeri intermedi che non contengono il numerale per le
unità, come duecentoventunomiladuecentotrenta / quaranta ecc.
Anche i composti numerali che contengono la parola milione possono essere formati da
un notevole numero di termini, ma si differenziano dai precedenti per il fatto che milione è
un nome e quindi il composto è di tipo NUM+N (cfr. 2.1.2.3.). Tollemache 1945, 235 so-
stiene che nei numerali del tipo di duecento, il costituente non-testa precede la testa:2 due-
cento è quindi una «varietà» di cento. Questa osservazione non vale però per tutte le forma-
zioni perché nel composto numerale settantasei, ad esempio, sei determina un tipo partico-
lare di settanta, e quindi è la parola in seconda posizione a funzionare come non-testa. Lo
stesso vale, ad esempio, per milleotto, millequindici ecc. Questo significa, dunque, che nei
composti numerali la testa è talvolta il quantificatore di destra e talvolta il quantificatore di
sinistra.
Vien fatto di chiedersi, però, se ha ragion d'essere stabilire quale è il costituente testa di
un composto di questa classe. In venticinquemilaseicentoquarantuno il costituente testa
dovrebbe essere il quantificatore mila in quanto seicentoquarantuno è un modificatore di
venticinquemila e, in base a quanto si è detto finora, venticinquemila verrebbe interpretato
Due raggruppamenti distinti per i numerali sono proposti anche da Tollemache 1945, 71 che com-
pie una separazione tra numerali giustapposti e composti numerali.
2
A dire il vero Tollemache parla di determinante che precede il determinato. Il parallelo è quindi:
determinato = testa, determinante = non-testa.
50 2. Composizione
Anche i numerali ordinali possono dar origine a formazioni composte quando appartengono
alla serie dotta (cfr. Tollemache 1945, 73), nel senso che la formazione dell'ordinale av-
viene attraverso la scomposizione del numero composto e la sua successiva ricomposizione.
Ad esempio, l'ordinale di ventitré è vigésimo terzo, in cui vigésimo è una forma dotta, ma
può essere anche ventesimo terzo. Le forme ordinali non dotte, come ad esempio ventitree-
simo, appartengono alla derivazione da composto (cfr. 2.1.7.).
1
Cfr. Tollemache 1945, 241, Giurescu 1975, 92.
2
Giurescu 1975 sostiene che formazioni del tipo di oltrepassare hanno la struttura Preposizione +
Verbo e sono veri e propri composti.
2.1. Composizione con elementi italiani 51
Sono forme arcaiche e obsolete i composti, assai pochi in realtà, formati da due verbi, il
primo dei quali non presenta la desinenza -re dell'infinito (che corrisponde alla forma di
citazione del verbo italiano): passa(re)vogare e salta(re)beccare.
Sono invece attuali le costruzioni con ordine testa / non-testa che possono avere la strut-
tura verbo+nome (prendere parte, aver torto, aprire bottega), verbo+avverbio (andare su /
giù, stare su, buttar via, averne abbastanza) o aggettivo in uso avverbiale (andare forte,
mangiare veloce), oppure verbo+preposizione (mettere su, avere su1).
Queste formazioni vengono considerate locuzioni verbali, 2 non composti in senso stretto,
poiché tra le due parole è possibile inserire del materiale lessicale, anche se la possibilità di
allontanare i due costituenti è piuttosto limitata. Non è possibile, ad esempio, inserire in
posizione intermedia il sintagma nominale complemento oggetto del verbo: *buttare
l'acqua via, *mangiare la pasta veloce, *mettere il caffè su, *avere il cappotto su sono
costruzioni mal formate che devono essere sostituite dalle più corrette forme buttare via
l'acqua, mangiare veloce la pasta, mettere su il caffè e avere su il cappotto. I due elementi
della costruzione ammettono invece, abbastanza facilmente, di essere separati da un avver-
bio: aprire raramente bottega, (non) andare mai forte, ?metter spesso su l'acqua. Ritengo
che le formazioni di questo tipo, che potrebbero anche essere considerate polirematiche,
siano da considerare composti quando esprimono un concetto ben preciso dato dalla somma
dei significati delle parti componenti, quando cioè si realizza la relazione di iponimia della
costruzione con la testa: mettere su è un mettere, mangiare veloce è un mangiare, buttar via
è un buttare.
Non sono pochi gli avverbi formati a partire dalla combinazione di più parole, tuttavia non
tutti rientrano nella visione prototipica di un composto. In vari casi, in effetti, l'input appare
costituito non tanto da due morfemi lessicali, quanto da un vero e proprio sintagma che
conserva al suo interno le parole grammaticali (articoli, preposizioni, determinanti, con-
giunzioni) e i fatti di sandhi (raddoppiamento sintattico, elisioni ecc.); per questi casi (si
pensi a forme come allora, almeno, altrettanto, tuttora, pressappoco ecc.) sembra più op-
portuno fare ricorso al termine di univerbazione. I due fenomeni saranno trattati in due
paragrafi distinti, anche se casi di confine sono evidentemente presenti.
L'unico schema di composizione che appare produttivo per gli avverbi è quello P+N, dove
con Ρ si intende la sottoclasse delle cosiddette «preposizioni improprie», dal contenuto
semantico più lessicale e spesso utilizzabili anche in funzione avverbiale. Il DISC segnala
complessivamente una settantina di termini, formati a partire da nove preposizioni, alcune
zia(d)dio). Molto più numerosi sono invece i rappresentanti tra gli avverbi di tempo e di
luogo, e rilevante l'apporto di focalizzatori e avverbi di grado / quantità (tutte classi in cui,
come si vedrà in 5.4.1.1., gli avverbi in -mente sono presenti ma relativamente minoritari).
Un ruolo assolutamente centrale le univerbazioni lo assumono poi nell'ambito dei connet-
tivi testuali: una sottoclasse al limite tra le due categorie tradizionali delle congiunzioni e
degli avverbi, quindi, se si vuole, anche al limite tra lessico e grammatica. A conferma e
illustrazione di quanto detto, diamo una lista di univerbazioni che compaiono nel lemmario
del DISC (non esaustiva, anzi limitata a termini di uso decisamente corrente) suddivisa
secondo le principali funzioni sopra menzionate: (a) focalizzatori: addirittura, almeno,
appunto, davvero, finanche, neanche, nemmeno, neppure, perfino, perlappunto, quanto-
meno; (b) avverbi di luogo: accanto, addentro, addosso, altrove, appresso, attorno, dab-
basso, daccanto, dappertutto, dappresso, dattorno, didietro, dirimpetto, incontro, indentro,
indietro, indosso, intorno, laggiù, lassù, quaggiù, quassù; (c) avverbi di tempo: allora,
appena, dapprima, dapprincipio, finora, giammai, ierlaltro, ognora, pocanzi, sinora, sta-
mattina, stanotte, stasera, stavolta, talora, talvolta, tuttora; (d) avverbi di grado / quantità:
abbastanza, affatto, alquanto, altrettanto, piuttosto, pressappoco, pressoché, suppergiù; (e)
connettivi testuali: casomai, difatti, dopodiché, ebbene, eppure, frattanto, infatti, infine,
inoltre, insomma, intanto, invece, invero, nondimeno, orbene, peraltro, perlomeno, per-
tanto, tantomeno, tuttavia, tuttalpiù.
La derivazione dalle parole composte si realizza attraverso gli stessi processi che si appli-
cano nella derivazione dalle parole non composte, ossia utilizzando gli stessi affissi e ri-
spettando lo stesso tipo di selezione categoriale. Ma le parole composte e derivate non sono
molte nella nostra lingua. Che la derivazione si applichi ai composti con qualche difficoltà
era stato osservato, per il francese, già da Darmesteter 18942, anche se Thomas 1897, 50ss.,
che ne riporta l'affermazione e gli esempi, elenca una serie di formazioni che «aumentano
apprezzabilmente» il numero delle formazioni elencate da Darmesteter. A più di cento anni
da queste osservazioni dei grammatici francesi, si può senz'altro notare che la situazione
non è cambiata di molto: i derivati da parola composta ci sono ma non sono così numerosi
come i derivati da parola semplice o (già) derivata. La ragione di ciò può essere attribuita
alle caratteristiche delle parole composte (cfr. Scalise 1983, 217ss.; 1994, 237ss.), cioè al
fatto che, come si è visto in 2.1., i composti possono essere stretti e larghi. I composti stret-
ti, lo ricordiamo per comodità, sono quelli formati da parole che la frequenza d'uso e/o la
lessicalizzazione hanno reso pressoché inseparabili sia dal punto di vista fonologico (nel
senso che si è verificato un amalgama tra le parole componenti) sia dal punto di vista se-
mantico (nel senso che il significato del complesso non è più composizionale), come in
cavolfiore, pomodoro, falegname ecc. I composti larghi, invece, sono quelli nei quali le
parole componenti mantengono la loro individualità fonologica e semantica in modo evi-
dente, come ad esempio in trasporto merci, trasmissione radio, fondo assistenza ecc. Que-
sta differenza tra i composti fa sì che i composti stretti (e quindi anche i lessicalizzati) ma
non i composti larghi, possano essere assoggettati ad un processo derivativo. I composti
stretti e lessicalizzati infatti vengono percepiti quali parole semplici e vengono, di conse-
54 2. Composizione
guenza, trattati come queste ultime. Non è difficile quindi costruire una derivazione: pomo-
dorino, falegnameria, crocerossina, avanguardista. Per i composti larghi, invece, questa
possibilità non si verificherebbe perché la testa del composto (che, come sappiamo è la
parola in posizione iniziale) si viene a trovare troppo lontana dal suffisso derivativo (cfr.
Scalise 1994, 239).
Credo che queste osservazioni, pur valide nell'insieme, vadano un po' corrette in base ad
altre considerazioni. Pur essendo infatti vero che composti quali assicurazione auto non
sono in grado di accettare un affisso derivativo che possa essere interpretato come avente
portata sul complesso, non credo sia solamente il fatto che la testa del composto verrebbe a
trovarsi lontana dal suffisso a determinare l'impossibilità della derivazione. Ritengo che in
casi come questo abbiano una notevole influenza due fattori legati alla semantica: il primo
si riferisce alla relazione che si instaura tra i costituenti che è una relazione variabile che, lo
sappiamo, lega i due termini ma che, in realtà, li allontana perché li tiene semanticamente
ben distinti. Il secondo fattore ha a che fare con la semantica del complesso e quella appor-
tata dal possibile affisso derivativo, come si può verificare con assicurazione auto. Questo
composto ha un significato che può essere reso come "assicurazione contro i danni che può
subire l'auto(mobile)": le due nozioni di assicurazione e di auto sono ben distinte anche se
legate da una relazione semantica che le mette insieme; di conseguenza un processo di
derivazione applicato necessariamente su uno solo dei due costituenti avrebbe influenza
solo sul costituente interessato, indipendentemente dalla distanza dell'affisso dalla testa. È
ciò che accade: riassicurazione auto e coassicurazione auto sono composti non corretti
dell'italiano perché non veicolano il significato dato dalla struttura richiesta dalla affissa-
zione del complesso, non sono cioè interpretabili come [ri-/co-[assicurazione auto]] in
quanto riassicurazione e coassicurazione non fanno riferimento alla assicurazione
(dell'auto) effettuata da un privato cittadino (o da una ditta, un ente ecc.) ma indicano delle
"sovra-assicurazioni" nel senso che è l'assicuratore che si co-assicura con altre compagnie
(e di solito non per i rischi che può correre un'automobile) e si ri-assicura per la copertura
dei rischi derivanti dalla propria attività. Questi significati delle parole prefissate non sono
associabili al secondo costituente (auto) con lo stesso tipo di relazione e di conseguenza,
pur non essendo gli affissi derivativi lontani dalla testa del composto, la derivazione non ha
successo. Mi sembra dunque che si possa affermare che ad impedire la derivazione da un
composto largo sono ragioni di tipo semantico che si estendono a tutta la derivazione da
composto. Anche i composti lessicalizzati e stretti (in una accezione di «stretto» un po'
meno restrittiva di quella riportata qui sopra) sottostanno alla derivazione compatibilmente
con il loro significato e con il significato apportato dagli affissi; a dopolavoro, che è un
composto nominale esocentrico e lessicalizzato ed indica un "ente che organizza attività
culturali e ricreative per il periodo dopo il lavoro dei lavoratori" può essere aggiunto sia il
suffisso -ista che -istico: dopolavorista è la "persona iscritta al dopolavoro" mentre dopola-
voristico è un aggettivo che significa "proprio del dopolavoro o dei dopolavoristi". Ma un
composto simile, come dopocena, che indica il "periodo di tempo che segue il pasto serale,
cioè dopo la cena", in virtù del fatto di non indicare anche "un ente che ...", quindi di non
avere denotazione simile a quella di dopolavoro, non piò costituire base di una derivazione.
Sulla base di queste restrizioni è quindi possibile formare derivati da composti di cui
diamo qualche esempio qui di seguito.
Il tipo dabbenaggine, quintessenziare, dirimpettaio ecc. ha la particolarità di essere co-
struito su composti lessicalizzati, indipendentemente dal tipo di affisso e quindi di categoria
2.1. Composizione con elementi italiani 55
lessicale della parola derivata. Fanno parte di questo gruppo anche capitombolare, terrama-
ricolo, guerrafondaio, alfabetizzare, pressapochismo, battibeccare, palafitticolo, dappo-
caggine, malaccortezza, malagevolezza.
Il tipo autoveicolista è relativamente produttivo. Il suffisso -ista forma nomi indicanti
"colui che svolge una attività" prendendo a base parole composte (sia con elementi italiani
(cfr. 5.1.1.1.6.) che con i cosiddetti elementi formativi (cfr. 2.2.)) il cui significato si presta
a questo, è cioè possibile ipotizzare che una persona compia una attività utilizzando
l'oggetto indicato dal composto: Y autoveicolista è colui che guida l'autoveicolo. Apparten-
gono alla serie: avanguardista, benestarista, centometrista, centrocampista, deltaplanista,
doppiogiochista, elettroterapista, fibrocementista, ipnoterapista, liberoscambista, acqua-
colturista, agopunturista, agroalimentarista, aliscafista, indoeuropeista, autocisternista,
autogruista ecc. Come si può notare, i composti di base possono essere endocentrici (come
liberoscambio, acquacoltura, autoveicolo ecc.) oppure esocentrici (come benestare, cento-
metri, deltaplano) ma il derivato indica in ogni caso l'autore di una attività che è in relazio-
ne con il nome composto. Nel caso di formazioni come elettroterapista, ipnoterapista,
autogruista, agroalimentarista, liberoscambista ci si può chiedere se si tratta veramente di
derivati da composti oppure se le formazioni potrebbero essere analizzate come composte
da un primo elemento seguito da un derivato, cioè se non si tratti piuttosto di libero-
scambista, agro-alimentarista ecc. Ancora una volta è la semantica a fornire aiuto: elettro-,
ipno-, auto, agro-, libero sono costituenti che fanno riferimento ai (hanno cioè portata sui)
nomi non derivati: il liberoscambista non è uno "scambista libero" ma una persona favore-
vole al "liberoscambio".
E possibile anche la derivazione verbale da composto: aeroso lizzare, chiaroscurare,
controsoffittare, paracadutare, telegrafare, rendicontare, vivisezionare ecc. (cfr. 5.3.1.1. e
7.4.1.) Una menzione particolare meritano, a mio avviso, le poche forme derivate da com-
posto V+N; oltre al già visto paracadutare, ci sono paracadutista!ismo e guardarobiere.
Guardarobiere è possibile, dal punto di vista semantico, perché la base guardaroba indica
un "luogo" e il suffisso aggiunge al composto un significato di agentività: guardarobiere è
la persona che si occupa del guardaroba. Quanto alle formazioni con paracadute, la prima
di esse, in ordine di tempo (cfr. DISC) è paracadutista: anche in questo caso il derivato si è
potuto formare perché la base paracadute indica uno strumento e il valore agentivo viene
introdotto dal suffisso -ista. Le altre derivazioni, paracadutare e paracadutismo, come pure
paracadutistico, sono state rese possibili da paracadutista: all'agente (paracadutista) è
seguita l'attività (paracadutismo), l'azione (paracadutare) e infine anche l'aggettivo (che è
semanticamente legato a paracadutismo).
Costituiscono derivazioni da composto anche le forme quali ventitreesimo, duecentoun-
dicesimo, novantaduesimo ecc., cioè i derivati formati da un numerale cardinale attraverso
l'aggiunta del suffisso -esimo (cfr. 5.5.).
Concludendo, si può affermare che nella derivazione dalle parole composte svolge un
ruolo non indifferente la semantica. Più il significato dei composti è oscurato, maggiore è la
possibilità di costruire dei derivati; ciò non esclude però che si possano formare dei derivati
anche da composti la cui composizione semantica è chiara, purché ci sia compatibilità tra il
significato del composto e quello apportato dall'affisso di derivazione.
56 2. Composizione
2.1.8. Polirematiche MV
In questo capitolo ci occuperemo delle combinazioni di parole che sono sentite dai parlanti
nativi come un'unica unità lessicale, senza per questo presentare le proprietà morfologiche
tipiche delle parole. Si tratta di sequenze che non superano di norma l'estensione di un
sintagma e che presentano una coesione interna maggiore di quella prevedibile sulla base
della loro struttura sintattica. Alcuni esempi sono i seguenti: luna di miele, ordine del gior-
no, macchina da scrivere, acqua e sapone, rendersi conto, dare retta. Si tratta di for-
mazioni, molto varie per composizione interna e per comportamento morfosintattico, che
vanno da un massimo ad un minimo di agglutinazione. In questo capitolo descriveremo
questo meccanismo di formazione di unità lessicali evidenziando i punti di contatto e i
punti di divergenza con la composizione e il processo di univerbazione.
Non esiste in italiano un termine correntemente accettato per indicare queste formazioni.
Mi pare che tre siano i termini più usati, a seconda dei contesti. In ambito lessicografico
(LIP, DISC, GRADIT) si trova il termine (unità) polirematica, che indica una sequenza di
parole dal significato unitario; in morfologia (Scalise 1994) troviamo il termine composto
sintagmatico, in cui si accentua, pur sottolineandone differenze, la somiglianza tra alcune di
queste formazioni e i composti; infine, si trovano i termini lessema complesso (Voghera
1994, De Mauro / Voghera 1996) o unità lessicale superiore (Dardano 1978)1 con i quali
viene messo in rilievo l'unitarietà lessico-semantica di queste formazioni, il fatto cioè che si
tratta di formazioni che sono percepite, e in parte si comportano, come un unico lessema. 2
Ognuno di questi termini mette in luce un aspetto importante di queste formazioni. In que-
sto capitolo useremo, seguendo la prassi lessicografica recente, il termine polirematica.
Dardano 1978, 175-194 assimila tuttavia la maggior parte delle polirematiche ai composti veri e
propri.
2
Esistono anche altri termini che possono entrare in concorrenza con quelli qui citati, in particolare
i termini collocazione, cliché e idiom; per una discussione terminologica si vedano Casadei 1996 e
De Mauro / Voghera 1996.
3
Un caso un po' a sé è rappresentato dalle polirematiche pronominali (cfr. 2.1.8.3.2.), per molte
delle quali si può parlare di univerbazione.
2.1. Composizione con elementi italiani 57
kema 1996). Considereremo quindi separatamente gli aspetti morfosintattici, gli aspetti
semantici e l'uso: la combinazione di questi tre tipi di criteri permetterà di descrivere le
diversità tra i vari tipi di polirematiche.
2.1.8.2.1. Morfosintassi MV
Le polirematiche si trovano in un'area dai confini sfumati che possiamo idealmente collo-
care tra la formazione delle parole e la sintassi. Se immaginiamo una scala che va dalla
parola monomorfematica alla frase, cioè dalla minima alla massima mobilità degli elementi
costituenti, queste combinazioni di parole si trovano in una posizione intermedia tra i com-
posti e i sintagmi liberi: parola > parola con affissi > parola incorporante > composto >
polirematica > sintagma > frase. La loro posizione è determinata dal fatto che possono
condividere alcune delle proprietà dei composti, mentre altre si avvicinano per il loro com-
portamento morfosintattico ai sintagmi. Non è raro, del resto, che alcune polirematiche in
fasi diacroniche successive possano dare esito a composti veri e propri o a univerbazioni
(cfr. 2.1.8.3.2.). Le polirematiche non sono infatti un insieme omogeneo, ma un insieme di
formazioni diverse per la loro composizione interna e per il grado di libertà di movimento
manifestato dai loro elementi costitituenti. Ciò dipende da vari motivi.
Innanzi tutto, le polirematiche possono appartenere a categorie diverse. In Voghera 1994
si è mostrato che nel LIP non esistono restrizioni categoriali per la formazione delle poli-
rematiche. Si hanno quindi polirematiche nominali (luna di miele, carta carbone), verbali
(stare fresco, fare il punto), aggettivali (acqua e sapone, alla buona), avverbiali (così così,
a suo tempo), preposizionali (riguardo a, afronte di), congiunzionali (nella misura in cui),
interiettive (mamma mia, alla faccia!, apriti cielo), pronominali (che cosa). Esistono tutta-
via differenze nella numerosità delle diverse categorie, come si può vedere dalle percentuali
riportate qui di seguito: nominali 39,4%, verbali 14,3%, avverbiali 14%, aggettivali 4,2%,
congiunzionali 2,3%, preposizionali 2,2%, interiettive 2,5%, pronominali 0,07%.
Qualche precisazione richiede la categoria interiezione. E noto che si tratta di una cate-
goria funzionale e non morfosintattica: a rigor di logica qualsiasi elemento può essere usato
interiettivamente, cioè può comparire come elemento non integrato in unità di rango mag-
giore. Tuttavia le polirematiche interiettive mostrano delle proprietà semantiche rilevanti
anche sul piano morfosintattico, che giustificano il loro riconoscimento come categoria
separata, come vedremo in 2.1.8.2.2.
Anche nel GRADIT, il repertorio lessicografico italiano più ampio per le polirematiche 1 ,
troviamo tutte le categorie. Il GRADIT registra a lemma 63.000 polirematiche, di cui l'84%
nominali, il 7% verbali, il 3% aggettivali, il 4,5% avverbiali, lo 0,7% preposizionali e con-
giunzionali, lo 0,3% interiettive e lo 0,04% pronominali. Colpisce qui la straordinaria nu-
merosità delle polirematiche nominali rispetto a tutte le altre. Le differenze tra LIP e GRA-
DIT dipendono in primo luogo dal fatto che il corpus del LIP è costituito da testi parlati per
un totale di 500.000 occorrenze e che, quindi, registra solo le polirematiche di più alta fre-
quenza. In secondo luogo, nel GRADIT si è dato ampio spazio alle polirematiche di tipo
Ho qui considerato per comodità di consultazione solo le polirematiche che il GRADIT porta a
lemma; in realtà ben altre 67.000 sono riportate all'interno delle voci.
58 2. Composizione
1
Sul ruolo delle polirematiche nella costituzione del lessico settoriale delle diverse discipline, si
ir^z-io n a i nnii a ι η
2.1. Composizione con elementi italiani 59
2.1.8.2.2. Semantica MV
La principale caratteristica semantica delle polirematiche è che esse non presentano una
lettura composizionale del significato pur non presentando strutture anomale o materiale
lessicale desueto. Nelle polirematiche registrate nel LIP, è rara per esempio la presenza di
parole non più trasparenti (cfr. cilecca in fare cilecca, otta in a bell'otta "proprio al mo-
mento giusto", retta in dare retta ecc.). Anche tra le polirematiche registrate dal GRADIT
solo Γ 1,3% è classificato come obsoleto, letterario e di basso uso. Ciò che è tipico è caso-
60 2. Composizione
mai una certa opacità o non calcolabilità del significato di queste formazioni.1 La maggior
parte delle polirematiche ammette infatti una lettura solo non composizionale del proprio
significato (150 ore, anno luce, colonna sonora, luna di miele, punto di vista, fare acqua,
mettere a punto), la quale è perlopiù ricostruibile solo etimologicamente. La lettura non
composizionale delle polirematiche non dipende quindi dall'opacità semantica dei costi-
tuenti, ma dal fatto che esse hanno almeno una delle caratteristiche seguenti (De Mauro /
Voghera 1996): (a) un significato figurato, prevalentemente anche se non esclusivamente
metaforico, per esempio scala mobile (come meccanismo di adeguamento dei salari), ca-
vallo di battaglia, dare spago-, (b) un significato non iponimo della testa: la colonna sonora
non è una colonna, il dare retta non è un dare\ (c) un significato settoriale: amministratore
delegato, andare a registro·, (d) un significato formulare che usiamo attribuire più in gene-
rale alla fissità delle situazioni d'uso: per favore, porca miseria. Com'è ovvio questi proce-
dimenti possono combinarsi tra loro e non è sempre facile capire qual è stato il fattore se-
mantico che ha maggiormente determinato la lessicalizzazione di queste sequenze.
Se non è facile indicare a priori i fattori semantici determinanti per ciascuna formazione,
è però possibile, a posteriori, individuare un rapporto costante tra grado di coesione, opacità
semantica della polirematica e tipo di significato. Analizzando in dettaglio le polirematiche
del LIP (Voghera 1994), si nota che il grado di coesione interna rispecchia alcune diffe-
renze nel rapporto tra significato e significante nelle diverse combinazioni, in gran parte
legate al diverso tipo di significati espressi. Almeno in prima battuta si può individuare una
tripartizione che corrisponde grosso modo alla presenza di polirematiche con significato
(prevalentemente) pragmatico, significato (prevalentemente) testuale / grammaticale, signi-
ficato (prevalentemente) lessicale. Appartengono al primo tipo espressioni cristallizzate
formulari come le seguenti: per favore, grazie mille, tante {buone) cose, apriti cielo, mam-
ma mia. Si tratta perlopiù di polirematiche, spesso trasparenti dal punto di vista com-
posizionale (Pitt / Katz 2000), dalla struttura interna molto varia che funzionano come indi-
catori di atti linguistici. L'uso di per favore nell'enunciato un caffè per favore segnala per
esempio una richiesta da parte del parlante anche in assenza di altre marche più esplicite.
L'espressione per favore ha un valore pragmatico che non è deducibile dalla sua composi-
zione sintagmatica. Queste polirematiche si identificano dunque per la loro forza pragma-
tica che finisce col coincidere in sostanza con il loro significato.
Un secondo gruppo di polirematiche è quello che esprime significati prevalentemente te-
stuali e/o grammaticali. Si tratta dunque di polirematiche il cui significato è di tipo relazio-
nale e può essere definito solo internamente al testo. Hanno significati prevalentemente
grammaticali le polirematiche pronominali, congiunzionali e preposizionali. Dal punto di
vista composizionale esse presentano una forte agglutinazione dei membri che le compon-
gono, i quali perdono autonomia funzionale e acquistano una nuova funzione testuale. Si
tratta di espressioni che differiscono molto per ciò che riguarda l'autonomia semantica dei
loro membri, come mostrano le polirematiche in corsivo negli enunciati seguenti:
(8) E proprio arrivato l'inverno: non per niente oggi piove!
(9) Parteciperemo alla trattativa nella misura in cui avremo sufficienti garanzie.
Sorvolo in questa sede sulla problematicità della nozione di calcolabilità semantica, per la quale
rimando a De Mauro 1982, e in relazione ai problemi qui trattati a Casadei 1996, De Mauro / Vo-
ghera 1996.
2.1. Composizione con elementi italiani 61
2.1.8.2.3. Uso Mv
Un altro dei fattori che è necessario tenere in massima considerazione nella valutazione
delle caratteristiche delle polirematiche è la frequenza d'uso. In primo luogo è utile ricor-
dare che il numero delle polirematiche non determina automaticamente la loro frequenza,
come si può vedere dalla tabella 1, che riporta il numero delle polirematiche e la loro fre-
quenza media nel LIP.
Polirematiche Lemmi Occorrenze
nominali 39,4% 25,4%
verbali 14,3% 11,0%
avverbiali 14,3% 13,4%
aggettivali 4,2% 3,5%
interiettive 2,5% 17,1%
congiunzionali 2,3% 3,9%
preposizionali 2,2% 4,1%
pronominali 0,07% 6,6%
Tabella 1 : Numerosità e frequenza delle polirematiche del LIP
In particolare notiamo che le polirematiche interiettive pur essendo solo il 2,5% del totale
coprono il 17% delle occorrenze. Ciò significa che un numero basso di polirematiche in-
teriettive è usato molto spesso. E questo un elemento decisivo per la loro cristallizzazione e
agglutinazione. Anche le polirematiche congiunzionali e preposizionali presentano una
frequenza d'occorrenza doppia rispetto alla loro numerosità, confermando ciò che si veri-
fica per le congiunzioni e preposizioni semplici. Ancora maggiore è la distanza per i pro-
62 2. Composizione
nomi: nel LIP si registra infatti solo una polirematica pronominale (che cosa) che occorre
però ben 370 volte.
Analizzando in dettaglio la frequenza delle polirematiche del LIP (Voghera 1994), si è
potuto constatare che se una polirematica è usata frequentemente è più probabile che pre-
senti una maggiore agglutinazione dei membri costituenti e che la semantica interna si opa-
cizzi.
L'alta frequenza d'uso può determinare inoltre il trasferimento del significato complessivo della
polirematica alla testa anche quando è usata da sola. Un caso chiaro in questo senso è cartone ani-
mato. Inizialmente il significato di cartone animato non era ipónimo del significato della testa: un
cartone animato non era un cartone. L'espansione d'uso della polirematica ha però fatto sì che la
parola cartone abbia assunto tra le sue accezioni il significato di "cartone animato". I dati usati per la
compilazione del Lessico elementare (Marconi et al. 1994)1 mostrano per esempio che i bambini di
oggi usano normalmente la parola cartone, e ancor di più il plurale cartoni, nel significato di "cartone
animato" tanto quanto la polirematica cartone animato. Dunque se applichiamo la prova
dell'iponimia a questa polirematica, la risposta ammette qualche dubbio: il significato di cartone
animato non è iponimo del significato di cartone nella sua accezione primaria, ma lo è in
un'accezione ormai altamente disponibile che deriva proprio dall'uso ellittico della polirematica. Il
GRADIT, infatti, riporta come terza accezione di cartone, appunto, "cartone animato".
Un altro elemento connesso alla frequenza è il fatto che le polirematiche più frequenti hanno spes-
so più di un'accezione polirematica e le varie accezioni possono avere gradi di calcolabilità diversa.
Un esempio è mettere da parte, le cui accezioni si possono disporre in ordine di calcolabilità decre-
scente nel modo seguente: (a) mettere da un lato; (b) eliminare; (c) risparmiare; (d) tener da conto.
Una valutazione delle proprietà generali delle polirematiche deve quindi necessariamente prendere in
considerazione non solo il rapporto tra significato dei costituenti e significato complessivo, ma anche
il rapporto tra quest'ultimo e frequenza d'uso delle diverse accezioni dei costituenti.
N+A anima gemella, anno liturgico, aria aperta, beni culturali, ca-
pitale sociale, carro armato, guerra fredda, letto singolo, metro
quadro, musica leggera, ora locale, ordine pubblico, parco na-
zionale, posta aerea, scheda bianca, stato sociale, televisione
privata, testo unico, valore reale, voce bianca
Ringrazio Lucia Marconi per avermi fornito dati non ancora pubblicati.
2.1. Composizione con elementi italiani 63
N+SP atto d'ufficio, addetto ai lavori, borsa di studio, camera del la-
voro, carta di credito, casa di cura, dato di fatto, diritto
d'autore, dono di natura, esame di stato, figlio d'arte, giacca a
vento, lista di nozze, mal di testa, ora di punta, piano di volo,
sala da pranzo, testa di lista, uomo d'affari, unità di misura
A+N alta tensione, alte sfere, brutta copia, buona fede, doppio sen-
so, giusta causa, gran premio, ordinaria amministrazione, pri-
ma pagina, prima serata, pronta consegna, terza età, terzo
mondo, ultima spiaggia
N+N bene rifugio, cambio palla, conferenza stampa, effetto serra,
fine settimana, giornale radio, lingua madre, piano terra, punto
vendita, rimborso spese
L'insieme di questi quattro gruppi costituisce più del 98% delle polirematiche del LIP. Non
tutte le strutture sono ugualmente numerose: le formazioni N+A costituiscono quasi la metà
di tutte le polirematiche nominali, il 45% circa, le formazioni N+SP sono il 38% circa,
quelle costituite da A+N I ' l l % circa e, infine, le formazioni N+N sono circa il 6%. Sono
solo 4 su 629 i cosiddetti «binomi irreversibili» (Malkiel 1959): botta e risposta, fuoco e
fiamme, va e vieni, alti e bassi.
Tutt'e quattro le strutture appaiono produttive, come mostra il fatto che abbiamo forma-
zioni recenti in tutti e quattro i gruppi: per esempio pagine gialle (su cui oggi si è formato
Pagine utili), pollice verde (N+A), permesso di soggiorno (N+SP), centocinquanta ore,
prima serata (A+N), fine settimana, campo profughi (N+N).
Se si confrontano le strutture delle polirematiche con quelle dei composti riportati in
Scalise 1994, 124-125, si riscontrano notevoli differenze. Solo uno dei tre tipi di composi-
zione ritenuto produttivo da Scalise compare numeroso nelle polirematiche: si tratta del tipo
N+N. Quest'ultimo tipo raggruppa polirematiche che possono assimilarsi ai composti (cfr.
2.1.1.3., 2.1.2.1. e 2.1.2.2.), per esempio giornale radio o nave traghetto, ma anche struttu-
re che si comportano più similmente ai sintagmi, per esempio carta carbone in una frase
come: Non voglio la carta velina, ma quella carbone!. Il tipo N+N rappresenta dunque il
gruppo di polirematiche con un maggior numero di casi di confine, formazioni cioè che
presentano proprietà simili a quelle dei composti e proprietà simili a quelle dei sintagmi.
L'ambiguità di queste strutture risulta ancora più evidente poiché la mobilità dei loro co-
stituenti aumenta o diminuisce a seconda dei contesti in modo più netto rispetto ad altre
formazioni. Un esempio è dato proprio da nave traghetto, formazione spesso ritenuta un
composto, in frasi di parlato colloquiale come È quella traghetto la nave che dobbiamo
prendere, 1Dobbiamo prendere quella traghetto? o ancora in È un traghetto la nave che
dobbiamo prendere? in cui è difficile decidere se traghetto è un uso ellittico di nave tra-
ghetto o è un'inversione di un costituente della formazione nave traghetto. Dobbiamo pe-
raltro ribadire che questa mobilità non si registra nei composti veri e propri, come si vede
dall'inaccettabilità delle frasi seguenti, anche in un contesto colloquiale: *È un cane il pe-
sce che hai visto?, *Quello cane è il pesce più pericoloso!.
I tipi V+N e A+A sono presenti con una sola occorrenza ciascuno (cessate il fuoco, chia-
ro scuro). Le altre strutture delle polirematiche non sono ritenute produttive per la forma-
64 2. Composizione
zione dei composti (A+N e N+A, N+SP).1 Questo elemento di differenziazione induce
almeno due riflessioni. In primo luogo, il fatto che le polirematiche usino strutture possibili,
ma non più produttive per la creazione di nuovi composti dà forza all'idea che pur essendo
le polirematiche formazioni lessicali distinte dai composti, esse costituiscono «l'equivalente
funzionale della composizione verbale e nominale nelle lingue in cui tale procedimento è
più attivo che nella tradizione latina e neolatina» (De Mauro 1999, 1177). In secondo luo-
go, la presenza massiccia di strutture N+SP legittima l'idea che si stia consolidando un
procedimento di formazione lessicale nuovo.
Dal punto di vista della composizione lessicale, le polirematiche presentano una grande
varietà. Su 629 polirematiche nominali del LIP 286 hanno per testa un nome che ricorre
almeno due volte e tra queste ben 209 appartengono a usi settoriali. Tra i nomi testa che
ricorrono di più abbiamo assemblea, camera, colpo, consiglio, carta, diritto, effetto, ente,
gruppo, numero, punto, scuola, tempo, stato. Come è evidente si tratta di parole molto
diverse, tutte altamente polisemiche. Anche per quanto riguarda le polirematiche vige in-
fatti il principio che la frequenza d'uso di un'unità lessicale è direttamente proporzionale al
suo numero di accezioni. Se si dà un'occhiata alla frequenza dei nomi appena citati nel LIP,
si vede che rientrano tutti nei primi 2000 lemmi in ordine di frequenza, nella fascia cioè del
vocabolario fondamentale.
In particolare nel caso delle polirematiche i nomi testa più ricorrenti sembrano avere tutti
la caratteristica di presentare numerose accezioni comuni e settoriali. Complessivamente le
polirematiche di uso settoriale sono il 67% del totale e presentano in misura equilibrata
tutt'e quattro i tipi di struttura.
E utile segnalare infine che anche tra i modifícatori esistono aggettivi o SP ricorrenti.
Tra gli aggettivi che ricorrono più frequentemente abbiamo: primo (prima donna, prima
linea, prima notte, prima pagina, prima scelta, prima serata, prima visione, primo mini-
stro, primo mondo, primo piano) e pubblico {pubblica amministrazione, pubblica istru-
zione, pubblico ufficiale, pubblico dipendente, pubblico impiego, pubblico ministero). An-
che per gli aggettivi valgono le considerazioni fatte sopra per i nomi.
Per quanto riguarda i SP modificatori, nel LIP non sono molti i casi di sintagmi ricor-
renti nelle polirematiche nominali. Esistono però casi di questo genere segnalati in Cicalese
1995: per esempio freno a mano, bomba a mano, bagaglio a mano, palla a mano, giacca a
vento, mulino a vento, manica a vento. Anche se Cicalese riconduce questo fenomeno alla
polisemia del gruppo preposizionale, a me pare più probabile che qui si tratti del fenomeno
inverso. La differenza di significato delle varie polirematiche che contengono lo stesso SP
(a mano, a vento ecc.) non deriva dal fatto che questi SP possano avere più significati, ma
dal fatto che l'esistenza di queste polirematiche ha trasferito su questi SP una pluralità di
sensi.
Il tipo N+SP non è considerato in Scalise 1994 come base per i composti; in realtà, esistendo
composti come pomodoro, è meglio includere il tipo almeno tra quelli non più produttivi.
2.1. Composizione con elementi italiani 65
PRO+A/A+PRO noi altri, voi altri, tal altro, tutt'altro, che cosa, qualche cosa,
qual esso, gran che
AVV+PRO/PRO+AVV chissà chi, chissà cosa, chissà che,' chissà quale, chi più, che
più, chi più chi meno
PRO+SV checché sia, che so io, chi capita
ART+PRO lo stesso, il tal, il tal dei tali
P+PRO di tutto, di molto, di più
PRO+CG+PRO questo e quello
Si tratta di polirematiche fortemente agglutinate, per la maggior parte delle quali si può
parlare di avanzato processo di univerbazione. La diversità tra queste formazioni e polire-
matiche si evidenzia anche nel fatto che alcune di esse possono essere scritte come un'unica
parola: chicchessia, checchessia, noialtri, voialtri (cfr. Serianni 1988, Cap.VII).
E infine interessante notare che si tratta per la quasi totalità di pronomi interrogativi, in-
definiti e dimostrativi; gli unici pronomi personali sono noi altri e voi altri.
V+(DET)+N dare buca, dare i numeri, fare appello, fare causa, fare il punto,
fare luce, forzare i tempi, forzare la mano, passare la parola,
perdere tempo, perdere la testa, prendere tempo, stendere un
velo, tendere una mano, tirare il collo
V+SP andare in onda, andare in porto, andare in scena, prendere con
le molle, dire in faccia, essere di guardia, mantenere in piedi,
mettere in moto, piantare in asso, stare in guardia
V+AVV andare via, buttare giù, essere lì lì, fare fuori, tenere dietro, ve-
dere male
V+A essere fritto, stare fresco, uscire pazzo
L'insieme di queste strutture copre il 98% circa delle polirematiche verbali del LIP nelle
proporzioni seguenti: il 44% circa V+(DET)+N; il 40% circa il tipo V+SP; l'80% circa il
tipo V+AVV e infine il 5% circa il tipo V+A. La mancanza di composti verbali produttivi
in italiano (Scalise 1994) rafforza ancora una volta l'idea che queste formazioni poliremati-
che, numerose e produttive, sostituiscano dal punto di vista funzionale la composizione.
Alcune polirematiche verbali del tipo V+AVV sono state considerate verbi sintagmatici (Simone
1997) paragonabili per il loro comportamento sintattico ai phrasal verbs inglesi e in parte ai verbi con
Il GRADIT riporta anche la grafia chi sa chi, chi sa cosa, chi sa che, chi sa quale.
66 2. Composizione
particella tedeschi. In particolare si ritiene che tra i verbi sintagmatici ricorrano verbi di movimento o
stativi con avverbi che indicano posizione, distanza o direzione: andare su/giù/via, stare ac-
canto/contro/dietro, venire addosso/fuori/indietro. La maggior parte di questi verbi non ha per la
verità, a mio parere, un comportamento diverso dalle altre polirematiche verbali, ciò che li caratte-
rizza è casomai il fatto che possano avere molti sensi diversi. Per esempio un verbo come buttare giù,
oltre ad avere il significato "gettare dall'alto in basso", può avere vari significati figurati: "mangiare
in fretta", "scrivere in fretta", "deprimere".
Nelle polirematiche verbali, molto più che in quelle nominali, troviamo un numero piutto-
sto alto di verbi ricorrenti. Nel LIP Γ 80,5% delle polirematiche verbali è costituito da una
testa che occorre almeno due volte. Anche nel GRADIT esiste un nucleo di verbi che co-
stituisce la testa della maggior parte delle polirematiche verbali. Si tratta di verbi di altis-
sima frequenza, elemento che favorisce la loro combinabilità nelle formazioni poliremati-
che per vari ordini di motivi. In primo luogo, le parole molto frequenti sono fortemente
polisemiche, possono cioè occorrere in contesti molto diversi poiché possono avere molti
sensi diversi. Ciò le rende facilmente disponibili per la creazione di nuove polirematiche.
In secondo luogo, alla polisemia si accompagna una certa vaghezza semantica che rende
molti verbi di alta frequenza suscettibili di essere usati come supporto sintattico, senza
fornire un contributo semantico lessicale. E ciò che succede a molte polirematiche che
hanno come testa il verbo avere o fare (D'Agostino 1993). Le polirematiche con verbo
supporto non sono tuttavia la maggioranza.
Ecco il numero di accezioni registrato dal GRADIT per alcuni dei verbi che costituiscono la testa di
un gran numero di polirematiche: avere tr. 17, int. 1; essere 9; fare tr. 18, int. 10; dare tr. 5, int. 3;
andare 14; mettere tr. 23, int. 24; venire 18; tenere tr. 21, int. 6; tirare tr. 10, int. 6. Si riportano qui di
seguito i verbi che nel GRADIT ricorrono più frequentemente come testa di polirematiche verbali:
alzare, andarci, andare, aprire, avere, battere, buttare, cadere, cambiare, correre, dare, dire, en-
trare, esserci, essere, fare, farsi, forzare, gettare, giocare, lasciare, levare, levarsi, mandare, man-
giare, mettere, parlare, passare, perdere, perdersi, pigliare, porre, portare, prendere, prendersi,
reggere, reggersi, rendere, restare, ridurre, rimettere, rompere, saltare, sapere, saperla, saperne,
stare, stringere, tagliare, tendere, tenere, tirare, uscire, vedere, venire.
Nel LIP sono registrate 67 polirematiche aggettivali, Γ 80% delle quali ha la struttura SP co-
stituita da P+A (in bianco) o P+N (in bollo), in questo secondo caso il nome può essere
preceduto dall'articolo (alla mano) e modificato da un aggettivo preposto (di bassa lega) o
posposto (a senso unico).
Non è sempre facile distinguere le polirematiche aggettivali da quelle avverbiali poiché,
così come accade per gli aggettivi monorematici, anche le formazioni polirematiche agget-
2.1. Composizione con elementi italiani 67
tivali possono svolgere la funzione di avverbio: persona alla mano (A) e essere alla mano
(AVV), pasta in bianco (A), mangiare in bianco (AVV). Inoltre essendo gli aggettivi poli-
rematici perlopiù invariabili non è possibile ricorrere a marche morfologiche per distin-
guere gli aggettivi dagli avverbi. Ciò riguarda prevalentemente le formazioni costituite da
SP e A+A. La possibilità che una polirematica abbia valore aggettivale e avverbiale sembra
dipendere da fattori squisitamente semantici e non morfosintattici: come vedremo nel para-
grafo seguente non tutte le polirematiche avverbiali che presentano la stessa composizione
di quelle aggettivali possono automaticamente avere entrambe le funzioni.
Il tipo P+N+P copre il 70% circa delle polirematiche preposizionali del LIP, mentre il re-
stante 30% è coperto in modo equilibrato dagli altri tipi. E utile notare che le preposizioni
che ricorrono più frequentemente come introduttori sono di e a, cioè le preposizioni sem-
plici più frequenti in italiano. Alcune polirematiche possono essere introdotte da diverse
preposizioni senza che cambi il significato (a/in difesa di, a/per opera di) o con significati
diversi (a/per/su istanza di).
AVV+che dopo che, fin tanto che, prima che, salvo che, tanto che
CG +che nonostante che
SP+che a parte che, dal momento che, in modo che, nel caso che
F+che fermo restando che, sta di fatto che, stante il fatto che
SP+REL nella misura in cui
(P+)PRO in quanto, per quanto
In totale nel LIP sono registrate 38 polirematiche congiunzionali, l'81% delle quali è costi-
tuito da strutture con il complementatore che, mentre le strutture costituite da SP+REL sono
circa l'8%. Il restante 10% si distribuisce su altre strutture come in quanto e per quanto o
usi non standard di strutture CG+che, come siccome che, (non) appena che.
È noto che la relativizzazione di un complemento obliquo può avvenire sia attraverso
l'uso di un pronome relativo sia attraverso il complementatore che. Questo spiega la pre-
senza anche nelle polirematiche di strutture come nel caso che e nella misura in cui. Si
osservi tuttavia che nei casi in cui sono possibili entrambe le strutture (per esempio dal
momento che / dal momento in cui) le due strutture tendono a distinguersi dal punto di vista
semantico: dal momento che ha perso il suo significato temporale per assumere un signifi-
cato causale più o meno corrispondente a poiché. Ciò dipende dal fatto che in questo tipo di
struttura i rapporti sintattici tra i costituenti sono meno trasparenti e ciò rende più agevoli
gli slittamenti di significato. Inoltre le strutture con complementatore tendono a essere per-
cepite dai parlanti come più agglutinate. C ' è infine da notare che alcune di queste strutture
si possono trovare usate senza il complementatore, come nell'esempio Ti ho lasciato le
chiavi nel caso (che) tu venga.
A+N buone cose, che palle, porca miseria, questi/'sti cavoli, santo
cielo
N+A madonna santa, mamma mia
N+N mondo boia, mondo cane, puttana èva
I+SP buonanotte al secchio, buonanotte ai suonatori, grazie a Dio,
grazie al cielo
P+N alla faccia, al ladro, per carità, per fortuna
P+N+SP in bocca al lupo, in nome del cielo, in nome di Dio, per amor
di Dio, per amor di/del cielo
SV ben detto, ben fatto
V+N apriti cielo
Il LIP registra 39 polirematiche interiettive, Γ 89% delle quali è rappresentato dai tipi A+N,
N+A, P+N e P+N+SP. Come abbiamo detto (cfr. 2.1.8.2.2.) si tratta di formazioni forte-
mente agglutinate e, di fatto, impermeabili a qualsiasi trasformazione.
Nel corso del Novecento, a seguito del notevole sviluppo della ricerca scientifica e della
specializzazione tecnologica, la lingua italiana si è arricchita di decine di migliaia di termini
di uso specialistico (avicolo, caudiforme, cianografo, fonologia, idrogamia, ignifugo, sple-
notomia, tecnocrate) prodotti dalla combinazione di elementi formativi d'origine greca e
latina (avi-, caudi-, ciano-, -colo, fono-, -forme, -logia ecc.).
La composizione con elementi neoclassici è il tipo di formazione delle parole che uti-
lizza elementi formativi tratti dalle lingue classiche per coniare termini di ambito tecnico-
scientifico, usati primariamente con funzioni designative e classificatorie. Gli elementi
formativi di cui sono formati i composti neoclassici sono impiegati di norma come elementi
non liberi, elementi cioè che non possono occorrere autonomamente in una frase, ma solo
all'interno di parole complesse.
I composti neoclassici sono anche detti internazionalismi perché compaiono con il me-
desimo significato e con forma quasi identica in diverse lingue (it. biometria, fr. biométrie,
ingl. biometrics, ted. Biometrie, sp. biometria-, it. fitofago, fr. phytophage, ingl. phytopha-
gous, ted. phytophag, sp. fitófago), distinguendosi in ciò dalle parole del lessico comune di
ciascuna lingua, le quali sono invece caratterizzate da plurivocità di sensi e da maggiori
differenze foniche da una lingua all'altra.
Sebbene la gran parte dei composti neoclassici rimanga all'interno dell'ambito d'uso
delle terminologie tecnico-scientifiche, alcuni di essi entrano a far parte dell'uso comune di
una determinata lingua (it .frigorifero, telefono, termometro). L'immissione nel corpo delle
diverse lingue nazionali dei composti neoclassici di origine tecnico-scientifica (favorita
dalla diffusione della scolarizzazione e dai mezzi di comunicazione di massa) ha determi-
nato un'interazione con il lessico e con le regole di formazione di parole proprie di ciascuna
lingua. Il lessico dell'italiano si è dunque trovato a interagire con elementi allogeni, combi-
70 2. Composizione
nati secondo regole di formazione di parole in parte diverse rispetto a quelle proprie del
lessico di uso corrente. La conseguenza più importante di questo stato di cose è rappresen-
tata dalla coniazione e diffusione nell'uso corrente di composti formati da un elemento
formativo e una parola (agriturismo, applausometro, idromassaggio, paninoteca, termo-
coperta) e non solo in combinazione con altri elementi formativi.
L'interazione tra composti neoclassici e lessico comune pone problemi di tipo sia teorico
sia descrittivo. Gli elementi formativi e i tipi di formazione delle parole a cui prendono
parte presentano infatti diverse peculiarità che ne rendono la classificazione non facile e
controversa. In primo luogo si tratta di identificare nel gran numero di elementi formativi
impiegati nelle terminologie tecnico-scientifiche quali e quanti sono entrati a fare parte
dell'uso corrente della lingua italiana, vale a dire, il cui significato è noto alla generalità dei
parlanti, e possono essere usati per formare parole nuove di uso non strettamente speciali-
stico.1 I composti neoclassici poi non corrispondono pienamente né alla definizione di
composto né a quella di derivato della lingua italiana: infatti non sono formati né dalla
combinazione di due elementi liberi, così come generalmente accade per i composti
dell'italiano (pescecane, capostazione), né dalla combinazione di un elemento libero e uno
non libero (un affisso), così come accade per i derivati (rifare, barista). Inoltre, le funzioni
degli elementi all'interno del composto neoclassico (Determinante+Determinato) sono
ordinate in modo diverso rispetto a quello usuale dei composti italiani (Determina-
to+Determinante), cfr. fruttifero vs portafrutta. Gli elementi formativi sono simili agli
affissi in quanto elementi non liberi, ma a differenza dei prefissi e dei suffissi non tutti
occupano una posizione fissa (o iniziale o finale). La grandissima maggioranza di essi
esprimono tipi di significato più simili a quelli espressi dalle parole che dagli affissi (car-
dio- "cuore"; oftalmo-, oculo- "occhio"), ma ve ne sono anche alcuni che esprimono signi-
ficati di tipo funzionale-relazione (ecto- "fuori", endo- "dentro"). A differenza degli affissi,
infine, e analogamente alle parole, numerosi elementi formativi sono basi di parole derivate
(artro-, dendro-, lipo-, cfr. artrosi, dendrite, lipoma).
Gli elementi che partecipano alla formazione dei composti neoclassici non hanno una de-
nominazione unanimemente accettata. I diversi nomi proposti riflettono le diverse opinioni
sia riguardo alla somiglianza di tali elementi con l'insieme degli affissi piuttosto che con
quello delle parole, sia riguardo all'interpretazione delle parole in cui appaiono come dei
composti o piuttosto dei derivati. La denominazione elemento formativo adottata in questo
volume è neutrale rispetto alle opposizioni parola / affisso e derivato / composto, ed è
quella che più si avvicina a termini correntemente usati in altre lingue, quali l'inglese com-
bining form e il francese formant.
1
Una stima quantitativa del numero di elementi formativi presenti in dizionari non specialistici dà i
seguenti risultati: il GRADIT (al momento la più ampia fonte lessicografica dell'italiano) lemma-
tizza e definisce circa 2.600 elementi formativi (la maggior parte dei quali di uso esclusivamente
tecnico-scientifico), i dizionari dell'uso di media taglia, come lo Zingarelli o il DISC tra i sette e
gli ottocento.
2.2. Composizione con elementi neoclassici 71
Tra le denominazioni che in italiano hanno avuto maggiore fortuna ci sono, da una parte
la coppia prefissotele / suffissoide, proposta da Migliorini 19633b, e dall'altra il termine
semiparola, coniato da Scalise 1983. Con prefissoide e suffissoide, Migliorini intende evi-
denziare la somiglianza di alcuni elementi formativi 1 con gli affissi e la loro partecipazione
a processi di tipo derivazionale; mentre il termine semiparola evoca la somiglianza degli
elementi formativi con le parole e la loro partecipazione a processi composizionali. La
coppia prefissoide / suffissoide, spesso accompagnata dall'iperonimo affissoide, ha avuto
una discreta fortuna anche nella terminologia linguistica di diverse lingue straniere (si ve-
dano le puntuali indicazioni di Bombi 1993, 162-163). Mentre per quanto riguarda semipa-
rola, lo stesso Scalise usa in testi in lingua inglese la dizione stem. Un'altra denominazione,
che mette in evidenza la non-autonomia e l'origine segmentale di questi elementi, è quella
di confisso. Questo termine, introdotto in italiano nel 1988 in seguito alla traduzione del
libro di André Martinet, Syntaxe générale, Paris, Colin, 1985, è stato di recente ampiamente
utilizzato nel GRADIT. Il termine confix, pur se non molto diffuso, è impiegato anche nella
terminologia linguistica anglofona (si veda ad esempio Kirkness 1994).
La mancanza di un termine corrente per denominare gli elementi formativi salta agli oc-
chi qualora si prenda in esame anche un piccolo insieme di opere di riferimento sul lessico
dell'italiano: Dardano 1978 usa la dizione «elementi di forma colta», Serianni 1988 prefe-
risce «elementi formativi scientifici», Tekavöic 19802 la più articolata «elementi formativi
scientifici e tecnici di origine latina o greca»; i dizionari della lingua italiana usano di prefe-
renza la denominazione «elemento compositivo», distinguendo spesso tra iniziali e finali;
sono ormai poco usati, e teoricamente non giustificati, i termini pseudoprefisso e pseudo-
suffisso.
Le difficoltà di tipo terminologico dipendono in parte dalla ricerca di un termine unico
per un insieme di elementi eterogenei particolarmente difficili da classificare, ma dipen-
dono soprattutto da un motivo più profondo. Si tratta di decidere tra due diverse posizioni
che dividono gli studiosi, e cioè se gli elementi formativi costituiscano una categoria auto-
noma, diversa sia dalle parole sia dagli affissi, o siano piuttosto da considerare rappresen-
tanti (non prototipici) dell'una e/o dell'altra categoria. A nostro avviso, gli elementi forma-
tivi non sono un insieme omogeneo, né una categoria naturale della lingua. Si tratta di ele-
menti quasi tutti di provenienza allogena, impiegati prevalentemente in registri tecnico-
scientifici, il cui motivo di interesse è dato dalla partecipazione a parole di uso corrente e
dall'interazione con le regole di formazione di parole dell'italiano. La maggior parte di essi
ha caratteristiche di tipo lessicale e solo una piccola parte di tipo affissale.
Giova ricordare che da un punto di vista metodologico la proliferazione di categorie non
è una buona soluzione ai problemi di classificazione e, nella fattispecie, l'individuazione di
una eventuale terza categoria - oltre a quella di affisso e parola - non porterebbe a delimi-
tazioni più nette e coerenti di quelle possibili utilizzando le due categorie naturali di affisso
e parola. Riteniamo quindi che non ci siano ragioni teoriche sufficienti per individuare una
nuova categoria diversa da quella di parola e di affisso, ma che al tempo stesso ci siano
giustificate ragioni di natura descrittiva per utilizzare il termine elemento formativo al fine
di denominare gli elementi che partecipano a processi formativi distinguendosi per vari
aspetti dalle parole e dagli affìssi tipici della lingua italiana.
1
Viene spesso dimenticato che Migliorini definisce prefissoidi e suffissoidi solo un sottoinsieme del
più ampio gruppo di quelli che chiama «elementi di composizione» (cfr. Migliorini 19633b, 127).
72 2. Composizione
Possiamo distinguere all'interno del variegato insieme degli elementi formativi, oltre agli
elementi formativi neoclassici, gli accorciamenti usati in composizione, gli elementi for-
mati per secrezione, le parole modificate e altri tipi minori (cfr. anche Fradin 2000).
Gli elementi formativi neoclassici hanno origine da parole greche e latine impiegate nella
forma tematica o nella forma che incorpora la vocale di raccordo usata in composizione
nelle lingue classiche. La terminazione regolare degli elementi formativi di origine greca
usati in posizione iniziale è -o, quella degli elementi di origine latina è -i, ma vi sono anche
elementi formativi di origine greca con altre terminazioni (acu- "uditivo", ali- "mare, sali-
no", bari- "pesante", deca- "dieci", pan- "tutto") e molti elementi di origine latina termi-
nanti in -o, tra cui balneo-, carbo-, digito-. Gli elementi formativi neoclassici sono usati
principalmente per formare composti di ambito tecnico-scientifico, ma alcuni di essi sono
usati anche per la formazione di parole di uso corrente. Tra i numerosissimi esempi che si
potrebbero fare: anemo-, antropo-,1 biblio-, chiro-, crono-, dattilo-, emato-, epato-, eroto-, -
foro, -grado, morfo- dal greco; arbori-, -cida, igni-, quadri-, -voro dal latino. Gli elementi
formativi riconducibili a parole di origine greca sono la netta maggioranza; nel lemmario
del DISC la proporzione tra elementi di origine greca e latina è all'incirca di 4 a 1 (dati
analoghi sono ricavabili dal GRADIT).
La composizione neoclassica si avvale dell'utilizzo in serie di elementi formativi sia in
posizione iniziale (angiografla, angiografo, angiolipoma, angiolito, angiologia, angioneu-
rosi, angiopatia ecc.) sia in posizione finale (acromia, bicromia, pleiocromia, stereocro-
mia, tetracromia ecc.). Tra gli elementi formativi neoclassici ve ne sono alcuni che possono
essere impiegati sia in posizione iniziale che finale (topologia, biotopo, cronografo, iso-
crono).
La principale ragione d'essere dei composti neoclassici è quella di permettere di desi-
gnare in modo univoco un significato mediante la combinazione secondo moduli regolari di
elementi definiti indipendentemente. Fra i primi esempi del loro utilizzo vi sono i sistemi
classificatori di Linneo e Lavoisier (cfr. 10.1.1.), che permettono di formare termini ade-
guati per denominare non solo le entità già note, ma anche entità prevedibili o possibili. Gli
scienziati dei secoli XVIII e XIX, che più hanno contribuito all'introduzione di elementi
formativi neoclassici nella terminologia tecnico-scientifica, avevano in genere una buona
competenza del lessico delle lingue classiche. Essi scelsero di utilizzare i procedimenti
formativi del greco per la maggiore ricchezza e duttilità dei moduli compositivi di questa
lingua rispetto a quelli del latino. La duttilità dei procedimenti formativi impiegati nella
composizione neoclassica è persino maggiore di quella del greco antico, a cui, ad esempio,
è estranea la composizione con più di due elementi tematici. Fra i numerosi esempi: elettro-
encefalogramma, gastroenterologia, neuroelettrofisiologia, otorinolaringoiatra. Si deve al
1
Usiamo la convenzione di citare gli elementi formativi che possono occorrere in posizione sia
iniziale che finale allo stesso modo di quelli solo iniziali. Nei casi in cui è utile distinguere gli
elementi biposizionali da quelli solo iniziali o solo finali useremo invece due trattini, es. -antropo-.
2.2. Composizione con elementi neoclassici 73
Esiste un terzo elemento eco- dal lat. echuim) "eco", che indica la ripetizione di un suono (ecoacu-
sia), ed è impiegato specialmente per denominare strumenti e tipi di analisi che utilizzano la rifles-
sione di energia (ecogoniometro, ecografia, ecosonda), ma può indicare anche la ripetizione in-
consapevole di gesti, posizioni, intonazioni della voce di solito dipendente da disturbi della psiche
(ιecolalia, ecomimia).
2
Oltre all'elemento formativo di origine latina, riconducibile all'aggettivo planus, vi è un altro
elemento omonimo tratto dal greco planos "errante, vagante", con cui sono formate parole quali
biciplano, idroplano, planofita.
74 2. Composizione
Nel caso di fanta- si può notare l'inizio di una divaricazione semantica fra il significato originario
"fantasia", in parole come fantaeconomia "economia immaginaria", e il significato "fantascienza"
(fantafilm "film di fantascienza"). Nel caso si ritenesse opportuno di riconoscere in fanta- due
elementi omonimi, quello con il significato "fantascienza" andrebbe interpretato come un accor-
ciamento del primo tipo.
2
In nomi come autolaghi, autosole, auto- è forma accorciata di autostrada e non può essere usato
come forma autonoma. Queste formazioni si distinguono dai composti neoclassici per l'ordine re-
lativo tra i costituenti (Determinato+Determinante): il primo elemento è infatti la testa del compo-
sto (ciò si può notare anche dal genere femminile di queste formazioni, es. la autolaghi).
2.2. Composizione con elementi neoclassici 75
La storia formativa di video si differenzia da quella degli altri elementi qui menzionati. Usato nel
significato di "apparecchiatura che ha la funzione di riprodurre e diffondere immagini visive, e le
immagini così prodotte", video (così come audio) è un prestito dall'inglese accolto in italiano pri-
ma come parola autonoma e solo successivamente come elemento compositivo. Gli usi più recenti
di video nei significati di "videotape" e di "videocassetta" sono invece il risultato di processi di ac-
corciamento. Il passaggio da parole autonome a elementi formativi ricavati per accorciamento,
sebbene infrequente, non è impossibile, si pensi al caso di ferrovia, composto formato sul modello
del ted. Eisenbahn e dell'ingl. railway a partire da due parole autonome {ferro e via). Da ferrovia
sono stati ricavati due distinti elementi formativi: ferro- ha assunto il valore "ferrovia, ferroviario"
ed è impiegato in parole quali ferromodellismo, ferrotranviario', mentre -via è usato con il signifi-
cato "sistema di trasporto su rotaie, cavi, o simili" in parole quali cabinovia, sciovìa.
76 2. Composizione
Intendiamo con secrezione (cfir. Warren 1990 e Fradin 2000) l'individuazione di un nuovo
elemento formativo ricavato per segmentazione da una parola, il quale, a differenza degli
elementi ricavati per accorciamento, non esprime il significato principale della parola da cui
deriva, ma un significato secondario (spesso metaforico) che la parola ha acquisito in parti-
colari contesti pragmatici.
Così come negli accorciamenti, il risultato della secrezione può coincidere con un costi-
tuente morfologico e produrre un elemento omonimo di un altro già esistente, es. -poli
"scandalo politico-affaristico" (in parole come affittopoli, concorsopoli, condonopoli, sa-
nitopoli) ricavato da tangentopoli (propriamente "città delle tangenti"), oppure operare
secondo criteri primariamente prosodici, come nel caso di -thon, dall'inglese marathon
"maratona", usato con il significato "evento pubblico di durata molto superiore al normale"
in parole come telethon. Tra i pochi altri esempi di secrezione, -stroika, tratto da perestroï-
ka e usato con il significato "rinnovamento politico" in parole come castrostroika (termine
giornalistico riferito alla politica di Fidel Castro), e -gate, tratto da Watergate e anch'esso
usato col significato "scandalo politico-affaristico", come in irpiniagate, russiagate.
Al pari dell'accorciamento, la secrezione può provocare sia la risemantizzazione di ele-
menti già esistenti (-poli) sia la formazione di elementi non esistenti precedentemente nella
lingua (-thon, -stroika), ma, a differenza dell'accorciamento, produce elementi che possono
essere usati esclusivamente come forme non autonome. Si tratta di un procedimento del
tutto marginale in italiano, che ha prodotto un numero molto ridotto di elementi per lo più
dovuti a prestiti, il cui impiego, inoltre, è limitato quasi esclusivamente alla lingua scritta
dei media.
Possiamo denominare parole modificate le parole usate come primo membro di composto
(di norma nomi) la cui vocale finale è modificata in o oppure in i, così da uniformarsi alle
terminazioni caratteristiche degli elementi formativi neoclassici e al loro schema formativo
dominante; tra i numerosissimi esempi: aghiforme, alghicida, anguilliforme, bocciofilo,
erbivoro, insetticida, mafiologia, morfinomane, musicomania, parassitologo, tendopoli. La
modifica può riguardare anche nomi propri, come in galvanómetro, mariologia "parte della
teologia cattolica che riguarda Maria la madre di Gesù". La terminazione in o o in i dipende
di norma dall'origine rispettivamente greca o latina dell'elemento formativo finale (cfr.
parassitologo e parassiticida);' la modificazione può interessare anche un segmento finale
Il fatto che la vocale finale della parola modificata dipenda di norma dall'elemento formativo è
ritenuto da alcuni studiosi un argomento valido dal punto di vista strettamente sincronico per
ascrivere le vocali o ed i agli elementi formativi, i quali dunque comincerebbero in vocale (es.,
-icida, -ivoro, -ologia, -ornane). Tale proposta non è priva di problemi. Innanzitutto, una segmen-
tazione diversa da quella etimologica provoca una divaricazione formale tra gli elementi che pos-
sono essere impiegati in posizione sia iniziale che finale (es. -metro-, -fago-, che diventerebbero
rispettivamente metro-, fago- se impiegati in posizione iniziale, -ofago, -ometro se impiegati in po-
sizione finale) alla quale non corrisponde una altrettanto netta differenziazione semantica; inoltre,
nel caso di composizione con due elementi formativi neoclassici la vocale finale dell'elemento ini-
2.2. Composizione con elementi neoclassici 77
più ampio della vocale (e coincidere pure con un suffisso) determinando talvolta casi di
aplologia: cosmetologia (da cosmetica), estetologia (da estetica), lombricoltura (da lom-
brico), mineralogia (da minerale), planctologia (da plancton), oppure consistere nella in-
serzione di vocale (filmologia, gasometro, islamologia, merceologia, rockodromo, sciovia,
sovietologo, wagnerologo).
Le parole modificate condividono con gli elementi formativi neoclassici le terminazioni
caratteristiche, restrizioni sulla lunghezza e la partecipazione alla struttura compositiva
Determinante+Determinato. Le differenze principali consistono nel fatto che hanno origine
da parole di uso corrente e non da elementi di derivazione greco-latina e nell'essere usate
solo occasionalmente come elementi di composti, mentre caratteristica degli elementi for-
mativi neoclassici è la possibilità di essere utilizzati ripetutamente in numerose formazioni
legate da relazioni di tipo paradigmatico.
Perché una parola possa essere usata come elemento iniziale non deve avere accento
sull'ultima sillaba e deve preferibilmente essere lunga due o tre sillabe. Sono infatti rari gli
esempi di composti con parole modificate quadrisillabiche (parassita, cfr. parassitologo), o
con accento sulla terz'ultima sillaba (crimine, demone, estero, cfr. criminologo, demonolo-
gia, esteromania). Le parole che rispondono a tali requisiti e terminano in o possono essere
impiegate senza necessità di modifiche: cremlinologo, disastrologo, egittologia, futurolo-
gia, gattofilo, ufologo. Il fatto che la grande maggioranza dei sostantivi maschili al singo-
lare terminano in o e che gli elementi formativi finali siano per lo più di origine greca neu-
tralizza in molti casi la distinzione tra parole modificate e parole impiegate nella forma di
citazione, la quale invece è segnalata da un'indicazione formale nel caso di elementi for-
mativi finali latini (i quali richiedono una i, cfr. bulbiforme, cubiforme) e nel caso di parole
terminanti con un'altra vocale o con consonante (cartografo, filmografia, ovaliforme).
L'occasionalità dell'impiego delle parole modificate e l'assenza di un'indicazione formale
nel caso dei sostantivi maschili in o rendono particolarmente incerto e variabile l'elenco di
tali forme.
Sono fattori di tipo quantitativo, come la frequenza d'uso e la numerosità dei composti in
cui una parola modificata compare ad avvicinarla al rango di elemento formativo: se una
parola modificata è usata in un composto fortunato (tangento- in tangentopoli), essa tende a
essere riutilizzata in combinazione con altri elementi formativi finali (tangentocrazia, tan-
gentomane, tangentomania) entrando a far parte di serie paradigmatiche (così come nor-
malmente accade per gli elementi formativi neoclassici). Un criterio empirico per determi-
nare l'avvenuto passaggio di una parola da occasionale elemento iniziale di composto a
vero e proprio elemento formativo consiste, secondo Antonelli 1996, 288, nella possibilità
di formare composti premettendosi a parole (invece che soltanto a elementi formativi).
Secondo tale criterio, tangento- continua a essere una forma modificata della parola tan-
gente e non un vero e proprio elemento formativo fino a quando non compaia in composti
ziale non è determinata dall'elemento finale (cfr. erbivoro / idrovoro, cronometro / colorimetro,
psicogeno / terrigeno). A nostro avviso, la risegmentazione del tipo -icida, -ologia trova giustifi-
cazione solo qualora tali elementi siano reinterpretati come suffissi derivazionali, in quanto altri-
menti la presenza delle vocali i ed o dovrebbe dipendere da regole di inserzione postulate ad hoc.
Tale reinterpretazione, che si configura come il risultato di un processo di grammaticalizzazione,
deve essere motivata da accurati lavori che descrivano l'impiego di ciascuno di tali elementi. In
2.2.8. sono elencati e descritti gli elementi formativi che a nostro giudizio si avvicinano in diversa
misura alle caratteristiche proprie dei suffissi derivazionali.
78 2. Composizione
quali *tangentoscandalo, *tangentopolitica. Un altro criterio che non offre risultati univoci,
in quanto dipende dalla considerazione di valori quantitativi, riguarda l'utilizzo nelle termi-
nologie tecnico-scientifiche: l'impiego ricorrente di una parola modificata nella formazione
di composti tecnico-scientifici tende a equipararla agli elementi formativi neoclassici. Si
pensi, ad esempio, a fungi-, latto-, vermi- (originariamente parole modificate), e ora usati
come elementi formativi in numerosi composti tecnico-scientifici, nonostante l'esistenza
degli elementi sinonimi di origine greca miceto-, galatto-, elminto-.
L'impiego di parole modificate in posizione iniziale di composto assieme ad elementi
formativi dimostra il forte grado di integrazione nel lessico dell'italiano degli elementi che
partecipano a queste strutture, il crescente grado di inserimento del tipo Determi-
nante+Determinato all'interno del sistema compositivo dell'italiano, e l'instabilità del con-
fine che divide le parole modificate dagli elementi formativi. 1
Il ripetuto utilizzo come elemento di composizione favorisce l'avvicinamento di parole
autonome allo status di elemento formativo anche quando impiegate in posizione finale. Si
pensi al caso di terapia, parola usata per formare numerosi composti in combinazione con
elementi formativi iniziali (elettroterapia, elioterapia, fisioterapia, idroterapia, pranotera-
pia) e che è stata impiegata anche in combinazione con parole (sia parole modificate, cfr.
dietoterapia, musicoterapia, sia impiegate nella forma di citazione, cfr. aromaterapia, di-
giunoterapia). Questo impiego di terapia è stato probabilmente favorito dall'origine greca
della parola e dalla terminazione (ia) ricorrente in diversi elementi formativi finali (-scopia,
-logia). Ma si può citare anche l'analogo caso di reazione (parola di origine latina), che
compare in posizione finale in più di una trentina di composti tecnico-scientifici in combi-
nazione con elementi formativi (diazoreazione, fotoreazione, intradermopalpebroreazione),
ma anche con parole modificate (cutireazione, enzimoreazione) e parole (sieroreazione,
cerottoreazione). Ricordiamo qui anche una manciata di parole (ectomia, fobia, fonia, ga-
mia, tassi) che hanno una storia per certi versi opposta a quella di terapia. Si tratta infatti di
parole attestate in italiano come forme autonome solo dopo la loro apparizione all'interno
di composti neoclassici e che esprimono all'incirca gli stessi significati dei corrispondenti
elementi formativi (distinguendosi in ciò dagli accorciamenti, i quali invece esprimono il
significato proprio del composto da cui sono tratti). Si tratta di un processo formativo anco-
ra marginale, ma interessante, giacché riprende l'ordinamento dei composti neoclassici
(Determinante+Determinato) utilizzando però parole della lingua. Fra gli ancora scarsi
esempi di questo recente tipo formativo (cfr. 2.1.2.2.2.1.), segnaliamo calciomercato, cal-
cioscommesse.
Ricordiamo infine altri tipi di elementi non liberi o solo parzialmente liberi, che vengono
da alcuni assimilati agli elementi formativi neoclassici, ma che a nostro avviso è opportuno
mantenere distinti: gli elementi iniziali dei composti V+N e gli elementi finali dei composti
del tipo parola-chiave. I primi condividono con gli elementi formativi neoclassici il fatto di
1
In un articolo pubblicato sulla rivista Musica n. 242, 10, supplemento del quotidiano La Repubbli-
ca dell'8-6-2000, lo scrittore Vincenzo Cerami elenca tra il serio e il faceto alcune discipline dal
sapore spiritualistico e orientaleggiante, tra cui: ipnoterapia, ippoterapia, omeopatia, dietologia,
naturoterapia, grafologia, erbologia, sognologia, riflessologia, naturopatia, tatuaggiofilia, ago-
puntura, aromaterapia. Un elenco ricco di neologismi in cui si può notare l'omologia funzionale
tra parole modificate ed elementi formativi neoclassici all'interno del processo compositivo del ti-
po Determinante+Determinato.
2.2. Composizione con elementi neoclassici 79
essere elementi non liberi, utilizzati in alcuni casi in serie formative piuttosto numerose (es.
apri-, taglia-), ma che hanno caratteristiche affatto distinte per origine, ambito d'uso e tipo
composizionale (cfr. 2.1.2.5.). Gli elementi finali dei composti del tipo parola-chiave (cfr.
2.1.2.1.) utilizzano la ripetizione in serie di un elemento in una posizione fissa, il quale è
impiegato con funzione attributiva, non è declinabile e esprime sensi che coincidono solo
parzialmente con quelli della parola usata autonomamente, differenziandosene per una
maggiore generalità semantica. Si tratta di un tipo formativo che si distingue nettamente da
quello neoclassico per vari aspetti, tra cui i principali sono l'impiego di parole di uso cor-
rente, e soprattutto la struttura di tipo Determinato+Determinante, che consente la possibi-
lità di flessione del primo costituente, la quale avviene regolarmente.
Non hanno alcun tratto in comune con gli elementi formativi neoclassici, se non l'origine
latina e la riconoscibilità a partire da serie paradigmatiche, le radici lessicali che non sono
più disponibili per essere impiegate produttivamente nella formazione di parole nuove e
non hanno in sincronia un significato costante, quali ad esempio *durre e *sistere, indivi-
duabili a partire da serie di parole come addurre, circondurre, condurre, dedurre, edurre,
indurre, introdurre, perdurre, produrre, ridurre, sedurre, tradurre, assistere, consistere,
desistere, esistere, insistere, persistere, resistere, sussistere.
I composti formati con elementi formativi si differenziano dai composti propri dell'italiano
oltre che per l'ordinamento dei costituenti (Determinante+Determinato) per alcune altre
interessanti caratteristiche.
I composti dell'italiano di norma sono non derivabili (cfr. 2.1.7.), i composti con ele-
menti formativi in posizione finale possono invece essere derivati, sia per mezzo di suffissi
usati nelle terminologie tecnico-scientifiche (fra quelli più impiegati: -ia, '-ico, -ite, -osi,
-oso), ma anche da altri suffissi di uso corrente (microfono —» microfonista, sociologia —»
sociologismo), possono inoltre essere base di derivazione per la formazione di verbi (telefo-
no —> telefonare, tecnologia —» tecnologizzare). I composti del tipo Elemento formati-
vo+Parola hanno ancora maggiori possibilità di essere derivati, e con un numero maggiore
e più vario di suffissi (biodegradabile —> biodegradabilità·, fotocopia —» fotocopiare —>
fotocopiatore / fotocopiatrice, fotocopiatura; cicloamatore —> cicloamatorismo, cicloama-
toriale). I composti del tipo Elemento formativo+Parola si differenziano da quelli propri
dell'italiano anche per la più ampia disponibilità a impiegare liberamente parole già deri-
vate (aeronavigabilità, autopropulsività, cardiostimolatore, crioconservazione, ecoconser-
vatorismo), e per la possibilità di formare verbi composti (aerotrainare, aerotrasportare,
teleabbonarsi, teleguidare). Benché i verbi di questo tipo siano ancora di numero limitato,
costituiscono una novità piuttosto importante per il sistema formativo dell'italiano:1 infatti
l'esiguo numero di verbi composti presenti in italiano (benedire, maltrattare) sono di origi-
ne latina o rifatti su tale modello e a lungo non hanno rappresentato un modello produttivo.
I verbi di recente coniazione si distinguono anche per il fatto che l'elemento formativo
È possibile ipotizzare per alcuni di questi verbi un'origine per retroformazione (cfr. 6.), ad esem-
pio da aerotrasportato a aerotrasportare.
80 2. Composizione
iniziale oltre a svolgere la funzione di modificatore avverbiale, così come nei verbi di origi-
ne latina (teleguidare), può svolgere anche quella di complemento indiretto (dattiloscrive-
re).
La plasticità formativa dei composti con elementi formativi è nettamente superiore a
quella dei composti tipici dell'italiano (cfr. 2.1.2.2.1.2.)· Nei composti neoclassici è possi-
bile che un costituente di un composto sia formato da due (o più) elementi formativi in
rapporto coordinativo o subordinativo. Strutture del tipo [[oto rino laringe] iatra], [elettro
[encefalo gramma]] sono del tutto eccezionali anche per i composti italiani i quali di norma
sono formati da due costituenti (cfr. tuttavia [capo [operatori elettricisti]], [gruppo [stu-
denti lavoratori]]). Una conseguenza della grande facilità combinatoria degli elementi
formativi è la lunghezza dei composti formati con essi. Nel GRADIT fra le parole con 14,
13, 12 sillabe si trovano solo composti neoclassici di impiego esclusivamente tecnico-
scientifico (con 14 sillabe colangiocolecistocoledocectomia, con 13 diacetildiossifenilisati-
na, pleuroepicheilognatouranoschisi, con 12 occipitoatlantoidofaringeo)·, il famoso preci-
pitevolissimevolmente è lungo 11 sillabe, ma la grande maggioranza delle parole lunghe
fino a nove sillabe è rappresentata da composti neoclassici.
La gran parte dei composti che hanno un elemento formativo in posizione finale sono
accentati sulla penultima sillaba, mai sull'ultima. Vi è anche un certo numero di elementi
formativi che assegnano l'accento alla sillaba adiacente dell'elemento che li precede (àfo-
no, telèfono, tedescòfono\ epìgrafo, chirògrafo, commediògrafo) formando così parole
accentate sulla terz'ultima sillaba. Tra gli elementi formativi lemmatizzati dal DISC che
hanno questo comportamento abbiamo individuato i seguenti: -bio, il quale se pronunciato
all'interno di un composto è monosillabico, -cero, -chilo (variante di -cheilo), -colo, -crate,
-cromo, -dromo, -fago, -fero, -filo "amore, affinità", -fito, -fobo, -fono, -foro, -fugo, -gamo,
-geno, -gero, -gnato, -gono "generazione", -gono "angolo", -grado, -idro, -lago, -latra,
-lisi, -lito "che si scompone", -logo, -mane, -mero "parte", -metro "misura", -nomo, -paro,
-pede, -peto, -podo, -poli, -poro, -ptero, -scopo, -stato, -stoma, -taco, -tipo, -voro, -xeno,
-xilo.
La terminazione vocalica della generalità degli elementi formativi in posizione iniziale
determina incontri tra vocali all'interno di parola piuttosto atipici per la fonologia
dell'italiano, si pensi a parole come bioalimento, elettroencefalogramma, fotoincisione,
radiooperatore, radioutente, teleelaborazione, triidrato. Vi sono inoltre elementi formativi
che hanno nessi consonantici estranei alla fonologia dell'italiano, e presenti solo in prestiti
non assimilati (gimno-, lepto-, oftalmo-, pieno-, xeno-). A differenza di altre lingue, come
l'inglese e soprattutto il tedesco, in cui gli elementi formativi neoclassici conservano di
norma le caratteristiche fonologiche e grafiche del latino scientifico internazionale, in ita-
liano gli elementi formativi neoclassici hanno in parte subito alcuni fenomeni di assimila-
zione dei nessi consonantici e di riduzione dei dittonghi analoghi a quelli del lessico latino
di tradizione continua. Ciò ha avuto come conseguenza l'esistenza di varianti formali (co-
ino- / ceno- / cheno-, cinesi- / chinesi- / kinesi-, pecilo- / poichilo-) e di casi di omografia.
Si pensi all'omografia enantiosemica di eso- dal gr. ékso "fuori" in esocentrico ed eso- dal
gr. ésô, eisö "dentro" in esotropia (cfr. ingl. exocentric e esotropia). A partire almeno dalla
seconda metà del Novecento, la diffusione della terminologia scientifica internazionale in
lingua inglese ha aumentato il prestigio e favorito la diffusione della grafia latineggiante
degli elementi formativi neoclassici, determinando la preferenza nella terminologia tecnico-
2.2. Composizione con elementi neoclassici 81
scientifica italiana di forme come nieto-, dictio-, elaio-, -ptero, -xilo, rispetto a nitto-, dit-
tio-, eleo-, omonimo di eleo- "palude, palustre" (dal gr. heleio-), -ssilo, -itero.
1
A questo proposito Tollemache 1945, 259 afferma: «Il fatto che in una lingua analitica come
l'italiano, possano attecchire composti sintetici e tematici [...] si è potuto avverare, a parer nostro,
grazie alla somiglianza che esiste tra questi composti e i composti dotti già tradizionali nella nostra
lingua».
82 2. Composizione
I tre tipi formativi si sono rinforzati l'uno con l'altro, in considerazione anche del fatto
che uno stesso elemento formativo può partecipare a composti sia determinativi sia coordi-
nativi (socio- in sociolinguisiica e socioculturale, aero- in aeronavigazione e aeroterre-
stre), che molti composti coordinativi permettono anche una interpretazione semantica di
tipo determinativo (si confronti il composto franco-italiano nel contesto il confine franco-
italiano che richiede un'interpretazione coordinativa "il confine tra Francia e Italia", e nel
contesto un atleta franco-italiano che richiede un'interpretazione determinativa con testa a
destra "un italiano di origine francese"),1 e che la funzione di Determinante dell'elemento
nominale ne consente una interpretazione semantica di tipo aggettivale (elettrotrazione
"trazione elettrica", fotomontaggio "montaggio fotografico").
Gli elementi formativi non vengono accolti nell'uso comune della lingua come elementi
isolati, ma vengono estratti e riutilizzati a partire dalle parole composte in cui sono più
frequentemente impiegati. La diffusione nell'uso comune di un composto neoclassico di
origine tecnico-scientifica non è però condizione sufficiente per l'identificazione degli
elementi formativi che lo costituiscono. Parole come citofono, emorragia, frigorifero, mi-
crofono non sono pienamente analizzabili in costituenti significativi da parte della maggio-
ranza delle persone che le usano. Il contesto più favorevole all'estrazione di elementi di-
sponibili per essere reimpiegati non è infatti quello costituito da composti formati da due
elementi neoclassici, ma quello costituito dai composti formati da un elemento formativo e
una parola. Se è vero che all'interno delle terminologie tecnico-scientifiche non vi è distin-
zione di principio tra elementi lessicali liberi e legati - si possono infatti formare termini
tecnico-scientifici combinando sia due elementi formativi (mielocito), sia una parola pre-
messa a un elemento formativo (craniotomia), sia un elemento formativo premesso a una
parola (emoterapia) - , la presenza di una parola all'interno dei composti di origine tecnico-
scientifica che entrano a far parte dell'uso corrente della lingua è invece un fattore molto
importante per l'individuazione dei componenti, specialmente nel caso in cui la parola ha
funzione di Determinato. L'identificazione di un elemento noto e ben delimitato, rappre-
sentato dalla parola, facilita la comprensione del significato del composto, e di conseguenza
anche l'individuazione dell'elemento formativo con funzione di Determinante, favorendone
il successivo impiego in contesti analoghi. Tra le diverse strutture compositive Elemento
formativo+Parola, Elemento formativo+Elemento formativo, Parola+Elemento formativo è
dunque la prima quella più facilmente segmentabile e interpretabile semanticamente da
parte della generalità dei parlanti.
Quest'ipotesi interpretativa trova sostegno nelle analisi statistiche basate sui neologismi
registrati in dizionari non specialistici nel corso del Novecento, le quali dimostrano come la
diffusione degli elementi formativi nella lingua italiana è andata di pari passo con
l'incremento del loro utilizzo in formazioni del tipo Elemento formativo+Parola. Il numero
di neoformazioni di uso comune di questo tipo ha avuto nel corso del Novecento un forte
incremento sia rispetto alle altre strutture compositive che utilizzano elementi formativi sia
anche rispetto al complesso dei processi di formazione delle parole dell'italiano (cfr. Iaco-
bini / Thornton 1992, che confermano le analoghe tendenze elaborate per il francese da
Dubois / Guilbert / Mitterand / Pignon 1960 e da Peytard 1975).
1
L'interessante volume di Hatcher 1954 mostra come i composti aggettivali coordinativi (un tipo
compositivo affermatosi nel latino usato in Europa nei secoli XVI e XVII) abbiano avuto origine
da composti di tipo determinativo.
2.2. Composizione con elementi neoclassici 83
Gli elementi formativi che si combinano con parole in formazioni della lingua comune
tendono a occupare una posizione fissa all'interno della parola complessa, o finale o, più
spesso, iniziale. 1
La tendenza a occupare una posizione fissa, associata alle caratteristiche di non godere di
autonomia nella frase e di formare serie di parole secondo un modulo ricorrente, ha fatto
propendere alcuni studiosi per l'identificazione dell'insieme degli elementi formativi con
gli affissi. Questa identificazione non è giustificata, dal momento che solo un numero limi-
tato di elementi formativi condividono alcune caratteristiche proprie degli affissi, mentre la
grande maggioranza ha molte caratteristiche in comune con le parole, tra le principali,
quella di poter essere usati sia come elementi iniziali sia come elementi finali di una parola
complessa, di essere basi possibili per la derivazione, di esprimere significati di tipo deno-
tativo, di combinarsi tra loro secondo regole di tipo compositivo.
Le due principali caratteristiche che contraddistinguono gli elementi formativi neoclas-
sici sono l'ambito d'uso e l'allogenicità. Tali criteri danno conto della familiarità che la
generalità dei parlanti ha con il significato e l'impiego degli elementi formativi. Si tratta
evidentemente di proprietà di natura graduale, che perdono però la loro capacità distintiva
proprio nei casi in cui è più dubbia la decisione se un elemento formativo sia entrato a fare
parte organicamente della lingua, cioè quando un elemento formativo si combina con parole
o affissi in un certo numero di formazioni di uso corrente. Nessuno di questi due criteri
permette inoltre di decidere se un determinato elemento rientri nella categoria di affisso o di
parola, né se partecipi a processi di tipo derivazionale o composizionale.
Nei prossimi due paragrafi illustreremo brevemente l'insieme delle caratteristiche che
descrivono il comportamento degli elementi formativi e permettono di valutarli in relazione
con le parole e con gli affissi della lingua italiana.
1
Nei composti neoclassici delle terminologie tecnico-scientifiche vi è invece maggiore mobilità
degli elementi formativi. Si prendano come esempio -bio-, -termo-, correntemente impiegati sia in
posizione iniziale che finale in composti tecnico-scientifici (biologia, xenobio, termogeno, omo-
termo), ma usati solo in posizione iniziale (bioalimento, termocoperta) in combinazione con parole
in formazioni di uso corrente.
2.2. Composizione con elementi neoclassici 85
Le principali caratteristiche che permettono di distinguere gli affissi dagli elementi forma-
tivi sono: posizione, derivabilità, semantica, relazione tra i costituenti all'interno della pa-
rola complessa, delimitabilità.
Posizione: per definizione gli affissi occupano una posizione fissa (iniziale se prefisso,
finale se suffisso), mentre vi sono elementi formativi che possono essere impiegati sia in
posizione iniziale che finale senza rilevanti differenze di significato o di forma {-cromo- in
cromosoma e policromo, -mero- in polimero e meroblastico, -morfo- in isomorfo e morfo-
logia, -podo- in podofillo e scafopodo). Si tratta di un criterio molto forte: un elemento che
può essere sia un costituente iniziale che uno finale di una parola complessa non può essere
considerato un affisso, ma un lessema. Solo i costituenti di composizione (tipicamente i
nomi) possono svolgere la funzione di Determinato all'interno di una parola e quella di
Determinante all'interno di un'altra, mentre in derivazione le parole e gli affissi hanno ruoli
distinti e non scambiabili.
Derivabilità: ogni parola complessa, sia essa derivata o composta, deve contenere al-
meno un lessema. Se una parola complessa è scomponibile in due elementi, e uno di essi è
un affisso (definito in base a criteri indipendenti), l'altro elemento deve essere un lessema e
non un affìsso. Dal momento che non è possibile formare parole di soli affissi, un elemento
formativo che formi parole con un affisso (cerebro-, etno-, ipno-, cfr. cerebrale, etnico,
ipnosi) deve essere considerato un lessema e non un affisso.
Semantica: il criterio semantico dà risultati meno netti dei due precedenti. Si può co-
munque affermare che gli affissi esprimono tipicamente valori di tipo categoriale e rela-
zionale (indicando nozioni quali tempo, spazio, qualità, agentività), che restringono il tipo
di basi con cui si possono combinare, e determinano il tipo di significato espresso dalla
parola complessa. Non si possono considerare affissi, ma lessemi, gli elementi formativi
che esprimono significati di tipo denotativo-lessicale, semanticamente autonomi (-lito-
"pietra", -zoo- "animale"). Elementi con tali caratteristiche, così come i tipici elementi
compositivi, non permettono di formulare restrizioni sul significato degli elementi con cui
possono combinarsi.
Relazione fra i costituenti: all'interno delle parole formate per mezzo di regole si è soliti
distinguere tra formazioni determinative, coordinative ed esocentriche. Di norma gli affissi
partecipano esclusivamente a formazioni di tipo determinativo, le formazioni esocentriche
costituiscono casi sporadici, mentre non è possibile che un derivato abbia una struttura
coordinativa. Tutti e tre i tipi di formazione sono invece possibili in composizione. Al pari
delle parole, molti elementi formativi possono partecipare a formazioni di tipo determina-
tivo (osteopatia, psicologia), coordinativo (agroalimentare, sociopolitico, psicosociale,
sternocleidomastoideo) ed esocentrico (brachicefalo, decapode, indigeno). Gli elementi
formativi che partecipano a composti coordinativi (anglo-italo-sovietico, socioeconomico,
psicopedagogico) o che hanno rapporti di tipo coordinativo all'interno di composti subor-
dinanti (elettroencefalogramma, stenodattilografia) si differenziano quindi nettamente
dagli affissi.
Delimitabilità: mentre gli elementi formativi, così come le parole, costituiscono una lista
aperta che può accogliere nuove forme, gli affissi costituiscono un insieme ben delimita-
bile, se non proprio una lista chiusa.
86 2. Composizione
Vi sono tre caratteristiche principali che distinguono le parole dagli elementi formativi:
produttività, aspetto fonologico, autonomia sintattica. Le prime due sono caratteristiche di
natura graduale.
Produttività: uno stesso elemento formativo può essere usato in molte parole composte
che possono inserirsi in serie associative e sintagmatiche. Anche gli affissi hanno la capa-
cità di partecipare alla formazione di molte parole complesse, tanto che si può parlare di
produttività di un determinato affisso. L'utilizzo di una parola come costituente di compo-
sizione è invece meno sistematico e frequente. In composizione si è dunque soliti fare rife-
rimento alla produttività di un tipo compositivo piuttosto che di un costituente specifico.
Aspetto fonologico: gli elementi formativi terminano di norma con le vocali o ed i, sono
in grandissima parte bisillabici, raramente superano le tre sillabe. Le parole hanno minori
restrizioni di questo tipo (cfr. Thornton / Iacobini / Burani 19972, 92-97).
Autonomia sintattica: gli elementi formativi sono elementi legati, mentre le parole sono
elementi autonomi. Su questa distinzione sono fondati essenzialmente gli argomenti di chi
identifica gli elementi formativi con gli affissi. Occorre innanzitutto ribadire che una forma
non libera non è necessariamente un affisso. Le radici e i temi sono elementi lessicali non
autonomi, ma certamente non identificabili con gli affissi. Molti elementi formativi pos-
sono essere definiti sia da un punto di vista etimologico, ma soprattutto in ragione dei tipi
di formazione a cui prendono parte e del loro contenuto semantico dei temi, cioè elementi
privi dei tratti contestuali necessari per l'impiego nel discorso come parole autonome, e che
necessitano quindi di essere impiegati all'interno di parole complesse.
1
Per più dettagliate proposte di classificazione degli elementi formativi, che mirano a ripartire in
gruppi omogenei un ampio corpus di elementi formativi in base al loro grado di somiglianza con le
parole o con gli affissi, rimandiamo a Masseroli 1994 e al lavoro basato su tecniche di analisi mul-
tidimensionale di Iacobini / Giuliani 2001.
2.2. Composizione con elementi neoclassici 87
parole derivate, esprimono significati di tipo lessicale, formano di norma composti deter-
minativi ma anche coordinativi (-andrò-, -angio-, -antropo-, -bio-, -cardio-, -cinesi-,
-cromo-, -crono-, -dattilo-, -dermo-, -fito-, -geo-, -gioito-, -idro-, -morfo-, -odonto-,
-oftalmo-, -rino-, -termo-, -tipo-, -zoo-).1
Accanto ad essi vi è un ampio numero di elementi formativi che rivelano caratteristiche
di tipo lessicale distribuite in vario modo. Ve ne sono alcuni che esprimono significati di
tipo lessicale, possono essere basi di parole derivate, sono impiegati in posizione solo ini-
ziale, ma hanno una forma corrispondente suffissata impiegata in posizione finale (pato- /
-patia)', altri con le medesime caratteristiche tranne quella di non essere basi di parole deri-
vate (algo- / -algia). Altri che esprimono significati di tipo lessicale, sono basi di parole
derivate, ma sono impiegati in posizione solo iniziale (etno-, flebo-, talasso-) e non hanno
corrispettivi suffissati in posizione finale. Vi sono elementi formativi di origine latina im-
piegati in posizione solo iniziale, mentre il loro sinonimo di origine greca è usato in posi-
zione sia iniziale che finale (maxillo- e -gnato-, sangui- e -emo-), ma lo stesso può accadere
anche tra elementi di origine greca (creato- e -sarco-). Vi sono coppie di elementi formativi
sinonimi uno dei quali deriva da una forma tematica (cromato-, dermato-, emato-) e l'altro
dalla forma corrispondente a quella del nominativo della parola greca di origine, la cui
vocale finale può essere sostituita da una o (croma- / cromo-, derma- / dermo-, ema- /
emo-). In coppie come queste gli elementi formativi di origine tematica occupano esclusi-
vamente la posizione iniziale del composto, mentre quelli corrispondenti al nominativo
possono essere usati sia in posizione iniziale che finale (cromatoforo, cromosoma, policro-
mo, fotocromia).
La determinazione della posizione occupata da un elemento formativo all'interno dei
composti dipende anche dal corpus preso in esame, ad esempio vi sono numerosi elementi
formativi che nel lemmario del DISC sono usati solo in posizione iniziale (bato-, cheiro-,
cino-, copro-, omito-) ma che invece in un lemmario come quello del GRADIT, che com-
prende un maggior numero di formazioni tecnico-scientifiche, sono attestati anche in posi-
zione finale.
Altri elementi di tipo lessicale sono le parole modificate (cfr. 2.2.2.4.) e gli accorcia-
menti (cfr. 2.2.2.2.). Costituiscono un sottogruppo omogeneo i primi elementi dei composti
etnici, premessi di solito a parole (afro-, anglo-, austro-, euro-, franco-, gallo-, indo-, ispa-
no-, italo-, nippo-, in afrocubano, anglofrancese, austroungarico ecc.). Fra gli elementi
formativi di natura lessicale che formano più composti di uso comune in combinazione con
parole vi sono: aero-, auto-, bio-, cine-, eco-, euro-, fanta-, foto-, moto-, narco-, porno-,
psico-, radio-, socio-, tecno-, tele-, video-.
1
Questi elementi formativi se usati in combinazione con parole occupano quasi esclusivamente la
posizione iniziale (biocompatibile, biodiversità, cardiochirurgia, cardiostimolante, cromoterapia,
dermoabrasione, dermoprotettivo, fitoterapista, fitosanitario, geomagnetismo, geosolare, idro-
massaggio, idrosanitario, termocoperta).
88 2. Composizione
Tra gli elementi formativi che occupano esclusivamente la posizione iniziale, ve ne sono
alcuni che svolgono unicamente la funzione di determinante in costruzioni sia endocentri-
che (endocarpo) sia esocentriche (eterodattilo), non sono quindi mai testa (neanche soltanto
semantica) e non possono formare composti coordinati. Non possono essere base di deriva-
zione, ed esprimono tipicamente valori semantici di tipo relazionale che danno indicazioni
riguardanti la posizione (ecto-, endo-, eso-, meso-, peri-), la temporalità (archeo-, vetero-),
la quantità (emi-, equi-, omni-, panto-), il numero (uni-, mono-, bi-, tri-). Gli elementi di
questo gruppo derivano da avverbi e preposizioni (ecto-, endo-, emi-, tele-), da aggettivi
(equi-, etero-, paleo-) e da numerali.
Fra gli elementi formativi che fanno parte di questo gruppo ricordiamo: acro-, allo-,
ana-, aniso-, apo-, archeo-, bi-, deca-, deci-, deutero-, di-, duo-, cata-, ceno-, centi-, ecto-,
emi-, endo-, epi-, equi-, eso-, etero-, ipso-, iso-, meso-, milli-, mono-, oligo-, olo-, omeo-,
omni-, omo-, opisto-, orto-, paleo-, pan-, panto-, penta-, peri-, pleio-, plesio-, pro-, proto-,
pseudo-, quadri-, tauto-, tele-, tetra-, tri-, uni-, vetero-.
Gli elementi formativi con significato numerale, quali mono-, uni-, di-, bi-, tri-, quadri-,
tetra-, penta- ecc., costituiscono un sottogruppo omogeneo. Sono usati nella formazione di
sostantivi (spesso esocentrici) e aggettivi (specialmente denominali invariabili) sia di uso
comune sia di impiego tecnico-scientifico (monocamera, monolito, unicamerale, unigenito,
bidirezionale, diglossia, tricamere, triblastico, quadrireattore, tetracero, pentaedro, penta-
partito). Ovviamente, questi elementi non costituiscono un inventario chiuso, essendo la
serie dei numeri potenzialmente infinita. Si può comunque notare che la quantità di forma-
zioni di uso comune e di neologismi è in rapporto di proporzione inversa con la quantità
numerica espressa dall'elemento formativo: gli elementi più usati per formare parole nuove
della lingua comune sono infatti mono-, uni-, bi- e tri-. Vi è anche una correlazione con la
lingua di origine: gli elementi di origine greca sono usati di preferenza in formazioni tecni-
co-scientifiche, ciò si può notare specialmente nel caso di coppie sinonimiche come bi- e
di-, quadri- e tetra-. Menzioniamo qui anche un altro insieme di elementi che hanno origine
da aggettivi numerali greci e latini. Si tratta degli elementi impiegati nei sistemi di misura-
zione, quali ad esempio deca / deci, etto / centi, chilo / milli ecc., che rispettivamente molti-
plicano e dividono per dieci e multipli di dieci termini che designano unità di misura.
Gli elementi formativi di questo gruppo si differenziano per molte caratteristiche dagli
elementi formativi di tipo lessicale, e sono quelli che più si approssimano ai prefissi.
L'impiego davanti a parole in numerose formazioni di uso comune e il tipo di significati
espressi hanno provocato processi di grammaticalizzazione che a nostro avviso giustificano
l'inserimento nel novero dei prefissi di elementi come auto- "da sé", iper-, ipo-, macro-,
mega-, meta-, micro-, multi-, neo-, para-, pluri-, poli- benché siano impiegati anche in
terminologie tecnico-scientifiche e siano attestati in diverse formazioni di tipo esocentrico
(cfr. anche, in questo senso, Warren 1990, 124).
Fino all'inizio del Novecento, le parole formate da un elemento di derivazione avver-
biale o aggettivale premesso a un sostantivo o a un aggettivo erano molto poche, e utilizzate
soprattutto in domini specialistici (tra gli esempi di più antica attestazione, si possono citare
monosillabo av. 1406 e pseudoprofeta av. 1561). Del resto il tipo formativo non è caratteri-
stico neanche del latino, ha infatti avuto origine dall'accoglimento o adattamento di compo-
2.2. Composizione con elementi neoclassici 89
1
Si vedano al proposito Oniga 1988, 128-129 e Robl 1984,134.
2
Sulla distinzione delle nozioni di testa semantica e sintattica in composizione si vedano Crocco
Galèas / Dressler 1992,11 e, per quanto riguarda la derivazione, Scalise 1984a, 195-196.
3
Gli elementi formativi -logo, -nomo e -grafo sono usati in posizione iniziale con diverso signifi-
cato rispetto a quello che esprimono in posizione finale: in posizione iniziale logo- ha il significato
"parola" (logopedia), nomo- "legge, regola" (nomografia), grafo- ha il significato "scrittura",
mentre in posizione finale -logo e -nomo indicano l'esperto o lo studioso di una disciplina (filolo-
go, agronomo), -grafo indica prevalentemente una persona che scrive o disegna (dattilografo), uno
strumento che segnala e registra con segni grafici una serie di dati (cronografo, sismografo), più
raramente un tipo di scritto (autografo, olografo). L'elemento formativo -scopo è usato anche in
posizione iniziale in un numero limitato di termini di ambito psicologico, con il significato "guar-
dare, osservare" (scopofilia). Gli elementi formativi -fobo, -geno, -nomo sono riconducibili solo
indirettamente a verbi.
90 2. Composizione
-grafo / -grafia / -grafico, -logo / -logia / -logico, -scopo / -scopia / -scopico, in parole
come burocrate / burocrazia / burocratico, aerografo / aerografia / aerografìco, geologo /
geologia / geologico, demoscopo / demoscopia / demoscopico. Si tratta di serie paradigma-
tiche (ampiamente utilizzate sia nei linguaggi tecnico-scientifici che in parole della lingua
comune) nelle quali i nomi non suffissati indicano un agente (burocrate, demoscopo, geo-
logo) o uno strumento (aerografo), quelli suffissati in -ia indicano un'azione, un'attività,
uno stato, una qualità (burocrazia, geologia), o anche l'oggetto, il risultato dell'attività
(aerografia), mentre gli aggettivi in '-ico si riferiscono di norma ai nomi in -ia (cfr.
1.2.2.3.)· Le stesse relazioni semantiche e formali si possono stabilire anche tra parole for-
mate con elementi formativi di valore agentivo e strumentale che si differenziano per alcu-
ne caratteristiche da quelli del tipo -crate, -logo. Si pensi ad elementi formativi come -filo-,
-fono-, -metro- (goniometro, goniometria, goniometrico; telefono, telefonia, telefonico), i
quali non derivano da verbi, e possono essere impiegati anche in posizione iniziale, mentre
non tutti gli elementi formativi del tipo -crate, -logo possono prendere parte a tali serie
paradigmatiche (-fugo, -grado, -paro, -voro). Possono inoltre essere suffissati con -ia e '-ico
anche un numero indefinito di elementi formativi di origine nominale che esprimono i più
diversi significati, e che sono impiegati sia in posizione solo iniziale (algo-, freno-, cfr.
nevralgia / nevralgico, schizofrenia / schizofrenico) che in posizione sia iniziale sia finale
nella formazione di nomi e aggettivi (-andrò-, -cardio-, -cefalo-, -termo-, cfr. poliandria /
poliandrico, bradicardia / bradicardico, macrocefalia / macrocefalico, geotermia / geo-
termico).
Gli elementi formativi con significato agentivo e strumentale (in genere accompagnati
dalle corrispettive forme in -ia e '-ico) sono tra gli elementi formativi adoperati in posizione
finale quelli più impiegati in combinazione con parole in composti di uso corrente. 1 Qui di
seguito ne descriveremo succintamente i tipi di impiego e i significati più diffusi.
La coppia -logo / -logia è quella che di gran lunga conta più parole di uso comune. I so-
stantivi terminanti in -logia indicano una disciplina, una trattazione, uno studio sistematico
riguardante l'argomento specificato dal costituente iniziale, quelli in -logo lo studioso, lo
specialista di quella disciplina. Tra le numerose formazioni in cui -logo e -logia si combi-
nano con parole: diabetologo / -ia, dietrologo / -ia, infettivologo / -ia, massmediologo / -ia,
museologo / -ia, musicologo / -ia, neonatologo / -ia, politologo / -ia, sindonologo / -ia,
sovietologo / -ia, tossicologo / -ia, tuttologo / -ia. Si osservi come la struttura morfologica
non corrisponda a quella semantica; è infatti il sostantivo suffissato in -ia che di norma
costituisce la base semantica del nome di agente o di strumento: un paleoantropologo non è
1
L'impiego e il significato di questi elementi li rende quelli con più caratteristiche in comune con i
suffissi derivazionali, tanto che alcuni studiosi, adottando un punto di vista rigorosamente sincro-
nico, considerano tutti o parte di questi elementi formativi come dei veri e propri suffissi. Tra le
non poche conseguenze di questa opzione vi è la necessaria integrazione delle vocali o od i nella
forma del suffisso (es. -icida, -icolo, -ocrate, -ornane), e, soprattutto, l'onere di giustificare,
all'interno delle parole con una medesima terminazione e interpretazione semantica, la distinzione
fra composti (sia tratti dalle lingue classiche sia neoclassici), formazioni analogiche sul modello
delle lingue classiche, e derivati per suffissazione; l'identificazione di un suffisso richiede inoltre
di ricostruire le condizioni che hanno favorito la sua risegmentazione, come pure di descrivere le
sue specifiche caratteristiche di impiego.
2.2. Composizione con elementi neoclassici 91
La stessa dissimetría fra relazione formale e semantica si ripete per tutte le coppie di elementi
formativi con significato agentivo strumentale e i corrispettivi suffissati in -ia.
2
I nomi di agente si formano di norma per mezzo del suffisso -ista (cronometrista), mentre geome-
tra rappresenta un caso isolato.
3
L'alternanza della forma si può spiegare anche con il fatto che -metro consente una certa variabi-
lità della vocale finale del primo costituente: in circa tre quarti dei composti attestati è o, mentre
nel restante quarto è i (calorimetro, densimetro, esposimetro, voltimetro)·, eccezionale nella forma
e nella composizionalità semantica la parola tassametro.
92 2. Composizione
usato anche in posizione iniziale con il significato "misura, misurazione" in termini esclu-
sivamente tecnico-scientifici.
I sostantivi in -fonia fanno riferimento al suono, alla voce, e sono molto numerosi nelle
terminologie tecnico-scientifiche. Fra le poche parole di uso comune: dialettofonia, polifo-
nia, radiofonia, stereofonia, telefonia. L'elemento formativo -fono serve a formare numero-
si nomi di strumento di ambito tecnico-scientifico, ma anche alcuni di uso corrente (citofo-
no, sassofono, telefono)·, è attestato in combinazione con parole solo in una manciata di
formazioni di coniazione recente, in cui indica persona che parla una determinata lingua
(dialettofono, grecofono, tedescofono). In posizione iniziale fono- ha il valore "voce, suo-
no", ed è utilizzato principalmente nelle terminologie tecnico-scientifiche, fra le poche
parole di uso non specialistico, fonografo e fonovaligia.
Le parole terminanti in -fobia (cfr. anche 5.1.2.1.2.1.3.) esprimono paura, ripugnanza,
avversione morbosa, antipatia, intolleranza per ciò che è indicato dal costituente iniziale del
composto. Tra le parole di impiego corrente vi sono claustrofobia, esterofobia, xenofobia.
Le parole in -fobo indicano chi ha paura o chi è contrario, prova avversione per qualcosa o
qualcuno, e sono meno numerose di quelle in -fobia. Tra le poche parole autonome con cui
-fobo e -fobia si combinano vi sono alcuni aggettivi etnici (slavofobia, tedescofobo).
A differenza di -fobo, -filo partecipa a numerosi composti di uso comune in combinazio-
ne con parole. Oltre che in posizione finale (bocciofdo, calciofilo, cinefilo, discofilo, gatto-
filo, idrofilo, russofilo, tedescofilo), è usato anche in posizione iniziale premesso ad agget-
tivi di relazione e a nomi che si riferiscono per lo più a popoli, a posizioni culturali, ideolo-
giche, politiche, per indicare affinità, simpatia per una posizione, per un principio, o anche
chi sostiene tale posizione, tale principio (filoamericano, filocomunista, filoliberale, filona-
zismo, filonucleare). I sostantivi in -filia (cfr. anche 5.1.2.1.2.1.3.) sono usati quasi esclusi-
vamente nelle terminologie tecnico-scientifiche, fra le poche parole di uso comune: estero-
filia, cinefilia, pedofilia.
Nelle terminologie tecnico-scientifiche i composti terminanti in -mania (cfr. Fanfani
1986 e anche 5.1.2.1.2.1.3.) superano in numero quelli in -mane. Tra i composti con ele-
menti formativi più diffusi nell'uso: megalomania, ninfomane, piromane. Sia -mania che
-mane sono utilizzati in combinazione con parole autonome in composti di uso corrente, in
cui -mane indica chi è affetto da una dipendenza patologica o ossessiva, da una forte pas-
sione, da un'attrazione irresistibile, ed è quindi usato talvolta per indicare un grado più alto
rispetto a quello indicato con -filo (acquamania, farmacomania, convegnomania, fumetto-
mania, calciomane, cocainomane, eroinomane, mitomane, tossicomane).
Le parole in -crazia (cfr. anche 1.2.2.3.) superano di numero quelle in -crate sia nei
composti con parole autonome sia in quelli con elementi formativi. Indicano l'autorità, il
potere esercitati da o per mezzo di quanto specificato dal primo costituente. Molte di esse (a
cominciare da democrazia), non hanno un corrispondente in -crate (tra esse: apparatocra-
zia, correntocrazia, computercrazia, lentocrazia, meritocrazia, partitocrazia, videocrazia),
sono invece di norma accompagnate dall'aggettivo terminante in -cratico. Fra le formazioni
più recenti con -crate: eurocrate, fallocrate, partitocrate, tangentocrate.
Le parole terminanti in -latria (cfr. anche 5.1.2.1.2.1.3.) indicano il culto, l'adorazione di
ciò che è denotato dal costituente iniziale. Sono attestati una ventina di composti, tra cui
bibliolatria, statolatria. Con -latra si formano aggettivi e nomi di agente (idolatra)', è pos-
sibile anche formare aggettivi terminanti in '-ico (idolatrico).
2.2. Composizione con elementi neoclassici 93
Con il valore "studio dell'insieme di regole che governano un ambito, una struttura, un
sistema", l'elemento formativo -nomia è impiegato nella denominazione di alcune disci-
pline (astronomia, economia, gastronomia). Lo specialista di queste discipline è di norma
indicato con l'elemento formativo -nomo (astronomo, gastronomo), fa eccezione economi-
sta (mentre economo come sostantivo significa "chi amministra le spese" e come aggettivo
equivale a "parsimonioso"). Altri significati espressi da questi elementi formativi sono
ristretti all'ambito tecnico-scientifico.
I composti con -geno sono molto numerosi e diffusi sia nelle terminologie tecnico-
scientifiche sia nella lingua comune. Si tratta di aggettivi spesso sostantivati, in cui -geno
significa "che genera, che produce" (allucinogeno, cancerogeno, criminogeno, elettrogeno,
erogeno, lacrimogeno, riflessogeno, schiumogeno), "che è generato" e quindi "origine,
nascita" (allogeno, indigeno)} Gli aggettivi terminanti in -genico, sono in genere sinonimi
di quelli in -geno, ad eccezione di transgenico e pochi altri. L'elemento formativo -genico
ha sviluppato il significato secondario "che si presta a essere riprodotto" testimoniato da
formazioni come fotogenico, telegenico. I sostantivi formati con -genia (cfr. anche
5.1.2.1.2.1.3.) e -genesi sono tutti di impiego specialistico, ad eccezione di fotogenia e
telegenia, semanticamente riconducibili ai corrispondenti aggettivi in -genico.2 Ristretti
all'ambito tecnico-scientifico i composti con -paro (oviparo, primipara, sudoriparo, vivi-
paro), che forma aggettivi in cui esprime il significato "che genera, che partorisce".
L'elemento formativo -grado è impiegato con il valore che cammina, che si muove per
mezzo o in direzione di quanto indicato dal costituente iniziale del composto (anterogrado,
digitogrado, plantigrade, unguligrado). L'unica parola di uso comune è retrogrado.
L'elemento formativo -scopia ha il significato "osservazione, esame" ed è usato in com-
posti di impiego esclusivamente tecnico-scientifico, i cui costituenti iniziali si riferiscono
principalmente a fenomeni fisici o a organi del corpo umano (broncoscopia, gastroscopia),
gli aggettivi corrispondenti terminano in -scopico. L'elemento formativo -scopo è utilizzato
per formare nomi di agente, -scopio per formare il nome dello strumento impiegato per
l'osservazione. Fra i pochi composti di uso comune, vi sono caleidoscopio, microscopio,
periscopio, telescopio.
L'elemento formativo -fero forma numerosi composti di ambito tecnico-scientifico in
combinazione con altri elementi, in cui esprime il significato "che porta, che produce".
Nonostante le non poche parole di uso corrente (calorifero, fiammifero, frigorifero, mam-
mifero, pestifero, sonnifero, soporifero), non sono attestati neologismi di uso corrente in
combinazione con parole. Ancora più ristretto all'ambito tecnico-scientifico, -foro, le cui
sole formazioni di uso corrente sono fosforo, necroforo, semaforo.
L'elemento formativo -fugo forma una dozzina di aggettivi, alcuni dei quali sostantivati,
in cui esprime i significati "che mette in fuga, combatte, elimina" (callifugo, febbrifugo,
grandinifugo, ignifugo, insettifugo, tossifugo, vermifugo, zanzarifugo)', ristretto all'ambito
tecnico-scientifico il significato "che si allontana, fugge da" (centrifugo, lucifugo, nidifu-
go). I composti in -fugo non costituiscono base per aggettivi in '-ico né per nomi di qualità
suffissati.
Con l'elemento formativo -cida si formano nomi e aggettivi il cui primo costituente in-
dica ciò o chi viene ucciso, eliminato. Si possono distinguere due sottogruppi: uno, di am-
bito giuridico, le cui basi derivazionali sono in grande maggioranza nomi di persone, la
parola di uso più frequente è omicida, fanno parte di questo gruppo fratricida, matricida,
regicida, uxoricida e anche liberticida, sebbene la base sia un nome astratto. L'altro sotto-
gruppo è formato in prevalenza da termini della chimica, e ha come basi nomi che designa-
no entità concrete (specialmente piante e parassiti): erbicida, funghicida, germicida, sper-
micida, topicida, zanzaricida. La corrispettiva formazione nominale in -cidio è di norma
riservata per indicare un atto criminale o efferato, ed è quindi usata quasi esclusivamente in
riferimento agli aggettivi del primo gruppo; non hanno corrispondenti in -cidio quelle for-
mazioni che attraverso la sostantivazione dell'aggettivo indicano una sostanza o uno stru-
mento (insetticida). Il sostantivo genocidio non ha un corrispettivo in -cida. Non sono atte-
stati aggettivi derivati.
L'elemento formativo -colo serve a formare aggettivi, alcuni dei quali sostantivati, che
designano una persona, un animale o altro organismo che vive nell'ambiente specificato dal
costituente iniziale del composto (acquicolo, cavernicolo, nidicolo, palafitticolo, praticolo),
oppure, con funzione relazionale, fanno riferimento alla coltivazione o all'allevamento
delle piante o degli animali indicati dal costituente iniziale (caffeicolo, cerealicolo, frutti-
colo, pioppicolo, piscicolo, risicolo). Il nome dell'attività corrispondente si ottiene impie-
gando l'elemento formativo -coltura (agrumicoltura, fienicoltura) e il corrispettivo nome di
agente si ottiene di norma con l'elemento formativo -coltore (apicoltore, anguillicoltore,
maiscoltore).
L'elemento formativo -voro forma un ridotto numero di aggettivi, alcuni dei quali so-
stantivati, in cui esprime i significati "che mangia, che si nutre" (carnivoro, erbivoro, gra-
nivoro, onnivoro), o anche "che aspira, che assorbe" (fumivoro, idrovoro). E usato in senso
figurato nel neologismo pubblivoro (a. 1987) da pubblicità) in contesti come spettatore
televisivo pubblivoro. I composti in -voro non costituiscono base per aggettivi in '-ico né
per nomi di azione suffissati. Ha significato analogo -fago (con il corrispondente -fagia) il
cui impiego è ristretto all'ambito tecnico-scientifico (batteriofago, ematofago, xilofago).
L'elemento formativo -mante è usato con il significato "indovino" in una manciata di so-
stantivi, i più comuni dei quali sono cartomante e chiromante. Poco più numerosi i sostan-
tivi in -manzia, di norma accompagnati da aggettivi terminanti in -mantico.
Poco numerosi sono anche i sostantivi formati con -nauta "navigatore": astronauta, co-
smonauta, cybernauta, internauta "navigatore in Internet", motonauta. Gli aggettivi corri-
spondenti terminano in '-ico (aeronautico), da cui si ricava via conversione (cfr. 7.2.2.1.2.)
il nome della scienza corrispondente (aeronautica).
Fra gli elementi formativi che occupano esclusivamente la posizione finale svolgendo
unicamente la funzione di testa ve ne sono alcuni che formano nomi di luogo (cfr. 5.1.1.3.).
Tra essi, -comio si combina esclusivamente con elementi formativi (manicomio, nosoco-
mio)·, mentre -teca, oltre a essere impiegato col significato "raccolta, collezione" (cineteca,
mediateca, nastroteca, videoteca), ha da un paio di decenni grande fortuna nella formazione
di nomi di negozi ed esercizi commerciali (angurioteca, discoteca, minestroteca, paninote-
ca, scarpoteca). L'elemento formativo -dromo, il quale può essere impiegato anche in ter-
mini tecnico-scientifici sia in posizione iniziale che finale con i significati "corsa, movi-
mento, velocità" (anadromo, dromogramma), dal significato originario "luogo dove si
effettua una corsa" (ippodromo) ha sviluppato anche quello di "pista" (aerodromo) e re-
2.2. Composizione con elementi neoclassici 95
I prefissi dell'italiano sono affissi derivazionali che si premettono a parole. Sono usati prin-
cipalmente per formare parole nuove che si distinguono per significato dalla base, e che ap-
partengono alla stessa categoria sintattica (es. bloccare —» sbloccare, fedele —> infedele, na-
zionale —> internazionale, conformismo —> anticonformismo)·, possono esprimere anche
valori alterativi (sia diminutivi: abito —• miniabito, sia, soprattutto, accrescitivi e intensifi-
cativi: schermo —> maxischermo, eroe —> supereroe).' In italiano non ci sono prefissi con
funzione flessiva.2
La prefissazione è un procedimento formativo molto produttivo, solo la suffissazione
forma un maggior numero di neologismi (cfr. Iacobini / Thornton 1992). Le parole prefis-
sate sono molto numerose, e sono largamente presenti nel lessico comune e in quello di più
alta frequenza (ad esempio, circa il 50% dei verbi del vocabolario di base dell'italiano con-
tengono un prefisso, cfr. Thornton / Iacobini / Burani 1994 [1997 2 ]), ma sono impiegate an-
che in registri elevati e in terminologie specialistiche.
Dal punto di vista teorico, la classificazione delle parole prefissate è una questione che
presenta tuttora profonde divergenze di opinione. Non vi è infatti un giudizio unanime sul
considerare i prefissi come degli affissi derivazionali (così come i suffissi) oppure degli
elementi lessicali, e, di conseguenza, nel considerare la prefissazione un processo di tipo
derivazionale oppure compositivo. 3 La mancanza di accordo teorico sulla classificazione
della prefissazione in relazione agli altri processi di formazione delle parole si riflette anche
sul piano descrittivo. Vi sono infatti notevoli discrepanze tra le principali opere di riferi-
mento riguardanti la morfologia e il lessico dell'italiano su quali elementi considerare pre-
fisso; i prefissi indicati in ciascuna opera variano infatti da circa una quarantina a circa una
novantina di elementi (varianti incluse), e vi è consenso unanime solo su di una dozzina di
essi (cfr. Iacobini 1999, 374-375).
Noi riteniamo che i prefissi sono degli affissi (e non delle parole) e che la prefissazione è
un procedimento derivazionale (e non compositivo). Nei prossimi paragrafi giustificheremo
le nostre affermazioni criticando gli argomenti di chi identifica la prefissazione con la com-
posizione (3.1.-3.1.2.), e, anche grazie a un confronto con la suffissazione, dimostreremo lo
status di affissi derivazionali dei prefissi dell'italiano (3.2.-3.2.1.1.).
1
Per un quadro di insieme dei significati espressi dai prefissi, cfr. 3.7.
2
Le affermazioni e le generalizzazioni contenute in questo capitolo (se non altrimenti indicato)
riguardano i prefissi della lingua italiana. Sebbene meno diffusi dei suffissi, ed usati principal-
mente in lingue con ordine basico VO, in molte lingue i prefissi hanno funzione flessiva (ad esem-
pio nei verbi delle lingue semitiche o nei nomi delle lingue bantu), e possono essere impiegati con
funzione derivazionale per formare parole con categoria sintattica diversa da quella della base (cfr.
Hawkins / Gilligan 1988; Hall 2000).
3
Per una schematica presentazione delle diverse proposte riguardo alla classificazione della prefis-
sazione all'interno della linguistica contemporanea, cfr. Iacobini 1999, 371-374, dove si evidenzia
come vi siano divergenze anche fra studiosi appartenenti a una stessa impostazione teorica.
100 3. Prefissazione
Come abbiamo visto in 2.2.5.-2.2.8., vi sono numerose e importanti differenze tra gli affìssi
derivazionali e gli elementi formativi neoclassici, come pure tra i procedimenti derivazio-
nali e quelli composizionali a cui prendono parte gli elementi formativi neoclassici. In con-
seguenza di ciò non è possibile considerare l'insieme degli elementi formativi neoclassici e
i prefissi come facenti parte di una stessa categoria, né è possibile sostenere che vi sia uno
stesso processo che dia origine alle parole prefissate e ai composti neoclassici. Le analogie
strutturali tra le parole prefissate e i composti neoclassici riguardano solo un sottoinsieme
di essi, cioè quelli in cui un elemento formativo si premette a una parola, la quale costitui-
sce la testa semantica e sintattica della parola complessa (es. idromassaggio, psicofarmaco,
esoscheletró). Fra gli elementi formativi che sono impiegati in questo tipo di formazione, la
stragrande maggioranza si distingue nettamente dai prefissi sia per capacità combinatorie
sia per i tipi di significato espressi. Ad esempio, idro- e psico- possono sia essere base di
derivazione (idrico, psichico) sia essere usati anche nella formazione di composti coordinati
{idrosalino, psicosociale), due tipi di impiego assolutamente estranei alla prefissazione (cfr.
2.2.5.1.). Le somiglianze tra prefissi ed elementi formativi si riducono dunque a quel pic-
colo numero di elementi che, premessi a parole, occupano esclusivamente la posizione
3.1. Differenze tra prefissazione e composizione 101
Le preposizioni si differenziano dalle altre categorie sintattiche che prendono parte a regole
di formazione delle parole (nomi, aggettivi, verbi) per diverse caratteristiche che le acco-
munano ai prefissi: quella di esprimere significati di tipo relazionale, quella di non poter
essere base né di derivazione né di flessione, quella di costituire un inventario ristretto,
quella di occupare esclusivamente la posizione iniziale all'interno della parola complessa.
Le affinità fra preposizioni e prefissi sono evidenti nel fatto che per ben otto delle nove
preposizioni cosiddette proprie o monosillabiche dell'italiano (di, a, da, in, con, su, per, tra,
fra) c'è un prefisso uguale o simile per forma e paragonabile per significato (cfr. le preposi-
1
Per argomenti a sostegno di tale distinzione cfr. Migliorini 19633e, Nencioni 1987.
2
Si tratta degli elementi che, a nostro giudizio, pur non essendo al momento del tutto assimilabili ai
prefissi, sono fra i più probabili candidati ad assumere un tale status.
102 3. Prefissazione
zioni a, con, in, per e parole prefissate come accorrere, concorrere, incorrere, percorrere);
solo la preposizione da non ha un prefisso corrispondente.
Il riconoscimento di alcune innegabili caratteristiche in comune fra preposizioni e pre-
fissi non giustifica a nostro avviso le posizioni di chi, anche recentemente (cfìr. Zwanenburg
1997), restringe a casi marginali (o addirittura nega) l'esistenza dei prefissi, assimilandoli
alle preposizioni.
Nei moderni studi sulle lingue romanze, l'assimilazione dei prefissi alle preposizioni ha fra i primi e
più autorevoli assertori A. Darmesteter, il quale riconosce un ruolo specifico ai prefissi solo nelle
formazioni parasintetiche, mentre considera la generalità delle parole prefissate come dei composti
(cfr. Darmesteter 18942). Darmesteter arriva a tali conclusioni seguendo un ragionamento che può
essere riassunto nei seguenti termini: essendo i prefissi uguali alle preposizioni, essendo le preposi-
zioni delle forme libere, essendo i composti parole formate da due forme libere, allora le parole con
prefissi sono dei composti.
Come vedremo, la posizione di chi assimila i prefissi alle preposizioni presenta diversi
punti deboli. Le conclusioni a cui arriveremo sono che, nonostante la parentela etimologica
fra preposizioni e alcuni prefissi (che determina la condivisione di alcune caratteristiche), i
prefissi e le preposizioni formano due categorie distinte, e i processi formativi a cui pren-
dono parte sono diversi: i prefissi formano derivati endocentrici, le preposizioni un parti-
colare tipo di composti esocentrici.
Da un punto di vista etimologico, è vero che molti prefissi italiani hanno origine (diretta
o indiretta) da preposizioni latine e greche (es. anti-, de-, infra-, meta-, super-), in genere
già usate nelle lingue classiche per la formazione di parole complesse. E vero anche che
nelle lingue classiche, mentre i suffissi erano elementi che avevano concluso il loro proces-
so di grammaticalizzazione, ed erano quindi usati esclusivamente come forme legate senza
equivalenti tra le forme libere della lingua, i prefissi erano meno coesi con le parole a cui si
univano,1 e vi erano evidenti rapporti fra le preposizioni correntemente impiegate nella
costruzione di sintagmi e alcuni fra i prefissi impiegati nella formazione di parole comples-
se.
Pur rimanendo in una prospettiva etimologica, vi sono però diversi motivi che non per-
mettono l'identificazione fra preposizioni e prefissi dell'italiano: (a) Innanzitutto vi sono
diversi prefissi che non sono riconducibili a preposizioni (es. a- "privativo", dis-, ri-, maxi-,
mini-, semi-); (b) Vi sono prefissi italiani che sono riconducibili a preposizioni latine o
greche (es. anti-, de-, infra-, meta-, pre-, post-), ai quali non corrisponde alcuna pre-
posizione italiana; (c) Se è vero che vi sono prefissi italiani riconducibili a preposizioni gre-
che o latine, non necessariamente è vero il contrario: diverse preposizioni delle lingue clas-
siche non sono mai state impiegate in italiano per formare parole di uso comune; tuttalpiù
Si veda Cuzzolin 1995, che reinterpreta fenomeni del verbo latino tradizionalmente spiegati con la
figura della tmesi come il residuo di una situazione arcaica, in cui il processo di grammaticalizza-
zione consistente nella riduzione di sintagmi con originario valore spaziale ad adposizioni e poi ad
affissi non aveva ancora raggiunto il suo stadio conclusivo. Sull'origine dei prefissi verbali si ve-
dano anche Miller 1993, specialmente 117-140, e Rousseau 1995.
3.1. Differenze tra prefissazione e composizione 103
sono state impiegate in combinazione con elementi formativi neoclassici nella formazione
di termini di ambito tecnico-scientifico (es. anfi-, cata-, peri-), anche nei casi in cui espri-
messero tipi di significato espressi anche dai prefissi (cfir. rispettivamente apo- e opisto-
con i prefissi dis- e retro-).
Ancora più probanti sono i fattori di ordine sincronico che determinano la distinzione fra
le due categorie: (a) I prefissi omografi delle cosiddette preposizioni proprie sono di scarsa
o nulla produttività nell'italiano contemporaneo. I prefissi di-, per-, fra-, tra- non sono più
produttivi; ad- e in- sono usati esclusivamente per la formazione di verbi parasintetici (nei
quali peraltro l'originario valore locativo è assente o assolutamente marginale, cfr. 4.1.4.-
4.1.5.); su- è quasi del tutto improduttivo e si premette unicamente ad aggettivi deverbali,
non a nomi (es. suddetto, summenzionato)', il prefisso con- è scarsamente usato, gli è prefe-
rito co-; (b) Le preposizioni normalmente precedono un sintagma nominale, mentre i prefis-
si (anche quelli di origine preposizionale) sono premessi oltre che a nomi, ad aggettivi e a
verbi (es. ammettere, contendere, internazionale, percorrere, superdotato). L'uso dei pre-
fissi davanti a parole di categoria diversa da nome distingue quindi nettamente le capacità
combinatorie dei prefissi da quelle delle preposizioni; (c) I tipi di significato espressi dalle
preposizioni e dai prefissi coincidono solo parzialmente. Il punto di contatto è dato dai
significati locativi e temporali, ma sia le preposizioni sia i prefissi esprimono tipi di signifi-
cato che l'altra categoria non può esprimere. Ad esempio, le preposizioni italiane esprimo-
no significati come quello strumentale o agentivo estranei alle possibilità dei prefissi, men-
tre questi ultimi (a differenza delle preposizioni) possono esprimere la quantificazione
(semi-, multi-), l'intensificazione (iper-, super-), la dimensione (mega-, maxi-), la ripetizio-
ne (ri-). A riprova della differenziazione semantica fra prefissi e preposizioni, è interessante
notare che alcuni prefissi di origine preposizionale (es. de-, s-) hanno sviluppato (a partire
da originari valori locativi) significati di tipo privativo, negativo, reversativo; (d) I prefissi a
cui corrisponde una preposizione omografa hanno caratteristiche semantiche e distribuzio-
nali del tutto analoghe a quelle dei prefissi a cui non corrisponde alcuna preposizione (si
pensi ai prefissi di- e de-, sotto- e sub-, tra- e inter-Untro-, contro- e contra-, sopra- e so-
vra·). E opportuno ricordare che i prefissi intrattengono una fitta serie di relazioni sinoni-
miche e antonimiche, e sarebbe quindi implausibile distinguere i prefissi in due diverse
categorie in relazione alla corrispondenza o meno con una preposizione.
Prendiamo ora in esame la relazione fra la prefissazione e la formazione di parole tramite
le cosiddette preposizioni improprie o polisillabiche. Si tratta di un numero circoscritto di
elementi bi o trisillabici per lo più di origine avverbiale (dentro, fuori, dietro), ma anche
aggettivale (lungo) e verbale (mediante) che possono essere usati con valore preposizionale
direttamente premessi a sintagmi nominali (es. mettere le mani dentro le tasche, passeg-
giare lungo gli argini), cfr. Rizzi 1988, 521-522; Serianni 1988, 354-356. Alcune tra que-
ste preposizioni si possono univerbare con il nome da esse retto (es. dopocena, entrobordo,
fuorisede, lungotevere), altre invece (es. durante, mediante, verso) non hanno questa possi-
bilità. Il tipo di relazione fra gli elementi che li compongono differenzia i composti preposi-
zionali dalle parole prefissate: i primi, infatti sono strutture esocentriche, mentre la tipica
parola prefissata è endocéntrica (cfr. Scalise 1983, 142-147). Di conseguenza le parole pre-
fissate conservano i tratti della parola di base, mentre nei composti preposizionali può cam-
biare il genere: dal genere femminile verso quello (non marcato) maschile (es. il dopocena,
104 3. Prefissazione
il dopoguerra).' La prefissazione non influisce sulla formazione del plurale, mentre i com-
posti preposizionali tendono a essere invariabili al plurale (es. sing, il senzatetto, pl. i sen-
zatetto), e lo sono sempre quando c'è cambio di genere rispetto alla parola di base (es. sing.
il sottogola, pl. i sottogola, *i sottogole).2 A partire da tali considerazioni possiamo distin-
guere i prefissi sopra-, sotto-, contro- dalle omofone preposizioni. La distinzione fra il tipo
compositivo preposizionale esocentrico (rappresentato da parole quali sottoscala, sottobo-
sco) e la derivazione prefissale endocéntrica (es. sottocommissione, sottocultura) si riflette
nella parafrasi semantica: "N che sta sotto (a N)", "N di minore importanza" nel caso delle
parole prefissate, "qualcosa che sta sotto N" nel caso dei composti preposizionali. La di-
stinzione fra i prefissi sopra-, sotto-, contro- dalle corrispettive preposizioni trova giustifi-
cazioni anche nella possibilità che i prefissi hanno di premettersi a verbi (sopraelevare,
sottoesporre, controbattere) e ad aggettivi di relazione (sottomarino, controrivoluzionario,
soprannaturale), e alla non totale coincidenza di significato con le preposizioni: ad esem-
pio, il prefisso sopra- (e non la preposizione) può indicare "posteriorità temporale" (so-
pravvivere, sopraggiungere), "eccesso, superamento di un limite" (soprannumero, soprav-
valutare)? Un ulteriore motivo di distinzione risiede nel fatto che le parole prefissate pos-
sono essere ulteriormente derivate (es. sopraelevare —»· sopraelevazione), mentre ciò non è
di norma possibile con i composti preposizionali.
Concludiamo questo paragrafo menzionando un'altra zona di parziale sovrapposizione
fra prefissazione e composizione, cioè l'impiego di avverbi premessi a verbi o a nomi e ag-
gettivi deverbali. Si tratta di un processo formativo marginale e scarsamente produttivo, se
non del tutto improduttivo, i cui rappresentanti principali sono costituiti dalle formazioni
con gli avverbi bene e male, e il cui modello formativo risale al latino, lingua in cui, a diffe-
renza dell'italiano, la sequenza normale degli elementi della frase era quella in cui
l'avverbio precede il verbo, un ordinamento che consente l'univerbazione fra avverbio e
verbo.4
1
A proposito di parole come il dopoguerra, Migliorini 1963 3 c, 220 osserva che le lingue romanze
utilizzano per questo tipo di formazione «la sostantivazione al maschile (vorremmo dire al neu-
tro)».
2
Un ristretto numero i prefissi, specialmente fra quelli che esprimono valori posizionali, possono
formare, accanto ai normali derivati endocentrici, anche alcuni nomi esocentrici (es. antibagno,
avanspettacolo, interlinea, preistoria)·, si noti che in queste formazioni il genere del nome di base
rimane inalterato, e il plurale è regolare.
3
Sulla distinzione fra il prefisso sotto- e la preposizione sotto-, cfr. Montermini in stampa.
4
Tra le parole composte con gli avverbi bene e male registrate nei dizionari dell'uso i verbi sono
meno di un terzo (es. benedire, benvolere, malgiudicare, malmenare, maltrattare), la maggioranza
è costituita da aggettivi e da nomi deverbali di cui non è attestato il verbo complesso corrispon-
dente (es. benefattore, benemerenza, benpensante, benservito, malaccorto, malfidato, malinteso,
malridotto, malvivente). Sui verbi composti del tipo aerotrainare, cfr. 2.2.3.
3.2. Caratteristiche definitorie dei prefissi 105
Dopo aver definito i limiti tra prefissazione e composizione neoclassica, e mostrato le diffe-
renze fra prefissi e preposizioni, passiamo ora ad elencare le caratteristiche che definiscono
i prefissi dell'italiano, e ne determinano lo status di affissi derivazionali.
I prefissi sono affissi (quindi elementi non liberi) privi di una propria categoria sintattica,
che si premettono a una base lessicale con lo scopo di modificarne il significato. Le ecce-
zioni al criterio di non autonomia sintattica sono rappresentate dai seguenti due casi. Alcuni
prefissi, specialmente bisillabici (es. macro-, maxi-, mini-), ma anche monosillabici (es.
sub-, trans-), possono essere usati come accorciamenti, mantenendo il significato
dell'intera base (macroistruzione, maxigonna, minigonna, subacqueo, transessuale), cfr.
8.3.3. Alcuni prefissi valutativi possono essere usati con funzione appositiva in posizione
postnominale {pizzeria mega, gonne micro, auto mini, iniziativa maxi, sconto super) con lo
stesso significato che hanno nella loro posizione canonica (microgonna, supersconto ecc.).
Formano parole nuove premettendosi a parole; non possono formare produttivamente pa-
role in combinazione con affissi, non possono cioè costituire base di derivazione, né pos-
sono essere flessi. Si distinguono un ristretto numero di prefissi che nelle formazioni di uso
comune si premettono a parole, ma hanno una certa disponibilità a premettersi anche a ele-
menti formativi per formare termini impiegati in linguaggi tecnico-scientifici (es. neo- in
neonato, neorazzismo, ma anche in neologia', micro- in microcriminalità, ma anche in mi-
crofono-, a- in amorale, ma anche in amorfo)·, si noti che tali prefissi si combinano con
elementi formativi di tipo lessicale (non di tipo affissale), per tale distinzione cfr. 2.2.
Costituiscono un inventario tendenzialmente chiuso, e dai confini chiaramente individua-
bili.
Possono essere impiegati esclusivamente in posizione iniziale di parola. In seguito a pro-
cessi derivazionali ulteriori, può accadere che un prefisso si premetta a una parola già pre-
fissata (decongelare, preriscaldare, reintrodurre·, cfr. 3.5.1.), o anche, meno frequente-
mente, che una parola prefissata sia utilizzata come costituente finale di un composto (es.
batteria anti-missili).
Stabiliscono un rapporto di subordinazione con la base lessicale, rispetto alla quale svol-
gono la funzione di determinante; a differenza dei composti non possono avere rapporti di
tipo coordinativo con la parola cui si premettono.
Selezionano le basi secondo criteri rappresentati solo parzialmente dalla categoria sintat-
tica delle stesse (cfr. 3.5.): più di un quarto dei prefissi impiegati produttivamente si pos-
sono infatti premettere sia a nomi sia a verbi sia ad aggettivi, mentre la percentuale dei pre-
fissi che si premettono a basi appartenenti a una sola categoria sintattica è al di sotto di un
quinto del totale dei prefissi; un ruolo importante nella selezione delle basi è svolto da cri-
teri semantici e, nel caso di basi predicative, da caratteristiche azionali e argomentali.
I prefissi esprimono significati di tipo funzionale-relazionale, non esprimono valori di ti-
po lessicale, né di natura flessiva. Il significato dei prefissi è noto alla generalità dei par-
lanti, e di norma non è necessario per l'interpretazione delle parole prefissate fare ricorso a
conoscenze di tipo pragmatico o enciclopedico, in quanto il risultato dell'interazione fra i
106 3. Prefissazione
significati espressi da ciascun prefisso e quelli della base selezionata è predeterminato dalla
regola di formazione delle parole a cui partecipano. 1
I prefissi formano di norma parole di tipo endocéntrico, in cui non svolgono mai la fun-
zione di testa, quindi la categoria, il genere e altri tratti inerenti della parola prefissata (es.
categoria flessiva, animatezza) sono gli stessi della parola di base. 2 La struttura argomentale
delle parole derivate non è determinata dal prefisso, e di norma la struttura argomentale
della parola prefissata rimane invariata rispetto a quella della base. Alcuni prefissi possono
tuttalpiù ridurre il numero di argomenti rispetto a quelli della base (cfr. (1)), oppure richie-
dere la realizzazione di un argomento che può essere omesso nel verbo di base (cfr. (2a) e
(2b)): 3
A differenza dei corradicali non prefissati, gli aggettivi deverbali prefissati con in- "negati-
vo" perdono la possibilità di reggere un sintagma nominale con funzione agentiva (cfr. (3),
e Gaatone 1987):
prefisso preverbale di (5b).1 Analogamente alle altre lingue romanze, in italiano l'utilizzo di
prefissi preverbali con valore locativo è un procedimento che ha perso molte delle possi-
bilità proprie della lingua latina (cfr. Lüdtke 1996), di conseguenza verbi come quelli degli
esempi riportati in (1) e in (4) non sono più producibili tramite regole di formazione delle
parole.
L'interazione fra alcuni prefissi e la struttura argomentale della base è esemplificata da
auto-, che nell'impiego riflessivo (cfr. 3.7.7.) richiede basi biargomentali e ne determina la
coreferenza dei ruoli di agente e paziente, cfr. (6a) e (6b):
(6) a. L'avvocato difende l'imputato b. L'imputato si autodifende.
Un altro esempio è fornito dal prefisso co-, che può essere impiegato a condizione che
l'argomento esterno del verbo sia morfologicamente o semanticamente plurale (i miei amici
coabitano-, Carlo e Giulia coabitano), oppure che l'argomento esterno sia in relazione con
un argomento indiretto comitativo (Carlo coabita con Giulia).
Relativamente all'aspetto fonologico (cfr. 3.6.), i prefissi presentano restrizioni per
quanto riguarda la lunghezza, non influiscono sulla posizione dell'accento primario, provo-
cano limitate modifiche di tipo fonotattico; il loro impiego è solo marginalmente condizio-
nato dalle caratteristiche fonologiche della base, tanto da poter determinare la formazione di
nessi normalmente non ammessi all'interno di parola.
Le caratteristiche esposte nel paragrafo precedente giustificano appieno la collocazione
della prefissazione all'interno della derivazione. Le caratteristiche più importanti al fine di
considerare i prefissi come affissi derivazionali e di distinguerli dalle parole sono: la posi-
zione fissa all'interno della parola complessa, l'impossibilità di essere derivati o flessi, la
relazione (esclusivamente di tipo determinativo) con la base; altri criteri rilevanti sono la
semantica di tipo relazionale espressa dai prefissi, la posizione della testa della parola pre-
fissata (a destra, così come le parole suffissate, anziché a sinistra come molti dei composti
produttivi), il fatto di costituire un inventario tendenzialmente chiuso, di essere elementi le-
gati, di essere elementi mediamente più brevi delle parole.2
Pur partecipando a pieno titolo alla derivazione affissale, la prefissazione è considerata un processo
meno tipicamente derivazionale della suffissazione (cfr. Mel'cuk 2000, 530, che dispone i procedi-
menti affissali secondo il seguente ordine di prototipicità: suffissazione, prefissazione, infissazione,
transfissazione o circonfissazione). Tale affermazione si fonda sia su motivi morfosintattici sia su
motivi fonologici; entrambi gli ordini di motivi possono essere interpretati in prospettiva psicolingui-
stica in relazione con la facilità di processing delle parole derivate, un'interpretazione che permette
anche di motivare la preferenza nelle lingue per la suffissazione rispetto alla prefissazione pur in
contesti non favorevoli dal punto di vista tipologico.
Dal punto di vista morfosintattico i prefissi dell'italiano si differenziano dai suffissi essenzial-
mente per l'incapacità di determinare la categoria sintattica della parola derivata e per il fatto di im-
porre minori restrizioni di tipo categoriale alle basi. Dal punto di vista fonologico, i prefissi mostrano
un minor grado di coesione con la base: a differenza dei suffissi, i prefissi dell'italiano non determi-
Si noti che quando i prefissi deverbali con valore locativo ammettono anche un uso con valore
intensificativo, questo impiego non provoca modifiche nella struttura argomentale del derivato
(cfr. pagare un lavoratore / sottopagare un lavoratore).
2
Per una proposta di ordinamento gerarchico dei criteri che permettono di distinguere gli affissi
derivazionali dalle parole dell'italiano in base alla loro capacità distintiva, cfr. Masseroli 1994,
198-200.
108 3. Prefissazione
nano la posizione dell'accento della parola derivata, possono produrre la formazione di nessi nor-
malmente non consentiti all'interno di parola, l'incontro di vocali fra base e prefisso determina solo
opzionalmente la cancellazione di vocale (e limitatamente ai prefissi bisillabici, cfr. 3.6.).
Il minor grado di coesione fonologica dei prefissi, e il maggiore ricorso alla suffissazione per la
determinazione dalla categoria dei derivati, è una tendenza comune a molte lingue (segnalata già da
Saussure 19222, 257), che trova interessanti motivi di spiegazione in studi di ambito psicolinguistico
(cfr. Cutler / Hawkins / Gilligan 1985, Wandruszka 1992, Stump 2001). È stato dimostrato che nel
processo di comprensione è la parte iniziale della parola quella più importante per il compito di rico-
noscimento e per la determinazione della sua identità lessicale.1 Le parole in cui il tema precede gli
affissi sono quindi meglio analizzabili, mentre nel caso di parole prefissate (cioè in cui gli affissi pre-
cedono il tema) la corretta segmentazione e il riconoscimento della parola è reso più agevole da una
non totale coesione fonologica tra prefisso e base. Queste considerazioni psicolinguistiche offrono
una giustificazione al fatto che nelle lingue il cui ordine basico è OV, che strutturalmente favoriscono
la suffissazione, i prefissi sono praticamente assenti, mentre nelle lingue con ordine basico VO, favo-
revoli strutturalmente alla prefissazione, i suffissi siano comunque ampiamente diffusi.
Alterazioni della parte iniziale di parola pregiudicano in misura maggiore la comprensione e sono
notate con più facilità dal percipiente rispetto ad alterazioni della parte finale o centrale della pa-
rola; esperimenti sulla percezione uditiva hanno dimostrato che perché avvenga il riconoscimento
non è sempre necessario ascoltare una parola per intero (cfr. Cutler 1981).
2
La produttività è un concetto di tipo scalare, ed è soggetta a restrizioni di tipo diverso. Alcuni fra i
prefissi che non sono più usati produttivamente nell'uso comune della lingua sono tuttora usati, nei
significati etimologici o con valori derivati da estensioni semantiche, nella formazione di termini
di ambito tecnico-scientifico (fra essi ab-, e-, ob-, per-).
3.4. Produttività e analizzabilità 109
Le due coppie di prefissi omografi ariti-1 e anti-2, in-[ e in-2 sono formate da prefissi che si distinguo-
no per etimo e per significato: anti-1 esprime principalmente negazione oppositiva (antieroe, antifa-
scismo), mentre anti-2 indica precedenza nel tempo o nello spazio (anticamera, antidiluviano); con
in-1 indichiamo il prefisso impiegato nella formazione di verbi parasintetici (inceronare, ingrandire),
mentre con in 2 il prefisso usato principalmente con valore contrario (indeciso, ingiusto). Con a-
indichiamo il prefisso negativo (apolitico, asessuale) che davanti a vocale assume la forma an-
(anabbaglianté). Indichiamo invece con ad- il prefisso impiegato nella formazione di verbi parasinte-
tici (addolcire, avvelenare), per quest'ultimo prefisso riteniamo più giustificata la forma ad- (piutto-
sto che a-) sia per il sistematico raddoppiamento della consonante iniziale della base (abbellire, ac-
calorare, addomesticare ecc.) sia per la forma dei derivati la cui base comincia con vocale (adagiare,
adescare, adirare ecc.). Non abbiamo indicato nell'elenco le varianti allomorfiche (quali ad es. il-,
im-, ir- rispetto a in-) se non nei casi in cui vi sia una differenziazione di senso o di produttività (come
ad es. fra trans- e tras-, sub- e so-).
I prefissi impiegati produttivamente si premettono a parole per formare derivati il cui signi-
ficato è composizionale, cioè interamente predicibile a partire dai loro costituenti (es. anti-
fascismo, autoritratto, coautore, minigonna, supereroe; disonesto, ingiusto, interregionale;
deumidificare, disfare, rivendere, smontare). La permanenza nell'uso di una parola può
determinare processi di lessicalizzazione che ne alterano la trasparenza semantica. La mag-
giore opacità si ha di norma in parole formate con prefissi non più produttivi e basi che non
sono parole autonome (es. perpetuo, perplesso, prosecutore, secernere, segregare, som-
mergere, sopprimere), si tratta nella maggior parte dei casi di verbi (e loro derivati) di ori-
gine latina le cui basi non sono state accolte in italiano, ma permangono solo all'interno di
parole prefissate. L'alto numero di verbi prefissati di origine latina attualmente in uso in
italiano fa sì che circa la metà dei 600 verbi prefissati di più alta frequenza hanno basi che
non corrispondono a una parola autonoma (es. accendere, avvertire, conquistare, decidere,
digerire, discutere, emergere, escludere, illudere, incidere, interrogare, introdurre, oppri-
mere, persuadere, presumere, proibire, resistere, ripetere, scorgere, scuotere, separare,
sostituire, succedere, tradurre, trasferire).
Tra le parole in uso occorre quindi distinguere fra quelle formate secondo regole produt-
tive e le parole ereditate. Una differenza che però non si identifica con quella fra parole con
prefissi produttivi e parole con prefissi non produttivi, né con quella fra basi autonome e
non. Oltre ai casi già visti (parole formate secondo regole produttive, e parole con prefissi
improduttivi e basi non autonome), vi sono anche casi intermedi rappresentati da parole di
formazione italiana con prefissi non più produttivi la cui base è libera (sorvolare, travol-
ger la descrizione dei valori semantici di tutti i prefissi elencati si rimanda a 3.7.
110 3. Prefissazione
géré), da parole ereditate che hanno base non autonoma ma prefissi ancora produttivi (ri-
manere, risolvere), da parole ereditate che hanno prefissi produttivi e basi autonome (de-
colorare, infrequente, innaturale, riscrivere, rivincere) e non si distinguono quindi dalle
parole di nuova formazione.
Perché si abbia una piena composizionalità semantica occorre che la base sia una parola
autonoma e il prefisso sia produttivo,1 ma, dal momento che la trasparenza semantica è una
nozione di tipo graduale, i parlanti possono ricostruire il significato e segmentare i costi-
tuenti di una parola morfologicamente complessa a diversi livelli (da ipotesi sul significato
complessivo della parola, all'attribuzione di significato ad almeno un costituente, alla sua
mera individuazione ecc.), anche qualora la parola contenga prefissi non produttivi, basi
non autonome, o vi sia stata un'alterazione formale dei costituenti.
All'interno dei prefissi non produttivi ce ne sono alcuni il cui significato è conosciuto dai
parlanti o facilmente ricavabile dalle parole in cui compare (es. contra-, estro-, fra-), per
altri è possibile individuare un gruppo di parole in cui il prefisso esprime un significato
identificabile (si pensi al valore locativo "attraverso" di per- in percorrere, percutaneo,
perforare) mentre l'apporto semantico del prefisso nelle altre parole non è sistematizzabile
in modo coerente (cfr. perdere, perdonare, persuadere). Vi sono poi altri prefissi a cui non
è possibile attribuire un significato costante in sincronia a partire dalle parole in cui com-
paiono (es. ob-, cfr. occludere, occorrere, offrire, opporre, osservare, ottenere), ma che
possono essere riconosciuti grazie all'esistenza di verbi che hanno le stesse basi e diversi
prefissi (cfr. concludere / precludere, concorrere / decorrere, comporre / deporre, conser-
vare / riservare, contenere / trattenere).
La probabilità che una parola sia analizzabile in costituenti da parte dei parlanti (e quindi
risulti motivata) è tanto più elevata quanto più la parola è inserita in serie sistematiche.
La possibilità di commutare la parola prefissata con base non autonoma con altre parole prefissate,
permette di distinguere tre sottogruppi (disposti in ordine decrescente di motivazione paradigmatica):
(a) parole prefissate che possono essere commutate con diverse altre parole prefissate che condivi-
dono la stessa base (es. abduzione, conduzione, deduzione, induzione, produzione, seduzione; desi-
stere, insistere, persistere, resistere)', (b) parole prefissate che non possono essere commutate diret-
tamente (es. considerevole, ma non *persiderevole, *residerevole), ma che appartengono a una serie
il cui capostipite è in rapporto di commutazione con altre parole prefissate (considerevole è derivato
da considerare, che può essere commutato con assiderare, desiderare); (c) parole che entrano in un
rapporto di commutazione (es. allocuzione / elocuzione), ma sono isolate, cioè non appartengono a
una serie derivazionale i cui membri siano in rapporto di commutazione per quanto riguarda il prefis-
so. Vi sono infine parole, come perdere, propalare, ridondare, che da un punto di vista strettamente
etimologico si possono definire prefissate, ma che non hanno parole con cui entrare in commutazione,
e non appartengono a una serie come quella di considerevole.
Non costituiscono ovviamente un controesempio parole che abbiano subito deriva semantica come
disperdere, prescrivere, ricavare.
3.5. Selezione della base 111
Non bisogna dimenticare che la classificazione dei suffissi derivazionali fatta in termini di categoria
sintattica della base è utile solo per fornire una prima approssimazione del loro comportamento (ad
esempio i suffissi agentivi deverbali richiedono come base verbi che abbiano nella propria struttura
tematica un ruolo di agente). La nozione di categoria sintattica è comunque tuttora un'indicazione di
primaria importanza, dal momento che, benché molti studiosi ritengano che se sia possibile dedurre la
categorizzazione sintattica da caratteristiche semantiche, non disponiamo di una teoria semantica suf-
ficientemente sviluppata da poter evitare di fare ricorso alle tradizionali distinzioni in parti del di-
scorso; quindi a queste abbiamo fatto riferimento nel compilare la tabella 1 che indica le categorie
delle basi alle quali ciascun prefisso si può premettere produttivamente.
' Sulla presunta capacità dei prefissi dell'italiano di determinare la categoria sintattica della base,
cfr. 4.1.
2
Si vedano ad esempio le restrizioni espresse in termini di struttura lessico-concettuale da Lieber /
Baayen 1993 per i prefissi dell'olandese, o, per l'italiano, l'individuazione delle caratteristiche
azionali e della struttura argomentale delle parole prefissabili con auto- in Mutz in stampa.
112 3. Prefìssazione
N A Arel V N A Arel V
a- + + + - meta- + - + -
ad- + + - - micro- + - - -
ante- + - + - mini- + - - -
anti-' + + + - multi- + + + -
.2
anti- + - + - neo- + + + -
arci- ? + - - non- + - - -
auto- + + - + oltre- + - + -
avan- + - - - para- + ? + -
circum- - - + - pluri- + + + -
cis- ? - + - poli- + - + -
co-Zcon- + + + + post- + -
; + +
contro- + 7 + + pre- + ? + +
de- - - - + pro- + ? + -
dis- + + - + ra- 7 ? - ?
estro- - - - ? retro- + + + +
ex- + ? ? - ri-/re- - - - +
extra- + + + - rin- ? ? - 7
in-' + + - - s- + + - +
in-2 ? + - - semi- + + - ?
infra- + + + - sopra-/vra- + + + +
inter- + + + + sotto- + + + +
intra- + - + ? stra- ? + - +
intro- - - - 7 sub- + + + +
iper- + + ? + super- + + + +
ipo- + + + ? sur- + - + +
macro- + - - - trans- + - + -
maxi- + - - - ultra- + + + -
mega- + - - - vice- + - - -
Per verbi che permettono sia un'interpretazione telica che atelica, come calcolare, il prefisso ri- si
può usare solo quando il verbo è inteso nell'accezione telica "eseguire operazioni matematiche"
(es. Anna ricalcola il quoziente dell'equazione), e non nell'accezione atelica "prevedere" (es.
*Anna ricalcola che verranno cinque invitati a cena); cfr. Martín García 1998, 192.
3.5. Selezione della base 113
Prefissi che pur rispettano restrizioni categoriali (es. ri-, che può essere usato solo davanti a verbi, e
in-2, che può essere usato solo davanti ad aggettivi), in seguito alla suffissazione delle parole in cui
sono presenti, possono venirsi a trovare all'inizio di parole di categoria diversa da quella a cui si
possono premettere (es. ricostruzione, rientrato, ingiustizia, immobilizzare). Un esempio di come il
prefisso non sia un buon indicatore della categoria della parola a cui partecipa è fornito dai verbi
riutilizzare e inutilizzare, che a dispetto delle somiglianze hanno strutture derivazionali diverse:
[ri-[[utile]-izzare]], [[in-[utile\\-izzare\. Per i prefissi che si possono premettere a basi di diversa
categoria la situazione è più complessa, ad esempio per parole come preselezionare e sgonfiare, in
linea di principio è possibile ipotizzare sia la prefissazione da verbi (selezionare, gonfiare) sia la
suffissazione da nomi o aggettivi (preselezione, sgonfio).
1
Per una caratterizzazione degli aggettivi di relazione e delle loro potenzialità derivazionali, cfr.
Grossmann 1999 e 5.2.1.1.1.; per gli aggettivi prefissati del tipo sottomarino, antiparassitario cfr.
4.3.2.
114 3. Prefìssazione
L'impiego di un prefisso può essere condizionato dal suffisso della base. Ad esempio, tra i
tre prefissi con valore reversativo (de-, dis- s-), è de- quello a essere usato in più del 70%
dei casi fra i verbi suffissati con -izzare lemmatizzati nel DISC, il restante 30% è diviso fra
dis- e s- con una prevalenza di quest'ultimo. 1 Scalise 1994, 204 osserva che gli aggettivi
deverbali che terminano in -to possono essere prefissati sia con dis- che con in-2 (es. disa-
bitato, impreparato), mentre quelli che terminano in -bile possono essere prefissati solo con
in-2 (es. immangiabile / *dismangiabile). L'argomento merita studi più approfonditi, che
permettano di discriminare i casi in cui l'impiego di un prefisso sia condizionato dalla pre-
senza di un determinato suffisso, da altri dipendenti da più generali caratteristiche della
base, ad esempio di natura semantica. Si veda a riguardo Fradin 1997, che spiega la prefe-
renza del prefisso francese anti- (con il valore "contro N") a premettersi ad aggettivi dever-
bali terminanti nei corrispettivi dell'it. -nte e -ivo piuttosto che a quelli terminanti nei corri-
spettivi dell'it. -bile e -to, perché i primi esprimono significati di tipo attivo (e quindi pos-
sono fare riferimento a qualcosa a cui opporsi) mentre i secondi, esprimendo significati di
tipo passivo, non si prestano a questa determinazione prefissale.
Di norma la suffissazione non pare condizionata dalla presenza di un prefisso, ad esempio l'aggettivo
abile viene derivato con lo stesso suffisso anche quando è prefissato (abile —• abilità, inabile —> ina-
bilità, cfr. Scalise 1983, 115-118). Lo stesso accade per i suffissi flessivi: i verbi prefissati (anche ir-
regolari) si flettono allo stesso modo delle loro basi non flesse. Fra le pochissime eccezioni (proba-
bilmente dovute a ragioni fonologiche): vedrò / prevederò (ma rivedrò), fai / disfi (ma rifai). La mag-
giore disponibilità degli aggettivi deverbali prefissati a costituire base per la derivazione avverbiale
rispetto ai corradicali non prefissati (es. qualificabile / * qualificabilmente, inqualificabile / inqualifi-
cabilmente) va ricondotta alla loro lessicalizzazione come aggettivi. Come dimostrato in Frigeni
1998, 109-111, diversi test sintattici (pronome clitico (7), uso di venire come ausiliare (8), reggenza
(9), costruzione impersonale (10)) dimostrano come gli aggettivi deverbali prefissati si comportino in
maniera analoga agli aggettivi qualificativi e perdano le proprietà verbali dei corradicali non prefis-
sati:
(7) a. L'argomentazione contestata / L'argomentazione contestatale
b. L'argomentazione valida / *L'argomentazione valídale
c. L'argomentazione incontestata / *L'argomentazione incontestatale
(8) a. Il campione era battuto / Il campione veniva battuto
b. Il campione era enorme / *I1 campione veniva enorme
c. Il campione era imbattuto / *I1 campione veniva imbattuto
(9) a. La prova confutata (dall'avvocato difensore)
b. La prova decisiva (*dall'avvocato difensore)
c. La prova inconfutata (*dall'avvocato difensore)
(10) a. Il teorema era dimostrato / Si era dimostrato il teorema
b. Il teorema era facile / *Si era facile il teorema
c. Il teorema era indimostrato / *Si era indimostrato il teorema
La prefissazione di una parola già prefissata non è molto frequente (Montermini 2002, 156
stima che, includendo anche basi lessicalizzate e prefissi non produttivi, i lemmi del GRA-
1
L'impiego del prefisso non dipende da motivi fonologici, come potrebbe far pensare il fatto che
dis- si premette quasi esclusivamente a basi comincianti in vocale, in quanto de- può essere usato
negli stessi contesti.
3.5. Selezione della base 115
DIT che contengono due prefissi non superano il 6% del totale dei prefissati, e quelli con
più di due prefissi costituiscono una percentuale insignificante). I verbi che meglio si pre-
stano a essere ulteriormente prefissati sono i parasintetici: il valore risultativo della maggior
parte di queste formazioni costituisce base ideale per i prefissi che esprimono valori rever-
sativi e iterativi. I prefissi ri- e dis- sono quelli più usati in posizione esterna (riaccartoccia-
re, riaccorpare, disaccoppiare, disintossicare), il contesto prevocalico impedisce l'impiego
di s- (cfr. 3.6.4.), che è invece il più usato in casi di sostituzione di prefisso (cfr. 3.5.1.2.). Il
prefisso iterativo può avere come basi anche verbi prefissati con reversativi (mentre non è
possibile il contrario). Anche il prefisso pre- è impiegato davanti a verbi prefissati con una
certa libertà (preannunciare, predisporre, preiscrivere, preriscaldare). Per quanto riguarda
la prefissazione nominale e aggettivale, i prefissi che appaiono più spesso in posizione
esterna sono gli intensificativi (senza particolari restrizioni sulle basi se non quella della
loro graduabilità). Nel caso in cui in una parola vi siano più prefissi intensificativi, quello
che esprime un grado più alto tende a occupare la posizione più esterna.'
Riportiamo qui di seguito una selezione dei verbi con più di un prefisso fra quelli lemmatizzati nel
DISC attestati per la prima volta nel ventesimo secolo: autodistruggersi, autoeccitarsi, autoesclu-
dersi, autoincensarsi, autosuggestionarsi, cointeressare, coinvolgere, condeterminare, contrattac-
care, controindicare, controreplicare, deconcentrare, decongelare, decontrarre, deprogrammare,
deregolamentare, disallineare, disassociare, disattendere, disconnettere, disimballare, disinserire,
disintossicare, precomprimere, precostituire, preraffreddare, preriscaldare, reimmatricolare, reinca-
ricare, reinscrivere, reinserire, riaccadere, riaccasare, riacclimatare, riacutizzare, riadagiare, riaf-
fiorare, riaffondare, riagganciare, riappropriarsi, riattraversare, ricomprimere, ricospargere, ride-
terminare, ridistaccare, ridistruggere, rieccitare, riemettere, riescludere, riotturare, ripercorrere,
rispolverare, ristirare, risurriscaldare, ritraboccare, ritrasmettere, scongelare, soprelevare, sovraf-
faticare, sovrainnestare, sovreccitare, sovresporre, surriscaldare.
La prefissazione di composti è una costruzione atipica e ancora piuttosto rara per l'italiano,
ma che si va diffondendo a partire dalla prosa giornalistica. I seguenti esempi attestano la
possibilità di impiego di alcuni prefissi (specialmente quelli che indicano relazione gerar-
chica, disposizione favorevole o contraria, gli estremi dell'asse temporale, alterazione) da-
vanti a composti nominali e anche a sintagmi nominali privi di determinanti: provvedimenti
anti-ladri di acqua, controcerimonia inaugurale, ex-parlamentare europeo, maxi-concorso
truffa, megasfilata di moda, neo-sindaco neofascista, eventi post-muro di Berlino, post-
Concilio di Trento, pre-rivoluzione industriale, aiuti pro-allevatori di mucche, supercentro
carni, vice-campione del mondo.
Ordinamenti estrinseci come quelli proposti da Siegel 1979 in relazione ai confini fonologici dei
morfemi non sono applicabili all'italiano (oltre che superati dal punto di vista teorico); è di scarsa
utilità dal punto di vista descrittivo (e di non ovvia applicazione) la proposta di ordinamento reci-
proco dei prefissi basata sulla individuazione di significati di tipo preposizionale vs avverbiale
(cfr. Di Sciullo 1997).
116 3. Prefissazione
La possibilità di impiego ricorsivo distingue la maggioranza dei prefissi dai suffissi derivazionali, che
invece non possono essere usati ricorsivamente (ad esempio il suffisso -ezza non può avere come base
una parola già suffissata con -ezza: bellezza —* *bellezzezza). Le restrizioni dell'applicazione di un
medesimo affisso derivazionale alla propria uscita sono facilmente spiegabili se si tiene conto del
fatto che la suffissazione di norma modifica la categoria e i tratti di sottocategorizzazione della base, è
perciò altamente improbabile per un suffisso creare le condizioni per la sua ulteriore applicazione. I
prefissi invece, non provocando di norma tali restrizioni, non formano basi incompatibili con il loro
ulteriore utilizzo. Non c'è quindi bisogno di ipotizzare restrizioni di carattere generale all'impiego
ricorsivo degli affissi (come quelle che impediscono alle regole di formazione delle parole di appli-
carsi alla propria uscita, cfr. Lieber 1981, 172-173; o quelle basate sull'ordinamento per blocchi di
regole), di cui i prefissi costituirebbero comunque un'eccezione, 1 quando è sufficiente fare riferi-
mento alla compatibilità di un affisso con la propria base (utilizzando quindi criteri giustificati da
motivazioni indipendenti). A riprova di questa affermazione vi è l'impossibilità dei prefissi che
esprimono antonimia, privazione, reversione a essere utilizzati ricorsivamente (*inincapace,
* dedemilitarizzare, *disdisfare),2 diversamente dalla generalità dei prefissi che esprimono opposizio-
ne (anti-, contro- ), valori locativi e gerarchici (ex-, para-, post-, pre-, sub-), alterativi (arci-, extra-,
iper-, maxi-, micro-, mini-, super-, ultra-), iterativi (ri-) che possono invece essere usati ricorsiva-
mente, così come accade anche per i suffissi alterativi (es. bellissimissimo).
L'interpretazione semantica della reiterazione di uno stesso affisso può sia rispettare la normale
natura composizionale binaria della derivazione (es. metametalinguaggio "il metalinguaggio che ha
come oggetto un metalinguaggio", ex-ex-marito), o anche assecondare un principio di iconicità, che fa
corrispondere all'aumento di forma un'intensificazione del significato dell'affisso (es. metameta-
metalinguaggio "metalinguaggio di estrema astrazione e potenza", miniminibikini "bikini estrema-
mente ridotto"; si pensi anche a espressioni colloquiali come gliel'ho detto, ridetto e riridetto di
chiudere la porta). L'impiego ricorsivo di un affisso non va di norma oltre la seconda ripetizione,
questa limitazione, piuttosto cha da motivi formali dipende da fattori pragmatici e cognitivi, secondo i
quali la complessità della struttura morfologica della parola tende a non superare i limiti imposti dalla
sua interpretabilità nel normale scambio comunicativo.3
Per una rassegna critica delle diverse ipotesi teoriche proposte per spiegare le restrizioni
sull'impiego ricorsivo degli affissi cfr. Rainer 1986, dove viene anche ampiamente motivata ed
esemplificata l'interpretazione qui adottata.
2
Come è noto almeno a partire da Zimmer 1964, indipendentemente dalla struttura morfologica
della base, i prefissi che esprimono negazione non si premettono a basi di polarità negativa.
3
Lo stesso tipo di limitazione si verifica in altri fenomeni ricorsivi della lingua, come ad esempio il
numero di frasi relative incassate.
S.S. Selezione della base 117
La prefissazione di una parola già prefissata può dare luogo anche a casi di sostituzione di
prefisso. Il fenomeno avviene specialmente a partire da verbi parasintetici (sui verbi para-
sintetici vedi 4.), il cui prefisso viene sostituito da un prefisso che esprime valore privativo
o reversativo, determinando la costituzione di coppie di opposti con il verbo parasintético
(accelerare —• decelerare, assetare —> dissetare, avvitare —» svitare, impolverare —» spol-
verare)} In tali coppie il verbo parasintético descrive un'azione il cui svolgimento crea le
condizioni per l'azione reversativa o privativa (ciò si riflette spesso nella precedenza
dell'attestazione del verbo parasintético). Il prefisso più usato in questo tipo di costruzione
è s- (ingrassare —* sgrassare, impolverare —* spolverare, attaccare —> staccare). La strate-
gia della sostituzione di prefisso (es. sballare, scrostare) invece che della prefissazione di
un verbo ingressivo (es. disimballare, disincrostare) «può dipendere dall'intenzione
dell'emittente di rappresentare una situazione egressiva in quanto tale e non come conse-
guenza di un evento precedente» (Grossmann 1994, 19). Oltre al tipo che ha come punto di
partenza un verbo parasintético, vi sono anche altri casi sporadici di sostituzione di prefis-
so, fra cui: anticipare —» posticipare, avanguardia —*• retroguardia, esplosione —> implo-
sione, impubere —» prepubere, prefazione, prefatore —* postfazione, postfatore.2
La fattorizzazione è una struttura in cui due elementi fanno riferimento a una stessa base.
Nel caso dei prefissi, vi è in genere un rapporto semantico di opposizione locativa (sub- e
superstrato, pre- e postromanticismo) o concettuale (pro- e antigovernativo), meno spesso
un rapporto di gradazione sinonimica (iper- e supermercati, pre- e protostrutture).3
L'utilizzo di prefissi in questo tipo di struttura non è molto diffuso in italiano (si prestano
maggiormente a questo impiego elementi formativi all'interno di composti di ambito tecni-
co-scientifico, es. endo- e esoscheletrico, ecto- e endoparassita), ma è attestato ed in espan-
sione, probabilmente anche per influsso delle lingue germaniche dove la fattorizzazione è
un procedimento più frequente. 4 La restrizione proposta da Nespor 1985 basata sulla nozio-
ne di parola fonologica, che impedisce ai prefissi monosillabici terminanti in consonante di
essere impiegati in modo fattoriale (cfr. 3.6.), è contraddetta da esempi come post- e
preconsonantico, trans- e cisalpino, sub- e superordinato, e necessita comunque di integra-
zioni di tipo semantico che spieghino i motivi per cui prefissi come de- e ri-, che, secondo i
I verbi risultanti sono del tutto analoghi sia nella semantica sia per la non attestazione del verbo
non prefissato ai verbi a doppio stadio derivativo, cfr. 4.1.1.
2
Relazioni semantiche sistematiche come quelle fra imporre / deporre, contrarre / distrarre fanno
parte del lessico, ma non sono più generabili per mezzo di regole produttive.
3
Rainer 1993b, 36, richiamando l'attenzione sul fatto che la parte tematica non è sempre un costi-
tuente immediato (cfr. eso e endocentricità), critica l'ipotesi che fa derivare la costruzione da una
cancellazione del nucleo lessicale della prima di due parole morfologicamente complesse in rap-
porto di coordinazione.
4
Interessanti considerazioni sulla gradualità della distinzione fra prefissi e elementi formativi in
relazione al loro impiego fattoriale in ten Hacken 1994,135.
118 3. Prefissazione
criteri fonologici di Nespor potrebbero essere usati fattorialmente, di fatto non lo sono per
assenza di elementi con cui entrare in relazione.
I prefissi usati produttivamente sono in maggioranza bisillabici (circa il 60%), tutti gli altri
sono monosillabici, ad eccezione del prefisso s-. Circa il 67% dell'insieme dei prefissi
produttivi termina in vocale (le vocali finali presenti in un maggior numero di prefissi sono
a, o, i, segue la e, mentre la m è presente in un solo prefisso di scarsa produttività), le con-
sonanti che appaiono più volte in posizione finale sono n, r, s. Vi è una forte tendenza fra i
prefissi bisillabici a terminare in vocale (circa 85%), mentre fra i prefissi monosillabici
prevalgono, anche se di poco, quelli che terminano in consonante (circa 57%). Da un punto
di vista fonologico, i prefissi si distinguono quindi dalle parole perché mediamente più
brevi, e perché ammettono in posizione finale consonanti e nessi consonantici normalmente
non ammessi in posizione finale nelle parole dell'italiano (es. dis-, post-, sub-, trans-).
La fonologia dei prefissi dell'italiano è stata affrontata da M. Nespor e I. Vogel in diver-
si lavori (cfr. Nespor 1985; Nespor/Vogel 1986, 127 sgg.; Vogel 1991; Nespor 1993, 171-
176; Vogel 1994) che hanno avuto un'ampia eco anche al di fuori del modello di fonologia
prosodica in cui sono stati formulati. Le due studiose distinguono da una parte i prefissi che
formano un'unica parola fonologica assieme con la base (i prefissi monosillabici terminanti
in consonante, e quelli non più analizzabili come tali in sincronia), e dall'altra parte quelli
che costituiscono insieme alla base un'unità prosodica più ampia, in quanto meno integrati
fonologicamente con la base. 1 Vengono considerati esterni alla parola fonologica costituita
dalla base, in primo luogo i prefissi bisillabici terminanti in vocale, ma anche i prefissi mo-
nosillabici terminanti in vocale e quelli bisillabici terminanti in consonante, pur se entrambi
questi tipi di prefissi hanno caratteristiche non del tutto conformi alla tipica parola fonolo-
gica dell'italiano, la quale è come minimo bisillabica, trocaica, terminante in vocale (cfr.
Thornton 1996). L'appartenenza all'una o all'altra classe di prefissi, ha secondo Nespor e
Vogel conseguenze su fenomeni di assimilazione fonetica che intervengono fra prefisso e
base.
La classificazione operata esclusivamente in relazione ai domini prosodici (che in so-
stanza distingue i prefissi monosillabici terminanti in consonante da tutti gli altri prefissi)
non permette di dare conto adeguatamente dell'insieme dei comportamenti fonologici dei
prefissi italiani. Alcuni lavori pubblicati negli ultimi anni (basati anche su dati ricavati spe-
rimentalmente) hanno individuato altri aspetti rilevanti per il comportamento fonologico dei
prefissi e preso in considerazione fenomeni finora trascurati, come il trattamento degli in-
contri vocalici o la risillabificazione (cfr. Bertinetto 1999a, Gili Fivela / Bertinetto 1999,
Non è chiaro se il prefisso che non forma un'unica parola fonologica con la base sia attualmente
considerato una parola fonologica autonoma (come in Nespor / Vogel 1986), oppure il costituente
di un gruppo clitico insieme alla base (come prospettato in Vogel 1994); sull'argomento, si vedano
le critiche all'applicabilità della categoria gruppo clitico all'italiano in Loporcaro 1999.
3.6. Caratteristiche fonologiche 119
Baroni 2001); critiche all'analisi basata su domini prosodici sia dal punto di vista
dell'impostazione teorica che da quello dell'analisi empirica sono state mosse da Loporcaro
1999, che delinea un modello alternativo, in cui i processi fonologici sono messi in rela-
zione con un ordinamento lungo una scala di salienza di confini morfologici. Non essendo
questa la sede in cui confrontare gli obiettivi privilegiati e i risultati raggiunti dai lavori
condotti secondo diverse prospettive teoriche,1 esponiamo qui di seguito i principali feno-
meni fonologici riguardanti la prefissazione, che saranno trattati nei paragrafi successivi
(3.6.1.-3.6.5.): (a) i prefissi non influiscono sulla posizione dell'accento primario di parola;
(b) le modifiche fonotattiche che riguardano i prefissi consistono nell'assimilazione (par-
ziale o totale) della consonante finale al luogo ed eventualmente al modo di articolazione
della consonante iniziale di parola (es. affaticare, compresenza, irreale), nella riduzione
della vocale finale a semivocale (es. antieroe /an.tje.'ro.e/), o nella cancellazione della vo-
cale finale dei prefissi bisillabici (es. contraltare, sovrumano)·, (c) le modifiche che riguar-
dano la base consistono nella risillabificazione della sillaba iniziale (specialmente se comin-
ciante in vocale, cfr. interrato e seminterrato), o nel raddoppiamento della consonante ini-
ziale (es. contraccolpo. frapporre, sopravvalutare)', (d) le restrizioni di carattere fonologico
nella selezione delle basi riguardano un numero di prefissi molto ristretto (es. s- non si usa
davanti a parole che cominciano in vocale); (e) la prefissazione può determinare la forma-
zione di nessi normalmente non ammessi all'interno di parola (es. antiinfluenzale, subtropi-
cale, transfrastico).
La posizione dell'accento primario della parola di base non subisce mutamenti nella parola
prefissata (a differenza della suffissazione, che invece determina la posizione dell'accento).
Le pochissime eccezioni sono rappresentate da parole prefissate di origine latina che ri-
spettano le regole di accentuazione proprie del latino (es. dedito, impari, improbo, prodigo,
prologo, retrogrado, transito). I prefissi possono essere portatori dell'accento secondario,
ma solo in ragione del fatto di essere all'inizio di parola, posizione privilegiata per
l'accento secondario, e a condizione che non vi sia contiguità con l'accento primario (cfr.
/i'nutile/ e /.inutilmente/). 2 In parole cominciami con i prefissi extra-, mega-, meta-, poli-,
post-, pro-, retro- è possibile che la vocale iniziale sia pronunciata come medio-bassa anzi-
ché medio-alta, pur non essendo portatrice dell'accento primario di parola; tale pronuncia è
più probabile in parole composizionalmente trasparenti (cfr. Montermini 2002, 68-69). Il
fenomeno è interessante in quanto di norma in italiano le vocali medio-basse sono presenti
solo nelle sillabe con accento primario di parola.
1
Un primo bilancio si può trovare in Montermini 2002, 62-76; 111-140. Uno studio di insieme
sulle caratteristiche fonologiche della derivazione affissale italiana secondo il modello della opti-
mality theory è in Peperkamp 1995. All'interno dello stesso modello opera Van Oostendorp 1999,
che critica la classificazione dei prefissi di Nespor / Vogel 1986.
2
Sulla posizione dell'accento secondario in italiano (considerata anche in rapporto con la struttura
morfologica della parola), cfr. Bertinetto 1976, Vogel / Scalise 1982, Lepschy 1992.
120 3. Prefissazione
Fra le modifiche fonotattiche che riguardano i prefissi, si possono distinguere quelle che ri-
guardano la consonante finale, e quelle che riguardano la vocale finale.
I prefissi principalmente interessati alle modifiche della consonante finale sono ad-, e
quelli terminanti in Ini o in Is/.1
II prefisso ad- rimane invariato davanti a vocale, si assimila invece obbligatoriamente al
luogo e al modo di articolazione davanti a parole che cominciano con consonante (es. ab-
battere, accaldare, affaticare, aggravare ecc.).
L'assimilazione di /n/riguarda principalmente i prefissi in-\ in-2 e con-. L'assimilazione
della nasale è un fenomeno importante perché è un indizio dell'integrazione del prefisso
nella parola fonologica, in quanto l'assimilazione di norma non ha luogo fra due parole
diverse (cfr. in rima e irrimediabile, in molti e immalinconire).2 L'assimilazione è totale
davanti a consonante sonorante (es. illogico, immagazzinare, corresponsabile), si ha invece
assimilazione del solo luogo di articolazione davanti a ostruenti; solo nel caso di consonanti
bilabiali l'assimilazione ha un riflesso grafico (es. combaciare, imburrare, impagabile),
davanti invece a labiodentali (es. confinare, infangare, invalido) e a velari (es. concatenare,
incauto, ingoiare) la grafia rimane invariata (si ricorda che in italiano le nasali labiodentale
e velare non sono fonemi autonomi ma varianti combinatorie). Davanti a parole che comin-
ciano con Isl + consonante la Ini del prefisso tende a cadere, soprattutto in parole di largo
uso, il nesso Insl + consonante non è infatti proprio delle parole di uso più comune (es.
ispettore, istituto, istruire). In caso di coppie come installare / istallare, instaurare / istau-
rare, instillare / istillare, la forma con Ini è impiegata prevalentemente nell'uso scritto e nel
registro parlato alto, quella con cancellazione della nasale è usata in contesti meno formali.
In pochi casi le due forme si sono differenziate semanticamente (cfr. inscrivere e iscrivere,
inspirare e ispirare). Questo comportamento accomuna i prefissi in-1 e con- (cfr. cospirare,
costringere, costruire), mentre il prefisso negativo in-2 non subisce mutamenti davanti al
nesso Isl + consonante (es. inscusabile, inspiegabile, insradicabile, instancabile).3 Il prefis-
so con- si differenzia dagli altri due perché la Ini cade davanti a vocale (es. coabitare, coe-
vo). Questo fenomeno (già del latino), insieme alla riduzione davanti al nesso Isl + conso-
nante, ha dato origine al prefisso co-, il quale nato come variante combinatoria è ora usato
produttivamente in tutti i contesti fonotattici a scapito di con- (anche grazie all'influsso di
prestiti dall'inglese, cfr. Väänänen 1979, Iacobini in stampa), dando vita anche a una serie
di coppie minime, quali condominio / codominio, congestione / cogestione.
1
Gli altri prefissi terminanti in consonante rimangono di norma invariati, anche nel caso che formi-
no nessi atipici unendosi con le consonanti iniziali delle basi (cfr. 3.6.5.).
2
Per una problematizzazione del fenomeno si rimanda a Loporcaro 1999, 124—135, che mette in
relazione dati diacronici e dialettali, e fa notare come la scrittura (che solo nel caso dei prefissi ri-
produce sistematicamente l'assimilazione) abbia contribuito a determinare nei parlanti settentrio-
nali l'impressione di una differenza fra quanto accade in prefissazione rispetto ad altri contesti che
non rappresenta adeguatamente le effettive realizzazioni foniche dello standard su base toscana.
3
Un altro fenomeno fonologico che distingue i due prefissi in- riguarda il raddoppiamento della
nasale davanti a vocale (es. innalzare, innamorare, innescare). Si tratta di un fenomeno non più
produttivo, che non riguarda il prefisso negativo (cfr. inabile, ineducato), e che può essere spiegato
con l'influenza della pronuncia fiorentina (si pensi a immagine, cfr. lat. imaginem).
3.6. Caratteristiche fonologiche 121
Per quanto riguarda gli altri prefissi terminanti con Ini, avari- subisce l'assimilazione del luogo di
articolazione (es. avambraccio) e rimane invariato davanti a parole comincianti con Isl + consonante
(es. avanspettacolo); rin- subisce l'assimilazione del luogo di articolazione (es. rimborsare) e non è
attestato davanti a parole comincianti con /s/ + consonante; non- rimane invariato in tutti i contesti
fonologici.
1
La rilevanza della lunghezza del prefisso come criterio che favorisce l'analizzabilità in costituenti
morfologici di una parola, è un dato che emerge anche da esperimenti psicolinguistici sul ricono-
scimento di parole scritte prefissate e pseudoprefissate, cfr. Burani / Thornton / Iacobini / Laudan-
na 1995.
2
I fattori presi in esame sono: lunghezza (di parola, tema, radice, prefisso); frequenza (di prefisso e
radice); rapporto in termini di numero di types e frequenza fra prefisso e pseudoprefisso, fra radice
e pseudoradice; trasparenza semantica; autonomia del tema e sua frequenza.
122 3. Prefissazione
minata dalla velocità di eloquio, è favorita dall'incontro di vocali dello stesso timbro, ed è
più probabile nel caso di parole poco trasparenti dal punto di vista semantico; è invece
inibita nel caso in cui possa provocare incontri accentuali fra sillabe adiacenti (es. contro-
esodo, miniabito).
Gili Fivela / Bertinetto 1999 argomentano in modo convincente che la cancellazione
della vocale finale del prefisso non è un fenomeno a sé stante, ma il risultato estremo di un
processo di riduzione vocalica che può determinare nella sua fase intermedia la creazione di
un dittongo. L'incontro tra la vocale finale del prefisso e quella iniziale di parola può dun-
que avere tre esiti: (a) iato (es. co.abitare, ultra.ortodosso) che rappresenta la soluzione ca-
nonica, non marcata, in una pronuncia accurata; (b) formazione di un dittongo (es.
dei.dratare, antie.roe, teleo.biettivo), soluzione molto frequente nel parlato spontaneo di
stile informale; (c) elisione della vocale finale del prefisso (es. autipnosi, soprintendente,
sovreccitabile), un fenomeno che può accadere nel parlato veloce informale, di norma re-
versibile, tranne nel caso di parole lessicalizzate (es. seminterrato, sopruso).1
L'elisione si verifica più di frequente con i prefissi che terminano in /a/ e in loi, mentre
per quelli che terminano in IH «la dittongazione rappresenta un processo stabile e non biso-
gnoso di ulteriori restauri data la convergenza con le normali tendenze fonologiche
dell'italiano» (Gili Fivela / Bertinetto 1999, 156); davanti a basi comincianti in li/ ci pos-
sono essere casi di cancellazione (antincendio, antinduttivo).
Il prefisso ri- è l'unico prefisso monosillabico che può subire cancellazione di vocale. Il contesto è di
tipo fonomorfologico, in quanto la cancellazione avviene solo davanti a verbi prefissati con ad- e in-1,
specialmente se parasintetici (raccostare, ragguppare, rimpiccolire, rinverdire), ma non davanti ad
altri verbi comincianti con lai o con HI (riavere e non *ravere, reidratare e non *ridrataré). La scarsa
rilevanza semantica dei prefissi ad- e in-1 ha probabilmente influito sulla possibilità della cancellazio-
ne del prefisso con valore iterativo davanti a verbi con valore ingressivo (cancellazione che comunque
non è obbligatoria, cfr. riabbassare, riaffermare, reincarnare, reinsediare) determinando la forma-
zione dei prefissi ra- e rin-, impiegati nella formazione di verbi di tipo parasintético, cfr. 4.1.6.
Il mantenimento dello iato è la situazione meno marcata perché è quella che esprime la
maggiore trasparenza morfotattica e morfosemantica: nel caso di parole che permettono sia
un'interpretazione lessicalizzata sia una regolare (es. riassumere "sunteggiare, assumere di
nuovo") il significato lessicalizzato è di norma espresso tramite una maggiore coesione fo-
nica che può comportare il passaggio da vocale a semivocale, mentre l'espressione del si-
gnificato composizionale avviene tramite una maggiore distinzione tra i componenti. Lo
stesso accade per la pronuncia di parole come riscuotere, in cui l'interpretazione semantica
iterativa "scuotere di nuovo" può essere distinta nella pronuncia da quella idiosincratica
"incassare" sia grazie all'enfatizzazione dell'accentuazione del prefisso sia grazie a una
pausa tra prefisso e radice verbale (nella grafia, la distinzione può essere espressa utiliz-
zando un trattino). 2 Le caratteristiche fonologiche della base e del prefisso non sono quindi
sufficienti a predire i fenomeni di riduzione e di cancellazione vocalica. Da quanto emerge
Sia la formazione di un dittongo che la cancellazione della vocale del prefisso hanno evidente-
mente conseguenze anche sulla base, in quanto ne modificano la sillaba iniziale (cfr. 3.6.3.).
2
L'esistenza di una base libera non prefissata favorisce questa possibilità, ma l'accento contrastivo
sul prefisso può essere sfruttato anche quando la base non è una parola autonoma (es.
l'esportazione deve essere privilegiata sulla importazione).
3.6. Caratteristiche fonologiche 123
in Gili Fi vela / Bertinetto 1999, il prodursi di tali fenomeni è condizionato anche dal conte-
sto diafasico in cui la parola è pronunciata, dal grado di familiarità e di trasparenza seman-
tica della parola in questione, e anche dalla varietà regionale di pronuncia. Le conclusioni a
cui arrivano Gili Fivela / Bertinetto 1999, pur condizionate dalla difficoltà di distinzione fra
dittongo e iato (su questa distinzione, cfr. Maratta 1987), e dalla complessa interazione dei
fattori presi in considerazione, appaiono più adeguate a dare conto del fenomeno della can-
cellazione della vocale rispetto all'ipotesi finora più diffusa (proposta da Scalise 1983) ba-
sata sulla supposta tonicità dei prefissi monosillabici.
Le modifiche che riguardano la base consistono nella risillabificazione della sillaba iniziale
(es. u.tile —» inutile, u.nire —> disunire, e.roe —» su.pe.re.roe), e nel raddoppiamento della
consonante iniziale (es. contraccolpo. frapporre. sopravvalutare)
La risillabificazione della base dipende dalla tendenza della sillaba ad avere un attacco
ottimale, e ha come conseguenza una più forte integrazione del prefisso nella struttura fo-
nologica della parola derivata. La risillabificazione è particolarmente favorita nel caso in
cui il prefisso termina in consonante e la base comincia in vocale (possono provocarla sia i
prefissi monosillabici che quelli bisillabici), 1 ma si può verificare (come abbiamo visto in
3.6.2.) anche con prefissi che terminano in vocale, qualora vi sia formazione di un dittongo
o elisione (l'elisione è limitata ai prefissi bisillabici, con l'eccezione di ri-). Per alcuni pre-
fissi (in primo luogo dis-, in-1, in-2) l'esito naturale in contesto prevocalico sembra essere la
risillabificazione, anche se l'esigenza di marcare il confine morfologico fra prefisso e base
può avere la priorità sul processo di integrazione fonologica. La difficoltà di determinare la
scansione sillabica e la variabilità delle possibili realizzazioni provoca inevitabili incon-
gruenze nelle indicazioni della sillabazione da parte dei dizionari dell'uso (analogamente a
quanto accade per i dittonghi e gli iati). In assenza di lavori sistematici sulla risillabifica-
zione dei prefissi italiani (alcune osservazioni sull'argomento in Montermini 2002, 116—
123), è del tutto plausibile ipotizzare che criteri non fonologici, come la trasparenza
semantica e la familiarità abbiano un ruolo anche nel determinarsi di questo fenomeno:
tanto più una parola ha significato idiosincratico ed è di uso comune tanto più probabile è la
risillabificazione.
Il raddoppiamento della consonante iniziale di parola è provocato da un piccolo numero
di prefissi terminanti in vocale, tutti di limitata o nulla produttività, a eccezione di sopra-
Isovra-.
I prefissi che provocano regolarmente il raddoppiamento sono: contra- (contrappeso,
contrassegno, contrattempo),1 fra- (frapporre), ra- (rabbrividire, rattoppare), so- (sobbal-
zare, soppalco, sorreggere), su- (succitato, suddetto). Le due forme sopra- e sovra- si al-
ternano nella lingua senza una regola individuabile, se non quella dell'uso. Entrambe pos-
sono provocare il raddoppiamento, specialmente nelle parole di uso comune (sopracciglio,
sovrapporre), mentre nelle neoformazioni e in termini tecnico-scientifici prevale la forma
non raddoppiata (soprarenale, sovratensione), in diverse parole sono possibili le due realiz-
zazioni (sopralluogo / sopraluogo, soprattassa / sopratassa).2 Alcune parole si formano
esclusivamente con sopra- (sopraffare, soprannome), altre con sovra- (sovrumano, sovrap-
porre)·, in alcune coppie di parole una può essere preferita all'altra (es. soprattassa a so-
vrattassa, sovrapporre a soprapporre).
Alcuni esempi isolati di raddoppiamento sono rappresentati da inframmischiare, tratte-
nere, intrattenere.
3.6.4. Restrizioni ci
L'impiego dei prefissi non è in genere condizionato da motivi fonologici. La gran parte dei
prefissi si può premettere a basi anche quando tale combinazione provochi nessi che non
sono propri della fonologia dell'italiano (cfr. 3.6.5.). La tendenza ad evitare alcuni incontri
vocalici determina l'impiego di un piccolissimo numero di varianti: an- davanti a vocale,
invece che a- (anabbagliante, analfabeta), re- davanti a HI invece che ri-.
Il prefisso re- è usato prevalentemente come variante di ri- premesso a verbi che cominciano con /i/
(reidratare, reimbarcare, reimpiegare, reindustrializzare); è presente anche in numerose parole di
formazione latina di tradizione dotta (recidere, recitare, replicare, resistere); si può trovare in concor-
renza con ri- in alcune parole di origine latina, in questi casi la forma con re- è sentita come più dotta
(recuperare / ricuperare, remunerare / rimunerare). In alcune coppie si ha specializzazione di signi-
ficato, in questi casi le forme con re- hanno significato lessicalizzato, mentre quelle con ri- hanno
significato più regolare (reagire vs riagire, respingere vs rispingere). L'influsso convergente eserci-
tato sia dalla terminologia del latino scientifico sia da terminologie di lingue moderne, favorisce
l'impiego di re- anche davanti a parole che cominciano con un fonema diverso da /i/ (recalcificare).
1
La fricativa alveodentale non si può premettere a parole comincianti in sibilante (cioè le fricative e
le affricate prodotte nella zona che va dagli alveoli al palato duro: /s/ /z/ /ts/ /dz/ /tj/ /ds/ /[/) e alle
sonanti palatali /ji/ e /λ/.
2
L'impossibilità del prefisso s- a essere premesso a parole cominicianti in vocale può essere consi-
derato un argomento a favore dell'eterosillabicità in contesti preconsonantici (sulla sillabazione dei
nessi /s/ + consonante cfr. Maratta 1995, Bertinetto 1999b e la bibliografia contenuta in questi la-
vori). Si noti che le (pochissime) violazioni alle restrizioni fonologiche dell'impiego del prefisso s-
riguardano contesti preconsonantici (scentrare, sgelare) e mai prevocalici.
126 3. Prefissazione
Si tratta di una tendenza innovativa, dal momento che in epoche precedenti vi era mag-
giore ricorso all'assimilazione, si confrontino gli esempi riportati in ( I l a ) con quelli più re-
centi in ( l i b ) :
Un altro esempio è fornito da dis-, per cui non si ha più assimilazione del luogo di articola-
zione davanti a fricativa labiodentale sorda (cfr. diffidare e disfidare, difficile e disfare). La
tendenza al mantenimento della forma analitica del prefisso ne migliora la riconoscibilità e
lascia inalterato anche l'inizio di parola. 1 Come abbiamo visto, anche altri fenomeni che
determinano un'integrazione fonologica tra prefisso e base (es. il raddoppiamento fonosin-
tattico) sono in regresso.
I prefissi si distinguono quindi dai suffissi in quanto questi ultimi non determinano in-
contri consonantici non ammessi, e anche perché la prefissazione non richiede fenomeni di
inserzione fonologica. La prefissazione si distingue anche dalla composizione perché in
prefissazione non si ha aplologia, cioè la cancellazione della sillaba finale davanti a parola
che cominci con una sillaba che abbia attacco identico (polilineare, pluriricercato, ultratra-
gico), mentre ciò può avvenire in composizione (esentasse, mineralogia, ostricoltura, cfr.
Scalise 1994, 160-163).
Un'altra differenza dai suffissi, riguardante questa volta la grafia, consiste nel fatto che i
prefissi possono essere distinti dalla base mediante un trattino, e anche talvolta essere scritti
separatamente dalla base a cui si riferiscono (es. ante guerra), le tre possibili grafie possono
coesistere in una stessa formazione (neoeletto, neo-eletto, neo eletto). L'impiego del tratti-
no è piuttosto oscillante: è sempre impiegato davanti a parole scritte in maiuscolo, come i
nomi propri (una legge pre-Ciampi), spesso davanti a sintagmi nominali (maxi-aumento di
capitale, mini-rassegna cinematografica) e a nomi al plurale (una legge anti-immigrati). Il
trattino è usato principalmente nel caso di neologismi, probabilmente per sottolineare il
carattere di novità di una certa formazione, mentre non è in genere determinato da ragioni
fonotattiche; è usato di preferenza con basi nominali e con aggettivi qualificativi, ma si può
trovare anche con verbi e aggettivi di relazione.
Alcuni significati sono espressi unicamente o preferibilmente in relazione a basi di una determinata
categoria: la negazione contraria, come anche l'intensificazione, si esprime tipicamente con basi ag-
gettivali, i significati iterativo e reversativo sono riservati ai verbi, la quantificazione ai nomi, i pre-
fissi con valore locativo si uniscono specialmente a nomi e ad aggettivi di relazione. I prefissi più di-
sponibili a essere impiegati sia con nomi sia con aggettivi sia con verbi sono quelli che esprimono
negazione oppositiva, unione, riflessività, reciprocità.
128 3. Prefissazione
3.7.1. Posizione ci
L'insieme dei valori semantici che raggruppa un maggior numero di prefissi è quello posi-
zionale. Al suo interno si possono distinguere valori locativi e valori temporali, a loro volta
suddivisibili secondo l'asse posizionale avanti-dietro e quello temporale prima-dopo. Molti
prefissi possono esprimere sia valori locativi sia valori temporali (es. ante-, anti-2, avan-,
inter-, post-, pre-) mentre altri solo valore locativo (es. circum-, inter-, intro-, sub-, super-).
Fra quelli che esprimono entrambi i valori si possono notare alcune preferenze per
l'impiego locativo (es. avan-, anti-2) o per quello temporale (es. ante-, post-, pre-).
1
Oltre alle sezioni dedicate alla prefissazione nelle grammatiche e nei dizionari dell'italiano, descri-
zioni dell'insieme dei significati espressi dai prefissi dell'italiano sono fornite da Tollemache
1945, Junker 1958, Vuòetic 1976, Dardano 1978, Iacobini 1992; utili indicazioni si possono trarre
da lavori dedicati ad altre lingue romanze, come Rainer 1993a e Varela / Martín García 1999 per
lo spagnolo, o Peytard 1975 e Weidenbusch 1993 per il francese. Nei prossimi paragrafi forniremo
indicazioni delle (non molte) opere dedicate ai singoli prefissi dell'italiano.
3.7. Funzioni semantiche 129
1
Su avan- si veda Thornton 1998b.
2
La neoformazione avantielenco può essere spiegata con il fatto che avan- non si può premettere a
parole che cominciano con vocale.
3
Sul prefisso retro- si veda Rainer 1999c.
130 3. Prefissazione
retrovia). In questo tipo di formazione si può opporre a anti-2. È usato davanti a nomi e
aggettivi deverbali di cui può essere non attestato il verbo prefissato corrispondente (che è
comunque una forma possibile): retroflesso, retroflessione, retroformazione, retroillumi-
nato, retrostante, retrovisivo, retrovisore. Si premette raramente ad aggettivi (retroattivo) e
ad aggettivi di relazione (retromammario, retrosternale), impiegato specialmente in termini
d'ambito tecnico-scientifico.
Post- è utilizzato con il significato locativo "dietro" quasi esclusivamente nella forma-
zione di termini tecnico-scientifici, premesso produttivamente ad aggettivi di relazione e a
nomi in costruzioni esocentriche il cui genere è determinato dal nome di base (postipofisi,
postorbitale). È presente in un numero limitato di parole d'origine latina (posteriore). Al-
cune formazioni possono esprimere sia valore locativo sia il più diffuso valore temporale
(posporre). Nella terminologia linguistica, oltre che con significato spaziale (postdentale,
postvocalico), è usato anche con il significato "derivato da" (postnominale).
Il significato di "movimento, direzione in senso contrario" è espresso in un numero ri-
stretto di nomi e aggettivi dai prefissi contro- e anti-1 (controcorrente, controforza, contro-
rotante, controspinta; antialiseo, antiorario), che esprimono prevalentemente valore con-
trario, e di verbi dai prefissi ri- e re-, che esprimono prevalentemente valore iterativo. Tra i
verbi prefissati con ri- in cui accanto al significato principale di "ripetizione" è presente
anche quello di "movimento in senso contrario" vi sono: ributtare, ridare, rifluire, rigetta-
re, rimandare, riportare, rispedire-, quest'ultimo significato si differenzia da quello iterati-
vo anche per il fatto che l'agente e il destinatario del verbo prefissato possono non essere
gli stessi di quelli del verbo di base (es. Carlo spedisce una lettera a Pietro, e Pietro la
rispedisce a Carlo "la manda indietro"). Tra i verbi prefissati con re- che esprimono il
significato di "movimento in senso contrario": recedere, regredire, respingere, restituire,
revocare.
Contra- non è più produttivo, ma è presente con significato e funzioni analoghi a quelli di contro- in
parole come contrafforte, contrappeso, contrapporre, e in diversi termini dell'araldica (contrabasto-
ne, contrafasciato, contrasaltante).
Anti-1 è impiegato con il significato "di fronte, posizione contrapposta" nella formazione di termini
tecnico-scientifici (anticatodo, antimeridiano, antiparallelo), l'unica parola d'uso corrente con questo
significato è antipode.
Ricordiamo qui anche il prefisso ob- non produttivo nella lingua comune, e a cui non è possibile
attribuire un significato costante in sincronia, ma presente in un discreto numero di verbi (e loro
derivati) di formazione latina (obbligare, occludere, occorrere, offrire, opporre, osservare, ottenere),
3.7. Funzioni semantiche 131
3.7.1.1.5. "Dentro, all'interno, in mezzo": fra-, infra-, inter-, intra-, intro-, tra- ci
Intra- con il significato "dentro, all'interno", è impiegato produttivamente davanti ad ag-
gettivi di relazione (intracontinentale, intraorbital, intrauterino). Si contrappone a extra-
intracellulare vs extracellulare, intracomunitario vs extracomunitario, intrauterino vs
extrauterino).
Inter- si premette produttivamente ad aggettivi di relazione per indicare "posizione in-
termedia" fra due oggetti, fra due limiti di spazio denotati dal nucleo nominale
dell'aggettivo (interarticolare, intercellulare, interconsonantico, intercostale, interdentale,
intervertebrale). Si può premettere anche a nomi in costruzioni esocentriche il cui genere è
determinato dal nome di base (interbinario, interferro, interlinea, interponte, intertempo).
Il valore di posizione intermedia veicolato da inter- implica una relazione tra due< o più
elementi indicati dal nominale di base, ciò determina la principale differenza di significato
rispetto ai derivati con intra-, che invece fanno riferimento a fenomeni che avvengono
all'interno di quanto indicato dal nucleo nominale dell'aggettivo. 1
Intro- esprime il valore "dentro, all'interno" in verbi e nominali deverbali di formazione
latina (introdurre, introito, intromettere), ed è usato con lo stesso valore, in un ristretto
numero di formazioni di ambito prevalentemente tecnico-scientifico (introflessione, intro-
flettersi, introiezione).
Infra- ha il valore "tra, in mezzo" in un numero ristretto di parole (infradito, inframmettere, inframmi-
schiare). Non è produttivo con questo significato.
Fra- è presente in un numero limitato di verbi di formazione italiana (e nei loro derivati), con il
valore principale "in mezzo, posizione intermedia" (frammettere, frapporre), da cui derivano il valore
1
Cfr. Migliorini 1968b, 109-110, che mette a confronto i due prefissi per mezzo del seguente
esempio: un'iniezione intramuscolare avviene nell'interno di un muscolo, mentre un legamento
intermuscolare collega due muscoli.
132 3. Prefissazione
Extra- è il prefisso più usato di questo gruppo, si premette produttivamente con il valore
"fuori, al di fuori di" ad aggettivi di relazione in un discreto numero di formazioni (extra-
comunitario, extraconiugale, extracorporeo, extracontrattuale, extraeuropeo, extraistitu-
zionale, extraparlamentare, extrasensoriale, extraurbano). A partire dal valore locativo,
derivano il significato "estraneo, anomalo" presente in un piccolo numero di parole (extra-
sistole), e quello valutativo (cfr. 3.7.3.2.1.), più largamente impiegato. Si oppone semanti-
camente a intra- (extracomunitario vs intracomunitario).
Estra- è una variante non produttiva di extra-. Molte parole formate con estra- sono state rimpiazzate
da formazioni con extra-, specialmente a partire dalla metà del diciannovesimo secolo. Rimane pre-
sente in una dozzina di parole di scarso impiego, tra cui estragiudiciale, estrapolare. Premesso a
nomi, ha il valore "parte esterna" in poche formazioni esocentriche appartenenti a terminologie tecni-
co-scientifiche (estracarcere, estradosso).
Altra variante di extra- è stra-, di cui sono attestati pochissimi derivati con valore locativo, tra cui
stradotale, stramurale (i più sono stati rimpiazzati da formazioni moderne con extra-). Non è produt-
tivo in questo impiego.
Estro- appare con il valore "fuori, all'esterno" in un ristrettissimo numero di verbi di formazione
italiana (e nei loro derivati), tra cui estroflettersi, estromettere, estrovertere, che costituiscono
l'antonimo delle corrispondenti formazioni con intro- (cfr. estrospezione vs introspezione, estroverso
vs introverso). Non è produttivo (o lo è solo sporadicamente) in parole della lingua comune.
E- è impiegato produttivamente con il valore "fuori, esterno" esclusivamente nella formazione di
termini tecnico-scientifici (ezoognosia).
La preposizione fuori forma un numero ridotto di composti esocentrici, alcuni dei quali sono grafi-
camente univerbati (fuoribordo, fuoribusta, fuoriclasse, fuorigioco, fuoriporta, fuoristrada). Si tratta
di nomi di norma invariabili, di genere maschile indipendentemente dal genere del nome di base,
spesso usati con funzione aggettivale. Gli unici due verbi di uso corrente (fuoriuscire e fuorviare)
risalgono al quattordicesimo secolo. Esprimono il significato "fuori, esterno" anche gli elementi
formativi ecto- e eso- dal gr. éksô: ectoblasto, ectoplasma, esogamia, esotico.
I prefissi che indicano i limiti posizionali esterni superiore e inferiore sono tra i prefissi lo-
cativi quelli più usati anche con valore valutativo, in seguito a un'estensione metaforica che
identifica la posizione superiore con l'intensificazione e quella inferiore con la diminuzio-
ne.
Sor- ha il significato "sopra", premesso a verbi in una ventina di parole della lingua comune, molte
delle quali sono prestiti dal francese (sormontare, sorpassare (con i derivati sorpassato, sorpasso),
sorprendere (con il derivato sorpresa), sorvolare). Non è produttivo.
Ha il significato "posizione superiore" anche l'elemento formativo epi- presente in alcune parole
di uso comune, quali epicentro, epidermide, epigono, epigrafe, epilogo.
Riconducibili a significati locali, ma ormai lessicalizzati sono verbi come sopraffare, soprassede-
re.
2
Sul prefisso super- cfr. Migliorini 19633e.
134 3. Prefissazione
temente usate formazioni come sottolineare, sottoscrivere.' Molte formazioni con sotto- si
contrappongono a quelle di identica base con sopra- e sovra-.
Sub- indica "posizione sottostante" premesso produttivamente ad aggettivi di relazione
(subacqueo, subepidermico, subnasale). In alcuni derivati (es. subalpino, subartico) sono
compresenti sia il valore locativo sia quello attenuativo (per quest'ultimo valore cfr.
3.7.3.2.2.). Si può opporre a sopra-lsovra- (subordinato vs sovraordinato). Premesso a
nomi (in genere non animati), esprime i valori "importanza minore, subordinazione gerar-
chica", ai quali può essere associata una connotazione svalutativa (subagenzia, subdeposi-
to), "grado, livello inferiore alla norma" (subfertilità). In termini appartenenti prevalente-
mente ai linguaggi giuridico ed economico, è premesso a verbi o a nomi deverbali senza
che sia necessariamente attestato il verbo corrispondente; in questo tipo di formazione indi-
ca "trasmissione ad altri di un diritto, di una condizione": subaffittare (con il derivato sub-
affitto), subappaltare (con il derivato subappalto), subfornitore, subfornitura, sublocare
(con il derivato sublocazione).
Infra- ha il valore spaziale "sotto" in un numero ristretto di parole di ambito prevalente-
mente tecnico-scientifico, premesso a nomi e ad aggettivi di relazione (infracrostale, infra-
durale, infraorbitale, infrastruttura).
Ipo- indica posizione inferiore o interna premesso a nomi in termini di ambito tecnico-
scientifico (ipoderma, ipoglottide).
So- non è produttivo, ed è difficilmente identificabile, o non identificabile, per il parlante comune. È
presente in una quarantina di parole in cui esprime valore locativo (soccoscio, soppalco, sostrato) o
attenuativo (cfr. 3.7.3.2.2.).
Esprime il significato "giù, in basso, sotto" anche l'elemento formativo cata-, presente in una de-
cina di parole di formazione greca e latina di uso corrente, tra cui cataclisma, catalogo, catarro,
catastrofe.
3.7.1.1.9. "Al di là, attraverso, oltre": meta-, oltre-, per-, tra-, trans-, tras-, ultra- a
I prefissi che esprimono il valore "al di là", oltre all'impiego nella formazione di parole con
valore locativo, si prestano ad esprimere significati più astratti che indicano la trasforma-
zione, il cambiamento di stato, il superamento di un limite.
Da un unico elemento latino (trans-), l'italiano ha derivato tre prefissi (tra-, trans-,
tras-), i quali, nati come varianti condizionate da contesti fonologici, si sono poi in parte
differenziati nell'uso e nel significato. 2 Trans- è l'unico attualmente produttivo. Conserva la
forma e i significati latini "al di là, attraverso, oltre" in alcune parole di origine e trasmis-
sione dotta, soprattutto verbi e nomi deverbali di ambito giuridico e commerciale (transa-
zione, transigere, transito, transizione), e aggettivi di relazione specialmente di ambito
geografico (transalpino, transpadano, transtiberino). La maggior parte delle parole di for-
Indicano un qualcosa identificato tramite una collocazione spaziale i composti esocentrici in cui la
preposizione sotto si premette a un nome (sottobicchiere, sottopancia, sottopiede, sottosuolo)·, tali
formazioni sono di genere maschile indipendentemente dal genere del nome di base e, di norma,
invariabili al plurale; la natura del referente deve essere conosciuta enciclopedicamente o determi-
nata pragmáticamente (cfr. 3.1.2.).
2
I contesti fonologici che determinavano le diverse forme del prefisso non hanno più effetto, cfr.
trafiggere, trasfondere, transfrontaliera.
3.7. Funzioni semantiche 135
mazione latina sono state adattate già nell'italiano trecentesco (quando non già in latino)
nelle forme in tra- e tras-. Si premette produttivamente ad aggettivi di relazione e a nomi
specialmente d'ambito geografico (transaortico, transappeninico, transcorticale, transda-
nubiano, Transgiordania);1 alcuni di questi aggettivi sono sostantivati (il transatlantico),
formano un sottogruppo omogeneo nomi di genere femminile che denominano importanti
vie di collegamento (la transamazzonica, la transiberiana). E impiegato con valore più
astratto in numerose neoformazioni per indicare qualcosa che è al di là di quanto denomi-
nato dal sostantivo o dal nucleo nominale dell'aggettivo di base (transavanguardia, tran-
sdisciplinarità, transeconomia, transgenetico, transnazionale, transpartitico).2 Non è pro-
duttivo davanti a verbi.
Tra- non è produttivo. Le parole lemmatizzate più recenti sono tramandare (a. 1598) e
tracimare (a. 1840). E presente davanti a verbi con i valori "al di là, oltre, da un luogo a un
altro" (traboccare, tramontare, trapiantare, trascendere, travalicare, travasare)·, "attraver-
so, da parte a parte" (tracannare, trafiggere, traforare, trapelare, trapungere, trasudare);
da questi valori si è sviluppato quello di "trasformazione, cambiamento di stato, di condi-
zione" presente in verbi quali tradurre, tralignare, travestire, travolgere, e quello "attenua-
tivo" presente in trasognare. È usato in alcune formazioni sia con valore locativo "in mez-
zo" (cfr. 3.7.1.1.5.) sia con valore intensificativo (cfr. 3.7.3.2.1.).
Tras- è presente davanti a verbi con i valori "al di là, oltre, da un luogo a un altro" (tra-
sferire, trasfondere, trasgredire, traslocare, trasmettere, trasvolare)·, con gli stessi valori è
documentato anche davanti ad aggettivi di relazione (traspadano·, trasteverino invece, da
un punto di vista sincronico, è derivato da Trastevere). Esprime il valore "attraverso, da
parte a parte" in traslucido, trasparire. Indica "trasformazione, cambiamento di stato, di
condizione" in trasfigurare, trasformare, traslitterare. Non è produttivo, ma talvolta utiliz-
zato nell'adattamento di prestiti dall'inglese (trasdurre, trasversione).
Ultra- esprime valore locativo in un numero molto ridotto di formazioni premesso ad
aggettivi di relazione (ultraprovinciale, ultraterreno)', riconducibili al valore locativo sono
anche ultrasuono e ultravioletto. E più usato con valore temporale (cfr. 3.7.1.2.2.), e soprat-
tutto con valore intensificativo (cfr. 3.7.3.2.1.).
Oltre- è la variante di tradizione diretta di ultra-, rispetto al quale forma un maggior nu-
mero di derivati con valore locativo. Con il significato "al di là, dall'altra parte", si pre-
mette produttivamente ad aggettivi di relazione e a nomi in formazioni di ambito prevalen-
temente geografico (oltremarino, oltremontano; oltralpe, oltrecortina, oltremanica, oltre-
pò, oltretomba). I nomi sono esocentrici, invariabili, di genere maschile indipendentemente
dal genere della base, si possono quindi considerare composti preposizionali. Può indicare
"superamento di un limite", premesso produttivamente ad aggettivi di relazione (oltrenatu-
rale, oltreumano). Premesso ad aggettivi, ha valore intensificativo in un ristretto numero di
formazioni obsolete (cfr. 3.7.3.2.1.). Non è produttivo davanti a verbi, l'unico verbo di uso
corrente è oltrepassare, attestato già nel 1292.
Esprime il significato "attraverso" anche dia-, presente in diverse parole di uso corrente (specialmente
nomi) di origine greca e latina (diadema, diaframma, diagnosi, diagonale, dialogo, diametro, diavo-
lo), ed impiegato produttivamente nella formazione di termini di ambito tecnico-scientifico. La fortu-
na del termine diacronia in linguistica ha favorito la formazione della serie costituita da diafasico,
diamesico, diastratico, diatopico e di altri termini quali diasistema.
Il valore "intorno" è espresso anche dagli elementi formativi peri- e anfi-, presenti in alcune parole di
uso corrente di origine classica (anfibio, anfiteatro, periferia, perimetro), ed impiegati produttiva-
mente nella formazione di termini di ambito tecnico-scientifico.
Di-: variante di tradizione diretta del prefisso de-, è presente con il valore di "separazione, allontana-
mento" in pochi verbi (e loro derivati), tra cui dipartire, dirottare. Non è produttivo.
Se- non è produttivo. È presente con il valore "separazione, allontanamento " in verbi (e loro deri-
vati) di origine latina non analizzabili in costituenti significativi da parte del parlante comune (secer-
nere, secessione, sedurre, selezione, separare).
Costituiscono casi isolati, e non sono il risultato di regole di formazione di parole produttive, i
verbi straripare e tracimare.
1
Insolitamente ricca la bibliografia su questi prefissi: Devoto 1939, Br0ndal 1940-1941, Marchand
1953, Gatti / Togni 1991, Mayo et al. 1995, Schepping 1996b, Ernst 1997.
138 3. Prefissazione
comandante, viceré, vicesindaco)·, oppure, con impiego analogo a quello di sotto-, chi ha
grado o funzioni immediatamente inferiori a quelli indicati dal nome di base (viceammira-
glio, vicepretore, vicesegretario).
Pro- è usato produttivamente, con impiego analogo a quello di vice-, premesso a nomi
che indicano professione, carica, ufficio, per indicare chi è autorizzato a sostituire il titolare
in caso di sua assenza o impedimento (prorettore, pro-Segretario di Stato, prosindaco). Sul
modello rappresentato da pronome, sono stati formati alcuni termini della linguistica, tra
cui proavverbio, proforma. Premesso a nomi di parentela, indica ascendenza o, anche,
discendenza diretta o indiretta (proavo, pronipote, prozio).
Sotto- è usato produttivamente, con impiego analogo a quello di vice-, premesso a nomi
che indicano professione, carica, ufficio, per indicare chi ha grado o funzione immediata-
mente inferiori a quelli indicati dal nome di base (sottocapo, sottocuoco, sottosegretario,
sottotenente). Premesso a nomi inanimati, può indicare una delle parti in cui un insieme è
diviso o distinto (sottocommissione, sottodialetto, sottogruppo).
Sub- premesso a nomi, può indicare subordinazione gerarchica (subagente, subcoman-
dante).
Bis- premesso a nomi di parentela, indica il grado immediatamente successivo a quello
indicato dal nome di base (bisnonno, bisnipote), ma anche grado genericamente lontano
(biscugino). Non è produttivo. In alcune terminologie tecnico-scientifiche indica il grado
successivo di una serie (biscroma, bisdrucciolo).
Contro-, ristretto al caso di contrammiraglio, ha il significato di subordinazione
all'interno di un ordine gerarchico. Nella terminologia della musica, indica voce o stru-
mento dal suono più grave di quello indicato dal nome di base (contralto, controfagotto,
controviolino).
I prefissi usati per esprimere valori temporali derivano il loro significato da una metafora
che reinterpreta l'opposizione direzionale con lo scorrere del tempo: l'anteriorità posizio-
nale viene reinterpretata come precedenza nel tempo, mentre la posizione posteriore con il
futuro.
attestato solo per una minoranza di tali nomi. Premesso a nomi che indicano una tendenza
artistica o una corrente di pensiero, può indicare la fase che la precede, condividendone
alcune caratteristiche identificati ve {preidealismo, preromanticismo). Molto numerose le
formazioni con aggettivi di relazione (prebellico, preindustriale, prematrimoniale, preo-
limpionico, prescolare), spesso in opposizione semantica con i derivati in post-, È presente
in numerose parole d'origine latina, alcune delle quali non del tutto motivate per il parlante
contemporaneo (precauzione, precetto, precoce, predicare, preferire, prenotare, preoccu-
pare, preparare, prepotente).
Ante- è presente in una quindicina di formazioni correnti, ed è di scarsa produttività. Si
premette ad aggettivi di relazione (antebellico, antelunare) e a nomi in formazioni esocen-
triche, dando luogo ad un piccolo numero di aggettivi e nomi invariabili di genere maschile
indipendentemente dal genere del nome a cui è premesso (anteguerra, antemarcia). E atte-
stato davanti a verbi solo in parole di origine latina (antecedere, con i derivati antecedente,
antecedenza), sono pure di origine latina parole motivate in diverso grado per il parlante
comune (antefatto, antemeridiano, antenato).
Anti-2 è presente in pochi verbi (e loro derivati) di formazione latina, fra cui anticipare,
ed è impiegato in uno scarso numero di formazioni moderne di uso corrente premesso a
nomi e ad aggettivi di relazione (antidiluviano, antipasto, antivigilia). Nonostante che i
derivati nominali siano esocentrici, il genere di questi nomi è determinato da quello della
base, il plurale è quindi regolare. È di scarsa, se non nulla, produttività in questo impiego.
Ex- è impiegato produttivamente soprattutto davanti a nomi, in particolare davanti a
quelli che designano una carica, un mestiere, un ruolo sociale, per indicarne la cessazione,
la perdita (ex-combattente, exministro, exterrorista). Si premette a nomi che denotano una
persona o un oggetto concreto per indicare qualcosa che non si ha, non si usa o non si fre-
quenta più, qualcuno con il quale non si hanno più determinate relazioni (un ex-amico, la
mia ex-automobile, la excasa di Carlo, un ex-giocatore della Roma). Può essere usato da-
vanti a sigle, nomi propri, composti e anche a sintagmi nominali (ex-DC, ex Repubblica
Democratica Tedesca, ex nave traghetto, ex-capitano del SID)\ il prefisso può fare riferi-
mento sia all'intero sintagma nominale che al solo sostantivo, ad esempio, un ex-giocatore
romanista può essere sia un calciatore passato a un'altra squadra ("ex-romanista") sia un
calciatore che ha smesso di giocare ("ex-giocatore"). Meno frequente, ma produttivo, l'uso
davanti ad aggettivi di relazione (territori ex-italiani, calciatore ex-interista).
Infra- esprime il valore temporale "tra, in mezzo", in un numero limitatissimo di parole, tra cui infra-
settimanale. Non è produttivo con questo significato.
li verbo postdatare, attestato in italiano intorno al 1950, è un latinismo accolto in italiano molto
probabilmente tramite l'inglese.
2
Sul prefisso neo-, cfr. Rainer 1989b.
3.7. Funzioni semantiche 141
nali (neo capo della polizia, neo-Ministro degli Esteri)·, si oppone a ex- (neopresidente vs
expresidente). Premesso a nomi che indicano popoli, lingue, ha il valore "ultima fase, fase
più recente" (neoaramaico, neogreco, neoitaliano). Lo stesso valore si ha in diverse termi-
nologie tecnico-scientifiche (neocorteccia, neoglaciale), in cui può essere usato anche pre-
messo a elementi formativi.
3.7.2. Negazione ci
I prefissi che esprimono valori di tipo negativo1 si possono raggruppare in cinque tipi, a
seconda della relazione che determinano tra la base e la parola derivata. Distinguiamo
quindi i prefissi che esprimono: opposizione, contraddizione, contrarietà, privazione, rever-
sione. I prefissi che esprimono "opposizione" e il prefisso non- che esprime "contraddizio-
ne" non sono impiegati con altri significati di tipo negativo. Fra i prefissi che esprimono
"opposizione", anti-1 è il prefisso più usato davanti a nomi e ad aggettivi (ma non può esse-
re usato davanti a verbi), mentre contro- si può premettere anche a verbi. Più complessa è la
distinzione tra gli impieghi dei prefissi che esprimono "contrarietà", "privazione" e "rever-
sione". Limitandoci agli impieghi produttivi, i prefissi a-, in-2, dis- possono esprimere sia
valore contrario sia privativo, i prefissi de-, dis-, s- possono esprimere sia valore privativo
sia reversativo. L'impiego dei prefissi nei diversi valori negativi è anche connesso con la
categoria delle basi. Il significato di contrarietà, definibile come la relazione tra due ele-
menti tale che la negazione dell'uno non implica l'affermazione dell'altro (es. utile / inuti-
le), viene espresso tipicamente con basi aggettivali, ma anche con verbi non telici, mentre il
significato privativo, cioè l'espressione della mancanza o della carenza di quanto denotato
dalla base (es. ordine / disordine) richiede tipicamente basi nominali, e quindi in primo
luogo sostantivi, ma anche verbi denominali. La differenza di scopus semantico distingue
l'impiego con valore privativo da quello con valore reversativo dei prefissi de-, dis-, s-
davanti a verbi. La reversione, essendo il processo di ristabilimento delle condizioni prece-
denti a quelle risultanti da una determinata azione, è espressa con basi verbali. L'azione
semantica dei prefissi con valore reversativo riguarda il complesso dell'azione espressa dal
verbo, mentre l'impiego con valore privativo ha come scopus semantico il nucleo nominale
del verbo, si pensi alla differenza tra stappare nel senso di "togliere il tappo" (valore priva-
tivo) e nel senso di "aprire una bottiglia" (valore reversativo), cioè l'azione che ristabilisce
le condizioni precedenti all'azione di tappare. Di conseguenza numerosi verbi denominali
(es. scartare, sgrassare) possono avere sia interpretazione privativa sia interpretazione
reversativa. L'interpretazione privativa è la sola possibile nel caso in cui il verbo non pre-
fissato descriva uno stato intrinseco o una condizione normalmente inalienabile (deteinare,
diserbare, sbucciare), ma non tutti i verbi denominali prefissati permettono
un'interpretazione privativa (es. sfiorire, non significa "togliere i fiori").
1
Sulla prefissazione negativa, cfr. Tekavòié 1970; 1974-1975. Dedicati al prefisso s-: Devoto 1939,
Br0ndal 1940-1941, Marchand 1953, Gatti / Togni 1991, Mayo et al. 1995, Schepping 1996b,
Ernst 1997.
142 3. Prefissazione
La negazione contraddittoria è una relazione tra due elementi tale che la negazione dell'uno
implica l'affermazione dell'altro in un rapporto di mutua esclusione.
Non- è l'unico prefisso che esprime tale relazione, si premette principalmente a nomi di
azione o di qualità, ma anche a nomi di agente (non-belligeranza, nonconformismo,
non-docente, nonesistenza, non-intervento, non-menzione, non-residente, nonsenso).1 Pre-
messo a nomi concreti, può designare un oggetto, una sostanza che ha alcune caratteristiche
simili a quelle indicate dal nome di base, ma diversa composizione (non-metallo,
non-sapone, non-tessuto). Premesso a nomi astratti, può indicare un qualcosa caratterizzato
dall'assenza di alcune sue caratteristiche prototipiche (un non-film, una non-storia), con
significato simile al valore antonimico di anti-1.
Ha valore eufemistico in alcune neoformazioni, come non deambulante, non udente, non vedente,
esprimendo al contempo il proprio valore fondamentale di negazione contraddittoria.
144 3. Prefissazione
Le formazioni di questo tipo sono di numero minore rispetto a quelle di valore reversativo, che
hanno invece come basi verbi trasformativi e risultativi, cfr. 3.7.2.5.
2
Su mis-, cfr. Staaff 1927, Meier 1980.
3.7. Funzioni semantiche 145
L'alterazione può essere espressa tramite l'affissazione per mezzo sia di prefissi sia di suf-
fissi (cfr. 5.1.1.7. e 5.2.3.), ma anche con altri procedimenti non affissali, quali l'uso di
avverbi (es. molto, poco ecc.) e la ripetizione (es. piccolo piccolo, vicino vicino).11 prefissi
con valore alterativo possono modificare la parola di base secondo due polarità: una positi-
va tendente verso l'accrescimento, e una negativa tendente verso la diminuzione. I limiti
dell'intensificazione sono costituiti nel polo positivo dal grado superlativo che può sconfi-
nare nell'eccesso, mentre il limite della diminuzione è la negazione. Sebbene l'alterazione
non modifichi sostanzialmente la semantica della base, le relazioni fra prefissi e basi hanno
un certo livello di complessità. Da un lato i tratti semantici della base determinano quali
caratteristiche siano modificate dal prefisso alterativo: ad esempio, se la base denota un
oggetto concreto, allora il prefisso modifica le dimensioni, se invece denota una proprietà
allora il prefisso modifica l'intensità della proprietà, se un evento, allora il prefisso può
modificare l'intensità, la qualità o la durata dello stesso. Dall'altro lato vi sono prefissi che
fanno riferimento solo a valori quantitativi (es. maxi-), altri solo a valori qualitativi (es.
extra-), altri ancora, pur potendo modificare le dimensioni quantitative e i tratti qualitativi,
svolgono primariamente una funzione piuttosto che l'altra (es. super- primariamente quali-
tativo, mega- primariamente quantitativo).
Per quanto riguarda le categorie sintattiche delle basi, gli aggettivi sono la categoria che
si presta meglio alla graduazione; sono quindi numerosi i prefissi alterativi che si possono
premettere ad aggettivi (arci-, extra-, iper-, ipo-, para-, semi-, sotto-, stra-, sub-, super-,
ultra-).2 I nomi costituiscono la categoria che intrattiene le relazioni più complesse con i
prefissi alterativi. Si possono distinguere due gruppi principali: i nomi di cui può essere
alterata la dimensione del referente (es. minigonna), e quelli di cui possono essere alterati
alcuni tratti delle qualità che li caratterizzano (es. supereroe), ma vi sono anche casi in cui
entrambe le funzioni possono essere presenti in una stessa parola prefissata (es. megacon-
vegno, miniriforma). I prefissi alterativi si premettono di norma a verbi durativi non telici,
preferibilmente a verbi continuativi, che esprimono cioè azioni durative ateliche (sovrasti-
mare, sottovalutare, ribollire), ma si possono premettere anche a verbi stativi (risapere,
1
Intendiamo per alterazione l'espressione di valori sia dimensionali che valutativi.
Sull'intensificazione in italiano cfr. Rainer 1983a, Sabetay-Schapira 1980; sui prefissi valutativi
Grandi 2002, 192-208. Lavori dedicati a un particolare prefisso sono: Ageno 1950, Avalle 1979,
De Boer in stampa, Fabi 1968, Haller 1988, Migliorini 1963 3 e, Zingarelli 1975.
2
Gli aggettivi alterabili sono di norma quelli qualificativi; costituiscono una piccola eccezione gli
aggettivi che fanno riferimento a movimenti politici, religiosi, artistici, i quali pur esprimendo va-
lori relazionali (e quindi non essendo di norma graduabili) possono essere prefissati con super-,
ultra-, iper-.
148 3. Preflssazione
La forma accorciata macro è impiegata anche come nome femminile invariabile con il significato
"macrofotografìa", e, più recentemente, nella terminologia informatica, con il significato "macro-
istruzione".
150 3. Prefissazione
Iper-, premesso a nomi, indica quantità superiore al normale più che grandezza; può tal-
volta esprimere eccesso, e di conseguenza assumere una connotazione negativa (iperali-
mentazione, iperdosaggio, ipernutrizione, ipertensione). E impiegato in terminologie tecni-
co-scientifiche anche con significati specifici.
Super- indica grandezza maggiore in pochi derivati (superbombardiere, supercinema,
supermercato). Anche premesso a nomi concreti tende a fare riferimento a caratteristiche
qualitative piuttosto che quantitative (cfr. supercarcere, che significa "carcere estrema-
mente sicuro", non "carcere molto grande"). È usato sporadicamente con il valore di "ec-
cesso" (superaffollamento, superallenamento), o di "eccezionalità, episodicità" (superbol-
lo). È impiegato in terminologie tecnico-scientifiche anche con significati specifici.
Sopra- (con la variante sovra-) indica quantità maggiore (non dimensioni) a cui spesso si
accompagna l'idea di "eccesso, superamento di un limite" (soprannumero, sovraccarico,
sovrappeso), o anche di "aggiunta, supplemento" (soprammercato, soprannome, soprappa-
ga, soprattassa).
3.7.3.2. Qualità a
L'alterazione qualitativa ha come base tipicamente aggettivi, ma può riguardare anche nomi
e verbi. Nella gradazione positiva, le formazioni prefissate riguardano tutte o alcune delle
qualità espresse dalla base, in quella negativa di norma tutte.
3.7.3.2.1. "Qualità maggiore": arci-, extra-, iper-, mega-, sopra-Isovra-, stra-, super-,
sur-, ultra- (archi-, oltre-, per-, pre-, ri-, sor-, tra-) a
Nell'intensificazione qualitativa si possono esprimere due livelli: il livello alto (tramite i
prefissi mega-, sopra-, stra-, super-, sur-) e l'intensificazione massima (tramite i prefissi
arci-, extra-, iper-, ultra-)·, vi sono poi alcuni prefissi non più usati produttivamente con
funzione intensificativa (oltre-, per-, pre-, ri-, sor-, tra-). Sebbene non esprima il più alto
grado di intensificazione, è super- il prefisso più usato di questo gruppo. I prefissi iper-,
mega-, sopra-, super- possono alterare sia valori quantitativi sia qualitativi, mentre i prefis-
si arci-, extra-, stra-, sur-, ultra- intensificano di norma solo valori qualitativi. I prefissi
arci-, iper-, stra-, sur- e sopra- sono i più impiegati per indicare eccesso e talvolta coloritu-
ra negativa.
Iper- si premette produttivamente ad aggettivi (ipercritico, iperdotato, ipereccitabile,
ipernutrito, iperpresidenzialista, ipersensibile) e meno frequentemente a nomi (iperinfla-
zione, iperspecialismo, iperrealismo), in entrambe le costruzioni può esprimere una con-
notazione di eccesso (iperberlusconizzato)·, può essere premesso anche ad aggettivi derivati
da nomi propri per indicare un seguace entusiasta (iperdalemiano). I verbi attestati sono
molto pochi (iperalimentare, ipernutrire, ipersostentare, ipervalutare). La scarsità degli
esempi e il tipo di basi (che possono far pensare a retroformazioni da prefissati nominali,
cfr. ipernutrizione, ipervalutazione) non permettono di affermare che la prefissazione ver-
bale sia, allo stato attuale, un processo derivazionale produttivo e regolare, anche se è plau-
sibile una sua diffusione nell'uso.
Arci- si premette produttivamente ad aggettivi e, occasionalmente, a nomi (arciconvinto,
arcinoto, arcioccasione, arcistufo)·, in alcuni casi può assumere connotazione ironica o
spregiativa (arcicattolico, arciprudente). Le neoformazioni sono poche. Non è più usato
produttivamente con verbi o avverbi (arcicredere, arcicerto).
Extra- si premette produttivamente ad aggettivi (extrapiatto, extrarapido, extrasensibile,
extrasottile, extravergine).
Ultra-, originariamente premesso ad aggettivi di ambito politico-ideologico (ultracleri-
cale, ultraortodosso), si è esteso largamente anche in altri ambiti (ultracivilizzato, ultraco-
mico, ultraintensivo, ultramoderno, ultrapenetrante, ultrapotente, ultrarapido, ultrasensi-
152 3. Prefissazione
1
Come osserva Rainer 1993a, 371, super- tende a fare riferimento ai tratti positivi presenti nel
nome, ma per sapere quale sia la qualità intensificata dal prefisso bisogna spesso fare ricorso a co-
noscenze enciclopediche, cfr. superprezzo "prezzo molto basso" visto dalla parte di chi compra,
"prezzo molto alto" visto dalla parte di chi vende.
3.7. Funzioni semantiche 153
3.7.3.2.2. "Qualità minore": bis-, fra-, infra-, intra-, ipo-,para-, semi-, so-, sotto-, sub- a
Sotto- è usato produttivamente in numerose parole, in cui può assumere anche connotazioni
svalutative. Si premette a nomi, a verbi e ad aggettivi participiali senza che il verbo corri-
spondente sia sempre attestato o plausibile (sottoccupazione, sottocultura, sottodimensio-
namento, sottogoverno, sottoprodotto·, sottostimare, sottovalutare-, sottoalfabetizzato, sot-
toccupato, sottosviluppato).
Semi- a partire dal significato etimologico "metà, mezzo", presente in parole come semi-
cerchio, semitappa, è impiegato produttivamente, con valore attenuativo, premesso a nomi
(semiconduttore, semidio, semilibertà, semioccupato, semiperiferia, semivocale) e ad ag-
gettivi. Premesso ad aggettivi, indica il grado intermedio della qualità espressa (semiacer-
bo, semianalfabeta, semiautomatico, semifluido, semipieno)·, premesso ad aggettivi partici-
piali indica il mancato raggiungimento dello stato indicato dall'aggettivo (semidistrutto,
semiprecluso, semiraffinato). È sporadicamente attestato davanti a verbi usati quasi esclusi-
vamente all'infinito (semiconvincere, seminascondere), si tratta di parole che possono esse-
re plausibilmente considerate retroformazioni a partire dalle forme prefissate dei rispettivi
aggettivi participiali (semiconvinto, seminascosto).
Sub- si premette produttivamente ad aggettivi e in minor misura a nomi per indicare
"grado o livello inferiore alla norma" (subacuto, subcosciente, subnormale, subumano,
subvedente-, subcultura, subpolitica).
Para- analogamente a sub-, si premette produttivamente a nomi e ad aggettivi per indica-
re "grado o livello inferiore alla norma" (paraletteratura, parapolitica, parascientifico).
Ipo- si premette produttivamente ad aggettivi e a nomi in formazioni prevalentemente di
registro elevato o di ambito specialistico per indicare "grado o livello inferiore alla norma"
(ipoacidità, ipocalorico, ipodotato, ipoproteico, ipotensione, ipovedente), può anche indica-
re mancanza (ipovitaminosi)-, sporadico l'uso davanti a verbi (iponutrirsi). E impiegato in
terminologie tecnico-scientifiche anche con significati specifici; nei termini medici, è in
stretta correlazione e contrapposizione con parole prefissate con iper- (ipoglicemia vs iper-
glicemia, ipotiroideo vs ipertiroideo).
Infra- è usato con valore svalutativo in poche neoformazioni premesso a nomi: infracul-
tura, infragiornalismo.
Intra- si premette a pochi verbi di percezione (intraudire, intravedere) per indicare che
l'azione espressa dal verbo non si compie interamente, e quindi per significare percezione
poco chiara, incerta.
Multi- è impiegato produttivamente con i valori "con molti, che ha molti, che riguarda mol-
ti" premesso principalmente ad aggettivi di relazione (multietnico, multilaterale, multina-
zionale, multipartitico, multirazziale, multizonale). Con lo stesso significato forma aggettivi
anche da basi nominali che non hanno un aggettivo di relazione corrente o disponibile
(multicanale, multigriglia, multilingue, multipiano, multiprodotto, multirischio, multiuso).
Esistono casi di formazioni parallele con nome e con aggettivo di relazione (multimedia /
multimediale). Premesso produttivamente a nomi può esprimere i valori "con più di uno,
composto, complesso, che serve a più scopi" (multielaboratore, multipendolo, multipro-
grammazione, multipunta). Può essere premesso anche ad aggettivi di tipo deverbale (mul-
tiaccessoriato, multipremiato) benché non siano attestati verbi prefissati con multi-.
Pluri- è impiegato produttivamente con il significato "più di uno, composto da più di un
N, relativo a più di un N", in cui Ν rappresenta il nome o il nucleo nominale dell'aggettivo
di relazione a cui pluri- è premesso. Il maggior numero di formazioni ha come base agget-
tivi di relazione (pluriatomico, pluridecennale, pluridimensionale, plurilaterale, plurina-
zionale, plurinominale, plurioculare, pluripartitico, plurisecolare). Può formare aggettivi
anche da basi nominali che non hanno un aggettivo di relazione corrente o disponibile (plu-
rilingue, plurimotore, pluriposto, plurireddito pluristadio, pluriuso). Si premette produtti-
vamente a nomi (pluricampione, pluricapacità, pluricoltura), e anche a un discreto numero
di aggettivi di tipo deverbale (pluriaggravato, pluridecorato, plurinquisito, plurivalente)
benché non siano attestati verbi prefissati con pluri-.
Poli- è impiegato produttivamente davanti ad aggettivi di relazione e meno frequente-
mente a nomi in numerose formazioni usate prevalentemente in ambiti tecnico-scientifici,
in cui indica "che ha più N, che riguarda più N", in cui Ν rappresenta il nome o il nucleo
nominale dell'aggettivo di relazione a cui poli- è premesso (policlinico, policromatico,
polifunzionale, polimaterico, polisettoriale, polispecialistico, polisportivo, polistrumentista,
politossicodipendente). E presente in parole di formazione greca, scarsamente motivate, o
non motivate, per il parlante comune (policromo, polifonia, poligamia, poliglotta, poligo-
no). E utilizzato in diverse terminologie tecnico-scientifiche anche in combinazione con
elementi formativi.
Oltre che mediante la prefissazione, l'iterazione può essere espressa sia tramite perifrasi
(tornare a, ricominciare a, riprendere a ecc.) sia tramite locuzioni (di nuovo, un'altra vol-
ta, una seconda volta, per la seconda volta ecc.). Nel caso della prefissazione, la ripetizione
dell'azione ha luogo a partire dallo stato risultato dell'azione indicata dal verbo di base,
quindi i prefissi con valore iterativo selezionano di norma verbi telici o perfettivi. I prefissi
iterativi sono tipicamente impiegati per indicare un'azione successiva a una di tipo reversa-
tivo (es .fare —* disfare —> rifare). Grossmann 1994, 20-21 evidenzia un rapporto di asim-
metria fra azioni reversative e iterative: mentre le azioni reversative determinano il ritorno
allo stato da dove parte l'azione denotata dalla base (fare / disfare), le azioni iterative hanno
origine dallo stato risultato della prima azione (si può cioè rifare a partire dal risultato del
3.7. Funzioni semantiche 155
fare o del disfare) per dare luogo a uno stato risultato che può essere identico a quello pre-
cedente, modificato o anche del tutto nuovo (fare, disfare / rifare). Di conseguenza, i verbi
che possono essere derivati con un prefisso iterativo indicano di norma azioni il cui risul-
tato determina l'esistenza di un'entità, si tratta quindi di verbi transitivi con soggetto agente
o di intransitivi con soggetto non agentivo. L'anomalia di un verbo come *rimorire si spie-
ga con il fatto che l'azione indicata dal verbo morire determina l'annullamento dell'entità
interessata, e di conseguenza l'impossibilità della ripetizione dell'azione.
Ri-1 è il prefisso più usato con valore iterativo, ed è impiegato produttivamente davanti a
verbi in un gran numero di formazioni (riaccendere, riascoltare, riattaccare, richiedere,
ricomporre, ricomprare, ricongiungere, rieducare, rieleggere, rifondere, rimacinare, ri-
piantare, riproporre, riscrivere, rispolverare, ritentare, riverniciare, rivuotare),1 numerosi
anche i neologismi (ricapitalizzare, ricontattare, riescludere, rifinanziare, rimasterizzare,
riraccomandare, risocializzare, ritassare). Si premette quindi di preferenza a verbi transiti-
vi con valore telico o perfettivo, ma si può premettere anche a verbi intransitivi (riabbaiare,
ribussare, ricamminare, riemergere, riesplodere, ripiovere) e pronominali (riaccorgersi,
riaddormentarsi, riammalarsi), e sporadicamente a verbi stativi (riabitare). In verbi come
concepire che permettono sia un'interpretazione imperfettiva "provare un sentimento" (12)
sia una perfettiva "essere fecondata" (13) il verbo prefissato con ri- privilegia
l'interpretazione perfettiva:
(12) a. Giulia non concepisce affetto per nessuno
b. ^Giulia non riconcepisce affetto per nessuno
(13) a. Giulia ha concepito un figlio
b. Giulia ha riconcepito un figlio.
Oltre al valore iterativo, il prefisso ri- può esprimere anche altri valori: "ritorno a uno stato
precedente" (rialzare, ricomporre, riconquistare, ricostruire, riguadagnare, risanare, ri-
trovare),3 "movimento in senso contrario" (ridare, rispedire, rivendere), "reciprocità" (ri-
abbracciare, ribaciare), "intensificazione" (ribollire, ricercare, riempire, ripulire, riscal-
dare). Il significato principale del prefisso non esclude la compresenza di uno o più degli
altri significati (es. riabbracciare "abbracciare di nuovo", "abbracciarsi reciprocamente";
ricercare "cercare di nuovo", "cercare attentamente"; richiedere "chiedere di nuovo",
"chiedere insistentemente"). L'interpretazione "iterativa" è possibile anche con verbi che
abbiano un significato lessicalizzato (riassumere, riaversi, ricadere, riconoscere, rifinire,
rilasciare, rimandare, rimettere, riportare, risaltare, risapere, riscaldare, riscuotere, ri-
sentire, rivolgere, rivoltare).4 Sono di uso molto frequente alcuni verbi di formazione latina
1
Sul prefisso ri-: Schultz 1925, Castelfranchi / Fiorentino 1974-1975.
2
In alcuni verbi è associato al significato di "ripetizione" quello di "correzione, miglioramento", ad
esempio in ricatalogare, ridistribuire, riorganizzare.
3
Vi sono tra questi, verbi prefissati che indicano la reintegrazione in uno stato originario senza che
abbia avuto luogo l'azione indicata dal verbo di base, cfr. il fisioterapista riabilita un arto dopo
un 'operazione ortopedica, con la banca riabilita un bancomat che era stato temporaneamente di-
sabilitato.
4
L'interpretazione semantica iterativa può essere distinta, nella pronuncia, da quella idiosincratica
sia grazie all'enfatizzazione dell'accentuazione del prefisso (di solito luogo dell'accento seconda-
rio di parola) sia grazie a una pausa tra prefisso e radice verbale; nella grafia, la distinzione può es-
sere espressa utilizzando un trattino tra prefisso e radice verbale.
156 3. Prefissazione
scarsamente motivati, o non motivati, per il parlante comune (ricettare, ricevere, ridurre,
riflettere, rimanere, rinunciare, riparare, ripetere, risolvere, rispettare, rispondere, risulta-
re). Nei verbi prefissati con ri- l'interpretazione usuale riguarda una sola ripetizione
dell'azione, mentre una ripetizione molteplice (come ad esempio in rigirare, ripiegare,
riverberare) è eccezionale e dipende di norma dal significato della base, mentre nelle co-
struzioni del tipo V e ri-V (es. dire e ridire) il valore reiterativo è determinato dalla costru-
zione stessa più che dal prefisso. Rainer 1993a, 361, cercando di individuare la massima
generalizzazione semantica dei significati espressi dal prefisso spagnolo re-, dimostra che
sia il significato reintegrativo parafrasabile con "ritorno a uno stato precedente" sia quello
di "movimento in senso contrario" possono essere ricondotti al significato principale "ripe-
tizione", a patto che si accetti che l'agente e il destinatario non siano necessariamente gli
stessi di quelli del verbo di base, mentre il significato "intensificativo" non può invece
essere sussunto a quello iterativo. Anche per l'italiano si possono distinguere due raggrup-
pamenti semantici principali: "iterativo" e "intensificativo". Solo il primo è produttivo,
mentre il significato "intensificativo", che conta un numero di formazioni notevolmente
inferiore, è di fatto improduttivo. Non produttiva è la derivazione di verbi di tipo parasinté-
tico, in cui ri- esprime valore ingressivo (cfìr. 4.1.6.). I verbi di questo tipo di uso corrente
non superano la decina (riciclare, rimarginare, rimodernare-, risalgono al latino ricapitola-,
re e ripristinare). Ri- è attestato anche davanti ad alcuni nomi di azione e aggettivi dever-
bali di cui i dizionari non lemmatizzano il verbo corrispondente; fra le neoformazioni di
questo tipo: riaccorpamento, riallineamento, ricentralizzazione, riforestazione, rilottizzato,
rioccidentalizzazione, ririempibile, riterritorializzazione; per ciascuna di queste parole è
possibile ipotizzare un verbo di base prefissato perfettamente regolare, è quindi più oppor-
tuno considerarli suffissati da verbi prefissati possibili ma non attestati, piuttosto che prefis-
sati di nomi o aggettivi. Il prefisso ri- di norma non è impiegato davanti a parole che co-
minciano con li/, in questo contesto gli è preferito re-. Davanti a parole che cominciano con
i prefissi ad- o in-, si può avere troncamento della vocale di ri- (rassicurare, rinsecchire,
rinviare), di alcuni verbi sono attestate sia la forma con cancellazione sia quella analitica
{raffermare / riaffermare, raggirare / riaggirare), in questi casi è la forma analitica ad
esprimere valore iterativo. La cancellazione di vocale davanti a verbi prefissati con i prefis-
si ad- o in- (specialmente nel caso di verbi parasintetici) ha favorito la fusione dei due pre-
fissi e la formazione dei prefissi ra- e riti- (cfr. 4.1.6 e 3.7.6.).
Re- è presente in numerosi verbi di formazione latina di tradizione dotta, molti dei quali
sono scarsamente motivati, o non sono motivati, per il parlante comune (recidere, recitare,
reclutare, reperire, replicare, resistere, restaurare, restituire, retribuire, revocare). At-
tualmente è usato principalmente come variante di ri-, premesso produttivamente a verbi
che cominciano con /il (reidratare, reimbarcare, reimpiegare, reincarnare, reindustrializ-
zare, reinserire, reintegrare, reinventare, reinvestire).' È impiegato anche davanti a un
piccolo numero di nomi deverbali dei quali non è attestato il verbo prefissato corrispon-
dente (reingaggio, reingresso). È in concorrenza con ri- in alcune parole di origine latina
(recezione / ricezione, recuperare / ricuperare, reputare / riputare), di norma la forma con
re- è considerata di registro più elevato; in alcune coppie si ha specializzazione di signifi-
1
In alcuni neologismi è attestata la forma ri- anche davanti ad IH (riibernare, riincentivare, riinter-
facciare), in questi casi nella pronuncia vi è una piccola pausa fra la vocale del prefisso e quella
iniziale di parola.
3.7. Funzioni semantiche 157
cato; in questi casi, le forme con re- hanno significato lessicalizzato, mentre quelle con n'-
hanno significato composizionale regolare (respingere / rispingere, reagire / riagire). A
causa dell'influsso convergente esercitato dalla terminologia del latino scientifico e di lin-
gue moderne (specialmente inglese e francese), può essere impiegato produttivamente nella
formazione di termini tecnico-scientifici anche davanti a parole che cominciano con un
fonema diverso da IM (recalcificare, retrarre).
Valore iterativo può essere espresso marginalmente anche dai prefissi sotto-, sopra-,
sub- in un ristretto numero di formazioni verbali (sottodelegare, sovrastampare, suddivide-
re). Un uso marginale con valore di ripetizione si ha anche in retro- (cfr. Rainer 1999c, 82);
ad esempio, in retrovendere, così come in rivendere, si ha un secondo atto di vendita, ma
«la differenza fra i due verbi sta nel fatto che il primo implica che il venditore del primo
atto sia identico al compratore del secondo e viceversa», mentre in rivendere una simile
identità non è esclusa ma non è necessaria.
Usiamo ingressivo nel senso definito da Grossmann 1994, 3-16, cioè come denominazione di un
componente semantico di tipo azionale proprio di quei verbi che designano una transizione da uno
stato a un altro.
158 3. Prefissazione
1
L'interpretabilità dei verbi deaggettivali e denominali è rafforzata dalla produttività in italiano del
tipo parasintético.
2
Si veda la nota precedente.
3.7. Funzioni semantiche 159
mero di aggettivi di forma participiale per i quali non è attestato un verbo corradicale né
l'aggettivo non prefissato (imbraccialato, insatirito, inturbantato, cfr. 4.3.1.).
S- concorre produttivamente a formare verbi parasintetici deaggettivali e denominali
(cfr. 4.1.-4.1.5.4.) che esprimono l'acquisizione di uno stato (parafrasabili "far diventare,
rendere (più) A": scaldare, smagrire, smezzare, spianare, sprofondare, svilire-, "(far) di-
ventare (un) N": sbocciare, sbranare, sbriciolare, spezzare·, "(far) diventare come (un) N":
scamosciare; "causare, produrre, suscitare, (far) prendere, (far) acquisire N": sfuriare,
spaurire), con basi nominali può concorrere a formare verbi anche di valore strumentale
(parafrasabili "fare qualcosa mediante l'uso di N": sbandierare, scarrozzare, sforbiciare,
strombazzare). Alcune formazioni parasintetiche denominali possono indicare un compor-
tamento esibito, eccessivo (sdottorare, spoliticare). Premesso a verbi ha un valore solita-
mente definito "intensificativo", probabilmente derivato dal valore aspettuale di compi-
mento e di esaustività presente in alcuni verbi di origine latina (cfr. 4.1.3.), come ad esem-
pio lat. exhaurio "vuotare" rispetto ad haurio "attingere" (si pensi anche a verbi di origine
latina come smuovere, spremere, stendere, storcere),1 sono di formazione italiana: sbofon-
chiare, scacciare, scambiare, scancellare, sgraffiare, sgridare, sgualcire, slanciare, spar-
lare, strascinare, stroncare, svuotare; non è produttivo con questo impiego. In alcune basi
si può individuare un certo grado di espressività, si tratta di basi suffissate con valutativi
(sbevazzare, sbocconcellare, sculacciare, sculettare, sforacchiare, sgambettare, sghignaz-
zare, sgranocchiare, strombettare, svolazzare), oppure di origine onomatopeica (sbiascica-
re, sbuffare, scricchiolare, scrosciare, sfrusciare).
Ra-, rin-: si tratta di due prefissi originatisi dal troncamento della vocale del prefisso ri-
premesso a verbi parasintetici prefissati con ad- o con in- (cfr. ammodernare —» rammo-
dernare, insecchire —* rinsecchire, cfr. anche 4.1.6.), ed usati prevalentemente con valore
ingressivo nella formazione di verbi di tipo parasintético (rammentare, rannicchiare, rat-
toppare, rimboschire, rinfacciare, rinfrescare, rintracciare), e meno frequentemente da-
vanti a basi verbali (raccontare, rapprendere, rinchiudere, rincorrere). Entrambi i prefissi
sono raramente impiegati per formare neologismi.
Auto- è il solo prefisso che esprime valore riflessivo. Si premette produttivamente a nomi,
ad aggettivi e a verbi. Benché i derivati verbali siano in numero minore (circa una ventina)
rispetto a quelli aggettivali (una trentina) e nominali (un centinaio), il prefisso agisce su
tratti tipicamente verbali della base, di conseguenza i nomi e gli aggettivi ai quali si pre-
mette sono nella grandissima maggioranza deverbali, in prevalenza nomi di azione derivati
da verbi transitivi. Si possono individuare tre valori principali del prefisso: riflessivo (auto-
distruzione), anticausativo (autoaccensione), focalizzante (autogestione)? Il valore riflessi-
In verbi come scorgere, spedire, il prefisso è identificabile solo grazie al confronto con altri verbi
prefissati, quali accorgersi, impedire.
2
Riprendiamo questa classificazione e diverse altre indicazioni da Mutz in stampa, che mostra
convincentemente anche gli elementi in comune ai diversi sensi del prefisso, e la conseguente pos-
sibilità di interpretare alcuni derivati in auto- secondo l'uno o l'altro senso del prefisso.
160 3. Prefissazione
1
Considerazioni diverse riguardano l'impiego del prefisso con valore focalizzante, cfr. infra.
3.7. Funzioni semantiche 161
Co- in parole di origine latina, è la variante di con- davanti a parola che comincia con vo-
cale, o con /s/ seguita da consonante (es. lat. construo, it. costruire)', risalgono al latino
formazioni motivate in diverso grado (coadiuvare, coagulo, coetaneo, coscrivere, cospira-
re, costituire). In sincronia non può essere considerato una variante di con-, in quanto co- è
impiegato produttivamente in tutti i contesti fonotattici, mentre con- è ormai impiegato solo
sporadicamente nella formazione di parole nuove. È usato produttivamente, con i valori
"unione, partecipazione, simultaneità, uguaglianza", premesso a verbi, a nomi, ad aggettivi
e ad aggettivi di relazione. Le formazioni verbali prefissate con co- (coabitare, coeditare,
coinvolgere, cointeressare, copartecipare, copresiedere) hanno valore comitativo in quanto
esprimono un'azione compiuta da due o più soggetti nello stesso tempo, nello stesso luogo
o con pari impegno o efficacia, oppure una relazione di tipo simmetrico fra due o più entità.
Dal momento che lo svolgimento dell'azione riguarda più partecipanti, l'argomento esterno
del verbo deve essere semanticamente o morfologicamente plurale (Carlo e Giulia coabita-
162 3. Prefissazìone
no), oppure essere in relazione con un argomento indiretto di tipo comitativo (Carlo coa-
bita con Giulia).1 In alcune formazioni nominali, specialmente nel caso di nomi d'azione e
nomi di agente, sono egualmente plausibili sia la prefissazione del nome sia la derivazione
suffissale di un verbo prefissato attestato, o possibile ma non attestato (coconduttore, code-
cisione, codetenzione, codistribuzione, cofondatore, cofondazione, cogestione, coistruzione,
coproduttore, coproduzione, cotraduttore). Casi indubbi di prefissazìone nominale sono:
coautore, codrammaturgo, cofattore, coinquilino, copilota, coproprietario, coprotagonista,
cotesto. Le formazioni con aggettivi e aggettivi di relazione sono poche (coassiale, cobelli-
gerante).
Con- è presente in numerosissime parole per lo più di formazione latina in cui esprime i
valori "unione, partecipazione, simultaneità, uguaglianza" (combaciare, combattere, com-
binare, combustibile, compagno, comparire, compatire, compensare, competere, comporre,
comportamento, comprendere, compressa, compromettere, comprare, concatenare, con-
causa, concetto, concludere, condurre, confetto, conflitto, congresso, connaturale, conse-
guire, contendere, contenere, correggere, corrodere, corrompere, corrugare). È pratica-
mente improduttivo, nelle neoformazioni gli è preferito co-. Le formazioni più recenti
(conurbamento, conurbazione, correlare), apparse tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio
dei Sessanta, si spiegano, le prime due con prestiti dall'inglese, mentre correlare è una
retroformazione da correlazione (av. 1600) o correlativo (1477-78).
Può esprimere il valore di "unione, contemporaneità" anche l'elemento formativo sin-, presente in
alcune parole di uso corrente non motivate, o scarsamente motivate, per il parlante comune (sindro-
me, sinfonia, sintassi, sintesi, sintonia).
1
Nel caso di soggetto singolare l'impiego del prefisso rende di norma obbligatoria la realizzazione
del complemento comitativo che è invece opzionale se il verbo non è prefissato: Carlo dirìge una
rivista, Carlo dirige una rivista con Giulia, Carlo codirige una rivista con Giulia, 1Carlo codirige
una rivista.
3.7. Funzioni semantiche 163
Un nome come intercomprensione è in rapporto con il verbo reciproco comprendersi, così come
comprensione lo è con il transitivo comprendere.
4. PARASINTESI
4.1. Verbi parasintetici ci
Sono definiti parasintetici verbi come accorpare, allentare, imburrare, ingiallire, cioè verbi
denominali e deaggettivali prefissati di cui non sono attestati né il verbo non prefissato
ottenuto per conversione (corpare, lentare, burrare, giallire) né il nome o l'aggettivo di
base prefissato (accorpo, allento, imburro, ingiallo).
L'introduzione del termine parasintético nella linguistica moderna si deve ad A. Darme-
steter (cft. Darmesteter 1877, 129; 18942, 96-103). Il termine è stato immediatamente ac-
colto nello studio delle lingue romanze, ed è tuttora impiegato dai diversi indirizzi teorici
della morfologia contemporanea. 1 All'unicità della denominazione non corrisponde però
un'interpretazione univoca né riguardo al processo che porta alla formazione dei verbi
parasintetici né riguardo alla delimitazione di tali verbi.
Le principali proposte sull'iter formativo possono riassumersi nei seguenti tre schemi: 2
(1) prefissazione e suffissazione simultanee (cfr. Darmesteter 1877, 129; Tollemache 1945,
111): [pref.[X] N/A suff.] v
(2) cambio di categoria dovuto al prefisso (cfr. Corbin 1987,121-39): [pref. [X] ]
(3) prima suffissazione poi prefissazione (cfr. Scalise 1994, 218-22): [pref. [[X]N/A suff.] v ] v
I sostenitori della prima proposta, tra i quali ci ascriviamo, attribuiscono (in maniera espli-
cita o implicita) al suffisso 3 la responsabilità del cambio di categoria del nome o
dell'aggettivo di base in verbo. Le altre due proposte di fatto negano la specificità del pro-
cesso formativo parasintético: Corbin 1987 attribuisce al prefisso il cambio di categoria
della base nominale o aggettivale, negando l'intervento di un suffisso; Scalise 1994 ipotizza
la successione di due stadi derivativi: il primo stadio consiste nell'aggiunta di un suffisso
che determina il passaggio della base nominale o aggettivale a verbo (che rimane una pa-
rola possibile ma non attestata), il secondo stadio consiste nell'aggiunta di un prefisso.
La proposta in (2) è la più discutibile, considerata la generalizzata incapacità che i pre-
fissi delle lingue romanze hanno di cambiare la categoria della base; essa inoltre, postulan-
do una netta distinzione tra l'iter formativo dei verbi parasintetici rispetto ai verbi denomi-
nali e deaggettivali formati per conversione, non permette di spiegare le numerose caratteri-
stiche in comune tra i due tipi di verbi.
La proposta in (3) riconduce a uno stesso iter formativo tutti i verbi prefissati di cui non
è attestato il corradicale non prefissato; ma, come vedremo nel paragrafo successivo, tali
verbi non costituiscono un insieme omogeneo né per quanto riguarda il processo derivativo
per mezzo di cui sono formati né per quanto riguarda i tipi di significato espressi.
1
II significato corrente del termine si differenzia da quello elaborato dai grammatici greci e latini (e
fatto proprio dai moderni studiosi di indoeuropeistica e germanistica), per i quali parasyntheton
(da cui il latino decompositum) indica le parole composte o derivate formate a partire da una base
già composta o derivata, quali ad esempio il sostantivo latino magnanimitas derivato dall'agget-
tivo composto magnanimus.
2
Un'ampia e aggiornata rassegna delle diverse proposte teoriche e descrittive sulla parasintesi è
fornita da Serrano Dolader 1995, 23-74.
3
È importante notare che nella formazione dei verbi parasintetici non interviene un vero e proprio
suffisso derivativo dotato di corpo fonico (quali, ad esempio, -izz-,-eggi-) ma un processo di con-
versione.
168 4. Parasintesi
Il prefisso parasintético in- ha un prefisso omonimo, ma diverso per origine, semantica e tipi di
formazione a cui partecipa, il quale si premette produttivamente ad aggettivi ed esprime valore
privativo-negativo, per esempio in incapace, inutile (cfr. 3.3. e 3.7.2.).
2
Sullo sviluppo semantico a partire da uno stesso prefisso di valori antitetici di tipo sia ingressivo
sia egressivo, e per la definizione delle nozioni di ingressività ed egressività, cfr. 4.1.2. e 4.1.3.
3
Nel DISC e nel GRADIT vi sono pochissimi verbi prefissati con ad- o in- che siano anche suffis-
sali. Sono tutti obsoleti o di basso uso, come accaneggiare o intronizzare.
4.1. Verbi parasintetici 169
neologismi, è però possibile trovare diverse coppie costituite da verbi formati per parasinte-
si e per conversione da una stessa base. Di norma si tratta di parole che si distinguono per
frequenza d'uso (cfr. abbassare di uso corrente e bassare obsoleto), ambito settoriale (cfr.
pianare, termine tecnico e spianare, di uso comune), restrizioni selettive, significato. Diffe-
renze che però non sono riconducibili sistematicamente al tipo di formazione (cfr. anche
7.4.).
Quanto a (b), i prefissi dell'italiano modificano il significato della parola a cui si pre-
mettono, contribuendo con uno specifico valore semantico (cfr. fare e rifare, abitare e
coabitare). La particolarità dei prefissi ad-, in- e s- con valore ingressivo o strumentale
consiste nel fatto che i verbi che essi concorrono a formare produttivamente non hanno
caratteristiche semantiche peculiari rispetto a quelle esprimibili tramite conversione. La
funzione principale di tali prefissi è piuttosto di tipo azionale (nel senso definito in Berti-
netto 1986), essi infatti concorrono di norma a formare verbi che indicano l'acquisizione di
uno stato (addolcire, ingrandire, scaldare), oppure l'impiego di uno strumento (accoltella-
re, sforbiciare).
Per quanto infine riguarda (c), delle tre terminazioni verbali (-are, -ere, -ire), quella in
-ere è del tutto improduttiva, quella in -are è l'unica completamente produttiva, la classe
dei verbi in -ire (oltre alla prefissazione di verbi già in uso, alla sostituzione di prefisso, ai
prestiti dal latino) si può arricchire produttivamente di nuove formazioni solo tramite
l'impiego dei prefissi ad- e in- in formazioni parasintetiche (appiattire, appuntire, innervo-
sire, ingrigire). Le eccezioni si contano sulle dita di una mano (cfr. anche 7.4.1.), fra que-
ste, snellire (da snello), che si può spiegare con l'influsso di verbi come sfoltire e sfinire, i
quali sono però formati tramite sostituzione di prefisso a partire dai verbi parasintetici in-
foltire e infittire, che li precedono diacronicamente e ne sono il presupposto semantico.
Considerazioni del tutto diverse richiedono i prefissi de-, dis- e s- con valore egressivo. I
tre prefissi contribuiscono a modificare la semantica del verbo con cui si combinano espri-
mendo principalmente valori di tipo privativo, reversativo, di allontanamento, e sono pro-
duttivamente impiegati davanti a temi verbali (disfare, deflettere, slegare), a verbi denomi-
nali e deaggettivali formati sia per suffissazione (disindustrializzare, decalcificare, sdram-
matizzare) sia per conversione (decolorare, disonorare, smascherare), e anche a verbi
prefissati (decongelare, disaccoppiare, disinnamorare, scomporre).1 La formazione di verbi
come decaffeinare, deforestare, disossare, scortecciare, di cui non sono attestati i verbi non
prefissati corradicali, rappresenta dunque solo un aspetto dell'impiego di tali prefissi. Come
fa notare Grossmann 1994, 17-18, non è sempre necessario presupporre un evento che
abbia provocato lo stato di cose di cui i prefissi con valore privativo o reversativo indicano
l'annullamento: si può infatti dissalare il baccalà che è stato precedentemente salato, ma
anche l'acqua del mare, si possono dissotterrare le radici di una pianta sia che siano state
interrate da un giardiniere sia che non lo siano state. E dunque del tutto plausibile che verbi
come °caffeinare e 0 forestare, che verbalizzano l'evento di cui i prefissi con valore privati-
vo o reversativo indicano l'annullamento, non siano necessariamente attestati. Ciò avviene
quasi senza eccezioni nel caso di verbi come disossare, sbudellare, snocciolare, che descri-
vono un evento che annulla uno stato intrinseco o una condizione normalmente inalienabile
dell'entità che ne è affetta, come, per gli esseri umani, avere ossa, budella ecc.
I prefissi dis- e s- si possono premettere con valore peggiorativo e negativo anche a nomi e ad
aggettivi, come in disamore, disattento, scorretto, sfortuna (cfr. 3.7.2.4.).
170 4. Parasintesi
1
La proposta della derivazione circonfissale per i verbi parasintetici dell'italiano, come anche
l'elaborazione della nozione di verbo a doppio stadio derivativo sono state formulate in Crocco
Galèas / Iacobini 1993a.
4.1. Verbi parasintetici 171
1
II prefisso di- è la variante di tradizione diretta del prefisso di tradizione colta de-,
2
I verbi di formazione italiana in cui ad- e in- sono premessi a temi verbali sono molto pochi (e
quasi tutti risalgono al XIV secolo), tra questi: addivenire, arrecare, attorcere, impigliare, inco-
minciare.
172 4. Parasintesi
base nominale o aggettivale, garantendo una maggiore omogeneità tra complessità del significante e
complessità del significato.
Accenniamo soltanto ad altri tre fenomeni che hanno certamente influito positivamente
sull'affermazione del processo di parasintesi: (a) il ricorso nel latino tardo alla prefissazione verbale
col fine di aumentare il corpo fonico dei verbi (si pensi a casi di superprefissazioni come adagnosco,
adalligo)·, (b) la marginalità nel sistema derivativo del latino della formazione di verbi denominali e
deaggettivali tramite suffissazione; (c) il progressivo impoverimento nel passaggio dal latino alle
lingue romanze del sistema di relazioni e opposizioni locative e temporali proprie della prefissazione
verbale del latino classico.
Vediamo ora come è stato possibile che da uno stesso prefisso si siano potuti sviluppare
valori antitetici di tipo sia ingressivo sia egressivo (cfr. sgrossare "rendere meno rozzo" e
sfittare "rendere più fine", sfiammare "lenire un'infiammazione" e sfiammare "divampare",
sfilare "togliere dalla sua sede ciò che vi è infilato" e sfilare "procedere in fila").
Anche in questo caso bisogna rifarsi al latino. Il punto di passaggio fra l'originario valo-
re egressivo e la nuova interpretazione ingressiva del prefisso latino ex- può essere indivi-
duato in una serie di verbi causativi tratti da aggettivi e sostantivi,1 tra cui segnaliamo alcu-
ni fra quelli ancora in uso in italiano: effeminare, essiccare, evaporare, esacerbare, esaspe-
rare. Tali verbi predicano l'uscita da uno stato che non viene menzionato in quanto consi-
derato normale o intrinseco per l'entità a cui sono riferiti (l'essere maschio, l'essere umido,
l'essere liquido ecc.). Verbi come effeminare, evaporare o essiccare possono infatti essere
riferiti rispettivamente solo a persone di sesso maschile, a liquidi, o a cose e persone ba-
gnate o umide. 2 Questi verbi si prestano quindi a una reinterpretazione di tipo ingressivo
consistente nell'omissione del concetto di uscita da uno stato di cose, e nell'espressione del
passaggio allo stato indicato dal nominale di base. Le loro parafrasi "diventare femmina o
simile a una femmina", "diventare secco, o più secco", "diventare vapore" risultano di fatto
del tutto equivalenti a quelle dei verbi parasintetici con ad- e in- (ammorbidire, ingrossare)
e dei verbi formati per conversione, si pensi a coppie sinonimiche quali allargare e slarga-
re, chiarire e schiarire.
Lo sviluppo del valore ingressivo del latino ex- è stato favorito anche da altri fattori, tra
cui i principali sono l'impiego di tale prefisso nella formazione di verbi incoativi, come ad
esempio lat. effervesco, evanesco (da cui it. effervescente e evanescente), e dal riconosci-
mento del valore aspettuale di compimento e di esaustività presente in alcuni verbi come
lat. exhaurio "vuotare" rispetto ad haurio "attingere".
Un interessante collegamento fra valori egressivi e ingressivi espressi dal prefisso s- si
ha in verbi come sbranare, sbriciolare, sfrangiare, smembrare, spezzare, che possono esse-
re parafrasati "rompere X in N", "ridurre X a N". Come osserva Grossmann 1994, 71, tali
verbi descrivono eventi irreversibili interpretati dal punto di vista della conoscenza delle
cose come aventi polarità negativa, in quanto tendenti verso l'annullamento di uno stato
preesistente. Si tratta quindi di verbi apparentemente egressivi, in quanto presuppongono
l'allontanamento da uno stato precedente, ma di fatto ingressivi in quanto predicano il co-
stituirsi di un nuovo stato di cose.
L'esistenza di verbi prefissati con dis- e de- con valore ingressivo (delucidare, denudare,
dilatare, dimagrire, disseccare) ha motivazioni analoghe a quelle viste per il prefisso s-, ma
a differenza di quest'ultimo, i prefissi de- e dis- non sono utilizzati produttivamente con
1
Dal prefisso latino ex-, l'italiano ha derivato, oltre al prefisso s-, anche il prefisso e-/es-, non più
produttivo nell'italiano corrente, ma sporadicamente utilizzato nelle terminologie tecnico-
specialistiche con valore privativo e locativo (espettorare, evertebrato).
2
Lo stato preesistente alla verbalizzazione egressiva è ricostruibile anche grazie al fatto che per
molte delle basi nominali è immediata l'individuazione del termine complementare o antonimo
(maschio ! femmina, alto / basso, giovane ! vecchio, amico / nemico). Sulle origini di questi verbi
cfr. Brächet 1999.
174 4. Parasi/itesi
valore ingressivo, e i verbi di uso corrente con valore ingressivo formati con questi prefissi
non superano la ventina di unità.
Abbiamo sin qui definito le caratteristiche generali dei verbi parasintetici e di quelli a dop-
pio stadio derivativo. Abbiamo poi delineato l'origine dei verbi parasintetici e distinto il
valore ingressivo da essi espresso rispetto a quello egressivo, tipico dei verbi a doppio sta-
dio derivativo. Passiamo ora a vedere più da vicino i verbi parasintetici, cominciando da
quelli con base aggettivale. La classificazione semantica dei verbi parasintetici qui proposta
si basa su quella elaborata da Grossmann 1994 per i verbi del catalano.
Il valore ingressivo del circonfisso parasintético si manifesta appieno nella formazione di
verbi da basi aggettivali, in tali verbi infatti l'originario valore locativo dei prefissi non
gioca più alcun ruolo. La parafrasi della generalità dei verbi parasintetici aventi come base
un aggettivo è "far diventare, rendere (più) A", per esempio abbassare "rendere basso" o
"più basso", ammorbidire, indebolire, insudiciare, scaldare, smagrire. Si tratta quindi di
verbi causativi, cioè verbi transitivi in cui il referente del soggetto dell'enunciato è di norma
causa intenzionale di un cambiamento di stato o di proprietà subito dal referente del com-
plemento oggetto, e in cui l'aggettivo costituisce il nucleo semantico della predicazione (il
marinaio allenta il nodo, i dolci ingrassano Gianni). Gli stessi verbi possono di norma
essere usati anche in costruzioni intransitive con valore incoativo.1 Tale valore può essere
espresso nella forma attiva, o nella forma pronominale con un clitico in funzione anticausa-
tiva (il nodo si allenta, Gianni (si) ingrassa).
La maggioranza dei verbi parasintetici deaggettivali presenta un'alternanza tra forma at-
tiva con valore causativo e forma pronominale con valore incoativo. Tra i molti esempi
possibili: abbassare, abbreviare, accertare, accomunare, addensare, addestrare, addolcire,
afflosciare, aggiustare, alleggerire, allentare, allietare, ammollare, appesantire, appiana-
re, appiattire, approssimare, assodare, avverare, avvilire, impietosire, impreziosire, incivi-
lire, incurvare, infradiciare, innervosire, insudiciare, intossicare, inumidire, inzuppare,
irrobustire, isterilire, sbizzarrire, sbollentare, smezzare, svilire.
Un discreto numero di verbi può essere impiegato nella forma attiva sia con valore cau-
sativo nella costruzione transitiva sia con valore incoativo in quella intransitiva,
quest'ultimo valore può essere espresso anche tramite la forma pronominale;2 un elenco
pressoché esaustivo dei verbi di uso corrente comprende: ammorbidire, ammutire, anneri-
re, arricchire, arrugginire, avvizzire, azzittire, illividire, imbarbarire, imbastardire, imbel-
lire, imbestialire, imbiancare, imbiondire, imbizzarrire, imborghesire, imbrunare, imbruni-
re, imbruttire, impazzare, impiccolire, impigrire, impoverire, inacidire, inasprire, incurio-
sire, indebolire, indolenzire, indurire, inferocire, infiacchire, infittire, infoltire, ingelosire,
ingiallire, ingrandire, ingrassare, ingrigire, ingrossare, insecchire, intenerire, intimidire,
Intendiamo per verbo incoativo quello in cui il referente del soggetto dell'enunciato è affetto,
indipendentemente dalla propria volontà, da un mutamento di stato.
2
Sulla doppia possibilità d'uso transitivo e intransitivo dei verbi parasintetici deaggettivali e deno-
minali nell'italiano del Due-trecento, cfr. Brambilla Ageno 1964,97-115.
4.1. Verbi parasintetici 175
1
Così come è di norma anche per altre regole di formazione di parole, gli aggettivi derivati da nomi
sono basi possibili di derivazione solo se usati con significato qualificativo e non classificante (cfr.
Grossmann 1999 e 5.2.1.1.1.).
2
Tra le pochissime eccezioni: allargare, allungare, e alcuni verbi quali accecare, aggravare, am-
mosciare, assordare, il cui uso intransitivo è molto poco frequente o obsoleto.
176 4. Parasintesi
La produttività dei verbi parasintetici deaggettivali è in una fase calante. Ciò può essere in
gran parte spiegato con la concorrenza del suffisso -izz- che, a differenza della parasintesi,
può avere come basi aggettivi suffissati; tra i poco numerosi neologismi: asserìarsi, infa-
sullire, sgigionare. Sono molto pochi i verbi che presentano modificazioni nella base ri-
spetto agli aggettivi a cui sono riconducibili, tra essi: abbonire, abbreviare, indolenzire,
inebriare, innovare.
I tipi di significato espressi dai verbi parasintetici denominali sono più vari rispetto a quelli
espressi dai verbi deaggettivali. I nomi possono essere definiti da un insieme di tratti se-
mantici anche molto diversi tra loro, e il referente che essi designano può essere coinvolto
in una grande varietà di situazioni. Il processo di verbalizzazione seleziona i tratti che sono
prevalenti nelle attività normalmente associate al referente in un determinato contesto cultu-
rale. Di conseguenza, il significato del verbo denominale dipende molto dalle conoscenze
enciclopediche dei parlanti, e da quale (o quali) fra i tratti semantici che compongono il
significato del nome di base sia preso in considerazione nel processo di verbalizzazione. Ad
esempio, un verbo come accanirsi non significa "diventare un cane" o "simile a un cane",
ma "impegnarsi con tenacia" o "infierire rabbiosamente" così come tipicamente fanno i
cani. Questo insieme di fattori rende difficile e incerta la classificazione semantica dei verbi
parasintetici denominali, 1 è però possibile individuare alcune parafrasi a cui possono essere
ricondotti. I tipi di significato principali che possono essere espressi dai verbi parasintetici
denominali sono due: causativo e locativo, a cui si possono aggiungere il significato stru-
mentale e quello ornativo. Nessuno di questi tipi di significato è specifico dei verbi para-
sintetici, dal momento che gli stessi significati possono essere espressi anche da verbi for-
mati per conversione (cfr. 7.4.2.1.) o suffissazione (cfr. 5.3.1.2.).
I verbi con significato causativo sono i più numerosi, costituiscono infatti circa il 50% dei
verbi parasintetici denominali. All'interno di essi si possono distinguere tre sottotipi princi-
pali.
La classificazione più dettagliata dei significati espressi dai verbi parasintetici italiani è fornita da
Reinheimer-Rìpeanu 1974.
4.1. Verbi parasintetici 177
All'incirca il 40% dei verbi denominali esprime significato locativo. All'interno di tale
significato si può operare una distinzione in due sottotipi principali, a seconda che il refe-
rente del nome di base svolga il ruolo di oggetto che viene posto in un qualche luogo (og-
getto localizzato, es. ammobiliare, incoronare, innevare) oppure rappresenti il luogo dove
qualcosa o qualcuno viene posto (spazio di localizzazione, es. accasare, infornare, intavo-
lare).
178 4. Parasintesi
1
Tra i verbi parasintetici con significato locativo non abbiamo considerato i verbi prefissati con s-,
poiché tale prefisso esprime valori locativi di tipo egressivo: "separazione", "allontanamento". Per
la descrizione dei verbi prefissati con s- con valore locativo cfr. 3.7.1.1.12.
4.1. Verbi parasintetici 179
I verbi parasintetici denominali lemmatizzati nel DISC sono circa 660, i più numerosi sono
quelli prefissati con in- (46%), seguono quelli con ad- (38%) e quelli con s- (16%). Prevale
nettamente la classe flessiva in -are (90%) su quella in -ire (10%). Tra i verbi in -are, il
44% è prefissato con in-, il 41% con ad- e il 15% con s-, mentre tra quelli in -ire il 76% è
prefissato con in-, il 20% con ad- e il 4% con s-. Anche se in- è di gran lunga il prefisso più
usato con i verbi in -ire, appartiene a tale classe flessiva solo un verbo su dieci tra quelli
prefissati con in-. I verbi usati solo nella forma pronominale intransitiva sono una quaranti-
na, quasi tutti finiscono in -arsi, tra essi: accanirsi, adirarsi, attendarsi, impaperarsi, inca-
volarsi, infognarsi, intestardirsi, sbracciarsi, prevalgono i causativi sui locativi, assenti gli
strumentali. I verbi usati nella forma attiva esclusivamente in costruzioni intransitive sono
circa una ventina, tra essi: ammarare, ammuffire, annottare, approdare, imbietolire, imbu-
180 4. Parasintesi
strumentale 45 16 39
Come abbiamo visto in 4.1.2., il processo di parasintesi si è affermato nel tempo tramite la concomi-
tante specializzazione di significato di alcuni prefissi e la loro progressiva restrizione all'impiego
parasintético, ma trae origine dalla reinterpretazione di verbi prefissati denominali e deaggettivali.
Altri prefissi che potevano essere premessi a verbi denominali e deaggettivali, sono stati marginal-
mente impiegati nella formazione di verbi a partire direttamente da nomi o aggettivi, partecipando in
diversa misura al significato complessivo del verbo. Si tratta per lo più di verbi di origine latina, o
rifatti sul modello di quelli latini. Qui di seguito elenchiamo, suddivisi per prefisso, i verbi denominali
e deaggettivali di uso più frequente di cui non è attestato il corradicale non prefissato, e che possono
1
Per considerazioni quantitative sulle basi e le classi flessive dei verbi parasintetici nella Divina
Commedia, cfr. Tollemache 1960.
4.1. Verbi parasintetici 181
quindi essere avvicinati al tipo parasintético. Nel caso di con-, sono di origine latina concatenare,
condensare, conglobare, conglomerare, consolidare e contristare, di formazione italiana invece
compaginare (a. 1830) e concentrare (sec. XVI). Per- appare solo in pernottare, che è di formazione
latina e deriva dall'aggettivo pernox, -noctis "che dura tutta la notte". Pro- ricorre in prolungare, che
è di formazione latina, e profilare, che è di formazione italiana (a. 1313-19). So- appare nel verbo
sobbarcare (a. 1313-19), che è probabilmente formato tramite sostituzione di prefisso da imbarcare. I
verbi con stra- sono di formazione italiana: stralunare (av. 1313), stramazzare (sec. XIV), strapazza-
re (av. 1566), straripare (sec. XIV), stravaccarsi (a. 1878). Nel caso di tra-, è di formazione latina
trapiantare. Sono invece di formazione italiana tracannare (av. 1484), tracimare (a. 1805), tracollare
(a. 1503), tralignare (a. 1313-19), tramontare (a. 1304-08), tramortire (a. 1294), trapelare (a. 1313-
19), travasare (av. 1320) e traviare (a. 1313-19). Trans- appare solo in transumare (a. 1909), un
prestito dal francese. Nel caso di tras-, il verbo trasfigurare è di formazione latina. Sono invece di
formazione italiana trasbordare (av. 1877), trascolorare (av. 1321) e traslocare (a. 1812).
Come si potrà notare dalle date di attestazione e dall'eterogeneità dei significati espressi dai verbi,
in nessun caso si può parlare di processi produttivi. I dati sull'italiano confermano dunque le afferma-
zioni di Alien 1981, 80 a proposito del passaggio dei verbi parasintetici dal latino alle lingue roman-
ze: in italiano, come nelle altre lingue romanze, si è avuta una diminuzione della varietà dei prefissi
impiegati e una parallela espansione dell'uso di quelli che sopravvivono. Considerato anche il basso
numero di verbi interessati, l'attribuzione di alcune (o dell'insieme) di queste formazioni ad aree
marginali della prefissazione verbale o della parasintesi è una scelta che ha scarse conseguenze e
comporta ampi margini di arbitrarietà. Un discorso più lungo meritano invece i prefissi ri-, ra-, rin-.
Il significato principale del prefisso ri- è quello di ripetizione. Tale prefisso può quindi essere
usato per indicare il ritorno a uno stato precedente a quello modificato da un'azione di tipo egressivo
(stabilizzare, destabilizzare, ristabilizzare; abbottonare, sbottonare, riabbottonare). Oltre al valore
reingressivo e a quello intensivo (cfr. ricercare, richiedere, riempire), ri- può esprimere talvolta
anche un semplice valore ingressivo, cfr. ribassare, rimodernare, verbi che per semantica e processo
formativo sono del tutto analoghi ai parasintetici abbassare e ammodernare.
I verbi di tipo parasintético formati direttamente con il prefisso ri- non superano la decina (ai due
citati si possono aggiungere riciclare, rimarginare e pochi altri), più numerosi sono quelli prefissati
con ra- e rin-. Si tratta di due prefissi originatisi dal troncamento della vocale del prefisso ri- premes-
so a verbi parasintetici, cfr. raccorciare, rammodernare, ravvicinare, rinsecchire, rintontire, rinvigo-
rire. Nei due prefissi il valore ingressivo prevale su quello iterativo. Sono stati usati sia davanti a basi
verbali, per un totale di una ventina di formazioni (raccontare, rapprendere, rassomigliare, rimpian-
gere, rinchiudere, rincorrere), sia in quantità più ampia nella formazione di verbi a partire diretta-
mente da basi nominali e aggettivali (raffermare, rallentare, rammentare, rannicchiare, rattoppare,
rimbambire, rimboschire, rimpatriare, rincarare, rincasare, rinfacciare, rinfrescare, ringiovanire,
rinsaldare, rinsavire, rintracciare). Non è possibile stabilire con precisione quale sia il numero di
queste formazioni, dal momento che non è sempre possibile distinguere in sincronia i verbi parasinte-
tici prefissati con ri- (con troncamento della vocale) rispetto ai verbi formati direttamente con ra- e
rin-} Una stima approssimativa è di una trentina di verbi prefissati con rin- e di una ventina prefissati
con ra-. Entrambi questi prefissi sono praticamente improduttivi.
Anche l'indagine etimologica non aiuta molto nella comprensione del fenomeno: ci sono verbi
come rabbrividire e rafforzare che sono attestati prima di rispettivamente abbrividire e afforzare,
altri come rinsecchire e raggirare che sono posteriori a insecchire e aggirare, molti altri come ag-
gruppare e raggruppare, aggomitolare e raggomitolare che sono coevi.
182 4. Parasintesi
I termini nome parasintético e aggettivo parasintético sono utilizzati per indicare un insie-
me eterogeneo di formazioni, le cui caratteristiche comuni sono di essere prefissate e di
presentare lacune nell'iter formativo (imbiellaggio, assatanato) o non corrispondenza fra
struttura formale e struttura semantica (bipartitismo, sottomarino).
Non esiste un lavoro né di taglio teorico né di taglio descrittivo sull'insieme dei nomi o
degli aggettivi cosiddetti parasintetici dell'italiano.1 Faremo quindi qui di seguito riferi-
mento ai diversi tipi di formazione che in varie pubblicazioni sono stati definiti parasinteti-
ci. Come si potrà vedere nei paragrafi seguenti, si tratta di nomi e di aggettivi la cui struttu-
ra morfologica non giustifica l'ipotesi dell'aggiunta simultanea di un prefisso e di un suffis-
so, e tanto meno quella di un circonfisso, essi si distinguono quindi nettamente dai verbi
parasintetici. Non è neanche possibile identificare un unico procedimento derivativo comu-
ne a tali formazioni.
Si tratta di un gruppo che conta più di una trentina di elementi costituito da nomi derivati da
verbi non attestati, tra essi: affogliamento, attralciatura, conurbamento, deasfaltizzazione,
decanapulazione, decartellizzazione, decespugliatore, deculminazione, deferrizzazione,
defibrinazione, demielinizzazione, demuscazione, deossigenazione, deospedalizzazione,
depolpaggio, depolpatore, deruralizzazione, desegregazione, disassamento, disinsettazione,
imbiellaggio, inarniamento, inculturazione, insemenzamento, ricentralizzazione, riforesta-
zione, rioccidentalizzazione, riterritorializzazione, scoccolatura, scollettatura, slanatura.
Come si può notare dagli esempi, si tratta per la grande maggioranza di nomi di azione e di
qualche nome di strumento del tutto analoghi a nomi derivati regolarmente da verbi attesta-
ti. La mancata attestazione dei verbi da cui questi nomi sono derivati è accidentale. I verbi
in questione sono perfettamente ricostruibili sia nella forma che nel significato, e la lacuna
può essere colmata in qualsiasi momento nell'uso linguistico. Non si può quindi parlare per
questi nomi di un processo formativo distinto da altri esempi di derivati da verbi possibili
ma non attestati (basculaggio, cantonalizzazione, tascabilizzazione), la loro unica particola-
rità consiste nel fatto che si tratta di nomi derivati da verbi possibili prefissati.
1
Alcuni riferimenti all'italiano si possono trovare in Reinheimer-Rìpeanu 1974,139-148.
4.3. Aggettivi cosiddetti parasintetici 183
ri. In tali nomi non vi è alcun legame necessario fra l'elemento iniziale e quello finale (cfr.
endocitosi. ipercromia), e gli stessi elementi possono anche essere usati indipendentemente
l'uno dagli altri (endocarpo. iperacuto, onicosi, bizzarria).
Alcuni studiosi (cfr. Tollemache 1945, 47, 187-188) considerano parasintetici anche nomi
in cui non compare alcun prefisso. Composti di origine sintagmatica suffissati (guerrafon-
daio) sono definiti parasintetici per il fatto che il composto non suffissato non è una forma-
zione corrente, a differenza di composti come pallacordista, considerati derivati perché la
loro base (pallacorda) è una parola attestata.1 Probabilmente per motivi analoghi vengono
considerati parasintetici anche alcuni nomi composti suffissati con '-olo, tra cui la serie dei
nomi terminanti in -vendolo (erbivendolo, fruttivendolo, pescivendolo·, cfr. 2.1.2.2.2.3.) e
altri nomi non più in uso, come coditremola "cutrettola" o canapiendola "altalena".
Si noti che secondo l'accezione del termine in uso presso i grammatici greci e latini, dovrebbero
essere considerate parasintetiche tanto parole come guerrafondaio che come pallacordista.
184 4. Parasintesi
quelli che esprimono una qualità o una somiglianza, e non lasciano quindi presupporre
un'azione di cui siano il risultato.
Tra gli aggettivi participiali con significato risultativo vi sono: affebbrato, affnittato, ai-
log liato, ammalorato, ammusonito, assatanato, azzancato, dealbuminato, decerato, detei-
nato, inturbantato, inzoccolato, indaffarato, incamerellato, immanicato, imbraccialato,
incuffiato, insatirito, rilottizzato, slampadato. Per ciascuno di essi è del tutto convincente
ipotizzare la derivazione da un verbo la cui mancata attestazione è accidentale.
Tra gli aggettivi la cui semantica rende implausibile la derivazione da un verbo non atte-
stato vi sono i seguenti, nessuno dei quali è di uso corrente: aggigliato "simile a un giglio",
allombato "che ha buoni lombi", allucciato "che ha bocca di forma simile a quella del luc-
cio", ammandorlato "che ha forma di mandorla". A differenza dello spagnolo, lingua in cui
vi sono molti aggettivi denominali formati secondo lo schema a-N-ado, tanto da giustificare
uno specifico processo derivativo di tipo parasintético (cfr. Malkiel 1941b, Rainer 1993a,
72-73, 300-301), l'italiano preferisce la semplice suffissazione denominale, e utilizza due
suffissi di origine participiale (cfr. anche 5.2.1.2.). Il più usato è -ato, che indica la presen-
za, come tratto tipico o distintivo, del referente del sostantivo di base (cabinato, chiomato,
dentato, fortunato, togato), o anche somiglianza con il referente del sostantivo di base (am-
brato, flautato, vellutato). L'altro è -uto, che indica notevole o rilevante presenza di ciò che
è espresso dal sostantivo di base ( b a f f u t o , linguacciuto, nasuto, panciuto, ricciuto).
Ricordiamo infine una serie di aggettivi prefissati con s- la cui parafrasi rende implausi-
bile la derivazione da un verbo non attestato: sfacciato, sgraziato, spensierato, spietato,
spudorato, svergognato. Di nessuno di essi è attestata la forma non prefissata. Si tratta di un
insieme ridotto che può essere ricondotto alla serie derivativa di aggettivi come sfortunato,
smisurato, scostumato, screanzato, per ognuno dei quali è attestato l'aggettivo non prefis-
sato, e in cui il prefisso esprime valore privativo se riferito al nucleo nominale ("privo di
fortuna") o negativo se riferito all'aggettivo suffissato ("non fortunato"). 1
La particolarità degli aggettivi di questo tipo consiste nel fatto che il prefisso si riferisce
semanticamente non all'intera base, costituita da un aggettivo di relazione, ma al suo nucleo
nominale: sottomarino non significa infatti "sotto a ciò che è marino" ma "sotto al mare",
così antiparassitario si riferisce a ciò che è contro i parassiti, e bicilindrico a ciò che è
formato da due cilindri. Si tratta di un gruppo molto numeroso a cui prendono parte prefissi
ed elementi formativi che esprimono significato spazio-temporale, valore contrario, valore
quantitativo. Tra i molti esempi possibili: adimensionale, anficromatico, antelunare, anti-
atomico, anticlericale, antidemocratico, antipopolare, antirivoluzionario, antimissilistico,
antitaliano, antidiluviano, bifacciale, circumvesuviano, cisalpino, citramontano, coassiale,
connaturale, controciclico, controfattuale, deverbale, endocranico, endovenoso, epiconti-
nentale, estradotale, extraconiugale, extracomunitario, filonucleare, filosovietico, infracli-
nico, infrascapolare, intercutaneo, interbancario, intercontinentale, interconsonantico,
1
Altri aggettivi talvolta indicati come parasintetici (sgrammaticato, svogliato) sono più semplice-
mente interpretabili come forme participiali del verbo corrispondente.
4.3. Aggettivi cosiddetti parasintetici 185
Secondo Corbin il suffisso non è necessario all'interpretazione semantica della parola complessa,
ma ne favorisce l'integrazione paradigmatica all'interno della categoria degli aggettivi.
186 4. Parasintesi
zioni, al pari di quelle con aggettivi di relazione, sono non graduabili, non sono impiegabili
in posizione predicative, e si distinguono essenzialmente per il fatto di essere invariabili.1
Aggettivi come informe o bilingue sono talvolta considerati parasintetici probabilmente per
il fatto che, una volta rimosso l'elemento iniziale, la parte residua non è una parola autono-
ma dell'italiano e vi si può riconoscere una terminazione ricorrente. L'interpretazione para-
sintetica di tali aggettivi identifica un elemento iniziale di valore negativo o quantificativo,
e un elemento finale -e aggiunti a una base nominale (es. in- + forma + -e, bi- + lingua +
-e). Come vedremo, si tratta di un'interpretazione inadeguata, perché ipotizza un modello
regolare di formazione italiano, mentre in realtà abbiamo a che fare con parole di origine
latina (peraltro di numero modesto), a cui si accompagnano casi isolati di creazione analo-
gica in italiano.
Il latino, già in epoca arcaica, poteva formare regolarmente aggettivi esocentrici deno-
minali con il prefisso negativo in- (o con un numerale) inserendoli nella classe flessiva con
tema in -i-\ si vedano alcuni esempi in (4):
(4) barba, -ae "barba" —• imberbis, -e "privo di barba, imberbe"
forma, -ae "forma" —* informis, -e "senza forma, informe"
color "colore" —• incolor, -oris "privo di colore, incolore"
In seguito, il latino ha fatto ricorso anche ad altri prefissi per formare aggettivi dello stesso
tipo (es. lat. deformis, demens, exsanguis, abnormis, da cui gli aggettivi italiani deforme,
demente, esangue, abnorme).
La -e finale di aggettivi come it. imberbe, informe non può quindi essere considerata un
affisso derivazionale dell'italiano (che peraltro non avrebbe altri impieghi al di fuori di
questo, a differenza ad esempio di -ato, presente in parole come sbarbato, sdentato, ma
anche in chiomato e dentato), quanto piuttosto l'esito fonologico di un affisso che in latino
segnalava il passaggio del nome ad aggettivo della seconda classe (tema in -i-).2 Inoltre,
l'ipotesi parasintética potrebbe applicarsi solo ad aggettivi come quelli in (5):
(5) bicolore, bilingue, bifronte, degenere, esangue, incolore, infame, informe, insonne, tri-
dente, trireme, unanime
per i quali sarebbe possibile individuare in sincronia un nome di base, ma non a quelli in
(6), per i quali non è possibile partire da basi italiane come piede, capo, piuma ecc.:
1
In un recente articolo dedicato alla lingua spagnola, Martín García 2003 evidenzia le notevoli
somiglianze (e alcune marginali differenze nell'impiego) tra gli aggettivi di relazione prefissati (es.
antimissilistico, multidisciplinare) e formazioni come antiaereo, multiuso, che vengono conside-
rate prefissati nominali impiegati con funzione appositiva.
2
Su questo tipo di formazione aggettivale latina, si vedano le indicazioni bibliografiche in Tekavëic
1974—1975, dove tra l'altro si nota che il latino aveva accanto a questo procedimento anche la pos-
sibilità (seppure poco sfruttata) di formare analoghi aggettivi tramite i suffissi derivazionali -i- ed
-e-, es. unicorporeus "che ha un solo corpo", indolorius "non doloroso", cfr. lignum "legno" —> li-
gneus "ligneo", noxa "danno" —» noxius "dannoso".
4.3. Aggettivi cosiddetti parasintetici 187
Occorre però notare che la distinzione tra le parole in (5) e (6) è fittizia, in quanto dovuta a
puri accidenti di fonologia storica: infatti, sia gli aggettivi in (5) che quelli in (6) sono tutti
di origine latina. Non c'è quindi motivo di ipotizzare un modello produttivo regolare, che
dovrebbe essere rappresentato da parole come incolore o informe (le cui basi sarebbero
rispettivamente colore e forma), e dall'altra parte parole con modificazioni più o meno forti
(si pensi a imberbe rispetto a barba, o a implume rispetto a piuma).1 Ci sono ovviamente
alcune formazioni italiane di tipo analogico, quali quadrilingue (cfr. bilingue e trilingue già
latini), oppure insapore (cfr. incolore), come è anche possibile l'individuazione di elementi
formativi a partire da serie ripetute (es. -forme), ma nel complesso il fenomeno è di modesta
produttività, e non si è espanso oltre gli ambiti già latini della prefissazione negativa e della
qualificazione quantitativa.
Sono pure di origine latina, aggettivi terminanti in -o, come la serie di parole che indica-
no il numero di sillabe, quali monosillabo, bisillabo ecc., e poche altre, quali inodoro (at-
tualmente usata insieme ad insaporo e incoloro, come varianti di inodore, insapore, incolo-
re).
Per alcune formazioni prevale l'uso sostantivale rispetto a quello originario aggettivale,
il genere della parola complessa è indipendente da quello del nome di base (es. il tridente,
la trireme).
Ricordiamo che la semantica di tutti gli aggettivi sin qui menzionati è di tipo esocentri-
co, e che la parte iniziale della formazione indica o l'assenza di quanto denotato dal nome
di base (es. imberbe), o la sua quantificazione (es. bicolore, plurisillabo). La non attesta-
zione degli aggettivi non prefissati si può spiegare con ragioni pragmatiche, consistenti nel
fatto di non esprimere qualità rilevanti dal punto di vista comunicativo, perché indicanti o
stati considerati normali (es. "l'avere forma") o condizioni inalienabili (es. "l'avere san-
gue").
Il criterio della scarsa rilevanza comunicativa permette anche di spiegare l'apparente ec-
cezionalità di aggettivi come quelli elencati in (7):
(7) immancabile, inappurabile, incrollabile, inessiccabile, insormontabile, irrestringibile.
Anche per aggettivi come immancabile e irrestringibile è stata proposta una struttura for-
mativa di tipo parasintético a partire dal verbo di base (mancare, restringere), motivata con
la contemporanea non attestazione di aggettivi come °mancabile o 0 restringió ile, e dalla
presenza di un prefisso. A nostro avviso, anche in questo caso l'ipotesi parasintética appare
inutile. La non attestazione di parole del tutto analizzabili semanticamente e perfettamente
ben formate, quali °mancabile o °restringibile, si spiega con il fatto che tali aggettivi
esprimono una qualità considerata normale e non particolarmente meritevole di una specifi-
ca denominazione, mentre la qualità espressa tramite l'aggettivo prefissato con valore ne-
gativo è verbalizzata perché considerata più rilevante o saliente dal punto di vista comuni-
cativo.2 La nostra argomentazione trova ulteriori motivi di sostegno in esempi come quelli
in (8):
1
Un'ipotesi che avrebbe tra gli altri l'onere di motivare la funzione del presunto suffisso italiano -e.
2
Si vedano per analoghe considerazioni basate su esempi del tedesco e dell'inglese Zimmer 1964,
59, e più recentemente Dierickx 1991.
188 4. Parasintesi
Si tratta di aggettivi di cui è attestata la base non prefissata (per i quali, quindi, non è soste-
nibile un'ipotesi di formazione parasintética), ma la cui frequenza d'uso e varietà di impie-
go sono maggiori rispetto a quelle delle rispettive basi. Aggettivi come controvertibile,
servibile sono infatti usati meno frequentemente e in un numero di contesti più ristretto dei
corrispettivi prefissati incontrovertibile, inservibile. A riprova dell'inconsistenza
dell'ipotesi che prevede due processi formativi diversi per parole come immancabile da una
parte e incontrovertibile dall'altra (giustificata in definitiva con il criterio dell'attestazione
delle rispettive basi aggettivali), si può osservare, oltre alla criticabilità sul piano teorico di
un tale criterio, che i dizionari dell'uso sono in genere concordi nella lemmatizzazione di
aggettivi come immancabile o inamovibile, mentre presentano discordanze nella registra-
zione dei corradicali non prefissati. Ad esempio sia il DISC sia il DM lemmatizzano inat-
tingibile e inaffondabile, ma il DISC lemmatizza anche attingibile (e non affondabile),
mentre il DM ha a lemma affondabile e non attingibile. A nostro avviso, non vi sono quindi
ragioni di ipotizzare un processo parasintético per giustificare l'esistenza di parole come
immancabile, la cui struttura, significato e impiego non si distinguono da altre come ina-
movibile. La particolarità che accomuna le parole in (7) e in (8), e le distingue da aggettivi
come indesiderabile o insuscettibile (il cui impiego è più ristretto e meno frequente delle
rispettive basi non prefissate desiderabile e suscettibile), è il fatto che negli aggettivi in (7)
e in (8) il concetto negativo è più saliente e informativo rispetto al corrispondente termine
positivo. Osserviamo in conclusione che casi come immancabile o inappurabile si differen-
ziano da altri aggettivi di cui non è correntemente usato il termine positivo. Come nota
Tekavöic 1970, 295, in casi come anomalo, inetto, ignobile, insoluto, insulso, in cui è cor-
rentemente usato soltanto il termine etimologicamente negativo, tale termine, in assenza di
un corrispettivo positivo a cui opporsi, cessa di essere una vera e propria negazione, assu-
mendo piuttosto connotazioni di tipo peggiorativo: si confrontino esempi come quello di
importuno rispetto all'opposizione non connotata opportuno / inopportuno, inetto rispetto a
inadatto / adatto, inerme rispetto a armato / disarmato.1
1
L'aggettivo prefissato può assumere connotazione peggiorativa anche in casi in cui non è inter-
pretabile come il contrario del termine di base, es. indolente vs dolente, indifferente vs differente.
5. SUFFISSAZIONE
5.1. Derivazione nominale
diversificati: l'agente votato ad una funzione o professione (corrispondenti ai primi due tipi
della sistemazione Laca-Grossmann) e l'agente autore di un atto (corrispondente al terzo
tipo). Questa differenza semantica era segnalata, come si è detto, nelle tre lingue antiche da
marche morfologiche diverse. Non così in latino, che usava indifferentemente un unico
suffisso, -tor, per formare da verbi i due tipi di agente, e questa soluzione unitaria è stata
poi ereditata dalle lingue romanze.
Dovremo aggiungere che non propriamente di soluzione unitaria si tratta, dal momento
che certamente molte lingue romanze hanno a disposizione ben più di un procedimento
derivativo per formare nomi di agente. Tuttavia la molteplicità delle regole non individua
insiemi differenziati e semanticamente omogenei. Al contrario, commistioni, travasi e par-
ziali sovrapposizioni sono la norma.
Quanto infine al mantenimento della categoria unitaria dell'agente, ne vediamo l'unica
ragion d'essere nel fatto che, in uscita, tutte le formazioni che tradizionalmente vi sono
incluse sono dotate del tratto '+umano', e sono parafrasabili con "persona che...", indipen-
dentemente dal fatto che questa persona si renda effettivamente responsabile di un atto o
svolga una certa attività professionale (uniche accezioni che giustificano, ci pare, il nome di
«agente»), o semplicemente simpatizzi con una certa ideologia, o appartenga ad un gruppo,
o sia iscritta ad un'associazione, o più semplicemente faccia uso frequente di qualcosa, o
ami e desideri qualcosa. La scelta unitaria della morfologia classica era dunque basata su un
assunto non detto, che vede il soggetto umano tipicamente impegnato in azioni delle quali è
spesso istigatore e protagonista: la persona «agente» è dunque centrale nell'immaginario
umano, e statisticamente più frequente. All'idea che «l'agente più tipicamente agente è
umano», che ritroviamo in molta riflessione contemporanea sulla categoria dell'agente (su
questi temi torneremo tra breve), si potrebbe dunque aggiungere che «l'umano più tipica-
mente umano è agente», viene cioè «sentito» prima di tutto come agente. Questo spieghe-
rebbe l'estensione della categoria fino a comprendere derivati quali pastasciuttaio, legatolo,
gruppettaro, vacanziere, pattista che, pur costruiti con suffissi considerati tipicamente
agentivi, e designando sicuramente degli umani, difficilmente potrebbero essere definiti
«nomi d'agente».
Su questa soluzione unitaria la morfologia classica si incontra con alcuni filoni del gene-
rativismo, che hanno avanzato la cosiddetta ipotesi dell'uscita unica. Ragionando su dati
dell'italiano, e proprio su alcuni nomi in -aio ed -ista, Scalise 1990a, 247-248 e 1994, 186-
187 sostiene che si può ragionevolmente supporre che ogni regola abbia «un suo contenuto
costante indipendente dalle informazioni associate alla base» (Scalise 1994, 187), e questo
contenuto costante sarebbe dato dal suffisso ed ereditato dal derivato, qualunque sia la
parola di base. Esemplifica poi questo ragionamento proprio con i nomi in -aio ed -ista:
indipendentemente dalle caratteristiche semantiche dei nomi di base (che, lo vedremo me-
glio in seguito, possono essere animati o non animati, concreti o astratti, numerabili o non
numerabili e per -ista anche comuni o propri), i derivati presentano comunque i tratti
'+umano', '-i-comune' e *+numerabile', e sono sempre parafrasabili con "persona che...". 1
1
Vorremmo far notare come questa proposta si accordi molto bene con le categorizzazioni della
morfologia tradizionale. Tuttavia, a differenza di questa, ha l'accortezza di non usare mai la parola
«agente», utilizzata solo a proposito dei deverbali. È una prudenza terminologica che non cambia
la sostanziale omogeneità dei criteri descrittivi adottati, ma che riesce ad evitare i molti equivoci
che la terminologia tradizionale si porta con sé.
5.1. Derivazione nominale 193
Dunque l'unico dato certo sarebbe dato dal suffisso (ma «certo» solo per modo di dire,
visto che molti suffissi sono, lo vedremo, polisemici): per il resto sembra una condizione
costante delle formazioni denominali agentive (e non solo agentive) una certa indetermina-
tezza del loro significato complessivo (cfr. anche Mayo et al. 1995, 889), il quale non è
univocamente determinato, come nei derivati deverbali, dal significato del verbo di base,
che non c'è. Il tipo particolare di «azione» messo in atto dagli agenti denominali sarà infatti
di volta in volta determinato dalla, e adattato alla, semantica dei nomi di base: così un fio-
raio è una persona che vende fiori, mentre un camionista guida camion, un campanaro
suona campane, un boscaiolo lavora nei boschi, uno stagnino ripara e costruisce oggetti di
stagno e così via. Ma ove nulla sapessimo delle abitudini di vita della comunità linguistica
che usa queste parole, in nessun modo potremmo ricostruirne con certezza il significato
sulla base dei soli indizi linguistici. Sono state considerazioni di questo tipo che hanno
portato qualcuno ad affermazioni anche troppo categoriche, come quella, riportata e discus-
sa da Mayo et al. (1995, 889), secondo cui «a semantics specific to derivational processes
does not exist».
Un'altra difficoltà si incontra quando si vogliano fissare in modo preciso i confini di
questa categoria rispetto ad altre categorie concettualmente vicine, prima fra tutte lo stru-
mento, di cui è stata da più parti notata la stretta affinità, documentata in modo vistoso
proprio sul piano morfologico (Booij 1986, Dressler 1986): non c'è dubbio infatti che varie
lingue (tra cui sicuramente anche l'italiano) usino gli stessi procedimenti derivativi per
formare sia nomi di agenti che di strumenti e qualche volta, ma in modo meno generaliz-
zato, anche di luoghi.
Per descrivere e giustificare questa polisemia ricorrente Dressler parla di una struttura-
zione gerarchica dei significati (agente > strumento > luogo) che documenta in vari modi,
ad esempio col ricorso alla diacronia o alla priorità, nell'acquisizione, della categoria
dell'agente. Tale gerarchia poggerebbe su basi concettuali tendenzialmente universali e
quindi in larga misura indipendenti dalle lingue storicamente determinate, sul fatto cioè, di
comune e banale esperienza, che «most central events of human life prototypically have a
human agent» (Dressler 1986, 527). A questo schema Booij 1986 aggiunge, tra l'agente e
lo strumento, la categoria dell'agente inanimato, corrispondente, grosso modo, allo stru-
mento o mezzo dotato di movimento automatico.
Quanto poi alla esatta delimitazione delle categorie coinvolte, e di cui si tenterà di forni-
re una descrizione nei paragrafi che seguono, rimandiamo alla cosiddetta teoria del prototi-
po, che ha ormai da tempo sostituito la teoria classica della categorizzazione, basata
sull'assunto che le categorie siano chiaramente riconoscibili e delimitabili sulla base delle
proprietà condivise. Prenderemo dalla teoria del prototipo l'idea che alcuni membri di una
categoria possano essere migliori esempi di quella categoria rispetto ad altri o, il che è lo
stesso, l'idea che i membri, o le sottocategorie, che sono chiaramente entro i confini di una
certa categoria possano essere più o meno centrali; ancora, l'idea dell'esistenza di una sca-
la, o gradualità per cui i diversi membri di una categoria si dispongono lungo un continuum,
in posizione più o meno vicina al prototipo; infine l'idea che tra categorie possano non
esservi confini chiaramente delimitati, e che la zona di passaggio da una categoria all'altra
si presenti sempre come una zona irta di insidie e di difficoltà (cfr. anche Lakoff 1987 e
Schlesinger 1989).
Passeremo adesso in rassegna i diversi tipi presenti nell'italiano contemporaneo per la
formazione dei nomi d'agente. Cominceremo con il presentare i derivati in -ario, -aio,
194 5. Suffissazione
-aiolo/-aiuolo/-arolo, -aro, -iere ed -iero, che per ragioni storiche possono essere conside-
rati come facenti parte di un unico sottogruppo: si tratta infatti di suffissi che derivano da
un capostipite comune, il latino -arius. Tuttavia quello agentivo non è stato l'unico esito
semantico di -arius, il quale già in latino serviva a formare anche nomi di strumenti e di
luoghi, caratteristica questa che, come si vedrà meglio in seguito, verrà ereditata in varia
misura da quasi tutti gli epigoni italiani del suffisso. Passeremo poi alla descrizione di altri
procedimenti, dai più produttivi (-ista, -ino) ai meno produttivi (-ano, -otto), riservando la
dovuta attenzione anche alle corrispondenti uscite femminili, che, lo vedremo, non sempre
danno in uscita nomi di agente «al femminile», come si ci potrebbe forse troppo semplici-
sticamente aspettare. 1 Nel descrivere le varie possibilità proveremo a chiederci se la distri-
buzione dei diversi procedimenti nell'italiano contemporaneo avvenga secondo criteri rico-
noscibili, ed eventualmente quali essi siano; se le lontane origini di alcuni dei procedimenti
sotto osservazione influenzino le preferenze dell'oggi, ed eventualmente in che senso e in
che misura; se siano rintracciabili differenze sistematiche tra i vari procedimenti; quale sia
oggi la loro produttività, dunque l'incidenza nella formazione di nuove parole.
Come abbiamo già detto, -aio è uno degli esiti del latino -arius, suffisso originariamente
aggettivale (caprarius "che è in relazione con la capra"), ma che si nominalizzò già in lati-
no per omissione del nome, dando luogo a formazioni quali asinarius (it. asinaio) o vina-
rius (it. vinaio), che designavano persone impegnate in attività lavorative connesse con il
nome di base (Tekavöic 19802, 28, Rohlfs 1969, 392). La naturale evoluzione fonetica di
-arius in Toscana diede poi luogo ad -aio, che è stato probabilmente l'erede di -arius più
prolifico nella formazione di nomi d'agente, mentre in Italia meridionale e in alcune zone
dell'Italia settentrionale aveva maggior fortuna l'esito in -aro (su cui cfr. il 5.1.1.1.2.).
Tuttavia la vicinanza dei due suffissi era tale che «in italiano antico il plurale di -aio era
regolarmente -ari, per esempio i sellari, fornari, carbonari. Solo più tardi, dal Trecento in
poi, per analogia con fornaio si è formato il plurale i fornai, i carbonai, che in Toscana e
nella lingua scritta è oggi la forma normale» (Rohlfs 1969, 392-393). In tutto il corso della
nostra storia le due forme hanno poi pacificamente convissuto, presentando molte parole
Nella quasi totalità dei casi i dizionari pongono a lemma e descrivono le uscite maschili dei nomi
di agente, limitandosi a dare l'informazione morfologica della corrispondente uscita femminile. In
questo lavoro abbiamo però tentato di controllare sistematicamente tutte le uscite femminili dei
suffissi agentivi, per rintracciare le formazioni femminili eventualmente messe a lemma dal DISC.
Il controllo ha consentito di ritrovare alcune parole designanti agenti femminili di cui non esiste il
corrispondente maschile (crocerossina, mondina), o di cui il corrispondente maschile è meno fre-
quente o ha sviluppato significati in parte diversi, dal momento che certe professioni sono tradi-
zionalmente considerate appannaggio delle donne (cfr. ad esempio lavandaia, passeggiatrice e la-
vandaio, passeggiatore). In qualche caso, poi, la forma maschile è più recente, essendosi formata
successivamente, a partire dalla forma femminile già attestata (battone <— battona). Il controllo ha
anche consentito di vedere come spesso nella morfologia derivazionale il genere svolga una im-
portante funzione di differenziazione semantica, designando a volte il genere maschile di un dato
procedimento l'agente, il genere femminile dello stesso procedimento lo strumento o il luogo (cfr.
ad esempio fioraio, benzinaio e legnaia, carbonaia; barbiere, carrozziere e caffettiera, zuppiera',
educatore, presentatore e lucidatrice, obliteratrice). Ma su tutta questa materia rimandiamo ai pa-
ragrafi relativi ai diversi procedimenti.
5.1. Derivazione nominale 195
entrambe le possibilità: così ancora oggi il DISC dà come varianti dello stesso lemma cam-
panaro (a lemma) e campanaio, pifferaio (a lemma) e pifferare, benzinaio (a lemma) e
benzinaro, e documenta il permanere di questa oscillazione anche per parole relativamente
recenti, quali ad esempio manzolaio e manzolaro (a. 1957), caciottaio e caciottaro (a.
1959), nei quali è a lemma la forma in -aio, o vongolaio e vongolaro (a. 1983), in cui è a
lemma la forma in -aro. In altri casi invece, soprattutto quando una forma abbia sviluppato
dei significati particolari e non del tutto condivisi, il DISC sceglie la presentazione autono-
ma dei due lemmi (così per carbonaio e carbonaro, marinaio e marinaro) riservando alla
forma agentiva in -aro la dicitura «regionale». Vedremo tuttavia che questa oscillazione
riguarda oggi solo un settore molto limitato del lessico, quello relativo (e gli esempi fatti lo
confermano) a mestieri umili, legati ad attività più o meno manuali e tradizionali. Per la più
gran parte delle neoformazioni registrate dal DISC e dai dizionari di neologismi, i due suf-
fissi rivelano invece una chiara diversificazione semantica che non li rende più intercam-
biabili.
Dunque -aio ha goduto, fino ad anni recenti, di una buona e ininterrotta fortuna, come
dimostrano le date di prima attestazione riportate dal DISC: ritroviamo infatti numerosi
neologismi in -aio praticamente in tutti i secoli della nostra storia, a partire dai sec. XI e XII
(pecoraio, porcaio, calderaio, mattonaio) su su fino ai recentissimi pipaio (a. 1966), gab-
biettaio "falegname che costruisce particolari tipi di gabbie" (a. 1970), rottamaio "rivendi-
tore di rottami" (a. 1982) e, ultimo registrato, giostralo (a. 1987).
Bastano già questi pochi esempi a documentare la straordinaria continuità di questo pro-
cedimento, che forma nomi di agente a partire da basi aventi per lo più i tratti '+comune\
'+concreto\ '-(-numerabile', mentre il tratto 'animato' è più discontinuo: più frequente-
mente presente nelle formazioni antiche, quando erano sicuramente più diffusi
nell'economia rurale i mestieri legati alla cura e al commercio degli animali (ricordiamo,
oltre ai già citati pecoraio e porcaio anche asinaio, bufalaio, camosciaio, capraio, caval-
laio, vaccaio, vitellaio, attestati tra il sec. XIV e l'Ottocento), questo tratto è sempre meno
presente nelle formazioni più recenti, tra cui comunque non mancano uccellaio (a. 1950),
manzolaio (a. 1957) e vongolaio (a. 1983). Con basi costituite da zoonimi, la concorrenza
del significato locativo del suffisso è comunque molto forte (cfr. su questo 5.1.1.3.1.). An-
che il tratto '+numerabile' della base presenta qualche eccezione significativa (benzinaio,
ceraio, cioccolataio), che però non ci pare intacchi le preferenze del suffisso.
Si tratta, come si vede dagli esempi, di formazioni molto trasparenti, con una base sem-
pre facilmente riconoscibile. Talvolta però la base è costituita da nomi già suffissati, attra-
verso vari procedimenti valutativi, ma da tempo lessicalizzati: così ad esempio in cest-in-
aio, coltell-in-aio, pan-ett-aio (da panetto di burro), carr-ett-aio, piastr-ell-aio, berr-ett-in-
aio, carr-ett-on-aio, o nei due regionalismi manz-ol-aio e marm-ol-aio.
Le eccezioni alla base nominale sono davvero poche: una base avverbiale compare solo
in dirimpettaio (il DISC ne data la prima attestazione al 1869, e aggiunge che la parola era
originariamente usata solo in senso scherzoso); più comuni le basi polirematiche, come in
peracottaio, buongustaio, guerrafondaio o gli ironici versiscioltaio e pastasciuttaio. Ma
queste eccezioni (se tali vanno considerate) alla base nominale non sono senza conseguen-
ze, come vedremo subito, sulla semantica dei derivati. Non ci risultano invece basi verbali:
il caso di lavandaio, segnalato come dubbio in Lo Duca 1990a, 73, è interpretato dal DISC
come denominale da lavanda "atto del lavare".
196 5. Suffissazione
Abbiamo fin qui ragionato esclusivamente di agentivi, e non c'è dubbio che la regola di
formazione dei denominali in -aio dà in uscita in primo luogo nomi di agente, più precisa-
mente nomi di mestieri costruiti a partire dalle «entità» (animali, piante, sostanze, alimenti,
oggetti) sulle quali l'attività di tali agenti si esplica. E il nome di base che condiziona il
rango dei significati possibili, restringendo in una gamma non molto vasta di possibilità il
tipo particolare di attività di cui tali agenti sono responsabili. Tuttavia la regola in -aio può
approdare ad un diverso esito semantico, come documentano formazioni quali dirimpettaio,
guerrafondaio, buongustaio, versiscioltaio "chi compone in versi sciolti, per lo più con
valore limitativo", pastasciuttaio, con valore scherzoso "chi mangia molta pastasciutta",
effimeraio (BC): 1 queste formazioni sono del tipo cosiddetto «caratterizzante», in quanto
non «indicano la funzione dell'agente nella divisione sociale del lavoro», ma «gli assegna-
no un comportamento abituale» (Grossmann 1998, 384), indicandone modi di essere, atteg-
giamenti, preferenze. 2 Questa possibilità, a giudicare dal DISC, compare abbastanza tardi
(con l'ironico versiscioltaio, del sec. XVIII) e rimane sempre estremamente ridotta: su un
corpus complessivo di 407 formazioni in -aio registrate nel DISC, solo le 5 sopra riportate
rientrano in questa categoria. Naturalmente non si può escludere che altre se ne siano for-
mate e perse nel tempo: i nomi designanti agenti a partire dai loro atteggiamenti e modi di
essere sono probabilmente più labili ed effimeri rispetto ai nomi che designano mestieri e
professioni, la cui stabilità nel tempo è garantita dalla stabilità delle attività lavorative coin-
volte.
Abbiamo già accennato al fatto che la regola di formazione di parole derivate in -aio non
dà luogo solo a nomi di agente, ma anche, come vedremo meglio in seguito, a nomi di luo-
go e, molto più raramente, di strumento. Tuttavia il significato agentivo di -aio sembra
largamente prevalere in tutto il corso della sua lunga storia,3 a giudicare almeno dal corredo
di vocaboli vivi ancora oggi e attestati dai dizionari. Ad esempio per gli ultimi cinquanta
anni il DISC documenta la nascita di 35 nomi di agente, 6 nomi di luogo, 1 collettivo, nes-
sun nome di strumento, il che dà un'idea della produttività relativa delle diverse possibilità
di -aio negli anni più recenti. Una sola formazione, rottamaio, si presenta come polisemica,
in quanto realizza sia il significato agentivo ("rivenditore di rottami") sia quello locativo
("deposito di rottami"). Questa doppia possibilità è una costante, sia pure non frequentissi-
ma, della regola (ma su questo cfr. 5.1.1.3.1.).
Le parole che citiamo nel corso del lavoro e di cui non diamo indicazione della fonte sono tutte
registrate dal DISC. Diamo invece indicazione della fonte ove si tratti di neoformazioni tratte dal
corpus dei Dizionari di Parole Nuove (d'ora in poi DPN). Ugualmente le definizioni tra virgolette
e prive di indicazioni sulla fonte sono da intendersi tratte dal DISC. Per tutti i tipi dei quali scrive-
remo abbiamo proceduto ad un controllo numerico delle formazioni cui hanno dato luogo dal 1950
ai giorni nostri, conteggiando ad esempio le diverse categorie rappresentate in ogni procedimento.
Questa scelta ha reso possibile il controllo di tutte le formazioni riportate dal DISC, ed ha consen-
tito di riflettere in modo non impressionistico sulla produttività attuale dei diversi procedimenti,
confrontata sempre comunque anche con i DPN. Dal conteggio dei dati dei DPN sono sempre state
escluse le parole già registrate nel DISC.
2
Non casualmente infatti per due di queste formazioni (guerrafondaio, versiscioltaio) viene indicata
anche una uscita aggettivale.
3
Dunque non sbagliano i bambini quando, posti di fronte a parole sconosciute suffissate in -aio, le
interpretano quasi sempre come nomi di agente, e solo di rado come nomi di luogo (Lo Duca
1987).
5.1. Derivazione nominale 197
La produttività di -aio nella formazione dei nomi di agente è scesa rapidamente e, cre-
diamo, irreparabilmente in questi ultimissimi anni. Il corpus DPN conta solo 3 neoforma-
zioni agentive in -aio, enotecaio, tessutalo ed effimeraio. Questo calo è giustificato
dall'essersi evidentemente la regola in questione specializzata ad esprimere nomi di profes-
sioni legate ad attività tradizionali, delle quali si registra la graduale scomparsa nel mondo
produttivo contemporaneo. Non è certo un caso che a fronte delle 3 neoformazioni in -aio,
-ista ne conti addirittura più di 400. Ugualmente fa pensare il fatto che dei 3 neologismi
registrati, 2 designino dei mestieri (enotecaio, tessutalo), mentre il terzo rimandi piuttosto a
dei modi di essere, a dei comportamenti abituali da qualcuno ridicolizzati (effimeraio
"amante dell'effimero", BC).
Infine, per quanto riguarda i rapporti con gli altri suffissi agentivi dell'italiano, si regi-
strano molti casi di varianti sinonimiche aventi la stessa base. Spesso si tratta di variazione
diatopica, soprattutto quando sia coinvolto il suffisso gemello -aro (benzinaio / benzinaro,
caciottaio / caciottaro, vongolaio / vongolaro), della cui diffusione in aree meridionali e
settentrionali si è già detto. Ma non mancano doppioni anche con altri procedimenti
dell'italiano (salumaio / salumiere, ceraio / ceraiolo, rottamaio / rottamista, bancarellaio /
bancarellaro / bancarellista), il che dimostra la parziale sovrapposizione della regola ri-
spetto alle altre possibilità del sistema. In altri casi invece i diversi suffissi si incaricano di
veicolare differenze semantiche: è il caso di giornalaio / giornalista, carbonaio / carbonie-
re, tutti nomi di agente classificanti ma che designano un diverso incarico professionale
(sempre più umile l'agente in -aio)·, o di scopaio / scopista il primo classificante ("produtto-
re o venditore di scope"), il secondo caratterizzante ("giocatore di scopa").
Quanto all'uscita femminile del suffisso, -aia ha assunto, come vedremo, un significato
di tipo fondamentalmente locativo (cfr. 5.1.1.3.2.). Tuttavia non mancano alcuni (pochi)
casi in cui accanto ai nomi di agente in -aio il DISC registra anche il corrispondente fem-
minile in -aia (bambinaia, lavandaia, massaia). Nel contempo alcune professioni hanno
solo l'uscita femminile, perché evidentemente tradizionale appannaggio delle donne: così è
ad esempio per asolaia, bustaia, crestaia, filandaia, magliaia, sigaraia, che designano
attività lavorative molto umili, o specificamente legate al mondo femminile. In qualche raro
caso le due uscite maschile e femminile si incaricano di veicolare significati diversi (oc-
chiellaio "artigiano specializzato nel praticare occhielli alle vele" vs occhiellaia "lavorante
di sartoria che confeziona asole"). Infine può essere interessante ricordare il caso di gattaia,
nome tradizionalmente usato per designare una pianta altrimenti detta erba gatta avente un
potere eccitante sui gatti, recentemente reinventato per designare la "donna che si atteggia a
dama di carità nei confronti dei gatti randagi" (BC).
Data la stretta affinità tra -aio ed -aro, della quale abbiamo già discusso nel paragrafo pre-
cedente, non ci meraviglia il fatto che buona parte delle formazioni in -aro elencate dal
DISC porti la dicitura «variante minore» della corrispondente parola in -aio, cui si rimanda
per la definizione (così è ad esempio per bottegaro, capraro, massaro, porchettaro, salina-
ro, vaccaro e moltissime altre). Molto più raramente avviene il contrario: per campanaro,
ad esempio, la forma toscana in -aio compare come variante minore. E una sistemazione
che diventa comprensibile solo alla luce della storia e dell'evoluzione delle regole relative
198 5. Suffissazione
ai due suffissi. Vedremo che in particolare per questo procedimento gli anni di prima atte-
stazione delle formazioni relative sono importanti.
In quanto variante regionale di -aio, la regola per la formazione di nomi di agente in -aro
ha funzionato nei secoli scorsi in modo analogo, selezionando lo stesso tipo di base
('+comune', '+concreto', '+numerabile\ '±animato'), e avendo in uscita formazioni dalla
semantica sempre molto regolare: benzinaro, mulinare, pecoraro, ricottaro, stagnaro, zam-
pognaro designano agenti alle prese con le professioni, per Io più manuali, implicate, o
suggerite, dai rispettivi nomi di base. Tutt'al più, l'uscita in -aro dà a queste formazioni una
connotazione regionale che è tanto più avvertibile dalla sensibilità moderna ove sia dispo-
nibile la variante in -aio: sicché ricottaro e benzinaro, che dispongono dei corrispondenti
ricottalo e benzinaio, ci paiono più marcati rispetto a, poniamo, zampognaro o campanaro,
che si sono imposti come forme sovraregionali.
Rispetto ad -aio, tuttavia, che ha mantenuto sostanzialmente inalterate le sue prerogative
nel corso dei secoli, -aro ha subito, o meglio sta subendo, un processo di ridefinizione tal-
mente importante da giustificare il dubbio se non siamo per caso di fronte ad una nuova
regola di formazione di parole, che seleziona basi diverse e dà in uscita nomi di agente dalla
semantica più sfuggente e variegata, molto diversa comunque rispetto alle formazioni tradi-
zionali. E il tipo palazzinaro, che si è imposto, a giudicare dalle date riportate dal DISC, in
quest'ultimo dopoguerra, forse per influenza del romanesco (Dardano 1978, 83). Infatti
delle 26 formazioni agentive in -aro che il DISC data a partire dal 1950, solo 11 apparten-
gono al tipo campanaro, e designano attività professionali generalmente considerate umili,
e con una più o meno marcata connotazione regionale (bibitaro, cartonare, cocuzzaro,
puparo)·, di queste 11 formazioni, 5 presentano delle varianti sinonimiche con altri suffissi
(vongolaio / vongolaro, tassinaro / tassista).
Le rimanenti 15 formazioni appartengono al tipo palazzinaro, e designano appartenenza
(gruppettaro, borgataro), soggetti umani che esibiscono scelte di vita o comportamenti
abituali più o meno discutibili (marchettaro, metallaro, paninaro), o stati pseudoprofessio-
nali poco chiari e al limite dell'illecito (bustarellaro, palazzinaro, pataccaro, velinaro).
Persino nel linguaggio sportivo gli atleti in -aro sono poco credibili: il panchinaro è il "cal-
ciatore che ha spesso il ruolo di riserva in panchina", come il pallettaro è il giocatore di
tennis che adotta una tattica difensiva "preferendo i palleggi da fondo campo lenti e prolun-
gati". Un dato interessante è che raramente queste formazioni hanno varianti perfettamente
sinonimiche con altri suffissi (è il caso solo di casinaro / casinista o di rockettaro / rocki-
sta). Di solito invece accade che quando -aro condivide con altri suffissi agentivi la stessa
base, si incarica di veicolare tratti di significato che potremmo definire spregiativi, o alme-
no fortemente limitativi: un discotecaro è il frequentatore abituale delle discoteche, il di-
scotecario è invece il "direttore di una discoteca come istituto culturale"; il fumettaro è un
creatore di fumetti di scarso valore, il fiimettista è il termine neutro per designare un serio
professionista; lo stesso dicasi di velinaro "giornalista che diffonde notizie in modo acriti-
co, conformandosi alle versioni diffuse dalle fonti ufficiali", rispetto al più importante,
anche se non più rispettabile, velinista o velinatore, termini per designare l'"addetto alla
realizzazione delle veline".
La situazione diventa ancora più chiara se consultiamo i DPN. Ne abbiamo ricavato un
corpus di ben 38 neoformazioni agentive (a fronte delle 3 in -aio), il che documenta un alto
grado di produttività. Si tratta di nomi di agente del tipo caratterizzante, con pesanti con-
notazioni negative, nessuno dei quali ha un corrispondente in -aio, né designa più mestieri
5.1. Derivazione nominale 199
tradizionali (se si eccettua uno sparuto tondinaro "fabbricante di tondini", in Q). Si va dun-
que da brigataro a manoscrittaro ("sedicente scrittore", BC) o a passettaro ("coreografo",
L), da mutandaro (paparazzo "alla ricerca di indumenti intimi indossati da personaggi fa-
mosi", BC), a petardaro e pillolaro (entrambi in L, col significato rispettivamente di "con-
sumatore scriteriato di petardi" e di "medico che esagera nella prescrizione di farmaci"), da
loochettaro ("chi tiene al proprio look", in L) a quizzettaro ("chi conduce una trasmissione
televisiva o radiofonica imperniata sui giochi a quiz", F), a tangentaro ("estorsore di tan-
genti", BC). Bastino questi esempi a documentare il raggio di diffusione della regola, che
serve ormai a designare persone le cui preferenze e i cui comportamenti, irrimediabilmente
condizionati dai riti, o dagli orrori, della nostra società, sono marcati, anche linguistica-
mente, da un tratto di pesante negatività.1
Questo forte radicamento nei costumi, più che nelle professioni, dell'oggi spiega forse il
bassissimo grado di trasparenza morfosemantica della maggior parte delle formazioni più
recenti. Per alcune di queste formazioni in -aro, più che di neologismi dovremmo forse
parlare di occasionalismi, legate come sono a fatti di cronaca e di costume. Proprio per
questa loro dichiarata e spesso ironica contemporaneità, la ricostruzione del significato, in
questo caso la definizione del lemma data dal compilatore, è per lo più legata all'occasione
(extralinguistica) che lo ha fatto nascere, e al contesto (linguistico) nel quale è inserito. Una
veloce inchiesta condotta fra alcuni parlanti adulti di buona cultura ha confermato la nostra
convinzione di partenza, che nessuno sarebbe approdato, per bustinaro (BC), a "spacciatore
di droga", a distributore di bustine.
E tuttavia, anche se non giureremmo sulla permanenza, nel lessico stabile dell'italiano,
di molte di queste neoformazioni, si può forse a ragione sostenere che comunque siamo di
fronte a un fatto nuovo, ad una evoluzione importante della regola, le cui caratteristiche
sono forse ancora instabili, ma che insomma il divorzio da -aio è consumato. Ad esempio,
-aro ha accentuato nel tempo la sua scarsa disponibilità a formare nomi di luogo 2 e, a diffe-
renza di -aio, non è più oggi un suffisso polisemico: le nuove formazioni in -aro, almeno a
partire dal 1950, sono tutte di tipo agentivo, se si esclude un piantumaro "vivaio di piante",
che L circoscrive al senese. Anche sul piano formale si notano delle novità. Le basi prefe-
rite dalle più recenti formazioni in -aro sono almeno trisillabiche. Tra queste si notano:
numerosi alterati, per lo più da tempo lessicalizzati, con netta preferenza della sequenza -
ett-aro (mazzettaro, forchettaro, catenacciaro, pallonaro); formazioni con basi straniere
monosillabiche terminanti con la occlusiva velare sorda /k/, «allungate» con l'interfisso
-ett- (rockettaro, lookettaro, Q, punkettaro, L), forse per analogia con i casi visti sopra;
alcuni casi di formazioni con interfissi, che allungano basi bisillabiche (manzolaro, tassina-
ro, e si confronti quest'ultimo col più usuale tassista).
1
Conferma questa lettura la nota di Renzi 2000, 319, che registra un cassettaro "scassinatore pro-
fessionale di cassette di sicurezza" e un chiavaro "specialista in chiavi false", formazioni di origi-
ne giornalistica suggerite, entrambe, da fatti di cronaca ambientati a Roma. Tuttavia la ricostruzio-
ne che qui è stata fatta delle fortune recenti del suffisso non concorda con le conclusioni di Renzi,
che vede in queste formazioni in -aro dei "singoli casi lessicali" piuttosto che una evoluzione ri-
guardante il tradizionale esito semantico del procedimento, di influenza sicuramente romana. Cfr.
anche Radtke 1991.
2
Nel corpus del DISC abbiamo a fatica trovato dei derivati locativi in -aro (mortdezzaro, pagliare,
serparo), dati sempre come varianti minori dei corrispondenti derivati in -aio.
200 5. Suffissazione
L'uscita femminile del suffisso, -ara, ha sviluppato, come -aia, significati di tipo locati-
vo e strumentale, per i quali rimandiamo ai rispettivi paragrafi. L'unica formazione agenti-
va registrata dal DISC è marchettara (a. 1959), presentata come il corrispondente volgare
di "prostituta",1 e che esibisce dunque lo stesso valore spregiativo delle più recenti forma-
zioni in -aro (secondo la datazione del DISC, marchettaro è più recente, risalendo la prima
attestazione al 1978).
La presentazione simultanea di -aiolo, -aiuolo, -arolo è giustificata dal fatto che si tratta in
realtà dello stesso procedimento che presenta tre varianti, con l'uscita in -aiolo centrale
rispetto alle altre due, e più frequentemente attestata. Nel DISC generalmente si pone a
lemma l'uscita in -aiolo, e si riportano come varianti minori le altre due possibilità: ad
esempio per fruttaiolo e barcaiolo si segnalano come «antiquate» le forme fruttaiuolo e
barcaiuolo, come «regionali» fruttarolo e barcarole. Questo vale però, come vedremo
subito, solo per le formazioni tradizionali.
I suffissi -aiolo, -aiuolo, -arolo sono gli esiti italiani di -arius combinato col suffisso di-
minutivo -olus. Nell'affacciarsi al volgare, il suffisso, presente nelle varie regioni italiane
nelle tre diverse varianti, acquista una sua unità ed autonomia, perdendo «insieme alla sua
connotazione diminutiva, anche il suo carattere di suffisso composto» (Fanfani 1985, 17).
Sicché già nel '200 parole come biadaiolo, lanaiolo, caciaiolo non hanno più i corrispettivi
in -aio. Tuttavia la presenza del diminutivo ha in qualche modo continuato a far sentire la
sua presenza, condizionando almeno in parte la semantica di queste formazioni.
Fin dal suo primo sorgere e imporsi nell'italiano il suffisso -aiolo si presenta dunque so-
stanzialmente simile, per funzione e valore semantico, ad -aio, operando su basi nominali
aventi i tratti '+comune', '+concreto', '±numerabile' e '-animato', e dando in uscita nomi
di agente di tipo classificante, indicanti mestieri generalmente umili: biadaiolo, boscaiolo,
farinaiolo, linaiolo, pannatolo, pesciaiolo, vignaiolo designano persone che hanno
un'attività lavorativa connessa con le «entità» cui si riferiscono i nomi di base, non diver-
samente dai derivati agentivi in -aio. Tuttavia, a differenza di -aio, ben presto questo suffis-
so ha sviluppato, accanto a questi termini neutri, un significato peggiorativo che ha dato (e
dà) vita a una lunga serie di formazioni connotate in senso spregiativo, che hanno gradual-
mente soppiantato ed offuscato il primitivo significato.
Nel tracciare la storia del suffisso, Fanfani 1985, 18 nega che il tratto peggiorativo si sia
sviluppato dall'originario tratto diminutivo presente nel suffisso, secondo le note tesi di
Rohlfs 1969, 396 e Tekavòic 19802, 31, e pone invece questa evoluzione semantica in rela-
zione con la tendenza, già ben attestata nel '500, a «ricorrere ad -aiolo per nomi di mestieri
di poco conto», «d'infima classe», e tra questi cita acquaiolo, braciaiolo, renaiolo. «Di
recente, inoltre, la sempre più ampia diffusione nella lingua comune del romanesco -arolo
al posto di -aiolo ha notevolmente contribuito alla svalutazione del suffisso», e anche qui
cita esempi di mestieri (tombarolo) o di comportamenti (bombarolo) assolutamente ripro-
vevoli (Fanfani 1985, 23). Comunque stiano le cose, è certo che nel corso dei secoli -aiolo
ha perso sempre più la sua capacità di formare nomi di agenti neutri, affermandosi sempre
1
Può essere interessante ricordare che il nome di base, marchetta, designava nelle case di tolleranza
una sorta di gettone che veniva dato alle prostitute per ogni prestazione.
5.1. Derivazione nominale 201
Il suffisso -iere è un altro degli esiti agentivi del capostipite latino -arius, penetrato però in
italiano attraverso la mediazione del francese -ier (Rohlfs 1969, 431). Trapiantato in Italia
«con l'influsso della cultura cavalleresca della Francia medievale» (TekavCic 19802, 30), il
suffisso è ancora oggi attestato in molti nomi di origine francese che designano arti e me-
stieri tipici dell'epoca (ad esempio cavaliere, cancelliere, carrozziere, giardiniere) o atti-
vità varie legate alla guerra (arciere, bersagliere, cavaliere, fuciliere). Continuano poi
questa tradizione derivati autoctoni che designano mestieri e comportamenti legati alle
particolari abitudini cortesi di un mondo scomparso: così bracciere "chi dava il braccio alle
signore per accompagnarle", cerimoniere, coppiere, credenziere "nelle case signorili, per-
sona che si occupa del servizio a tavola", elemosiniere, salsiere. L'origine nobile e cavalle-
resca del suffisso ha influenzato e continua a influenzare l'uscita semantica dei derivati, che
pur con qualche oscillazione designano agenti sentiti per una qualche ragione di rango più
elevato, meno plebeo rispetto ai nomi formati con altri procedimenti derivativi (Rohlfs
1969, 431-432); cfr. ad esempio cavaliere vs cavallaio, carrozziere vs carrozzaio, filandie-
re vs filandaia, carboniere vs carbonaio, banchiere vs bancario. Naturalmente non manca-
no le eccezioni di coppie perfettamente sinonimiche quali salumiere / salumaio, canapiere /
canapaio, gelatiere / gelataio.
Si deve considerare una filiazione diretta di -iere anche il suffisso -iero, «in cui si può
vedere il tentativo di una maggiore italianizzazione» (Rohlfs 1969, 432), tentativo attestato
dall'esistenza di varianti come cavaliere e cavaliere, condottiere e condottiero, guerriere e
guerriero, messaggiere e messaggero, straniere e straniero. In ciascuna di queste coppie si
è poi imposta come più comune una delle due forme, sicché l'altra è sentita oggi come
arcaica. Tuttavia, come rivale diretto di -iere, -iero non ha mai avuto molta fortuna, ed ha
invece via via acquistato una sua autonomia, differenziandosi in modo sistematico da -iere:
nell'italiano contemporaneo esso è piuttosto un suffisso aggettivale, come dimostrano le
coppie relativamente recenti di conserviere e conserviero (a. 1942), laniere (a. 1952) e
laniero (a. 1942), petroliere (a. 1922) e petroliero (a. 1889), zuccheriere (a. 1918) e zuc-
cheriero (a. 1942), in cui i due suffissi danno luogo rispettivamente a nomi di agente ed
aggettivi. In assenza della variante in -iere, le formazioni in -iero presentano spesso la dop-
pia uscita nominale e aggettivale: così è ad esempio per bananiero, mattiniero, negriero,
prigioniero, e per i più recenti calzaturiero (a. 1963) ed ospedaliero (a. 1958). Sono invece
ben pochi, e per lo più di antica formazione e di derivazione francese, i derivati in -iero che
non esibiscono un corrispettivo aggettivale: ricordiamo tra gli altri avventuriero, condottie-
ro, guerriero, masnadiere, passeggiero, scudiero. E certo che i DPN non registrano nessu-
na nuova formazione nominale in -iero.
La provenienza straniera è responsabile anche della scarsa trasparenza morfosemantica
di molte parole in -iere, per le quali spesso non è riconoscibile una base italiana (come ad
esempio in alfiere, bracconiere, frontaliere, furiere, pioniere)·, o il significato non è del
tutto trasparente, cioè componenziale (è il caso di palmiere "chi si recava in pellegrinaggio
in Terra Santa", parrucchiere, tempiere "cavaliere dell'ordine dei Templari"); o il cui parti-
colare assetto formale pone, a chi ragioni sull'italiano, problemi di non facile soluzione
(così è ad esempio per aerostiere, caffettiere, giocoliere, panettiere, vinattiere). E tuttavia,
nonostante o forse proprio grazie alla molteplicità degli influssi esterni, non c'è dubbio che
la regola della quale ci stiamo occupando ha dato origine ad una lunga serie di nomi di
5.1. Derivazione nominale 203
agente di formazione autoctona che, a giudicare dalle date di prima attestazione riportate
dal DISC, si dispongono lungo tutto il corso della nostra storia fino ai giorni nostri, con una
vitalità che sembra non essere mai venuta meno. All'interno poi del folto gruppo delle
parole di chiara formazione italiana (abbiamo conteggiato circa 120 nomi di agente, ma non
giuriamo sulla precisione del calcolo) è possibile riconoscere alcuni sottogruppi abbastanza
omogenei quanto al significato, in un certo senso imposto al derivato dalle caratteristiche
semantiche dei nomi di base.
Il sottogruppo più numeroso è costituito da nomi di agente classificanti, designanti me-
stieri legati alla produzione o alla lavorazione di prodotti artigiani e manufatti industriali, o
alla loro vendita: arazziere, biscottiere, cioccolatiere, dolciere, gelatiere, mobiliere, profu-
miere, risiere, salumiere, saponiere, vellutiere. Alcune di queste formazioni designano,
accanto all'umile operaio, l'industriale proprietario dell'azienda, a conferma dell'antica
vocazione al prestigio sociale del suffisso: così è per biscottiere, calzaturiere, cementiere,
conserviere, laniere. In tutti questi casi il nome di base designa il prodotto su cui si esercita
l'attività lavorativa dei rispettivi agenti. Con altri tipi di base, il rapporto è meno univoco:
ferroviere, fontaniere "operaio addetto alle fontane, per regolarne il flusso o ripararne i
guasti", metaniere "chi lavora nell'ambito dell'industria del metano", picconiere "operaio
addetto a lavori di scavo o di demolizione effettuati col piccone" designano attività lavora-
tive meno facilmente prevedibili, che intrattengono con il nome di base rapporti più vaghi,
più sfumati. Lo stesso potrebbe dirsi di alcune formazioni molto recenti, che designano
professioni nuove ed estremamente specialistiche: ad esempio balconiere (a. 1984), "arre-
datore professionista di balconi e terrazze" ed antipastiere (a. 1991), negli alberghi e risto-
ranti "persona addetta alla preparazione e al servizio degli antipasti".
Un altro sottogruppo molto numeroso è già stato individuato da Iliescu, che sottolinea il
fatto che spesso l'agente in -iere «fait partie d'un certain système administratif [...] Au
commencement il s'agissait surtout des fonctions spécifiques de la cour et de la guerre
médiévale [...] Mais aujourd'hui encore -iere est resté le suffixe spécifique pour désigner
des fonctionnaires et les différentes catégories militaires» (1973, 193). Soprattutto in campo
militare la produttività del suffisso si rivela altissima: a partire da nomi di base che desi-
gnano i più diversi tipi di armi, sono nate parole per i soldati dei vari corpi: alabardiere,
archibugiere, balestriere, bombardiere, cannoniere, fuciliere, lanciere, mitragliere, mo-
schettiere. Non solo: non c'è quasi necessità o ritualità della vita militare che non abbia
sviluppato un derivato in -iere: dal foraggiere "soldato un tempo addetto alla raccolta del
foraggio", al geniere, dal munizioniere allo stendardiere, dal pontiere al ranciere, al trom-
bettiere. Questa specificità si ritrova in autiere "soldato che guida un automezzo", rispetto
al più neutro autista, e in aviere "militare dell'arma aeronautica".
Un altro esito semantico della regola, che ricorda l'antico prestigio sociale delle profes-
sioni in -iere, riguarda l'area che si potrebbe definire del controllo, della sorveglianza, della
custodia di beni e persone: di questo sottogruppo potrebbero ad esempio far parte caliere
"addetto alla sorveglianza dei depositi e alla custodia del materiale di bordo", carceriere,
cassiere, daziere, doganiere, gabelliere, magazziniere, portiere, tesoriere e anche i più
scenografici mazziere "chi, segnando il tempo con una mazza, apre la sfilata di una banda"
e mossiere "in una corsa, chi è addetto al segnale di partenza".
Altri sottogruppi ben rappresentati riguardano i mestieri legati alla pesca e alla marine-
ria: baleniere, fiociniere, gabbiere "marinaio delle navi a vela addetto al compito di mano-
vrare le vele di gabbia", gondoliere, pennoniere, poppiere "marinaio che manovra stando a
204 5. Suffissazione
Questo tipo conserva la forma originaria del latino -arius, diventato in italiano -ario, suffis-
so «di provenienza colta» (Dardano 1978, 83) perché penetrato con i latinismi non solo in
Italia ma in tutto il territorio romanzo. Molte sono infatti le formazioni agentive in -ario che
l'italiano ha ereditato direttamente dal latino classico o tardo: bibliotecario, segretario e
molti termini del linguaggio della guerra (ausiliario, emissario, legionario, mercenario,
vessillario) e del linguaggio del diritto (beneficiario, cessionario, proprietario, usufruttua-
5.1. Derivazione nominale 205
rio). Né mancano casi in cui le primitive formazioni latine hanno col tempo subito in italia-
no forti slittamenti di significato: è il caso di ordinario (nel senso di "professore di ruolo
nella scuola o titolare di cattedra all'università") o di primario (nel senso di "medico che
dirige un reparto ospedaliero"). La facile riconoscibilità, anche in italiano, dei nomi di base
deriva evidentemente dal fatto che l'italiano ha ereditato dal latino serie di parole morfolo-
gicamente relate, quindi non solo i derivati, ma le rispettive basi. Quando ciò non è acca-
duto, risulta compromessa la "leggibilità" del derivato: così in agrario o veterinario non
riusciamo, partendo dall'italiano, a ritrovare la parola di base. A partire dal XVIII secolo
dobbiamo invece mettere in conto la pesante influenza del francese -aire: parole come
commissionario, dignitario, intermediario, milionario, pubblicitario, reazionario, rivolu-
zionario, umanitario, pur essendo ben motivate anche in italiano, sono in realtà dei calchi
dalle corrispondenti parole francesi.
Una volta penetrato in italiano, -ario ha prodotto una lunga serie di derivati, tra cui ri-
cordiamo bancario, impresario, missionario, confusionario, tenutario, universitario e tra le
formazioni più recenti discotecario (a. 1950), passionarlo (a. 1983), ludotecario (a. 1987).
Tuttavia -ario è un suffisso molto articolato, potendo dar luogo anche ad aggettivi - e que-
sta è probabilmente l'opzione principale, ereditata direttamente da -arius - oltre a nomi di
luoghi, di ricorrenze e collettivi (cfir. 5.1.1.5.3.). La forte propensione aggettivale del suffis-
so è dimostrata non solo dall'elevato numero di formazioni attestate dai dizionari, ma anche
dall'esistenza di coppie del tipo azionario / azionista, birrario / birraio, dentario / dentista,
ferroviario / ferroviere, librario / libraio, murario / muratore, tranviario / tranviere, vetra-
rio / vetraio, in cui la stessa base dà luogo ad aggettivi in -ario e a nomi di agente che sele-
zionano suffissi tipicamente agentivi. L'ipotesi più probabile è dunque che molti nomi di
agente in -ario vadano in realtà interpretati come delle nominalizzazioni di aggettivi, e
rientrino quindi nel grande capitolo della conversione (su questo si veda 5.1.1.1.11. e
7.2.2.1.6.).
L'opzione agentiva conserva tuttavia una sua interessante vitalità, anche perché
l'influenza del francese non è mai venuta meno (ad esempio protestatario, a. 1901, e pub-
blicitario, a. 1958, sono dei calchi dal francese), mentre tra le parole datate a partire dal
1950 il DISC registra 9 formazioni agentive denominali di formazione autoctona, cui dob-
biamo aggiungere almeno cinetecario "chi è addetto al funzionamento di una cineteca" (C).
La complessa stratificazione di questo suffisso non consente troppo semplici generaliz-
zazioni né rispetto alla base selezionata né rispetto alla semantica dei derivati in uscita. Se
tuttavia allarghiamo lo sguardo a tutte le formazioni che risultino motivate in italiano, indi-
pendentemente dalla loro storia, dobbiamo riconoscere che, contrariamente agli altri suffissi
del paradigma, -ario non rifiuta basi costituite da nomi che presentino i tratti '-i-astratto' e
numerabile' (fiduciario, utilitario, usurario, velleitario), mentre la presenza del tratto
'-i-animato' dà senz'altro luogo a locativi (lebbrosario, rettilario, delfinario, ma su questi
cft. 5.1.1.3.1.). Ne risultano nomi di agente sia classificanti (ma di mestieri di rango medio
o elevato come daziario, dolciario, ludotecario, transitarlo "chi esercita il commercio di
transito"), sia caratterizzanti (milionario, umanitario, passionarlo). Ricordiamo anche una
piccola serie costituita da nomi di aderenti a sette o ordini religiosi: settario, trinitario
"membro dell'ordine trinitario", ubiquitario "appartenente a una setta luterana che sostene-
va l'ubiquità di Cristo"; e un'altra serie di termini propri del linguaggio del diritto: abigea-
tario "chi commette abigeato", concessionario, legittimario "erede cui è legalmente riser-
vata una parte del patrimonio, la legittima", permissionario "chi ha ricevuto una permissio-
206 5. Suffissazione
Già nel 1939, confrontando -ista con il suffisso -aiolo, Migliorini scriveva che «è entrato
nella lingua attraverso voci greche o in genere dotte», e dunque «sembra portare con sé
un'aura di maggiore distinzione», rispetto all'aria «strapaesana» dei derivati in -aiolo. E
concludeva: «per i nomi di mestieri -ista predomina, per non dire che imperversa» (Miglio-
rini 1939, cfr. Fanfani 1985, 24). Sono passati 60 anni, e la fortuna di -ista non accenna a
diminuire. Non c'è alcun dubbio infatti che questo procedimento sia di gran lunga il più
produttivo dell'italiano contemporaneo per la formazione dei nomi di agente. Basti solo un
numero: su un totale di 1529 formazioni in -ista riportate dal DISC, poco meno della metà
sono datate a partire dal 1950. Pur avendo attestazioni in tutti i secoli della nostra storia
linguistica, il procedimento aumenta le sue presenze in misura esponenziale via via che ci si
avvicina ai giorni nostri. È un dato tanto più interessante ove si consideri che -ista, a diffe-
renza di tutti gli altri suffissi agenti vi dell'italiano, non è un suffisso polisemico, formando
solo nomi di agente.
Una delle cause della grande fortuna di questo suffisso sta certo nel fatto che esso è dif-
fuso e altamente produttivo anche in lingue di grande prestigio, quali il francese (nella
forma -iste) e l'inglese (nella forma -ist): in queste lingue, come del resto in italiano, serve
a formare nomi di professioni moderne, specializzate, tecnologicamente avanzate (cfr. Wolf
1972). Il travaso fra le lingue in questi casi è talmente forte, che a volte può fare a meno
della traduzione: così nei DPN non è raro imbattersi in travasi diretti dall'inglese (cartoo-
nist, receptionist, vocalist, tutti in CC), accompagnati o meno dall'adattamento italiano (Q
riporta ad esempio sia cartonista che cartoonist).
È un suffisso che presenta una grande adattabilità, potendo assumere basi costituite da:
(a) nomi con i tratti '¿comune' : calvinista, ferrarista, attrezzista·, '± umano' : femminista,
stragista; '± numerabile': assegnista, fumettista, fuochista, modista-, '¿concreto': pianista,
scacchista, chiusurista "chi conclude la giornata lavorativa facendo turno di chiusura"; (b)
nomi costituiti da un numero qualsiasi di sillabe: gruista, statista, terrorista, decisionista,
enciclopedista, giustificazionista; (c) nomi già suffissati: acquerellista, canzonettista, asso-
ciazionista, millenarista·, (d) aggettivi: assistenzialista, civilista, immobiliarista, legittimi-
sta, qualunquista, tredicista "chi, nel gioco del totocalcio, indovina i risultati delle tredici
partite in schedina"; (e) verbi: apprendista, attendista, convertista "chi converte le azioni in
titoli", dirigista, draghista "addetto a scavi subacquei o su terreni asciutti, dragatore", tra-
sformista; (f) composti e sintagmi nominali e verbali, purché lessicalizzati: borsanerista,
duecentometrista, malpancista "chi subisce o accetta qualcosa con riluttanza, controvoglia"
(F, 150; BC), menefreghista, perbenista, saccopelista', (g) prestiti, anche recentissimi, da
altre lingue, più o meno adattati alla pronuncia e alla grafia dell'italiano: belletterista dal
francese bellettriste "dilettante di studi letterari", lobbista, pepinierista "chi è addetto alla
cura di un vivaio", stocchista o stockista, softwarista (Q), ocimista (da Ho Chi-Minh, in Q),
swatchista (BC), weekendista (F, 204); (h) sigle: piduista, cigiellista, aclista, nappista (da
NAP, in CC e Q), turista (da TIR, in F, 197), keghebista (da KGB, in BC); (i) avverbi e
locuzioni avverbiali; ne risultano spesso formazioni di non facile leggibilità: pressappochi-
5.1. Derivazione nominale 207
sta, dietrista (CC, Q), diportista "chi pratica la navigazione da diporto", ritardista "paraca-
dutista abile nel lancio con apertura in ritardo del paracadute", farfallista "specialista del
nuoto a farfalla", contropiedista "atleta che eccelle in azioni in contropiede" (BC), uomista
"nel calcio, sostenitore di un gioco basato sulla marcatura a uomo" (BC); (j) ideofoni, sia
pure lessicalizzati: blobbista e bluffista, rispettivamente "seguace, ammiratore, appassio-
nato di Blob" e "chi bluffa, chi ha l'abitudine di bluffare" (entrambi in F, 110).
Le uscite semantiche di -ista, pur potendo tutte essere parafrasate con "persona che in-
trattiene una qualche relazione col nome di base", presentano, ad una lettura più approfon-
dita, una grande varietà tra cui è difficile mettere ordine. Sono tuttavia abbastanza facil-
mente riconoscibili due grandi gruppi, diversi sul piano del significato ma non per produtti-
vità e (probabilmente) incidenza o frequenza.
Il primo gruppo è costituito da formazioni che designano attività professionali, dando
luogo a quelli che abbiamo più volte chiamato nomi di agente classificanti. In questo setto-
re la produttività di -ista è altissima: tutti i settori professionali ricorrono volentieri a questo
procedimento per creare i nomi delle nuove professioni, da consollista (a. 1991) "tecnico
addetto alla consolle degli impianti elettronici", a carburatorista (a. 1987), da trapiantista
(a. 1983) "chirurgo specializzato nel trapianto di organi", a ruspista, da palinsestista (a.
1989) e moviolista (F, 157 e BC), a cerealista (F, 115), a agopunturista (Q). Rientrano in
questo sottogruppo anche alcuni settori professionali tradizionalmente rappresentati da
questo procedimento: i suonatori di strumenti musicali (arpista, chitarrista, percussionista,
pianista, tastierista, violinista);' gli estensori di lavori scritti (fondista, periodicista, croni-
sta, nerista "cronista di cronaca nera", in F, 158, e in BC); gli studiosi di certi specifici
ambiti disciplinari (quattrocentista, latinista, ergonomista, islamista, nutrizionista)·, gli
atleti di alcune specialità sportive (centrocampista, ciclocrossista, pallanuotista, trialista,
windsurfista);2 i pittori specialisti di certi soggetti o di certe modalità di pittura (acquerelli-
sta, muralista, paesaggista, ritrattista)', i guidatori di certi veicoli (aliscafista, autista, auto-
cisternista, scooterista, elicotterista). Un settore completamente assente è invece quello
dell'allevamento e cura degli animali. Curiosamente, in tutti i casi in cui la base sia costi-
tuita da uno zoonimo, esso è usato in senso metaforico: così in delfinista, farfallista, giraffi-
sta.
Il secondo gruppo, che dà grosso modo luogo a nomi di agente caratterizzanti, è più
composito, in quanto comprende formazioni che designano persone caratterizzate
dall'essere seguaci di ideologie e movimenti politici: brigatista, fascista, marxista, pacifi-
sta, peronista, Zapatista; persone che si riconoscono in certi movimenti di opinione e cor-
renti di pensiero: animalista, abortista, europeista, garantista, movimentista·, persone che
fanno parte di gruppi e associazioni: accademista, camorrista, clacchista, cetomedista (Q);
persone che sono affette da particolari tendenze o esibiscono particolari abitudini di com-
portamento: allarmista, consumista, giustificazionista, opportunista, permissivista, pres-
sappochista. È un elenco largamente incompleto: soprattutto i DPN documentano la dispo-
nibilità del suffisso ad esprimere rapporti diversificati, che è difficile descrivere in tutte le
loro valenze e possibilità. Importa invece notare come questi derivati del secondo gruppo
siano spesso in rapporto con un corrispondente nome astratto in -ismo, che denota appunto
Come si vede, in qualche caso la base non è uno strumento specifico, ma una intera classe di stru-
menti, quelli a percussione o a tastiera, ad esempio.
2
Sulle formazioni in -ista di ambito sportivo si sofferma Migliorini 1975a, 33.
208 5. Suffissazione
Dall'originaria funzione del latino -inus, che era quella di formare aggettivi denominali
«esprimenti appartenenza, relazione, provenienza, nonché etnici» (Tekavéic 19802, 69), e
dall'evoluzione del suffisso verso il senso diminutivo, che si pone verso il tardo latino e si
attua pienamente solo in periodo romanzo, si è sviluppata la variegata casistica dell'italiano
-ino,1 che qui ci interessa solo per gli esiti esemplificati nel titolo di questo paragrafo, gli
agenti denominali.
Un primo esito è esemplificato dai tipi garibaldino e cigiellino, che sono una filiazione
diretta della formazione, da nomi, di aggettivi di partecipazione e appartenenza, che posso-
no sempre subire processi di nominalizzazione. Il nome di base è per lo più un nome pro-
prio (di una persona, di un'associazione, di un movimento, di un quartiere, di un locale, di
una squadra di calcio). Sul piano dell'uscita semantica i derivati in -ino sono in questo caso
nomi di agente caratterizzanti, vale a dire designano persone che in qualche modo si ricono-
scono nel pensiero o aderiscono ai progetti religiosi o politici del personaggio cui si riferi-
sce la base: camillino, garibaldino, maurino "monaco benedettino appartenente alla con-
gregazione di san Mauro", tifino (da Tito, Q); condividono gli obiettivi delle organizzazioni
sindacali o politiche cui rimanda la base, espressa in sigle: cobassino (da COBAS, F 117),
ciellino (da CL, sigla di Comunicazione e Liberazione), figiccino, missino, pidiessino·, par-
tecipano, in modo stabile o occasionale, ai riti o adottano i modelli di comportamento di un
movimento, di un quartiere, di un gruppo, di un locale alla moda: cantagirino (da Cantagi-
ro, Q), focolarino, leoncavallino (da Leoncavallo, C 1993-94), pariolino, piperino (da
Piper, Q), sanbabilino, sessantottino; tifano per una squadra e se ne sentono in qualche
modo membri: iuventino, interino.
In tutti i casi documentati, come si vede, il tratto comune è il senso di adesione ideale o
la vera e propria militanza di questi soggetti umani in gruppi, organizzazioni, movimenti di
varia entità e consistenza, anche culturale. La produttività del suffisso in questione per
questo tipo di formazioni è oggi molto alta. Si consideri che delle 12 formazioni agentive
denominali in -ino datate dal DISC a partire dal 1950, 10 sono di questo primo tipo, che
potremmo definire caratterizzanti, e solo 2 appartengono al tipo postino (che vedremo su-
bito dopo). Anche i DPN documentano un dilagare di formazioni in -ino, alcune delle quali,
specie quelle più legate alla dialettica politica contemporanea, riescono a comunicare un
tratto ironico-spregiativo che nasce forse dal contrasto tra la «piccolezza» insita nel suffisso
e la presunta «grandezza» di certi programmi e uomini politici (almirantino, Q, tognolino,
F 197, berluschino, C 1993-94, craxino e dipietrino, C 1995, predino, C 1996).
Il tipo postino, la cui base è un nome con tratto '+comune', dà in uscita nomi di agente
per lo più classificanti, indicanti mestieri e professioni in genere considerati umili 2 (ma non
mancano, neppure in questo sottogruppo, i caratterizzanti, come ad esempio zazzerino "chi
porta i capelli a zazzera"). Su questo esito deve avere influito l'uscita diminutiva del suffis-
so (Tekavcic 19802, 70), mentre in altri casi sembra sia piuttosto «l'antica funzione aggetti-
Ricordiamo rapidamente che -ino dà luogo ad aggettivi denominali (cfr. 5.2.1.), diminutivi (cfr.
5.1.1.7.16.1.1. e 5.2.3.1.), nomi di agente e di strumento denominali e deverbali (cfr. 5.1.1.2.3.,
5.1.3.2.3. e 5.1.3.3.5.).
2
A questo proposito Pasquali 1948, 42, notava che scopino (che all'epoca era a Roma più comune
di spazzino) non era ammesso alla Corte Pontificia «che conosce solo lo scopatore segreto, nome
foggiato con un suffisso antichissimo di nome di agente».
210 5. Suffissazione
vale, a farne un suffisso che indica un mestiere» (Rohlfs 1969, 413). Alcuni esempi di que-
sta possibilità sono bracino "venditore di carbone, di legna e di brace", celerino, ciabattino,
contadino, fantino, fattorino, fiocinino "pescatore abile nell'uso della fiocina", naccherino
"chi suona le nacchere", questurino, stagnino, stallino, tabacchino, vetturino, tutte parole
ben motivate in italiano, mentre per altre formazioni dobbiamo mettere in conto una certa
opacità dovuta a fatti formali, come in spadaccino (con doppio procedimento derivativo),
damerino e peperino "persona molto vivace e briosa" (con interfisso -er-), netturbino (da
nett(ezza) urb(ana)ino, con base polirematica e caduta delle sillabe finali delle due parole di
base); a fatti di evoluzione diacronica della lingua, come in cittadino-, a prestiti da altre
lingue, come in aguzzino, clandestino e galoppino; a fatti semantici e pragmatici che hanno
reso col tempo indecifrabili certi rapporti tra base e derivato: è quanto accade per codino
"persona rigidamente conservatrice, così detta dall'abitudine dei legittimisti francesi di
acconciarsi col codino come prima della rivoluzione" o secondino "addetto alla sorveglian-
za dei detenuti nelle carceri", così detto perché un tempo aiutante del custode carcerario.
Non è mai stata, comunque, una opzione molto produttiva, visto che le formazioni citate
corrispondono quasi dell'intero corpus del DISC, 1 mentre per gli anni più recenti, dal 1950
ad oggi, il DISC riporta solo 2 neologismi, fanghino (a. 1956) e lavaggino (a. 1957).
Quanto ai DPN, a fronte del fantasioso proliferare dei tipi garibaldino e cigiellino, il tipo
postino si ritrova solo in due neoformazioni, neomodini, "giovani stilisti mossi da una gran
voglia di emergere e di farsi notare" (L) e siringhino, "tossicomane che si inietta, o si fa
iniettare da un siringhiere, la droga con una siringa" (CC).
Quanto all'uscita femminile del suffisso, non sono molte le formazioni che designano
agenti. Tra queste ricordiamo chellerina, forma italianizzata di kellerina (dal tedesco
Kellnerin "cameriera"), crocerossina, con base polirematica, filandina, sinonimo di filan-
daia, madrina, sgualdrina (la cui base non è riconoscibile), speakerina, e le designazioni di
ordini religiosi orsolina e vincenzina.
Deriva dal tipo latino in -o, -onis, che «serviva a formare nomi che caratterizzavano una
persona in base alla sua appartenenza a certi gruppi (commilito, companio [...]), o per le sue
abitudini, ma sempre in senso negativo (bibo "beone", epulo "crapulone, mangione" [...]),
oppure ancora per una sua particolarità fisica vistosa (naso "nasuto" [...])» (Tekavcic 19802,
100). Dalle due ultime possibilità, che costituiscono quella che è per Rohlfs 1969, 416 la
funzione più antica del suffisso, sicuramente più antica della funzione accrescitiva (sulla
quale si veda 5.1.1.7.16.2.1.), si sviluppa quello che è uno dei maggiori esiti italiani del
suffisso: il valore agentivo caratterizzante, che consiste nel designare una persona sulla base
di particolari qualità, o forse sarebbe meglio dire difetti fisici e morali, modi di essere,
comportamenti visibili e abituali. Una caratteristica interessante del suffisso è quella di
selezionare sia basi nominali e aggettivali (rispettivamente baffone, mammone, patatone e
facilone, grassone, sciattone) sia basi verbali (arruffone, brontolone, guardone): questa
doppia possibilità non ha tuttavia, come vedremo in dettaglio, delle conseguenze importanti
sulla semantica delle formazioni che ne risultano. Qualunque sia la base selezionata infatti,
1
Abbiamo escluso dal conto i derivati per i quali era comunque rintracciabile una base verbale,
quindi ad esempio bagnino o ballerino.
5.1. Derivazione nominale 211
un tratto che accomuna tutti i derivati in -one è quello che potremmo definire della gran-
dezza esagerata e inopportuna, dell'eccesso negativo, tali da sfiorare il ridicolo o da suscita-
re il disprezzo.
L'uscita semantica comune a denominali e deverbali crea talvolta problemi nella esatta
individuazione della base: ciabattone, civettone, imbroglione, pasticcione derivano da cia-
batta, civetta, imbroglio, pasticcio o dai rispettivi verbi? La questione non è di facile solu-
zione, e dunque in questa sede ci limitiamo a porre il problema. Ad un esame superficiale,
infatti, la produttività e la frequenza dei due procedimenti, denominale e deverbale, sem-
brano ugualmente alte, e dunque non è in base a considerazioni di questo tipo che possiamo
risolvere il problema. Né ci può essere di aiuto il ricorso alla competenza dei parlanti nativi,
che non individuano in questi casi una direzione unanime nella derivazione. Non risulta
neppure che la questione sia mai stata affrontata in letteratura: Dardano distingue tra il
suffisso -one che, a partire da verbi, forma nomi di agente (1978, 54), e il suffisso accresci-
tivo denominale e deaggettivale (ivi, 104); ma mentre non dedica una attenzione particolare
a quest'ultima funzione del suffisso, cita tra le formazioni accrescitive anche qualche de-
verbale (accattone, chiacchierone). Tekavòic dal canto suo nota l'esistenza di derivati in
-one che non possono essere definiti degli accrescitivi delle parole di base: tuttavia non
distingue tra i derivati denominali / deaggettivali e i derivati deverbali, e mette in uno stesso
elenco buffone, ciarlone, ghiottone, imbroglione, sporcaccione, strillone, testardone
(1980 2 , 101). È una scelta che evidentemente si lascia guidare da ragioni semantiche, nella
fattispecie dalla semantica dei derivati, più che da considerazioni formali, relative allo sta-
tuto grammaticale della parola di base. Per quanto ci riguarda, vista la scelta generale di
presentare denominali e deverbali in capitoli separati, abbiamo deciso di presentare qui i
derivati sicuramente denominali e deaggettivali, rimandando a 5.1.3.2.3. tutti i derivati di
cui sia possibile rintracciare una base verbale plausibile.
Un'altra questione correlata ma anch'essa di difficile soluzione riguarda il rapporto tra
procedimento accrescitivo e procedimento derivativo: siamo di fronte a due procedimenti
diversi e paralleli, o piuttosto si tratta di uno dei tanti fenomeni di conversione? E in questo
secondo caso, quale sarebbe la direzione della conversione: dall'esito accrescitivo a quello
derivativo, o viceversa? Le ricostruzioni storiche ci dicono che l'esito accrescitivo è più
recente, sviluppatosi non solo in italiano ma anche in portoghese e spagnolo dal tipo naso
"persona con un naso particolare, caratteristico". «Caratteristico è sempre ciò che è vistoso.
Da qui dev'essersi sviluppata ben presto l'idea d'una grossezza inconsueta, dal momento
che naso prendeva sempre più a significare un naso insolito o particolarmente grosso»
(Rohlfs 1969, 414). E tuttavia, una volta formatosi e stabilizzatosi, l'esito accrescitivo di
-one diventa una risorsa semplice e sempre a portata di mano per ingrandire persone, og-
getti, qualità. Da qui all'uso figurato, metaforico o metonimico, il passo è breve. Il percorso
comune a tutti i denominali in -one sarebbe grosso modo quello che sembra prefigurare il
DISC per barbone, quando descrive le prime tre accezioni del lemma in questi termini: «1.
Nel significato dell'accrescitivo di barba 2. estens. Chi porta una lunga barba 3. Vagabon-
do, mendico; persona sporca, paria». E una sistemazione lessicografica ragionevole che
ritroviamo in decine di altre formazioni e che sembra prefigurare una conversione dall'esito
accrescitivo all'esito derivativo. E tuttavia non è detto: è difficile pensare che parole come
buontempone, parruccone, tabaccone, terrone abbiano sviluppato il loro significato agenti-
vo caratterizzante da un precedente valore accrescitivo, né il dizionario fa di questi acco-
stamenti.
212 5. Suffissazione
Abbiamo detto che i derivati in -one danno vita a nomi di agente caratterizzanti, i quali,
proprio perché designano soggetti umani a partire da certe qualità e caratteristiche, possono
avere, in qualche caso, anche una funzione aggettivale. Questo è vero non solo, com'è ov-
vio, per molti deaggettivali ma anche per alcuni denominali: anche qui, dobbiamo supporre
per i deaggettivali un processo di conversione nominale e per i denominali un processo di
conversione aggettivale? E come mai questo processo ha luogo solo con alcuni derivati e
non con tutti? O non sarebbe più semplice ipotizzare che in realtà il procedimento interessa
solo nomi, e semmai aggettivi già nominalizzati, e dà in uscita nomi, che possono talvolta,
ma abbastanza eccezionalmente, essere usati anche in funzione aggettivale? Anche in que-
sto caso, non è possibile risolvere adesso tutti questi complicati problemi (su cui comunque
cfr. 7.2. sulla conversione). Diciamo solo che la soluzione qui adottata, di accorpare in un
unico sottogruppo denominali e (apparenti) deaggettivali, ci pare una sistemazione intuiti-
vamente plausibile dei dati.
Si è fin qui parlato di nomi di agente caratterizzanti, non classificanti. Se si eccettuano
infatti alcune poche parole di antica formazione ed oggi poco trasparenti (garzone, pene-
trato dalla Francia nel XIII secolo; cozzone e scozzone "allenatore o domatore di cavalli";
pizzardone, nella Roma dell'Ottocento, "guardia municipale", oggi, "vigile urbano"), il
procedimento non dà luogo a parole che designano mestieri e attività lavorative, ereditando
anche in questo le assenze e le possibilità già attestate in latino.
Una delle opzioni più frequenti, che continua in italiano il tipo naso del latino, è quella
per cui il derivato in -one designa una persona a partire da una caratteristica fisica partico-
larmente evidente, che viene in tal modo notata e messa in ridicolo: dunque un mascellone
è "chi ha le mascelle molto evidenti e pronunciate", un panzone o un trippone è una "per-
sona grassa, con una pancia particolarmente prominente". La lista potrebbe continuare con
baffone, basettone, dentone, ricciolone e così via. Se escludiamo cervellone, il cui nome di
base rimanda ad una parte da sempre considerata «nobile» del corpo umano, tutte le forma-
zioni di questo sottogruppo hanno un tratto più o meno accentuatamente negativo, aggiun-
gendosi sempre alla caratteristica della grandezza tratti spregiativi spesso ricavati, attraver-
so procedimenti metaforici o metonimici, dai rispettivi nomi di base: così capone, testone,
zuccone designano persone che hanno teste grosse e che sono soprattutto vuote, lente, te-
starde; un midollone eredita dal nome di base la caratteristica dell'inerzia, della passività;
un capellone è una persona con i capelli lunghi ma anche sporchi, arruffati, disordinati; un
barbone è certo chi porta una lunga barba ma è, soprattutto, un vagabondo, un mendicante
che lascia a desiderare quanto a pulizia e igiene personale; per non parlare dei più volgari
cozzone, fregnone, minchione che designano tutte persone molto stupide, irrimediabilmente
screditate dalla parentela morfologica con i rispettivi nomi di base.
Un altro fertile terreno di ispirazione per la formazione di derivati in -one è il mondo
naturale, le piante e soprattutto gli animali cui certi umani sono accostati per le loro caratte-
ristiche fisiche e soprattutto psicologiche e morali. Si ispirano al mondo vegetale baccello-
ne, bietolone, broccolone, giuggiolone, pisellone che hanno sviluppato un significato di
lentezza e apatia mentale probabilmente derivato dalla pretesa insensibilità del mondo ve-
getale: tali parole designano infatti individui generalmente poco perspicaci per non dire
ottusi. Più variegata la gamma dei derivati da zoonimi, che ereditano dai rispettivi nomi di
base le caratteristiche che gli umani riconoscono negli animali di volta in volta implicati:
così un farfallone è una "persona inaffidabile e incostante", un lumacone è una "persona
lenta e goffa nel muoversi e nell'agire", un pecorone è una "persona servile, passiva, con-
5.1. Derivazione nominale 213
formista", un volpone è una "persona particolarmente astuta e furba"; la lista continua con
bufalone, caprone, cicalone, maialone, porcellone, talpone, vitellone, tutti dal significato
abbastanza facilmente prevedibile e comunque sempre negativo.
La caratteristica umana più spesso stigmatizzata attraverso i derivati in -one è la stupidi-
tà, la lentezza nel capire e nell'agire. Ai casi già visti si potrebbe aggiungere una lunga
lista: credulone, gnoccolone, grullone, lasagnone, marmittone, mestolone, polentone, ton-
tolone. Molto nutrita anche la schiera dei derivati che segnalano la sporcizia e la trasanda-
tezza nella cura della persona e del vestiario: bracalone, brindellone, caccolone, gocciolo-
ne, moccicone, frittellone, pataccone, sciattone, straccione, zaccherone, zozzone. Ma a dire
il vero non c'è forse difetto o comportamento umano riprovevole che non abbia un derivato
in -one per designare gli individui che se ne ammantano: chi pecca di pigrizia, di lentezza
eccessiva è un pelandrone, un poltrone', chi di ignoranza, cattiva educazione e goffaggine è
un bozzone, un cafone, un villanzone, uno zoticone·, chi tenta di raggirare il prossimo con
l'inganno o di derubarlo è un forchettone, un ladrone, un lazzarone, un soppiattone, un
tatticone, un trappolone', chi si macchia di superficialità e faciloneria è un bombinone o,
peggio, un bambolone, un buffone, un facilone, un leggerone, un pacioccone, uno zuzze-
rellone-, chi parla troppo, a voce troppo alta o racconta fandonie è un caciarone, un chias-
sone, un cialtrone, un fanfarone, un frottolone, un farabolone, un trombone; chi si dà da
fare in modo scomposto e senza frutto è un faccendone, un guazzabuglione -, chi infastidisce
il prossimo con la sua insistenza o petulanza è un piattone, un tormentone. Per non parlare
dei difetti sentiti forse come più lievi, o meno diffusi, che hanno a disposizione un solo
derivato: è il caso di bacchettone, o di mammone, o di parruccone "persona, per lo più
anziana, con idee arretrate e nemica del progresso".
Sul piano formale colpisce la regolarità di costruzione della quasi totalità dei derivati in
-one, con una base quasi sempre facilmente riconoscibile. Segnaliamo solo alcune basi già
suffissate o con interfissi (pazz-ar-ell-one, sporc-acci-one, tont-ol-one, villan-z-one), una
base polirematica (buontempone), un prestito adattato dall'inglese con doppio procedi-
mento derivativo (fricchettone, da freak), una strana parola macedonia (farabolone, da
fa(vola) (pa)rabol-one). In altri casi la base non è più riconoscibile dalla sensibilità moder-
na: così è ad esempio per briccone, lazzarone, lenone, mascalzone, nebulone, paltone, pe-
landrone, poltrone.
inazioni denominali in cui compare, da altri procedimenti derivativi deverbali che spesso si
presentano collegati in paradigma (soprattutto il nome di agente e il nome di azione); sia la
buona produttività del procedimento relativo nell'italiano contemporaneo. Anche la forma
del suffisso cambia: come suffisso denominale è -ante, come suffisso deverbale sarà, come
vedremo, presentato nella forma -nte. Pensiamo infatti che pur essendo il primo derivato dal
secondo, tuttavia la maggiore frequenza delle formazioni deverbali in -nte della prima co-
niugazione, e dunque con la vocale tematica -a- in posizione presuffissale, abbia indotto per
analogia la nascita di un suffisso denominale -ante incorporante la vocale tematica delle
formazioni deverbali che hanno fatto da modello. Questa ipotesi è giustificata dal fatto che,
a differenza delle formazioni deverbali che possono uscire, a seconda della categoria di
appartenenza dei verbi di base, in -ante, -ente, -iente, tutte le formazioni denominali esibi-
scono il suffisso -ante, senza alcuna eccezione. L'unica apparente eccezione, maggiorente,
è un adattamento dal latino medievale maiorentes.
La presenza di questo procedimento, pur non essendo frequentissima, non è comunque
del tutto trascurabile: l'intero corpus del DISC riporta poco più di 40 formazioni per le
quali non è attestata alcuna forma verbale corrispondente. Anche i DPN riportano un certo
numero di neologismi, in gran parte coincidenti con quelli del DISC, ad eccezione di mimo-
sante "termine spregiativo per indicare le militanti del movimento femminista" (F, 156) ed
esuberante, neoformazione, nonostante le apparenze, ad indicare gli operai licenziati perché
in esubero (BC).
Il procedimento denominale in -ante dà in uscita: nomi classificanti, come carriolante
"manovale addetto al trasporto con la carriola di materiale vario", casellante, dettagliante,
edicolante, fatturante "lavoratore a cottimo", giornante "lavorante a giornata", nottante
"infermiere o volontario che presta servizio di assistenza notturna ai malati", poderante
"proprietario o lavoratore di un podere", e in questo caso spesso il suffisso si presenta in
alternativa sinonimica con altri suffissi nominali tipicamente agentivi: barellante / barellie-
re, bettolante / bettoliere, bottegante / bottegaio, cavallante / cavallaio, cottimante / cotti-
mista, paesante / paesista "pittore specializzato nel dipingere paesaggi"; nomi caratteriz-
zanti: dozzinante, gitante, lattante, pensionante, pigionante, tirocinante; nomi di agente
dell'un tipo e dell'altro che si riferiscono a persone considerate modeste, se non pessime,
nel loro lavoro, o che esibiscono atteggiamenti e modi di essere non del tutto stimabili:
comiziante, fogliettante "giornalista da strapazzo", mestierante, teatrante. La connotazione
negativa è evidente soprattutto in formazioni quali commediante, musicante, politicante,
tragediante che possono contare su termini neutri corrispondenti quali commediografo,
musicista, politico, tragediografo, che ben documentano lo stacco. Stessa connotazione
negativa si rileva nelle due formazioni deaggettivali austriacante e tedescante, ben diverso,
quest'ultimo, dal più neutro tedescofilo. Questo tratto spregiativo è, secondo Tekavòic, da
mettere in relazione col significato originario del participio di simultaneità, da cui in defi-
nitiva ha avuto origine anche il procedimento nominale, allorché la formazione designava
l'agente di un'azione simultanea ad un'altra, quindi limitata nel tempo, transitoria, provvi-
soria, precaria: «e da qui allo spregiativo c'è solo un passo» (19802, 47).
Il suffisso -iano è l'esito del latino -ianus, che oltre a formare aggettivi «indicanti apparte-
nenza, provenienza, relazione» (Tekavöic 19802, 65; sull'esito aggettivale del suffisso cfr.
5.1. Derivazione nominale 215
5.2.1.7.2.1.), forma nomi di agente, di cui non è sempre detto che si tratti di nominalizza-
zioni di aggettivi: a volte infatti la data di prima attestazione rivela un uso sostantivale
precedente all'uso aggettivale, per cui non è implausibile parlare di una «intrinseca bivalen-
za aggettivale-sostantivale» del procedimento, come ha recentemente sostenuto Rainer
1998.
I nomi di agente in -iano designano soggetti umani che per qualche motivo «appartengo-
no» all'istituzione cui rimanda il nome di base, spesso costituito da un nome proprio: boc-
coniano,, rotariano; oppure, non considerando gli etnici, designano gli abitanti delle località
cui rimanda il nome di base: così ad esempio in colcosiano, e nella piccola serie di presunti
extraterrestri: marziano, mercuriano e veneriano. Tuttavia -iano è diventato in italiano
soprattutto un suffisso deantroponimico, esito certo incoraggiato dall'analoga possibilità
dell'inglese. Decine di formazioni si sono formate per designare i seguaci di santi e gli
aderenti a movimenti religiosi: agostiniano, camilliano, salesiano, zoroastriano', i seguaci e
gli imitatori di scrittori, artisti, filosofi, scienziati: alfieriano, darviniano, freudiano, gali-
leiano, hegeliano, keynesiano, manzoniano, verdiano', i seguaci e gli ammiratori di uomini
politici: badogliano, giolittiano, gramsciano, hitleriano, staliniano. Soprattutto vorremmo
accennare all'alta disponibilità di -iano per quest'ultimo esito: di tutti i procedimenti che
l'italiano ha a disposizione per esprimere questo tipo di rapporto (oltre a -iano, soprattutto
-ista e -ino) è proprio -iano ad essere oggi il più produttivo. L'intero corpus dei DPN com-
prende infatti 7 neoformazioni in -ino, 27 in -ista e ben 41 neoformazioni in -iano: ad
esempio gomulkiano e kennediano in Q; clintoniano in C 1993-1994; occhettiano in F,
160; thatcheriano e somoziano in CC. E a conferma di questo dato si legga il passaggio che
segue: «Una volta si poteva essere comunisti o fascisti, democristiani o socialisti o repub-
blicani o liberali o radicali. Ora si è berlusconiani o dalemiani, pannelliani o dipietristi o
bossiani» (La Repubblica, 6-8-1999, 20; corsivo nostro).
Di fronte a tanta lussureggiante abbandonza, colpisce l'assenza di formazioni femminili
autonome, se si eccettua uno sparuto rosminiana (a. 1905), che non a caso designa la "suora
appartenente alla congregazione religiosa della Provvidenza fondata da A. Rosmini": né
poteva essere diversamente per un suffisso che esprime così nettamente adesione ideale a
correnti artistiche e programmi scientifici, o militanza attiva in organizzazioni civili e grup-
pi politici.
Riuniamo qui alcuni procedimenti poco produttivi o del tutto improduttivi, che formano nomi di
agente da nomi. Come -iano, procedimento presentato nel paragrafo precedente, molti dei suffissi che
presenteremo esprimono rapporti di appartenenza, di relazione o di possesso, e dunque formano in
italiano anche o soprattutto aggettivi. È dunque probabile che per molti procedimenti si debba parlare
di forme di nominalizzazioni degli aggettivi corrispondenti (cfr. 7.2.2.1.6.). In questa sede però ci
limitiamo a segnalare la questione e a descrivere solo gli esiti sicuramente nominali e agentivi, riman-
dando al capitolo sulla derivazione aggettivale (5.2.1.) per ulteriori approfondimenti sugli esiti agget-
tivali dei procedimenti esaminati.
Il suffisso -ano ha ereditato dal latino -anus la possibilità di formare etnici: padovano, palermita-
no, romano; deantroponimici: domenicano, francescano, luterano, maomettano; nomi indicanti "abi-
tante di": isolano, metropolitano, paesano, terrazzano, villano, o "appartenente a": diocesano, mili-
ziano, parrocchiano, popolano', nomi di agente classificanti: cappellano, ortolano, pievano, portola-
no, sagrestano, scrivano. La molteplicità degli esiti non deve trarre in inganno: in realtà molte delle
216 5. Suffissazione
parole sopra elencate sono degli adattamenti da formazioni latine preesistenti.1 Il procedimento infatti
non è mai stato produttivo in italiano, nonostante al modello latino si siano col tempo sovrapposti altri
influssi: francese (ciambellano, sovrano), spagnolo (miliziano). Sicché le formazioni autoctone italia-
ne ammontano a poche unità: tra queste segnaliamo ergastolano, frantoiano, mandriano, olivetano
"monaco benedettino della congregazione del monte Oliveto", repubblicano e un più antico ciarlata-
no, strana formazione con base verbale, forse nato per influsso di un coderivato regolare, ciarlatore,
avente più o meno la stessa semantica. Il suffisso presenta un'uscita femminile autonoma in mamma-
na, castellana, marchesana, mezzana, puttana (che però è un prestito dal francese) e sagrestana
"monaca che si occupa della cappella in un convento femminile". Le formazioni agentive in -ale sono
in buona parte dei prestiti adattati soprattutto dal latino: collegiale, commensale, criminale, generale,
intellettuale, mortale, principale, provinciale, rivale, ufficiale. Non mancano neppure adattamenti dal
francese (federale e confederale) e dall'inglese (continentale). Ciò detto, il procedimento ha dato
luogo a poco più di una decina di formazioni autoctone, quasi tutte classificanti: conventuale, edito-
riale, forestale, ginnasiale, industriale, orchestrale, portuale, scritturale, speziale, stagionale, statale,
vetturale. A questa lista va aggiunta la piccola serie dei nomi derivati, tramite prefissazione,
dell'aggettivo sessuale: bisessuale, eterosessuale, omosessuale, transessuale. Sulla presenza, infine,
dell'interfisso -u- in alcune delle formazioni sopra riportate, rimandiamo all'analisi che ne fa Rainer
1999a. Anche le formazioni agentive in -are sono quasi tutte di origine latina: crepuscolare, familia-
re, regolare ed irregolare, luminare, militare, secolare. Di formazione autoctona sono invece laguna-
re, parlamentare, pendolare, titolare. Per le formazioni nominalizzate di aggettivi in -oso dovremmo
fare una lunga lista, comprendente tutti i nomi di agente soprattutto caratterizzanti: da ambizioso a
bisognoso, curioso, facinoroso, invidioso, lussurioso, mafioso, pidocchioso, pulcioso, religioso, ri-
voltoso, sedizioso, studioso e così via, formazioni che documentano tutte, ci pare, un uso frequente in
qualità di nomi. A questo elenco si potrebbe aggiungere una lista piuttosto consistente di parole che
designano persone affette da particolari malattie, che costituiscono il nome di base: anginoso, colero-
so, lebbroso, morbilloso, tubercoloso, ulceroso, vaioloso ecc. Non ci soffermeremo su queste forma-
zioni, per la cui lettura e analisi rimandiamo al capitolo sulla derivazione aggettivale (cfr. 5.2.1.): si
noti solo come in questo caso non c'è stato bisogno di distinguere tra prestiti dal latino e formazioni
autoctone, dal momento che la regola è diventata molto produttiva anche in italiano. Segnaliamo
infine che un derivato recente, malavitoso (a. 1972), nasce probabilmente come nome, o comunque è
«sentito» soprattutto tale dalla competenza dei parlanti: questa sua particolarità è confermata anche
dalla sistemazione lessicografica che ne dà il DISC, che lo presenta come nome, anche se segnala la
possibilità di un uso aggettivale. Ugualmente solo nome è l'unico derivato agentivo femminile regi-
strato dal DISC, sciantosa, di origine francese. Anche gli aggettivi in '-ico si prestano ad essere usati
come nomi di agente caratterizzanti, persone spesso affette da particolari infermità, come ad esempio
diabetico, poliomelitico, prostatico; per arteriosclerotico, nevrotico, tubercolotico dobbiamo mettere
in conto una doppia operazione di cancellazione del suffisso -osi e aggiunta dell'interfisso -ot-, sul
modello di nevr(osi)-ot-ico. Molti derivati in '-ico, come i già visti derivati in -ista (cfr. 5.1.1.1.6.),
sono collegati con i corrispondenti nomi astratti in -ia: afas(ia)ico, anarch(ia)ico, cardiopatia)ico,
metallurg(ia)ico, monarch(ia)ico, schizofren(ia)ico o in -ismo: astigmatismo)ico, dogmat(ismo)ico,
ermet(ismo)ico, pragmatismo)ico. Altre formazioni sono di derivazione latina o greca, e quindi senza
base riconoscibile (domestico) o con base modificata (olimpionico). Designano categorie professio-
nali i derivati (preferibilmente al plurale) telefonici e postelegrafonici. In asmatico, cattedratico e
scismatico è invece possibile riconoscere il suffisso -atico, anch'esso preferibilmente aggettivale. Il
procedimento esemplificato da formazioni quali alluvionato, fortunato, infartato (o infartuato), tito-
lato ecc. ha quasi certamente relazione con il procedimento che forma derivati deverbali da participio
passato (del tipo avvinazzato, drogato, per i quali cfr. 5.1.3.2.5.), da cui probabilmente deriva. Dun-
que il suffisso participiale -aio può assumere anche basi nominali, e in questi casi non sembra ipotiz-
zabile un «passaggio» attraverso verbi virtuali quali *fortunare o *infartare, che la sensibilità lingui-
stica dei parlanti respinge con decisione. Si tratta di un procedimento che già il latino conosceva per
formare aggettivi che indicavano persone provviste di qualcosa (Tekavöic 19802, 71, ricorda barba-
1
Così si spiega anche l'interfisso -ot- di ortolano e portolano, derivante dal suffisso diminutivo
latino '-ulus.
5.1. Derivazione nominale 217
tus, hastatus), mentre dal DISC sono date come prestiti dal latino formazioni ben motivate e traspa-
renti anche in italiano quali letterato o porporato. Segnaliamo inoltre la piccola serie di formazioni
denominali con doppio procedimento derivativo, prefissale (con s- privativo) e suffissale, rappresen-
tata da sfacciato, sfaticato, sfigato (cfr. Cortelazzo 1998), sfortunato, sfrontato, spudorato, squattri-
nato, svantaggiato, sventurato (cfr. 4.3.1.)· Infine, è degno di nota che molti neologismi registrati dai
DPN ricorrano proprio a questo procedimento, il quale dunque si mostra dotato di una sua facile
adattabilità ad esprimere svariati tipi di soggetti umani: tra gli altri capodannato "chi ha un'esagerata
concezione dell'importanza della notte di Capodanno, chi in quella notte si sente obbligato a divertirsi
a ogni costo" (F, 113), sfamigliato e disfamigliato "chi vive da solo" (entrambi in CC), indúltate
"persona che ha beneficiato di un indulto" (BC), talentato "persona dotata di talento" (BC), tangen-
tato "coinvolto in una vicenda di tangenti" (BC) e, infine, con uscita femminile, visonata "donna
avvolta in una pelliccia di visone, o che indossa spesso pellicce di visone" (F, 203).1 Di lontana origi-
ne germanica, il suffisso -ardo, che conta un corrispondente -ard anche in francese, forma soprattutto
aggettivi di significato negativo (Tekavòié 1980 , 78-79), che possono subire processi di nominaliz-
zazione e diventare nomi di agente caratterizzanti. Alcune formazioni, entrate in italiano dal francese,
non hanno una base riconoscibile: così è ad esempio per bastardo, begardo, codardo, goliardo, ve-
gliardo. Più trasparenti le formazioni autoctone: bugiardo, dinamitardo, maliardo, testardo, vec-
chiardo, e il recentissimo complottardo (F, 119). Pochi e tutti di origine greca i derivati in -euta:
coreuta (che ha un corrispondente più italiano in corista), ermeneuta, terapeuta. Da segnalare la
grande fortuna di quest'ultima formazione in composti quali bioterapeuta, chiroterapeuta, pranotera-
peuta, psicoterapeuta e così via. Anche i derivati in -asta sono tutti di origine greca: chiliasta, ginna-
sta, iconoclasta, orgiasta, scoliasta, anche se qualcuno è penetrato in italiano attraverso la mediazio-
ne del francese, come è accaduto per pederasta e, forse, cineasta. Dalla preponderante funzione etni-
ca, il suffisso -ota ha dato origine, prima in greco, poi in latino, a qualche nome di agente caratteriz-
zante che poi la nostra lingua ha ereditato, senza che però il procedimento sia mai diventato produtti-
vo in italiano: tra questi lontani prestiti ricordiamo compatriota, idiota, ilota, patriota, pilota, stratio-
ta, zelota. Nonostante sia soprattutto un suffisso etnico, -igiano ha dato luogo ad una piccola serie di
parole, con base rappresentata da un nome comune di ambito geografico, parafrasigli con "persona
che abita in", come alpigiano, borghigiano, colligiano, pianigiano, valligiano. Non appartengono a
questa serie rocchigiano e torrigiano, in cui l'abitante si identifica con il guardiano, rispettivamente
della rocca e della torre, e artigiano, cortigiano e partigiano, dal significato meno facilmente preve-
dibile. Il suffisso -età compare in alcune formazioni di derivazione greca, a volte mediate dal latino,
ad esempio atleta. Hanno questa origine parole come analfabeta, anacoreta, apologeta, asceta, auleta
"suonatore di aulòs", geodeta "studioso di geodesia", profeta. Su modello di atleta tuttavia si è for-
mata una piccola serie autoctona, vale a dire nomi che designano atleti di alcune specialità sportive:
da maratona, maratoneta, da decathlon, decatl(on)eta con o senza caduta di -on-; seguono questo
stesso schema biatl(on)eta, eptatl(on)eta, pentatl(on)eta, triatl(on)eta. In ambito sportivo il suffisso
ha dunque una sua qualche vitalità, se i DPN segnalano anche karateta (CC) e il più ironico marado-
neta (dal giocatore di calcio Maradona, BC). A queste formazioni bisognerà infine aggiungere apolo-
geta, esegeta e omileta "autore di omelie", che potrebbero essere delle retroformazioni dagli aggettivi
corrispondenti apologetico, esegetico e omiletico, tutti di più antica attestazione. Segnaliamo un caso
di formazione analogica interessante: su mezzadro, adattamento dal latino volgare avente il significato
di "chi coltiva un podere altrui secondo il contratto di mezzadria", è stato coniato ed è attestato a
partire dal 1961 terzadro "lavoratore di un fondo altrui avente diritto ad un terzo del prodotto ricava-
to". La formazione mostra che, ove i rapporti di lavoro nei terreni agricoli lo rendessero necessario,
-adro è pronto a svolgere la funzione di suffisso in grado di formare nuove parole aventi un signifi-
cato agentivo abbastanza facilmente prevedibile. Normalmente considerato un suffisso diminutivo,
-otto ha dato luogo a pochi nomi di agente classificanti dal significato chiaramente non alterativo:
arsenalotto "operaio dell'arsenale", camerotto "sulle navi mercantili, membro del personale addetto
al servizio di camera del capitano e degli ufficiali", gabellotto "gabelliere", galeotto, poliziotto e il
I nomi in -uto (cornuto, linguacciuto, occhialuto, zazzeruto, basettuto "chi ha lunghe e folte ba-
sette" (Q) ecc.) sono tutti delle conversioni a partire dai rispettivi aggettivi (non abbiamo trovato
formazioni sicuramente denominali in -ito).
218 5. Suffissazione
recentissimo celerotto (Q). Esprimono invece appartenenza paolotto "frate dell'ordine dei Minimi
fondato da san Francesco di Paola" (ma questo termine ha subito anche una evoluzione negativa nel
senso di "clericale, bigotto, conservatore") e il recente figgicciotto (a. 1982) "iscritto alla Federazione
giovanile comunista". Anche altri procedimenti alterativi (oltre ovviamente a quelli dei quali abbiamo
già parlato) hanno dato origine a nomi di agente, spesso slittati da originari significati diminutivi o
accrescitivo-spregiativi, nomi che risultano dunque per lo più «segnati» dalla connotazione, positiva o
negativa, del suffisso selezionato. Non è qui il caso di riaprire questioni delle quali abbiamo già par-
lato, sia pure a proposito di altri suffissi, come ad esempio il tipo di rapporto che in questi casi è lecito
ipotizzare tra procedimento alterativo e procedimento derivativo (cfr. in proposito 5.1.1.1.8.). Vale
solo la pena di ricordare quanto sia importante, in tutto il settore dei procedimenti valutativi «prestati»
ad altri esiti, il ruolo svolto dalla metafora, che consente di trasferire parole da un ambito all'altro,
sulla base di accostamenti che possono essere i più vari, suggeriti ora dalla natura, ora dalla cultura e
dalla storia. Ci limitiamo dunque a fornire qualche esempio per ogni procedimento, scegliendo so-
prattutto tra le formazioni autoctone: damigella, farinello, femminello, fortunello, fraticello, modella e
modello, pivello, santerello, saputello, sbarbatello, spiritello, zitella', capetto, chierichetto, conigliet-
ta, donnetta, ducetto, marinaretto, ninfetta, reginetta, romoletto; boccaccia, bravaccio, cervellaccio,
donnaccia, geniaccio, linguaccia, maschiaccio, pagliaccio, pellaccia. Quello che accomuna tutte
queste formazioni è il fatto che, al di là del nome di base che può avere o non avere il tratto
'+umano\ esse designano persone dotate di certe caratteristiche più o meno positive, le quali hanno a
che fare raramente con professioni, più spesso con modi di essere e comportamenti abituali.
Infine, segnaliamo i numerosi casi in cui i nomi di agente si limitano ad esibire un morfema
grammaticale di genere maschile rispetto ai corrispondenti nomi al femminile che designano la disci-
plina o il settore di attività in cui tali agenti sono coinvolti (cfr. 7.2.1.2.): parliamo di astroflsico/-a,
biochimicoAa, botanicoAa, fisicoAa, grammaticoAa, idraulicoAa, informaticoAa, meccanicoAa,
otticoAa, politicoAa, tecnicoAa ecc. E difficile, in questo caso, individuare la direzione della deriva-
zione, anche perché si tratta spesso di prestiti dal latino e/o dal greco. E tuttavia, un termine recente
come informatico sembra indicare una derivazione dal nome della disciplina (attestato già nel 1968)
al nome dell'agente (a. 1972): ma è decisamente troppo poco per trarre generalizzazioni di qualche
tipo.
Mozione è un termine non utilizzato in lavori di linguistica italiana (benché ne faccia occa-
sionalmente uso Migliorini 1948). Si tratta dell'adattamento di un termine corrente nella
linguistica tedescofona (Motion o Movierung, cfr. almeno Doleschal 1990, 1992), attual-
mente usato per riferirsi a tutti i processi di formazione di parole usati per derivare sostanti-
vi designanti esseri umani o animati di un certo sesso a partire dal nome che designa un
essere della stessa specie o funzione ma di sesso opposto. L'adozione di questo termine è
necessaria per colmare una lacuna nel metalinguaggio della linguistica italiana. Nelle
grammatiche italiane la mozione è trattata in paragrafi di solito intitolati «Formazione del
femminile»: questa scelta rispecchia il fatto pragmatico che la maggior parte dei casi di
mozione riguarda la formazione di nomi usati per designare esseri di sesso femminile a
partire da corrispondenti maschili, ma oscura il fatto che esiste anche il processo comple-
mentare, cioè la formazione di nomi usati per designare esseri di sesso maschile a partire da
un corrispondente femminile (cfr. 5.1.1.1.12.1.).
Prima di passare alla descrizione dei diversi tipi di mozione esistenti in italiano, è neces-
saria un'ulteriore premessa teorica e terminologica. Bisogna distinguere tra genere, inteso
come tratto sintattico specificato nelle entrate lessicali dei nomi italiani, che governa
l'accordo di modificatori e predicati, e sesso, inteso come tratto del significato e/o caratteri-
stica del referente di un nome. Ad esempio, madre è un nome di genere femminile e il tratto
5.1. Derivazione nominale 219
'femmina' è una componente ineliminabile del significato della parola; vittima è invece un
nome di genere femminile (la vittima vs *il vittima) che può essere usato per riferirsi a
individui di qualunque sesso: in questa parola quindi non c'è un tratto di significato che
specifichi il sesso dei referenti possibili.
In italiano si distinguono due generi, maschile e femminile. Nei nomi di inanimati, il ge-
nere non ha solitamente alcuna relazione con il significato: parole che designano oggetti
referenzialmente molto vicini, come per esempio il cucchiaio e la forchetta, possono avere
generi diversi. Nel caso di esseri umani, e di animali culturalmente vicini all'umanità, c'è
una forte tendenza a utilizzare nomi di genere maschile per riferirsi ad individui di sesso
maschile, e nomi di genere femminile per riferirsi ad individui di sesso femminile: così
abbiamo il padre vs la madre, il toro e il bue vs la mucca ecc. Questa tendenza non è però
senza eccezioni. La non congruenza tra genere di una parola e sesso del suo referente si ha
in diversi casi di parole che designano ruoli o professioni: come già detto, una vittima può
essere anche un uomo; una guardia e una sentinella sono tipicamente uomini, e un soprano
è tipicamente una donna; inoltre, è possibile riferirsi a donne che svolgono determinati ruoli
utilizzando nomi d'agente maschili, come documentano le citazioni seguenti, provenienti
da una ricerca effettuata sulla stampa italiana degli anni Ottanta da Sabatini 1987: Marisa
Bellisario è l'amministratore unico dell'Italtel (Il Messaggero); il segretario nazionale
della FNSI Miriam Mafai (Il Messaggero); la dottoressa Ianiello, il magistrato che si occu-
pa del caso (Il Messaggero); presenti il ministro [Franca] Falcucci, il senatore PCI Ersilia
Salvato, il preside Amalia... (Il Mattino); Elisabetta Gardini, inviato speciale (Il Messagge-
ro).
Per molti animali, un nome di un determinato genere si usa indifferentemente per indivi-
dui di entrambi i sessi («nomi epiceni»): quando diciamo che in un safari abbiamo visto
giraffe e coccodrilli, probabilmente abbiamo visto individui dell'uno e dell'altro sesso, ma
ci siamo riferiti con un nome di genere femminile anche ai maschi di giraffa, e con uno di
genere maschile anche alle femmine di coccodrillo.
Si ha mozione quando i parlanti ritengono utile, o addirittura necessario, o quantomeno
auspicabile, istituire una corrispondenza tra genere di un nome e sesso del suo referente. Il
ricorso ai diversi procedimenti di mozione è evidentemente negli ultimi decenni una conse-
guenza del fatto che molte attività un tempo tipicamente maschili sono oggi svolte anche da
donne (e, in misura certo minore, anche viceversa).
Nel vocabolario di base dell'italiano (De Mauro 1980, 1991 11 ), gli effetti della mozione, cioè la pre-
senza di coppie di nomi indicanti individui dei due sessi che appartengono alla stessa specie e/o che
svolgono la stessa funzione, si osservano nel 60,5% dei nomi animati: in particolare, hanno un nome
derivato per mozione il 69,2% dei nomi indicanti esseri umani, e il 14,5% dei nomi indicanti animali
(dati elaborati da Di Domenico 1997 a partire da BDVDB (Thornton / Iacobini / Burani 1994)). In
questi calcoli non rientrano quei nomi di animati che designano individui dei due sessi di una stessa
specie o funzione tramite parole con radici diverse («nomi indipendenti» secondo Serianni 1989a,
cap. III, § 74), come padre / madre, bue e toro / mucca. La formazione di questo tipo di coppie non è
ovviamente produttiva, e non rientra quindi tra i procedimenti di mozione che esamineremo.
In questo capitolo illustreremo i diversi mezzi utilizzati in italiano per derivare nomi per
mozione. Ricorderemo inoltre anche i rari casi di formazione di nomi di animati con refe-
renza sessuale definita a partire da nomi di inanimati, e i rarissimi casi di cambio di genere
in nomi di inanimati appartenenti a campi semantici legati in qualche modo alla sfera della
220 5. Suffissazione
sessualità. Non tratteremo invece il caso di coppie di nomi di inanimati con diverso genere,
come i tipi melo / mela, buco / buca, che non rientrano nel campo della mozione (questi tipi
sono illustrati normalmente nelle grammatiche dell'italiano: cfr. Serianni 1989a, cap. III, §§
31-42; Brunet 1982, 17-37; cfr. anche 7.2.1.3.).
Illustreremo dapprima i diversi procedimenti di mozione possibili nel sistema della lin-
gua italiana contemporanea, rimandando a un paragrafo conclusivo (5.1.1.1.12.10.) la di-
scussione sui fattori che regolano l'uso delle diverse formazioni e neoformazioni.
Questo tipo può essere analizzato come una conversione di radice, con assegnazione del
risultato della conversione alla classe di flessione prototipica per ciascun genere, cioè alla
classe in -o/-i per i maschili e alla classe in -al-e per i femminili (cfr. Thornton 2001). Il
tipo è ben rappresentato nel lessico comune da coppie come ragazzo / ragazza, amico /
amica, gatto / gatta, ed è il tipo di mozione più produttivo nell'italiano contemporaneo.
Oltre ad essere usato per la formazione di nuovi nomi d'agente femminili come quelli elen-
cati in (1), è usato anche per formare all'occorrenza i femminili di nomi di animali solita-
mente usati come epiceni, come nei dati elencati in (2), e per formare nomi d'agente ma-
schili a partire da femminili, come quelli in (3).
Per formare il maschile da nomi di animali epiceni di genere femminile la tecnica sembra
usata soprattutto quando il nome di animale è usato in senso metaforico con riferimento a
un essere umano di sesso maschile: una ricerca in Internet mi ha permesso di reperire atte-
stazioni di civetto, cicogne (autodefinizione di un ginecologo), e giovane marmotto (nel
titolo di una storia con protagonista Paperino). In contesti umoristici è possibile però anche
la formazione di maschili non metaforici, come nel seguente esempio reperito in un sito che
raccoglie barzellette sugli animali: «il rano disse alla rana: andiamo a fare un girino». Un
femminile di cui ho trovato attestazione solo in senso metaforico è ghira "ragazza che dor-
me molto".
La tecnica del cambio di classe flessiva è inoltre utilizzata anche per la formazione di nomi di umani
di genere definito a partire da nomi di inanimati, come quelli in (4):
5.1. Derivazione nominale 221
Questo tipo è in parte analogo al precedente, nel senso che l'assegnazione alla classe di
flessione in -a/-e è sfruttata come segno della mozione, ma a partire da nomi maschili in -e.
Qui la mozione si ha però solo nella direzione maschile —> femminile, non nella direzione
opposta (a partire da un femminile in -a, il risultato della mozione è sempre un maschile in
-ol-i, come si è detto in 5.1.1.1.12.1.). Si hanno femminili in -a da maschili in -e di tre cate-
gorie: (a) nomi in -iere; (b) nomi in -one, sia deverbali (accattone, arraffone ecc.) sia de-
nominali (amicone, barbone ecc.); (c) alcuni nomi in -tore, -sore o -ore (pastore, tintore,
assessore, controllore, priore ecc.). Inoltre, ha il femminile in -a lessicalizzato marchese,
mentre gli altri titoli nobiliari hanno normalmente il femminile in -essa (cfr. 5.1.1.1.12.6.).
Probabilmente la formazione di *marchesessa è stata evitata perché avrebbe creato un
contesto di applicazione di aplologia. 2
Si tende a formare femminili in -a anche da nomi di inanimati o di animali in -e usati
metaforicamente con riferimento a umani (ho udito in parlato spontaneo cogliona, salama,
verma); da nomi di animali in -e si ha anche qualche femminile in -a con il senso di "fem-
mina della specie": maiala, cappona (e anche bua, attestato in un gioco di parole basato
sulle due possibili interpretazioni di bua come "dolore fisico" e come "femmina del bue").
1
I nomi inanimati usati metaforicamente per designare umani si comportano in modi vari rispetto
alla mozione. Alcuni (tipo, stronzo) presentano mozione come gli altri nomi di persona; altri pre-
sentano un comportamento variabile, con le mozioni usate solo in registri colloquiali o non-
standard (Maria è membro / *membra del Senato accademico, ma più facilmente La professoressa
Rossi è membra intema nella commissione di maturità; Maria è capo / *capa del progetto, ma
colloquialmente Maria è la mia capa); altri ancora non presentano affatto mozione (Piero è una
mia vecchia fiamma / *un mio vecchio fiammo, Madonna è stata un idolo / *un 'idola dei giovani).
2
Si osservi che marchese non è trattato come nome di genere comune, diversamente da quanto
accade per gli etnici in -ese e per borghese. Secondo Ursula Doleschal (comunicazione personale)
ciò è dovuto al fatto che solo marchese, tra i vocaboli in -ese, non è anche un aggettivo.
222 5. Suffissazione
La grammatica tradizionale riconosce una categoria di nomi detti di genere comune, che
presentano la stessa forma (almeno nel singolare) sia per il maschile che per il femminile,
ma si comportano diversamente per quanto riguarda l'accordo.
Si noti che questa classe di flessione comprende nomi maschili e nomi femminili in proporzione
praticamente uguale nel vocabolario di base, cfr. Thornton / Iacobini / Burani 19972, 79.
5.1. Derivazione nominale 223
via, un nome d'agente femminile in -trice appare possibile, al limite come occasionalismo,
ogni volta che la semantica del verbo base permette la formazione di un nome d'agente
maschile in -tore·, ad esempio smistatrice, vendemmiatrice, cardatrice, doppiatrice, inta-
gliatrice, legatrice, tutti registrati dal DISC come nomi di macchine creati nel XX secolo,
mi appaiono interpretabili anche come nomi di agenti femminili. In un sito dedicato alla
formazione professionale femminile ho trovato elencate le seguenti professioni: coltivatrice
diretta, allevatrice zootecnica, viticoltrice, acquacoltrice, floricoltrice, agricoltrice, opera-
trice ambientale e operatrice ecologica, vérificatrice ambientale.
-essa è in forte concorrenza con altri procedimenti, come si dirà in 5.1.1.1.12.10. Tra i nomi
d'agente in -essa che indicano donne che svolgono determinate professioni o ruoli sono
piuttosto saldi nell'uso dottoressa, professoressa, studentessa, campionessa, poetessa.
Le basi delle mozioni in -essa sono in prevalenza maschili in -e; in qualche caso si sono
formati femminili in -essa da maschili in -tore (procuratessa "moglie di un procuratore di
San Marco nella repubblica di Venezia" (con una perdita di -or- non chiara, definita dal
DISC aplologia; cfr. però anche procuratia), fattoressa, dottoressa) o in -iere (cavalieres-
sa), che normalmente subiscono altri tipi di mozione (cfr. 5.1.1.1.12.2. e 5.1.1.1.12.4.);
alcune formazioni anche da maschili in -nte: brigantessa, mercantessa, gigantessa, presi-
dentessa. Sono in -essa anche i femminili da alcuni maschili in -a: papessa, poetessa, pro-
fetessa, oltre che duchessa. Da maschili in -o i femminili in -essa sono assai meno numero-
si, e nettamente più esposti alla concorrenza di altri procedimenti.1
La formazione di femminili in -essa non è molto produttiva (cfr. anche Cortelazzo
1995): il DISC lemmatizza solo sei formazioni del XIX secolo (generalessa, viscontessa
(ma contessa esiste dal XII secolo), patronessa, capponessa, satrapessa, sindachessa) e tre
del XX, tutte attestate già nella prima metà del secolo: ministressa (a. 1939), ufficialessa (a.
1940) e brigantessa (a. 1950). Tuttavia si hanno alcune formazioni recenti non registrate
dal DISC (avvocatessa, deputatessa), qualche occasionalismo (architettessa) e qualche
coniazione infantile («Ma io non lo sapevo che tu eri una fulminessa!» [cioè donna veloce
come un fulmine] (Marco S., 3 anni, 8 mesi e 25 giorni)).
Tra fine Ottocento e prima metà del Novecento i femminili in -essa sono stati creati soprattutto da
autori di sesso maschile e utilizzati in contesti in cui è evidente una valutazione spregiativa delle
donne designate. Se ne ha prova leggendo alcuni dei contesti citati nel GDLI per esemplificare le voci
di conio più recente: «La borghesia mostra [...] di promuovere la poesia nazionale come la coltura
della barbabietola e la pollicoltura; e voi non vi credete in obbligo di comporre madrigali a ogni sua
voglia, empire gli albi di tutte le Maintenon ministresse in ritiro, di tutte le Pompadour generalesse in
attività?» (Carducci, in un brano citato sotto entrambe le voci); «infino le donnicciuole e vecchierelle
voglion fare da medichesse; e quasi che elle sieno le satrapesse dell'arte...» (A.F. Bertini, citato s.v.
satrapessa). La connotazione spregiativa della maggior parte delle formazioni in -essa permane anche
nell'italiano contemporaneo, come vedremo in 5.1.1.1.12.10.
1
Doleschal 1990, 246 nota: «Systematisch ausgenommen von der Movierung durch -essa sind die
mit -ai-o, -ari-o, -aiol-o, -an-o, -es-e, -ier-e, -in-o, -ist-a, -on-e suffigierten Maskulina».
5. J. Derivazione nominale 225
5.2.1.) con sostantivazione dell'aggettivo. La mozione tramite -ina non è un processo produttivo,
mentre la formazione di nomi di mestieri o professioni tipicamente femminili con -ina ha avuto una
minima produttività nel XX secolo (mondina è datato al 1908,filandina al 1942).
5.1.1.1.12.8.1 tipi donna poliziotto, mamma porcospino, ministro donna, volpe maschio AMT
Un altro procedimento utilizzato per la mozione è di tipo non derivazionale ma compositi-
vo: si creano composti che hanno come testa un nome dalla referenza sessuale definita e
come modificatore un nome di professione o di animale epiceno, o viceversa. In ogni caso
la testa è flessa e il modificatore rimane invariato.
Nel caso che la referenza sessuale definita sia nel nome testa, i nomi più usati sono don-
na per i nomi di professione (donna ministro, donna poliziotto, donna manager, donna
magistrato, donna sacerdote ecc. (Sabatini 1987, 54-55)) e nomi di ruoli di parentela nelle
fiabe con protagonisti animali: uno spoglio parziale di Piccoli racconti di animali nel mon-
do (testi di Pierangela Fiorani, Milano, Dami, 1998) mi ha permesso di reperire attestazioni
di mamma cinghiale, nonno marmotta, mamma camoscio, mamma porcospino.
Quando il nome con referenza sessuale definita è il modificatore, la scelta si riduce a
donna per i nomi d'agente (candidato donna, magistrato donna (Sabatini 1987, 54-55)) e a
maschio e femmina per la mozione di nomi di animali epiceni.1
Per i nomi di animali, infine, la designazione di referenti di cui è esplicitato il sesso può
avvenire anche tramite sintagmi del tipo una femmina di camoscio, che esulano dal dominio
della formazione delle parole.
L'uso di uomo per formare mozioni al maschile è molto più raro: alcuni informanti hanno proposto
la forma baby sitter uomo, e Paolo D'Achille mi ha segnalato di aver udito una maschera uomo
(nel senso di "uomo che accompagna gli spettatori al proprio posto al cinema o al teatro").
2
Non è chiaro se sia possibile anche un tipo la deputato. Questo tipo è brevemente discusso da
Cardinaletti / Giusti 1991, 181, che mettono in rilievo le difficoltà di flessione al plurale e di ac-
cordo cui darebbe luogo, citando esempi come *le ministri / "le ministro, *ministri impegnate. Il
tipo (nome d'agente maschile con modificatoli accordati al femminile) non è attestato nell'ac-
curata raccolta di dati presentata in Sabatini 1987. Un caso vicino è rappresentato da la soprano, in
226 5. Suffissazione
cui soprano, nome originariamente maschile, viene accordato al femminile in quanto tale ruolo è
oggi svolto esclusivamente da donne. La soprano va analizzato come una conversione di parola,
con cambio di classe di flessione: mentre il soprano ha come plurale i soprani, la soprano ha come
plurale le soprano, cioè è invariabile come gli altri femminili in -o, esclusa mano (cfr. le foto, le
biro).
1
Le Raccomandazioni sono state recensite e discusse da alcune linguiste e linguisti: cfr. Lepschy
1987a, 1989, Cardinaletti / Giusti 1991.
5.1. Derivazione nominale 227
(7) E così un ministro della Repubblica si è prodotto in un impetuoso lancio del microfono, sia
pure isolato, contro una parlamentare dell'opposizione, mentre una deputata al Parlamento
ha assestato un calcio sulle ginocchia, sia pure repentino, a un membro del governo. (La
Repubblica, 31-1-2001)
Si noti che nel testo (7) le protagoniste sono solo due, e entrambe donne: Alessandra Mus-
solini, definita una parlamentare dell'opposizione e una deputata al Parlamento, e Katia
Bellillo, definita un ministro della Repubblica e un membro del governo. Un lettore che
ignori la situazione cui il testo si riferisce, tuttavia, sarebbe portato a interpretarlo come il
resoconto di due diversi scontri tra politici, e ciascuno tra due persone di sesso diverso.
In generale nella stampa si usano le mozioni al femminile di nomi di cariche e professio-
ni quando il contesto presenta un sia pur minimo legame con la sessualità, e si preferiscono
le designazioni al maschile in contesti neutri o nei quali una donna svolge azioni ritenute
tipicamente maschili: una ricerca da me effettuata sul sito de La Repubblica ha mostrato
che Katia Bellillo, Ministro delle Pari Opportunità del secondo governo Amato, è stata
definita il ministro in articoli che riferiscono che ha prestato giuramento, ha votato contro
un provvedimento, ha aderito a un appello, ha manifestato la sua solidarietà, ha rilasciato
una dichiarazione, e anche quando ha lanciato un microfono e quando si è fatta promotrice
della campagna «le donne sul ring», ma ministra quando ha ribattuto alle obiezioni dei
farmacisti sulla «pillola del giorno dopo». Anche ministressa appare solo con connotazione
negativa, confermando il valore spregiativo delle formazioni in -essa, come è evidente dalle
due citazioni seguenti:
(8) Ministro può diventare ministra, con quella pessima assonanza casereccia che si porta dietro
o peggio ancora ministressa. (Guido Martinotti, Internet, 25-3-1999)
(9) Ma il direttore di una mostra italiana del cinema come Venezia, non può non dare nulla.
Non può fingere che il cinema italiano non esista, davanti alle tv produttrici, a Cinecittà in
versione Gillo Pontecorvo, alla ministressa Giovanna Melandri che già prepara discorso e
valigie. (Marco Giusti, L'Espresso, 26-08-1999)
Sulla vicinanza concettuale delle categorie «agente» e «strumento» hanno scritto in molti
(Booij 1986, Dressier 1986, Schlesinger 1989, Bisetto 1995), ed è stato spesso notato come
la stretta affinità tra le due categorie trovi una conferma nel fatto che lo stesso processo di
formazione di parole è usato per ambedue in varie lingue. Anche in italiano, come vedremo,
i procedimenti derivativi che consentono di formare nomi di agente e di strumento sono
spesso gli stessi, fenomeno, questo, che può essere visto come il risultato di una sorta di
slittamento semantico, favorito a dismisura dalla moderna società industriale, che sempre
più spesso affida a strumenti e macchine, spesso dotate di un alto grado di automatismo, le
mansioni che un tempo venivano svolte dall'uomo. Dunque non ci meraviglieremo se lo
stesso derivato designa oggi sia l'agente umano che lo strumento deputato allo svolgimento
di una certa funzione.
Più in particolare, con «nome di strumento» si intende di solito riferirsi a denominazioni,
morfologicamente motivate, relative ad apparecchi e dispositivi la cui funzione sia chiara-
mente individuabile e connessa con il nome di base, e il cui funzionamento sia abituale e
228 5. Suffissazione
più o meno automatico ma non intenzionale: normalmente si tratta di «oggetti» dotati di una
qualche complessità, spesso forniti di meccanismi interni che li pongono in grado di fun-
zionare grazie all'apporto di energia esterna, sia essa l'elettricità, il calore o altro. Da questo
significato diciamo così «dinamico» si è poi sviluppato un significato più «statico», che
ritroviamo in oggetti e utensili di uso quotidiano, la cui funzione è abbastanza chiaramente
«data» dal nome di base, ma il cui funzionamento è una diretta conseguenza della manipo-
lazione umana, e che non sarebbero quindi in alcun modo in grado di funzionare in modo
autonomo. Si tratta per lo più di oggetti con cui si eseguono operazioni più o meno semplici
nella vita quotidiana o nelle diverse attività lavorative.
Più in particolare, le classi di oggetti che sono state fatte rientrare in questa categoria so-
no (andando da quelli che consideriamo gli strumenti prototipici fino a scendere ai casi più
dubbi, spesso in bilico tra categorie diverse): le macchine più o meno complesse che rendo-
no possibili le molte operazioni previste dalla tecnica allo scopo di soddisfare le esigenze
sempre più sofisticate della moderna società industriale; i mezzi di locomozione, dai più
semplici ai più complessi; le armi e le armature, i piccoli e i grandi attrezzi del lavoro arti-
giano, gli utensili della casa e del lavoro domestico fino a comprendere anche singoli pezzi
degli oggetti più complessi sopra menzionati, le leve, gli anelli, i ganci, i chiodi, le vele, gli
elementi di raccordo e di giunzione e tutto ciò che mette gli strumenti di cui sopra in grado
di funzionare. Inoltre è stata compresa in questa categoria anche la sottocategoria delle
sostanze, per lo più composti chimici di fabbricazione umana, creati proprio allo scopo di
ovviare ad un disagio, prevenire o risolvere un problema, fungere insomma da «strumento»
perché una qualche specifica funzione venga svolta o un processo naturale ma indesiderato
venga bloccato (questo esito è tuttavia molto più frequente, per non dire esclusivo, con i
derivati deverbali, su cui cfr. 5.1.3.3.). Infine, abbiamo dilatato la categoria fino a compren-
dere i contenitori di varia natura, dunque ad esempio i mobili e parti di essi adibite a certe
specifiche funzioni, e gli oggetti del vestiario e dell'abbigliamento, intesi, anch'essi, come
strumenti ideati e usati allo scopo di coprire, proteggere, adornare parti del corpo.
Per comprendere tutte queste diverse «entità» nella categoria dei nomi di strumento, fa-
remo nostra la definizione che ne dà Grossmann come di quelle «entità inanimate, cause
indirette e non intenzionali di un evento la cui funzione potenziale è quella di servire abi-
tualmente alla realizzazione di un'azione» (1998, 387). Il tipo particolare di questa azione
non è desumibile linguisticamente dal nome di base: il che, lo abbiamo già detto, vale per
tutti i derivati denominali. Sono infatti soprattutto le attività, i bisogni, le abitudini di vita, i
modelli culturali delle comunità che li hanno coniati e che li usano a condizionare, in modo
spesso imprevedibile, l'uscita semantica dei nomi di strumento che ci accingiamo a descri-
vere.
Quasi tutti i suffissi italiani derivati dal latino -arius hanno, oltre all'uscita agenti va, anche
altre uscite semantiche, tra cui appunto quella stumentale. L'uscita femminile del suffisso
-iere, vale a dire -¿era, è tuttavia l'unico esito di -arius a interessare in modo consistente il
settore della formazione dei nomi di strumento. Analogamente a quanto si registra per i
deverbali, dove la coppia -toreAtrice ha sviluppato preferenze che si sono via via sempre
più accentuate, servendo -tore a formare soprattutto nomi di agente da verbi, -trice nomi di
strumento, anche tra i denominali per la coppia -iereZ-iera si registra una sorta di divisione
5.1. Derivazione nominale 229
Anche l'esito maschile del suffisso, -iere, che, come abbiamo già visto in 5.1.1.1.4., dà in uscita
fondamentalmente nomi di agente, ha dato vita a qualche formazione di tipo strumentale come bom-
bardiere, lucerniere, torciere, pallottoliere o i più recenti carotiere "parte della sonda che preleva
campioni" (a. 1955) e bastiere "asta di legno o di metallo che si inserisce in senso trasversale tra le
bastie per tenerle separate" (a. 1937). Si tratta in tutto di poco più di una decina di parole, se esclu-
diamo quelle (poche anch'esse) che oscillano tra un significato strumentale e un significato locativo
(braciere, incensiere), tra un significato strumentale, uno locativo ed uno collettivo (medagliere,
monetiere), o le formazioni di origine francese. Parole infatti come candeliere o bilanciere, pur pre-
sentandosi come ben motivate anche in italiano, sono in realtà di origine francese, coerentemente con
la storia già vista della diffusione di -iere in Italia (cfr. in proposito 5.1.1.1.4.).
Tipo originariamente aggettivale (su cui cfr. anche 5.1.1.6.7.), presenta in italiano poche e non molto
significative serie di formazioni nominalizzate di tipo strumentale, il cui comune denominatore è
costituito da un generico rapporto di relazione (erede diretto della funzione aggettivale) tra parola di
base e derivato in -ale.
Alcune formazioni di origine latina, ben motivate anche in italiano (bracciale, ditale), hanno co-
stituito il modello per formazioni analogiche relative a parti di indumenti o armature, oppure piccoli
oggetti di uso quotidiano atti a proteggere, sostenere, aiutare la funzionalità di quelle specifiche parti
del corpo umano i cui nomi costituiscono la base: così in cosciale, fiancale, gambale, grembiale,
guanciale, manale "guanto di cuoio o di pelle che copre mezza mano, usato da sellai, calzolai ecc. per
far forza tirando uno spago", occhiale, zinale. Rientrano invece nell'ambito dei piccoli oggetti della
casa, mobili o parti di essi, formazioni come orinale, scaffale, schienale, in cui il rapporto tra base e
derivato non è più così univoco.
Altre formazioni di ambito tecnico che designano macchine, armi, veicoli, utensili o parti di essi
sono: barbazzale "nei finimenti del cavallo, catenella che passa sotto la barbozza", bottale "macchina
rotante di forma cilindrica usata nella concia delle pelli", pedale, postale, pugnale, puntale, orec-
chiale "nell'aerofono, ciascuno dei due piccoli amplificatori che si applicano alle orecchie", radiale
"pneumatico", staffale "in una vanga, ferro sporgente del manico in prossimità della lama", tempiale
"organo del telaio al quale si aggancia il tessuto in fase di lavorazione, per esercitare una trazione nel
senso della trama", terminale "parte estrema di un cavo, un condotto, un tubo, un conduttore elettri-
co", vomerale "lama del vomere" ecc. Un altro piccolo gruppo di formazioni designa oggetti e uten-
sili usati nella marineria e nella pesca: grippiale, setole, staminale. Si tratta, come si vede, di forma-
zioni di non immediata leggibilità per il parlante comune, data la difficile reperibilità delle parole di
base, appartenenti per lo più a settori particolari del lavoro umano.
Dobbiamo allo studio di Kremer 1996, 65-85 un'attenzione sistematica per la funzione strumentale
svolta da molti suffissi alterativi dell'italiano. Tali suffissi, operando spesso su basi costituite esse
stesse da nomi di utensili, attrezzi e strumenti, hanno consentito di ampliare facilmente la terminolo-
gia tecnica, dando luogo a serie derivative di varia consistenza e produttività. Si tratta ovviamente di
formazioni il cui significato non ha spesso più molto a che vedere con il significato componenziale
indotto o suggerito dal procedimento implicato: così un morsetto non è più, o non è più soltanto, una
"piccola morsa", come un moschettone non è, e non è mai stato, un "grande moschetto".
Passiamo adesso in rassegna i procedimenti alterativi che danno più spesso un esito strumentale.
Terminano in -accio/-accia alcuni nomi di piccoli arnesi ed utensili, o parti di essi: campanaccio,
catenaccio, coltellaccio, ferraccia nel senso di "recipiente di ferro per fondere l'oro", setaccio (con
base non riconoscibile); arredi per armi: pallinaccio, stoppaccio; imbarcazioni ed utensili legati alle
attività della pesca e della marineria: arcaccia, barcaccia, filaccio, forcacelo, pinaccia, velaccio·,
nomi per designare contenitori (dalla base non sempre riconoscibile): bisaccia, borraccia, bottaccio,
5.1. Derivazione nominale 231
matraccio; oggetti di vestiario: camisaccio, spallaccio; e persino una trappola per uccelli notturni,
diavolaccio. L'uscita in -azzo/-azza interessa poche formazioni di tipo strumentale, tra le quali ricor-
diamo bottazzo e frettazze "tavoletta di legno che il muratore usa per stendere e lisciare la malta";
sono più frequenti i derivati strumentali al femminile: gottazza, molazza, puntazza, ramazza, retazza
(o redazza). Anche nel caso di -ello/-ella si possono distinguere vari sottogruppi, tra i quali nomi che
designano utensili e piccoli attrezzi, o parti di essi: cannello, cestello, forcella, fornello, grimaldello,
macinello, martello, navicella, pettinella, portello, presella, puntello, saettella, scalpello, uncinello,
unghiella; imbarcazioni, attrezzi e oggetti legati all'attività della pesca e della marineria: battello,
bilancella, burchiello, canestrello, caravella, frenello, paranzella, vascello', strumenti musicali, o
parti di essi: bassanello, ponticello (con interfisso -ic-), salterello (con interfisso -er-), tamburello,
violoncello (con doppio procedimento derivativo e interfisso -c-: viol-on-c-ello)·, mezzi di trasporto:
carrozzella, padovanella, timonella; contenitori di varia dimensione e funzione: arcella, bacinella,
caratello, cartella, formella, toscanella, vasello', indumenti e oggetti legati all'abbigliamento: borsel-
lo, gabbanella, monacello, tonacella. Anche il suffisso -etto/-etta presenta vari sottogruppi, quali
nomi che designano arnesi e piccoli attrezzi, o parti di essi: cavalletto, cavetto, chiavetta, forchetta,
fometto, lametta, limetta, manichette, martelletto, pompetta, seghetta, uncinetto, vanghetto; armi, o
parti di esse: baionetta (con base irriconoscibile, perché prestito dal francese), bariletto, cingoletta,
doppietta, grilletto, mitraglietta, mortaretto, moschetto, stiletto; imbarcazioni, o parti di esse, e attrez-
zi legati alla vita della marineria: braccetto, casseretto, cavalletta, corvetta, falchetta, fantinetto,
molinetto, poppetta, trinchetto, vaporetto; strumenti musicali, o parti di essi: bassetto, clarinetto,
cornetta, cornetto, fischietto, organetto; veicoli in genere: camionetta, carretto, giardinetta, motoret-
ta; indumenti, monili e oggetti di vestiario: berretto, borsetta, braccialetto, camicetta, calzetta, col-
letto, gambaletto, paglietta, stivaletto, zucchetto; contenitori vari: bauletto, cofanetto, cassetto, casso-
netto, fiaschetta, sacchetta. L'aggiunta del suffisso -ino/-ina provoca svariati esiti, tutti abbastanza
vitali. Designano piccoli attrezzi o parti di essi acciaino, beccastrino (da becco, con doppio procedi-
mento derivativo, nel significato di "zappa a punta stretta per cavare sassi"), bocchino, bronzina,
calderina, cicalino, diamantina, falcino, frustino, gangherino, lampadina, paiolina, palanchino,
sellerina (con interfisso -er-), scovolino, stagnino, tastierino, tronchesina; tra i mezzi di trasporto
troviamo barroccino, calessino, camioncino, carrettino, carrozzina, motorino, pulmino; appartengono
invece al mondo della marineria e della pesca bettolina "chiatta da trasporto", brigantino (da brigante
"veliero a due alberi"), corallina "barca usata nella pesca dei coralli", correntina "tipo di lenza per la
pesca a mano", sandalino, e poi ancora sferzino, tormentino, trinchettina, uccellino, velaccino, verino,
nomi usati per designare tipi diversi di cavi, funi, nodi e vele; sono armi e armature, o parti di esse
ampollino, brigantina, mirino, sergentirta, tromboncino; sono strumenti musicali bombardino, clari-
no, mandolino, ocarina (con interfisso -ar-), ottavino, violino; sono indumenti e calzature particolari,
acconciature o parti di esse: calzino, cappellina, cinesina, collarino, dogalina, farfallino, paperina,
parrucchino, pettinino, schiavina, spallina, vitina; designano vari tipi di contenitori fustino, gemelli-
no, gavettino, padellino, vascellino; e ancora sono da segnalare cavallina "in ginnastica, attrezzo per
il salto e il volteggio", centralina, traversina; accenniamo infine brevemente all'importante capitolo
della derivazione in -ina di nomi indicanti sostanze e composti organici, farmaci, minerali, che am-
montano a qualche decina di parole (per le quali cfr. anche 5.1.3.3.5.): cadaverina, caffeina, cannabi-
na, cicutina, creatina, dentina, digitalina, fibrina, globulina, legumina, metallina, papaverina, sapo-
nina, teina, tubercolina e così via. Il suffisso -olo/-ola s'incontra in vari ambiti, tra i quali segnaliamo
nomi per designare piccoli utensili, o parti di essi: acciaiolo "arnese in acciaio per affilare lame",
calzolo, cazzuola, codolo, falciola, mazzuola, pagliolo, punteruolo (con interfisso -er-), roncola,
roncolo, scovolo; armi, o parti di esse: briccola, calciolo, pallottola; attrezzi e oggetti legati alla pesca
e alla marineria: battagliola, bracciolo, filacciolo, fusolo, pennola, sassola; strumenti musicali, o parti
di essi: mazzuolo, pianola, stagnola; infine, designano mezzi di trasporto campagnola e sediolo, reti
per la cattura di piccoli animali ragnola e vangatola, contenitori bagnolo, bossolo e ceneracciolo (con
doppio procedimento derivativo). Per quanto riguarda -onel-ona, l'uscita femminile del suffisso
registra ben poche formazioni interessanti, e tra queste bissona "barca veneziana a otto remi" (da
bissa "biscia"), mentre le uscite maschili interessano vari ambiti, tra i quali ricordiamo quello degli
attrezzi ed utensili di lavoro, o parti di essi: crivellone, forcone, lanternone, moschettone, padellone,
232 5. Suffissazione
palone, piallone, piccone, scopettone, spazzolone, zappone; le armi e le armature, o parti di essi:
balestrone, bullone, cannone, focone, piastrone, spadone, verrettone, vitone; i mezzi di locomozione,
o parti di essi: alettone, carrozzone, gippone, gommone, portellone, torpedone, vespone, zatterone; gli
oggetti, le vele e gli utensili legati alla vita della marineria: bittone, capone, galeone, muragliene,
pennone, polaccone, pontone, spigone; gli strumenti musicali, o parti di essi: bombardone, calandra-
ne, chitarrone, clarone (che richiama la stessa base, peraltro irriconoscibile, di clarino), mandolone,
sordone, trombone, violone; gli indumenti e gli oggetti per l'acconciatura e l'abbigliamento: bracone,
giaccone, giubbone, maglione, cinturone, sperone, spillone; e ancora contenitori (calderone), sostan-
ze (acetone), strumenti vari, per la cattura degli uccelli (vergane), ad esempio, o per Γ illuminazione
(quadrone). Terminano in -ottoZ-otta alcune formazioni sparse, relative a vari ambiti: ancorotto,
bussolotto, candelotto, ciucciotto, galeotta, lunotto, paliotto, sciampagnotta (da sciampagna) "tipo di
bottiglia adatta per vini spumanti"; è più nutrita la serie di derivati in -otto che designano indumenti:
calzerotto (con interfisso -er-), camiciotto, cappotto, giubbotto, manicotto, panciotto, pellicciotto.
Il ricco repertorio di procedimenti di cui dispone l'italiano in questo settore consente una moltepli-
cità di derivazioni. Questo fa sì che spesso da una stessa base siano derivati più nomi i quali, differen-
ziandosi tra loro grazie ai diversi suffissi, designano strumenti diversi: così l'uncinello è un "gancetto
metallico per allacciare indumenti", mentre l'uncinetto è un "corto ferro da maglia munito a
un'estremità di un uncino, per eseguire a mano particolari lavori"; ugualmente il trombino è nelle navi
a vapore un "piccolo tubo di scarico del vapore proveniente dalle caldaie", la trombetta e il trombone
sono strumenti musicali, il tromboncino è il "tubo di forma svasata applicabile alla parte terminale
della canna del fucile, usato per il lancio delle bombe lacrimogene". Anche il cambio di genere può
assolvere lo stesso scopo: moschetto e moschetta derivano entrambi da mosca, ma il primo termine
designa un tipo di arma da fuoco a canna corta, il secondo la "freccia di piccole dimensioni utilizzata
un tempo nel lancio con la balestra". Lo stesso dicasi per rocchetto e rocchetto, seghetto e seghetta,
roncolo e roncola e per decine di altre coppie del genere.
Alla variazione di genere e di suffisso dobbiamo poi aggiungere la possibilità del cumulo di suffis-
si, che i procedimenti alterativi consentono ampiamente: abbiamo già visto il caso di tromboncino, cui
aggiungeremo alettone, cassettone, filacciolo "lenza di canapa provvista di grosso amo", pallottola,
portellone. Soprattutto la terminologia musicale si è servita abbondantemente di tutte queste possibi-
lità, per designare e distinguere i diversi strumenti: clarino, clarone, clarinetto; mandola, mandolino,
mandolone; tromba, trombetta, trombone; viola, violino, violone, violoncello. Veramente emblemati-
ca è a questo riguardo la lunga serie derivativa cui ha dato origine la parola forca; forcine, forcina,
forcella, forchino, forcellino, forcola, forchetto, forchetta, forcaccio, forcone, forchettone.
Non sempre tuttavia la diversità dei procedimenti è funzionale alla diversità del significato. I casi
di perfetta sinonimia (ad esempio ronchetto e roncolo, ginocchietto e ginocchiello) sono frequenti,
almeno quel tanto che basta ad impedire facili generalizzazioni. Ugualmente si dà il caso che la stessa
base selezioni un procedimento per la sua funzione originaria (diminutiva o accrescitiva), un altro per
la formazione di una nuova parola: è il caso di falcina (dim. di falce) e falcetto, di scopino (dim. di
scopa) e scopino o scopetta, che hanno sviluppato entrambi, oltre al significato diminutivo, anche
significati autonomi parzialmente diversificati (e infatti il DISC li riporta a lemma).
Vorremmo a questo punto segnalare l'importanza del cambio di genere, nel passaggio dalla base al
derivato, come marca grammaticale di avvenuta lessicalizzazione. Normalmente nella derivazione
valutativa si mantiene il genere del nome di base (scopa —• scopino, morsa —» morsetto, pentola —>
pentolino). Il cambio di genere può (attenzione, può non deve necessariamente) essere invece un
segnale del fatto che ci troviamo di fronte a una nuova parola: ad esempio, per restare con gli esempi
appena fatti, il morsetto è, più che una generica "piccola morsa", un attrezzo particolare usato in
falegnameria che "comprime gli elementi di una giunzione per permettere alla colla di fare presa";
ugualmente il pentolino designa, più che una generica "piccola pentola", una "piccola pentola con un
solo manico".
In tutti questi casi si tratta di significati molto vicini all'originario significato diminutivo, su cui
però si sono innestati elementi di maggiore e più netta differenziazione. In altri casi il processo di
distacco è andato più lontano, favorito da estensioni metaforiche del nome di base ad altri ambiti: ad
esempio da padella a padellina "piccola padella" si è giunti al "piattello concavo di cristallo o metallo
5.1. Derivazione nominale 233
che si applica ai candelieri per farvi sgocciolare la cera"; ugualmente da padellone "grande padella" si
è arrivati all'"apparecchio per l'illuminazione, di varia forma e composizione", usato negli allesti-
menti teatrali e cinematografici.
Infine, vorremmo segnalare un fenomeno per certi versi opposto al proliferare di formazioni con
procedimenti diversi: non sono infatti infrequenti, in questo tipo particolare di derivazione, anche i
casi di polisemia. Avviene talvolta che uno stesso derivato possa risultare favorito dal tipo di sugge-
stioni metaforiche che attiva, e venire quindi utilizzato in ambiti e per funzioni diverse. Così da coda,
ad esempio, è derivato codolo, che designa diverse «entità» che richiamano in qualche modo la forma
di una piccola coda: dalla lama di un coltello, a qualunque estremità di un utensile che si incastri in
una parte fissa, dalla parte finale del manico del violino e di altri strumenti a corda, al "cilindro con
alette delle bombe da lancio", alla "estremità anteriore dell'albero a gomiti in un motore alternativo".
Cominciamo da una breve panoramica degli esiti strumentali dei suffissi italiani derivati dal latino
-arius. Ad eccezione di -iera e -iere, già presentati, per tutto questo gruppo di suffissi che, come
abbiamo visto, danno in uscita soprattutto nomi di agente, l'esito strumentale è talmente raro da pote-
re, a nostro modesto parere, essere considerato casuale (come nel caso di datario "timbro per impri-
mere la data", linaio "rete da pesca di lino", lavoriero "impianto di pesca per imprigionare i pesci
durante le migrazioni"); o ereditato direttamente dal latino (mortaio, telaio, lampadario)·, o slittato da,
e commisto a, altri significati (così ad esempio schedario e vocabolario, nomi di strumento, di luogo
e collettivi). Sono da segnalare qui alcune uscite femminili con esito strumentale in -aia (chiodaia,
rotaia, cilindraia, vomeraia) ed in -ara (lupara). Tra queste ultime costituiscono un piccolo ma inte-
ressante sottogruppo le formazioni che, avendo come base un nome che designa un pesce o un mollu-
sco, si riferiscono o al tipo particolare di rete usato per la cattura del pesce stesso (agugliara "tipo di
rete da pesca usata per catturare le aguglie", bogara, palamitara), o a certi particolari attrezzi usati
per la pesca (polpara, totanara, vongolara), mentre tonnara ha sviluppato, oltre al significato di
"impianto fisso di reti verticali, utilizzato per la pesca dei tonni" anche il significato di "nave che ne è
attrezzata". Nomi di strumento ritroviamo anche tra i derivati in -aiolo/-arolo, -aiola/-arola, dove la
presenza di un elemento diminutivo facilita questa particolare uscita semantica: così è ad esempio in
farinaiola "arnese di legno in cui si infarinano i cibi prima della cottura", fusaiolo I fusarolo, gat-
taiola, musarola / museruola, pannarola, pepaiola / peparola nel senso di "macinino per il pepe in
grani", ramatolo, schiumatola / schiumarola, spondarola / sponderuola "tipo di pialla usata in fale-
gnameria per lavorare lungo le sponde", ventarola. Un tratto di significato anche locativo si ritrova in
pennaiolo, ovaiolo e braciaiola, il cui significato è grosso modo "contenitore di". Anche i derivati in
-ano possono avere un esito strumentale. Tra i pochi attestati, qualcuno è di origine francese (cabe-
stano e volano, ad esempio). Tra le formazioni autoctone ricordiamo caldano "grosso scaldino",
canterano "mobile a cassetti", mandriano che, oltre al significato agentivo di "custode di una man-
dria", ha anche l'esito strumentale di "asta di acciaio usata anticamente nelle fornaci", tamburlano
"arnese a forma di grosso tamburo, su cui un tempo veniva posta ad asciugare la biancheria". Come
per altri procedimenti, anche l'uscita femminile del suffisso, -ana, presenta qualche formazione inte-
ressante: battana, da batto "piccola imbarcazione a sponde basse e fondo piatto", collana, gamberana
"piccola rete di forma quadrata usata per raccogliere gamberi", pedana, piantana "elemento verticale
che serve da sostegno per impalcature, scaffalature, cartelli e altre strutture". Sono pochi anche i nomi
di strumento in -are: oltre a alare, auricolare e collare, prestiti antichi e moderni dal latino, segna-
liamo pentolare "particolare tipo di elmo la cui forma ricordava quella di una pentola", tubolare e
cellulare, chiara nominalizzazione, quest'ultimo, dell'aggettivo corrispondente. Tra i derivati in -ile
ricordiamo ancile "scudo ovale" e badile, entrambi di derivazione latina, e vangile (da vanga, con
palatalizzazione della consonante velare), oltre a due formazioni che designano mobili della casa,
sempre in bilico, come sappiamo, tra l'essere considerati nomi di strumento o nomi di luogo: sedile e
settimanile "cassettone a sette scomparti". Vanno menzionati qui anche i derivati strumentali in
-aglio, di cui molti sono adattamenti da altre lingue e quindi non sempre appaiono motivati in italia-
234 5. Suffissazione
no: battaglio, camaglio, guinzaglio, scandaglio, sonaglio, ventaglio. Il procedimento ha dato luogo
anche a qualche formazione autoctona, come bardaglio, bavaglio, boccaglio e il deverbale pendaglio.
Sono pochissimi i derivati in -ule con esito strumentale: grembiule (di cui il DISC segnala come
meno comune la variante in -ale), mezzule "la daga mediana del fondo della botte, spesso fornita di
uno sportello per consentire la pulizia all'interno", pedule "parte della calza che copre la pianta del
piede dalla punta al calcagno". Nonostante la regola di formazione in -ame dia in uscita soprattutto
nomi con valore collettivo o con connotazione spregiativa, alcuni derivati possono avere un signifi-
cato strumentale: così ad esempio rigame "scanalatura praticata negli stipiti di pietra per farvi scorrere
la saracinesca" o il deverbale serrarne "qualunque attrezzo o congegno per chiudere porte, finestre e
cassetti", o, infine, una piccola serie di parole del linguaggio della marineria quali bordarne, cazzarne,
corbame, crociarne, fasciame, in cui è comunque quasi sempre possibile individuare anche un tratto
'collettivo' che rimane probabilmente centrale per questo procedimento (sull'esito collettivo del
suffisso cfr. 5.1.1.5.2.). Infine, segnaliamo alcuni procedimenti che non sono mai diventati produttivi
in italiano, dal momento che tutte le formazioni vengono segnalate come adattamenti dal latino: i
nomi di strumento in -ice, quali calice, erpice, forbice, mantice, mastice; i nomi in -ignoto, quali
comignolo e lucignolo.
Nella morfologia nominale dell'italiano ci sono procedimenti che servono a formare nomi
di luogo, vale a dire parole che designano spazi delimitati, considerati in funzione di ciò che
in essi concretamente si colloca. «Ciò che si colloca» in questi «spazi delimitati» è dato
normalmente dalla parola di base, e infatti potremmo dire che la parola di base costituisce il
contenuto, la parola derivata il contenente: così è ad esempio in bagagliaio "luogo che
contiene bagagli", in legnaia "luogo che contiene legna", in acquasantiera "luogo che
contiene acquasanta", in canile "luogo che contiene cani". A volte a questo significato di
base alcuni procedimenti aggiungono sistematicamente altri tratti, quello del "vendere", ad
esempio, come in florería "luogo in cui si vendono fiori", o quello del "produrre", come in
mobilificio "luogo in cui si producono mobili", o quello del "mangiare", come in pizzeria
"luogo in cui si mangia la pizza". Né mancano altri esiti ancora più specifici e particolari,
dei quali si darà conto nelle pagine che seguono. Quello che qui importa sottolineare è che
comunque si tratta di parole morfologicamente motivate, che designano spazi fisici, con-
creti nei quali, indipendentemente dalla dimensione e dalla funzione, abitualmente o occa-
sionalmente, si collocano le entità cui rimandano i rispettivi nomi di base.
Naturalmente la ricchezza di procedimenti di cui l'italiano dispone anche in questo setto-
re consente una sorta di specializzazione, una suddivisione interna (mai troppo rigida, a dire
il vero) delle necessità di designazione tra i vari suffissi, alcuni dei quali hanno sviluppato
preferenze particolari. Ma avremo modo di vedere in seguito come ciò concretamente si
realizzi.
Tutti gli esiti italiani del latino -arius hanno ereditato dal capostipite l'opzione locativa,
anche se il grado di frequenza e di produttività varia molto da un procedimento all'altro.
Per l'erede più diretto, l'italiano -ario, l'uscita locativa non è frequentissima. Forse su
modello di acquario, che l'italiano ha ereditato dal latino acquarium, si sono abbastanza
recentemente formate delle parole i cui referenti hanno a che fare con le vasche o con gli
5.1. Derivazione nominale 235
speciali padiglioni in cui vengono custodite alcune specie animali, date dal nome di base:
così in insettario (a. 1940), serpentario (a. 1965), rettilario (a. 1979), delfinario (a. 1987).
A queste dovremo aggiungere alcune formazioni che designano luoghi di assistenza e cura
per «umani», quali assistenziario "istituto che si occupa di reinserire nella società ex carce-
rati", convalescenziario, cronicario, lebbrosario, tubercolosario ed altre sporadiche forma-
zioni di ambito diverso, da cenerario a confessionario, ossario, santuario, cui il suffisso dà
il tratto comune di "luogo in cui". Ma il significato complessivo di ciascuna formazione è
dato dal particolare tipo di rapporto di volta in volta stabilito con la base, sempre che essa
sia riconoscibile in italiano (non lo è ad esempio in diario, o in seminario).
Un sottogruppo omogeneo e in costante espansione è dato invece da una serie che pre-
senta un chiaro carattere collettivo (cfr. anche 5.1.1.5.3.), designando sia il luogo fisico, per
lo più volumi, cataloghi, archivi, registri, incartamenti, in cui i referenti dei nomi di base,
per lo più documenti scritti, sono raccolti, sia l'insieme degli stessi: rientrano in questa
categoria parole come alfabetario, bollettario, casellario, firmario "cartella in cui vengono
raccolti i documenti che devono essere firmati", indirizzario, rimario, schedario, sillabario,
soggettarlo e i più recenti tariffario (a. 1950), prezzario (a. 1958), stemmario (a. 1960),
incipitario (a. 1963), lemmario (a. 1965), mansionario ed eserciziario (a. 1970), formano
"lista in cui sono registrate le varianti di forma di una o più opere letterarie" (a. 1983),
stupidario (a. 1990). Anche i DPN registrano molte formazioni di questo tipo, qualcuna
nuova rispetto al DISC (come ad esempio ideano "raccolta, catalogo di idee", in Q).
Per quanto riguarda invece il procedimento in -aio, questo presenta una opzione locativa
mediamente rappresentata in tutto il corso della sua storia: le date di prima attestazione di
parole quali bagagliaio, braciaio, ceneraio, erbaio, ghiacciaio, letamaio, nevaio, pollaio,
secchiaio, vespaio sono equamente distribuite nei vari secoli, e non mancano formazioni
piuttosto recenti, come la piccola serie bietolaio, medicaio, spagnaio, sterpato, trifogliaio
(datate dal 1940 al 1962), indicanti "campo coltivato a", o "campo pieno di".
Nonostante l'uscita locativa sia tutt'altro che rara, il suffisso -aio è, non dimentichiamo-
lo, soprattutto un suffisso agentivo (cfr. al riguardo 5.1.1.1.1.), e spesso i due esiti si so-
vrappongono soprattutto con nomi di base designanti animali (serpaio, viperaio) o prodotti
della terra (cavolaio, baccellaio): per questi derivati il DISC documenta infatti le due usci-
te, agentiva e locativa, ed è di fatto plausibile che i due nomi si riferiscano sia alla persona
che si occupa stabilmente degli animali e piante cui il nome di base rimanda, sia al luogo
nel quale essi vivono di solito, o sono allevati e coltivati. Questa doppia possibilità è tal-
mente forte e ancora talmente presente alla sensibilità moderna, che posti di fronte a molte
formazioni in -aio a noi sconosciute, le nostre previsioni sul significato complessivo della
parola sono state spesso smentite dal responso dei dizionari: sulla base di quali indizi si
sarebbe infatti potuto prevedere che polipaio è un luogo mentre vongolaio è un agente? O
che patataio è un agente mentre pisellaio e rapaio sono dei luoghi? Se non abbiamo espe-
rienze dirette di queste particolari attività lavorative, il ricorso alle nostre competenze lin-
guistiche non basta a sciogliere gli enigmi.
Risultano varianti minori dei corrispondenti derivati in -aio mondezzaro e pagliaro, pa-
rafrasatali con "luogo in cui si accumula".
236 5. Suffissazione
Prenderemo qui in considerazione l'uscita femminile di -aio, vale a dire -aia, che ha svi-
luppato una netta preferenza ed una discreta produttività per la formazione di nomi di luo-
go: ad esempio burraia, caciaia, calcinaio, carbonaia, fascinaia, fienaia, ghiacciaia, le-
gnaia, ricciaia, saccaia, tinaia designano speciali locali deputati alla conservazione o alla
lavorazione dei prodotti cui rimandano i rispettivi nomi di base; anguillaia, bigattaia, boz-
zolaio, capponaia designano luoghi adibiti all'allevamento di certi animali; ceppaia, pie-
traia, risaia, sassaia, sterpata, tartufaia, vincaia sono i nomi con cui vengono designati i
terreni "coltivati a", o "pieni di".
L'alternanza -aioAaia svolge spesso una importante funzione di differenziazione seman-
tica, consentendo di derivare dalla medesima base sia un nome di agente (in -aio) sia un
nome di luogo (in -aia): così sono agenti burraio, caciaio, carbonaio, cocomeraio, frago-
laio, tartufaio, luoghi i rispettivi derivati in -aia. Ciò significa che a differenza di -aio, per
cui l'uscita agentiva rimane centrale, per -aia è esattamente il contrario, risultando più
probabile l'esito locativo, scontato soprattutto con nomi di base rappresentati da zoonimi e
fitonimi: parole come capponaia, colombaia, conigliaia o abetaia, canapacciaia, cavolaia,
fungaia, limonaia designano i luoghi in cui gli animali o le piante cui rimandano i rispettivi
nomi di base vengono allevati o coltivati. Più raramente questi derivati possono designare
le tane (volpaia) o i luoghi preferibilmente abitati da certe specie animali (ranocchiaia). In
questo sottogruppo, merita di essere segnalata una formazione anomala sul piano formale,
porcilaia, che presenta un doppio procedimento derivativo con esito locativo: porco —*
porcile —> porcilaia (sull'esito locativo di -ile cfr. 5.1.1.3.6.).
Si noti infine come le formazioni che hanno come nome di base un fitonimo, si collochi-
no in realtà a metà strada tra nomi di luogo e collettivi, potendo designare sia "il luogo in
cui", sia "l'insieme di". Altri suffissi aventi in italiano la medesima funzione e la medesima
ambiguità di esito semantico sono -eto, che seleziona infatti spesso la stessa base di -aia,
dando luogo a formazioni perfettamente sinonimiche come aceraia / acereto, carciofaia /
carciofeto, fragolaia / fragoleto, prunaia / pruneto, sterpata / sterpeto·,1 ed -età, di cui il
DISC riporta a lemma acereta, carpineta, castagnoleta, felceta, pineta e poche altre parole,
mentre nella maggior parte dei casi il suffisso si presenta come variante minore rispetto al
corrispondente maschile, quindi cerreto / cerreta, leccete / lecceta, oliveto / oliveta, quer-
ceto / querceta ecc. (per una trattazione di tutti questi suffissi nel loro risvolto collettivo cfr.
5.1.1.5.).
Meritano di essere qui menzionate anche alcune formazioni locative in -ara, quasi tutte
varianti minori di corrispondenti formazioni in -aia, come caciara, canapacciara, colom-
bara; hanno invece solo l'uscita in -ara falconara "luogo dove si allevano i falconi", solfa-
ra e solfatara.
Il suffisso -erία si è formato dalla unione del segmento -ar- (da -arius) con -ία, di origine
greca (Tekavòié 19802, 32). Affermatosi originariamente in Francia nella forma -erie, il
Ma sepolcreto, che pur essendo un adattamento dal latino si presenta molto ben motivato anche in
italiano, esibisce un nome di base anomalo, che non rimanda al mondo vegetale.
5.1. Derivazione nominale 237
suffisso si diffuse poi rapidamente anche in Germania, nella forma -erei, e in Italia, nella
forma appunto -eria (Rohlfs 1969, 433). Al di là di altri importanti esiti semantici (nomi
collettivi e nomi di qualità, per i quali cfr. 5.1.1.5.3. e 5.1.2.1.2.1.5.), il suffisso in questione
è forse, tra i denominali, il procedimento più produttivo per la formazione di nomi di luogo
nell'italiano contemporaneo.
Quando la base sia rappresentata da un prodotto industriale, il derivato in -eria designa il
luogo (fabbrica, laboratorio, stabilimento, officina) in cui tale prodotto viene costruito, o
più spesso il negozio o il posto nel quale viene venduto. Così è ad esempio in biglietteria,
calzetteria, camiceria, corsettcria, cuoieria, ginseria o jeanseria, libreria, occhialeria,
pantofoleria, tabaccherìa, verniceria. Talvolta la base è un nome di agente, designando non
già il prodotto ma il produttore: così in copisteria, ebanisteria, erboristeria, falegnameria,
modisteria, oreficeria. Anche per carpenteria, cartoleria, lavanderia, portineria dobbiamo
supporre una derivazione da nomi di agente, ma questa volta per sottrazione: la base infatti
non è una parola esistente, ma è ricavata, per sottrazione di suffisso agentivo, da una parola
derivata a sua volta: quindi, carpent(iere)eria, cartol(aio)eria, lavand(aio)eria, pa-
sticc(iere)eria, portin(aio)eria, rigatt(iere)eria.
Quando il nome di base ha il tratto '+commestibile', il derivato che ne risulta può desi-
gnare il locale pubblico nel quale si serve il cibo cui il nome di base rimanda: così in gela-
teria, pizzeria o nei più recenti spaghetteria (a. 1983), panineria (a. 1983), sorbetteria (a.
1983), hamburgheria (a. 1986), frullate ria (a. 1990), la cui nascita è parallela al sorgere di
nuove abitudini alimentari o fatti di costume. I DPN aggiungono all'elenco anche polente-
ria (L), spuntineria (L), budineria (L), focacceria (BC), a testimonianza della buona fortu-
na di cui gode oggi questo procedimento, il quale viene incontro al bisogno di designazione
dei numerosi nuovi locali, specializzati nella preparazione di un certo tipo di alimento, in
cui gli italiani hanno preso l'abitudine di consumare talvolta i loro pasti. Va da sé che ove il
nome di base designi alimenti che non si ha l'abitudine di consumare in modo esclusivo e
fuori casa, il derivato che ne risulta avrà il significato di "luogo in cui si vende" (come in
polleria, liquoreria, salumeria) o di "luogo in cui si fa" (come in grissineria), o di entrambi
(come in confetteria, tripperia).
Infine, come per altri procedimenti che formano nomi di luogo, dobbiamo notare la
stretta affinità con i collettivi: a volte il significato locativo è esclusivo, come in quasi tutti
gli esempi fatti fin qui; a volte i due significati, di "luogo in cui" e di "insieme di", convi-
vono nella stessa parola (bulloneria, cristalleria, occhialeria)-, a volte il significato colletti-
vo diventa esclusivo (viteria, tuberia, rubinetteria, ma su questo esito si veda 5.1.1.5.),
senza che sia possibile in alcun modo trarre direttamente dalla lingua indizi sufficienti a
orientare su quale delle possibilità venga di volta in volta attivata.
La decisione di presentare tra i denominali questo tipo è stata il frutto di una serie di ragio-
namenti: si potrebbe infatti sostenere che si tratti in realtà di deverbali, visto che è sempre
possibile rintracciare un verbo alla base di formazioni quali cimatoria, conservatoria, frig-
gitoria, legatoria, ricevitoria, tessitoria, tintoria, anche se in casi come esattoria e sartoria
bisogna risalire a verbi latini. Tuttavia ad un esame più attento queste formazioni paiono il
frutto di un doppio procedimento derivativo, che a partire da verbi ha formato nomi di
agente in -tore (cimatore, conservatore, friggitore ecc.), e a partire da nomi di agente ha
238 5. Suffissazione
formato, tramite il suffisso -ia, i nomi dei luoghi in cui tali agenti svolgono la loro attività,
con un percorso che può essere sintetizzato nella formula: [[V+ -iore] N + -¡a] N Depongono
a favore di questa lettura dei dati due fatti: la presenza di un deverbale in -tore che fa sem-
pre da tramite tra il verbo e il derivato in -ia; il fatto che i derivati in -ia siano sempre poste-
riori ai corrispondenti nomi di base in -tore, come documentano le date di prima attestazio-
ne riportate dal DISC. Ad esempio procuratoria è attestata a partire dal 1835 e tessitoria
dal 1940, mentre i rispettivi nomi di base in -tore risalgono entrambi al XIII secolo. Dun-
que il procedimento qui preso in esame è il suffisso tonico -ia, il quale seleziona nomi di
base a loro volta suffissati in -tore.
Secondo Tekavòic 19802, 32 questo suffisso sarebbe la seconda parte del suffisso -eria
(su cui cfr. 5.1.1.3.3.): di origine greca, una volta entrato in latino -ia avrebbe dato luogo
soprattutto ad astratti deaggetivali. Non c'è traccia invece, né in Tekavöic né nella letteratu-
ra morfologica che abbiamo consultato, dell'esito locativo del suffisso, che sembra uno
sviluppo romanzo del procedimento.
Le formazioni cui ha dato luogo la regola non sono moltissime: il DISC ne riporta poco
meno di 20, alcune delle quali a metà strada fra nomi di luogo e collettivi, come è ad esem-
pio per cantoria che designa sia il "soppalco delle chiese in cui si trova l'organo e in cui si
dispone il coro", sia il "gruppo di cantori in un coro di chiesa". Ugualmente alcune forma-
zioni, coerentemente con l'uscita più usuale del suffisso, esibiscono, oltre al significato di
un luogo fisico concretamente delimitabile, anche un significato più astratto: tessitoria ad
esempio designa sia lo "stabilimento o negozio di tessitura", sia la "attività del tessitore".
Per quanto riguarda invece l'uscita più propriamente locativa del suffisso, esso sembra
designare preferibilmente i locali pubblici e gli uffici, come nel caso di conservatoria,
esattoria, friggitoria, pretoria, procuratia, provveditoria, ricevitoria; o i luoghi deputati
allo svolgimento di particolari attività agricole, artigiane o industriali, come in cimatoria,
fattoria, legatoria, sartoria, tessitoria, tintoria, trattoria che, coerentemente con due diver-
se accezioni del nome di base trattore, può designare sia il "laboratorio dove si eseguono le
operazioni di trattura della seta", sia il "locale pubblico dove si servono i pasti principali,
simile al ristorante, ma meno raffinato".
Il tipo in questione (cfr. Wolf 1974) rientra tra quelle formazioni diffuse nella lingua mo-
derna a metà strada tra i composti con elementi neoclassici (su cui cfr. 2.2.) e la suffissazio-
ne vera e propria. 1 Derivato dal latino -ficium, a sua volta collegato con facere, il procedi-
mento si è poi sviluppato in italiano mantenendo ben saldo il significato del "fare", del
"costruire", anche se i derivati italiani del tipo lanificio, setificio si sarebbero evoluti, a
partire dall'Ottocento, da un significato più astratto, corrispondente grosso modo ad "arte di
lavorare la lana, la seta", a un significato più concreto di "luogo dove si lavora la lana, la
Dopo aver presentato la questione, Tekavcic conclude: «per la coscienza linguistica moderna esso
[-fido] pur sempre non ha un significato da solo (ma si limita a modificare il significato della ba-
se), non ha esistenza autonoma, non è identico ad alcuna parola e forma nomi in serie, secondo lo
stesso modello: tutte condizioni per dichiararlo ormai come suffisso» (19802,164). Serianni lista il
segmento -fido tra i «secondi elementi di origine latina» (1989, 667-668), o suffissoidi nella ter-
minologia di Migliorini 1960, 718.
5.1. Derivazione nominale 239
seta" (Migliorini 1960, 718). Anche la segmentazione del morfema è diversamente inter-
pretata dalla letteratura: -fido per gli uni, -ificio per gli altri (cfr. in merito Wolf 1974, 240-
241). Noi adotteremo, con Wolf e Dardano 1978, 86, quest'ultima proposta, che ci pare più
fedelmente descrittiva delle formazioni in discussione (burrificio, mobil-ificio, pan-ificio).
La storia di questo suffisso, l'essere cioè una filiazione diretta di una parola latina, dotata
dunque di un suo significato pieno, spiega il fatto che a differenza di tutti gli altri suffissi
che formano nomi di luogo (e non solo), -ificio possiede la caratteristica di essere univoco,
cioè di avere una sola possibile uscita semantica, sempre molto regolare. Ai nomi di base
selezionati, che designano per lo più prodotti del lavoro umano, il suffisso aggiunge il si-
gnificato di "luogo in cui si fa, si produce, si costruisce". Delle 67 parole in -ificio registrate
dal DISC, solo 4 sono opache in italiano, perché la base, di origine latina, non è più rintrac-
ciabile dalla sensibilità moderna. Per tutte le altre parole non avremo alcuna difficoltà a
ritrovarne il significato, sempre perfettamente trasparente e componenziale: berrettificio,
calzaturificio, maglificio, mobilificio, ovattificio, pastificio, scatolificio, tabacchificio, zuc-
cherificio e così via, parole tutte che designano appunto i particolari stabilimenti in cui si
producono i prodotti cui rimandano i rispettivi nomi di base. Si noti poi, a riprova delle
preferenze sviluppate dai vari procedimenti derivativi per i nomi di luogo, che da tabacco
sono derivati tabacchiera (sec. XVIII) "scatoletta tascabile che serve a contenere il tabacco
da fiutare", tabaccheria (a. 1908) "luogo di rivendita di tabacchi", e tabacchificio (a. 1960)
"stabilimento in cui si effettua la lavorazione della pianta di tabacco". La stessa specializ-
zazione semantica si ritrova in biscottiera / biscotteria / biscottificio o in cappelliera / cap-
pelleria / cappellificio, o nei casi di una doppia uscita locativa come saponiera / saponifi-
cio, zuccheriera / zuccherificio e così via.1
Una estensione recente della regola è quella che ha dato luogo a formazioni scherzose
quali esamificio, il cui effetto comico nasce dall'assimilazione dell'università a una fabbri-
ca di esami, diplomificio, divertimentificio. Ne risultano formazioni ironiche, la cui lista si
allunga sempre più (cfr. ad esempio concorsifìcio e vacanzificio in F), che arrivano a forza-
re la semantica di questi derivati in direzioni nuove: così gettonificio (BC) non designa la
fabbrica di gettoni, ma quelle trasmissioni televisive che si assicurano l'interesse degli
spettatori effettuando distribuzioni in serie di gettoni.
Sono pochi i derivati in -iera che presentano un chiaro e univoco significato locativo. Tra questi
ricordiamo cartiera e ferriera, che designano entrambi stabilimenti industriali; bagagliera, mulattiera
(probabile nominalizzazione dell'aggettivo del sintagma strada mulattiera) e rumentiera "piccola
cassa per la raccolta delle immondizie" (da rumenta)', peschiera e polveriera, che designano entrambi
luoghi in cui si allevano o si conservano i referenti dei rispettivi nomi di base. Per il resto, si è già
detto della difficile collocabilità di alcune piccole serie di parole, a metà strada tra i nomi di strumento
e i nomi di luogo (cfr. in proposito 5.1.1.2.1.). Dovremo qui aggiungere che -iera presenta anche
alcune formazioni a metà strada tra i nomi di luogo e i collettivi, potendo dar luogo a formazioni che
1
Ricordiamo come tutti i nomi in -iera qui menzionati designino vari tipi di contenitori, i quali,
giudicati a metà strada tra i nomi di strumento e i nomi di luogo, sono stati considerati in questo
lavoro nomi di strumento, e come tali trattati. E certo una scelta discutibile, che comunque abbia-
mo almeno tentato di rispettare in modo coerente.
2
Sulle estensioni semantiche locative dei nomi di status del tipo assessorato cfr. 5.1.1.4.1.
240 5. Suffissazione
designano gabbie o più genericamente luoghi in cui si tengono o si allevano gli animali cui rimandano
i nomi di base: bigattiera, conigliera, fagianiera, falconiera, uccelliera, voliera·, oppure nomi che
designano luoghi in cui certi prodotti naturali si depositano: guantera, torbiera, o in cui crescono
certe piante: cedriera. Queste possibilità sono in realtà molto vicine ad esiti collettivi: non è un caso
infatti che si registrino alternanze con altri suffissi rivali (cedriera / cedreto, bigattiera / bigattaia).
Anche il suffisso -ina può assumere un significato locativo-collettivo (abetina, sinonimo di abetaia),
ma designa più spesso tipi diversi di luoghi, anche se il procedimento non è mai diventato produttivo
in italiano: ricordiamo comunque banchina, caldina "campo esposto al sole in cui si coltivano primi-
zie", cantina, cascina, chiostrina "spazio aperto all'interno di edifici, che consente di illuminare il
vano delle scale" (a. 1990), officina, salina. Non molto significative risultano le formazioni locative
cui hanno dato luogo -aiolo/-aiola, -aroloZ-arola, tra cui ricordiamo fumaiolo e gattaiola, entrambi
parafrasabili con "luogo per il quale passa". Non molto c'è da dire sul procedimento in -ile, origina-
riamente aggettivale, che già in latino serviva a formare nomi indicanti i luoghi in cui erano tenuti,
allevati o raccolti animali domestici (bovile, equile, covile, ovile). L'italiano ha mantenuto questa
funzione: sono così nati canile, caprile, porcile, ma «esaurita la gamma culturalmente possibile di
<rifugi per animali> da denominare», il suffisso è caduto in disuso, almeno fino a quando «le condi-
zioni sociali hanno portato alla creazione di luoghi di accoglienza per animali prima non previsti»
(Cortelazzo 2000, 200). Così è nato il recentissimo gattile (L). Altre formazioni locative in -ile sono
campanile, cortile, arenile, carbonile, fienile, settimanile. Pochi, e qualcuno ereditato da altre lingue,
i derivati locativi in -ale (cfr. anche 5.1.1.6.7.): confessionale, mappale "terreno contrassegnato da un
numero catastale", ospedale, ostale "ostello", pianale, piazzale, tribunale. Ugualmente risultano tutti
adattamenti dal latino i denominali in -are che designano luoghi: castellare "territorio di un castello",
casolare, cartolare "custodia cartonata per fogli e disegni", focolare, pulvinare, lupanare. Tutti adat-
tamenti dal latino, e qualcuno dal greco, vanno considerati i locativi in -eo: ateneo, ipogeo, matroneo,
mausoleo, mitreo "santuario dedicato al dio Mitra", museo, ninfeo, serapeo "tempio in onore del dio
Serapide". Probabilmente l'unica formazione autoctona è androceo "nell'antica Grecia, complesso di
stanze riservate agli uomini", formazione analogica moderna (a. 1865) costruita con materiali lessicali
greci sul modello di gineceo.
Sulla falsariga di posticcio, adattamento dal latino che designa tra le altre cose anche il "terreno in
cui si coltivano le piante giovani prima di trapiantarle", si devono essere formati sabbioniccio e sec-
caticcio, rispettivamente "terreno ricco di sabbia" e "terreno assolutamente privo d'acqua", formazio-
ni locative ma con un evidente tratto collettivo. A metà strada tra un nome di strumento e un nome di
luogo si pone invece pagliericcio (con interfisso -er-).
Infine, va menzionata la disponibilità dei suffissi alterativi a formare nomi di luogo. Si tratta però
di una possibilità limitata a poche formazioni, alcune delle quali, ereditate da altre lingue, hanno una
base non riconoscibile in italiano: bordello, campiello, casello, forcella "valico montano particolar-
mente stretto", ostello, sacello; stazzo, terrazza, terrazzo, torrazzo "edificio in forma di torre, dalla
struttura particolarmente massiccia"; broletto "nel Medioevo campo cintato, o piazza in cui si raduna-
va il popolo in assemblea" (da brolo), cantinetta, casermetta, cuccetta, lazzaretto "ospedale dove
anticamente si ricoveravano in isolamento persone colpite da malattie infettive o contagiose" (da
Lazzaro, nome del santo protettore dei lebbrosi), palchetto, poppetta "nelle imbarcazioni a remi o a
vela, spazio a poppa, riservato ai passeggeri o al timoniere", riservetta "locale o luogo riparato in cui
si conservano le munizioni"; cucinotto, salotto; viottolo, pianerottolo, entrambi con doppio procedi-
mento derivativo (e interfisso -er- per pian-er-ott-olo). Dagli esempi fatti, risulta chiaro che ogniqual-
volta la formazione sia trasparente in italiano, il nome di base è quasi sempre esso stesso un nome di
luogo, designando spazi delimitati e non, aperti o chiusi, piccoli o grandi, cui il suffisso alterativo
aggiunge altri tratti relativi alla dimensione o alla funzione svolta dal referente del derivato.
5.1. Derivazione nominale 241
1
Settennato, prestito dal francese, è un caso anomalo in quanto la base non designa il titolare della
carica (cioè, il presidente).
2
La distribuzione complementare, in questo caso, può essere dovuta a un criterio di economicità.
242 5. Suffissazione
però, una forza predittiva assoluta come mostra l'assenza di significato collettivo usuale per
cardinalato, malgrado la salienza del sacro collegio dei cardinali, o per noviziato.
La ragione per l'assenza di un'estensione collettiva in quest'ultimo caso va forse cercata
nella prominenza dell'estensione temporale, che può aver esercitato un'influenza inibitiva
(blocco omonimico). Le estensioni infatti sono spesso più frequenti del significato centrale,
e a volte il significato centrale è anche assente, per lo meno nell'uso moderno. Così, secon-
do il DISC, comitato "territorio del conte", despotato e educandato hanno solo il significato
locativo, interinato solo quello temporale. Tali parole possono naturalmente dar luogo qua
e là a delle formazioni analogiche dirette, senza passare per il significato centrale, ma fino
adesso non ci sono segni sufficienti per l'italiano che tale possibilità abbia dato luogo a
varianti suffissali temporali, spaziali o collettive autonome e produttive.
Accanto a questi tre tipi di estensioni rimane ancora da menzionare il significato "attivi-
tà", come in apostolato, patronato, volontariato o, con un significato un p o ' diverso, cam-
pionato, oppure nelle formazioni in -aggio o -ia che si menzioneranno più avanti. In nessu-
no di questi casi esiste, però, un rapporto semantico sincronico con il significato centrale (e
forse nemmeno in diacronia). Un altro caso speciale è costituito da formazioni c o m e avun-
colato (a. 1955; su base latina), caporalato (a. 1978), levirato, maggiorascato / minora-
scato (a. 1978), matriarcato (a. 1927) / patriarcato, meticciato (a. 1938), padrinato, patro-
nato (riferito al mondo romano) o seniorato, che non si riferiscono a cariche o condizioni
bensì a istituti giuridici o costumi sociali. Si tratta di un tipo ormai indipendente e modera-
tamente produttivo.
La categoria dei nomi di status è realizzata da più di una dozzina di suffissi, dei quali però
solo uno, cioè -ato, è sincrónicamente produttivo nel senso pieno del termine. Fra i suffissi
marginali, alcuni sono identici a suffissi la cui funzione principale consiste nella derivazio-
ne di nomi di qualità o nomi d'azione. Nella trattazione seguente, cominceremo con i suf-
fissi marginali, seguendo un ordine alfabetico.
Il suffisso -ado, dal punto di vista diacronico una variante settentrionale di -ato, è presente in
(arci)vescovado e (vis)contado. Contado si riferisce solo al territorio del conte; oggi è più frequente
nel senso lessicalizzato "zona di campagna intorno a una città". Parentado poteva designare, antica-
mente, il legame di parentela, ma ormai sussiste solo il senso collettivo. Le formazioni in -aggio sono,
da un lato, termini del sistema feudale: baliaggio, baronaggio, servaggio (lett.), vassallaggio. L'altro
gruppo si riferisce a rapporti privati: comparaggio (antiquato) / madrinaggio (a. 1957), parentaggio;
concubinaggio. Il gallicismo pulzellaggio ha dato luogo a un neologismo recente: zitellaggio (a.
1983). Gemellaggio è un gallicismo (a. 1958). Malgrado l'esistenza di alcune formazioni analogiche,
il suffisso non si può considerare produttivo per formare nomi di status, mentre deriva produttiva-
mente a partire da nomi animati dei sostantivi che designano le attività tipicamente associate a tali
nomi, come in attacchinaggio, brigantaggio ecc. (cfr. 5.1.3.1.2.2.). Anche -anza si è specializzato nei
legami di parentela: cuginanza (a. 1941), figliolanza (più comune in senso collettivo), fratellanza,
gemellanza (a. 1956), sorellanza (a. 1950; non com.), vedovanza. Come mostrano le date, si possono
registrare tre formazioni analogiche verso la metà del secolo XX. Un secondo gruppo è costituito
dalla coppia cittadinanza / sudditanza. Il terzo sottogruppo si riferisce a rapporti di lavoro: maestran-
za, manovalanza (oggi solo collettivo), padronanza (non com.). Forse anche discepolanza (a. 1949;
non com.) va aggiunto a questo gruppetto. L'unico nome di status in -atico è comparatico, l'unico in
-atura nunziatura (ma cfr. più avanti il gruppo dei sostantivi in -ura). Con -ea ne contiamo tre: con-
5.1. Derivazione nominale 243
tea, duchea e viscontea. Il suffisso -eia designa un vincolo di parentela in parentela, che ha anche un
senso collettivo. Clientela nella lingua comune è solo collettivo, mentre in un testo storico si può
riferire anche al rapporto tra cliente e patrono nell'antica Roma. Il suffisso -enza (o -(z)a) forma il
nome di status di alcuni nomi in -ente semanticamente abbastanza omogenei: (co-, vice-presidenza
(anche da preside), dirigenza, gerenza, (soprintendenza ; (luogotenenza; supplenza (che tuttavia
esprime piuttosto un'attività che uno status). Discendenza è più comune come nome collettivo, ma
può designare anche un rapporto di parentela. Possidenza denota anche, nel linguaggio giuridico, la
condizione del possidente. I nomi di status in -eria sono quattro e tutti limitati alla terminologia stori-
ca: capitaneria, castalderia, paggeria, podesteria (da podestà). Più frequenti sono quelli in -ia. Mal-
grado il numero abbastanza elevato di formazioni usuali, il suffisso è essenzialmente improduttivo. La
distribuzione del suffisso non è predicibile, ma si osservano due tendenze formali. Una prima nicchia
formale seleziona basi in -ore: assuntoria (a. 1955), coadiutoria, conservatoria, esattoria, fattoria
(non com.), mallevadoria (non com.), procuratoria (non com.), signoria.1 Ma anche in questa nicchia
formale -ia è sopraffatto da -ato: assessorato, cantautorato (a. 1982), cantorato, censorato, coadiuto-
rato, confessorato, dottorato, elettorato (cfr. Rainer 2002c), governatorato, ispettorato, lettorato,
monsignorato, priorato, procuratorato, professorato, protettorato, provveditorato, rettorato, senato-
rato, superiorato, uditorato. Un'altra piccola nicchia formale di nomi di status in -ia deriva da basi in
-an-: cappellania (loc.), castellatila, decanía (loc.), forania (a. 1965; da [vicario] foraneo), guardia-
nia (loc.), pievania. Anche qui, però, -ato è il suffisso predominante: anzianato, artigianato (a. 1907),
capitanato, cappellanato, decanato, diaconato, guardianato, inumato, khanato (a. 1952), piovanato,
sultanato. Il resto delle formazioni in -ia sfida ogni raggruppamento: abbazia (da abbate), baronia,
curazia (a. 1951; da [parroco] curato, secondo il DISC «sul modello di abbazia»), dataria, diaconia,
legazia (da legato), notaría, procuratia (da procuratore), satrapía (loc.), (vice)segreteria (da (vi-
ceSegretario), vicaria. Pederastia stona un po' su questo sfondo. L'unico derivato in '-io è sacerdo-
zio (da sacerdote), che designa però piuttosto un'attività che una dignità, l'unico in -ione è legazione,
la carica di legato. Con -Uà, si possono menzionare edilità e deità (da dio) così come fraternità, ma-
ternità, paternità e regalità, che presentano come allomorfo della base - determinato paradigmatica-
mente (cfr. 1.2.4.2.) - l'aggettivo di relazione corrispondente a fratello, madre, padre e re rispettiva-
mente. Solo due esempi si possono trovare per -itù: schiavitù e servitù. L'uso di -itudine come suffis-
so per formare nomi di status è partito da negritudine (a. 1972), a sua volta calcato sul fr. négritude.
Sulla sua scia, s'incontrano ogni tanto dei neologismi analogici, come casalinghitudine (a. 1987),
sarditudine (Internet) o sicilitudine (Bocca, G., Italiani strana gente, Milano, Mondadori, 1997, 90;
da Sicilia, non siciliano!), che prendono normalmente come base un sostantivo indicante un membro
di un collettivo che si sente socialmente o politicamente svantaggiato e rivendica la sua identità.
L'ultimo suffisso non produttivo da menzionare è -ura: magistratura, prefettura, prelatura, pretura
(da pretore), questura (da questore).
L ' u n i c o suffisso veramente produttivo, come già detto, è -ato. La sua produttività, però, è
piuttosto moderata, dato che il fabbisogno di nuove designazioni di cariche nell'ambito
della politica, dell'amministrazione, della chiesa e dell'esercito non è molto elevato e che in
altri campi l ' u s o di questo suffisso è piuttosto limitato. Per farsi una idea della sua produtti-
vità attuale, il metodo più conveniente è forse quello di elencare i neologismi del secolo
X X : artigianato (a. 1907), bracciantato (a. 1918), avventiziato (a. 1928), sottosegretariato
(a. 1934), beilicato (a. 1939; da bey), assistentato (a. 1942), praticantato (a. 1942), stu-
A questi nomi di status, potremmo aggiungere alcune formazioni di senso (ormai) solo spaziale:
cantoria (anche collettivo), rettoria, ricevitoria; nel caso di sartoria e trattoria il senso centrale
non è mai esistito, perché né il sarto né il trattore sono basi potenziali per un nome di status. Sono
da collegare piuttosto con il gruppo editoria, imprenditoria, legatoria, tessitoria, tintoria, che
esprime un'attività e si collega alle formazioni corrispondenti in -eria (cfr. 5.1.1.3.4. e 5.1.1.6.2.).
244 5. Suffissazione
dentato (a. 1942; temp.; loc.), supplentato (a. 1942), nubilato (a. 1950),1 portierato (a.
1950), khanato (a. 1952), voivodato (a. 1961), castaldato (a. 1962), primariato (a. 1963),
sceiccato (a. 1963), provicariato (a. 1970), rabbinato (a. 1970), notabilato (a. 1971; collet-
tivo), precariato (a. 1974), gregariato (a. 1975), cantautorato (a. 1982), capocomicato (a.
1990), ambulantato (Paci, M., Il mutamento della struttura sociale in Italia, Bologna, Il
Mulino, 1992, 294), l'utilizzo del coadiuvantato familiare (Pellegrini, L. (a cura di), La
distribuzione commerciale in Italia, Bologna, Il Mulino, 1996, 58). Quest'elenco mostra
che il suffisso, da un lato, è rimasto produttivo nei suoi campi tradizionali (sceiccato, rab-
binato ecc.),2 anche se bisogna aggiungere che molte di queste formazioni hanno delle
corrispondenze francesi anteriori e sono dunque probabilmente da considerare come presti-
ti. La novità più cospicua consiste nell'estensione dell'ambito d'uso del suffisso fuori dei
quattro campi tradizionali della politica, dell'amministrazione, della chiesa e dell'esercito,
fino ad arrivare a delle formazioni semiserie come cantautorato o capicomicato.
Sul modello di celibato. Ambedue le formazioni sono deaggettivali e si possono anche interpretare
come dei nomi di qualità (cfr. anche anonimato).
2
Anche nei quattro campi tradizionali si notano però delle lacune, come "ministrato, °ricercatorato,
"parrocato o "colonnellato.
3
II corpus dei collettivi analizzati è stato ottenuto mediante lo spoglio esaustivo del DISC e di
alcuni dizionari di neologismi (BC, C, CC, F, L, Q). Ringrazio Livio Gaeta per avere messo a mia
disposizione alcuni esempi tratti da un corpus testuale costituito da due annate de La Stampa
(1996-1997). La fonte degli esempi citati, se non diversamente indicato, è il DISC.
5.1. Derivazione nominale 245
La categoria sintattica della base può essere nominale (discepolanza, filosofume, gover-
nime, pollame, ragazzaglia, rosaio, utenza), aggettivale, presumibilmente risultato
dell'ellissi del nome in un sintagma N+A (biancheria, biancume, marcime, minuteria,
mollame, squallidume (F), stupidario, tritarne), verbale (accozzaglia, appiccicume, casca-
me, doreria, mangime, miscuglio, sfasciume, spruzzaglia) o numerale (sestina, terzetto,
terziglia, ventennio). I casi di troncamento sono piuttosto rari (cavaliere (incrociato con
cavallo) —* cavalleria, maceria —* macereto, segretario —* segreteria). La base può essere
costituita anche da una parola già derivata (autoveicolistica (F), castagnoleta, cespuglieto,
cittadiname, componentistica, democristianeria (F), figliata, figliolanza, francesume, fu-
metteria (L), gallettame, impiegatume, manualistica, medievistica, moschetteria, oliva-
streto, palettatura, palificata, portelleria, scatolameria, scemenzaio (F), sciocchezzaio,
servitorame, sfasciume, spicciolarne, tiranteria), da un composto o da un'unità polirematica
(mezzacalzetteria (F), mezzobusteria (F), piccoloborghesume (La Stampa 18-3-97, 26))
oppure da una sigla (vipperia (F)). A loro volta i nomi collettivi sembrano costituire solo
eccezionalmente ulteriori basi di derivazione (duettare, granagliare, verduraio, vocabolari-
sta, vocabolarizzare). Dal punto di vista semantico la base si riferisce a una pluralità di
entità animate o inanimate, concrete o astratte; può occorrere con un significato metaforico
(pecorume "gruppo di persone dal comportamento servile", polverume), metonimico (ar-
genteria "insieme di oggetti d'argento", carnaio, cristallame, cuoiame, ferrame, ottoname,
fiaccolata, fucileria, paesaggistica), generico (pollame "insieme delle razze di gallinacei da
allevamento (galli, galline, oche ecc.)", tovagliato, valigeria) oppure, raramente, già collet-
tivo (fasciname, gentaglia, macchieto, marmagliume, scatolameria (Q), vocabolaristica).
Per quanto riguarda la semantica dei derivati, va sottolineato che diversi suffissati col-
lettivi implicano un giudizio o un atteggiamento negativi da parte del parlante. Questa con-
notazione peggiorativa può essere già presente nel significato delle basi (canagliume, ciar-
pame, ciurmaglia) oppure può essere apportata dai suffissi (avvocateria, dottorame, impie-
gatume, pretaglia, uccellaia). Il significato collettivo è percepito come spregiativo, forse in
quanto spersonalizzante (cfr. 5.1.1.7.17.3.), soprattutto nel caso delle formazioni che desi-
gnano gruppi o classi di persone. Dal punto di vista sintattico alcuni derivati collettivi rien-
trano nella categoria dei nomi di massa, altri in quella dei nomi numerabili. In questa sede
non ci soffermeremo comunque sui fenomeni sintattici coinvolti nel loro uso.
nominale, cioè quella di scrittura o di studio oppure ancora un genere letterario. Le nomi-
nalizzazioni degli aggettivi in -iccio, derivati da aggettivi deverbali o da temi verbali (impa-
raticcio, raccattaticcio, raccogliticcio, seccaticcio), designano un insieme di entità di scar-
so valore.
Un numero cospicuo di nomi collettivi presenta dei suffissi la cui funzione primaria è la
formazione di nomi d'azione (cfr. 5.1.3.1.). Nel caso della maggioranza dei derivati si tratta
di estensioni semantiche dei nomi d'azione che si riferiscono, oltre che all'evento stesso,
anche ad un insieme di entità che svolgono il ruolo di agente o di strumento o di paziente o
di risultato nello stato di cose rappresentato linguisticamente. Ad un gruppo di persone che
eseguono l'azione designata dalla base verbale, ad esempio, si riferiscono diversi suffissati
in -mento (accompagnamento, ammassamento, intruppamento, raggruppamento), in -zione
(immigrazione), in -nza (adunanza), in -ata (imbarcata, radunata) oppure formati mediante
conversione o troncamento della base verbale oppure ancora sulla base della forma del
participio passato (corteggio, passeggio, scorta; solo collettivi sono congrega e accol(i)ta).
Le estensioni semantiche di altri nomi d'azione, formati con gli stessi procedimenti, si
riferiscono, oltre che all'evento stesso, anche all'insieme dei risultati che ne conseguono
(incastellamento, ordinamento, regolamento', produzione, programmazione, votazione',
piantata', fruttato "il complesso dei frutti prodotti da un campo, da un albero ecc.") oppure
al complesso degli strumenti (attrezzature, materiali, edifici ecc.) necessari per eseguire
l'azione designata dalla base verbale (accampamento, accasermamelo, allestimento, arre-
damento, attrezzamento, munizionamento, velamento-, decorazione, palificazione, regola-
mentazione, segnalazione', addobbo, arredo, carreggio) oppure ancora all'oggetto affetto
dall'attività in questione (allevamento "l'insieme degli animali o delle piante allevate, dei
terreni o degli impianti che li accolgono"; importazione, spedizione', stipa', stesa). Signifi-
cato soprattutto collettivo hanno invece baraccamento, segnalamento e dotazione, i derivati
in -ata come chiocciata, covata, figliata, infilzata, grigliata, palificata, nonché alcune for-
mazioni denominali (palamento "insieme dei remi di un'imbarcazione o complesso delle
pale di un'elica"; nervazione, strumentazione, tubazione', emittenza', cucciolata). La stra-
grande maggioranza dei collettivi deverbali in -tura indicano il risultato (fognatura, forac-
chiatura, macchiettatura, pieghettatura, postillatura, punteggiatura, puntellatura, rigatura,
sbriciolatura, scarabocchiatura, segatura, sminuzzatura, spezzatura, spezzettatura, strito-
latura, trivellatura) oppure l'oggetto affetto o lo strumento (abbottonatura, alettatura,
attrezzatura, cerchiatura, chiodatura, corazzatura, fasciatura, foderatura, gommatura,
imperniatura, incannucciatura, incordatura, lardellatura, mobiliatura, pannellatura, spaz-
zatura, titolatura) dell'azione designata dalla base verbale. Le basi nominali selezionano
-atura e i derivati si riferiscono ad una serie o ad una struttura composte dalle entità desi-
gnate dalle basi (costolatura, dentatura, finestratura, mosaicatura, muscolatura, nervatura,
ossatura, palettatura, ramatura, scaffalatura, tubatura, tubolatura (tubulatura), velatura).
Tra le formazioni in -aggio con significato collettivo sono deverbali frenaggio "l'insieme
dei congegni che hanno il compito di frenare una macchina" e guidaggio, mentre banchi-
naggio, casermaggio "l'insieme dei mobili e degli oggetti di arredo di caserme e di uffici
militari", cortinaggio, tendaggio sono denominali. Si può considerare collettivo anche il
significato di alcuni nomi d'azione derivati, in genere, da verbi reiterativi con i suffissi
-mento (luccicamento, rubacchiamelo, sbadigliamento), -aia (chicchiriata "serie conti-
nuata di chicchirichì") e soprattutto con -io (borbottio, brontolio, chioccolio, cigolio, formi-
colio, frullio, fulminio, gracchio, gracidio, lamentio, luccichio, miagolio, mormorio, pette-
250 5. Suffissazione
essi di norma si trovano, vivono, crescono o sono riposti. Questo tipo di basi è selezionato
da diversi suffissi, tra cui alcuni già menzionati sopra: -eto1 (agrumeto, albicoccheto, aran-
ceto, bananeto, canapeto, carrubeto, castagneto, cespuglieto, ciliegeto, elceto, faveto, fi-
cheto, frassineto, fruticeto, gelseto, ginestreto, lariceto, limoneto, luppoleto, macchieto,
mandorleto, meleto, noccioleto, olivastreto, pereto, pescheto, plataneto, rovereto, scirpeto,
scopeto), -aia (abetaia, bambusaia, canapacciaia!-ara, cocomeraia, fustaia, risaia, tartu-
faia, zuccaia), -età (carpineta, castagnoleta, felceta), -aio (cipollaio, marrucaio, ovolaio,
rosaio), -agita (granaglia, ramaglia, siepaglia), -ame (fiorame, fogliame, frascame, ster-
pame), -urne (fiorume, frascume), -iera (cedriera), -iccio (sterpiccio), -ina (abetina), -ata
(barbata), -uglio (cespuglio). Sono numerose le coppie sinonimiche in -etol-eta (albereto /
albereta, carpinete / carpineta, cerreto / cerreta, faggeto / faggeta, leccete / lecceta, mar-
roneto / marroneto, ontaneto / ontaneta, sughereto / sughereto), in -etol-aia, -etol-aio,
-aiol-aia, -etol-etal-aia, -etol-aial-aio (acereto / acereta / aceraia, asparageto / aspara-
giaia, carciofeto / carciofaia / carciofaio, cavolaio / cavolaia, cipresseto / cipressaia, fra-
goleto /fragolaia, giuncheto / giuncaia, marrucheto / marrucaio, pioppeto / pioppaia, pru-
neto / prunaia / prunaio, vigneto / vignaio, vincheto / vincaia) oppure derivate con altri
suffissi (abetina / abetaia, cedreto / cedriera, frascame / frascume, sterpato / sterpata /
sterpeto / sterpame / sterpaglia / sterpiccio). Alcuni derivati dalla stessa base con i suffissi
-eto e -aio, rispettivamente -aia, si distinguono per la possibilità del derivato in -aio o -aia
di avere anche un significato figurato (fungheto / fungaia, ginepreto / ginepraio, pruneto /
prunaio). Come si può notare, a differenza dei derivati da basi con il tratto '+umano', le
formazioni connotate negativamente sono molto rare (siepaglia). Da segnalare ancora che
la base può essere collettiva a sua volta (macchieto). A metà strada tra nomi di luogo (cfr.
5.1.1.3.1. e 5.1.1.3.2.) e collettivi si collocano anche dei derivati da zoonimi con i suffissi
-aio e -aia che designano sì una moltitudine di animali, ma in primo luogo indicano i pic-
coli fabbricati e recinti in cui essi vengono tenuti (gallinaio, pollaio), le tane, i nidi o le
cavità naturali che servono loro come rifugio (formicaio, polipaio), le costruzioni e gli
impianti adibiti al loro allevamento (anguillaia, colombaia, piccionaia) oppure porzioni di
terreno dove essi abbondano (serpaio!-aro, vermicaio). La connotazione peggiorativa, co-
me nel caso di uccellaia, è poco frequente per quanto riguarda i derivati da questo tipo di
basi. Gli stessi suffissi aggiunti a zoonimi formano dei nomi che designano dei versi / ru-
mori emessi contemporaneamente da gruppi di animali (cagnaial-ara "l'abbaiare di molti
cani insieme", cornacchiaia "gruppo di cornacchie che gracchiano contemporaneamente",
passeraio "pigolio di molti passeri"). Alcune formazioni in -aio e in -aia si riferiscono ad
un accumulo di entità con il tratto '-animato' e, in genere, anche al luogo dove esse si tro-
vano (ghiacciaio, letamaio, mondezzaio!-aro, nevaio', cenciaia, pietraia, sassaia)·, altri
indicano raccolte, repertori e simili (sapienzaio (BC), sciocchezzaio, scemenzaio (F)). Di-
versi derivati in -ario (cfr. 5.1.1.3.1.) designano per lo più insiemi di documenti scritti come
repertori, raccolte, liste, elenchi (blasonario, frasario, glossario, gridario, incipitario, indi-
rizzario, lemmario, massimario, minutario, notiziario, rimario, siglario, stemmario) e,
talvolta, anche i contenitori che li contengono / racchiudono / raccolgono (casellario, ossa-
rio, ricettario, schedario, vocabolario)·, altri indicano insiemi di entità diverse (campiona-
rio, fascettario, macchinario, sceccario (<— chèque, Q), strumentario). La base può anche
essere il risultato di una ellissi (stupidario) oppure di una estensione semantica di tipo me-
li suffisso -eto solo raramente si combina con altri tipi di base (macereto, masseto, sepolcreto).
252 5. Suffissazione
tonimico (stradario). Formazioni più recenti sono ideario (Q), insultarlo (BC), quizzario
(BC). Collezioni, raccolte e, in genere, anche i loro contenitori, designano anche i derivati
in -iere (canzoniere, medagliere, monetiere).
Un processo metonimico porta a designare insiemi di persone (camerata, carrozzata,
pancata, tavolata), di animali (gabbiata, nidiata) o di entità di varia natura (scaffalata,
spiedata, vallata) mediante derivati in -ata da basi nominali che designano contenitori e,
più in generale, spazi di localizzazione in senso lato; in fiaccolata "corteo formato da per-
sone che reggono ognuna una fiaccola accesa" la base ha altra funzione. Altre formazioni in
-ata designano una serie di elementi di costruzioni di varia tipologia (arcata, bastionata,
gabbionata, gradinata (per estensione anche "l'insieme degli spettatori che vi siedono"),
graticciata, palizzata, scalinata, travata, vetrata)·, ulteriori esempi di collettivi in -ata sono
carbonata, fascinata, penerata "insieme di vari peneri", viminata.
Il suffisso -ato ha valore collettivo in loggiato, particolato, porticato, tavolato, tova-
gliato indicando un insieme di entità designate dalla base nominale. Si può individuare un
valore collettivo anche in alcuni derivati in -iera come pedaliera, scogliera, tastiera, tubie-
ra che si riferiscono a entità costituite da una serie di elementi designati dalle basi. Abbia-
mo, infine, degli esempi isolati di collettivi denominali in -areccia (ferrareccia), -areccio
(barcareccio), -eggio (ponteggio), -uria (peluria).
Ciò che accomuna un sottogruppo di collettivi, a differenza degli altri che, pur veicolan-
do un'indicazione di pluralità, non possono tuttavia essere numerati aritmeticamente nei
singoli elementi che li compongono, sono le basi di derivazione costituite da numerali che
indicano in maniera esatta la quantità di entità di cui sono composti gli insiemi designati dai
derivati. Le formazioni in -etto indicano piccoli insiemi di persone; si tratta soprattutto di
complessi musicali composti da un determinato numero di strumentisti e/o voci o di brani
musicali composti per tali complessi (duetto, terzetto, quartetto, quintetto, sestetto, ottetto
(GRADIT)). Gruppi di vario tipo designano anche terziglia e terziglio, già menzionati so-
pra. Il suffisso -ina forma dei nomi che designano una combinazione di η entità; può trat-
tarsi di strofe poetiche composte da un determinato numero di versi (terzina, quartina,
sestina) oppure di diversi insiemi di η o di circa η unità dello stesso genere, variabili e
identificabili solo sintatticamente (cinquina, decina, quindicina, ventina, venticinquina,
trentina, quarantina, cinquantina, sessantina, settantina, ottantina, novantina). Un arco di
tempo, un periodo di η anni designano le formazioni in -ennio (ventennio, quarantennio,
cinquantennio, centennio ecc.). Ternario, settenario, ottonario, che si riferiscono a versi
composti da un determinato numero di sillabe o piedi metrici, sono di origine latina e non
formati in italiano. Cfr. anche centinaio, migliaio, con il significato "insieme di (più o me-
no) η unità", e la serie costituita da bimestre, trimestre, quadrimestre, semestre, che indica-
no un "periodo di η mesi", tutti latinismi.
Meritano di essere qui menzionati anche alcuni composti con significato collettivo for-
mati con gli elementi neoclassici -(o)logia e -(o)teca (fraseologia, scandalologia (BC),
simbologia, sintomatologia, terminologia; calcoteca, cartoteca, cineteca, diateca, discote-
ca, documentoteca, filmoteca, fototeca, iconoteca, itineroteca (BC), metalloteca, nastrote-
ca, registroteca, videoteca) per i quali si può consultare il 2.2.8.
5.1. Derivazione nominale 253
La maggior parte dei sostantivi denominali appartengono a una delle categorie trattate in
5.1.1.1. - 5.1.1.5. e 5.1.1.7. In questo capitolo, rimangono dunque solo da trattare quei
suffissi che non rientrano in nessuna di queste categorie. Si tratta, per forza, di un insieme
abbastanza eterogeneo.
Da un punto di vista diacronico (cfr. Collin 1918) il suffisso -ata deriva dai nomi d'azione
del tipo PASSEGGIATA (cfr. 5.1.3.1.2.3.), ma contrariamente alla sua fonte è denominale e
non deverbale. Esso è uno dei suffissi più frammentati semanticamente dell'italiano. Cio-
nondimeno si scorgono ancora, anche da un punto di vista sincronico, alcuni rapporti di tipo
metaforico e soprattutto metonimico fra i vari tipi e sottotipi.
Quello numericamente più importante, che designa un colpo dato con lo strumento indi-
cato dal sostantivo base, conserva ancora una chiara somiglianza con i nomi d'azione: basti
confrontare, per esempio, la formazione denominale bastonata "colpo dato con un bastone"
(es. prendere qualcuno a bastonate) e il suo omonimo deverbale col significato "il (fatto di)
bastonare" (es. gli ci vuole una buona bastonata). La fondamentale indipendenza del tipo
denominale è però provata anche, oltre che da considerazioni semantiche, dalla lunga serie
di formazioni in cui non esiste nessun verbo derivato per conversione dal sostantivo base:
baionettata, bottigliata, cannonata, ciabattata, coltellata, cornata, dentata, mazzata, pisto-
lettata, retata, sassata, sciabolata, stilettata, unghiata, vangata, zampata ecc. Il rapporto
fra base e suffisso è diverso, ma sempre metonimicamente relazionato, in bordata. «Colpi»
di vento e/o acqua invece designano: acquata, grandinata, grecalata, libecciata, scirocca-
ta, ventata. Mareggiata e nevicata, pur appartenendo a questo stesso campo semantico,
sono da considerarsi come deverbali. Sono degni di nota inoltre alcuni esempi che non si
riferiscono a un colpo vero e proprio ma piuttosto a un movimento brusco: cenciata, fiam-
mata, groppata, occhiata, pennellata, spallucciata ecc. Negli esempi seguenti, la base non
designa più (solo) l'oggetto mosso ma (anche) la parte del corpo che riceve un colpo: gi-
nocchiata, gomitata, nasata, panciata, schienata, stincata ecc. In un unico caso, piattonata
"colpo dato di piatto con la spada", la base esprime il modo in cui è eseguito il colpo. Da
menzionare, infine, alcune estensioni metonimiche come coltellata "ferita risultante da una
coltellata", balestrata "distanza cui può arrivare una freccia tirata con la balestra" ecc.
Anche il secondo tipo più importante è ancora vicino ai nomi d'azione ed esprime un
atto negativo tipico della persona designata dalla base. Il suffisso è limitato essenzialmente,
in quest'uso, a un numero abbastanza ridotto di campi semantici quali la stupidità (cfr.
asinata, cretinata, imbecillata, stupidata), la malvagità (cfr. canagliata, mascalzonata,
stronzata, vigliaccata), l'infantilismo (cfr. bambinata, ragazzata), la vanteria (cfr. bravata,
fanfaronata), ed alcuni altri (cfr. buffonata, cafonata ecc.). Un confronto con il suffisso
sinonimo -eria mostra che -ata è soggetto a restrizioni semantiche più forti: le sue civette-
rie / *civettate, galanterie / *galantate, metafisicherie / *metafisicate, pedanterie /
*pedantate, pitoccherie / *pitoccate ecc. Semanticamente un po' diverso è americanata
"cosa (!) tipica del costume americano". Molto rare sono le formazioni in cui il rapporto
semantico fra base e affisso è diverso: cazzata, grandezzata "ostentazione di grandezza",
quarantottata "manifestazione politica male organizzata (come i moti insurrezionali del
254 5. Suffissazione
1848)". I neologismi non sono rari: checcata (Q), cowboyata (Q), totoata "film interpretato
da Totò" (Q),frassicata "modo di esprimersi del comico televisivo Nino Frassica" (L) ecc.
Il terzo grande tipo (per cui cfr. anche 1.2.6.4.3.) si riferisce alla quantità che può conte-
nere l'oggetto designato dalla base: badilata, bicchierata, boccata, bracciata, cordata,
forchettata, manciata (da mano), nidiata (da nido), padellata, secchiata, tavolata ecc. Varie
di queste formazioni hanno anche o possono avere un omonimo che designa un colpo: ba-
dilata "colpo di badile" e "quantità rimossa con un badile" ecc. I seguenti esempi presenta-
no ovvie somiglianze con nidiata, ma il rapporto semantico fra base e suffisso è diverso:
chiocciata, cucciolata, figliata} Anche se il DISC non contiene esempi recenti, il tipo è
ancora produttivo: [le turiste] ripartivano con borsate che poi rivendevano alle amiche
(Goldoni, L., Lei m'insegna, Milano, Mondadori, 1985, 174), una madre [...] che scarrozzi
a scuola «pandate» di scolari condominiali (ibid., 153; da Fiat Panda).
I tipi restanti di formazioni in -ata non sono veramente produttivi, anche se non sono certamente
escluse singole formazioni analogiche. Un primo gruppo designa cibi o bevande: acciugata (salsa),
aranciata e limonata (bibite), cotognata (marmellata), peperonata e rognonata (pietanze) ecc. La
base, come si vede, si riferisce all'ingrediente più tipico. Cocomerata, maccheronata e spaghettata,
invece, non designano cibi bensì una mangiata di cocomeri, maccheroni o spaghetti. Queste forma-
zioni somigliano alle seguenti designazioni di feste ed altri avvenimenti sociali: bicchierata, carne-
valata, chitarrata, fiaccolata, mandolinata, mascherata, ottobrata "scampagnata che si fa nel mese di
ottobre", piazzata, scenata, serenata, tombolata. Il rapporto semantico fra base e suffisso, come si
vede, è abbastanza vario. Un senso analogo è presente anche nelle accezioni secondarie di mattinata e
serata, i cui significati primari appartengono alla serie chiusa dei sostantivi che designano una durata:
annata, giornata, invernata, mattinata, mesata, nottata, serata. In un altro gruppo, più eterogeneo,
-ata sembra avere un vago senso accrescitivo o collettivo (cfr. 5.1.1.5.3.): arcata, balconata, borgata,
camerata, cancellata, cannicciata "riparo di canniccio", gabbionata, gradinata, graticciata, navata,
palizzata, travata "trave di sostegno", vallata, vetrata.
II suffisso -eria è, come -ata, altamente frammentato. Serve, fra l'altro, a formare nomi
collettivi come argenteria (eft. 5.1.1.5.3.), nomi di luogo come birreria (cfr. 5.1.1.3.3.),
nomi di qualità come pedanteria (cfr. 5.1.2.1.2.1.5.) e, in minor misura, nomi d'azione
come ruberia (cfr. 5.1.3.1.2.6.). In questo paragrafo, rimangono da descrivere solo due tipi
denominali.
Il primo serve a denominare, a seconda dei casi, un'arte, una tecnica, un'attività artigia-
nale o industriale. La base designa normalmente il prodotto: arazzerla, liquoreria, orologe-
ria, pelletteria (da pelle), pellicceria ecc. 2 Ma è anche frequente che la base designi chi
esercita la professione: ebanisteria, erboristeria, falegnameria, modisterìa, oreficeria,
pirateria, senseria (da sensale) ecc. Nel caso in cui il nome di agente finisca in -iere, que-
sto suffisso viene cancellato: carpentiere —* carpenterìa, pasticciere —• pasticceria, pellet-
tiere —> pelletteria, ragioniere —* ragioneria ecc. In coppie del tipo falconeria / falconiere,
gioielleria / gioielliere ecc. poi sono pensabili ambedue le analisi. Non è comunque possi-
bile, senza inutili complicazioni formali, ridurre tutti i casi a derivazioni da basi che sono
Si confronti anche covata, chiaramente deverbale. Forse conviene mettere qui anche casata.
2
In falconeria non è un prodotto, bensì l'animale al centro dell'attività del falconiere.
5.1. Derivazione nominale 255
La base di conceria, eccezionalmente, è rappresentata dal rispettivo nome d'azione, cioè concia.
2
Traslatorese, è vero, è già attestato nel 1963 (CC), ma si tratta di un calco precoce ed isolato
dell'inglese translatorese rimasto senza seguito. È certamente significativa l'assenza del tipo da
Dardano 1978, manuale generalmente attento alle innovazioni.
256 5. Suffissazione
Il suffisso si applica soprattutto a basi nominali. Le poche basi aggettivali sono o agget-
tivi di relazione (cfr. sindacalese, aziendalese (L) ecc.) o aggettivi qualificativi che denota-
no la proprietà criticata del gergo in questione (cfr. stupidese, difficilese (Q), facilese (Q)
ecc.). Fra le basi nominali, possiamo distinguere nomi comuni e nomi propri. Di
quest'ultimo gruppo, abbiamo già citato sanremese, il «linguaggio banale e artefatto delle
canzoni presentate al festival di Sanremo» (CC), al quale potremmo aggiungere cossighese
(BC; da F. Cossiga), freudese (F), il linguaggio non di Freud stesso ma dei suoi discepoli,
leghese (F) ecc. I nomi comuni designano molto spesso un determinato gruppo sociale,
normalmente una categoria professionale: burocratese, filosofese (Q), giovanese (Q), ma-
fiese (BC), medichese (BC), paninarese (BC), poetese (L) ecc. Invece dei membri di un
gruppo, la base può anche designare un campo di attività, rappresentato magari dall'oggetto
più saliente: calcese (BC), computerese, droghese (BC), economese (Q), pallonese (BC),
pedagogese (F), semiologese (Q), sociologese (Q) ecc.1 Per alcune formazioni, è possibile
interpretare la base in ambedue le maniere appena esposte: critichese (Q), informatichese
(BC), politichese ecc. Più raramente, la base denota il medium di cui è caratteristico il ger-
go: giornalese, quotidianese (L), telegiornalese (F), titolese ecc. Rarissimamente infine, la
base sta per una caratteristica linguistica: gerghese (Q), siglese (BC). Il dominio di -ese si
presenta dunque alquanto eterogeneo tanto rispetto alla categoria sintattica delle basi (nomi,
aggettivi) quanto alla categoria semantica dei nomi base. Ma si noti che tutti i tipi di base
sono legati da rapporti metonimici abbastanza stretti.
Mentre le denominazioni di lingue tipo il francese (cfr. 7.2.2.3.) sono da considerarsi
come conversioni degli aggettivi corrispondenti (francese —• il francese', cfr. la lingua
francese), l'uscita del tipo SINISTRESE è direttamente nominale. L'uso aggettivale di tali
formazioni, attribuibile a una conversione Ν —• A, è estremamente raro: sintassi e costru-
zione del periodo leghese vanno a orecchio (F, 149).
1
In queste quattro formazioni si cancella Y-ia della base: economia —» economese ecc. Altre can-
cellazioni sono più sporadiche: televisione —• televísese (Q), psicanalisi —• psicanalese (BC) ecc.
5.1. Derivazione nominale 257
bile: sembra infatti che la base possa designare qualunque elemento saliente della conce-
zione designata. Particolarmente frequenti come basi sono, in questa categoria semantica, i
nomi propri, dato che una determinata concezione è spesso stata ideata da una sola persona.
Invece del nome proprio può anche apparire l'aggettivo di relazione corrispondente, senza
che la scelta fra queste due possibilità sia ovvia: ciceronianismo, hegelianismo, malthusia-
nismo, paolinismo ecc. Dal campo politico o politico-economico menzioniamo: annessioni-
smo, aperturismo, attendismo, bolcevismo, capitalismo, carrismo "atteggiamento politico
favorevole all'intervento dei carri armati" (Q), castrismo, dirigismo, divorzismo "politica
favorevole al divorzio" (Q), gollismo, gorbaciovismo, hitlerismo, imperialismo, leghismo,
liberalismo, marxismo, mercantilismo, monetarismo, socialismo, terzomondismo ecc. Al-
cune di queste formazioni designano anche, oltre che delle concezioni politiche, dei sistemi
di governo: assolutismo, castrismo, colonialismo, dispotismo, fascismo, imperialismo, zari-
smo ecc. Avendo i sistemi di governo in genere un inizio e una fine, queste formazioni
possono anche riferirsi metonimicamente al tempo in cui questi sistemi erano in vigore:
durante il fascismo ecc. Siccome varie concezioni politiche si ispirano a sistemi filosofici
(cfr. marxismo) o scientifici (cfr. monetarismo), le frontiere fra questi campi sono fluide.
Dal campo filosofico menzioniamo: atomismo, cartesianismo, empiricismo, esistenziali-
smo, kantismo, marcusismo (Q), platonismo, positivismo, schopenhauerismo (Panorama
26-3-1989, 18) ecc. Senza soluzione di continuità entriamo nel campo delle scienze
dell'uomo: behaviorismo, connessionismo, costruttivismo, darwinismo, generativismo,
strutturalismo ecc. In questo gruppo è interessante notare che in tutta una serie di parole
-ismo denota una versione abusiva della scienza designata con -ia: biologia vs biologismo,
economia vs econom(ic)ismo, filologia vs fìlologismo, psicologia vs psicologismo, sociolo-
gia vs sociologismo ecc. Può darsi che quest'uso peggiorativo di -ismo si debba al fatto che
questo suffisso designa spesso sistemi di credenza: ateismo, calvinismo, deismo, induismo,
integrismo, khomeinismo, quaccherismo, quietismo, totemismo ecc. Oltre alle religioni,
troviamo anche molte denominazioni di correnti artistiche in -ismo·. antonionismo "moda
cinematografica che si ispira ai film di M. Antonioni" (Q), burrismo "imitazione dello stile
di A. Burri" (Q), classicismo, eclettismo, ermetismo, espressionismo, fellinismo "ammira-
zione per F. Fellini" (Q), futurismo, picassismo (Panorama 26-4-1987, 13), simbolismo
ecc. Infine c'è da menzionare una lunga serie di concezioni, disposizioni e atteggiamenti
individuali, non costituiti necessariamente in sistema: altruismo, arrivismo, campanilismo,
cinismo, conformismo, cosmopolitismo, dilettantismo, disfattismo, egoismo, facilismo, fa-
milismo, leccapiedismo (Q), con ottuso sergentismo (Le commedie di Dario Fo, II, Torino,
Einaudi, 1977, 125) ecc.
Il grande gruppo delle designazioni di concezioni si distingue da altri usi di -ismo per il
fatto che, in linea di principio, è quasi sempre possibile formare un prefissato con neo- (cfr.
neohegelianismo, °neobehaviorismo ecc.) o un sostantivo corrispondente in -ista designante
il fautore della concezione in questione (cfr. positivismo —* positivista ecc.). Le formazioni
in -ista, tuttavia, possono essere bloccate se esiste un'altra designazione per la persona
favorevole alla concezione in questione: ateo / *ateista, hegeliano / *hegelianista ecc. Un
altro fatto che contraddistingue questo gruppo è che solo le concezioni si esprimono anche,
sotto determinate condizioni, con il suffisso -esimo, etimologicamente identico a -ismo. Fra
le formazioni tradizionali, dominano le denominazioni di concezioni religiose. La base è in
genere un aggettivo di relazione in -ano: anglicanesimo, confucianesimo, cristianesimo,
francescanesimo, luteranesimo, paganesimo, puritanesimo ecc. Ma ricorrono occasionai-
258 5. Suffissazione
Rimangono da menzionare due nomi d'azione in -esimo (cfr. 5.1.3.1.2.6.): battesimo e incantesi-
mo, da relazionare rispettivamente con i verbi battezzare e incantare.
5.1. Derivazione nominale 259
fissa. In molte parole questa sequenza finale rimane intatta: agnosticismo, bellicismo, clas-
sicismo, gallicismo, misticismo, praticismo, scolasticismo, storicismo ecc. In altre invece
cade: Patto atlantico —• atlantismo (Q), arcaismo, cristocentrismo, dinamismo, dogmati-
smo, patetismo, patriottismo ecc. Ed anche i casi di oscillazione non mancano: di-
datt(ic)ismo, eclett(ic)ismo, esot(ic)ismo, matemat(ic)ismo ecc. In bolscevismo cade Y-ico
di bolscevico.
In 5.2.1.1.2. si vedrà che -istico è un suffisso molto produttivo per la formazione di aggetti-
vi di relazione. Accanto a questo suffisso aggettivale -istico, nell'italiano odierno esiste
però anche un suffisso nominale -istica che si può ormai aggiungere a basi nominali per
formare direttamente nomi di vario significato, senza passare per uno stadio aggettivale. 1 A
riprova dell'esistenza di un suffisso -istica indipendente si può addurre l'osservazione di-
stribuzionale che, stando alle indicazioni del DISC, circa la metà dei sostantivi in -istica è
senza un corrispondente aggettivo di relazione usuale in -istico. Ciò è un indizio abbastanza
sicuro che la loro formazione non sia passata attraverso uno stadio aggettivale, anche se va
rilevato che tutti gli aggettivi corrispondenti sono delle formazioni potenziali, dato che da
un sostantivo in -istica si può sempre ricavare mediante conversione un aggettivo di rela-
zione in -istico (cit. 7.2.1.2.): linguistico, ad esempio, non significa solo "relativo alla lin-
gua" (discussioni linguistiche ecc.) ma anche "relativo alla linguistica" (scuole linguistiche
ecc.). Ad una serie derivazionale francese —• "francesistico —* francesistica (conversione o
ellissi), con stadio intermedio virtuale, preferiamo dunque la serie francese —•francesistica
—> "francesistico (conversione), che fa a meno di stadi intermedi virtuali problematici (cfr.
Rainer 1997) nella misura in cui la loro non-attestazione non è dovuta, nel nostro caso, a
lacune accidentali nella documentazione.
Il gruppo più cospicuo di formazioni in -istica è costituito da denominazioni di discipline
accademiche. Predominano le scienze umane: africanistica, americanistica, arabistica,
biblistica (da riferire a bibbia), dantistica, francesistica, germanistica, indoeuropeistica,
iranistica, islamistica, ispanistica, mediev(al)istica, orientalistica, patristica (da riferire ai
padri della Chiesa), romanistica, russistica, semitistica, slavistica, stilistica ecc. Ma le
scienze umane non sono le uniche a servirsi del suffisso -istica, come mostrano atomistica,
balistica, faunistica, impiantistica, infortunistica, insiemistica, oculistica, radaristica, stati-
stica, strutturistica ecc. A prima vista, la nostra affermazione che le basi di questo tipo di
formazioni siano nominali sembra contraddetta da questa lista. Infatti sono relativamente
pochi i casi in cui la base è un sostantivo incontrovertibile: dantistica, stilistica ecc. Ma si
noti che in altri è altamente plausibile che si tratti dell'aggettivo sostantivato riferito alla
lingua: (il) francese —* francesistica ecc. E in altri casi infine si potrà pensare a basi poli-
rematiche con caduta della testa nominale: lingue indoeuropee —*• indoeuropeistica ecc. In
germanistica, iranistica, ispanistica, semitistica, e simili cade il suffisso '-ico della base. La
1
D'avviso contrario è Tekavôic (19802, § 1035), che rispetto a germanistica ecc. parla di un «fem-
minile sostantivato». Il suffisso è assente da Dardano 1978. Dal punto di vista diacronico, il suffis-
so nominale -istica è il risultato sia di ellissi e rianalisi a partire da sintagmi come chimica atomi-
stica o simili sia di calchi di formazioni analoghe di altre lingue europee (ted. Statistik > it. stati-
stica ecc.), oppure di ambedue le cose alla volta.
5.1. Derivazione nominale 261
caduta della [dz] finale in romanistica "studio delle lingue e letterature romanze" è del tutto
immotivata sullo sfondo della lingua italiana e si deve al fatto che si tratta di un calco del
tedesco Romanistik, dove la caduta di -iseh di romanische (Sprachen und Literaturen) è
invece regolare. Anche la stragrande maggioranza delle altre formazioni in -istica sono
naturalmente, dal punto di vista diacronico, calchi e non formazioni autoctone.
Il secondo gruppo più importante, accanto alle denominazioni di discipline accademiche,
è costituito dalle denominazioni di generi letterari: annalistica, cronachistica, favolistica,
fiabistica, fumettistica (Q), manualistica, novellistica, saggistica ecc. A volte, attraverso
un'estensione semantica, queste formazioni assumono valore collettivo (cfr. 5.1.1.5.3.),
riferendosi (anche) all'insieme della produzione letteraria in questione. Dal campo scienti-
fico, l'uso di -istica si è poi anche esteso al campo affine dell'arte: cembalistica, citaristica
"l'arte di suonare la cetra", luministica "arte di illuminare la scena teatrale". Un'altra esten-
sione ha toccato diverse attività economiche: accessoristica, cantieristica, cartellonistica,
componentistica, computeristica, impiantistica (Q), mercatistica, missilistica (Q), motori-
stica, progettistica, vetrinistica ecc. Come nelle altre serie, la base designa l'oggetto
dell'attività (in cantieristica si tratta piuttosto del luogo che del prodotto). Più lontane dal
campo semantico originario sono alcune designazioni di discipine sportive (cfr. anche ago-
nistica, che è già del secolo XVIII): attrezzistica, pesistica, tuffistica.
La variabilità semantica fra base e suffisso rispecchia la variabilità delle relazioni semantiche fra
nucleo nominale e aggettivo di relazione.
Anche -oide è un suffisso primariamente aggettivale, che serve a derivare aggettivi di somiglianza
(cfr. 5.2.1.1.3.): amigdaloide, antropoide, criminaloide ecc. Molti di questi aggettivi si possono usare
anche ellitticamente come sostantivi: un antropoide ecc. Da aggettivi sostantivati in -oide si è poi
anche ricavato, via rianalisi, un suffisso denominale col significato "N simile a Ν base": la chimica
conosce alcaloide, metalloide ecc., l'astronomia asteroide, planetoide, satellitoide ecc., la linguistica
prefissoide, suffissoide ecc., la geometria cilindroide, conoide, romboide ecc. Nelle formazioni della
geometria è però molto difficile decidere nei singoli casi se si tratta di un'ellissi o di una formazione
denominale diretta, già che in alcuni casi è anche attestato l'aggettivo corrispondente (es. trapezoide).
Il linguaggio filosofico conosceva da tempo alcune formazioni in -ema di origine greca, ma moti-
vate anche in italiano, come categorema o filosofema.1 Nel ventesimo secolo, la linguistica, specie
quella di orientazione strutturalista, cominciò a servirsi di questo suffisso per creare delle denomina-
zioni di unità linguistiche minime: fonema (a. 1910), morfema (a. 1931), semantema (a. 1937), grafe-
ma (a. 1956), semema (a. 1960), lessema (a. 1966), monema (a. 1966), glossema (a. 1969), tonema (a.
1979), prosodema (Lingua e Stile 31,1996, 219) ecc. Con la moda dello strutturalismo, questo suffis-
so si è poi anche esteso ad alcune scienze affini quali l'antropologia o la critica letteraria: mitema (a.
1978), antropema (a. 1991), stilema (a. 1980), rimema (a. 1987) ecc. Come si vede, le basi erano
originariamente degli elementi formativi di origine greca, ma successivamente il suffisso si è attac-
cato anche a basi indigene. Quasi tutte le formazioni elencate sono, fra l'altro, dei prestiti, ma il suf-
fisso è ormai anche disponibile per creazioni autoctone.
Il resto dei suffissi è limitato a pochi casi, spesso molto eterogenei tra di loro. Si elencheranno qui
di seguito in ordine alfabetico. Un suffisso -acciàio è presente in mostacciolo "dolce costituito da
farina impastata con mosto ..." e vinacciolo "seme contenuto nell'acino dell'uva". Il suffisso -aggine,
ancora produttivo per formare nomi di qualità peggiorativi (cfr. 5.1.2.1.2.1.5.), ricorre anche in un
numero chiuso di nomi di piante, per Io più erbacee: capraggine (gradita alle capre), favaggine, fu-
saggine (usata per fare fusi), lentaggine, piantaggine, piombaggine, tossilaggine (usata contro la
tosse). Lombaggine designa un dolore muscolare nella regione lombare, il raro ventaggine una folata
di vento, e mucillaggine forse è ancora riferibile a muco. Di -aggio abbiamo menzionato poco sopra il
significato "tributo"; le restanti formazioni denominali sono dei casi isolati: carriaggio "capace carro
a quattro ruote usato un tempo negli eserciti", erbaggio "erba commestibile", linguaggio, ortaggio,
paesaggio, personaggio. Un suffisso -agna ricorre solo in campagna e montagna, così come nel
regionale e scherzoso pedagna "piede" e nel letterario seccagna "secca molto estesa". I sostantivi
denominali in -ana sono in genere degli aggettivi sostantivati dove l'aggettivo originario non esiste
più nella lingua attuale: argentana "lega simile all'argento", collana, fiumana, fontana, fumana "neb-
bia non fitta", tose, lampana "lampada", region, mammana "levatrice". Casi come ventisettana e
quarantana, denominazioni delle edizioni dei Promessi sposi rispettivamente del 1827 e del 1840, e
molti casi simili, possono considerarsi ancora come dei casi di conversione o ellissi. I suffissi -aia e la
sua variante regionale -ara servono innanzitutto a formare nomi di strumento (cfr. 5.1.1.1.2.5.) e di
luogo (cfr. 5.1.1.3.2.), ma ci sono anche alcune formazioni con significato diverso (cfr. anche
5.1.1.5.3.): cagnaia / cagnara "rumore fastidioso di più cani che abbaiano contemporaneamente",2
fiumara, lampara "grossa lampada usata di notte nella pesca", levantara "forte vento di levante".
Oltre ai nomi di strumento (cfr. 5.1.1.1.2.5.), il suffisso -aiola e la sua variante regionale -arola sono
ancora presenti in barcarola, boccarola "eruzione cutanea che si sviluppa agli angoli della bocca",
fumarola "emissione di gas dal cratere", e in alcuni termini zoologici come rapaiola (farfalla), sal-
ciaiola (uccello), fienarola (rettile) o sterparola (uccello). In alcuni casi come linaiola (pianta), mar-
zaiola (anatra) o prataiolo (pianta) il DISC registra anche l'aggettivo di relazione corrispondente in
-aiolo, così che si potrebbero trattare anche sincrónicamente come dei casi di ellissi o conversione.
1
Marginalmente motivate sono anche le due formazioni settecentesche glossema e patema.
2
Cfr. anche: cornacchiaia "gruppo di cornacchie che gracchiano contemporaneamente", passeraio
"pigolio di molti passeri". Si tratta dunque di estensioni semantiche a partire da usi locativi o col-
lettivi. In gallinaio e pollaio i due sensi sono ancora usuali.
264 5. Suffissazione
Un suffisso -arizzo si osserva nel termine nautico barcarizzo "apertura nel parapetto delle navi". Con
base nominale, -asco solo ricorre nei due termini giuridici maggiorasco e minorascoOltre ai nomi
di status contea e viscontea (cfr. 5.1.1.4.2.), un suffisso -ea si può isolare in canea "l'insistente ab-
baiare di cani che inseguono la selvaggina", marea, nomea e il non comune nobilea "gruppo di nobili
o arie da nobile", il termine architettonico scalea "scalinata monumentale", nonché i due gallicismi
letterari fumea e vallea. Alcuni nomi di piante, come ninfea, paradisea ecc., presentano un suffisso
'-ea, che risale alla forma femminile dell'aggettivo corrispondente, non più registrato dal DISC. Il
suffisso -ia è essenzialmente deaggettivale (cfr. 5.1.2.1.2.1.3.); le formazioni denominali sono poche
ed eterogenee: caloria, mercanzia, oroscopia, prigionia, profezia, rapsodia, telefonia, telegrafia. Il
suffisso -iade designa un avvenimento sportivo in olimpiade, modello di Universiade "olimpiade per
studenti universitari", da analizzare forse come parola macedonia (cfr. 9.).2 Un suffisso '-ice appare in
dentice (nome di pesce con denti vistosi) e gattice (varietà di pioppo i cui amenti ricordano una coda
di gatto). Le poche formazioni con il suffisso -iglio sono abbastanza frammentate semanticamente;
nel nostro contesto vanno menzionati il termine zoologico barbiglio "appendice sensoriale cutanea
che alcuni pesci hanno all'angolo della bocca", il termine pittorico cartiglio "raffigurazione di un
rotolo di carta", cordiglio "cordone di certi monaci", fondiglio, naviglio "canale navigabile" e ventri-
glio "parte dello stomaco di uccelli" ecc. Un suffisso -igno/a ricorre nella coppia patrigno / matrigna·,
in vitigno invece -igno induce un cambio di genere. Il suffisso -ime ha innanzitutto valore collettivo
(cfr. 5.1.1.5.2.), ma sono da segnalare anche due altre formazioni: lattime "malattia dei lattanti" e
piantime "piantina pronta per essere trapiantata". Nel seguente gruppusculo di formazioni si può
scorgere un vago suffisso -imonio: mercimonio, testimonio, il deverbale prestimonio "rendita eccle-
siastica senza titolo di beneficio".3 A parte i diminutivi (cfr. 5.1.1.7.16.1.1.), le mozioni (cfr.
5.1.1.1.12.7.) e i nomi di sostanze chimiche tipo chinina, ci sono solo pochi casi, per di più abbastan-
za eterogenei, di sostantivi denominali in -ina: carneficina, cotonina "tessuto leggero di cotone",
dentina "tessuto osseo del dente", faggina "seme di faggio", medicina, pettorina "pezzo di stoffa per
ricoprirsi il seno", spallina, tonnina "carne di tonno", zoppino "una malattia che rende zoppo". In casi
come marina, in cui esiste un aggettivo di relazione parallelo in -ino, è spesso difficile dire se siamo
di fronte a una formazione per ellissi o conversione oppure a una derivazione con un suffisso nomi-
nale -ina. Un suffisso denominale -izio si ha in palmizio "albero della palma" o "ramo di palma".
Limitato a due formazioni è -izza'· canizza "l'insistente abbaiare di cani che inseguono la selvaggina",
manizza "impugnatura del timone". Un suffisso -ule è presente in tre formazioni semanticamente
dispari: canapule "ciò che resta del frutto della canapa una volta privata delle fibre", grembiule (da
grembo, con interfisso -/-) e pedule "parte della calza che copre la pianta del piede dalla punta al
calcagno".
1
Maggiore e minore sono degli aggettivi, ma in queste formazioni è più probabile che abbiamo a
che fare con le sostantivazioni il maggiore e il minore.
2
Diade e triade invece contengono una base legata -ade combinata con i prefissi di- e fri-.
3
Anche pinzimonio sarebbe stato derivato da pinzare con questo suffisso! Matrimonio e patrimonio
non sono motivati sincrónicamente.
5.1. Derivazione nominale 265
(a) diminutivi: -ino/a, -etto/a, -ello/a, -uccio/a, -uzzo/a, -otto/a, -(u)olo/a, -icci-(u)olo/a, -iolo/a,
-acci-olo, '-olo/a, -àtt-olo/a, -onz-olo/a, -usc-olo, -agn-olo, -ign-olo/a, -occ-olo, -isc-olo, -ùgi-
olo/a, -icola/o, -occhio/a, -occio/a, -ozzo/a, -atto/a, -acchio/a, -icchio/a, -ulo/a, -iggine, -iglio,
-ecchio, -ischio, -ottero/a;
(b) accrescitivi: -one/a, -otto/a, -ozzo/a, -asso;
Categorie semantiche denominabili come «vezzeggiativi» e «attenuativi» non sono qui formal-
mente distinte all'interno del paradigma dei diminutivi in quanto si ritiene che tutti i suffissi dimi-
nutivi, in contesti adeguati, siano in grado di svolgere sia l'una sia l'altra funzione.
2
L'uso diminutivo, come in pollastro, o riduttivo (per precisione e completezza), come in fratella-
stro, figliastro non sono più produttivi.
266 5. Suffissazione
(c) peggiorativi: -accio/a, -azzo/a, -ucolo/a, -astro/a, -ame, -urne, -aglia, -iglia, -ardo/a, -ùncolo,
-occherà, -accolo/a, -upola/-ipola, -ercolo, -offia.
Nelle liste si sono inclusi sia i suffissi molto produttivi e diffusi (-ino, -etto, -uccio, -elio,
-otto, -one, -accio) sia i suffissi scarsamente produttivi oppure ormai fossilizzati in termini
lessicalizzati. La ragione per questa scelta ampia sta nel fatto che proprio questi ultimi
possono essere oggetto di un processo di recupero in occasionalismi ludici, giornalistici,
pubblicitari e in neoformazioni gergali. Sono anche protagonisti di certi usi idiolettali o
creativi con cui il parlante opta per un particolare impegno elaborativo uscendo da schemi e
formule comuni. Si attestano allora combinazioni con suffissi inconsueti come amorucolo
(Serianni 1994, 262), occhierugioli (Gadda, C. E., Quer Pasticciaccio brutto de via Meru-
lana, Milano, Garzanti, 1991, 37), cagnolazzo e scaltrigno (D'Arrigo, S., Horcinus Orca,
Milano, Mondadori, 1975, 970 e 1124), folenotteri (termine ludico indicante i seguaci di
Gianfranco Folena, L; per analogia con balenotteri) che si affiancano a combinazioni con
basi inconsuete come subcoscientino (Guareschi, G., Diario clandestino, Milano, Rizzoli,
1972, 83).
Analizzando tutta la vasta gamma dei suffissi, è possibile constatare che gli alterativi ap-
partengono all'area derivazionale secondo un andamento graduale e non binario. Alcuni di
essi partecipano più di altri delle caratteristiche prototipiche della derivazione, pur ammet-
tendo usi alterativi. È il caso del suffisso -aglia, per esempio, che forma normalmente deri-
vati nominali collettivi, ma che può assumere valore alterativo (cfr. 5.1.1.7.17.3.) come
nell'appellativo (in uso in Emilia) piccinaglia, scherzosamente peggiorativo, rivolto ad un
bambino, o bambinaglia, rivolto ad un gruppo di piccoli.
Il doppio uso, prototipicamente derivativo vs prototipicamente alterativo, è comunque
possibile per quasi tutti i suffissi menzionati. Per esempio, a fronte dell'alterato «vivo»
(terminologia di Serianni 1988) manina, un derivato (alterato apparente) come locandina
"cartello publicitario", ormai opaco nel suo legame semantico con l'attuale senso di locan-
da, si colloca all'altro polo di un continuum che prevede diversi stadi e diversi gradi di
lessicalizzazione. A gradi intermedi si collocano, per esempio, formazioni come leoncino,
posticino (nel suo uso eufemistico per "toilette"), giubbino ecc., il cui valore oscilla tra
alterativo vivo e derivativo lessicalizzato anche in dipendenza della situazione d'uso. Si
confronti il diverso status di leoncino in la leonessa coi suoi leoncini "cuccioli di leone",
rispetto all'ironico lui vive in Africa in mezzo ai suoi amati leoncini, serpentelli, scimmiotti.
Gli alterati del secondo esempio esprimono, da parte del parlante, un'affettività ironica-
mente empatica con il referente (cfr. Dressler / Merlini-Barbaresi 1994, 206), ma potrebbe-
ro essere tranquillamente sostituiti dalle rispettive basi, a differenza di quelli del primo
esempio.
Certi suffissi, inoltre, come appunto -ino (cfr. 5.1.1.7.16.1.1.), presentano una grande
frammentazione semantica ed hanno impieghi molteplici, e, almeno in prospettiva sincroni-
ca, si hanno dubbi se siano casi di polisemia o di omofonia. Il suffisso -ino non è solo alte-
rativo, ma anche formativo di derivati prototipici, come aggettivi di relazione, nomi di
mestieri, nomi di strumenti (in genere di piccole dimensioni), nomi e aggettivi etnici e rela-
tivi toponimi. In questi casi il suffisso è artefice di un processo che possiede le proprietà
prototipiche della derivazione: cambia categoria sintattica e significato della base, assume
le proprietà di testa e, all'interno di ogni tipo di funzione, rispetta l'unità categoriale della
base. Esiste tuttavia un'area intermedia in cui le formazioni sono di ambigua collocazione,
5.1. Derivazione nominale 267
perché il processo derivativo sembra passare, in vario modo, attraverso l'alterazione o co-
munque assumerne alcuni significati. E il caso di certi nomi di mestieri, come il diminutivo
lessicalizzato piccinina "apprendista di una sarta o modista", i diminutivi traffichino, fogni-
no (uso popolare in Lombardia), probabilmente forme attenuate dei rispettivi accrescitivi
trafficone e fognone "persona che confonde o nasconde i fatti"; i nomi degli strumenti,
come tronchese —> tronchesina, telefonino, videotelefonino, spazzolino, radiolina-, e aero-
pianino, automobilina (intesi come modellini). Riprendendo un uso latino, si denominano
anche membri giovani di una famiglia, come le sandrelline <— Sandrelli (nota attrice), le
rivelline <— Rivelli (nome reale dell'attrice Ornella Muti), da un recente commento televisi-
vo, dove si generalizzava sulle figlie di attrici che diventano attrici a loro volta, oppure
emuli e seguaci di scarsa importanza, come i craxini (dall'ex-leader politico Craxi,
L'Espresso 6-1-2000) o i prodini, per esempio in Prodi e i prodini (L'Espresso 24-3-95),
e similmente le raffaelline, giovani emule della presentatrice televisiva Raffaella Carrà. Si è
ritenuto pertanto che non fossero opportune rigide distinzioni, perlomeno a livello di esem-
pi, tra alterati vivi, lessicalizzazioni e alterati apparenti.
1
Nel viterbese è attestato un uso di Dio+pegg. nelle bestemmie.
268 5. Suffissazione
1
Rohlfs 1969, § 1033 riporta il lucchese ce n'è-icchia.
5.1. Derivazione nominale 269
squa, per il quale si osserva un derivato Pasquetta "il lunedì di Pasqua" e carnevale, con
carnevalino/-one/-etto. Se la base è un nome comune, può essere: (a) concreto (persone,
oggetti, animali): donnina, coltellaccio, vitellino-, (b) astratto: passeggiatina, amorazzo,
sentimentuccio, ripresina "ripresa economica di modesta entità", distanzina (per esempio,
in eh, è una bella distanzina), momentino, weekendino, annetto, momentaccio, periodacelo',
(c) collettivo: popolino, mandrietta, flotte re lla\ (d) di massa: lattino, acquetta e panino
(soprattutto di uso bambinesco, come in su, da bravo, bevi tutto il lattino oppure mangia
anche il panino insieme alla carnina, ed anche di uso adulto, come in e se tu bevessi un po'
meno vino e un po' più di acquetta?, oppure eh, il polipo vuole un po' d'acquetta (ricetta
raccontata a voce), escludendo l'uso secondariamente numerabile («singolativo» in Grandi
2000), come in un panino imbottito, un burrino, una marmellatina "piccole confezioni
individuali da alberghi". Come si vede sopra non vi è preclusione di genere né di numero, e
il nominale può essere una parola semplice (primitiva) oppure derivata.
Neppure i composti, a parte le limitazioni di ordine semantico, precludono l'alterazione,
specie col suffisso di uso più frequente, -ino. Si danno i casi seguenti: (a) N+N: cassapanca
—» cassapanchina/-etta, capolavoro —> capolavorone-, (b) N+A: cassaforte —* cassafortina,
persino l'esocentrico il/la pellerossa —» il pellerossino / la pellerossina\ (c) A+N: franco-
bollo —* francobollino, mezzacalzetta (m. e f., lessicalizzato), mezzamanica (lessicalizzato)
—> mezzamanichina; (d) V+N sing.: asciugamano —» asciugamanino, portafoglio —• por-
tafoglio·, (d') V+N pl.: cavatappi —* cavatappino, battipanni —* battipannino; (e) Prep+N:
fuoribordo fuoribordino, sottopasso —> sottopassino (in un'intervista televisiva, 15-1-
2000, a proposito della scena finale di Tosca, magari c'era un comodo sottopassino per
Tosca che si butta). Si osservino due esempi letterari marciapiedino (Pasolini, P. P., Ragaz-
zi di vita, Milano, Garzanti, 2000, 116) e grattacieletto (Pasolini, P. P., Una vita violenta,
Milano, Garzanti, 1973,109).
nel caso di -ino, si notano cucinino, rondinini, pettinino, piccinina ed anche parole con
ricorrenza dello stesso suffisso -ino, come, tantinino, pochinino, pancinino. Più rigida appa-
re la restrizione quando l'analogia riguarda una sequenza più ampia, come nel caso di ter-
minazioni -ettV che sfocerebbero in alterati inaccettabili come *lettetto, *fazzolettetto,
*tettetta. Anche la sequenza -trV- (segnalata da Rainer 1990) tende a bloccare il costrutto
con -etto, come in *teatretto,Ί lastretta.1 La tendenza ad evitare analogie di suono tra termi-
nazione della base e suffisso non è comunque prevedibile. Anche formazioni col suffisso -
elio, come *solello, *vallella, *ballello, *bollello, vengono evitate o modificate con
l'aggiunta di un interfisso (cfr. 5.1.1.7.13.), come in sol-ic-ello, vall-ic-ella, ma sequenze
come pasticciaccio, facciaccia, versucciacci sono perfettamente accettabili. Un'ampia
scelta di suffissi sinonimi, come è il caso tra i diminutivi, d'altra parte, permette all'italiano
di prediligere combinazioni eufoniche o forse più naturali (che comportino cioè minore
sforzo articolatorio).
1
Quest'ultimo è attestato nel DISC, che riporta anche pilastr-etto.
2
Seguendo Rainer 1990, si è tentato di verificare se la scelta tra due suffissi sinonimi come -ino ed
-etto sia effettivamente in qualche modo condizionata dalla sequenza finale della radice, ma il
DISC non conferma molte delle tendenze rilevate da Rainer (relativamente a 500 vocaboli e sulla
base dei responsi di 4 informanti).
3
Non costituisce necessariamente un blocco per l'alterazione con -ino la forma omofona del corri-
spondente aggettivo di relazione, per esempio cavallino, come in denti cavallini, cipollina come in
erba cipollina, corallino, volpino, corvino ecc. Rimane tuttavia, anche in questo caso, la tendenza
generale a differenziare i suffissi, specializzandone l'uso. Si hanno molti casi, infatti, come agg.
nervino e sost. dim. nervetto, agg. montanino e sost. dim. monticello, agg. carnicino e sost. dim.
camina.
5.1. Derivazione nominale 271
1990, 211, non sempre si attuano queste restrizioni, per esempio banchetto mantiene
l'accezione di diminutivo oltre a quella di "pranzo importante".
Da notare che sostantivi deverbali in -one indicanti l'azione, come ribaltone, ruzzolone, sdruccio-
lone, scivolone ecc. bloccano analoga formazione indicante colui che compie tale azione in modo
esagerato, come in *sei uno scivolone per intendere persona che scivola troppo.
272 5. Suffissazione
Si confronti questo uso con quello sostantivale di certi aggettivi, come bionda, mora: anch'essi
possono, per via metonimica, designare persone, e al pari di esse anche le loro forme alterate bion-
dina, morettina, biondone, ma il suffisso alterativo non è di per sé coinvolto nella modificazione
categoriale.
5.1. Derivazione nominale 273
si formano seguendo la classe flessiva instaurata dal suffisso diminutivo, quindi manine, e
non *manini.
Le basi che al plurale cambiano genere, come braccio —• pi. braccia, dito —• dita, ginoc-
chio —• ginocchia, osso —• ossa, lenzuolo —> lenzuola, corno —• corna ecc., hanno un plu-
rale basato sul singolare diminutivo, come braccio —> braccìno —* braccìni (con entrambi i
significati di "arti" e "prolungamenti di oggetti, di lago ecc.") e similmente ditini, ginocchi-
ni, ossicini, lenzuolini, cornini, oppure, meno frequentemente, mantengono il genere fem-
minile acquisito nella forma plurale e formano un diminutivo plurale sulla base della classe
flessiva più stabile al femminile plurale, quella con desinenza in -e, come braccio —• brac-
cia —• braccine e ditine, ginocchine, e, meno probabili, ossicine, cornine, lenzuoline, esclu-
dendo, in ogni caso, i plurali con la desinenza in -a, le *braccina, le *ginocchina ecc.
Nel caso dei composti, l'alterativo si aggiunge sempre e soltanto al membro più esterno,
anche nel tipo in cui i componenti sono singolarmente oggetto di flessione plurale, come
acquaforte (pi. acque/orti) —» acquefortine e non certo *acqu-ine-fort-ine o *acqu-ine-forti,
e similmente terracotta (pi. terrecotte) —> terrecottine. Anche con composti di tipo deter-
minativo, in cui sia il primo membro ad avere proprietà di testa, come capostazione, pi.
capistazione, un'improbabile ma possibile suffissazione interesserebbe solo il secondo
membro, quindi un °capostazioncino striminzito, alto uno e cinquanta e non *capino-
stazione. La regola alterativa, cioè, non sembra sensibile al tipo di relazione che intercorre
fra i membri del composto, che percepisce come unità formale-semantica, come è anche
provato dall'impossibilità, per esempio, di formare un *capostazioncina, con alterazione
autonoma del secondo membro. Per contro, si osservano alcune restrizioni che sembrano
contraddire tale concezione. Se una parola nella sua forma alterata si è lessicalizzata, ad
esempio tovagliolino (in genere di carta) <— tovagliolo (di stoffa), può bloccare
l'alterazione del composto in cui si trovi come secondo membro, cioè portatovagliolo. I
portatovagliolini, infatti, non sono portatovaglioli di piccole dimensioni, ma altri oggetti
aventi la funzione di contenere tovagliolini di carta. Similmente, portapane, portaspazzola.
Nel caso di sequenze N+N, N+A o A+N, il cui grado di lessicalizzazione è ad uno stadio
meno avanzato che nei composti e la coesione dei termini non è percepita come altrettanto
stretta, come treno merci, pino nano, settimana bianca, voce bianca, prima donna, strada
maestra, verde mela ecc., è la testa della sequenza, in prima o in seconda posizione, che
verrebbe alterata, come in trenino merci, pinetto nano, prima donnina (attestato in un
commento relativo ad uno spettacolo televisivo con bambini prodigio: guarda, è già una
prima donnina), settimanina bianca (come in: mi merito o no una settimanina bianca?),
verdino mela (attestato in un commento ad un vecchio film ricolorato: gli occhi di un ver-
dino mela incredibile).
marmetta, canale —* canaletta, canalina, tino —» tinozza e pochi altri, il cambio avviene dal
femminile al maschile. Il cambio di genere si attua ad opera dei suffissi -ino, -one, -etto,
-otto ed -elio, talvolta -olo (anche preceduti da altro suffisso alterativo o da interfisso), mai
con -uccio e raramente con -accio (tavola —* tavolaccio "giaciglio del carcerato" e campa-
na —» campanaccio) e ancor più raramente con gli altri suffissi meno produttivi. Le due
varianti di genere rimangono tuttavia possibili, come in pancia —* pancino/a e pancione/a,1
giacca —• giacchino/-ina, riga —* righino/a, valigia —• valigione/a, anche se spesso le due
forme sinonime differenziano il loro uso. Ad esempio, finestrino è divenuto una forma
lessicalizzata, mentre finestrino mantiene il suo significato denotativo diminutivo, allo
stesso modo casa • casino vs Casina, gonnella —» gonnellino vs gonnellino, giubba —>
giubbino/-etto/-otto/-one vs giubbina/-etta/-ona, porta —• portone vs portona, giacca —*
giaccone vs giaccona ecc. Rare basi di genere femminile hanno l'alterato accrescitivo solo
di genere maschile, per esempio polvere —* polverone, scala —> scalone, groppa —• grop-
pone, spinta —> spintone, muraglia —* muraglione.
In grande maggioranza (cfr. DISC) è la forma che ha subito cambio di genere a seguire
la strada della lessicalizzazione, mentre la versione corrispondente al genere della base
mantiene la normale funzione alterativa. Si vedano gli esempi qui di seguito, tutti derivati
da basi femminili: calzino, boccino, bocchino, botteghino, bottiglino, briciolino, camerino,
cartellino, cedolino, centralino, cicalino, codino, cordino, figurino, misurino, frustino,
fughinoAone (fare fughino/one "marinare la scuola"), listino, pallino, pennino, pentolino,
provino, seggiolino, sellino, spallino, spazzolino, stanzino, taschino, tavolino, terrazzino,
tesserino, tombino; con altri suffissi diminutivi: borsetto, brachetto, calzetto, giubbetto,
panchetto (anche panchetta), polacchetto, seghetto, campanello, cannello (cannellone),
cruschello, portello, righello, spinello, camiciotto, candelotto, cappotto, cerotto, chinotto,
cipollotto, cosciotto, gabellotto "ufficiale del dazio", galeotto, isolotto (anche isoletta),
lunotto, manicotto, panciotto, pellicciotto, pistolotto, salotto, salsicciotto "dinamite" o
"piega di grasso", spallotto, zuccotto; con l'accrescitivo: costoneAolone, alettone, barbone,
calzettone, calzone, cannone, capannone, cartone, cenone, cerone, cornicione, forcone,
frontone, lastrone, paginone, pastone, pennone, portone, rosone, scalone, seggiolone, spa-
done, spallone, squadrone, tabellone, telone, tendone, trombone-, con cumulo di suffissi:
forch-ett-one, pal-ett-one, polp-ett-one, scop-ett-one; con altri suffissi: predicozzo, cartoc-
cio, crepaccio (<— crepa), campanaccio, pagliericcio, pasticcio, graticcio, canniccio, ban-
dolo, cordolo, frustolo.
Il cambio di genere si attua selettivamente tra gli alterati possibili di una stessa base; non
tutte le forme alterate permettono un cambiamento di genere: ad esempio, casa —> casone,
casino, casotto, casello ma non *casetto, donna —• donnine, donnone ma non *donnetto.
La preferenza è comunque per le formazioni in -ino e -one.
Il processo di lessicalizzazione accomuna questi vari tipi alla derivazione prototipica
(Dardano 1978, 98-99), in cui le proprietà lessicali della base non sono necessariamente
trasferite nel derivato. Ma la regola alterativa con cambio di genere è sempre viva e fre-
quente e non porta necessariamente a lessicalizzazione, come si può notare, ad esempio, nel
recente ha debuttato male questo monetone [l'euro] che va a sostituire la liretta (intervista
televisiva, aprile 2000) e nel titolo (Il Tirreno 20-5-00) Il tappone delle Dolomiti <— tappa
1
Nelle vecchie grammatiche dell'Ottocento (cfr. Moise 18782, 147) il cambio dal femminile al
maschile ad opera dell'accrescitivo -one è dato come regola.
5.1. Derivazione nominale 275
1
Come riportato in Rainer 1990, Pestelli 19794, 240 ritiene che «.-etto indichi meno piccolezza di
-ino». Altri spostano la presunta differenza semantica a livello connotativo: -ino è considerato più
vezzeggiativo (Rohlfs, 1969, §1094), ma Rainer dubita dell'assolutezza di questa ipotesi.
5.1. Derivazione nominale 277
Il vuoto denotativo degli interfissi ha indotto vari studiosi (per esempio Dardano 1978 e
Napoli / Reynolds 1994) ad analizzare -erello/-arello, -arino, -erotto, -arozzo, -(i)cino,
-(i)cello, -iciattolo, -olino come varianti suffissali dei rispettivi -elio, -ino, -ozzo, -att-olo.
Ma la scissione dell'interfisso appare opportuna perché permette di isolare il contributo
connotativo che gli interfissi, in italiano, sono in grado di dare. Per esempio, om-ar-ino, nel
Nord Italia, ha una connotazione peggiorativa rispetto a omino, top-ol-one ha una connota-
zione scherzosa e piacevole rispetto al poco attraente topone, e similmente cagn-ol-one,
rispetto a cagnone, anche piant-ic-ine esprime maggiore affettività che non piantine, per
esempio in non posso proprio lasciare le mie pianticine per più di una settimana. A con-
ferma, esemplari di piante da vivaio sono chiamate piant-ine dagli operatori specializzati.
Inoltre, pianta nel significato di "mappa" seleziona solo l'alterato non interfissato, piantina,
meno carico di affettività. Anche nell'aggettivo, l'interfisso porta una sfumatura di empatia,
per esempio in trist-ar-ella, rispetto a tristina, magr-ol-ino, rispetto a magrino, vecchi-er-
ella, rispetto a vecchietta. Non sono associazioni connotative stabili e sono indifferenziate
rispetto al tipo di interfisso, ma, come minimo, segnalano un maggiore intento elaborativo,
una più attenta partecipazione del parlante. L'interfisso può anche fungere da elemento di
differenziazione tra forme altrimenti omofone, selezionandone il significato, come, ad
esempio, in ris-ol-ino *— riso (derivato di ridere), rispetto a risino <— riso (cereale), o frate
—*• frat-ic-ello rispetto al lessicalizzato fratello-, oppure interfissi diversi possono differen-
ziare basi omofone, come bott-ic-ella *— botte rispetto a bott-ar-ella <— botta. In acquol-
ina l'interfisso seleziona il significato non diminutivo di "forte salivazione provocata
dall'attesa di cibo appetitoso" (come in mi fa venire l'acquolina in bocca), non ottenibile
con le altre formazioni diminutive, acquina, acquetta e acqu-er-ugiola. In questi casi, e in
altri in cui la forma interfissata rappresenti l'unica alternativa (per es. cuor-ic-ino vs
*cuorino), l'apporto connotativo è sospeso.
Circa la combinazione degli interfissi coi vari suffissi, vi sono preferenze e restrizioni. In
primo luogo, gli interfissi precedono quasi esclusivamente i suffissi diminutivi e tra questi
in preferenza -ino, -elio e molto marginalmente altri, con l'esclusione totale di -etto e
-uccio. Solo raramente si combinano con accrescitivi e, nel caso, in forme marcate, co-
struite sulla base di un diminutivo esistente (per esempio, corp-ic-ini / corp-ici-onv, top-ol-
ino / top-ol-one/-otto, pap-ar-ino / pap-ar-one). Non si trovano in combinazione con i suf-
fissi peggiorativi, -accio, -astro, -ucolo ecc. (neppure in forme di tono ludico, come *top-
ol-astro, *top-ol-accio a cui sono preferiti topastro, topaccio). Ma si vedano singolarmente
gli interfissi.
L'interfisso -a/er- si colloca di preferenza davanti a -ello/a (38 casi riportati dal DISC),
per esempio, buch-er-ello, fatt-er-ello, furt-ar-ello, piant-er-ello, salt-er-ello, spesso anche
con aggettivi, come pazz-er-ello, trist-ar-ello, sciocch-er-ello, secch-er-ello, e con derivati
da tema verbale, come rimpiatt-er-ello, spogli-ar-ello. Si colloca meno frequentemente (12
casi reperibili sul DISC) davanti a -ino, per esempio nelle forme lessicalizzate dam-er-ino
(<— dama, con cambio di genere), mosc-er-ino (<— mosca, con cambio di genere), stecch-er-
ino (nome di fungo), monch-er-ino "parte rimasta di arto troncato" <— monco, pep-er-ino
(anche agg.), gergali come spum-ar-ino "persona inconsistente", ganz-er-ino <— ganzo (in
Gadda, C. E., op. cit., 134), ma anche in pap(à)-ar-ino, caff(è)-er-ino, e da base verbale nei
nomi tagli-er-ino, spolv-er-ino, ball-er-ino, fil-ar-ino, in aggettivi di relazione come pagli-
er-ino e aggettivi deverbali come chiacchi-er-ino. Rare combinazioni si hanno col suffisso
-otto e -ozzo, come in panz-er-otto "grosso raviolo" <— panza, variante regionale di pancia,
278 5. Suffissazione
bac-ar-ozzo; col suffisso -one, come in gag(à)-ar-one e il già citato pap(à)-ar-one, peper-
one (lessicalizzato; <— pepe); un caso di combinazione con -onzolo, in rap-er-onzolo (*—
rapa "pianta erbacea", come nella filastrocca raponzolo raperonzolo butta giù il tuo codin-
zolo)·, è probabile che si debba rilevare l'interfisso -er- in acqu-er-ugiola, unico esempio
con questo suffisso diminutivo (se si esclude la creazione gaddiana occhi-er-ugioli) e nel
lessicalizzato acqu-er-ello. L'interfisso -a/er- non si colloca davanti a -etto, -uccio, -accio e
suffissi meno produttivi (cfr. 5.1.1.7.17.). 1
L'interfisso -ic- si colloca di preferenza davanti a -ino (circa 80 casi sul DISC) in nomi
come cuor-ic-ino, cont-ic-ino (<— conto, vs contino <— conte), libr-ic(c)-ino, oss-ic-ino, e in
aggettivi di relazione, come carn-ic-ino o latt-ic-ino. Si combina anche (circa 50 casi atte-
stati dal DISC) col diminutivo -elio in nomi, come prat-ic-ello, pont-ic-ello, cord-ic-ella,
camp-ic-ello ecc. Davanti all'accrescitivo -one si trova solo in formazioni ludiche create
sulla base del corrispondente diminutivo e con questo in genere co-occorrente, come in
cont-ic-ini e cont-ici-oni, corp-ic-ini e corp-ici-oni ecc. Non si colloca mai davanti ai suf-
fissi -etto, -uccio, -otto, -olo né agli altri meno produttivi menzionati.
L'interfisso -ol- è seguito quasi esclusivamente da -ino in nomi e aggettivi qualificativi e
di relazione (oltre 150 casi attestati sul DISC), come in buc-ol-ino, cenci-ol-ino, fredd-ol-
ino, magr-ol-ino, marz-ol-ino, mazz-ol-ino, test-ol-ina, pieg-ol-ina, Cicci-ol-ina, scem-ol-
ina (in Cicciolina, colpevole di vendere i suoi filmini hard, di essere una scemolina,
L'Espresso 17-1-88) ecc. Come accade con gli altri interfissi, anche -ol- si combina con
l'accrescitivo -one (più raramente -otto) solo in espressioni per lo più ludiche, nomi e ag-
gettivi, create ad imitazione del diminutivo, come nel citato top-ol-one/-otto (per esempio,
nel dialogo scherzoso tratto da un film: Che cos'è una pantegana "ratto"? È un top-ol-one),
i recenti sass-ol-one (in più tardi esternerà tutto il suo disprezzo togliendosi un sassolone
dalle Church, Corriere della Sera 21-4-2000) e pann-ol-one, assorbente igienico di grande
dimensione rispetto al più usuale panno-lino, probabilmente rianalizzato come pann-ol-ino
oppure pann + -olo + -ino. Questi casi mostrano che -ino e -one sono sentiti come i due
poli opposti del continuum dimensionale (cfr. 5.1.1.7.16.1.1.), di cui invece -otto occupa
uno stadio intermedio. L'interfisso, regolare solo davanti al diminutivo, rimane come sua
traccia quando, con la forma accrescitiva, si vuole suggerire un contrasto, implicito o espli-
cito, col corrispondente diminutivo. L'omofonia col suffisso '-olo rende dubbia l'analisi di
altre forme, come gnocc-ol-one («— gnocco), tont-ol-one (<— tonto), formic-ol-one.
L'interfisso -ol- non si combina coi suffissi -elio, -etto, -uccio e gli altri poco produttivi
(cfr. 5.1.1.7.17.). Sembra esservi una variante -al-, corrente in Toscana, come in bocc-al-
one, in tanto Fausto [Coppi] ha la boccuccia "parla poco", quanto Bartali è boccalone
"parla troppo", L'Espresso). Un secondo esempio (unico altro sul DISC) è brac-al-one.
Anche con le forme interfissate, specie con -ol-, è possibile la suffissazione ricorsiva del
tipo top-ol-in-ino e top-ol-ino-ino-ino. Più limitata è l'applicazione con -ic- e -a/er-, è pos-
sibile il tipo piant-ic-ina-ina-ina e om-ar-ino-ino-ino, ma non il tipo *piant-ic-in-ina, *om-
II suffisso diminutivo -(u)olo tonico si combina con l'interfisso, per esempio in alcuni nomi di
strumento, come punt-er-uolo *— punta, terz-ar-olo "tipo di vela" <— terzo, gatt-ar-ola "porticina
da cui escono i gatti", spond-er-uola "pialla", succhi-er-uola "lamiera forata filtrante", ma la com-
binazione è omofona con il suffisso -arolo, variante di -aiolo, formativo di nomi di mestiere, come
fruttarolo, tombarolo, e questo crea qualche difficoltà di analisi, come in fregarolo "ladruncolo"
(«— fregare + -olo, secondo il DISC), in cui è avvertibile anche un significato diminutivo.
5.1. Derivazione nominale 279
ar-in-ino. Non è ammissibile, invece, la ricorsività della combinazione del suffisso con
l'interfisso, come in *top-olino-olino-olino oppure *piant-icina-icina-icina, *om-arino-
arino-arino, ad ulteriore prova che le combinazioni -icino, -olino, e -e/arino non hanno lo
status di suffissi unitari (varianti di -ino). Come si è visto, l'interfisso può precedere un
cumulo di suffissi, come in trav-ic-ell-ino, trav-ic-ell-etto, buch-er-ell-ino, pazz-er-ell-one,
sant-er-ell-ina, nan-er-ott-ol-ino. L'interfisso -ol- non si trova davanti a cumulo, date le
restrizioni di -ino (l'unico suffisso con cui si combina regolarmente) ad essere seguito da
altro suffisso. È possibile con le forme ludiche °top-ol-on-c-ino.
Vi è una restrizione generale relativa alla base: non si applicano interfissi a parole che
abbiano più di due sillabe, pertanto troviamo serp-ic-ella, serp-ic-ina, serp-ici-attola <—
serpe ma serpentelloZ-ino <— serpente e non *serpent-ic-ello (?serpent-er-ello). Formazioni
come bigoncio —* bigonci-ol-ino, adombrano una fase intermedia col diminutivo '-olo,
bigonci-olo. Troviamo basi trisillabiche in deverbali come rimpiatt-er-ello, nascond-er-
ello, sbadigli-ar-ella, e solo con la combinazione a/er-ello.
Si includono qui per completezza anche gli elementi interfissali improduttivi -it- e -at- di
pesc-it-ello, camp-it-ello, bracc-it-ella *— bracciata, cepp-at-ello <— ceppo, limitati nell'uso
a queste poche occorrenze, e considerati da Tekavòic 1972, 182 come materiale staccatosi
da formazioni del tipo di capitello, in cui -it- appartiene alla base.
immagini *io prendo te ... come adorato maritino...), mentre sono di uso privilegiato ad
esprimere ludicità, scherzosità, ironia, leggerezza, scarsa responsabilità, understatement,
attenuazione ecc., cioè significati legati all'atteggiamento del parlante piuttosto che alla
semantica delle basi e dei suffissi. Qualunque sia la parola scelta come veicolo, l'effetto
dell'alterato si estende all'intero enunciato, spesso modificandone la forza illocutoria, il che
dimostra chiaramente che il suffisso può superare la dimensione denotativa, segnalando
significati legati ai parlanti e al contesto d'uso. Si veda l'effetto di scherzosa empatia che si
crea nella seguente situazione di uso: (a) mio marito ha ancora fame dopo tutto quel piatto-
ne di lasagne? oppure (b) il mio maritino ha ancora fame dopo tutto quel piatto di lasagne?
0 anche, infantile, (c) mio marito ha ancora famona dopo tutto quel piatto di lasagne?.
Questi esempi mostrano un fatto importante: quanto più specifico è l'uso pragmatico dei
suffissi alterativi tanto più attenuata risulta l'opposizione tra i significati denotativi "picco-
lo" e "grande", fino alla neutralizzazione, secondo cui i suffissi -ino e -one diventano inter-
cambiabili nella modificazione pragmatica dell'enunciato, in questo caso, nell'espressione
dell'empatia.
Per la vasta gamma di significati semantici e pragmatici coinvolti nell'uso degli alterati,
si rimanda, comunque, all'opera citata.
cit., 161) ed anche manuncole e tonnacchioli «— tonno, cagnolazzo, gli aggettivi babbeo —»
babbigno, pazzo —• pazziscolo (in D'Arrigo, S., op. cit., 269, passim). La differenza dal
concetto di produttività e l'interferenza con esso deriva dal fatto che tali formazioni si av-
valgono spesso di suffissi ormai caduti in disuso, non più pertinenti per un'analisi sincroni-
ca. Il loro recupero per scopi ludici, gergali o letterari è motivato e vitale ed è efficace la
loro funzione alterativa, ma questi usi sporadici e ristretti, a volte addirittura individuali,
non sono prove sufficienti ad indicare che le regole che applicano i suffissi -ottero, -ardo,
-onzolo, -occo, -er-ugiolo e molti altri siano liberamente operanti. D'altra parte, non si può
affermare che tali suffissi siano del tutto improduttivi.
diminutivi, come in Hanno fatto una carrierona, ma allora è un bel trampolino, un tram-
polone (intervista televisiva). Anche la consonanza sulla nasale Ini, favorisce il rapporto
oppositivo dei suffissi -ino e -one, ed infatti, binomi del genere sono assai più rari con altri
suffissi diminutivi, per esempio Uccellacci e uccellini (il famoso film di P. P. Pasolini),
peccatucci e peccatoni (Corriere della Sera, novembre 2000) e sono spesso confinati a
strategie testuali di contrastività, del tipo Paginette? Paginone, vorrai dire, dove il primo
alterato, comunque, è una scelta indipendente, non influenzata dall'intento contrastivo. Se
fosse Paginone la prima scelta, avremmo con larga preferenza una conclusione in -ino
(Paginone? Paginine, vorrai dire).
La fortuna di -ino sembra essere anche dovuta al fattore fonosimbolico (negato da Bauer
1996), cioè al valore di piccolezza e gradevolezza legato al fonema /i/, su cui, dopo il sag-
gio di Jespersen 19332, si sono espressi anche molti studiosi moderni (tra cui TekavCic
1972, Mayerthaler 1981). Il valore iconico del fonema rende l'uso di -ino particolarmente
adatto al linguaggio bambinesco, dove, infatti, è ampiamente diffuso (Dardano 1978, 101),
persino quando, per ragioni fonetiche, la base gli preferirebbe altri suffissi (Rainer 1990,
215). Ma la grande produttività di -ino è dimostrata soprattutto dalla sua libertà di distribu-
zione, che ne fa il suffisso diminutivo non marcato, definibile anche in termini implicazio-
nali, secondo cui se una base ammette l'alterazione con altri suffissi diminutivi, ammette
anche l'alterazione con -ino (ferme restando le rare preferenze di alcune basi per altri suf-
fissi, cfr. 5.2.3.). La vasta applicabilità di -ino è anche dimostrata dal fatto che in circostan-
ze «difficili», cioè quando restrizioni di qualche ordine - fonetiche, morfologiche, semanti-
che, pragmatiche od anche stilistiche - rendono improbabile il ricorso alla regola alterativa,
-ino è in grado più dei rivali di superare l'ostacolo. Esempi sono formazioni che presentano
sequenze uguali tra terminazione della base e suffisso (cfr. 5.1.1.7.5.) del tipo di rondinini,
incompatibili con altri suffissi (cfr. *lettetto), formazioni con basi straniere, come puzzlei-
no, che richiede aggiustamento fonetico, e memorandino (con accorciamento), speakerina,
soubrettina, (Mick e la) Jaggerina, scoutine, softwarino ecc., o con basi terminanti per
vocale tonica, come caffeino, teino, tribuiría (ma reuccio), tutti attestati, accanto ai citati
caffett/rino, jabottino, paparino, gagarino, paltoncino, comoncino ecc. E persino possibile
apporre -ino a basi terminanti in Ν tonica, come in ziina, bugiina, con la successiva occor-
renza della stessa vocale, rarissima con altri suffissi (cfi·. *scaleetto <— scaleo, *paleetto *—
paleo, ma lineetta, *canootta <— canoa).1 Basi semanticamente inadatte alla diminuzione,
come i nomi di massa, ammettono con larga preferenza -ino, come in camina, panino,
marmellatina (cfr. 5.1.1.7.3.). Altri esempi sono reperibili nel linguaggio politico-
burocratico, in cui l'alterazione è inaspettata, con parole come leggina, ripresina, decretino,
conticino, portalino (su Internet) e tangenzialina, o dell'innovazione tecnologica, con co-
niazioni come telefonino, videotelefonino, pendolino (tipo di treno). Si osservi anche mes-
saggino (con un emergente derivato messagginare) che ormai quasi esclusivamente si rife-
risce a messaggi digitati sul telefonino. La preferenza per -ino è riscontrabile anche nell'uso
letterario (Sigg 1953, segnalato da Serianni 1988, 550): è ben noto che il Manzoni stesso,
nella versione «toscana» dei Promessi Sposi, sostituì con formazioni in -ino la maggior
parte dei diminutivi dell'opera. Una predilezione regionale, tuttavia, può spiegare la prefe-
Se la vocale è atona, come in bestia, coppia, rabbia, cuffia, la preferenza va ad altri suffissi, besti-
ola (ma il DISC ammette anche bestina), coppietta, rabbietta/-uccia, cuffiettal-otto.
5.1. Derivazione nominale 283
renza per -elio nel sicilianissimo Horcinus Orca di D'Arrigo, dove si trovano formazioni
come medagliella, omicello, pulitelli.
Alcuni studiosi (vedi sopra) ritengono che -ino, nel suo significato denotativo, esprima
un maggior grado di diminuzione rispetto al concorrente -etto. Ed in effetti esempi come
tubicino vs tubetto parrebbero confermare tale concezione, essendo i rispettivi referenti
oggetti di diversa dimensione, ma la differenza può derivare da processi di lessicalizzazio-
ne, per cui -ino ed -etto sono ormai selezionati, con questa base, a denotare oggetti diffe-
renti. Come si è notato a proposito del cumulo (cfr. 5.1.1.7.12.), l'ipotesi riaffiora in consi-
derazione della maggiore efficienza diminutiva di -ino, rispetto a -etto, quando si aggiunga
a basi già suffissate con altri diminutivi, sulle quali esso opera un'ulteriore diminuzione
(quadr-ett-ino). Non è altrettanto chiaramente percepibile l'effetto di ulteriore diminuzione
degli altri suffissi quando siano aggiunti a basi già suffissate con -ino (tant-in-ello vs tanti-
no). La diversa distribuzione regionale dei suffissi 1 contribuisce a confondere il quadro: la
ben nota preferenza, per esempio, per -ino in Toscana, per -etto nel Veneto e nel Lazio, e
per -elio nel Meridione, sono un pregiudizio potente ad una scelta del suffisso basata su una
semantica fine. Similmente, la maggiore produttività di -ino seleziona aree di uso molto
ampie in cui gli altri suffissi non costituiscono alternative possibili: in queste aree
l'eventuale differenza semantica di -ino è neutralizzata. Inoltre, si deve aggiungere che il
significato denotativo di piccolezza dei suffissi diminutivi è sospeso in molti usi morfo-
pragmatici dei suffissi (cfr. 5.1.1.7.14.) e questo restringe ulteriormente il campo di perti-
nenza del confronto su base denotativa, indebolendone il valore.
Il significato denotativo di -ino ("piccolezza") ammette l'intera gamma di specificazioni
condizionate dalle basi, messe in luce da Rainer 1990 relativamente ai diminutivi: (a) vo-
lume: localino, sassolino, barattolirw, (b) età: maestrina, tenentino, ragazzino-, (c) superfi-
cie: tastierina, bandierina, fazzolettino; (d) lunghezza: bastoncino, pantaloncini, spillino',
(e) numero: complessino, orchestrina, partitino; (f) durata: momentino, visitina, passeggia-
tina\ (g) intensità: esplosioncina, temporalino, sudorino, languorino\ (h) importanza o
entità: padroncino, regalino, parlamentino, articolino, saltino, piacerino. A proposito di (a)
è forse opportuna una sottodistinzione tra ingombro (mole) e quantità fruibile (assaggino,
sorsino), e forse anche dimensione (altezza e larghezza), come in donnina, omino, in genere
per entità che si qualificano per questi assi dimensionali. A proposito di (f), si può ulterior-
mente distinguere tra dimensione solo temporale (visitina, vacanzina, riposino) e dimensio-
ne spazio-temporale (passeggiatimi, nuotatina). I nomi a tema verbale in -ata accolgono
frequentemente il diminutivo -ino, come in fumatina, occhiatimi, pulitina, risatina, telefo-
natimi ecc., e la modificazione semantica che ne deriva non è facilmente collocabile tra le
specificazioni menzionate sopra. Il valore diminutivo acquisito può riguardare sia la durata
sia l'intensità, ma spesso è il significato pragmatico a prevalere, come in la sua telefonatimi
serale è la mia gioia. Gli eventuali significati connotativi di -ino, intesi come tratti semanti-
ci aggiuntivi stabili, sono condizionati dalla specificazione denotativa acquisita dal suffisso
e si intersecano con la denotazione e connotazione della base. Pertanto le connotazioni
variano lungo un asse positività / negatività, come grazia, piacevolezza ad un estremo e
miseria e sgradevolezza all'altro, a seconda che la specificazione denotativa del suffisso
rappresenti per quella determinata base un fattore positivo o negativo. Alcune specificazio-
ni, come volume, età, durata, sono fortemente condizionate dalla base e ammettono entram-
Sulla distribuzione regionale dei suffissi diminutivi italiani, cfr. Cardini 1943 e Lepschy 1987b.
284 5. Suffissazione
bi gli esiti. Ad esempio, un localino può essere un luogo pubblico piacevole perché intimo,
grazioso ecc., ma un appartamentino è certo poco attraente rispetto ad un appartamento di
dimensioni non ridotte. Se l'età in maestrina, mammina, rappresenta un vantaggio, in dotto-
rino, pretino può costituire un rischio di scarsa attendibilità. Una vacanzina è meno auspi-
cabile di una lunga vacanza, ma (aspettare) un momentino appare più gradevole che
(aspettare) un momento. Altre specificazioni del suffisso appaiono più chiaramente orien-
tate verso l'uno o l'altro polo dell'asse qualitativo. Numero e importanza sono comune-
mente abbinati a connotazioni negative, per esempio in partitino e articolino, mentre inten-
sità è più spesso legata ad effetti positivi in quanto il suffisso opera una funzione attenuati-
va sulla base. La specificazione della lunghezza appare scarsamente predisposta alla con-
notazione. Il significato connotativo può costituire un elemento per una scelta obbligata tra
formazioni alternative, come donnina vs donnine. La prima espressione ammette anche (ma
non solo) una connotazione negativa legata alla specificazione di importanza, come in don-
nine (allegre), eufemistico per "prostitute" (come in lui si perde con donnine e altre cose
del genere), mentre donnino specifica la dimensione ed è normalmente legato ad
un'immagine di grazia e piacevolezza. L'ampio uso di -ino nel linguaggio bambinesco, ne
conferma l'alto potere vezzeggiativo, ma questo è solo un aspetto del suo potenziale con-
notativo e morfopragmatico. Non appare generalizzabile la concezione di Rohlfs 1969,
§ 1094 secondo cui -ino sarebbe più ricco di valore connotativo (positivo), rispetto agli altri
suffissi diminutivi, essendo più chiaramente vezzeggiativo. Nei limiti della loro minore
produttività e distribuzione, gli altri suffissi hanno la stessa gamma di potenziale denotativo
e connotativo.1 Per i significati pragmatici di -ino, è opportuno ancora una volta ribadire la
sua vastità distributiva: il suffisso -ino ammette tutti i significati morfopragmatici previsti
per i diminutivi ed è applicabile nel maggior numero di situazioni. Alcuni sembrano di uso
esclusivo, per una legge di tipo implicazionale, secondo cui, se la modalità diminutiva è
ammessa con difficoltà o per un uso non canonico (non denotazionale), -ino ha il maggior
numero di probabilità di essere impiegato rispetto agli altri suffissi.
1
Si osservi, ad esempio, la varietà di diminutivi usati dal poeta U. Saba (Cose leggere e vaganti,
1920), messi in luce da Girardi 1996, tutti caratterizzati da connotazioni positive: alberelli, arbo-
scello, bandieretta, botteguccia, canzoncina, capretta, casette, Chiaretto, Linuccia, Paolina, ci-
vettuola, corpicciolo, cosetta, cosucce, erbetta, fanciulletto, fascicoletto, favolette, gattina, giova-
netto, labbrucci, letticciolo, monelluccia, musichetta, nuvolette, palloncino, passeretta, sciocchino,
testina, torrentello, uccelletto, vesticciola, zampine.
5.1. Derivazione nominale 285
dico: tossetta, globuletto, colichetta. Condivide con -ino la disponibilità a formare derivati
indicanti strumenti di piccole dimensioni, come rulletto, falcetto, seghetto, raschietto, trin-
cetto.
A parte la restrizione fonetica vista in 5.1.1.7.5., per cui si attestano solo pochi casi di
-etto apposti al fonema /t/, per il resto -etto si appone a qualunque fonema consonantico
terminale della base. Per i suoni vocalici, si attesta la prevalenza di -etto rispetto a -ino solo
con la terminazione IU, mentre si attesta un caso con /u/ (duetto <— duo) e quasi nessun caso
per le terminazioni lai, /e/ (a parte il lineetta già menzionato), lo/. Ma la minore produttività
di -etto non sembra sostanzialmente dovuta ad un maggior numero di restrizioni fonologi-
che.1
Nel cumulo con altri suffissi, -etto, si è visto (cft. 5.1.1.7.12.), predilige -ino (140 casi,
come fogli-ett-ino, cerchi-ett-ino, tavol-in-etto, sell-in-etto, ragazz-in-etto), ma ammette
anche rare combinazioni con -elio {-eli-etto, come gonn-ell-etta, cerchi-ell-etto, fritt-ell-
etta, forn-ell-etto, con base lessicalizzata), con -uccio (-ett-uccio, come in favol-ett-uccia,
amor-ett-uccio, pacch-ett-uccio, pal-ett-uccio), con -(u)olo e -olo, da non confondere con
l'interfisso -ol-, cfr. 5.1.1.7.13. (-ol-etto, come in figliolo —> figli-ol-etto, usciolo —> usci-ol-
etto, poggiolo —+ poggi-ol-etto e in cagn-ol-etto, gocci-ol-etta, pall-ott-ol-ett-ina), con
-occio, come in cart-occ-etto, con -accio (-ett-accio, come in donn-ett-accia, cagn-ett-
accio, cas-ett-accia e nel già citato Gin-ett-accio, ma anche -acc-etto/-azz-etto, come in
caten-acc-etto con base lessicalizzata, pup-azz-etto), con -one (-ett-one, come in verm-ett-
one e vari altri con base lessicalizzata, come cass-ett-one, forch-ett-one, ed anche -on-etto,
come cass-on-etto, pall-on-etto, sojfi-on-etto ecc.). Il suffisso -etto non si combina con gli
interfissi -ic-, -ol-, e -ar/er- (cfr. 5.1.1.7.13.) e non dà adito a ricorsività della stessa regola
(*ett-etto, *etto-etto-etto). Come nel caso di -ino, -etto si trova in un'espressione avverbiale
reduplicativa, solo soletto "del tutto solo", dove sembra contribuire al processo di intensifi-
cazione.
Dal significato denotativo di piccolezza è derivabile quello di scarsa importanza e valo-
re, che caratterizza certi derivati per lo più lessicalizzati, come visonetto "pelliccia poco
pregiata, simile al visone", lanetta, teletta, pannetto (materiali di poco conto rispetto alle
rispettive basi), Pasquetta "lunedì di Pasqua", operetta, rispetto alla più pregevole opera, il
già citato barocchetto, reginetta (di bellezza), divetta, ninfetta, organetto, coppietta "coppia
di fidanzati", rispetto a coppia di sposi. Connotazione negativa ha pure il gaddiano ragio-
nieretto (Gadda, C. E., op. cit., 75), ed anche donnetta.
Un dato interessante che emerge dall'indagine è che alcuni fonemi consonantici occupano assai
più spesso di altri la posizione terminale e quindi si trovano più spesso a precedere la suffissazione
diminutiva in generale (per esempio IVrispettoa Ifl o Ni).
286 5. Suffissazione
1
II DISC propone un suffisso verbale -ellare, come in bucherellare, ma distingue formazioni de-
nominali come salterellare salterello.
2
Anche nella filastrocca dell'Orco, nella celebre favola di Pollicino si trova un ucci, ucci, sento
odor di cristianucci.
5.1. Derivazione nominale 287
può dare adito a significato blandamente peggiorativo come in botteguccia, reuccio, mez-
zuccio, librettuccio, femminuccia (detto ad un uomo) ecc. oppure, al contrario, permettere
un uso vezzeggiativo, come in bambinuccia, tesoruccio, caruccia.
Si osservi anche avannotto "pesce nato nell'anno", dove la base non indica l'animale e sta per ab
anno "dell'anno in corso". Il suffisso ha acquisito un potere designativo autonomo.
288 5. Suffissazione
frequente) nei riguardi dell'attributo di grandezza descritto. Si può apporre anche ad agget-
tivi (grandone, zoticone) e raramente ad avverbi (benone e, di uso meridionale, cfr. Rohlfs
1969, § 1095, tardone). Esistono anche rari verbi denominali, come cordonare, ceffonare,
zapponare, bighellonare (privi di corrispondenti forme non suffissate).
Nelle forme avverbiali (denominali e deverbali) con suffisso -oni (cfr. 5.4.3.), ormai im-
produttivo, indicanti posizione o modo di muoversi, come gattoni, ginocchioni, penzoloni,
tentoni, anche con derivati verbali, come gattonare, e con alcuni possibili raddoppiamenti,
come in gatton gattoni, quatton quattoni, non si ravvisa ora alcun senso accrescitivo, anche
se, come riconosce Serianni 1988, 416, sono caratterizzati da espressività non dissimile da
quella degli alterati.1
Nel suo ambito di applicazione, -one non presenta restrizioni fonologiche importanti re-
lative alla base. Si sottrae alla restrizione imposta ai diminutivi dai casi di analogia fra se-
quenze fonetiche della base e del suffisso (cfr. 5.1.1.7.5.), essendo, per esempio, nonnone/a,
donnone/a, bonone/a <— buono del tutto accettabili. Nei casi di suffissazione problematica o
normalmente evitata, per esempio, con basi terminanti in vocali toniche, può risolvere,
similmente a -ino, con interfissi, come in papa-r-one (o papone) <— papà, jabot-t-one, co-
mo-n-ci-one <— comò, palto-n-ci-one, ma sono anche possibili forme come uno °zebuone
gigantesco ecc. Per l'allomorfia dell'affricata, come in baston-ci-one, cfr. 5.1.1.7.7. Quanto
a restrizioni morfologiche, -one appare più liberamente utilizzabile persino di -ino, non
dovendo venire a termini con suffissi accrescitivi rivali e combinandosi con la maggior
parte degli altri suffissi alterativi, sia peggiorativi, sia diminutivi, senza particolari incom-
patibilità (ferma restando la predilezione di -ino a comparire in posizione finale in ogni tipo
di cumulo), c o m e in om-acci-one, test-on-accio, matt-acchi-one, gocci-ol-one (<— gocci-ola
<— goccia), forch-ett-one, cass-on-etto, cioccolat-in-one (descrizione di un sottufficiale, in
Gadda, C. E., op. cit., 194), cann-ell-one, cul-att-one (volgare "omosessuale"), corb-acchi-
one e il recentissimo (in TV) Tutti questi sono dei mollaccioni (<— molle). Ammette la
ricorsività del tipo fett-ona-ona-ona e acquisisce autonomia aggettivale nelle espressioni
del tipo di è una fett-ona proprio ona. Per il cambio del genere, normalmente dal femminile
al maschile, cfr. 5.1.1.7.11., per le restrizioni nei riguardi dell'interfisso, 5.1.1.7.13.
L'accrescitivo, a differenza del diminutivo, conferisce alla base una denotazione fissa (di
grandezza o esagerazione) che permane anche quando la formazione accrescitiva è impie-
gata in contesti in cui i significati connotativi e pragmatici sono più pertinenti. Per esempio,
nell'enunciato Ah, come vorrei essere a casa nel mio lettino! il significato dimensionale di
lettino è del tutto reso irrilevante e, di fatto, il letto potrebbe essere grande, mentre il corri-
spondente Ah, come vorrei essere a casa nel mìo lettone! non può prescindere dal signifi-
cato dimensionale di grandezza che sottosta a quello pragmatico. Le aspettative di un signi-
ficato denotativo di grandezza non sono rispettate in alcune forme dalla semantica incerta,
come tronco —» troncone "porzione derivata dallo spezzarsi di una forma allungata", prati-
cone "persona ateorica ma con una certa pratica", medicone "persona senza laurea in medi-
cina che esegue alcune pratiche mediche minori", pastone "miscuglio di cibi poco pregiati"
pasta, in cui -one ha una denotazione / connotazione peggiorativa piuttosto che accre-
scitiva. Similmente, quando -one (come -etto) indica materiale più scadente rispetto alla
base, come in argentone, canapone, cruscone, il significato accrescitivo è neutralizzato e
diventa pertinente solo il valore peggiorativo. Si può ipotizzare che dalla base semantica di
1
Sugli avverbi in -oni, cfr. anche Heinimann 1953 e Krefeld 1999,119-121.
5.1. Derivazione nominale 289
esagerazione e vistosità si siano evoluti due significati denotativi distinti, che però possono
anche trovarsi combinati quando il tratto grandezza relativo a quella base sia valutato nega-
tivamente (come in nasone, pancione ecc.). Assumono significato vagamente dispregiativo
anche espressioni come tedescone, professorone.
nomi, come pellaccia "vita" (per es. in portare a casa la pellaccia), praticaccia
(nell'espressione avere poca teoria ma una certa praticaccia), e altri simili, come inge-
gnacelo, cervellaccio (una buona dose di intelligenza seppure disordinata), talentaccio,
prezzaccio "prezzo bassissimo, inteso attrarre il consumatore", nonché in lessicalizzazioni
indicanti oggetti di uso comune, come ramazza, stoppaccio, piallaccio, campanaccio, di
cibi, come sanguinaccio, castagnaccio ecc. Nelle formazioni più propriamente alterative, il
significato talvolta oscilla verso l'accrescitivo, come nel citato zampaccia (del Principe di
Salina in Tornasi di Lampedusa, G., op. cit., 31), colpaccio (in ha fatto un colpaccio in
Borsa), multazza, oppure verso il vezzeggiativo / scherzoso (in Italia Centrale), come in
romartaccio (riferito anche al dialetto) e il celebre, affettuoso Wojtylaccio di Roberto Beni-
gni, l'interiezione romanesca li mortacci tua ecc. La vicinanza semantica dei suffissi -one e
-accioZ-azzo appare anche nella consuetudine dei due suffissi a collocarsi nel medesimo
enunciato, come in Un riccone, sigaro e cilindro o la damazza ingioiellata e antipatica
(L'Espresso, marzo 2000). Il termine dam-azza diede anche origine ad una metafora gior-
nalistica in voga nello sport qualche tempo fa, la damazza dai denti neri era la sfortuna
degli sportivi.
produttivo, limitato ad ambiti scientifici) di pannicolo, vicolo <— via, reticolo, frequente in nomi
femminili, come pellicola, graticola, particola, vescicola ecc.
Il suffisso tonico -(u)olo si trova ora apposto quasi esclusivamente a nomi, ormai lessicalizzati,
come aiuola, montagnola, pezzuola, studiolo, tovagliolo, anche con interfisso -er-, come in muso —•
mus-er-uola, punta —• punt-er-uolo. I rari esiti aggettivali sono dei denominali, come civetta —* ci-
vettuola, ant. tristanza —» tristanzuolo, talvolta con la funzione aggettivale che si alterna a quella
nominale, come nei derivati indicanti provenienza, romagnolo, brianzolo, spagnolo, sardegnolo (solo
per animali). Compare un ampliamento in -tola in carriola e absidiola. Si trova in una combinazione
abbastanza produttiva con il suffisso di per sé poco produttivo -iccio di canniccio, graticcio (ora solo
aggettivale, come in biondiccio; cfr. 5.2.3.) in nomi come strad-icc-iola (anche strad-iccia), borgh-
icci-olo, cann-icci-olo, mur-icci-olo, fest-icci-ola, vest-icci-ola ecc., e con tutti i suffissi produttivi,
come -ino, -etto, -uccio, -otto e -one, che precede sempre, come in flgli-ol-ino/-etto/-uccio/-otto/-one.
Il suffisso -occhio, poco produttivo, aveva un valore diminutivo in latino, ma ora presenta la stessa
ambiguità di -otto, con esiti ora diminutivi, come in pinocchio, ranocchio, pisocchio "pisolino", il
recente Sandrocchia (l'attrice Sandra Milo) e il lessicalizzato capocchia <— capo, ora accrescitivi o
peggiorativi, come pastrocchio (della stessa radice di pasticcio), papocchio <— pappa, agg. santoc-
chio. Modifica anche verbi, come sgranocchiare, il gaddiano grattocchiare (Gadda, C. E., op. cit.,
188). Il suffisso diminutivo -occhio, di nomi come lupacchio, orsacchio, fumacchio, di aggettivi
attenuati toscani come verdacchio e di verbi come rubacchiare, sputacchiare, non è più produttivo se
non in qualche combinazione con altri suffissi come -one, -otto e -olo, del tipo di frat-acchi-one, fust-
acchi-one, cul-acchi-one, fess-acchi-otto, toscano ladr-acchi-olo "ladruncolo". Il suffisso -icchio/a,
come nei nomi crocicchio, cannolicchio, aggettivi mollicchio, verbi dormicchiare, rosicchiare, av-
verbio tanticchio (region, siciliano) assume spesso valore peggiorativo, per esempio in dottoricchio,
avvocaticchio. Con questo significato ha riacquistato un certo vigore produttivo, soprattutto nel Mez-
zogiorno, per esempio con i recenti governicchio, il siciliano ominicchio. Di base etimologica simile è
il suffisso improduttivo -ecchio, che si trova in nomi direttamente derivati dal latino, come capecchio,
orecchio, nel toscanismo far solecchio "ripararsi dal sole con la mano", con funzione attenuativa negli
aggettivi, come rubecchio "rossastro" e nei verbi, come punzecchiare, sonnecchiare (con derivato
aggettivale in -occhio, sonnacchioso). Derivato da un diminutivo latino, -ticchio si trova raramente,
quasi soltanto in verbi, come sbaciucchiare, in toponimi, come Castellucchio, ed è ora totalmente
improduttivo.
Anche i suffissi -iglio, -iggine, -ischio e l'atono '-ulo sono improduttivi e permangono, con signi-
ficato diminutivo, nei termini lessicalizzati artiglio, barbiglio, coviglio, fondiglio, i deverbali nascon-
diglio e ripostiglio, giaciglio, in pioviggine (ora di uso più frequente nel derivato verbale pioviggina-
re), in nevischio (con derivato verbale nevischiare) e infine in termini direttamente derivati dal latino
frenulo, globulo, glomerulo, granulo, lobulo, loculo, notula, ovulo, ramulo ed altri, per lo più confi-
nati alla terminologia anatomica.
accrescitiva è la più probabile. Risulta particolarmente ambiguo negli aggettivi (cfr. 5.2.3.), per esem-
pio belloccio è dato come accrescitivo nel DISC e nello Zingarelli, ed è parafrasabile con l'avverbio
piuttosto, a sua volta oscillante fra intensificazione e attenuazione. Un'indagine fra un gruppo di
parlanti nativi ha confermato la doppia possibilità interpretativa.
Un valore oscillante tra accrescitivo e peggiorativo è quello di -asso/a di Satanasso e del dialettale
(Italia settentrionale) stellassa, per esempio in È una stella, una stellina, una stellona o una stellassa?
(intervista in TV), vicino ai valori alterativi di -accio/-azzo (un esempio letterario è ogni onda dava
all'orcassa una ronzatella in avanti in D'Arrigo, S., op. cit.).
Il concetto di nome di qualità1 ricopre parole complesse come bellezza, opacità, cortesia,
goffaggine e simili. La funzione di tali parole complesse è, come lascia supporre la deno-
minazione stessa, di fornire dei nomi per riferirsi alle qualità espresse dagli aggettivi base,
di trattarle come delle entità. Bello e bellezza infatti denotano la stessa qualità, ma mentre
l'aggettivo bello ha funzione attributiva (un bel quadro) o predicativa (il quadro è bello), il
corrispondente nome di qualità bellezza - o meglio il sintagma che lo contiene - ha funzio-
ne referenziale (la bellezza del quadro). Questa funzione referenziale dei nomi di qualità si
manifesta chiaramente in una delle loro funzioni testuali più frequenti, cioè la ripresa sotto
forma di sintagma nominale di una predicazione anteriore: Tutti trovano questo quadro
eccezionalmente bello. La sua bellezza è dovuta a ecc.
Da questa caratterizzazione dei nomi di qualità si deduce che essi possono solo basarsi
su aggettivi qualificativi, cioè su aggettivi che designano qualità e conoscono un uso predi-
cativo, mentre il grande gruppo degli aggettivi di relazione (cfr. 5.2.1.1.), che semantica-
mente non si distinguono dai loro nomi base, non produce nomi di qualità. Questa differen-
za risalta chiaramente confrontando l'accezione predicativa (la) e quella relazionale (lb) di
uno stesso aggettivo:
Lo stesso contrasto fra accezione predicativa e non predicativa si osserva anche nella se-
guente coppia:
(2) a. una storia vera "autentica" / la storia è vera / la verità della storia
b. un delinquente vero "matricolato" / *il delinquente è vero / *la verità del delinquente
(nel senso intensivo)
L'incompatibilità osservata in (lb) fra -ità (o altri suffissi che servono a formare nomi di
qualità) e aggettivi di relazione sembra contraddetta a prima vista da formazioni come le
seguenti: alcolicità "percentuale di alcol contenuto nei liquidi", mortalità "il numero dei
decessi", salinità "quantità dei sali disciolti nelle acque", scolarità "frequenza effettiva alle
scuole" ecc. In questi esempi, la base è indubbiamente un aggettivo di relazione. Ma si
osservi che -ità non designa qui "l'essere alcolico, mortale, nuziale, salino, scolare ecc.",
bensì una percentuale che ha qualche rapporto con il sostantivo base (alcol, morte, sale,
scuola ecc.) dell'aggettivo di relazione. Ci troviamo quindi di fronte ad un suffisso -ità
autonomo, sincrónicamente distinto dall'-ifà che forma nomi di qualità. La fondamentale
autonomia di questo -ità quantitativo non è messa in crisi dall'esistenza di alcune forma-
zioni ponte come nuvolosità "frazione di cielo coperto da nuvole", che si può ancora inter-
pretare come estensione semantica quantitativa a partire dal senso regolare "l'essere nuvo-
1
Cfr., su tutto questo capitolo, Rainer 1989a.
294 5. Suffissazione
loso". Che il processo di frammentazione semantica sia ormai compiuto è suggerito anche
dall'esistenza di neologismi non passati attraverso uno stadio predicativo: divorzialità (a.
1966, Q) "rapporto fra il numero dei divorzi e il numero dei matrimoni" ecc.
Accanto al tipo MORTALITÀ caratteristico di certi linguaggi settoriali si è venuto forman-
do anche un altro uso particolare di -ità con aggettivi di relazione, il tipo GESTUALITÀ, che
sembra invece caratteristico dell'intellettualese. Negli esempi seguenti, la parola in -ità può
generalmente essere sostituita senza grandi problemi dai nomi concreti corrispondenti ag-
giunti fra parentesi quadre: con il primo decennio del nuovo secolo anche la balnearità [i
bagni] e la connessa industria turistica conoscevano l'esordio di una fortunata stagione
(Bellavitis, G. / Romanelli, G., Venezia, Roma / Bari, 1985, 219); Se passiamo ad analizza-
re la famiglia attuale, osserviamo che il dato più rilevante risulta quello relativo alla deci-
sionalità comune [le decisioni prese in comune] (Cazora Russo, G., Essere donna, Milano,
1980, 18); l'uso della maschera, della gestualità [dei gesti] (Panorama 17-9-1986, 124); la
conflittualità [i conflitti] ingiustificata e pretestuosa ha l'obiettivo di cancellare tutta la
progettualità [i progetti] degli ultimi tre anni (La Repubblica 18-4-1987, 5).
Anche l'interpretazione semantica di questa seconda recente variante di -ità, vagamente
collettiva, non passa attraverso uno stadio predicativo "l'essere A", ma si rifa direttamente
al sostantivo base dell'aggettivo di relazione. La constatazione che i nomi di qualità veri e
propri siano incompatibili con basi relazionali rimane dunque intatta.
La parafrasi "l'essere A" utilizzata fin qui per caratterizzare il significato dei nomi di
qualità non esaurisce tutta la gamma di accezioni che può avere questa categoria derivazio-
nale. Possiamo distinguere fondamentalmente tre accezioni diverse. Nella prima, dove il
nome di qualità si riferisce ad una qualità in sé, la nostra parafrasi è adeguata: La sincerità è
pericolosa, ad esempio, si può parafrasare adeguatamente con "L'essere sinceri è pericolo-
so". Più spesso però, un nome di qualità esprime non una qualità in sé, ma una qualità come
si manifesta in una determinata entità, sia che si tratti di una persona, di un oggetto fisico o
di un'entità più astratta: la saggezza spicciola delle persone anziane, la superbia di Paolo,
la mia felicità ecc. Quest'accezione si differenzia chiaramente dalla prima in quanto per-
mette tutta la gamma di determinanti del nome, mentre una qualità in sé è sempre preceduta
in italiano dall'articolo determinativo (in inglese essa si caratterizza per l'assenza di arti-
colo: Sincerity is dangerous). Così saggezza spicciola può apparire in contesti come questa
saggezza spicciola, una saggezza spicciola difficilmente sopportabile ed altri. In altri usi
dei nomi di qualità infine s'impone una parafrasi che contiene il fatto che/di: Nessuno mette
in dubbio la sincerità di Giovanni, ad esempio, significa "Nessuno mette in dubbio il fatto
che Giovanni sia sincero". Com'è noto, la possibilità di una tale lettura dipende dal contesto
sintattico: possibile dopo mettere in dubbio, non lo è invece dopo credere: *nessuno crede
la sincerità di Paolo *"Nessuno crede il fatto che Paolo sia sincero".
A queste tre accezioni fondamentali potremmo aggiungere ancora l'accezione quantitati-
va "il grado di A", che è sempre possibile con nomi di qualità derivati da basi intensificabi-
li: La demoralizzazione di Paolo è più forte di quella di Paola ecc. Come abbiamo già visto
sopra, questa accezione quantitativa, dal punto di vista diacronico, è alla base del tipo
MORTALITÀ con base relazionale: una formazione come nuvolosità "grado di nuvolosità"
poteva facilmente essere reinterpretata come "percentuale di nuvole" e dar luogo così a
derivazioni analoghe come salinità, basate su aggettivi di relazione. Questa estensione
semantica quantitativa è così generale che diventa quasi impercettibile, come prova il fatto
5.1. Derivazione nominale 295
che normalmente non si registra nei dizionari come accezione indipendente, contrariamente
a quanto succede con estensioni come le seguenti, di significato più concreto.
L'estensione semantica di gran lunga più importante è quella che trasforma il nome di
qualità nella designazione di un atto, sia verbale che non verbale: un 'astuzia, una bassezza,
una cattiveria, una infantilità, una ingenuità, una insolenza, una sciocchezza, una strava-
ganza, una vigliaccheria ecc. Come appare anche da questa breve enumerazione, tale esten-
sione si dà soprattutto con qualità negative: possiamo dire, ad esempio, Paola è stufa delle
infedeltà / ingiustizie / sregolatezze di Paolo, ma non Paola è felice delle fedeltà / giustizie /
regolatezze di Paolo. Guardando più da vicino, si osserva però che il fatto determinante non
è la negatività in sé bensì il fatto che la qualità designata dal nome di qualità sia associata
tipicamente a un certo comportamento, positivo o negativo. Così accanto a le sue scortesie
si può dire anche le sue cortesie, perché la cortesia è tipicamente associata a determinati atti
nella nostra cultura, e lo stesso vale per coppie come le sue sgarbatezze / le sue garbatezze,
le sue indelicatezze / le sue delicatezze e simili. La produttività di questa estensione è pro-
vata da esempi come i seguenti: sapeva stare in compagnia senza alterigie vane (Casaviva
luglio 1986, 142); le durezze dei timidi (Biagi, E., Italia, Milano, 1980, 107); le schizzino-
sità e le sufficienti esigenze di alcuni (Bolelli, T., Leopardi linguista ed altri saggi, Messina
/ Firenze, 1982, 177).
Un'altra estensione, molto simile a quella qualità > atto, trasforma nomi di qualità in so-
stantivi designanti parole, frasi o enunciati: dire delle gentilezze, imbecillità, puerilità,
stupidità, volgarità ecc. Che anch'essa sia produttiva si deduce da esempi non registrati nei
dizionari come dire delle bizzarrie, dissennatezze, eccentricità, immoralità ecc., oppure
dall'esempio seguente: le acidità sibilate più frequentemente contro di lui (Panorama 3 1 -
8-1986, 50). Come è fluida la linea divisoria fra atto e detto, lo è anche quella fra detto e
cosa, nel senso astratto di stato di cose: dire delle assurdità / voler farlo da solo è
un'assurdità. Altri nomi di qualità frequentemente utilizzati in quest'accezione sono: ba-
nalità, falsità, mostruosità, novità, schifosità ecc. I seguenti esempi mostrano la produttività
dell'estensione: sembra una ovvietà ma è così (Panorama 28-9-1986, 137); questa dram-
matica demenzialità (Panorama 16-3-86, 7; parla A. Busi, che si riferisce a un suo libro).
Le altre estensioni riscontrabili non sembrano veramente produttive, benché alcune siano estensibili
per via analogica. Per l'estensione collettiva tipo la cattolicità, cristianità, intellettualità, nobiltà ecc.
sono attestati sporadici neologismi: una delle regine dei salotti e della mondanità romana (Panorama
16-3-1986, 85), A Spoleto, al festival dei Due Mondi, rendez-vous della vanità internazionale (Fre-
scaroli, Α., L'arte di scrivere bene, Milano, 1986,151). L'estensione collettiva riferita a cose come in
sporcizia sembra invece essere totalmente improduttiva. Più sopra abbiamo visto però che sta nascen-
do anche un tipo collettivo basato su aggettivi di relazione (cfr. la balnearità = "i bagni"). Le desi-
gnazioni di persone tipo una bellezza, celebrità, potenza ecc. sembrano costituire un insieme essen-
zialmente chiuso, come suggeriscono i contrasti seguenti: quel cantante è una celebrità / *una popo-
larità, quel giocatore è una mediocrità / *una bravura ecc. Anche i titoli (Sua Altezza, Sua Santità
ecc.) non sono più di moda (Sua Emittenza non è estensione di un nome di qualità). Ugualmente
improduttive sono le estensioni locative, tutte con basi di significato anch'esso locativo, come altezza,
estremità, profondità, prossimità, vicinanza ecc., le estensioni quantitative tipo un 'immensità / infinità
/ 1enormità / *astronomicità di errori, le estensioni temporali come antichità "età antica" ed altre
ancora più rare.
296 5. Suffissazione
Come si vede, la realizzazione sintattica degli argomenti interni rimane invariata, mentre
l'argomento esterno appare realizzato mediante un sintagma preposizionale con di. Lo
stesso tipo di realizzazione si osserva anche quando l'argomento esterno è un infinito (6),
ma una completiva soggetto (7) rimane invariata:
(6) capirlo è impossibile / l'impossibilità di capirlo
(7) che lui venga è impossibile / l'impossibilità che lui venga
Accanto a questo quadro regolare esistono però anche delle complicazioni. In alcuni casi,
l'argomento interno può essere introdotto da una preposizione diversa da quella retta
dall'aggettivo base:
(8) a. Paolo è devoto alla Vergine / *per la Vergine
b. la devozione di Paolo alla Vergine / per la Vergine
Nei seguenti due casi, l'impossibilità di trasferire quanto Giovanni e come una volpe nel
sintagma nominale sembra riconducibile al fatto che non si tratta di argomenti interni bensì
dei secondi elementi delle costruzioni correlative tanto ... quanto e così... come, col primo
elemento sottaciuto:
(10) Paolo è alto quanto Giovanni / *1'altezza di Paolo quanto Giovanni
(11) Paolo è astuto come una volpe / *l'astuzia come una volpe di Paolo
298 5. Suffissazione
Infine è impossibile il trasferimento del sintagma preposizionale anche nel seguente tipo di
costruzione in cui l'argomento esterno di impossibile non è quest'ipotesi ma confutare
quest'ipotesi (12a), essendo (12b) ricavato da (12a) mediante una trasformazione:
(12) a. confutare quest'ipotesi è impossibile
b. quest'ipotesi è impossibile da confutare
c. *Γimpossibilità da confutare di quest'ipotesi
Se (12d) sembra più accettabile, ciò si deve magari all'influsso analogico di costruzioni del
tipo esemplificato in (12e), in cui il governo è effettivamente l'argomento esterno di impo-
tente, come mostra (12f):
(12) d. ??1'impossibilità a confutarsi di quest'ipotesi
e. l'impotenza arinnovarsidel Governo
-ace tenacità
-ale attualità inferenzialità, pedonalità (Q) ecc.
-ano grossolanità francescanità (GDLI), padanità (GDLI) ecc.
-are ilarità basilarità, linearità (BC) ecc.
-ario bonarietà originarietà (GDLI), primarietà ecc.
-bile variabilità inseribilità, tascabilità (Q) ecc.
'-eo idoneità curvilineità (P), mediterraneità (GDLI) ecc.
-forme conformità aeriformità (GDLI), multiformità ecc.
'-ico scientificità metaforicità, partiticità (GDLI) ecc.
'-ido acidità
-ile senilità febbrilità (GDLI), pecorilìtà (GDLI) ecc.
'-ile facilità prensilità (L'Espresso 24-8-1986,99)
-ino mascolinità bovinità (P), pariginità (GDLI) ecc.
-ivo attività narratività, ultimatività ecc.
-oce precocità
-orio notorietà illusorietà, irrisorietà ecc.
-oso golosità pallosità (GDLI), spigolosità ecc.
Il fatto che -ità e -età siano illimitatamente produttivi con queste sequenze non significa
però che non ci siano interazioni con altri suffissi, soprattutto nell'ambito delle formazioni
300 5. Suffissazione
usuali. Ci dobbiamo limitare qui a menzionarne le più importanti. Le basi in -ace e -oce
scelgono anche spesso '-ia (cfr. tenacia) accanto a -ità, senza che la distribuzione sia sin-
crónicamente predicibile. Con le basi in -ale c'è un unico nome di qualità in -ezza, natura-
lezza, che si spartisce le varie accezioni di naturale con il regolare naturalità. Altri derivati
irregolari con effetto bloccante sono uguaglianza (ugualità è raro), lealtà e realtà (realità è
limitato al linguaggio giuridico e matematico). La scarsa accettabilità di Ί1α bestialità del
caldo, Ί1α micidialità del freddo o la mondialità del pollo sarà dovuta al carattere troppo
colloquiale degli aggettivi base. Nel caso di -ano, gli irregolari lontananza e villania bloc-
cano °lontanità e °villanità. Pianezza e stranezza ovviamente non sono eccezionali perché
derivati da basi bisillabiche. Per quanto riguarda -are, è degna di nota la tendenza, combat-
tuta dalla grammatica normativa, a formare il nome di qualità in -ietà secondo il modello
degli aggettivi in -ario: complementarietà, elementarietà, persino similarietà (lapsus stu-
dentesco). L'unico caso di blocco con -ario è attribuibile a necessità: *necessarietà. For-
mazioni in -ismo come autoritarismo ostacolano formazioni simili in -età come autorita-
rietà (BC), senza però bloccarle completamente. Degli aggettivi in '-ico, beneficenza, ma-
gnificenza e munificenza bloccano efficacemente °beneficità, °magnificità e °munificità.
Otto aggettivi del lessico comune poi prendono - ezza: dimestichezza, domestichezza (ac-
canto a domesticità), intrinsichezza (diverso da intrinsecità), rustichezza (in parte diverso
da rusticità), selvatichezza, stitichezza, tisichezza e zotichezza. Queste formazioni illustrano
bene la diversa valenza stilistica di -ezza e -ità: domestichezza è una variante familiare del
termine biologico domesticità, e rustichezza è limitato all'accezione "rozzo" (cfr. la rusti-
cità / *rustichezza di una facciata). Identità blocca 0 identicità. Lo stesso si osserva anche
per aggettivi derivati da sostantivi astratti in -ia e -ismo, che spesso fungono anche da nomi
di qualità: abulia —> abulico —* abulicità, cinismo —• cinico —> *cinicità, antropomorfismo
—» antropomorfico —» antropomorfìcità, dinamismo —» dinamico —* dinamicità ecc. La
forza del blocco in questi casi dipende dal grado di sinonimia e dalla frequenza della parola
bloccante. I circa sessanta aggettivi in '-ido formano il nome di qualità con -ezza e -ità,
senza che la distribuzione dei due suffissi segua nessuna logica evidente. Si osserva però
che -ità predomina con basi scientifiche: acidità, algidità, liquidità ecc. In alcuni casi una
formazione usuale blocca la formazione con l'altro suffisso, a volte ambedue coesistono.
Nel caso di -ile, rileviamo i seguenti casi irregolari: civiltà, gentilezza e sottigliezza (ac-
canto al più raro sottilità). Più irregolarità si registrano nel caso di '-ile: difficoltà, ignobiltà,
nobiltà, umiltà, somiglianza e verosimiglianza. Somiglianza è regolarmente derivato da
somigliante, ma interessa qui perché blocca, con similarità e similitudine, il per altro rego-
lare "similità. Gli aggettivi in -ino presentano due casi di blocco: vicinanza e libertinaggio
(finezza non è irregolare perché la base è bisillabica). C'è poi ancora qualche interferenza
da parte di -ismo: albinismo / albinità ecc. Per gli aggettivi in -ivo, si constatano ugual-
mente due eccezioni: cattiveria e lascivia (vivezza ha una base bisillabica). Lo stesso vale
per -oso: gelosia, ritrosia (accanto al quale esiste pure il regolare ritrosità). Nel caso di
-oso, va menzionata però ancora un'altra fonte di irregolarità: siccome molte formazioni
derivano da un nome di qualità, questa base può bloccare una derivazione ulteriore con -ità:
coraggio —> coraggioso —> *coraggiosità, gloria —> glorioso —• *gloriosità, orgoglio —>
orgoglioso —• *orgogliosità, vanità —* vanitoso —> *vanitosità ecc. Anche qui la forza
bloccante dipende dal grado di sinonimia fra i due nomi di qualità e dalla frequenza della
parola bloccante.
5.1. Derivazione nominale 301
Accanto alle sequenze elencate nella tabella 1, che sono quelle più importanti, esiste an-
cora una lunga serie di sequenze finali meno frequenti di aggettivi maggiori di due sillabe
che favoriscono l'aggiunta di -ità. La tabella 2 mostra che l'esistenza di modelli formali
simili influisce positivamente sull'accettabilità di neologismi: quelli derivati da aggettivi in
-zzo o -ingo, per cui non esiste nessun nome di qualità usuale, sono stati giudicati margi-
nalmente possibili dagli informanti, mentre l'accettabilità di -ità è nettamente più elevata
con aggettivi in -erno e '-ulo/'-ule, per cui esistono delle formazioni usuali. Casalinghità,
fra l'altro, è documentabile con un hapax del 1991 (BC). Fiamminghità sembra più accetta-
bile grazie alla lunga serie di nomi di qualità derivati da aggettivi etnici come americanità,
fiorentinità, italicità, milanesità ecc. In questo caso l'analogia semantica permette
l'estensione del suffisso anche a sequenze per cui non è attestato nessun nome di qualità in
-ità: arabità (F), austriacità (Magris, C., Corriere della Sera 9-10-1995), lombardità (F),
romaneschità (Calcagno, G., Bianco, rosso e verde, Roma / Bari, 1993, 17) ecc.
-zzo aguzzila
77
avvezzità
77
paonazzità
77
rubizzità
eternità altemità (GDLI)
fraternità esternità (GDLI)
modernità intemità (GDLI)
subalternità (a. 1983)
-ingo "casalinghità
''fiamminghità
11
guarding hità
-ulo/'-ule credulità edulità
sedulità
forti restrizioni. Come nel caso di -ità, tratteremo separatamente le basi bisillabiche e quelle
maggiori di due sillabe.
Con le basi bisillabiche, -ezza è chiaramente il suffisso dominante, ma deve competere
con una ventina di suffissi rivali: dei 265 aggettivi bisillabici analizzati, ben 133 prendono
-ezza, 43 -ità, 11 -età, 11 -aggine, 8 -eria, 8 -izia, 8 -ore, 7 -itudine ecc. Il numero dei neo-
logismi attestati però è relativamente piccolo, ed anche se prendiamo in considerazione i
neologismi giudicati possibili dagli informanti non riusciamo a colmare tutte le lacune.
Sono attestati i sei neologismi buiezza, fulvezza, ghiaccezza, guittezza, sanezza e scialbezza,
a cui potremmo aggiungere dei neologismi elicitati come biondezza, brunezza, buffezza,
foschezza, grezzezza, irtezza, lercezza, scarnezza, smilzezza, tritezza ecc. Ma per un consi-
stente numero di aggettivi bisillabici senza nome di qualità anche -ezza è stato respinto
dagli informanti: *brutezza, *guastezza, *mortezza, *privezza, *sbronzezza, *scalzezza,
*schivezza, *sgombrezza, *stagnezza, *trucezza, *zeppezza, *zittezza, *zuppezza ecc. La
produttività di -ezza con aggettivi bisillabici è dunque piuttosto bassa e sembra condizio-
nata dall'esistenza di modelli analogici nel lessico usuale.
La situazione con basi maggiori di due sillabe si presenta molto diversa. Dei 260 agget-
tivi non-complessi solo 47 prendono -ezza, di cui per di più ben 29 finiscono in -to. I nomi
di qualità in -ezza di basi maggiori di due sillabe che non finiscono in -to costituiscono
praticamente un insieme chiuso, estensibile tutt'al più per via analogica: allegrezza, alte-
rezza, amarezza, debolezza, frivolezza, immondezza, interezza, leggerezza, minuscolezza,
nefandezza, piccolezza, ridicolezza, sicurezza, tenerezza, ubriachezza ecc. Più lunga invece
è la lista dei nomi di qualità derivati da basi in -to: abiettezza, argutezza, asciuttezza, asso-
lutezza, astrattezza, astutezza, compattezza, completezza, concretezza ecc. Ma anche con
questo tipo di basi -ezza non è produttivo illimitatamente: *celestezza, *congenitezza,
*facetezza, *funestezza, *incintezza, *indigestezza, *insitezza, *manifestezza, *nefastezza
ecc. Con basi in -to, per di più, -ezza è in concorrenza con una serie di altri suffissi. Tali
nomi di qualità a volte bloccano quello in -ezza, a volte coesistono: arguzia / argutezza,
abiezione / abiettezza, discrezione / discretezza ecc.
La particolare affinità fra -ezza e aggettivi in -to trova conferma anche nell'analisi dei
participi aggettivali in -to, che privilegiano anche loro -ezza. Come abbiamo già menzio-
nato in 5.1.2.1.1.2., un participio può fungere da base di un nome di qualità solo se esprime
una qualità. Questa restrizione si applica naturalmente anche a -ezza, che appare soprattutto
con participi lessicalizzati che si riferiscono a disposizioni umane o qualità estetiche. Il
comportamento diverso di qualità e stati si può illustrare bene contrapponendo l'accezione
regolare (13a) e quella lessicalizzata (13b) di un participio come eletto:
(13) a. il sindaco eletto / *l'elettezza del sindaco
b. maniere elette / elettezza di maniere
Il primo grande gruppo di basi sono dunque participi lessicalizzati che esprimono delle
disposizioni umane. Eccone un breve elenco ordinato per gruppi semantici: castigatezza /
dissolutezza, moderatezza / sfrenatezza, pacatezza, accuratezza / trascuratezza, sensatezza /
dissennatezza, raffinatezza, spudoratezza, svogliatezza, spietatezza ecc. Che -ezza sia pro-
duttivo con questo tipo di basi è provato da neologismi come i seguenti: compassatezza
(Bacchelli; GDLI), una contenutezza cortese (Deledda; GDLI), imprevedutezza (BC), tra-
sandatezza (L) ecc. Fra le qualità che non si riferiscono a disposizioni umane spicca un
gruppo di aggettivi che esprimono un giudizio estetico: elaboratezza, elevatezza, ornatezza,
5.1. Derivazione nominale 303
questa classe di aggettivi sia ancora un processo produttivo: confortevolezza (Eco, U., Se-
miotica e filosofia del linguaggio, Torino, 1984, 245), servizievolezza (P).
Concludendo, possiamo dire che -ezza è un suffisso ben rappresentato nel lessico usuale
ma, contrariamente a un'opinione largamente diffusa, di modesta produttività nell'italiano
moderno. È il suffisso centrale per gli aggettivi bisillabici, ma la grande maggioranza ha già
un nome di qualità usuale e per di più l'estensione di -ezza sembra possibile solo per via
analogica. L'area di maggiore produttività è costituita da participi lessicalizzati in -to che
esprimono delle qualità. Con aggettivi in '-ido e -evole il suffisso è produttivo in linea di
principio, ma i neologismi effettivamente coniati sono pochi.
da nomi di qualità dei rispettivi aggettivi abulico, antipatico, atrofico ecc.: Paolo è abuli-
co / l'abulia di Paolo ecc. La direzione della derivazione però è abulia —> abulico, non
abulico —» abulia. A questo male è endemico, ad esempio, non possiamo far corrispondere
un nome di qualità * l'endemia di questo male.
Vari di questi tipi aggettivali, essendo maggiori di due sillabe e stilisticamente elevati,
soddisfano anche alle esigenze di -ità. Gli aggettivi in -nimo, per esempio, somigliano da
vicino ad aggettivi in -imo come legittimo, che prendono -ità: legittimità ecc. L'uso di -ità
è qui bloccato dalla restrizione morfologica più specifica che lega -ia ad aggettivi in '-nimo
(blocco da regola a regola). Il fatto che per lo meno alcuni di questi tipi aggettivali appar-
tengano anche al dominio di -ità è provato da neologismi occasionali come anonimità (BC),
comedogenità (Gente 26-4-1990, 13) o idrofilità (GDLI).
Dal punto di vista formale, bisogna menzionare alcuni casi di palatalizzazione: idiota —*
idiozia, ipocrita —• ipocrisia, pulito —• pulizia, '-fago —> -fagia e '-logo —* -logia.
Fra le formazioni non psichiche bisogna menzionare innanzitutto una piccola nicchia di parole in
-aggine, ormai tutte rare, che siriferisconoa malattie o difetti, come zoppaggine ecc.
5.1. Derivazione nominale 307
costituisce però una condizione sufficiente per l'aggiunta dei due suffissi: *beonaggine,
*chiassosaggine, *fariseeria, *impreparataggine, *menzognereria, *noiose-ria,
*pauro saggine, *scrocconaggine, *spietataggine, *vanesieria ecc. Come si può vedere
nella tabella 4, in cui ci limitiamo ad elencare le formazioni più correnti, la distribuzione di
-aggine e -eria è determinata, in parte per lo meno, da nicchie semantiche più circoscritte
(si includono le estensioni qualità —• atto):
avaro meschineria
piccineria
pidocchieria
pitoccheria
spilorceria
taccagneria
tirchieria
avventato avventataggine
sbadataggine
scapataggine
308
spensierataggine
storditaggine
"cocciuto" caponaggine
cocciutaggine
mulaggine
testardaggine
"pedante" cineseria
grammaticheria
meticolosaggine
minuziosaggine
pedanteria
pignolaggine pignoleria
pigro infingardaggine
oziosaggine
scioperataggine
orso musonerta
orsaggine
ritrosaggine
scontrosaggine
"bizzarro" bislaccheria
fantasticaggine fantasticheria
stramberia
"trasandato" cialtroneria
sciatteria
sudicieria
"galante" civetteria
galanteria
"ridicolo" buffonaggine
ridicolaggine
"poltrone" pecoraggine
poltronaggine poltroneria
vigliaccheria
"bigotto" bacchettoneria
bigotteria
Le formazioni della tabella 4 mostrano in parte una distribuzione complementare: tutti gli
aggettivi che significano "avaro", per esempio, prendono -eria, mentre quelli che significa-
no "avventato" o "pigro" prendono uniformemente -aggine. In alcuni casi questa distribu-
zione non aleatoria può probabilmente essere spiegata come effetto secondario di altre
restrizioni (la quasi totale assenza di -eria con basi in -ato, ad esempio, potrebbe essere
responsabile per la predominanza assoluta di -aggine nella nicchia "avventato").
I neologismi seguono in gran parte questi condizionamenti semantici e formali: burinag-
gine (Calcagno, G., Bianco, rosso e verde, Roma / Bari, 1993, 19) ha il suo modello proba-
bile in cafonaggine, ciabattoneria (Marchi, C., Impariamo l'italiano, Milano, 1984, 19) in
sciatteria, furbastreria (BC) e marpioneria (Calcagno, G., op.cit., 22) in furberia, sbrujfo-
neria (BC) in spavalderia, sgangherataggine (BC; detto di U. Bossi) in sguaiataggine ecc.
Carogneria (BC) entra nella nicchia "birbante", cretinaggine (BC) in quella ben fornita
della stupidità, fannullonaggine (Simone, R., L'università dei tre tradimenti, Roma / Bari,
1993, 120) in quella della pigrizia, dominata da -aggine ecc. Ma non tutti i neologismi
mostrano condizionamenti così ovvi. Quelli in -eria soprattutto possono anche formarsi
senza modello o gruppo analogico immediato, pur rimanendo quasi sempre nell'ambito
semantico delle disposizioni umane negative: la cieca canaglieria di Saddam (BC), un
decennio abbondante di parole d'ordine quali Contestazione, Trasgressione e Devianza e
Freakkeria (Arbasino, Α., La Repubblica 15/16-3-1981, Q), piagnoneria (BC), selvagge-
ria (BC), sgobboneria (F), schizzinosela (Todisco, Α., Ma che lingua parliamo, Milano,
1984, 88), sfigaggine (BC) ecc. E invece piuttosto raro che un neologismo non si riferisca a
una disposizione psichica negativa: la fasulleria delle notizie dei concorrenti (Eco; BC)
ecc.
suffisso -eia: cautela. Il suffisso -enza è presente in sei formazioni, suddivisibili in tre gruppi. Il
primo gruppo è costituito da beneficenza, magnificenza e munificenza, sincrónicamente riferibili a
benefico, magnifico e munifico, il secondo da benevolenza e malevolenza, sincrónicamente riferibili a
benevolo e malevolo. Com'è noto, questi nomi di qualità derivano da aggettivi in -nte da un punto di
vista diacronico (il suffisso era dunque -(z)a). Diacronicamente, semanticamente e stilisticamente
molto diverso è il sesto caso: scemo —* scemenza. L'unico nome di qualità in -èria è cattiveria. Il
suffisso '-fa ricorre in 16 formazioni usuali: superbia, peifidia, facondia, iracondia, verecondia,
concordia, discordia, infamia, insania, insonnia, miseria, modestia, molestia, ignavia, lascivia, pro-
tervia. Come si vede dall'enumerazione, ci sono alcune sequenze finali meglio rappresentate di altre,
ma anche quelle più presenti non permettono un'estensione a neologismi: *secondia, *monocordia,
*manifestia ecc. A queste 16 formazioni si aggiungono altre otto in cui l'aggiunta di '-ia è accompa-
gnata dall'affricazione della Iti finale della base: grazia, facezia, perizia, inerzia, solerzia, arguzia,
astuzia, minuzia. L'unico nome di qualità corrente con un suffisso -ie è barbarie. Irsuzie, da irsuto, è
raro. Il suffisso -igia forma i quattro nomi di qualità alterigia, cupidigia, franchigia ("esenzione" vs
franchezza "schiettezza") e ingordigia. Malgrado l'improduttività del suffisso è attestato un neologi-
smo: «goliardigia»: degenerazione passeggera ma visibile della goliardia (L). E ovvio che il modello
tanto semantico quanto formale è da ricercarsi in ingordigia. Come vedremo in 5.1.2.1.2.2., i nomi
d'azione possono, sotto certe circostanze, fungere da nomi di qualità. Ci limiteremo dunque qui ad
elencare alcuni nomi di qualità in -ione la cui base non può più essere interpretata sincrónicamente
come participio: concisione, precisione, perversione, abiezione, attenzione, compunzione, contrizione,
dedizione, devozione, discrezione, involuzione, irresoluzione, perfezione, risoluzione, soggezione,
stupefazione. La /t/ finale della base appare come affricata prima di -ione. A questa lista si potrebbero
ancora aggiungere parecchi casi in cui la base è ancora fiancheggiata da un participio formalmente
identico ma semanticamente già più o meno discosto, come nel caso di decisione "risolutezza" ecc. Il
suffisso -itudine ricorre nei seguenti nomi di qualità usuali: altitudine, amaritudine, amplitudine,
attitudine, beatitudine, gratitudine, inettitudine, longitudine, negritudine, rettitudine, solitudine,
turpitudine. In varie di queste formazioni -itudine si aggiunge solo a un'accezione particolare della
base: l'altitudine di questo luogo / *di Paolo ecc. Negritudine è un gallicismo (a. 1972) che si riferi-
sce alla condizione del negro. Questo termine, nel linguaggio saggistico, ha dato luogo a una discreta
serie di formazioni analogiche: bambinitudine (F), casalinghitudine (Q), nonnitudine (F), punkitudine
(Q), russitudine (F), sicilitudine (Bocca, G., Italiani, strana gente, Milano, 1997, 90), singlitudine
(BC), streghitudine (F) ecc. Come si vede, la base - con l'eccezione di sicilitudine - designa una
categoria di persone e il nome di qualità o piuttosto di status (cfr. 5.1.1.4.) la loro condizione tipica.
Le basi sono dunque più nominali che aggettivali. I nomi di qualità usuali nella lingua comune in -izia
sono i seguenti: amicizia, avarizia, furbizia, giustizia (vs giustezza), inimicizia (da riferire a nemico),
letizia, mestizia, pigrizia, pudicizia, sporcizia. Immondizia ha unicamente valore di collettivo. La fkJ
finale appare come affricata palatale davanti a -izia. Il suffisso -izie è presente solo in calvizie e cani-
zie (cfr. canuto). Pur ricorrendo in parecchie formazioni che mostrano in parte delle proprietà seman-
tico-formali comuni, il suffisso -ore nondimeno è sincrónicamente improduttivo. Da un punto di vista
formale, caldo —• calore presenta una caduta del tutto irregolare della /d/ finale della base. Regolare è
invece la caduta di '-ido: candido —> candore, e così anche in fervore, fetore, fulgore, languore, orro-
re, pallore, splendore, squallore, tepore, torpore e turgore. L'affricata palatale di fulgido e turgido
appare come /g/ davanti a -ore. Malgrado il numero abbastanza elevato di coppie di questo tipo, il
processo è sincrónicamente improduttivo: acido —* *acore, arido —• *arore ecc. Delle formazioni
formalmente regolari, varie denotano colori: chiarore, grigiore, rossore, scialbore. Per questa nicchia
semantica è attestato un neologismo letterario: quel pallore e biondore (Papini; GDLI). Rimangono
fortore "odore forte" e spessore. Non tutte queste formazioni sono dei nomi di qualità puri. Il suffisso
-tà ricorre nel seguente insieme, non del tutto eterogeneo, di nomi di qualità: lealtà, realtà, crudeltà,
fedeltà, civiltà, ignobiltà, nobiltà, umiltà, viltà, bontà, libertà, povertà, sicurtà. Malgrado queste
piccole sotto-regolarità, il processo è sincrónicamente improduttivo: *idealtà, *febbriltà, *burbertà
ecc. Il suffisso potrebbe essere considerato come variante di -ità, ma la sua occorrenza non è descrivi-
bile con una regola. Il suffisso -Udine è presente in sette formazioni: consuetudine, ebetudine, finitu-
dine, inquietudine, irrequietudine, mansuetudine, sollecitudine. E una variante di -itudine che appare
5.1. Derivazione nominale 311
solo con basi che finiscono in vocale anteriore + N, ma la distribuzione esatta non segue nessuna
regola più precisa, come mostra un confronto con inettitudine e rettitudine. Si tratta dunque di un
processo aplologico non perfettamente generale in italiano. Per il suffisso -are, infine, vale più o
meno quanto abbiamo detto sopra su -ione. È un suffisso originariamente deverbale che però, da un
punto di vista sincronico, è anche chiaramente deaggettivale. Le formazioni deaggettivali usuali nella
lingua comune sono: bravura, dirittura, disinvoltura, lordura, sozzura·, primogenitura, secondogeni-
tura ecc. A queste formazioni indubbiamente deaggettivali si aggiungono altre che sono fiancheggiate
da un participio ma a volte se ne discostano semanticamente, come apertura (mentale) ecc. Verranno
trattati più da vicino nel paragrafo seguente.
I nomi d'azione appaiono in funzione sostitutiva in due occasioni. Da un lato abbiamo visto
in 5.1.2.1.2.1.4. che con aggettivi in -nte derivati da verbi stativi i nomi d'azione in -(z)a
possono subentrare per i rispettivi nomi di qualità: predominanza "il predominare", ad
esempio, è più o meno sinonimo a "l'essere predominante". Dall'altro è già stato rilevato in
5.1.2.1.1.2. e in altri luoghi che con participi passati risultativi "l'essere nello stato X " è
espresso non con un nome di qualità primario bensì con il nome d'azione rispettivo in
-mento, -ione, -ura, o qualunque altro suffisso comparabile: sconvolgimento "lo stato di chi
è sconvolto", delusione "stato di chi è deluso", ubriacatura "stato di chi è ubriaco" ecc. Se
il verbo stesso è derivato da un nome di stato, il nome d'azione può essere bloccato perché
sinonimo alla base: dolore —» addolorare / addolorato —> *addoloramelo ecc. I suffissi
primari sono rigorosamente esclusi da basi participiali di questo tipo: *sconvoltezza,
*delusità ecc. Essi sono limitati a participi che hanno subito un processo di lessicalizzazio-
ne che li porta ad esprimere qualità piuttosto che stati risultativi: Paolo è un uomo deciso /
misurato —• la decisione / misuratezza di Paolo ecc.
Con -mento, il numero di formazioni che esprimono qualità vere e proprie è irrilevante.
II suffisso più frequente in questa funzione è -ione: dissipazione, moderazione, ostinazione,
ponderazione, connessione, sconnessione, sommissione, sottomissione ecc. Che in tali casi
si sia creata una relazione morfologica immediata fra participio lessicalizzato e nome
d'azione in funzione di nome di qualità si deduce dal fatto che participi prefissati con in-,
cioè formazioni indubbiamente aggettivali, ammettano anche a volte -ione: inconsiderazio-
ne, insubordinazione, ineducazione (BC) ecc. Per -ura, menzioniamo alcune formazioni
che oscillano fra nomi di stato e nomi di qualità: apertura (mentale), biforcatura, brizzola-
tura, chiusura (mentale), cipollatura ecc. L'uso di un nome d'azione in funzione di nome
di qualità non è comunque un processo produttivo come quello dell'uso sostitutivo dei
nomi d'azione come nomi di stato: misurazione o raffinazione, ad esempio, non possono
essere usati nel senso di misuratezza o raffinatezza.
312 5. Suffissazione
distinte dai nomi di qualità derivati dalle stesse basi: biondismo, ad esempio, non è sinoni-
mo di biondezza. Altre invece sono ormai entrate nell'uso comune e somigliano da vicino a
nomi di qualità veri e propri: idiotismo / idiozia, infantilismo / infantilità, nervosismo /
nervosità ecc. Ma anche qui un'analisi più attenta mostra che -ismo non forma nomi di
qualità veri e propri, rimanendo limitato alle accezioni psico-fisiologiche: mentre, ad esem-
pio, nervosismo si può sostituire a nervosità in dare segni di nervosità, sarebbe invece fuori
luogo in la nervosità della sua prosa.
Una situazione simile si osserva anche con formazioni che designano concezioni o atteg-
giamenti come amoralismo, cerebralismo, conservatorismo, fiscalismo, reazionarismo,
totalitarismo ecc. Anche qui c'è spesso una differenza semantica fra la formazione in -ismo
e il nome di qualità corrispondente, come fra confomismo e conformità o fra immobilismo e
immobilità. Il test delle accezioni funziona anche qui: immobilismo si può sostituire a im-
mobilità in l'immobilità del Vaticano, ma non in l'immobilità del sole, convenzionalismo a
convenzionalità in la convenzionalità del suo discorso, ma non in la convenzionalità del
segno linguistico ecc. Come negli esempi medici, queste limitazioni sono predicibili a parti-
re dal significato particolare di -ismo: come suffisso esprimente una concezione ecc., esso
può fare le veci di un nome di qualità solo se già la base aggettivale esprime una concezio-
ne ecc.
fault con aggettivi stilisticamente elevati: sinonimia / *sinonimità ecc. vs legittimità ecc.,
anglomania / *anglomanità ecc. vs immanità, romanità ecc. Il terzo caso concerne i suffissi
-ismo e -esimo che, si ricorderà, fanno concorrenza ai nomi di qualità veri e propri in -ità o
-età con basi aggettivali che esprimono delle concezioni ecc. L'assenza di °ateità,
°autoritarietà, "puritanità, "reazionarietà, e simili, sembra dovuta all'usualità di ateismo,
autoritarismo, puritanesimo, reazionarismo, e simili. Le formazioni in -ità o -età non sono
però escluse del tutto, e spesso, come abbiamo visto, ambedue le formazioni coesistono
pacificamente: permissivismo / permissività ecc. Il quarto caso infine dipende dalla posi-
zione che si adotti in materia di allomorfia. Se -età viene classificato come suffisso diverso
da -ità, si può dire che -età blocca sistematicamente -ità dopo basi che finiscono in /jV/:
precarietà / *precarità, visionarietà (BC) / *visionarità ecc.
I nomi d'azione sono pertanto sensibili alla natura semantica del predicato da cui essi sono
derivati, in altre parole al tipo di azione verbale, o Aktionsart, cui si fa riferimento in italia-
no con il termine azionalità. L'azionalità è una caratteristica essenziale della semantica
verbale. Essa è connessa più in generale all'aspetto, ma se ne differenzia perché l'aspetto fa
riferimento al «punto di vista specifico adottato dal parlante» (Bertinetto 1994, 392), men-
tre razionalità codifica «il tipo di evento, specificato sulla base di un numero limitato di
proprietà rilevanti» (Bertinetto 1994, 392). Dal punto di vista azionale, si distinguono di
solito eventi puntuali vs durativi, telici vs non telici, statici vs dinamici (cfr. Bertinetto
1991, 26-32). L'intreccio di queste proprietà disegna quattro classi azionali fondamentali: i
verbi stativi, continuativi, risultativi e trasformativi. Rappresentando le singole proprietà
azionali per mezzo di tratti, si ottiene lo schema seguente:
Per individuare le proprietà azionali di un verbo, in genere si utilizzano dei test sintattici,
basati sulla combinabilità dei predicati con alcuni avverbiali, di tempo per esempio:
Si noti che in (5b) il predicato risultativo appare in qualche maniera detelicizzato: dalla
frase infatti non è ricavabile un'indicazione esplicita a proposito della conclusione della
maratona. Perciò i test non sono singolarmente affidabili in assoluto: essi disegnano, se
1
Con predicati trasformativi come partire, «gli avverbi del tipo in questione assumono
un'accezione particolare, parafrasabile con: "la fase c r u c i a l e del processo è stata raggiunta do-
po X TEMPO". Proprio nei limiti in cui i trasformativi implicano una fase culminante, ossia un re-
pentino cambiamento di stato, essi sono quindi da considerarsi verbi tendenzialmente non durativi,
a differenza dei risultativi» (Bertinetto 1991, 33).
316 5. Suffissazione
Come si vedrà più avanti, le caratteristiche azionali possono interagire con le regole di
formazione di parole, per cui una certa categoria azionale viene selezionata (o evitata) nella
produzione di certi nomi d'azione.
C'è un altro aspetto rilevante nel quale razionalità gioca un ruolo. Come è stato già ac-
cennato, 1'azionalità del predicato interagisce con il contesto nel quale esso ricorre. Ciò è
valido, come abbiamo già rilevato, per gli esempi visti sopra in (2), in cui l'interpretazione
del nome d'azione è direttamente connessa con 1'azionalità del verbo base. L'azionalità del
nome d'azione può tuttavia dipendere dal tipo di processo di nominalizzazione selezionato.
L'esempio più chiaro è fornito dal confronto tra l'infinito sostantivato e i nomi d'azione
derivati con il suffisso -mento, come nelle frasi seguenti:
un nome, parafrasatole per mezzo dell'espressione "l'atto di V". In realtà questa parafrasi
non esaurisce l'ambito di accezioni riscontrabili tra i nomi d'azione. A questo proposito
Vendler 1967 distingue tre accezioni principali che possono essere raggruppate in eventi,
fatti e proposizioni. Nel primo gruppo rientrano tutti i casi cui abbiamo fatto cenno sinora,
parafrasatoli con "l'atto di V". In questi casi, i predicati nominalizzati possono essere os-
servati e descritti, possono essere graduali o improvvisi (l'arrivo di Giovanni fu improvvi-
so). Essi rimangono fondamentalmente degli oggetti temporali. I fatti, invece, che costitui-
scono la seconda categoria, possono essere menzionati o negati, possono suscitare reazioni
emotive nei parlanti, possono causare altri eventi (l'arrivo di Giovanni ci rallegrò). Infine,
a differenza dei fatti, che sono oggettivamente dati, le proposizioni (opinioni, predizioni,
convinzioni) sono costruite dai parlanti a partire dai fatti, e possono essere quindi vere,
false, inverosimili o probabili (l'arrivo di Giovanni è improbabile).
Altre estensioni semantiche molto comuni tra i nomi d'azione sono inoltre quelle che
hanno l'effetto di trasformare il nome d'azione in un nome più o meno concreto. In
quest'ambito la casistica è piuttosto ampia, ed è utile tener presente che le estensioni se-
mantiche sono spesso vincolate alla struttura argomentale del predicato base, come nel caso
molto frequente in cui il nome d'azione designa il risultato di un atto, che può essere
astratto (l'espressione di Giovanni fu inopportuna) o concreto (l'espressione scritta alla
lavagna era scorretta). Si noti che il risultato coincide con l'oggetto del verbo, come in
espressione, che è "ciò che è stato espresso, che si esprime". Tuttavia il riferimento alla
struttura argomentale non spiega tutti i casi come ad esempio segatura, che denota il mate-
riale di scarto risultante dall'azione di segare, piuttosto che l'oggetto segato. Seguendo un
altro tipo di estensione semantica abbastanza diffuso, il nome d'azione rappresenta uno
stato risultante raggiunto dal predicato (la civilizzazione è uno stadio recente nella storia
dell'umanità, la coagulazione del sangue è piuttosto avanzata). Si noti che in questo caso il
nome d'azione viene ad assumere un significato simile al nome di qualità (cfr.
5.1.2.1.2.2.1.). Il nome d'azione può per estensione denotare lo strumento con il quale si
realizza il predicato (l'illuminazione della sala fu rimessa in funzione), oppure può denotare
la persona o l'oggetto responsabile di un'azione, cioè l'argomento esterno del verbo (la
difesa accusò i giudici di corruzione, questo monumento è la commemorazione della firma
del trattato di pace), il luogo dove è relizzato il predicato (la sua sistemazione era un lus-
suoso appartamento in centro), il modo in cui è realizzato (la classificazione dei libri in
questa biblioteca è pessima), oppure il lasso temporale nel quale si realizza un predicato
(durante la rivoluzione molti aristocratici abbandonarono la Russia). A questa rassegna
possono essere aggiunte ulteriori estensioni semantiche, come ad esempio il rumore pro-
dotto dall'azione (il gocciolio del rubinetto mi disturba la concentrazione), in parte riduci-
bili a quelle illustrate sopra. Ad esempio l'estensione che si ritrova in una frase come la
concentrazione di sale in questa soluzione è alta, in cui è il grado di concentrazione di sale
ad essere in gioco, può essere ricondotta alla somma delle due possibili estensioni "lo stato
di essere V" e "il modo in cui è V", cioè ad un significato concreto quantitativo. In genera-
le, si deve comunque aggiungere che benché siano osservabili delle tendenze specifiche nel
tipo di estensione semantica cui derivati con un certo suffisso vanno soggetti (e di sotto si
cercherà di darne esemplificazione), la materia resta molto intricata. In molti casi, infatti,
l'estensione semantica è spiegabile solo facendo riferimento alle caratteristiche cognitive
del predicato base (cfr. 1.2.3.1.).
318 5. Suffissazione
Tra i due tipi di estensioni semantiche illustrate sopra esiste una differenza importante:
mentre nel primo caso l'interpretazione come evento o fatto è sempre possibile in dipen-
denza dal contesto - l'estensione è perciò pienamente produttiva - , nel secondo caso le
possibilità di estensione semantica sono molto più ristrette. Da questo punto di vista, si
consideri il caso di coppie di nomi d'azione come divaricamento / divaricazione:
(9) a. Il sindacato combatte contro la divaricazione dei salari tra le classi sociale stabilita due
anni fa dal governo.
b. *I1 sindacato combatte contro il divaricamento dei salari tra le classi sociali stabilito due
anni fa dal governo.
In (9a), divaricazione denota "lo stato di essere V", un'estensione semantica non possibile
per divaricamento. Pertanto, il secondo tipo di estensione semantica non si applica alle
parole automaticamente, cioè in dipendenza dal contesto. In questo senso, essa è un feno-
meno diacronico, che ha come effetto la polisemia dei nomi d'azione (cfr. sull'argomento
Rainer 1996b, Gaeta 1999a). Infatti, negli esempi di estensione semantica riportati sopra, il
significato "l'atto di V " convive con il significato risultante dall'estensione semantica (per
es. espressione "l'atto di V " e "il risultato di V"). Tuttavia ci sono molti casi in cui ciò non
è vero, in cui cioè il nome d'azione non può essere impiegato nella funzione meramente
trasposizionale (*V abitazione di Giovanni a Milano durò tre anni). Inoltre si registrano in
diacronia casi in cui il significato "l'atto di V " è andato perso, come per esempio porta-
mento che denota oggi solo "il modo di V", mentre in italiano antico poteva anche signifi-
care "l'atto di V " (GDLI). Data la natura imprevedibile di questi fenomeni, in genere si
parla in questi casi di lessicalizzazione. Esiste tuttavia anche il caso opposto, in cui una
neoformazione presenta solamente il significato estensivo come in cinturazione: centinaia
di micropali [...] crearono una profonda cinturazione in tutta l'area (La Stampa 13-10-
1996, 35), in cui il derivato ha valore concreto, spesso legato all'impiego al plurale come
nella neoformazione dossieraggio, che ha valore eventivo nell'esempio sull'attività di
dossieraggio (Corriere della Sera 2 - 1 0 - 1 9 9 5 , 2), ma valore concreto in senza dossieraggi
da lOOmila pagine (Corriere della Sera 17-12-1996, 2). Mentre nel caso di dossieraggio, il
significato eventivo non si accompagna all'attestazione di un verbo °dossierare, nel caso di
rottamatura (Le riprese vengono effettuate tra le rottamature, La Stampa 17-1-1996, 12)
abbiamo invece un derivato con significato concreto che, come nel caso di cinturazione,
può in teoria essere formato sia a partire dal nome (con un'estensione di dominio del suffis-
so, v. sotto 5.1.3.1.1.3.) che dal verbo denominale. In conclusione, mentre per tutti questi
casi sembra opportuno parlare di polisemia, il primo tipo di estensione semantica rappre-
senta piuttosto il fenomeno della vaghezza, come si evince dall'applicazione del test della
coordinabilità. Infatti nel caso della polisemia, la coordinazione di nomi d'azione con signi-
ficato diverso non è accettabile: *la difesa, accusò i giudici di corruzione, ma 0¡fu inutile,
mentre nel caso della vaghezza la coordinazione è sempre possibile: l'arrivo¡ di Giovanni fu
improvviso, ma 0¡ ci rallegrò.
Sulla base di quanto è stato detto sopra, è facile immaginare come le basi dei nomi d'azione
siano costituite in genere da verbi. Si osserva tuttavia un'estensione del dominio dei suffissi
anche ad altre categorie lessicali. Questi casi di estensione ad altre categorie lessicali sem-
5.1. Derivazione nominale 319
brano abbastanza produttivi, come si evince dal numero di nuove formazioni che sono regi-
strate dai dizionari. Ad esempio, per quanto riguarda i due suffissi -mento e -zione, il DISC
registra nell'ultimo quarto di secolo le seguenti neoformazioni derivate da nomi: cigliona-
mento, sifonamento, slineamento, sorrenamento\ bigliettazione, deltazione, flbulazione,
mercuriazione, nervazione, parametrazione, solazione, turnazione. In questo caso, il nome
d'azione denota l'attività tipica che ha a che fare con il nome base, per cui potrebbe essere
interpretato come derivato da un verbo virtuale, possibile ma non attestato (cfr. su questo
punto Francescato 1996, 167). Si noti infatti come in alcuni casi il verbo che funge da base
di derivazione possibile sia attestato anche se posteriormente rispetto al nome d'azione (cfr.
turnare, attestato dal 1989 rispetto a turnazione attestato dal 1983). Inoltre, in alcuni casi la
formazione di nomi d'azione prevede l'impiego di elementi prefissati (inculturazione, sli-
neamento), più o meno identificabili (sorrenamento). Allo stesso modo, con il suffisso
-aggio si incontrano tra le neoformazioni casi di nomi denominali prefissati (depolpaggio),
oltre a un gran numero di derivati da nomi (ingressaggio, pellicolaggio, sciacallaggio,
sifonaggio, spugrtaggio, turbinaggio, zitellaggio), specialmente di provenienza straniera
(babysitteraggio, brokeraggio, bunkeraggio, compostaggio, detartraggio, floccaggio, kille-
raggio, mixeraggio, speakeraggio, tassinaggio, telferaggio). Con il suffisso -atura si in-
contrano casi di nomi denominali o deaggettivali (manicatura, perlinatura), o altri in cui è
piuttosto il participio passato a costituire la base (follatura, imbranatura, puntinatura):
questi ultimi rientrano pertanto nella categoria dei nomi di qualità (cfr. 5.1.2.1.2.1.6., e più
in generale Rainer 1989a, 326-327). Ma la maggioranza di nomi denominali formati con il
suffisso -atura ha piuttosto valore collettivo (dentatura, finestratura, mosaicatura, saccatu-
ra, tralicciatura, cfr. 5.1.1.5.3.). Infine, nel caso dei due suffissi -ata e -(z)a la base di deri-
vazione può essere sia un verbo (cfr. accettanza, militanza', calmata, regolata, rimoderna-
ta) che un sostantivo (committenza, devianza, emittenza, ripetenza, vicarianza', cappellata,
pagliacciata, pappagallata, stronzata), che un aggettivo (supponenza, truculenza). Ad
eccezione dei nomi derivati col suffisso -(z)a da basi nominali, che sono in genere dei col-
lettivi (committenza, ripetenza ecc., cfr. 5.1.1.5.3.), negli altri casi i suffissi selezionano
produttivamente basi diverse di cui ne formano nomi d'azione. Nelle sezioni dedicate a
questi suffissi se ne indagheranno più a fondo le caratteristiche.
Infine, ci sono casi di coppie di nomi e verbi (cfr. dono / donare, odio / odiare) per i
quali è tutt'altro che pacifico stabilire la direzione della derivazione, e dunque la categoria
sintattica della base (cfr. 7.2.3.1.). In assenza di criteri formali o semantici certi che aiutino
a discriminare (cfr. Marchand 1964b per una discussione), è in molti casi fuorviarne (e
forse inutile) stabilire in sincronia se il nome sia derivato dal verbo o viceversa. Accanto a
ciò, si incontrano casi in cui un nome che è la base di un verbo svolge anche la funzione di
nome d'azione del verbo derivato: divorzio —*• divorziare, doccia —» docciare, domicilio —•
domiciliare, esame —* esaminare, massaggio —» massaggiare, omaggio —• omaggiare,
tormento —• tormentare, ustione —• ustionare ecc., eventualmente bloccando l'ulteriore
derivazione di nomi d'azione deverbali (cfr. * divorziamelo / *divorziazione / *divorziatu-
ra) o concorrendo con essi (cfr. docciatura, domiciliazione).
Si noti che la sintassi di tipo nominale delle costruzioni con nomi d'azione si contrappone alla sintassi
di tipo verbale delle costruzioni con infinito verbale sostantivato (lo sbattere continuamente le mani),
in cui tuttavia si ha anche l'opzione di impiegare sintassi di tipo nominale {lo sbattere continuo delle
mani). Inoltre l'infinito sostantivato mantiene una serie di proprietà tipicamente verbali come la diate-
si o il tempo, che sono invece assenti nei nomi d'azione (l'essere continuamente sconfitto alle elezio-
ni, l'aver spesso battuto l'avversario ecc.). Inoltre, il soggetto di verbi monovalenti viene espresso per
mezzo del sintagma preposizionale con di (lo sbattere continuamemte della porta), mentre quello di
verbi polivalenti viene collocato subito dopo l'infinito (o nel caso l'ausiliare): L'aver egli compiuto i
primi studi in Francia (Contini, G., Letteratura italiana, Firenze, Sansoni, 1974, 289); Una forma del
radicamento del Pei veniva dall'essersi i militanti persuasi di essere molto «comunisti italiani» (Ros-
sanda, R., in Letteratura italiana del Novecento. Bilancio di un secolo, Torino, Einaudi, 2000, 216).
Infine, sintagmi nominali aventi come testa un nome d'azione possono avere ulteriore com-
plementazione frasale (cfr. Giorgi 1988, 296), sia di modo finito (la mia promessa a Maria
che Gianni partirà al più presto verrà mantenuta), che di modo infinito, in questo caso
introdotta da di: la mia promessa a María di partire al più presto verrà mantenuta. Inoltre
viene in genere preservato nel derivato il controllo sulle relazioni anaforiche, per cui nel
caso di un nome d'azione come promessa, analogamente alle forme verbali corrispondenti
(cfr. 0 ho promesso a Maria di 0. partire al più presto), si ha coreferenza fra il soggetto
del sintagma nominale ed il soggetto non espresso dell'infinito, mentre per un nome come
proposta (così come per proporre·. Io¿ proposi a Mario, di 0M partire al più presto) la
coreferenza è stabilita opzionalmente fra il soggetto o il complemento indiretto ed il sog-
getto della subordinata infinitivale: la mia¿ proposta a Gianni^ di 0M partire al più presto.
All'interno dei sintagmi nominali possono anche comparire eventuali altri complementi di
tipo non argomentale, introdotti da dopo, prima, quando ecc., sia al modo finito (la parten-
za di Gianni dopo che era appena tornato dall'Inghilterra) che infinito (la partenza di
Gianni subito dopo esser tornato dall'Inghilterra)·, obbligatoriamente tali complementi
devono occupare la posizione finale del sintagma (*la partenza dopo che era appena tor-
nato dall'Inghilterra di Gianni).
ciò, si osservi che gli infiniti lessicalizzati sono pluralizzabili (dispiaceri, poteri, voleri
ecc.).
Per formare nomi d'azione si ha un vasto numero di procedimenti derivazionali (cfr.
Dardano 1978, 43ss. per un elenco). Tra la quarantina di regole di formazione di parole
attestate, probabilmente meno di una decina sono veramente produttive nella lingua stan-
dard. Molti sono i casi di doppioni. L'alto numero di doppioni è in parte dovuto alla diffe-
renza del significato derivazionale delle singole regole di formazione di parole, che produ-
cono pertanto nomi d'azione di significato diverso. Un caso tipico è il seguente, in cui sono
derivati ben cinque nomi d'azione diversi dallo stesso verbo base:
(10) tirare —» tiramento / tiratura / tiraggio / tirata / tiro
I cinque nomi d'azione in questione presentano una sfumatura di significato diversa (più o
meno tecnico, cfr. soprattutto tiratura, tiraggio, o di registro colloquiale, cfr. tirata, tira-
mento), eventualmente selezionando accezioni diverse del verbo base (tiro vs tiramento). In
altri casi, la sovrapposizione di nomi d'azione derivati in maniera diversa è motivata dal
grado più o meno avanzato di processi di lessicalizzazione semantica del tipo di quelli illu-
strati nel 5.1.3.1.1.2. Nel caso della serie trattamento / trattazione / trattativa / trattato, ad
esempio, trattazione e trattato denotano piuttosto il risultato (concreto) dell'attività del
verbo base, mentre trattamento denota il significato derivazionale basico "l'atto di V",
eventualmente con l'estensione di significato "il modo di V", e trattativa è ristretto al lin-
guaggio burocratico-politico. In molti casi, tuttavia, si ha semplicemente la cooccorrenza
fianco a fianco di nomi d'azione più o meno sinonimi (cfr. congelamento / congelazione,
divaricamento / divaricazione ecc.).1 Per avere un'idea della produttività dei diversi proce-
dimenti derivazionali, nella tabella 1 sono riportati i dati riguardanti i derivati deverbali
(sono esclusi quindi derivati da altre categorie lessicali) con i suffissi maggiori riportati
complessivamente dal DISC, affianco a quelli attestati nel Novecento:
Spesso tuttavia i nomi d'azione derivati dallo stesso verbo base divergono quanto al tipo di esten-
sione semantica (in altre parole alla polisemia) cui sono soggetti: un caso in questione è proprio
divaricamento / divaricazione, che, come è stato visto sopra in (9), divergono rispetto
all'estensione di significato "lo statorisultantedi V".
5.1. Derivazione nominale 323
Questi ultimi sono assai significativi perché rendono manifesto il livello di disponibilità e
di uso dei derivati con i singoli suffissi, laddove il DISC registra, com'è tipico dei dizionari,
grandi porzioni di lessico proprie dei linguaggi specialistici e di bassissimo uso, come ri-
sulta ad esempio dal numero elevato di derivati in -tura rispetto ai dati della Stampa. Indi-
pendentemente dal valore assoluto delle cifre, la tabella fornisce un indice indicativo del
peso e della rilevanza dei singoli suffissi rispetto ai poco meno di 10.000 verbi contenuti
nel DISC. In generale, le regole che formano derivati con il suffisso -zione (con tutte le sue
allomorfie) e con il suffisso -mento sono le più produttive, oltre che quelle più produttiva-
mente impiegate per veicolare il significato derivazionale basico "l'atto di V". È da queste
che partirà l'analisi dettagliata dei vari procedimenti derivazionali.
Per una difesa, con buoni argomenti, dell'imperativo come tema verbale di base per i procedimenti
derivazionali, cfr. Thornton 1990a, 179-180; per un approccio diverso che difende invece l'ipotesi
del tema verbale come derivato dall'infinito meno il suffisso flessivo -re, cfr. Scalise 1983, 270.
Per mantenere la sua ipotesi, Scalise è costretto tuttavia ad assumere una regola morfofonologica
che trasforma la vocale tematica -e- della II coniugazione in -i- davanti a suffissi derivazionali.
Questa regola è invece superflua nell'approccio sostenuto da Thornton.
2
Dall'ipotesi del tema verbale formalmente identico all'imperativo nasce qualche problema per
quanto riguarda inoltre il verbo andare, con imperativo suppletivo va ', e i verbi udire e uscire, che
presentano alternanze tra forme rizotoniche e rizoatone (cfr. odo / udiamo, esco / usciamo). Anche
in questo caso, tuttavia, si noti come il tema selezionato sia quello impiegato in presenza di un suf-
fisso tonico (andamento, cfr. and-iamo, udimento, uscimento). Allo stesso modo, l'interfisso -isc-
324 5. Suffissazione
che si incontra in alcuni verbi della III coniugazione è strettamente connesso con l'alternanza
dell'accento tra radice e suffisso. Pertanto, pur essendo presente nell'imperativo (riferisci, tradi-
sci), esso sparisce in presenza di suffissi tonici (riferite, tradite), come nel caso di -mento (riferi-
mento, tradimento).
5.1. Derivazione nominale 325
latini senza parallelo italiano, come azione, attribuzione, esecuzione, digestione, inserzione,
possessione, sostituzione ecc. Scalise 1983, 246 tratta tutti questi casi servendosi di una
sorta di basi suppletive possibili, ma non attestate (*atto, *attributo, *esecuto, *digesto,
*inserto, *possesso, *sostituto), alle quali si aggiunge -ione e si applicano le due regole
morfofonologiche viste sopra. Una difficoltà insita in questa ipotesi nasce dal fatto che
alcune di queste supposte basi suppletive sono in realtà attestate come nomi (v. sotto
5.1.3.1.2.6.), il che porterebbe a trattare questi derivati come denominali, o a «duplicare le
entrate lessicali relative, ponendo in ciascun caso un lemma omofono, <possibile, ma non
attestato») (cfr. Thornton 1990a, 200). Ma la difficoltà maggiore di quest'ipotesi consiste
nell'incapacità di prevedere il comportamento attivo dei parlanti dell'italiano (cfr. Thornton
1990a, 203-204). Esiste infatti una sottoclasse di verbi della II coniugazione con participio
passato in -uto, che è stato ricavato dalla falsa segmentazione del participio perfetto di
alcuni verbi latini con tema terminante in -u- (cfr. statuo, tribuo ecc.) e si è esteso in epoca
tardo-latina, ma non panromanza (cfr. Tekavòic 1972, § 886), a molti verbi in -ere. Nel
caso in cui l'ipotesi di Scalise fosse corretta, ci aspetteremmo che questi verbi formassero il
rispettivo nome d'azione sulla base del participio passato, cioè un derivato in -uzione. Que-
sti verbi formano invece il nome d'azione conservando la forma di provenienza latina,
oppure creando un derivato sulla base del tema verbale con l'aggiunta del suffisso -zione:
1
Di recente Scalise 1996, 304 ha parzialmente rivisto la sua posizione, adottando per il suffisso in
questione una rappresentazione complessa [-zione; -ione], in cui «-zione seleziona temi del pre-
sente e -ione del participio passato».
326 5. Suffissazione
A ciò si p o s s o n o aggiungere altre d u e regolarità, spiegabili a n c h ' e s s e sulla base della pro-
venienza latina di queste f o r m e ; esse sono diverse da quelle viste in (13), in quanto f a n n o
riferimento non a dei morfemi, m a a sequenze fonologiche c h e presentano analogie di c o m -
portamento:
A questi derivati si può aggiungere la serie comprendente direzione, erezione, così come
predilezione, nei quali alla regolarità in (14) si accompagna l'allomorfia estesa alla vocale
radicale. Allo stesso modo nella serie comprendente infrazione, rifrazione, così come quella
di contusione, ottusione e di costrizione, restrizione, la regolarità è accompagnata dalla
cancellazione della nasale contenuta nella radice. Inoltre i verbi in (X)ergere in genere
formano il nome d'azione in (X)ersione: aspersione, detersione, immersione, mentre quelli
in (X)olvere formano derivati in (X)oluzione: assoluzione, dissoluzione, risoluzione, devolu-
zione, evoluzione.
Infine, si incontrano forme isolate come azione, gestione, recensione, rivoluzione, san-
zione, scansione, secrezione e unione. Si noti che Fallomorfia è quasi del tutto assente tra i
derivati da verbi della I coniugazione: si incontrano solo casi isolati (adozione, confessione
/ sconfessione, diserzione, infezione / disinfezione, eruzione, iniezione / introiezione / obie-
zione / proiezione, invenzione, opzione, pulsione / compulsione, professione, ribellione,
sezione), spiegabili come latinismi o prestiti da altre lingue (cfr. fr. rébellion). Forme di
prestito (di provenienza gallo-italica o gallo-romanza, cfr. Rohlfs 1969, § 1061) possono
essere considerati anche i derivati con la variante -gione (cacciagione, guarigione, imban-
digione, impiccagione, piantagione), anch'essi oggi non più produttivi e in gran parte lessi-
calizzati (cfr. cacciagione "il risultato di V", piantagione "luogo dove si V").
Dopo aver illustrato i problemi che concernono la forma della base e la forma di questi
due suffissi, cercheremo di delimitarne il dominio, mettendo in evidenza le condizioni cui
essi soggiacciono nella selezione rispettiva delle basi. A questo proposito, si consideri che
il suffisso -mento seleziona basi almeno bisillabiche: dei verbi a base monosillabica pre-
senti in italiano (bere, dare, dire, fare, stare), tre di questi selezionano -zione (dazione,
dizione, stazione, o altri suffissi: bevuta, stanza), gli altri richiedono una base di derivazio-
ne almeno bisillabica (dicimento, facimento). Inoltre, -zione soggiace alla restrizione eufo-
nica di non comparire dopo basi che terminano in /tsV/, evitando così la sequenza
*/tsVttsjone/: aguzzare —* *aguzzazione, deprezzare —* *deprezzazione, avvizzire —•
*avvizzizione, raggrinzire —» *raggrinzizione.
Più complicato invece è il discorso che riguarda il ruolo svolto dalla morfologia per
quanto riguarda la selezione di basi e suffissi. Innanzitutto, bisogna dire che non sussistono
relazioni dirette che vincolano uno dei due suffissi ad una classe flessiva. Più interessante è
invece la situazione quando vengono prese in considerazioni basi verbali complesse. Co-
minceremo partendo dalle basi prefissate (per cui cfr. 3.3.). In generale, si può dire che i
due suffissi si distribuiscono il lavoro in maniera abbastanza coerente. Mentre il suffisso
-zione seleziona preferibilmente basi con prefissi colti, il suffisso -mento è in genere più
disponibile con basi che presentano prefissi di tradizione popolare, come nel caso dei pre-
fissi impiegati per formare verbi parasintetici ad-, in- e s- (cfr. 4.1.):
Come si evince dalla tabella 2, i verbi parasintetici formati con i tre prefissi in questione
mostrano di prediligere di gran lunga il suffisso -mento per formare il nome d'azione corri-
spondente, benché derivati con -zione non siano del tutto esclusi. Questo è vero in generale
e anche in termini di produttività sincronica, come si evince dalle colonne della tabella 2
che riportano i dati delle formazioni attestate nel Novecento nel DISC e non solo. La tabella
riporta solo i dati concernenti i derivati da parasintetici. Nel caso di derivati da basi verbali
prefissate come da un lato abbattimento, infarcimento, slegamento e tra le neoformazioni
incelamento (dal demonismo all'incelamento, al ribaltamento dell'immagine, La Stampa
Tuttolibri, 31-10-1996, 3), e dall'altro ammissione, illusione, sconfessione e tra le neofor-
mazioni adibizione (GRADIT), impersonificazione {Pujol [...] è la stessa impersonificazio-
ne della Catalogna, La Stampa 5-3-1996, 9), sdemonizzazione (GRADIT), la correlazione
non è osservabile:
-mento -zione
ad- 40 54
in- 27 87
s- 80 38
Tabella 3: -mento e -zione con verbi prefissati
Per quanto riguarda il prefisso ad- (abbassamento, adattamento, assoggettamento) si in-
contrano tra le neoformazioni abbuiamento (il rischio di «abbuiamento pretorile» di Rete 4,
La Stampa 11-12-1996, 7), ammanettamelo (per eventuale ammanettamene dei tra-
sportati, La Stampa 26-7-1996, 35), ammantamelo (Tutto è ammantamelo, La Stampa
31-10-1996, 2), ammosciamelo (GRADIT), appilamento (GRADIT), arrapamento
(GRADIT), assecondamelo (che parla [...] di assecondamelo della «lobby del mattone»,
La Stampa 19-1-1996, 36), oltre a qualche derivato con -zione (acculturazione, assillaba-
zione, assimilazione e assoggettazione - tale abrogazione non comporta l'assoggettazione
alla tassa, La Stampa 4-3-1996, 7 - tra le neoformazioni). Tra i parasintetici con in- (im-
borghesimento, inacidimento, irrancidimento) si possono citare tra le neoformazioni imbu-
stamento (GRADIT), impantanamento (Tutte le principali Borse [...] stanno scontando un
impantanamento nella stagnazione, La Stampa 12-3-1996, 1), impavesamento
(Γimpavesamelo dionisiaco di Vigorelli nella bandiera di Forza Italia, La Stampa 29—4-
1996, 2), incapricciamento (Blandisce [...] l'incapricciamento di Thomas, La Stampa 2 7 -
1-1996, 2), incarognimento (si può azzardare un primo repertorio lessicale
dell'incarognimento, La Stampa 17-10-1996, 3), incattivimento (Renato Barilli [...] saluta
[...] l'incattivimento di Brizzi, La Stampa 11-5-1996, 18), inebetimento (GRADIT), infoi-
bamento (eliminare le persone [...] con l'infoibamento, La Stampa 1-9-1996, 20), in-
gioiellamento (una lussuosa occasione di ingioiellamenti, La Stampa 21-3-1996, 16),
inscurimento (GRADIT), intrappolamento (GRADIT), intubamento (che serviranno per
l'intubamento, La Stampa 18-8-1996, 38), e i curiosi incartapecorimento (GRADIT) e
indaffaramento (GRADIT), oltre ai pochi derivati con -zione (imbalsamazione, inalveazio-
ne e incannulazione - incannulazione via arteriosa o venosa, La Stampa 13-11-1996, 3 - e
tra le neoformazioni incenerazione - fino a ventimila incenerazioni al giorno, La Stampa
26-10-1996, 27). Infine, tra i parasintetici con s- (scrostamento, sganciamento, spopola-
mento) oltre a qualche rara formazione con -zione (smonetazione, svaporazione e smura-
5.1. Derivazione nominale 329
Anche per quanto riguarda basi verbali suffissate (cfr. 5.3.), si può impiegare la distinzione
tra suffissi colti e suffissi di tradizione popolare. In particolare, i verbi con suffissi colti
-ific-, -izz- prediligono di gran lunga la formazione di derivati con -zione (cornificazione,
GRADIT, nazificazione, GRADIT, steppificazione, tempificazione - la stessa tempificazio-
ne del semaforo esistente, La Stampa 13-4-1996, 34 - , tristificazione - il tentativo russo-
sovietico di tristificazione integrale, La Stampa 3 - 2 - 1 9 9 6 , 1 - , unificazione, italianizzazio-
ne, laicizzazione, ma i derivati in -mento non sono del tutto esclusi: rappacificamento, pe-
riodizzamento, volgarizzamento). Si noti che la produttività del suffisso -izz- per formare
verbi è esplosa in questo secolo, con la conseguente ricaduta sui nomi d'azione formati con
il suffisso -zione: il DISC registra nel Novecento circa 320 neoformazioni, oltre alle quali si
possono menzionare le curiose arcorizzazione {primo fra tutti l'arcorizzazione di D'Alema,
La Stampa 2 1 - 1 - 1 9 9 6 , 2), baudizzazione (assistiamo alla «baudizzazione» della RAI, La
Repubblica 13-11-1995, 35), cencellizzazione (la pace dei tecnici in via dì mortificante
«cencellizzazione», La Stampa 8 - 2 - 1 9 9 6 , 1), cetomedizzazione (luogo comune della ceto-
medizzazione o dell'imborghesimento di massa, La Stampa 24-10-1996, 6), cossighizza-
zione (Scalfaro in via di accelerata «cossighizzazione», La Stampa 2 4 - 6 - 1 9 9 6 , 5), craxiz-
zazione (Natoli [...] sembra reagire a quella craxizzazione della storia del socialismo, il
manifesto 2 0 - 1 2 - 2 0 0 0 , 13), disneyzzazione (sensibili alla disneyzzazione delle mucche
pazze, La Stampa 6 - 5 - 1 9 9 6 , 17), irizzazione {fresca d'irizzazione, La Stampa 12-12-1996,
21), di contro alle circa 40 attestate nell'Ottocento. I verbi con suffissi di tradizione popola-
re -eggi- e -acchi-l-ucchi- formano derivati in -mento (bueggiamento - la sparatoria di
zufoli e "bueggiamenti" che ha impallinato il soprano, La Stampa 13-1-1996, 20 -,fron-
teggiamento - non c'e' altra spiegazione [...] per questi fronteggiamenti non-telematici, La
Stampa 8 - 7 - 1 9 9 6 , 1 - , gareggiamento, pavoneggiamento - la ego-leak, o soffiata da pavo-
neggiamelo, La Stampa 2 5 - 1 - 1 9 9 6 , 5 - , tratteggiamento, vampire ggiamento - per scam-
pare al vampireggiamento del fisco, La Stampa 18-3-1996, 15 - , sbaciucchiamento, sti-
racchiamento). Allo stesso modo, i pochi verbi con suffissi deverbali di tradizione popolare
-(er)ell-, -ett-, -icch- (cfr. 5.3.3.) formano nomi d'azione in -mento (saltellamento, scop-
piettamento, mordicchiamento - il mio famoso intermittente mordicchiamento del labbro
inferiore. La Stampa 2 0 - 8 - 1 9 9 6 , 9 - , spoglicchiamento - i cui dimenamenti e spoglicchia-
menti sono più da Corrida, La Stampa 7 - 4 - 1 9 9 6 , 24). Nella tabella 5 sono riassuntti i dati
riguardanti i derivati da basi suffissate attestati complessivamente nel DISC e di fianco le
neoformazioni attestate nel Novecento dal DISC e non solo. Si noti come dalla tabella
emerga molto chiaramente l'esplosione nel Novecento dei derivati in -zione da basi con il
suffisso -izz-. Infine, basi terminanti in -ivare in genere (ma non esclusivamente: ravviva-
mento, schivamente, stivamento) selezionano il suffisso -zione: attivazione, coltivazione,
derivazione, incentivazione, insalivazione, motivazione, sostantivazione ecc.
5.1. Derivazione nominale 331
-ific- 11 127 1 54
-izz- 19 492 3 448
Tabella 5: -mento e -zione con verbi suffissati con -eggi-, -ific-, -izz-
I due suffissi -mento e -zione presentano perciò una serie di differenze, molto evidenti nel
caso dell'allomorfia, molto più pronunciata tra i derivati in -zione, più sottili ma robuste nel
caso dell'interazione con altri affissi. Per quanto riguarda la selezione di basi semplici o
formate per conversione (cfr. 7.4.), i due suffissi si distribuiscono il lavoro in maniera equi-
librata, con una leggera preferenza di -mento per la selezione di basi semplici: arredamento,
biascicamento, farfallamento, ottundimento, tartassamelo e tra le neoformazioni accadi-
mento (il potere dell'accadimento, La Stampa 16-3-1996, 4), annusamento (quando hanno
deciso finalmente d'incontrarsi dopo anni di annusamenti, La Stampa 19—4—1996, 20),
dilaniamento (GRADIT), rimuginamelo (GRADIT), strattonamelo (Approfittando della
confusione del corridoio tra spintoni e strattonamenti, La Stampa 12-5-1996, 41), tran-
ciamelo (ho qualche dubbio sul funzionamento [...] del sistema di tranciamento, La Stam-
pa 28-2-1996, 16), rispetto ai derivati in -zione come aumentazione, caricazione, elimina-
zione, lenizione, sommazione e tra le neoformazioni inclinazione (GRADIT), manovrazione
(al prof Asor Rosa si addebiterebbe di avere messo in opera una vera e propria (illegitti-
ma) «manovrazione», La Stampa 25-5-1996, 20), rimuginazione (GRADIT), solleticazione
(GRADIT). D'altro canto le basi formate mediante conversione mostrano una leggera pre-
ferenza per i derivati in -zione: ambientazione, angolazione, datazione, progettazione, vio-
lentazione e tra le neoformazioni arginazione (lo stanziamento per gli interventi di difesa e
arginazione dei fiumi Po e Tartaro, La Stampa 27-6-1996, 15), rispetto ai derivati con il
suffisso -mento: ambientamento, attrezzamento, compattamento, integramento, sveltimento
e tra le neoformazioni bacchettamento (la messa in riga e il bacchettamento dei docenti, La
Stampa 22-11-1996, 24), estraneamento (il processo di estraneamento in Stewart, La
Stampa 23-5-1996, 23), etichettamento (i romanzieri tramite Vetichettamento subiscono
sulle pagine dei giornali una manipolazione così forte, La Stampa 23-10-1996, 24), gin-
gillamento (quanto si è perso tra infortuni e gingillamenti vari, La Stampa 3-2-1996, 27),
lievitamento (allarmati dal continuo lievitamento di prezzo dei carburanti, La Stampa 13-
9-1996, 37), setacciamento (GRADIT), spintonamelo (GRADIT), stranimento (Dopo
aver perso tempo per altri dieci giorni di incertezze e stranimenti, La Stampa 9-5-1996,
17). Nella tabella 6 sono riportati i dati concernenti la selezione di basi semplici e
convertite attestati nel Novecento nel DISC e non solo:
Neoformazioni '900
-mento -zione
Verbi semplici 60 38
Verbi convertiti 87 117
Tabella 6: -mento e -zione con verbi semplici e convertiti
332 5. Suffissazione
Si noti che il suffisso -zione predilige basi (semplici o formate mediante conversione) dotte
(per caratteristiche fonologiche come abdicazione, obliterazione o semantiche come orina-
zione, esilarazione - accostamenti arrischiati tanto da provocare esilarazione, La Stampa
19-5-1996, 19) o appartenenti a linguaggi specialistici come catalogazione, coibentazione,
decurtazione, domiciliazione, formattazione (specialmente di alcuni settori lessicali come la
chimica: alogenazione, etossilazione,fosforilazione ecc.), e tra le neoformazioni asfaltazio-
ne (la ditta che aveva in appalto asfaltazione e piantumazione di Sotti-Vernea, La Stampa
23-10-1996, 41), brevettazione (Terragni si dice invece contrario alla brevettazione di
piante e animali, La Stampa Tuttoscienze 16-10-1996, 1), capacitazione (si è scoperto il
sistema di ottenere in laboratorio la «capacitazione» degli spermatozoi, La Stampa Tutto-
scienze 20-11-1996, 1), gassazione (al graduale concepimento [...] del sistema di gassa-
zione e successiva eliminazione dei corpi di Auschwitz, La Stampa 12-121996, 15), mani-
fatturazione (GRADIT), mappazione (Si naviga tra [...] «mappazioni di microstorie», e
Italie «sparventi», La Stampa 4-1-1996, 14), micorrizazione (la micorrizazione delle radi-
ci avviene entro quattro, cinque anni, La Stampa 5-5-1996, 26), murazione (GRADIT),
perimetrazione (GRADIT), piastrellazione (posa di pavimenti, piastrellazioni di bagni, La
Stampa 26-3-1996, 34), prototipazione (Tra le figure chieste: il manutentore montatore
meccatronico, il tecnico prototipazione CAE, La Stampa Tuttosoldi 1-4-1996, 1), satura-
zione (suturazione del muscolo e massaggio con le dita, La Stampa 15-3-1996, 22), vesci-
colazione (GRADIT), volturazione (sarebbero ancora ferme tutte le pratiche di volturazio-
ne, La Stampa 10-9-1996, 36), mentre basi dotte o appartenenti a registri specialistici sono
meno frequenti con -mento: aeramento, calmieramento, contigentamento, ibernamento,
planamento, siluramento, viramento e tra le neoformazioni minamento (a partire dal mi-
namento dei ponti, dalle imboscate ai tedeschi, La Stampa 13-9-1996, 3), pascolamelo (I
pascolamenti eccessivi, la distruzione delle foreste, La Stampa Tuttoscienze 26-6-1996, 1),
pedaggiamento (L'on. Massa ha cercato di esorcizzare il problema del «pedaggiamento»,
La Stampa 17-12-1996, 36), vettoramento (il pilota collaudatore della Sukhoi [...], su un
Su37 a «vettoramento della spinta», La Stampa Tuttoscienze 18-12-1996, 2). Questo suf-
fisso è invece più comune con basi popolari o appartenenti a registri colloquiali: agghinda-
melo, cincischiamento, maciullamento, ronfamento, tartagliamento, zigzagamelo e tra le
neoformazioni ciucciamento (da una fase (orale) di chiacchiere e ciucciamenti vari, La
Stampa 15-2-1996, 5), farfugliamento (GRADIT), imbesuimento (Dario Fo [...] e Franca
Rame invocavano la resistenza civile contro «/'imbesuimento negli spot», La Stampa 2 2 - 9 -
1996, 19). Questa considerazione vale, benché in maniera piuttosto tendenziale, più in ge-
nerale per basi semplici o complesse: il suffisso -zione è più frequente nei linguaggi setto-
riali (scientifico: agglutinazione, amalgamazione, cavitazione, circuitazone, denaturazione,
scoibentazione - Poi si provvederà alla scoibentazione o al fissaggio delle parti, La Stam-
pa 4-8-1996, 36 - ecc.; medico: amputazione, ascoltazione, crepitazione, decorticazione,
escavazione, rimarginazione (GRADIT) ecc.; economico: depennazione, liquidazione,
mediazione, perequazione, quotazione, recessione, smonetazione ecc.; giuridico: adozione,
affrancazione, appropriazione, carcerazione, comminazione, derubricazione, emancipazio-
ne, normazione, ricettazione-, filologico-linguistico: abbreviazione, accentazione, articola-
zione, enunciazione, fonazione, proposizione, reduplicazione, sostantivazione e così via),
mentre -mento seleziona basi popolari o appartenenti al registro colloquiale: arrujfiana-
mento, giramento, rompimento, sputtanamento, stonamento e tra le neoformazioni rinco-
glionimento (GRADIT), rincretinimento (GRADIT), scosciamelo, sculacciamento (con
5.1. Derivazione nominale 333
denota "l'atto di V" (Non vanno [...] sottovalutati gli effetti del calpestio, con il costipa-
mento del suolo, La Stampa 24-7-1996, 1), costipazione denota invece "il fatto di essere
PP": E inizia l'attesa del bigbang che metterà fine alla costipazione (La Stampa 10-11-96,
7). La sottile distinzione semantica è impiegata a scopi retorici nell'uso, evidentemente
idiosincratico, di deteriorazione ad opera di A. Di Pietro: prima si è trattato di scoprire la
deteriorazione dei rapporti politica-affari (La Stampa 5-5-1996, 5). L'uso di deteriorazio-
ne non sfugge al giornalista P. Guzzanti che commenta: Nella lettera a Prodi lancia la
parola «deteriorazione» di suo conio, perché gli deve sembrare più pesante del banale
deterioramento, più greve e burocratica (La Stampa 5-5-1996, 5). Evidentemente, ciò che
deteriorazione aggiunge in termini di significato rispetto a deterioramento è uno stato ri-
sultante, che in genere non ricorre con quest'ultimo (cfr. il successivo deterioramento del
quadro politico, La Stampa 19-2-1996, 6, una breve relazione sul progressivo deteriora-
mento della situazione, La Stampa 5-9-1996, 19, i segnali del deterioramento del quadro
economico, La Stampa 10-9-1996, 35 ecc.)· Mentre quindi le estensioni semantiche risul-
tative sono molto frequenti tra i derivati in -zione (sia astratte: agitazione, animazione,
congelazione, divaricazione ecc., che concrete: acquisizione, costruzione, creazione, in-
stallazione, produzione, pubblicazione ecc.), sono ridotte tra i derivati in -mento: abbatti-
mento, appagamento, raccoglimento tra quelle astratte e allevamento, avvenimento, convin-
cimento tra quelle concrete. Estensioni semantiche che denotano l'argomento esterno del
verbo sono congregazione, direzione, popolazione da un lato e accompagnamento, movi-
mento e reggimento dall'altro, mentre estensioni strumentali sono rappresentate da decora-
zione, gratificazione, illuminazione e armamento, rivestimento e sostentamento. Estensioni
locative sono abitazione, concessione, depressione e acquartieramento, alloggiamento,
attendamento·, tra le estensioni temporali si trovano fondazione, restaurazione, rivoluzione
& fidanzamento. Infine estensioni modali sono combinazione, costituzione, organizzazione
(oltre a quelle quantitative come concentrazione, estensione) e andamento, comportamento,
procedimento.
c'è qualche caso isolato (in genere Iessicalizzato) in cui il suffisso -ura si aggiunge diretta-
mente alla radice verbale: premura, procedura.
Per quanto riguarda le restrizioni sulla base, -tura seleziona in genere basi almeno bisil-
labiche (se si esclude il latinismo completamente Iessicalizzato statura): dicitura, disfacitu-
ra, rifacitura. Similmente a quanto è stato messo in evidenza in 5.1.3.1.2.1., in genere il
dittongo mobile viene eliminato in derivazione, in accordo con il fatto che il suffisso -tura
reca sempre l'accento principale (movitura, tenitura ecc.). Tuttavia, nei casi in cui nel para-
digma verbale l'alternanza sia stata eliminata in favore delle forme con dittongo, in genere
il derivato presenta il dittongo (cuocitura, mietitura). Il suffisso -tura è inoltre molto pro-
duttivo con basi verbali contenenti prefissi di tradizione non colta, in particolare con i verbi
parasintetici (cfr. 4.3.). Si incontrano infatti molti derivati da verbi prefissati con ad- (ab-
bronzatura, addomesticatura, allargatura, anneritura, avvitatura e tra le neoformazioni
accontentatura - Di facile accontentatura è diventato il pubblico della Scala, La Stampa
13-11-1996, 24), in- (impaginatura, inargentatura, inginocchiatura, e tra le neoformazioni
imbullonatura (GRADIT), inchiostratura (GRADIT), infiocchettatura - Ditini maliziosi
che frugano anditi muliebri gonfi di infiocchettature, La Stampa 4-3-1996, 19 - , innerva-
tura (GRADIT), inscenatura (GRADIT)), s- (sia negativo: sbarbatura, schiodatura, smar-
catura - Bisogna giocare con smarcature improvvise, La Stampa 26-10-1996, 35 - , che
«intensificativo»: schiaritura, sgorbiatura, svirgolatura - davanti mostra una piccola svir-
golatura cobalto, La Stampa 7-7-1996, 15 - , svisatura - era invece legata [...] alle svisa-
ture e al fascino repentino del jazz, La Stampa 21-7-1996, 21). Molto ridotto è invece il
numero di derivati in -tura da verbi prefissati con. prefissi colti. Significativo ad esempio è
il confronto tra la totale assenza di derivati in -tura da verbi prefissati con de- rispetto inve-
ce alla variante popolare di- (digrezzatura, digrossatura, diraspatura), così come la totale
assenza di derivati da basi prefissate con e(s)-. Per quanto riguarda la selezione di basi
verbali suffissate, si segnala la scarsa produttività del suffisso -tura con basi verbali suffis-
sate con i due suffissi colti molto produttivi -izz- e -ific-, con i quali si incontrano solo casi
isolati di derivati (rispettivamente vaporizzatura e rettificatura, scarificatura). Sono prefe-
rite invece le basi verbali contenenti suffissi di tradizione popolare come -azz- (scopiazza-
tura, spiegazzatura, strombazzatura), -eggi- (una ventina circa di derivati, tra cui costeg-
giatura, diteggiatura, simboleggiatura e tra le neoformazioni moglieggiatura - la partico-
lare copertura informativa che in America si chiama wifing (moglieggiamento? moglieg-
giatura?), La Stampa 27^4-1996, 5), -eli- (lardellatura, sbocconcellatura), -ett- (picchiet-
tatura, spezzettatura, zappettatura).
Si faceva cenno all'inizio del paragrafo della caratteristica di questo suffisso di selezio-
nare basi verbali accomunate dal fatto di denotare attività professionali o tecniche. Questa
peculiarità si ritrova anche nel significato dei nomi d'azione, che sono in genere individuati
mediante il riferimento all'azione denotata dal predicato base nei termini di un'attività
professionale. Così ad esempio nel caso di più nomi d'azione derivati con suffissi diversi, il
derivato in -tura seleziona in genere un significato di tipo tecnico o professionale, come in
abbacchiatura, denotante "l'attività di abbacchiare gli alberi", mentre abbacchiamento
seleziona il significato traslato del verbo base e denota "il fatto di avvilirsi, demoralizzarsi",
o in acchiocciolatura denotante "l'operazione dell'avvolgere a spirale" rispetto ad acchioc-
ciolamento denotante "l'atto del rannicchiarsi a forma di chiocciola", accordatura
"l'attività di accordare uno strumento musicale" rispetto ad accordo "l'atto del conciliare",
chiaritura "illimpidimento di un liquido" rispetto a chiarimento "spiegazione, delucidazio-
5.1. Derivazione nominale 337
ne", e così via. In particolare, questo suffisso seleziona basi appartenenti al linguaggio
specialistico dell'agricoltura (abbicatura, addebbiatura, bottinatura, brezzatura, cercinatu-
ra, mazzolatura, scacchiatura ecc.), dell'artigianato (allicciatura, formatura, impiumatura,
niellatura, profilatura, rifinitura, stozzatura ecc.), dell'editoria (accappiatura, arrivatura,
imbrachettatura, legatura, listatura, mordenzatura, sbaveggiatura, segnatura, spazieggatu-
ra, tiratura ecc.), dell'edilizia (ammorsatura, archeggiatura, incorniciatura, modanatura,
svasatura, tramezzatura ecc.) e così via.
I derivati in -tura rispetto a derivati con altri suffissi presentano spesso l'estensione di
significato "il risultato di V", che può essere astratto come in accigliatura "aspetto che il
viso assume quando si aggrottano le sopracciglia" rispetto ad accigliamento, o concreto
come in cancellatura "traccia lasciata cancellando qualcosa" rispetto a cancellamento,
allargatura "punto in cui si è allargato" rispetto a allargamento, ammaccatura "segno di un
urto" rispetto ad ammaccamento, aguzzatura "la punta ottenuta con l'operazione di aguzza-
re" rispetto a aguzzamento, e così via. Infine, è da segnalare una certa frequenza
dell'estensione di significato "lo stato di V" come in apertura (mentale), chiazzatura, chiu-
sura (mentale), coloritura ecc., per cui il nome d'azione viene a svolgere la funzione del
nome di qualità (cfr. 5.1.2.1.2.2.1.). Altre estensioni semantiche sono di tipo locativo
(apertura, cintura, giuntura, sepoltura), strumentale (armatura, rivestitura, tintura), mo-
dale (andatura, dicitura, scrittura).
Produttivo è anche l'altro suffisso che condivide la proprietà di selezionare basi verbali
denotanti attività tecniche o professionali, cioè -aggio con il quale sono attestati nel DISC
più di un centinaio di derivati nel secolo XX tra cui appontaggio, banchinaggio, doppiag-
gio, drenaggio, filtraggio, pompaggio, rodaggio, riciclaggio, rottamaggio e tra le neofor-
mazioni attrezzaggio (GRADIT), criptaggio (acquisirà gli abbonati e gestirà [...] il siste-
ma di criptaggio, La Stampa 4-4-1996, 22), piallaggio (un giovane talento belga salvatosi
[...] dal piallaggio di primavera-estate, La Stampa 4-10-1996, 33), trafilaggio (aveva
accusato un trafilaggio di olio, La Stampa 20-2-1996, 33). Tuttavia, come si evince dalla
tabella 1 in 5.1.3.1.2.1., la crescita della produttività di questo suffisso è un fenomeno re-
cente, probabilmente connesso sia all'enorme diffusione di terminologia tecnica avvenuta
nel Novecento, come è stato già osservato per -tura, sia in questo caso specifico in seguito
all'influsso dell'omologo suffisso francese -age, sul cui modello sono stati formati derivati
in -aggio in italiano (cfr. bloccaggio, decapaggio, decollaggio, etichettaggio ecc.). In alcu-
ni casi, l'influsso francese è evidente come in decatissaggio, detartraggio, finissaggio,
salvataggio, tinaggio (sotto le antiche volte di mattoni delle scuderie e del tinaggio, La
Stampa 25-9-1996, 35), vaporissaggio (cfr. fr. décatissage, détartrage, finissage, sauveta-
ge, tinage, vaporisage). Più in generale, questo suffisso mostra una certa predilezione nel
selezionare basi di provenienza straniera anche non adattate, siano esse verbi (boicottaggio,
cablaggio, dopaggio, dribblaggio, missaggio - anche nella forma non adattata mixaggio
(GRADIT) - , monitoraggio, settaggio (GRADIT), shakeraggio) o sostantivi (babysitterag-
gio, brokeraggio, bunkeraggio, dossieraggio, hackeraggio - consentono lo scambio
d'informazioni per hackeraggio, La Repubblica 31-1-1993, 20 - killeraggio, leveraggio,
speakeraggio, tefleraggio). Sembra anzi che -aggio in molti casi si sostituisca con una
specie di formula di conversione automatica al suffisso inglese -ing, come si verifica in
coppie come doping / dopaggio, dribbling / dribblaggio, monitoring / monitoraggio. Come
osserva Thornton 1988, 355, ciò sembra indicare una solidarietà tra basi e suffissi stranieri.
Anche in questo caso, si osserva l'estensione oltre al dominio verbale anche a quello nomi-
338 5. Suffissazione
1
Per quanto riguarda il genere femminile, sono state proposte due spiegazioni alternative: la prima,
originariamente proposta da Meyer-Lübke 1894, 526 e adottata anche da Rohlfs 1969, § 1129,
5.1. Derivazione nominale 339
quest'ipotesi parlano non solo (o non tanto) i derivati formati su participi passati di origine
latina (cfr. corsa, cotta, letta, scorsa), quanto piuttosto le formazioni costruite su participi
passati di chiara provenienza endogena (battuta, bevuta, cresciuta, ricevuta, spremuta,
tenuta, veduta). Inoltre, non si incontra mai il caso di un derivato formato sulla base di un
participio passato latino che non è più presente in italiano (cfr. mossa, non *mota < motus,
presa, non *prensa < prehensus, vista, non *visa < visus), a differenza di quanto era stato
invece osservato per i derivati in -zione (eft. mozione, riprensione, visione, 5.1.3.1.2.1.). Si
incontrano tuttavia casi isolati di formazioni rifatte sulla base del tema verbale più un suf-
fisso -ta: oltre all'arcaico apparita anche il toscanismo comparita.1 Inoltre la diffusa pro-
duttività di questa regola di formazione di parole con i verbi della I coniugazione - in tutto
il Novecento si hanno solo casi isolati di derivati dalle altre coniugazioni: goduta (GRA-
DIT), ceduta, intraveduta (GRADIT), spremuta, trattenuta da verbi della II congiugazione
e borita, chiarita (GRADIT), cucita, forbita (GRADIT), fuoriuscita (GRADIT), imbastita
(GRADIT), schiarita, sfoltita da verbi della III rispetto all'oltre centinaio di derivati da
verbi della I - , insieme all'inaccettabilità di neoformazioni costruite sulla base di participi
passati irregolari - cfr. Rainer 2001a, 386: (dare una)0concimata (al terreno) vs (dare una)
*cosparsa (di concime al terreno), (dare una) °asciugata (al sudore) vs (dare una)
*detersa (al sudore) -, indeboliscono il quadro tracciato sin qui, dal momento che in tutte
queste neoformazioni il suffisso ha distintamente la forma -(a)ta. Non è un caso infine che
esista un suffisso -ata (in origine tratto per estensione dal participio passato femminile di
verbi della I coniugazione) 2 molto produttivo con basi nominali (bottigliata, ditata, padel-
lata, cfr. 5.1.1.6.1.) e dotato di un significato derivazionale simile, al punto che in alcuni
casi stabilire l'origine deverbale o denominale di una formazione è difficile e forse super-
fluo (cfr. martellata <— martellare / martello, pedalata <— pedalare / pedale). Pertanto, si
converrà senz'altro con Rainer 2001a, 386 che «la strana regola di allomorfia condizionata
paradigmaticamente <la forma del nome d'azione è identica con la forma femminile del
participio passato) deve ancora essere considerata - almeno marginalmente - parte della
grammatica sincronica dell'italiano». Tuttavia il pattern chiaramente produttivo indica una
convergenza dei derivati deverbali e di quelli denominali sulla stessa forma d'uscita -(a)ta.
Ma prima di anticipare le conclusioni sarà opportuno studiare la peculiare semantica di
questa regola di formazione di parole per definirne il dominio.
viene così riassunta da Tekaviié 1972, § 1452: «Etimologicamente questi sostantivi sono infatti
dei participi latini, sostantivati dopo l'omissione del nome determinato. I primi esempi latini sono
rappresentati dai participi dei verbi della II e della III classe, e sono il punto di partenza e
d'irradiazione delle altre formazioni. Nella lingua dei Padri leggiamo collecta, defensa, expensa,
remissa ecc., che si continuano in italiano come colletta, difesa, spesa, rimessa. Gli esempi latini
possono essere sia neutri plurali sia femminili singolari, due possibilità di cui la seconda pare più
accettabile». La seconda (cfr. Collin 1918, 19-53, Alsdorf-Bollée 1970 e Georges 1970) assume
che furono invece i nomi d'azione latini della IV declinazione del tipo cursus ad evolversi in nomi
femminili, sulla scorta della diffusa confusione in latino volgare di questi nomi con i neutri della II
declinazione, il cui plurale in -a poteva a loro volta esser preso come femminile singolare, come
già illustrato da TekavCic.
1
Per entrambe le forme, è tuttavia possibile una derivazione sull'attestato participio (apparito,
comparito) regolarizzato sul tema del presente (GDLI).
2
Cfr. Rohlfs 1969, § 1129: «[P]er il fatto che per esempio ventata poteva appartenere tanto a venta-
re, quanto esser derivata direttamente da vento, divenne possibile ottenere anche da sostantivi dei
derivati simili: occhiata, bambinata, birbonata».
340 5. Suffissazione
Rispetto agli altri nomi d'azione, i nomi d'azione formati sulla base del participio pas-
sato femminile «sono condizionati semanticamente in maniera tale che essi non possono in
genere essere interpretati come tipi d'azione, ma solo come eventi individuali o istanziati»
(Mayo / Schepping / Schwarze / Zaffanella 1995, 912). Per questo motivo, il participio
passato femminile, rispetto ad altri nomi d'azione, non può essere accompagnato
dall'articolo determinativo usato in senso generico e con l'articolo nullo:
(16) a. Il nuoto/*La nuotata in piscina rilassa i muscoli,
b. Domani ci sarà una gara di nuoto/*nuotata.
Nuotata non può denotare l'azione o il processo in quanto tale, ma solamente una singola
istanziazione del processo stesso. Per questo motivo il participio passato femminile diviene
accettabile se il costituente è modificato ad esempio da una frase relativa: La nuotata che
faccio di solito rilassa i muscoliIl suffisso ha pertanto l'effetto di isolare una singola
istanza da un processo, in cui una singola istanziazione delle unità specificate è presa e
messa al centro dell'attenzione, in maniera molto simile a quando si rende plurale un nome
che altrimenti non è numerabile, come nella frase II cliente deve pagare una birra, due
acque minerali e un caffi. In quest'esempio un tipico nome di massa come acqua è plura-
lizzato, in quanto denota due istanziazioni della sostanza acqua, quanta cioè ne può essere
contenuta in due bicchieri, bottiglie ecc. Questo processo è reso necessario dal fatto che in
genere i nomi di massa concettualizzano la sostanza denotata come omogenea, cioè senza
struttura interna e senza delimitazioni esterne (permettono ad esempio suddivisibilità
all'infinito ecc., cfr. Brinton 1995). In questo modo vengono imposti ai nomi di massa dei
confini «esterni», così da far riferimento ad esso nei termini di singole istanziazioni della
sostanza denotata. Su questa base viene istituita un'analogia tra l'opposizione tipica del
dominio nominale quale quella tra nomi di massa (non numerabili) e nomi numerabili, e
quella tipica del dominio verbale quale quella tra predicati non telici (stativi e continuativi)
e predicati telici (risultativi e trasformativi). Mentre i predicati telici, così come i nomi
numerabili, sono quelle situazioni che possono essere direttamente o intrinsecamente con-
tate, quelli non telici, come i nomi di massa, permettono suddivisibilità all'infinito. Cioè,
ogni porzione di passeggiare è anch'essa attività di passeggiare, così come ogni porzione
d'acqua è anch'essa acqua, mentre una porzione di cadere non può essere intesa come
l'evento di cadere, così come una porzione di mela non è una mela. Nel caso dei participi
passati femminili, essi «permettendo di isolare nel continuum verbale di per sé illimitato, in
virtù della loro maggior concretezza, una sezione con un preciso termine, producono una
opposizione di aspetto tra l'azione continuativa espressa dal verbo pieno e l'azione singola-
tiva o terminativa espressa dal nesso verbo-nominale {passeggiare l fare una passeggiata)»
(Torricelli 1975, 191). In altre parole, i predicati non telici sono trasformati in singole
istanziazioni del processo verbale, cioè in nomi intrinsecamente delimitati, telicizzati (cfr.
Gaeta 2000). Il nome d'azione che ha la forma del participio passato femminile forma nomi
numerabili come nuotata da predicati non delimitati, non telici, come nuotare, in quanto il
derivato si riferisce ad una singola istanziazione dell'evento designato del predicato, per cui
Considerazioni analoghe sono valide anche nel caso in cui il participio passato femminile sia usato
in senso generico come nella frase La nuotatina giornaliera che mi ha consigliato il medico mi ha
fatto bene. Presumibilmente, ciò è legato ad un processo indipendente di generalizzazione, appli-
cabile a qualsiasi concetto nominale (cfr. Mayo / Schepping / Schwarze / Zaffanella 1995,912).
5.1. Derivazione nominale 341
Tuttavia, non è sempre vero che i verbi transitivi siano incompatibili con il verbo supporto fare (cfr.
fare una mangiata di funghi). Né si può dire che questa costruzione perifrastica rappresenti sempre
l'azione come breve (cit. fare una lunga dormita). La differenza di valore rispetto all'espressione non
perifrastica è infatti aspettuale, in quanto la perifrasi presenta l'azione come delimitata nel tempo (cfr.
Gaeta 2000 per un'indagine più approfondita di questa perifrasi). In generale, per delimitare il campo
d'analisi si possono adottare i quattro criteri seguenti (formulati da Dixon 1991, 336-361, sulla base
dell'analoga perifrasi inglese): (i) forma: la perifrasi deve avere: (a) lo stesso soggetto della frase
soggiacente; (b) fare o dare come verbo principale; (c) la forma base del verbo della frase soggiacente
preceduta dall'articolo indeterminativo; (ii) significato: la perifrasi deve avere lo stesso significato
della frase con verbo semplice; (iii) corrispondenza avverbio / aggettvo: eventuali aggettivi devono
modificare il SN così come avverbi modificano il SV corrispondente nella frase soggiacente; (iv)
preservazione dei costituenti periferici: eventuali costituenti periferici della frase soggiacente devono
essere conservati intatti nella costruzione perifrastica.
Mentre rapida in (17a) modifica come avverbio il verbo in Gli alpinisti discesero rapida-
mente al paese, in (17b) l'aggettivo ripida non può essere riferito come avverbio al predi-
cato della frase soggiacente (*Gli alpinisti discesero ripidamente al paese) ma eventual-
mente al sentiero percorso dagli alpinisti, per cui la frase risulta inaccettabile. Un altro
indicatore che segnala la presenza di un certo grado di lessicalizzazione del participio pas-
sato femminile è la possibilità di utilizzare l'articolo determinativo. Ad esempio in (17)
l'impiego dell'articolo determinativo per modificare discesa fa scattare l'interpretazione
concreta: Gli alpinisti fecero la discesa rapida / ripida al paese. Un derivato come discesa,
così come raccolta, scelta ecc., presenta dunque le ambiguità di una parola che è sottoposta
ad un processo di lessicalizzazione. Si considerino ora le frasi seguenti:
Rispetto alla frase matrice (cfr. Carlo ha raccolto materiale da riciclare), la frase in (18a)
contenente la perifrasi rappresenta l'azione come piuttosto approssimativa e imprecisa; il
suo limite esterno non è ben delineato. Infatti, da (18a) rispetto a (18b) non si ricava
l'informazione che Carlo ha raccolto tutto il materiale riciclabile, ma che ha svolto invece
un lavoro molto approssimativo. Si noti che in questo modo l'oggetto diretto del verbo è
messo in secondo piano; ciò che viene rappresentato come rilevante dalla perifrasi è il
modo approssimativo in cui il soggetto partecipa all'azione. La messa in secondo piano
dell'oggetto è il motivo per cui la perifrasi non è compatibile con un predicato denotante
un'attività con un télos ben determinato (cfir. Maria ha fatto una mangiata di pizia vs
*Maria ha fatto una mangiata della pizza). Ciò è valido anche per la perifrasi contenente
dare. L'azione è rappresentata come imprecisa e non delimitata (*Sara diede una piegata ai
vestiti in due ore, *Antonio ha dato una pettinata a Mario in due ore) oppure breve e occa-
sionale, in cui il soggetto indulge per un certo periodo. In altre parole, la perifrasi rappre-
senta l'azione come orientata verso il soggetto. Infatti, il soggetto della perifrasi deve essere
umano o intenzionale come si vede dall'inaccettabilità di *La Gioconda ha fatto un'attesa
di dieci anni prima di essere restaurata, *La pioggia diede una riempita alla piscina in
giardino rispetto a frasi con soggetto umano e intenzionale come Tina ha fatto un'attesa di
due ore prima di essere ricevuta, Il giardiniere diede una riempita alla piscina in giardino.
Predicati telici, cioè risultativi e trasformativi (cfr. 5.1.3.1.1.1.), sono incompatibili con la
perifrasi e non formano derivati con il participio passato femminile: *fare una costruita /
*fare un'arrivata / *fare una partita·, *dare un'edificata alla casa / *dare un'uccisa al
gangster. Questi predicati sono incompatibili con la perifrasi perché hanno uno scopo
esterno e un télos naturale (compiuto quando lo scopo è raggiunto). A questo proposito, il
caso di ammazzata è molto significativo, in quanto è compatibile con la perifrasi solo
nell'accezione continuativa (e nell'uso riflessivo) del verbo base, nel significato figurato
"stancarsi a morte" (Il macellaio fece un'ammazzata per preparare le salsicce), non in
quella telica (*// macellaio fece un'ammazzata di vitelli per preparare le salsicce).
Quest'esempio mostra anche come la perifrasi permetta di esprimere una certa emotività
che coinvolge il soggetto esperiente. E lo stile nominale proprio di questa costruzione che
dà la possibilità «di conferire molto facilmente, volendo, sfumature di affettività e di emo-
tività nella misura che ci piace di fare» (Herczeg 1972, 196). Ciò è reso possibile anche dal
fatto che è molto naturale combinare i participi passati femminili con suffissi alterativi: una
5.1. Derivazione nominale 343
levataccia, una fregatina di mani ecc.1 Tuttavia, c'è un gruppo abbastanza folto di verbi
trasformativi che formano participi presenti femminili compatibili con la perifrasi (caduta,
cascata, comparsa, entrata, fermata, mossa, salita, scappata, scivolata, uscita, venuta). Si
noti inoltre che, perché questi verbi siano compatibili con la costruzione perifrastica, è
necessario che il soggetto sia umano (cfr. *La mela fece una caduta dall'albero). C'è da
dire comunque che tra i derivati da predicati trasformativi alcuni sono quasi completamente
lessicalizzati, e rispondono solo parzialmente ai criteri formulati per individuare la perifrasi.
Ad esempio entrata e venuta sono possibili solo in costruzioni come fare una entrata /
venuta improvvisa; altrimenti sono inaccettabili (cfr. *fare un'entrata nella stanza, fare
una venuta a Roma). Come si è visto in (17), anche discesa è parzialmente lessicalizzato,
così come comparsa che è perfettamente combinabile con l'articolo (cfr. fare la comparsa).
Pertanto, questi casi di verbi non agentivi e non continuativi sembrano non centrali per la
derivazione di participi passati femminili. Oltre ai derivati che sono compatibili con le due
perifrasi, ci sono altri derivati che invece non rispondono ai criteri illustrati sopra. Innanzi-
tutto ci sono un paio di derivati non comuni come colta e cresciuta, per i quali non è facile
stabilire se essi siano compatibili con la perifrasi. Richiamata, che è compatibile con la
perifrasi (cfr. fare una richiamata), è tuttavia specializzato in un significato tecnico e de-
nota la "particolare manovra di un aeromobile che consiste nel passare da una picchiata al
volo orizzontale" (DISC). Inoltre, arrabbiata si incontra con un verbo supporto di altro tipo
(prendersi un'arrabbiata, cfr. Herczeg 1972, 256). Derivati come aggiunta, difesa, offerta,
offesa, presa, promessa, proposta, richiesta, ripresa, scoperta, spesa, solo apparentemente
sono compatibili con la perifrasi. A parte l'uso particolare di presa, nella locuzione crista-
lizzata/are una presa di tabacco, essi sono lessicalizzati, come si evince dall'applicazione
dei criteri illustrati sopra. Innanzitutto, essi sono tutti compatibili con l'articolo determina-
tivo: fare l'offerta, fare la promessa, fare la scomparsa ecc. Inoltre violano i criteri visti
sopra, in quanto a frasi come II professore fece una lunga aggiunta di critiche o II miliar-
dario fece una cospicua offerta di denaro non corrispondono né nella semantica, né nella
sintassi le due frasi soggiacenti *// professore aggiunse lungamente critiche e *Il miliarda-
rio offrì cospicuamente denaro. Infine, andata, cacciata, durata, pretesa e rotta sono as-
solutamente incompatibili con la perifrasi (cfr. *fare un'andata, *dare una rotta al vaso
ecc.). Alzata si incontra solo in alcune locuzioni (fare un'alzata di scudi, per alzata di ma-
no), sparata solo nell'espressione fare una sparata "avere uno sfogo di rabbia" oppure
"dire una millanteria" (DISC). Infine, come già osservato sopra, messa e rimessa sono
possibili nella perifrasi, ma solo nelle locuzioni dar una messa a posto, dar una rimessa in
ordine ecc. (DISC). Questo gruppo, piuttosto folto, di derivati è caratterizzato da due pro-
prietà comuni: sono tutti derivati antichi (nessuno di loro è indicato dal DISC come poste-
riore al XVI secolo); e, soprattutto, tutti questi derivati sono i «veri» nomi d'azione dei
verbi corrispondenti. In altre parole, essi non hanno il significato semelfattivo e perfettivo
che è proprio degli altri participi passati femminili, ma mero valore trasposizionale. Per
riassumere sono elencati di sotto derivati completamente lessicalizzati, cioè con significato
più o meno concreto, e derivati lessicalizzati nel senso che non presentano la tipica seman-
Si tenga presente a questo proposito anche l'osservazione di Rohlfs 1969, § 1129: «Mentre in
alcuni dialetti -ata è divenuto un suffisso accrescitivo o intensivo, per esempio abruzzese na ca-
scata 'una abbondante caduta', na sciuvalata 'una forte scivolata', in qualche caso isolato il suffis-
so ha invece una funzione attenuante, cfr. siciliano e calabrese vasata 'bacio'».
344 5. Suffissazione
tica semelfattiva; infine il terzo sottogruppo contiene derivati che, pur dotati della semanti-
ca semelfattiva ed essendo quindi compatibili con la perifrasi, fungono più in generale
anche da nomi d'azione del predicato:
allevata detta parlata seduta
armata distinta partita1 sorpresa
chiusa ferita pensata tenuta
comandata filata portata tornata
combinata imposta posata trovata
commessa infilata provvista udita
condotta intesa ricevuta veduta
data lasciata scritta
Partita è inteso qui sia nel significato "quantità notevole di merce trattata all'ingrosso", sia nel
significato "sfida, cimento, scommessa", entrambi derivati dal verbo (arcaico) partire "dividere"
(cfr. DISC, s.v.).
5.1. Derivazione nominale 345
sono preferibilmente formati dalle (poche) basi che contengono suffissi di tradizione popo-
lare: -azz- (scorrazzata, sghignazzata, strombazzata), -eggi- (beccheggiata, veleggiata), -
ett- (schizzettata, strombettata, fischiettata - Non si può più interrompere una fischiettata
sotto la doccia, Settegiorni TV 24-2-2001, 59), che per altro formano in genere predicati
non telici. Sono esclusi invece i casi di derivati da basi contenenti i suffissi colti -ific-
(l'isolato palificata è un nome denominale con significato collettivo "fila di pali collegati
insieme") e -izz-, che per altro formano in genere predicati telici.
Inoltre, come è stato già accennato in 5.1.3.1.2.3., si incontra un alto numero di derivati
denominali che presentano caratteristiche simili - per citarne una su tutte la combinabilità
con le perifrasi con i verbi supporto: (fare una) coglionata / comparsata / pagliacciata,
(dare una) bottigliata / linguata / schienata e da nomi propri berlusconata (Sono slogan,
berlusconate, La Stampa 13-2-1995, 2), biffata (spiritoso titolo [...] che riguarda il cardi-
nale di Bologna: «Biffate», il manifesto 13-1-2001, 4). Al punto che in molti casi è indeci-
dibile se il derivato sia deverbale o denominale (ospitata (GRADIT), sterzata, telefonata).
Che il participio passato femminile per la sua caratteristica semantica semelfattiva e perfet-
tiva sia distintamente separato dagli altri nomi d'azione è mostrato anche da un'altra pro-
prietà legata alla produttività. In genere, infatti, i participi passati femminili non subiscono
blocco lessicale nei confronti degli altri nomi d'azione, che hanno invece mero significato
trasposizionale:
In contrasto con ciò, i participi passati femminili che di sopra sono stati identificati come
lessicalizzati (in quanto privi della peculiare semantica) fungono invece da elemento bloc-
cante e non sono in genere affiancati da altri deverbali trasposizionali:
Si noti che questo fenomeno concerne anche il sottogruppo di derivati da verbi trasformati-
vi visto sopra (eft. (21b)). Un'ultima considerazione: è proprio tra i derivati da participi
passati irregolari che si concentra il fenomeno della lessicalizzazione, e cioè sia i casi di
completa lessicalizzazione (condotta, detta, scritta, sorpresa), sia quelli di derivati lessica-
lizzati nel senso che non presentano la tipica semantica semelfattiva (aggiunta, difesa, offe-
sa, spesa). Tutto ciò, assieme a quanto osservato sopra in 5.1.3.1.2.3. a proposito
dell'elevata produttività di questi derivati con verbi della I coniugazione, nei quali il suffis-
so presenta la forma d'uscita -ata, spinge verso la semplificazione di questa regola come è
stato già fatto per i derivati in -zione, in cui si è assunto come base di derivazione il tema
verbale, benché come già osservato la regolarità paradigmatica che seleziona il participio
passato femminile sia almeno marginalmente presente alla coscienza dei parlanti. Questa
tendenza verso la semplificazione rende inoltre possibile cogliere la similarità con la regola
di formazione di parole che seleziona basi nominali, che per altro da un punto di vista dia-
cronico ne rappresenta un'estensione, nel senso che per entrambe le regole è possibile as-
sumere una semantica generale del tipo "singola/tipica istanziazione della sostanza X" (cfr.
Gaeta 2000).
1
Un'altra ipotesi assume la derivazione dal tema verbale con l'aggiunta di un suffisso -nza (ignora-
+ -nza, conosce- + -nza). Per i verbi della III coniugazione è tuttavia necessario assumere una re-
gola allomorfica /i/ —<· /e/, operativa anche in garantire —* garantendo ecc., che ribassi la vocale
tematica: preferi- + -nza —» prefere- + -nza). Questa regola allomorfica è comunque molto più rara
dell'opposta regola /e/ —• /il vista sopra in 5.1.3.1.2.1. per derivati come ricevimento, ricevibile,
ricevitore ecc., e in altri casi è inevitabile partire dal participio presente come in sofferenza —>
sofferente (*soffrenza).
5.1. Derivazione nominale 347
che militano" è breve. Si osservi che nel caso in cui un predicato presenti diverse accezioni,
il suffisso -(z)a seleziona sistematicamente l'accezione stativa: Mario discende da nobile
stirpe —» La discendenza / *discesa di Mario da nobile stirpe. Inoltre, nel caso ci sia un
altro nome deverbale derivato dallo stesso verbo, quest'ultimo seleziona in genere il signi-
ficato non stativo: Lo scalatore discese la montagna dopo aver toccato la vetta —> La di-
scesa / *discendenza della montagna da parte dello scalatore. Questa peculiarità azionale
del suffisso -(z)a può essere osservata in tutti i casi in cui è disponibile un derivato con altro
suffisso. Il derivato da altro suffisso seleziona in genere un'accezione del verbo base dal
contenuto azionale non stativo, dando origine a coppie di derivati come:
aderenza adesione
competenza competizione
conseguenza conseguimento
differenza differimento
divergenza diversione
ignoranza ignorazione
importanza importazione
incidenza incisione
rispondenza risposta
scadenza scadimento
sporgenza sporgimento
Un caso particolare è costituito da verbi come accogliere, che risponde solo in parte negati-
vamente ai test utilizzati in genere per verificare la statività di un predicato, cioè
l'incompatibilità con l'imperativo e con la forma progressiva (cfr. Bertinetto 1991, 30):
Accogli tuo padre in casa!, *Prodi sta accogliendo Jospin all'aeroporto (da due ore).1
Inoltre, accoglienza ha un chiaro valore non telico in confronto all'altro derivato dal verbo:
L'accoglimento / * accoglienza della proposta avvenne all'unanimità. Per il suo comporta-
mento, accogliere fa gruppo con un insieme di verbi che danno risultati meno chiari ri-
spetto ai test sulla statività: dimenticare, insistere, partire, resistere, soffrire, sperare, te-
stimoniare, ubbidire. Tra questi, partire, e probabilmente insistere e resistere, rispondono
positivamente ai due test rivelatori di statività e pertanto non sono predicati stativi; gli altri
predicati invece rispondono positivamente solo ad uno dei test di statività. Alcuni non sono
compatibili con l'imperativo (cfr. (23a)), altri con la perifrasi progressiva (cfr. (23b-c)):
Si noti che accogliere diviene compatibile con la perifrasi progressiva se è modificato da un og-
getto plurale: Prodi sta accogliendo gli ospiti stranieri all'aeroporto (da due ore). Tuttavia,
l'oggetto plurale rende compatibile il verbo con la perifrasi progressiva perché pluralizza il nume-
ro dei singoli eventi di accogliere, rendendo così il predicato un processo che si svolge nel tempo.
348 5. Suffissazione
Come è stato osservato, per dar conto di questi casi bisogna raffinare la categoria di verbo
stativo (cfr. Bertinetto 1991, 29-31). La categoria di predicato stativo è infatti da intendere
come «orientata polarmente, cioè come una coppia di concetti in opposizione graduale che
possiede stadi intermedi, a seconda del maggiore o minor grado con cui un predicato si
approssima all'uno o all'altro polo» (Bertinetto 1991, 31). I predicati che non ammettono
l'imperativo (cfr. (23a)) sono privi del tratto di volontarietà o intenzionalità, ossia il sog-
getto non ha controllo intenzionale sull'evento; essi tuttavia sono forniti del tratto di pro-
cessualità o di svolgimento dinamico in quanto sono compatibili con la perifrasi progressi-
va, e per questi motivi vengono anche chiamati eventivi. I predicati invece che, pur incom-
patibili con la perifrasi progressiva, risultano compatibili con l'imperativo (cfr. (23b-c)),
possono essere denominati stativi volontari o intenzionali. In questa maniera si disegna una
mappa dei predicati stativi, in cui il prototipo è costituito dai predicati che mancano del
tratto di processualità e intenzionalità:
(24) processualità intenzionalità esempio
stativi - - dipendere
stativi volontari - + sperare
eventivi non volontari + - soffrire
non stativi + + partire
scampanio, sussurrio, urlio, vocio (rumore anche risultato di un'azione: friggio, martellio,
picchio, raspio, rodio, rovinio, scatenio) o verbi denotanti un'impressione ottica con analo-
go effetto intensivo: balenio, baluginio, barbaglio, brillio, folgorio, fulminio, lampeggio,
luccichio, sfarfallio, sfavillio, sfolgorio. La ripetitività, e la fastidiosità ingenerata del rumo-
re prodotto da un'azione, è spesso connotata negativamente: biascichio, calpestio, trame-
stio, zoccolio; una connotazione negativa che si ritrova in alcuni derivati con valore intensi-
vo come fottio, svilio, zittio. Tra i predicati denotanti impressioni acustiche si distinguono
verbi denotanti rumori naturali (cigolio, colio, crepitio, fermentio, frascheggio, gocciolio,
grandinio, sciabordio, sciacquio), di animali (abbaio, belio, chiocciolio, chioccolio, cica-
lio, cinguettio, crocidio, gnaulio, gloglottio, gorgheggio, gracchio, gracidio, miagolio,
mugolio, pigolio, squittio, starnazzio) e, più in generale, di origine fonosimbolica (borbot-
tio, ciangottio, clicchettio, frignio, fruscio, scricchiolio, ticchettio, tintinnio). In qualche
caso, il dominio di questo suffisso si estende anche a basi nominali (affario, bettolio, dia-
volio, fracassio, fragorio, lucciolio, passerio, polverio, rumorio). Basi verbali selezionate
da questo suffisso comprendono inoltre verbi prefissati con ri- (ribollio, rigirio, rimenio,
rimescolio, rimestio, rivoltolio), s- «intensificativo» (sballottio, sbatacchio, scampanio,
scarrucolio, scolio, sfavillio, sghignazzio, sgocciolio, strascinio, strombettio, sventolio,
svolazzio, svolio, svilio), qualche prefissato con s- negativo (spolverio, stonio) e basi con i
suffissi di tradizione popolare -azz- (schiamazzio, sghignazzio, starnazzio, svolazzio), -eggi-
(iarmeggio, arpeggio, frascheggio, lampeggio, maneggio), -(er)ell- (canterellio, girellio,
saltellio, sbalzellio, scampanellio), -ett- (becchettio, fischiettio, picchiettio, scoppiettio,
strombettio, tacchettio, ticchettio), -icci- (pesticcio, scalpiccio), -(uc)ol- (chiocciolio, goc-
ciolio, piagnucolio, rivoltolio, scricchiolio, sfrigolio, sgocciolio, spruzzolio, sventolio, tre-
molio), -ott- (parlottio), -ucchi- (baciucchio, sbaciucchio). Non sono invece attestati deri-
vati da basi contenenti i due suffissi più produttivi -ific- e -izz-. Come ci si può immaginare
sulla base delle sue caratteristiche semantiche, la produttività di questo suffisso è limitata, e
tuttavia non trascurabile (il DISC registra una cinquantina di formazioni nel Novecento): tra
le neoformazioni novecentesche si incontrano barcollio, consumio (GRADIT), gesticolio,
girellio, gloglottio, lacerto (GRADIT), litighio, pesticcio, pullulio (GRADIT), rimestio,
sballottio, schifio, starnazzio, stritolio, struscio, svilio, tacchettio, vellichio, zittio ecc.
Da un punto di vista diacronico, questi derivati provengono in parte da nomi della IV declinazione
latina (cursus, ululatus), in parte dalla sostantivazione del participio perfetto latino (peccatum) o
passato italiano (concordato, rimorso), cfr. Georges 1970.
350 5. Suffissazione
legati all'attività acustica: barrito, belato, bramito, garrito, guaito, grugnito, muggito, nitrito, ruggito,
udito, ululato, vagito. In altri casi è tuttavia difficile distinguere se si tratti di nomi deverbali, oppure
di nomi denominali (arbitrato, negoziato, operato, cfr. 5.1.1.4.2.).
Il suffisso -ore è ristretto a un manipolo di nomi d'azione usuali, in genere denotanti esperienze fi-
siche o psichiche: amore, bollore, bruciore, cociore, dolore, errore, fervore, luccicore, pizzicore,
prudore, raffreddore, sentore, splendore (cfr. anche 5.1.2.1.2.1.6.). Con il suffisso -uria, si incontra il
nome d'azione goduria. Poco più di una decina di verbi selezionano il suffisso atono '-ita: cernita,
crescita, mescita, nascita / rinascita, perdita, spendita, vendita / rivendita / svendita, vincita / rivin-
cita, oltre ai lessicalizzati accomandita, rendita, rifondita. La variante maschile '-ito è presente nei
nomi usuali battito, dibattito, fremito, gemito, intuito·, si noti che in qualche caso il suffisso seleziona
basi della I coniugazione (anelito, prestito, tremito, oltre ai concreti gettito, lascito). Un suffisso
'-bolo si identifica in conciliabolo, oltre che nei lessicalizzati patibolo, vestibolo, vocabolo. Il suffisso
-ucia è presente solo in fiducia. Con il suffisso -eria, altrimenti produttivo per formare nomi di qualità
(cfr. 5.1.2.1.2.1.5.) o deverbali con valore locativo (cfr. 5.1.3.4.2.), si incontrano i nomi d'azione
negativamente connotati millanteria, ruberia e scorreria, oltre a ciarleria, lusingheria e vanteria,
interpretabili anche come denominali. Anche il suffisso -ggine si estende in pochi casi al dominio
verbale: cascaggine, dimenticaggine, fantasticaggine, trascuraggine. In tutti questi casi, l'estensione
al dominio verbale è evidente sulla base del fatto che, così come per i nomi deaggettivali, le basi
selezionate esprimono una disposizione psichica negativa (cfr. 5.1.2.1.2.1.5.). Un suffisso -ero si
identifica in lavacro", un suffisso -asco ricorre in piovasco. In balbuzie, si può identificare una termi-
nazione -uzie rispetto al verbo base balbettare. Un suffisso -lizio si identifica nel nome d'azione
sposalizio. Un suffisso '-zio ricorre in servizio (anche nella variante di tipo gallo-romanzo servigio,
cfr. Rohlfs 1969, § 289); la variante femminile si ritrova in blandizia (anche nel tipo gallo-romanzo
accomandigia). Un suffisso -zia è presente in pulizia. Il suffisso '-io ricorre in abominio, aggravio,
assassinio, augurio, delirio, desiderio, equilibrio / squilibrio, scrutinio, sterminio suicidio, vaticinio e
con affricazione allomorfica (anche irregolare come in giudizio rispetto alla variante endogena giudi-
cio, cfr. Rohlfs 1969, § 275) della consonante finale della radice verbale in auspicio, litigio, naufragio
(in cui l'affricata palatale assorbe la semivocale del suffisso) e esercizio, oltre che nel denominale
martirio. Se la base termina con una vocale posteriore alta, il suffisso ha la forma -vio: effluvio, pro-
fluvio. Un suffisso -(e)zzo è presente in andazzo e pettegolezzo. In custodia, guardia è presente un
suffisso '-fa (cfr. 5.1.2.1.2.1.6.); un suffisso -ία ricorre in miglioria. In comprendonio si può identifi-
care un suffisso -onio. Il suffisso -iccio, altrimenti impiegato per formare aggettivi deverbali (appic-
cicaticcio, raccogliticcio ecc., cfr. 5.2.2.2.5.), è presente in chiacchiericcio. In cacarella, nasconda-
rella, pisciarella, ridarella, rimpiattarella, sbadigliarella, tremarella si identifica un suffisso
-(a)rella, che rappresenta un'estensione al dominio verbale del suffisso diminutivo (cfr.
5.1.1.7.16.1.3.). In acchiapparello, nascondarello, rimpiattarello, spogliarello se ne incontra la va-
riante maschile. Similmente in nascondino, rimpiattino si ritrova il suffisso diminutivo -ino, mentre la
variante femminile -ina si ritrova in parlantina, formato a partire dal participio presente e nel deno-
minale carneficina. Col suffisso alterativo -otto (cfr. 5.1.1.7.16.1.5.) si formano invece i deverbali
pizzicotto e succhiotto. In lavanda (in genere nella collocazione lavanda gastrica) e reprimenda si
può identificare un suffisso -nda, chiaramente originato dal gerundivo latino. Con il suffisso -torio,
impiegato in genere per formare aggettivi deverbali (amatorio, separatorio, cfr. 5.2.2.2.4.) e nomi di
luogo (dormitorio, osservatorio, cfr. 5.1.3.4.1.), si forma il nome d'azione interrogatorio. La variante
femminile -torta ricorre in pappatoria, sparatoria. Il suffisso -esimo, ricorrente in formazioni che
designano concezioni o atteggiamenti come dannunzianesimo, paganesimo, umanesimo ecc. (cfr.
5.1.2.1.2.2.4.), si ritrova in battesimo (con allomorfia rispetto alla base battezzare) e incantesimo.
Similmente, il suffisso -ismo (cfr. 5.1.2.1.2.2.4.) si incontra in deverbali come abbandonismo, atten-
dismo, determinismo, entrismo, trasformismo. In curatela, lamentela si può identificare un suffisso
-(t)ela. In cantilena si identifica un formativo -ilena. Dal verbo servile volere si forma volontà, con
un suffisso -ontà. Volontà è impiegato come nome d'azione in alcuni contesti come il popolo vuole
indire nuove elezioni —• la volontà popolare di indire nuove elezioni. Il suffisso -tiva, che rappresenta
l'uso sostantivale del femminile del suffisso che forma aggettivi deverbali -tivo (esortativo, investi-
gativo ecc., cfr. 5.2.2.2.4.), è impiegato con un manipolo di verbi per formare nomi d'azione (alter-
5.7. Derivazione nominale 351
nativa, aspettativa, iniziativa, trattativa e, con allomorfia idiosincratica, invettiva) in genere nel signi-
ficato "capacità di V" o "atteggiamento persistente di V" (attrattiva, comunicativa, inventiva, negati-
va), nel linguaggio burocratico (affermativa, sospensiva) o filosofico (escogitativa, estimativa, imma-
ginativa). La variante maschile -tivo è presente in ordinativo e tentativo.
ad esempio il catalano, su cui cfr. Grossmann 1998, 387) non è questo il caso. Dunque
continueremo ad adoperare la terminologia tradizionale di «nome di agente» per parlare di
tutte le formazioni parafrasabili con "persona che V", indipendentemente dalla semantica
del verbo di base.
Il suffisso -tore è il suffisso più produttivo nella formazione di nomi di agente a partire da
verbi (è non produttivo invece l'allomorfo -dore - originariamente una variante settentrio-
nale - di corridore, mallevadore e simili). Nel latino, il corrispondente suffisso -or si ag-
giungeva, com'è noto, al tema del participio passato: educare / educat(um) / educat-or,
legere / lect(um) / lect-or, possidere / possess(um) / possess-or, vinc(ere) / vict(um) / vict-or
ecc. Nel passaggio all'italiano invece, come aveva già osservato Meyer-Liibke 1890, § 485,
è avvenuto un cambiamento sostanziale nella struttura formale dei nostri nomi di agente: la
forma di gran lunga più produttiva del suffisso ormai è -tore, e questa forma non si aggiun-
ge più al participio passato bensì al tema del presente: leggi-tore "lettore ottico", possedi-
tore (non com.), vinci-tore ecc.1
Accanto a queste formazioni autoctone può esistere anche, occasionalmente, il latinismo
corrispondente di trasmissione popolare o dotta: lettore, possessore, vittore (ant.) ecc. La
forma del suffisso, in questi casi, è -ore:2 lett-ore, possess-ore, vitt-ore ecc. Più difficile
risulta la determinazione della forma della base. Nei casi in cui si è trasmesso in italiano il
participio passato latino corrispondente, tali formazioni si possono analizzare anche in
sincronia come basate sul tema del participio passato: leggere / letto / lett-ore ecc. Tale
analisi, presente già in Meyer-Liibke 1890, § 485, è stata riproposta in tempi recenti da
Scalise 1996, che accanto a un allomorfo -tore aggiunto al tema del presente distingue un
allomorfo -ore, presente in latinismi e aggiunto, come in latino, al participio passato.
Quest'analisi è soddisfacente, nelle grandi linee, per il lessico popolare che era al centro
dell'attenzione di Meyer-Liibke, diventa però problematica se vogliamo rendere conto
anche del lessico dotto, costituito da prestiti dal latino e da altre lingue europee con
l'aggiunta non infrequente di formazioni autoctone secondo modelli dotti. Così, ad esem-
pio, possessore non è derivabile dal participio passato italiano, che è posseduto e non pos-
sesso. I casi di questo genere non sono pochi: aggredito vs aggressore, asceso vs ascenso-
re, asserito vs assertore, assolto vs assolutore, corrotto vs corruttore, difeso vs difensore,
distribuito vs distributore, esteso vs estensore, istruito vs istruttore, mantenuto vs manu-
tentore, mosso vs motore, offeso vs offensore, opposto vs oppositore, percosso vs percusso-
re, predetto vs predittore3 prodotto vs produttore, recensito vs recensore, risolto vs riso-
lutore, sedotto vs seduttore, sospeso vs sospensore, tradotto vs traduttore, visto vs visore
ecc. Per ovviare a problemi simili, Scalise propone di assumere come basi i temi dei parti-
cipi latini: lat. possess(um) —• it. possess-ore ecc. Tale proposta implica che tutte le forma-
1
Per una discussione approfondita sulla forma del tema del presente, si rimanda a 5.1.3.1.2.1.
2
La trattazione dell'allomorfia di -ore in questo paragrafo vale anche per i nomi di strumento (cfr.
5.1.3.3.) e gli aggettivi (cfr. 5.2.2.2.6.2.) in -ore. Gli esempi pertinenti, perciò, non sono solo dei
nomi di agente.
3
Calco dell'inglese predictor, documentato in Thornton 1998a, 391: un altro predittore della pro-
duttività morfologica.
5.1. Derivazione nominale 353
zioni di questo tipo siano dei latinismi o che siano almeno state create in italiano secondo le
regole della grammatica latina, situazione certo non da escludere a priori, per lo meno nel
passato, quando chi coniava parole di questo tipo era normalmente in possesso di una solida
conoscenza delle regole di formazione di parole del latino.
La proposta non è invece in grado di spiegare tutte le formazioni autoctone. Come rile-
vato in Rainer 2001a, 386-389, la forma della base di alcune formazioni in -ore non corri-
sponde né al participio passato italiano né al participio passato latino bensì alla base del
nome d'azione corrispondente in -ione: estorsore (a. 1800) e distorsore (a. 1983) non coin-
cidono formalmente né con estorto / lat. extortum né con distorto / lat. distortum, bensì con
la base dei nomi d'azione corrispondenti, estorsione) e distorsione).
Nella stragrande maggioranza dei casi, l'ipotesi del participio passato latino e quella
della base dei nomi d'azione in -ione sono indistinguibili dato che queste due forme coinci-
dono: collus(um) / collus(ione) / collusore, possess(um) / possess(ione) / possessore, retri-
buì um) / retribuz-ione1 / retributore ecc. Nei pochi casi in cui il participio passato latino e
la base del nome d'azione italiano corrispondente non coincidono, come estorsore e distor-
sore, si constata però che i parlanti scelgono come punto di riferimento per Fallomorfia
della formazione in -ore la base del nome d'azione. Siccome quest'ultima generalizzazione
copre tutte2 le allomorfie di -ore sembra preferibile a quella tradizionale. Ha poi anche il
vantaggio di rendere conto elegantemente di tutte le discordanze fra participio passato ita-
liano e formazioni in -ore menzionate sopra senza riferimento a basi latine, oggi inaccessi-
bili alla stragrande maggioranza dei parlanti. Infine, l'ipotesi della base del nome d'azione
copre anche, senza dover ricorrere a considerazioni diacroniche, casi come i seguenti dove
-ore sembra attaccarsi direttamente alla radice del verbo: confessare / confessore / confes-
sione, eiettare / eiettore / eiezione, gestire / gestore / gestione, iniettare / iniettore / iniezio-
ne, inventare / inventore / invenzione, obiettare / obiettore / obiezione, recensire / recenso-
re / recensione ecc.
La stretta associazione fra -ore e i nomi di azione corrispondenti in -ione è rafforzata an-
che dall'esistenza di coppie -ore / -ione senza verbo base corrispondente (in sincronia)
come aviatore / aviazione, collettore / collezione, combustore (a. 1964) / combustione (il
verbo comburere è solo letterario), deflatore (a. 1987) / deflazione, divulsore (a. 1940) /
divulsione, fellatore / fellazione, fideiussore / fideiussione, incursore (a. 1941) / incursione,
ispettore / ispezione, legislatore / legislazione, postfatore (a. 1984) / postfazione, prefatore
(a. 1806) / prefazione, prospettore (a. 1932) / prospezione, relatore / relazione, retentore
(a. 1959) / retenzione, revisore / revisione, selettore / selezione ecc. Questi esempi sembra-
no indicare che esiste anche, nell'italiano moderno, per lo meno in uno stato incipiente, una
relazione derivazionale diretta fra nomi d'azione in -ione e formazioni corrispondenti in
-ore.
1
II cambio fra [ts] nei nomi d'azione (cfr. retribuzione) e [t] / [tt] nelle formazioni in -ore (cfr.
retributore) è molto generale nella formazione delle parole dell'italiano.
2
Estortore (a. 1987), sinonimo meno frequente di estorsore, può essere un calco del lat. extortor e
non è dunque una prova dell'aggiunta produttiva, in sincronia, di -ore a participi passati italiani. Si
devono poi ancora menzionare alcuni casi di formazioni in -ore per cui non esiste un nome
d'azione corrispondente in -ione: controllore / controllo, che è irregolare anche con l'ipotesi del
participio passato, lettore / lettura ecc. In nessun caso si tratta però di formazioni autoctone, e
dunque di controesempi.
354 5. Suffissazione
Ci si è chiesto, nella letteratura (Bisetto 1995, Scalise 1996), se si debba per queste for-
mazioni accettare senz'altro l'ipotesi di una derivazione denominale, magari marginale, o
se non si debba piuttosto pensare ad un passaggio, sia pure virtuale, attraverso un verbo
inesistente ma possibile. Potrebbe deporre a favore della prima ipotesi l'esistenza attestata
di coppie come arcatore / arciere, carratore / carraio, cesoiatore / cesoista, lavaggiatore /
lavaggista / lavaggino, in cui altri suffissi agentivi denominali «si attaccano» alla stessa
base per creare formazioni agentive perfettamente sinonimiche. Depongono a favore della
seconda ipotesi sostanzialmente due fatti. Il primo riguarda l'esistenza di serie derivative
del tipo amidatore / amidatura, matassatore / matassatura, aspatore / aspatoio / aspatura,
barenatore / barenatrice / barenatura, in cui altri suffissi tipicamente deverbali selezione-
rebbero una base nominale, il che comporterebbe un indesiderato proliferare di regole. La
seconda considerazione riguarda la forma della base: l'ipotesi di una base nominale non
riesce a spiegare l'esistenza di quella -a- (amid-a-tore, carr-a-tore, mur-a-tore) che compa-
re in posizione presuffissale in tutte queste formazioni. Solo l'ipotesi di una base verbale
può spiegare la presenza della -a- come della vocale tematica di verbi virtuali della prima
coniugazione del tipo °arcare, °carrare, °matassare, °amidare («bloccato» quest'ultimo,
probabilmente, dal parasintético inamidare).' L'ipotesi di un verbo virtuale infine è resa
plausibile anche dall'attestazione effettiva, in Internet, di alcuni dei verbi assenti dal DISC,
come barenare e lavaggiare.
Dunque la nostra ipotesi è che a differenza di -ante, già suffisso denominale ormai do-
tato di una sua piena autonomia (ma su questo cfr. 5.1.1.1.9.), -tore rimane, per le ragioni
che abbiamo tentato di presentare, un suffisso agentivo deverbale, ed è per questo che ab-
biamo trattato in questo capitolo sulla derivazione deverbale anche la sua (apparente) op-
zione denominale. Naturalmente nulla vieta che in futuro la situazione possa mutare. Ma
allo stato attuale i dati linguistici non consentono di prevederlo.
Per quanto riguarda infine l'uscita femminile del suffisso, 2 -trice, ci limitiamo qui a ri-
cordare come l'esito di gran lunga più frequente sia di tipo strumentale (e infatti rimandia-
mo a 5.1.3.3.1. per una trattazione più dettagliata). Le poche formazioni agentive a lemma-
rio sono spesso dei prestiti latini, la cui base è difficilmente riconoscibile: questo è almeno
il caso di altrice "nutrice", fattrice "creatrice, procreatrice", meretrice, corredentrice, ap-
pellativo della Madonna in qualità di redentrice del genere umano. Le formazioni romanze,
peraltro molto poche, si orientano più spesso a designare professioni considerate, a torto o a
ragione, tipicamente femminili: allattatrice, indossatrice, levatrice, massaggiatrice, pas-
seggiatrice.
Già Tekavóic, notando per queste formazioni l'assenza di un «verbo intermediario», aveva ag-
giunto: «oppure, se si preferisce, esso è virtuale nel sistema» (19802, 46). Bisetto 1996, 55-57 in-
vece ritiene che per i derivati in -tore con base nominale si debba parlare di una derivazione de-
nominale analogica a quella deverbale, ma le sue argomentazioni non ci paiono molto convincenti.
2
II definire -trice come l'uscita femminile di -tore non comporta da parte nostra alcuna presa di
posizione relativamente al grado di autonomia, o di dipendenza, del procedimento in questione ri-
spetto al corrispondente maschile in -tore: in proposito ci paiono anzi convincenti le argomenta-
zioni di Scalise 1984a, 269-271 a favore dell'autonomia del suffisso.
5.1. Derivazione nominale 357
Il tipo amante non esibisce un suffisso nominale in senso proprio essendo storicamente una
nominalizzazione del participio presente del verbo, analogamente ad altri processi di nomi-
nalizzazione di forme proprie del paradigma verbale (pensiamo ad esempio a laureando,
divorziato, pentito). Quindi il capitolo sulla conversione sarà il luogo idoneo per parlarne.
Tuttavia questa affermazione potrebbe apparire troppo perentoria, dando per risolto un
problema ancora aperto. In realtà non è ben chiaro se nei casi citati si sia in presenza di
forme nominali che sono il risultato dell'evoluzione di originarie forme verbali aventi la
stessa forma fonologica, oppure se si tratti di processi autonomi che, da verbi, formano da
una parte participi e gerundi, dall'altra nomi. Se è vera la prima ipotesi, si tratta di conver-
sioni; se è vera la seconda ipotesi, si tratta di flessione e di derivazione. Nonostante Bisetto
1994b tenti di dare una risposta proprio a questo quesito (ma la sua analisi riguarda solo la
formazione degli aggettivi in -(x)to), e Luraghi 1999 affronti proprio il problema della dif-
ficile collocazione, tra flessione e derivazione, delle forme V-nte, non ci pare che allo stato
attuale la ricerca sia approdata a soluzioni definitive. Tuttavia ci sembra condivisibile e
opportuno l'invito di Luraghi a non dimenticare la «natura non prototipica della classe
nominale in cui il suffisso si è formato, cioè il participio», il quale per sua stessa natura, «in
quanto forma nominale del verbo, presenta un'ambiguità categoriale, condividendo sia il
comportamento sintattico dei verbi [...] sia quello dei nomi» (546). E certo in questa chiave
che vanno interpretate alcune oscillazioni di comportamento delle formazioni V-nte, che
creano il problema di esatta definizione del procedimento del quale ci stiamo occupando.
Per parte nostra, avendo il procedimento stesso dato luogo a centinaia di nomi di agente,
per molti dei quali si deve ormai registrare un uso quasi esclusivamente nominale, non
possiamo esimerci dal parlarne, soprattutto in una prospettiva di confronto con gli altri
procedimenti deverbali qui sotto osservazione. Ma per ulteriori approfondimenti è bene
andare al capitolo sulla conversione (soprattutto a 7.2.). Non affronteremo invece in questa
sede il problema delle formazioni denominali in -ante, su cui abbiamo già scritto (cfr.
5.1.1.1.9.).'
L'origine participiale del procedimento spiega una prima «anomalia» di comportamento,
che ha a che fare con la base cui si applica il suffisso, che è la radice del verbo + la vocale
tematica. Ma una rapida scorsa ai dati ci avverte subito di una cosa importante: mentre per i
derivati da verbi della prima coniugazione la vocale tematica è sempre la -a- (aspirante,
banchettante, manifestante, militante, parlante, praticante e così via) e per i verbi della
seconda la vocale tematica è la -e- (combattente, conoscente, credente, dirigente, scrivente,
vincente ecc.), per i verbi della terza coniugazione la situazione è più articolata: la vocale
tematica può essere -e-, come in morente, supplente; oppure si può trovare il gruppo -ie-,
come in balbuziente, esordiente, veniente; infine, qualche verbo ammette l'alternanza
-e-/-ie-: dormente / dormiente, partorente / partoriente, udente / udiente. Comunque, a
differenza dei V-tore e di molti altri procedimenti nominali deverbali che esibiscono, prima
del suffisso derivativo, le due vocali tematiche -a-, per i verbi della prima coniugazione, o
-i-, per i verbi della seconda e terza coniugazione, in questo caso il procedimento non mani-
Non rientra tra le formazioni denominali tavoleggiante "cameriere che porta le vivande in tavola",
per cui dobbiamo supporre una base virtuale, il verbo ° favoleggiare, a sua volta derivato (virtuale)
da tavola.
358 5. Suffissazione
via; (d) coppie in cui l'alternanza si incarica di veicolare due diverse accezioni del verbo, o
due diversi statuti grammaticali dello stesso: così in appaltante "chi dà in appalto", e ap-
paltatore "chi prende in appalto"; in assicurante "chi si assicura stipulando un contratto di
assicurazione con una compagnia", e assicuratore "compagnia, o suo rappresentante, che
assicura qualcuno"; in bagnante e flagellante, rispettivamente "chi si bagna" e "chi si fla-
gella", e bagnatore e flagellatore, rispettivamente "chi bagna qualcosa" e "chi flagella
qualcuno".
Dunque, a fronte di qualche caso di sinonimia, più spesso si registrano scarti di signifi-
cato più o meno importanti tra le formazioni cui danno luogo i due procedimenti, in dire-
zioni e per ragioni diverse da caso a caso. Non resta che prenderne atto.
Come abbiamo già avuto modo di vedere nei molti esempi fatti fin qui, sul piano
dell'uscita semantica le formazioni W-nte possono designare sia agenti caratterizzanti: ban-
chettante, litigante, poppante, postulante, simpatizzante, spasimante ecc.; sia agenti classi-
ficanti: ambulante, cantante, commerciante, insegnante, navigante, supplente ecc.; sia
occasionali ispiratori o iniziatori di un'azione: appaltante, debuttante, pagante, stipulante,
vincente, votante. Quest'ultima possibilità trova ampia applicazione nel linguaggio ammi-
nistrativo, bancario e del diritto, ambiti nei quali serve alla funzione di designare i soggetti
coinvolti in «azioni» pubbliche regolamentate dalla legge: adottante, affiliante, alienante,
allegante, cessante, comparente, concedente, emittente, querelante, richiedente, stipulante
sono solo alcuni dei moltissimi esempi che si potrebbero fare. Ora è proprio in
quest'ambito, relativo ad un linguaggio generalmente scritto e formale, che si registra una
ulteriore «anomalia» dei W-nte, anomalia sintattica questa volta, che ha a che fare con le
modalità della reggenza esterna di queste formazioni. Da una parte infatti esse condividono
con altri nominali deverbali la possibilità di reggere il complemento oggetto del verbo di
base attraverso la preposizione di, che dunque introduce in questo caso il cosiddetto geniti-
vo oggettivo: vincere la gara —* il vincitore della gara; amare una donna —> l'amante
della donna. Contemporaneamente però è possibile per alcune formazioni in -nte, quelle
più legate ad un ambito burocratico-formale, reggere un complemento oggetto senza
l'ausilio della preposizione, esattamente come farebbero se fossero ancora delle voci ver-
bali (per una breve discussione di questi casi cfr. Lo Duca 1990a, 59, e il già più volte ci-
tato Luraghi 1999, da cui prendiamo gli esempi che seguono, 544): la tassa deve essere
pagata da tutti gli esercenti la professione (giornale radio RAI 1997); NN, presidente la
commissione istruttoria ... (giornale radio RAI 1986).
Si è cercato fin qui di esemplificare il procedimento attraverso formazioni autoctone,
morfotatticamente molto trasparenti e regolari. Ma i casi di scarsa riconoscibilità della base
sono numerosi, soprattutto nella lunga serie dei prestiti dal latino, come attestano ad esem-
pio agente, assente, belligerante, committente, discente, docente, esercente, impotente,
indigente, mittente, parente e così via. Si consideri inoltre che il travaso di W-nte dal latino
all'italiano non si è mai arrestato, se alcune prime attestazioni in italiano datano molto tardi,
a partire addirittura dall'Ottocento: così è ad esempio per utente, degente, inquirente, ge-
stante, reticente (a. 1901). Infine, vorremmo segnalare la disponibilità di alcune formazioni
W-nte ad entrare in composizione con morfemi lessicali, per designare con la maggiore
precisione possibile alcuni particolari tipi di soggetti umani: benestante, benparlante, ben-
pensante, chiaroveggente, malpensante, malvivente, militesente, nullafacente, nullatenente,
teleutente, tossicodipendente, viandante (cfr. 2.1.3.).
360 5. Suffissazione
Il suffisso -ino, che è già stato presentato come denominale per la formazione di nomi di
agente (cfr. 5.1.1.1.7.), ha la caratteristica di selezionare anche basi verbali, dando in uscita
nomi di agente e di strumento (per questi ultimi cfr. 5.1.3.3.5.). La regola che forma V-ino
con uscita agentiva ha dato luogo, a giudicare dal lemmario del DISC, a poco meno di una
trentina di formazioni tuttora vitali, su un totale di 2200 parole terminanti in -ino e com-
prendenti tutte le possibilità: dunque parole derivate e non derivate, e tra le prime non solo
nomi di agente e di strumento, ma diminutivi, etnici, aggettivi e altro. Alcuni esempi delle
formazioni qui sotto osservazione sono: arrotino, attacchino, chiacchierino, girandolino
"bambino incapace di star fermo, o persona che muta spesso parere", scaccino "persona
addetta alla pulizia e alla custodia delle chiese", scribacchino, vagheggino "giovane fatuo,
leggero, che fa il cascamorto con le donne" ecc., mentre castrino, scortichino e stuzzichino
hanno un doppio esito, agentivo e strumentale. Come procedimento per la formazione di
nomi di agente, è un'opzione che continua ad avere una sua modesta produttività. Il DISC
riporta 4 formazioni recenti, datate a partire dal 1950: carichino "minatore o altro operaio
addetto a caricare e innestare le mine" (a. 1955), trimpellino "persona che zoppica in modo
vistoso" (a. 1957), strozzino (a. 1960), stacchino "addetto a scollare dai muri volantini e
manifesti attaccati abusivamente" (a. 1991).
L'osservazione di Hall 1971 per cui solo i verbi della prima coniugazione assumono il
suffisso -ino per formare nomi di agente trova una conferma nei dati: effettivamente tutti i
V-ino listati nel DISC derivano da verbi della prima coniugazione,1 ed hanno un buon gra-
do di trasparenza morfotattica, risultando dall'aggiunta del suffisso alla radice (attenzione,
non al tema) del verbo di base, secondo il modello arrot(are) —• arrotino. Si registrano
però due casi davvero strani di doppio procedimento agentivo deverbale, porta-nt-ino "ad-
detto al trasporto dei malati in lettiga" e sega-nt-ino "addetto a segare tronchi e legname";
tre casi di inserzioni di interfissi, precisamente -er- (in ball-er-ino, cant-er-ino) e -aid- (in
truff-ald-ino)', e due casi di aferesi di ar-: arrabattarsi —» (ar-¡rabattino, arrampicarsi —>
(ar-)rampichino (ma esiste anche il meno comune rampicare). L'esiguità dei dati non con-
sente di trarre generalizzazioni, anche se per l'interfisso -cu'er- dobbiamo rilevare la co-
stante attrazione esercitata dal suffisso -ino nei suoi vari esiti: sia il suffisso aggettivale, sia
il suffisso agentivo denominale, sia il suffisso diminutivo possono presentare lo stesso
interfisso (cfr. ad esempio paglia —> pagli-er-ino, pepe —• pep-er-ino, dama —> dam-er-ino,
uomo —*• om-ar-ino).
L'uscita semantica dei V-ino, sempre parafrasarle con "persona che V", è duplice, po-
tendo essi designare sia mestieri e professioni considerati, come i corrispondenti denomi-
nali in -ino, piuttosto umili, cfr. ad esempio arrotino, spazzino, imbianchino, sia comporta-
menti abituali, atteggiamenti e modi di essere non sempre esemplari, come nel caso di lec-
chino, litighino, strozzino, traffichino. Sembra invece esclusa, o è molto rara, per questi
derivati la possibilità di designare agenti di cui si voglia predicare un'azione singola, non
iterata e già data per avvenuta: a differenza dei derivati in -tore che possono riferirsi anche
ad una predicazione attuale e semelfattiva (!'accusatore o il vincitore possono designare
Ma dobbiamo segnalare il caso di rompine, che però il DISC presenta non già come deverbale da
rompere nell'accezione, tipica del linguaggio familiare, di "seccare, infastidire, importunare", ma
come diminutivo di rompi, nel senso di "rompiscatole, seccatore".
5.1. Derivazione nominale 361
persone che hanno accusato o vinto in una sola e particolare occasione), i deverbali agentivi
in -ino fanno riferimento ad una predicazione virtuale, non necessariamente realizzata, ma
abituale, tipica del soggetto della predicazione. Questo comportamento è condiviso dai
deverbali in -one (su cui cfr. 5.1.3.2.4.). Sono infatti sinonimi i pochi casi in cui i due suf-
fissi rivali -ino ed -one selezionano la stessa base: chiacchierino / chiacchierone, ciampi-
chino / ciampicone, traffichino / trafficone.
Sulla storia del suffisso -one denominale e deverbale abbiamo già scritto (cfr. 5.1.1.1.8.).
Ricordiamo solo che una delle sue funzioni anche in latino era quella di formare nomi che
designavano una persona sulla base dei suoi comportamenti e delle sue abitudini ritenute
esagerate ed eccessive: quindi bibo "beone", o crapulo "crapulone, mangione" (Rohlfs
1969, 414). In italiano il suffisso ha mantenuto questa possibilità, dando luogo a decine di
formazioni agentive: accattone, arraffone, bighellone, brontolone, chiacchierone, ciarlone,
dormiglione, imbroglione, mangione e così via. Come si vede dagli esempi, anche la deri-
vazione deverbale dà in uscita parole aventi un tratto negativo, al pari delle corrispondenti
formazioni denominali e deaggettivali: anche a partire da verbi si possono infatti formare
parole che stigmatizzano individui che presentano comportamenti per una qualche ragione
ritenuti riprovevoli. Alla perifrasi di base, comune a tutti i nomi di agente deverbali, dob-
biamo aggiungere per i V-one un tratto che potremmo definire dell'eccesso e della ripeti-
zione. E infatti un mangione non è solo una "persona che mangia", ma una "persona che
mangia in abbondanza, voracemente e avidamente", così come un imbroglione è "chi vive
di imbrogli, di truffe".
Questo tratto negativo è stato in parte imputato alla «semantica del verbo di base: sicché
si può concludere che in italiano alcuni verbi, che possono essere connotati negativamente,
hanno un nomen agentis in -one» (Dardano 1978, 54). È un'osservazione che i dati confer-
mano ampiamente: verbi che designano azioni o comportamenti non proprio esemplari
come abborracciare, armeggiare, blaterare, buggerare, cianciare, ciondolare, pasticciare,
trafficare, urlare, danno luogo a formazioni in -one. Tuttavia un tratto negativo è veicolato
comunque dal suffisso, come dimostrano i casi in cui verbi «neutri» diventano negativi
quando assumono il suffisso -one. Questa particolarità diventa subito evidente nei casi in
cui suffissi verbali agentivi selezionano la stessa base verbale, di significato neutro: si ve-
dano ad esempio le coppie beone / bevitore, dormiglione / dormiente, guardone / guardato-
re. Delle affinità con i V-ino si è invece già detto nel paragrafo precedente.
Gli esempi di V-one fatti fin qui documentano ampiamente che il suffisso -one, come il
suffisso deverbale -ino trattato nel paragrafo precedente, ha la caratteristica di «attaccarsi»
alla radice del verbo, secondo il modello trafficare) —• trafficone. Sul piano dell'uscita
semantica, il procedimento non dà luogo a nomi di agente che implicano una predicazione
attuale e semelfattiva, né a nomi classificanti, designanti mestieri o professioni: il suffisso
si è specializzato nella formazione di nomi di agente caratterizzanti, persone cioè che rice-
vono una particolare denominazione a partire da un comportamento abituale normalmente
considerato eccessivo. Quali poi siano questi comportamenti, è presto detto. Ritroviamo
infatti nei derivati deverbali più o meno la stessa povera casistica umana già incontrata con
i denominali: coloro che amano perdere tempo e girare in tondo senza costrutto: bighellone,
ciondolone, fannullone, girandolone, piaccicone', coloro che lavorano con sciatteria, in
362 5. Suffissazione
1
Oltre a spendacchiare, il GDLI riporta anche un altro derivato del verbo, spendacciamento, che
presenta, rispetto alla base, lo stesso fenomeno di palatalizzazione dell'occlusiva velare /k/ pre-
sente in spendaccione.
5.1. Derivazione nominale 363
Come per altri tipi di formazioni deverbali, anche il tipo qui presentato non esibisce un
suffisso derivazionale autonomo rispetto a forme del paradigma verbale: si tratta in questo
caso di forme nominalizzate, di conversioni di participi passati che presentano un'uscita
agentiva, almeno nel senso adottato nel presente lavoro. Alcuni esempi dei moltissimi che
si potrebbero fare sono i seguenti: abbonato, affamato, alcolizzato, alleato, ammalato,
annegato, astenuto, caduto, congiurato, convertito, deceduto, dissociato, divorziato, dro-
gato, emigrato, evaso, infiltrato, intervenuto, laureato, morto, pentito, rifugiato, rimbam-
bito, sopravvissuto, sottoposto, travestito e così via. Come si vede, i verbi di base apparten-
gono a tutt'e tre le coniugazioni e presentano tutti una semantica di tipo risultativo. Inoltre,
coerentemente con il significato grammaticale originario del participio passato, queste
formazioni presentano tutte un tratto temporale di Spassato' e un tratto aspettuale di
'+compiuto', per cui la perifrasi che le rappresenta, piuttosto che essere "persona che V",
potrebbe essere qualcosa del tipo "persona che è/ha/si è PP".
Vale tuttavia la pena di notare che, data la doppia natura del participio passato italiano,
attiva con i verbi intransitivi (anche nella loro forma riflessiva), passiva con i verbi transiti-
vi, possono formare nomi di agente da participio passato solo i verbi intransitivi, come sono
infatti tutti i verbi di base delle formazioni sopra riportate. Le nominalizzazioni da partici-
pio passato dei verbi transitivi danno luogo invece a formazioni aventi una semantica pas-
siva, che faremo rientrare nel sottogruppo dei nomi di paziente (su cui cfr. 5.1.3.5.).
Sugli agentivi deverbali che si presentano privi di suffisso, e che coincidono formalmente con il tema
dei rispettivi verbi della I coniugazione (il tipo guida, procaccia, scaccia "nelle battute di caccia,
persona incaricata di deviare la selvaggina verso la posta", spia ecc.), rimandiamo senz'altro al capi-
tolo sulla conversione (7.2.3.3.) e all'elenco che ne fa Tollemache 1954,146-156.
Segnaliamo poi come degne di interesse alcune formazioni deverbali che assumono suffissi tipi-
camente nominali per formare nomi di agente: apprendista, attendista, convertista "chi converte le
azioni in titoli", dirigista, draghista "addetto a scavi subacquei o su terreni asciutti, dragatore", tra-
sformista, già citati in 5.1.1.1.6.; begolardo (da begolare) "chiacchierone, fanfarone", infingardo (da
infingere) "persona poco incline al lavoro, all'operosità", leccarde (da leccare) "persona ingorda",
formazioni in cui il suffisso -ardo mantiene il tratto negativo già esibito nelle formazioni denominali
364 5. Suffissazione
(cfr. 5.1.1.1.11.); battezziere, corriere, moviere, tappezziere, cui abbiamo già rapidamente accennato
(in 5.1.1.1.4.); cardatolo "cardatore", fregarolo (da fregare) "ladruncolo, borsaiolo", guidatolo "in un
branco, la bestia che guida le altre", e il recentissimo rifondarolo "aderente al Partito della Rifonda-
zione Comunista o suo simpatizzante" (C); scrivano (da scrivere), che però è un adattamento da una
formazione latina.
Per la definizione della categoria, rimandiamo a quanto detto in 5.1.1.2. Aggiungiamo solo
che, come per tutti i deverbali, l'uscita semantica di queste formazioni è più prevedibile che
per i denominali, nel senso che la specifica funzione svolta da questi strumenti è evidente-
mente «data» dal verbo di base: dunque una smerigliatrice o una stampante o un macinino
sono strumenti costruiti perché smeriglino, o stampino, o macinino qualcosa. La comples-
sità, come pure le modalità e l'ambito di utilizzazione di ciascuno di questi strumenti sono,
quelli sì, condizionati dalle particolari conoscenze tecniche e dalle abitudini di vita e di
lavoro della comunità che ne fa uso, e dunque non sono immediatamente ricavabili su basi
solo linguistiche. Ciò non toglie che la perifrasi definitoria che supporremo comune a tutte
queste formazioni è, grosso modo, "oggetto che V", dove per "oggetto" si può, a seconda
dei casi, intendere macchina, attrezzatura, congegno, strumento, utensile, arnese, in una
scala che va dagli strumenti ideati per eseguire operazioni complesse, agli strumenti ed agli
oggetti che consentono di eseguire le più semplici operazioni della vita quotidiana, come
annaffiatoio, o strofinaccio o raschietto. Va pure segnalata la disponibilità di alcuni dei
procedimenti deverbali qui riuniti a formare nomi di luoghi (su cui cfr. 5.1.3.4.), per la
facilità di slittamento semantico da "oggetto che V", a "luogo in cui si V", e viceversa.
Come per i nomi di agente, anche per i nomi di strumento la morfologia dell'italiano
presenta una certa ricchezza di mezzi, e anche in questo caso ai suffissi propriamente deri-
vativi (-tore, -trice, -torio/-toria, -toiol-toia, -inol-ina) dobbiamo aggiungere almeno una
uscita verbale, quella del participio presente, «prestata» alla derivazione anche in questo
settore, potendo dare in uscita formazioni strumentali quali lampeggiante o ammorbidente.
Una domanda cui si è tentato di rispondere nel corso dei paragrafi che seguono è se, a
fronte di tante diverse opzioni, sia possibile rintracciare delle differenziazioni regolari, ad
esempio ambiti diversi di applicazione dei diversi procedimenti, o esiti semantici anche
parzialmente diversificati. Vedremo che, mentre è senz'altro possibile individuare delle
tendenze o delle preferenze per ciascuno dei suffissi esaminati, tuttavia nulla è rigidamente
determinato, e si danno praticamente tutte le possibilità: uno stesso suffisso può dare in
uscita diversi tipi di strumenti, mentre lo stesso tipo di strumento può essere reso attraverso
più di un procedimento. Né è escluso il caso in cui un certo suffisso selezioni una certa base
verbale per designare più strumenti, vale a dire arnesi, o dispositivi, o apparecchi diversi,
spesso adoperati in ambiti lavorativi differenti. Ovviamente queste sovrapposizioni compli-
cano il quadro rendendo spesso difficile identificare delle regolarità convincenti.
Volendo tentare comunque di individuare una qualche differenziazione funzionale tra i
diversi procedimenti che formano nomi di strumento da verbi, si potrebbe dire che sul pia-
no della complessità dell'oggetto designato e del suo funzionamento i V-trice designano
oggetti complessi, spesso dotati di funzionamento automatico, e per lo più definiti "mac-
chine"; i V-tore designano apparecchi più piccoli anche se non necessariamente semplici,
5.1. Derivazione nominale 365
singoli dispositivi o ingranaggi che sono spesso parti di macchinari più complessi; i V-toio
e i V-i'no designano preferibilmente gli strumenti più semplici, quelli del lavoro domestico
o delle attività tradizionali per il cui funzionamento opera, esclusivamente o quasi, l'energia
rappresentata dal lavoro umano; i V-nfe designano piccoli congegni e, soprattutto, sostanze.
Così ad esempio una asciugatrice è una "macchina per asciugare tessuti, biancheria ecc.",
un asciugatore è un "apparecchio elettrico che emette aria calda per asciugare le mani", un
asciugatoio è un "asciugamano"; un accenditore è un "dispositivo che provoca l'accensione
di sostanze combustibili", un accendino è un "accendisigari", un accenditoio è un'"asta
recante in cima uno stoppino, usata per accendere candele e, un tempo, lumi a petrolio"; un
condensatore è un "apparecchio nel quale avviene la condensazione del vapore", conden-
sante è invece una "sostanza che facilita la condensazione". Ma a questo punto è meglio
passare alla presentazione dei singoli procedimenti.
Il suffisso -trice, femminile del corrispondente -tore, formava in latino nomi di agente
femminili (cantator, cantatrix). In italiano tuttavia questo esito è sempre stato «poco popo-
lare», sostanzialmente limitato alla lingua letteraria (Rohlfs 1969, 459), anche se i dizionari
registrano sempre, accanto alle formazioni agentive in -tore, la possibilità del corrispon-
dente femminile in -trice. Il DISC ad esempio riporta sempre questa possibilità, ma pone
direttamente a lemma le parole in -trice che hanno acquisito una loro autonomia. Oggi il
procedimento in -trice è di gran lunga il più produttivo per la formazione di nomi che desi-
gnano macchine e congegni anche molto sofisticati, in grado di svolgere le azioni più o
meno complesse previste dal verbo di base.
Ritroviamo chiaramente rappresentata la storia di questo procedimento se guardiamo le
date di prima attestazione delle parole riportate dal DISC: quasi tutte le (poche) formazioni
in -trice anteriori al XVIII secolo sono nomi di agente, alcuni di formazione romanza (al-
lattatrice, levatrice, direttrice), altre ereditate direttamente dal latino (meretrice, fattrice).
Successivamente la produttività e gli esiti del suffisso in questione sono i seguenti (dal
conteggio sono state escluse le parole date dal DISC come ereditate dal latino o da altre
lingue): sec. XVIII: 1 nome di strumento (il primo attestato di formazione italiana: sgrana-
trice), 1 nome di agente (corredentrice, attributo della Madonna); 1800-1849: 5 nomi di
strumento (accoppiatrice, cernitrice), 1 nome con doppio significato di agente umano e
macchina (stiratrice); 1850-1899: 20 nomi di strumento (falciatrice, piallatrice, seminatri-
ce), 1 nome con doppio significato di agente umano e macchina (pettinatrice); 1900-1949:
83 nomi di strumento (affettatrice, cucitrice, sagomatrice) e due nomi di agente (indossa-
trice, visitatrice)·, 1950-1988 (ultima data attestata): 223 nomi di strumento (imbustatrice,
sabbiatrice, scortecciatrice), 2 nomi di agente (massaggiatrice, passeggiatrice).
Come si vede, i numeri dimostrano una progressione costante, che diventa sempre più
rilevante man mano che ci si avvicina ai giorni nostri, allorché il procedimento in questione
ha rappresentato una possibilità linguistica «facile», sempre a portata di mano, per designa-
re i complessi macchinari delle attività industriali moderne:1 non è un caso infatti che nei
Vale la pena di ricordare che per formare nomi di strumento l'italiano possiede anche il procedi-
mento compositivo V+N (su cui cfr. 2.1.2.5.): essendo più descrittivo rispetto alla derivazione, tale
procedimento risulterebbe, a detta di Crocco Galèas e Dressier, favorito oggi nel mondo del mer-
366 5. Suffissazione
dizionari le definizioni della stragrande maggioranza delle parole in -trice inizino con la
formula "macchina che" o, più raramente, con "apparecchio che". Non è neppure un caso
che sul piano formale il procedimento di derivazione si presenti sempre molto trasparente e
regolare: essendo infatti per la stragrande maggioranza di coniazione recente, i nomi di
strumento in -trice non esibiscono le oscillazioni e le irregolarità formali tipiche dei proce-
dimenti diacronicamente più stratificati. Al contrario di alcuni nomi di agente in -trice, più
antichi, e quindi ampiamente «segnati» dall'influsso del latino (attrice, direttrice, fattrice,
meretrice), i nomi di strumento presentano sempre una base facilmente riconoscibile rap-
presentata dal tema del presente del verbo, vale a dire la radice + la vocale tematica: dun-
que addizionatrice, cernitrice, diraspatrice, fonditrice, impaginatrice, rammagliatrice,
riunitrice, seminatrice, timbratrice, parole che esibiscono tutte un significato molto traspa-
rente.
Se necessario, il procedimento di derivazione si accompagna a forme compositive diver-
se, che hanno lo scopo di rendere anche linguisticamente la complessità delle operazioni
che le macchine così designate devono compiere. Tra le formazioni datate a partire dal
1950 abbiamo conteggiato 12 parole composte con elementi formativi propri del linguaggio
tecnico, quali turbo- (turboperforatrice), vibro- (vibrofinitrice), termo- (termosaldatrice),
moto- (motofalciatrice). Dal momento che non esistono né sembrano immediatamente
accettabili i verbi corrispondenti Cturboperforare, vibrofinire, termosaldare, motofalcia-
re), per tutte queste parole dobbiamo pensare ad una regola di formazione del tipo: [Ele-
mento formativo + [V-ír¡ce]N]N (cfr. 2.2.7.).
Risultano anche nel nostro elenco 6 formazioni composte aventi la struttura: V^irice)-
V2-trice, del tipo falciacaricatrice, mietitrebbiatrice, pigiadiraspatrice, sfogliasgranatrice.
Gli esempi dimostrano, ci pare, un buon livello di descrittività delle complesse operazioni
che questi strumenti sono deputati a compiere (cfr. 2.1.2.5.).
Come per i derivati agentivi in -tore, anche per i derivati in -trice dobbiamo segnalare
una discreta presenza di formazioni denominali: sui 223 nomi di strumento in -trice datati
dal DISC a partire dal 1950, 26 (vale a dire più dell' 11%) risultano avere una base nomina-
le. Un controllo attento di tutti i lemmi ha infatti escluso la presenza di un eventuale verbo
di base, che non risulta né alla nostra competenza, né al lemmario del DISC: è il caso di
capsulatrice, compressatrice, pistatrice, polveratrice, sacchettatrice, tortellinatrice e così
via. In qualche rarissimo caso è rintracciabile un verbo morfologicamente ma non semanti-
camente relato: ad esempio per stradatrice "macchina per allicciare i denti della sega" lo
stesso DISC segnala la derivazione da strada, nel senso di "disposizione dei denti della
sega", non da stradare "far avviare, instradare qualcuno", che si connette evidentemente ad
un altro senso di strada. Come già per i derivati agentivi denominali in -tore, pensiamo che
queste formazioni derivino in realtà da un verbo virtuale, non attestato ma possibile, che
avrebbe fatto da «ponte» dal nome al derivato strumentale: quindi una derivazione del tipo
di polvere —> 0polverare —• polveratrice, raviolo —> °raviolare —> raviolatrice e così via.
cato, soprattutto «nel caso di strumenti e oggetti d'uso comune» (1992, 17). «Se, viceversa, si os-
serva la situazione dei neologismi nella lingua tecnica specializzata, si nota che la presenza dei
suffissati (es. in -tore, -trice) è assoluta: non si danno casi di nomi di strumento di sofisticata tec-
nologia formati come composti V+N», e dunque «è assai probabile che la trasparenza morfose-
mantica, in quanto descrittività, sia meno necessaria per esprimere nozioni specialistiche e tecno-
logiche che non per soddisfare esigenze di mercato» (18).
5.1. Derivazione nominale 367
Le ragioni di questa convinzione si possono sintetizzare in tre punti: (a) frequenza del pro-
cedimento, che ha dato in italiano numerose serie a tre termini del tipo falce —• falciare —>
falciatrice, sagoma —> sagomare —» sagomatrice, catrame —> catramare —• catramatrice e
così via; (b) regolarità di formazione su verbi virtuali della prima coniugazione, che lascia-
no al derivato in -trice, come segno tangibile di questo passaggio, la vocale tematica -a-:
tutti i derivati denominali in -trice infatti, qualunque sia la vocale finale del nome di base,
presentano l'uscita -atrice; (c) presenza di serie derivative in cui compaiono altri suffissi
che selezionano tipicamente basi verbali, come in stradatrice / stradatura, barilatrice /
barilatura, raviolatrice / raviolatore, cesoiatrice / cesoiatore e così via.
Rispetto agli altri procedimenti derivativi deverbali esaminati in questa sezione, il suffis-
so -trice veicola, come abbiamo già detto, il significato prioritario di "macchina che". Dun-
que il rapporto prevalente con i derivati in -tore che selezionano la stessa base è quello di
agente vs strumento: così l'aratore è "chi ara la terra", l'aratrice è la "macchina agricola
che ara"; o, anche più spesso, il referente del derivato in -tore è l'addetto alla manovra della
macchina designata dal derivato in -trice: così è in dentatore / dentatrice, garnettatore /
garnettatrice, impacchettatore / impacchettatrice e in molte altre coppie dello stesso tipo.
Naturalmente questo non significa che non possano trovarsi derivati strumentali in -tore (su
cui cfr. 5.1.3.3.2.) che selezionano la stessa base: esistono ad esempio un allargatore e
un'allargatrice, un asciugatore e un'asciugatrice che designano quattro strumenti diversi,
spesso adoperati in attività lavorative diverse. Ugualmente sono attestati numerosi derivati
in -toio (su cui cfr. 5.1.3.3.3.) che presentano la stessa base verbale di derivati in -trice, e
danno in uscita nomi di strumento: così ad esempio affilatrice / affilatoio, ribaditrice /
ribaditolo, incorsatrice / incorsatolo ecc. Rispetto ai procedimenti rivali, sempre comunque
i derivati in -trice designano strumenti complessi, macchinari legati per lo più ad attività
industriali o alla moderna agricoltura, mentre i derivati in -tore e in -toio designano stru-
menti più semplici, definiti per lo più "utensili" o "arnesi", tipici delle attività artigianali
tradizionali o dei lavori della casa: così ad esempio lo sminuzzatoio è definito "utensile da
cucina che serve per ridurre in minuscoli pezzi verdure o altri alimenti", la sminuzzatrice è
la "macchina usata per ridurre in piccoli pezzi materiali vari, soprattutto il legno da cui si
estrae la cellulosa".
Per una presentazione generale del procedimento rimandiamo a quanto detto in 5.1.3.2.1.,
in cui è stato presentato l'esito agentivo del suffisso. In questa sede ci limiteremo a ragiona-
re sull'esito semantico di tipo strumentale, che è evidentemente molto vicino, sul piano
concettuale, all'esito agentivo. A questo proposito Scalise scrive che «il confine tra questi
due tipi di uscite non è netto», ed arriva ad affermare che mentre uno strumentale come
contatore può sempre essere interpretato, in un contesto adeguato, come un agentivo
(«nulla impedisce di immaginare situazioni in cui una persona è addetta alla conta di qual-
cosa»), analogamente «per quasi qualsiasi forma è possibile creare una contestualizzazione
che favorisce la lettura strumentale [dei derivati in -tore], basta aggiungere per esempio
l'aggettivo automatico» (1996, 297). Ed infatti molti W-tore hanno sia un'uscita agentiva,
sia un'uscita strumentale.
Ciò detto, rimane il fatto che l'uscita agentiva è molto più frequente, con una proporzio-
ne che si aggira, grosso modo, intorno a 1 a 5: per ogni 5 V-tore nomi di agente, troviamo
368 5. Suffissazione
sitivi in grado di procedere a certe operazioni - quelle cui rimandano i rispettivi verbi di
base - che mettono in grado anche le più complesse delle apparecchiature di funzionare. La
produttività del procedimento è buona, e sembra in crescita negli ultimi anni, come docu-
mentano le date di prima attestazione riportate nel DISC (ad esempio, negli anni 1990-
1992 sono segnalate 12 nuove formazioni strumentali in -tore).
Ricordiamo brevemente che anche nella categoria dei nomi di strumento si ritrovano al-
cune formazioni con base nominale (cloratore <— cloro, riflessatore <— riflesso), per le
quali dovremmo ripetere i ragionamenti già fatti per i nomi di agente in 5.1.3.2.1., cui ri-
mandiamo.
Infine, merita qualche attenzione la variante allomorfica in -(s)ore, che presenta una sua
interessante vitalità. Se si osservano con attenzione i nomi deverbali in -(s)ore registrati dal
DISC e ordinati per data di prima attestazione (sono in tutto 112), salta subito all'occhio il
fatto che le formazioni più antiche, diciamo quelle datate fino al sec. XVI, sono tutte nomi
di agente.' Via via però che ci si avvicina ai giorni nostri, il numero dei derivati in -(s)ore
che hanno assunto un significato anche o più spesso esclusivamente strumentale aumenta in
misura esponenziale, al punto che su 29 parole datate dal DISC a partire dal 1950, ben 24
sono nomi di strumento, e alcuni di essi sono molto recenti: collisore (a. 1991), dispersore
(a. 1956), espansore (a. 1968), estrusore (a. 1965), infusore (a. 1952), occlusore (a. 1983),
repulsore (a. 1940), visore (a. 1963) e così via. La base di tutte queste formazioni coincide
con quella dei nomi d'azione corrispondenti in -ore (cfr. distors-ore / distors-ione, divuls-
ore / divuls-ione ecc.), secondo quanto abbiamo visto in 5.1.3.2.1.
Abbiamo riunito nello stesso paragrafo le uscite strumentali in -toio (su cui cfr. anche Kre-
mer 1996, 41-45) e -torio perché si tratta in realtà dello stesso procedimento, ereditato dal
latino -torius, suffisso che formava aggettivi da verbi: -toio è dunque la forma romanza del
suffisso, -torio è la forma latineggiante (Tekavcié 19802, 53-55), più spesso, quest'ultima,
anche o esclusivamente aggettivale.
Già in latino -torius presentava, oltre alla uscita aggettivale, anche la possibilità di for-
mare nomi di strumento e di luogo, possibilità che hanno poi ereditato gli esiti italiani del
suffisso, con molte formazioni che hanno acquisito e mantenuto stabilmente sia l'uscita
strumentale sia l'uscita locativa (ma sull'esito locativo cfr. 5.1.3.4.1.):^α/οιο è ad esempio
sia la "macchina utilizzata per ridurre le fibre tessili in fili", sia il "reparto di un opificio
ove le fibre tessili sono ridotte in fili"; ugualmente presentano una doppia uscita asciuga-
toio, essiccatoio, frantoio. A volte, quando il derivato V-toio ha assunto un significato
chiaramente ed esclusivamente locativo - è il caso di tenditoio "ambiente dove si stende il
bucato ad asciugare" - esiste spesso un derivato strumentale con altro suffisso: tenditore ad
esempio esibisce sia un significato non comune di nome di agente, sia un senso strumenta-
le, potendo designare un "arnese usato per tenere in tensione tra di loro catene, funi, cavi e
altri organi".
1
Ad eccezione di cursore, discensore ed espulsore (tutti datati sec. XIV), che vengono oggi regi-
strati come nomi di agente e di strumento. Ma non c'è dubbio che l'esito agentivo sia più antico.
Ad esempio cursore, oggi nome di strumento, aveva inizialmente il significato agentivo di "corrie-
re, ambasciatore, messo", oggi non più in uso.
370 5. Suffissazione
Come già per i Ν-tore, si pone anche per queste formazioni il problema dell'esatta indi-
viduazione della base, se si tratti cioè di derivati dal tema del presente del verbo o dal tema
del participio passato. Sulla base di una lettura attenta dei dati, e analogamente alla soluzio-
ne adottata per i derivati deverbali in -tore (su cui cfr. 5.1.3.2.1.), diremo che il tema del
presente è almeno statisticamente più frequente, il che è attestato ad esempio dai numerosi
derivati da verbi con participio passato irregolare: accenditoio, apritoio, attingitoio, ritor-
citoio, spegnitoio, stenditoio, tenditoio. Se la base fosse il participio passato dei verbi, do-
vremmo avere in questi casi formazioni quali *accesoio, *apertoio, *attintoio e così via.
Ciò non toglie che siano registrati anche pochissimi casi il cui la parola di base non può che
essere il tema del participio passato dei verbi: si tratta di frantoio, scrittoio, strettoio e vol-
tolo, per i quali non è sempre possibile invocare una derivazione latina.
Per quanto riguarda gli esiti semantici, il procedimento in -toio può essere esemplificato
da soffiatolo definito molto semplicemente dal DISC "strumento per soffiare", o da spaz-
zatolo "arnese per spazzare e ripulire il forno". Più in particolare, la regola ha dato luogo a
parole che designano macchine e macchinari del mondo industriale, dotati dunque di una
certa complessità: appianatoio, asciugatoio, laminatoio, orditoio, sgranatoio', strumenti più
semplici legati alle attività più tradizionali di tipo agricolo (piantatoio, potatoio, raspatoio,
trapiantatoio) e artigianale (pianatolo, profilatoio, ribaditolo, saldatoio), o legate
all'allevamento degli animali (accoratolo, castratolo, masticatolo, pungitoio). È ad esem-
pio molto lunga la serie dei V-toio che designano tipi diversi di coltelli e oggetti a punta,
deputati a svolgere l'operazione suggerita dal verbo di base: accoratolo, scorticatoio, sco-
tennatoio, smoccolatoio, squartatoio. Né mancano naturalmente i piccoli utensili della casa
e del lavoro domestico: attizzatoio, pettinatolo, sbraciatoio, spianatoio·, gli arnesi e gli
oggetti legati al mondo della marineria: affondatolo, inferitolo, seccatoio, strozzatoio; i
contenitori: attingitoio, lacrimatoio, poppatoio, rinfrescatolo·, gli oggetti o i supporti che
rendono possibile lo svolgimento di particolari pratiche e operazioni: appoggiatoio, ingi-
nocchiatoio, purificatolo, salitoio, scrittoio; fino alla lunga serie di derivati che hanno una
doppia uscita, strumentale e locativa, come ad esempio scolatoio, definito dal DISC "arnese
0 piano su cui si mettono a colare le cose lavate", o seccatoio, che designa sia il "raschia-
toio di gomma con cui si spazza l'acqua dai ponti delle navi", sia l'"ambiente rustico adatto
all'essiccazione di frutta o di altri prodotti".
Una caratteristica che -toio condivide con -tore e con -trice è quella di poter assumere
basi nominali. Nonostante non siano in gran numero (se non abbiamo commesso errori, il
lemmario del DISC registra solo 4 formazioni strumentali ed una sola formazione locativa),
1 derivati denominali in -toio sono interessanti perché sembrano anch'essi rimandare in
realtà a verbi virtuali, non esistenti ma possibili, come dimostra il caso di aspatoio, derivato
da aspo assieme ad aspatore ed aspatura, parole le quali, esibendo tutte suffissi tipicamente
verbali, sembrerebbero chiamare in causa un verbo °aspare non registrato dai dizionari.
Oltre ad aspatoio, ritroviamo una (apparente?) base nominale in cavigliatoio (da caviglia
"arnese per torcere la seta"), caprugginatoio (da capruggine "strumento di legno con cui si
scavano le capruggini nelle doghe interne delle botti"), matitatoio (da matita "bastoncino
cavo da un lato che si usava in passato per inserirvi la matita diventata troppo corta").
Per quanto riguarda invece l'uscita più latineggiante del suffisso, bisogna dire che le
formazioni strumentali in -torio sono ben poche (molto più frequenti le uscite locative, su
cui cfr. 5.1.3.4.1.). Oltre a depilatorio e distillatorio, si registrano poche parole designanti
sostanze, alcune delle quali, adattamenti dal latino, risultano non motivate in italiano: col-
5.1. Derivazione nominale 371
Come abbiamo già avuto modo di vedere nel capitolo sui nomi di agente (in particolare
5.1.3.2.2.), il participio presente svolge nell'italiano contemporaneo un ruolo importante
nella formazione delle parole, ed anche il settore dei nomi di strumento registra una sua
importante presenza. Anche in questo caso dobbiamo segnalare per queste formazioni una
uscita aggettivale forse precedente all'uscita nominale, del tipo macchina o dispositivo o
sostanza W-nte. Come scrive Dardano «particolarmente nel linguaggio parascientifico,
questo tipo di derivazione serve a formare neologismi: macchina nastrante, rullo inchio-
strante, liquido brillantante» (1978, 57). La prevedibilità del nome testa del sintagma po-
372 5. Suffissazione
Per una presentazione generale del procedimento rimandiamo a 5.1.3.2.3., dove se ne de-
scrive l'esito agentivo, al quale va aggiunto ora l'esito strumentale. Sul piano della produt-
tività i due esiti risultano straordinariamente coerenti (poco meno di una trentina di nomi di
agente, altrettanti i nomi di strumento registrati dal DISC), con poco meno di dieci Ν-ino
strumentali datati negli ultimi 50 anni. Anche la regola di formazione è la stessa, selezio-
nando il suffisso la radice del verbo: quindi cancell(are)ino, misurare)ino, pend(ere)ino e
così via. Fa eccezione chiusino "lastra di metallo o di pietra che chiude pozzetti", la cui
1
Da notare che il DISC segnala, senza peraltro riportarla a lemma, anche la forma anoressizzante,
che prefigura un «passaggio» attraverso un verbo, °anoressizzare, solo virtuale.
5.1. Derivazione nominale 373
base si connette col tema del participio passato chiuso del rispettivo verbo. La base di pres-
sino "macchinetta con cui si comprime la quantità di caffè da mettere nella moca", se non
deriva da pressa, sarebbe da mettere in rapporto con la base del nome d'azione corrispon-
dente (pressione), dato che il participio di premere non è più presso bensì premuto.
Ad eccezione di sbramino "macchina per sbramare i chicchi di riso", e di pendolino, co-
niazione recente (a. 1985) per designare un treno veloce "caratterizzato da un dispositivo
che permette alle carrozze di inclinarsi in curva", nomi che evidentemente rimandano a
strumenti complessi e di grandi dimensioni, ciò che caratterizza le formazioni strumentali in
-ino è, coerentemente con la vocazione diminutiva del suffisso, la dimensione modesta e
l'ambito casalingo di utilizzazione degli strumenti designati. Si tratta di macchinette e pic-
coli elettrodomestici: accendino, brustolino, macinino, pressino, tostino-, oppure di utensili
di casa e piccoli attrezzi di lavoro, o parti di essi: cancellino, colino, frullino, mostrino,
passino, pendino, raschino, raspino, ribattino, scaldino, scavino, sfumino, temperino.1
L'uscita femminile del suffisso, -ina, è molto meno produttiva. Oltre che formare nomi
che designano macchine e utensili - ma il lemmario del DISC, se non abbiamo commesso
errori, riporta solo bomberina, taglierina "macchina per tagliare materiali vari", con inter-
fisso -er-, e squarcina "antica arma da taglio usata per squarciare le corazze dei cavalieri
caduti" - il procedimento presenta la possibilità, esibita anche dall'opzione denominale, di
designare sostanze organiche e soluzioni chimiche. Si tratta, anche qui, solo di pochissime
formazioni: agglutinina, candeggina, scolorina', gelatina difficilmente si può riferire a
gelato in sincronia.
Segnaliamo alcuni procedimenti che, contro ogni aspettativa, assumono suffissi che hanno una pre-
ponderante vocazione nominale. Non si tratta di regole produttive, e normalmente hanno dato vita a
ben poche formazioni: quanto basta, però, a mettere in crisi i tentativi di separare con linee nette di
demarcazione i procedimenti denominali dai procedimenti deverbali. Tanto più che la semantica delle
due serie, denominale e deverbale, presenta affinità sistematiche che non si possono ignorare.
Possono in primo luogo assumere basi verbali per formare nomi di strumento molti dei procedi-
menti alterativi già visti in 5.1.1.2.3. Segnaliamo ad esempio chiudetta, passetta, soffietto, spruzzetta,
tiretto, traghetto', beverello, cantarella, girella, lavello, pestello, picchiarello, raschiello, rivoltella,
tornello-, legaccio, strofinaccio-, mestola, mestolo, pungolo (da pungere, con velarizzazione), guardo-
lo, tagliole; frullone, mestone, mordiglione "arnese formato da un'asta di acciaio con due uncini,
usato per piegare le barre che verranno inserite nel cemento armato", pestone, pungiglione (con inter-
fisso -igli-), rampone, spuntone. E anche per i deverbali dovremmo ripetere quanto già detto per i
denominali, sulla funzione di differenziazione semantica svolta dai vari suffissi quando selezionano la
stessa base: così ad esempio il macinello è un "arnese con cui si macinano i colori", mentre il macini-
no è un "piccolo arnese che macina caffè, pepe e simili"; il raschiello è un "utensile formato da una
lama di acciaio piegata ad angolo retto, usato per asportare le parti degli ulivi colpite da marciume", il
raschietto designa vari piccoli attrezzi con i quali si raschiano tipi diversi di superfici, per cancellare,
pulire, rifinire; il succhiello è un "utensile per forare manualmente il legno", il succhietto (o suc-
chiotto) è la "tettarella di gomma non bucata che si mette in bocca ai bambini".
Ugualmente possono assumere basi verbali i suffissi -aiolo/-arolo e -aiola/-arola, che hanno dato
vita a bagnarola, pestarola "utensile per pestare la carne", potatolo "roncola che si usa per potare",
spannarola che nel significato di "arnese usato nella lavorazione del latte per eliminare la panna dalla
superficie" è sinonimo di spannatola (formazione, questa, con suffisso tipico degli strumenti dever-
bali). Segnaliamo infine per amore di completezza una formazione in -iera, gualchiera "macchina un
tempo utilizzata per gualcare i tessuti di lana", e in -iere, tagliere "asse di legno particolarmente duro,
usato in cucina per tagliare, affettare e simili". Ricordiamo ancora alcune poche formazioni in -nda
che, a partire da verbi, formano nomi di strumento: borlanda "sostanza che rimane dalla distillazione
dei mosti alcolici fermentati" (è una voce milanese da borlare "cadere giù"), chiudenda "serranda o
chiusino di metallo", serranda, volando "ruota del mulino ad acqua". Si tratta probabilmente di una
evoluzione, peraltro mai diventata produttiva, della forma neutra plurale del gerundivo latino, con uno
spostamento semantico per cui questi derivati sarebbero passati dal designare l'insieme delle "cose da
V" al designare lo "strumento con cui si V" o il "luogo in cui si V" (su questo esito cfr. 5.1.3.4.3.).
Sono pochi e poco significativi i deverbali in -aggio che designano strumenti, avendo il procedimento
in questione un preponderante significato astratto ("operazione di") o collettivo ("l'insieme di");
ricordiamo comunque ingranaggio e trenaggio "nelle miniere, impianto di trasporto di materiale,
simile alla funicolare", entrambi adattamenti dal francese, guidaggio "nei pozzi minerari, il comples-
so degli strumenti che mantengono stabili le gabbie", dove è molto evidente il tratto '+collettivo', e
incappellaggio, termine che nel linguaggio della marineria designa "l'anello metallico o il nodo di
corda che collega le estremità degli alberi e del pennone con i cavi di sostegno o di manovra" (cfr.
5.1.3.1.2.2.). Infine, meritano almeno un brevissimo cenno i deverbali in -o, del tipo bubbolo "sona-
glio per animali" (da bubbolare), dondolo, pungolo, regolo, strangolo, trapano, zufolo; e i deverbali
in -a, del tipo girandola, prolunga, schiaccia, sveglia (su entrambi cfr. 7.2.3.).
Come già fatto per i derivati deverbali in -toio e -torio con esito strumentale, riuniamo nello
stesso paragrafo i derivati in -toio e -torio con esito locativo, rimandando a 5.1.3.3.3. per
una presentazione generale del procedimento e dei connessi problemi formali (ad esempio,
l'individuazione della base selezionata dal suffisso). Già in quella sede si notava la doppia
possibilità, strumentale e locativa, del procedimento, che spesso dà luogo a parole che desi-
gnano sia lo strumento con cui si effettuano alcune specifiche operazioni suggerite dal
verbo di base, sia il locale in cui tali o altre operazioni comunque evocate dal verbo di base
vengono effettuate: ad esempio brillatoio designa sia la "apparecchiatura per brillare il
riso", sia lo "stabilimento in cui l'operazione avviene"; accoppiatoio designa sia il "guinza-
glio per tenere legati in coppia i cani da caccia", sia il "luogo o gabbia in cui si mettono gli
uccelli per farli accoppiare". Aggiungiamo alle formazioni già citate aventi questa doppia
possibilità semantica chiaritoio, follatoio, pelatolo. In qualche caso, poi, è difficile decidere
se un derivato appartenga alla categoria degli strumenti o piuttosto a quella dei luoghi: è il
caso di passatoio "serie di sassi, assi di legno o sim., posta attraverso un piccolo corso
d'acqua o un fossato per consentire la traversata", e di posatoio, definito "ramo, bastone,
cannuccia o altro appoggio su cui si posano gli uccelli liberi o in gabbia".
Più in particolare, i luoghi designati attraverso questo procedimento sono gli ambienti e
le costruzioni dedicate a particolari operazioni relative alla cura e all'allevamento degli
animali: abbeveratoio, accoppiatoio, guazzatoio, mattatoio, mungitoio, pelatoio\ gli stabi-
limenti o i locali in cui certe particolari operazioni dell'industria vengono effettuate: asciu-
gatoio, essiccatoio, brillatoio, chiaritoio, filatoio, salatolo, solforatolo; luoghi o locali in
cui si svolgono attività lavorative di tipo tradizionale: lavatoio, maceratoio, seccatoio,
5.1. Derivazione nominale 375
Per formare nomi di luogo il suffisso -eria, oltre che selezionare nomi (su questa possibilità
cfr. 5.1.1.3.3.), può selezionare verbi, dando luogo a formazioni che designano per lo più
stabilimenti e officine in cui si effettuano le specifiche attività cui rimandano i rispettivi
verbi di base: quindi conceria, distilleria, fonderia, raffineria, segheria, stamperia, stireria.
La lista di V-eria con semantica locativa non è molto lunga, e forse il procedimento non
meriterebbe grande attenzione se molte formazioni non esibissero una data di prima attesta-
zione piuttosto recente: ad esempio pileria (a. 1958) "stabilimento per la pilatura del riso",
376 5. Suffissazione
taglieria (a. 1960), trafileria (a. 1961), tranceria (a. 1983), cui possiamo aggiungere, ma
con una semantica diversa, depositeria (L, a. 1979) "luogo in cui vengono custodite le
masserizie di persone senza casa" e discenderia (a. 1934) "nelle miniere, galleria che mette
in comunicazione due o più livelli".
Avendo fatto la scelta di considerare recipienti e contenitori "strumenti" piuttosto che "luoghi", e sia
pure strumenti di tipo particolare, non dedicheremo alcuno spazio all'esito strumentale-locativo di
-tore, già trattato (cfr. 5.1.3.3.2.). Segnaliamo solo, come unico Ν-tore dal significato sicuramente ed
esclusivamente locativo, il pisciatore - assente dal DISC - della varietà romana di italiano, che serve
a Dressler 1986 per ipotizzare una specie di scala di slittamento semantico dei derivati deverbali in
-tore, dall'agente, allo strumento, al luogo. Può avere un esito locativo il suffisso -aggio (cfr.
5.1.3.1.2.2.), che forma per lo più nomi di azione e collettivi. In qualche caso però accanto al prepon-
derante significato astratto si è attestato anche un significato più concreto, di luogo nel quale certe
operazioni vengono compiute. Ad esempio passaggio ha sia il significato di "transito attraverso un
luogo", sia un senso più concreto di "luogo attraverso il quale si passa". Designano luoghi fisici anche
eremitaggio e romitaggio, con base nominale, rimessaggio (dal tema del participio passato di rimette-
re, o da rimessa?), stallaggio (da stallare) "ricovero dove si facevano riposare i cavalli affaticati da
un viaggio".
Ricordiamo alcune formazioni in -nda con significato locativo: filanda, locanda, pelando, sinoni-
mo di pelatoio "locale del mattatoio in cui si spellano gli animali macellati", uccellanda, sinonimo di
uccellaia "postazione per la cattura degli uccelli con trappole e reti". Come già è stato detto a propo-
sito di analoghe formazioni strumentali (cfr. 5.1.3.3.6.), si tratta probabilmente di uno degli esiti
italiani di formazioni gerundive latine al neutro plurale, come attesta la vocale finale -a. Documenta
bene l'evoluzione semantica di queste formazioni la parola agenda, di origine latina, che dal signifi-
cato originario collettivo di "cose da fare" è poi passata a designare l'oggetto concreto, il luogo fisico
nel quale le "cose da fare" sono annotate. Ammontano a poche unità le formazioni deverbali locative
in -iglio: coviglio, giaciglio, nascondiglio, ripostiglio, quest'ultimo con base rappresentata dal tema
del participio passato del verbo.
Facciamo rientrare in questa categoria quei procedimenti che, a partire da verbi, formano
nomi aventi, come i nomi di agente, il tratto '+umano\ e che esprimono l'argomento che
nella forma passiva del verbo corrispondente diventerebbe il soggetto (nostro adattamento
della definizione di nome di agente data da Giorgi 1988, 277): dunque la persona che «su-
bisce» l'azione del verbo, e che nella forma attiva del verbo corrispondente sarebbe il com-
plemento oggetto. Faremo rientrare in questa categoria due sottogruppi:
A fronte della parafrasi "persona che V", che abbiamo supposto comune a tutti i nomi di
agente, le formazioni in (1) potrebbero essere parafrasate con "persona che viene/è stata
PP", le formazioni in (2) con "persona che sta per essere PP". Entrambi i sottogruppi hanno
dunque una semantica passiva, e ciò giustifica la terminologia adottata (nomi di paziente):
5.1. Derivazione nominale 377
ciò comporta che solo i verbi transitivi che ammettono un complemento oggetto avente il
tratto '+umano' possono avere dei corrispondenti nomi di paziente. È interessante notare
come, a differenza che per i nomi di agente, l'italiano non possiede, per formare nomi di
paziente, dei suffissi specifici, ma adatta forme proprie del paradigma verbale, vale a dire il
participio passato ed il gerundio. Forse per questo alcune delle informazioni veicolate dai
due suffissi sono di tipo verbale, relative cioè alla diatesi (passiva per entrambi i gruppi), al
tempo (rispettivamente '+passato\ '+futuro') e all'aspetto (rispettivamente '+compiuto',
'-compiuto').
Per quanto riguarda le parole in (1), chiariscono bene il tipo di informazione veicolato
dal suffisso le coppie di formazioni aventi la stessa base verbale, nelle quali il suffisso -to
veicola una informazione passiva, dando luogo a nomi di paziente, e i suffissi -tore e -nte
una informazione attiva, dando luogo a nomi di agente o di strumento:
(3) assalito / assalitore adottato / adottante
assassinato / assassinatore assistito / assistente
assediato / assediatore governato / governante
dializzato / dializzatore interrogato / interrogante
diffamato / diffamatore sfidato / sfidante
Per quanto riguarda invece le nominalizzazioni da gerundio, diciamo subito che il procedi-
mento riguarda nell'italiano contemporaneo quasi esclusivamente verbi della prima coniu-
gazione, visto che i pochissimi derivati nominali in -endo sono prestiti dal latino (corrigen-
do, interdicendo, nubendo, reverendo), la cui base è più o meno irriconoscibile, e la cui
semantica non è sempre facilmente prevedibile (corrigendo ad esempio significa "minoren-
ne affidato, dopo aver commesso gravi reati, a una casa di correzione per essere corretto e
rieducato"). Come l'esempio appena fatto dimostra, tali formazioni hanno una parafrasi del
tipo "persona che sta per essere PP", con un tratto temporale di '-i-futuro imminente' e dia-
tesi passiva ereditati dal gerundivo latino: così è ad esempio in adottando, battezzando,
dottorando, cresimando, esaminando, iniziando, laureando, licenziando, maturando, mo-
nacando, rimpatriando, specializzando. Potremmo chiederci da dove mai vengano queste
caratteristiche, visto che il gerundio semplice italiano non possiede né il tratto passivo, né il
valore futurale. Noi pensiamo che questo procedimento sia una diretta eredità del gerundivo
latino che possedeva entrambi i tratti, come del resto attestato da alcune formazioni di deri-
vazione latina: probando, definito dal DISC "aspirante alla vita religiosa", è un adattamento
dal latino probandus, in cui sono presenti sia il tratto grammaticale passivo, sia il tratto
modale del 'dovere', dunque "persona che deve essere messa alla prova", da cui "persona
che sta per essere messa alla prova", con slittamento dell'originaria modalità deontica,
propria del gerundivo latino, al futuro delle formazioni italiane. Lo stesso dicasi di tonsu-
rando, che il DISC dà come diretto adattamento del latino tardo tonsurandus, definito "chi,
entrando nello stato clericale, stava per essere sottoposto alla tonsura", quindi "persona che
sta / deve essere sottoposta alla cerimonia della tonsura".1
È interessante notare che il tratto 'passivo' e la modalità deontica sono chiaramente presenti anche
in altri sottogruppi di parole, qui non presi in esame: ad esempio le numerose formazioni di ambito
musicale accelerando, allargando, calando, calmando, glissando, incalzando, ritardando possono
essere parafrasate con "che deve essere PP"; lo stesso dicasi di alcune formazioni di ambito mate-
matico (dividendo, moltiplicando, permutando) e finanziario (migliorando, scalando).
378 5. Suffissazione
La perifrasi passiva, che abbiamo supposto comune a tutte queste formazioni, sembre-
rebbe messa in crisi da alcuni verbi che, oltre alla forma attiva transitiva, presentano anche
la forma riflessiva: 1 battezzando, cresimando, laureando, specializzando potrebbero essere
parafrasati con "persona che sta per Vsi", rendendo inutile il ricorso alla forma passiva.
Tuttavia i verbi coinvolti rappresentano eventi più o meno ufficiali, con apparati rituali o
cerimoniali aventi valore di superamento di una prova o di passaggio di stato. Tale passag-
gio viene sancito da una autorità esterna, sicché il congedando o il laureando non sono
tanto coloro che stanno per congedarsi o per laurearsi, quanto coloro che stanno per essere
congedati o laureati dalle autorità preposte a queste specifiche funzioni.
Anche in questo caso la natura passiva delle formazioni in -ndo viene chiaramente allo
scoperto nel confronto con le formazioni agentive che selezionano la stessa base verbale:
(4) affiliando / affiliante
battezzando / battezzante
consacrando / consacrante / consacratore
Infine, nelle coppie listate in (5), tra le due opzioni che formano nomi di paziente si eviden-
zia chiaramente l'opposizione temporale:
1
Usiamo la stessa terminologia del DISC, che chiama riflessivi tutti i verbi che si coniugano con
l'ausilio della particella pronominale, senza distìnguere tra i sottogruppi.
2
Si noti come di tutti i deverbali in -ndo di cui abbiamo trovato attestazione, divorziando è l'unico
ad avere come verbo di base un verbo intransitivo, il che rende impossibile la perifrasi passiva
"colui che sta per *essere divorziato". Tuttavia anche per divorziando possiamo pensare ad una
autorità esterna che opera sul "paziente" in oggetto per fargli ottenere il riconoscimento di cam-
biamento di stato che desidera.
5.1. Derivazione nominale 379
Abbiamo dovuto a più riprese tornare sul suffisso -ario per presentare le sue molte possibi-
lità di derivazione denominale, che continuano in italiano le numerose opzioni già presenti
nel latino -arius. Tuttavia questo procedimento ha ereditato dal latino anche la particolarità
di selezionare, oltre che basi nominali, anche basi verbali, per formare una particolare clas-
se di nominalizzazioni di persona che chiameremo «nomi di beneficiario» per i motivi che
presto esporremo. Si tratta di formazioni quali assegnatario, destinatario, donatario, inte-
statario, locatario di cui troviamo decine di esempi in qualsiasi dizionario dell'italiano.
Colpisce l'assenza di questo procedimento nelle liste predisposte dalla letteratura mor-
fologica sull'italiano, sia di impianto storico (Rohlfs 1969, Tekavöic 19802) che di impianto
sincronico (Dardano 1978, Scalise 1990, 1994): la particolare struttura formale e la caratte-
ristica uscita semantica di -ario quale suffisso verbale sono state in genere ignorate o tutt'al
più assimilate all'uscita denominale, come fa Serianni (1989, 639) che elenca questa possi-
bilità di -ario tra le uscite denominali, anche se ne descrive correttamente il peculiare esito
semantico (usato «nel linguaggio giuridico o burocratico per designare chi è titolare di un
certo diritto, chi <riceve> in opposizione a chi <dà> qualcosa»), e ne dà esempi chiaramente
deverbali (locatario, donatario, destinatario).
A noi invece sembra che non possano sussistere dubbi sul fatto che la base selezionata
sia un verbo. L'ipotesi di una base verbale consente di interpretare tutte queste formazioni
come frutto di un procedimento unitario. Non solo: per spiegare la particolare struttura
formale di queste formazioni si deve ipotizzare che la base sia non già il tema del presente
del verbo, ma il tema del participio passato: quindi affidare —> affidato —> affidat-ario,
consegnare —> consegnato —> consegnat-ario, mandare —• mandato —• mandat-ario e così
via.
Una domanda, già posta per -tore e che qui ci rifaremo esattamente negli stessi termini, è
se il suffisso -ario possa applicarsi a tutti i verbi dell'italiano, o se esso compia una qualche
forma di selezione. La risposta a questa domanda non è molto difficile, perché come -tore e
per certi versi in maniera ancora più categorica e regolare, -ario seleziona alcune particolari
classi verbali: prima di tutto, solo verbi regolari della prima coniugazione. È questo il moti-
vo per cui ha senso discutere se la forma del suffisso sia effettivamente -ario, con base
rappresentata dal tema del participio passato, sempre comunque regolare, o non sia piutto-
sto -tario, con base rappresentata dal tema del presente (radice + vocale tematica a): quindi
affidare —» affida-tario, consegnare —• consegna-tario, mandare —• manda-tario ecc. Que-
sta seconda ipotesi avrebbe il vantaggio di essere in linea con la soluzione adottata per -tore
(cfr. 5.1.3.2.1.), e l'avremmo senz'altro fatta nostra se non avessimo voluto tener conto in
questa analisi anche di alcune formazioni denominali in -ario (di cui parleremo tra poco)
dalla semantica incredibilmente coerente con le formazioni deverbali di cui ci stiamo occu-
pando. Solo la forma -ario consente dunque una lettura comune dei due insiemi di dati -
denominali e deverbali con tema del participio passato — ma è una soluzione sulla quale è
più che lecito continuare a discutere.
I verbi selezionati da -ario hanno un'altra caratteristica strutturale molto particolare, che
ha delle conseguenze importanti sulla semantica delle formazioni cui danno luogo: sono in
genere verbi trivalenti, o come anche si dice a tre argomenti, perché l'evento cui essi ri-
mandano può realizzarsi solo in presenza di tre «partecipanti», l'agente, il paziente, il bene-
ficiario. Verbi come accreditare, affidare, aggiudicare, assegnare, intestare, raccomanda-
380 5. Suffissazione
re, riservare realizzano il loro programma semantico in strutture frasali del tipo: X (sog-
getto) accredita, affida, intesta, riserva ... qualcosa a qualcuno. Ne consegue che i verbi
interessati dal procedimento in questione sono verbi transitivi con soggetto agentivo e con
beneficiario, e che i derivati in -ario realizzano quello che sarebbe il complemento indiretto
nella struttura frasale corrispondente: un affidatario è "colui al quale viene affidato qualco-
sa o qualcuno", come un riservatario è "colui al quale la legge riserva una quota di eredi-
tà", o un aggiudicatario è "la persona, impresa ecc. cui viene aggiudicato qualcosa".
Molti, forse tutti i derivati deverbali in -ario appartengono all'area giuridica o, meno
frequentemente, bancaria, come molti degli esempi fatti dovrebbero aver ampiamente di-
mostrato. Non meraviglia che settori disciplinari che hanno tentato, e tentano, di regolare in
modo preciso particolari tipi di interazioni umane, abbiano avuto, ed abbiano ancora oggi
bisogno di designare senza possibili margini di ambiguità i diversi soggetti che vi sono
coinvolti. La morfologia ha offerto ed offre i mezzi di più semplice e immediata reperibilità
per soddisfare questo bisogno di designazione e insieme di precisione, riuscendo a distin-
guere nettamente e facilmente un delegante "debitore che assegna al creditore un nuovo
debitore che si impegna al suo posto" da un delegatario "creditore al quale il debitore asse-
gna un nuovo debitore che si impegna al suo posto"; un legante "chi redige una disposizio-
ne testamentaria a favore di una persona, associazione, ente ecc. diverso dall'erede" da un
legatario "persona, associazione o ente in favore del quale viene decisa una particolare
disposizione testamentaria"; un mutuante "chi concede un mutuo" da un mutuatario "per-
sona o ente cui è stato concesso un mutuo"; un assegnatore "chi ha la funzione di assegnare
qualcosa" da un assegnatario "persona a cui viene assegnato qualcosa". I due suffissi
agentivi -tore e -nte (ma il secondo molto più frequentemente del primo) si incaricano di
designare chi agisce, il suffisso -ario si incarica di designare la persona o la cosa nei cui
confronti si agisce, quindi il beneficiario, il destinatario dell'evento messo in atto dal verbo
di base. Rispondono a questa logica coppie di parole come accollante / accollatario, acco-
mandante / accomandatario, mandante / mandatario, scontante / scontatario, rogante (o
rogatore) / rogatario, raccomandatore / raccomandatario e così via. Né è raro il caso in
cui la morfologia offre i mezzi per designare anche il tipo particolare di atto messo in essere
dal verbo: ad esempio si chiama legato la "disposizione testamentaria" che interessa un
legante e un legatario, e si chiama accollo il "contratto attraverso cui un terzo (accollante)
assume l'obbligo del debitore (accollato) nei confronti di colui al quale il debito deve esse-
re saldato (accollatario)".
Abbiamo detto che questo procedimento deriva dal latino, cui si deve l'uso diciamo così
giuridico del suffisso: coppie di derivati come donatore / donatario o locatore / locatario
erano già in uso nel latino medioevale (donator / donatarius, locator / locatarius), ed ave-
vano già sviluppato quel tipo particolare di specializzazione semantica che abbiamo visto
all'opera in italiano. Su questi prototipi si deve poi essere modellata e sviluppata la lunga
serie italiana, la cui produttività non accenna a diminuire se tra i derivati in -ario datati dal
DISC a partire dal 1950 ritroviamo 11 nuove formazioni deverbali, da domiciliatario (a.
1951) a licenziatario (a. 1957) ad affidatario (a. 1964). E talmente viva la forza propulsiva
del procedimento da essere stata recentemente utilizzata anche in altro ambito disciplinare,
quando si sia reso necessario designare con la dovuta precisione i partecipanti, agente e
destinatario, di un evento particolare, in questo caso comunicativo: a partire da allocutore
"chi emette un messaggio", la linguistica ha coniato per sostituzione di suffisso allocutario
5.1. Derivazione nominale 381
(a. 1991) "colui al quale è diretto un messaggio", che nell'italiano di oggi è senza base
riconoscibile.
Una delle formazioni più recenti registrate dal DISC è permissionario (a. 1986), un de-
nominale che ci dà l'occasione di parlare brevemente di alcune formazioni, pochissime in
verità, che si differenziano nettamente dai denominali agentivi in -ario trattati in 5.1.1.1.5.,
cui non potrebbero in alcun modo essere assimilate. Si tratta di formazioni quali concessio-
nario e permissionario "persona alla quale viene data una concessione, una permissione",
legittimario "erede cui è legalmente riservata una parte del patrimonio, o legittima, indi-
pendentemente dalle disposizioni testamentarie", trattario "persona alla quale si fa obbligo
di pagare a una certa data l'importo di una cambiale, o tratta". Le perifrasi definitorie somi-
gliano stranamente a quelle dei deverbali in -ario sia per la loro semantica che per l'ambito
d'uso, legato al mondo del diritto. Si potrebbe pensare che queste formazioni derivino in
realtà da locuzioni verbali del tipo dare una concessione, dare una permissione, dare una
legittima, ordinare il pagamento di una tratta, e che venga usato come base l'elemento
nominale perché i verbi coinvolti, sempre comunque trivalenti, si comportano in questi casi
da verbi supporto, essendo semanticamente troppo generici per essere utilizzabili allo scopo
di designare con la dovuta precisione questi particolari soggetti umani. È proprio per dar
conto di queste formazioni, che esibiscono indiscutibilmente il suffisso -ario, che abbiamo
alla fine optato per un tipo di segmentazione dei derivati deverbali che consente di ritrovare
la stessa forma.
Se potessimo chiudere qui la nostra descrizione, avremmo un quadro estremamente coe-
rente dei derivati deverbali in -ario, condizione, questa, tutt'altro che frequente in morfolo-
gia. Ed infatti anche qui dobbiamo segnalare l'anomalia rappresentata da formazioni quali
abdicatario "chi abdica o ha abdicato", firmatario e segnatario "persona che firma docu-
menti e atti", rilevatario "chi rileva da altri un contratto, un impegno", con una semantica
di nomi di agente che contraddice al procedimento più usuale. Addirittura sono dati come
sinonimi ritardatario e ritardatore, "chi è in ritardo", come pure pignorante e pignoratario,
"creditore che presenta al giudice istanza di pignoramento". E tuttavia l'esiguità di questi
casi - 6 formazioni in tutto, su cui forse ha qualche responsabilità l'influenza del francese
{ritardatario e segnatario sono dati dal DISC come adattamenti dal francese) - è tale da
non mettere in crisi, almeno così crediamo, la sistemazione più generale che si è tentato di
dare.
382 5. Suffissazione
posizione e suffisso relazionale hanno una funzione analoga in quanto traspongono un no-
me in un'altra categoria sintattica. Un processo corrispondente si svolge nella composizione
nominale del tipo N+N, dove un nome funge da modificatore dell'altro. Così, ad esempio,
al sintagma fibra muscolare corrisponde nell'inglese il composto muscle fiber. Il muta-
mento della categoria sintattica di muscle, che diventa modificatore nominale, non è indi-
cato da nessun mezzo morfologico ma soltanto dalla sua posizione immediatamente prece-
dente al secondo nome. Con ciò il fatto che non si tratti di un'aggiunta di tratti semantici
specifici, ma soltanto di un cambiamento strutturale molto generale si manifesta in modo
particolarmente evidente. Sotto l'aspetto sintattico muscle diventa un elemento dipendente
dal secondo nome e sotto l'aspetto semantico diventa un modificatore che determina il
secondo nome in un senso non specificato, allo stesso modo che il nome nel sintagma pre-
posizionale dei muscoli o la base derivazionale nominale dell'aggettivo di relazione mu-
scolare.
Disponiamo dunque di tre procedimenti diversi per raggiungere lo stesso scopo; in linea
di massima sono commutabili fra di loro sebbene mostrino nelle varie lingue frequenze e
preferenze differenti. In una lingua come l'italiano nella quale il procedimento più sempli-
ce, cioè la composizione nominale, è sottoposto a notevoli restrizioni (cfr. 2.1.1), predomi-
na di conseguenza l'aggettivo di relazione o il sintagma preposizionale. L'inglese adopera
ora questo, ora quello: sforzo muscolare / muscular effort, form muscolare / muscular
power, membrana muscolare / muscular coat vs lavoro muscolare / muscle work, fascio
muscolare / muscle bundle, dolori muscolari / muscle ache e in forma di sintagma preposi-
zionale strappo muscolare - rupture of a muscle o gioco dei muscoli - play of muscles.
L'uso più diffuso della composizione nominale si nota nel tedesco: Muskelanstrengung,
Muskelarbeit, Muskelriß e in tutti gli altri casi citati. Esiste anche in tedesco, come in italia-
no, l'aggettivo di relazione muskulär, ma non è comune nell'uso quotidiano.
Da questo status sintattico-semantico dell'aggettivo di relazione deriva una serie di tratti
caratteristici che lo distinguono da un aggettivo qualificativo come muscoloso (cfr. Wan-
druszka 1976, 73-78; Grossmann 1999). Dato che un aggettivo di relazione come muscola-
re designa soltanto un rapporto generico tra muscolo e il rispettivo nome di riferimento,
senza attribuire a questo una determinata qualità, e non indica una qualità tipica dei muscoli
che potrebbe essere ascritta al referente del nome di riferimento, l'aggettivo non può essere
usato come predicato in una frase copulativa. Perciò una frase come *Lo strappo è musco-
lare, nella quale muscolare è trattato come una qualità di strappo, non è grammaticale. Non
possiamo neppure negare la qualità muscolare al referente del nome testa in una frase ne-
gativa del tipo *Lo strappo non è muscolare. Proprio questo succede, se un aggettivo si
combina con il prefisso negativo in-: una persona immodesta è una persona che non è
modesta (in realtà alla persona è attribuita la qualità immodesta). Per questo gli aggettivi di
relazione non sono in grado di prendere un tale prefisso: *immuscolare è inaccettabile come
per esempio Hnspaziale, *intelevisivo o *impresidenziale. Se l'esistenza di un rapporto tra
il referente del nome determinato e quello del nome di base dell'aggettivo di relazione deve
essere negata, si fa uso del quasi-prefisso non, come per esempio nel sintagma tennis non
professionale oppure organizzazioni non statali. Con la formazione non statali non si nega
né si attribuisce una qualità alle organizzazioni in questione, si nega soltanto che le orga-
nizzazioni abbiano qualcosa a che vedere, in qualsiasi senso, con lo stato. Di conseguenza,
questi aggettivi non possono normalmente assumere la funzione di predicato in contesti
384 5. Suffissazione
non-contrasti vi: *le organizzazioni sono non statali. Lo stesso vale per sintagmi come
communicazione non verbale, attività non commerciali o stati non europei.
Gli aggettivi di relazione non sono graduabili, perché non designano qualità ascrivibili a
un'entità in misura maggiore o minore. Quindi, sintagmi come *fibre molto / troppo mu-
scolari sono inaccettabili, come lo sono le costruzioni predicative corrispondenti: *Le fibre
sono molto/troppo muscolari.
Il fatto che gli aggettivi di relazione non designino una proprietà impedisce, inoltre, che
da essi possano derivare avverbi modali in -mente (cfr. 5.4.1.1.)· La funzione degli avverbi
modali consiste appunto nella qualificazione di un processo o di uno stato espressi da un
verbo, come ad esempio in marciare lentamente a cui corrisponde il sintagma nominale una
marcia lenta, che dal canto suo è derivabile da una costruzione predicativa una marcia che
è lenta. Derivazioni come *spazialmente o *presidenzialmente sono, per questo motivo,
inaccettabili. Poiché gli aggettivi di relazione indicano in modo generico una relazione con
il referente della loro base derivazionale, formazioni in -mente sono ammissibili solo se
significano, con funzione di avverbio frasale, "riguardo a Ν" o "in considerazione di N"
come in finanziariamente "dal punto di vista finanziario" oppure economicamente "dal
punto di vista dell'economia" in costrutti del tipo economicamente parlando o politica-
mente in una mossa politicamente sbagliata. Troviamo, in questo senso, anche derivazioni
come statalmente e perfino muscolarmente "per quanto riguarda i muscoli".
La funzione non qualificativa degli aggettivi di relazione comporta inoltre l'impossibilità
di formare con essi dei nomi di qualità (cfr. 5.1.2.1.1.1.). A differenza di una derivazione
come muscoloso —* muscolosità una formazione deaggettivale *muscolarità da muscolare è
esclusa. Nomi come muscolosità indicano un fatto che è caratterizzato dall'aggettivo sog-
giacente e sono, per questo, comparabili con una costruzione predicativa: muscolosità ~ il
fatto di essere muscoloso rispettivamente la muscolosità diX ~ X è muscoloso. Tali deriva-
zioni sono ammissibili solo se l'aggettivo di relazione soggiacente è usato in senso qualifi-
cativo come ad esempio popolarità col significato "il fatto di essere popolare" o umanità
nel senso di "il fatto di essere umano", oltre a ciò col significato collettivo concreto
"l'insieme di tutti gli uomini" in contesti come la distruzione dell'umanità.
Gli aggettivi di relazione non possono nemmeno costituire basi di derivazione per forma-
re verbi secondo il modello di vivace —» vivacizzare (cfr. 5.3.2.2.1.4.). Il significato di un
tale verbo causativo è esplicitabile mediante la parafrasi "rendere qualcosa vivace", che da
parte sua è riconducibile a una struttura predicativa fare sì che qualcosa sia vivace. È esclu-
sa, invece, la formazione di un verbo corrispondente *muscolarizzare, dato che una parafra-
si "rendere qualcosa muscolare" non avrebbe senso. Anche in questo caso, la derivazione di
un verbo è ammessa solo se l'aggettivo di relazione che funge da base derivazionale è da
interpretare in senso qualificativo, come per esempio in legalizzare nel senso di "rendere
qualcosa legale o conforme alla legge", statalizzare "rendere statale" o formalizzare "ren-
dere formale" in formalizzare una teoria.
A eccezione del prefisso negativo in-, gli aggettivi di relazione sono senz'altro combina-
bili con prefissi, come per esempio in intramuscolare (cfr. 3.8.1.). Dal momento che gli
aggettivi di relazione non designano però proprietà autonome che potrebbero essere modifi-
cate, ma rappresentano semplicemente nomi trasposti, il prefisso non modifica l'aggettivo
come tale, ma si riferisce al rispettivo nome di base. Nella struttura semantica svolge quindi
la funzione di una preposizione costituente con il nome un sintagma preposizionale. Il si-
gnificato di intramuscolare equivale dunque a "intra" cioè "attraverso i muscoli" e
5.2. Derivazione aggettivale 385
timentale ecc. Anche qui, la combinazione con il suffisso nominale -ione, cioè -ionale, è il
modello più frequente.
In alcuni casi -ale si trova in rapporto paradigmatico con altri suffissi relazionali. La dif-
ferenza semantica si nota dal significato del nome base come per esempio in marziale "re-
lativo a Marte, dio della guerra" di fronte a marziano "che riguarda il pianeta Marte", eie-
mentale "che concerne gli elementi" e elementare, che tuttavia può avere lo stesso signifi-
cato, similmente agli esempi seguenti: inaugurale e inaugurativo, embrionale e embriona-
rio, tegumentale e tegumentario o originale e originario.
Anche il suffisso -are, variante foneticamente condizionata di -ale, possiede una note-
vole frequenza. Appare quando la base contiene una consonante laterale, cioè una [1],
nell'ultima sillaba della radice, come in polare, familiare, solare, oppure nella coda della
penultima sillaba come in bulbare, palmare, ulnare. In alcuni casi, anche una [1] che si
trova verso l'inizio del nome base può causare questa variante suffissale: lineare, lunare,
lagunare, militare, polmonare (ma elementale). La variante -are compare spesso in combi-
nazione col suffisso -mento come in elementare, alimentare, fallimentare. Nel caso di bile /
biliare si nota una variante suffissale -iure. Troviamo anche in questo ambito i vari tipi di
differenze formali nella base di derivazione dell'aggettivo: scuola / scolare, calcagno /
calcaneare oppure, con maggiore differenza di forma: orecchio / auricolare, occhio / ocu-
lare, bagno / balneare.
Come dimostra l'elevato numero di neologismi, anche la variante -are gode, soprattutto
nei linguaggi settoriali, di una grande produttività. Citiamo qualche esempio a titolo illu-
strativo: macchia nubecolare, sistema assembleare, infiammazione capezzolare, politica
clientelare, telefono localizzatore satellitare (esiste inoltre la forma satellitarió), liquido
vacuolare, imposta cedolare, rapporto modulare. Concludendo facciamo notare che molti
derivati possono fungere anche da nome con un significato più o meno lessicalizzato come
per esempio circolare, parlamentare, militare, satellitare, solare, alimentari.
Un altro suffisso relazionale importante è -ario, che rappresenta la variante dotta della
forma popolare -aio. Palesa una certa predilezione per la combinazione con il suffisso no-
minale -ità, come ad esempio in universitario, pubblicitario, sanitario, immunitario·, oltre a
ciò col suffisso nominale -mento, come in documentario, testamentario, pigmentario, te-
gumentario (accanto a tegumentale). Per alimentario e parlamentario esistono i doppioni
già menzionati alimentare e parlamentare, con significati parzialmente identici o perlome-
no affini. I suffissi -anzaJ-enza esigono, similmente a -aleZ-iale, una variante suffissale
-iario: finanziario, penitenziario. In altri contesti, tale variante è rara: fondo / fondiario.
Rara è anche la variante -uario: censuario ecc. (cfr. Sgroi 2002). Il carattere dotto di questo
suffisso è responsabile del fatto che la base derivazionale dell'aggettivo non sia sempre
identica, formalmente, al rispettivo nome italiano. C'è suppletivismo in casi come denaro /
pecuniario o campo / agrario. Benché -ario sia un po' meno produttivo di -ale e -are, ven-
gono formati ogni tanto neologismi con questo suffisso: produzione birraria, rivendicazioni
nazionalitarie, regione orbitaria, agevolazioni tariffarie. Di data recentissima è satellitarió
(a. 1991) "relativo a un satellite". I nomi lessicalizzati designano preferenzialmente una
persona che ha qualcosa a che fare, professionalmente, col referente del nome base, come
per esempio in bancario, pubblicitario, sanitario, universitario, veterinario.
Il suffisso -iano è estremamente produttivo per quel che riguarda la derivazione aggetti-
vale da nomi propri (deantroponomici del tipo skinneriano, cfr. 5.2.1.7.2.1.), ma fuori di
questo ambito, oggi, la produzione di neologismi è piuttosto rara: colcosiano da kolchoz,
5.2. Derivazione aggettivale 389
1
Cfr. anche nostrano, con base aggettivale.
390 5. Suffissazione
Nel campo della chimica il suffisso assume una funzione semantica molto speciale (cfr.
10.2.2.)· In chimica inorganica è usato per indicare i composti di un elemento a valenza
maggiore, per esempio ferrico, rispetto a quelli a valenza minore {ferroso).
Il suffisso -Utico non è meno produttivo, combinandosi, come nel suddetto calcistico,
con numerose basi nominali (cfr. Migliorini 19633d). La preferenza di questo suffisso per
basi dotte, greche o latine, è meno accentuata di quella del suffisso '-ico, come dimostrano
derivati del tipo boxistico, tennistico, squadristico, campeggistico, barzellettistico, golfisti-
co, survivalistico, tradunionistico, che contengono anche basi derivazionali inglesi. Molto
spesso, a questi aggettivi corrisponde un sostantivo in -ismo1 e ogni tanto, in più, un nome
di persona in -ista, che di solito è stato formato prima dell'aggettivo (cfr. 5.2.2.2.6.2.). Così,
ad esempio, nel caso di tradunionista (a. 1905) / tradunionismo (a. 1942) / tradunionistico
(a. 1961) oppure in squadrista (a. 1922) / squadrismo (a. 1924) / squadristico (a. 1970) e
survivalista (a. 1980) / survivalismo (a. 1981) / survivalistico (a. 1989). In casi come golfi-
stico non esiste che il nome di persona in -ista (golfista) e per aggettivi come boxistico,
calcistico, barzellettistico non ci sono né derivati in -ista né formazioni in -ismo. Spesso il
nome di persona è utilizzabile anche con funzione aggettivale: vacanza survivalista. Il
suffisso -istico ha una preferenza per le combinazioni col suffisso aggettivale (denominale)
-ale in formazioni come nazionalistico, accanto alle quali possono trovarsi derivati di data
più vecchia in -ista, usati con funzione aggettivale come nazionalista, allo stesso modo che
nazistico e nazista, capitalistico e capitalista, materialistisco e materialista-, analogamente,
in base alla variante -are in parlamentaristico accanto a parlamentarista e parlamentari-
smo. Per di più, -istico si collega frequentemente con il suffisso nominale (deverbale) -ione
come in impressionistico, anche questo fiancheggiato dai nomi impressionista e impressio-
nismo, oppure in revisionistico, scissionistico, proibizionistico, evoluzionistico.
Semanticamente, gli aggettivi di relazione in -istico preferiscono gli ambiti seguenti:
tendenze artistiche (cfr. classicistico, jazzistico, futuristico ecc.), dottrine politiche e filoso-
fiche (cfr. idealistico, marxistico, umanistico, femministico ecc.), l'economia (cfr. monopo-
listico, inflazionistico, scioperistico ecc.), lo sport (cfr. judoistico, hockeistico, pugilistico
ecc.) e la vita quotidiana (cfr. hobbistico, gangsteristico, fieristico ecc.). In casi come lin-
guistico, l'aggettivo può essere derivato, per mezzo di conversione, dalla designazione della
rispettiva disciplina scientifica, qui (la) linguistica, ad esempio in ricerca linguistica oppu-
re romanistica —> romanistica in studi romanistici o mediev(al)istica —> mediev(al)istico.
La variante -ostico compare, in modo non prevedibile sull'asse sincronico, in parecchie
formazioni come scolastico, prosastico, orgiastico, ecclesiastico o chiesastico, che sono
derivate da nomi in -(i)a. Anche qui incontriamo i paradigmi suffissali triplici del tipo or-
giastico / orgiasmo / orgiasta.
Il suffisso -ile è paragonabile, sotto certi aspetti, al suffisso -ale, anche se è meno pro-
duttivo. Si combina molto spesso con designazioni di persone: giovanile, femminile, infan-
tile, minorile, mercantile, vescovile, signorile, vedovile. Nel caso di bracciantile esiste
perfino una variante meno usata bracciantale, come in pretorile / preteríale. Anche in
questo contesto notiamo varianti dotte del nome base come in notaio / notarile, consorzio /
consortile o fanciullo / puerile. Formazioni più recenti sono il già menzionato bracciantile
(a. 1950) o sopranüe (a. 1950).
Il suffisso -esco produce - come vedremo sotto - in primo luogo aggettivi denominali
usati in senso qualificativo e tendenzialmente peggiorativo. Frequentemente essi si trovano
in opposizione a derivazioni formate con un suffisso relazionale tipico, come per esempio
nel caso di artigianesco vs artigianale (cfr. produzione artigianale) oppure baronesco vs
baronale (cfr. titolo baronale) o dottoresco vs dottorale (cfr. toga dottorale). In pochi casi,
il contenuto della derivazione è, in linea di massima, assolutamente neutro, come per esem-
pio quello di studentesco nei sintagmi movimento / gergo studentesco, di temporalesco in
cielo temporalesco, di marinaresco in tradizione marinaresca o di aggettivi derivati da
designazioni di secoli del tipo duecentesco, quattrocentesco, cinquecentesco (cfr. palazzo
cinquecentesco). Questo vale anche per i derivati da nomi propri come dantesco in biblio-
grafia / critica dantesca o in studi danteschi. Normalmente, però, questi aggettivi possono
essere usati anche in senso figurato: un'immaginazione dantesca e simili. Entrambe le pos-
sibilità d'impiego s'incontrano anche con poliziesco in indagini poliziesche vs metodi poli-
zieschi, fiabesco in mondo fiabesco vs vista fiabesca, farsesco in teatro farsesco vs situa-
zione farsesca e romanzesco in produzione romanzesca vs vita romanzesca. Tuttavia la
maggior parte degli aggettivi in -esco viene usata, almeno tendenzialmente, se non esclusi-
vamente, in senso figurato, come ad esempio animalesco, avvocatesco, bambinesco, milita-
resco ecc. (cfr. 5.2.1.1.3.). Oggi, neologismi come gauchesco "dei gauchos" (a. 1970; cfr.
sp. gauchesco) sono piuttosto rari, ma possono sempre incontrarsi in diversi ambiti, so-
prattuto in senso figurato, come per esempio mecenatesco (a. 1965; cfr. comportamento
mecenatescó), cartolinesco (a. 1987; cfr. quadro/film cartolinesco) oppure padrinesco (a.
1991).
Oltre che in aggettivi etnici del tipo bergamasco (cfr. 5.2.1.6.), troviamo il suffisso -asco
anche nell'aggettivo rivierasco "della riviera" (cfr. clima rivierasco o regioni rivierasche).
Il suffisso relazionale -iero, come in industria profumiera, è abbastanza produttivo. Ac-
canto agli aggettivi c'è spesso un nome corrispondente in -iere che indica o una persona che
ha qualcosa a che fare, professionalmente, col referente del nome base o un contenitore per
l'oggetto in questione (cfr. 5.1.1.4.). Per esempio, profumiere ovvero profumiera col signi-
ficato "chi fabbrica o vende profumi" - una variante più moderna è profumista (a. 1958) - e
"vaso per profumi". Questo modello morfo-semantico è caratteristico di -iero e i suoi vicini
suffissali: metaniero (cfr. operaio metaniero) / metaniere / metanista, laniero (cfr. indu-
striale laniero) / laniere, bananiero (cfr. repubblica bananiera) / bananiera "nave", bale-
niero / baleniera, petroliero / petroliera / petroliere, cotoniero / cotoniere ecc. Altri esem-
pi: orologiero, alberghiero, ospedaliero, costiero in navigazione costiera, carovaniero ecc.
Un esempio semanticamente peculiare è salottiero in contesti come nobilita salottiera o
discorso salottiero.
La produttività del suffisso -izio è invece piuttosto ristretta. Si osserva una certa prefe-
renza per la combinazione con nomi in -ale (cfr. regali natalizi, casa generalizia; in vitali-
zio, invece, -al- ha status di interfisso) e per la combinazione con nomi in -ato (cfr. carriera
impiegatizia, funzione legatizia, dignità prelatizia). I nomi base provengono di preferenza
dall'ambito dell'amministrazione e della politica statale ed ecclesiastica: cardinalizio, pre-
fettizio, intendentizio, delegatizio, magnatizio - una formazione più recente è correntizio
"che concerne le correnti di partito" - o anche dall'ambito della medicina: congestizio,
trasudatizio, escrementizio, dall'ambito dei corsi d'acqua: sorgentizio, torrentizio, deltizio\
inoltre possono provenire anche da altri settori referenziali: creditizio, cognatizio, cementi-
zio.
5.2. Derivazione aggettivale 393
Lo stesso vale per il suffisso -aceo, che non viene usato che di rado per la formazione di
aggettivi di relazione, come per esempio in vegetazione arbustacea (anche: arbustiva),
sapore agliaceo, minuzzoli cartacei, periodo cretaceo. La funzione centrale di questo suf-
fisso consiste piuttosto nella formazione di aggettivi qualificativi col significato "che ha
l'aspetto di", come ad esempio in coriaceo "duro come il cuoio" (cfr. 5.2.1.1.3.).
Alcuni aggettivi di relazione, anzitutto dall'ambito della medicina, sono derivati per
mezzo del suffisso '-eo, che corrisponde al lat. -ëum, come etereo in narcosi eterea, larin-
geo in cavità laringea o tendineo m fibra tendinea. Anche la derivazione mediante il suffis-
so tuttora produttivo -eo, che corrisponde storicamente al suffisso gr. -aios, viene applicata
prevalentemente nel campo della medicina (cfr. esofageo, da esofago, con palatalizzazione,
ecc.). Questo suffisso mostra una preferenza per la combinazione col suffisso nominale
-oide, come per esempio in deltoideo "del muscolo deltoide" o steroideo (a. 1987) "relativo
allo steroide", e per la combinazione con il semplice '-ide: carotideo "della carotide", clito-
rideo "della clitoride". Un altro campo di applicazione è la derivazione di aggettivi di rela-
zione da nomi propri del tipo edipeo (cfr. 5.2.1.7.3.) ossia raguseo (eft. 5.2.1.6.).
Un altro suffisso il cui campo di applicazione centrale è la formazione di aggettivi quali-
ficativi, è -oso, come in muscoloso "pieno di muscoli" (cfr. 5.2.1.2.). In parecchi casi, inve-
ce, produce anche aggettivi di relazione; così per esempio in sintagmi come cellule / fibre
nervose o centro nervoso con il significato "relativo ai nervi", vicenda / poesia amorosa,
raggio / fenomeno luminoso, canceroso in cellule cancerose, processi cancerosi. Altri ag-
gettivi, come arterioso (cfr. sangue arterioso, pressione arteriosa) o venoso (cfr. valvola
venosa) non si usano che con funzione relazionale.
Concludendo facciamo un breve accenno ad alcuni suffissi di relazione marginali che, a quanto pare,
oggi non sono produttivi, a prescindere da poche eccezioni. Ne fa parte, per esempio, -iaco, corrente
nell'ambito della medicina: cardiaco, con base greca, in ritmo cardiaco, o anche emofiliaco, elefan-
tiaco-, oltre a ciò, anche in altri settori: genere idilliaco, verso elegiaco, industria ardesiaca; anche in
combinazione con nomi propri (cfr. 5.2.1.6.): austriaco, niliaco (accanto a nilotico). Il suffisso -aneo,
oggi quasi improduttivo, non fornisce che una manciata di aggettivi di relazione: pelle / cutaneo,
litorale / litoraneo, limitáneo (cfr. soldato limitáneo "del confine"), terraneo.1 Foraneo ha una base
avverbiale. Il contributo del suffisso -igno per la formazione di aggettivi di relazione è ancora meno
importante. Uno dei pochi derivati attinenti è cancerigno (a. 1955) in sintagmi come cellule canceri-
gne (accanto a cellule cancerose). Nel caso dell'aggettivo sanguigno, in contesti come circolazione /
pressione sanguigna, si tratta in realtà della variante popolare della voce dotta sanguineo. Anche
-areccioZ-ereccio, che in genere non è molto produttivo, è un suffisso di scarsa importanza per la
formazione di aggettivi di relazione. Sarebbe da menzionare boscareccio / boschereccio in contesti
come fiore boschereccio, funghi boscherecci, casereccio in prodotto casereccio o peschereccio in
flotta peschereccia, porto peschereccio, inoltre stallereccio "di stalla". Con -atile finiscono le deriva-
zioni acquatile e fluviatile "che si riferisce a un fiume" (accanto a fluviale). Il suffisso -escente è da
analizzare soprattutto come deverbale (cfr. 5.2.2.2.5.), ma alcune formazioni sono passibili anche di
un'analisi denominale: arbor-escente (da albero),fiuor-escente,fosfor-escente. Il suffisso aggettivale
-ingo non compare che in casalingo: scena casalinga, piatto casalingo. Esiste però una variante
-engo che produce derivati come invernengo "invernale", lugliengo "lugliatico" (cfr. uva luglienga) e
maggengo "di maggio". Il suffisso dotto -ense, che in trasmissione popolare diventò -ese, si trova
ancora in derivati come circense, forense, ortense, castrense, curtense, pratense, ripense. Anche il
suffisso -erno è di tradizione dotta e si aggiunge di conseguenza a basi dotte negli aggettivi del grup-
Mediterraneo in flora mediterranea ecc., invece, è da considerarsi piuttosto come caso di conver-
sione: "del mare Mediterraneo".
394 5. Suffissazione
po paterno / materno / fraterno, accanto alla serie meno comune paternal / maternale / fraternale col
suffisso relazionale supplementare -ale. Un suffisso -urno ricorre in notturno e diurno. Il suffisso
-este si trova in agreste e celeste (cfr. corpi celesti, volta celeste). Il suffisso -estre compare in derivati
che si riferiscono soprattutto a formazioni geografiche: paesaggio, fauna silvestre (con base dotta),
campestre, terrestre e rupestre. Accanto a terrestre esiste anche, con un senso leggermente diverso,
l'aggettivo di relazione terreno (cfr. esistenza terrena), derivato mediante un suffisso -eno. Il suffisso
-ustre ricorre solo in lacustre e palustre (con troncamento di -ude). Il suffisso -(u)olo produce pochi
aggettivi di relazione come montagnolo e campagnolo (cfr. costumi campagnoli o topo campagnolo)
e marzuolo. Questo suffisso appare anche fuso con il suffisso -aio nella forma -aiolo: fungo prataiolo.
Con funzione relazionale, il suffiso -ifìco non compare che nell'aggettivo scientifico (cfr. però
5.2.1.4.): ricerca scientifica o liceo scientifico. In marittimo si può individuare un suffisso -ittimo:
stazione marittima. Un suffisso -agno in grifagno "del grifo", un suffisso -ide in negride, -ardo in
dinamitardo (cfr. attentato dinamitardo).
cialmente nel senso di "enfasi, pomposità" per esempio in teatralità dei gesti ossia popola-
rità in godere di larga popolarità e umanità in essere pieno di umanità, che equivale a
"essere molto umano". Possono derivare perfino dei verbi causativi, che per definizione
implicano l'uso predicativo della loro base aggettivale: teatralizzare col significato "rende-
re teatrale qualcosa" in teatralizzare un incontro-, allo stesso modo ad esempio popolarizza-
re "rendere qualcosa popolare" oppure americanizzare, drammatizzare ed altri. Tuttavia il
carattere qualificativo, non relazionale dell'aggettivo base non è sempre così evidente. Il
verbo provincializzare, per esempio in provincializzare una scuola, non significa propria-
mente "rendere provinciale una scuola" ma piuttosto "trasferire una scuola
all'amministrazione provinciale" (cfr. Grossmann 1999).
La possibilità di usare un aggettivo di relazione in senso qualificativo, non relazionale è,
in linea di massima, indipendente dal suffisso come tale. Cioè, con tutti i suffissi relazionali
importanti si possono formare aggettivi qualificativi ossia aggettivi usabili anche con fun-
zione qualificativa. Dunque, oltre a aggettivi in -ale, -are, -ano, anche formazioni in '-ico
come in bellezza atomica nel senso di "stupefacente, esplosiva" oppure in modi aristocrati-
ci nel senso dell'aggettivo di relazione signorile usato ugualmente in modo figurato. Corri-
spondentemente -istico in atteggiamento idealistico e -ostico in preparazione scolastica di
una studentessa o -ino, dove abbiamo una serie di aggettivi derivati da nomi di animali che
si usano anche con funzione qualificativa come in intelligenza bovina, faccia cavallina,
coraggio leonino, forza taurina. Inoltre -iero in un sintagma come chiacchiera salottiera
oppure -izio in mentalità impiegatizia, poi -iaco in burocrazia elefantiaca e -estre in silve-
stre nel senso di "aspro, selvaggio".
La disponibilità di un aggettivo di relazione per l'uso figurato dipende in primo piano dal
significato del rispettivo nome base. Anzitutto i nomi base ricchi di connotazioni semanti-
che, specialmente sul piano affettivo, sono adatti a una tale funzione. Questo vale, ad esem-
pio, per nomi di persone e di animali come in materno, paterno, fraterno, infantile, umano
ma anche in maschile, femminile e per designazioni di funzioni come in regale, baronale,
diplomatico o professorale e, come già detto, in derivati del tipo bovino, leonino, leporino,
serpentino ecc. La funzione qualificativa di tali aggettivi risulta da un trasferimento refe-
renziale del sintagma, come per esempio in gesti materni, che può essere parafrasato con
"gesti comparabili ai gesti di una madre". In certi casi si tratta piuttosto di un paragone
diretto fra il referente della base derivazionale nominale e quello del nome testa, come in
insegnante paterno, che può essere esplicitato attraverso "(un) insegnante che è come un
padre". Non di rado, tuttavia, si sono sviluppate certe costanti semantiche, cioè, dei signifi-
cati lessicalizzati il cui rapporto col significato dell'aggettivo con funzione relazionale non
può più essere esplicitato mediante un semplice paragone. Così per esempio cordiale nel
senso di "affabile, caloroso" o familiare nel senso di "intimamente conosciuto" o popolare
nel senso di "famoso" o parziale nel senso di "fazioso" o intellettuale in un sintagma come
amici intellettuali. Se una derivazione ormai si usa soltanto in senso qualificativo, come per
esempio cordiale, si deve introdurre un doppione - in questo caso cardiaco - che assuma la
funzione relazionale.
Alcuni suffissi aggettivali denominali hanno di per sé, indipendentemente dal significato
del loro nome base, una funzione qualificativa, anche se, a certe condizioni, possono essere
usati in modo puramente relazionale. Un rappresentante tipico di questi suffissi è -esco, che
si combina anzitutto con nomi di persone e che, tendenzialmente, presenta una connotazio-
ne spregiativa: artigianesco nel senso di "rudimentale" oppure avvocatesco, bambinesco,
396 5. Suffissazione
bersaglieresco, femminesco, scolaresco (cfr. Malkiel 1972, Björkman 1984). Visto il suo
valore tendenzialmente peggiorativo, questo suffisso si aggiunge di preferenza a nomi che
possiedono già, come tali, un significato del genere, come in furfantesco, bricconesco,
ciarlatanesco, ladresco, vampiresco. Un altro campo di applicazione è costituito dai nomi
di animali: comportamento anguillesco oppure animalesco nel senso di "bestiale, brutale",
poi in puntiglio asinesco o una frase maialesca e violenza tigresca, agilità gattesca ecc.
Troviamo anche doppioni in -ino (v. sotto): leonesco / leonino, lupesco / lupino, serpente-
sco / serpentino, asinesco / asinino, pecoresco / pecorino. Oltre a ciò il suffisso si aggiunge
a nomi provenienti da diversi altri ambiti, come per esempio nel neologismo vocabolarie-
sco (a. 1983) in contesti come usare un linguaggio vocabolarìesco ossia in sessantottesco
(a. 1977): spirito sessantottesco (esiste, anche qui, un doppione sessantottino).
Un altro suffisso che costituisce un rapporto di somiglianza tra il referente del nome testa
e quello del nome base, è -oide, di origine greca, il cui significato è equivalente a "affine" o
"dalla forma simile". I derivati, che si trovano quasi esclusivamente nel linguaggio scienti-
fico, sono normalmente utilizzabili tanto con funzione aggettivale quanto con funzione
nominale. Così per esempio cristalloide o discoide (anche in combinazione col suffisso
-ale\ discoidale) oppure ovoide in frutto ovoide (in forma allungata, ovoidale). In questi due
ultimi casi si potrebbe anche ammettere un suffisso complesso -oidale. Dall'ambito
dell'antropologia provengono gli aggettivi derivati da nomi propri del tipo europoide e il
neologismo cromagnoide (a. 1987; accanto a cromagnoniano). Anche gli aggettivi comuni-
stoide e socialistoide, che fanno parte del lessico politico, sono da menzionare in questo
contesto.
Molti aggettivi formati col suffisso -oso, che innanzi tutto sono possessivi (cfr. 5.2.1.2.),
possono esprimere anche l'idea di somiglianza, come in caramella gommosa, liquido ac-
quoso col significato "che si presenta come una gomma", rispettivamente "simile
all'acqua". In questo senso anche bituminoso in terreno bituminoso, gessoso, cotonoso,
cremoso, dunoso, filoso, polveroso, roccioso (per esempio in avere un fisico roccioso),
inoltre schiumoso, vetroso ed altri. Alcuni derivati, però, non vengono usati in senso pos-
sessivo. Così per esempio caseoso "simile al cacio" e cipolloso, fienoso, fulminoso, gelati-
noso, liquoroso, saponoso, spugnoso', vale a dire che la relazione di somiglianza è uno dei
significati primitivi di -oso.
Il significato centrale di -aceo, che produce anche aggettivi di relazione (cfr. 5.2.1.1.2.),
equivale a "che ha l'aspetto di". Così per esempio coriaceo in carattere coriaceo - accanto
esiste un doppione di tradizione popolare cuoiaceo (a. 1925). Altri esempi sono lardaceo
(cfr. tessuto lardaceo), legnaceo, madreperlaceo. Questo suffisso è tuttora produttivo, co-
me dimostra, fra l'altro, il neologismo porcellanaceo (a. 1991). In vari casi coesistono
derivati più o meno sinonimici in -oso, come per esempio farinaceo / farinoso, legnaceo /
legnoso, cotonaceo / cotonoso, setaceo / setoso oppure in sostanza saponacea / saponosa.
Un altro gruppo di aggettivi denominali in questo quadro semantico viene formato per
mezzo del suffisso -ato\ periato significa "che ricorda le perle", per esempio in colori per-
iati, inoltre lionato nel senso di "fulvo" oppure mielato (anche melato) in discorso mielate
o argentato accanto a argenteo e pagliato "di colore giallo come quello della paglia". Una
creazione più recente è salmonato (a. 1967) in trota salmonata.
Una relazione di somiglianza viene costituita anche mediante il suffisso -igno, per esem-
pio vetrigno "simile al vetro", ferrigno accanto & ferreo, lupigno, in sguardo lupigno, non-
ché lupesco e lupino, dunque tre varianti derivazionali più o meno sinonimiche. In più tro-
5.2. Derivazione aggettivale 397
Si aggiungono a questo gruppo gli aggettivi denominali in '-eo, per esempio ferreo in sintagmi come
regola / disciplina ferrea o anche bronzeo in carattere bronzeo o argenteo in un argenteo spicchio di
luna oppure sfingeo in volto sfingeo. Anche il suffisso possessivo -uto (cfr. 5.2.1.2.) esprime in certi
casi una relazione di somiglianza, come in lanuto "di aspetto simile alla lana" in barba lanuta o for-
cuto in coda forcuta, riccioluto in foglie ricciolute e steccuto "a forma di stecco". Si potrebbero infine
menzionare alcuni casi isolati: demoniaco, con -iaco, civettuolo, con -uoìo, e tre aggettivi di colore:
uno in -astro, olivastro, uno in -one, arancione, e uno in -ognolo, cenerognolo.
Come abbiamo detto all'inizio, gli aggettivi denominali si riferiscono a entità che hanno
qualcosa a che fare con il referente del loro nome base. Abbiamo potuto vedere che nel caso
degli aggettivi di relazione questo rapporto semantico non è specificato, ma è, per così dire,
neutralizzato. A differenza di un derivato come muscolare, per un aggettivo possessivo
come muscoloso il rispettivo rapporto è lessicalmente specificato e fissato nel senso di
"dotato di muscoli". In altre parole, il suffisso -oso ha la funzione di formare con la desi-
gnazione di un'entità X un aggettivo con il significato "pieno / dotato / munito di X". Que-
sta è la funzione fondamentale di questo suffisso, che oltre a ciò, in contesti come cellule
nervose o sangue arterioso, viene usato per la formazione di aggettivi di relazione e, in
sintagmi come mani gelatinose o pietra spugnosa, per la formazione di aggettivi di somi-
glianza.
Quindi, i sintagmi nominali esprimono una relazione di «dotazione», cioè, l'entità carat-
terizzata mediante un tale aggettivo è dotata di quanto designa la base di derivazione. La
parafrasi "pieno di X", tuttavia, indica che non si tratta semplicemente del fatto che
un'entità sia dotata di Χ o che contenga X, ma piuttosto del fatto che questa entità è dotata
di X in misura, almeno tendenzialmente, superiore alla media. In ogni caso, questa dotazio-
ne è in qualche modo vistosa o per lo meno caratteristica del referente del nome testa. Così
per esempio una zona boscosa è una "zona coperta, ricca di boschi", un mese piovoso è un
"mese caratterizzato da abbondanti e frequenti piogge" e un appartamento rumoroso è un
"appartamento pieno di rumore". Spesso, questi aggettivi indicano parti del corpo oltremo-
do vistose; anzitutto le formazioni in -uto, come barbuto col significato "che ha una folta
barba". Questo vale specialmente per gli aggettivi la cui base derivazionale designa una
parte che appartiene normalmente, per natura, alla rispettiva entità. Così, un uomo nasuto
non rappresenta semplicemente il caso normale di un uomo che ha un naso, ma di un "uo-
mo che ha un naso particolarmente vistoso". Tuttavia, quest'eccezionalità non è un eie-
398 5. Suffissazione
mento obbligatorio del significato di tali derivazioni, come mostra l'esempio dell'aggettivo
cornuto, che significa semplicemente "che ha le corna"; in un caso come beccuto, tutt'e due
i significati sono possibili: "provvisto di becco o di un becco particolarmente lungo" (cfr.
Wandruszka 1976,72).
Il suffisso centrale di questa categoria derivazionale è -oso. I nomi a cui si aggiunge de-
signano non solo sostanze materiali, numerabili o non numerabili, come negli esempi già
menzionati oppure in derivati come cannoso, sassoso, serposo, burroso, fangoso, caccoso,
ghiaioso, ma anche delle sostanze immateriali, spesso delle qualità o condizioni psichiche,
con valore positivo o negativo. L'ultimo però, predomina nettamente: pauroso "che ha / fa
paura", angoscioso, capriccioso, pericoloso, chiassoso, costoso, tormentoso, velenoso ossia
ardimentoso, coraggioso, spiritoso, talentoso, armonioso, fascinoso, gustoso. Appartengo-
no all'area negativa anche aggettivi la cui base nominale indica una malattia, come ad
esempio gottoso nel senso di "malato di gotta", che viene usato anche con funzione relazio-
nale col significato "di gotta" e, corrispondentemente, anginoso con i significati "di angina,
a essa relativo" e "affetto da angina pectoris", poi aftoso in animale aftoso, inoltre cancero-
so, coleroso, edematoso, tubercoloso o in modo generico difettoso. Questo suffisso si ag-
giunge normalmente a nomi di tradizione popolare, ma ogni tanto s'incontrano doppioni del
tipo pescoso e piscoso, periglioso e pericoloso o pioggioso e piovoso. Fra le altre irregola-
rità formali, menzionamo: difficoltà —• difficoltoso, sonno —• sonnacchioso, varice —• vari-
coso, volontà —* volenteroso. Anche se la maggioranza delle formazioni è di vecchia data,
il suffisso è ancora produttivo, come dimostrano gli esempi seguenti: dunoso (a. 1956),
viticcioso (a. 1961) oppure caramelloso (a. 1962), fibromatoso (a. 1968), omertoso "che si
basa sull'omertà" (a. 1983), per esempio in complicità omertosa, e pedicelloso (a. 1987).
Un altro suffisso importante, sebbene non molto produttivo, in questo ambito funzionale
è -uto, il cui campo d'applicazione preferito sono i nomi che indicano parti del corpo. Co-
me s'è detto, può trattarsi di una parte del corpo sviluppata in misura superiore al normale
come in capelluto "che ha tanti capelli", cervelluto, cicciuto, cigliuto, dentuto, gambuto
"che ha gambe particolarmente lunghe", naticuto, orecchiuto, panciuto, schienuto, unghiu-
to. Tuttavia, anche nel caso di un semplice possesso, l'aggettivo evoca l'idea di una pro-
prietà caratteristica del rispettivo referente. Questo vale, oltre alle formazioni già menzio-
nate cornuto e beccuto, anche per derivati come baffuto "che ha i baffi" o lanuto, pennuto,
occhialuto. Gli aggettivi formati attraverso il suffisso -uto designano in prima linea pro-
prietà di persone, di animali o di piante, come in fogliuto, fronduto / fronzuto, in altre paro-
le, quasi esclusivamente proprietà di esseri viventi. Ciò non significa che non possano rife-
rirsi a sostanze inorganiche come in ferro puntuto. Un campo d'applicazione particolare è
costituito da aggettivi che si riferiscono a entità abbondantemente provviste di bernoccoli,
bitorzoli e simili: bernoccoluto, bitorzoluto, bozzoluto, gibbuto, gobbuto, nocchiuto, tuber-
coluto. Per una notevole parte dei derivati in -uto esistono doppioni più o meno sinonimici
in -oso: fogliuto / foglioso, fronduto / frondoso, carnuto / carnoso, barbuto / barboso, os-
suto / ossoso, fioccuto / fioccoso, gibbuto / gibboso ed altri. Vanno menzionate ancora al-
cune varianti formali di -uto con interfisso, come -(e)ruto e -(o)ruto in nocchieruto (ac-
canto a nocchiuto), pettoruto (da petto) e ramoruto (da ramo, accanto a ramuto e ramoso),
o -acciuto in corpacciuto.
Un suffisso possessivo meno specializzato in parti del corpo, ma produttivo fino ad oggi,
è -ato come in copertinato (a. 1965) col significato "di libro fornito di copertina"; di data
più recente sono mansardato (a. 1975) in contesti come attico mansardato o vallonato (a.
5.2. Derivazione aggettivale 399
1990) in tappa vallonata. Formazioni meno recenti sono fincstrato "munito di finestre" o
pergolato in giardino pergolato, inoltre cinturato, diamantato, ermellinato, mosaicato,
peduncolato, rotato (da ruota), titolato, unghiato (accanto a unghiuto), vetrato, timorato.
Come altri aggettivi del genere, questi derivati si usano anche in senso figurato. Nel sin-
tagma la pelle vellutata dei bambini, l'aggettivo significa "liscio, morbido come un vellu-
to". L'aggettivo pergolato non significa solo "fornito di pergola", ma anche "costruito
come una pergola", finestrate significa "munito di finestre" e in più "di stoffa con disegni a
grandi riquadri". La formazione vinato "di una tinta di rosso simile al colore del vino" non
viene usata che in questo senso figurato. Una formazione curiosa è forsennato, derivato dal
sintagma fuori senno.
Al margine di questo settore semantico sono situate certe formazioni col suffisso '-ico,
che abbiamo già conosciuto con funzione relazionale. Soprattuto nell'ambito della chimica,
tali aggettivi caratterizzano, tra l'altro, delle entità che contengono ciò che indica la rispet-
tiva base derivazionale. Così, per esempio, alcolico col significato "che contiene alcol" in
bevanda alcolica oppure asfaltico "che contiene asfalto", inoltre carbonico o cortisonico in
farmaco cortisonico, anche caseinico, feldspatico, iodico, proteico in alimento proteico,
vitaminico in verdura vitaminica o aromatico. La base derivazionale, normalmente di ori-
gine greca, di un altro gruppo di formazioni designa una malattia e l'aggettivo derivato
significa "che ha una malattia / soffre di una malattia", come abulico "affetto da abulia" in
persona abulica, similmente apatico "che denota apatia", poi arteriosclerotico, bronchiti-
co, diabetico in paziente diabetico, anche encefalitico, psicotico, schizofrenico, nevrotico in
soggetto nevrotico o paranoico in paziente paranoico. Famelico, con interfisso -el-, denota
uno stato fisiologico transitorio. Aggettivi come entusiastico o euforico, invece, indicano
stati d'animo positivi.
In questo contesto possiamo ricordare ancora alcune derivazioni col suffisso -ario, come
milionario, miliardario in sintagmi del tipo uno zio milionario / miliardario oppure conces-
sionario "che ha ricevuto una concessione" in impresa concessionaria (cfir. anche 5.1.3.6.).
È possessivo anche il tipo centenario "che ha cento anni", che presenta una variante
-enario. Oltre a ciò va menzionato il suffisso '-eo in casi del tipo calcareo "contenente
calcare", poi siliceo "contenente silice" in roccia silicea e, con base di derivazione dotta,
sulfiirico "contenente zolfo", spumeo, terreo e terráqueo (con interfisso -aqu-), marmoreo
(con interfisso -or-), ferrugineo (con interfisso -ugin-) ed altri. Se, attraverso una sostitu-
zione di suffisso, l'aggettivo splendido viene messo in relazione con il nome splendore e
fervido con fervore, potremmo ammettere un suffisso denominale '-ido (cfir. anche
5.1.2.1.2.1.6.). Accanto a ciò esistono i rispettivi verbi splendere e fervere, che dispongono,
tuttavia, con le forme participiali splendente e fervente, di derivati aggettivali specifici. Da
aggettivi come polverulento o sanguinolento, come in mani sanguinolente, si può ricavare
un suffisso denominale -ulento/-olento. Ci appartengono anche gli aggettivi corpulento,
feculento "pieno di feccia", inoltre flatulento, lutulento, succulento, sonnolento "pieno di
sonno", fraudolento, vinolento. Certi derivati formati col suffisso -ino si avvicinano se-
manticamente agli aggettivi in -ifero\ troviamo perfino doppioni come corallifero e coralli-
no. Possessivi e denominali sono anche alcuni aggettivi in -bondo come furibondo o siti-
bondo "che ha molta sete, assetato". Per concludere, menzioniamo ancora alcuni casi isola-
ti: piovorno (lett.) "piovoso" (da piova "pioggia"), salmastro, riferibile - però solo in sin-
cronia - a sale, solatio "esposto al sole", testardo, sterpigno "pieno di sterpi" e verace.
400 5. Suffissazione
Con un altro piccolo gruppo di suffissi si formano aggettivi che indicano il suscitamento
dello stato (in senso lato) designato dal nome base, come per esempio con -bondo in nau-
seabondo "che provoca nausea". Si può ammettere un suffisso -endo con lo stesso signifi-
cato, se derivati come stupendo "che desta stupore per la sua bellezza" vengono messi in
relazione con il nome stupore attraverso una sostituzione di suffisso; lo stesso vale, analo-
gamente, per orrendo "che fa orrore" in un assassinio orrendo, inoltre pudendo da pudore e
tremendo "che provoca tremore" in un giudice tremendo. In questo contesto occorre men-
zionare anche il suffisso '-ico in derivati come simpatico e antipatico "che ispira simpatia /
5.2. Derivazione aggettivale 401
antipatia". Il suffisso dotto -ifìco è specializzato in questa funzione semantica. Così per
esempio in calorifico "che produce, che dà calore"; accanto esiste il neologismo calorigeno
(a. 1955). Inoltre dolorifico, onorifico in titolo onorifico, poi sudorifico come sudorifero e
fruttifico accanto & fruttifero e fruttuoso. L'aggettivo pacifico è lessicalizzato nel senso di
"caratterizzato da spirito di pace", per esempio in protesta pacifica. Siccome gli aggettivi
possessivi sono semanticamente vicini agli aggettivi di effetto non è sorprendente che an-
che in questo campo si trovino derivati in -oso, che non di rado possono assumere tutt'e due
i significati: affannoso nel senso di "che procura affanno" in corsa affannosa oppure ango-
scioso "che provoca angoscia", appetitoso "che stuzzica l'appetito" in cibo appetitoso,
inoltre brividoso, disgustoso, faticoso, penoso "che suscita pena", pietoso (da pietà), rincre-
scioso, sbadiglioso. I nomi fungenti da base derivazionale designano tendenzialmente delle
entità con caratteristiche negative. Come casi isolati, menzioniamo ancora confusionario,
con il suffisso -ario, orrido e orribile, ambedue riferibili a orrore.
Concludendo aggiungeremo ancora alcuni suffissi più o meno marginali, spesso con signi-
ficati alquanto specifici oppure esclusivi, che non rientrano facilmente in uno dei gruppi
funzionali presi in considerazione finora. Procedendo in ordine alfabetico, cominciamo con
il suffisso -abile/-ibìle ossia -evole con funzione denominale, il quale, essendo in fondo un
suffisso deverbale (cfr. 5.2.2.2.2.), è riferibile in certi casi anche a una base di derivazione
nominale. Così per esempio confortabile oppure confortevole col significato "che rasserena,
che dà conforto e consolazione", che è da ricondurre, storicamente, a una derivazione dal
verbo confortare. Similmente si presenta il caso di favorevole nel senso di "che approva,
che è a favore" come in essere favorevole a qualcuno, la cui base di derivazione è il verbo
favorire. Nettamente denominale è ragionevole "dotato di ragione" per esempio in l'uomo è
un animale ragionevole, anche l'aggettivo di registro letterario salutevole da salute oppure
amorevole "che esprime o denota amore", caritatevole e compassionevole "che suscita
compassione" o pregiudizionale in comportamento pregiudizionale. Mentre questi esempi
appartengono piuttosto alla categoria degli aggettivi possessivi oppure a quella degli agget-
tivi di effetto, il derivato tascabile "che può essere tenuto in tasca" corrisponde piuttosto
agli aggettivi di disposizione deverbali del tipo rimediabile "che si può rimediare". Tasca-
bile può essere messo in relazione con il nome tasca, dal momento che un verbo *tascare
non esiste (c'è soltanto intascare). Indubbiamente denominali sono bancabile "che può
essere scontato da una banca", camionabile "camionale", carrozzabile "predisposto per il
passaggio di carrozze" o radarabile (a. 1974) "che può essere rilevato da un radar".
L'aggettivo papabile col significato "che ha molte probabilità di essere eletto papa" costi-
tuisce un tipo particolare, scarsamente produttivo (cfr. tuttavia azzurrabile "che potrebbe
essere selezionato per la squadra nazionale"). Ancora un'altra sfumatura semantica si trova
nel derivato maestrevole da maestro, che significa "fatto con maestria"; similmente ami-
chevole "da amico" o signorevole "da signore". Molto sorprendente, dal punto di vista della
formazione delle parole, è l'aggettivo futuribile.
Il suffisso nominale -ese che produce nomi di gerghi (cfr. 5.1.1.6.3.) in alcuni casi si usa
anche con funzione aggettivale, come per esempio in termine sindacalese o linguaggio
sinistrese. In questi casi tuttavia si potrebbe anche trattare di conversioni con il significato
402 5. Suffissazione
"del sindacalese, del sinistrese". Gli unici aggettivi in -orso sono destrorso "che procede da
sinistra verso destra" e sinistrorso "procedente da destra verso sinistra". In sonoro si po-
trebbe ammettere l'esistenza di un suffisso -oro in combinazione con il nome suono.
5.2.1.6. Etnici FR
1
Per la storia degli etnici, l'italiano dispone anche di un repertorio eccezionale, cioè il Deo-
nomasticon Italicum di Schweickard, il cui primo fascicolo è uscito nel 1997. Lo stesso studioso
ha anche offerto un buon panorama dei suffissi etnici italiani nel suo studio panromanzo sulle for-
mazioni deonimiche (cfr. Schweickard 1992).
5.2. Derivazione aggettivale 403
o degli anziani (cfr. todino accanto a tuderte < lat. tuders, -tis, da Tuder). In altri casi invece
ambedue gli aggettivi sono usati nella lingua standard, ma in condizioni pragmatiche di-
verse. L'etnico suppletivo, in questi casi, si adopera soprattutto in denominazioni di istitu-
zioni, agenzie, riviste ecc. (cfr. Caffarelli 2000d): padovano vs Quaderni patavini di lingui-
stica, bolognese vs Pasticceria Felsinea ecc. Nel linguaggio giornalistico, la variante aulica
appare preferibilmente al secondo posto in catene anaforiche, come nel seguente esempio
tratto dalla Gazzetta dello Sport (Crocco Galèas 1991a, 238):
«Lo scorso anno, il tecnico non fece mistero di puntare allo scudetto. 'Perché il Napoli aveva ap-
pena vinto l'Uefa', spiega Bigon. Quest'anno, volendo fare lo stesso ragionamento, la squadra
partenopea dovrebbe puntare a vincere il massimo torneo europeo.»
Fin qui abbiamo parlato solo dell'uso aggettivale degli etnici. In verità, però, gli etnici ita-
liani possono usarsi sia in funzione aggettivale che nominale: un italiano / la squadra ita-
liana. Per una piccola minoranza di casi però, in cui l'etnico si forma per semplice conver-
sione perché il toponimo termina in una sequenza formalmente identica o simile a un suf-
fisso relazionale, è attestato solo l'uso nominale: Albiano —* gli albiani / *la squadra al-
biana, Brésimo —*• i bresimi / *la squadra bresima ecc. Il gruppo intero, secondo Crocco
Galèas 1991a, 176-177, comprende 44 membri, di cui ben 35 sono toponomi di secondaria
importanza della provincia di Trento. La ragione per cui questi etnici non possono usarsi in
funzione aggettivale, secondo l'autrice (cfr. p. 13), sarebbe che essi possono usarsi solo al
plurale. Da questo fatto, poi, Crocco deduce che nell'italiano moderno la funzione nominale
degli etnici sia primaria e quella aggettivale dovuta a conversione:
«Il carattere nominale di pluralia tantum blocca la conversione in funzione aggettivale, poiché im-
pedisce la formazione parallela di singolare e di genere femminile che consente l'impiego
dell'etnico in senso aggettivale. L'unica spiegazione plausibile di questo stato di cose relativo agli
etnici per conversione è che gli etnici nella fase sincronica dell'italiano moderno siano dei sostan-
tivi e solo per una forma di economia grammaticalizzata dell'italiano assumano anche il valore di
aggettivi di relazione.»
Questo ragionamento non mi sembra molto convincente. Utilizza, per decidere un problema
grammaticale dell'italiano standard, evidenza tratta da un manipolo di formazioni marginali
sconosciute praticamente tutte all'utente normale. L'uso esclusivamente nominale descritto
da Crocco infatti è doppiamente limitato: da un lato concerne solo una parte del piccolo
gruppo degli etnici per conversione, e dall'altro, come abbiamo già osservato, mostra una
concentrazione geografica estremamente spiccata nella provincia di Trento. Queste due cir-
costanze, mi sembra, inviterebbero piuttosto a cercare una spiegazione per il loro compor-
tamento eccezionale in una di queste circostanze particolari oppure in entrambe. La que-
stione della priorità dell'uso nominale o aggettivale nella lingua standard, dove tutti gli
etnici, con pochissime eccezioni (cfr. ebreo Ν / ebraico A e p. 404, η. 1), permettono am-
bedue gli usi, dovrebbe essere risolta sulla base di argomenti che fanno riferimento solo al
comportamento nella lingua standard e alla competenza del parlante medio. Le ipotesi da
prendere in considerazione, a rigor di logica, sono tre: (a) l'etnico nominale e l'etnico ag-
gettivale sono formati da regole indipendenti, (b) l'etnico aggettivale è derivato da quello
nominale per conversione o (c) viceversa. L'ipotesi della derivazione parallela ed indipen-
dente è senz'altro quella più problematica, dato che non spiega perché il suffisso scelto
dalle due regole e le allomorfie dei derivati sono sempre identici negli etnici aggettivali e
nominali, fatto ancora più sorprendente alla luce della grande varietà di suffissi utilizzati e
404 5. Suffissazione
della grande diffusione delle allomorfie e persino del suppletivismo. Se le due regole fosse-
ro davvero indipendenti, ci aspetteremmo di trovare per lo meno qualche minima spia di
una evoluzione indipendente. L'ipotesi (b) è quella difesa da Crocco, come abbiamo visto.
L'unico criterio per decidere la questione della direzionalità di una regola di conversione da
un punto di vista sincronico è, come già rilevato da Marchand 1964b, la semantica: è da
considerare derivato l'uso che logicamente presuppone l'altro. Consideriamo, ad esempio,
che pep(are) è derivato da pep(e) e non viceversa, perché "condire con pepe" presuppone
"pepe", ma non viceversa. Applicando questo criterio al nostro caso, dobbiamo domandarci
se l'uso nominale presuppone quello aggettivale o viceversa. Il significato di un etnico
nominale è "abitante di X", dove X sta per il toponimo base. Se l'aggettivo, come
nell'ipotesi (b), fosse derivato dal sostantivo, la parafrasi dell'aggettivo dovrebbe incorpo-
rare, in qualche modo, il significato "abitante di X". In una frase come la puntualità svizze-
ra, la parafrasi richiesta dall'ipotesi (b), cioè "la puntualità degli abitanti della Svizzera",
sarebbe certamente plausibile. La sua plausibilità, però, dipende fortemente dal contesto.
Una macchina italiana, ad esempio, non è parafrasatale con "una macchina degli/prodotta,
utilizzata dagli abitanti dell'Italia", né il mio viaggio parigino con "il mio viaggio degli/agli
abitanti di Parigi". Ora, gli esempi in cui è impossibile includere gli abitanti nella parafrasi
dell'aggettivo etnico sono molto più frequenti di quelli in cui tale inclusione è possibile. Il
criterio semantico sembra dunque parlare contro l'ipotesi della conversione sostantivo —*
aggettivo. Rimane l'ipotesi (c) di una conversione aggettivo —» sostantivo. Regge di fronte
al criterio semantico? Il significato di un aggettivo di relazione viene descritto spesso come
identico a quello del sostantivo base, mentre tratti semantici addizionali che normalmente
sono presenti nelle parafrasi secondo questa concezione sarebbero delle inferenze conte-
stuali. Che parigino in viaggio parigino significhi "a Parigi" mentre in sindaco parigino
significa "di Parigi", infatti, non è determinato dal suffisso relazionale -ino bensì dal conte-
sto, più specificamente dal fatto che il concetto di "viaggio" implica una destinazione e
quello di "sindaco" una città o un paese dove la carica viene esercitata. Se dunque accet-
tiamo che il significato morfologico di un aggettivo di relazione è semplicemente "X",
possiamo dire che il significato dell'uso nominale, cioè "abitante di X", presuppone effetti-
vamente il significato dell'uso aggettivale corrispondente. Proponiamo dunque di adottare
l'ipotesi (c) di una conversione aggettivo —» sostantivo come quella più plausibile.1
Qualcuno potrebbe sostenere che in una lingua come il tedesco, dove i nomi di abitanti e
gli aggettivi etnici si formano secondo regole anche formalmente distinte, la direzionalità
vada dal nome all'aggettivo: Bergamo / {ein) Bergam-ask-e "(un) bergamasco" / bergam-
ask-isch "bergamasco", China "Cina" / (ein) Chin-es-e "un cinese" / chin-es-isch "cinese",
Florenz "Firenze" / (ein) Florent-in-er "(un) fiorentino" / florent-in-isch, Neapel / (ein)
Neapol-itan-er "(un) napoletano" / neapol-itan-isch "napoletano" ecc. Come si vede,
l'aggettivo etnico si forma aggiungendo il suffisso -isch alla base del nome di abitante cor-
rispondente senza il suffisso -e o -er. Se dunque in tedesco l'aggettivo è derivato dal nome,
perché non anche in italiano? La ragione è che in tedesco la dipendenza dell'aggettivo dal
nome è puramente formale: il nome d'abitante determina l'allomorfia dell'aggettivo etnico,
ma non il suo significato che, esattamente come in italiano, fa riferimento direttamente al
Si potrebbe anche addurre come argomento il fatto,ricordatoda Migliorini 1957c, 143, che alcuni
etnici conoscono solo un uso aggettivale: Vaticano / biblioteca vaticana / *i vaticani, Appenini /
«da le selve appennine» (Carducci) / *gli appennini ecc.
5.2. Derivazione aggettivale 405
1
La strutturazione interna della categoria degli etnici italiani si differenzia dunque nettamente da
quella degli etnici spagnoli (cfr. Rainer 1999b, 4622-4623), dove non esiste nessun suffisso di
default, bensì mezza dozzina di suffissi che godono di una certa produttività di fronte a 43 suffissi
non produttivi.
406 5. Suffissazione
-ano con, rispettivamente, il 7,8 e il 7,6%. Dei 32 suffissi restanti, solo -ense, la variante
latineggiante di -ese, riesce, con Γ 1,26%, a superare la soglia dell'I%. La conversione è
utilizzata nell'I % dei casi. Questi dati si riferiscono alla lingua standard, mentre a livello
dialettale le proporzioni sono in parte diverse. Va menzionato ancora che per l'8% dei to-
ponimi nello standard e il 22,39% a livello dialettale non è attestato nessun etnico di tipo
morfologico: le funzioni degli etnici, in questi casi, sono svolte da perifrasi sintattiche del
tipo uno di X, quelli di X ecc. Nei paragrafi seguenti, descriveremo individualmente, basan-
doci essenzialmente su Crocco Galèas 199la, 29-39 e gli etnici del DISC, i vari suffissi in
ordine di frequenza decrescente.
Il suffisso -ese , come abbiamo visto, è quello di gran lunga più importante per la forma-
zione di etnici: cinese, francese, olandese, viennese, amburghese, pugliese, bolognese,
torinese ecc. È l'unico produttivo e tende a sovrapporsi ad altri suffissi nei processi di so-
stituzione. Oltre che nella sua forma semplice ricorre anche in combinazione con interfissi:
Albenga —> albeng-an-ese, Ardea —• arde-at-ese, Sesto Campano —• Sest-ol-ese, Narcao —•
narc-ar-ese, Atene • aten-i-ese, Albi —» albi-g-ese, Bali bali-n-ese vs Bari —> barese,
Forlì —*• forli-v-ese ecc. Anche la base derivazionale può subire dei cambi formali: Albania
—*• albanese, Catania —• catanese (la caduta di -i(a), accentato e non, è regolare davanti a
-ese), Siena —> senese vs Vietri sul Mare —* vietrese, Orgosolo —» orgolese, Portogallo —*
portoghese, Inghilterra —» inglese ecc.
Il secondo suffisso per ordine di importanza è -ano: africano, americano, andorrano,
italiano, mozambicano, friulano, molisano, romano, veneziano, ampezzano ecc. Anche qui
osserviamo parecchie formazioni con interfissi: Salerno —* salern-it-ano (tipo molto fre-
quente), Napoli —• napol-et-ano (anche, sebbene molto più raramente, napol-it-ano), Asti
—> ast-igi-ano (anche questo un tipo frequente), Valle Agricola —• vall-egi-ano, Calci —*
calc-is-ano ecc. La variante -iano, tanto frequente con i nomi propri di persona (cfr.
5.2.1.7.2.1.), è molto meno frequente con toponimi. Si trova raramente in territorio italiano
(cfr. Lesa —* lesiono; italiano e formazioni simili sono da segmentare come itali-ano), un
po' più frequentemente all'estero: bostoniano, singaporiano, Perù —• peru-v-iano ecc. Si
noti poi che questa variante ha il monopolio con i pianeti: gioviano, marziano, saturniano,
venusiano (ma: terrestre). Il suffisso -ino ha quasi la stessa frequenza di -ano: brabantino,
levantino, trentino, parigino, bolzanino, Reggio Calabria reggino vs Reggio Emilia —>
reggiano, poi con diverse allomorfie: Alessandria —> alessandrino, Piacenza —> piacentino,
Firenze —> fiorentino, Arezzo —* aretino, Elba —• elb-ig-ino, Gubbio —> eugubino ecc.
Come si desume anche da questi esempi, il suffisso -ino ricorre con particolare frequenza
con basi che finiscono in -ntV. A grande distanza, ma con una frequenza ancora superiore
all' 1%, segue -ense, la variante dotta di -ese: Capo di Buona Speranza —* capense, comen-
se (accanto a comasco e comàcino), copenaghense, estense, ostiense, panamense, parmense
(accanto a parmigiano) ecc. Per la sua origine dotta, è particolarmente frequente con basi
suppletive: Buenos Aires —> bonaerense, Udine —• utinense (accanto al più comune udine-
se), Subiaco —ι• sublacense, Ivrea —> eporediense ecc.
Il resto dei suffissi, tutti improduttivi, si elencherà qui di seguito approssimativamente per ordine
decrescente di importanza. Il suffisso -oto, come abbiamo già osservato, è di origine greca e perciò
limitato all'Italia meridionale (con l'eccezione di Veglia —» vegliotó): Lipari —» liparioto, Squillace
—* squillacioto ecc. La forma -oto è un adattamento della forma greca originaria -(i)ota, che appare
anche in alcuni etnici dell'Italia meridionale (cfr. Maratea —* marateota ecc.) oltre che in un certo
numero di etnici greci o più generalmente orientali: Cipro —> cipriota, Epiro epirota, Cairo —•
5.2. Derivazione aggettivale 407
cairota ecc. Il suffisso -otto serve normalmente a formare diminutivi (cfr. 5.1.1.7.16.1.5.), ma secon-
dariamente è anche attestato, nell'Italia settentrionale e centrale, nella funzione di suffisso etnico:
badiotto (anche badioto, secondo la pronincia locale), chioggiotto, rovigotto, varesotto ecc. Ma si
osserva anche fuori del territorio italiano: Candia —• candiotto ecc. Come abbiamo già osservato,
-asco è di origine preromana e limitato all'Italia settentrionale e alla Francia meridionale: bergama-
sco, comasco, monzasco, vigevanasco, Monaco —» monegasco ecc. Il suffisso -ate ricorre soprattutto
nell'Italia centrale: aquinate, assisiate, cassinate, ravennate, urbinate ecc. Anche il mondo greco
conosceva un suffisso etnico -ate: Elea —* eleate ecc. In una sola formazione il suffisso prende la
forma -(i)ata: Crotone —» crotoniata. Successori del suffisso latino -arius sono ben rappresentati nei
dialetti sotto varie forme fonetiche, soprattutto -aro, la variante settentrionale e meridionale (Bianchi
—> biancaro, Fontecchio —• fontecchiaro ecc.), ma anche -are (San Basile —> sanbasilare), -ere (Masi
—• masiere), -aio (Buggerru —> buggerraio) e -ero (Transaqua —* transaqueró). Il suffisso diminuti-
vo -(u)olo è utilizzato anche nella formazione di etnici: Bastia —• bastiolo, romagnolo, Ceraso —•
cerasuolo, sardegnolo (in riferimento ad animali) ecc. Da luoghi esterni al territorio italiano
l'esempio più noto è spagnolo. Anche -aiolo/-arolo da un punto di vista diacronico contengono il
suffisso -olo: Macchia d'Isemia —• macchiarolo, Costa Vescovato —» costatolo ecc. Anche -atto,
diffuso soprattutto nell'Italia settentrionale, è un suffisso originariamente diminutivo: Bieno —» bie-
natto, Posino —• posinatto, Vernio —> verniatto ecc. Il suffisso -eo ricorre con toponimi del Medio
Oriente antico e in poche formazioni italiane: Micene —> miceneo, Saba —» sabeo, Ragusa —> raguseo
(accanto a ragusano), Erma —* enneo, Napoli —• partenopeo ecc. In Bologna —* felsineo ricorre il
suffisso atono '-eo. Il suffisso atono '-ero è un adattamento del suffisso tedesco -er, ricorre in alcune
formazioni delle province di Trento e Bolzano: Lauregno —* lauregnero, Luson —• lusonero ecc. Il
suffisso -esco è presente in pochi etnici: Barberia —> barbaresco, Mezzano —> mezzanesco, Pantelle-
ria —• pantesco ecc. Romanesco è derivato dal sostantivo etnico romano e si usa in funzione aggetti-
vale, accanto a romano aggettivo, per riferirsi alla città di Roma e ai suoi abitanti (dialetto romanesco
ecc.). Il suffisso -ita è di origine greca e perciò s'incontra in parecchi etnici del mondo antico: Be-
tlemme —> betlemita, Ebla —> eblaita, Moab —* moabita, Stagira —> stagirita ecc., ma anche
nell'Italia meridionale (Adrano —> adranitd) e in altre parti del mondo {Kiev —> kievita. Mosca —>
mosc-ov-ita, vietnamita). Nell'Italia meridionale s'incontra anche la sua variante italianizzata -ito:
Ciminna —> ciminnito ecc. Il suffisso '-ico si usava già in funzione etnica in latino: asi-at-ico, britan-
nico, iberico, libico, Albavilla —* albavillico, Cesena —* cesen-at-ico, Livorno —* Labronico (accanto
al più comune livornese). Anche -eno è ancora fortemente legato al mondo antico: antiocheno, dama-
sceno ecc.; in Italia ricorre solo in formazioni dotte: Caltanissetta —* Nisseno, Lonigo —» Leoniceno
ecc. In altri esempi è l'adattamento del suffisso spagnolo -eno (cileno < sp. chileno) o -eño: Madrid
—» madrileno (cfr. sp. madrileño), santiagheno ecc. Foneticamente più fedele è il calco Caracas —»
carachegno, con suffisso -egno. Di origine germanica è -ardo, che è tipico dell'Italia nord-
occidentale e della Francia meridionale: Baia e Latina —> baiardo, Nizza Monferrato —» nizzardo,
Savoia di Lucania —• savoiardo ecc. Solo tre volte ricorrono i suffissi -ato (cfr. Bevagna —• bevena-
to), -ertel-urte (cfr. Todi —* tuderte, Tivoli —• tiburté), -ingol-engo (cfr. Abbadia San Salvatore —>
abbadingo, Rorà —* rorengo), -ente (cfr. Iglesias —* iglesiente), -one (cfr. Montagna in Valtellina —»
montagnone; ma cfr. anche fuori d'Italia: borgognone, Frisia —» frisone ecc.1), -erno (cfr. Velletri —»
Veliterno). Solo due volte ricorre, nel corpus di Crocco, -ale (cfr. Badia Tedaldo —> badiale), che
però è anche presente in laziale, provenzale e nel gruppo omogeneo orientale, occidentale, meridio-
nale e settentrionale, una sola volta -oo (cfr. Gela —• geloo), -elio (cfr. Centa San Nicolò —• centa-
rello), -inco (cfr. Bosa —> bosinco), -occo (cfr. Busto Arsizio —» bustocco), -ore (cfr. Cursi —* curso-
re) e -uso (cfr. Secli —• secluso), -àcino (cfr. Como —> comacino), -àcolo (cfr. Fiera dì Primiero —•
fieracolo), -ertinoAurtino (cfr. Todi tudertino, Tivoli —• tiburtinó). Rari sono anche i seguenti
suffissi di origine greca che s'incontrano solo in formazioni da luoghi esterni al territorio italiano e
perciò non menzionate da Crocco: '-io (cfr. Corinto —• corinzio, Mileto —* milesio ecc.), -iaco (cfr.
Diverso è il caso del suffisso atono '-one di Bretagna —* bretone e sassone, l'etnico corrispondente
a Sassonia.
408 5. Suffissazione
peloponnesiaco, austriaco ecc.), -dico (cfr. Cirene —> cirenaico ecc.). Un suffisso -acco si può identi-
ficare solo in Polonia —«• polacco.
Agli esempi di Crocco si dovrebbero ancora aggiungere esempi italiani la cui base è uno stato
{Vaticano —» vaticano) o una regione come Toscana —• toscano o Lunigiana —* lunigiano ed
esempi da luoghi esterni al territorio italiano come Galilea —» galileo, Indostan —> indostano ecc.
Non si scorge nessuna coincidenza con una sequenza suffissale dell'italiano standard per coppie
come Frigia —> frigio, Svizzera —* svizzero ecc.
5.2. Derivazione aggettivale 409
Per escludere derivati formati da parlanti non italofoni, siamo ricorsi al tipo di ricerca che permette
di limitare la ricerca alle sole pagine strettamente italiane.
410 5. Suffissazione
Siccome i nomi propri spesso non hanno la forma canonica di parole italiane, si possono
osservare alcune particolarità formali nella derivazione deantroponimica: (a) Di solito una
vocale finale accentata della base è conservata, cfr. deandreano (<— Fabrizio De Andre),
berteiano («— Loredana Berte; accanto a bert-ianó), totoista, -esco, -ano (<— Totò), poinca-
reiano, monroiano, rousseauiano oppure russoiano o russoviano; ma si trovano anche delle
eccezioni: zollano, gobinista («— Gobineau), mallarmista («— Mallarmé, accanto a mallar-
meano, mallarmeiano); (b) Davanti a tutti i suffissi tranne quello più produttivo, -iano, è di
regola la cancellazione della desinenza atona -Vs del nome di base: Don Carlos —• carlista,
Febronius —* febroniano, Sibelius —• sibeliano, Beatles —* beatlesco, Cervantes —• cer-
vantino, -esco, Martínez —• martinista-, ma: deamicisiana, elvisiano, beatlesiano, sorosia-
no, gatesiano, malthusiano, borgesiano, marqueziano, habermasiano ecc.; (c) Alcuni nomi
di personaggi (soprattutto germanofoni) conservano la vocale della desinenza anche se
questa è atona: goetheano, fichteano, kafkaesco (cfr. ted. kafkaesk), ma anche titoista (ac-
canto a titista)·, laddove si tratta di basi la cui vocale finale è muta, la conservazione di
questa vocale pare piuttosto un fenomeno meramente grafico: wildeano, sartreano, Cyrus
Vance —• vanceano ecc.; (d) Quando un personaggio ha un cognome generalmente solo
questo diventa la base del derivato. Si osservano però alcune eccezioni a questa regola,
dove sia solo il nome, sia la sequenza nome + cognome serve da base derivativa. Di solito
si tratta di personaggi dello show-business (in senso lato): harrisoniano (<— Harrison
Ford), elvisiano (accanto a presleiano), evitiano (<— Evita Perón), marilyniano, -esco',1 col
nome + cognome: georgemichaeliano, james deaniano, orsonwellesiano, joecockeriano,
woodyallenesco, cheguevaresco (accanto a guevaresco), pippobaudesco (accanto a baude-
sco)·, (e) Di solito, per facilitare la riconoscibilità, la base non subisce alterazioni come la
palatalizzazione: petrarchesco, cossighista ecc. Vi sono solo poche eccezioni, ad esempio
bacceo, ibiceo.
Contrariamente ad altre lingue come per esempio il tedesco, l'italiano non fa normal-
mente nessuna differenza morfologica fra l'uso aggettivale di un deantroponimico e le sue
sostantivazioni: religione maomettana "religione fondata da Maometto" / i maomettani
"seguaci di Maometto e della religione da lui fondata" (cfr. in tedesco: mohammed-anisch
agg. vs Mohammed-aner sost.). Fra gli usi sostantivati è particolarmente frequente quello
che designa (e soprattutto al plurale) i seguaci del personaggio di base (cfr. 5.1.1.1.7. e
5.1.1.1.10.). Per ovvi motivi questo significato è soprattutto usuale per i derivati da nomi di
personaggi dal campo della politica, della religione e della filosofia. Nei derivati da nomi di
sportivi, cantanti e attori invece i deantroponimici sostantivati vengono a designarne piutto-
sto i tifosi (cfr. un maradoniano, celentaniano, Marion Brando —*• un brandiano) o gli
imitatori (un goldoniano "chi imita i personaggi, gli ambienti, lo stile delle commedie di
Goldoni").
In linea di principio è sempre possibile l'estensione semantica dal significato primario di
aggettivi di relazione verso quello secondario che serve a formare aggettivi di somiglianza:
Ercole —» forza erculea "forza eccezionale, sovrumana, paragonabile a quella dell'eroe
mitico Ercole", ma anche, in modo più scherzoso (e/o ironico), berlusconesco monopolista
dei media "uomo politico che ricorda Silvio Berlusconi per tutti i mass-media che control-
1
È diverso il caso di Saddam Hussein, che dà luogo al derivato saddamita\ l'arabo non conosce
cognomi ereditari, ma un sistema patronimico, e designa tutte le persone con il loro nome (Sad-
dam) e quello del padre (Hussein).
5.2. Derivazione aggettivale 411
La loro presenza meno numerosa nel corpus - come, per motivi ovvi, quella altrettanto rara degli
artisti del film (registi e attori) - non ha nulla a che vedere con la professione stessa, ma con il
fatto cronologico che la maggior parte di questi artisti appartiene a un'epoca in cui la produttività
del suffisso aveva già superato il suo culmine (cfr. infra).
2
Per quest'epoca, -esco va addirittura considerato come il suffisso normale per la derivazione a
partire dai nomi di artisti italiani, i derivati con -iano essendo numericamente meno importanti (ve
ne sono solo 27 esempi nel nostro corpus) ed anche spesso non usuali (cfr. le indicazioni relative
nel GRADIT; in parte tali derivati sono reperibili solo su Internet).
3
La crescita numerica apparente dei nomi di base originari del '900 (15 derivati dal 1600 fino al
1800; 26 per il solo '900) dimostra da un lato che il suffisso è rimasto produttivo, ma non va inter-
pretata come indizio di una ripresa vera e propria alla luce della crescita numerica anche delle basi
potenziali, come risulta infatti dal confronto con i derivati a partire da nomi di artisti mediante
-iano: la proporzione percentuale per -esco è del 63,5% prima del 1600, per scendere al 23,1% (dal
1600 al 1900) e rimanere su questo basso livello dal 1900 in poi con il 25,0%.
414 5. Suffissazione
ormai predominante.1 Come deantroponimici derivati da artisti più moderni citiamo quelli a
partire da nomi di attori e registi (cfr. marilynesco, mastroiannesco, woodyallenesco, beni-
gnesco), quelli di cantanti e cantautori (cfr. pavarottesco, battiatesco, jovanottesco, raffre-
sco) e infine quelli di personaggi della televisione (cfr. (pippo-)baudesco, costanzesco). Vi
si può aggiungere il piccolo dominio degli sportivi (specie del mondo calcistico), in quanto
anch'essi sono considerati degli artisti (cfr. maradonesco, baggesco, inzaghesco, vieresco).
Poi seguono i nomi dei politici con 37 derivati che provengono da nomi di tutte le epo-
che e di tutti i paesi (cfr. neronesco, pompadouresco, napoleonesco, fujimoresco) sebbene
prevalgano quelli italiani moderni che testimoniano della produttività attuale del suffisso
anche in questo dominio (18 esempi formati a partire da personaggi del ventesimo secolo,
cfr. berlusconesco, bertinottesco, rutellesco, pivettesco). Se il significato relazionale prima-
rio pare soprattutto presente negli aggettivi derivati dai nomi di alcune famiglie italiane del
tardo medioevo (cfr. sforzesco, gonzaghesco), altrove abbiamo a che fare piuttosto o con un
uso spregiativo o ironico, specie quando si parla di un personaggio di cui non si condivide
la linea politica (cfr. sulla copertina del manifestino elettorale di quattro pagine non com-
pare la faccia boninesca) oppure con quello qualitativo "che ricorda X" (cfr. sardanapale-
sco "che ricorda Sardanapalo in quanto conduce una vita lussuosa; eccessivamente raffina-
to", edificio kohlesco (parlando della nuova cancelleria federale costruita a Berlino, volu-
minosa quanto l'ex cancelliere Kohl)).
Fra gli altri derivati sono ben documentati i personaggi immaginari con 23 derivati, que-
sti vengono però sempre utilizzati come aggettivi qualitativi con il significato "che ricorda
il comportamento, le caratteristiche di X", che è anche quello dei pochi personaggi mitolo-
gici e religiosi (entrambi con 6 esempi; cfr. gargantuesco, tartufesco, donferrantesco, ro-
binsonesco, lolitesco; achillesco\ cainesco).
I domini professionali restanti, specie la filosofia, la scienza ed il mondo economico, so-
no invece quasi assenti dalla nostra documentazione (complessivamente 6 derivati; cfr. però
bartolesco («— Bartolo da Sasso/errato), fukuyamesco («— Francis Fukuyama), armanesco,
versacesco).
1
Cfr. le indicazioni fornite dal GRADIT dove, ad esempio, foscolesco, ponchiellesco, gaddesco e
leoncavallesco sono marcati come di «basso uso», mentre beminesco, canalettesco, parinesco,
fellinesco, dannunziesco, pirandellesco ecc. non vi figurano nemmeno (sono invece tutti attestati
in Internet). Per la frequenza relativa di una coppia attestata solo su Internet, cfr. warholesco :
warholiano = 1 : 137.
5.2. Derivazione aggettivale 415
1
Le osservazioni di Fache 1973 vengono corroborate (per quanto concerne le epoche in cui sono
vissuti i personaggi) anche dalle indicazioni dei dizionari: infatti il GRADIT menziona tale signifi-
cato quasi solo per derivati da antroponimi designanti persone vissute dal 1800 in poi, uno dei
primi essendo robespierrista. Anche in spagnolo questa funzione è relativamente recente, cfr. Rai-
ner 1993a, 570. In ambedue le lingue pare trattarsi di un gallicismo semantico.
416 5. Suffissazione
1
Le radici in /st/, che secondo tutte le previsioni dovrebbero opporsi a -ista, sono troppo rare nel
corpus (anche solo 8 derivati in -iano) per permettere una conclusione seria; tuttavia si riscontrano
i due esempi di ariostista e proustista.
5.2. Derivazione aggettivale 417
ironica cosicché si ritrovano piuttosto nelle fonti meno formali di Internet1 che non nel linguaggio
giornalistico serio.
Grazie alla sua origine antica, il suffisso appartiene però generalmente al linguaggio colto e adotta
anche raramente i significati secondari menzionati in 5.2.1.7.1.; il valore primario di formare soli
aggettivi di relazione è di gran lunga il più usuale, eccezion fatta per poche formazioni entrate
nell'uso comune come salomonico, platonico, sadico, che indicano anche somiglianza.
Il suffisso -aico, dal punto di vista diacronico una forma ampliata del suffisso '-ico, è presente solo
in pochissimi aggettivi deantroponimici (11 nel corpus). Il suo dominio è praticamente limitato ai soli
nomi in -a e -eo: mitraico, mazdaico, voltaico; alcaico, tirtaico, tolemaico. Fanno eccezione alla
regola generale Mose —» mos-aico e Epicuro —<· epicur-aico. Non abbiamo a che fare con una variante
allomorfica del suffisso '-ico, visto che gli stessi tipi di basi sono anche compatibili con quest'ultimo
suffisso (cfr. pitagorico, teseico o, con cancellazione della -e-, orfico). Si tratta dunque di un suffisso
autonomo. L'unico cambio allomorfico necessario è la cancellazione della -e- finale della radice, con
la concomitante pronuncia velare della consonante precedente in alcaico. Stabilito questo, si osserva
che tutti gli esempi tranne voltaico derivano da personaggi dell'antichità greca o più generalmente
orientale (cfr. mosaico, giudaico "che si riferisce a Giuda Iscariota").
Il suffisso -eo2 è abbastanza ben rappresentato nel corpus (122 derivati), e anche in questo caso
l'origine antica si riflette nei derivati ricavabili dalle nostre fonti, dato che il suffisso serve special-
mente a derivare deantroponimici dell'antichità innanzitutto greca (87 esempi, cfr. achilleo, epicureo,
minosseo, pericleo, euripideo, meduseo) e romana (18 derivati, cfr. augusteo, dioclezianeo, ulpianeo),
ma non mancano occasionali derivati più recenti come massimilianeo («— Massimiliano d'Asburgo).
Moroteo (a. 1983; *— Aldo Moro) è formato sul modello di doroteo (a. 1963), che deriva a sua volta
dal nome del convento delle suore Dorotee dove nel 1959 si tenne un'assemblea della Democrazia
Cristiana. L'appartenenza della maggior parte dei derivati al mondo antico fa sì che essi si riscontrino
soprattutto in testi scientifici. Per motivi eufonici, non esistono derivati da basi vocaliche del tipo
Teseo e Virgilio. Dall'altra parte ci si serve di -eo nel caso degli antroponimi per i quali i suffissi più
usuali -ano e -iano sono impossibili: lucaneo, giustinianeo, massimilianeo.
Dal suffisso -eo va distinta la variante non accentata '-eo. L'origine dotta del suffisso sia greca
(-éios) sia, soprattutto, latina (-eus) si riflette nei pochissimi derivati (11 nel corpus), le cui basi sono
per di più quasi tutte antroponomi - soprattutto mitologici - dell'antichità greco-latina: Gorgone —<·
gorgoneo, Apollo —• apoll-in-eo, Ercole —> erculeo, Romolo —• romuleo·, per un derivato piuttosto
isolato dell'epoca moderna cfr. medìceo (accanto a mediceo). Se alcuni fra i derivati pare siano abba-
stanza usuali secondo il GRADIT, questo fatto è dovuto al significato secondario di somiglianza:
erculeo "vigoroso (come Ercole)", apollineo "che ha corpo e lineamenti perfetti ed armoniosi (come
Apollo)".
Il suffisso -ino, di origine latina (< -ïnus), è rappresentato con 73 derivati nel corpus e sempre de-
bolmente produttivo. Per motivi eufonici, il suffisso è incompatibile con radici in -i- e -in- e raro dopo
radici in -n- (4 esempi). Dal punto di vista cronologico, il suffisso serve per basi di tutte le epoche,
con i due poli di massima frequenza situati nell'antichità (18 derivati, cfr. alessandrino, plautino) e
nel ventesimo secolo (14 derivati). Per le professioni dei personaggi vi sono due domini di massima
frequenza: la religione (soprattutto quella cristiana, cfr. benedettino, bernardino, paolino) e la politica
(cfr. giuseppino, albertino, garibaldino), con rispettivamente 29 e 33 derivati nel corpus. Sono fre-
quenti le nominalizzazioni (cfr. anche 5.1.1.1.7.). Quanto ai neologismi del tipo craxini, bossini o
berluschini riscontrabili innanzitutto nella politica italiana contemporanea, essi paiono indicare per il
loro carattere prettamente spregiativo che si ha a che fare forse piuttosto con il suffisso diminutivo
omonimo (cfr. anche 5.1.1.1.7.). Tutte le altre attività sono poco documentate; cfr. la letteratura con
1
Cfr. in un commento sulla TV la serie umoristica dal bombardamento defilippico, costanzico,
raffaellico, dal calcio pomeridiandomenicalefazzico.
2
Per la sua origine, sono venuti a confluire in una sola forma i suffissi greci -aìos e -eios (> lat.
-eus).
418 5. Suffissazione
plautino, Aldo Manuzio —• edizione aldina, cervantinoI derivati sono generalmente rimasti confi-
nati ai linguaggi speciali degli storici e dei filologi.
Il suffisso '-io, uno fra i pochissimi a non essere accentati, è alquanto raro (22 derivati). La sua ori-
gine greca (< -ios) si riflette tuttora negli antroponimi, che provengono tutti quanti dall'antichità
classica (fra cui 16 nomi greci, 5 romani e il termine biblico giapezio). Quanto ai domini professiona-
li, spicca innanzitutto la mitologia (15 derivati, cfr. dionisio, eolio, palladio, nettunio, vulcanio),
mentre le altre sfere rimangono sporadiche (cfr. platonio, aristofanio). Si noti che le radici in occlusi-
va dentale presentano alterazioni: marzio (o addirittura mavorzio), afrodisio, giapezio. Tutti i derivati
non solo appartengono, come i loro nomi di base, al linguaggio tecnico, ma si tratta spesso di forma-
zioni in via di sparizione davanti a derivati con suffissi più chiari e/o più produttivi come platonico,
aristofaneo, marziale.
Accanto ai derivati in -ista è attestato nel corpus pure un gruppo di 41 esempi formati per mezzo
del suffisso -istìco. Ne risulta dunque una coppia -istal-istico paragonabile a quella -ital-itico che
verrà trattata più avanti. Come i suffissi primari -ista e -ita servono (o servivano) soprattutto a forma-
re deantroponimici sostantivati, le forme allargate servono, da un lato, a esprimere la nozione di
relazione: leninistico "relativo a Lenin". Siccome però tali derivati vengono normalmente accompa-
gnati da nomi astratti in -ismo che designano le dottrine o lo stile fondati dai personaggi in questione,
un po' tutte le formazioni in -istico potrebbero venir interpretate anche come derivate appunto da
questi nomi astratti: leninistico "che appartiene al leninismo". Da quanto appare dai significati elen-
cati dai dizionari, tale interpretazione pare sia persino quella primaria. Dato questo collegamento con i
derivati in -ista non c'è da meravigliarsi che gli antroponimi di base appartengano sostanzialmente
agli stessi gruppi professionali e cioè a quello dei politici (12 esempi, cfr. fidelistico, peronisticó), dei
filosofi (7 derivati, cfr. platonistico), degli scrittori (7, cfr. dantisticò) e degli uomini religiosi (5, cfr.
calvinistico), e che più della metà dei personaggi (22) siano vissuti dopo il 1800.
Con 52 esempi nel nostro corpus, il suffisso -ita, di origine greca (< -itës), è piuttosto raro e confi-
nato al linguaggio colto. Per quanto concerne la diffusione spazio-temporale, 33 esempi si applicano a
nomi di personaggi antichi o che sono comunque vissuti anteriormente al '200, la maggior parte (25)
provenienti dal Medio Oriente. Anche la professione dei personaggi i cui nomi fanno da base è ben
delimitata in quanto si nota una concentrazione nella sfera religiosa (con 36 derivati) sia giudeo-
cristiana, sia maomettana, sia hinduistica e buddistica: semita, adamita, menno-n-ita (con interfisso
latineggiante), hussita\ Hascim ibn 'Abd Manaf (antenato di Maometto) —• hascimita, Abu Hanifa
(giurista iraniano morto nel 767) —»· hanafita; scivaita (con conservazione della vocale desinenziale
della base). Inoltre si può osservare una certa ripresa della vitalità del suffisso nella vita politica mo-
derna (12 esempi): saddamita e soprattutto, seguendo modelli anglosassoni, bushita, thatcherita,
blairita, oltre al più vecchio Ned Ludd (operaio inglese del '700) —* ludd-ita. Per quanto concerne la
semantica, il significato iniziale degli aggettivi di relazione è diventato abbastanza marginale a favore
di numerosissime nominalizzazioni che designano i discendenti oppure i seguaci del personaggio. La
funzione primaria degli aggettivi di relazione viene più spesso adottata dal suffisso complesso -it-ico.
E siccome accanto a molti derivati da nomi di personaggi a cui certe sette si riferiscono come modello
esistono anche formazioni astratte in -ismo (cfr. la coppia visnuita / visnuismo "setta che venera Visnù
come divinità suprema"), non è esclusa in questo caso una sostituzione del suffisso -ismo per -ita
paragonabile a quanto detto a proposito di -ista (cfr. 5.2.1.7.2.4.).
Con solo 12 derivati attestati nel corpus, il suffisso -itico è ancora molto più raro del suffisso pre-
cedente -ita, del quale costituisce un allargamento mediante '-ico. Visto che i derivati in -ita oggigior-
no sono quasi tutti aggettivi sostantivati, la funzione di aggettivi di relazione veri e propri viene attri-
buita a quelli in -itico, e infatti tutte le formazioni in questione presenti nel nostro corpus tranne una
1
L'affinità innegabile con le radici in liquida o [t] osservata da Rainer 2002a per gli scrittori spa-
gnoli è meno vistosa in italiano in quanto le percentuali non si distinguono in maniera significativa
da quelle registrate per i suffissi davvero produttivi -ano, -iano, -esco e -ista. Va tuttavia notato
che non meno di 6 derivati sugli 11 che non fanno parte dei due grandi gruppi professionali si po-
trebbero spiegare per mezzo di questo criterio fonologico, cfr. cassandrino, ercolino, sibillino,
cervantino, giuntino, travoltino.
5.2. Derivazione aggettivale 419
hanno accanto a loro un derivato in -ita: semita —* semitico, adamita —• adamitico, vis(h)nuita —•
vis(h)nuitico ecc. Come lo attesta già la scarsa produttività persino rispetto ai derivati in -ita, le restri-
zioni spazio-temporali sono ancora più spiccate per il suffisso -itico: vi si riscontrano soltanto derivati
da nomi di persone del Medio Oriente giudeo-cristiano o indiano dell'antichità.
Nel corpus si trova un piccolo gruppo di aggettivi del tipo Traiano —• troiano "relativo
all'imperatore romano Traiano; costruito sotto il regno di Traiano", cioè senza suffisso esplicito.
Forse anche per l'opacità delle formazioni che crea tale processo derivativo non è più produttivo
oggigiorno e dà luogo solo a 22 esempi nel corpus, che appartengono tutti al linguaggio colto. Per di
più, sono generalmente «non comuni», «letterari» o «obsoleti» e fiancheggiati da altri deantroponi-
mici derivati con suffissi più usuali. Per la maggior parte si tratta di derivati da personaggi romani (8
esempi, cfr. giustiniano, lucullo, orazio) e italiani (10 esempi, cfr. pio, borromeo, orsino, lambertaz-
zo). Tra le professioni esercitate dai personaggi spiccano la politica (in Italia soprattutto sotto la forma
di famiglie nobili) e la religione con rispettivamente 11 e 4 esempi. Molto più importante è però
constatare che come basi sono esclusi nomi maschili in -e o -a, e che la maggioranza degli esempi
(tranne 5, cfr. epicuro, lambertazzo, lucullo) pare essere già derivata per via di un suffisso deantropo-
nimico usuale, specie -(i)ano e -eo: aureliano, erodiano, tiziano "di colore biondo tendente al rosso,
caratteristico delle capigliature femminili dei dipinti di Tiziano". Queste considerazioni ci portano
allo spinoso problema dell' interpretazione di questi derivati, già discusso da Migliorini 1957c, che vi
vedeva all'opera una tendenza ad evitare il cumulo di suffissi nella formazione aggettivale, manife-
stazione del principio di economia linguistica. Alternativamente, il fenomeno potrebbe anche inter-
pretarsi come caso di conversione. Sarebbe comunque una regola di conversione un po' speciale, dato
che opera solo sporadicamente in casi in cui la base termina in una sequenza omonima con un tipico
suffisso aggettivale. I parlanti sembrano non aggiungere un suffisso esplicito perché hanno la sensa-
zione che, per riprendere l'espressione del Migliorini, «un suffisso c'è già» (cfr. anche le osservazioni
alla fine di 5.2.1.6.2.).
L'italiano possiede un discreto numero di suffissi che formano aggettivi a partire da basi
verbali, di diversa produttività e non di rado in competizione tra loro in quanto applicabili
alle stesse basi: i principali, oltre ai formanti di participi-aggettivi -to e -nte, sono -bile,
-évole, -(t)òrio, -(t)ivo, -(t)óre. Alcuni di questi morfemi, benché deverbali, non formano
esclusivamente aggettivi, e quindi pongono problemi non sempre facili di delimitazione: tra
flessione e derivazione nel caso dei formanti anche participiali -to e -nte, e tra derivazione
nominale e aggettivale soprattutto per -nte e -(t)ore, ma anche per -(t)ivo, -(t)orio e vari
suffissi minori. In questa sezione introduttiva si tratteranno le questioni che riguardano gli
aggettivi deverbali nel loro complesso, mentre nella sezione successiva 5.2.2.2. si prende-
ranno in esame le diverse formazioni una per una.
In linea di massima, per gli aggettivi deverbali è abbastanza difficile individuare tratti se-
mantici stabilmente associabili a un suffisso che permettano di individuare un suo peculiare
significato morfologico in grado di opporlo sistematicamente agli altri formanti. Sembra
che per tutti i processi in questione il tratto comune del passaggio categoriale sia di gran
420 5. Suffissazione
lunga prevalente e che i singoli suffissi non aggiungano molto individualmente a una gene-
rica semantica "che (tipicamente) V", fatta ovviamente astrazione dalle possibili idiosin-
cratiche derive di significato delle singole formazioni. Un'eccezione evidente è data dal più
produttivo dei processi in esame, la suffissazione con -bile (5.2.2.2.1.), il cui significato
morfologico include chiaramente un tratto di modalità (potenziale) e di diatesi (passiva).
Per le formazioni in -nte si può probabilmente individuare un contributo semantico del
suffisso, almeno come tendenza, in termini di selezione di basi a bassa transitività, cioè con
un grado limitato di agentività e controllo sull'evento da parte dell'argomento esterno
(5.2.2.2.3.). Distinzioni di natura più sociolinguistica che semantica caratterizzano la coppia
tecnico-scientifica -(t)ivol-(t)orio rispetto alle altre formazioni; più promettente appare una
connotazione negativa spesso associabile a -(t)orio (in particolare nelle neoformazioni), che
emerge appunto nel contrasto con -(t)ivo, di cui si discuterà in 5.2.2.2.4. Sempre a proposito
di questi due suffissi, la parafrasi "che (tipicamente) V" non è in realtà sempre applicabile,
e non di rado va sostituita con una semantica di relazione che fa riferimento al nome
d'azione di V piuttosto che direttamente al verbo.
accettabile o al più estremamente marginale (cft. "un fenomeno interessante solo i ceti
privilegiati', *una signora affascinante / attraente tutti i presenti), sembra giocoforza am-
mettere che le formazioni in -nte siano da descrivere in termini di derivazione: non è infatti
disponibile nella competenza del parlante il participio presente punto di partenza
dell'eventuale processo di conversione. Naturalmente il confine non è facilmente tracciabile
e i dati possono sicuramente configurarsi in termini di un continuum (cfr. Luraghi 1999);
vista la complessiva marginalità - anche sociolinguistica - del participio presente verbale,
sembrerebbe comunque preferibile considerare per default le formazioni in -nte come ag-
gettivi derivati, limitando l'opzione della conversione participio-aggettivo a casi consolidati
di uso anche verbale.
La questione si pone in modo identico per le formazioni nominali in -to e -nte, del tipo
alleato, rifugiato e cantante, stampante, per le quali si vedano 5.1.3.5., 5.1.3.2.5. e
5.1.3.2.2. Anche in quel caso, sembra necessario ammettere come minimo -nte tra i for-
manti derivazionali di nomi deverbali. Si crea pertanto un ulteriore problema descrittivo nel
discriminare tra un suffisso -nte nominale e uno aggettivale (per di più in molti casi sarà
ragionevole ammettere una conversione Ν —* A, o viceversa A —» N). Su questo si veda
oltre in 5.2.2.2.3.
Infine, un problema speculare riguarda lo status di -bile, che sembra aver assunto un gra-
do di generalità tale da avvicinarlo a un comportamento flessivo. Non risultano a priori
evidenti i motivi per cui la tradizione inserisce nei paradigmi verbali il gerundivo latino
(laudandus "che va lodato") o gli aggettivi verbali in -tós e -téos del greco antico (lytós
"che può essere sciolto", lytéos "che va sciolto"), e ne esclude l'aggettivo italiano in -bile,
che avrebbe qualche titolo per essere chiamato «participio passivo potenziale». Si pensi in
particolare a costruzioni oggi rintracciabili nei giornali, come: la lotta antimalarica, consi-
derabile uno smacco su scala mondiale (La Stampa 9-7-97, 4) o l'artista tedesca, defini-
bile la nuova Dietrich (La Stampa 11-5-98, 19), in cui la forma in -bile mantiene la reg-
genza senza preposizioni del complemento predicativo, con una sintassi parallela a quella
del participio passato (considerata uno smacco, definita la nuova Dietrich) ma estranea agli
aggettivi italiani. Si vedrà tuttavia in 5.2.2.2.1.1. che la generalità di -bile non è (ancora?)
completa, il che, accanto a varie idiosincrasie semantiche, induce a mantenerlo nell'ambito
della derivazione: certo, non una derivazione prototipica, per la grande generalità e soprat-
tutto per la frequente conservazione dei tratti di eventività propri della categoria della base
(il verbo) più che degli aggettivi.
5.2.2.2.1.1. Semantica DR
Si può sicuramente individuare come punto di partenza della semantica di -bile (al pari dei
suoi omologhi nelle altre lingue romanze o in inglese) un singolo significato morfologico,
che caratterizza in modo soddisfacente la parte produttiva, composizionale, della regola di
formazione: si tratta della parafrasi "che può essere PP", a prima vista applicabile quasi
senza eccezioni a qualunque verbo transitivo passivizzabile.
5.2. Derivazione aggettivale 423
In realtà, la generalità di -bile (cfr. analoghe osservazioni in Rainer 1993a, 429 per lo
spagnolo) appare praticamente completa solo per verbi transitivi «prototipici», cioè per quei
verbi il cui argomento esterno è caratterizzato da un grado alto di agentività e di controllo
sull'evento (e tali tratti sono corrispondentemente assenti nell'argomento interno). Man
mano che ci si allontana da questo prototipo di transitività, le formazioni in -bile rimangono
senz'altro possibili, ma compaiono numerose lacune, non di rado anche in presenza di si-
nonimi del tutto usuali.
Derivati poco accettabili si possono già trovare quando l'argomento esterno del verbo è
un esperiente, come nei verbi di percezione o in alcuni verbi «psicologici»: cfr. la margina-
lità - nei sensi propri - di 1aspettabile, 7sentibile (vs udibile), 7sognabile. Il parametro del
controllo / volontarietà da parte dell'argomento esterno appare rilevante per spiegare con-
trasti come afferrabile vs *urtabile o sopportabile vs *subibile. La maggioranza dei verbi
con soggetto esperiente, comunque, sembra dar luogo senza problemi a formazioni in -bile
(cfr. adorabile, desiderabile, detestabile, godibile, intuibile, percepibile, sperabile, temibile
ecc.).
Molto più frequentemente, invece, risultano inaccettabili o molto marginali i derivati con
-bile da verbi psicologici transitivi in cui l'esperiente è costruito come argomento interno, e
quindi quest'ultimo viene a possedere un grado di animatezza / controllo pari o addirittura
maggiore di quello dell'argomento esterno: cfr. *annoiabile, *attraibile, *disgustabile,
*divertibile, *preoccupabile, *rallegrabile, *rattristabile. Anche qui si trovano formazioni
perfettamente naturali, che però appaiono quasi l'eccezione di fronte all'impossibilità di
derivati da verbi semanticamente molto affini: si confrontino irritabile con *innervosibile o
* seccabile, impressionabile con *angosciabile o *impauribile, eccitabile con *affascinabile
o *appassionabile ecc.1
Altrettanto inaccettabili sono i derivati dai pochi verbi transitivi ma chiaramente stativi
come *ingombrabile, *possedibile, *precedible / *seguibile (nei sensi stativi: non si può
dire *in italiano [m] non è mai precedibile da [s] sorda), oltre naturalmente ad *avibile,
come ci si può ben aspettare dato che avere non può nemmeno essere passivizzato.2
E forse superfluo sottolineare che queste restrizioni sono di natura semantica e non deri-
vano da eventuali incompatibilità puramente morfologiche del suffisso con determinate basi
verbali: infatti, quando la prefissazione muta i tratti di agentività / controllo, muta corri-
spondentemente l'accettabilità del derivato: cfr. perseguibile, conseguibile vs Eseguibile,
mantenibile, ottenibile vs 7tenibile; o, viceversa, occupabile ma *preoccupabile, e così via.
Una lacuna isolata ardua da spiegare con la semantica è invece l'impossibilità di *dabile
(vista la piena accettabilità dei suoi iponimi come cedibile, consegnabile, fornibile, presta-
bile, procurabile, regalabile, restituibile, vendibile). Qui forse è in gioco un fatto fonologi-
co, cioè la base monosillabica, che spesso è di ostacolo alla derivazione in generale (si noti
1
Questa differenza di comportamento tra i verbi psicologici del tipo temere e quelli del tipo preoc-
cupare è ampiamente discussa in Bisetto 2001a, 389-391, sia pure in una prospettiva leggermente
diversa.
2
II parametro del controllo appare in realtà più rilevante della agentività vera e propria: in effetti,
verbi non propriamente agentivi (in quanto non dinamici) ma con argomento esterno animato e
dotato di controllo sulla situazione dànno normalmente luogo a derivati in -bile pienamente accet-
tabili: cfr. abitabile, ascoltatile, concepibile, mantenibile, osservabile, pensabile, valutabile ecc.
424 5. Suffissazione
che datore, dativo e dazione sono tutti già latini, e limitati ad ambiti tecnico-specialistici;
d'altra parte, già 'ridabile appare almeno marginalmente accettabile).
Tornando alla parafrasi principale dei derivati in -bile, e cioè "che può essere PP", è op-
portuna qualche precisazione sulla componente modale che vi compare. Dei vari sensi
modali associabili a potere (cfr. anche Attili 1977, 186-187), sono pienamente disponibili
sia il valore di capacità / abilità "che è in grado di essere PP" (risultato prevedibile, tra-
guardo raggiungibile), sia quello deontico, "che è lecito, permesso V" (spese deducibili,
documento consultabile). Non di rado, entrambi questi significati sono compresenti in po-
tenza nello stesso derivato, anche se la conoscenza del mondo farà propendere in molti casi
quasi esclusivamente per l'una o l'altra accezione. Si possono comunque agevolmente
costruire esempi naturali con il doppio valore: una strada percorribile solo a piedi può
esserlo perché il fondo stradale è sconnesso (capacità) o perché c'è un divieto di accesso
alle auto (deontico).1
Talvolta, motivazioni pragmatiche possono aggiungere all'accezione di abilità una con-
notazione di facilità, quando la possibilità dell'azione in sé appare ovvia: alimento digeri-
bile, persona irritabile ecc. Un'altra connotazione interessante è quella limitativa-
peggiorativa, che si trova in espressioni di valutazione estetica come un vino bevibile, un
romanzetto leggibile, un arrosto mangiabile, un film vedibile. Anche qui il punto di parten-
za per l'evoluzione semantica è l'ovvietà dell'interpretazione letterale dell'aggettivo, che
richiede, perché il contributo comunicativo dell'espressione non sia nullo, l'aggiunta di una
connotazione ("appena bevibile" e sim.). In certi casi, la connotazione in questione appare
praticamente stabilizzata, e la pura accezione non valutativa è affidata a un'altra parola.
Cfr. un film vedibile vs una montagna visibile in lontananza; una pietanza mangiabile ma
un fungo 1mangiabile / commestibile (e analogamente bevibile vs potabile).
Similmente con ragioni pragmatiche e discorsive andrà spiegato il passaggio a
un'accezione deontica più forte: da "che è lecito V" a "che va PP": pagabile è ad esempio
in certi contesti forse da interpretare in questo senso (pagabile entro il 25 del mese), ma
l'interpretazione composizionale rimane disponibile (pagabile anche a rate). Questo pas-
saggio da "potere" a "dovere" deontico è particolarmente comune - lo stesso osserva Rai-
ner 1993a, 431 per lo spagnolo - nei derivati da verbi con semantica di valutazione, positi-
va o negativa: adorabile, apprezzabile, elogiabile, encomiabile, raccomandabile, stimabile,
venerabile-, censurabile, condannabile, detestabile, disprezzabile, esecrabile ecc. Ma anche
in questi casi, di solito il significato composizionale non è escluso: apprezzabile solo da
pochi, condannabile anche in contumacia.
Non sembra invece compatibile con -bile una terza importante modalità associata al ver-
bo "potere", e cioè quella epistemica: un enunciato come la domanda è accettabile non può
essere interpretato come equivalente a "può darsi che venga accettata".
E stato notato (cfr. 3.7.2.3.) che non pochi derivati in -bile decisamente marginali o inac-
cettabili migliorano radicalmente se prefissati con in-: cfr., tra i molti esempi possibili,
imperturbabile, imprendibile, inaffondabile, incolmabile, insormontabile, introvabile, il cui
corrispettivo positivo manca nel DISC, anche se è spesso presente nel più ampio GRADIT.
Questo fatto potrebbe costituire una difficoltà sul piano teorico (per lo meno in un modello
1
Un bell'esempio reale di consapevole e contemporanea attribuzione dei due significati è il se-
guente: Oggi la morte non è dicibile (non solo «non si può dire», ma «non bisogna» dirla) (F.
Camon, La Stampa 19-07-97,13).
5.2. Derivazione aggettivale 425
La possibilità vista sopra, che comunque esiste per molti verbi del tipo di affondare, può
forse rappresentare il tramite per un allontanamento molto più forte dal significato fonda-
mentale del suffisso: i derivati in -bile da verbi solo intransitivi. Quest'ultimo fenomeno,
peraltro, ha carattere molto più sporadico dei due precedenti. Occorrerà ulteriormente di-
stinguere (come fa anche Bisetto 2001a, 393 n. 7) tra derivati da verbi monovalenti (depe-
ribile, fallibile, fermentabile, franabile, galleggiabile, e anche stabile) e derivati da verbi
bivalenti non transitivi, con il secondo argomento retto da diverse preposizioni: a dativo
(affidabile se collegato ad affidarsi), a allativo (accessibile), ancora a, di e su con varie
funzioni argomentali (appellabile, derogabile, procedibile, rimediabile; disponibile,
(in)dubitabile, (usufruibile, godibile, risibile·, (in)eccepibile, sciabile). Una qualche pro-
duttività sembra confermata da esempi come il seguente: i link cliccabili costituiscono una
rete di richiami pressoché illimitata (La Stampa Tuttoscienze, 21-1-98, 1).
In questi casi marginali, l'effetto legittimante di in- discusso sopra sembra decisamente
più forte (cfr. Attili 1977, 193-195): si vedano immancabile, imprescindibile, inarrivabile,
incrollabile, inservibile, intramontabile, i cui corrispondenti positivi paiono davvero poco
accettabili, accanto a casi come irresistibile, irrinunciabile, dove i positivi esistono ma
sono con buona probabilità retroformazioni più recenti.
La regola produttiva di formazione dei derivati in -bile non presenta problemi di allomorfia:
il suffisso si aggiunge regolarmente al tema verbale, con il consueto passaggio della vocale
tematica da -e- a -i- per i verbi della seconda coniugazione.
Esistono invece allomorfie della base se si includono nella descrizione le formazioni non
produttive, ma chiaramente analizzabili. La più importante è data dagli aggettivi derivati a
partire da un tema identico al participio passato (divisibile, distruttibile, fattibile, flessibile,
risibile) o grosso modo coincidente con una versione «italianizzata» del participio perfetto
latino (ammissibile, comprensibile, corruttibile, visibile', per una trattazione sincrónica-
mente più convincente di queste formazioni, v. Rainer 2001a, 386-389). 1 Si tratta di un tipo
di allomorfia ricorrente nella morfologia derivazionale italiana (in prevalenza in strati del
lessico ereditati dal latino, ma anche in conii dotti posteriori su modello latino) che si in-
contra, sostanzialmente con le stesse modalità, nei nomi d'azione in -(z)ione e -(t)ura, nei
nomi d'agente / strumento in -(t)ore, in quelli di strumento / luogo in -(t)oiola e anche negli
aggettivi deverbali in -(t)ivo e -(t)orio trattati oltre in 5.2.2.2.4. Una discussione più ampia
di questa allomorfia si potrà pertanto trovare nel capitolo sui nomi d'azione (5.1.3.1.2.1.) e
in quello sui nomi d'agente (5.1.3.2.1.).
Rispetto a tutti i casi elencati sopra, peraltro, l'allomorfia in questione presenta caratteristiche un po'
speciali nel caso di -(i)bile, in quanto con questo suffisso appare in uno stato di regressione molto
maggiore (cfr. Rainer 2001a, 388 η. 7). Ciò si vede in particolare dalla buona quantità di doppioni
come comprimibile / compressibile, corrompibile / corruttibile, distruggibile / distruttibile, estendi-
bile / estensibile, inscrivibile / inscrittibile, percepibile / percettibile, trasmettibile (La Stampa 2 6 - 2 -
98,13) / trasmissibile, dove la variante costruita sul tema verbale, quasi sempre di più recente attesta-
si noterà che il tema del participio passato è sempre seguito da -i-, che non può essere una vocale
tematica (non pertinente al tema del PP): quindi, in termini di analisi, si dovrà parlare di un allo-
morfo -ibile del suffisso, contestuale all'allomorfia della base.
5.2. Derivazione aggettivale 427
zione (l'unica eccezione è distruggibile), sta soppiantando l'altra nell'uso. Inoltre, moltissime basi
verbali che presentano l'allomorfo participiale nei derivati in -ione (o negli altri tipi citati sopra),
presentano invece il regolare tema verbale in quelli in -bile. Cfr. aggressione / aggredibile, assunzio-
ne / assumibile, cessione / cedibile, composizione / componibile, confiisione / confondibile, congiun-
zione / congiungibile, conversione / convertibile, elusione / eludibile, estrazione / estraibile, pressio-
ne / premibile, produzione / producibile, tensione / fendibile; lettura / leggibile, rottura / rompibile,
scrittura / scrivìbile ecc.
Del tutto sporadiche sono altre allomorfie, che è difficile attribuire in sincronia alla base o al suf-
fisso, rintracciabili in parole di eredità latina come dissolubile, mobile, risolubile (accanto al regola-
rizzato risolvibile). Forse di un interfisso -esc-/-isc- si può parlare per concupiscibile, fermentescibile,
(im)marcescibile, mentre irascibile e putrescibile non hanno basi verbali identificabili in italiano.
Casi limite di suppletivismo della base (sempre di origine e trasmissione dotta) si incontrano quando
il significato morfologico del suffisso è intatto, ma la base non è riconducibile a nessun verbo in
sincronia (combustibile, commestibile, friabile, (in)delebile, malleabile, potabile, vulnerabile ecc.): si
tratta naturalmente di un caso diverso da quello di parole come flebile, labile, nobile ecc., che in
sincronia sono formazioni completamente opache. Infine, derivati in -bile si sono formati occasional-
mente da basi non verbali: da aggettivi (futuribile, perfettibile) e, appena un po' meno raramente, da
nomi (camionabile, carrabile, papabile, tascabile; cfr. 5.2.1.5.).
Interessante è una forma di selezione «in avanti» che il suffisso -bile impone alle derivazio-
ni successive: l'unico suffisso di nomi di qualità applicabile ad aggettivi in -bile è infatti
-ità. È peraltro dubbio se questa restrizione positiva, categorica, sia condizionata dalla mor-
fologia. Come nota Rainer 1989a, 124, essa si estende anche agli aggettivi in -bile non
analizzabili (come flebile, labile) e quindi non è a rigore propria del suffisso, ma piuttosto
fonologica.
Un ultimo aspetto formale da prendere in considerazione per un suffisso così produttivo
concerne la sua capacità di ereditare la struttura argomentale del verbo di base. Data la
grande generalità del suffisso, e soprattutto la frequenza di suoi usi quasi participiali (cioè
con forte mantenimento delle caratteristiche verbali-eventive della base), è da aspettarsi un
buon grado di conservazione del quadro argomentale di partenza. E in effetti è quel che
avviene. Considerando solo il tipo fondamentale, parafrasatale con "che può essere PP",
l'oggetto del verbo diventa l'argomento esterno dall'aggettivo in -bile, mentre gli eventuali
altri argomenti interni (preposizionali) del verbo - così come gli eventuali circostanziali -
sono mantenuti dall'aggettivo con la stessa reggenza preposizionale: trasportabile a Tori-
no / in Germania / sulla montagna, regalabile ai tuoi genitori, applicabile / estendibile a
chiunque, trasformabile in letto, confrontabile con il bilancio dell'anno scorso, rifornibile
di carburante in volo, separabile dai suoi cari, trattabile come un/da deficiente ecc. Come
già illustrato in 5.2.2.1.2., in alcuni casi gli aggettivi in -bile possono addirittura conservare
la reggenza senza preposizione del complemento predicativo. Tuttavia questa caratteristica
non è generale: per molti parlanti, forme come ?valutabile un milione, 7eleggibile sindaco
non sono realmente accettabili, mentre lo è sempre l'opzione di introdurre una reggenza
preposizionale assente nel verbo di base (valutabile a/in un milione, eleggibile a/come
sindaco).
L'argomento esterno del verbo appare generalmente realizzabile (come ci si può aspetta-
re data la semantica passiva della derivazione) con un sintagma preposizionale introdotto da
da; tuttavia, questa soluzione si incontra abbastanza di rado nei testi. Per esempio, nel mese
di settembre della Stampa '98 (in cui il numero di tokens di aggettivi in -bile da verbi tran-
sitivi è stimabile a oltre un migliaio) si trovano solo i seguenti sei casi: consultabili da pro-
428 5. Suffissazione
quella che di volta in volta si propone come la strategia prevalente: accettabile / temibile
per vs condivisibile / utilizzabile da vs comprensibile / visibile a. D'altra parte, non a tutti
gli zeri della tabella corrispondono scelte realmente inaccettabili: mentre ciò avviene
senz'altro per a,1 e forse anche nei pochissimi casi di per ( controllabile per i doganieri),
gli zeri delle prime due colonne indicano tutt'al più varianti meno preferibili, ma chiara-
mente accettabili (cfr. condivisibile, prevedibile da parte di chiunque e anche temibile,
auspicabile dai più).
È interessante confrontare il suffisso -evole con il suo stretto parente -bile, di cui condivide
l'etimologia (a parte l'incorporazione della vocale tematica), ma non le modalità di trasmis-
sione dal latino all'italiano: dotta per -bile, popolare per -evole (cfr. Rohlfs 1969, § 1150).
Si tratta di un suffisso da tempo poco o per nulla produttivo. Il DISC riporta due soli aggettivi dever-
bali in -evolè datati a dopo il '900: sporchevole (a. 1965, GRADIT 1963) e vomitevole (a. 1983). Il
lemmario molto più ampio del GRADIT arriva a registrarne una quindicina, ma l'unico (oltre a vo-
mitevole) che qualifica, con qualche larghezza, di uso comune è solletichevole (a. 1963). La produtti-
vità appare già bassa nei secoli precedenti: il GRADIT attribuisce solo 17 formazioni deverbali
all'800 (ma gli unici usuali sono ammirevole, deplorevole, riprovevole e valevole), e 11 al '700 (di
uso comune oggi solo cedevole e considerevole). Sia secondo i dati del DISC che secondo quelli
molto più abbondanti del GRADIT, la maggioranza delle formazioni (rispettivamente 105 su 184 e
250 su 429, incluse quelle non deverbali, prefissate e non trasparenti) è già attestata entro il Trecento,
con un ulteriore picco di produttività limitato al Cinquecento;2 e si noti che le datazioni sono ovvia-
mente termini ante quem. Il corpus giornalistico della Stampa '96-'98 presenta come neoformazione
il solo rimevole (Tuttolibri 24-2-96, 2), oltre a qualche termine raro non presente nel DISC, come
aiutevole (7-12-97,1) o ammaestrevole (17-12-98, 3), entrambi già attestati in Boccaccio.
Benché sostanzialmente improduttivo, il suffisso è tuttora ben presente nel lessico: Rainer
1989a, 126 indica come usuali una settantina di formazioni, il che coincide sostanzialmente
con le 79 definite di alto uso o di uso comune nel GRADIT; in grande maggioranza sono
morfologicamente trasparenti e deverbali. Il confronto tra la semantica delle sue formazioni
e quella del suo più fresco rivale -bile (che tra l'altro si è affermato a dispetto della sua
origine dotta) diventa quindi un modo per valutare gli effetti della marginalizzazione di un
suffisso sull'evoluzione semantica dei suoi derivati. Rispetto ai derivati in -bile, si constata:
(a) una molto minore composizionalità della semantica: il tratto modale è presente in alcuni
derivati (come pieghevole), ma assente o estremamente indebolito in altri (valevole "che
vale", stucchevole "che stucca" ecc.; scorrevole "che è in grado di scorrere", ma pratica-
1
Nel caso di a, appaiono per la verità inaccettabili per la competenza di chi scrive anche i passi
attestati nel corpus per accettabile (entro un anno troveremo una soluzione accettabile a tutti, La
Stampa 23-10-97, 10) e condivisibile (creare una piattaforma globale che possa essere condivisi-
bile a tutti gli operatori di telecomunicazioni del mondo, La Stampa 28-10-97, 22). Parecchi di
questi casi si incontrano in interviste con parlanti inglesi, nei quali è verosimile un calco meccani-
co della costruzione inglese con la preposizione to.
2
Che la produttività lessicale del Cinquecento si apparenti a quella trecentesca, mentre il Quattro-
cento spesso se ne discosta, è un fatto ben noto della storia dell'italiano, che riflette naturalmente
l'adozione cinquecentesca dei modelli letterari del Trecento.
430 5. Suffissazione
Quanto alle formazioni non produttive, una prima allomorfia riguarda proprio la vocale tematica,
poiché alcune basi in -ire (e rarissimamente in -ere) presentano la terminazione di eredità latina
-iente, oggi pronunciata con semivocale, ['je]: conveniente, dormiente, esauriente, esordiente, nu-
triente (eccezionalmente con iato: [i'e]), obbediente, proveniente, saliente (semanticamente alquanto
opaco), sapiente. Si può registrare anche abbiente, che mostra un'allomorfia idiosincratica della base
(presente peraltro nella flessione) e una rilevante lessicalizzazione. Con affricazione della [t] finale
della radice si hanno senziente e i più frequenti prefissati consenziente e dissenziente; con deriva
semantica, paziente. Un caso a parte di vocale tematica anomala è tagliente, da un verbo in -are.
Altre allomorfie riguardano la forma latina della base, come in attinente, residente, sofferente, tra-
smittente (anche nome), inquirente se connesso in sincronia con inquisire, fino ai numerosi casi di
basi totalmente irrecuperabili in sincronia (capiente, carente, eminente, indigente, latente, patente
ecc.). Infine, il tema verbale è ampliato da un interfisso -esc-l-isc- in appariscente, concupiscente,
marcescente, reviviscente (con allomorfia nel prefisso), turgescente (da una base verbale rara) e an-
che, con ulteriore aggiunta o cambio di prefisso, in effervescente ed evanescente; sempre che non si
voglia descrivere queste formazioni in termini di suffissi indipendenti -escente/-iscente, a cui si po-
trebbero ricondurre anche le più numerose formazioni senza base verbale italiana, come arborescente,
convalescente, fluorescente, fosforescente, incandescente, liquescente, putrescente ecc. Per alcune di
queste ultime è però proponibile una interpretazione in sincronia come denominali, anche debolmente
produttivi (cfr. 5.2.1.4.).
Tornando alla lista all'inizio del paragrafo, ci si può chiedere quale dei tre tipi fondamentali
di derivati (termini solo aggettivali, solo nominali e con entrambi i ruoli) sia numerica-
mente prevalente, soprattutto per quanto riguarda le parole formate in italiano e non di
eredità latina. Una risposta indicativa la può dare la consultazione elettronica del DISC.
Impostando una ricerca limitata ai lemmi di prima attestazione successiva al '700 e impo-
nendo la derivazione diretta da una base verbale, si possono identificare tre categorie: lem-
Ad ulteriore complicazione del quadro, si noti che non sarà sempre automatico invocare un proces-
so di conversione (nome-aggettivo o aggettivo-nome) ogni volta che siano attestati un uso aggetti-
vale e uno nominale per la stessa base. Ad esempio, per cantante, che può essere nome ("persona
che canta di mestiere") e molto più raramente aggettivo ("melodioso", come in una voce cantante),
non essendoci un rapporto semantico diretto tra i due usi, sembra molto più sensato parlare di due
distinti processi V —• Ν e V —»· A. Lo stesso per paziente o (forse) pulsante.
432 5. Suffissazione
mi solo nominali, solo aggettivali e con entrambi gli usi (questi ultimi raggruppano grosso
modo i tipi (c) e (d) dell'elenco). I risultati sono riassunti nella tabella 2:
1
La produttività di questo tipo, già evidente dai dati del DISC, risulta probabilmente sottostimata se
si considera che in quest'ambito rientra la grande maggioranza delle formazioni in -izzante, di cui
il lemmario del DISC dà solo una vaga idea, visto che ospita in tutto 45 lemmi in -izzante, di
fronte agli oltre 160 rintracciabili nel corpus della Stampa '96-'98.
5.2. Derivazione aggettivale 433
di questo tipo due sottotipi: i derivati da verbi stativi, come aggettante, assonante, coesi-
stente, culminante, ingombrante, persistente, pianeggiante, riflettente, ristagnante, soggia-
cente, sporgente, tondeggiante, vigente, e i derivati da verbi dinamici, limitati però di nor-
ma a quelli con soggetto tipicamente non animato e spesso con dinamica circoscritta nello
spazio: dilagante, ondeggiante, orbitante, oscillante, penzolante, scrosciante, sovraster-
zante, spumeggiante, traboccante, zampillante.
Dal quadro sopra delineato emerge come caratteristica comune della derivazione agget-
tivale in -nte il tratto della bassa agentività e controllo dell'argomento esterno (in modo in
fondo non dissimile dal contrasto -nte/-(t)ore per i nomi, cfr. Bisetto 1995, 51-52 e
5.1.3.2.1.). Una restrizione, si noti, opposta a quella evidenziata per -bile, e che oppone -nte
anche alle formazioni in -(t)ivol-(t)orio, dove i tratti di agentività non appaiono particolar-
mente pertinenti. Molto significativi a questo proposito risultano alcuni casi di selezione
semantica che la suffissazione in -nte opera sulle basi verbali: in particolare, un certo nume-
ro di verbi nettamente agentivi nel loro significato letterale ammettono un derivato in -nte
che tuttavia seleziona un significato metaforico del verbo, più psicologico che agentivo,
riconducendo la derivazione al tipo (a): castrante, disarmante, invadente, logorante, mas-
sacrante, seccante, sferzante, straziante, trascinante. Analogamente, nell'ambi-to del tipo
(c) si possono collocare alcune formazioni derivate da verbi di per sé compatibili con sog-
getti animati, ma che sono preminentemente impiegate in senso metaforico e riferite ad
entità non animate: disoccupazione galoppante, inflazione strisciante, andamento / politica
zigzagante ecc.
La preferenza per basi verbali caratterizzate da una bassa agentività / controllo del sog-
getto è molto chiara per i verbi psicologici: mentre quelli in cui l'esperiente funge da og-
getto formano, come si è detto, moltissimi derivati in -nte, ben pochi sono i derivati da
verbi psicologici in cui l'esperiente sia soggetto (si noti anche qui la sostanziale comple-
mentarità rispetto a -bile)·, risalenti agli ultimi tre secoli e inclusi nel DISC si possono solo
citare esitante, gongolante, intrigante, tripudiante. Probabilmente questa possibilità era
meno marginale in fasi precedenti della lingua, data la consistenza un po' maggiore di si-
mili formazioni tuttora usuali ma risalenti a prima del '700: adorante, amante, delirante,
dubitante, ignorante, raggiante, sognante, sprezzante, tentennante, titubante, tollerante,
trepidante, trionfante.
Derivati con argomenti esterni ancora più in alto nella scala di agentività / controllo del
soggetto non sono frequenti, e non di rado non sembrano completamente affrancati come
aggettivi, in quanto il loro uso appare spesso circoscritto a collocazioni rigide come medico
curante, impianto frenante, l'io narrante, ala tornante, personale viaggiante e simili.
Un ultimo sottotipo molto produttivo di cui il DISC darebbe un'idea del tutto riduttiva è
dato dalle formazioni in -eggiante. Il DISC ne annovera in tutto appena 30; nel corpus della
Stampa '96-'98, invece, ne sono presenti 150 (ancora ben di più dei 106 attestati nel
GRADIT). Non molte presuppongono un verbo in -eggiare consolidato nel lessico, o alme-
no attestato nello stesso corpus, anche se di solito il verbo in -eggiare appare una formazio-
ne plausibile. Una simile propensione per basi verbali in -eggiare da parte del suffisso in
esame non stupisce: in effetti tra tutte le derivazioni verbali, quella in -eggiare è la meno
eventiva, la più tipicamente orientata a denotare una proprietà, ed è quindi pienamente
compatibile con le caratteristiche semantiche di -nte descritte fin qui. I principali tipi nomi-
nali e aggettivali che fanno da punto di partenza per le numerosissime neoformazioni in
-eggiante sono inoltre tra i più adatti alla formazione di lunghe serie aperte di derivati, e
434 5. Suffissazione
precisamente: (a) aggettivi etnici (ovviamente a cui sia attribuibile un rilievo culturale o un
cliché consolidato): africaneggiante, americaneggiante, arabeggiante, bizantineggiante,
cineseggiante, cubaneggiante, messicaneggiante, spagnole ggiante ecc., fino ai meno pro-
babili turcheggiante, etruscheggiante e addirittura aztecheggiante (sull'enorme e atzecheg-
giante [sic] telone multicolore, G. Culicchia, La Stampa 17-10-98, 45); (b) aggettivi desi-
gnanti partiti o posizioni politiche: anarchicheggicmte, comuniste ggiante, democristiane g-
giante, fascisteggiante, giacobine ggiante, liberaleggiante, marxiste ggiante, nazisteggiante,
socialisteggiante ecc.; (c) aggettivi designanti periodi storici, stili o tendenze artistico-
culturali e simili: astratteggiante, cubisteggiante, ereticheggiante, futuristeggiante, goti-
cheggiante, liricheggiante, neoclassicheggiante, sinfonicheggiante, stoicheggiante ecc.; (d)
nomi propri: dannunzieggiante, guttuseggiante, maradoneggiante, mozarteggiante. Non
sono escluse basi straniere (darkeggiante, punkeggiante, rappeggiante, reggaeggiante,
yuppeggiante) né, ovviamente, occasionalismi intenzionalmente umoristici (si è anche
esibito in alcuni orsacchiotteggianti passi di danza, G. Culicchia, La Stampa 19-2-98, 43).
Si sarà notato che almeno per i tipi (a) - (c), il passaggio attraverso la fase intermedia del
verbo in -eggiare (spesso solo teorica!) non sembra apportare molto alla semantica, che non
è troppo lontana da altre possibili derivazioni aggettivo-aggettivo, come le alterazioni e
soprattutto quella in -oide o talvolta in -esco (cfr. spagnolesco, turchesco).
Infine, per quanto riguarda la struttura argomentale, un elemento caratterizzante gli ag-
gettivi in -nte, che li oppone nettamente ai derivati nominali, è la diversa modalità di
espressione dell'argomento interno, per lo meno nei verbi transitivi. Ovviamente gli usi
participiali conservano la reggenza verbale dell'argomento interno e in particolare quella
senza preposizione dell'oggetto: il plico contenente le prove d'esame, un elemento caratte-
rizzante gli aggettivi (cfr. la frase usata poco sopra). Nel caso dei nomi in -nte derivati da
verbi transitivi, la reggenza senza preposizione non è disponibile, ma è normale la conser-
vazione dell'argomento interno attraverso il sintagma preposizionale introdotto da di, come
per i nomi d'azione e quelli d'agente in -tore: il rappresentante della Francia, un cantante
di Lieder, gli insegnanti di latino, gli sfidanti della capolista, un trafficante di eroina ecc.
Ci si aspetterebbe che una strategia analoga fosse disponibile per gli usi aggettivali, ma ciò
non sembra avvenire, se non per una delle categorie semantiche principali sopra individua-
te, cioè quella dei verbi trasformativi, quando gli aggettivi derivati sono riferiti a sostanze
(e anche qui non senza difficoltà): ?wn prodotto ricostituente dell'organismo, !le sostanze
lubrificanti del motore. Probabilmente non a caso, questi usi marginalmente accettabili
corrispondono a termini largamente impiegati (per conversione) anche come nomi, e in
questa funzione l'accettabilità dell'argomento interno con di migliora radicalmente: un
ricostituente dell'organismo, il lubrificante del motore. Fuori da questo tipo, sono sporadici
i casi in cui di è accettabile, come un tipo amante del rischio, osservante delle regole. In
particolare, con verbi psicologici in cui l'oggetto è l'esperiente, di è assolutamente impos-
sibile, mentre rimane praticabile (come spesso avviene) la marcatura con la preposizione
per, dal carattere meno strettamente argomentale: attraente / interessante / massacrante /
preoccupante / urtante *dUper molti.
Per molti verbi bivalenti non transitivi, invece, gli argomenti interni diversi dall'oggetto
si mantengono: aderente / resistente a, mancante / sofferente di, confinante con, differente
da. In questi casi, la garanzia di aver a che fare con un uso aggettivale e non participiale si
potrà non di rado ricavare da test come l'uso predicativo (il mio podere è confinante con la
sua tenuta, il suo ultimo libro è molto differente dai precedenti) o la modificabilità di grado
5.2. Derivazione aggettivale 435
L'allomorfia in questione riguarda essenzialmente parole ereditate dal latino, o costruite per via dotta
su modelli latini (e poi anche francesi e inglesi). La possibilità di nuove formazioni non è esclusa: per
i due suffissi qui presi in esame, date «tarde» del DISC e del GRADIT (ovviamente tutte ante quem·,
si cita la meno recente delle due) includono ritorsivo (a. 1990), esattivo (a. 1987), estorsivo (a. 1983),
predittivo (a. 1979), oppositivo (a. 1978), interattivo (a. 1962), pervasive (a. 1951), erettivo (a. 1950);
cursorio (a. 1983), pressorio e puntorio (a. 1958). Non incluse nel DISC o nel GRADIT, ma presenti
nel corpus della Stampa, quindi presumibilmente neoformazioni, sono inoltre concessorio (21-11-96,
17; 30-7-97, 17; 20-6-98, 14), confusorio (8-2-97, 14), depressorio (27-1-97, 21), dissolutorio
(15-1-97, 13; 5-10-98,27), torsive (13-10-98, 29).
Proprio in virtù dell'esistenza di queste formazioni recenti è preferibile, seguendo Rainer 2001a,
386-389, considerare come allomorfo della base quello che si ricava dal corrispondente nome
d'azione in -ione, disponibile alla competenza sincronica dei parlanti a differenza del participio per-
fetto latino (che per di più non può essere la base di alcune di esse, come quelle in -torsive nell'elenco
dato sopra). In effetti le neoformazioni sopra indicate possono quasi tutte contare su un preesistente
nome d'azione in -ione (le eccezioni sono cursorio, pervasivo e puntorio, per le quali andrà invocato
un modello diretto latino o inglese, o il nome d'azione in -tura). Un ulteriore argomento a favore di
questa scelta è l'esistenza di derivazioni presumibilmente recenti come manutentivo (a. 1992; GRA-
DIT), ablutorio (a. 1987; DISC), inflattivo (a. 1974), ablatorio (a. 1968; DISC), cognitorio (a. 1956),
deflatorio (a. 1956), dove non c'è una possibile base verbale disponibile, ma ci sono invece i rispettivi
nomi in -ione.
1
Non si considera qui il suffisso nominale -(t)orio di osservatorio ecc., usato per nomi di luogo (cfr.
5.1.3.4.1.), che in sincronia si configura ormai come omonimo di quello in questione, senza rap-
porti semantici evidenti. Sia -(t)ivo che -(t)orio, inoltre, presentano alcune formazioni con uso an-
che o prevalentemente nominale (digestivo, lenitivo, preservativo; contraddittorio, divisorio), per
le quali appare adeguata una descrizione in termini di conversione A —• N, parallela al tipo (c)
delle formazioni in -nte discusse sopra in 5.2.2.3.
436 5. Suffissazione
Come avviene per -ione (ribellione, unione), -ura {procedura) e -ore (controllore, gestore), anche
gli allomorfi -ivo e -orio possono sporadicamente combinarsi alla radice: connettivo, combattivo,
nocivo (con allomorfia), resistivo", meritorio, sussultorio.
Un secondo parallelo formale tra i due suffissi riguarda la selezione dello stesso suffisso per
i nomi di qualità, cioè -ità per -(t)ivo (comunicatività, creatività ecc.) e il suo allomorfo -età
per -(t)orio. Peraltro, da basi in -(t)orio sono pochissime le formazioni usuali, come con-
traddittorietà, esecutorietà, obbligatorietà, ma il processo è produttivo, come rileva Rainer
1989a, 119 e confermano un paio di neoformazioni giornalistiche dal consueto corpus della
Stampa: provocatorietà (26-8-96, 20 e 27-3-97, 1) e vessatorietà (26-10-96, 45; 1 0 - 2 -
97, 6; 27-10-97, 6).
Un'ultima questione formale concerne l'eventuale esistenza di restrizioni morfologiche
sulle formazioni in -(t)orio e -(t)ivo. Come si è anticipato in 5.2.2.1.4., si può registrare una
certa correlazione negativa tra derivazioni in -(t)ivol-(t)orio e basi morfologicamente com-
plesse, forse attribuibile a fattori in parte fonologici (la lunghezza dei derivati da verbi in
-ificare, -izzare ed -eggiare: si noti che sono frequentissimi i più brevi derivati in -ificante
ecc.) e in parte sociolinguistici (il frequente conflitto di registro tra i suffissi coinvolti). Ma
il tutto non sembra formulabile in termini di restrizioni morfologiche vere e proprie.
I dati del GRADIT escludono infatti l'ipotesi per il suffisso -ificare (non sono pochissime le forma-
zioni come classificatorio, falsificatorio", giustificativo, semplificativo, anche se quelle novecentesche
sono appena una quindicina in tutto), mentre per gli altri due suffissi le attestazioni lessicografiche
sono decisamente limitate. La combinazione relativamente meno rara sembra essere -izzativo, per la
quale il GRADIT fornisce localizzativo, organizzativo, realizzativo, socializzativo e urbanizzativo,
tutte formazioni novecentesche, a cui già il corpus della Stampa '96-'98 permette di aggiungere
almeno utilizzativo (19-7-96, 37) e soprattutto autorizzativo (ben 32 occorrenze). Ma per le altre tre
combinazioni ci si limita a cinque lemmi in tutto: vezzeggiativo, lottizzatorio e i rari sbeffeggiativo,
beffeggiatorio, sceneggiatorio. Per quanto riguarda -(t)orio, peraltro, il corpus giornalistico fornisce
qualche ulteriore attestazione: moralizzatorio (10-3-98, 8), privatizzatorio (28-11-96, 9) e palpeg-
giatone (&-4~9T, 10, sia pure da una formazione in -eggiare morfologicamente anomala). La combi-
nazione più problematica parrebbe senz'altro -eggiativo, dove si avverte maggiormente il conflitto di
registro tra il popolare / espressivo -eggiare e il formale / scientifico -(t)ivo. Dati analoghi si possono
trovare per basi parasintetiche, per le quali esistono certamente derivati di uso comune, anche se non
molto numerosi (ad esempio accumulatorio, incriminatorio, infiammatorio; addestrativo, assicurati-
vo, associativo, innovativo). Un forte conflitto di registro sembra inoltre ipotizzabile per eventuali
derivati dagli alterati verbali in -acchiare/-ucchiare/-icchiare\ in effetti, il DISC e il GRADIT non ne
registrano affatto, e il corpus giornalistico ha solo rosicchiatorio (7-10-96, 4); in questo caso, peral-
tro, la bassa frequenza delle stesse basi rende meno probante l'assenza dei derivati.
Si può notare incidentalmente che per le formazioni aggettivali, a differenza che per quelle
nominali (cfr. 5.1.3.3.3. e 5.1.3.4.1.), non c'è competizione tra -(t)orio e la sua variante
popolare -(t)oio: quest'ultima non ha praticamente derivati aggettivali nella lingua contem-
poranea, se si eccettuano scorsoio e levatoio nelle due polirematiche nodo scorsoio e ponte
levatoio, più un aggettivo toscano di ambito rurale {frutto spiccatoio "la cui polpa si stacca
facilmente dal nocciolo").
Entrambi i suffissi -(t)ivo e -(t)orio sono decisamente produttivi anche in tempi recenti:
includendo le sole formazioni dal tema verbale ed eliminando i prefissati o composti di
derivati già esistenti, il DISC data a dopo il '900 un'ottantina di formazioni per -torio e
oltre un centinaio per -tivo, e un buon numero di neoformazioni non registrate né dal DISC
5.2. Derivazione aggettivale 437
Qualche volta dalla parafrasi finale "che serve a V" può originarsi, con verbi intransitivi,
un'accezione chiaramente causativa: farmaco digestivo, vomitativo. In elettivo, al contrario, si ha
una parafrasi passiva: assemblea elettiva "che viene eletta". Anche l'accezione media-intransitiva
è possibile, per esempio in aggiuntivo, ripetitivo (accanto a quella passiva).
2
La grande diffusione di questo impiego di relazione dei derivati in -(t)ivo e -(t)orio sarà tra le
cause della relativa rarità del procedimento, più trasparente ma meno economico, di derivare ag-
gettivi di relazione regolarmente da nomi in -(z)ione, anche se naturalmente doppioni esistono, non
necessariamente sinonimi: cfr. derivazionale / derivativo, direzionale / direttivo, flessionale / fles-
sivo, intonazionale / intonativo, nutrizionale / nutritivo, operazionale / operativo / operatorio, ro-
tazionale / rotativo / rotatorio, vibrazionale / vibratorio ecc. Si noti che i lemmi deverbali in
-(z)ionale registrati dal GRADIT risalgono quasi interamente al dopoguerra, e Valesio 1967, 361—
363 li qualifica globalmente come anglismi, prevedendone l'espansione.
438 5. Suffissazione
Diverse sono ad esempio le opinioni di Dardano 1978, 75, che considera -(t)ivo e -(t)orio come
denominali, e di Rainer 1993a, 656, che per lo spagnolo opta per la compresenza di due tipi di
formazione distinti. Una derivazione schiettamente denominale in -ivo - senza cambio di suffisso!
- andrà comunque ammessa per casi come agentivo, boschivo, festivo, oggettivo, olfattivo, sporti-
vo, forse rafforzata dall'ambiguità categoriale delle basi in casi come contrastivo, riassuntivo, udi-
tivo, ecc. In qualche caso, come televisivo, l'assenza di una plausibile base *televedere obbliga an-
che ad ammettere una derivazione denominale con cambio di suffisso, da televisione (cfr.
5.2.1.1.2., dove peraltro si attribuiscono a -ivo denominale molti più casi rispetto a quanto si so-
stiene qui). Anche per -orio si possono citare alcuni casi di derivazione denominale (creditorio,
debitorio, forse anche motorio): anche qui esiste il tramite di formazioni categorialmente ambigue
come meritorio, sussultorio.
2
Non mancano comunque le eccezioni, come sbalorditivo, sbrigativo, spicciativo, formati a partire
da basi lontanissime dagli ambiti tecnico-scientifici consueti per questi suffissi. Si sottraggono
5.2. Derivazione aggettivale 439
inoltre alla tendenza sopra menzionata molte neoformazioni in -(t)orio con connotazione negativa
(vedi oltre).
440 5. Suffissazione
ni non si incontrino affatto con -(t)ivo, per cui - con la dovuta cautela - si può ipotizzare
che nell'ambito delle neoformazioni -(tJorio stia acquisendo una maggiore autonomia se-
mantica da -(t)ivo e stia nel contempo perdendo la sua limitazione a sfere lessicali lontane
dal quotidiano.
agile, duttile, facile, fossile, fragile, utile ecc. Si trova soprattutto in aggettivi a carattere tecnico-
scientifico, oltre che in alcuni artificiosi occasionalismi letterari: flessile (la LIZ registra esempi di
Vico, Pascoli, D'Annunzio), cottile (D'Annunzio).
La maggioranza dei derivati in -ndo, modellati sul gerundivo latino, sono prioritariamente nomi,
anche se per parecchi il DISC registra un uso aggettivale, presumibilmente per conversione. Per ogni
considerazione semantica si rimanda perciò a 5.1.3.5. Tra i pochi aggettivi indubbiamente consolidati
nel lessico troviamo costituendo, erigendo, esecrando, istituendo, venerando e forse anche reverendo,
oltre ad alcuni altri menzionati dal DISC ma decisamente rari e letterari (abominando, celebrando,
intollerando (!), memorando, vituperando). Tuttavia anche la formazione aggettivale in -ndo gode di
una certa produttività, per lo meno nel linguaggio giornalistico. Oltre a privatizzando, che compare
nelle tre annate della Stampa '96-'98 con ben 26 occorrenze e non ha quindi certo carattere di occa-
sionalismo, non sono rarissimi usi come i seguenti: un pezzo della restaurando de (8-1-96, 2), la
cultura è ormai dimenticando (12-9-96, 41), sulle ritrovande sinergie bilaterali (20-12-96, 27), gli
unificandi gruppi dirigenti (14-7-97, 2), auto «rottamande» (10-1-98, 37), alla ristrutturando reg-
gia sabauda (10-5-98, 32). A parte stanno stupendo e tremendo, ormai riconducibili alle basi solo
con difficoltà, e inoltre problematici per la semantica dell'eventuale suffisso, qui addirittura causativa,
come già in latino.
Il suffisso -torio ha un minimo di autonomia rispetto all'omonimo suffisso nominale trattato in
5.1.3.6., perché non ne condivide la semantica di beneficiario (si apparenta invece alle poche forma-
zioni nominali con semantica agentiva, come firmatario). Chiaramente aggettivali sono almeno con-
testatario, protestatario e rinunciatario (tutti datati dal DISC e dal GRADIT al '900) e prioritaria-
mente aggettivale sembra anche ritardatario (che potrebbe però anche essere convertito da N).
La sequenza finale -ticcio è da analizzare come suffisso per casi come appiccicaticcio, attaccatic-
cio, raccogliticcio (e pochi altri non comuni come cascaticcio) che non sembrano semanticamente
trattabili come alterati con -iccio a partire da un participio passato aggettivale; raccogliticcio neanche
formalmente.
I continuatori del participio futuro latino in -(t)uro (oltre ovviamente a futuro, non analizzabile)
sono limitati in italiano ai seguenti aggettivi, tutti ancora motivati in sincronia (con la semantica "che
sta per V, destinato a V"): duraturo, morituro, nascituro (più spesso N), perituro, redituro (letterario
e con base rara), venturo (con allomorfia «latina» del participio passato). Non sembra si possa ipotiz-
zare alcuno stabile incremento della lista: un occasionalismo come al «resurrecturo» Massimo di
Palermo (La Stampa 15-12-96, 21) con le virgolette e la forma latina conferma, più che smentirla,
l'improduttività del suffisso, tanto più che risurretturo ha attestazioni letterarie novecentesche (Pa-
scoli). Il GRADIT registra tuttavia percetturo, datandolo al 1966.
Tutte le formazioni in '-«to sono ereditate dal latino; le seguenti sono presumibilmente ancora mo-
tivate: credulo (molto più frequenti i derivati incredulo e credulone), garrulo, péndulo, stridulo,
tremulo.
Formazioni isolate, anche se non opache per quanto riguarda la base, sono caduco, fuggiasco (an-
che N), guardingo, ridanciano e (con semantica speciale, causativa) ridicolo-, forse anche taciturno,
che in sincronia sembrerebbe più da collegare a tacere che a tacito, e giocondo, se connesso pareti-
mologicamente con giocare.
Infine, si può segnalare un processo di formazione di aggettivi deverbali che ha goduto di una
qualche produttività in passato, e che può essere interpretato in termini di conversione V —> A, pro-
cesso inverso del più comune A —» V: sono i «participi accorciati» toscani oggi solo aggettivali, come
adorno, avvezzo, carico, colmo, frusto, gonfio, guasto, logoro, pesto, scemo, storpio, stufo, sveglio,
tocco e altre formazioni analoghe (ma non riconducibili a participi) come brillo, sdrucciolo, spiccio.
Su questo cfr. 7.3.2.1.1.
Esistono alcuni suffissi dallo status tutt'altro che marginale nella morfologia italiana, che
però entrano solo marginalmente in considerazione qui, perché formano aggettivi deverbali
442 5. Suffissazione
1
Per una lettura un po' diversa del fenomeno cfr. Dressler 1989, 7 e Dressler / Doleschal 1990-
1991.
444 5. Suffissazione
Considerazioni analoghe a quelle fatte per -(t)ore valgono per altri deverbali d'agente
prioritariamente nominali. In particolare, per quanto riguarda -ino (cfr. 5.1.3.2.3.), soltanto
chiacchierino, sbarazzino, sparagnino (qui per di più la base è di uso solo regionale) sono
chiaramente aggettivali. Altrettanto orientato in prevalenza su formazioni nominali è il
deverbale -one (cfr. 5.1.3.2.4.); del resto, in questo caso anche -one deaggettivale ha carat-
teristiche nettamente nominali (cfr. Dressler / Merlini Barbaresi 1994, 432). Largamente
usate come aggettivi sono formazioni come brontolone, pasticcione, piagn(ucol)one, sciu-
pone, sprecone, benché non sia facile dire se siano da considerare prioritariamente tali. Si
noti che solo la funzione attributiva è possibile: rabbia piagnono (La Stampa 22-5-97, 7),
una Fiorentina bella e sciupona (La Stampa 6-4-97, 31); altrimenti si preferisce ricorrere a
una sintassi nominale (è un piagnone, non *è piagnone). Formanti alterativi, con l'ulteriore
presenza di interfissi, si trovano anche in ballerino (discutibile se sia prioritario Ν o A),
canterino, salterino, cantatolo, litigarello, ridarello: si tratta di tipi attestati anche nei de-
verbali nominali, specie strumentali (cfr. 5.1.3.3.6.).
Infine, -ista cumula i due tipi di marginalità visti in questo e nel precedente paragrafo,
poiché non è prioritariamente deverbale e nemmeno prioritariamente aggettivale. Cionono-
stante, formazioni come attendista, dirigista, entrista, garantista, trasformista, tutte neces-
sariamente deverbali a meno di derivarle dai rispettivi nomi in -ismo con cambio di suffis-
so, sembrerebbero proprio da descrivere come prioritariamente aggettivi, per lo meno
nell'uso contemporaneo.
Anche per l'analisi generale dei fenomeni alterativi delle varie categorie sintattiche e per un detta-
gliato resoconto sui singoli suffissi alterativi si rimanda a 5.1.1.7.
5.2. Derivazione aggettivale 445
1
Sugli aggettivi di colore, cfr. Grossmann 1988, più particolarmente le pagine 63-74, 160-161,
202, 206-208 e 231-240.
446 5. Suffissazione
con altri. Neppure -iccio, più produttivo, può competere con i suffissi liberamente produtti-
vi, -ino, -etto, -elio, -uccio.
I suffissi accrescitivi e peggiorativi, come -one, -accio, -ardo, e in minor misura -astro,
applicati all'aggettivo, comportano, per la maggior parte dei casi, una sostantivazione
dell'alterato (cfr. Mutz 2000, 28), come in bellona, morettona, biondone, grassone, ricca-
stro, poveraccio, mattacchione, nei quali si perde traccia della modificazione di grado, a
favore, piuttosto, di un valore fisso, emblematico, che spesso si cristallizza in forme lessi-
calizzate (la bellona mi sorrideva, ho visto un poveraccio). Questo fatto limita l'impiego di
tali suffissi in aggettivi aventi funzione attributiva, come una signora bellona, e soprattutto
li blocca nella funzione predicativa (*la signora è bellona-, si confronti con una signora
bellina / belloccia o la signora è bellina / belloccia), riservandoli invece alla funzione i-
dentificativa tipica del nome ed eventualmente alle funzioni pragmatiche di cui si è detto
sopra (a proposito di povero). La restrizione tuttavia non è assoluta, essendovi casi di accre-
scitivi perfettamente accettabili, come in due gambe grossone / le gambe sono grossone e
storte. In espressioni scisse del tipo Curiosone che non sei altro! oppure in appellativi del
tipo Curiosone!, la categoria sintattica è coperta e oscillante fra l'interpretazione sostanti-
vale e aggettivale. Comunque, come vedremo, l'italiano preferisce esprimere con altre
forme l'intensificazione di grado, con modificatori avverbiali o, per i gradi alti, con
l'elativo {una signora bellissima, la signora è bellissima). Più rare forme di lessicalizzazio-
ne con cambio di categoria sintattica si hanno anche con suffissi diminutivi, come rossetto,
bianchetto, neretto, bassotto, sofficini "frittelle di pesce", amaretto ecc.
Sono suffissi attenuativi 1 produttivi i seguenti: -ino di magrolino, novellino, ricciolino,
ridicolino ecc.; -etto di aspretto, bassetto, grassetto, larghetto, piccoletto, rotondetto ecc.
(si veda anche il pascoliano giganti giovinetti)·, -elio di grandicello, paffutello, picchiatello,
vecchierello, viziatello; -uccio di borghesuccio, caruccio, deboluccio, pettegoluccio, pic-
cantuccio ecc.; -uzzo di malignuzzo, pedantuzzo, saccentuzzo, tisicuzzo ecc.; -otto di alle-
gro tto, anzianotto, bassotto, grassotto, pienotto, sempliciotto, vecchiotto ecc. Sono da poco
produttivi a improduttivi i seguenti: -astro di biondastro, giallastro, grigiastro, rossastro,
sordastro; -iccio di alticcio, arsiccio, biondiccio, malaticcio, molliccio, pallidiccio, suda-
ticcio, umidiccio ecc.; -ozzo di largozzo, pienozzo', -occio di belloccio, grassoccio-, -occhio
di santocchio-, -occhio di far bacchio, verdacchio-, -acchi-one di mattacchione-, -acchi-otto
di furbacchiotto-, -icchio di mollicchio-, -ecchio di rubecchio-, -igno di agrigno, asprigno,
dolcigno, gialligno, rossigno-, -ign(-acc)-olo di rossignolo, stortignaccolo; -ognolo di ama-
rognolo, azzurrognolo, cenerognolo, giallognolo, verdognolo-, -uolo di tristanzuolo-, '-ulo di
acidulo.
Tra i suffissi rafforzativi, il più produttivo è -one: contentone, curiosone, fiirbone,
ghiottone, grassone, con variante improduttiva -igli-one di grandiglione e con vari possibili
cumuli, come -acci-one di sporcaccione (si veda anche quello zelo un tantino fresconcello
in Gadda, C. E., Quer Pasticciaccio brutto de via Merulana, Milano, Garzanti, 1991, 176).
1
II suffisso diminutivo polare -ino può produrre un effetto di intensificazione se apposto alle basi
piccolo e piccino sulle quali la diminuzione quantitativa operata dal suffisso apporta ulteriore pic-
colezza, come in un appartamentino piccolino "minusculo"; se tuttavia l'uso di -ino ha uno scopo
pragmatico (per esempio, espressione di tenerezza, come in piccinina mia), l'effetto di intensifica-
zione fa riferimento all'emozione del parlante e non alla qualità espressa dall'aggettivo. L'effetto
di intensificazione semantica non è altrettanto evidente con gli altri suffissi diminutivi.
5.2. Derivazione aggettivale 447
Il suffisso -otto e il poco produttivo -igno di babbigno, fortigno presentano entrambi una
semantica ambiguamente oscillante tra attenuativo (vedi sopra) e rafforzativo (cfr.
5.1.1.7.16.).
I suffissi alterativi peggiorativi hanno pure funzione rafforzativa e la loro semantica in-
fluisce scarsamente sul significato della formazione. Il più produttivo è -accio: avaraccio,
poveraccio, riccaccio ecc., con la variante meno frequente -azzo (cfr. anche il cumulo -on-
azzo di infamonazzo in D'Arrigo, S., Horcinus Orca, Milano, Mondadori, 1975, 94). Scar-
samente produttivi sono -astro (biancastro, dolciastro, pallidastro) e -ardo {patriottardo,
sessantottardo, vecchiardo).
-(ol)ino -etto -igno -ognolo -astro -accio -occhio -iccio -one
-(c)ino
Bianco + L + + + +
Nero L + + + + +
Rosso + L + + + +
Verde + + + + + +
Giallo + + + + + + + +
Grigio + + + + + +
Marrone (-e-) +
Rosa + + +
Viola + -aceo*
Biondo + + + + +
Bruno + + +
Azzurro + + + + +
Celeste +
Bigio +
Blu -ette** +
Turchese ' +
Turchino + +
Vermiglio
Beige (-ol-) +
Cenere +
Arancione
Porpora
Indaco
Tabella 1: L'alterazione degli aggettivi di colore (L = lessicalizzato; * = solo in questo termine, con
significato attenuativo; ** = suffisso francese)
Merita di nuovo soffermarsi sull'alterazione degli aggettivi di colore, che condividono una
specifica gamma suffissale, con alcune selezioni operate dalle basi, come si vede dalla
tabella 1 (contenente, oltre ai colori di base, una scelta di altri termini designanti colori,
rappresentativi dei vari comportamente morfologici). In generale, dalla tabella si evince che
solo una parte dei suffissi alterativi aggettivali si adatta ai colori; che il suffisso -ino è anche
negli aggettivi di colore quello più produttivo, seguito da -astro', che giallo è la base che
ammette il maggior numero di suffissi alterativi; che i termini originati da similitudine o
metafora, spesso invariabili, sono anche scarsamente alterabili.
I termini di colore invariabili per genere e numero - rosa, viola - diventano variabili
nella forma alterata, come in le pareti rosine, le nuvole violette, i fumi violetti. I termini
448 5. Suffissazione
arancione, il cui suffisso -one è derivazionale piuttosto che alterativo (del tipo di argento-
ne) e turchese sono invariabili solo per genere, come si vede in le maglie arancioni / tur-
chesi. Il termine turchino, come in la fata dai capelli turchini (personaggio della favola di
Pinocchio), è variabile ed implica un processo di troncamento turch(ese) con aggiunta di
-ino alterativo che non impedisce la suffissazione ulteriore (normale cumulo), per esempio,
buttata nell'acqua che diventava turchiniccia (Fucini, R., Le veglie di Neri). I termini beige
e cenere sono invariabili per genere e numero e sono scarsamente alterabili, mentre indaco
e porpora e, analogamente, acquamarina, fucsia, malva ecc. sono invariabili e inalterabili.1
Vermiglio è variabile per genere e numero ma non alterabile.
Il suffisso -one comporta spesso, anche nei colori, una sostantivazione dell'alterato. An-
che il suffisso -accio seleziona di preferenza l'uso sostantivale del colore (è di un verdaccio
/giallaccio /neraccio orribile), normalmente sostituito da -astro per l'uso aggettivale.
Gli aggettivi alterati in posizione attributiva sono sempre posposti al nome, se si eccet-
tuano usi letterari celebri, come il giovanetto anno di Dante, le giovanette menti del Petrar-
ca o la pargoletta mano del Carducci, nonché il più recente gaddiano bianco-azzurrini
finocchi (Gadda, op. cit., 241).
La doppia attribuzione del suffisso all'aggettivo e alla testa del sintagma ottiene in gene-
re connotazioni irridenti o tenere, come in femminuccia borghesuccia, mogliettina perfetti-
na, bimbolino sciocchinino ecc. ed è evitata in situazioni riormali, in quanto una forma
suffissata è sufficiente ad alterare l'intero enunciato (cfr. Dressler / Merlini Barbaresi 1994,
218-221).
L'elativo (cfr. Dressler / Merlini Barbaresi 1994, 491), detto anche superlativo assoluto, è
un'operazione morfologica che fa uso del suffisso -issimo2 per intensificare la qualità
espressa da una base aggettivale. Con l'elativo si esprime il grado più elevato di intensità su
una scala che vede valori alti ma non polari (cfr. Rainer 1983b, 3) espressi anche per mezzo
di avverbi di quantità (per esempio, molto, assai), ripetizione giustappositiva (bello bello) o
alterazione accrescitiva (coi suffissi -one, -otto). La modificazione quantitativa e non cate-
goriale operata sulla base non è dissimile da quella ottenuta dai suffissi alterativi.
L'aggettivo qualificativo semplice o derivato è la base prototipica, come in bellissimo,
rossissimo, grazio sissimo, simpaticissimo, ma frequentemente anche aggettivi di relazione
o normalmente non graduabili, participi passati, nomi, avverbi ed espressioni avverbiali
(esclusi i derivati in -mente) e indefiniti fungono da basi, come rispettivamente in italianis-
simo, sposatissimo, frequentatissimo, occasionissima, benissimo, prestissimo, in frettissima,
indietrissimo, (mirare) altissimo, nessunissimo, nientissimo ecc. Tutte le categorie sintatti-
che devono comunque possedere una qualità intensificabile al massimo grado, o intrinseca
1
Le sfumature del colore sono anche rese da espressioni del tipo di (color) lavanda, prugna, salmo-
ne, pesca, sabbia, corda, fumo di Londra, cioccolata ecc., oppure da aggettivi denominali, come
corvino, porporino, cinerino, roseo, argenteo ecc., che non ammettono alterazioni.
2
E marginalmente di -errimo ed -entìssimo, come rispettivamente in acerrimo, asperrimo, celeber-
rimo, integerrimo, miserrimo e beneficentissimo, benemerentissimo, benevolentissimo, magnifi-
centissimo, maledicentissimo, maleficentissimo, malevolentissimo, munificentissimo.
5.2. Derivazione aggettivale 449
o secondaria (di carattere metaforico o contestuale). Nel caso di aggettivi di relazione come
italianissimo, tedeschissimo, per esempio, la qualità è ravvisabile in una somma di caratte-
ristiche comunemente attribuite ai membri di quelle etnie, che nello specifico caso si identi-
ficano come presenti al massimo grado: cognome italianissimo ma cuore tedeschissimo ecc.
Con altri aggettivi di relazione, l'intensificazione elativa è possibile, in realtà, solo in
quanto ammettono anche un uso qualificativo, come è il caso di naturale in comportamento
naturalissimo, e similmente di umano, infantile, economico, selvatico ecc. Negli elativi
derivati da aggettivi non graduabili, come sposatissimo, addormentatissimo e sveglissimo
(usati in senso proprio), solissimo, primissimo, ultimissimo, vivissimo, mortissimo ecc. la
qualità intensificata fino al massimo grado è ravvisabile nel valore estremo, inappellabile
dello stato o condizione espressa dalla base. Nel caso del nome (cfr. Medici 1959), come
campionissimo, finalissima, offertissima si deve immaginare una graduatoria qualitativa o
quantitativa in cui l'entità intensificata occupa una posizione conclusiva, che non può esse-
re oltrepassata da altre entità della stessa specie. Il significato appare molto vicino a quello
del superlativo relativo latino espresso da -issimus, grazie al riferimento implicito ad un
termine di paragone. In alcune lessicalizzazioni (nomi deaggettivali), tale funzione è man-
tenuta in modo più preciso; La Serenissima, il Santissimo, la direttissima
L'intensificazione assegnata dall'elativo al participio passato (in funzione aggettivale)
assume diversi aspetti condizionati dalla semantica delle basi (cfr. Rainer 1983b) e dal loro
uso contestuale. Un gruppo, come frequentatissimo, ricercatissimo, studiatissimo, visitatis-
simo, assume come qualità intensificata un dato quantitativo, riferito alla valenza agentiva
del verbo sottostante o alla frequenza dell'azione, per esempio, una mostra visitatissima (da
molti appassionati), un fenomeno studiatissimo (da molti scienziati), ma anche un ristorante
frequentatissimo (frequentato spessissimo da Mario) ecc. Altre basi participiali danno luogo
a forme che assommano il dato quantitativo a quello qualitativo, come in una persona
amatissima "intensamente amata" oppure "amata da molti". Similmente affollatissimo,
ammiratissimo ecc. Il discorso pubblicitario, stilisticamente enfatico, tipicamente dilata
l'applicabilità dell'elativo a basi non intensificabili, come in appartamento ristrutturatissi-
mo, auto accessoriatissima (la semantica dell'elativo fa qui riferimento a dati quantitativi).
Talvolta, nel discorso, una base non intensificabile assume l'elativo per segnalare un
contrasto o un potenziale dissenso, come in Ma è fattibile? - Fattibilissimo, oppure sempli-
cemente per fungere da olofrastico positivo, come in Sei pronto? - Prontissimo. In questi
casi, l'elativo descrive il grado massimo di personale sottoscrizione del parlante alla sua
affermazione, non suscettibile di ulteriore «negoziazione», ed è parafrasarle con espres-
sioni modificate da avverbi non quantitativi, quali perfettamente fattibile, assolutamente sì
{pronto).
Merita una menzione anche l'aggettivo viciniore, burocratico per "limitrofo", dal comparativo
latino, in cui il suffisso comparativo -iore non viene più percepito come tale e appare piuttosto
come formativo aggettivale (deaggettivale o deavverbiale).
450 5. Suffissazione
Altri suffissi, vicini agli alterativi ma ormai improduttivi, sono -agno di seccagno e -ingo di solingo,
che ottengono una modificazione semantica della base aggettivale in direzione rafforzativa Alcuni
suffissi multifunzionali, come -caio di primario, secondario, -iano di episcopaliano, mammaliano
"relativo a mammiferi", -ano di gallicano, nostrano (variante toscana nostrale), rusticano, -aneo di
subitaneo (di diretta origine latina), -ivo di tardivo sono improduttivi nella funzione di formativi
aggettivali.
5.3.1. V e r b i d e n o m i n a l i 2 MG
1
I verbi suffissati derivati da basi avverbiali, in considerazione dell'esiguità del loro numero, non
verranno trattati in un capitolo a parte. Si veda al riguardo p. 546 η. 1.
2
L'analisi muove da un inventario di circa 500 verbi ottenuto mediante lo spoglio esaustivo del
DISC e di alcuni dizionari di neologismi (BC, C, CC, F, L, Q; solo per gli esempi tratti da questi si
indica tra parentesi la fonte). Non abbiamo preso in esame i verbi che sono non trasparenti dal
punto di vista sincronico, nella misura in cui non è possibile isolare mediante commutazione una
base formalmente e semanticamente identificabile. Abbiamo escluso anche quelli che, secondo il
DISC, non sono formati in italiano. Il modello dell'analisi è quello già adottato in Grossmann
1989 e 1994 per la descrizione dei verbi derivati in catalano.
5.3. Derivazione verbale 451
Oltre a -eggi-, -ific- e -izz-, possiamo identificare nel nostro corpus altri morii, come -azz- (starnazza-
re), -eft- (tacchettare, ticchettare), -ic- (barbicare, ciancicare, vermicare), -icchi- (denticchiare,
morsicchiare), -in- (ranghinare), -ol- (brancolare, chiocciolare, prezzolare, spigolare), che occorro-
no in alcuni verbi trasparenti dal punto di vista morfologico e semantico, ma che non sono produttivi.3
Tra le basi nominali già a loro volta derivate ci sono tanto dei nomi formati mediante suf-
fissazione o prefissazione o composizione (soprattutto con elementi neoclassici), quanto
mediante conversione. Vediamo qui solo alcuni esempi per i numerosi tipi possibili: (a)
basi suffissate: fiscaleggiare, manualizzare·, birbanteggiare; archettizzare (L), villettizzare
(Q); cheratinizzare, gelatinizzare; birboneggiare; riflettorizzare; miniaturizzare; (b) basi
prefissate: copolimerizzare; sottoproletarizzarsi (Q); (c) basi composte: cineclubizzarsi (Q);
etimologizzare, laringectomizzare, metastatizzare; (d) basi formate mediante conversione:
idealeggiare, mensilizzarsi (F), novelleggiare, particolareggiare, particolarizzare, peda-
leggiare, settimanalizzarsi, spumantizzare (L), taglieggiare, verbalizzare "mettere a verba-
le".
La base può essere costituita anche da una sigla (cobasizzare (L), diditizzare (Q), fiatiz-
zare (L), igeizzare (Q), irizzare) o da un elemento formativo (saccarificare). In molti casi si
tratta della ricategorizzazione di un nome proprio come nome comune, lessicalizzato (ber-
teggiare, catoneggiare, ciceroneggiare (L), elzevireggiare (F), gigioneggiare, maramal-
1
Cfr. Radtke 1994. Per la diversa produttività dei tre suffissi si veda anche Thornton 1997.
2
Cfr. anche parentizzare (Antelmi, D., SLeI 9, 1987, 360) con °parentesizzare, possibile base di
parentesizzazione (DISC).
3
Lo status di questi morii non sarà ulteriormente approfondito; alcuni di essi occorrono anche in
verbi deaggettivali e in verbi deverbali (cfr. 5.3.2.1. e 5.3.3.). Per quanto riguarda le possibilità di
nominalizzazione dei verbi suffissati rimandiamo a 5.1.3.1.2. (cfr. anche Thornton 1988, 314—
318).
452 5. Suffissazione
Lo stesso nome può costituire la base di verbi derivati con suffissi diversi oppure formati mediante
conversione. Un primo esame delle numerose coppie minime ci offre dei risultati abbastanza eteroge-
nei. I verbi in questione si possono distinguere: (a) per il ruolo diverso svolto dal referente della base
nella situazione verbalizzata (metaforeggiare / metaforizzare; eterificare / eterizzare', dottorare /
dottoreggiare, fiancare / fiancheggiare, fosforare / fosforeggiare', carbonare / carbonizzare, carne-
valare / camevalizzare (L); cementare / cementificare, resinare / resinificare, salare / salificare',
dentare / denticchiare)', (b) per essere derivati da significati diversi della base (vampireggiare / vam-
pirizzare; damare / dameggiare, maschiare / maschieggiare (Q), volpare / volpeggiare', periodare /
periodizzare); (c) per significati metaforici diversi o perché solo uno dei due sviluppa un significato
metaforico (prosare / proseggiare, remare / remeggiare). In molti casi si tratta di varianti sinonimiche
(,marmoreggiare / marmorizzare, satireggiare / satirizzare', mostrificare (F) / mostrizzare (BC), sube-
rificare / suberizzare, tipificare / tipizzare', morseggiare / morsicchiare; barbicare / barbificare',
capitanare / capitaneggiare, questionare / questioneggiare, sorsare / sorseggiare', diesare / diesizza-
re, Jumettare (Q) / fumettizzare (Q), igeare (Q) / igeizzare (Q); plasticare / plastificare; chiocciare /
chiocciolare; filosofare / filosofeggiare / filosofizzare) o parzialmente sinonimiche (personeggiare /
personificare; idealeggiare / idealizzare, moraleggiare / moralizzare, vandaleggiare (C) / vandalizza-
re (BC); favorire / favoreggiare, ombrare / ombreggiare, rimare / rimeggiare, tamburare / tambureg-
giare; monitorare (L) / monitorizzare, quotare / quotizzare).
Partiamo dalla premessa che una situazione, designata da un verbo e da altri elementi con-
testuali in un enunciato, può essere statica o dinamica. Nel primo caso il predicato indica
una condizione nella quale si trova il referente del soggetto dell'enunciato, cioè uno stato di
cose continuo che non cambia durante la sua durata. Nel caso di una situazione dinamica,
invece, si tratta della rappresentazione linguistica di un evento che implica un mutamento,
momentaneo o duraturo, nel tempo. In funzione della natura dell'evento indicato dal predi-
cato distingueremo, adottando il modello vendleriano (cfr. Vendler 1967, Bertinetto 1986),
tra verbi di azione risultativa ('+durativo', '+telico'), trasformativa ('-durativo', '+telico'),
continuativa ('•+durativo', '-telico') e puntuale ('-durativo', '-telico'). Il verbo denominale
suffissato è potenzialmente in grado di designare una grande varietà di situazioni, nelle
quali il referente della base potrà avere diversi ruoli. Questi possono dipendere dalle attività
normalmente associate al referente in una determinata comunità culturale. Nell'interpreta-
zione del verbo derivato peserà dunque la conoscenza generale e particolare delle cose,
comune all'emittente e al ricevente del messaggio (cfr. Clark / Clark 1979, Aronoff 1980).
Il nome incorporato è non flesso, può riferirsi a una o più entità della stessa classe, e può
essere presente anche solo con il suo significato metaforico (cornificare pop. "mettere le
corna, tradire il proprio coniuge", mammoleggiare "fare la mammola, bamboleggiare"). I
verbi derivati hanno spesso un significato più generico rispetto alle costruzioni analitiche
corrispondenti e tendono a sviluppare dei significati secondari. Si può borseggiare qualcu-
no prelevandogli soldi o altro anche dalle tasche, dallo zaino ecc.: dall'insieme dei tratti
5.3. Derivazione verbale 453
semantici di borsa solo quelli gerarchicamente superiori sono presenti nel verbo derivato.1
La base nominale, se accompagnata da una determinazione specificante, può occorrere
ulteriormente nell'enunciato, del tipo: per carteggiare bene si deve usare una carta più
abrasiva. Da questo punto di vista il comportamento dei verbi denominali è analogo a
quello delle parole che presentano una «solidarietà lessicale» come, ad esempio, quella tra
vedere e occhi (l'ha visto con i propri occhi, ma non *l'ha visto con gli occhi).2 Vediamo
ora più dettagliatamente fino a che punto i tratti semantici dominanti del nome incorporato
possano avere un valore prognostico per la struttura semantica del verbo derivato.
5.3.1.2.1. Ν '+animato' MG
Se la base nominale appartiene alle classi lessicali caratterizzate dai tratti '+animato',
'+umano' oppure '+animato', '-umano' il significato dei verbi derivati sarà interpretabile
secondo i tipi che seguono.
1
Cfr., tra gli altri, Karius 1976,64-66, Karius 1985,43-57, Dik 1980, 39-50, Plank 1981, 107-114,
120-124 e soprattutto Clark / Clark 1979,788-792.
2
Si vedano anche Kastovsky 1982, 68-69,91 e Bogacki 1988, 16.
454 5. Suffissazione
La base può rappresentare il risultato dell'evento stesso, agentivo o non agentivo, designato
dal verbo. Per «risultato» intendiamo qui il porre in essere, l'esistenza stessa di un'entità
oppure la disposizione, in una forma nuova, di qualcosa di preesistente.
1
Un ulteriore tipo è costituito dall'isolato tueggiare, che indica un atto performativo.
2
«Locatum» / «location» secondo Clark / Clark 1979, «objet localisé» / «objet localisateur» per
Bogacki 1988.
5.3. Derivazione verbale 457
Da basi nominali con funzione locativa possono derivare, generalmente con il suffisso
-eggi-, anche dei verbi stativi o continuativi, parafrasabili come "stare a/in/su N" (alpeggia-
re "detto di animali, trascorrere il periodo estivo in alta montagna", fiancheggiare, troneg-
giare-, usciolare) oppure come "muoversi [andare, passeggiare ecc.] in/su/per/vicino a N "
(barcheggiare "andare in barca per passatempo senza meta fissa", costeggiare).
Alcuni verbi, derivati, nella stragrande maggioranza, con -eggi- e, molto raramente, con
-izz- o con altri suffissi, intransitivi oppure usati transitivamente o intransitivamente in
funzione del carattere attuale o non attuale della predicazione, designano uno stato di cose
in cui il ruolo semantico del referente della base può essere interpretato come quello di uno
strumento con il quale si esegue un'azione o si ottiene il risultato dell'azione stessa. Può
trattarsi di basi che designano utensili, strumenti, apparecchi semplici e complessi, ma
anche parti del corpo, con cui si esegue abitualmente una determinata azione (canneggiare
"misurare il terreno con la canna metrica", carteggiare, maneggiare, paleggiare, pennel-
leggiare, timoneggiare-, radarizzare (Q); zappettare-, denticchiare), armi in senso lato, ivi
compresi oggetti con cui si danno uno o più colpi ripetutamente (cannoneggiare "colpire
insistentemente qualcosa con tiri di cannone, sparare col cannone", stoccheggiare, ver-
gheggiare), mezzi di trasporto e di spostamento (carreggiare "trasportare qualcosa con il
carro"), strumenti musicali (arpeggiare "suonare l'arpa o altri strumenti a corda", tambu-
reggiare, timpaneggiare) ecc.
La verbalizzazione di un nome con funzione di strumento è molto più frequente, come si
vedrà in 7.4.2.1.2.4., mediante conversione.
Abbiamo pochi esempi di verbalizzazione, in -eggi-, di una situazione non telica (cfr. anche
7.4.2.1.2.6. p. 543, η. 1). Si tratta, analogamente ai casi visti in 5.3.1.2.1.1. e 5.3.1.2.1.2., di
ascrivere ad un'entità X una o più caratteristiche considerate tipiche - forma, consistenza,
sapore, odore, colore ecc. - del referente della base (fosforeggiare "emanare luce fosforica,
essere forforescente", maestraleggiare, mareggiare, torreggiare "dominare dall'alto come
una torre"). I derivati di questo tipo sono parafrasabili come "essere [mostrarsi, muoversi
ecc.] (come) N", dove Ν svolge il ruolo di complemento predicativo del soggetto.
Vediamo ora i verbi derivati da basi nominali che appartengono alla classe lessicale caratte-
rizzata dai tratti '-animato', '-concreto'. Anche in questo caso possiamo distinguere diversi
tipi, in funzione del ruolo del referente della base nella situazione verbalizzata.
Nella maggioranza dei casi la base ha la funzione di oggetto effetto, rappresenta cioè il
risultato dell'evento stesso, agentivo o non agentivo, designato dal verbo parafrasabile
come "fare (subire) [causare, produrre, suscitare, provocare ecc.] N". Diversi derivati di
questo tipo sono caratterizzati dall'alternanza causativo-incoativa. La base può designare
uno stato psicologico o fisico che trae origine da una causa esterna o interna all'esperiente-
5.3. Derivazione verbale 459
1
II corpus dell'analisi, ottenuto mediante lo spoglio esaustivo del DISC e di alcuni dizionari di
neologismi (BC, C, CC, F, L, Q; solo per gli esempi tratti da questi si indica tra parentesi la fonte),
è costituito da circa 350 verbi. Cfr. anche p. 450 n. 2.
460 5. Suffissazione
Oltre ai suffissi -eggi-, -ific- e -izz- possiamo identificare nel nostro corpus altri morfi: -ic- (biancico-
re, nericare, rossicare, verzicare, zoppicare e la serie regolare di verbi quali decuplicare, quintuplica-
re, sestuplicare, settuplicare), -it- (capacitare, facilitare, inabilitare), che occorrono in alcuni verbi
trasparenti dal punto di vista morfologico e semantico, ma che non sono produttivi.2
Quasi la metà delle basi sono a loro volta già derivate. Ci sono tanto degli aggettivi formati
mediante suffissazione, prefissazione o composizione (con elementi neoclassici), quanto
mediante parasintesi o conversione. Diamo qui solo alcuni esempi per i diversi tipi possibi-
li: (a) basi suffissate: aziendalizzare, contestualizzare, dialettalizzare, funzionalizzare, isti-
tuzionalizzare, manicomializzare (BC), marginalizzare, nasalizzare, pedonalizzare, seme-
stralizzare, statalizzare, strumentalizzare, tropicalizzare·, americanizzare, italianizzare,
sicilianizzare (BC); spirantizzare; elementarizzare-, libanesizzare·, piacevoleggiare·, auto-
maticizzare, elettronicizzarsi (L), emblematizzare, nevrotizzare, tecnologizzare, turisticiz-
zare·, femminilizzare; alcalinizzare·, fascistizzare·, calcistizzarsi (F);3 (b) basi prefissate:
acromatizzare·, corresponsabilizzare-, impermeabilizzare, insonorizzare; (c) basi composte:
1
Cfr. Radtke 1994. Per la diversa produttività dei tre suffissi si veda anche Thornton 1997.
2
Lo status di questi morfi non sarà ulteriormente approfondito; -ic- occorre anche in verbi denomi-
nali e in verbi deverbali (cfr. 5.3.1.1. e 5.3.3.). Per quanto riguarda le possibilità di nominalizza-
zione dei verbi derivati rimandiamo a 5.1.3.1.2. (cfr. anche Thornton 1988, 314-318).
3
Numerosi verbi di questo tipo, trasparenti dal punto di vista morfologico e semantico rispetto ad
una base aggettivale, sono di origine tardolatina o presi in prestito dal francese e non formati in
italiano.
5.3. Derivazione verbale 461
Lo stesso aggettivo può costituire la base di verbi derivati con suffissi diversi oppure formati me-
diante conversione. Un primo esame delle numerose coppie minime ci offre i seguenti risultati: i verbi
possono distinguersi: (a) per la funzione semantica diversa della base (anticheggiare / antichizzare
(CC), paganeggiare / paganizzare, radicaleggiare / radicalizzare, toscaneggiare / toscanizzare;
azzurrare / azzurreggiare, lentare / lenteggiare-, italianare, italianizzare / italianeggiare); (b) per
essere derivati da significati diversi della base (fiscaleggiare / fiscalizzare; largare / largheggiare;
vanire / vaneggiare / vanificare)·, (c) per restrizioni di selezione diverse (attivare / attivizzare, massi-
mare / massimizzare; umidire / umidificare). In molti casi si tratta di varianti sinonimiche (ridicoleg-
giare / ridicolizzare; negreggiare / nericare, rosseggiare / rossicare, zoppeggiare / zoppicare; pette-
golare / pettegoleggiare, verdire / verdeggiare; concretare / concretizzare, ottimare / ottimizzare) o
parzialmente sinonimiche (classicheggiare / classicizzare, fiorentineggiare / fiorentinizzare; pareg-
giare / parificare; tecnicizzare / tecnificare; stancare / stancheggiare, fondare / tondeggiare; sterili-
re / sterilizzare).
Come vedremo più avanti da basi aggettivali possono derivare, oltre ai causativi e agli
incoativi, anche dei verbi stativi o continuativi che designano una situazione non telica
(folleggiare, zoppicare). Si tratta di verbi intransitivi non pronominali il cui soggetto mani-
festa, in grado maggiore o minore, la proprietà in questione.
Il verbo derivato può corrispondere a più significati della base (solidificare "far diventa-
re solida una sostanza" / "rendere qualcosa più solido, più sicuro"; meccanizzare "innovare
un'attività prevalentemente manuale, introducendovi l'uso delle macchine" / "rendere un
comportamento meccanico, senza spontaneità e individualità", sterilizzare "rendere un
essere vivente incapace di procreare" / "privare qualcosa di germi patogeni e di altri micro-
organismi") o anche ad uno solo (largheggiare "essere generoso", lenteggiare "essere male
avvitato; stare troppo lento, non ben teso").
1
Cfr. tenta di terribilizzare una blasfemia già terribile (Il Messaggero 26-05-1990).
2
Comportamento simile hanno anche alcuni verbi parasintetici (allontanare(si), awicinare{si),
dimagrire(si), ingrassare(si)) o non derivati (crescere, decrescere, diminuire). Per le caratteristi-
che azionali dei verbi «incrementativi» si veda Bertinetto / Squartini 1995.
5.3. Derivazione verbale 463
1
Si vedano Gsell 1979, 73-76, Stati 1979, 57-64, nonché p. 545 n. 1 per le differenze tra costruzio-
ni sintetiche e costruzioni analitiche.
2
Da notare, a proposito di acromatizzare, impermeabilizzare, inabilitare, insonorizzare, che il
mutamento è orientato verso uno stato semanticamente negativo e comporta di fatto la perdita di
una proprietà.
464 5. Suffissazione
della proprietà concreto. Esempi di questo tipo di verbi sono: stancheggiare; chiarificare,
umidificare-, assolutizzare, astrattizzare (Q), attualizzare, civilizzare, colpevolizzare, con-
sapevolizzare, elasticizzare, omogeneizzare, opacizzare, relativizzare, responsabilizzare,
stabilizzare.
1
Cfr. 5.2.1., Grossmann 1999 e, per le caratteristiche analoghe degli aggettivi che occorrono nei
composti N+A del tipo acqua pesante, camera oscura, 2.1.2.4.
2
Cfr. il tipo algerizzare (Q),fìnlandizzarein 5.3.1.2.3.
5.3. Derivazione verbale 465
Da basi aggettivali si possono formare anche, con un procedimento piuttosto produttivo, dei
verbi intransitivi o usati intransitivamente, stativi o continuativi dal punto di vista azionale,
il cui soggetto designa un'entità che manifesta / possiede, in misura variabile e/o ad inter-
valli nel tempo, la proprietà in questione. Predicando di X che zoppica gli si attribuisce o
uno stato generico dal punto di vista temporale oppure un'attività in corso di svolgimento in
quel momento. 1 Se il soggetto si riferisce ad un'entità animata il verbo può, in presenza di
volontarietà, ammettere tanto l'interpretazione attitudinale stativa quanto quella continuati-
va agentiva: X zoppica in quanto attributo, equivalente a X è zoppo, vs X zoppica in quanto
attività, equivalente a X sta zoppicando (ma non *Maria sta tondeggiando, privo di volon-
tarietà). Se il soggetto si riferisce invece ad un'entità inanimata, il verbo ammette in gene-
rale solo la lettura stativa (I campi verdeggiano / */ campi stanno verdeggiando, La strada
pianeggia / *La strada sta pianeggiando). Si tratta di verbi derivati perlopiù con il suffisso
-eggi- e parafrasabili come "essere [mostrarsi, tendere a ecc.] più o meno [un po', poco,
abbastanza, piuttosto, molto, spesso ecc.] A". Ad es.: aspreggiare, biancheggiare, biondeg-
giare, grandeggiare, largheggiare, lenteggiare, nereggiare, pareggiare, porporeggiare,
rosseggiare, rotondeggiare, scarseggiare, spesseggiare, zoppeggiare;2 razionalizzare,
solidarizzare·, biancicare, nericare, rossicare.
Se la base denota delle proprietà comportamentali, il verbo è parafrasabile anche ricor-
rendo all'aggettivo nominalizzato con un identificatore: "fare il [comportarsi come un, fare
atti tipici di un ecc.] N", oppure con l'aggettivo avverbializzato in -mente: "fare una cosa
[comportarsi ecc.] Amente". Ad es.: birboneggiare, bricconeggiare, bulleggiare, fiscaleg-
giare, frivoleggiare, mondaneggiare, pazzeggiare, pedanteggiare, pignoleggiare, romanti-
cheggiare, villaneggiare·, sottilizzare (cfr. anche 5.3.1.2.1.1.). Come si evince dagli esempi
precedenti, diversi verbi continuativi di questo tipo sono inerentemente reiterativi e desi-
gnano la manifestazione di proprietà in genere socialmente stigmatizzate.
Per l'affinità tra verbi stativi e verbi continuativi e per la distinzione stativo-attitudinale / conti-
nuativo si vedano Vendler 1967, 108-109, Bertinetto 1986, 96-97, 139-152, 250-264, 294-296.
2
Sui numerosi aggettivi, come dialettaleggiante, liberaleggiante, popolareggiante ecc., senza basi
verbali in -eggi- attestate, ancorché possibili, si veda 5.2.2.2.3.
3
Ringrazio Maria Grossmann e Livio Gaeta per i loro preziosi consigli.
466 5. Suffissazione
che non autenticamente dirimente, anche vedendolo in rapporto a quanto accade nel com-
parto degli alterati (o modificati) nominali; sia perché neppure tra i nomi alterati mancano
esempi di specializzazione idiosincratica del significato (cfr. cassetto da cassa-, casino da
casa-, mostrina "risvolto del bavero di una giacca" da mostra), sia perché tra i verbi dever-
bali non sono certo assenti i casi di trasparenza semantica (bevicchiare, canterellare, fi-
schiettare ecc.). Ci si dovrà dunque arrestare alla semplice constatazione che la composi-
zionalità semantica sembra nel complesso caratterizzare meglio il comparto degli alterati
nominali che non quello degli alterati verbali (sempre ammesso che l'etichetta di «altera-
zione» sia considerata appropriata per tutti i verbi deverbali).
Prima di passare all'analisi, è opportuno fornire una breve descrizione del corpus di cui
ci si è avvalsi. I materiali sono stati tratti soprattutto dal DISC, con l'aggiunta di ulteriori
entrate lessicali derivanti da altre fonti, in particolare da Buetti-Ferrari 1987 (ma si vedano
anche Schafroth 1998, le osservazioni contenute in Borgata 1976, 144-150, e soprattutto i
manuali di Rohlfs 1969 e Tekavòic 1972). Ciò ha permesso di raccogliere un corpus di 170
verbi. Sono stati ovviamente scartati tutti i casi certi di derivazione denominale (come ad
es. dentellare <— dente, lampeggiare <— lampo, morsicchiare *— morso (ma cfr. mordic-
chiare *— mordere), pizzicottare <— pizzicotto, scimmiottare <— scimmia, sferruzzare <—
ferro (da calza), sgambettare <— sgambetto). Ciò non deve tuttavia indurre a ritenere che
tale spurgo abbia risolutivamente esorcizzato la delicata questione dell'origine dei verbi
deverbali, dato che in qualche caso i dizionari oscillano tra l'origine denominale e quella
deverbale. Buetti-Ferrari 1987, 82 cita l'esempio di saltellare, presentato come deverbale
nel DELI e come (implicitamente) denominale nel DEI, visto che gli autori di quest'ultimo
assegnano priorità cronologica al nome su cui potrebbe basarsi il derivato verbale. Qui si è
scelto di eliminare i casi concordemente riconosciuti di derivazione denominale, mantenen-
do invece le entrate lessicali di incerta origine, che non costituiscono del resto una quota
preponderante del totale. Ciò non ha evitato di sopprimere esempi che, per la loro prossi-
mità ad una base verbale, avrebbero astrattamente potuto rientrare nel computo, come pen-
zolare (<— penzolo "cosa che penzola, estremità di cavo per appendere"; ma cfr. pendere),
picchierellare (<— picchierello "strumento da scultore"; ma cfr. picchiare), salterellare (<—
salterello "tipo di danza popolare"; ma cfr. saltare), scoppiettare («— scoppietto "antica
arma da fuoco"; ma cfr. scoppiare), spezzettare (<— pezzetto·, ma cfr. spezzare), toccheggia-
re («— tocco', ma cfr. toccare), vanghettare («— vanga·, ma cfr. vangare), zappettare (<—
zappa-, ma cfr. zappare). Si noterà, del resto, che in più d'uno tra i casi appena citati la
fonte della derivazione è a sua volta un derivato deverbale. Un caso del tutto a parte è spar-
nazzare, col senso di "sparpagliare" ma con l'aggiunta di una connotazione intensiva, che
risulta dall'incrocio tra spargere e starnazzare, e che non è stato inserito nel corpus data la
sua natura estravagante. E stato invece mantenuto piovigginare, una formazione antica
parimenti ascrivibile ad una fusione lessicale (< pluere + cällginäre), poiché in questo caso
si può ritenere con qualche fondamento che la struttura morfologica sia stata rianalizzata,
assegnando pieno statuto derivativo al suffisso -iggin-.
I suffissi che intervengono sono, in ordine decrescente di frequenza (tra parentesi il nu-
mero di ricorrenze nel corpus): -acchi-are (35), -icchi-are (28), -ol-are (19), -eggi-are,
-ucchi-are (15), -azz-are (13), -er-ellare, -ett-are, -ic-are (6), -ecchi-are, -uzz-are (3),
-acci-are, -iccic-are, -ign-are, -izz-are (2), -arell-are, -eli-are, -icchin-are, -icci-are, -iggin-
are, -in-are, -occhi-are, -onzol-are, -ott-are, -ottol-are, -ucol-are, -ugli-are, -uzzic-are (1).
Alcuni di questi si palesano come suffissi complessi, in cui fa la propria apparizione un
5.3. Derivazione verbale 467
1
Tale conclusione è rafforzata dal fatto che, come mostrano Rohlfs 1969, §§ 1037ss, 1157ss e
Tekavòió 1972, §§ 1516, 1849ss, 1863, 1880ss, gli antecedenti latini di più d'uno di questi suffissi
erano prevalentemente usati come alterativi di nomi (e talvolta aggettivi). Si veda, per es.: -ell-
(cfr. asellus), -ul-, da cui -ol- (cfr. animula); -/V/ceus-, da cui -acchi-, -acci-, -azz-, -uzz- (cfr. arë-
näceus, pännüceus); -Λ!/cui-, da cui -acchi-, -ecchi-, -icchi-, -occhi-, -ucchi- (cfr. vulpécula, genu-
culum).
468 5. Suffissazione
1
II complessivo predominio degli «activities» è anche dovuto al comportamento dei suffissi più
frequenti, tra le cui formazioni prevalgono nettissimamente gli «activities», con la parziale ecce-
zione di -occhiare e -otare, che danno rispettivamente vita a 7 e 4 ibridi del tipo «activity-
accomplishment». Nelle formazioni create mediante i suffissi più frequenti sono comunque prati-
camente assenti le accezioni di puro «accomplishment». Degno di nota è infine il comportamento
delle basi di azionalità non-durativa, che sono 3 in tutto: inciampare, urtare e tombare (nel senso
arcaico di "cadere"). Di queste, solo la seconda si tramuta in un «activity» (urtacchiare), assecon-
dando in ciò un'astrattamente ragionevole previsione (fatta propria, peraltro con forza ben maggio-
re di quanto i fatti non dicano, da Buetti-Ferrari 1987), mentre la terza assume il carattere ibrido -
a seconda del tipo di soggetto cui l'evento si riferisce - di «achievement-activity» (tombolare), e la
prima conserva l'originario carattere non-durativo (inciampicare).
5.3. Derivazione verbale 469
1
Si veda, in proposito, l'inchiesta condotta da Schafroth 1998 su studenti di scuola secondaria, dalla
quale risulta una relativa disponibilità, ma anche una considerevole dispersione, di queste forma-
zioni morfologiche. I soggetti interpellati hanno dimostrato di comprendere ed accettare (con di-
verse gradazioni) i verbi elencati, ma hanno anche mostrato spiccate idiosincrasie, soprattutto nelle
proposte di alternative lessicali. Il medesimo autore riporta anche dati, tratti da scrittori novecente-
schi, che dimostrano una sia pur tenue disponibilità di analoghe coniazioni - spesso estemporanee,
e dunque ignote ai dizionari - nel linguaggio letterario. Le citazioni non consentono peraltro di ac-
certare se si tratti di una deliberata imitazione del linguaggio parlato.
2
Tra le formazioni antiche, si segnalano quelle riconducibili ad una base tardolatina, ossia: mesco-
lare (< miscëre, da cui già in antico misculäre), punzecchiare (< punctiäre + suff.), rosicchiare (<
rösiculäre), schiamazzare (< exclämäre + suff.), sminuzzare (< minütiäre), sonnecchiare (< som-
nïculâre), sventolare (< ventuläre), tremolare (< tremuläre), senza dimenticare scribacchiare, che
conserva la forma della base latina scribère. Ma anche gli altri verbi deverbali di antica formazio-
ne recano per lo più testimonianza di accezioni desuete della propria base, se non addirittura di ba-
si verbali cadute dall'uso: ammonticchiare (<— ammontare), brancicare (<— brancare), ciampicare
(<— ciampare, che contiene lo stesso etimo di zampa), folgoreggiare (<— folgorare, nel senso in-
transitivo di "balenare, brillare di luce vivida"), francheggiare (<— francare), gocciolare («— goc-
ciare), grillettare "friggere nell'olio bollente" (<— grillare nel senso di "cominciare a friggere,
gorgogliare"), grufolare («— grufare), rampicare (<— rampare), sgraffignare (<— sgraffiare), tom-
bolare («— tombare). Si noterà del resto che alcune di queste formazioni appaiono a loro volta de-
cisamente arcaizzanti e desuete.
470 5. Suffissazione
1
Come si osserva ad es. in braccheggiare "braccare un animale" vs "andare guardingo" (<— bracca-
re), cascolare "ciò che fanno le castagne, cadendo al suolo ed aprendosi" vs "essere sul punto di
perdere le forze" («— cascare), falseggiare "falsificare, mentire" vs "cantare in falsetto" (<—falsa-
re), picchiettare "dare colpi frequenti e leggeri su una superficie (tipicamente, una superficie me-
tallica) mediante il picchietto" vs "eseguire il picchiettato su uno strumento a corda" e "punteggia-
re di piccole macchie di colore" (<— picchiare), punzecchiare "pungere in modo lieve" vs "infasti-
dire, provocare" (< punctiàre), spennacchiare "togliere penne" vs "carpire denaro" (<— spennare),
stiracchiare "sgranchirsi gli arti" vs "tirare sul prezzo" e "sostenere un'interpretazione implausi-
bile" (<— stirare), svolazzare "volare qua e là" vs "mostrare grande volubilità" («— volare), tasteg-
giare "tastare qualcosa in modo breve" vs "passare rapidamente le dita su una tastiera" (<— tasta-
re), trotterellare "andare al piccolo trotto" vs "camminare con passettini frequenti e sussultanti"
(«— trottare).
2
Ovviamente, non vengono ascritti a questa categoria semantica i verbi deverbali formati a partire
da una base già di per sé negativamente connotata, come scacazzare.
3
Per le nozioni di pluralità verbale, iteratività e intensi vita, cfr. Dressler 1968, Xrakovskij 1997 e
Corbett 2000, 243ss.
5.3. Derivazione verbale 471
1
A parte va segnalato il caso di (ab)bruciacchiare, accostabile ai precedenti solo per la presenza /
assenza di un prefisso.
472 5. Suffissazione
polka ad un ritmo sempre più travolgente). Si noti comunque che, benché la maggior parte
dei verbi deverbali siano abbastanza facilmente combinabili con la «perifrasi continua»,
non tutti sono altrettanto disponibili ad assumere questa veste, come si può osservare in: *il
braccialetto andava costicchiando parecchio o Ha marchesa si andò scollacciando. Ma
queste, a ben vedere, potrebbero essere le eccezioni che confermano la regola. Nel primo
caso, abbiamo a che fare con uno dei rari verbi deverbali stativi, e dunque incompatibili con
la perifrasi in questione; nel secondo caso, la connotazione di intensificazione sembra ri-
guardare piuttosto il tipo di abito indossato, che non l'evento in sé stesso. 1
Il dizionario Zingarelli '98, consultato elettronicamente, registra come avverbi in -mente non connessi
a basi aggettivali attestate una ventina di casi, quasi tutti dati come arcaici o rari. Per di più, quasi
sempre il suffisso si applica ad aggettivi forse non attestati ma «possibili», in quanto derivati da basi
nominali o verbali con suffissi all'epoca presumibilmente produttivi {-ale, -oso, -evole, -ivo); non si
tratta quindi di vere eccezioni al fatto che la base debba avere forma aggettivale. In tre casi, tutti
arcaici (insiememente, quasimente, volentiermente), -mente si applica invece ridondantemente a basi
già avverbiali, a sottolinearne l'appartenenza categoriale, senza modificarne la semantica (così anche
il latineggiante onninamente se si considera come base l'avverbio latino omnino). Le uniche possibili
eccezioni, stando ai dati dello Zingarelli, si riducono dunque ai casi (anch'essi rari) di aggettivamente
"a modo di aggettivo" e prerogativamente "per prerogativa", che sembrerebbero da interpretarsi come
denominali, anche se l'esistenza di -ivo/a come suffisso aggettivale avrà senz'altro agevolato la loro
formazione. Più significativa appare forse l'eccezione costituita dal frequente avverbio mediamente
"in media", dove la semantica potrebbe far propendere per una derivazione denominale, a dispetto
dell'esistenza dell'aggettivo medio.
La grande produttività di questo suffisso può far pensare a prima vista che il processo non
sia soggetto ad alcuna restrizione, cioè che da qualunque aggettivo si possa formare (alme-
no come parola possibile) il relativo avverbio in -mente; a quel punto ci si potrebbe anche
chiedere se il procedimento in questione non sia di natura flessiva piuttosto che derivazio-
nale. A sostegno di questo approccio, oltre alle opinioni di alcuni linguisti a proposito di
processi analoghi quali gli avverbi inglesi in -ly (cfr. Bybee 1985, 83-85 e Haspelmath
1996, 49-50) si può addurre la consolidata prassi lessicografica di collocare gli avverbi in
-mente (con pochissime eccezioni) non come lemmi autonomi, ma come sottolemmi
dell'aggettivo da cui sono derivati.
1
Ossia, quand'anche questa frase fosse grammaticale, non potrebbe certo significare che la marche-
sa si è scollacciata molto o ripetutamente et similia, ma tutt'al più che ha indossato abiti molto
scollati.
5.4. Derivazione avverbiale 473
Uno sguardo anche superficiale a un dizionario elettronico1 mette peraltro già in crisi
l'ipotesi di generalità del suffisso, pur confermandone la produttività. Se infatti nello Zinga-
relli '98 sono attestati ben 3590 avverbi in -mente derivati da aggettivi (3441 escludendo gli
arcaici e i rari), è anche vero che i lemmi con etichetta di aggettivo in questo dizionario
ammontano a 26258, per cui solo il 13,7% risulta avere un derivato in -mente. Per il DISC,
le cifre risultano un po' più alte: 3947 avverbi su 23175 lemmi aggettivali, pari al 17%.
Anche se con formazioni così produttive il dato lessicografico non può dare una misura
realmente indicativa delle formazioni possibili, perché molte (neo)formazioni non registrate
nel dizionario sarebbero giudicate pienamente accettabili dai parlanti in un opportuno con-
testo, il divario appare troppo grande perché si possa pensare a un livello di generalità para-
gonabile a quello dei processi flessivi.
In effetti, apparirà chiaro dal seguito che la formazione di avverbi in -mente è soggetta a
restrizioni diverse, di natura sia morfologica (5.4.2.4.) sia semantica (5.4.2.5.). Inoltre, la
semantica stessa dei derivati in -mente è assai complessa e variabile, e non sempre risulta
pienamente prevedibile a partire dal significato della base aggettivale (5.4.1.1.). Anche
questo fatto, naturalmente, contraddistingue i processi derivazionali e li oppone a quelli
flessivi, dato che solo i primi, per definizione, formano nuovi lessemi, potenzialmente in
grado di evolversi semanticamente in modo autonomo dalla base da cui derivano, proprio in
quanto entità lessicali autonome. Pertanto, l'inclusione degli avverbi in -mente tra i processi
derivazionali (e quindi la loro trattazione in questa sede) appare decisamente preferibile; si
tratterà, al più, di un processo derivazionale non prototipico (cfr. Dressler 1989 e 1.2.1.).
La notevole produttività del suffisso si può anche verificare, da un punto di vista in parte
complementare, in termini del numero di types diversi che si trovano in un grande corpus
testuale (circa 25 milioni di parole) costituito dall'annata della Stampa '97. Gli avverbi in
-mente presenti in questo corpus ammontano infatti a 1983 types diversi, da confrontare con
i numeri più bassi per alcuni altri suffissi generalmente considerati molto produttivi: 1829
per -zioneAione, 1339 per -ità, 967 per -mento. Per considerazioni più complesse sulla
nozione quantitativa di produttività, sulla falsariga dei lavori di Baayen 1992 e Baayen /
Lieber 1991, applicate anche al suffisso -mente, cfr. Gaeta / Ricca 2002b.
La classe degli avverbi in -mente, al pari di analoghe formazioni di altre lingue europee,
oppone all'uniformità morfologica una notevole eterogeneità di funzioni e significati, di cui
non pochi produttivi e non di rado compresenti in uno stesso avverbio. Nel delinearne qui
1
I dizionari elettronici a cui si farà riferimento sono il DISC e lo Zingarelli '98. Inoltre, ci si servirà
più volte nel seguito di un corpus testuale di controllo costituito dalle due annate della Stampa del
'96 e del '97 (circa 50 milioni di tokens complessivi), riversato in modo da essere analizzabile per
mezzo del software DBT - Data Base Testuale di E. Picchi (CNR Pisa). Per alcuni dati più sem-
plici da ottenere, si è potuto ricorrere all'intera serie delle annate della Stampa in CD-ROM dal '92
al '98.
474 5. Suffissazione
una classificazione sommaria, non sembra opportuno separare gli aspetti semantici da quelli
sintattici, perché, come si vedrà nel seguito, le principali parafrasi degli avverbi in -mente
non sono sempre indipendenti dalla loro collocazione sintattica.
Dal punto di vista della struttura sintattica, gli avverbi in -mente compaiono in almeno
tre ruoli principali: modificatori di un predicato, come in (1), di una frase, come in (2), e di
un aggettivo, come in (3):
( 1 ) si è comportato stupidamente
(2) stupidamente, non ha risposto'
(3) un atteggiamento stupidamente orgoglioso
Come è chiaro dagli esempi (1) - (3), non è affatto raro né innaturale che uno stesso avver-
bio possa ricoprire tutti e tre i ruoli. D'altra parte, esistono avverbi che non ammettono
l'uso come modificatori di predicato (ultimamente, probabilmente o sfortunatamente), e
altri che escludono l'uso come modificatori di frase (direttamente, perfettamente). Sembra
invece difficile trovare avverbi in -mente che non possano in alcun caso modificare un
aggettivo (quanto meno un aggettivo deverbale in -bile o un participio con funzione agget-
tivale), mentre alcuni sono confinati a questa funzione, come estremamente o largamente.
Con funzione analoga a quella in (3), un avverbio in -mente può anche modificare un al-
tro avverbio (è arrivato paurosamente tardi); in questo ruolo risulta tuttavia seriamente
limitato dalla quasi completa inaccettabilità di due avverbi in -mente consecutivi nello stes-
so sintagma (*si muove spaventosamente lentamente).
Oltre alle tre funzioni principali (1) - (3) su cui si tornerà tra breve, va menzionato un
quarto gruppo di formazioni, ristretto ma non propriamente chiuso, con la funzione di foca-
lizzatori (la classe di termini rappresentata in primo luogo da parole come anche, solo,
appunto)? I più importanti focalizzatori in -mente sono: esattamente, esclusivamente, pre-
cisamente, principalmente, puramente, semplicemente, solamente, specialmente, unica-
mente. I focalizzatori hanno proprietà sintattiche nettamente diverse dagli altri avverbi:
possono infatti fungere da modificatori di qualunque costituente, anche e soprattutto di
sintagmi nominali e preposizionali, come in (4):
(4) precisamente / solamente / specialmente / unicamente Gianni era sorpreso
Inoltre, andranno separati dal caso (2) quegli avverbi che, pur legati sintatticamente a una
data frase, non ne modificano propriamente il contenuto (nei vari sensi possibili), ma ope-
rano piuttosto a livello del testo, dando coerenza testuale a una sequenza di frasi, con un
ruolo funzionalmente non lontano dalle congiunzioni (è il caso di analogamente, alternati-
vamente, conseguentemente, secondariamente nel senso di "in secondo luogo", veramente
nel senso di "per la verità" ecc.), o agendo come segnali discorsivi, specie nel parlato (si
pensi all'uso di gran lunga più diffuso di praticamente).
Ritornando alle tre classi sintattiche principali, il punto di partenza per delinearne la se-
mantica può essere quello degli avverbi di predicato. In quest'ambito, il gruppo largamente
maggioritario è dato dagli avverbi di maniera, per i quali è disponibile una parafrasi abba-
stanza soddisfacente, "in modo A", dove A rappresenta l'aggettivo di base. Di norma, un
1
Che stupidamente in (1) e (2) agisca a livelli diversi dell'enunciato si vede chiaramente dalla non
contraddittorietà di una frase come astutamente, ha risposto stupidamente alle sue domande.
2
Sui focalizzatori si veda ad esempio König 1991 e, per l'italiano, Andorno 1999 e Ricca 1999.
5.4. Derivazione avverbiale 475
aggettivo qualificativo ammette un avverbio di predicato con il significato "in modo A",
quando questa parafrasi è semanticamente e pragmáticamente plausibile (per alcune riserve
su questo si veda oltre in 5.4.2.4.). La connessione con questa parafrasi - sulla falsariga
degli argomenti di Rainer 1993a, 605-606 per lo spagnolo - potrebbe forse bastare a spie-
gare la più importante restrizione semantica che concerne gli avverbi in -mente, cioè il fatto
che sia spesso impossibile derivare un avverbio da un aggettivo qualificativo esprimente
unicamente qualità fisiche (vedi oltre in 5.4.2.5.): infatti, per aggettivi di questo tipo la
parafrasi "in modo A" risulta spesso decisamente implausibile (cfr. 'in modo buio, grasso,
piccolo, rosso, spesso, umido ecc.).
Non tutti gli avverbi di predicato, però, sono parafrasabili con "in modo A" e non tutti
sono derivati da aggettivi qualificativi. In vari casi, anche da aggettivi di relazione si posso-
no derivare avverbi di predicato, ed è chiaro che la parafrasi in questi casi non può sempre
essere "in modo A", ma è piuttosto ricavabile di volta in volta dalla semantica della base
nominale dell'aggettivo. Ad esempio, una serie di aggettivi di relazione derivati da nomi
indicanti una regione spaziale R ammette avverbi parafrasabili grosso modo con "in R":
centralmente, mondialmente, perifericamente, regionalmente, superficialmente
(nell'accezione qui rilevante) ecc. Si pensi ad usi quali collocare centralmente, diffondere
mondialmente ecc. Alla stessa semantica spaziale ("in una posizione A") vanno ricondotti
alcuni avverbi derivati da aggettivi spaziali non denominali, come anteriormente / poste-
riormente, inferiormente / superiormente, internamente / esternamente. In altri casi, da
aggettivi di relazione si derivano avverbi con una semantica di mezzo piuttosto che di ma-
niera (anche se le due accezioni non sono in verità troppo lontane, e qualche volta neppure
completamente separabili): collegare elettricamente / telefonicamente, consultare elettroni-
camente, raggiungere ferroviariamente / pedonalmente, trattare chirurgicamente. Un'altra
sottoclasse semanticamente distinta è quella degli avverbi temporali di frequenza, derivati
da aggettivi di relazione indicanti periodi di tempo, per i quali la parafrasi adeguata è "ad
intervalli di un(a) N" (dove Ν è la base nominale dell'aggettivo): giornalmente, settima-
nalmente, mensilmente, trimestralmente, annualmente ecc. Con semantica analoga si trova-
no anche avverbi derivati da aggettivi di frequenza non denominali {frequentemente, inin-
terrottamente, raramente).
Altri aggettivi che fungono spesso da base per gli avverbi sono i deantroponimici. Deri-
vati del tipo kantianamente sono normali e ovviamente si prestano a molte neoformazioni e
occasionalismi;1 di solito non presuppongono l'esistenza di un'accezione qualificativa
dell'aggettivo ben stabilizzata nel lessico, essendo parafrasabili direttamente in termini del
nome proprio di base ("secondo quanto dice, fa, pensa N; nel modo caratteristico di N").
Questi avverbi - come del resto quelli di frequenza - funzionano sia come modificatori di
predicato che di frase, il che ci conduce ai capoversi successivi.
L'articolazione semantica della grande classe degli avverbi di frase è in effetti ancora più
complessa. E opportuno partire anche qui dalla distinzione fondamentale riguardante le
basi, cioè quella tra aggettivi qualificativi e aggettivi di relazione, perché a ciascuna di
Il più esotico occasionalismo trovato nelle annate '96-'97 della Stampa è il quasi impronunciabile
carolininvernizzianamente (da Carolina Invernizio, scrittrice popolare di fine Ottocento; G.P. Or-
mezzano, 17-4-96, 31). Naturalmente nel linguaggio dei quotidiani di questi anni non mancano
forme tipo berlusconianamente o bossianamente.
476 5. Suffissazione
queste classi di aggettivi si può collegare un impiego frasale molto produttivo, per così dire
di default, del corrispondente avverbio in -mente.
Per gli avverbi di maniera derivati da aggettivi qualificativi riferibili ad entità animate, è
quasi sempre disponibile un impiego frasale del tipo di quello esemplificato da stupida-
mente in (2). Per questi usi, non sembra peraltro necessario invocare un significato morfo-
logico distinto di -mente. È vero infatti che questo impiego degli avverbi di maniera non si
può ricondurre direttamente alla parafrasi "in modo A" (non è accettabile *in modo stupido,
non ha risposto; una parafrasi adeguata di (2) sarebbe piuttosto "è stato stupido a non ri-
spondere")· Ma stupidamente in (2) può essere interpretato come un equivalente più «com-
patto» di agendo stupidamente (dove ovviamente l'avverbio modifica un predicato ed è
perfettamente parafrasarle con "in modo A"), e la diversa parafrasi discende automatica-
mente dalla diversa struttura sintattica. Un po' più problematico è l'impiego frasale di av-
verbi come francamente o onestamente, in casi come francamente, quel deficiente se lo
meritava. In questo caso, l'avverbio non fa riferimento a una azione del soggetto della fra-
se, ma qualifica l'atto linguistico dell'enunciatore.1 Anche se questo impiego è riconduci-
bile a quello di maniera attraverso la mediazione di parafrasi del tipo "parlando franca-
mente", l'analogia con il caso precedente è solo parziale, perché la possibilità di un avver-
bio in -mente di accedere a questo uso è tutt'altro che automatica o prevedibile a partire
dalla semantica dell'aggettivo. Per esempio, non si può dire * schiettamente, quel deficiente
se lo meritava, pur essendo francamente e schiettamente più o meno sinonimi nel loro im-
piego come avverbi di predicato.
Per gli avverbi derivati da aggettivi di relazione, come messo in evidenza da Grossmann
1999, 414, la semantica di default è quella dei cosiddetti avverbi «di dominio» (Bertuccelli
Papi 1992) o «di inquadramento» (Lonzi 1991, 387) esemplificati in (5):
(5a) Filosoficamente, è una posizione accettabile, ma politicamente no.
(5b) Anche se musicalmente non è un capolavoro, teatralmente regge.
La semantica di questi avverbi può riassumersi abbastanza efficacemente con parafrasi del
tipo "da un punto di vista A" o simili. In realtà, molto spesso il rapporto semantico si stabi-
lisce direttamente con il nome di base: in effetti la grande produttività di questo tipo in
italiano andrà anche messa in rapporto con l'assenza di una strategia morfologica per deri-
vare avverbi da nomi (sul tipo di formanti come -wise in inglese o -gemäß in tedesco). In
vari casi, saranno quindi più adeguate parafrasi del tipo "per quanto riguarda N", dove Ν è
il nome di base dell'aggettivo. La produttività di questo tipo è molto alta, e nei testi si in-
contrano avverbi che molti parlanti esiterebbero a definire accettabili se considerati in iso-
lamento, come il seguente: una volta che - campa cavallo - l'offerta pubblica si sia ade-
guata, quantitativamente e alberghieramente (La Stampa, 20-11-96, 22, nelle lettere al
giornale).
Al di fuori di questi due valori di default, negli avverbi di frase si possono individuare
molte altre sottoclassi, ma un loro trattamento più ampio non sembra opportuno in questa
sede, perché riguarda piuttosto la semantica lessicale e/o la sintassi che non la morfologia.
Ci limitiamo qui a elencare alcune delle categorie più importanti: (a) gli avverbi valutativi,
che commentano l'evento associato all'enunciato, senza metterne in discussione il valore di
1
Avverbi frasali del tipo di francamente sono stati variamente definiti in letteratura: illocutivi,
performativi, pragmatici, di enunciazione, di atto linguistico.
5.4. Derivazione avverbiale ΑΠ
1
Sugli avverbi di frase in generale, si vedano ad esempio Jackendoff 1972, Bellert 1977, Hengeveld
1990, Ramat / Ricca 1998; per l'italiano Lonzi 1991, 1993, Venier 1991. In ambito generativo, la
molteplicità e la non intercambiabilità delle posizioni sintattiche associabili ai diversi tipi di avver-
bi di frase sono al centro della proposta teorica di Cinque 1999.
2
Basterà a illustrare questo fatto una rapida sequenza di aggettivi modificati da tutti i tipi di avverbi
sopra discussi (nell'ordine in cui sono stati menzionati): un uomo politico facilmente sostituibile,
mondialmente famoso, raramente silenzioso, mussolinianamente spavaldo, saggiamente riservato,
francamente noioso, culturalmente sprovveduto, sorprendentemente popolare, indubbiamente pe-
ricoloso, recentemente vittorioso.
478 5. Suffissazione
alla semantica lessicale di ciascun avverbio piuttosto che a quella del suffisso, anche se la
sua produttività sembra tutt'altro che trascurabile.
In definitiva, in una prospettiva riduzionista che intenda minimizzare il contributo auto-
nomo del suffisso alla polisemia delle formazioni avverbiali, si potrebbero individuare per
-mente due soli significati morfologici fondamentali, parafrasabili in prima approssimazio-
ne con "in modo A" (uso predicativo di maniera) e "da un punto di vista A" (uso frasale «di
dominio»), che si applicano in prima istanza (ferme restando non poche eccezioni) in di-
pendenza dal tratto '±qualificativo' della base aggettivale. Tuttavia, per gli aggettivi di
relazione, normalmente denominali, sono possibili anche alcuni impieghi come avverbi di
predicato, di solito parafrasabili direttamente in termini del nome di base N, senza passare
attraverso un'accezione qualificativa stabilizzata dell'aggettivo. La possibilità di derivare
abbastanza liberamente avverbi in -mente a partire da aggettivi di relazione, che contrasta
con la loro scarsa propensione generale ad essere ulteriormente derivati (Grossmann 1999,
419), può quindi essere messa in rapporto con una lacuna della morfologia derivazionale
italiana, che non ha modo di derivare direttamente avverbi denominali (e deverbali). Per
esprimere morfologicamente concetti del tipo "alla maniera di N", "come N", "secondo N",
"quanto a N" e simili (di per sé del tutto plausibili), l'unica strategia diventa allora il pas-
saggio attraverso un suffisso aggettivale semanticamente vuoto che stabilisca la corretta
categoria sintattica di ingresso per l'avverbio, cioè proprio attraverso un aggettivo di rela-
zione.
L'ampia polisemia delle formazioni in -mente al di fuori dei due valori composizionali
identificati sopra potrà essere attribuita in parte a fenomeni generali di estensione semantica
(in particolare per gli impieghi come modificatore di aggettivo, e per gli usi frasali di av-
verbi di maniera riferiti ad agenti, del tipo stupidamente, e ad eventi, come sorprendente-
mente)·, e in parte all'evoluzione semantica idiosincratica delle singole formazioni, una
volta entrate nel lessico. Si può anche osservare che questa polisemia associata a formazio-
ni derivate con lo stesso suffisso (al pari di numerosi suffissi analoghi in altre lingue), pro-
prio in quanto finisce col ricoprire tutte le disparate funzioni riscontrabili tra gli avverbi non
derivati (cfr. su questo Ramat / Ricca 1994, 308-309), costituisce un buon argomento a
sostegno della ragion d'essere di una categoria come l'avverbio, a dispetto della sua notoria
eterogeneità funzionale.
È un fatto abbastanza generale che quando la parola di base ha una struttura argomentale,
non sempre questa viene trasmessa al derivato: non di rado viene modificata o cancellata.
Gli avverbi in -mente derivati da aggettivi che reggono complementi preposizionali non
fanno eccezione da questo punto di vista, ma il quadro che ne risulta non si presta ad essere
facilmente sistematizzato. In mancanza di studi approfonditi sull'argomento, ci si limiterà
ad una rassegna a carattere esplorativo.
La sola generalizzazione sicura sembra essere che i complementi introdotti da di non
possono essere mantenuti dall'avverbio derivato. Nei rari casi di aggettivi che richiedono
effettivamente un complemento obbligatorio introdotto da di, l'avverbio stesso è quindi
impossibile (è il caso di * forieramente, *privamente), mentre più frequente è il caso di
avverbi del tutto usuali, che diventano però inaccettabili se seguiti dal complemento con-
5.4. Derivazione avverbiale 479
sueto per l'aggettivo di base: cfr. *fieramente dei suoi successi, *avidamente di gloria,
*curiosamente di scoprire, Hietamente del suo arrivo ecc. Ciò vale anche quando la para-
frasi "in modo A di ..." sia perfettamente utilizzabile e corrisponda al significato
dell'avverbio quando questo viene usato senza complemento: in modo degno di rispetto vs
*degnamente di rispetto, in modo voglioso d'affetto vs *vogliosamente d'affetto.
Con i complementi introdotti da a, il quadro è molto più fluido. Anche limitandosi ai ca-
si in cui la parafrasi "in modo A a ..." è pienamente accettabile, la sequenza corrispondente
avverbio + a può essere possibile o esclusa, con vari casi intermedi di marginale accettabi-
lità (e probabilmente anche di variabilità individuale). Si prendano ad illustrazione i giudizi
di chi scrive sui casi seguenti: ha deciso conformemente / contrariamente alle attese, limi-
tatamente alle sue possibilità vs "fedelmente alle direttive, favorevolmente agli avversari,
*adeguatamente alla situazione, *utilmente alla causa. Si veda inoltre la diversa accettabi-
lità dei casi seguenti, con semantica molto affine: si è comportato analogamente / 'simil-
mente / ??identicamente / Egualmente ai suoi predecessori. Lo stesso sembra valere per da:
si vedano da un lato differentemente / diversamente da, (in)dipendentemente da, e dall'altro
agisce liberamente da ogni pregiudizio, scrive Heggibilmente da lui solo / *difficilmente
da capire. Anche per a e da, come per il caso di di visto sopra, ad alcuni aggettivi che ri-
chiedono obbligatoriamente (o quasi) il complemento non corrisponde alcun avverbio:
*adattamente, *inclinemente, *propensamente\ *alienamente.
Con preposizioni meno «grammaticali», cioè legate più spesso all'espressione di rela-
zioni circostanziali che non strettamente argomentali, come con, per ecc., sembra di poter
dire che la compatibilità degli avverbi con i complementi preposizionali sia maggiore:
compatibilmente con, (s)fo rinatamente / sorprendentemente per ecc. In particolare, nei
casi in cui un aggettivo può essere costruito indifferentemente con a/da e per, il secondo
complemento è spesso l'unico accettabile per il relativo avverbio: ha deciso utilmente
*alla/per la causa, scrive comprensibilmente *da/per tutti.
Infine, per alcuni avverbi il legame con il proprio complemento preposizionale è al con-
trario divenuto tanto stretto da apparire quasi obbligatorio, fino a configurare talvolta una
semantica molto vicina a quella di una preposizione complessa. Si pensi a casi come con-
formemente a ("secondo"), contrariamente a ("contro"), internamente / esternamente a
("dentro/fuori"), precedentemente / successivamente a ("prima/dopo"), relativamente a
("riguardo a"), unitamente a ("con") e simili.
Sullo status di questa vocale a in sincronia si è lungamente dibattuto. La sua coincidenza con la marca
del femminile singolare dell'aggettivo (da cui evidentemente deriva in diacronia)1 ha condotto vari
autori a considerare la formazione degli avverbi in -mente italiani, e quella dei loro equivalenti nelle
altre lingue romanze, come una possibile eccezione alla tendenza generale per cui i processi flessivi si
applicano successivamente alla derivazione (il famoso Universale 28 di Greenberg 1966): infatti la
derivazione in -mente si applicherebbe a una forma già flessa, il femminile dell'aggettivo.
È poco plausibile, tuttavia, che in questo caso si possa parlare di derivazione applicata alla flessio-
ne, perché, anche ammesso che abbia senso isolare nell'avverbio un eventuale formante -a-, questo
non veicola nella parola derivata alcun contenuto morfologico o semantico collegabile al tratto
'+femminile', né tanto meno la categoria flessiva del genere (identiche considerazioni per lo spagnolo
in Rainer 1996c, 87). L'elemento -a- in altamente può tutt'al più essere visto come il formante di un
«secondo tema» dell'aggettivo (oltre a quello in -o necessario per composti tipo altorilievo, altoloca-
to). Ci sono ovviamente altri casi nella morfologia dell'italiano in cui una parola ha più temi che
possono fungere da basi per derivazioni diverse (cfr. fiisibile vs fonditore ecc.). Ma un formante di
temi non è propriamente un elemento flessivo, perché concerne una proprietà unicamente interna alla
morfologia, che non ha ricadute su proprietà esterne, semantiche o sintattiche, della parola (è un
elemento «morfomico» nella terminologia di Aronoff 1994).
Sarà quindi più corretto dire che l'avverbio si forma a partire da un tema aggettivale coincidente
con la forma femminile dell'aggettivo. Questa formulazione consente di descrivere il comportamento
di entrambe le classi di aggettivi, e dà conto anche di un caso speciale come sornione (a mia cono-
scenza l'unico aggettivo della speciale classe in -e/-a ad avere un avverbio),2 il cui derivato è sornio-
namente e non *sornionemente, privilegiando la forma del femminile rispetto all'uscita in -e del
maschile singolare.
La regola di formazione data sopra va integrata con una regola di cancellazione della vocale
-e- negli avverbi derivati da aggettivi in -re, -le preceduti da vocale: lealmente, fedelmente,
abilmente, debolmente; volgarmente, celermente, inferiormente. Questa regola di cancella-
zione non sembra avere eccezioni nell'uso contemporaneo. 3 Si ha invece una sua molto
parziale sovraestensione a pochissimi aggettivi in -lo, -ro (leggermente, benevolmente /
malevolmente, ridicolmente), forse con qualche potenzialità espansiva: civettuolmente (La
1
Come è noto, l'origine del suffisso -mente (e dei suoi paralleli romanzi) va ricondotta ai sintagmi
latini del tipo clara mente (dove ovviamente -ä è la marca flessiva dell'ablativo singolare femmi-
nile), attraverso un processo di agglutinazione dei due elementi e di contemporanea evoluzione
verso l'astratto della semantica di -mente, che illustra canonicamente il fenomeno della grammati-
calizzazione (cfr. ad esempio Hopper / Traugott 1993, 131). Per gli aspetti problematici di questo
processo diacronico, anche da un punto di vista sociolinguistico, cfr. Karlsson 1981 e Hummel
2000, 461-470.
2
In effetti, la quasi totalità degli aggettivi di questa classe è costituita da quelli formati con
l'accrescitivo -one, che non ammettono formazioni avverbiali al pari di tutti gli aggettivi alterati
(vedi oltre in 5.4.2.4.). Un altro potenziale caso di conflitto tra classe flessiva in -e e forma del
femminile, anche più dirimente di quello visto, sarebbe dato dai pochi aggettivi in -toreAtrice; nes-
suno di questi, però (forse non per caso) ammette avverbi: *rivelatricemente, *conservatricemente\
però anche *rivelatormente, *conservatormente.
3
Non era così nell'italiano antico, dove formazioni con e senza -e- coabitano negli stessi autori,
anche in prosa (con prevalenza delle forme con -e- per gli aggettivi proparossitoni e viceversa, cfr.
Serianni 1989a, 490); in poesia il tipo con -e- sopravvive fino a tempi recenti (esempi nella LIZ
3.0 ancora in Carducci, D'Annunzio, Corazzini). Sempre nel corpus della LIZ 3.0, sono invece
pochissimi i casi di conservazione della e in testi in prosa posteriori al '700: céleremente (2 Baret-
ti, 1 Manzoni (Fermo e Lucia), 1 De Sanctis), ilaremente e umilemente (per entrambi un caso, an-
cora in Baretti).
5.4. Derivazione avverbiale 481
Stampa, 28-4-97, 4). La cancellazione di -e- nei contesti indicati può anche essere vista
come un primo segnale di indebolimento del ruolo del tema del femminile nella formazione
degli avverbi, tanto più se si considera la sua progressiva generalizzazione nel corso della
storia della lingua.
Un altro caso in cui la formazione avverbiale non può essere derivata in sincronia dal
tema del femminile è data dagli aggettivi in -lento, i cui avverbi, quando possibili, sono in
-emente anziché in -amente. Oltre al comune violentemente, nel DISC e nello Zingarelli '98
si trovano menzionati (sempre con -e-) gli avverbi da fraudolento, opulento, sanguinolento,
turbolento, virulento, ma anche altri risulterebbero pienamente accettabili, almeno per la
competenza di chi scrive (per esempio da sonnolento, succulento, truculento). Lo stesso
vale per cruento e incruento: entrambi i derivati cruentemente e incruentemente sembrano
perfettamente naturali agli informanti consultati, anche se solo il secondo è registrato nel
DISC e nello Zingarelli '98. 1 Per questa irregolarità si suole dare una spiegazione diacroni-
ca, considerando gli avverbi come violentemente derivati a partire dalle forme arcaiche in
-lente degli aggettivi in -lento (violente e simili). Ma non è chiaro perché gli avverbi con -e-
dovrebbero avere per tempo soppiantato le varianti in -lentamente proprio mentre il proces-
so opposto avveniva per gli aggettivi. Potrebbe aver svolto un ruolo più importante
l'attrazione analogica dovuta all'alto numero di avverbi in -entemente (circa 150 nello Zin-
garelli '98, molti dei quali «lunghi» e quindi dal ritmo simile a quelli in questione) rispetto
alla sparuta pattuglia di quelli in -entamente. In ogni caso, gli aggettivi in -lento si com-
portano in modo parallelo a quelli in -ente anche in un altro processo morfologico, la deri-
vazione del nome di qualità in -(z)a (cfr. Rainer 1989a, 228-229).
Gli avverbi derivati con -mente non ammettono ulteriori derivazioni. Questa proprietà va
probabilmente attribuita al suffisso e non alla categoria avverbio in quanto tale, dato che
alcuni avverbi non derivati possono, sia pur di rado, fungere da basi: benigno, indietreggia-
re, inoltrare, maluccio, prestino, soprano, tardivo ecc. Anche il superlativo dell'avverbio è
da un punto di vista strutturale un avverbio del superlativo, e non viceversa. Ne fa fede in
primo luogo l'ordine lineare dei due suffissi, ma non soltanto. Risulta infatti impraticabile
anche l'ipotesi (per la verità alquanto controintuitiva) di considerare il formante del super-
lativo come un interfisso applicato all'avverbio già derivato, perché la regola di formazione
dell'avverbio, come si è visto, dipende dalla classe flessiva della base, e questa viene ap-
punto assegnata dal superlativo (eft. ad esempio velocissimamente), che deve conseguen-
temente essere applicato prima.
Diverso è l'impatto teorico di questo fatto a seconda che si consideri il superlativo di
natura flessiva (esprimente la categoria grammaticale del grado), ovvero derivazionale, una
questione dibattuta sulla quale non c'è consenso generalizzato. In effetti, nel caso in cui il
superlativo dell'aggettivo sia considerato una categoria flessiva (scelta per la quale propen-
de chi scrive), una formazione come velocissimamente configura un genuino controesempio
Cruentemente si trova comunque più volte nel corpus giornalistico: [...] l'unica, vera grande
partita riformista [...] che si giocò cruentemente tra protagonisti del calibro di [...] (La Stampa,
19-2-95, 23).
482 5. Suffissazione
Come si è detto all'inizio, la formazione degli avverbi in -mente a partire da aggettivi non è
totalmente produttiva: oltre a varie lacune presumibilmente idiosincratiche, si possono
individuare restrizioni più sistematiche di varia natura. Un'analisi di queste restrizioni è
stata condotta da Scalise et al. 1990: qui si seguirà nella sostanza il loro impianto generale,
ma ci si discosterà da alcune loro affermazioni, che non sembrano riflettere adeguatamente
i dati empirici.
Si può senz'altro concordare con Scalise et al. 1990, 63 sull'assenza di restrizioni fono-
logiche alla formazione in -mente. Anche l'unico fatto fonologico da loro indicato, la rilut-
tanza del suffisso a combinarsi con basi esse stesse terminanti in -mente, ha il carattere
tutt'al più di una tendenza eufonica: almeno clementemente e veementemente sono attestati
nei dizionari e nel corpus giornalistico di riferimento, mentre per altre formazioni semanti-
camente plausibili (come ? deprimentemente o ?dirimentemente) i giudizi di accettabilità
sono oscillanti. Nella Stampa del '98 compare anche opprimentemente.l
Al di là della fonologia, le possibili restrizioni possono essere di due tipi: quelle che fanno
riferimento alla struttura morfologica della base aggettivale, e quelle semantico-
pragmatiche, che fanno riferimento alla semantica della base, indipendentemente dalla sua
struttura morfologica.
A mio avviso, le restrizioni di carattere puramente morfologico si riducono
all'esclusione categorica della derivazione in -mente da parte di un numero molto ristretto
di suffissi aggettivali. Si tratta dei seguenti: (a) l'intera classe dei suffissi alterativi (-ino,
-etto, -uccio, -elio, -uzzo, -otto, -ognolo, -occio; -accio, -astro; -one); (b) il suffisso -ista
come formante di aggettivi (come in classista, socialista)·, (c) il suffisso -tore/-trice come
formante di aggettivi (come in rivelatore, conservatore).
Si noti (devo l'osservazione ad Anna Thornton) che per la varietà standard dell'italiano non c'è in
realtà totale coincidenza fonologica tra la terminazione delle basi aggettivali (che è -ménte) e il
suffisso avverbiale -ménte. La coincidenza si realizza però all'uscita della regola di formazione
dell'avverbio, perché la vocale [ε] della base, divenuta atona, si chiude necessariamente in [e].
5.4. Derivazione avverbiale 483
1
Cfr. Scalise et al. 1990, 70. In particolare, la stessa restrizione viene rilevata per la derivazione dei
nomi di qualità da Rainer 1989a, 55-59, che la considera però di natura semantica in quanto ri-
guarda la classe semanticamente omogenea dei suffissi alterativi. Ancora una volta carino fa ecce-
zione (carineria), coerentemente con il suo comportamento rispetto al suffisso -mente.
2
L'impossibilità di avverbi in -istamente sembra quindi molto più categorica di quella ipotizzata
talvolta per lo spagnolo, a cui Rainer 1993a, 606 oppone numerosi controesempi.
484 5. Suffissazione
aggettivali nella Stampa del '97 contro 2 sole occorrenze di conformistico), ma il solo av-
verbio possibile è conformisticamente (2 occorrenze). Sembra anzi possibile, in caso di
necessità, ricavare un avverbio in -isticamente addirittura quando la base in -istico non è
stabilizzata nel lessico. Ad esempio, dovendo formare un avverbio dall'aggettivo socialista,
la forma più accettabile appare senz'altro socialisticamente e certo non * socialistamente, a
dispetto del fatto che Socialistico non è oggi praticamente in uso (per un esempio reale di
socialisticamente, cfr. il completo socialisticamente nocciola di Pietro Nenni, La Stampa
29-4-96, 15).
I numerosi altri suffissi aggettivali che Scalise et al. 1990, 73-74 indicano come total-
mente incompatibili con la derivazione in -mente non lo sono in modo categorico. Per molti
di essi, è vero che una maggioranza di derivati (non la totalità) non sembrano ammettere
l'avverbio in -mente, ma le restrizioni in questione possono essere senz'altro formulate in
termini semantici o pragmatico-enciclopedici. Per i suffissi con un minimo di produttività o
almeno di diffusione nel lessico, è sempre possibile trovare qualche avverbio del tutto natu-
rale, e attestato sia nei vocabolari che nel corpus giornalistico di riferimento: per esempio,
con -iero, lusinghieramente, salottieramente e veritieramente; con -eo, ferreamente e ful-
mineamente·, con -ino (formante di aggettivi di relazione) cristallinamente, leoninamente,
sibillinamente, volpinamente e vari altri; con i rari -ardo e -uto, beffardamente, testarda-
mente e cocciutamente. La sottoclasse più importante è data dall'insieme dei suffissi etnici
(-ese, -ano ecc.), che meritano una discussione più ampia, in 5.4.2.5.
Per quanto riguarda i suffissi aggettivali maggiori, tutti parzialmente compatibili con
-mente a parte quelli già discussi sopra, può essere utile cercare di stimare se si differenzino
almeno quantitativamente nella loro propensione alla derivazione avverbiale. Un conto
molto brutale, ma probabilmente indicativo data la dimensione dei numeri in gioco, si può
fare rapidamente sui due dizionari di riferimento, chiedendo per quanti aggettivi con una
data terminazione è registrato il relativo avverbio in -mente. I risultati sono riportati nella
tabella 1, in ordine decrescente rispetto alla percentuale di avverbi riferita al DISC. I dati
sono molto «grezzi», perché, anche se sono stati eliminati i pochi aggettivi non derivati con
identica terminazione (come nobile, vario o galante), rimangono inclusi tutti i lemmi arcai-
ci, e soprattutto perché i derivati in -mente registrati in un dizionario non sono che una
frazione di quelli accettabili. Tuttavia, entrambi questi fattori di disturbo dovrebbero distri-
buirsi in modo relativamente uniforme, per quanto riguarda i suffissi maggiori qui elencati,1
e le tendenze di massima dovrebbero essere quindi indicative. Più problematico è senz'altro
il ruolo della prefissazione, di cui ugualmente non si è tenuto conto nella tabella: nei dati
sono infatti compresi anche gli aggettivi prefissati, mentre è noto che i prefissi interagisco-
no in modo complesso con la suffissazione in -mente, e in particolare i prefissati con in-
negativo degli aggettivi in -bile sono molto più compatibili con -mente dei corrispondenti
positivi (Scalise et al. 1990, 84).
1
-ato non è stato incluso nella tabella per l'impossibilità di distinguere automaticamente tra aggetti-
vi convertiti da participi passati come arrabbiato e derivati denominali cone dentato. Sono inoltre
stati inclusi solo gli aggettivi in -ante e non quelli in -ente, perché questi ultimi erano difficilmente
isolabili per ragioni tecniche relative al software di ricerca.
5.4. Derivazione avverbiale 485
1
Escluso -istico.
486 5. Suffissazione
I giudizi sui singoli lessemi possono variare (in particolare, quelli di chi scrive sono
senz'altro più restrittivi di quelli dei redattori del DISC, che includono forme non certo
ovvie, come mortificantemente o scoraggiantemente), ma non c'è dubbio che nel comples-
so gli aggettivi-participi transitivi in -nte costituiscono un tipo decisamente refrattario alla
derivazione in -mente.
L'interesse della forte marginalità di queste derivazioni sta nel fatto che non è in alcun
modo prevedibile in termini di implausibilità semantica dell'avverbio. Nella grande mag-
gioranza dei casi, infatti, la parafrasi "in modo A" risulta perfettamente naturale: recita in
modo agghiacciante / conturbante / eccitante / entusiasmante / esaltante e così via. La
restrizione, sia pure parziale, va pertanto attribuita a qualche proprietà del suffisso -mente e
non alla semantica dei potenziali derivati. Si potrebbe ipotizzare, in via tentativa e infor-
male, che basi in -nte da verbi come quelli citati siano di natura ancora troppo «verbale» per
ammettere la derivazione avverbiale, che come si è visto è estremamente selettiva nel sele-
zionare basi esclusivamente aggettivali. Questa interpretazione fornirebbe un corrispettivo,
nell'ambito delle basi deverbali, alla restrizione categorica sul «troppo nominale» suffisso
-ista.
Due altri tipi di restrizioni morfologiche, di natura un po' diversa, possono essere prese
in considerazione, anche se con ogni probabilità è più opportuno caratterizzarle in termini
di forti tendenze.
La prima, enunciata come categorica da Scalise et al. 1990, 67-68, riguarda gli aggettivi
composti. Questi aggettivi, in effetti, in genere non ammettono l'avverbio in -mente (cfr.
* agrodolcemente)·, ma diversi fattori non collegati direttamente al suffisso contribuiscono a
questo fatto. In primo luogo, gli aggettivi composti sono piuttosto rari in italiano; un tipo
relativamente frequente è quello degli aggettivi di colore (sia endocentrici del tipo giallo
cromo che coordinativi come biancocelesté), che però non sono compatibili con -mente per
una restrizione semantica più generale (cfr. 5.4.2.5). In secondo luogo, la derivazione a
partire da composti è comunque decisamente rara in italiano, quindi la rarità (se non
l'impossibilità categorica) di avverbi in -mente derivati da aggettivi composti si può inqua-
drare in un fatto molto più generale che riguarda l'intera morfologia lessicale italiana (così
anche Scalise et al. 1990, 68; cfr. 2.1.7.). D'altra parte, di impossibilità categorica non si
tratta, se al controesempio verosimilmente citato da Scalise et al. si possono almeno ag-
giungere il comune avverbio sacrosantamente, il più letterario equanimemente e quelli
formati su aggettivi composti con mal(e)- (se non lo si considera un prefisso) come malde-
stramente o maleducatamente-, mentre le eccezioni diventano numerose se si considerano
anche gli avverbi derivati da aggettivi composti con elementi neoclassici non liberi, come
autonomamente, equivocamente, longanimemente, magnanimamente, monotonamente,
omogeneamente, pestiferamente, tetragonamente (La Stampa, 2-10-95, 1) ecc.
L'ultima possibile restrizione morfologica concerne la classe flessiva di appartenenza
della base. È ipotizzabile infatti che la classe degli aggettivi invariabili non consenta la
derivazione in -mente. Anche qui occorre cautela nel generalizzare, perché gli aggettivi
invariabili non derivati sono pochissimi nel lessico autoctono italiano (a parte numerosi
aggettivi di colore, per i quali vedi oltre in 5.4.2.5.); per di più esiste parimenti, sia pure con
un allomorfo deviante di -mente. Non sono però pochi i prestiti; di questi, alcuni sono bene
integrati morfologicamente perché possono fungere da basi di derivazioni (cfr. sciccheria,
snobbare o, almeno nei giornali, formazioni meno consolidate come snobbina, snobberia,
punkismo, punkettari, kitscheria, kitsch(i)ata)·, molti, inoltre, sembrano compatibili con il
5.4. Derivazione avverbiale 487
La restrizione semantica più importante alla formazione di avverbi in -mente è stata già
individuata da Scalise et al. 1990, 66: gli aggettivi qualificativi che denotano caratteristiche
fisiche concrete o comunque proprietà sensoriali non possono di norma avere l'avverbio in
-mente. Così, per esempio, non sono possibili bruttamente, *buiamente, *giovanemente,
*grassamente, *grossamente, lisciamente, *piccolamente, *scuramente, *spessamente,
ùmidamente, *vecchiamente, *zoppamente. Un sottoinsieme apparentabile a questo è dato
dagli aggettivi di colore: *giallamente, *rossamente ecc. sono sostanzialmente inaccettabili.
La consueta verifica sul corpus giornalistico ha fornito, per i principali aggettivi di colore,
solo due controesempi, con evidente carattere di occasionalismi: biancovestiti e neramente
incilindrati (O. Del Buono, La Stampa, 3-2-96, 5) e col suo sorriso azzurramente antipati-
co (alludendo agli occhi di una tennista; S. Semeraro, La Stampa, 26-1-97, 31), più uno
riferito al senso di nero "africano di pelle scura": naif, neramente innocenti (M. Vallora, La
Stampa, 28-2-97, 27). Si noti che si tratta sempre di modificatori di aggettivo: non di rado
è questo l'uso più accessibile ad impieghi «creativi» degli avverbi, forse per l'efficacia
brachilogica delle espressioni che ne risultano. Non si sono trovati nemmeno avverbi riferiti
ai significati politici di rosso, verde, azzurro, che per alcuni parlanti risulterebbero margi-
nalmente accettabili.
In realtà, è abbastanza difficile trovare aggettivi indicanti proprietà fisiche che non am-
mettano anche dei significati estesi o metaforici. In questi casi, si ha un chiaro segnale di
come la restrizione sia di natura semantica: infatti, gli avverbi si possono formare, ma per lo
più selezionano solo i significati estesi o metaforici della base. E il caso ad esempio degli
aggettivi indicanti temperatura: glacialmente, gelidamente, freddamente, tie-pidamente,
caldamente sono tutti possibili, ma unicamente con riferimento ai sensi metaforici degli
aggettivi (non si può, ad esempio, parlare di una stanza *freddamente / *tiepida-mente
climatizzata). Tra gli aggettivi di colore, grigiamente riferito al senso metaforico "spento,
triste, mediocre" appare relativamente accettabile (come confermato dalle quattro occorren-
ze nel corpus giornalistico, ad esempio il tessuto grigiamente uniforme del copione, La
Stampa 17—4-94, 25). Alcuni avverbi derivati da aggettivi indicanti dimensioni spaziali,
come altamente, ampiamente, grandemente, largamente, strettamente sono molto frequenti,
Esempi dal consueto corpus giornalistico (tra parentesi il numero di occorrenze complessive nelle
annate '92-'98): kitschissimo (3), punkissimo (1), scicchissimo (5), sexyssimo (1), snobbissimo
(10), trendyssimo (1).
2
In effetti, l'unico caso per ora isolato di avverbio in -mente derivato da un aggettivo invariabile che
ho trovato nel corpus giornalistico riguarda proprio un aggettivo in consonante: kitschemente (La
Stampa Tuttolibri, 22-12-97, 11).
488 5. Suffissazione
Cortamente è dato, come arcaico, dallo Zingarelli '98, però, significativamente, solo con il signifi-
cato temporale che corto poteva avere in passato.
5.5. Derivazione numerale 489
I derivati avverbiali in -oni (processo con ogni probabilità non più produttivo, nemmeno marginal-
mente) costituiscono un gruppo limitato di formazioni (il DISC ne registra 31 e il GRADIT 60, tra cui
alcuni doppioni, e non pochi rari, antiquati o di uso regionale) per di più abbastanza eterogeneo dal
punto di vista morfologico. La base può essere un nome (bocconi, gattoni) o un verbo (dondoloni,
penzoloni, tentoni, tastoni) con qualche caso di indecidibilità (come per balzelloni o saltelloni); la
relativa produttività di questo suffisso (che, a giudicare dalle date del DISC, sembra estendersi so-
prattutto dal XVI al XIX secolo) sembra però essere concentrata su basi verbali. Un'ulteriore diffi-
coltà descrittiva per alcune di queste formazioni sta nella loro frequente intercambiabilità con una
forma sintagmatica in cui l'avverbio è preceduto da a (procedere tentoni / a tentoni, balzelloni / a
balzelloni): in questo secondo caso la definizione categoriale di avverbio diventa ovviamente proble-
matica. Semanticamente, invece, il gruppo è sostanzialmente unitario, limitandosi a qualificare mo-
vimenti o più di rado posizioni del corpo umano (o eventualmente di animali).
Per completezza, occorre ancora citare alcuni casi isolati di avverbi che non possono dirsi real-
mente derivati in sincronia, ma che tuttavia conservano un rapporto morfologico in qualche misura
analizzabile con una base aggettivale. Si tratta di: (a) altrimenti, parimenti, per i quali si può parlare
forse di un allomorfo -menti di -mente (per altrimenti anche la forma della base è anomala); (b) bene,
male, massime, gli unici che mantengono la desinenza avverbiale latina -e (per il primo si può parlare
di suppletivismo debole con buono; nel secondo il rapporto è trasparente, ma l'aggettivo malo ha in
sincronia una distribuzione estremamente limitata; infine il terzo è di uso circoscritto e letterario). Del
tutto opaco semanticamente è invece il rapporto di pure con puro (a differenza di puramente); (c)
lungi, tardi, in cui la stessa desinenza latina si è mutata in -i (il rapporto semantico con l'aggettivo è
ancora trasparente per tardi, meno per lungi); (d) volentieri (diacronicamente un prestito dal francese,
ma presumibilmente in un rapporto sincronico non completamente opaco con volente). Più importanti
per l'arricchimento del lessico avverbiale italiano sono senz'altro i processi di composizione e uni-
verbazione (cfr. 2.1.6. e 2.1.8.) e quello della conversione a partire da aggettivi (cfr. 7.5.).
Siccome i numeri sono per natura un insieme infinito è necessario che la lingua disponga di
procedimenti ricorsivi per poter formare questo insieme infinito di parole. Nel caso dei
numeri cardinali, si tratta di un processo compositivo (cfr. 2.1.4.2.). Per i numeri ordinali,
invece, l'italiano ricorre normalmente al suffisso produttivo -esimo a partire da 11, mentre,
490 5. Suffissazione
come si desume dalla tabella 1, fino a dieci le formazioni sono o suppletive o derivate con i
suffissi non produttivi '-imo e -avo.1 Dalla tabella si desume ugualmente che -esimo è nor-
malmente usato anche con basi complesse che finiscono in uno dei numeri da 1 a 10, a
meno che esso non sia 8 o 10, che secondo le frequenze in Internet riportate fra parentesi
prendono anche o addirittura preferiscono - nel caso di 10 - la forma irregolare. Si noti che
in altre lingue, come il tedesco, la forma del numero ordinale di un numero cardinale com-
plesso è uniformemente determinata dal numero in cui finisce il numero cardinale comples-
so (cfr. drei / dritte = hundertdrei / hundertdritte ecc.).
Il suffisso -esimo prende come base il numero ordinale corrispondente (senza la vocale
atona finale): undici —» undicesimo vs ventitre —> ventitreesimo ecc. Per le basi formate da
cento più uno o otto, si nota un'asimmetria fra numero cardinale e ordinale: mentre nei
cardinali è più frequente la forma senza elisione, gli ordinali corrispondenti preferiscono la
forma con elisione: centouno (centuno) —> centunesima (centounesimo), centootto (centot-
to) —> centottesimo (centoottesimo) ecc. La combinazione fra cento e undici, però, si com-
porta diversamente: centoundici (centundici) —• centoundicesimo (centundicesimo). Il suf-
fisso -esimo è pienamente produttivo, ma oltre 100 le formazioni diventano molto rare
nell'uso tranne quelle derivate da multipli di 100.
Gli ordinali sono utilizzati anche, via un processo di conversione A —» N, come denomi-
natori dei numeri frazionari: un quinto, tre centesimi ecc.
n. cardinale n. ordinale n. cardinale n. ordinale
Un altro tipo di numerali che contengono un suffisso sono i moltiplicativi (cfr. Serianni
1988, 199). Come mostra la tabella 2, c'è una serie in '-uplo e una in '-ice. Il suffisso '-uplo
significa "maggiore di η volte". Esso non è produttivo, anche se ventuplo e ennuplo sono
delle creazioni analogiche autoctone. Si osservano varie forme suppletive o semi-
suppletive. Anche '-ice è improduttivo. Con l'eccezione di settemplice, le formazioni con
questo suffisso sono formalmente basate sulle formazioni corrispondenti in '-uplo. Per
quanto riguarda il significato, però, non esprimono di quante volte una cosa sia maggiore di
un'altra, bensì che una cosa è composta di η parti: la Triplice Alleanza ecc. Siccome dun-
Accanto al suffisso -esimo esiste ancora marginalmente il procedimento compositivo del tipo
DECIMOPRIMO; cfr. 2.1.4.2.
5.5. Derivazione numerale 491
que il significato delle formazioni in '-uplo non è presente in quello delle formazioni in
'-ice, siamo di fronte a un caso di allomorfia determinata paradigmaticamente (cfr., su que-
sto concetto, 1.2.4.2.).
uno semplice
due doppio (lett duplo) duplice
tre triplo triplice
quattro quadruplo quadruplice
cinque quintuplo quintuplice
sei sestuplo sestuplice
sette settuplo settemplice
otto ottuplo ottuplice
nove nonuplo
dieci decuplo
venti ventuplo
cento centuplo centuplice
η ennuplo
Abbiamo visto nelle premesse teoriche (cfr. 1.2.) che il lessico comprende tutte le parole
usuali, fra cui anche molte parole complesse. Alcune di queste parole complesse hanno la
particolarità di essere senza base, come ad esempio il termine geologico ablazione, il cui
significato ("rimozione di materiali rocciosi a opera di ghiacciai o di corsi d'acqua") lo
accomuna a un nome d'azione senza che esista un verbo base ablare. Per di più, abbiamo
visto che la stragrande maggioranza delle regole di formazione di parole sono direzionali:
creazione, ad esempio, è derivato da creare, ma non creare da creazione. Queste due ca-
ratteristiche sono essenziali per capire il processo della retroformazione, di cui i parlanti si
servono occasionalmente per creare parole nuove «invertendo», per così dire, la direzione
di una regola di formazione delle parole esistente. Nel caso appena menzionato, un parlante
potrebbe ricavare un verbo °ablare invertendo la regola, molto produttiva, che forma nomi
d'azione aggiungendo -zione al tema verbale: creare —* creazione ecc. Il «ragionamento»
del parlante sarebbe più o meno il seguente: se da creare ecc. posso ricavare un nome col
significato "azione di V" mediante l'aggiunta di -zione al tema verbale, allora accanto a
ablazione con il significato "azione di V" dovrebbe esistere anche un verbo corrispondente
°ablare} Una retroformazione è dunque sempre di un grado meno complessa morfologica-
mente della parola complessa sulla quale si basa. Non è invece necessariamente più corta,
dato che la retroformazione può anche invertire una regola di conversione, come nel caso
telelavoro —»• telelavorare trattato più avanti. Questi due aspetti distinguono la retroforma-
zione dall'accorciamento (cfr. 8.3.), dove, come lascia già indovinare il nome, l'output è
sempre più corto dell'input, mentre la parte eliminata non ha lo status di morfema.
Il processo della retroformazione è relativamente frequente nei bambini che, come si sa,
hanno una forte propensione a regolarizzare il lessico. Lo Duca 1990a, 132 ad esempio
riferisce che Clara, di sei anni, si è ricavata da aviatore, che già conosceva, un supposto
verbo base aviare, usandolo nella frase abbiamo visto come aviano, per dire "come guidano
l'aereo". Man mano che il parlante padroneggia meglio le convenzioni lessicali della co-
munità linguistica in cui vive, cioè impara quali parole si usano effettivamente e quali no,
pur essendo magari ben formate morfologicamente, questo processo di regolarizzazione che
costituisce la retroformazione diventa meno frequente, ma rimane comunque sempre dispo-
nibile, a livello sia di lapsus che di formazioni intenzionali che poi possono anche affermar-
si nell'uso.
Le retroformazioni sono spesso frutto di una rianalisi che conferisce a una parola una
struttura consona al sistema morfologico vigente ma in contrasto con quella originaria, e
dunque etimologicamente scorretta. E proprio questa «devianza» etimologica che permette
1
Cfr. Plank 1981, 202 o Anderson 1992, 191.
496 6. Retroformazione
1
Cfr. Marchand 1963a, 170-171.
2
Questi neologismi appaiono nei seguenti contesti: La Rai coproduce il video [...] con Videomusic,
la crescita economica mondiale non si è equidistribuita tra i paesi partecipanti-, Atene fu invasa e
semidistrutta·, Telelavorare è bello (titolo); gli italiani videoregistrano implacabilmente.
6.2. Tipi di retroformazioni in italiano 497
(a. 1961), telemisurazione (a. 1961), telepilotaggio (a. 1961), teleregolazione (a. 1979),
telericevente (a. 1965), teleriscaldamento (a. 1979) e teletrasmissione (a. 1939). Siccome
dunque tutti i verbi con il prefisso tele- sono appoggiati a nomi o aggettivi corrispondenti
attestati con anteriorità, l'interpretazione più plausibile sembra essere che il processo coin-
volto è ancora la retroformazione e non la prefissazione. Non si tratta più però, in questo
caso, dell'inversione più o meno sporadica di una regola di formazione delle parole, ma di
un processo di retroformazione convenzionalizzato, costituito a sua volta in regola.
L'importanza del fenomeno della retroformazione viene probabilmente sottovalutata per
il fatto che esso si mostra inequivocabilmente solo quando il risultato della retroformazione
presenta qualche irregolarità che la tradisce come tale, come nei casi appena discussi. Nulla
vieta di pensare però che anche in casi dove il risultato è pienamente regolare possiamo
avere a che fare con delle retroformazioni. Il DISC, ad esempio, è d'avviso che i verbi
destalinizzare (a. 1962), parkerizzare (a. 1963), sinterizzare (a. 1960), tindalizzare (a.
1942) e uperizzare (a. 1970) siano il risultato di una retroformazione rispettivamente da
destalinizzazione (a. 1953), parkerizzazione (a. 1942), sinterizzazione (a. 1948), tindalizza-
zione (a. 1919) e uperizzazione (a. 1970). Più di un morfologo probabilmente preferirebbe,
in casi come i nostri sostantivi in -izzazione, parlare di derivazioni sulla base di stadi inter-
medi virtuali in -izzare, non ancora attestati al momento della formazione dei sostantivi
corrispondenti in -izzazione ma certo possibili. Tale soluzione sarebbe più economica in
termini di numero di regole, quella del DISC invece è più aderente all'effettiva cronologia
delle prime attestazioni (se queste non sono spurie). Se il nostro scopo è quello di descrive-
re cosa fanno effettivamente i parlanti e non quello di minimizzare il numero delle regole,
nulla vieta, in linea di principio, di adottare l'analisi del DISC.
Guardando l'insieme delle retroformazioni, si osserva che la stragrande maggioranza dà
luogo a dei verbi. Questa preponderanza dei verbi è dovuta probabilmente al fatto che la
forma e il significato del verbo base sono predicibili con grande precisione a partire dalla
parola complessa, mentre il rapporto fra nomi / aggettivi e derivati denominali / deaggetti-
vali non mostra lo stesso grado di predicibilità. Per far vedere tutta la gamma di possibilità,
menzioniamo ancora, a scopo illustrativo, il sostantivo letterario eie lamo (a. 1912), tratto da
ciclamino (XV sec.), interpretato erroneamente come diminutivo, il sostantivo alfabeta (a.
1931) tratto da analfabeta (XVII sec.), filibusta (a. 1968) tratto da filibustiere (XVIII sec.),
Meridione (XVI sec.) tratto da meridionale (XIV sec.), pedemonte (a. 1983) tratto da pede-
montano (a. 1854), preterintenzione (a. 1988) tratto da preterintenzionale (a. 1877), sfiga
(a. 1983) tratto da sfigato (a. 1980), ubiquo (a. 1963) tratto da ubiquità (XVIII sec.) ecc.
Vari di questi esempi però sono delle retrofromazioni ormai solo in una prospettiva diacro-
nica, non essendo più sentite come tali dai parlanti senza conoscenze etimologiche.
7. CONVERSIONE
7.1. Introduzione AMT
1
Per un'analisi che adotta e sviluppa le conseguenze dell'ipotesi che alcuni processi derivazionali
italiani siano basati su un suffisso zero cfr. Thornton 1990b.
502 7. Conversione
L'analisi dipende dal modello di semantica della derivazione che si adotta. Se si suppone
che i suffissi derivazionali non abbiano altro significato che quello generalissimo relativo
alla categoria derivazionale di appartenenza, si concorderà con il ragionamento appena
esposto. M a se si ritiene che due suffissi, anche se appartenenti a una stessa categoria deri-
vazionale, non sono mai completamente sinonimi, perché presentano diverse restrizioni e
dunque diverse capacità di combinazione, una diversa rete di rapporti sintagmatici e asso-
ciativi, e dunque un significato che non è riducibile al solo significato generale di una cate-
goria derivazionale, allora il criterio stesso dell'«overt analogue» non è applicabile nel
campo della derivazione. 1
Inoltre, anche ammettendo una versione debole del criterio dell'«overt analogue», che
valuti come sufficiente per la postulazione di un affisso a significante zero l'esistenza di
affissi con significante pieno nell'ambito della stessa categoria derivazionale (anche se non
completamente sinonimi), possono esistere coppie di parole semanticamente collegate,
prive di affissi espliciti, e che intrattengono l'una con l'altra una relazione semantica che
non è mai espressa mediante affissazione (cfr. 7.2.1.3.). Se si ritiene vincolante il criterio
dell'«overt analogue», questi casi non possono essere analizzati che come fenomeni di
estensione semantica.
In questo volume, si è scelto di non ipotizzare mai l'esistenza di affissi zero, e di descri-
vere tutti i fenomeni di derivazione senza affissi espliciti secondo l'ipotesi della conversio-
ne.
Prima di illustrare i criteri in base ai quali un fenomeno è stato considerato conversione,
è necessario spendere qualche parola sul problema del confine tra regole di formazione
delle parole attuate mediante conversione e altri tipi di fenomeni: fenomeni di transcatego-
rizzazione sintattica senza marche morfofonologiche esplicite e fenomeni di estensione
semantica senza cambio di categoria sintattica.
Ogni trattazione dei fenomeni di transcategorizzazione in genere parte dall'ipotesi che
ciascuna categoria sintattica è prioritariamente destinata a una determinata funzione sintat-
tica: i nomi alla funzione di soggetto, i verbi a quella di predicato, gli aggettivi a quella di
modificatore del nome e gli avverbi a quella di modificatore del verbo (cfr. almeno Kury-
lowicz 1936, Staib 1989). Ogni uso di una parola di una di queste categorie in funzioni
diverse da quelle appena elencate sarebbe dunque una transcategorizzazione ( o «trasposi-
zione»): Kurylowicz 1936 considera tali, ad esempio, l'uso predicativo degli aggettivi, e
addirittura l'uso dei nomi come oggetto diretto. La transcategorizzazione o trasposizione
può essere segnalata da una marca sintattica o morfologica (dove nella letteratura per marca
morfologica per lo più si intende la presenza di un suffisso derivazionale, mentre non si
discute l'eventuale marcatura rappresentata da affissi flessivi, sulla quale cfr. infra) o non
presentare alcuna marca. Una transcategorizzazione con una marca sintattica esplicita sa-
rebbe ad esempio l'uso di un nome preceduto da una preposizione come modificatore di un
altro nome (la preposizione marca sintatticamente il cambio di funzione del nome da sog-
getto a modificatore); una transcategorizzazione con marca morfologica sarebbe la forma-
zione dei cosiddetti aggettivi denominali di relazione, nei quali un suffisso marca il cambio
di funzione del nome da soggetto a modificatore (sugli aggettivi di relazione cfr. 5.2.1.1. e
1 Benveniste 1948, 6, esprime questo punto di vista con le parole seguenti: «quand deux formations
vivantes fonctionnent en concurrence, elles ne sauraient avoir la même valeur [...]. Il incombe aux
linguistes de retrouver ces valeurs, généralement peu apparentes et souvent très cachées».
7.1. Introduzione 503
Grossmann 1999). Tra i due tipi appena menzionati la differenza non sta solo nel tipo di
marcatura - sintattica o morfologica - usata per segnalare la transcategorizzazione, ma
anche nel fatto che nel primo caso non si ha creazione di una nuova parola, mentre nel
secondo sì: un aggettivo denominale è un nuovo elemento lessicale che si aggiunge al vo-
cabolario di una lingua, mentre un nome preceduto da preposizione non modifica
l'inventario lessicale della lingua. Anche nel caso di una transcategorizzazione che avvenga
senza marche esplicite, né sintattiche né suffissali, si possono riscontrare le stesse due pos-
sibilità: formazione di una nuova parola (che presenterà tutte le caratteristiche morfologiche
flessive della categoria di uscita) o semplice uso di una parola di una categoria in una fun-
zione tipica di un'altra categoria, senza però la creazione di un nuovo elemento lessicale (in
questo caso non si avrà l'acquisizione delle caratteristiche flessive della nuova categoria).
Esempi italiani dei due tipi possono essere da una parte la formazione di nomi deverbali
0acquistare v —» acquistoN, dove acquisto ha un genere inerente e un plurale come i nomi
non derivati) e verbi denominali (saleN —> salarev, dove salare può essere flesso per perso-
na, numero, tempo / aspetto, modo e diatesi come i verbi non derivati), dall'altra la sostan-
ti vazione dell'infinito (scrivere —» lo scrivere / l'aver scritto (questa lettera) / *gli scriveri
(lettere), dove il verbo all'infinito conserva la possibilità di flessione per tempo, e non ac-
quisisce la possibilità di flessione per numero, tipica dei nomi ma non degli infiniti verbali).
Nel quadro fin qui delineato, la conversione è il processo che permette di transcategoriz-
zare parole per formare nuove parole (come acquisto, salare) senza utilizzare la marca
morfologica esplicita rappresentata da un suffisso derivazionale.
I criteri in base ai quali un fenomeno può essere considerato appartenente al settore delle
regole di formazione di parole attuate per conversione sono due.
II primo criterio riguarda l'aspetto sematico della conversione: qui si è adottata una ver-
sione debolissima del criterio dell'«overt analogue», cioè si è riconosciuto lo statuto di
regola di formazione di parole a un insieme di fenomeni di transcategorizzazione senza
suffisso solo nel caso in cui diverse transcategorizzazioni presentino un valore semantico
unitario e di un tipo che può essere espresso da regole di formazione delle parole, almeno
dal punto di vista tipologico. Non si è cioè necessariamente richiesto che la stessa categoria
derivazionale sia realizzata in italiano anche con affissazione, ma si è considerata suffi-
ciente l'eventualità che una certa categoria derivazionale possa essere realizzata tramite
affissazione in almeno qualche lingua.
Il secondo criterio riguarda invece l'aspetto formale. Si sono considerate regole di for-
mazione di parole attuate per conversione quelle nelle quali, pur in assenza di un affisso
fonologicamente individuato, si ha un correlato formale dell'avvenuta derivazione: il cor-
relato è l'attribuzione alla parola formata di una classe di flessione tipica della categoria di
uscita.1 Infatti in una lingua flessiva come l'italiano le forme di citazione e le forme flesse
Questo aspetto della conversione era ben presente a Sweet, che definisce la conversione una trans-
categorizzazione «without any modification or addition, except, of course, the necessary change of
inflection» (Sweet 1892, 38). Di recente, ha attirato l'attenzione sul correlato flessivo della con-
versione Aronoff 1994, 127, che scrive: «The morphological effect of lexeme formation is often
[...] abstract or indirect [...]: it may sometimes provide a lexeme not only with phonological in-
formation directly (in the guise of an affix or template) but also with abstract morphological (mor-
phomic) properties that themselves have no direct phonological repercussions but can be detected
only in their subsequent effects on inflection. Sometimes the assignment of an abstract morpho-
logical property will be the only morphological effect of a rule of lexeme formation. Clearest and
504 7. Conversione
della base e dell'uscita di una regola di conversione per lo più non sono omofone (mentre
sono omofone le loro radici e/o i loro temi), perché ogni parola si inquadra in una classe di
flessione, espressa da desinenze.1 Le desinenze flessive di nomi e aggettivi sono in larga
misura omofone, ma quelle dei verbi sono disgiunte da quelle delle parole delle altre due
categorie.2 Inoltre, poiché in italiano i verbi presentano sia una radice che un tema, che
sono entrambi utilizzati per la costruzione di nuove forme e parole sia in flessione che in
derivazione (cfr. Dressier / Thornton 1991), per la conversione da basi verbali è necessario
specificare se la base formale del processo di conversione è la radice o il tema verbale: si
vedrà in 7.2.3.8. che diverse regole di conversione deverbale selezionano come base diversi
allomorfi del verbo. Inoltre, è necessario specificare in base a quali criteri i nomi deverbali
convertiti vengano inquadrati in una classe di flessione e ricevano un determinato genere (si
hanno infatti nomi deverbali convertiti di diverse classi e dei due generi). La conversione di
nomi e aggettivi in verbi avviene invece sempre a partire dalla radice della parola base.
Anche in questo caso, è necessario specificare tramite quale meccanismo il verbo venga
inquadrato in una determinata classe flessiva (cfr. 7.4.1.). Anche i casi analizzati come
conversioni intracategoriali di nomi in nomi (cfr. 5.1.1.1.12.1.-3., 7.2.1.2., 7.2.1.3.,
7.2.1.6.) si realizzano a partire dalla radice del nome base, e possono presentare cambio di
classe flessiva e di genere secondo criteri che saranno specificati. La conversione di agget-
tivi in avverbi (trattata in 7.5.) si realizza sempre in modo da produrre in uscita una parola
omofona del maschile singolare dell'aggettivo base, ma ovviamente priva di classe flessiva,
come è proprio della categoria di uscita.
La compresenza dei due criteri enunciati raramente si realizza in casi di derivazione in-
tracategoriale, dove possono presentarsi insiemi di parole che presentano regolari estensioni
semantiche con valore analogo a quello di categorie tipicamente derivazionali (ad esempio
nome d'agente (cfr. il tipo statistica —» statistico citato in 7.2.1.2., e il tipo violino "stru-
mento musicale" —» violino "suonatore di violino" citato in 1.2.6.4.3.), o verbo causativo
(cfr. 7.4.3.)), ma non sempre si presenta un cambio di classe di flessione (mai nel caso dei
verbi). Le coppie di nomi semanticamente collegati che non presentano né affissi né cambio
di classe di flessione, anche se la differenza semantica tra un'accezione e l'altra è ricondu-
cibile a una categoria derivazionale esistente o possibile, possono essere analizzate come
esempi di estensione metaforica o metonimica del significato (cfr. 1.2.6.3.-4., 7.2.1.4.-5.) o
come regole di conversione di carattere periferico. Le coppie di verbi semanticamente col-
legati che presentano differenze di valenza e di valore di transitività analoghe a quelle pre-
sentate da categorie derivazionali esistenti o possibili, ma non presentano cambio di classe
di flessione, sono analizzate in 7.4.3. come frutto di regole di conversione di carattere peri-
ferico.
Nei paragrafi che seguono, illustreremo diversi tipi di processi di transcategorizzazione
esistenti o esistiti in italiano. Poiché manca fino ad oggi uno studio complessivo sui diversi
most dramatic among the abstract morphological properties that may be assigned by a rule of lex-
eme formation is inflectional class».
1
Con l'eccezione di pochi nomi e aggettivi invariabili (sono invariabili il 5,4% dei nomi e l'I,9%
degli aggettivi del vocabolario di base, secondo Thornton / Iacobini / Burani 1997,74).
2
Le omofonie tra desinenze nominali e desinenze verbali sono parziali e del tutto casuali, ma alcuni
autori nell'analisi dei nomi deverbali convertiti hanno dato molta importanza a queste omofonie
(cfr. 7.2.3.8.).
7.2. Conversione in sostantivi 505
Ricordiamo in questo paragrafo diversi tipi di derivati che hanno come base un nome e
come uscita un altro nome, di diverso significato. Il cambiamento semantico è in alcuni casi
parallelo a quello che si può ottenere con determinati suffissi (è così nel caso della mozione
del tipo trattato in 5.1.1.1.12.1.-3., della derivazione di nomi di scienziati da nomi di scien-
ze e di nomi etnici da toponimi); in altri casi non si hanno in italiano suffissi che esprimano
lo stesso tipo di cambiamento di significato osservabile in coppie di parole dalla radice
omofona, ma con tratti sintattici e semantici diversi, come melo / mela. In questo caso il
cambio di classe di flessione e di genere può essere considerato spia di un avvenuto proces-
so di derivazione. Ma esistono anche casi in cui a un cambiamento di significato non corri-
sponde un cambiamento di genere e di classe flessiva: è così per coppie formate da nomi
propri e nomi comuni, come Mecenate / mecenate e Gorgonzola / gorgonzola. In questi
casi, è possibile interpretare la relazione tra il nome proprio (base) e il nome comune (deri-
vato) come un'estensione semantica di tipo metaforico o metonimico, e non come un pro-
506 7. Conversione
cesso derivazionale. Altri casi analoghi (da basi che sono nomi comuni) sono trattati e di-
scussi in 1.2.6.4.2.-3.
Come già visto in 5.1.1.1.11., si hanno alcuni nomi di agente, indicanti specialisti di deter-
minate discipline, formati per conversione di radice dal nome della disciplina corrispon-
dente, terminante in '-ica: tra gli esempi più recenti citiamo informatica —> informatico,
statistica —¥ statistico. Trattandosi di nomi di esseri umani, il risultato della conversione è
assegnato alla classe di flessione in -o/-i e prende genere maschile se indica un individuo di
sesso maschile, mentre è assegnato alla classe di flessione in -aJ-e e prende genere femmi-
nile se indica un individuo di sesso femminile. Poiché i nomi delle discipline scientifiche
base sono femminili della classe in -a/-e, la formazione del nome d'agente maschile è de-
scritta a volte come cambio di genere; la formazione del nome d'agente femminile (per lo
più trascurata nelle descrizioni) ha l'effetto di creare un lessema omofono in tutte le sue
forme con la base, ma diverso nel significato tanto quanto lo è il nome d'agente maschile.
Koch 1999b ha mostrato che nel caso di alberi da frutto, in cui l'elemento economicamente
importante per l'umanità è rappresentato dal frutto e non dall'albero, c'è una forte tendenza
interlinguistica a denominare l'albero con un nome morfologicamente collegato a quello del
frutto, per conversione o per suffissazione (mentre nel caso di alberi il cui frutto non ha
importanza per le comunità umane, come il faggio o la quercia, la tendenza più diffusa è
quella di avere nomi diversi, non morfologicamente collegati, per albero e frutto (per es.
quercia e ghianda) o a derivare il nome del frutto da quello dell'albero (come per es. nel
caso di faggio efaggiola)).
In italiano si hanno due tipi di coppie di nomi di albero e del relativo frutto (in qualche
raro caso non del frutto, ma di una sostanza utile estratta dalla corteccia o comunque rica-
vata dall'albero) basati sulla stessa radice: il tipo la mela / il melo, in cui il nome di frutto è
un femminile in -a con plurale in -e e il nome di albero è un maschile in -o con plurale in
-ι,1 e il tipo il cedro, il limone in cui nome di albero e nome di frutto sono del tutto omofoni,
hanno lo stesso genere e appartengono alla stessa classe di flessione.
Il primo tipo nasce probabilmente da una riproposizione con materiale italiano dello
schema latino che opponeva nomi di frutti neutri a nomi di alberi femminili, formati a parti-
Isolato ma sostanzialmente analogo a questo primo tipo è il caso la noce / il noce, in cui sia il
nome di albero che il nome di frutto sono in -e (con plurale in -i) ma differiscono per genere pa-
rallelamente ai nomi del primo tipo.
7.2. Conversione in sostantivi 507
re dalla stessa radice (come malum "mela" e malus "melo"). Il tipo è stato abbastanza pro-
duttivo nel corso della storia della lingua italiana, dando luogo almeno ai seguenti nomi di
albero: albicocco, castagno, mandorlo, nocciolo, prugno. Il tipo inoltre è ben rappresentato
tra le voci tradizionali attestate in italiano entro il XIV secolo: cfir. almeno arancio, giug-
giolo, melo, olivo, pesco, sorbo, susino. La sua produttività però è scemata negli ultimi due
secoli, durante i quali ha dato luogo solo a canforo (1933, da canfora, prestito dall'arabo
attestato fin dal XIV secolo) e banano (1865, da banana, prestito dal portoghese attestato
fin dal XVI secolo). L'altro tipo, invece, nei primi secoli è rappresentato solo da cedro, fico
e tamarindo, ma la sua produttività è poi aumentata: da una ricerca effettuata sul DISC
risulta che nei secc. XIX e XX ha dato luogo a pecan, avocado, mango, pompelmo, ango-
stura, cachi e mandarino.
I due tipi rispondono in modo diverso ai due requisiti che abbiamo posto alla base del ri-
conoscimento di una regola di conversione. Il tipo mela / melo risponde perfettamente ad
entrambi i requisiti (per un parallelo semantico con suffisso pieno si pensi al francese pom-
me "mela" / pommier "melo"): può quindi essere analizzato come una conversione di radi-
ce, con assegnazione del derivato a un genere e a una classe di flessione diversi da quelli
della base, e regolarmente associati a una precisa semantica (similmente a quanto stabilito
nel caso della mozione, su cui cfr. 5.1.1.1.12.1.-3.). Il tipo cedro invece risponde solo al
requisito semantico, ma non a quello formale, dato che il nome di albero presenta lo stesso
genere e la stessa classe di flessione di quello di frutto. Per casi analoghi, è stato proposto
di analizzare il cambiamento semantico che interviene tra due parole omofone in tutte le
loro forme come estensione di significato metaforica o metonimica (cfr. 1.2.6.4.), o come
frutto di una regola di conversione periferica (cfr. 7.4.3.). L'analisi è in una certa misura
anche funzione del modello teorico adottato.1 Dato che i due tipi presentano un valore se-
mantico unitario, sarei del parere di riconoscere l'operare di una regola di conversione,
ancorché periferica, anche nella formazione dei nomi del tipo cedro.
Questo tipo consiste in un'estensione semantica di tipo metaforico classificata nella retorica sotto il
nome di antonomasia vossianica (cfr. Lausberg 1969, § 207). Si tratta della trasformazione in nome
comune di un nome proprio che indica «una persona o una cosa che nella storia o nella mitologia ha
rappresentato una eccezionale o straordinaria realizzazione» (Lausberg 1969, § 207) di quanto si
vuole indicare con il nome comune. Al tipo è dedicato l'ampio studio di Migliorini 1968a [1927], il
quale osserva che i singoli casi di estensione semantica di questo tipo «nacquero ciascuno per opera di
una determinata persona, la quale si rivolgeva a un determinato ambiente preparato ad intenderla»
(53), cioè nacquero come fenomeni di costruzione di significato all'interno di determinati testi, e solo
in alcuni casi si sono stabilizzati nell'uso al punto da poter essere considerati nuove parole (che ven-
gono dunque scritte con l'iniziale minuscola).
La grande varietà delle caratteristiche pertinentizzate nei nomi propri «di base» per creare il «deri-
vato» antonomastico rende arduo riconoscere nell'insieme di questi casi un procedimento derivazio-
nale unitario. Sembra quindi preferibile mantenere per questo tipo la classificazione tradizionale di
procedimento retorico, invece che analizzarlo come un tipo derivazionale realizzato per conversione.
Esistono anche modelli che analizzano ogni regola di conversione come frutto di un'operazione
metaforica, cfr. Crocco Galèas 1997.
508 7. Conversione
L'antonomasia è alla base anche dei processi di «volgarizzazione» dei marchionimi, che avvengo-
no quando un marchionimo viene utilizzato anche per denominare qualunque prodotto o servizio di
un certo genere, anche di altre marche (cfr. Zardo 1995, 369): ad esempio kleenex, «denominazione
commerciale, che costituisce marchio registrato, di fazzoletti di carta, usata per antonomasia per i
fazzoletti di carta di qualsiasi marca e tipo» (DISC). Altri esempi sono autogrill, cotton fioc, pony
express, post-it, scotch, walkman. Anche in questo caso, è imprevedibile quali marchionimi evolvano
fino a subire volgarizzazione (legalmente riconosciuta o meno): si tratta quindi di un fenomeno di
parole, non di una regola di conversione ben definibile.
Questo tipo consiste in un'estensione semantica di tipo metonimico per cui un toponimo viene usato
per indicare un "prodotto tipico del luogo". Esempi sono damasco, gorgonzola, Chianti. Il tipo di
relazione semantica tra toponimo e prodotto è analoga a quella che può aversi tra toponimo e aggetti-
vo etnico suffissato sostantivato (cfr. 7.2.2.1.): si pensi a casi paralleli come gorgonzola e parmigiano
reggiano. Chianti e Cesanese. Alla base di entrambi i casi sta un'ellissi del nome indicante il tipo di
prodotto (formaggio, vino ...). La relazione LUOGO DI PRODUZIONE > PRODOTTO sembra realizzata con
metonimia piuttosto che con derivazione con una certa frequenza (benché non venga considerata in
1.2.6.4.2., probabilmente perché la base è qui rappresentata da un nome proprio). Un caso simile è
rappresentato da estensioni di un nome proprio di ditta ad indicare il suo prodotto tipico (una Ferrari,
una Fiat, dei Levi's, delle Superga).
Alcuni toponimi, per lo più terminanti in una sequenza omofona a un suffisso tipicamente
usato per la formazione di etnici, danno origine a nomi di abitanti formati per conversione:
ad esempio, Montalcino —> montalcino, Albiano albiani, Antisciana —> antisciani (Croc-
co Galéas 1991a, 13 e 171-180; Caffarelli 2000b, 490-491). Vanno distinti due tipi: nel
primo, l'etnico è usato sia come sostantivo che come aggettivo; nel secondo, l'etnico è
attestato solo al plurale, ed è usato solo come sostantivo. Sulla base del fatto che gli etnici
di questo secondo tipo sono attestati solo al plurale, Crocco Galéas 199la classifica questo
tipo di derivazione come conversione di nome proprio in nome comune, e non come con-
versione di nome proprio in aggettivo (sul rapporto tra etnici sostantivi e aggettivi cfr.
5.2.1.6.1.).
Trattiamo in questo paragrafo diversi tipi di processi che portano alla formazione di un
nome a partire da un aggettivo senza intervento di alcun affisso. Dato che in italiano gli
aggettivi si inquadrano in classi di flessione uguali a quelle nelle quali si inquadrano i nomi,
nei processi qui in esame non si osserva mai un cambio di classe di flessione. Tuttavia, dato
che gli aggettivi presentano il genere solo come categoria contestualmente governata (rice-
vono cioè un genere per accordo con un nome), mentre i nomi italiani presentano un genere
7.2. Conversione in sostantivi 509
inerente, bisognerà render conto di come venga assegnato il genere inerente ai nomi deag-
gettivali qui esaminati.
Data la completa omofonia tra i nomi qui trattati e gli aggettivi loro basi, per stabilire l'effettiva ap-
partenenza di una voce alla categoria dei nomi possono essere utilizzati due test di carattere sintattico:
la possibilità di occorrere in posizione predicativa con un articolo indeterminativo (senza articolo
possono occorrere in tale posizione anche aggettivi qualificativi) e la possibilità di occorrere con un
modificatore aggettivale (gli aggettivi richiederebbero un modificatore avverbiale). Per economizzare
spazio, daremo esempi della rispondenza a questi test dei tipi trattati in 7.2.2.1.-4. in nota, limitando
al minimo i commenti.
Moltissimi nomi derivati senza suffisso da aggettivi si sono originati attraverso processi di
ellissi che, come già detto in 1.2.6.2.2., comportano l'assorbimento del significato della
testa di un sintagma nominale, o di un lessema complesso con testa nominale,
nell'aggettivo, che diviene sostantivo e prende il genere della testa nominale caduta.
Per alcuni di questi nomi si è persa consapevolezza dell'origine aggettivale, anche per-
ché in alcuni casi l'aggettivo è uscito dall'uso: si pensi a giornale o cattedrale.
Le categorie semantiche delle teste cadute possono essere le più varie.1 Per dare un'idea,
elenchiamo i valori che hanno i sostantivi derivati per ellissi della testa nominale dagli
aggettivi comunale, provinciale, regionale, nazionale e statale, tra loro semanticamente
omogenei. Comunale come nome maschile può indicare un asilo o uno stadio; provinciale
maschile può indicare un ecclesiastico ("chi è a capo di una provincia ecclesiastica o di un
ordine", DISC) o un campionato sportivo; provinciale femminile può indicare una strada;
regionale maschile può essere un treno o un campionato; nazionale femminile può essere
una squadra o una biblioteca, e in entrambi i generi, con riferimento ad esseri umani di
entrambi i sessi, può indicare atleti; statale femminile può essere una strada o un'università.
Al femminile plurale, comunali, provinciali e regionali possono indicare elezioni ammini-
strative. Altri esempi della varietà di significati esprimibili da aggettivi sostantivati per
ellissi si hanno osservando i valori dei due sostantivi primo e prima: primo può indicare un
giorno del mese, un minuto, un piatto, un canale televisivo, uno dei protagonisti di un
duello (assistito da un secondo!); prima indica una classe di un corso di studi, una classe su
mezzi di trasporto come treni e aerei, una marcia, una rappresentazione teatrale, una posi-
zione nella scherma o nella danza, una scalata alpinistica. Per i valori di diversi aggettivi
sostantivati per ellissi contenenti il suffisso -ale, cfr. anche 5.1.1.2.2. e 5.1.1.6.7.
Nella maggior parte degli esempi visti finora l'elemento soggetto ad ellissi è chiaramente
ricostruibile, e in alcuni contesti sono ancora in uso in italiano anche i sintagmi pieni (ad
es., strada statale, campionato regionale, classe prima (nella scuola) e prima classe (nei
mezzi di trasporto), primo piatto ecc.). In alcuni casi però, quando una stessa testa nominale
compare in numerosi sintagmi poi soggetti ad ellissi, è possibile che il suffisso aggettivale
più tipicamente presente nei suoi modificatori poi nominalizzati sia reinterpretato come
1
Alcune grammatiche presentano elenchi dei casi più numerosi: cfr. Serianni 1988, § 48, in gran
parte basato su Fornaciari 1974 [1881], 23-24. Per un'illustrazione della varietà di possibili svi-
luppi per ellissi di sostantivi da aggettivi etnici cfr. Schweickard 1991.
510 7. Conversione
portatore del significato della testa, e venga quindi utilizzato per la neoformazione di nomi
omofoni ad aggettivi, ma non frutto di sostantivazione dell'aggettivo per ellissi del nome,
perché il sintagma pieno non è mai stato in uso. Un caso di questo tipo ben studiato è quello
del suffisso latino -aticu(m) e del suo discendente francese -age, che a causa del frequente
uso in sintagmi con la testa census "tassa" e dell'altrettanto frequente ellissi di questa testa,
ha sviluppato il valore di "tassa" ed è poi stato usato per la formazione diretta di nomi di
tasse (cfr. Fleischman 1977). Analogamente, il suffisso latino -ilis usato in combinazione
con il sostantivo neutro stabulum, poi soggetto ad ellissi, ha dato nomi di stalle quali ovile,
caprile, suile che hanno fatto da modello per formazioni italiane quali canile o gattile "ri-
covero per gatti" (1984 secondo GRADIT, s.v.), che non sono mai state aggettivi (cfr.
Thornton 1993b).
Le transcategorizzazioni di aggettivi in nomi dovute ad ellissi di un nome testa non rien-
trano nel campo della formazione delle parole, in quanto sono processi sintattici che posso-
no anche essere del tutto occasionali, fatti di parole. A volte però il ripetersi frequente di
ellissi di uno stesso nome o di diversi nomi in rapporto di sinonimia può costituire un mo-
dello per lo sviluppo di aggettivi sostantivati anche in casi in cui non è mai stato usato un
sintagma N+A nel quale il nome sia poi stato oggetto di ellissi (cft. Schweickard 1991,
349). Nei paragrafi seguenti esamineremo quindi una serie di tipi di sostantivi derivati da
aggettivi in ultima analisi tramite procedimenti di ellissi, perché costituiscono casi in cui
una prima serie di transcategorizzati per ellissi ha fatto da modello per lo sviluppo di regole
produttive autonome.
Test: Questa è una Rosacea rara, Questo è un Bovide raro. Per i nomi di periodi geologici è in-
naturale l'uso dell'articolo indeterminativo in quanto ogni nome indica un solo periodo, ed è quin-
di in un certo senso un nome proprio. Sono comunque immaginabili contesti del tipo Questo è un
Paleozoico ancora poco studiato. Il modificatore aggettivale è la norma: Paleozoico superiore.
2
Test: tardo gotico.
512 7. Conversione
Ad aggettivi etnici corrisponde spesso un sostantivo omofono che indica il territorio circo-
stante una città, il suo contado: il Bergamasco, il Riminese, il Frusinate. Non è chiaro se ci
siano restrizioni a quest'uso; Caffarelli 2000b, 492 osserva che la cosa è possibile «quasi
Test: «sono uno splendido quarantenne» (battuta pronunciata dall'attore e regista Nanni Moretti
nel suo film Caro diario).
7.2. Conversione in sostantivi 513
sempre [...] a parte alcuni casi fuori dell'uso comune (ΓImperiese, Vhemiario o ¡semino, il
Latinese, il Romano)». Una consultazione mirata del corpus della Stampa 1999 e una ricer-
ca su Internet (effettuata il 2 1 - 0 7 - 2 0 0 2 ) hanno permesso di reperire occorrenze quali: nel
Veneziano, nel Genovese, nel Fiorentino, nel Lucchese (nonstante la concorrenza di Luc-
chesia), nel Pisano, nel Chietino, nel Cagliaritano, Sondriese («L'arte rupestre della Val-
tellina centrale (Sondriese e Valmalenco)», Internet) e anche due occorrenze di /semino
(«l'arte del tombolo nell'Isernino; la maggiore festa dell'Isernino», Internet). La possibilità
di denominare il territorio circostante un centro con un nome maschile omofono
dell'aggettivo etnico usato per lo stesso centro non è limitata ai capoluoghi di provincia,
dato che troviamo anche nel Fermano, nel Sanremese. Mentre Trentino è assurto addirittura
a nome ufficiale, manca nella documentazione che ho potuto raccogliere °Bolzanino nel
senso di "territorio intorno a Bolzano": si può ipotizzare che la lacuna sia dovuta al blocco
da parte della forma Alto Adige, ma questa ipotesi è indebolita dal fatto che è attestato Ao-
stano («temporali su Aostano ed Ossola», La Stampa 2 3 - 7 - 9 9 , 39), che non risulta bloc-
cato dall'esistenza di Val d'Aosta. Altre lacune sono probabilmente accidentali o dovute a
fattori storico-culturali di rilevanza locale.
Secondo Serianni 1988, § 48, il tipo è di origine ellittica: la testa mancante sarebbe distretto o territo-
rio. Per questa indicazione Serianni rimanda a Fornaciari 1974 [1881], 24, il quale in realtà sostiene
che un sostantivo quale distretto o territorio non è tanto colpito da ellissi, quanto «sottinteso».
L'ipotesi di Fornaciari è molto plausibile, in quanto se fosse vero che il tipo ha origine ellittica do-
vremmo trovare attestati in epoca antica sintagmi nei quali distretto e/o territorio sono ancora presenti
e accompagnati dall'aggettivo. Invece una ricerca sui testi italiani più antichi, compiuta sul database
dell'OVI (http://www.csovi.fi.cnr.it/italnet/OVI/) e sulla LIZ 3.0, mostra che nella stragrande maggio-
ranza dei casi nei primi secoli le voci territorio e distretto (come anche contado) sono usate o assolu-
tamente, o nel contesto territorio / distretto / contado di X (dove X = toponimo). Solo gli Statuti
Pisani del 1318-1321 presentano una manciata di occorrenze di distrecto pisano e pisano distrecto in
alternanza con distrecto di Pisa. L'uso dell'etnico come sostantivo è quasi altrettanto antico: già in
Matteo Villani si legge gli condusse in su il milanese passando il fiume dell'Adda, cavalcarono in sul
bresciano, passare in sul fiorentino.
In epoca antica si ha qualche attestazione anche di etnici sostantivati femminili: in Giovanni Villa-
ni leggiamo uno castello di bresciana che si chiama Liorci, nel castello di Salò in bresciana, e simili:
se si vuole pensare a un'origine ellittica, il nome mancante qui sarà probabilmente terra. Nell'uso
contemporaneo, però, questo tipo è assolutamente impossibile (nonstante la plausibilità di un femmi-
nile che potrebbe derivare da un'elisione di provincia).
La sostantivazione dell'etnico al maschile è l'unica oggi possibile, e come si è visto è molto pro-
duttiva. Può quindi essere analizzata come un genuino caso di regola di formazione delle parole at-
tuata per conversione di aggettivo in nome, una regola con una semantica ben definita e priva di
restrizioni, o con restrizioni solo di tipo pragmatico. Il genere maschile non sembra potersi spiegare
(almeno non sempre) come ereditato da una specifica testa nominale caduta; si deve quindi pensare
che esso emerga in quanto genere di default in italiano o in quanto genere di un iperonimo associato
dai parlanti a questo tipo di nomi. L'ipotesi dell'assegnazione in base al genere di un iperonimo (che
sia territorio, distretto, contado o altro) rende conto del genere senza richiedere per ciascun nome
convertito il reperimento di specifici contesti sintagmatici diacronicamente anteriori nei quali
l'aggettivo sia ancora tale.
514 7. Conversione
Un altro gruppo di nomi regolarmente omofoni di un aggettivo etnico sono i nomi di lingue
e dialetti, che sono sempre maschili: l'italiano, il francese, il veneziano, il torinese. Il gene-
re maschile non è facilmente spiegabile. L'ipotesi di un'origine ellittica da sintagmi del tipo
la lingua italiana predirebbe per l'aggettivo sostantivato il genere femminile, contraria-
mente ai fatti. Altra ipotesi è che l'origine sia sì ellittica, ma a partire da contesti in cui il
nome testa sia maschile, quali ad esempio l'idioma italiano.1 Questa ipotesi non trova però
un buon riscontro nei fatti. Innanzitutto, lingua e idioma fin dai primi secoli alternano libe-
ramente in contesti analoghi, e lingua è usato più frequentemente di idioma. Contesti di
gapping che potrebbero stare all'origine del tipo che ci interessa sono attestati2 per entrambi
i nomi: nel greco idioma o nel latino (Bembo), la lingua greca e la latina (Foscolo),
l'idioma Tedesco e il greco (Leopardi); tuttavia i primi esempi di uso assoluto precedono le
prime attestazioni di contesti di gapping, e occorrono nella Nuova cronica di Giovanni
Villani, autore che non usa mai idioma, ma solo lingua. In Villani leggiamo frasi come era
di lingua francesca, lingua francesca né latina non sapea ma in sua lingua fiamminga
parlava meglio, ma leggiamo anche i seguenti due brani: il re Carlo di sua bocca volle fare
la risposta, e disse in sua lingua in francesco «Ales e dite moi...»; sapeva bene il france-
sco. Dunque in un autore che non usa mai idioma, e quindi probabilmente neppure lo sot-
tintende, mentre usa regolarmente sintagmi come lingua francesca, è già attestato un uso
sostantivato dell'aggettivo maschile, come in sapeva il francesco. Questo insieme di dati fa
supporre che l'uso di aggettivi sostantivati maschili con il valore di nomi di lingua non sia
da ricondurre a fenomeni di ellissi, ma sia frutto di una regola di conversione indipendente.
Anche questa regola sembra priva di restrizioni. Sono regolarmente attestati come maschili
anche nomi di lingua terminanti in -a, che sarebbero in base alla loro terminazione candi-
dati a ricevere genere femminile, come il kannada, il quechua, lo yoruba. L'esistenza di
questi nomi corrobora anche l'ipotesi di un'origine non ellittica del tipo, dato che essi sono
attestati per la prima volta in italiano nel XX secolo, epoca in cui l'uso di idioma era già in
declino; un'ipotetica ellissi di idioma è quindi per questi nomi difficilmente invocabile
come fonte del genere maschile, ed è più convincente l'ipotesi di una formazione per regola
di conversione dall'etnico, con assegnazione del maschile in quanto genere di default.
Un'altra ipotesi sull'orgine dei nomi di lingua maschili omofoni di aggettivi etnici, non incompatibile
con quanto detto finora, è esposta in Thornton 2003. Qui si ipotizza che all'origine del tipo possano
stare costrutti come parlare italiano, in cui italiano è ancora aggettivo o al massimo è un avverbio
convertito da un aggettivo; il costrutto sarebbe parallelo a parlare chiaro, parlare difficile (su questi
usi dell'aggettivo cfr. Prandi 1992 e 7.5.). Una rianalisi di questi contesti avrebbe portato poi a inter-
pretare italiano come oggetto di parlare, e dunque come nome. Il genere maschile di questi nomi si
spiegherebbe allora come ereditato dal genere maschile dell'aggettivo {parlare italiano / Sparlare
1
Secondo Fornaciai! 1974 [1881], 24 è «sottinteso il sostantivo idioma, linguaggio o parlare». Ad
una sommaria ricognizione effettuata consultando la LIZ, non mi risulta che nei primi secoli della
nostra letteratura i sostantivi linguaggio e parlare siano mai stati usati seguiti da un aggettivo etni-
co.
2
Le attestazioni da testi antichi o letterari citate in questo paragrafo sono state reperite tramite con-
sultazione della LIZ 3.0.
7.2. Conversione in sostantivi 515
italiana), il quale riceve il genere maschile per default, perché modifica un verbo, cioè un elemento
non capace di controllare l'accordo di genere e quindi di assegnare un genere per accordo.
In testi filosofici, e più recentemente anche sociologici e politici (cfr. Serianni 1988, § 47,
secondo il quale l'uso è dovuto all'influenza del linguaggio filosofico tedesco), e anche in
testi di critica letteraria o d'arte, si usa la sostantivazione di aggettivi al maschile per
l'espressione di categorie astratte, quali il bello, il sublime, il privato e il politico. È stato
osservato (cfr. già Fornaciari 1974 [1881], 28, e, per lo spagnolo, Rainer 1993a, 682-683)
che si possono distinguere due valori degli aggettivi sostantivati di questo tipo. Da una
parte, si ha il valore di nome di qualità, di cui riporto qualche esempio reperito ricercando
occorrenze di sublime nel corpus della Stampa: Eros Pagni sfiora il sublime (12-12-99,
27), nella danza contemporanea fra il sublime e il ridicolo c'è un solo passo (12-10-99,
28), giudica inaudito l'accostamento fra il sublime e lo squallido (29-9-99, 29), sempre
incerta fra il sublime e la volgarità (17-9-99, 33). In particolare l'ultimo esempio, in cui
sublime è coordinato con un nome di qualità deaggettivale suffissato, mostra inequivoca-
bilmente il valore di nome di qualità del tipo. L'altro valore possibile è quello collettivo,
esemplificato dalle seguenti citazioni: voleva raccontare il sublime della vita [...] voleva
comunicare il sublime del quotidiano (16-9-99, 25); sovrapposizione fra una geografìa
concreta e familiare e il fantastico che continuamente l'invade (14-11-99, 19); il modo in
cui il privato si riverbera sulla vita lavorativa (14-11-99, 26).
Mi sembra rientrare in questa categoria anche l'uso di aggettivi maschili in costruzioni
del tipo il bello è che.
Per il valore astratto, ricordiamo qui anche i nomi di colore, frutto della conversione dei
corrispondenti aggettivi: rosso il rosso}
Il gruppo più numeroso di nomi deverbali convertiti è costituito da maschili in -o. Secondo
il DISC si hanno oltre 800 formazioni di questo tipo. Semanticamente, si tratta di nomi
d'azione, che hanno un significato di base parafrasabile come "l'atto di V", e possono esse-
re soggetti a diversi tipi di estensioni di significato (cfr. 5.1.3.1.1.2.), giungendo a designare
il risultato dell'azione indicata dal verbo, uno strumento o un mezzo usato per compierla, il
luogo in cui si compie l'azione, la cosa o la persona su cui l'azione si esercita, e in rari casi
anche chi compie tale azione.
Presento qui di seguito esempi dei diversi tipi di estensioni di significato traendoli dai deverbali ma-
schili in -o appartenenti al vocabolario di base dell'italiano (individuati tramite la consultazione della
base di dati BDVDB, Thornton / Iacobini / Burani 1997). Ha anche valore di nome d'agente aiuto
"chi esercita la funzione di aiutante [...]; nell'assetto giuridico-amministrativo ospedaliero, medico
che ha la qualifica immediatamente inferiore a quella di primario". Indicano luogo parole come al-
loggio, arrivo, incrocio, parcheggio, ricovero, ritrovo, soggiorno, spaccio, valico, e anche covo, che è
solo nome di luogo e non presenta il significato di azione. Designano strumenti cambio, fermo, e
alcuni deverbali che non presentano il significato di azione, come compasso, schermo, stampo. Hanno
anche il significato di oggetto dell'azione (spesso «oggetto interno») parole come guadagno, vanto,
incasso, acquisto, carico, e consumo. L'estensione semantica più comune è quella che porta i dever-
bali a indicare il risultato dell'azione, sia nel senso di stato risultante, come nel caso di accordo,
conforto, distacco, spavento, che nel senso di prodotto concreto dell'azione, come per disegno, graf-
fio, racconto, rammendo, ricamo, taglio, strappo; potrebbero essere considerati in questa categoria
anche nomi come fischio, squillo, strillo, tuono, urlo, che indicano suoni o rumori prodotti tramite le
azioni o gli eventi designati dal verbo base.
1
Con un'alternanza sincrónicamente irregolare tra /ji/ del deverbale e Ini della radice verbale.
2
Qualche deverbale maschile si ha anche da basi con gli altri suffissi popolari considerati in
5.1.3.1.2.1.: punzecchio, rosicchio, sputacchio, picchietto.
3
Alcuni autori hanno avanzato l'ipotesi che alcuni deverbali maschili «siano storicamente raccor-
ciamenti di sostantivi già esistenti in -amento» (Tollemache 1954, 10). Tale ipotesi spiega però
7.2. Conversione in sostantivi 517
Dal punto di vista semantico, nella maggior parte dei casi i due derivati sono sinonimi (cfr. ad esem-
pio saccheggiamento e saccheggio, palleggiamento e palleggio), ma spesso il deverbale senza suffis-
so è più ricco di accezioni e più usato di quello in -mento (cfr. i casi di passeggiamelo e passeggio,
noleggiamento e noleggio, e campeggiamento e campeggio: in tutti e tre i casi il derivato in -mento
indica solo l'azione verbale, mentre il deverbale senza suffisso ha anche altre accezioni, tra cui quella
di luogo). Non mancano casi di completa disgiunzione tra i significati dei due derivati: carreggia-
mento è un termine tecnico della geologia che significa "Notevole slittamento di zone rocciose sullo
strato sottostante, dovuto a energiche spinte orogeniche tangenziali" mentre carreggio può significa-
re: "1. Trasporto di materiali su un carro; nelle miniere, trasporto di materiale su vagonetti; 2. Seguito,
convoglio di carri; 3. mil. Insieme di carri o di veicoli da trasporto al seguito di un esercito; 4. Nel
Medioevo, obbligo di adempiere con i propri carri servizi per la collettività, in pace o in guerra; nei
regimi colonici, obbligo per i contadini di trasportare gratuitamente alla casa padronale la parte del
prodotto spettante al padrone" (DISC, s.v.).
Sono attestati un certo numero di neologismi, 1 tra cui i seguenti apparsi a partire dal 1950:
affaccio, affido, combino, esubero, posticipo, riciclo, ricircolo, riuso, sballo, scazzo, scip-
po'
Sull'aspetto formale delle derivazione di questo tipo, cfr. 7.2.3.8.
Il DISC considera sostantivi deverbali femminili in -a 295 vocaboli. Per almeno un 10% di
essi, però, il confronto con altre fonti lessicografiche (in primo luogo GRADIT) invita alla
cautela: si tratta spesso di voci dall'etimo incerto o controverso.
Inoltre, è mia opinione che i sostantivi deverbali femminili in -a esistenti in italiano sia-
no di due tipi diversi: da una parte autentici sostantivi deverbali in -a, dall'altra voci for-
mate a partire da altri sostantivi deverbali per troncamento di un suffisso (nella stragrande
maggioranza dei casi -zione, in qualche caso -tura, in rari casi -trice). I due tipi possono
essere confusi a causa del valore semantico di nome d'azione comune alla maggior parte
dei membri dei due gruppi, ma si differenziano per alcune caratteristiche. Qui di seguito li
tratteremo separatamente.
con difficoltà perché il sostantivo troncato non esca in -a. Per la discussione di un'ipotesi parallela
relativa ai deverbali femminili in -a, cfr. 1.23.2.2.
1
I dizionari ne elencano oltre trenta, ma in molti casi si tratta di falsi neologismi, già attestati a volte
da secoli, come ho verificato controllando la data di prima attestazione riportata per ciascuno di
questi deverbali dal DISC e dal GRADIT.
2
Inoltre Berretta 1986, 59 osserva che apprendenti di italiano come L2, se producono deverbali
senza suffisso, producono per lo più maschili in -o.
518 7. Conversione
del XIV secolo, e altri oggi in disuso o relegati ad usi settoriali, o usati solo in locuzioni
cristallizzate, quali aita, bada, cerca, chiama, monta, muda, piova, travalca e traina (queste
ultime indicano due andature devianti dei cavalli). Da basi di origine germanica derivano
guida, ridda, ruba, tresca. Nomi d'azione sono poi attestati ancora nei secoli successivi:
ricerca, sfida, firma ... Come gli altri nomi d'azione, spesso questi deverbali presentano
come significato prevalente quello derivante da un'estensione verso i valori di risultato (per
esempio la tripletta pesta, impronta e traccia) o oggetto dell'azione (minestra, sfoglia), di
strumento o di luogo (polla, stiva).
Importante è un gruppo di nomi di strumenti o apparecchi, per lo più di attestazione anti-
ca ma ancora ben vivi nell'uso: stufa, frusta, sveglia, trafila, leva, molla, raspa, ronca,
sferza, squadra, ventola, cui possono aggiungersi i meno comuni o disusati allunga, ingol-
la, invoglia "involucro", liscia, resta, ruzzola, schiaccia, scotola, tasta.
I dizionari di neologismi non registrano alcun nuovo deverbale femminile in -a che abbia
il valore di nome d'azione o di una delle possibili estensioni di significato comuni nei nomi
d'azione. Tra i deverbali femminili in -a registrati dal DISC come attestati nel XX secolo
solo le due voci di registro familiare coccolai (a. 1973, "gesto di tenerezza") e tombola2 (a.
1957, "capitombolo, ruzzolone") sono spiegabili in modo convincente come veri deverbali
femminili in -a: tuttavia si osservi che entrambe le voci hanno una voce omofona di diverso
significato e di attestazione precedente (tombolai, "gioco ...", sec. XVIII, e coccola2 "frutto
rotondeggiante ...", sec. XIV), la cui esistenza può aver favorito la creazione dei due de-
verbali omofoni anche se la derivazione di deverbali femminili in -a per conversione oggi
non è più produttiva.
Dal punto di vista formale, è interessante stabilire lo statuto della -a che fa da desinenza
in questo gruppo di nomi. Se si ipotizza che la conversione riguardi il tema verbale, nel
caso dei derivati da verbi in -are non ci sono problemi: la -a è la vocale tematica del tema
verbale, reinterpretata come desinenza del femminile. Esiste però anche una manciata di
derivati da verbi di coniugazioni diverse dalla I: basta (4- bastiré), beva (secondo il DISC
da bevere (sic), più plausibilmente dalla radice bev- di bere), cerna (<— cernere), piova (<—
piovere), possa (<— possere, variante antica di potere). Questi tipi si analizzerebbero meglio
come conversioni della radice verbale, con successivo inquadramento nella classe di fles-
sione in -aJ-e. D'altra parte, nulla osterebbe ad estendere tale analisi anche ai derivati da
verbi in -are. In tal modo si renderebbe conto dell'aspetto formale della regola che forma i
deverbali in -a in modo parallelo a quanto si propone di fare per i deverbali in -o (cfr.
7.2.3.8.). Tuttavia, dato il numero esiguo di derivati da verbi non in -are, si può anche pen-
sare che essi presentino la desinenza -a per analogia con il ben più folto gruppo di deverbali
da verbi in -are, che potrebbero effettivamente essere frutto di conversione del tema verba-
le.
Per una valutazione complessiva dell'aspetto formale di questo tipo di derivazione cfr.
7.2.3.8.
versi ordini di considerazioni. In primo luogo, il derivato in -zione è attestato in data prece-
dente (spesso di secoli) a quella in cui è attestata la forma in -a. Inoltre, per lo più le due
parole hanno lo stesso significato; solo in alcuni casi si è avuta differenziazione semantica
tra il derivato in -zione e la sua forma accorciata (per esempio tra qualificazione e qualifica,
tra classificazione e classifica, tra rettificazione e rettifica). Un sottogruppo notevole tra
questi derivati accorciati è costituito da derivati da verbi in -ificare, che, come si è visto
(cfr. 5.1.3.1.2.1.), formano di solito nomi d'azione in -zione. La tabella 1 riporta la data di
prima attestazione 1 dei derivati in -zione da verbi in -ificare e delle loro forme accorciate,
che appaiono come deverbali in -a.
1
La data è desunta dal GRADIT, perché il DISC per molte voci di attestazione antecedente il XVIII
secolo riporta solo il secolo e non l'anno di attestazione.
2
De Mauro 1970 2 , 421 informa su modifiche terminologiche del testo del codice civile del 1865,
per cui revoca, rimborso e rialzo sono sostituiti da rivocazione, rimborsazione, rialzamento. A un
parlante contemporaneo, i primi tre termini suonano usuali, mentre i secondi tre appaiono decisa-
mente arcaici o comunque non usati.
520 7. Conversione
1
Cfr. Sofri, Α., Le prigioni degli altri, Palermo, Sellerio, 1993, 56, che scrive «Veniva la perquisa»
senza commenti sul termine, mentre nelle pagine immediatamente precedenti dello stesso testo al-
tre voci tipiche dell'uso carcerario vengono ampiamente commentate.
2
Anche secondo Berretta 1986, 57 la brevità è la caratteristica dei deverbali senza suffisso che li
rende «più vitali in sottocodici dell'italiano che nella lingua comune», in quanto «le lingue speciali
(sottocodici, gerghi, etc.) tenderebbero continuamente a costruirsi parole brevi [...] per le nozioni
che in ciascuna di esse sono centrali».
7.2. Conversione in sostantivi 521
Un piccolo numero di deverbali senza suffisso, coincidenti formalmente con il tema verba-
le, indica esseri umani. Il DISC registra i seguenti: procaccia "persona che trasporta pacchi
per conto terzi", scaccia "nelle battute di caccia, persona incaricata di deviare la selvaggina
verso la posta", tartaglia "chi tartaglia; affetto da balbuzie", tentenna "persona lenta nelle
decisioni, irresoluta", trecca "venditrice di frutta e verdura" (da treccare "fare il venditore
al minuto di generi di poco valore"). 1 A questi possono aggiungersi due nomi che designa-
no animali: chioccia, saltabecca.2 Tra i dizionari di neologismi, solo Q elenca alcune for-
mazioni riconducibili a questo tipo, tutte accomunate dal significato di "lenone": ciancica,
pappa, magnaccia (con suffisso peggiorativo). Si tratta chiaramente di una nicchia seman-
tica, che non attesta la produttività del tipo.
Una trattazione di questo tipo si ha già in Tollemache 1954, 146-156, che segnala nel
suo corpus di deverbali da verbi in -are 48 vocaboli che egli definisce «deverbali maschili
in -a». In realtà il genere maschile è per questo tipo un fenomeno di norma ma non di si-
stema: innanzitutto, è attestato almeno un deverbale femminile riconducibile al tipo, trecca.
Inoltre, in quanto nomi d'agente, i deverbali in questione possono essere usati anche con
riferimento a donne e prendere il genere femminile: come anche nel caso dei composti
verbonominali (cfr. 2.1.2.5.), l'uso al femminile non comporta altra marca formale che il
cambio di genere di eventuali determinanti e modificatori che si accordano al nome (come
si può avere il rompiscatole e la rompiscatole, si potrà avere in linea di principio il procac-
cia e la procaccia). Neppure la terminazione in -a è un tratto necessario del tipo: essa si ha
in derivati da verbi in -are, mentre da verbi di altre coniugazioni si hanno deverbali in -i,
come osserva già Migliorini 1957b, 86. Lo stesso Tollemache 1954, 165-166 ne registra tre
casi: ser Contrapponi, dormi, piangi.
Tollemache classifica questi deverbali in due gruppi: «deverbali di contenuto serio desi-
gnanti il mestiere, la professione» e «deverbali di contenuto ironico, scherzoso». Nel cor-
pus di Tollemache questo secondo gruppo è il più numeroso, e le formazioni si presentano
spesso precedute da titoli quali Ser, Messer, Mastro o altri: Mastro Imbroglia, Capitan
Fracassa, re Tentenna. Lo stesso Tollemache 1954, 153 osserva che il tipo ha una semanti-
ca che lo accomuna ai composti verbonominali, anch'essi usati per coniare nomi di mestie-
re o soprannomi di carattere ironico; inoltre i due tipi hanno una comunanza anche sul pia-
no formale: «ambedue hanno come parte essenziale un elemento verbale esternamente
uguale. Anzi, non di rado, il deverbale, specificandosi, si fa composto: il semplice arruffa
diventa, secondo il caso, arruffacervelli, arruffamatasse, arruffapopolo [...]» (Tollemache
1954, 153). L'idea di Tollemache è dunque che i deverbali del tipo qui in esame costitui-
scano quasi un prius rispetto ai composti verbonominali. Di parere opposto è Migliorini
1957b, 82, secondo il quale sono i deverbali d'agente che derivano da composti VN per
1
A questi deve aggiungersi mangia, per il quale il DISC registra oggi solo un significato traslato
"uomo di aspetto feroce, aggressivo e spaventoso", ma il cui etimo («dal nome dell'automa che
batteva le ore sulla torre del Palazzo Pubblico di Siena, detta torre del Mangia con allusione a un
antico campanaro noto spendaccione») attesta il valore di "spendaccione", "mangiadenaro".
2
Diversa è l'origine di nomi d'agente come guida, spia, che hanno sempre genere femminile indi-
pendentemente dal sesso del referente. Accolgo per essi l'ipotesi di Migliorini 1957b, 73-74, se-
condo il quale questo tipo nasce per estensione semantica di nomi d'azione del tipo discusso in
7.2.3.2.1. All'origine del passaggio semantico starebbero contesti come fare la spia.
522 7. Conversione
«ellissi del complemento diretto». In effetti un processo che a partire da composti verbo-
nominali produce, per troncamento del secondo membro, una parola formalmente indistin-
guibile da un deverbale dà ancora qualche segno di produttività: recente è la erezione di
rompi, da rompiscatole o simili. 1
In italiano l'infinito dei verbi può svolgere il ruolo di testa di un SN, presentando alcune proprietà
tipiche dei nomi (ad esempio, essere preceduto da articolo determinativo o indeterminativo o da di-
mostrativi, avere un soggetto introdotto da di) e altre tipiche dei verbi (ad esempio, essere flesso per il
tempo, reggere un complemento oggetto, essere modificato da un avverbio). Una dettagliata analisi
dei diversi casi attestati è offerta da Skytte / Salvi 1991, 559-569, i quali ritengono che l'uso
dell'infinito come testa di SN sia produttivo quanto una costruzione sintattica, e non frutto di una
regola di conversione. Gli stessi autori propongono di distinguere usi sostantivali dell'infinito da
sostantivi omofoni di infiniti, che sono frutto di un processo di lessicalizzazione, e hanno una seman-
tica non riducibile a quella di "azione, evento di V". Inoltre, questi ultimi hanno la possibilità di
essere usati al plurale, che è invece esclusa per gli infiniti produttivamente sostantivati in sintassi. Gli
infiniti lessicalizzati come nomi sono poco più di una ventina: tra i più frequenti avere, essere, dove-
re, potere (che ha dato luogo a diversi prefissati: contropotere, prepotere, strapotere, sottopotere e
superpotere), piacere. Alcuni altri sono documentati in italiano antico ma oggi non sono più usati: in
Boccaccio si legge gli amorosi baciari e i piacevoli abbracciari, in Dante drizzate noi verso li altri
saliri. Un plurale il cui uso si è sviluppato più di recente è i saperi.
Un analogo processo ha portato anche alla creazione di caccia (sostantivo maschile) da cacciator-
pediniere.
7.2. Conversione in sostantivi 523
Gli aggettivi omofoni di participi passati (cfr. 7.3.2.1.) possono essere sostantivati alle
stesse condizioni degli altri aggettivi: si rimanda quindi a 7.2.2.
Come si è detto, la descrizione della conversione di verbi in nomi in una lingua flessiva
come l'italiano pone il problema di stabilire quale rappresentante del lessema verbale sia
convertito in nome. I candidati sono almeno tre: la radice verbale, il tema verbale, o una
forma verbale completa di marche flessive.
La terza ipotesi è stata sostenuta ad esempio da Tollemache 1954, 12-15, che ritiene che
i deverbali maschili in -o e quelli femminili in -a nascano come sostantivazioni rispettiva-
mente della prima e della terza persona singolare del presente indicativo dei verbi base.
Anche i deverbali d'agente sarebbero per Tollemache sostantivazioni della terza persona
singolare.1 Altri autori sostengono invece che questi deverbali siano sostantivazioni
dell'imperativo. A spiegazioni di questo tipo si oppone però l'osservazione che nel signifi-
cato dei derivati non si ritrova alcuna delle componenti del significato delle supposte basi:
ad esempio, nei deverbali d'azione in -o non si riscontra certo una semantica comune con la
prima persona singolare del presente indicativo. Per questi motivi oggi si tende a rifiutare
l'ipotesi che alla base dei deverbali convertiti siano forme flesse del verbo (cfr. su questo
punto anche Scalise 1994, 205-207). Al massimo si potrebbe sostenere che i deverbali e le
forme verbali loro omofone si basino su un «morfema» comune (per un ragionamento si-
mile in casi analoghi si veda anche 1.2.4.2., 2.1.2.5., 5.4.2.1. e Rainer 2001a).
Anche l'ipotesi che ad essere convertita sia la radice verbale è apparentemente insosteni-
bile, dato che i derivati attestati non hanno mai l'aspetto di radici nude: si ha acquisto, non
*acquist, e conquista, non *conquist. Tuttavia, questo dato non costituisce un ostacolo
insormontabile per un'analisi che voglia sostenere che la conversione opera sulle radici
verbali. Si può infatti sostenere che le radici nominali ottenute per conversione (secondo un
processo del tipo [acquisti —> [acquist]N), come ogni altra radice nominale italiana, debba-
no poi essere inquadrate in una classe di flessione, dalla quale riceveranno appropriate
desinenze. Non ci sarebbe allora differenza tra lo statuto di una radice primaria come [libr]N
e quello di una radice derivata per conversione come [acquist]N: ad entrambe dovrebbe
essere associata nel lessico l'informazione sulla classe di flessione cui la parola che esse
rappresentano appartiene. Si può ipotizzare, in analogia a quanto ipotizzato da Aronoff
1994, 127 per l'analisi di verbi deverbali in lingue semitiche, che l'assegnazione della radi-
ce convertita a una certa classe di flessione sia l'unico correlato formale della regola che
forma i nomi deverbali per conversione in italiano.
Si presenta a questo punto però un ulteriore problema: come scegliere, tra le due classi di
flessione pienamente produttive in italiano, quella alla quale assegnare le radici convertite?
L'ipotesi che la scelta sia casuale, benché apparentemente sostenuta dal dato che si hanno
sia deverbali convertiti maschili in -o che deverbali convertiti femminili in -a, è ovviamente
insoddisfacente. Ritengo che il problema si possa risolvere secondo le linee esposte qui di
seguito.
I deverbali d'agente derivati da verbi di coniugazione diversa dalla prima terminano in HI, mentre
le terze persone singolari dei presenti indicativi corrispondenti terminano in Iti. Per Tollemache
questa discrepanza si spiega come esito fonetico regolare; Ageno 1955, 171 mostra che questa
spiegazione è insostenibile e si schiera a favore dell'ipotesi che questi deverbali siano conversioni
di forme dell'imperativo.
7.2. Conversione in sostantivi 525
In italiano, come in altre lingue (cfr. Corbett 1991), a tutti gli elementi che vengono no-
minalizzati, e devono quindi ricevere un genere grammaticale al fine di poter entrare in
costruzioni sintattiche che prevedono accordo di genere, viene assegnato per default il ge-
nere maschile. Ciò accade per l'infinito sostantivato (cfr. 7.2.3.4.) e per i cosiddetti «nomi
cartellino» (cfr. 7.2.3.7.1.); il maschile è assegnato anche alle nominalizzazioni di parole
appartenenti ad altre categorie non nominali (il perché, i se e i ma) e alle nominalizzazioni
di sintagmi e frasi (il non plus ultra, il fai da te). Ci si attenderebbe dunque di veder asse-
gnato il genere maschile anche ai deverbali derivati per conversione, che sono nominalizza-
zioni di verbi, prive di un genere e di una classe di flessione nominale perché prive di suf-
fisso. Assegnare il genere maschile a una radice convertita come [acquist]N implicherebbe
poi assegnare questa radice alla classe di flessione con singolare in -o e plurale in -i, l'unica
classe di flessione tipicamente maschile produttiva (cfr. Dressier / Thornton 1996, Thornton
2001). Questa analisi rende conto della derivazione dei maschili in -o (eft. 7.2.3.1.), ma
lascia inspiegata l'esistenza dei deverbali femminili in -a (cfr. 7.2.3.2.1.), e anche dei de-
verbali d'agente sia maschili che femminili in -a o in -i del tipo procaccia (cfr. 7.2.3.3.).
Per render conto di questi tipi, ritengo che si debba ipotizzare che essi sono frutto della
conversione del tema verbale (si ricordi che la stragrande maggioranza di essi deriva da
verbi in -are; le poche eccezioni possono essere spiegate come frutto di analogia, cfr.
7.2.3.2.1.). I deverbali d'azione in -a ricevono poi il genere femminile perché la termina-
zione -a è in italiano tipica del femminile; in quanto femminili in -a, rientrano poi nella
classe di flessione con plurale in -e. I deverbali d'agente, come altri derivati indicanti esseri
umani, ricevono il genere in base al sesso del referente: se designano uomini, ricevono il
genere maschile, anche nel caso in cui terminino in -a in quanto derivati da verbi della I
coniugazione. 1 Poiché la classe di flessione che comprende nomi maschili in -a con plurale
in -i (il tipo papa, poeta) non è più produttiva in italiano (cfr. Dressier / Thornton 1996,
Thornton 2001), questi nomi rimangono invariabili, come già osservato da Tollemache
1954, 156. Altrettanto invariabili sono i deverbali d'agente in -i, come ogni altro nome in -i
dell'italiano. L'esistenza di deverbali in -i è tra l'altro ulteriore prova che il processo for-
male che crea deverbali d'agente consiste nella conversione del tema verbale: la -i si spiega
bene come vocale tematica dei temi di verbi di coniugazioni diverse dalla prima (cfr.
Dressier / Thornton 1991), ma non si spiegherebbe come vocale aggiunta a una radice ver-
bale per riparare la terminazione consonantica: in simili casi, si aggiungerebbero alla radice
o le vocali tipiche del singolare delle due classi di flessione più produttive (la -a o la -o), o
una -e epitetica (cfr. adattamenti fonologici quali gasse < gas), ma non una -i, che è sentita
come desinenza tipica del plurale.
Si hanno alcuni casi di nominalizzazioni di avverbi che non rientrano in serie semantica-
mente omogenee e produttive (cfr. anche 7.5.).
Un piccolo gruppo di avverbi che indicano movimenti musicali, come adagio (e ada-
getto), forte (e fortissimo), piano (e pianissimo), presto (e prestissimo), possono essere
Con l'eccezione del tipo spia, guida, sul quale cfr. p. 521, n. 2.
526 7. Conversione
convertiti in nomi per indicare brani eseguiti secondo l'indicazione in questione (cfr. anche
7.2.2.1.7. 2. e 7.2.3.7.1.).
7.3.1.1. Il tipo Montalcino (toponimo) —» montalcino (etnico), Pakistan —> pakistano AMT
Come si è già osservato (cfr. 5.2.1.6.1. e 7.2.1.6. ), alcuni toponimi, per lo più terminanti in
una sequenza omofona a un suffisso tipicamente usato per la formazione di etnici, danno
origine a aggettivi etnici formati per conversione. Crocco Galéas 199la, 313 registra una
7.3. Conversione in aggettivi 527
quindicina di casi di questo tipo a partire da basi che costituiscono nomi di comuni italiani:
tra gli esempi, Montalcino —» montalcino, Matetica —» matetico. Allargando l'orizzonte al
di là degli etnici formati da nomi di comuni italiani, si trovano altri esempi, quali toscano,
bucovino, filippino, pakistano (cfr. Migliorini 1957c), argentino, eritreo, fenicio, lidio,
svizzero, ucraino (cfr. Schweickard 1992, 129); è evidente che si tratta di una conversione
di radice, con inserimento del derivato nella classe di flessione degli aggettivi a quattro
uscite (-0/-1, -a/-e).
I nomi derivati con il suffisso -ista (cfr. 5.1.1.1.6.) possono dividersi grosso modo in due
categorie: nomi di mestieri e professioni (il tipo dentista, giornalista) e nomi che indicano
aderenti a movimenti di pensiero, ideologici, politici, artistici (il tipo fascista, comunista,
simbolista). I nomi di questo secondo tipo hanno diverse caratteristiche aggettivali. Osser-
viamone il comportamento in relazione ai nostri test:
(1) (a) i. un collega fascista / due colleghi fascisti
ii. una collega fascista / due colleghe fasciste
(b) i. Maria è più fascista di me
ii. Maria è fascistissima
(c) "Maria si comporta fascistamente (cfr. anche 5.4.2.4.)
(d) *il fascista governo / regime / ministro, *la fascista propaganda
La conversione di nomi in -ista in aggettivi è stata trattata da Migliorini 19633d e da Fache
1973, che ne dipende fortemente. Migliorini 19633d, 128-129, nel quadro di un confronto
tra uso aggettivale di nomi in -ista e uso di aggettivi in -istico, osserva esplicitamente
l'impossibilità per vocaboli in -ista di occorrere come basi di derivati in -mente («non si
può dire altro che fascisticamente, socialisticamente, e non *fascistamente, *socialista-
mente») e in posizione prenominale: «se l'aggettivo viene a precedere, torna in vigore la
forma in -istico : una fascistica fede nei destini della Patria». In una nota, raccoglie però una
manciata di attestazioni di vocaboli in -ista in posizione prenominale (ad esempio, le labo-
riose fasciste popolazioni dei vostri Comuni, Mussolini), osservando che in questi casi «la
forma in -ista è per lo più congiunta con un altro aggettivo» (Migliorini 19633d, 129, nota
1). Anche l'impossibilità di vocaboli in -ista come basi di avverbi in -mente va leggermente
relativizzata, nonostante l'assenza di forme in -istamente rilevata in un corpus di stampa
quotidiana (cfr. 5.4.2.4.): un esempio come (le) sembra escluso se ha valore referenziale,
meno impossibile se ha valore traslato: non sembra possibile come elogio enunciato durante
il ventennio, ma appare più plausibile come insulto enunciato negli anni '70 del XX secolo.
Nell'insieme, i vocaboli in -ista usati come modificatori appaiono dotati di un buon grado
di aggettivalità, superiore a quello degli aggettivi di relazione (cfr. anche 5.2.2.2.6.2.).
L'uso aggettivale di nomi politico-ideologici in -ista nel Novecento è apparso in espansio-
ne, a danno degli aggettivi in -istico·, gli studiosi concordano nell'attribuire questa espan-
sione a un influsso del francese.
528 7. Conversione
Nell'insieme, quindi, questo tipo appare dotato di un basso grado di aggettivalità, simile a
quello degli aggettivi di relazione. Cfr. anche 5.2.2.2.6.2.
Secondo alcuni autori (cfr. per esempio Dardano 1978, 183) sarebbero aggettivi convertiti
da nomi i secondi membri, che svolgono la funzione di modificatori, di costruzioni quali
uccello mosca, parola chiave. Verifichiamo il comportamento di questi tipi in base ai nostri
test:
Come si vede, il tipo risponde male a tutti i test, compreso quello dell'accordo. 1 Si tratta di
costruzioni equative in cui i due membri sono entrambi N. Per una discussione del tipo si
veda anche 2.1.2.1.
Un piccolo gruppo di Ν ricorrenti come secondo membro in diverse combinazioni {base, chiave,
principe, tema, tipo, fiume ...) sono battezzati da De Mauro «pospositivi»; un pospositivo «sostituisce
volta a volta aggettivi, proposizioni relative e altre più o meno complesse locuzioni perifrastiche» (De
Mauro 19702, 223).
Se i due nomi hanno lo stesso genere, l'accordo di numero è più probabile: si veda il contrasto di
accettabilità tra i due esempi in (3a). In una pagina di cronaca romana della Repubblica del 30-9-
2002, nella quale si riportano lettere di protesta dei cittadini sul problema delle zanzare tigre, si
hanno cinque occorrenze di zanzare tigre ma anche due di zanzare tigri.
7.3. Conversione in aggettivi 529
Alcuni autori considerano aggettivi i secondi membri di costruzioni quali busta paga, an-
golo cottura, box doccia, confezione famiglia, ufficio vendite (così ad esempio Dardano
1978, 183: «il D[etermina]nte modifica sempre la categoria, attuandosi sempre il passaggio
Ν —¥ A»). I secondi membri delle costruzioni citate non soddisfano alcuno dei nostri test di
aggettivalità (si omettono esempi per ragioni di spazio). Si tratta di Ν che hanno un ruolo di
complemento del Ν che li precede. Per una discussione del tipo si veda anche 2.1.2.2.1.2.
De Mauro nel GRADIT, xxxvi definisce «aggettivogeni» alcuni nomi (31 a lemma nel suo dizionario)
che «favoriscono l'uso aggettivale di un sostantivo al quale si accompagnano». Dagli esempi addotti
(abbigliamento uomo, box doccia, caro alloggi, uomo rana e simili) appare che sono classificati come
aggettivogeni tra l'altro i primi membri delle costruzioni analizzate nel presente paragrafo e nel pre-
cedente, per le quali si è qui concluso contro l'ipotesi che il secondo membro sia un aggettivo formato
per conversione.
Un noto caso di nomi che appaiono in funzione di modificatori è quello dei nomi di fiori,
frutti, e altri vegetali, di animali, di minerali e di cibi e bevande usati come designazioni del
loro colore tipico. L'uso è diffuso soprattutto nel settore della moda e dell'industria tessile:
abiti e accessori possono essere bianchi, neri, rossi o blu ma anche prugna, arancio, fucsia,
geranio, seppia, salmone, petrolio o panna. Tra i più comuni casi di questo tipo sono rosa,
viola e marrone.
Verifichiamo il comportamento di questi modificatori rispetto ai nostri test:
Come si vede, queste designazioni di colore rispondono negativamente a tutti i nostri test, a
differenza della maggioranza dei termini di colore basici, che si comportano da veri agget-
tivi qualificativi in base a tre dei nostri quattro test. Un minimo di aggettivalità si ha per
rosa e marrone·, marrone può (ma non deve) concordare in numero: giacca marrone, pan-
taloni marroni / marrone (poiché la desinenza è -e, il genere è neutralizzato e quindi non si
può applicare il test sull'accordo di genere); rosa sembra rifiutare il comparativo e
Γ anteposizione meno nettamente degli altri nomi testati. 1 Ma nell'insieme questa categoria
di modificatori sembra dotata di un grado nullo di aggettivalità: sembra più corretto quindi
classificare il tipo come un caso di modificazione di Ν da parte di altri Ν (per una posizione
simile sullo spagnolo, cfr. Bosque 1989, 114-118).
In questo paragrafo passiamo brevemente in rassegna ulteriori casi di Ν che modificano altri Ν e che
vengono quindi da alcuni considerati aggettivi convertiti da nomi: (a) Punti cardinali, in costruzioni
come la parete nord, Berlino est. Si tratta di una classe chiusa di nomi; il test dell'accordo non può
essere applicato perché si tratta di nomi invariabili; agli altri test rispondono negativamente; (b) Nomi
usati per designare uno stile, in costruzioni quali un mobile impero. Rispondono negativamente a tutti
i test; (c) Marchionimi, in costruzioni quali zaino Invicta, penna Bic. Rispondono negativamente a
tutti i test; (d) Nomi usati con riferimento ad umani in funzione di ingiuria, che hanno sviluppato
proprietà aggettivali complete, rispondendo positivamente ai nostri test: valga come esempio stronzo
(colleghi stronzi, una risposta stronza / più stronzo della mia / stronzissima, ha risposto stronzamen-
te, la stronza collega). Sono del parere però che si tratti di singoli casi di transcategorizzazione dovuta
a lessicalizzazione di un certo uso, piuttosto che di una regola di conversione produttiva; (e) Migliori-
ni 1957c, 144-145 ricorda «un manipoletto di vocaboli che si adoperano popolarmente come epiteti
di piante o talvolta di animali», tra cui insalata cappuccio, ciliegie ravenne. Migliorini analizza i
modificatori come conversioni di nomi in aggettivi, e insiste particolarmente sul fatto che non si tratta
di aggettivi di relazione. Tuttavia, sottoposti ai nostri test di aggettivalità questi modificatoli rispon-
dono positivamente solo al test dell'accordo. Lo stesso Migliorini, in nota, si chiede se questo sia
sufficiente per garantire lo statuto aggettivale del modificatere (e si pronuncia anche negativamente
per il caso analogo di nave ammiraglia, che analizza come personificazione femminile (l'esempio
rientrerebbe dunque nel tipo discusso in 7.3.1.4.)).
Le forme participiali del verbo presentano sia usi nominali che usi aggettivali, di cui ren-
diamo conto in questo paragrafo (cfr. 7.2.3.5.-6., 5.1.3.2.2., 5.1.3.3.4., 5.2.2.2.3.).
1
Si osservi che secondo Grossmann 1988, 63, marrone (come anche viola, ma non rosa) appartiene
all'insieme dei termini di colore basici in italiano.
7.3. Conversione in aggettivi 531
7.3.2.1. Aggettivi coincidenti con participi passati: i tipi ragazzo educato e abito logoro AMT
I participi passati di verbi che hanno come ausiliare essere concordano in genere e numero
con il soggetto anche quando il loro uso è esclusivamente verbale, nei tempi composti;
quindi il test dell'accordo non è in questo caso utile a discriminare tra valore verbale e
aggettivale. Gli altri test presentati in 7.3. sono invece applicabili. Inoltre, possono appli-
carsi test che permettono di valutare se un participio ha valore verbale piuttosto che agget-
tivale: solo un participio con valore verbale può essere sede di un clitico, essere retto
dall'ausiliare venire (cft. Guasti 1991), reggere complementi d'agente o di causa efficiente,
e apparire in strutture predicative parafrasabili con costruzioni impersonali (cfr. Frigeni
2002). Tuttavia, ci sono forme participiali che rispondono positivamente sia ai test di ag-
getti valità (5b-d) che a quelli di verbalità (5e-h):
Per completezza menzioniamo qui anche un gruppo di vocaboli definiti tradizionalmente «participi
accorciati» (cfr. Merlo 1959 [1951]). Secondo Staaff 1931-1932,104 si tratta di un tipo caratteristico
dell'italiano, la cui origine andrebbe individuata nello stabilirsi di relazioni paradigmatiche tra gli esiti
di participi latini e di verbi intensivi loro omoradicali, come le coppie consulto / consultare, uso /
usare: «comme le sens de ces participes s'accordait à celui des verbes intensifs correspondants, on les
faisait entrer dans le paradigme de ces verbes, qui eurent ainsi deux participes passés, un fort et un
faible. Le premier semblait une forme abrégée du second» (Staaff 1931-1932, 104). Sulla base di
queste coppie, si sono creati poi analogicamente altri participi accorciati. Il DISC ne elenca alcune
decine: tra i più comuni adorno, calmo, carico, chino, colmo, gonfio, guasto, liscio, logoro, sazio,
spoglio, stufo, sveglio. Secondo Staaff, in varietà antiche, soprattutto toscane, queste forme avevano
un uso pienamente verbale, erano usate nei tempi composti al pari delle forme piene. Oggi tale uso è
assolutamente escluso in italiano standard. Tuttavia alcuni di questi participi accorciati sono vivi
nell'uso come aggettivi. Questi aggettivi departicipiali presentano le stesse restrizioni semantiche
individuate per gli aggettivi omofoni di participi passati «pieni», cioè indicano uno stato che è il
risultato dell'azione espressa dal verbo. Fanno eccezione dimentico, schivo, tronfio e suga nella locu-
zione carta suga "carta assorbente" (<— sugare "asciugare"), che hanno una lettura attiva invece che
passiva. Il processo che li forma è assolutamente improduttivo: sono formazioni novecentesche solo
sbronzo (a. 1935), scacio (la cui base scaciato è però piuttosto un aggettivo parasintético che un
participio, dato che non risulta attestato un verbo °scaciare) e il raro sbarbo "sbarbato" (dal quale
deriva il più comune sbarbino (a. 1961)), non registrato dal DISC ma registrato dal GRADIT.
La stragrande maggioranza di questi aggettivi deriva da verbi in -are, ma sono attestati anche un
paio di derivati da verbi in -ire: arrosto, scaltro, e forse anche muffo e scarno. Da un punto di vista
sincronico, poiché è scomparso il loro uso verbale, queste formazioni più che come conversioni di
participi potrebbero essere analizzate come riduzioni basate sui participi pieni corrispondenti, con
eliminazione della vocale tematica e del suffisso -t-, e con conservazione del significato della base
(qualcosa di simile alle retroformazioni del tipo cappuccio <— cappuccino, sulle quali cfr. 6.). Dal
punto di vista formale, questi aggettivi deverbali possono essere analizzati anche come conversioni
basate sulla radice verbale, inserite nella classe di flessione degli aggettivi a quattro uscite; la loro
semantica è però sinónima di quella degli aggettivi derivati da participi passati.
7.3.2.2. Aggettivi coincidenti con participi presenti: il tipo fari abbaglianti AMT
Hanno uso aggettivale molti participi presenti, in particolare di verbi durativi (interessante,
sorridente, bastante, gemente, stancante ...). Aggettivi da participi presenti di verbi pun-
tuali non sono esclusi, ma in genere implicano l'interpretazione che l'entità modificata
dall'aggettivo svolge l'azione indicata dal verbo ripetutamente, o producendo conseguenze
che durano nel tempo: ad esempio fari abbaglianti, luce accecante. Da verbi prototipica-
mente puntuali sembra escluso un participio presente con valore aggettivale: 11 spettacolo
7.3. Conversione in aggettivi 533
spaventante (vs spaventoso), *ordigno esplodente (vs esplosivo). Come gli altri aggettivi
che indicano proprietà o capacità stabili, che durano nel tempo, i participi presenti usati
come aggettivi sono facilmente sostantivabili, per la formazione di nomi d'agente e/o di
strumento: gli abbaglianti, un abbronzante, un cantante (cfr. anche 5.1.3.2.2., 5.1.3.3.4.,
5.2.2.2.3. e 7.2.2.1.5.).
Alcuni avverbi possono apparire in funzione di modificatoli di nomi: si tratta in particolare di allora e
quasi in costrutti quali i seguenti: l'allora premier, l'allora presidente, l'allora segretario del PCI,
l'allora capo delle operazioni di pace (La Stampa 1997), con gran gioia del quasi ex-presidente Gian
Maria Gros-Pietro [...] e del quasi presidente Pietro Gnudi (La Stampa, 18-11-99). Bosque 1989,
143, in relazione a casi analoghi in spagnolo, osserva che avverbi temporali possono modificare
sostantivi «cuyo significado está específicamente vinculado a un estado temporal, como ocurre con
las ocupaciones, cargos, actividades u otras atribuciones que llevan asociados límites cronológicos».
L'osservazione sembra valida anche per i casi italiani citati; tuttavia, l'italiano permette questa modi-
ficazione di sostantivi da parte di avverbi molto meno dello spagnolo, dove possono apparire come
modificatoli di nomi anche avverbi in -mente e sintagmi preposizionali (el actualmente primer mini-
stro, el desde ayer presidente, cfr. Rainer 1993a, 687). Il fenomeno, che anche per lo spagnolo è
considerato da Rainer un costrutto sintattico e non il frutto di una regola di conversione di avverbi in
aggettivi, non è certo da annoverarsi tra le regole di conversione (tra l'altro, gli avverbi in questione
rimangono invariabili, e rispondono negativamente a tutti i test di aggettivalità fin qui utilizzati,
escluso quello della posizione prenominale), in quanto sembra limitato a singoli elementi lessicali,
che non sembrano almeno finora aver costituito un modello per lo sviluppo di una regola produttiva.1
Altrettanto lessicalmente limitato è il tipo una famiglia bene.
Davide Ricca mi comunica di aver cercato nel corpus della Stampa esempi di nomi modificati da
avverbi semanticamente analoghi ad allora, quali attualmente, oggi, momentaneamente, provviso-
riamente, temporaneamente, finora, tuttora, e di non averne reperito alcuno.
534 7. Conversione
Le basi, in particolare quelle nominali, possono a loro volta essere già derivate, cioè formate mediante
suffissazione o prefissazione o composizione (con elementi italiani o neoclassici) oppure mediante
conversione. Diamo qui solo alcuni esempi per i numerosi tipi possibili di basi di verbi denominali
((a) - (d)), deaggettivali ((e) - (g)) e deavverbiali ((h) - (j)):
(a) basi suffissate: granagliare; pugnalare', rottamare; fidanzare-, chiavardare; ramazzare; cica-
lecciare; parcheggiare, vangheggiare; barellare, carrellare, lardellare, manganellare, piastrella-
re; partenzare,2 scadenzare; ballettare, banchettare, brodettare, fiorettare, maschiettare, merletta-
re, schizzettare', lesbicare (Q); acetilare, fosforilare; concimare', attacchinare, hollinare, cessina-
re, cestinare, scarpinare, scopinare, uccellinare, volantinare', sbatacchiare; velocitare', solfitare;
parlamentare, regolamentare', mordenzare; raspollare, bozzolare, ciottolare, coccolare, pungola-
re; ceffonare, cordonare, piantonare, scarponare (BC), spintonare, strattonare, tacconare; pizzi-
cottare, cazzottare; carrozzare; caricaturare, volturare; premurare; fluorurare, iodurare;
(b) basi prefissate: concausare; contrabbandare, contraffortare, contrassegnare; controdatare,
controminare, contrordinare, controsoffittare; disagiare, disgustare, disordinare; interfacciare,
interfogliare; microfilmare; preselezionare; ridossare; sbaffare, sbarrare, spincionare; sopraffila-
re, soprattassare; soppalcare, soppannare; sottotitolare; tramezzare; ultracentrifugare;
(c) basi composte: chiaroscurare; cortocircuitare, francobollare, resocontare; capitozzare, carta-
vetrare, terraplenare; caparrare, capitombolare, telegiomalare (L); battibeccare, ficcanasare,
paracadutare, rendicontare; giravoltare; fotografare, alogenare, anagrammare, citofonare, cro-
nometrare, dattilografare, fagocitare, idrogenare, litografare, megafonare (F), microfonare (C),
mimeografare, monologare, pirografare, radiografare, schermografare, stenografare, telefonare,
termostatare, xerocopiare;
L'analisi muove da un inventario di circa 1500 verbi ottenuto mediante lo spoglio esaustivo del
DISC e di alcuni dizionari di neologismi (BC, C, CC, F, L, Q; solo per gli esempi tratti da questi si
indica tra parentesi la fonte). Cfr. anche p. 450 n. 2.
2
Usato in ambito tecnico radiotelevisivo (comunicazione personale).
7.4. Conversione in verbi 535
(d) basi formate mediante conversione: alleluiare, arabescare, avanzare, bissare, blablare (BC),
coibentare, condottare, disdettare, frescare, minutare, novellare, patentare, pavesare, pedalare,
pendolare, permanentare (BC), pasticciare, recintare, scossare, sinistrare, velinare, vellutare,
vetrinare, vistare',
La base può essere costituita anche da una sigla (igeare (Q)) o da un sintagma lessicalizzato (adden-
trare, addossare, affrescare, allertare, attraversare, difilare, indossare, vaffanculare (F)). In alcuni
casi si tratta della ricategorizzazione di un nome proprio come nome comune, lessicalizzato (dama-
scare., maiolicare, marsalare, tonchiare) o non lessicalizzato (aurorare "regalare una penna stilogra-
fica o una penna a sfera Aurora a qualcuno" (BC));
La sequenza finale della base è troncata se questa è -ia (autografare, biografare, litografare, piro-
grafare, schermografare, salvaguardare);' nel caso delle basi in -nza occorrono sia l'allomorfo in
-nzi- (differenziare, evidenziare, potenziare, presenziare, quintessenziare, referenziare, sequenziare,
sostanziare) che quello in -nz- (fidanzare, influenzare, partenzare, quietanzare, scadenzare, urgenza-
re, vacanzare (CC)) e la scelta tra i due sembra dipendere dal registro in cui avviene la formazione.
Numerosi verbi derivati con suffissi diversi oppure formati mediante conversione condividono la
stessa base nominale o aggettivale. I primi risultati dell'esame delle coppie minime li abbiamo visti in
5.3.1.1. e 5.3.2.1.
Analizzeremo la struttura semantica dei verbi formati mediante la conversione della base
nominale secondo il modello di interpretazione elaborato per i verbi denominali suffissati
(cfr. 5.3.1.2.). Distingueremo in primo luogo le situazioni, designate da un verbo e da altri
elementi contestuali in un enunciato, che sono dinamiche da quelle che sono statiche. Nel
primo caso si tratta della rappresentazione linguistica di un evento che implica un muta-
mento, momentaneo o duraturo, nel tempo. Nel caso di una situazione statica, invece, il
predicato indica una condizione nella quale si trova il referente del soggetto dell'enunciato,
cioè uno stato di cose continuo che non cambia durante la sua durata. In funzione della
natura dell'evento indicato dal predicato distingueremo, adottando il modello vendleriano
(cfr. Vendler 1967, Bertinetto 1986), tra verbi di azione risultativa ('+durativo', '+telico'),
trasformativa ('-durativo', '+telico'), continuativa ('+durativo', '-telico') e puntuale
('-durativo', '-telico'). In secondo luogo partiremo dalla premessa che i verbi formati me-
diante la conversione della base nominale, come anche quelli suffissati, sono potenzial-
mente in grado di designare una grande varietà di situazioni nelle quali il referente della
base potrà avere diversi ruoli. Questi possono dipendere dalle attività normalmente asso-
7.4.2.1.1. Ν '-i-animato' MG
Se la base nominale appartiene alle classi lessicali caratterizzate dai tratti '+animato\
'+umano' oppure '+animato', '-umano', il significato dei verbi formati mediante conver-
sione sarà interpretabile, anche se con alcune differenze, secondo i tipi che abbiamo visto in
5.3.1.2.1.1. e 5.3.1.2.1.2., dedicati ai verbi suffissati.
1
Lo stesso verbo può designare anche tutti e due gli stati di cose in questione, come per esempio:
scaffalare una parete "fornire di scaffalatura una parete" vs scaffalare i libri "collocare i libri negli
scaffali" (si veda anche gioiellare "ingioiellare qualcuno" vs "incastonare pietre preziose in un
gioiello"). Cfr. Kiparsky 1997.
540 7. Conversione
Nel primo gruppo di verbi, analogo a quello esaminato in 5.3.1.2.2.2.1., la base designa
un'entità (una o più, se numerabile) che un agente avvicina a / allontana da X, oppure mette
su/in X / toglie da sopra/dall'interno di X. Le forme pronominali, riflessive, indicano la
coincidenza tra l'agente, causa intenzionale dell'evento, e lo spazio di localizzazione. Dagli
eventi designati dai verbi formati per conversione, parafrasabili come "mettere(si) [copri-
re(si) con, munire di, provvedere di, dare ecc.] N", conseguirà che Ν si troverà a/in/sopra X
oppure, dal punto di vista di quest'ultimo, che X avrà un/del/dei Ν. I referenti delle basi
possono essere accessori di abbigliamento e prodotti di bellezza (bendare "coprire con
bende una parte del corpo", frangiare, gallonare, mascherare, merlettare, ovattare, profu-
mare, rassettarsi (L), s(u)olare, solettare, trinare, trinellare), finimenti o attrezzi per ani-
mali (bardare "preparare con le barde un cavallo d'arme, mettere i finimenti ad animale da
sella", bardellare, sellare), prodotti commestibili (acetare "condire qualcosa con aceto",
caramellare, cedrare, glassare, lardare, lardellare, oliare, pepare, pimentare, salare, spe-
ziare, tartufare, zuccherare), materiali e arredi usati in edilizia (asfaltare "ricoprire una
superficie con uno strato d'asfalto", bitumare, brecciare, cementare, ciottolare, coibentare,
catramare, graticciare, lastricare, maiolicare, mattonare, mobiliare, palancare, piastrella-
re, puntellare, selciare, stoiare, stuccare, tappetare, tassellare, transennare), elementi e
prodotti chimici (acciaiare "ricoprire una superficie metallica con acciaio", allumare, allu-
miniare, alogenare, azotare, clorurare, cromare, fluorurare, fosforare, idrogenare, iodu-
rare, metilare, nichel(J)are, ossigenare, ottonare, platinare, ramare, s/zolfare, solfitare,
zincare), prodotti usati in agricoltura (cessinare "concimare la terra con il cessino", conci-
mare, letamare, piotare, staggiare, zollare), elementi per rinforzare, collegare e chiudere
(bullettare "guarnire una superficie con bullette", cerchiare, chiavardare, chiodare, coc-
chiumare, coperchiare, ferrare, laminare, palettare, sprangare, stangare, steccare, stecco-
nare, tappare, tavolare, tubare, zaffare), materiali usati per imballaggio e rivestimento
(<cellofanare "fasciare qualcosa con cellofan", feltrare, foderare, nastrare, pannellare, pla-
sticare, teflonare) ecc. Va notata, come nel caso dei verbi suffissati, la duplice interpreta-
zione possibile del ruolo del referente della base nel caso di alcuni verbi, come ad es. guin-
zagliare, sprangare, stangare, zipolare. Se guardiamo la situazione verbalizzata dal punto
di vista dell'azione si tratta di "mettere" Ν su X (N oggetto affetto), mentre dal punto di
vista del risultato si tratta di "coprire" / "legare" ecc. X con Ν (Ν strumento). La prima
interpretazione dovrebbe rendere possibile la formazione di un verbo privativo con il signi-
ficato parafrasatale come "togliere N", mentre la seconda no.
La verbalizzazione dell'allontanamento di Ν da X è molto meno frequente; può avvenire
solo mediante conversione e solo di nomi che designano degli attributi «normalmente»
inalienabili. La maggior parte di questo tipo di verbi, parafrasabili come "togliere (perdere)
[eliminare, estrarre, levare, privare di, strappare, tagliare ecc.] N", deriva da nomi di parti
del corpo umano e/o animale, di parti di vegetali o di parti di oggetti. Ad esempio: cimare
"tagliare la cima, detto generalmente con riferimeno a piante", contraffilare, legnare, raci-
molare, raspollare, resinare,1 scagliare, scalpare, scheggiare, schiumare, scorzare, spina-
re, squamare, tassellare.
Da notare che se la base si riferisce ad una resina artificiale, resinare "apprettare un tessuto con
resine artificiali" indica un evento di avvicinamento ad un X.
7.4. Conversione in verbi 541
parafrasatali come "esserci [cadere, fare] N", formati mediante la conversione di basi che
designano fenomeni atmosferici (precipitazioni, venti ecc.).1
Per quanto riguarda i verbi a base aggettivale, analogamente ai derivati formati mediante
suffissazione (cfr. 5.3.2.2.), distingueremo tra verbi causativi e incoativi e verbi stativi o
continuativi. Se il referente del soggetto dell'enunciato è affetto, indipendentemente dalla
propria volontà, da un mutamento di stato, avremo un processo rappresentato da un verbo
1
Questo tipo di formazioni è molto raro tra i verbi derivati mediante suffissazione, cfr. albeggiare
"farsi giorno, spuntare dell'alba", lampeggiare "far lampi".
544 7. Conversione
zone intermedie della proprietà graduata, dipende dal contesto. L'aggettivo incorporato può
essere anche una forma graduata sintetica (maggiorare, ottimare).1
Come abbiamo visto in 5.3.2.2.1.2., nel caso dei verbi derivati da complementari non gra-
duabili il paziente del mutamento passa dal non avere la proprietà in questione all'averla:
un enunciato come hanno invalidato la delibera presuppone che precedentemente a tale
avvenimento la delibera era valida e implica che ora non è (più) valida, inattivare un esplo-
sivo presuppone che era attivo ecc. Altri esempi: caducare, esternare, estrinsecare, giunta-
re, ibridare, ignifugare, ignudare, internare, moneare, mozzare, scempiare, zittire.
Sulle differenze tra «incoativi incorporanti» e «non incorporanti», cioè tra costruzioni sintetiche e
costruzioni analitiche, per quanto riguarda la focalizzazione di un processo rispetto alla focalizza-
zione di uno stato acquisito, si possono vedere Bourstin 1976, 246-247, Castelfranchi 1979, 210 n.
4, Berrettoni 1983, 52, Manoliu-Manea 1985, 157-158, Bertinetto 1986, 300. Castelfranchi ha
fatto notare anche l'esistenza di un'altra interessante differenza di significato tra i due tipi di co-
struzioni; confrontando degli enunciati come questi pantaloni sono diventati stretti vs questi pan-
taloni si sono stretti ha constatato che mentre il primo enunciato permette due interpretazioni della
causa — o è ingrassato chi li porta o i pantaloni si sono rimpiccioliti — il secondo ammette solo
quest'ultima.
546 7. Conversione
Per quanto riguarda i pochi verbi a base avverbiale, 1 essi designano in genere la localizza-
zione {addentrare "mandare o spingere qualcuno nell'interno di un luogo ignoto, non fa-
cilmente controllabile", addossare, attraversare, frammezzare, fuorviare, indossare, oltrar-
si) o la modalità (centellinare "bere una bevanda a piccoli sorsi per gustarne meglio il sapo-
re", difilare, gattonare, sorsare) dell'evento stesso.
Ancora più ridotto è il numero dei verbi deavverbiali formati mediante suffissazione. La base
avverbiale può avere funzione locativa (fronteggiare "stare di fronte a qualcuno", indietreggiare
"muoversi, spostarsi indietro") oppure modale (sorseggiare "bere qualcosa a piccoli sorsi", spes-
seggiare "essere frequente").
7.4. Conversione in verbi 547
con più o con meno costituenti; (b) riguardo alla funzione sintattica degli argomenti senza
che ne cambi il numero. Le due forme di cambiamento sono a loro volta caratterizzate da
vari sottotipi, che permettono di riunire i singoli verbi in rispettivi sottogruppi. Questi sono
in gran parte distinti fra di loro da gradi diversi di transitività semantica, identificabili sulla
base dei parametri di transitività elaborati da Hopper / Thompson 1980, quali «causatività»,
«animatezza», «agentività», «volizione», «controllo», «affezione», «olisticità», «telicità»
ecc.
(a) verbi che, se usati transitivamente, ricorrono con un oggetto diretto, se usati inergativa-
mente, compaiono in modo assoluto: incantare (la maga incantò persone e cose / la sua mu-
sica incanta), dipingere (Van Gogh ha dipinto molti paesaggi campestri / Mario dipinge), uc-
cidere (hanno ucciso un poliziotto / è una malattia che uccide) ecc.
(b) verbi che, se usati transitivamente, ricorrono con un oggetto diretto, se usati inergativa-
mente, con un avverbiale: abitare (questi animali abitano le zone fredde / i nostri amici abi-
tano in campagna, con i genitori, presso amici), aprire (aprire una porta/ la banca apre alle
nove), combattere (combattere il nemico / l'esercito ha combattuto valorosamente, per tutto il
giorno, per la libertà, contro l'esercito invasore) ecc.
(c) verbi che, se usati transitivamente, ricorrono con un oggetto diretto, se usati inergativa-
mente, con un oggettoide:3 applaudire (applaudire l'intervento del ministro / applaudire al
1
II corpus dei verbi presi in esame è tratto dal DISC 1997.
2
Con il termine «verbi inergativi» si indicano i verbi intransitivi che richiedono l'ausiliare avere (I
ragazzi hanno camminato a lungo), non permettono la cliticizzazione con il ne di un soggetto
quantificato postverbale (*Ne hanno camminato molti), non occorrono nei costrutti participiali as-
soluti (*Camminati i ragazzi) e non presentano l'accordo del participio passato con il soggetto.
Contrastano con questo gruppo i verbi intransitivi chiamati «verbi inaccusativi»; essi richiedono
l'ausiliare essere (Sono partiti molti ragazzi), permettono la cliticizzazione con ne di un soggetto
quantificato postverbale (Ne sono partiti molti) e l'uso assoluto del participio passato (Partiti i ra-
gazzi, •••) e presentano l'accordo del participio passato con il soggetto.
3
Con il termine «oggettoide» vengono denominati argomenti con la funzione di oggetti preposizio-
nali, distinti dagli oggetti dativi in quanto non sono pronominalizzabili, come questi, tramite un
clitico dativo. Per un'analisi dettagliata di questi argomenti cfr. Siller-Runggaldier 1996.
548 7. Conversione
programma proposto), decidere (decidere il destino di una persona / decidere del destino di
una persona), indagare (indagare le cause del disastro / indagare sulla condotta di un so-
spettato) ecc.
(a) verbi che, se usati transitivamente, ricorrono con un oggetto diretto e sono causativi, se
usati inaccusativamente, compaiono in modo assoluto e sono anticausativi: annegare (la pa-
drona ha annegato i cuccioli/ i cuccioli sono annegati), crescere (crescere i figli / i figli sono
cresciuti), prosciugare (prosciugare un lago / il lago è prosciugato) ecc.
(b) verbi che, se usati transitivamente, ricorrono con un oggetto diretto e sono causativi, se
usati inaccusativamente, compaiono con un oggettoide e sono anticausativi: accrescere (ac-
crescere una proprietà, la produzione / accrescere in fama), ingelosire (ingelosire il marito /
ingelosire della persona amata), mutare (mutare idea, la pelle, l'assetto del paese / mutare in
meglio, di gusto) ecc.
(c) verbi che, se usati transitivamente, ricorrono con un oggetto diretto e sono causativi, se
usati inaccusativamente, compaiono con un avverbiale e sono anticausativi: impaurire (i film
gialli mi impauriscono / i bimbi impauriscono per il buio), intimidire (quella sua aria severa
intimidisce tutti / intimidisce davanti a estranei), invecchiare (questa pettinatura ti invecchia /
in questi ultimi anni è invecchiato rapidamente) ecc.
(d) verbi che, se usati transitivamente, ricorrono con un oggetto diretto, se usati inaccusativa-
mente, compaiono con un avverbiale o un oggettoide oppure in modo assoluto: scendere
(scendere le scale / scendere alla città; scendere dal letto), fuggire (fuggire gli amici, un peri-
colo / fuggire di casa, dalla prigione, all'estero, verso la campagna, in montagna,
all'impazzata), seguire (seguire una macchina', la nostra squadra segue la capolista nella
classifica / alla conferenza è seguito un dibattito; da certi discorsi seguono certe decisioni)
ecc.
(3) Verbi transitivi che ricorrono con un oggetto diretto oppure, oltre all'oggetto diretto, con un
oggettoide, un avverbiale o un oggetto dativo: interessare (il provvedimento interessa i gio-
vani / interessare gli studenti alla lettura), spazzare (spazzare la strada; spazzare
l'immondizia / il vento ha spazzato il cielo dalle nuvole), voltare (voltare le pagine di un libro
/ voltare la testa all'indietro; voltare l'automobile verso la campagna; voltare le spalle a
qlcu.; voltare le armi contro qlcu.) ecc.
(4) Verbi inergativi ed inaccusativi che ricorrono con un argomento oppure sono usati in modo as-
soluto:
(a) verbi inergativi che ricorrono con un oggettoide o con un oggetto dativo oppure sono usati
in modo assoluto: confinare (l'Italia confina con la Francia / l'Italia e la Francia confinano),
credere (credere in Dio; credere alla befana / rispettare le persone che credono), parlare
(devo parlare con il direttore; parlare del licenziamento con i colleghi; il romanzo parla di
avvenimenti storici; parlare alla folla / non sa ancora parlare; se mi emoziono non riesco a
parlare) ecc.
(b) verbi inaccusativi che ricorrono con un oggettoide o con un avverbiale oppure sono usati
in modo assoluto: costare (la casa è costata poco/oggi le case costano]), crescere (il bambi-
no è cresciuto di peso; crescere negli anni; crescere nella stima / il bambino sta crescendo),
7.4. Conversione in verbi 549
(5) Verbi i cui argomenti possono essere realizzati con funzioni sintattiche diverse: abbondare (il
suo compito abbonda di errori / nel suo compito gli errori abbondano), accoppiarsi (Anna si
è accoppiata a Gianni / Anna e Gianni si sono accoppiati), calare (il lago cala di livello / il
livello del lago cala), sprofondare (il peso eccessivo ha sprofondato il pavimento / il pavi-
mento è sprofondato per il peso eccessivo) ecc.
L'oggetto di studio della formazione delle parole è in genere costituito da elementi lessicali
complessi. I nostri verbi, quindi, ne sarebbero esclusi, visto che i loro diversi usi non risul-
tano da modificazioni morfo-lessicali. Potrebbero però essere accostati a esiti di conversio-
ne, se la conversione, con Rainer 1993a, 78, viene intesa in senso lato come un tipo di deri-
vazione che vede formalmente identici il termine di partenza e quello d'arrivo, ma che
conferisce all'ultimo maggior complessità semantica. Quest'interpretazione considera tut-
tavia la conversione come un tipo di derivazione con chiara direzionalità. L'individuazione
della direzione del cambiamento presso i nostri verbi è però pressoché impossibile. Manca-
no, infatti, criteri attendibili per stabilire quali siano le varianti derivate sia dei verbi con un
diverso numero di argomenti, sia dei verbi con una diversa funzione sintattica dei loro ar-
gomenti.
Le varianti valenziali mostrano però analogie con prodotti di formazione di parole dal
punto di vista semantico, perché, oltre a essere in parte realizzate in serie e quindi sulla base
di modelli ovviamente disponibili, risultano dall'aggiunta o dalla sottrazione di tratti se-
mantici (per es. di 'causatività', di 'agentività', di 'affezione' ecc., con le rispettive riper-
cussioni sulla struttura dell'intera frase) oppure semplicemente da una modificazione dei
tratti semantici (per es. 'olisticità' vs 'direzionalità') che si riflette nella diversa realizzazio-
ne, a livello superficiale, degli argomenti (per esempio, oggetto diretto vs oggettoide). Gli
esiti di cambiamenti valenziali sono quindi paragonabili a esiti di processi di prefissazione,
in quanto risultano da una modificazione del significato di base del verbo che però non
comporta il cambiamento del suo valore denotativo.
I cambiamenti di valenza rappresentano quindi un tipo di conversione di carattere perife-
rico: diversamente da canonici processi di conversione, infatti, non portano a un cambia-
mento della categoria grammaticale della base e, non essendo identificabile questa base,
non permettono neanche l'individuazione della direzione della derivazione da essi avviata.
Sembra del tutto lecito, quindi, congetturare la non-direzionalità di questo tipo di conver-
sione, anche se può apparire una contradictio in adiecto, in quanto il concetto di conversio-
ne di per sé implica la direzionalità del processo innescato.
550 7. Conversione
Il fenomeno della conversione riguarda gli avverbi come categoria d'arrivo essenzialmente
a partire da aggettivi, parallelamente a quanto avviene per la derivazione esplicita in
-mente. Non sono pochi, infatti, i lessemi funzionalmente impiegabili sia come avverbi sia
come nomi, ma la priorità semantica dell'avverbio, e quindi la direzione della conversione,
sembrano fuori discussione in quasi tutti i casi (per usi come l'insieme dei presenti, sul
tardi, un domani migliore, il peggio deve ancora venire, è stato a lungo in forse, fare del
bene, un calcio nel didietro ecc. si rinvia dunque a 7.2.4.).
Anche i numerosi esempi di doppia funzione avverbio-preposizione (esemplificata da
casi come dopo, dietro, contro, sotto ecc.) hanno una loro direzionalità naturale dal primo
alla seconda, che configura tra l'altro una classica istanza del generalissimo fenomeno della
grammaticalizzazione, e che ha una sua conferma formale dalla frequente presenza di «lo-
cuzioni prepositive» del tipo prima di, insieme a, dietro (a), sopra (di), difficilmente inter-
pretabili se non come caso intermedio in cui l'avverbio non ha ancora perso del tutto la sua
autonomia lessicale e non è ancora in grado di svolgere da solo la funzione più astratta e
grammaticale di marca argomentale propria delle preposizioni.
Il caso della polifunzionalità aggettivo-avverbio pone invece problemi teorici e descritti-
vi non facili. Le due categorie lessicali condividono la funzione primaria di modificatore
(che le accomuna opponendole sia ai verbi che ai nomi), e possono essere distinte in linea
di massima da un criterio sintattico (modificatore nominale vs non nominale) e da uno
morfologico (flessione di accordo vs invariabilità). Tuttavia, i due criteri non sono sempre
coestesi. Il criterio morfologico sembra allora quello dirimente. Infatti tradizionalmente si
parla di aggettivi predicativi - del soggetto e dell'oggetto rispettivamente - in casi come
(la) e (2a) a dispetto della chiara affinità funzionale con corrono velocemente e pagheran-
no caramente, proprio perché veloci e cara, pur funzionando da modificatori del predicato,
mostrano esplicitamente l'accordo in genere e numero con il soggetto in (la) e l'oggetto in
(2a):
(1) a. i treni corrono veloci
(2) a. pagheranno cara la loro esuberanza
L'italiano ha però una terza alternativa, che illustra il caso cruciale qui in esame:
(1) b. i treni corrono veloce
(2) b. pagheranno caro la loro esuberanza
In (lb) e (2b) non c'è accordo flessionale e la funzione rimane ovviamente quella di modi-
ficatori di predicato; vocabolari e grammatiche trattano concordemente veloce e caro in
(lb) e (2b) come avverbi, e l'assenza di una marca esplicita di transcategorizzazione li
qualifica come esempi di conversione aggettivo —» avverbio.
In realtà, casi come i due esemplificati in cui tutte e tre le alternative siano possibili e so-
stanzialmente sinonime sono abbastanza rari. Il passaggio tra aggettivo predicativo (orien-
tato sul soggetto o sull'oggetto, o talvolta anche ambiguamente su entrambi) e avverbio
senza marca affissale configura un classico continuum, dove assegnare i casi intermedi
all'una o all'altra categoria non può essere che forzatamente arbitrario. Cercheremo co-
munque di caratterizzare alcuni gradi all'interno di questo continuum.
7.5. Conversione in avverbi 551
A differenza dei casi visti sopra, siamo qui in presenza sicuramente di un processo dotato di
una certa produttività e generalità, oggi presumibilmente più diffuso nei registri colloquiali
e giovanili, ma che appare d'altra parte largamente attestato anche in fasi più antiche della
lingua.2
Già a questo livello le parole in questione mostrano caratteristiche abbastanza specifiche
rispetto al tipo classico degli avverbi in -mente, fra cui le principali sono le due seguenti.
In primo luogo, esiste un forte legame sintagmatico in termini di collocazione con un
numero limitato di verbi. Come emerge anche dagli esempi forniti sopra, normalmente la
conversione si produce per un piccolo numero di aggettivi appartenenti a un definito campo
semantico, che a loro volta possono trovarsi in combinazione con uno o pochi verbi seman-
ticamente tra loro affini. Sono relativamente rare le conversioni che possono applicarsi a
più di due ambiti semantici del tutto distinti: tra questi facile (che però rimane molto più
raro ài facilmente)? duro e la coppia alto / basso. Anche sodo, oltre alla collocazione molto
1
Per una lista più ampia, cfr. Migliorini 1952,113.
2
Sul doppio status sociolinguistico di questa formazione nelle lingue romanze, tra marca di innova-
zione e conservazione in livelli diastratici bassi di un modello preesistente alla generalizzazione
normativa di -mente, cfr. Rainer 1985 e Hummel 2000,417-481.
3
Un controllo indicativo sul corpus ampio, anche se non bilanciato, di un semestre della Stampa
1996 dà, su 1770 casi di facile + 270 Ai facili, appena 5 occorrenze ài facile usato avverbialmente
552 7. Conversione
frequente con lavorare, si trova con dormire e picchiare; per sodo si può parlare di una
lessicalizzazione abbastanza avanzata, anche perché l'aggettivo nei suoi usi propri è presu-
mibilmente molto più raro dei suoi impieghi idiomatici, avverbiali e non.1 In vari casi la
solidarietà sintagmatica si spinge fino alla rigidità di una struttura idiomatica vera e propria,
in cui nessuno dei due termini è permutabile con sinonimi: per esempio accanto a parlano
forbito non sono accettabili né *discorrono / *discutono / *dialogano / *si esprimono for-
bito, né d'altra parte parlano *accurato / *elegante / Hezioso / *raffinato ecc. Carattere
ancora più idiomatico hanno casi come tagliar corto, veder(ci) chiaro, interpretabili solo in
senso metaforico, o addirittura tener duro, il cui significato complessivo è difficilmente
esprimibile in termini composizionali. L'unico schema di produttività illimitata, come già
osservato da Migliorini 1952, 114, sembra quello di parlare con aggettivi etnici indicanti la
lingua: parlano francese, tedesco, malese ecc. Si tratta peraltro di un caso particolarmente
al limite tra avverbio e aggettivo (anzi nome), dato che la domanda relativa può essere sia
come parlano? sia cosa parlano?.
In secondo luogo, si stabilisce uno stretto legame sintattico con il predicato. Non soltanto
questi elementi non possono mai essere utilizzati come modificatori di frase, ma di solito
non possono nemmeno essere separati dal verbo da altri costituenti: lavora duro / dura-
mente tutto il giorno vs lavora tutto il giorno *duro / duramente, parlava franco / franca-
mente con tutti vs parlava con tutti *franco /francamente ecc.
Interessante sul piano semantico è il rapporto con un parallelo avverbio in -mente, quan-
do questo esiste. Molto di rado tale rapporto è di sinonimia (del resto si è già visto che le
funzioni frasali sono escluse per questo tipo, mentre sono molto spesso disponibili per gli
avverbi in -mente, cfir. 5.4.1.). Un tratto abbastanza generale sembra essere che l'avverbio
senza marca privilegia proprio la semantica concreta, fisicamente sensoriale dell'aggettivo
che è la prima ad essere esclusa dai significati dell'avverbio in -mente, come descritto in
5.4.2.5. Si vedano contrasti come colpire basso vs colpire bassamente o pisciare lungo vs
pisciare lungamente.
Muovendosi (di poco) lungo il continuum, si incontrano casi come i seguenti:
(8) mirano / saltano / sparano / tirano alto, basso, corto, dritto, lungo, storto
(9) sparano / tirano secco; replicano / ribattono / rispondono secco
(10) vestono elegante, giovane, informale, leggero, pesante, sportivo (chic, sexy, trendy)
(11) dormono pesante, sodo
(12) giocano duro, grosso, liscio, pesante, pulito, sporco
(13) respirano pesante, profondo
La differenza con i precedenti (in verità abbastanza lieve) sta nel fatto che qui si ha a che
fare con verbi sì intransitivi, ma con un oggetto interno in qualche modo presupposto.
L'assenza di accordo col soggetto risulta quindi un test di avverbialità meno probante che
(0,25% degli impieghi aggettivali) contro 359 occorrenze di facilmente, per un rapporto tra con-
versione e derivazione di 1,4:100.
1
Ricorrendo anche qui al corpus di un semestre della Stampa 1996, si trovano, su 78 occorrenze di
sodo, 31 casi di lavorare sodo (39,7%), più due casi di dormire e sgobbare sodo rispettivamente; e
anche la grande maggioranza dei casi restanti non sono usi aggettivali, ma espressioni idiomatiche
contenenti sodo sostantivato (andare, arrivare, badare, puntare, venire al sodo). Gli usi aggetti-
vali si riducono a una decina.
7.5. Conversione in avverbi 553
per i tipi corrono / camminano / nuotano veloce o la picchiano sodo, perché il modificatore
si potrebbe interpretare in termini di aggettivo predicativo dell'oggetto interno. Quasi tutti i
modificatori in (8) a (13) sono in effetti semanticamente orientati verso il risultato
dell'azione e non verso chi la compie: "dormono un sonno sodo", "giocano un gioco spor-
co" ecc. (per questi usi Prandi 1992, 307 preferisce in effetti il termine di «aggettivo asso-
luto»). Il maschile sarebbe naturalmente da interpretare come genere indefinito, in quanto
non marcato, e non come genere dell'eventuale oggetto interno. Allo stesso tipo si possono
ricondurre i pochi casi di modificatori del «soggetto interno» dei verbi atmosferici, come
piove / nevica deciso, fitto.
Questa interpretazione diventa più convincente quando si passa (anche qui con inevita-
bile gradualità) a verbi come mangiare, cioè a verbi transitivi usati assolutamente:
(14) cucinano / mangiano grasso, leggero, magro, pesante, sano, scondito
(15) votano comunista / socialista / conservatore / democristiano
Si è giunti quindi all'altro estremo del continuum, e cioè al confine tra avverbio e aggettivo
predicativo. In particolare, il test che mette in dubbio la natura avverbiale del modificatore
in casi come (14) è che la mancanza di accordo è incompatibile con la presenza di un og-
getto esplicito (Migliorini 1952, 115, Prandi 1992, 310): cucinano leggero, ma cucinano
*leggero la cena (cfr. invece guardavano storto la nuova arrivata).
8. RIDUZIONE
8.1. Introduzione AMT
Esistono diversi procedimenti che non producono nuove parole, ma varianti di parole esi-
stenti, diafasicamente condizionate. Alcuni di questi procedimenti hanno lo scopo di abbre-
viare parole esistenti.
In questo settore, la terminologia è poco stabilizzata, e varia notevolmente da una tradi-
zione linguistica all'altra, e anche da un autore all'altro. Nei paragrafi seguenti si utilizzerà
una terminologia il più possibile in linea con la tradizione descrittiva italiana e con gli usi
consolidati per altre lingue romanze.
Aigeo 1975 illustra diversi criteri di cui tener conto nel classificare i procedimenti di ri-
duzione delle parole: 1 (a) il modo di pronunciare l'elemento ridotto (come l'intero, lettera
per lettera, o come una nuova parola); (b) il numero delle parole ridotte (una o più); (c) la
misura della riduzione (riduzione alle sole lettere iniziali, o a sillabe iniziali, o a sottoparti
maggiori di una sillaba); (d) il locus occupato nella parola originaria dall'elemento ridotto
(parte iniziale o finale); (e) l'eventuale limitazione a un uso scritto della variante ridotta.
L'intersezione di tutte queste variabili può dar luogo a un numero piuttosto alto di classi
(fino a 72): non tutte le classi teoricamente possibili sono però effettivamente esistenti, né
tutte hanno ricevuto una denominazione tradizionale nella descrizione linguistica.
Per l'italiano, c'è un certo accordo, per lo più implicito, tra i (pochi) studi dedicati a fe-
nomeni di riduzione, nel distinguere almeno quattro diverse categorie, esemplificate in (1):
a. S. <— san, santo/santa
Sig. <— signor
Prof. <— professor(e)
b. DC <— Democrazia Cristiana
Fiat <— Fabbrica italiana automobili Torino
c. Teti <— Telefonica Tirrena
d. auto <— automobile
bici <— bicicletta
1
Per i criteri di classificazione dei processi di riduzione cfr. anche Heller / Macris 1968, e Kobler-
Trill 1994, cap. 2.
558 8. Riduzione
Inserirei in questa categoria anche le sigle usate nelle targhe automobilistiche di vecchio tipo e in
alcuni usi burocratici, che sono formate normalmente dalle prime due lettere del nome del capoluogo
di provincia: TO per Torino, MI per Milano ecc. Quando è necessario evitare un'omografia, invece
della seconda lettera si prende la terza, o una ancora successiva: poiché CA è Cagliari, Catania è CT;
dato che CO è Como, Cosenza è CS; Caserta, dato che CA e CS sono già impegnate, diventa CE. La
provincia di recente formazione con capoluogo Crotone è indicata con KR, perché tutte le combina-
zioni di C con una delle lettere presenti in Crotone erano già impegnate.
I tipi (lb) - (ld), invece, presentano maggiore interesse dal punto di vista della formazione
delle parole: si tratta di processi di riduzione che, se pure non formano nuovi elementi les-
sicali, formano però varianti di parole esistenti che differiscono dalle corrispondenti forme
non ridotte per proprietà formali e ambito d'uso, e interagiscono in modo interessante con
fenomeni di derivazione e composizione, meritando quindi almeno una breve trattazione in
questa sede.
Come si è detto, nella tradizione italiana vengono considerate sigle le abbreviazioni che
riducono una sequenza di parole alle sue lettere iniziali. 2
1
Sulle abbreviazioni nell'italiano scritto cfr. Loach Bramanti 1978. Su /prof/ usato anche nel parlato
cfr. 8.3.3.
2
Le sigle citate ma non spiegate nel testo del capitolo sono spiegate nell'elenco seguente, per non
appesantire la trattazione: Aci = Automobile Club d'Italia; Acli = Associazioni Cristiane dei Lavo-
ratori Italiani; AGESCI = Associazione Guide E Scouts Cattolici Italiani; AVIS = Associazione
Volontari Italiani del Sangue; BR / bierre = Brigate Rosse; CAF = Craxi Andreotti Forlani; Ccd =
Centro Cristiano Democratico; CD = Compact Disc; CGIL = Confederazione Generale Italiana del
Lavoro; CU delle = Comunione e Liberazione; CLN = Comitato di Liberazione Nazionale; CNR
= Consiglio Nazionale delle Ricerche; CSII = Compagnia Sviluppo Industriale Immobiliare; CT /
cittì = commissario tecnico; DC, De = Democrazia Cristiana; Ds = Democratici di Sinistra; FGCI
= Federazione Giovanile Comunista Italiana; Fiat = Fabbrica Italiana Automobili Torino; FUCI =
Federazione Universitaria Cattolica Italiana; MSI = Movimento Sociale Italiano; PCI = Partito
Comunista Italiano; Pds = Partito Democratico della Sinistra; Ppi = Partito Popolare Italiano; PR /
pierre = Pubbliche Relazioni; Pre = Partito della Rifondazione Comunista; Psdi = Partito Socialista
Democratico Italiano; Psiup = Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria; R&S = Ricerche e
Studi; Rai = Radio Audizione Italiana; S.p.A. = Società per Azioni; Saiag = Società per Azioni
Italiana Articoli Gomma; Seat = Società Elenchi (ufficiali) degli Abbonati al Telefono; Snam =
Società Nazionale Metanodotti; SUC AI = Sezione Universitaria del Club Alpino Italiano; UDÌ =
Unione Donne Italiane; Ue = Unione Europea; Usa = United States of America
8.2. Sigle: i tipi >Dc<, >Fiat< 559
Dal punto di vista ortografico, è oggi corrente scrivere maiuscola solo la prima delle let-
tere che compongono la sigla (Schweickard 1988): su La Repubblica del 24-12-1999 tro-
viamo grafie come Usa, Ds, Ue ecc., mentre appare con entrambe le lettere maiuscole solo
il prestito CD. In passato erano comuni invece grafie con tutte maiuscole, del tipo DC, PCI
(Pettenati 1955a ha sempre DC tutta maiuscola negli esempi che discute). Migliorini 1963,
VI adottava il criterio di scrivere con maiuscole separate da punti le sigle da leggersi lettera
per lettera, e senza interposizione di punti quelle da leggersi come parole. Oggi grafie com-
prendenti i punti appaiono decisamente marginali.
Le sigle possono essere lette lettera per lettera o come una nuova parola: esempi del pri-
mo caso sono CNR, DC, risp. [tji'enne'erre], [dit'tji]; un esempio del secondo caso è /'fiat/.
Come mostra quest'ultimo esempio, a volte si cerca di far coincidere la sigla con una parola
esistente, eventualmente anche di altre lingue. L'omofono può avere o meno una relazione
semantica con l'entità denominata con la sigla: si confrontino i casi di AIACE (Associazio-
ne Italiana Amici del Cinema d'Essai), LIZ (Letteratura Italiana Zanichelli) e del già citato
Fiat con quelli di CASA (Centro Attività di Servizio per le Abitazioni), DISC (Dizionario
Italiano Sabatini Coletti, tra i primi dizionari italiani a presentarsi anche in versione su CD-
ROM).1 È stato osservato che spesso la volontà di arrivare a una sigla omofona con una
determinata parola condiziona anche la creazione del sintagma di base: un caso italiano è
LUCE <r- L'Unione Cinematografica Educativa, studiato d a Raffaelli 1980. Migliorini
1945, 31 osserva che in italiano, a differenza che in altre lingue europee, prevale la tenden-
za a pronunciare le sigle «come parole comuni», invece che lettera per lettera.2 Quando la
sigla non è pronunciabile come parola, viene pronunciata lettera per lettera. La pronuncia
lettera per lettera, secondo Lepschy / Lepschy 1981, 73 «produce però non una sfilza di
nomi di lettere, uno indipendente dall'altro, ma una nuova parola unitaria, con il suo ac-
cento». Questa osservazione non sembra generalizzabile a tutti i casi: ad esempio, in
[tji'enne'erre], almeno nella pronuncia romana, si hanno due vocali mediobasse, che in
italiano occorrono solo se portatrici di accento primario di parola (cfr. Nespor 1993, 174):
la sigla in questo caso sembra quindi corrispondere ad almeno due parole fonologiche. Per
pronunciare come parole invece che come sequenze di lettere sigle che presentano nessi
fonotatticamente esclusi in italiano, si introduce a volte una /i/: PCI si legge(va) [pit'tfi],
FGCI [fidd3it'tfi]. Se nel primo caso la [i] può essere dovuta al fatto che il nome della lette-
ra <p> si legge [pi], per spiegare la resa di <f> con [fi] si dovranno invocare quantomeno
fattori analogici. Un'altra strategia attestata per la lettura delle sigle con nessi anomali è la
metatesi di vocali e consonanti: MSI può essere pronunciato /'mis/, come attesta il derivato
missino. Dal punto di vista ortografico, le sigle pronunciate lettera per lettera sono a volte
scritte come parole, trascrivendo i nomi delle singole lettere componenti: bierre, delle (Q),
cittì, pi erre o pierre, dici o dicci (L).
Vale anche per l'italiano, come per altre lingue (cfr. Kobler-Trill 1994, 27-28 per il te-
desco), l'osservazione che le sigle sono basate sulle lettere iniziali delle parole che ne sono
a base, e non sui loro fonemi iniziali: la <c> di Aci, pronunciata /tJ7, vale /k/ in club, la
Sulle sigle omofone di nomi propri o di elementi lessicali esistenti cfr. Caffarelli 2000c, dal quale
traggo alcuni degli esempi citati.
2
Barbagallo 1951 costituisce una rassegna di orientamento puristico sul tema della scrittura e della
pronuncia delle sigle, che nulla aggiunge ai ben più informativi interventi di Migliorini 1945 e
1949 [1956 2 ]) sul tema.
560 8. Riduzione
parola che abbrevia; AGESCI si legge /a't^ej/i/, mentre una lettura secondo il valore fone-
matico originario delle iniziali coinvolte darebbe */a'geski/; le <c> di De e Pei si sono sem-
pre lette con il valore /tJ7, nonostante abbreviassero cristiana e comunista, parole in cui <c>
vale /k/.
Quando il sintagma che sta alla base della sigla contiene parole funzionali, come prepo-
sizioni e congiunzioni, esse possono entrare o meno a far parte della sigla. La scelta dipen-
de da diversi fattori, tra cui in particolare l'utilità o meno dell'iniziale della parola funzio-
nale al fine di rendere pronunciabile, o addirittura omofona con altra parola, la sigla: così la
congiunzione e viene sfruttata in AGESCI, ma soppressa, insieme a due preposizioni, in
CNEL /'kneU (Consiglio Nazionale dell 'Economia e del Lavoro). L'omissione delle prepo-
sizioni è assai più comune della loro utilizzazione. Quando non sono omesse, le preposizio-
ni sono a volte scritte in minuscolo, come in B.d.S. (Banco di Sicilia).
In un numero ridotto di casi, una sigla è formata estraendo dalle parole del sintagma base
non solo l'iniziale, ma anche altre lettere: esempi sono Udeur (Unione dei democratici
europei). Istat (Istituto centrale di statistica), Enel (Ente nazionale per l'energia elettrica);
SIND1EER (Sindacato Dirigenti Ferrovie [dello Stato], DISC) è uno dei rari casi in cui i
componenti della sigla corrispondono alle sillabe iniziali delle parole del sintagma base.
Come in altre lingue (cfr. Kobler-Trill 1994, 22 per il tedesco), vere e proprie «sigle sillabi-
che» sono molto rare, e spesso vengono denominate «sigle sillabiche» formazioni in cui
appaiono porzioni di parole base maggiori di una lettera ma minori o maggiori di una silla-
ba (cfr. Wells 1956, 665 per l'inglese, e Kobler-Trill 1994, 40 per il tedesco). Maggiore è
l'estensione della porzione di base che compare nella formazione, più essa diventa classifi-
cabile come parola macedonia invece che come sigla (cfr. Bauer 1988,40 e infra, 9.).
Ai fini dell'accordo, le sigle mantengono genere e numero della testa del sintagma che
ne è alla base: la De, il Pei, gli Usa. Si hanno anche coppie di sigle omofone e omografe
corripondenti a diverse sequenze base e con diverso genere: il CAI è il Club Alpino Italia-
no, la CAI la Compagnia aeronautica italiana (L).
Dal punto di vista semantico, le sigle sono per lo più varianti (in genere assai più fre-
quenti della forma estesa) di nomi di partiti politici, enti, associazioni e gruppi vari, o nomi
di ditte (cfr. 11.3.). Uno spoglio effettuato su alcune pagine de La Repubblica del 24-12-
1999 conferma che le sigle sono tutte concentrate nelle pagine di politica interna e di econo-
mia: alla pagina 2 (politica interna) abbiamo Ds, Pre, De, Ppi e Udeur, una formazione a
metà fra sigla e parola macedonia (cfr. 9.); alla pagina 31 (economia) troviamo Ue, S.p.A.,
Seat, Safilo (Società Azionaria Fabbrica Italiana Lavorazione Occhiali), Saiag, R&S, Rai,
Snam, Enel, CSII, la quasi parola macedonia Istat, e le abbreviazioni F. Ili "Fratelli" e Tel.
"telefono"; nessuna sigla appare alla pagina 21 negli articoli di cronaca, ma gli articoli sono
firmati dai giornalisti con le sole iniziali (g.d.b., d.c.; da notare l'uso di tutte minuscole);
alla pagina 41 (cultura) non si ha nessuna sigla, ma due diverse abbreviazioni, entrambe
con il valore di "pagine": pp. nel corpo di un'inserzione pubblicitaria, e pagg. nel corpo di
un articolo; alla pagina 51 (sport) l'unica sigla è un nome di partito, Ccd. In prima pagina
compaiono solo tre sigle, due delle quali sono prestiti: Ds, Usa e CD.
Uno dei vantaggi delle sigle, che ne spiega l'alta diffusione in sostituzione di nomi pro-
pri formati da diversi costituenti, sta nel fatto che le sigle si prestano meglio dei sintagmi a
fare da basi per derivati che indicano gli appartenenti al gruppo o all'associazione nomina-
ta. In italiano, la derivazione di nomi d'agente da sigle è ben attestata (cfr. anche 5.1.1.1.6.
8.3. Accorciamenti 561
Gli enunciati (2a) - (5a) non differiscono dai corrispondenti enunciati (2b) - (5b) nel valore
referenziale: entrambi gli enunciati di ogni coppia possono essere usati per dichiarare la
stessa cosa. La differenza tra i due enunciati di ogni coppia sta nelle condizioni diafasiche
del loro uso: l'enunciato contenente un accorciamento è più probabilmente prodotto in
situazioni in cui il parlante intrattiene una relazione di maggiore familiarità con il destinata-
1
Sic. Davide Ricca mi segnala che nel corpus de La Stampa 1997 è molto più comune la forma
psiuppino.
562 8. Riduzione
rio e/o con il referente nominato (cfr. Wells 1956).1 Tutti i diversi fattori che condizionano
la variazione diafasica possono avere un ruolo nel rendere più probabile l'uso di un accor-
ciamento rispetto a quello della sua variante piena. Montermini 1998, 82 osserva che sono
spesso accorciati i nomi delle materie scolastiche: esempi sono mate matematica, ragio
<— ragioneria, lati latino, geo geografia, stenodattilo stenodattilografia (a sua
volta derivato da stenografia-dattilografia per troncamento del secondo elemento del primo
composto). In questo caso l'uso degli accorciamenti sembra regolato sia dal fattore del
campo (l'universo relativamente chiuso delle materie scolastiche) che da quello del tenore:
gli accorciamenti sono usati nella comunicazione informale tra persone che studiano e/o
lavorano in uno stesso ambiente scolastico. Inoltre l'uso di accorciamenti è descritto come
tipico del «linguaggio giovanile» (Cortelazzo 1994, 309). Anche il variare del modo della
comunicazione parrebbe influenzare l'occorrenza o meno di accorciamenti, che sono più
comuni nel parlato che nello scritto. De Palo 1997, 399 osserva che nel corpus di parlato su
cui è basato il LIP «foto, moto sostituiscono ormai le corrispondenti fotografia, motociclet-
ta». Fenomeni di variazione diatopica non sono assenti: ad esempio, auto a Roma per lo più
significa "autobus" ed è di genere maschile, mentre nell'Italia settentrionale auto è usato
solo al femminile con il senso di "automobile". Tuttavia la variazione diatopica non appare
una dimensione particolarmente rilevante per la descrizione dell'uso degli accorciamenti
nell'italiano contemporaneo. Dal punto di vista diacronico, gli accorciamenti sembrano
rappresentare formazioni tipiche del Novecento. De Mauro 1976 [=19702], 225 considera
«una [...] possibilità nuova, [...] largamente popolare [...] l'abbreviazione di un compo-
sto»: i suoi esempi sono radio (da radiofonia) e sub (da subacqueo), e viene ricordato che
«alla fine dell'Ottocento da automobile si era ricavato auto». Accorciamenti che non corri-
spondano a primi membri di composti, come ad esempio bici e frigo (rispettivamente da
bicicletta e frigorifero), non sono menzionati da De Mauro. Opere di riferimento standard
sulla storia della lingua italiana, quali Migliorini / Baldelli 1964, Mengaldo 1994, Marazzi-
ni 1994 salvo errore non rilevano la diffusione degli accorciamenti nel Novecento,2 mentre
dedicano spazio ad altri fenomeni di riduzione, quali sigle e parole macedonia. Tuttavia il
fatto che gli accorciamenti siano un fenomeno novecentesco è confermato dalle datazioni
ricavabili dal DISC per molti di essi: auto (<— automobile-, a. 1898), caccia («— cacciator-
pediniere-, a. 1918), moto (<— motocicletta-, a. 1931), bici (<— bicicletta-, a. 1941), cablo (<—
cablogramma-, a. 1942), frigo (<— frigorifero-, a. 1942), tele (<— televisione-, a. 1964), flebo
(*—fleboclisi-,a. 1982), macro {*— macroistruzione·, a. 1985).
Molti accorciamenti sono di fatto degli internazionalismi: Migliorini 19633b, 33-34 os-
serva che essi sono «oggi diffusi in tutte le lingue europee, e in italiano giunti per lo più
dalla Francia». Alcuni di questi accorciamenti sono attestati anche in epoca piuttosto antica:
chilo (<— chilogrammo) è secondo il DISC databile a prima del 1801.3 La maggior parte di
essi sono però senz'altro di formazione più recente (anche se la marcatezza diafasica del
loro uso potrebbe far ipotizzare che per epoche passate manchi piuttosto la documentazione
della loro esistenza, che non il fenomeno: si tratta di una questione tutta da indagare).
Gli accorciamenti usati come forme libere (escludendo cioè quelli, assai numerosi, uti-
lizzati solo come primi membri di composti, per cui CÌT. 2.2.2.2.) sono comunque in numero
relativamente ridotto: Montermini 1998, che rappresenta lo studio più esauriente del feno-
meno per l'italiano contemporaneo, ha potuto raccogliere un corpus di 200 accorciamenti
(esclusi gli ipocoristici, per cui cfr. 11.1.1.5.1.), di cui l'85% sono nomi e il 15% aggettivi
(quali meteo, porno, rinco, che sono accorciamenti di basi aggettivali, ma anche turbo,
accorciamento di turbocompressore usato in funzione aggettivale in sintagmi come motore
turbo).
Dal punto di vista della loro formazione, gli accorciamenti vanno distinti in diverse cate-
gorie.
I tipi (la) - (le) sono il prodotto di un'operazione di natura prosodica, che partendo da una
parola esistente ne manipola il significante in modo da produrre una parola bisillabica ter-
minante in vocale e accentata sulla prima sillaba (cfr. Thornton 1996). Il confine sinistro
dell'accorciamento coincide con quello della parola base. Il confine destro
dell'accorciamento può coincidere o meno con un preesistente confine morfologico: coin-
cide con esso in auto, foto, moto, flebo, tele ecc. ma non coincide in bici, cine (<— cinema-
tografo), frigo, meteo (<— meteorologico), siga (<— sigaretta) ecc. Da diapositiva si hanno
sia dia (con coincidenza tra confine morfologico nella base e confine destro
dell'accorciamento) che diapo (senza questa coincidenza).1 Montermini 1998, 20 in un
corpus di circa 200 accorciamenti ha osservato coincidenza tra il confine destro
dell'accorciamento e un confine morfologico presente nella base nel 50% dei casi; nel 28%
dei casi il confine dell'accorciamento non coincideva con un confine presente nella base, e
nel 22% dei casi la base non conteneva alcun confine (cioè la base non era un derivato o un
composto; naturalmente, si aveva il confine tra radice e morii flessivi). In diversi casi
l'accorciamento viene a coincidere con un prefìsso bisillabico presente nella base, ma man-
tiene il significato dell'intera base: mini (<— minigonna), maxi (<— maxigonna), macro (<—
macroistruzione o macroobiettivo).
Questi accorciamenti bisillabici sono spesso usati come primi membri di composti (cfr.
2.2.2.2.): si vedano esempi come cattocomunista (<— cattolico), eliporto (<— elicottero),
palaghiaccio (<— palazzo), pantacollant (<— pantaloni), democristiano (<— democratico).
Come si vede dagli esempi citati, il confine destro dell'accorciamento non necessaria-
mente coincide con un confine sillabico presente nella base (cfr. pala- vs palaz-zo,2 o nasco
(BC) vs nascon-diglio)·, si ha un accento sulla prima sillaba dell'accorciamento anche se
Si noti che entrambe queste forme sono spiegabili come riduzione a un piede trocaico, in quanto
sono sillabifìcaterispettivamente/di.a/ e /dja.po/ (cfr. anche Thornton 1996, 89).
2
Paolo D'Achille mi fa però osservare che questa forma potrebbe aver avuto origine in varietà
settentrionali, dove lisi è scempia, e dunque la seconda sillaba di palazzo è aperta.
564 8. Riduzione
sulla sillaba corrispondente della base non cade alcun accento, neppure secondario (cfr.
catto- vs cattòlico, e il caso di Dalco trattato in 11.1.2.)·
Rimane problematica l'analisi di alcuni casi isolati di accorciamenti trisillabici non coincidenti con il
primo membro di un composto: cinema (<— cinemato+grafo), matusa (<— Matusalemme, un nome
proprio non analizzabile in costituenti morfologici (a meno che non si voglia pensare a un accosta-
mento paretimologico con l'avverbio lemme)) e stenoda (<— stenodattilografa, Q). Cinema «riprende
il cinéma francese, tant'è vero che ha a lungo oscillato nell'accentazione fra cinema, cinema e ci-
1
Questa forma, segnalata da Montermini 1998, assume nel linguaggio giovanile il significato meta-
forico di "adulto" o anche "genitore" (cfr. Cortelazzo 1994, 309), con connotazione spregiativa.
8.3. Accorciamenti 565
nemà, come frequentemente accade ai termini importati» (Migliorini 1957b, 104), e quindi, in quanto
prestito, non rappresenta un vero controesempio alle regole individuate per gli accorciamenti italiani;
Antonelli 1996, 263 osserva anche che cinema è «oltretutto sentito come nome [e non più come ac-
corciamento] da quando cinematografo è diventato di uso raro», e che come primo elemento di com-
posti è ormai usato solo cine-, Stenoda appare un occasionalismo, e matusa «dopo un periodo di
grande espansione [...] si è avviato piuttosto rapidamente al tramonto» (DELI, s.v. matusalemme; cfr.
anche Cortelazzo 1994, 309, che definisce matusa «ormai classico e desueto»). Non sembra quindi
che la creazione di accorciamenti trisillabici non coincidenti con morii sia un fenomeno produttivo in
italiano.
1
A prof può corrispondere un plurale profi, che ha dato luogo a tutto un paradigma di retroforma-
zioni: profio, profia, profie (attestati in Brizzi, E., Jack Frusciarne è uscito dal gruppo, Ancona,
Transeuropa, 1994). Non è chiaro però se profi sia un plurale «additivo» di prof (come ipotizzato
in Dressier / Thornton 1996, 11), o sia invece il regolare plurale di un regolare accorciamento
profe (attestato da Montermini 1998, 16 n. 12).
566 8. Riduzione
Sono note le vicende dello sviluppo di un neo-morfo bus, che nasce in inglese (Kobler-Trill
1994, 66 lo dichiara attestato a Londra dal 1928) come abbreviazione di omnibus (lat. "per
tutti"), usato dapprima nel sintagma francese voiture omnibus, poi calcato in altre lingue
(omnibus car, vettura omnibus ecc.), e poi sostantivato lasciando cadere la testa. Bus è un
internazionalismo, diffuso in molte lingue europee, usato ormai anche in italiano sia come
forma libera (forse più comune in varietà settentrionali; ma nel 2001 a Roma si è usato lo
slogan il bus fa il bis, per pubblicizzare un'iniziativa di potenziamento di alcune linee di
autobus) sia come secondo elemento di composti, in primo luogo filobus e autobus, e poi
minibus, elibus, e il calco scuolabus. Il fatto che bus sia sentito da molti parlanti (e conside-
rato dal DISC) abbreviazione di autobus non autorizza a postulare l'esistenza in italiano di
un procedimento di accorciamento che riduca le parole alla loro sillaba finale (un tale pro-
cedimento sembra avere invece una qualche vitalità in inglese, dove oltre a bus è stato
creato van caravan). Un altro caso apparentemente consistente nella riduzione all'ultima
sillaba (o al secondo membro) della base è fax, sentito dai parlanti italiani e dato dal DISC
come abbreviazione di telefax. In realtà fax è un accorciamento inglese di facsimile, che,
come bus, andrà considerato in italiano un prestito, ben acclimatato (cfr. il derivato faxare)
ma pur sempre prestito, e non frutto di un procedimento di riduzione autoctono.
1
Ringrazio Fabio Montermini e Paolo D'Achille per avermi segnalato questi casi.
2
Già Pettenati 1955a, 25 n. 9 osservava che «per il sentimento del parlante italiano poco colto,
<struttura monosillabica> equivale oggi a <struttura ingleso».
9. PAROLE MACEDONIA amt
9.1. La nozione di «parola macedonia»
«In qualche caso una o più parole maciullate sono state messe insieme con una parola intatta: Co-
gepesca, Fedemetalli ecc. Così si sono avuti successivamente il Cogefag, il Fabbriguerra, il Mi-
proguerra (né saprei dire quale, fra queste parole macedonia, sia la più orribile). La Sepral (Sezio-
ne Provinciale dell'Alimentazione) ci mostra che alle volte non si prende nemmeno una sillaba
intera, ma un paio di lettere [...].»
Per Migliorini una parola macedonia sembra definirsi come formata con pezzi di parole che
non coincidano né con le lettere o le sillabe iniziali di un sintagma base (in tal caso avrem-
mo sigle o sigle sillabiche, cfr. 8.1.), né con un morfo. Il requisito che uno o più di tali
pezzi2 si uniscano a una parola intera non sembra costitutivo della definizione di parola
macedonia, dato che Migliorini cita tra gli esempi anche Cogefag3 e Sepral.
1
Utilizzata già nel 1942, nt\V Appendice curata da Migliorini alla Vili ed. del Dizionario moderno
di Alfredo Panzini, s.v. metalmeccanico.
2
Per riferirsi agli elementi che compongono le parole macedonia sono state utilizate diverse deno-
minazioni, per lo più denigratorie: Migliorini 1949, 86 li chiama «tronconi» di parole, Nobile
1951, 50 «mozziconi», di nuovo Migliorini 1963 4 , 84 semplicemente «pezzi di parole». In inglese
per i componenti dei blends è in uso la denominazione splinter, lett. "scheggia" (cfr. Berman 1961,
Lehrer 1996).
3
Non saprei ricostruire completamente il significato di questa formazione, assente in Migliorini
1963.
570 9. Parole macedonia
L'elemento ridotto può anche essere un aggettivo: ad esempio Fin [Società] finanziaria
(Finmare, Finmeccanica, Finsider), Ital, Ita <— italiano (Ifalcasse, Italcementi, Italgas,
Itapac). Le forme ridotte ricorrenti non necessariamente appaiono in prima posizione nella
parola macedonia: -ital occorre in posizione finale in una dozzina di formazioni della prima
metà del XX secolo indicanti prodotti italiani (lanital, acmonital ecc.; cfr. Nobile 1951); in
Assider e Finsider appare in seconda posizione la forma ridotta di siderurgico, e Formez e
Svimez attestano la ricorrenza di mez come allomorfo di Mezzogiorno. Quando una forma
ridotta è unita a una parola intera, però, appare normalmente in prima posizione (con
l'eccezione di -ital, che in anni recenti non sembra comunque più impiegato in posizione
finale).
Dal punto di vista fonologico, si osserva che sia le forme ridotte più ricorrenti che le
forme ridotte con cui esse si combinano terminano per lo più in consonante (Migliorini
1949, 89 osservava che «si arriva così [...] a foggiare dei mostriciattoli contrari [...] alla
struttura fonetica della lingua»). Questa tendenza è probabilmente dovuta al desiderio di
foggiare parole di apparenza inglese, o in qualche caso latina (Assocalor), dove la forma
alloglotta è sentita come prestigiosa.1
La formazione di parole con pezzi di parole base che non coincidono né con morii pree-
sistenti né con accorciamenti prosodicamente determinati (cfr. 2.2.2.2. e 8.3.) non è limitata
al settore dei nomi telegrafici di enti e associazioni. Questa tecnica viene sfruttata anche per
coniare parole che si riferiscono a una serie di referenti ottenuti tramite unione / incrocio /
miscuglio tra diverse componenti per creare un nuovo elemento unitario: animali e vegetali
ibridi, locali o strumenti polifunzionali, nomi riferiti a persone che svolgano due o più ruoli
o abbiano una doppia appartenenza, scienze, tecniche, attività o movimenti di pensiero che
combinino due o più componenti preesistenti (cfr. Thornton 1993a).2 Gli esempi in (1),
tratti per lo più dai dizionari di neologismi del nostro corpus, sono divisi per categoria. Si
segnalano le parole registrate anche nel DISC.
Nobile 1951, 50 osserva che -ital «vorrebbe spacciarsi per una terminazione esotica, scimmiottan-
do le uscite in -al dell'inglese e del francese».
2
Nella prima metà del XX secolo sono state formate in italiano anche parole macedonia classifica-
bili in altre categorie, quali fibre tessili sintetiche e leghe metalliche (cfr. Thornton 1993a).
9.2. Tipi di parole macedonia in italiano 571
(la) ibridi:1 tigone (tigre + leone), leopone (leopardo + leone), pecapra (pecora + capra), qualli-
na (quaglia + gallina), zebrallo (zebra + cavallo), zebrasino (zebra + asino), leongressa
(leone + tigre, con l'aggiunta del suffisso -essa per segnalare ulteriormente il sesso femmi-
nile di questo ibrido), mapo (mandarino + pompelmo, DISC).
(lb) persone: amerasiatico (calco dell'inglese amerasian), cattocomunista (DISC), metalmezza-
dro, yappo (yuppie + guappo), e una serie di formazioni analogiche su cantautore: cantatto-
re (DISC), cantintellettuale, auttore, giornattore, cantadottore, cantapoeta, cantaurocker,
danzautore.
(le) locali polifunzionali: discobar (DISC), ristobirreria, discopub.
(ld) scienze, tecniche, attività e movimenti: cattocomunismo (DISC), archipittura, ma-ma-
maismo, maorxismo, meccatronica (DISC), orgiapping (orgia + happening, con una sinco-
pe irregolare), qualunfascismo, infotenimento (calco sull'inglese infotainment), digitronica
(DISC).
In analogia alla fortunata creazione francese franglais, sono state formate anche in italiano
parole macedonia che indicano varietà linguistiche miste, che risentono di due lingue: nel
nostro corpus di neologismi troviamo angrusso, runglese, itènglish, italiolo (anche itagno-
lo), sicitaliano, e l'interessante itangliano, dove la forma ridotta angl- si inserisce nel corpo
della parola italiano invece di combinarsi ad una sua forma ridotta. Semanticamente vicino
a questo gruppo anche immigriano, voce coniata per indicare la varietà di italiano parlata da
immigrati.
Al di fuori di queste categorie, si hanno solo alcune creazioni occasionali, nelle quali i
due elementi di base non sono coordinati, ma possono avere altri tipi di rapporti sintagmati-
ci: nel nostro corpus di neologismi abbiamo esempi come squillore "lo squallore delle
squillo" e videota "beota, divenuto tale per eccessivo consumo di programmi televisivi" in
Q, cocacollezionista e furgonoleggio in F, telebrità in L. Nessuna di queste formazioni è
usuale (nessuna è registrata dal DISC); è difficile sottrarsi all'impressione che si tratti di
occasionalismi registrati nei dizionari di neologismi più per gusto dell'esotico che per
un'ipotetica effettiva cercabilità della voce.
Le parole macedonia sono solo parzialmente identificabili con il tipo formativo denomi-
nato in inglese blend: i blends prototipici, come smog, motel o brunch, sono formati da una
sequenza iniziale coincidente con l'inizio di una parola, seguita da una sequenza finale
coincidente con la fine di un'altra parola. Questo tipo di formazioni in italiano è abbastanza
raro, come si vede dagli esempi citati sopra. In italiano è forte la tendenza a lasciare intatta
la seconda parola che partecipa alla parola macedonia, o a concatenare parti iniziali, in
formazioni al confine con le sigle sillabiche, mentre è meno sfruttato l'uso di pezzi ricavati
dalla parte finale di una parola base.
L'animale della specie nominata per prima in ciascuna coppia che dà luogo a un ibrido è il ma-
schio.
10. FORMAZIONE DELLE PAROLE NELLE
TERMINOLOGIE TECNICO-SCIENTIFICHE
10.1. I n t r o d u z i o n e MD
I linguaggi tecnico-scientifici presentano tratti particolari in più rispetto alla lingua comune.
Secondo una tradizione linguistica consolidata, si suole rinvenire questii caratteri specifici
quasi esclusivamente nel lessico; quest'ultimo, del resto, è la sede privilegiata dell'incontro fra
lingua e realtà extralinguistica, dell'aggiornarsi della prima ai mutamenti (politici, culturali,
sociali e, appunto, scientifici) della seconda (cfr. Rey 1979, Nencioni 1994). Le terminologie
tecnico-scientifiche, espressione linguistica del progresso delle conoscenze umane, costituisco-
no il campo di un intenso uso della formazione delle parole e, al tempo stesso, un osservatorio
di questa fondamentale risorsa dell'italiano contemporaneo (cfr. Migliorini 19633b, Dardano
1978 e 1994).
Una riflessione preliminare deve tendere necessariamente a identificare la varia natura di un
insieme eterogeneo di discipline e attività; ciascuna delle quali, con la relativa terminologia,
risente della propria storia, delle proprie tradizioni, delle proprie origini (più o meno antiche),
della cultura dei popoli che ne hanno maggiormente determinato lo sviluppo; del proprio sta-
tuto, infine, all'interno del più vasto insieme delle scienze e delle attività umane. I riflessi sul
piano linguistico sono evidenti: è noto che scienze tradizionalmente considerate «molli» come
la linguistica si servono di un lessico fortemente specializzato, ricco di composti di origine
classica; la fisica e la matematica, per contro, scienze «dure», risemantizzano sovente vocaboli
di uso anche comune, quali campo (magnetico, gravitazionale ecc.), limitando la pratica della
formazione delle parole (cfr. Del Bello et al. 1994). E proprio della medicina far uso di compo-
sti di origine greca (cfr. Serianni 1989c, Cassandra 1996); tuttavia le terminologie di alcuni
suoi rami, sviluppatisi in epoca contemporanea, risentono dell'inglese: si hanno prestiti inte-
grali (pace-maker, by-pass), forme miste (cellule helper) e calchi (penicillino-resistente, corti-
sono-sensibile). Il quadro rappresentato dai linguaggi tecnico-scientifici si presenta perciò
estremamente complesso e vario; cercheremo di individuare elementi e tendenze comuni a più
discipline, cercando di accennare anche ad alcune differenze.
Fondamentale è il ruolo della formazione delle parole nella creazione di nomenclature scienti-
fiche. Il caso di Linneo (cfr. 10.4.) è in tal senso esemplare e costituisce un modello di cui
ancor oggi si servono le scienze naturali.
Un rinvigorito interesse per le nomenclature si riscontra fra la seconda metà del Settecento e
il primo Ottocento. Si riordinano quelle discipline che, per il progresso della teoria e del meto-
do sperimentale, sono in pieno sviluppo. Seguendo un leit-motiv del pensiero settecentesco e
d'ispirazione portorealista (la critica dell'equivocità del segno linguistico), sono rifondati interi
settori dei vocabolari tecnici, divenuti impraticabili. I «difetti della lingua» impediscono lo
svolgersi del pensiero; ne deriva l'incapacità di comprendere, di ragionare, classificare, porre in
un rapporto reciproco gli oggetti come le idee. Se, come afferma Condillac, «l'art de raisonner
se réduit à une langue bien faite», è necessario sfruttare vari procedimenti (e in primo luogo la
formazione delle parole, mezzo privilegiato per ottenere nuovi termini trasparenti e analizzabi-
li), al fine di fondare e ordinare i lessici scientifici (cfr. Dardano 1994,538ss.).
576 10. Formazione delle parole nelle terminologie tecnico-scientifiche
In questo programma la chimica assume una funzione guida. P. J. Macquer, nel 1766, pro-
pone nomi sistematici per composti provenienti da uno stesso materiale. Con T. O. Bergmann,
nel 1775, il modello binomio della nomenclatura botanica di Linneo è applicato alla chimica.
L. B. Guyton de Morveau, applicando i nomi semplici agli elementi e i nomi composti alle
sostanze composte, evidenzia il valore di questa omologia e pone la formazione delle parole al
centro del processo di creazione delle terminologie. Il 18 aprile 1787 Lavoisier legge, nel corso
di una seduta pubblica a\YAcadémie des sciences, una memoria intitolata Sur la nécessité de
réformer et de perfectionner la nomenclature de la chimie (cfr. Dagognet 1969, 24—33; Cro-
sland 1962). La nomenclatura non serve soltanto per l'attribuzione di un nome, ma anche come
strumento di indagine; per la prima volta si usano prefissi e suffissi aggiunti al nome di base
per indicare le diverse combinazioni dei diversi elementi. La proposta di una scienza del tutto
nuova si fonda su tre principi: (a) il concetto della composizione-combinazione (le sostanze,
come dimostra la nuova teoria della combustione, non si creano né si distruggono, ma mutano
secondo processi di addizione e di sottrazione dei loro componenti); (b) una classificazione
metodica, mediante la quale si risale dalle sostanze a tali componenti, che rappresentano
l'alfabeto della lingua della natura; (c) una nomenclatura razionalmente ordinata, una combi-
natoria fondata sul parallelismo fisico-grammaticale.
La lingua della nuova chimica è il francese, arricchito di latinismi e grecismi. La terminolo-
gia italiana si rinnova mediante la traduzione di testi francesi e la pubblicazione di trattati in
italiano (cfr. Giovanardi 1987, 79ss.). In tal modo le vecchie denominazioni sono sostituite
dalle nuove nomenclature: vitrìuolo verde > solfato di ferro, l'aria puzzolente di zolfo > gas
idrogeno solfurato, magnesia alba > carbonato di magnesia. Si noti il ricorrere del suffissato
aggettivale in -ato (che indica i sali derivati dagli acidi con desinenza -ico). La nomenclatura
chimica ricorre alla morfologia: ridetermina i suffissi -oso e -ico, che serviranno a indicare
l'opposizione tra valenza minore e valenza superiore (cloroso vs dorico)·, mediante prefissi e
suffissi, traduce in corrispondenze formali i rapporti tra gli acidi e i rispettivi sali: acido ipoclo-
roso vs [sale] ipoclorito, a. cloroso vs clorito, a. dorico vs clorato, a. perclorico vs perclorato.
Con i loro affissi, radici e desinenze, i termini della chimica «copiano» la struttura dei compo-
sti, indicandone, nell'ambito di una classificazione, che aspira alla completezza e al rigore, il
grado di complessità e la posizione gerarchica. Così, con le medesime operazioni, si decom-
pongono e ricompongono cose, nomi e idee. La tavola della nomenclatura chimica, proposta da
Guyton de Morveau, Lavoisier, Berthollet e Fourcroy, riassume visivamente un insieme di
corrispondenze e di rapporti.
Il sistema, tuttavia, mostra presto incoerenze e punti deboli. In base a diversi criteri nascono
nuove classificazioni e nuove tavole; molte denominazioni, si dirà in seguito, non rendono
«idee sistematiche», ma soltanto proprietà. Un gran numero di nuove sostanze, scoperte di
giorno in giorno dagli scienziati, minaccia di sommergere e vanificare ogni schema. Ciò accade
tanto più nella chimica organica, dove le innumerevoli combinazioni di pochi costituenti pro-
ducono una moltitudine di «misti».1 Nel linguaggio della chimica di oggi si manifesta
1
Cfr. Dagognet 1969, 63, 76-77. Nel linguaggio della chimica di oggi, appare spesso una
stratificazione complessa: accanto a una denominazione tradizionale (acido prussico, con la
relativa materia, blu di Prussia), se ne affiancano una razionale e tradizionale (acido cianidrico) e
una razionale (cianuro di idrogeno); si noti che quest'ultima è «irregolare»: infatti, trattandosi di
un composto di tre elementi, il suffisso dovrebbe essere -ato, non -uro. Talvolta due
denominazioni razionali, l'una vecchia e l'altra nuova, si fronteggiano: per esempio anidride
10.1. Introduzione 577
un'opposizione di base: da una parte, per quello che riguarda i principi fondamentali (riduzio-
nismo), ci si è avvicinati al linguaggio della fisica; dall'altra la necessità di catalogare circa
sette milioni di composti ha fatto sì che si rimanesse fedeli a un metodo naturalistico-
descrittivo.
Alla fine del XVIII secolo gli studiosi si chiedono come l'ordine e la razionalità possano
venire a capo di una serie innumerevole di piante (riportate da terre lontane) e di una moltitudi-
ne di organismi quotidianamente scoperti con il microscopio. Linneo aveva visionato e classi-
ficato duemila specie di animali, ma oggi le specie classificate sono circa un milione. Lamarck
fece progredire la classificazione degli invertebrati. Con Cuvier si ebbe una successiva grande
riforma della sistematica, la quale tenne conto non soltanto dei caratteri esterni, ma anche dei
caratteri strutturali. Nacque così l'anatomia comparata. L'introduzione dell'evoluzionismo
(Lamarck, Darwin) nella biologia ebbe una grande importanza soprattutto per la zoologia e la
botanica. Ne risultò mutato il concetto di «specie»; le affinità (maggiori o minori) che si posso-
no ritrovare tra gli organismi assunsero nuovi significati. Al presente la sistematica zoologica e
botanica non è più statica: è interpretata come il risultato di un lungo progresso storico (cfr.
Storer et al. 1982, Strasburger et al. 19827, Mitchell et al. 1991). Il problema dell'eredità biolo-
gica ha fatto sorgere la genetica. Si è avuto un grande sviluppo del metodo sperimentale. La
zoologia da scienza puramente descrittiva e congetturale è divenuta ricerca del nesso causale
tra i fenomeni.
L'epoca contemporanea ha visto importanti innovazioni che hanno avuto conseguenze an-
che sulla formazione delle parole nelle terminologie scientifiche. Dal 1957 nel campo della
chimica si segue il metodo IUPAC (= International Union of Pure and Applied Chemistry),
che è basato sulla formula strutturale o configurazionale. Ma, poiché di moltissimi composti
chimici resistono denominazioni consolidate, non sono rari i sinonimi disposti a diversi livelli
di competenza e di situazione: sale inglese (nome comune) = solfato di magnesio idrato (nome
chimico tradizionale) = tetraossosolfato di magnesio eptaidrato (IUPAC). Si sono sviluppati
nuovi settori; al tempo stesso si è avuta una riduzione dei valori filosofici impliciti nelle termi-
nologie settecentesche. Il metodo sperimentale ha imposto nuove denominazioni.
Rispetto alla lingua comune, nei linguaggi tecnico-scientifici la formazione delle parole assume
caratteri particolari perché mira a formare terminologie internazionali, attuando il massimo di
trasparenza e di economia dei componenti linguistici (cfr. Adamo 1994, Greuter et al. 1997).
Un altro obiettivo della formazione delle parole consiste nell'attribuire agli affissati e ai com-
posti una riconoscibilità «scientifica», differenziata nei diversi settori. Tuttavia le scelte operate
nelle varie discipline possono essere diverse. Per esempio, nella chimica, nella botanica e nella
zoologia la formazione delle parole è in funzione di una tassonomia fondata su criteri essen-
zialmente morfologici (cui si sono aggiunti in tempi recenti metodi e valutazioni di altra natu-
ra); nella medicina i composti neoclassici esprimono una tendenza analoga. Matematica e
carbonica / diossido di carbonio. Si noti ancora la non corrispondenza tra struttura delle cose e
struttura linguistica: sodio, potassio, litio, rubidio e cesio, pur costituendo la stessa famiglia di
elementi, hanno denominazioni del tutto arbitrarie e indipendenti tra loro.
578 10. Formazione delle parole nelle terminologie tecnico-scientifiche
fisica, invece, come si è già detto, operano diversamente. Tra metodi e interpretazioni della
realtà, da una parte, e terminologie, dall'altra, esistono rapporti e condizionamenti. In particola-
re, per quanto riguarda la formazione delle parole, si producono fenomeni di reinterpretazione e
di riordinamento paradigmatico. Il valore degli affissi è rideterminato: i suffissi -oso e '-ico
(come in cloroso e clorìco) indicano l'opposizione valenza minore / maggiore; i suffissi -ali e
-acee (Ros-ali vs Ros-aceé) indicano la differenza di rango fra ordine e famiglia. Si creano
microsistemi suffissali (cfr. conduttanza / conduttività / conduzione / conducibilità nella fisica)
e prefissali (cfr. a-vitaminosi / dis-vitaminosi / ipo-vitaminosi / iper-vitaminosi in medicina).1
Spesso i composti sommano dei significati (gastro- "stomaco" + -entero- "intestino" + -logia
"studio") e si ordinano in serie con primo o secondo elemento fisso: osteo- "osso" in osteocla-
sia, osteogenesis osteolisi, osteopatia, osteoterapia; -patia (dall'elemento greco -patheia, da
páskein "soffrire") in allergopatia, cardiopatia, nefropatia.
Spesso nel lessico scientifico si osserva che un'unità lessicale complessa è rappresentata, in
un'altra unità complessa, da una forma ridotta che ha il ruolo di elemento formativo: idro-, ad
esempio, vale "acqua" in idrologia, idrosilicato, ma vale "idrogeno" in idruro, idrocarburo
(pertanto abbiamo idro-1 "acqua" e idro-2 idrogeno"). Allo stesso modo, in vari composti,
abbiamo al- "alcool", ciano- "cianogeno", leuco- "leucocita", sclero- "sclerotico" ecc. Il feno-
meno riguarda anche il secondo elemento dei composti. Per esempio, -odo e -one, ricavati da
elettrodo e elettrone, con i significati di "elettrodo" e di "corpuscolo del nucleo", servono a
formare termini come diodo, triodo e fotone, mesone.
Tutte queste forme ridotte fanno sì che i confini tra la suffissazione e la composizione ap-
paiano in molti casi incerti. Per il loro contenuto semantico suffissi «medici», come -ite, -osi e
-orna, sono in realtà elementi della composizione; sicché a ben vedere tutto rientra in quella
combinatoria permessa dal greco, in virtù della quale, dato un capostipite, per esempio osteo-,
segue la schiera dei composti: osteoclasia, osteogenesi, osteolisi, osteopatia, osteoterapia.
Ciascuno di questi secondi elementi entra facilmente in altre combinazioni. Si stabiliscono
famiglie di termini, rapporti, possibilità di continui sviluppi. Il riferimento a modelli di base è
costante, come è confermato tra l'altro dall'abitudine dei manuali e dei dizionari di fornire liste
di elementi greci e latini, considerati come le tessere di una combinatoria in continuo sviluppo.
Le ragioni di questo successo, che si misura nella produttività dei derivati e nella loro diffusa
comprensione, si fonda anche sulle ricorrenti opposizioni: azoturia / iperazoturia / ipoazoturia,
calcemia / ipercalcemia / ipocalcemia ecc.
Le serie di termini creati «regolarmente» evitano il disordine di un'incontrollata prolifera-
zione derivativa. Il processo è favorito dal predominio di una lingua-tetto, che è di volta in
volta: il greco, il latino, il francese, l'inglese. Spesso queste lingue s'integrano a vicenda: così
abbiamo forme greco-latine, francolatinismi, francogrecismi ecc. L'impiego del greco negli
affissati e nei composti scientifici è comune a lingue di diverso carattere: l'ordine determinante
+ determinato si diffonde progressivamente nelle lingue neolatine, che originariamente ne
1
Si noti ancora che tali opposizioni non sono sempre equilibrate: i prefissati con dis-, ad esempio,
sono molto più numerosi dei prefissati con eu-. Vi sono anche affissi sinonimici in concorrenza:
poli-/multi-, pluri-, A ben vedere, in un testo scientifico o di divulgazione bisogna tener conto dei
rapporti tra affissati, da una parte, vocaboli e associazioni sintagmatiche dall'altra. Il termine iper-
tiroidismo, per esempio, si oppone a tiroidismo e ipotiroidismo, ma al tempo stesso si confronta, in
uno stesso testo, con parole ed espressioni come: modificazione, eccesso, accrescimento, accelera-
zione, esagerata secrezione, aumento del metabolismo ecc. (cfr. Ghazi 1985, 127-133).
10.1. Introduzione 579
erano prive (si confronti portabandiera con semaforo). Lo sviluppo della formazione delle
parole nelle terminologie tecnico-scientifiche è favorito da tendenze che si sono sviluppate
nella sintassi: l'eliminazione di parole «vuote» e il ricorso a costrutti ellittici (come la sostanti-
vizzazione dell'aggettivo, cfr. 7.2.2.1.). Tuttavia il programma di una formazione delle parole
razionale ed estendibile è spesso ostacolato da tendenze contrarie, che si possono riassumere in
tre punti: (a) lo sviluppo di nuovi metodi e campi di ricerche; (b) il rapporto base-derivato non
sempre trasparente a causa della specializzazione di determinati suffissi e a causa della com-
plessità delle strutture semantiche sottese al composto (cfr. Del Bello et al. 1994, 17); (c)
l'esistenza di forme derivative e compositive elaborate e di non facile interpretazione.
L'ambiguità dipende da fattori sia interni (fenomeni di abbreviazione dei componenti: cromi-
nanza da cromo-luminanza) che esterni (per esempio, la non sovrapponibilità dell'inglese e
dell'italiano, cfr. Del Bello et al. 1994, 21). Si sono create delle tradizioni linguistiche
all'interno di singole discipline: se il greco presiede alla formazione terminologica nel campo
della patologia, il latino domina nella botanica e nell'anatomia. Quest'ultima disciplina (la
nomenclatura è quella approvata al Congresso internazionale di anatomia di Basilea nel 1895)
si serve quasi unicamente di termini latini e, per ogni parte del corpo, conserva una sola deno-
minazione, scelta in base al criterio della brevità. Il merito di questo ordine spetta a J. Hyrtl
(cfr. la sua Onomatologia anatomica, Vienna, 1880) e alla Anatomische Gesellschaft.
L'uso del greco nella formazione delle terminologie scientifiche è legato a vari fattori. Da un
punto di vista strutturale il greco, più di altre lingue, ha una spiccata propensione per i mecca-
nismi di prefissazione, suffissazione e soprattutto composizione (cfr. Guilbert 1971, LVIIIss.;
Dardano 1978, 154ss., 191ss.; Tesi 1994). Inoltre, come lingua di un popolo che è stato culla
della civiltà occidentale, il greco è tradizionalmente legato a numerose scienze, tecniche e
discipline. Nel greco esse hanno trovato il primo e fondamentale strumento di espressione; in
greco si sono formati i primi linguaggi settoriali ad esse legati; alla lingua e cultura greca fanno
tutt'ora riferimento concetti e categorie di quelle discipline che più guardano al loro passato,
come la matematica e la linguistica.
Rispetto ai termini del greco antico gli elementi formativi moderni hanno a volte significati
diversi e del tutto convenzionali; pertanto il significato delle unità complesse spesso non può
essere appreso senza comprendere i modi di associazione dei componenti. Inoltre la composi-
zione neoclassica è soggetta a regole diverse da quelle che erano proprie del greco antico. Già
nel Tramater 1829-1840 si hanno sia composti con elementi moderni (per esempio, un nome
proprio: galvanómetro, galvanoscopio), sia esempi di generalizzazione della vocale -o- come
elemento di giunzione (sferocarpo, sferocefalo). Contraria alla norma del greco classico è la
composizione con tre elementi formativi, presente nelle terminologie del XIX secolo. I tre
elementi formativi possono essere in rapporto di coordinazione (ossiemoglobina "forma ossi-
data dell'emoglobina", epatosplenomegalia "ingrossamento del fegato e della milza") oppure
in rapporto di subordinazione (anemodinamometro "misuratore della forza del vento"). Con
l'aggiunta di un aggettivo si ottiene la condensazione di una frase: epatosplenomegalia mieloi-
de - ingrossamento del fegato e della milza causato da leucemia dei mielociti (cfr. Gangemi /
Rossi Mori 1994, 66). L'«impoverimento» che deriva dalla trasformazione dell'espressione
580 10. Formazione delle parole nelle terminologie tecnico-scientifiche
10.2. Chimica CG
La precoce traduzione che Vincenzo Dandolo fece nel 1792 del Trattato elementare di
chimica (Parigi, 1789) di Lavoisier introdusse in Italia il principio ispiratore fondamentale
della nomenclatura chimica riformata dal grande scienziato francese: la tecnicizzazione e la
regolarizzazione del lessico attraverso procedimenti di formazione delle parole, quali l'uso
di suffissi spesso uniti in coppie minime 1 e di elementi formativi di origine greco-latina del
tipo di aerometro, calorimetro, eudiometro, fotometro-, chilifero, termifero; aeriforme;
piroforo.
Se è vero che il processo di formalizzazione di un linguaggio scientifico appare lento e
complesso (cfr. a tale riguardo De Mauro 1994), dobbiamo riconoscere che anche nel lin-
guaggio odierno della chimica, come in altri settori della scienza, il ruolo svolto dai mecca-
nismi di affissazione e composizione nei processi neologici è assai rilevante. I neologismi
derivativi consentono peraltro un'economia di segni linguistici e danno vita a serie lessicali
aperte, quindi facilmente integrabili.2
1
È il caso, ad esempio, del suffisso '-ico che indica l'acido con valenza superiore contrapposto a
-oso che indica quello con valenza minore; simmetricamente -ato indica i sali formati da acidi in
'-ico e -ito i sali formati da acidi in -oso: acido acetico / acetoso; acetato / acetito. Sulla formazio-
ne delle parole nella chimica settecentesca si veda Giovanardi 1987, 88ss.
2
Per quanto riguarda la struttura dei moderni linguaggi scientifici, un quadro d'assieme è in Darda-
no 1994, Giovanardi 1993 e in stampa, Sobrero 1993.
10.2. Chimica 581
Nei manuali di chimica consultati1 viene data una notevole attenzione agli aspetti della
nomenclatura, in considerazione del fatto che «i nomi rivelano spesso le caratteristiche
strutturali di un composto e le relazioni tra composti di classi diverse» (Graham Solomons
1988, 87). A partire dal 1892 l'aggiornamento della nomenclatura chimica è affidato a un
organismo internazionale, la IUP AC (International Union of Pure and Applied Chemistry).
La IUPAC «ha fornito il nome sia ai sei milioni e più composti organici attualmente noti,
che a tutti i composti che saranno scoperti o preparati in futuro» (Graham Solomons 1988,
87).
Sulla scorta di tale situazione si potrebbe pensare al linguaggio della chimica come a
un'isola felice nella quale si è pienamente realizzato il sogno di Lavoisier di arrivare ad una
nomenclatura razionale, con un rapporto biunivoco tra segno linguistico e designatimi. Ma
la realtà appare meno lineare, dal momento che, ancora oggi, permane una sinonimia piut-
tosto diffusa che consente di chiamare alcuni composti con almeno tre nomi diversi: il no-
me comune, il nome chimico tradizionale e quello della nomenclatura IUPAC.
Vediamo alcuni esempi: sale inglese (nome comune) = solfato di magnesio idrato (nome
chimico tradizionale) = tetraossosolfato di magnesio eptaidrato (nome IUPAC); bicarbo-
nato - bicarbonato di sodio - idrogenocarbonato di sodio·, soda - carbonato di sodio
idrato = triossocarbonato di sodio decaidrato.
Per quanto concerne i meccanismi di formazione delle parole, la nomenclatura IUPAC
ha introdotto una variazione fondamentale, spostando il carico informativo dalla suffissa-
zione alla prefissazione, secondo la tendenza della cosiddetta «determinazione a sinistra»
(Iacobini / Thornton 1992, 42). Se, infatti, la nomenclatura tradizionale ricorre ad esempio
ai suffissi -oso e '-ico per distinguere vari tipi di composti in cui «l'elemento caratterizzante
ha valenza diversa (-oso valenza minore, '-ico valenza maggiore)» (Gimigliano 1991, 221),
la nomenclatura razionale IUPAC preferisce affidare ai prefissi la distinzione: anidride
nitrosa / nitrica diventano triossido / pentaossido di diazoto·, ossido ferroso / ferrico di-
ventano monossido di ferro / triossido di diferro·, idrossido piomboso / piombico diventano
diidrossido / tetraidrossido di piombo.
La classificazione degli stati di ossidazione attraverso l'opposizione tra i suffissi -oso/
'-ico è del resto considerata carente per almeno due motivi: perché tali suffissi non danno
alcuna indicazione sul valore del numero di ossidazione e perché non tiene sufficiente conto
del fatto che un elemento può avere più di due stati di ossidazione (Silvestroni 1992, 572).
In quest'ultimo caso, infatti, la nomenclatura tradizionale dispone dei prefissi ipo- e per-
per indicare, rispettivamente, un numero di ossidazione più basso di quello individuato dal
suffisso -oso, e più alto di quello individuato dal suffisso '-ico: ione ipocloroso / cloroso /
clorico / perclorico.2
Rispettivamente: Gimigliano 1991 è un manuale per le scuole medie superiori; Silvestroni 1992 è
un manuale di chimica generale per l'università; Graham Solomons 1988 attiene invece alla chi-
mica organica sempre con destinazione universitaria; infine Alescio Zonta et al. 1989 è una guida
per Γ auto valutazione delle conoscenze chimiche destinata a studenti universitari. Sono grato al
dott. Mario Valenti per aver letto queste pagine coonestando, dal punto di vista del chimico, la
congruità delle nozioni scientifiche adombrate nel lavoro.
2
Silvestroni 1992, 575 osserva che la nomenclatura IUPAC accetta soltanto per gli acidi «vecchi» la
classificazione in base ai suffissi -oso, '-ico e ai prefissi ipo- e per-.
582 10. Formazione delle parole nelle terminologie tecnico-scientifiche
I meccanismi di formazione delle parole appaiono molto produttivi non solo nel ristretto
àmbito della nomenclatura, ma anche nell'insieme di un linguaggio a forte tasso di tecnifi-
cazione come quello della chimica. Nelle pagine che seguono si darà conto dei tratti pecu-
liari della suffissazione, della prefissazione e della composizione.
10.2.3.1. Suffissazione CG
Nei nomi d'azione (cfr. 5.1.3.1.) che indicano cambiamenti dello stato di aggregazione dei
corpi, il suffisso -(z)ione ricorre con una frequenza molto elevata: condensazione, ebollizio-
ne, evaporazione, fusione, liquefazione, solidificazione, sublimazione, vaporizzazione-, a
fronte dell'isolato brinamento. Lo stesso suffisso svolge un ruolo essenziale nei nomi che
indicano processi di vario tipo; tale insieme di parole rappresenta, come è facilmente com-
prensibile, il nucleo portante del linguaggio chimico. Vediamo alcuni esempi (per ciascun
nome è ovviamente prevedibile un corrispondente verbo di base): carbonatazione, centrifu-
gazione, clorurazione, complessazione, concentrazione, cristallizzazione, decolorazione,
dissalazione, esterificazione, filtrazione, gelificazione, ibridazione, nitrazione, ossidazione,
polimerizzazione, quantizsazione, raffinazione, salificazione, scintillazione, sinterizzazione,
solfonazione, solvatazione. Meno diffuso appare il suffisso -mento: congelamento, decadi-
Sì noti che i primi elementi indicanti il numero di atomi di carbonio presenti sono in parte di origi-
ne greca e in parte di origine latina. Inoltre, per quanto riguarda gli alcani a catena ramificata, si
noti la presenza di formule miste numeriche e verbali: 2,2,4,4 - Tetrametilpentano.
2
«Il numero più basso dei due carboni del triplo legame entra a far parte del nome dell'idrocarburo»
(Graham Solomons 1988, 197).
10.2. Chimica 583
10.2.3.2. Prefissazione cc
Alcuni insiemi prefissali (cfr., sulla prefissazione in generale, 3.) consentono di graduare la
quantità di ciò che è espresso dalla base: mono-saccaridi, di-saccaridi, poli-saccaridi-, mo-
lecola bi-atomica, poli-atomica-, soluzione iper-tonica, ipo-tonica, iso-tonica; orbitali mo-
no-centrici, poli-centrici; sistema mono-fasico, poli-fasico. Ancora più evidente tale fun-
zione appare all'interno delle unità di misura del Sistema Internazionale, ove ciascun pre-
fisso indica un determinato multiplo o sottomultiplo dell'unità di misura: exa-, peta-, tera-,
giga-, mega-, chilo-, etto-, deca-, deci-, centi-, milli-, micro-, nano-, pico-,femto-, atto-.
1
«L'assorbimento di una radiazione con una determinata lunghezza d'onda dipende dalla natura
della sostanza [...], mentre la sua intensità (assorbanza) dipende dalla concentrazione» (Gimiglia-
no 1991, 101).
2
Naturalmente sono presenti anche i nomi di apparecchi con il secondo elemento -scopio, come
spettroscopio.
584 10. Formazione delle parole nelle terminologie tecnico-scientifiche
Nel linguaggio della chimica troviamo tanto prefissi indigeni (minoritari) quanto di ori-
gine greco-latina. Vediamo alcuni esempi del primo tipo: a- (numeri adimensionali)-, co-
(covalenze); contro- (forza controelettromotrice)·, in- (gas incolore, inodore, insapore,
liquidi immiscibili)·, sotto- (sottolivello); sovra- (sovratensione).' Ed ora alcuni esempi del
secondo tipo: inter- (legami interatomici, intermolecolari)·, macro- (specie macromolecola-
ri)·, micro- (microimpurezza, microonde)·, omo- (molecole omonucleari)·, semi- (semiele-
mento, semimetallo, semipila, semireazioni, membrane semipermeabili)·, sub- (particelle
subatomiche, submicroscopiche).
10.2.3.3. Composizione co
Nel settore dei composti si riscontra una notevole varietà formativa, ma, a differenza di
quanto avviene sia nella lingua comune sia in altri linguaggi scientifici, è piuttosto rara la
decurtazione del primo elemento, nonché l'uso della vocale di raccordo -o in chiusura del
primo elemento del composto.2 Si notino: anione (an[odoJ + ione) e catione (cat[odo] +
ione)·, e inoltre: azione elettron-attrattrice, gruppi atomici elettron-attrattori, metalli alca-
lino-terrosi. Occorre distinguere i composti in grafia univerbata, del tipo grammoatomo,
grammomolecola, radiochimica, da quelli giustapposti e collegati mediante un trattino:
interfase acqua-metallo, sistema soluzione-vapore, interazioni dipolo-dipolo, legami ione-
dipolo, sistemi acido-base. Interessanti i due composti determinativi pezzetto-pallina "pez-
zetto a forma di pallina" e elettrone-puntino "elettrone a forma di puntino".
Non mancano, ovviamente, i composti con elementi neoclassici (cfr. 2.2.), quelli cioè
formati dalla categoria morfologica elemento non libero + elemento non libero.3 Per questa
categoria, estremamente produttiva nella chimica come nelle altre discipline scientifiche
(cfr. Antonelli 1996, 290), ci si limiterà ad un'esigua campionatura: anfiprotico, anfotero,
ebullioscopico, elettrofilo, elettrolita, endoergonico, endotermico, esoergonico, esotermico,
entalpia, entropia, epimero, eterolitico, idrofobico, idrolisi, isobaro, isomero, isotopo,
liofilo, liofobo, mesomero, oligomerico, omolitico, stechiometria, tautomeria.
Nel campo delle unità polirematiche (cfr. 2.1.4.) appaiono notevolmente produttivi i
sintagmi costruiti secondo lo schema Ν + Prep + Ν, con Prep rappresentata soprattutto da a
o da di. I sintagmi Ν + a + Ν indicano per lo più particolari tipi di strumenti e apparecchi:
accumulatore a zinco-argento, camera a bolle, camera a nebbia, contatore a scintillazione,
pile a bottone, pile a combustibile. I sintagmi Ν + di + Ν indicano invece prevalentemente
qualità, processi, caratteristiche: angolo di legame, energia di legame, potenziale di con-
tatto, punto di fusione, stato d'ossidazione.4
In conclusione è doveroso un cenno alla progressiva internazionalizzazione del linguag-
gio della chimica, un fenomeno del resto comune a tutti i linguaggi scientifici. Per quel che
riguarda in particolare la formazione delle parole si riscontra la presenza di parole comples-
1
Da notare anche l'uso di non con valore di prefisso: non metalli.
2
Sull'uso della vocale di raccordo -o nei composti cfr. Migliorini 19633b e anche Antonelli 1996,
286.
3
Per una proposta di distinzione tra prefissi ed elementi di composizione, si veda il recente articolo
di Iacobini 1998.
4
Un esempio con la preposizione per. analisi per attivazione.
10.3. Medicina 585
10.3. Medicina LS
10.3.1. Fonti LS
Un esauriente studio della formazione delle parole in àmbito medico - e, più in generale, lo
studio del linguaggio medico contemporaneo - dovrebbe fondarsi essenzialmente su cinque
tipologie testuali: (a) l'uso orale dei medici, verificato nelle interazioni tra colleghi e nel
colloquio con i pazienti; (b) l'uso scritto desumibile da atti ufficiali (cartelle cliniche, referti
autoptici, relazioni medico-legali ecc.); (c) la lingua dei manuali destinati a studenti di
medicina o a laureati perfezionandi; (d) gli articoli scientifici; (e) i dizionari specializzati.
In assenza di adeguate campionature dell'uso orale,1 è giocoforza fondarsi sullo scritto. I
materiali necessari per trattare il punto (b) sono di difficile accessibilità per ovvie ragioni di
riservatezza (possiamo però giovarci di Cassandra 1996). La lessicografia medica va ma-
neggiata con prudenza, a causa della scarsa selettività con cui è abitualmente allestito il
lemmario2 (Cassandra 1996, 340 e - per i precedenti ottocenteschi - Serianni 1989b, 79-
82). Fonti privilegiate appaiono dunque gli articoli scientifici (peraltro di minore importan-
za rispetto a qualche decennio fa, dato il diffuso ricorso all'inglese nella comunicazione
scientifica di questo settore) e la manualistica, scritta (o tradotta) da medici ben padroni del
vocabolario settoriale e destinata a fare testo per il lettore-studente, non solo per i contenuti
ma anche per la terminologia.3 Solo in parte, invece, il lessico effettivamente usato in medi-
cina può rifluire in un dizionario generale per il carattere ipersettoriale proprio di molte
formazioni (ad esempio, prefissati con iuxta- e sigle di uso ristretto come VEMS; cfr.
1
Come, per l'inglese, si è tentato di fare in Coulthard-Ashby 1976.
2
Cfr. Vitali 1983,193-194. Si veda, ad esempio, nel pur pregevole Garnier, la discutibile inclusione
di lemmi da tempo detecnificati (nostalgia), legati a teorie obsolete (cacochimia «Alterazione pro-
fonda dei liquidi organici che sfocia nella cachessia [teoria umorale]») o all'uso episodico di sin-
goli scienziati (achidopeirastica «Metodo di esplorazione per mezzo di strumenti puntuti», attri-
buito a Middeldorf).
3
Nel ricostruire i meccanismi di derivazione mi fondo, ogni volta che sia possibile,
sull'analizzabilità del derivato per il parlante di oggi (assumendo la prospettiva di Dardano 1978;
nel nostro caso questo parlante ideale è naturalmente una persona colta, anche se non necessaria-
mente un medico): indicando la trafila astigmat(ico) —> astigmatismo prescindo quindi sia dalle
attestazioni storiche delle due forme (astigmatico (a. 1909) è successivo ad astigmatismo (a.
1875); DELI), sia dalla verosimile ascendenza francese per il sostantivo (astigmatisme è attestato
già nel 1857; Dauzat-Dubois-Mitterand).
586 10. Formazione delle parole nelle terminologie tecnico-scientifiche
In base alle sostanze circolanti nel sangue in condizioni normali o patologiche, avremo ad esempio
termini in cui la base indica composti organici (albuminemia, alcolemia, bilirubinemia, colesterole-
mia, creatininemia,fibrinogenemia,fruttosemia, galattosemìa, glicemia, latticemia, lipidemia, piru-
vicemia, protidemia, triglicerìdemia, uremia e azotemia ecc.), un elemento, un metallo o semime-
tallo, un composto inorganico (arseniemia, calcemia, cuproemia, fosforemia, idremia, magnesiemia,
natremia, piombemia, potassiemia o kaliemia, sideremia ecc.), un microrganismo (batteriemia, vi-
remia; in piemia e setticemia si muove invece da una base grecizzante col significato di "infetto").
Sta a sé volemia "volume ematico totale", tratto dal lat. volumen.
1
Ad esempio, nessuna di queste forme si trova - ed è naturale che sia così - nel DISC, né (con
l'eccezione di mastectomizzato) in un dizionario tradizionalmente molto attento alle varie termi-
nologie scientifiche come Zingarelli 2000.
2
In diversi casi il significato di un termine è però irrecuperabile per questa via: emofilia, ad esem-
pio, non significa "amore per il sangue", perché in ematologia l'elemento -filo, -filia a differenza
della lingua comune (zoofilo) è dotato del tratto '-animato' e indica "tendenza, affinità per" (anche
i vari tipi di granulociti, neutrofili, basofili, eosinofili, sono così denominati in base alla loro "affi-
nità" per i coloranti). Ancora. Se acefalia indica effettivamente "assenza della testa" in un mostro
fetale, anemia non vuol dire "assenza di sangue" e nemmeno "assenza di emoglobina o di globuli
rossi", ma solo "diminuzione, carenza" (cfr. Mazzini 1989, 28). Si veda anche oltre (10.3.3.), a
proposito del significato non sempre predicibile degli affissati con -ite, -osi, -orna.
10.3. Medicina 587
Come appare anche dagli esempi finora citati, è assai elevata la presenza della componente
dotta, greco-latina: persino alcuni affissi sono sconosciuti alla lingua comune (per esempio
iuxta- dal lat. itixta "presso": «tumori iuxtacardiali» (Bernier 1988, 56); «alcuni glomeruli
della zona iuxtamidollare» (Cagna 1990, 33); «recettori iuxtacapillari» (Cecil 1997, § 34));
ma sono soprattutto gli elementi formativi che segnano il distacco da quella.
Di là dal materiale linguistico utilizzato, quasi tutti i processi formativi propri del lin-
guaggio medico, com'è naturale, sono condivisi dalla lingua comune; alcuni presentano
però una diversa ricorsività. Qualche dato: (a) L'esigenza di astrazione propria anche di
altri linguaggi settoriali (per esempio, quello giuridico) porta al forte sviluppo degli agget-
tivi di relazione (cfr. 5.2.1.1.); caratteristico il sintagma nome generico + aggettivo di rela-
zione portatore dell'informazione effettiva in luogo di un sostantivo specifico: stato caren-
ziale (carenza), riscontro autoptico (autopsia), esame bioptico (biopsia), età puberale (pu-
bertà), fenomeni morbosi (malattie o patologie)', (b) La predicibilità di certe sequenze sin-
tagmatiche favorisce la conversione, da participio passato o da aggettivo a sostantivo (cfr.
7.2.2.1.): «le diverse forme reattive che, larvate o manifeste, si impiantano sulla psiche
della mastectomizzata» (Piccolo 1979, 8); «sotto carico glicidico, la piruvicemia aumenta e
la fosforemia diminuisce negli epatopatici, mentre ciò non accade nei diabetici» (Chiarioni
1981b, 12-15); «Ma perché il fibrocistico si ammala obbligatoriamente di una patologia
infiammatoria a livello respiratorio?» (Castello 1990, 8); (c) Condivisa con altre scienze
(ma sempre più proliferante anche nella lingua comune) è la diffusione delle sigle (cfr.
8.2.). Andrebbero distinte quelle di uso più largo, generalmente note e adoperate anche dai
profani (AIDS, TAC "tomografia assiale computerizzata", VES "velocità di eritrosedimenta-
zione") e quelle occasionali, ricorrenti solo in ambienti specialistici (per es. VEMS "volume
espiratorio massimo in 1 secondo", in pneumologia; Price 1983, II, 865). In parte le sigle
riproducono l'ordine delle parole italiano (TAC, VES, SNC "sistema nervoso centrale",
ECG o EKG "elettrocardiogramma" ecc.), in parte - sempre più spesso - quello inglese
(AIDS invece di SIDA, come in francese, "Acquired Immune Deficiency Syndrome", cole-
sterolo HDL e LDL, rispettivamente "High Density Lipoproteins" e "Low Density Lipo-
proteins" ecc.). Assai ridotta la possibilità delle sigle di funzionare come basi (impossibile
TAC —¥ *taccare o *tacchizzare "fare una TAC"), mentre è frequente la conversione da
sostantivo ad aggettivo: «la diagnosi ECG» "elettrocardiografica" (Cecil 1997, § 34) ecc.;
(d) Anche le frequenti denominazioni eponime (raccolte in Sterpellone 1976: sindrome di
Hanot "tipo di epatopatia", eritroplasia di Queyrat "carcinoma del pene" ecc.) sono comuni
a molte terminologie scientifiche. In riferimento alla medicina, Altieri Biagi 1974 ha indi-
cato tra i fattori che ne promuovono l'uso la mancanza dei margini di evocazione propri del
vocabolario corrente o specialistico; l'impenetrabilità per il profano; l'omaggio alla tradi-
zione medica (con proliferazioni sinonimiche dovute a spinte nazionalistiche o a ragioni di
scuola: morbo di Hirschprung, malattia di Ruysch, malattia di Battini-Hirschprung, malat-
588 10. Formazione delle parole nelle terminologie tecnico-scientifiche
tia di Mya, tutte adoperate fino a non molto tempo fa per "megacolon congenito")- Oltre
all'ipertrofia sinonimica e alla conseguente instabilità dell'uso, un ulteriore fattore di de-
bolezza di gran parte degli eponimi è costituito dalla scarsa duttilità derivativa: se da morbo
di Basedow (patologia definita già a metà dell'Ottocento) si sono tratti basedowiano, base-
dowiforme, basedowizzato (Garnier) e anche basedoide (Dorland), da morbo di Alzheimer
si può avere al più la riduzione a un, una Alzheimer "un, una paziente con tale sindrome"
ma ben difficilmente l'aggettivo di relazione *alzheimerico o il verbo denominale
*alzheimerizzare.
Talvolta un affisso assume nel linguaggio medico un significato particolare, come avvie-
ne per uno dei suffissi nominali deaggettivali di più ampio impiego nell'italiano contempo-
raneo, -ismo (cfr. 5.1.1.6.4.).
I derivati in -ismo, tutti pertinenti alla patologia, si lasciano ricondurre a due tipologie definibili con
precisione. La base può indicare: (a) l'elemento esterno responsabile di una certa patologia, sia esso
un microrganismo (botulino —> botulismo), un elemento chimico (gr. argyrion —> argirismo, lat.
stibium —> stibismo), un composto organico (alcol —> alcolismo (cfr. Rainer 2001b) e etile —> etili-
smo), una pianta (cincona —» cinconismo, látiro —> latirismo), un animale (gr. arákhne —» aracnidi-
smo "intossicazione prodotta dal veleno di ragno"), un ambiente malsano (palude —» paludismo
"malaria"); (b) la patologia stessa, talvolta con valore iperonimico ("complesso di disturbi caratteri-
stici di un certo quadro morboso"): adenoide —» adenoidism?, astigmatico) —» astigmatismo,
emet(ico) —> emetismo, sonnambulo —» sonnambulismo', non rare le basi costituite da un nome pro-
prio: Dalton —> daltonismo, Parkinson —» parkinsonismo.
Tipicamente connessi con la patologia sono i suffissi -ite, -osi, -orna.1 In un certo numero di
casi, il termine così affissato implica rispettivamente un processo infiammatorio (bronchi-
te), una condizione patologica di tipo regressivo-degenerativo (arteriosclerosi), un tumore
(sarcoma). In realtà, come è stato notato più volte (Altieri Biagi 1974, 79-80, Vitali 1983,
194), in molti casi il derivato ha significati impredicibili.
Può essere utile qualche esempio. I derivati in -ite indicano in genere un processo infiammatorio che
interessa il distretto anatomico indicato dalla base (artrite, blefarite, epatite)·, ma in difterite e pio-
dermite la base esplicita già il processo morboso in atto (rispettivamente la pseudo-membrana che
ricopre le tonsille (gr. diphtéra) e i germi patogeni responsabili della dermatite: l'elemento pio- (gr.
pyon "pus") allude genericamente a un'infezione). I termini in -osi possono indicare patologie in-
fiammatorie (adenovirosi, legionellosi: ci aspetteremmo piuttosto *adenovirite e Hegionellite), ma
soprattutto hanno spesso valore iperonimico: l'avitaminosi è la carenza di una o più vitamine non
specificate, la dermatosi è una generica malattia della pelle, la rickettsiosi abbraccia l'insieme delle
malattie trasmesse all'uomo dagli insetti del genere Rickettsia ecc. Il suffisso -orna non allude a
nessun processo tumorale in termini come ateroma, ematoma, glaucoma, granuloma, scleroma,
scotoma, tracoma.
1
Concorrenti rispettivamente con 1 '-ite di chimica e mineralogia (fluorite) e della stessa medicina
(dendrite "cilindrasse") e con 1 '-orna di biologia e botanica (rizoma).
10.3. Medicina 589
Mentre il latino è ben rappresentato nella terminologia anatomica, il greco domina nella
patologia (Mazzini 1989, 23): ciò ha favorito un alto tasso di suppletivismo latino-greco
con coppie come vertebra / spondilite, rene / nefrite. Assai elevato nella formazione delle
parole del linguaggio medico è un fenomeno che potremmo definire di «ridondanza forma-
tiva», dovuto sia alla stratificazione nel tempo di tecnicismi relativi a un medesimo desi-
gnatimi, sia alla tendenza degli scienziati a introdurre nuove denominazioni, anche per
marcare il proprio contributo originale alla ricerca, sia all'alta disponibilità di elementi
formativi greco-latini, che si prestano ad essere variamente combinati tra loro. Possiamo
distinguere almeno due tipologie.
Lo stesso elemento formativo di origine classica, perlopiù greca, può essere rappresen-
tato da varianti formali diverse (cfr. Mazzini 1989, 33-34).
Ad esempio: emo- (dal tema dei casi retti del gr. âima: emocromo, emodialisi, emofilia, emoglobina)
e emaio- (dal tema dei casi obliqui aimat-: ematocrito, ematologia, ematoma, ematuria-,
l'intercambiabilità tra i due elementi emerge da coppie come emofobia / ematofobia (Garnier), emo-
poiesi / ematopoiesi (Garnier e Dorland)); dermo- (gr. dèrma: dermotomo, dermoide) e dermato-
(gr. dermal·: dermatologia, dermatite; si oscilla tra dermofita e dermatofita, dermografismo e der-
matografismo (Dorland)).
Nel secondo caso, si ha concorrenza di distinti elementi formativi, che possono anche esse-
re tratti da diverse lingue.
Ad esempio: (a) italiano e latino, con alternanza tra base di trafila popolare e derivato dotto: ciglio
—> ciliare, labbro —> labiale", (b) italiano e greco: fegato —> epatico, cuore —> cardiaco, tosse —>
bechico, polso —> sfigmico; inoltre, in riferimento al "polmone": polmon- (polmonite), pneumon- (gr.
pnêumon "polmone": pneumonorrafia "sutura del polmone"), pneum- (gr. pnêuma "aria": pneumo-
cele, pneumococco; quest'ultimo elemento crea paronimia con altri termini in cui significa appunto
"aria": pneumotorace, pneumocolangia "presenza di aria nelle vie biliari");1 (c) greco e latino: of-
talmo- (oftalmico, oftalmologia, oftalmoplegia) e oculo- (oculare, oculogiro, oculomicosi): (d) lati-
no, greco, italiano antico e moderno (e forse francese): sopra-, con valore quasi sempre locativo
(sopraorbitale, sopraventricolare; cfr. Cassandre 1996, 332-334), così come avviene per epi- (che
infatti entra «in coppie oppositive come epifisi / ipofisi, epigastrio / ipogastrio, epispadia / ipospa-
dia, epitalamo / ipotalamo» (Cassandre 1996, 304)), sovra-, variante arcaica di sopra che, più spesso
del valore locativo (sovraombelicale), ha significato valutativo, indicando l'eccesso rispetto a una
norma (sovratrasfusione, sovraventìlazione), così come avviene normalmente per iper- (ipertensio-
ne, iperespanso; cfr. Cassandre 1996, 303-305); sur- e super-, entrambe di origine latina (ma la
prima varie volte sarà d'intermediazione francese; cfr. Marcovecchio 1993, 835) hanno significato
valutativo: super- può implicare l'idea di un processo fisiologico o patologico che si sovrappone a
un processo già in atto (suralimentazione, surreflettività,2 superinfezione, superfecondazione, supe-
rossigenazioné)·, (e) soltanto greco, ma rappresentato da temi distinti: mega- (spesso seguito dal
sostantivo che indica una parte anatomica: megacapillare, megacolon, megaesofago), megalo- (me-
galoblasto, megalojtalmia) e macro-, con slittamento rispetto al significato originario di "lungo"
(macrodattilia, macroglossia\ cfir. Marcovecchio 1968, Janni 1986, 121-123) 1 o per metro- e istero-
(gr. métra e hystéra entrambi "utero": metrite, isterectomia·, varianti equivalenti: metrocele / istero-
cele, metralgia / isteralgia).
Talvolta lo stesso elemento formativo rimanda a significati diversi, come avviene per leu-
co-, che vale ora "bianco" (leucocito, leucoma, leucoplasto) ora "leucocito" (leucemia,
leucopenia, leucopoiesi).
10.3.5. Composti LS
È un settore particolarmente vivace nella formazione delle parole d'àmbito medico; è ca-
ratterizzato da notevole libertà formativa, con forte propensione al neologismo e spiccata
varietà nella combinazione delle singole parti. Nei composti copulativi non è raro il caso
che l'ordine delle componenti sia oscillante (cfr. Mazzini 1989, 33): in Chiarioni 1981a
ricorrono sia [colonna] lombo-sacrale sia [promontorio] sacro-lombare;3 in Garnier si regi-
strano megalosplenia e megalochiria (patrocinandone l'uso per entrambi: «Termine cor-
retto che dovrebbe essere sostituito a» splenomegalia e chiromegalia, rispettivamente),
mentre per megalepatia c'è un semplice rinvio a epatomegalia.
La vocale connettiva dei composti tende a essere -o sia nel caso di radici greche (cardio-
vascolare, etio-patogenetico), sia nel caso di radici latine (lombo-sacrale, digiuno-ileale).4
Molto frequente la decurtazione del primo elemento. Distinguiamo: (a) il primo ele-
mento ripropone la parola originaria con vocale fissa -o in composti determinativi come
protrombinogenesi, vitamino-terapia, [attività] capillaro-protettiva e in composti copulativi
formati con un aggettivo in '-ico: [patologia] biochimico-metabolica, [fase] anemico-
tachicardica; (b) il primo elemento viene variamente decurtato: '-ico —> -o (anatomo-
patologico, entero-epatico, allergo-dermatosi), -ale —> -o (ano-genitale, maniaco-
depressivo, [ferita] addomino-toracica (Bernier 1988, 204)), -are —> -o ([area] muscolo-
cutanea (Piccolo 1979, 51)), -oso —> -o ([manifestazioni cutanee] eritemato-bollose), -itario
1
Un'isolata specializzazione all'interno della serie si potrebbe cogliere in macrocita "globulo rosso
il cui diametro raggiunge gli otto o nove micron" e megalocito "globulo rosso il cui nucleo sorpas-
sa i 12 micron" (Garnier; Dorland, pur confermando la sequenza quantitativa macrocito (questa è
la forma ivi lemmatizzata) - megalocito, definisce il primo termine in modo un po' diverso: «eri-
trocito abnormemente grande, p. es. uno da 10 a 12 micron di diametro»). D'altra parte, non man-
cano varianti del tutto equivalenti come macrocardia, megacardia e megalocardia (in Zingarelli
2000) o - in Garnier - megacefalia e megalocefalia, megalopodia e macropodia, megagastria,
megastomaco, megalogastria.
2
È lo stesso fenomeno che avviene nella lingua comune in casi come /e/e-1 "a distanza" (è il valore
originario: telecomunicazioni), tele-2 estratto da televisione (telegiornale) e tele-3 estratto da telefo-
no (telesoccorso); cfr. Antonelli 1996, 271-275.
3
Anche gli altri esempi addotti in questo paragrafo saranno ricavati da Chiarioni 1981a e 1981b,
tranne che non sia diversamente indicato.
4
Ma nei primi elementi di origine greca si ha generalmente -i in corrispondenza del gr. -y (pachi-
dermia) e -u in corrispondenza del greco -u (= ou: acufene): cfr. Mazzini 1989, 37. Sulla o come
vocale connettiva dei composti cfr. soprattutto Migliorini 1963 3 b e anche Janni 1986, 172.
10.4. Botanica e zoologia 591
Uno dei compiti più importanti della botanica (detta anche fitología) e della zoologia è la clas-
sificazione degli esseri viventi; a tale obiettivo è dedicata un'apposita disciplina, detta sistema-
tica, la quale, sulla base di informazioni desunte da altre branche delle due scienze, si occupa di
denominare i viventi e ordinarli entro un sistema organico (tassonomia).2
La sistematica zoologica, che studia gli animali sotto l'aspetto descrittivo classificandoli secondo le
affinità, si divide in vari rami: mammalogia (studio dei mammiferi), ornitologia (uccelli), erpetologia
(rettili e anfibi), ittiologia (pesci), entomologia (insetti), malacologia (molluschi) ecc. I dati per la
classificazione dei «tipi animali» o phyla sono principalmente morfologici; contributi importanti,
tuttavia, vengono anche dall'anatomia comparata e dalla fisiologia. La sistematica botanica ha un
compito del tutto analogo: i dati presi in considerazione sono i caratteri morfologici e fisiologici;
contributi importanti li fornisce pure la paleobotantica (o paleontologia vegetale).
Il carattere tassonomico di tali discipline impone frequenti e rigorose applicazioni dei meccani-
smi di formazione di parole. Prefissazione, suffissazione e composizione sono largamente usate
per formare fitonimi e zoonimi trasparenti. L'obiettivo è quello di ottenere una nomenclatura
sempre più precisa e semplice, utilizzabile dagli studiosi di tutti i paesi; nel Preambolo del
Codice di Tokyo (botanica) si dichiara esplicitamente «lo scopo di fornire un metodo stabile per
la denominazione dei gruppi tassonomici evitando e rigettando l'uso di nomi che possano
causare errore o ambiguità o indurre la scienza in confusione» (Greuter et al. 1997,15).
Ciò non impedisce che, accanto alla nomenclatura ufficiale, rigorosamente stabilita dagli
organismi preposti a tale scopo e codificata in latino (lingua che affianca e in parte sostituisce
l'inglese nella comunicazione fra gli studiosi: cfr. 10.4.2.), si sviluppino o si mantengano de-
nominazioni alternative, proprie delle diverse scuole e tradizioni. Nomi italiani (sintagmi N+A)
sono frequentemente usati accanto a quelli scientifici per indicare le diverse specie: (Pinus
pinea vs pino domestico, Carcharodon carcharías vs squalo bianco)} Legate ad un uso ancor
più circoscritto e riferito al territorio sono poi le denominazioni locali, italiane o dialettali:
rispetto alla sistematica vera e propria si tratta di un'area di confine o addirittura di un'area del
tutto estranea; tuttavia, come spesso accade, la tradizione popolare rivela una finezza e
un'attenzione che talvolta non hanno nulla da invidiare alla cultura «ufficiale» (Beccaria 1995).
Il sistema di classificazione in uso oggi è essenzialmente quello della nomenclatura binomia
di Carlo Linneo.2 Alla base di tale classificazione vi sono tre condizioni: (a) l'accertamento
delle famiglie naturali (i tipi); (b) l'identificazione del criterio di riconoscimento (indice tasso-
nomico); (c) la possibilità di dedurre, in base alle presenze contenute nella tavola, altre specie
dotate di forme e proprietà ancora ignote.
Per designare le specie, la nomenclatura binomia si serve di due parole latine: la prima, rife-
rita al genere, è un sostantivo con la maiuscola iniziale. Ad esso si aggiunge il nome specifico
(in botanica chiamato epiteto): un sostantivo o, più frequentemente, un aggettivo scritto con la
minuscola iniziale.3 Subito dopo si trova il nome (abbreviato: l'iniziale oppure le prime tre o
quattro lettere) del primo autore che ha scoperto la specie: Rana esculenta L. (L. = Linneo),
Abies alba Mill. (Mill. = Miller), Pinus nigra Arn. (Arn. = Arnold). Per le sottospecie si usa
una nomenclatura trinomia: Rana esculenta marmorata. Un'ulteriore complicazione di tale
sistema classificatorio può venire dalla presenza, fra il nome generico e quello specifico, di un
nome sottogenerico, indicato fra parentesi tonde: Fundulus (Zygonectes) nottii nottii.
1
In botanica questi nomi sono spesso riferiti a specie presenti sul territorio (Eurasia, America,
Oceania, Africa) della scuola che li conia: la conifera americana Pinus resinosa è detta red pine
dai botanici americani; la denominazione pino rosso non esiste in italiano.
2
Fra il XVI e il XVII secolo Andrea Cisalpino (1519-1603) e J. Bauhin (1560-1624) avevano già
proposto sistemi di classificazione delle piante, cominciando a introdurre la terminologia binomia.
In questo senso Linneo non è da considerarsi l'inventore del metodo, quanto piuttosto colui che lo
ha perfezionato e generalizzato, consegnandolo ai secoli futuri come un'imprescindibile acquisi-
zione culturale (cfr. Gerola 1988 2 ,5-9; Biichi 1994).
3
Qualora l'epiteto sia costituito da due parole si usa il trattino: per es. Adiantum capillus-Veneris
(Greuter et al. 1997, 43); nel nome specifico la minuscola iniziale, assolutamente obbligatoria in
zoologia, è ammessa in alcuni casi in botanica.
10.4. Botanica e zoologia 593
Il sistema di Linneo presenta due fondamentali difetti: (a) un'eccessiva rigidità, per la quale
specie che differiscono solo per pochi tratti sono inserite in categorie diverse; (b) si fonda sul
fissismo, principio secondo il quale sulla Terra si troverebbero attualmente le stesse specie
create da Dio. Nonostante tali «difetti», i principi di Linneo sono ritenuti ancora del tutto validi.
Su di essi infatti si fondano il Codice internazionale di nomenclatura botanica e il Codice
internazionale di nomenclatura zoologica, i quali sono riesaminati e ridiscussi periodicamente
nel corso di convegni specialistici.1
Tanto in botanica quanto in zoologia i gruppi tassonomici {taxa) sono ordinati in ranghi conse-
cutivamente subordinati; ogni individuo, pertanto, appartiene a un numero di taxa indefinito. I
ranghi necessari all'identificazione dell'individuo sono due: genere (lat. genus) e specie (lat.
species), secondo i principi di Linneo. Gli altri ranghi principali, in ordine ascendente, sono:
famiglia (lat. familia), ordine (lat. ordo), classe (lat. classis), divisione (lat. divisio o phylum),
regno (lat. regnum).2
L'appartenenza di ciascun taxon al proprio rango è segnalata da un apposito suffisso: nel re-
gno vegetale -phyta è il suffisso per la divisione (lat. Bryophyta > it. briofite; lat. Chlorophyta
> it. clorofite; lat. Phaeophyta > it. feofite)? per la classe si hanno tre suffissi: (a) -phyceae per
le alghe (lat. Chlorophyceae > it. cloroficee-, lat. Schyzophyceae > it. schizoficee)·, (b) -mycetes
per i funghi: (lat. Basidiomycetes > it. basidiomicetv, lat. Ascomycetes > it. ascomiceü)\ (c) -
opsida4 negli altri gruppi di piante (lat. Cycadopsida > it. cicadopside\ lat. Coniferopsida > it.
coniferopside)·, meno regolare è la formazione dei nomi degli ordini: alcuni di essi (detti tipifi-
cati) sono creati sulla base del nome di una famiglia ad essi appartenente, sostituendo la termi-
nazione -aceae con -ales: Fucales, Polygonales, Ustilaginales;5 altri (detti descrìttivi), per i
quali non si può stabilire una regolarità morfologica, descrivono caratteri distintivi del taxon:
1
Non è facile seguire tutte le evoluzioni di un sistema che, pur ancorato da secoli alle sue basi, varia
continuamente nei particolari. Ci riferiremo per lo più al Codice di Tokyo (Greuter et al. 1997),
adottato a partire dal quindicesimo Congresso Internazionale di Botanica, svoltosi a Yokohama fra
l'agosto e il settembre del 1993. Il materiale tratto da altri articoli, manuali e saggi, può differire in
particolari che sono da considerarsi comunque poco significativi. I criteri della classificazione de-
gli animali sono basati su principi analoghi, anche se sono applicati con minor rigore: accade in-
fatti che i medesimi suffissi ricorrano nelle denominazioni di taxa appartenenti a ranghi diversi
(cfr. p. 593 n. 4). Come punto di riferimento per la classificazione si è fatto ricorso a Gerola 1988 ,
integrandone i dati, quando è sembrato necessario, mediante l'ausilio di alcuni dizionari (Villani,
Leftwich, DB, ABG) e di altre opere di riferimento (Gellini / Grassoni 1996/1997). Per la lessico-
grafia specialistica riguardante la botanica cfr. Vignoli 1971 e 1973. Sui problemi generali della
formazione delle parole cfr. Dardano 1978.
2
Per una classificazione più accurata anche botanici e zoologi si servono di ranghi secondari: tribù
(lat. tribus), sezione (lat. sectió), serie (lat. series),forma (lat.forma).
3
Fanno eccezione i funghi, la cui terminazione regolare è -mycota.
4
II medesimo suffisso ricorre nella sistematica zoologica, sia pure con minor rigore. Esso caratteriz-
za tanto famiglie (lat. Termopsidae > it. termopsidi) quanto generi (lat. Ichtyopsidae > it. ittiopsi-
di).
5
I sottordini di questa seconda categoria sono caratterizzati dal suffisso -inae: Malvinae.
594 10. Formazione delle parole nelle terminologie tecnico-scientifiche
Centrospermae, Parietales, Farinosae-, il suffisso delle famiglie è -acee (lat. scient. -aceae)\
come base si usa oggi il nome di un genere appartenente alla famiglia, privato della desinenza:
Rosacee, Salicacee, Rhodophyllacee, Sclerodermatacee (lat. scientifico Rosaceae, Salicaceae
ecc.).
La tipificazione (estensione della base di un taxon alla denominazione di un taxon superio-
re), come nel caso degli ordini, contribuisce a dare regolarità al sistema, in conformità con gli
obbiettivi dei tassonomi; negli ultimi anni molte denominazioni di famiglie sono state sostituite
con nuove formazioni di questo tipo (N generico + -acee)·, alcune di esse, tuttavia, in uso da
lungo tempo, si sono mantenute, e quindi convivono accanto alle nuove: Palmae vs Arecacee
(tipo Areca L.), Gramineae vs Poaceae (tipo Poa L.), Leguminosae vs Fabaceae (tipo Faba
Mill.), Compositae vs Asteracee (tipo Aster L.), Guttiferae vs Clusiaceae (tipo Clusia L.).
Genere e specie, i taxa fondamentali, sono soggetti a norme assai meno vincolanti; sebbene
si tenda ad usare la lingua latina o a servirsene come modello cui adattare basi di origine diver-
sa, la scelta resta arbitraria e può differire dall'uso consueto: Ifloga (nome di genere ottenuto
anagrammando il nome Filago), (Acer) monspessulanum (dal nome della città di Montpellier),
(Atropa) bella-donna, (Spondias) mombin (indeclinabile), (Connochaetes) gnu (adattamento di
una voce boscimana). Frequentemente si incontrano denominazioni risalenti a nomi propri di
persona (cfr. 10.4.3.).
Come già accennato, l'esigenza di una classificazione più accurata di una determinata cate-
goria di esseri viventi può richiedere la formazione di nuovi ranghi, intermedi a quelli princi-
pali e secondari. Tali «sottoranghi» (costruiti, attraverso la formazione delle parole, partendo
dai ranghi principali e secondari) sono prodotti semplicemente premettendo alla base di un
rango principale o secondario preesistente il prefisso sub- (it. sotto-). Tale espediente, che
permette di raddoppiare il numero dei ranghi, presenta due evidenti vantaggi: (a) evita una
scomoda ma altrimenti necessaria memorizzazione dei ranghi tassonomici; (b) rende manifesto
il rapporto fra i ranghi stessi: che sottordine sia un rango inferiore all'ordine è facilmente com-
prensibile; ciò non accade per famiglia·, quest'ultimo termine non ha nessun legame morfologi-
co con ordine.
La ricerca della trasparenza è evidente anche nella scelta dei suffissi di alcuni di questi sottoranghi:
cfr. -phytina e -mycotina, suffissi delle sottodivisioni, rispettivamente da -phyta e -mycota. Come
appare, si aggiunge -ina al suffisso caratteristico dell'ordine: in tal modo si manifesta apertamente il
rapporto con i taxa del rango superiore. Analogamente si formano i suffissi delle sottoclassi: -phyceae
—» -phycidae, -mycetes —• -mycetidae. La struttura dei termini e il loro rapporto reciproco ripropon-
gono iconicamente quelli delle categorie ad essi soggiacenti, aumentando la coerenza del sistema e la
sua facilità d'uso.
La prefissazione è assai produttiva anche al di fuori dei nomi dei ranghi e dei taxa: tipo, ad
esempio, può essere preceduto da numerosi prefissi o prefissoidi (di origine classica), anche più
d'uno contemporaneamente: lectotipo, paratipo, paralectotipo. Si ottengono così, partendo da
parole più generali, termini con un maggior grado di specializzazione (apantotipo, per esem-
pio, è un vocabolo specializzato per gli insetti); resta da vedere in che modo si siano formati i
termini che hanno come secondo elemento tipificazione: a prima vista parrebbe di trovarsi di
fronte a un prefissato ledo- + tipificazione-, la presenza di lectotipo, tuttavia, può far pensare a
una diversa soluzione: lectotipo —* °lectotipificare —* lectotipificazione.
10.4. Botanica e zoologia 595
La botanica e la zoologia sono due discipline in cui il latino ha un ruolo fondamentale. Questa
lingua, lungi dall'essere un semplice serbatoio di formanti, è ancora oggi usata per produrre
veri e propri testi. Infatti tutt'altro che superata è l'usanza di descrivere le nuove specie (ani-
mali e vegetali) in latino. In definitiva si ha una vera e propria lingua franca in uso presso la
comunità scientifica (Dardano 1994, 510ss.). A parte i problemi (difficoltà interpretative da
parte dei parlanti di lingue non romanze, tentativo di sostituzione con l'inglese) che un simile
uso comporta, appare chiaramente il ruolo dominante del latino.
Possiamo distinguere tre livelli dell'uso del latino: (a) la nomenclatura latina relativa alla
classificazione delle specie: nomi dei ranghi e dei taxa; gli adattamenti (facilitati dalla stretta
parentela e affinità delle due lingue) alla lingua italiana sono da considerarsi operazioni succes-
sive alla formazione di tale nomenclatura; ad esempio Rosali, nome dell'ordine delle Rosacee,
sarà un adattamento da Rosales più che una formazione italiana a partire da Rosa + -ali < lat.
-ales·, (b) prestiti di formanti o vocaboli (adattati) che arricchiscono la terminologia (si escludo-
no qui i nomi dei ranghi e le basi dei taxa) tecnica; il numero di questi ultimi è assolutamente
inferiore a quello dei grecismi: -forme (cimbiforme, reniforme), cuticola, spatolata; (c) latini-
smi: nomen novum "nuovo nome esplicitamente pubblicato come sostitutivo di un nome ante-
riore", nomen conservandum "nome da conservare non ostante la sua irregolarità", facies
"formazione vegetale che si diversifica dal tipo fondamentale per la presenza di alcune specie
particolari che la caratterizzano".
Sebbene il latino sia la lingua ufficiale della tassonomia (e, seppur limitatamente a situazioni
specifiche, dello scambio di conoscenze), è il greco la lingua che ha fornito il maggior numero
di prestiti. Formanti greci sono presenti innanzi tutto nei nomi dei taxa: affissi come -poda
(Arthropoda), syn- (Syncarida) o basi come Aestoxicon (Aestoxicacee), Potamogeton (Pota-
mogetonaceé), Scleroderma (Scleratodermatacee).
Un interessante caso di alternanza fra greco e latino è rappresentato da formanti come -formes (it.
-formi) e -morpha (it. -morfi)\ Coraciformes (it. coraciformi), Piciformes (it. piciformi), Passerifor-
mes (it. passerìformi) vs Lagomorpha (it. lagomorfî), Phragmomorpha (it. frammomorfa); interes-
sante è pure il caso di due famiglie, le Rhodophyllacee e le Rhodophyllidacee, la prima risalente al lat.
Rhodophyllus, la seconda al gr. Rhodophyllis.
Al di fuori della nomenclatura dei taxa la presenza del greco si fa ancora più imponente; com-
posti greci formano microsistemi, come: olotipo, lectotipo, isotipo, paratipo, sintipo, epitipo,
neotipo, apantotipo; i formanti possono combinarsi fra loro oppure con elementi alloglotti, per
esempio, latini: si confronti anamorfo, pleomorfo con morfogenere (dove si registra, fra l'altro,
la posizione iniziale dell'elemento morfo; così anche in morfotaxon).
1
Cfr. invece il fr. ADN (acide désoxyribonucléique) e il ted. DNS (Desoxyribonukleinsäure).
596 10. Formazione delle parole nelle terminologie tecnico-scientifiche
Quest'ultimo esempio ci riporta al particolare uso di formare denominazioni a partire da nomi propri
di persona:2 oltre a sequoia, possiamo ricordare: (a) per i nomi specifici: Lawson —> (Chamaeciparis)
lawsoniana, Douglas —> (Pseudotsuga) douglasit, (b) per i nomi generici: Bouganville (navigatore
francese, 1729-1811) —Bouganvillea (it. buganvillea), Wellington (generale e uomo politico inglese,
1769-1852) -* Wellingtonia, Gerber (naturalista tedesco) —> Gerbera. I nomi propri con cui si for-
mano i nomi specifici non vanno confusi con quelli degli studiosi che hanno scoperto la nuova specie
(indicati con le iniziali del cognome); si tratta, piuttosto, di nomi di colleghi cui lo scopritore decide
di dedicare la specie. Un nome proprio può essere presente nella forma del genitivo, come Douglas >
°Douglasius —• douglasii, oppure nella forma di aggettivo denominale: Lawson —* lawsoniana.
Possiamo distinguere due tipologie fondamentali: (a) N+di'+N: principio di priorità, sottodivi-
sione di genere, suddivisione di famiglia-, (b) N+A: epiteto finale, specie standard, diagnosi
differenziale.3 Assai ricca di polirematiche è pure la terminologia dell'anatomia:4 canale di
suzione, muscolo nototrocanterico, tubi malpighiani, palpi labiali, catena ganglionare ventra-
le, seno pericardiale.
Il tipo N+A trova largo uso nelle denominazioni comuni delle specie (in lingua italiana),
ottenute italianizzando il nome del genere combinato con un aggettivo o sintagma preposizio-
nale; spesso si tratta di pura e semplice traduzione del sintagma originario: lat. Abies alba > it.
abete bianco;1 in botanica l'aggettivo può discostarsi dall'epiteto scientifico, riferendosi ad altri
caratteri della pianta (come il suo habitat: montano, marittimo, campestre): lat. Pinus pinea vs
it. pino domestico, lat. Pinus pinaster vs it. pino marittimo, lat. Ulmus aria vs it. olmo montano,
lat. Acer pseudoplatanus vs it. acero di montagna, lat. Acer platanoides vs it. acero riccio.6
Denominazioni di questo genere sono frequenti nell'ambito delle piante coltivate: l'aggettivo campe-
stre, ad esempio, caratterizza alberi molto comuni in ambiente agrario: acero campestre, olmo campe-
stre. Le piante coltivate vengono classificate ulteriormente, per lo più in base alle caratteristiche del
loro frutto: la distinzione in varietà è affidata ancora ad aggettivi o sintagmi riferiti a caratteri morfo-
logici o, maggiormente, all'area di diffusione. Per il castagno abbiamo, tra l'altro: marrone rosso,
nero, pistoiese, fiorentino', castagna pistoiese, castagna di Montella (nella provincia di Avellino);
ricordiamo ancora: noce di Sorrento, bleggiana,feltrina.
La relazione che intercorre fra denominazione latina (scientifica) e corrispettivo italiano (co-
mune) è difficile da inquadrare entro categorie precise. Il processo di semplificazione operato
dal linguaggio della divulgazione (la manualistica per le scuole, ad esempio) e dei media pro-
duce terminologie che sono più o meno vicine alla terminologia ufficiale, rispetto alla quale
presentano in genere una minore precisione. Il problema è arduo e non può essere risolto accu-
sando gli usi linguistici della divulgazione di essere «non scientifici»: come si è visto, in Italia
come in altri paesi, anche presso la comunità scientifica sono in uso terminologie alternative
(pino marittimo, maritime pine) più o meno prossime alla lingua comune.
Concludiamo con un cenno sui fitonimi popolari: denominazioni bizzarre, fantasiose, legate a immagini,
riti e tradizioni delle regioni italiane; tralasciando l'analisi semantica ed etimologica, ci limitiamo a fornire
alcuni esempi, tratti da Beccaria 1995, 173-280, ordinati secondo i meccanismi che sono alla base della
loro formazione (cfr. anche Zamboni 1976): (a) tipo V+N: pasturavacche "biscione che succhia il latte
alle mucche" (Calabria),fugademoni "Hypericum perforatum" (Piemonte); (b) tipo N+N (o A): ava suco-
na "ape zuccona" (Verona), pesce diavolo (denominazione di diversi pesci in varie zone d'Italia), (pesce)
vescovo "Mobula mobular" (Trieste); (c) tipo N+Prep+N (+A): formiga del diàolo "formica rossa" (Vero-
na), (anima del) diavolo "calabrone" (Vicenza), siigalin dai corni "cicalina" (Verona), rospo di fango
"rana pescatrice" (Chioggia), baol del diaol "scarafaggio" (Bergamo), diavolo di mare "vipera di mare,
sagri nero, pesce lanterna" (vari dialetti d'Italia), falchetto dai piedi rossi "falso cuculo" (Lombardia e
Veneto), erbai fiore di S. Maria "Hypericum perforatum" (Sardegna). Come appare in pesce vescovo, nel
tipo (b) il primo sostantivo può essere omesso; un processo di semplificazione analogo avviene anche nel
tipo (c), con la caduta della testa del sintagma e conseguentemente della preposizione (anima del diavolo)·.
in tal caso, uno slittamento semantico attribuisce al sostantivo rimasto il significato dell'intera espressione.
11. FORMAZIONE DELLE PAROLE NELL'ONOMASTICA
11.1. Antroponimia AMT
Una tipologia dei nomi personali italiani basata sui processi morfologici utilizzati nella loro
formazione non è, a mia conoscenza, ancora stata tentata. Si illustrano qui di seguito i fe-
nomeni più rilevanti in questo settore.
Tra i tipi principali di processi di formazione di parole, risultano utilizzati nella forma-
zione di nomi personali soprattutto la suffissazione e la composizione. Sembrano mancare
del tutto esempi di prefissazione. Sono rappresentati invece, seppure marginalmente, altri
processi, quali la formazione di parole macedonia. Saranno trattate in questo paragrafo
anche la formazione di ipocoristici tramite accorciamento (cfr. 8.3.) o altri processi di ridu-
zione del significante, e l'utilizzazione di suffissazione o conversione nella mozione di
nomi personali.
I più frequenti nomi personali composti hanno come basi, soprattutto come primo elemento,
alcuni tra i più frequenti nomi semplici.
Tra i nomi femminili, Maria (rango 1 secondo De Felice 1982)1 e Anna (r. 2) sono i no-
mi più utilizzati nella formazione di composti: possono essere composti tra di loro, dando
luogo ad Anna Maria (r. 10) o Annamaria (r. 84) e Marianna (r. 109), o utilizzati come
primo membro di altri composti. Tra i primi 150 nomi femminili in ordine di rango nel
corpus di De Felice si hanno i seguenti composti con primo membro Maria·. Maria Teresa,
Maria Luisa, Maria Grazia, Maria Rosa, Maria Pia', Caffarelli 1996a, 62, segnala, per
Roma, una «moda insorgente dei nomi doppi con Maria prima forma» a partire dagli anni
'20 e fino agli anni '50: in questo quadro hanno alta frequenza, oltre ai già citati, M. Anto-
nietta, M. Cristina, M. Laura, M. Rita, M. Rosaria. Combinazioni frequenti con Maria
secondo elemento sono Bianca Maria, Rosa Maria.
Tra i composti con Anna primo elemento il più comune è Anna Maria; attestati con fre-
quenze decrescenti Anna Rita, Anna Lisa, Anna Paola, Anna Rosa (Caffarelli 1996a). Co-
me secondo elemento, Anna compare soprattutto in Marianna, Rosanna, e più raramente in
Pieranna.
Anche Rosa (r. 4) è usato spesso in composizione, per esempio in Rosalba, Alba Rosa, e
nei già citati Rosa Maria, Rosanna e Anna Rosa.
D'ora in poi, tutti i riferimenti al rango occupato da determinati nomi nell'universo dei nomi per-
sonali italiani si intendono basati sui dati contenuti in De Felice 1982, salvo diversa specificazione
della fonte. I dati di De Felice, basati sull'universo degli abbonati telefonici in tutta Italia nel 1981,
sono tali da sottorappresentare le donne, i giovani, e gli abitanti di piccoli centri (cfr. Caffarelli
1996a, 29); qui se ne fa uso soprattutto per indicazioni sui nomi di più alta frequenza, per i quali la
stima è più attendibile. Per l'esemplificazione, si attinge anche al documentatissimo Caffarelli
1996a.
602 11. Formazione delle parole nell'onomastica
Tra i nomi maschili le più frequenti basi utilizzate come primo membro di composti sono
Giovanni (r. 2), soprattutto nella forma ridotta Gian-, e Pietro (r. 9; cfr. anche Piero, r. 48)
nella forma ridotta Pier-, Tra i primi 150 nomi maschili in ordine di rango nel corpus di De
Felice 1982 si hanno Giancarlo (r. 33) e Gianfranco (r. 45); gli studi di Caffarelli 1996a,
1996b registrano l'emergere di Gianluca tra i nomi con più alto rango di frequenza nella
città di Roma (r. 12 tra i nati nel 1976, r. 16 tra i nati nel 1994) e una buona frequenza di
Giampiero, Pierluigi, Gianluigi e Giampaolo. Composti con primo elemento Pier- non
compaiono tra i primi 150 in ordine di rango nel corpus di De Felice 1982; sono comuni
Pierpaolo, Piergiorgio, Pierluigi.
Tra i composti maschili con altri elementi sono comuni Francesco Saverio, Francesco
Paolo, Francesco Giuseppe, diffusi in quanto legati al culto di santi o nomi di personaggi
celebri. La stessa motivazione è alla base del nome personale composto Giordano Bruno.
Rari, ma attestati, composti con vari nomi semplici liberamente combinati: ad esempio,
Carlo Azeglio (Ciampi), Oscar Luigi (Scalfaro). Questo tipo, in cui «la combinazione di
due elementi non ha tradizione d'occorrenze né d'uso nel processo formativo» è denomi-
nato «nome multiplo» invece che composto da Caffarelli 1996a, 38.
È attestato anche l'uso di Maria come secondo o ultimo elemento di un nome personale
composto maschile: comune Gianmaria, attestati, per esempio, Enrico Maria (Salerno,
attore), Angelo Maria (Ripellino, slavista).
De Felice 1982, 186 osserva che per i nomi personali composti maschili è più comune la
forma graficamente unita (con l'eccezione dei nomi con primo elemento Francesco o
Franco), per i femminili quella separata. Tale tendenza andrà messa in relazione con il fatto
che il primo elemento dei più frequenti composti maschili è spesso una forma ridotta termi-
nante in consonante, non conforme alle restrizioni fonotattiche sulla parola italiana (benché
Gian in uso assoluto sia attestato, almeno come ipocoristico, nel Nord Italia; si pensi ad
esempio al duo comico Rie e Gian).
Tra i nomi personali composti un sottogruppo particolare, a quanto pare limitato a nomi
femminili il cui primo membro è Maria, è costituito da parole macedonia formate dalla
parte iniziale del primo elemento e dalla parte finale del secondo, come le seguenti: Marisa
<r- Maria Luisa, Marilisa Maria Elisa, Maresa Maria Teresa, Marilena <— Maria
Maddalena, Mariena Maria Filomena, Màrica <— Maria Domenica, Marica Maria
Federica, Marida <— Maria Ida. Tra queste, almeno Marisa, Marilena e Marica (in en-
trambe le accentuazioni) hanno acquisito anche lo status di nomi autonomi, mentre altre
sono usate piuttosto come ipocoristici per persone che hanno per nome il composto.
Un gruppo diverso costituiscono i nomi formati con Mari- seguito da una sillaba CV
tratta dalla sequenza iniziale del secondo nome: Marilù <— Maria Luisa, Maritè Maria
Teresa, Màrica / Marica Maria Carmela.
11.1. Antroponimia 603
Nel campo dei nomi personali si registrano suffissati classificabili in diverse categorie: (a)
nomi contenenti suffissi vari, in cui il suffisso non ha alcun ruolo semantico: Francesco,
Salvatore, e una serie di nomi femminili in -ana\ (b) suffissati con suffissi alterativi, usati
come ipocoristici o assurti al ruolo di nomi indipendenti; (c) suffissati con suffissi omofoni
di suffissi alterativi, in cui il processo di suffissazione ha il compito di trasformare un nome
tipicamente usato per persone di un certo sesso in nome usabile per persone del sesso oppo-
sto, cioè produce mozione; (d) accorciamenti o nomi bisillabi suffissati con il suffisso lìl
(graficamente <i> o <y>, e raramente anche <ie> o <j>).
1
Si potrebbe forse classificare in questa categoria anche Cristina (r. 101), benché il maschile Cristo
non sia in Italia utilizzato come nome personale in quanto colpito da tabù.
604 11. Formazione delle parole nell'onomastica
Anche nel campo dell'onomastica, come in quello dei nomi d'agente, la conversione di
radici è sfruttata per realizzare mozione (cfr. 5.1.1.1.12.), cioè per coniare antroponimi
femminili a partire da una base maschile, o viceversa. La conversione è il mezzo normale
per formare femminili in -a da maschili in -o (cft. in particolare Angelo —> Angela, dove la
direzione della derivazione è certamente dal maschile al femminile) e prevale sulla suffis-
sazione per la formazione di femminili dai rari maschili in -i (Giovanni —> Giovanna
(520.000),2 Giovannino (22.000), Luigi Luigia (193.000), Luigina (73.000)). La suffis-
sazione prevale invece in genere sulla conversione per la formazione di femminili da ma-
schili in -e (cfr. 11.1.1.3.3.).
Coppie apparentemente collegate per mozione tramite un processo idiosincratico sono Gabriele /
Gabriella, Raffaele / Raffaella. In realtà Gabriella, Raffaella sono mozioni regolari di Gabriello,
1
Stesso comportamento ha anche il maschile in consonante Walter, che ha come femminili Waltera
(30) e Walterina / Valterina (150 portatrici ciascuno).
2
Le cifre tra parentesi indicano il numero delle portatrici secondo De Felice 1986.
11.1. Antroponimia 605
Raffaello, forme più rare delle corrispondenti in -eie ma ben attestate. Sono inoltre attestate anche le
forme Gabriela, Raffaela; la mozione dei maschili in -eie avviene quindi del tutto regolarmente per
conversione, come dimostra anche l'esistenza delle coppie Michele / Michela, Emanuele / Emanuela.
Questi ipocoristici sono formati tramite un processo di riduzione normale nel linguaggio
infantile,2 consistente nel ridurre una base al piede che contiene l'accento primario, cioè al
suo piede finale. Gli esempi in (2) mostrano casi di riduzione a un piede bisillabico trocai-
co, che rappresenta il risultato più comune di questo tipo di riduzione. Sono però attestati
1
I dati in (1), (2a) e (3) sono tratti dal corpus presentato in Caffarelli 1996a, 523ss.
2
Questo tipo di riduzione non è attestato nel lessico comune (cfr. 8.).
606 11. Formazione delle parole nell'onomastica
anche ipocoristici di nomi sdruccioli, che vengono ridotti a un piede trisillabico dattilico:
Menico, Polito <— Domenico, Ippolito (cfr. Thornton 1996, 103 e bibliografia ivi citata).
Nel caso in cui la base contenga un suffisso alterativo, come negli esempi in (2b), questo
processo di riduzione ha l'effetto di renderla pressoché irrecuperabile, in quanto rimane
nell'ipocoristico, come consonante iniziale, solo l'ultima consonante della radice della base.
Anche per questo motivo, i nomi del tipo in (2b) sono usati anche come nomi indipendenti:
sono tali oggi almeno Gino e Ghino, originariamente ipocoristici rispettivamente di Luigi e
di Arrigo, Ugo.
L'Italia si distingue nel panorama europeo per l'alto numero di cognomi in uso per la sua
popolazione (Caffarelli 1999, 7 stima a circa 350.000 le forme diverse attestate). I cognomi
italiani hanno origine da quattro fonti principali: nomi personali (usati come patronimici),
toponimi e etnici, soprannomi (basati su aggettivi indicanti caratteristiche fisiche, o su
composti verbo-nome indicanti azioni caratteristiche) e nomi di mestiere. Una tipologia dei
cognomi italiani sub specie morfologica comprenderebbe quindi una ricapitolazione della
trattazione dedicata a queste diverse categorie. Ci limitiamo qui a segnalare alcuni aspetti
essenziali, rimandando per una documentazione completa alla bibliografia descrittiva sui
cognomi italiani, dalla quale sono agevolmente desumibili anche le principali caratteristiche
11.2. Toponimia 607
morfologiche (cír. almeno De Felice 1978, De Felice 1980, D'Acunti 1994, § 6, Caffarelli
1999, e le elaborazioni regolarmente pubblicate dalla Rivista italiana di onomastica).
Particolarmente diffusi sono cognomi comprendenti suffissi diminutivi, quali Martinelli,
Moretti, Bellini, Mattioli, Colucci (si indica per ogni suffisso il cognome più frequente tra
quelli che lo comprendono; i dati sono tratti da elaborazioni non pubblicate gentilmente
messe a disposizione da Enzo Caffarelli). Molti cognomi di origine patronimica derivano
da un ipocoristico del nome base: ad esempio, Bucci, Bini, Betti e Belli risalgono a diversi
ipocoristici di una base Jacopo. Dai cognomi possono formarsi ipocoristici per accorcia-
mento, come dai nomi personali (cfr. 11.1.1.5.1, 8.3.1.): Ciarra Ciarrapico, Diba <— Di
Bartolomei (cfr. Thornton 1996, 88-89), e addirittura Dalco <— Dal Cò, con trasformazione
di un cognome bisillabo tronco in piano per conformità con la struttura prosodica che ca-
ratterizza gli accorciamenti (cfr. Montermini 1998, 98). In uso allocutivo, anche i cognomi
possono essere ridotti per troncamento di tutto ciò che segue la vocale della sillaba tonica
(cfr. 11.1.1.5.4.; esempi in Schmid 1976, 842-843).
Come per l'antroponimia, anche per la toponimia la maggior parte degli studi di sintesi ha
un'impostazione storica o propone una tipologia concettuale (cfr. almeno Olivieri 1937,
Zamboni 1994). Un primo tentativo di tipologia morfologica dei toponimi italiani, ispirato
al lavoro di Nübling 2000 sul tedesco, si ha in Nitrola 1998, dal quale traggo la maggior
parte degli esempi e i dati percentuali riportati qui di seguito, basati sull'esame dei nomi
degli oltre 8000 comuni italiani.
Va subito detto che gran parte (non ci sono dati precisi su quanti) dei nomi dei comuni
italiani sono costituiti da combinazioni di parole, in cui un primo componente è il toponimo
vero e proprio, e un secondo componente aggiunge determinazioni geografiche, per lo più
per disambiguare toponimi dai primi membri omonimi: esempi sono Nizza Monferrato,
Mariano Comense, Selva di Cadore ecc. In alcuni casi, si ha un toponimo composto dalla
coordinazione dei nomi di due comuni preesistenti fusisi in un'unica entità amministrativa:
Guidonia Montecelio, Jerago con Orago (una trattazione esauriente sul tema del cambia-
mento di nome dei comuni italiani è Caffarelli / Raffaelli 1999).
I toponimi formati da una sola parola, e le teste di quelli formati da più parole, sono clas-
sificabili in diverse categorie: accanto a nomi completamente opachi in sincronia, come
Roma, Rieti, Bologna, Genova, si hanno nomi omonimi di appellativi, motivati come topo-
nimi (Borgo, Castello, Rocca ecc.) o meno {L'Aquila), e nomi dalla struttura San / Santa /
Santo + antroponimo (6,4% secondo Nitrola 1998). La maggior parte dei nomi di comuni
italiani (42,5% secondo Nitrola 1998) sono suffissati, con suffissi di occorrenza esclusiva o
tipica nella toponomastica, quali -ago, -engo, o con suffissi usati anche nel lessico comune
(sui suffissi usati nella toponomastica italiana cfr. Zamboni 1994, 877-878). Nel corso del
Novecento è stato produttivo per la formazione di toponimi il suffisso '-ia, usato in epoca
608 11. Formazione delle parole nell'onomastica
fascista nella formazione di nomi di località fondate nelle terre bonificate (Littoria [oggi
Latina], Sabaudia, Pontinia, Aprilia, Pomezia) o altrove (Guidonia), o ribattezzate in se-
guito a fusioni (Imperia, Verbartia) o altre riforme amministrative, tra cui l'italianizzazione
di nomi alloglotti: Corridonia, Cervinia (molti altri esempi e un'informata ed esauriente
discussione in Raffaelli 1995). La produttività di '-ia si vede anche in nomi di luoghi imma-
ginari, quali Topolinia, o ribattezzati popolarmente, come Berlusconia (L), terronia (Q).
Altro procedimento produttivo per la formazione di toponimi sembra la composizione con
l'elemento neoclassico '-poli, che occorre in Paperopoli (corrispondente a un inglese Duck-
burg) e tangentopoli, nel suo significato originario proposta giornalistica per ribattezzare
Milano, al centro degli scandali delle tangenti (cfr. 2.2.2.3.).
I non molti studi dedicati a nomi di esercizi commerciali in Italia (Serianni 1978, Casadei /
Voghera 1994, Rossi 1998, Marandola 1999, Marandola 2000, Caffarelli 2002) convergono
nel rilevare che la tecnica più sfruttata per la denominazione di negozi e altri esercizi pub-
blici è il «riciclaggio» di nomi propri (Caffarelli 2002) o di altre strutture linguistiche, quali
titoli di opere o espressioni idiomatiche, o la proposta di giochi di parole (Casadei / Voghe-
ra 1994).
Tuttavia procedimenti di formazione delle parole non sono del tutto assenti dal panorama
delle creazioni onomastiche in questo settore. Tradizionalmente, nomi di esercizi si forma-
vano con il suffisso -eria legato a basi designanti la merce venduta: drogheria, panetteria,
latteria, pizzeria ecc. (cfr. 5.1.1.3.3.). La suffissazione in -eria sembra aver perso oggi il
primato tra i procedimenti di formazione usati per la creazione di questi nomi, ma non ha
del tutto perso vitalità, specie se applicata a basi in qualche modo anomale: si registrano
almeno Abbronzeria (da una base verbale), primipiatteria (da base sintagmatica), entrambi
in Casadei / Voghera 1994, e Giocheria (una catena di negozi di giocattoli). I primi anni
'90 vedono una rapida ma forse effimera diffusione di composti con -teca: sul settimanale
Cuore vengono segnalati tra il 1991 e il 1993 taglioteca, scarpoteca, latteteca, vestoteca,
angurioteca, minestroteca (Iacobini / Thornton 1992, 42), polentoteca (BC). Tra panineria
(a. 1983) e paninoteca (a. 1981) il DISC considera più normale quest'ultimo, che secondo
BC è il «capostipite» delle altre formazioni in -teca. Sono attestati anche composti con
-landia: Casalandia (casalinghi a Roma), Fruttilandia (Rossi 1998).
Rossi 1998, 140 osserva che per supermercati e grandi magazzini la denominazione
normale è una sigla: CONAD, CRAI, GS, PIM, SMA, UPIM e STANDA.1 Sigle o altre elaborazioni
basate su lettere iniziali sono attestate anche nei nomi di bar e ristoranti abruzzesi studiati
1
STANDA costituisce un interessante caso di sigla nata prima del sintagma base. La società nasce nel
1931 con il nome di Magazzini Standard, poi adatta il nome in Standa nel 1937 a causa delle leggi
fasciste che vietano l'uso di vocaboli stranieri. Solo in seguito si cerca di creare un sintagma che
possa motivare Standa come sigla: diverse fonti riportano infatti basi diverse: Società Tutti Articoli
Nazionali Dell'Arredamento (DISC), Società Tutti Articoli Nazionali Dell'Arredamento e Abbi-
gliamento (Zingarelli), Società Tutti Articoli Necessari Dell'Abbigliamento e Arredamento (Pic-
cola Treccani, XI, 579). Ringrazio Paolo D'Achille e Domenico Proietti per aver collaborato alle
ricerche su questo punto.
11.3. Econimia 609
da Marandola 1999, che segnala come nomi di bar basati sulle iniziali dei nomi dei pro-
prietari o gestori i seguenti: G&G, M e M, Emmedue, Acca Emme, 2G. Un locale abruzzese
offre anche un raro caso di autentica sigla sillabica (cfr. 8.1.). Spapizar (<— spa.ghetti,
piz.za, ar.rosticini).
Per la creazione di nomi di bar abruzzesi si è fatto un certo uso anche della prefissazione:
Marandola 1999 segnala Iperbar, Minibar, Superbar, Extrabar, Ultrabar. Assenti invece
nel corpus di circa 4500 «locali pubblici dove si serve cibo a pagamento» abruzzesi le for-
mazioni in -teca, che sembra aver avuto fortuna soprattutto nell'Italia settentrionale.
Ovviamente nel caso in cui si decida di coniare un nome nuovo, invece di sfruttare nomi o altri
elementi lessicali già esistenti.
610 11. Formazione delle parole nell'onomastica
L'internazionalità dei mercati fa sì che siano sempre più rari marchionimi di formazione
schiettamente italiana (tra i pochi esempi certi reperiti nel DISC cito coccoina)·, anche que-
sti, poi, spesso sono costruiti in modo da avere un'apparenza non italiana, privilegiando ad
esempio terminazioni in consonante: così moplen (Montecatini polipropilene), leacril («de-
sunto dall'aggettivo acrilico», DISC) ecc.1
ADAMO, G. (a cura di), 1994, Ricerca e terminologia tecnico-scientifica: atti della giornata di studio
organizzata da Associazione italiana per la terminologia, Lessico intellettuale europeo.
Istituto di studi sulla ricerca e documentazione scientifica, Unione latina (Roma, 27 novem-
bre 1992), Firenze, Olschki.
AEBISCHER, P., 1958, "Le suffixe italien -igiano", RUR 22,169-192.
AGENO, F., 1950, "Soprogni come doppio prefisso", ZJV 11, 35-37.
AGENO, F., 1955, Recensione a Tollemache 1954, AGI40,169-171.
ALESCIO ZONTA, L. ET AL., 1989, Guida all'autovalutazione dell'apprendimento della chimica, Bolo-
gna, Società Editrice Esculapio.
ALESSIO, G., 1941, "Sul suffisso collettivo -etto, -itto", ArchRom 25, 379-383.
ALGEO, J., 1975, "The acronym and its congeners", in Makkai, A. / Becker Makkai, V. (a cura di),
The first LACUS forum, 1974, Columbia SC, Hornbeam Press, 217-234.
ALCEO, J., 1977, "Blends, a structural and systemic view", AS 52,47-64.
ALLEN, Α., 1981, "The development of préfixai and parasynthetic verbs in Latin and Romance",
RomPh 35,79-88.
ALSDORF-BOLLÉE, Α., 1970, Die lateinischen Verbalabstrakta der u-Deklination und ihre Umbildun-
gen im Romanischen, Bonn, Romanisches Seminar der Universität Bonn.
ALTIERI BIAGI, M. L., 1974, "Aspetti e tendenze dei linguaggi della scienza, oggi", in Centro per lo
studio dell'insegnamento all'estero dell'italiano, Italiano d'oggi: lingua non letteraria e
lingue speciali, Trieste, LINT, 67-110.
AMBROSINI, R., 1977, Morfologia, in Gambarara, D. / Ramat, P. (a cura di), Dieci anni di linguistica
italiana (1965-1975), Roma, Bulzoni, 157-171.
AMIOT, D., 1997, L'antériorité temporelle dans la préfixation en français, Villeneuve d'Ascq, Presses
Universitaires du Septentrion.
ANDERSON, S., 1985, Phonology in the twentieth century: theories of rules and theories of represen-
tations, Chicago, University of Chicago Press.
ANDERSON, S., 1992, A-morphous morphology, Cambridge, Cambridge University Press.
ANDORNO, C., 1999, "Avverbi focalizzanti in italiano: parametri per un'analisi", SILTA 28,43-83.
ANTELMI, D., 1987, "Appunti per un'analisi della derivazione in italiano: deverbali in -zione", SLel 9,
353-373.
ANTONELLI, G., 1996, "Sui prefissoidi dell'italiano contemporaneo", SLel 13, 253-293.
ARNUZZO-LANSZWEERT, A. M., 1985, "I nomi derivati dell'italiano: osservazioni per un modello
descrittivo", in Actes du XVIIe congrès international de linguistique et philologie romanes
(Aix-en-Provence 1983), III, Marseille, Laffitte, 225-237.
ARONOFF, M., 1976, Word-formation in generative grammar, Cambridge Mass., MIT Press.
ARONOFF, M., 1980, "Contextuáis", Language 56, 744-758.
ARONOFF, M., 1994, Morphology by itself, stems and inflectional classes, Cambrige Mass., MIT
Press.
ATTILI, G., 1977, "Gli aggettivi in -bile: un'analisi semantica", LeSt 12, 185-198.
AVALLE, S. D'ARCO, 1979, "Il prefisso per- nella lingua letteraria del Duecento (con un'appendice
sul prefisso pro-)", SLel 1, 263-287.
BAAYEN, H„ 1992, "Quantitative aspects of morphological productivity", YM1991,109-149.
BAAYEN, H. / LIEBER, R., 1991, "Productivity and English derivation: a corpus-based study", Lin-
guistics 29, 801-843.
BADECKER, W. / CARAMAZZA, Α., 1989, "A lexical distinction between inflection and derivation", LI
20,108-116.
BAGOLA, Η., 1988, Zur Bildung romanischer Berufsbezeichnungen im Mittelalter, Hamburg, Buske.
612 Bibliografia
BISETTO, Α., 2001b, "Sulla nozione di composto sintetico e i composti VN", in Orioles, V. (a cura di),
Dal «paradigma» alla parola: riflessioni sul metalinguaggio della linguistica: atti del con-
vegno Udine - Gorizia, 10-11 febbraio 1999, Roma, Il Calamo, 235-256.
BISETTO, A. / MUTARELLO, R. / SCALISE, S., 1990, "Prefissi e teoria morfologica", in Berretta, M. et
al. (a c u r a di), 2 9 - 4 1 .
BISETTO, A. / SCALISE, S., 1990, "La struttura argomentale nelle parole derivate", LeSt 25, 563-584.
BISETTO, A. / SCALISE, S., 1999, "Compounding: morphology and/or syntax?", in Mereu, L. (a cura
di), Boundaries of morphology and syntax, Amsterdam, Benjamins, 31-48.
BISETTO, A. / SCALISE, S., 2000, "Complement selection in morphology and syntax", ALU 47,25^45.
BJÖRKMAN, S., 1984, «L'incroyable, romanesque, picaresque épisode barbaresque»: étude sur le
suffixe français -esque et sur ses équivalents en espagnol, italien et roumain, Stockholm,
Almqvist & Wiksell.
BLANK, Α., 1993, "Polysemie und semantische Relationen im Lexikon", in Börner, W. / Vogel, K. (a
cura di), Wortschatz und Fremdsprachenerwerb, Bochum, AKS-Verlag, 22-56.
BLANK, Α., 1997, Prinzipien des lexikalischen Bedeutungswandels am Beispiel der romanischen
Sprachen, Tübingen, Niemeyer.
BLANK, Α., 1998, "Kognitive italienische Wortbildungslehre", ItS 19,5-27.
BLANK, Α., 1999a, "Les principes d'association et la structure du lexique", SILTA 28, 199-223.
BLANK, Α., 1999b, "Co-presence and succession: a cognitive typology of metonymy", in Panther, K.-
U. / Radden, G. (a cura di), 169-191.
BLANK, Α., 2002, "Metaphern und Metonymien im französischen Wortschatz", in Kolboom, I. et al.
(a cura di), Handbuch Französisch: Sprache, Literatur, Kultur, Gesellschaft·, für Studium,
Lehre, Praxis, Berlin, Schmidt, 193-197.
BLANK, Α., in stampa, "Words and concepts in time: towards cognitive onomasiology", in Eckardt, R.
et al. (a cura di), Words in time, Berlin / New York, Walter de Gruyter.
BLOOMFIELD, L., 1933, Language, New York, Holt, Rinehart, and Wilson [rist.: Chicago, University
of Chicago Press, 1984].
BOER, M. DE, 1978, "Una strategia per le ricerche morfologiche", in Id. / Toreenbeek, J. L. (a cura di),
Miscellanea di studi di lingua e letteratura italiana, Utrecht, Istituto di lingua e letteratura
italiana dell'Università di Utrecht, 17-47.
BOER, M. DE, 2000, "Ippersviluppato ou le développement récent du préfixe italien iper-", RLFU 19,
1-9.
BOER, M. DE, in stampa, "Fortuna del prefisso iper", in Maraschio, N. (a cura di), Italia linguistica
anno Mille. Italia linguistica anno Duemila·, atti del XXXIV congresso internazionale della
SLI, Roma, Bulzoni.
BOGACKI, C., 1988, "Les verbes à argument incorporé en français", Langages 89, 7-26.
BOLINGER, D., 1967, "Adjectives in English: attribution and predication", Lingua 18, 1-34.
BOLLÉE, Α., 1988, "Präpositionslose Nominalkomposita im heutigen Italienisch", ItS 11,115-130.
BOMBI, R., 1992, "Il modulo «non + sostantivo» nell'italiano contemporaneo", IncLing 15,79-92.
BOMBI, R., 1993, "Riflessioni sulla composizione con affissoidi", IncLing 16,159-169.
BOMBI, R., 1995a, "La risemantizzazione del prefisso iper-", IncLing 18,153-163.
BOMBI, R., 1995b, "Risemantizzazione di elementi formativi in linguistica", in Ead. (a cura di), Lin-
gue speciali e interferenza: atti del convegno seminariale (Udine, 16-17 maggio 1994),
Roma, Il Calamo, 55-69.
BOMBI, R., 1995c, "Neologia e formazioni produttive tra lingue speciali e lingua comune", in Ead. (a
cura di), Lingue speciali e interferenza: atti del convegno seminariale (Udine, 16-17 mag-
gio 1994), Roma, Il Calamo, 119-127.
BOOU, G., 1986, "Form and meaning in morphology: the case of Dutch «agent nouns»", Lingustics
24, 503-517.
Boou, G., 1987, "Lexical phonology and the organisation of the morphological component", in
Gussmann, E. (a cura di), Rules and the lexicon: studies in word-formation, Lublin, Ka-
tolicki Uniwersytet Lubelski, 43-65.
Bibliografia 615
Boon, G., 1992, "Morphology, semantics and argument-structure", in Roca, I. M. (a cura di), The-
matic structure: its role in grammar, Berlin, Foris, 47-63.
Boou, G„ 1993, "Against split morphology", YM1993, 27-49.
Boou, G., 1996, "Inherent versus contextual inflection and the split morphology hypothesis", YM
1995,1-16.
Boou, G., 1998, "The demarcation of inflection: a synoptical survey", in Fabri, R. et al. (a cura di),
Models of inflection, Tübingen, Niemeyer, 11-27.
Boou, G. / LEHMANN, C H . / MUGDAN, J. (a cura di), 2 0 0 0 , Morphologie·, ein internationales Hand-
buch zur Flexion und Wortbildung / Morphology: an international handbook on inflection
and word formation, Berlin / New York, Mouton de Gruyter.
Boou, G. / RALLI, Α . / SCAUSE, S . (a cura di), 1998, Proceedings of the first Mediterranean confer-
ence of morphology (Mytilene, Greece, Sept. 19-211997), Patras, University of Patras.
BOPP, S., 1993, Computerimplementationen der italienischen Flexions- und Wortbildungsmorpholo-
gie, Hildesheim, Olms.
BORGATO, G„ 1976, "Aspetto verbale e «Aktionsart» in italiano e tedesco", LeCo 3, 65-197.
BORGATO, G . , 1 9 9 2 , "Relativizzazione e nominalizzazione", QPL 1 1 , 8 9 - 9 9 .
BORK, H . D . , 1 9 9 0 , Die lateinisch-romanischen Zusammensetzungen Nomen + Verb und der Ur-
sprung der romanischen Verb-Ergängzung-Komposita, Bonn, Romanistischer Verlag.
BOSQUE, I . , 1976, "Sobre la interpretación causativa de los verbos adjetivales", in Sánchez de Zavala,
V. (a cura di), Estudios de gramática generativa, Barcelona, Labor, 101-117.
BOSQUE, I., 1 9 8 9 , Las categorías gramaticales: relaciones y diferencias, Madrid, Síntesis.
BOSQUE, I., 1990, "Sobre las diferencias entre los adjetivos relaciónales y los calificativos", RAL 9 , 9 -
48.
BOULA DE MAREÜIL, P H . / FLORICIC, F., 2 0 0 1 , "On the pronunciation of acronyms in French and in
Italian", in Dalsgaard, P. et al. (a cura di), Eurospeech, Aalborg, Center for Personkommu-
nikation, 1 9 2 3 - 1 9 2 6 .
BOURSTIN, P., 1976, "Zur Paraphrasierbarkeit von Kausativkonstruktionen mit totmachen / töten,
totschlagen / erschlagen: Probleme bei der Beschreibung von Kausativa innerhalb der gene-
rativen Semantik", in Braunmüller, K. / Kürschner, W. (a cura di), 245-252.
BOZZONE COSTA, R., 1 9 8 8 , "Inserzione e cancellazione di morfemi nella formazione delle parole in
italiano L2", in Giacalone Ramat, A. (a cura di), L'italiano tra le altre lingue: strategie di
acquisizione, Bologna, Il Mulino, 115-126.
BOZZONE COSTA, R., 1 9 9 4 , "La formazione di parola in dati spontanei di italiano L2", in Giacalone
Ramat, A. / Vedovelli, M. (a cura di), Italiano: lingua seconda / lingua straniera: atti del
XXVI congresso della SL1, Roma, Bulzoni, 3 1 9 - 3 4 2 .
BRÄCHET, J.-P., 1 9 9 9 , Les préverbes ab-, de-, ex- du latin: étude linguistique, Villeneuve d'Ascq,
Presses Universitaires du Septentrion.
BRAMBILLA AGENO, F., 1964, Il verbo nell'italiano antico: ricerche di sintassi, Milano / Napoli, R.
Ricciardi.
BRAUNMÜLLER, Κ. / KÜRSCHNER, W. (a cura di), 1976, Akten des 10. linguistischen Kolloquiums, II.
Grammatik, Tübingen, Niemeyer.
BRÉAL, M., 1881, "Noms postverbaux en latin", MSL 4, 82-83.
BRINKER, J. H., 1974, "L'aggettivo di relazione nell'italiano moderno", in Medici, M. / Sangregorio,
A. (a cura di), Fenomeni morfologici e sintattici dell'italiano contemporaneo: atti del VI
convegno internazionale di studi della SLI, Roma, Bulzoni, 5-19.
BRINTON, L., 1995, "The Aktionsart of deverbal nouns in English", in Bertinetto, P. M. et al. (a cura
di), Temporal reference, aspect, and actionality, I. Semantic and syntactic perspectives, To-
rino, Rosenberg & Sellier, 27-42.
BR0NDAL, R„ 1940-1941, "La signification du préfixe italien s-", AL 2, 151-164.
BRUNET, J., 1 9 8 2 , Grammaire critique de l'italien, 5. Le genre, Saint-Denis, Presses de l'Université
de Paris VIII Vincennes.
BRUNET, J., 1983, Grammaire critique de l'italien, 6. L'adjectif, Saint-Denis, Presses de l'Université
de Paris VIII Vincennes.
616 Bibliografìa
BÜCHI, E., 1994, "Les noms de genres dans la Flore françoise de Lamarck (1778): genèse et réception
d'une terminologie", RLiR 58,97-141.
BUETTI-FERRARI, Α., 1987, La categoria dell'«Aktionsart» nella semantica verbale: il caso dei suffis-
si alterativi, Tesi di dottorato, Università di Ginevra.
BURANI, C., 1990-1991, "The lexical representation of prefixed words: data from production tasks",
ALH 40,95-113.
BURANI, C. / CARAMAZZA, Α., 1987, "Representation and processing of derived words", LCProc 2,
217-227.
BURANI, C. / DOVETTO, F. M. / THORNTON, A. M. / LAUDANNA, Α., 1997, "Accessing and naming
suffixed pseudo-words", YM1996,55-72.
BURANI, C. / LAUDANNA, Α., 1992, "Units of representation for derived words in the lexicon", in
Frost, R. / Katz, L. (a cura di), Orthography, phonology, morphology, and meaning, Am-
sterdam, North-Holland, 361-376.
BURANI, C. / LAUDANNA, Α., 1993, "L'elaborazione della morfologia in soggetti adulti", in Laudanna,
A. / Burani, C. (a cura di), Il lessico: processi e rappresentazioni, Roma, La Nuova Italia
Scientifica, 107-124.
BURANI, C. / LAUDANNA, A. / CERMELE, Α., 1992, "Errors on prefixed verbal forms: effects of root
type and number of prefixed related forms", RdL 4, 273-295.
BURANI, C. / THORNTON, A. M. / IACOBINI, C. / LAUDANNA, Α., 1995, "Investigating morphological
non-words", in Dressier, W. U. / Burani, C. (a cura di), Crossdisciplinary approaches to
morphology, Wien, Verlag der Österreichischen Akademie der Wissenschaften, 37-53.
BURZIO, L., 1986, Italian syntax: a government-binding approach, Dordrecht, Reidel.
BURZIO, L „ 1998, "Italian participial morphology and correspondence theory", in Booij, G. et al. (a
cura di), 42-53.
BYBEE, J. L., 1985, Morphology, a study of the relation between meaning and form, Amsterdam,
Benjamins.
CAFFARELLI, E., 1996a, L'onomastica personale nella città di Roma dalla fine del secolo XIX ad oggi:
per una prospettiva di cronografia e sociografia antroponimica, Tübingen, Niemeyer.
CAFFARELLI, E., 1996b, "Frequenze onomastiche dei nomi personali nella città di Roma dall'età
imperiale al 1994", RIOn 2,193-204.
CAFFARELLI, E., 1999, Cognomi italiani: storia, curiosità, significati e classifiche, I. I più diffusi a
livello nazionale, Torino, SEAT.
CAFFARELLI, E., 2000a, "Sul genere dei nomi delle squadre di calcio in Italia", RIOn 6,113-138.
CAFFARELLI, E., 2000b, "Sui nomi propri e i loro derivati nel Grande dizionario italiano dell'uso",
RIOn 6,472-498.
CAFFARELLI, E., 2000c, "Progetti culturali, sociali ed economici finanziati dalla Commissione Euro-
pea: un esempio di riciclaggio di nomi propri", RIOn 6,423^36.
CAFFARELLI, E., 2000d, "Nomi commerciali come memoria storica: le agenzie turistiche italiane",
RIOn 6, 161-165.
CAFFARELLI, E., 2002, "Recycling proper names: towards an exhaustion of the stocks", in Boullón
Agrelo, A. I. (a cura di), Actas do XX congreso internacional de ciencias onomásticas
(Santiago de Compostela, 20-25 de setembro de 1999), A Coruña, Fundación Pedro Barrié
de La Maza, 1073-1083.
CAFFARELLI, E. / RAFFAELLI, S., 1999, "Il cambiamento di nome dei comuni italiani (dall'unità
d'Italia a oggi)", RIOn 5,115-147.
CAGNA, G. ET AL., 1990, " L e glomerulonefriti: aggiornamento clinico-terapeutico", Clinica e terapia
1,31-35.
CALZOLARI, N., 1983a, "Per un'analisi formale della derivazione in italiano: metodologia di lavoro e
primi risultati", SLeI 5,229-242.
CALZOLARI, N., 1983b, "On the treatment of derivatives in a lexical data base", in Cicogni, L. / Pe-
ters, C. (a cura di), Computers in literary and linguistic research: proceedings of the VII
international symposium of the Association for literary and linguistic computing, Pisa, Gi-
ardini, 103-113.
Bibliografia 617
CUTLER, Α. / HAWKINS, J. Α. / GILLIGAN, G., 1985, "The suffixing preference: a processing explana-
tion", Linguistics 23,723-758.
CUZZOLIN, P., 1995, "A proposito di sub vos placo e della grammaticalizzazione delle adposizioni",
AGI 80, 122-143.
D'ACUNTI, G., 1994, "I nomi di persona", in Serianni, L. / Trifone, P. (a cura di), 795-857.
D'ADDIO, W., 1969, "Su alcune modalità di suffissazione in italiano", in La grammatica. La lessico-
logia: atti del I e del li convegno di studi della SLI, Roma, Bulzoni, 117-125.
D'ADDIO, W., 1970, "Per una sintassi della derivazione in italiano", in La sintassi: atti del III conve-
gno di studi della SLI, Roma, Bulzoni, 261-292.
D'ADDIO, W., 1971, "Suffissi derivativi aggettivali dell'italiano: analisi semantica", in Medici, M. /
Simone, R. (a cura di), La grammatica trasformazionale italiana: atti del convegno interna-
zionale di studi della SLI, Roma, Bulzoni, 163-175.
D'AGOSTINO, E., 1993, Sociolinguistica computazionale: un'applicazione descrittiva al corpus del
lessico di frequenza dell'italiano parlato, Salerno, 10/17.
D'ONOFRIO, P., 1985, "I nomi composti nell'italiano e nella pubblicità", LM 50, 7-14.
DAGOGNET, F., 1969, Tableaux et langages de la chimie, Paris, Seuil.
DARDANO, M., 1978, La formazione delle parole nell'italiano di oggi (primi materiali e proposte),
Roma, Bulzoni.
DARDANO, M., 1981, "Preliminari per lo studio della formazione delle parole nell'italiano di oggi:
aspetti lessicologici e semantici", in Albano Leoni, F. / De Blasi, N. (a cura di), Lessico e
semantica: atti del XII congresso intemazionale di studi della SLI, Roma, Bulzoni, 275-
291.
DARDANO, M., 1982, "Einige Überlegungen zu den multilexikalischen Einheiten im Italienischen",
FoL 16, 1 3 7 - 1 4 7 .
DARDANO, M., 1983, "Problemi della formazione delle parole", in Dardano, M. et al. (a cura di), 9 -
25.
DARDANO, M„ 1987, "La necessità de' composti", NAFMUM 5, 33-68.
DARDANO, M., 1988, "Formazione delle parole", in Holtus, G. et al. (a cura di), Lexikon der romani-
stischen Linguistik, IV. Italienisch, Korsisch, Sardisch, Tübingen, Niemeyer, 51-63.
DARDANO, M., 1990, "La formazione delle parole nella storia della lingua italiana", in Berretta, M. et
al. (a cura di), 6 9 - 8 3 .
DARDANO, M., 1992, "Appunti sulla formazione delle parole nella prosa antica", in Id., Studi sulla
prosa antica, Napoli, Morano, 263-285.
DARDANO, M., 1993, "Lessico e semantica", in Sobrero, A. (a cura di), Introduzione all'italiano
contemporaneo, I. Le strutture, Roma / Bari, Laterza, 291-370.
DARDANO, M., 1994, "I linguaggi scientifici", in Serianni, L. / Trifone, P. (a cura di), 497-551.
DARDANO, M., 1997, "Simil-inglese e finto-spinoso", Italienisch 38,97-100.
DARDANO, M., 2001, "La formazione delle parole nella storia della lingua italiana: appunti sulle
neoformazioni espressive nella prosa e nella poesia del Novecento", in Fábián, Zs. / Salvi,
G. (a cura di), Semantica e lessicologia storiche: atti del XXXII congresso internazionale di
studi della SLI, Roma, Bulzoni, 335-351.
DARDANO, M. / DRESSLER, W. U. / HELD, G. (a cura di), 1983, Parallela: atti del 2" convegno italo-
austriaco dei linguisti, Roma, 1.-4. 2.1982, Tübingen, Narr.
DARDANO, M. / FRENGUELLI, G., 1999, 'Trasformazioni sintattiche e formazione delle parole: linee
evolutive nella storia dell'italiano", in Benincà, P. et al. (a cura di), 333-368.
DARDANO, M. / TRIFONE, P., 1985, La lingua italiana, Bologna, Zanichelli.
DARMESTETER, Α., 1877, De la création actuelle de mots nouveaux dans la langue française et des
lois qui la régissent, Paris, Vieweg [rist.: Genève, Slatkine, 1972],
DARMESTETER, Α., 18942 [18751], Traité de la formation des mots composés dans la langue française
comparée aux autres langues romanes et au latin, Paris, Barillon [rist.: Paris, Champion,
1967],
DE FELICE, E., 1978, Dizionario dei cognomi italiani, Milano, Mondadori.
620 Bibliografia
DE FELICE, E., 1980,1 cognomi italiani: rilevamenti quantitativi dagli elenchi telefonici: informazioni
socioeconomiche e culturali, onomastiche e linguistiche, Roma / Bologna, SEAT / Il Muli-
no.
DE FELICE, E., 1982,1 nomi degli italiani: informazioni onomastiche e linguistiche, socioculturali e
religiose, Roma / Venezia, SARIN / Marsilio.
DE FELICE, E., 1986, Dizionario dei nomi italiani: origine, etimologia, storia, diffusione e frequenza
di oltre 18000 nomi, Milano, Mondadori.
DE MARCO, A. / TONELLI, L., 1999, "Ricchezza e complessità morfologica nelle fasi di acquisizione
dell'italiano", in Benincà, P. et al. (a cura di), 599-611.
DE MAURO, T., 1970 2 [=1976; 19631], Storia linguistica dell'Italia unita, Roma / Bari, Laterza.
DE MAURO, T., 1980 [1991 "], Guida all'uso delle parole, Roma, Editori Riuniti.
DE MAURO, T., 1982, Minisemantica: dei linguaggi non verbali e delle lingue, Roma / Bari, Laterza.
DE MAURO, T., 1994, "Appendice: I. Linguaggi scientifici, II. Linguaggi scientifici e lingue storiche",
in Id. (a cura di), Studi sul trattamento linguistico dell'informazione scientifica, Roma, Bul-
zoni, 307-340.
DE MAURO, T. (a cura di), 1994, Come parlano gli italiani, Firenze, La Nuova Italia.
DE MAURO, T., 1999, Caratteri del lessico italiano, in GRADIT, 1163-1183.
DE MAURO, T. / LO CASCIO, V. (a cura di), Lessico e grammatica: teorie linguistiche e applicazioni
lessicografiche: atti del convegno interannuale della SLI (Madrid, 21-25 febbraio 1995),
Roma, Bulzoni.
DE MAURO, Τ./ VOGHERA, M., 1996, "Scala mobile: un punto di vista sui lessemi complessi", in
Benincà, P. et al. (a cura di), Italiano e dialetti nel tempo: saggi di grammatica per Giulio
C. Lepschy, Roma, Bulzoni, 99-131.
DE PALO, M., 1997, "Il Vocabolario di base a confronto con il Lessico italiano del parlato", in De
Mauro, T. / Lo Cascio, V. (a cura di), 395-411.
DEL BELLO, C. / GUALDO, R. / TARSITANI, C., 1994, Appunti sull'attuale terminologia delle scienze
fisiche, in Adamo, G. (a cura di), 13-31.
DELOGU, C., 1989, "The morphological lexicon of a speech recognition system for Italian", RdL 1,
95-114.
DEVOTO, G., 1939, "IL prefisso s- in italiano", in Mélanges de linguistique offerts à Charles Bally,
Genève, George et Cie, 263-269.
DI DOMENICO, E., 1997, Per una teoria del genere grammaticale, Padova, Unipress.
Di SCIULLO, A.-M., 1990, "Modularity and the mapping from the lexicon to the syntax", Probus 2,
257-290.
Di SCIULLO, A.-M., 1992a, "On the properties of Romance and Germanic deverbal compounds", in
Fava, E. (a cura di), Proceedings of the XVII meeting of generative grammar, Trieste, Feb-
ruary 22-24, 1991: volume presented to Giuseppe Francescato on the occasion of his sev-
entieth birthday, Torino, Rosenberg & Sellier, 191-210.
Dl SCIULLO, A.-M., 1992b, "Deverbal compounds and the external argument", in Roca, I. M. (a cura
di), Thematic structure: its role in grammar, Berlin, Foris, 65-78.
DI SCIULLO, A.-M., 1996, "Prefixes and suffixes", in Parodi, C. et al. (a cura di), Aspects of Romance
linguistics: selected papers from the linguistic symposium on Romance languages XXIV,
Washington DC, Georgetown University Press, 177-194.
Di SCIULLO, A.-M., 1997, "Prefixed verbs and adjunct identification", in Ead. (a cura di), Projections
and interface conditions: essays on modularity, New York, Oxford University Press, 52-73.
Di SCIULLO, A.-M. / RALLI, Α., 1994, "Argument structure and inflection in compound: some differ-
ences between English, Italian and Greek", in Bouillon, P. / Estival, D. (a cura di), Pro-
ceedings of the workshop on compound nouns: multilingual aspects of nominal composition,
Genève, ISSCO, Université de Genève, 61-76.
Di SCIULLO, A.-M. 1 WILLIAMS, E„ 1987, On the definition of word, Cambridge Mass., MIT Press.
DIERICKX, J., 1991, "Unspeakable, ?&peakable: negative adjectives with potential positive", CILL 17,
117-124.
DIEZ, F., 1870-1875 3 [1836-1844 1 ], Grammatik der romanischen Sprachen, Bonn, Weber.
Bibliografia 621
DIRVEN, R., 1988, "A cognitive approach to conversion", in Hüllen, W. / Schulze, R. (a cura di),
Understanding the lexicon: meaning, sense and world knowledge in lexical semantics,
Tübingen, Niemeyer, 329-343.
DIRVEN, R., 1999, "Conversion as a conceptual metonymy of event schemata", in Panther, K.-U. /
Radden, G. (a cura di), 275-287.
DIXON, R. M. W„ 1977, "Where have all the adjectives gone?", SLang 1,19-80.
DIXON, R. M. W., 1991, A new approach to English grammar, on semantic principles, Oxford,
Clarendon Press.
DOBRYNINE, O., 1993, "Les définitions de noms d'oiseaux dans le Petit Robert et le Lexis", in Hilty,
G. (a cura di), Actes du XXe congrès international de linguistique et philologie romanes, IV,
Bern, Francke, 95-106.
DOLESCHAL, U., 1990, "Probleme der Movierung im Deutschen und Italienischen", in Berretta, M. et
al. (a cura di), 243-253.
DOLESCHAL, U., 1992, Movierung im Deutschen: eine Darstellung der Bildung und Verwendung
weiblicher Personenbezeichnungen, Unterschleissheim / München, Lincom Europa.
DOLESCHAL, U. / THORNTON, A. M. (a cura di), 2000, Extragrammatical and marginal morphology,
München, Lincom Europa.
DOVETTO, F. M. / THORNTON, A. M. / BURANI, C„ 1998, "Violazione di restrizioni sulla suffissazione
e interpretabilità semantica", SILTA 27,451-477.
DRESSLER, W. U., 1968, Studien zur Verbalpluralität: Iterativum, Distributivum, Durativum, Intensi-
vum in der allgemeinen Grammatik, im Lateinischen und Hethitischen, Wien, Österreichi-
sche Akademie der Wissenschaften.
DRESSLER, W. U., 1986, "Explanation in natural morphology, illustrated with comparative and agent-
noun formation", Linguistics 24, 519-548.
DRESSLER, W. U„ 1989, "Prototypical differences between inflection and derivation", ZPSK 42, 3-10.
DRESSLER, W. U., 1999, "Ricchezza e complessità morfologica", in Benincà, P. et al. (a cura di), 587-
597.
DRESSLER, W. U. / DENES, G., 1988, "Word formation in Italian-speaking Wernicke's and Broca's
aphasies", in Dressler, W. U. / Stark, J. A. (a cura di), Linguistic analyses of aphasie lan-
guage, New York, Springer, 69-81.
DRESSLER, W. U. / DOLESCHAL, U., 1990-1991, "Gender agreement via derivational morphology",
ALH 40, 115-137.
DRESSLER, W. U. / LADÁNYI, M., 1998, "On grammatical productivity of word formation rules", WLG
62-63, 29-55.
DRESSLER, W . U . / LUSCHÜTZKY, H . C . / PFEIFFER, O . E . / RENNISON, J. R. (a c u r a d i ) , 1 9 9 0 , Contem-
porary morphology, Berlin / New York, Mouton de Gruyter.
DRESSLER, W. U. / MERLINI BARBARESI, L., 1986, "How to fix interfixes? On the structure and prag-
matics of Italian (and Spanish, Russian, Polish) antesuffixal interfixes and of English «in-
termorphemic elements»", ALH 36,53-67.
DRESSLER, W. U. / MERLINI BARBARESI, L„ 1989a, "Interfissi e non interfissi antesuffissali
nell'italiano, spagnolo e inglese", in Foresti, F. et al. (a cura di), L'italiano tra le lingue ro-
manze: atti del XX congresso intemazionale di studi della SLl, Roma, Bulzoni, 243-252.
DRESSLER, W. U. / MERLINI BARBARESI, L., 1989b, "Grammaticalizzazione morfopragmatica: teoria e
tipologia, con particolare riguardo ai diminutivi nell'italiano, tedesco e inglese", QDLLCB
5, 233-255.
DRESSLER, W . U . / MERLINI BARBARESI, L., 1 9 9 0 , " G r a m m a t i c a l i z z a z i o n e m o r f o p r a g m a t i c a " , in
Berretta, M. et al. (a cura di), 135-145.
DRESSLER, W. U. / MERLINI BARBARESI, L., 1991, "Interradical interfixes: contact and contrast", in
Ivir, V. / Kalogjera, D. (a cura di), Languages in contact and contrast: essays in contact lin-
guistics, Berlin, Mouton de Gruyter, 133-145.
DRESSLER, W. U. / MERLINI BARBARESI, L., 1992, "Intensificazione e rielaborazione: effetti morfo-
pragmatici", in Gobber, G. (a cura di), La linguistica pragmatica: atti del XXIV congresso
internazionale di studi della SLI, Roma, Bulzoni, 51-60.
622 Bibliografia
FRADIN, Β., 2000, "Combining forms, blends and related phenomena", in Doleschal, U. / Thornton,
A. M. (a cura di), 11-59.
FRANCESCATO, G., 1985, "A proposito del suffisso -eo", Ling 25,3-17.
FRANCESCATO, G., 1996, "A proposito di bigliettazione", in Id., Saggi di linguistica teorica e appli-
cata, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 159-168 [= in Colón, G. / Kopp, R. (a cura di), Mé-
langes de langues et de littératures romanes offerts à Carl Theodor Gossen, Bern / Liège,
Francke / Marche Romane, 1976, 227-238],
FRIGENI, C., 1998, Il participio passato all'interno del sintagma nominale alla prova dei prefissi
negativi. Tesi di laurea, Università di Pavia.
FRIGENI, C., 2002, "The past participle in the nominai phrase: observations from Italian", in Rapp, R.
(a cura di), Linguistics on the way into the third millennium: proceedings of the 34th lin-
guistics colloquium (Germersheim 1999), Frankfurt am Main, Peter Lang, 571-578.
FUNCK, Α., 1886-1887, "Die Verba sai issare und izare", ALLG 3, 398^142; 4, 317-320.
GAATONE, D., 1987, "Les préfixes négatifs avec les adjectifs et noms verbaux", CLex 50, 79-90.
GABRIEL, K., 2003, Produktonomastik. Studien zur Wortgebildetheit, Typologie und Funktionalität
italienischer Produktnamen, Frankfurt am Main, Peter Lang.
GAETA, L., 1994, Per una caratterizzazione dei nominali astratti deverbali in italiano, Arbeitspapier
Nr. 67, FG Sprachwissenschaft, Universität Konstanz.
GAETA, L., 1999a, "Polisemia e lessicalizzazione: un approccio naturalista", ItS 20,7-27.
GAETA, L., 1999b, "Un buon argomento contro il separatismo: il suffisso italiano -anza/-enza", in
Benincà, P. et al. (a cura di), 551-585.
GAETA, L., 2000, "On the interaction between morphology and semantics: the Italian suffix -ATA",
ALH 47, 205-229.
GAETA, L., 2002a, Quando i verbi compaiono come nomi: un saggio di morfologia naturale, Milano,
Franco Angeli.
GAETA, L. / RICCA, D., 2002b, "Corpora testuali e produttività morfologica: i nomi d'azione italiani in
due annate della Stampa (1996-1997)", in Bauer, R. / Goebl, H. (a cura di), Parallela 9: te-
sto - variazione - informatica: atti del IX incontro italo-austriaco dei linguisti, Wilhelms-
feld, Egert, 223-249.
GAETA, L. / RICCA, D., 2003, "Italian prefixes and productivity: a quantitative approach", ALH 50,
93-112.
GANGEMI, A. / Rossi MORI, Α., 1994, Composizionalità e modelli nell'analisi del linguaggio medico,
in Adamo, G. (a cura di), 59-76.
GATHER, Α., 2001, Romanische Verb-Nomen ¡Composita: Wortbildung zwischen Lexikon, Morpholo-
gie und Syntax, Tübingen, Narr.
GATTI, T. / TOGNI, L., 1991, A proposito dell'interpretazione dei derivati in -ata e in s-, Arbeitspapier
Nr. 30, FG Sprachwissenschaft, Universität Konstanz.
GAUGER, H.-M., 1971, Durchsichtige Wörter: zur Theorie der Wortbildung, Heidelberg, Winter.
GAWELKO, M., 1975, "Sur la classification des adjectifs de relation tirés de noms concrets inanimés (à
base de l'italien)", SILTA 4, 305-312.
GAWELKO, M., 1976a, "Adjectifs de relation en italien", RLaR 82, 217-223.
GAWELKO, M., 1976b, "Les adjectifs qualificatifs en italien", KNf23,125-132.
GEISLER, H., 1994, "Che fine fanno i Boti Anmerkungen zur Akronymenbildung im Italienischen", in
Sabban, A. / Schmitt, C. (a cura di), Sprachlicher Alltag: Linguistik - Rhetorik - Literatur-
wissenschaft: Festschrift für Wolf-Dieter Stempel, 7. Juli 1994, Tübingen, Niemeyer, 9 7 -
120.
GELUNI, R. / GROSSONI, P., 1996/1997, Botanica forestale, 2 voll., Padova, Cedam.
GEORGES, E. S., 1970, Studies in Romance nouns extracted from past participles, Berkeley / Los
Angeles / London, University of California Press.
GEROLA, F. M., 19882, Biologia vegetale: sistematica filogenetica, Torino, UTET.
GÉVAUDAN, P., 1999, "Semantische Relationen in nominalen und adjektivischen Kompositionen und
Syntagmen", PhiN 9, 11-34.
624 Bibliografia
GHAZI, J., 1985, Vocabulaire du discours médical·, structure, fonctionnement, apprentissage, Paris,
Didier.
GIACALONERAMAT, Α., 1974, "I derivati latini in -tura", RIL 108, 236-293.
GIACALONE RAMAT, Α., 1985, "Are there dysfunctional changes?", in Fisiak, J. (a cura di), Papers
from the 6th international conference on historical linguistics, Amsterdam / Poznañ, Ben-
jamins / Adam Mickiewicz U.P., 427-440.
GIACALONE RAMAT, Α., 1994, "Fonti di grammaticalizzazione: sulla ricategorizzazione di verbi e
nomi come preposizioni", in Cipriano, P. et al. (a cura di), Miscellanea di studi linguistici e
filologici in onore di Walter Belardi, II, Roma, Il Calamo, 877-896.
GIACOMO-MARCELLESI, M., 1985, "Come la pensa la professoressa? Qu'en pense le professeur? - la
prop·, pour une étude contrastive du genre en italien et en français parlé", Contrastes 10,
83-104.
GILI FIVELA, B. / BERTINETTO, P. M., 1999, "Incontri vocalici tra prefisso e radice (iato o dittongo?)",
AGI 84,129-172.
GIMIGLIANO, A. F., 1991, Chimica per le scuole medie superiori, Firenze, Giunti Marzocco.
GIORGI, Α., 1988, "La struttura interna dei sintagmi nominali", in Renzi, L. et al. (a cura di), I, 273-
314.
GIOVANARDI, C., 1987, Linguaggi scientifici e lingua comune nel Settecento, Roma, Bulzoni.
GIOVANARDI, C., 1989, "«Pedante, arcipedante, pedantissimo»: note sulla morfologia derivativa nella
commedia del Cinquecento", NAFMUM 7,1-22.
GIOVANARDI, C., 1990, "Il suffisso -tore nel Quattrocento", in Berretta, M. et al. (a cura di), 85-96.
GIOVANARDI, C„ 1993, "Linguaggi settoriali", in Enciclopedia italiana, V Appendice (1979-1992),
III, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 221-222.
GIOVANARDI, C„ in stampa, "Histoire des langages techniques et scientifiques dans la Romania:
italien", in Ernst, G. et al. (a cura di), Romanische Sprachgeschichte - Histoire des langues
romanes, Berlin / New York, de Gruyter.
GIRARDI, Α., 1996, "Diminutivi e altre parole leggere e vaganti", Belfagor 51, 336-341.
GIURESCU, Α., 1965, "Contributi al modo di definire i sostantivi composti della lingua italiana",
RRLing 10, 395-400.
GIURESCU, Α., 1968, "I composti italiani del tipo verbo-nome, risultati di una trasformazione di fra-
se", RRLing 13,421-Φ26.
GIURESCU, Α., 1971, "Problemi della formazione delle parole in italiano", in Medici, M. / Simone, R.
(a cura di), L'insegnamento dell'italiano in Italia e all'estero", atti del IV congresso interna-
zionale di studi della SLI, Roma, Bulzoni, 695-700.
GIURESCU, Α., 1974, 'Tipi di derivati suffissali nell'italiano e nel francese odierno", BSRLR 10, 7 5 -
83.
GIURESCU, Α., 1975, Les mots composés dans les langues romanes, The Hague / Bucureçti, Mouton /
Edi tura Academiei.
GIVÓN, T., 1979, On understanding grammar, New York / San Francisco / London, Academic Press.
GNERRE, M. / MEDICI, M. / SIMONE, R. (a cura di), Storia linguistica dell'Italia nel Novecento·, atti del
V congresso internazionale di studi della SLI, Roma, Bulzoni.
GODEL, R„ 1950, "Verbes d'état et verbes d'événement", CFS 9,33-50.
GOTTI, M., 1991,1 linguaggi specialistici, Firenze, La Nuova Italia.
GRAFFI, G„ 1994, Sintassi, Bologna, Il Mulino.
GRAHAM SOLOMONS, T. W„ 19882, Chimica organica, Bologna, Zanichelli [ed. it. a cura di G. Ortag-
gi e D. Misiti],
GRANDI, N., 1998, "Sui suffissi diminutivi", LeSt 33,627-653.
GRANDI, N., 2000, Le costruzioni valutative nelle lingue del Mediterraneo, Tesi di dottorato, Univer-
sità di Pavia.
GRANDI, N., 2002, Morfologie in contatto: le costruzioni valutative nelle lingue del Mediterraneo,
Milano, FrancoAngeli.
GRANDI, N. / SCALISE, S., 1999, "Les règles d'altération nominale en italien", Silexicales 2, 83-93.
Bibliografia 625
GRANDI, Ν. / SCALISE, S., 2001, "Semantic restrictions on diminutive formation: evidence from Ita-
lian", in Schaner-Wolles, Ch. et al. (a cura di), 133-142.
GREENBERG, J. H., 1966 2 [1963 1 ], "Some universale of grammar with particular reference to the order
of meaningful elements", in Id. (a cura di), Universals of language, Cambrige Mass., MIT
Press, 7 3 - 1 1 3 .
GREUTER, W. ET AL., 1997, "Codice internazionale di nomenclatura botanica (Codice di Tokyo),
adottato dal quindicesimo Congresso internazionale di botanica (Yokohama, agosto-
settembre 1993) con impiego della nuova terminologia bionomenclaturale: commenti intro-
duttivi sulla bozza di biocodice dal punto di vista botanico; biocodice: le future regole inter-
nazionali per i nomi scientifici di organismi; stesura preliminare", InfBotltal 29, 1 [trad. it. a
cura di P. Mazzola],
GROSSMANN, M., 1988, Colori e lessico: studi sulla struttura semantica degli aggettivi di colore in
catalano, castigliano, italiano, romeno, latino ed ungherese, Tübingen, Narr.
GROSSMANN, M., 1989, "La formazione delle parole in catalano: presentazione di una ricerca in corso
con alcune osservazioni sui tipi di verbalizzazione denominale mediante suffissazione", in
Kremer, D. (a cura di), Actes du XVIIIe congrès international de linguistique et philologie
romanes, VII, Tübingen, Niemeyer, 503-511.
GROSSMANN, M., 1994, Opposizioni direzionali e prefissazione: analisi morfologica e semantica dei
verbi egressivi prefissati con des- e es- in catalano, Padova, Unipress [Monografie dei
Quaderni patavini di linguistica 14],
GROSSMANN, M., 1998, "Formazione dei nomi di agente, strumento e luogo in catalano", in Ruffino,
G. (a cura di), Atti del XXI congresso internazionale di linguistica e filologia romanza, II.
Morfologia e sintassi delle lingue romanze, Tübingen, Niemeyer, 383-392.
GROSSMANN, M., 1999, "Gli aggettivi denominali come basi di derivazione in italiano", in Benincà,
P. et al. (a cura di), 401-422.
GSELL, O., 1979, Gegensatzrelationen im Wortschatz romanischer Sprachen: Untersuchungen zur
lexikalischen Struktur des Französischen, Italienischen, Rumänischen und Spanischen, Tü-
bingen, Niemeyer.
GUASTI, M. T., 1991, "La struttura interna del sintagma aggettivale", in Renzi, L. et al. (a cura di), II,
321-337.
GUILBERT, L., 1971, "De la formation des unités lexicales", in Grand Larousse de la langue fran-
çaise, I, Paris, Larousse, IX-LXXXI.
HACKEN, P. TEN, 1994, Defining morphology: a principled approach to determining the boundaries of
compounding, derivation, and inflection, Hildesheim, Georg Olms Verlag.
HACKEN, P. TEN, 2000, "Derivation and compounding", in Booij, G. et al. (a cura di), 349-360.
HAJEK, J., 1988, "Survival of the suffix -unz(a) in Northern Italy and Romantsch", VRom 47, 103—
108.
HALL, C. J., 2000, "Prefixation, suffixation, and circumfixation", in Booij, G. et al. (a cura di), 3 4 9 -
360.
HALL, R. Α., JR., 1948, "Ancora i composti del tipo portabandiera, facidanno", LN 9 , 2 2 - 2 3 .
HALL, R. Α., JR., 1971, La struttura dell'italiano, Roma, Armando.
HALLER, H. W., 1988, "Sulla recente fortuna del prefisso maxi- nella lingua dei giornali italiani", LN
49, 84-88.
HANS-BIANCHI, B., 1995, "Neologismus, Wortbildung und die vielen Gesichter des Fremden: franzö-
sische und italienische Neologismen im Vergleich", ASNS 147 (232), 51-71.
HASPELMATH, M., 1996, "Word-class-changing inflection and morphological theory", YM 1995, 4 3 -
66.
HASPELMATH, M., 2002, Understanding morphology, London, Arnold.
HATCHER, A. G., 1951, Modern English word-formation and Neo-Latin: a study of the origins of
English (French, Italian, German) copulative compounds, Baltimore, Johns Hopkins Press.
HAWKINS, J. A. / GILLIGAN, G., 1988, "Prefixing and suffixing universale in relation to basic word
order", Lingua 74, 219-259.
626 Bibliografia
HEINIMANN, S., 1953, "Vom Kinderspielnamen zum Adverb: Ursprung und Entwicklung des Typus à
tâtons, a tastoni im Französichen und Italienischen mit einem Ausblick auf die übrigen ro-
manischen Sprachen", ZrP 69, l ^ t 2 .
HEINZ, M., 1999, "Filoiraniani, calciofili, affitopoli: Bemerkungen zur Wortbildung", Italienisch 41,
104-114.
HELLER, L. G. / MACRIS, J„ 1968, "A typology of shortening devices", AS 43, 201-208.
HENGEVELD, K., 1990, "The hierarchical structure of utterances", in Nuyts, J. et al. (a cura di), Layers
and levels of representation in language theory: a functional view, Amsterdam, Benjamins,
1-23.
HERCZEG, G., 1972, "La funzione del suffisso -ata: sostantivi astratti deverbali", SGI 2, 191-260.
HESLOP-HARRISON, J., 1975, Botanica, in Enciclopedia del Novecento, I, Roma, Istituto della Enci-
clopedia Italiana, 536-556.
HOINKES, U., 1993, "Zum Problem paragrammatischer Funktionen in der Wortbildung", in Schmitt,
C. (a cura di.), Grammatikographie der romanischen Sprachen, Bonn, Romanistischer
Verlag, 264-279.
HOLTUS, G. / PFISTER, M., 1985, "Strukturvergleich Deutsch-Italienisch: Behandlung repräsentativer
Einzelprobleme aus den Bereichen Morphosyntax, Wortbildung und Lexikologie", ZrP 101,
52-89.
HOPPER, P. J. / THOMPSON, S. Α., 1980, 'Transitivity in grammar and discourse", Language 56, 251-
299.
HOPPER, P. J. / TRAUGOTT, E. C., 1993, Grammaticalization, Cambridge, Cambridge University
Press.
HUMMEL, M., 2000, Adverbale und adverbialisierte Adjektive im Spanischen: Konstruktionen des
Typs Los niños duermen tranquilos und Mana corre rápido, Tübingen, Narr.
IACOBINI, C., 1992, La prefissazione nell'italiano contemporaneo, Tesi di dottorato, Università di
Roma "La Sapienza".
IACOBINI, C., 1993, "Il «termine» diventa «parola»", leO 8, 223-229.
IACOBINI, C., 1996, "Il principio di direzionalità nella morfologia derivazionale", LeSt 31, 215-237.
IACOBINI, C., 1998, "Distinguishing derivational prefixes from initial combining forms", in Booij, G.
et al. (a cura di), 132-140.
IACOBINI, C., 1999, "I prefissi dell'italiano", in Benincà, P. et al. (a cura di), 369-399.
IACOBINI, C., in stampa, "Due casi di interferenza dell'inglese sulla morfologia derivazionale
dell'italiano", in Sullam, A.-V. (a cura di), Italiano e inglese a confronto·, problemi di in-
terferenza linguistica, Firenze, Cesati.
IACOBINI, C. / GIULIANI, Α., 2001, "Sull'impiego di metodi quantitativi nella classificazione degli
elementi che prendono parte ai processi di formazione delle parole", in Albano Leoni, F. et
al. (a cura di), Dati empirici e teorie linguistiche: atti del XXXIII congresso internazionale
di studi della SLI, Roma, Bulzoni, 331-359.
IACOBINI, C. / SCALISE, S., 1997, "Les limites de la complexité dans les mots complexes", Silexicales
1, 1 5 1 - 1 6 1 .
IACOBINI, C. / THORNTON, A. M., 1992, 'Tendenze nella formazione delle parole nell'italiano del
ventesimo secolo", in Moretti, B. et al. (a cura di), 25-55.
IACOBINI, C. / THORNTON, A. M., 1994, "Italiano in quantità: che cosa è emerso da una base dati sul
vocabolario di base dell'italiano", IeO 9,276-285.
IBRAHIM, A. H., 1995, "A propos des oppositions suffixales entre langues proches: le français face à
l'espagnol et à l'italien", in Hernández Sacristán, C. et al. (a cura di), Aspectes de la reflexió
i de la praxi interlingüística, València, Facultat de Filolologia, Universität de València,
247-275 [Quadems de filologia: estudis linguistics 1].
IUESCU, M., 1972, "L'analyse sémique des suffixes italiens -aio et -aia", CLTA 9,177-200.
IUESCU, M., 1973, "L'analyse sémique du suffixe it. -iere", CLTA 10,185-194.
IUESCU, M., 1974, "L'analyse sémique du suffixe italien -iera", CLTA 11, 299-311.
IUESCU, M., 1977, "Structura semanticä a urmaçilor sufixului lat. -arìus, -aria, -arium în românâ çi în
italianä", SCL 28, 599-608.
Bibliografia 627
JACKENDOFF, Κ. S., 1972, Semantic interpretation in generative grammar, Cambridge Mass., MIT
Press.
JANNI, P., 1986, Il nostro greco quotidiano: i grecismi dei mass media, Roma / Bari, Laterza.
JARVELLA, R. J. / JOB, R., 1988, "La percezione delle parole scritte", in De Mauro, T. et al. (a cura di),
Dalla parte del ricevente: percezione, comprensione, interpretazione: atti del XIX congres-
so internazionale della SU, Roma, Bulzoni, 173-180.
JESPERSEN, O., 19332, "Symbolic value of the vowel Γ', in Id., Linguistica·, selected papers in English,
French, and German, Copenhagen, Levin & Munksgaard, 283-303 [prima versione in
Philologica 1, 1921-1922, 15-33].
JUNKER, Α., 1958, "Allerneueste Präfixbildungen im Italienischen", in Lausberg, H. et al. (a cura di),
Romanica: Festschrift für Gerhard Rohlfs, Halle, Niemeyer, 216-230.
JURAFSKY, D., 1996, "Universal tendencies in the semantics of the diminutive", Language 72, 533-
578.
KARIUS, I., 1976, "Zur Beziehung zwischen Wortbildung und Alltagswissen", in Braunmüller, K. /
Kürschner, W. (a cura di), 59-68.
KARIUS, I., 1985, Die Ableitung der denominaler Verben mit Nullsuffigierung im Englischen, Tübin-
gen, Niemeyer.
KARLSSON, K. E., 1981, Syntax and affixation", the evolution of MENTE in Latin and Romance, Tübin-
gen, Niemeyer.
KASTOVSKY, D„ 1973, "Causatives", FL 10, 255-315.
KASTOVSKY, D., 1976, "Zur Analyse von Nomina Actionis", in Braunmüller, Κ. / Kürschner, W. (a
cura di), 77-90.
KASTOVSKY, D., 1982, Wortbildung und Semantik, Düsseldorf / Bern, Bagel / Francke.
KENSTOWICZ, M., 1996, "Base-identity and uniform exponence: alternatives to cyclicity", in Durand,
J. / Laks, B. (a cura di), Current trends in phonology: models and methods, I, Salford, ESRI,
University of Salford Publications, 355-385.
KIPARSKY, P., 1997, "Remarks on denominal verbs", in Alsina, A. et al. (a cura di), Complex predi-
cates: structure and theory, Stanford, CSLI Publications, 473-499.
KIRKNESS, A. C., 1994, "Word-formation: neo-classical combination", in Asher, R. E. / Simpson, J.
M. Y. (a cura di), The encyclopedia of language and linguistics, IX, Oxford, Pergamon
Press, 5026-5028.
KLEIN, J. R„ 1975, "Adjectifs antonymiques et substantiation", CLex 26,47-55.
KOBLER-TRILL, D., 1994, Das Kurzwort im Deutschen: eine Untersuchung zu Definition, Typologie
und Entwicklung, Tübingen, Niemeyer.
KOCH, P., 1994, "Gedanken zur Metapher - und zu ihrer Alltäglichkeit", in Sabban, A. / Schmitt, C.
(a cura di), Sprachlicher Alltag: Linguistik - Rhetorik - Literaturwissenschaft'. Festschrift
für Wolf-Dieter Stempel, 7. Juli 1994, Tübingen, Niemeyer, 201-225.
KOCH, P., 1996, "La sémantique du prototype: sémasiologie ou onomasiologie?", ZFSL 106, 223-
240.
KOCH, P., 1999a, "Frame and contiguity: on the cognitive basis of metonymy and certain types of
word formation", in Panther, K.-U. / Radden, G. (a cura di), 139-167.
KOCH, P., 1999b, 'Tree and fruit: a cognitive-onomasiological approach", SILTA 28, 331-347.
KÖNIG, E., 1991, The meaning of focus particles: a comparative perspective, London / New York,
Routledge.
KÖRNER, Κ.-!!., 1987, "Neue Wörter im Italienischen: von den Möglichkeiten und Grenzen der Ko-
pulativkomposition", ItS 10,109-120.
Koß, G., 1996, "Warennamen", in Eichler, E. et al. (a cura di), Namenforschung: ein internationales
Handbuch zur Onomastik, II, Berlin / New York, Walter de Gruyter, 1642-1648.
KREFELD, T., 1999, "Agens mit Leib und Seele: zur Grammatikalisierung romanischer Adverbbildun-
gen", in Lang, J. / Neumann-Holzschuh, I. (a cura di), Reanalyse und Grammatikalisierung
in den romanischen Sprachen, Tübingen, Niemeyer, 111-127.
KREMER, R., 1996, Die Werkzeugbezeichnungen im Italienischen, Bonn, Romanistischer Verlag.
628 Bibliografia
KuRYtowicz, J., 1936, "Dérivation lexicale et dérivation syntaxique (contribution a la théorie des
parties du discours)", BSL 110, 37,79-92.
LACA, Β., 1986, Die Wortbildung als Grammatik des Wortschatzes: Untersuchungen zur spanischen
Subjektnominalisierung, Tübingen, Narr.
LAKOFF, G., 1987, Women, fire, and dangerous things: what categories reveal about the mind, Chi-
cago / London, University of Chicago Press.
LANGEN-KEFFENBRINCK, E. VON, 1993, "Italienische Pejorative und ihre Darstellung in Grammati-
ken", in Schmitt, C. (a cura di), Grammatikographie der romanischen Sprachen, Bonn,
Romanistischer Verlag, 345-358.
LANGEN-KEFFENBRINCK, E. VON, 1995, "Zur Substantivkomposition im Italienischen", in Schmitt,
C. / Schweickard, W. (a cura di), Die romanischen Sprachen im Vergleich, Bonn, Romani-
stischer Verlag, 214-226.
LARSON, P., 1990, "Preistoria dell'italiano -esco", AGI 75,129-168.
LAUDANNA, A. / BADECKER, W. / CARAMAZZA, Α., 1992, "Processing inflectional and derivational
morphology", JM&L 31, 333-348.
LAUDANNA, A. / BURANI, C., 1995, "Distributional properties of derivational affixes: implications for
processing", in Feldman, L. B. (a cura di), Morphological aspects of language processing,
Hillsdale, Erlbaum, 345-364.
LAUDANNA, A. / BURANI, C., 1999, "I processi lessicali: come è rappresentata la struttura morfologica
delle parole?", in Benincà, P. et al. (a cura di), 613-626.
LAUDANNA, A. / BURANI, C. / CERMELE, Α., 1994, "Prefixes as processing units", LCProc 9, 295-
316.
LAUSBERG, Η., 1969, Elementi di retorica, Bologna, Il Mulino [trad. it. di Elemente der literarischen
Rhetorik, München, Hueber, 19675].
LAZARD, S., 1998, "Il verbo denominativo in romagnolo: la questione della regolarità semantica del
sistema derivativo", RID 22,59-89.
LEHRER, Α., 1996, "Identifying and interpreting blends: an experimental approach", CognL 7, 359-
390.
LEHRER, A . / LEHRER, Κ . , 1 9 8 2 , " A n t o n y m y " , L&P 5,483-501.
LEONE, Α., 1981, "Varietà di -one", Paideia 36, 83-85.
LEPSCHY, G., 1987a, "Sexism and the Italian language", Italianist 7, 158-169.
LEPSCHY, G., 1987b, "Diminutivi veneti e italiani: a proposito di Libera nos a malo", in Holtus, G. /
Kramer, J. (a cura di), Romania et Slavia Adriatica: Festschrift fur Ζ. Muljacic, Hamburg,
Buske, 389-400.
LEPSCHY, G., 1989, "Lingua e sessismo", in Id., Nuovi saggi di linguistica italiana, Bologna, Il Muli-
no, 61-84.
LEPSCHY, G„ 1992, "Proposte per l'accento secondario", Italianist 12, 117-128.
LEPSCHY, G„ 1993, "Altre note sull'accento secondario", Italianist 13,266-268.
LEPSCHY, G. / LEPSCHY, A. L., 1981, La lingua italiana: storia, varietà dell'uso, grammatica, Milano,
Bompiani [trad it. di The Italian language today, London, Hutchinson, 1977],
LIEBER, R., 1981, On the organization of the lexicon, Blomington IN, Indiana University Linguistics
Club.
LIEBER, R. / BAAYEN, H., 1993, "Verbal prefixes in Dutch: a study in lexical conceptual structure",
YM1993, 51-78.
LINTNER, O., 1962, "Die Kürzungstendenz als treibende Kraft bei der Entstehung von Neologismen in
der italienischen Sprache, demonstriert an den Suffixbildungen", ÖB 11/4, 202-236.
Lo DUCA, M. G., 1987, "I bambini e le parole: su alcuni procedimenti di scoperta del significato",
QSem 8, 69-93.
Lo DUCA, M. G., 1988, "La difficile comprensione delle parole derivate: dalla parte dei bambini", in
De Mauro, T. et al. (a cura di), Dalla parte del ricevente: percezione, comprensione, inter-
pretazione: atti del XIX congresso internazionale della SLI, Roma, Bulzoni, 337-345.
Lo DUCA, M. G., 1989a, "Neologismi infantili su base morfologica: regole e creatività", LM 54, 308-
311.
Bibliografia 629
MALKIEL, Y. / TUTTLE, E. F., 1991, "Contrasting patterns of growth of the Latin suffix -ities in Italo-
and Hispano-Romance", GL 31, 67-100.
MANOLIU-MANEA, M., 1985, Tipología e historia: elementos de sintaxis comparada románica, Ma-
drid, Gredos [trad. sp. di Elemente de sintaxä comparatä romanica, tipologie ¡i istorie, Bu-
cureçti, Universitatea din Bucureçti, 1977].
MANZOTTI, E., 1985, Indicazioni di numero, in Schwarze, C. (a cura di), Bausteine für eine italieni-
sche Grammatik, II, Tübingen, Narr, 83-115.
MANZOTTI, E. / PUSCH, L. F., 1979, "Aspects of causality in Italian and German", JIL 4,183-201.
MARANDOLA, M. L., 1999, Nomi di ristoranti, trattorie, pizzerie e bar in Abruzzo, Tesi di laurea,
Università dell'Aquila.
MARANDOLA, Μ. L., 2000, "Per una classificazione linguistica delle insegne di ristoranti, trattorie,
pizzerie e bar in Abruzzo", RIOn 6,437-470.
MARAZZINI, C., 1994, La lingua italiana: profilo storico, Bologna, Il Mulino.
MARCANTONIO, A. / PRETTO, A. M., 1988, Il nome, in Renzi, L. et al. (a cura di), 1,315-332.
MARCHAND, H., 1953, "The question of derivative relevancy and the prefix s- in Italian", SL 7, 104—
114.
MARCHAND, H., 1963a, "Die Ableitung desubstantivischer Verben mit Nullmorphem im Französi-
schen und die entsprechenden Verhältnisse im Englischen und Deutschen", ZFSL 73, 164—
179.
MARCHAND, H., 1963b, "On content as a criterion of derivational relationship with back-derived
words", IF 68, 170-175.
MARCHAND, H„ 1964a, "Die Ableitung desubstantivischer Verben mit Nullmorphem im Englischen,
Französischen und Deutschen", NS 10,105-118.
MARCHAND, H., 1964b, "A set of criteria for the establishing of derivational relationship between
words unmarked by derivational morphemes", IF 69,10-19.
MARCHAND, H., 1969, "Die Ableitung deadjektivischer Verben im Deutschen, Englischen und Fran-
zösischen", IF 74,155-173.
MARCHAND, H., 19692 [I960 1 ], The categories and types of present-day English word-formation: a
synchronic-diachronic approach, München, Beck.
MARCONI, L. / OTT, M. / PESENTI, E. / RATTI, Ο. / TAVELLA, M., 1994, Lessico elementare: dati stati-
stici sull'italiano scritto e letto dai bambini delle elementari, Bologna, Zanichelli.
MARCOVECCHIO, E., 1968, "Terminologia scientifica: macro- e mega(lo)- sono sinonimi?", LN 29,
116-121.
MAROTTA, G„ 1987, "Dittongo e iato in italiano: una difficile discriminazione", AS Ν Ρ 17, 847-887.
MAROTTA, G., 1995, "La sibilante preconsonantica in italiano: questioni teoriche ed analisi speri-
mentale", in Ajello, R. / Sani, S. (a cura di), Scritti linguistici e filologici in onore di Trista-
no Bolelli, Pisa, Pacini, 393-438.
MARTÍN GARCÍA, J., 1998, La morfología léxico-conceptual: las palabras derivadas con RE-, Madrid,
Ediciones de la Universidad Autónoma de Madrid.
MARTÍN GARCÍA, J., 2003, "Los límites de la morfología y la sintaxis: la prefijación nominal", in
Sánchez Miret, F. (a cura di), Actas del XXIII congreso internacional de lingüística y filolo-
gía románica (24-30 septiembre 2001), Tübingen, Niemeyer, 385-394.
MASSEROLI, Α., 1994, Le semiparole nella lingua italiana contemporanea, Tesi di dottorato, Univer-
sità di Pavia.
MAVELLIA, C., 1991, Die Sprache der Jugendlichen in Mailand: Untersuchungen zur Semantik und
Wortbildung des aktuellen Italienischen, Frankfurt am Main, Peter Lang.
MAYERTHALER, W., 1981, Morphologische Natürlichkeit, Wiesbaden, Athenaion.
MAYO, Β . / SCHEPPING, M.-TH. / SCHWARZE, C . / ZAFFANELLA, Α., 1995, " S e m a n t i c s in the deriva-
tional morphology of Italian: implications for the structure of the lexicon", Linguistics 33,
883-938.
MAYRHOFER, S., 1993, Diminutiv- und Augmentativformen in der zeitgenössischen italienischen
Standardsprache und ihre Äquivalenzen im Deutschen, Innsbruck, Institut für Romanistik.
Bibliografia 631
MAZZINI, I., 1989, Introduzione alla terminologia medica: decodificazione dei composti e derivati di
origine greca e latina, Bologna, Pàtron.
MAZZUCCO, R., 1954, "Nomenclatura farmaceutica", LN15,50-55.
MEDICI, M„ 1959, "Superlativo di sostantivi", LN 20,120-123.
MEDICI, M., 1973, "Gli avverbi in -mente in italiano e nella pubblicità", in Gnerre, M. et al. (a cura
di), 181-195.
MEIER, H., 1980, "Das französische Präfix mé(s)- und seine romanischen Entsprechungen: eine Ety-
mologiegeschichte mit ungewissem Ausgang", RF 92, 333-349.
MEL'CUK, I., 2000, "Morphological processes", in Booij, G. et al. (a cura di), 523-535.
MENGALDO, P. V., 1994, Il Novecento, Bologna, Il Mulino.
MERLO, C , 1959, "Deverbali e derivati di verbi deverbali e participi accorciati", in Id., Saggi lingui-
stici, pubblicati in occasione del suo ottantesimo compleanno, Pisa, Pacini-Mariotti, 331-
338 [= Paideia 6,1951,97-101],
MEYER-LOBKE, W„ 1890, Italienische Grammatik, Leipzig, Reisland.
MEYER-LÜBKE, W., 1894, Grammatik der romanischen Sprachen, II. Romanische Formenlehre,
Leipzig, Fues's Verlag [rist.: Hildesheim, Olms, 1972].
MICELI, G. / CARAMAZZA, Α., 1988, "Dissociation of inflectional and derivational morphology", B&L
35, 24-65.
MIGLIORINI, Β., 1936, "I nomi italiani del tipo bracciante", VRom 1, 64-85 [rist. con aggiunte in Id.,
1957a, 109-128],
MIGLIORINI, Β., 1939, "Note sugli aggettivi derivati da sostantivi", in Mélanges de linguistique offerts
à Charles Bally, Genève, George et Cie, 251-262 [rist. in Id., 19633a, 145-167].
MIGLIORINI, B., 1945, "Fisiologia e patologia delle sigle", Accademia 1, 31-35.
MIGLIORINI, B., 1948, "A proposito dei nomi in -trice", Italica 25, 99-103 [rist. con aggiunte in Id.,
1957a, 129-137].
MIGLIORINI, Β., 1949 [19562], "Uso ed abuso delle sigle", in Id., Conversazioni sulla lingua italiana,
Firenze, Le Monnier, 86-90 [102-106 nella II ed.].
MIGLIORINI, B., 1952, "Il tipo sintattico «Votate socialista»", LN 13, 113-118 [rist. in Id., 19633a,
268-292],
MIGLIORINI, B., 1957a, Saggi linguistici, Firenze, Le Monnier.
MIGLIORINI, B„ 1957b, "I nomi maschili in -a", in Id., 1957a, 53-108 [prima versione in StRom 25,
1934, 5-76],
MIGLIORINI, B., 1957c, "Sulla tendenza a evitare il cumulo dei suffissi nella formazione degli aggetti-
vi", in Id., 1957a, 135-147 [prima versione in Sache, Ort und Wort: Jakob Jud zum 60. Ge-
burtstag, 12. Januar 1942, Genève, Droz, 1943,442-452],
MIGLIORINI, Β., 1960, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni.
MIGLIORINI, B., 1963, Parole nuove. Appendice di dodicimila voci al «Dizionario moderno» di Alfre-
do Panzini, Milano, Hoepli.
MIGLIORINI, B., 19633a [1941'], Saggi sulla lingua del Novecento, Firenze, Sansoni.
MIGLIORINI, B., 19633b, "I prefissoidi (il tipo aeromobile, radiodiffusione)", in Id., 19633a, 9-60
[prima versione: "Il tipo radiodiffusione nell'italiano contemporaneo", AGI 27, 1935, 13-
39],
MIGLIORINI, B., 19633C, "Appunti sulla lingua contemporanea, I. Anteguerra, dopoguerra", in Id.,
19633a, 213-223 [prima versione in Cult.N.S. 10, 1931, 412-415],
MIGLIORINI, B„ 19633d, "Appunti sulla lingua contemporanea, II. Il suffisso -istico", in Id., 19633a,
99-144 [prima versione in Cult.N.S. 10,1931,976-984],
MIGLIORINI, B., 19633e, "Super- nella lingua contemporanea", in Id„ 19633a, 61-98 [prima versione
in ArchRom 21, 1937, 211-227],
MIGLIORINI, B., 19634 [19381], Lingua contemporanea, Firenze, Sansoni.
MIGLIORINI, B., 1968a, Dal nome proprio al nome comune, Firenze, Olschki [rist. fotostatica dell'ed.
del 1927 con un supplemento].
MIGLIORINI, B., 1968b, Profili di parole, Firenze, Le Monnier.
MIGLIORINI, B., 1975a, Parole e storia, Milano, Rizzoli.
632 Bibliografia
NESPOR, M., 1985, "The phonological word in Italian", in Hülst, H. van der / Smith, Ν. (a cura di),
Advances in nonlinear phonology, Dordrecht, Foris, 193-204.
NESPOR, M„ 1988, "Il sintagma aggettivale", in Renzi, L. et al. (a cura di), 1,425-441.
NESPOR, M., 1993, Fonologia, Bologna, Il Mulino.
NESPOR, M. / VOGEL, I., 1986, Prosodie phonology, Dordrecht, Foris.
NIEUWENHUIS, P., 1985, Diminutives, Tesi di dottorato, Università di Edimburgo.
NITROLA, C , 1998, Morfologia dei toponimi italiani, Tesi di laurea, Università dell'Aquila.
NOBILE, T., 1950a, "L'accento negli accorciamenti", LNÌ1, 25-26.
NOBILE, T., 1950b, "Parole composte con -mano, -piede, -via", LN11, 71-72.
NOBILE, T., 1951, "Neoformazioni in -ίίαΓ, LN 12, 50-51.
NÜBLING, D., 2000, "The semiotic and morphological structure of German toponyms: different strate-
gies for indicating propriality", in Doleschal, U. / Thornton, A. M. (a cura di), 127-137.
OLIVIERI, D., 1937, 'Toponomastica", in Enciclopedia italiana, XXXIV, Roma, Istituto della Enci-
clopedia Italiana, 7-13.
OLSEN, S., 2001, "Copulative compounds: a closer look at the distinction between morphology and
syntax", YM 2000, 279-320.
ONIGA, R., 1988,1 composti nominali latini: una morfologia generativa, Bologna, Pàtron.
OOSTENDORP, M. VAN, 1999, "Italian S-voicing and the structure of the phonological word", in Han-
nahs, S. J. / Davenport, M. (a cura di), Issues in phonological structure: papers from an in-
ternational workshop on phonological structure, University of Durham, September 1994,
Amsterdam, Benjamins, 195-212.
ORIOLES, V., 1986, "Formazioni russe in -nik in italiano", IncLing 11,175-184.
PAGAN, M„ 1998, "Il serbatoio classico nella terminologia commerciale dell'alta fedeltà", SLI 24,
213-238.
PAGGIO, P. / 0RSNES, B., 1993, "Automatic translation of nominal compounds: a case study of Danish
and Italian", RdL 5,129-156.
PAGLIARO, Α., 1930, Sommario di linguistica arioeuropea, Roma, L'Universale.
PANTHER, K.-U. / RADDEN, G. (a cura di), 1999, Metonymy in language and thought, Amsterdam,
Benjamins.
PANZERI, M. / JOB, R., 1993, "Evidenza neuropsicologica per un modello dell'elaborazione
dell'informazione morfologica", in Laudanna, A. / Burani, C. (a cura di), Il lessico: processi
e rappresentazioni, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 93-106.
PANZERI, M . / SEMENZA, C . / FERRERI, T . / BUTTERWORTH, B „ 1 9 9 0 , " F r e e u s e of d e r i v a t i o n a l m o r -
phology in an Italian jargonaphasic", in Nespoulos, J.-L. / Villiard, P. (a cura di), Morphol-
ogy, phonology, and aphasia, New York, Springer, 72-94.
PASQUALI, G., 1948, "Fanghino, bagnino", LN 9,42.
PASQUALI, G., 1949, "Composti nominali divisibili", LN 10,56-57.
PATOTA, G., 1985, "Sulla formazione dei nomi dei medicinali", SLI 11,273-283.
PAUL, H., 1880 [1975 9 ], Prinzipien der Sprachgeschichte, Tübingen, Niemeyer.
PAVESI, M., 1998, "«Same word, same idea»: conversion as a word formation process", IRAL 36,
213-231.
PEPERKAMP, S., 1995, "Prosodie constraints in the derivational morphology of Italian", YM 1994,
207-244.
PEPERKAMP, S., 1997a, Prosodie words. Den Haag, Holland Academic Graphics.
PEPERKAMP, S., 1997b, "The prosodie structure of compounds", in Matos, G. et al. (a cura di), Inter-
faces in linguistic theory : selected papers from the international conference on interfaces in
linguistics (Porto, November 13-171995), Lisboa, Colibri, 259-279.
PERUGINI, M., 1994, "La lingua della pubblicità", in Serianni, L. / Trifone, P. (a cura di), 599-615.
PESTELLI, L., 19794 [1957 1 ], Parlare italiano, Milano, Feltrinelli.
PETROCELLI, S., 1992, "La composizione nominale in italiano e in tedesco", SILTA 21, 65-82.
PETTENATI, G., 1 9 5 2 , " I l s u f f i s s o -one in m e d i c i n a " , LN 13, 1 2 3 - 1 2 4 .
PETTENATI, G., 1955a, "A proposito di sigle", LN 16, 91.
PETTENATI, G., 1955b, "Nomenclatura farmaceutica (e nomi brevettati commerciali)", LN 16,22-27.
634 Bibliografia
PETTENATI, G., 1955C, "Produttività del suffisso -one di unità", LN16, 87.
PEYTARD, J., 1975, Recherches sur la préfixation en français contemporain, Paris, Champion.
PICCOLO, A . ET AL., 1979, "Chirurgia ricostruttiva della mammella dopo mastectomia", AMM 24, 7 -
64.
PITT, D. / KATZ, J. J., 2000, "Compositional idioms", Language 76,409^32.
PLAG, I., 1998, " T h e polysemy o f -ize derivatives: on the role o f semantics in word formation", YM
1997,219-242.
PLAG, I., 1999, Morphological productivity, structural constraints in English derivation, Berlin / N e w
Y o r k , Mouton de Gruyter.
PLANGG, G. Α . , 1983, "Kontextsensitive Komposita in der italienischen Werbung", ItS 6,129-135.
PLANK, F., 1981, Morphologische (Ir-)Regularitäten: Aspekte der Wortstrukturtheorie, Tübingen,
Narr.
PLATEN, C., 1997, «Ökonymie»: zur Produktnamen-Linguistik im europäischen Binnenmarkt, Tübin-
gen, Niemeyer.
POGGI, I., 1981, L e interiezioni: studio del linguaggio e analisi della mente, Torino, Boringhieri.
POLLONI, E., 1980, " L a formazione delle parole in russo e in italiano (i suffissi derivativi come forme
che partecipano alla vitalità e alla produttività di una lingua): i suffissi derivativi d'agente,
di relazione e di astrazione", RILA 12, 93-105.
PORZIG, W „ 1930-1931, " D i e Leistung der Abstrakta in der Sprache", BDPh 4,66-77.
POST, M . , 1986, " A prototype approach to denominal adjectives", in Kastovsky, D. / Szwedek, A . (a
cura di), Linguistics across historical and geographical boundaries: in honour of Jacek
Fisiak on the occasion of his 5(fh birthday, II, Berlin, Mouton de Gruyter, 1003-1013.
POUNTAIN, C. J., 1992, " L a notion de devenir en roman", RLiR 56,427^137.
PRANDI, M . , 1992, " U s i obliqui dell'aggettivo: dalla parola d'autore all'uso comune", in Moretti, B. et
al. (a cura di), 303-320.
PRATI, Α., 1931, "Composti imperativali quali casati e soprannomi", RLiR 7, 250-264.
PRATI, Α., 1958, " N o m i composti con verbi", RLiR 22,98-119.
PRICE, F. W . , 1983, Medicina interna, Bologna, Zanichelli [trad. it. sotto la direzione di U. Butturini e
E. Zanella],
PUCCIONI, G., 1951, "Neologismi in -izzare da nomi di luogo", LN 12, 86.
RADTKE, E., 1977, "Prostituta in modem Italian: I. Suffixation and the semantic field", Maledicta 1/2,
201-210.
RADTKE, E., 1991, "Das Suffix -aro im Gegenwartsitalienischen", Italienisch 26, 84-85.
RADTKE, E., 1994, "Zur Produktivität von -izzare im Gegenwartsitalienischen", Italienisch 31, 76-77.
RAFFAELLI, S „ 1980, " L U C E : da sigla a nome comune", LN 41,99-102.
RAFFAELLI, S., 1995, " U n suffisso di regime? N o m i di città in -ia", RIOn 1, 32^4-0.
RAINER, F., 1983a, Intensivierung im Italienischen, Salzburg, Institut für Romanistik der Universität
Salzburg [Salzburger romanistische Schriften V I I ] .
RAINER, F., 1983b, "L'intensificazione di aggettivi mediante -issimo", in Dardano, M . et al. (a cura
di), 94-102.
RAINER, F., 1984, " D i e Substantivierung «menschlicher» Adjektive im Italienischen", ItS 1,141-150.
RAINER, F., 1985, "Adjektiv-Adverbien im «français populaire»", in Kürschner, W . / V o g t , R . (a cura
di), Sprachtheorie, Pragmatik, Interdisziplinäres: Akten des 19. linguistischen Kolloquiums
Vechta 1984, II, Tübingen, Niemeyer, 83-94.
RAINER, F., 1986, "Recursiveness in word-formation, with special regard to Spanish", ALH 36, 197—
209.
RAINER, F., 1987, "Zur Rolle der paradigmatischen Achse in der Wortbildung: eine Fallstudie zu den
italienischen nomina qualitatis", ItS 10,149-173.
RAINER, F., 1988a, "Towards a theory o f blocking: the case o f Italian and German quality nouns", YM
1988,155-185.
RAINER, F., 1988b, "Bemerkungen zu Körners Aufsatz über italienische Kopulativkomposita", ItS 11,
131-135.
RAINER, F., 1989a, I nomi di qualità nell'italiano contemporaneo, W i e n , Braumüller.
Bibliografia 635
RAINER, F., 1989b, "Das Präfix neo- im Italienischen und in anderen europäischen Sprachen", Italie-
nisch 21,46-58.
RAINER, F., 1990, "Appunti sui diminutivi italiani in -etto e -ino", in Berretta, M. et al. (a cura di),
207-218.
RAINER, F., 1993a, Spanische Wortbildungslehre, Tübingen, Niemeyer.
RAINER, F., 1993b, "Setenta años (1921-1990) de investigación en la formación de palabras del
español moderno: bibliografía crítica selectiva", in Varela, S. (a cura di), La formación de
palabras, Madrid, Tauros, 30-70.
RAINER, F., 1996a, "Copernicano e luterano: sul ruolo del latino nella derivazione deantroponimica
italiana", LN 57,48-49.
RAINER, F., 1996b, "La polysémie des noms abstraits: historique et état de la question", in Flaux, N.
et al. (a cura di), Les noms abstraits: histoire et théories, Villeneuve d'Ascq, Presses Uni-
versitaires du Septentrion, 117-126.
RAINER, F., 1996c, "Inflection inside derivation: evidence from Spanish and Portuguese", YM 1995,
83-91.
RAINER, F., 1996d, "Auslautdopplung im Italienischen", Italienisch 35,44-54.
RAINER, F., 1996e, "Geographische Adjektive in pränominaler Stellung", Italienisch 35,44-54.
RAINER, F., 1997, "Vers une contrainte sur les stades dérivationnels virtuels", Silexicales 1, 231-240.
RAINER, F., 1998a, "De' Malthusiani, Ricardiani e Smithiani", LN 59,48-49.
RAINER, F., 1998b, "Paradigmatic factors in the irradiation of allomorphy: the reanalysis of the Latin
type MANU AUS in Italian", in Booij, G. et al. (a cura di), 77-85.
RAINER, F., 1999a, "I meccanismi di diffusione di allomorfí: il caso della rianalisi del tipo latino man·
u-alis in italiano", in Benincà, P. et al. (a cura di), 423^4-52.
RAINER, F., 1999b, "La derivación adjetival", in Bosque, I. / Demonte, V. (a cura di), Gramática
desciptiva de la lengua española, III, Madrid, Espasa Calpe, 4595-4643.
RAINER, F., 1999c, "Italiano e latino giuridico: il caso del prefisso retro-", LN 60, 79-82.
RAINER, F., 2001a, "Compositionality and paradigmatically determined allomorphy in Italian word-
formation", in Schaner-Wolles, Ch. et al. (a cura di), 383-392.
RAINER, F., 2001b, "L'origine di alco(o)lismo",LN62,42-43.
RAINER, F., 2002a, "Zum Problem der Suffixwahl im Bereich der Relationsadjektive zu spanischen
Schriftstellernamen", in Kremer, D. et al. (a cura di), Onomastik, V. Onomastik und Lexiko-
graphie, Deonomastik, Tübingen, Niemeyer, 115-127.
RAINER, F., 2002b, "Convergencia y divergencia en la formación de palabras de las lenguas románi-
cas", in García-Medall, J. (a cura di), Aspectos de morfología derivativa del español, Lugo,
TrisTram, 103-133.
RAINER, F., 2002c, "Elettorato", LN63,28.
RALLI, Α., 1992, "Compounding in modern Greek", RdL 4,143-173.
RALLI, A. / STAVROU, M., 1998, "Morphology-syntax interface: A-N compounds vs. A-N constructs
in modern Greek", YM 1997, 243-264.
RAMAT, P., 1990, "Definizione di «parola» e sua tipologia", in Berretta, M. et al. (a cura di), 3-15.
RAMAT, P., 1992, "Thoughts on degrammaticalization", Linguistics 30, 549-560.
RAMAT, P. / RICCA, D., 1994, "Prototypical adverbs: on the scalarity / radiality of the notion of AD-
VERB", RdL 6, 289-326.
RAMAT, P. / RICCA, D., 1998, "Sentence adverbs in the languages of Europe", in Auwera, J. van der (a
cura di), Adverbial constructions in the languages of Europe, Berlin, Mouton de Gruyter,
187-275.
REINHEIMER-RIPEANU, S., 1968, "Les suffixes -iser et -lilfier en français", in Quilis, A. et al. (a cura
di), Actas del XI congreso internacional de lingüística y filología románicas, III, Madrid,
CSIC, 1361-1368.
REINHEIMER-RIPEANU, S., 1974, Les dérivés parasynthétiques dans les langues romanes: roumain,
italien, français, espagnol, The Hague / Bucureçti, Mouton / Editura Academiei.
RENZI, L„ 2000, "Le tendenze dell'italiano contemporaneo: note sul cambiamento linguistico nel
breve periodo", SUI 17, 279-319.
636 Bibliografia
SCALISE, S., 1990b, "Constraints on the Italian suffix -mente", in Dressler, W. U. et al. (a cura di), 87-
98.
SCALISE, S., 1991, "Lessico e regole di formazione di parola", in Borghello, G. et al. (a cura di), Saggi
di linguistica e di letteratura in memoria di Paolo Zolli, Padova, Antenore, 355-372.
SCALISE, S „ 1992a, "Compounding in Italian", RdL 4,175-199.
SCALISE, S., 1992b, "Morfologia", in Mioni, A. M. / Cortelazzo, M. A. (a cura di), La linguistica
italiana degli anni 1976-1986, Roma, Bulzoni, 195-218.
SCALISE, S „ 1994, Morfologia, Bologna, Il Mulino.
SCALISE, S., 1995, " L a formazione delle parole", in Renzi, L. et al. (a cura di), III, 471-514.
SCALISE, S., 1996, "Preliminari per lo studio di un affisso: -tore o -oreT, in Benincà, P. et al. (a cura
di), Italiano e dialetti nel tempo: saggi di grammatica per Giulio C. Lepschy, Roma, Bulzo-
ni, 291-307.
SCALISE, S., 1998, "Aspetti problematici della semantica in morfologia derivazionale", in Bernini, G.
et al. (a cura di), Ars linguistica: studi offerti da colleghi ed allievi a Paolo Ramat in occa-
sione del suo 60" compleanno, Roma, Bulzoni, 467-480.
SCALISE, S., 1999a, "Rappresentazione degli affissi", in Benincà, P. et al. (a cura di), 453-481.
SCALISE, S., 1999b, "Argument structure in complex words", in Favretti, R. Rossini et al. (a cura di),
Incommensurability and translation: Kuhnian perspectives on scientific communication and
theory change, Cheltenhan / Northampton, E. Elgar, 407-424.
SCALISE, S. / BEVILACQUA, F. / Buoso, A. / PIANTINI, G., 1990, "Il suffisso -mente", SILTA 19,61-88
[= in Eusebi, M. (a cura di), Studi medievali e romanzi in memoria di Alberto Limentani,
Roma, Jouvence, 1991,155-179].
SCALISE, S. / CERESA, M . / DRIGO, M . / GOTTARDO, M . / ZANNIER, I., 1983, "Sulla nozione di « b l o c -
king» in morfologia derivazionale", LeSt 18,243-269.
SCAVUZZO, C „ 1979, "Bierrista", LN 40, 79-80.
SCHAFFER, M. E., 1987, "The vernacular transmission of -tüdol-tüdine in Romance: substitution,
modification, and unimpaired development", Diachronica 4,55-78.
SCHAFROTH, E., 1998, "Produttività e accettabilità dei verbi in -icchiare, -occhiare, -ucchiare", in
Ruffino, G. (a cura di), Atti del XXI congresso intemazionale di linguistica e filologia ro-
manza, III. Lessicologia e semantica delle lingue romanze, Tübingen, Niemeyer, 793-805.
SCHANER-WOLLES, CH. / RENNISON, J. / NEUBARTH, F. (a cura di), 2001, Naturally! Linguistic studies
in honour of Wolfgang Ulrich Dressler presented on the occasion of his 60'h birthday, To-
rino, Rosenberg & Sellier.
SCHEPPING, M.-T., 1996a, "Zur Valenz abgeleiteter italienischer Nomina", in Blumenthal, P. et al. (a
cura di), Lexikalische Analyse romanischer Sprachen, Tübingen, Niemeyer, 113-123.
SCHEPPING, M.-T., 1996b, "Zur Semantik von Derivaten: Wörter mit dem Präfix s- im Italienischen",
in Weigand, E. / Hundsnurscher, F. (a cura di), Lexical structures and language use:
proceedings of the international conference on lexicology and lexical semantics, Münster,
September 13-15, 1994, II, Tübingen, Niemeyer, 267-277.
SCHLESINGER, I. M., 1989, "Instruments as agents: on the nature of semantic relations", JL 25, 189—
210.
SCHMID, H „ 1976, "It. Teodò! 'oh Theodor!': vocativus redivivus?", in Colón, G. / Kopp, R. (a cura
di), Mélanges de langues et de littératures romanes offerts à Cari Theodor Gossen, Bern /
Liège, Francke / Marche Romane, 827-864.
SCHMID, S., 1995, "Morphological naturalness in Spanish-Italian interlanguages", in Pishwa, H. /
Maroldt, K. (a cura di), The development of morphological systematicity : a cross-linguistic
perspective, Tübingen, Narr, 263-291.
SCHMIDT, R., 1972, L'adjectif de relation en français, italien, anglais et allemand: étude comparée,
Göppingen, Kümmerle.
SCHULTZ, Α. Η., 1925, "Re-, ri- in the Divina Commedia", MPh 22, 379-389.
SCHWARZE, C., 1988 [19952], "Kapitel III. Wortbildung", in Id., Grammatik der italienischen Spra-
che, Tübingen, Niemeyer, 485-619.
SCHWARZE, C., 1994a, "Struttura grammaticale e uso del lessico", in De Mauro, T. (a cura di), 71-81.
638 Bibliografia
SCHWARZE, G , 1994b, "Ein Fall strukturell bedingter Wissensabhängigkeit der Übersetzung: die
Wiedergabe einer Klasse italienischer nomina vicis im Deutschen", in Bosch, P. / Habel, C.
(a cura di), Kognitive Grundlagen für interlinguabasierte Übersetzung, Heidelberg, IBM
Deutschland, 135-154 [Working papers of the Institute for logic & linguistics 3],
SCHWARZE, C„ 1997, "Strutture semantiche e concettuali nella formazione delle parole", in De Mau-
ro, T. / Lo Cascio, V. ( a cura di), 311-329.
SCHWARZE, C., 1999a, "Inflectional classes in lexical functional morphology: Latin -sk- and its evo-
lution", in Butt, M. / King, T. H. (a cura di), The proceedings of the LFG '99 conference,
University of Manchester, CSLI Publications, http://csli-publications.stanford.edU/LFG/4/
schwarze/lfg99-schwarze.html.
SCHWARZE, C., 1999b, "Lexical-functional morphology and the structure of the lexicon", in Mereu, L.
(a cura di), Boundaries of morphology and syntax, Amsterdam, Benjamins, 73-95.
SCHWEICKARD, W., 1988, "«II leader de»: Anmerkungen zu einigen Initialabkürzungen im Italieni-
schen", Italienisch 19, 82-84.
SCHWEICKARD, W., 1991, "Semantische und morphologische Entwicklungsformen von Ethnika (am
Beispiel von it. veneziano)", in Kramer, J. (a cura di), Sive Podi ripis Athesim seu propter
amoenum: Studien zur Romanität in Norditalien und Graubünden: Festschrift für Giovan
Battista Pellegrini, Hamburg, Buske, 345-354.
SCHWEICKARD, W., 1992, «Deonomastib>: Ableitungen auf der Basis von Eigennamen im Französi-
schen (unter vergleichender Berücksichtigung des Italienischen, Rumänischen und Spani-
schen), Tübingen, Niemeyer.
SCHWEICKARD, W., 1993a, "Il ruolo della formazione delle parole nei dizionari italiani e francesi", in
Hilty, G. (a cura di), Actes du XXe congrès international de linguistique et philologie roma-
nes, IV, Bern, Francke, 499-509.
SCHWEICKARD, W., 1993b, "Zum übertragenen Gebrauch des Suffixes -ite im Italienischen und ande-
ren Sprachen", ZrP 109,136-147.
SCHWEICKARD, W., 1995, "It. cazzo", in Hoinkes, U. (a cura di), Panorama der lexikalischen Seman-
tik: thematische Festschrift aus Anlass des 60. Geburtstags von Horst Geckeier, Tübingen,
Narr, 6 0 5 - 6 1 2 .
SCHWEICKARD, W., 1997-, Deonomasticon Italicum: dizionario storico dei derivati da nomi geogra-
fici e da nomi di persona, Tübingen, Niemeyer.
SCHWEICKARD, W., 1999, "Gli antroponimi nel Deonomasticon Italicum (DI) (articolo modello He-
gel)", RIOn 5,465-468.
SEEWALD, U., 1996, Morphologie des Italienischen, Tübingen, Niemeyer.
SEMENZA, C . / BUTTERWORTH, B . / PANZERI, M . / FERRERI, T., 1 9 9 0 , " W o r d f o r m a t i o n : n e w e v i d e n c e
from aphasia", Neuropsychologia 28,499-502.
SEMENZA, C. / BUTTERWORTH, B . / PANZERI, M . / HITTMAIR-DELAZER, M . , 1 9 9 2 , " D e r i v a t i o n a l r u l e s
in aphasia", in Buszard-Welcher, L. A. et al. (a cura di), Proceedings of the eighteenth an-
nual meeting of the Berkeley linguistics society·, general session and parasession on the
place of morphology in a grammar, Berkeley, Berkeley Linguistics Society, 435-440.
SERIANNI, L„ 1978, "Nomi d'alberghi", LN 39,56-62.
SERIANNI, L., 1983, "Neologia e suffissazione: alcuni appunti", in Dardano, M. et al. (a cura di), 5 1 -
63.
SERIANNI, L. (con la collaborazione di A. CASTELVECCHI), 1988, Grammatica italiana: italiano co-
mune e lingua letteraria: suoni, forme, costrutti, Torino, UTET.
SERIANNI, L. (con la collaborazione di A. CASTELVECCHI), 1989a, Grammatica italiana·, italiano
comune e lingua letteraria·, suoni, forme, costrutti, Torino, UTET Libreria [editio minor],
SERIANNI, L., 1989b, Saggi di storia linguistica italiana, Napoli, Morano.
SERIANNI, L., 1989c, 'Tecnicismi medici e farmacologici contemporanei", in Id., 1989b, 381-420.
SERIANNI, L., 1994, "Il LIP e la formazione delle parole", in De Mauro, T. (a cura di), 257-264.
SERIANNI, L. / TRIFONE, P. (a cura di), 1994, Storia della lingua italiana, II. Scritto e parlato, Torino,
Einaudi.
Bibliografia 639
SERRA, G., 1951, "Suffissi, aspetti e problemi della terminologia professionale medioevale italiana: 1.
La carta fornaio dell'AIS e suoi complementi storici", in Draye, H. / Jodogne, O. (a cura
di), Troisième congrès international de toponymie et d'anthroponymie: actes et mémoires,
Louvain, International centre of onomastics, 800-809.
SERRANO DOLADER, D., 1995, Las formaciones parasintéticas en español, Madrid, Arco Libros.
SERRANO DOLADER, D., 1999, "La derivación verbal y la parasíntesis", in Bosque, I. / Demonte, V. (a
cura di), Gramática descriptiva de la lengua española, III, Madrid, Espasa Calpe, 4683-
4755.
SGROI, S. C., 1998, "Variabilità testuale e plurilinguismo del Gattopardo", in Giarrizzo, G. (a cura
di), Tornasi e la cultura europea: atti del convegno intemazionale (Palermo, Real Albergo
dei Poveri, 25-26 maggio 1996), II, Catania, Università degli Studi di Catania, Facoltà di
Lettere e Filosofia, 155-172.
SGROI, S. C., 2000, "(Im)produttività dei suffissi -oso, -ioso, -uoso e problemi di etimologia sincroni-
ca e diacronica", QSem 21/2, 265-318.
SGROI, S. C., 2002, "-uario: un suffisso misconosciuto", SU 28, 60-93.
SGROI, S. C., 2003, "«Per una definizione di confisso»: composti confissati, derivati confissati, para-
sintetici confissati vs etimi ibridi e incongrui", QSem 24/1, 81-153.
SGROI, S. C., in stampa a, "Aggravio, sgravio, disgravio e il suffiso nominale atono - io", LN.
SGROI, S. C„ in stampa b, "Due confissi misconosciuti", LeSt.
SIEGEL, D., 1979, Topics in English morphology, New York / London, Garland [= Cambridge Mass.,
M I T , 1974],
SiGG, M., 1953, Die Deminutivsuffixe im Toskanischen, Affoltern, Weiss [= Bern, Francke, 1954].
SILLER-RUNGGALDŒR, H., 1996, Das Objektoid: eine neue syntaktisch-funktionale Kategorie, aufge-
zeigt anhand des Italienischen, Wilhelmsfeld, Egert.
SILLER-RUNGGALDIER, H„ 1998, "Verben mit variablem Rektionsverhalten (Subjekt + direktes Objekt
/ Objektoid) im Italienischen und Französischen", RomGG 4,139-151.
SILVESTRONI, P., 19929, Fondamenti di chimica, Milano / Parigi / Barcellona / Bonn, Masson / Edito-
riale Veschi.
SIMONE, R., 1983, "Derivazioni mancate", in Dardano, M. et al. (a cura di), 37-50.
SIMONE, R., 1997, "Esistono verbi sintagmatici in italiano?", in De Mauro, T. / Lo Cascio, V. (a cura
di), 1 5 5 - 1 7 0 .
SKOUSEN, R. / LONSDALE, D. / PARKINSON, D. B. (a cura di), 2002, Analogical modeling·, an exem-
plar-based approach to language, Amsterdam, Benjamins.
SKYTTE, G. / SALVI G., 1991, "L'infinito come testa del sintagma nominale (infinito con l'articolo o
altro determinante)", in Renzi, L. et al. (a cura di), II, 559-569.
SOBRERO, Α. Α., 1993, "Lingue speciali", in Id. (a cura di), Introduzione all'italiano contemporaneo,
II. La variazione e gli usi, Roma / Bari, Laterza, 237-277.
SPENCER, Α., 1991, Morphological theory: an introduction toward structure in generative grammar,
Oxford, Blackwell.
SPENCER, A. (a cura di), 2001, The handbook of morphology, Oxford, Blackwell.
SPENCER, Α., 2003, "Does English have productive compounding?", in Booij, G. et al. (a cura di)
Topics in morphology: selected papers from third Mediterranean Morphology Meeting
(Universität Pompeu Fabra, Barcelona, 2001), Barcelona, IULA-UPF, 329-341.
SPORE, P., 2002, "Les dérivés des noms de villes italiennes", in Kremer, D. et al. (a cura di), Ono-
mastik, V. Onomastik und Lexikographie, Deonomastik, Tübingen, Niemeyer, 157-164.
STAAFF, E„ 1927, "Quelques réflexions sur le préfixe minus- dans les langues romanes", in Mélanges
de philologie et d'histoire offerts à M. Antoine Thomas par ses élèves et ses amis, Paris,
Champion, 427^*32.
STAAFF, E., 1931-1932, "Sur la formation d'adjectifs postverbaux en français", SNPh 4,97-119.
STAIB, B., 1989, 'Typisierung und Hierarchisierung der sprachlichen Transposition", RJb 40,15-25.
STÀNCIULESCU-CUZA, M., 1974, Corso di lingua italiana contemporanea: lessicologia (la formazione
delle parole), Bucureçti, Universitatea din Bucureçti.
640 Bibliografia
STATI, S., 1979, La sémantique des adjectifs: essai d'analyse componentielle appliqué aux langues
romanes, Saint-Sulpice de Favières, Jean-Favard.
STEFANELLI, R., 1998-1999, "Su alcuni composti esocentrici dell'italiano: il tipo V+V (saliscendi,
andirivieni, fuggifuggi)", QDLF 9, 31-47.
STEFANINI, R., 1982, "Alterazione e derivazione nominale intorno alle «parti del corpo» in italiano",
AGI 67, 136-165.
STERPELLONE, L., 1976, Eponimia medica·, segni, sintomi, sindromi, metodi, Roma, Società Editrice
Universo.
STEWART, D., 1987, "Forms for women in Italian", Italianist 7,170-192.
STORER, T . I. / USINGER, R . L. / STEBBINS, R . C . / NYBAKKEN, J. W „ 1 9 8 2 , Zoologia, Bologna, Zani-
chelli [ed. it. a cura di P. Brignoli].
STRASBURGER, E. ET AL., 19827, Trattato di botanica per le scuole superiori, Roma, Delfino [trad. it.
dell'ed. rielaborata da D. von Denfer et al., 197931].
STUMP, G. T., 1993. "How peculiar is evaluative morphology?", JL 29,1-36.
STUMP, G., 2001, "Affix position", in Haspelmath, M. et al. (a cura di), Language typology and lan-
guage universals: an international handbook, Berlin / New York, de Gruyter, 708-714.
SuGETA, S., 1989, "Il sintagma nominale del tipo parola-chiave in italiano e nelle lingue romanze", in
Foresti, F. et al. (a cura di), L'italiano tra le lingue romanze: atti del XX congresso interna-
zionale di studi della SLI, Roma, Bulzoni, 195-212.
SUGETA, S., 1992, "I nomi composti «verbo+nome» in italiano moderno", in Moretti, B. et al. (a cura
di), 2 1 7 - 2 2 2 .
SWEET, H., 1892, A new English grammar logical and historical, I. Introduction, phonology and
accidence, Oxford, Clarendon Press.
SZABÓ, G., 1988, "I nomi professionali al femminile: vent'anni dopo", Acta Romanica 12,29-52.
TALMY, L., 1976, "Semantic causative types", in Shibatani, M. (a cura di), The grammar of causative
constructions, New York, Academic Press, 43-116 [Syntax and semantics VI].
TALMY, L., 1985, "Lexicalization patterns: semantic structure in lexical forms", in Shopen, T. (a cura
di), Language typology and syntactic description. III. Grammatical categories and the lexi-
con, Cambridge, Cambridge University Press, 57-149.
TAMBA-MECZ, I., 1980, "Sur quelques propriétés de l'adjectif de relation", TraLiPhi 18, 119-132.
TAYLOR, J. R., 1991, "The diminutive", in Id., Linguistic categorization·, prototypes in linguistic
theory, Oxford, Clarendon Press, 144-149.
TEKAVCIC, P., 1967, "Sulla motivazione nella formazione delle parole", SRAZ 23, 87-102.
TEKAVCIC, P., 1968, "Sull'analisi morfematica di un tipo di derivati italiani: il problema dei cosiddetti
interfissi", SRAZ 25-26,69-85.
TEKAVCIC, P., 1970, "Concetti negativi nella formazione delle parole nell'italiano d'oggi", BRPh 9,
279-303.
TEKAVCIC, P., 1972 [19802], Grammatica storica dell'italiano, III. Lessico, Bologna, Il Mulino.
TEKAVCIC, P., 1974-1975, "Sugli aggettivi italiani tipo cuneiforme, imberbe, ventenne", SGI 4, 7 1 -
84.
TEKAVCIC, P., 1978, "Aspetti di formazione delle parole ne La lingua delle pagine gialle", SRAZ 23,
435-446.
TESI, R., 1994, "La nuova forma europea dei grecismi moderni", in Id., Dal greco all'italiano: studi
sugli europeismi lessicali d'origine greca dal Rinascimento ad oggi, Firenze, Le Lettere,
273-301.
THOMAS, Α., 1897, Essais de philologie française, Paris, Bouillon.
THORNTON, Α. M., 1988, Sui nomina actionis in italiano, Tesi di dottorato, Università di Pisa.
THORNTON, A. M., 1990a, "Sui deverbali italiani in -mento e -zione (I)", AGI 75, 169-207.
THORNTON, A. M., 1990b, "Vocali tematiche, suffissi zero e «cani senza coda» nella morfologia
dell'italiano contemporaneo", in Berretta, M. et al. (a cura di), 43-52.
THORNTON, A. M„ 1991, "Sui deverbali italiani in -mento e -zione (II)", AGI 76, 79-102.
THORNTON, A. M„ 1993a, "Italian blends", in Tonelli, L. / Dressler, W. U. (a cura di), 143-155.
THORNTON, A. M., 1993b, "Derivare i significati", IeO 8,171-181.
Bibliografia 641
THORNTON, Α. M., 1996, "On some phenomena of prosodie morphology in Italian: «accorciamenti»,
hypocoristics and prosodie delimitation", Probus 8, 81-112.
THORNTON, A. M., 1998a, "Quali suffissi nel «Vocabolario di base»?", in Albano Leoni, F. et al. (a
cura di), Ai limiti del linguaggio: vaghezza, significato e storia, Roma / Bari, Laterza, 385-
397.
THORNTON, A. M., 1998b, "Avampiede e il prefisso avan- in italiano", LN 59,104-110.
THORNTON, A. M„ 1998c, "Stem allomorphs or suffix allomorphs? On Italian derivatives with ante-
suffixal glides", in Booij, G. et al. (a cura di), 86-97.
THORNTON, A. M., 1999a, "On Italian derivatives with antesuffixal glides", ΎΜ1998,103-126.
THORNTON, Α. M., 1999b, "Diagrammaticità, uniformità di codifica e morfomicità nella flessione
verbale italiana", in Benincà, P. et al. (a cura di), 483-502.
THORNTON, A. M„ 2000, " O n - V x and -tex", in Doleschal, U. / Thornton, A. M. (a cura di), 107-126.
THORNTON, A. M., 2001, "Some reflections on gender and inflectional class assignment in Italian" in
Schaner-Wolles, Ch. et al. (a cura di), 479-487.
THORNTON, A. M., 2003, "L'assegnazione del genere in italiano", in Sánchez Miret, F. (a cura di),
Actas del XXIII congreso internacional de lingüística y filología románica (24-30 septiem-
bre 2001), Tübingen, Niemeyer, 467-481.
THORNTON, Α. M. / IACOBINI, E./ BURANI, C., 1994, BDVDB. Una base di dati per il Vocabolario di
base della lingua italiana, Roma, Istituto di Psicologia del CNR [lì ed. riveduta e ampliata,
Roma, Bulzoni, 1997],
THORNTON, A. M. / RAINER, F., 2002, "Morfologia", in Lavinio, C. (a cura di), La linguistica italiana
alle soglie del 2000 (1987-1997 e oltre), Roma, Bulzoni, 305-351.
TOGNI, L., 1991, Il processo di derivazione tramite il suffisso -ata: considerazioni sintattiche e se-
mantiche, Arbeitspapier Nr. 38, FG Sprachwissenschaft, Universität Konstanz.
TOLLEMACHE, F., 1945, Le parole composte nella lingua italiana, Roma, Edizioni Rores di Nicola
Ruffolo.
TOLLEMACHE, F., 1953, "Deverbali italiani in '-olo", LN 14,48-50.
TOLLEMACHE, F., 1954,1 deverbali italiani, Firenze, Sansoni.
TOLLEMACHE, F., 1958-1959, "Derivati in -one, -ino e -io di deverbali della lingua italiana", ID 23,
55-74,192-200.
TOLLEMACHE, F., 1960, "I parasinteti verbali e i deverbali nella Divina Commedia", LN 21,112-115.
TONELLI, L. / DRESSLER, W. U. (a cura di), 1993, Naturai morphology: perspectives for the nineties:
selected papers from the workshop at the fifth international morphology meeting (Krems, 4-
9 July 1992), Padova, Unipress.
TORRICELLI, P., 1975, "Il valore del suffisso -ATA nella derivazione nominale italiana", ID 38, 190-
204.
TORRICELLI, P., 1984, "Il suffisso dispregiativo italiano -LIME e il lat. bitumen: su una tipologia se-
mantica", ID 47,1-23.
TRIFONE, P., 1983, "Iperderivazioni", in Dardano, M. et al. (a cura di), 80-93.
TSCHACHMANN, U., 1999, Gedankenpflug und Scacciapensieri: eine sprachvergleichende und
sprachdidaktische Untersuchung zum kreativen Umgang mit metaphorischen Komposita,
Aachen, Shaker.
VAANANEN, V., 1979, "Co-: la genèse d'un préfixe", in Höfler, M. et al. (a cura di), Festschrift Kurt
Baldinger zum 60. Geburstag, 17 November 1979, Tübingen, Niemeyer, 317-329.
VALESIO, P., 1967, "Suffissi aggettivali fra l'inglese e l'italiano", LeSt 2, 357-368.
VARELA, S. / MARTÍN GARCÍA, J., 1999, "La prefijación", in Bosque, I. / Demonte, V. (a cura di),
Gramática descriptiva de la lengua española, III, Madrid, Espasa Calpe, 4993-5040.
VASILIU, L., 1992, "Randamentul functional al derivärii afixale in limbile românà, franeezä çi italia-
n ä " , SCL 43,107-113.
VELAND, R., 1998, "Les adverbes en mente dans trois langues romanes (espagnol, français, italien):
fréquence, couverture lexicographique, ouverture dérivationnelle", RF 110,427-444.
VENDLER, Z., 1967, Linguistics in philosophy, Ithaca, Cornell University Press.
VENDLER, Z., 1968, Adjectives and nominalizations, The Hague / Paris, Mouton.
642 Bibliografia
VENIER, F., 1991, La modalizzazione assertiva: avverbi modali e verbi parentetici, Milano, Franco-
Angeli.
VIGNOLI, L., 1971, Botanica e lessico italiano, Bologna, Compositori.
VIGNOLI, L., 1973, Divagazioni botaniche sul vocabolario e sull'editoria, Bologna, Compositori.
VINCENT, N., 1986, "La posizione dell'aggettivo in italiano", in Stammerjohann, H. (a cura di), Tema-
rema in italiano, Tübingen, Narr, 181-195.
VITALI, E. D., 1967, "Considerazioni sul problema del linguaggio in medicina", Protagora 52-53,
11-49.
VITALI, E. D., 1983, "Il linguaggio delle scienze biomediche", in II linguaggio della divulgazione·, atti
del secondo convegno nazionale, Milano, Selezione dal Readers Digest, 185-198.
VIZMULLER-ZOCCO, J., 1983, "La derivazione nell'apprendimento dell'italiano come lingua seconda",
RILA 15, 69-78.
VIZMULLER-ZOCCO, J., 1985a, "Derivation in the advanced course of Italian", ¡RAL 23,13-31.
VIZMULLER-ZOCCO, J., 1985b, "Linguistic creativity and word formation", Italica 62, 305-310.
VOGEL, I., 1986, "Phonological evidence for level ordering in Italian word formation", ALH 36, 245-
260.
VOGEL, I., 1990, "English compounds in Italian: the question of the head", in Dressler, W. U. et al. (a
cura di), 9 9 - 1 1 0 .
VOGEL, I., 1991, "Level ordering in Italian lexical phonology?", in Bertinetto, P. M. et al. (a cura di),
Certamen phonologicum IL papers from the 1990 Cortona phonology meeting, Torino, Ro-
senberg & Sellier, 81-101.
VOGEL, I., 1993, "Verbs in Italian morphology", YM1993, 219-254.
VOGEL, I., 1994, "Phonological interfaces in Italian", in Mazzola, M. L. (a cura di), Issues and theory
in Romance linguistics: selected papers from the linguistic symposium on Romance lan-
guages XXIII, Washington DC, Georgetown University Press, 109-126.
VOGEL, I. / NAPOLI, D., 1995, "The verbal component in Italian compounds", in Amastae, J. et al. (a
cura di), Contemporary research in Romance linguistics: papers from the 22nd linguistic
symposium on Romance languages (El Paso / Cd. Juárez, February 1992), Amsterdam,
Benjamins, 3 6 7 - 3 8 1 .
VOGEL, I. / SCALISE, S., 1982, "Secondary stress in Italian", Lingua 58, 213-242.
VOGHERA, M., 1994, "Lessemi complessi: percorsi di lessicalizzazione a confronto", LeSt 29, 185-
214.
VOLEK, B., 1987, Emotive signs in language and semantic functioning of derived nouns in Russian,
Amsterdam, Benjamins.
VUCETIC, Z., 1976, "Formazione delle parole nell'italiano contemporaneo", SRAZ4\-%1, 273-331.
VUCETIC, Ζ., 1977, "Prefissoidi e suffissoidi omofoni nel lessico italiano", SÄ4Z43, 115-124.
VUCETIC, Ζ., 1979, "Sostantivi italiani in -ficio", SRAZ 24,61-67.
VUCETIC, Z., 1989, "Contributo allo studio della suffissazione nominale nell'italiano contemporaneo",
Ling 29, 81-99.
VUCETIC, Ζ., 1994, "Contributo allo studio della suffissazione aggettivale nell'italiano contempora-
neo", Ling 34, 49-61.
VUCETIC, Ζ., 1996, "Contributo allo studio della suffissazione verbale nell'italiano contemporaneo:
raffronto contrastivo", Ling 36, 83-96.
VUCETIC, Ζ., 1997, "Alcune riflessioni contrastive sul verbo", Ling 37, 81-88.
VUCETIC, Ζ., 1998, "Formazioni scientifiche: primi materiali", Ling 38, 167-182.
VUCETIC, Ζ., 1999, "Contributo allo studio della composizione delle parole: raffronto contrastivo
italiano-croato, croato-italiano: primi risultati", Ling 39, 83-98.
WANDRUSZKA, M., 1987, "Linguistica contrastiva e traduzione", in Dressler, W. U. et al. (a cura di),
Parallela 3: linguistica contrastiva / linguaggi settoriali / sintassi generativa: atti del 4° in-
contro italo-austriaco dei linguisti, Tübingen, Narr, 29-41.
WANDRUSZKA, U., 1976, Probleme der neufranzösischen Wortbildung, Tübingen, Niemeyer.
WANDRUSZKA, U., 1992, "Zur Suffixpräferenz: Prolegomena zu einer Theorie der morphologischen
Abgeschlossenheit", PzL 46, 3-27 [versione ital. ridotta in Hilty, G. (a cura di), Actes du
Bibliografia 643
XXe congrès international de linguistique et philologie romanes, III, Bern, Francke, 1993,
429-445].
WARREN, Β., 1990, "The importance of combining forms", in Dressler, W. U. et al. (a cura di), 111-
132.
WEIDENBUSCH, W., 1993, Funktionen der Präfigierung: präpositionale Elemente in der Wortbildung
des Französischen, Tübingen, Niemeyer.
WELLS, R., 1956, "Acronymy", in Halle, M. et al. (a cura di), For Roman Jakobson: essays on the
occasion of his sixtieth birthday, 11 October 1956, The Hague, Mouton, 662-667.
WEYERS, E., 1999, Recensione a Platen 1997, RIOn 5,196-203.
WIDLAK, S., 1986, "La polyvalence du suffixe italien -ino", in Mélanges d'onomastique, linguistique
et philologie offerts à Monsieur Raymond Sindou, II, Millau, Maury, 131-135.
WIDLAK, S., 1987, "Sulle relazioni di antonimia, sinonimia, polisemia e omonimia fra i suffissi italia-
ni", in Bogacki, K. (a cura di), Lexique et grammaire des langues romanes: actes du collo-
que international de linguistique romane, Jadwisin, 24-28 septembre 1984, Warszawa,
Wydawnictwo Uniwersytetu Warszawskiego, 183-193.
WIDLAK, S., 1989, "Omonimizzazione dei prefissi polisemici italiani", in Études de linguistique
romane: actes du Vf congrès des linguistes romanisants polonais, Karpacz, mai 1987,
Wroclaw / Paris, Wydawnictwo Uniwersytetu Wroclawskiego / Nizet, 239-245.
WIDLAK, S., 1990, "Dalla plurivalenza all'omonimia degli affissi italiani", LinLet 1,79-85.
WIDLAK, S., 1991, "De l'analythique au synthétique: les mots composés en italien: quelques remar-
ques", in Stammeljohann, H. (a cura di), Analyse et synthèse dans les langues romanes et
slaves, Tübingen, Narr, 185-192.
WIERZBICKA, Α., 1986, "What's in a noun? (Or: how do nouns differ in meaning from adjectives?)",
SLang 10, 353-389.
WILLEMS, D„ 1979, "Syntaxe, morphosyntaxe et sémantique: les verbes dérivés", CLex 35, 3-25.
WILLIAMS, E„ 1981, "Argument structure and morphology", LRev 1, 81-114.
WOLF, H. J„ 1972, "It. romanista, quattrocentista: Anwendungsbereiche eines «gelehrten» Suffixes
im Italienischen, Spanischen und Französischen", RF 84, 314-367.
WOLF, H. J., 1974, "Die Differenzierung der romanischen Sprachen im Bereich der Wortbildung am
Beispiel von it. burrificio (frz. beurrerie, sp. mantequería, pg. mantegaria)", RF 86, 239-
254.
XRAKOVSKIJ, V. S. (a cura di), 1997, Typology of iterative constructions, München, Lincom Europa.
ZAMBONI, Α., 1976, Categorie semantiche e categorie lessicali nella terminologia botanica, in Aree
lessicali, atri del X Convegno per gli studi dialettali italiani (Firenze, 22-26/10/1973), Pisa,
Pacini, 53-83.
ZAMBONI, Α., 1986, "Considerazioni sull'it. andirivieni e sul relativo tipo composizionale", in Li-
cheni, K. et al. (a cura di), Parallela 2: aspetti della sintassi dell'italiano contemporaneo:
atti del 3° incontro italo-austriaco di linguisti, Tübingen, Narr, 329-341.
ZAMBONI, Α., 1989-1990, "Premesse morfologiche e tipologiche del composto italiano capinera,
pettirosso", QPL 8-9,157-169 [versione ridotta in Berretta, M. et al. (a cura di), 97-109],
ZAMBONI, Α., 1994, "I nomi di luogo", in Serianni, L. / Trifone, P. (a cura di), 859-878.
ZAMBONI, Α., 1997, "Lessico(logia) e morfologia: tra proiezione diacronica e sistema", in Mucciante,
L. / Tellmon, T. (a cura di), lessicologia e lessicografia: atti del convegno della SIG, Chieti
- Pescara, 12-14 ottobre 1995, Roma, Il Calamo, 147-187.
ZARDO, F., 1995, "Nomi di marchio e dizionari", SUI 13,365-392.
ZIMMER, Κ. E., 1964, Affixal negation in English and other languages: an investigation of restricted
productivity, New York, Linguistic Circle of New York [Supplement to Word 20, Mono-
graph 5],
ZINGARELLI, I., 1975, "La moltiplicazione dei mini', LN 36, 85-87.
ZUFFI, S., 1981, "The nominal composition in Italian: topics in generative morphology", JIL 6,1-54.
ZWANENBURG, W„ 1997, "Dutch prefixes and prepositions in complex verbs", in Dressier, W. U. et
al. (a cura di), Advances in morphology, Berlin, Mouton de Gruyter, 63-77.
Sigle e abbreviazioni
Autori
Fonti
Riviste
Notazioni convenzionali
t arcaico
*
non attestato
o non attestato ma possibile
? dubbio
?? molto dubbio
> ha dato origine a
< proviene da
—• da... deriva
< - è derivato da
A aggettivo
a. anno
accr. accrescitivo
agg· aggettivo
ant. antico
Arel aggettivo di relazione
ART articolo
650 Sigle e abbreviazioni
av. prima di
AVV avverbio
cfr. confronta
CG congiunzione
COMP completiva
com. comune
DET determinante
DIM diminutivo
dim. diminutivo
F frase
f. femminile
fr. francese
gr· greco
I interiezione
ingl. inglese
lat. latino
lett. letterario
loc. locativo
m. maschile
Ν nome, sostantivo
η. nota / numero
NUM numerale
Ρ preposizione
pegg. peggiorativo
pl. plurale
port. portoghese
PP participio passato
pref. prefisso
PRO pronome
r. rango
region. regionale
REL pronome relativo
s.v. sotto la voce
s.w. sotto le voci
SA sintagma aggettivale
sec. secolo
sing. singolare
sim. simili
SN sintagma nominale
sost. sostantivo
SP sintagma preposizionale
sp. spagnolo
s. seguente
ss. seguenti
suff. suffisso
SV sintagma verbale
ted. tedesco
temp. temporale
tose. toscano
V verbo / vocale
vb. verbo
X variabile per una classe di basi
Y variabile per una classe di basi
Indice degli affissi, interfissi ed elementi formativi
-a 220, 221, 222, 223, -aggine 263, 296, 298, -aneo 387, 393,442,450
374,517,518,519, 302, 303, 306, 307, anfi- 102,136
524, 525 308, 309,313,439 -angio- 83, 87
a- 102,105,108, 109, -aggio 242, 249, 250, 262, anglo- 87
112, 124, 141, 143, 263, 319, 322, 334, -ano 191,194,215,217,
144,145, 584, 586 337, 338, 374, 376, 583 233,257, 258, 299,
-à 309 -aglio 247,251,266,292 300, 364, 387, 389,
ab- 108,137 -aglio 233 395,406,408,411,
-abile v. -bile -agn- 265 412,417, 418,450,
-acc- 285,446 -agna 263 464, 484, 488, 582
-occherà 266, 292 -agno 290,394,450 -ante 191,213,214,356,
-acchi- 18,281,446 -ago 607 357, 358, 372,432,
-acchi-are 268, 330,422, agri/o- 83 484,485
436,466,467, 468,471 -aia 233,236,250,251, ante- 108,112,113,127,
-occhio 265,275,291, 263 128,129, 139
446,447 -aico 408,417 anti- 6, 102, 108, 109,
-acci- 263, 265, 275,398, -aio 38,191,192,193, 112, 113,116, 117,
446, 467 194, 195, 196, 197, 127, 128, 129, 130,
-acci-are 466 198,199, 200, 235, 139,140, 141, 142,
-accio 218,230,264,265, 236, 251, 388, 394, 143, 144,185, 372
266, 274, 275, 276, 407, 628 -antropo- 72, 87
277, 278, 281, 285, -ai(u)ola 233, 240, 263, -onza 242, 250, 309, 388,
286, 289, 290, 292, 373 583
373,445,446,447, -ai(u)olo 191, 194, 200, apo- 88, 103
448, 482 201, 206, 233, 240, -aqu- 399
-acco 292,408 364, 373, 394,407 -ar- 231,272,277,278,
-accolo 266, 290, 292 al- 578 279, 281, 285, 286
-ace 440 -al- 278,391,392 -ara 200,201,233,236,
-aceo 387,393,396,447, -aid- 391 263
578, 593, 594 -ale 19,21,216,230,234, arbori- 72
-acino 407 240, 262, 299, 300, archeo- 88
-acolo 407 385, 387, 388, 390, archi- 108, 152
acr(o)- 88,580 392, 394, 395, 396, arci- 108,112,116,147,
acu- 72 407,464,472,485, 148, 151
ad- 103,108,109,112, 488, 509, 578, 582, -ardo 217,266,281,292,
120, 122, 125, 156, 583, 590, 595 363, 394, 400, 407,
157,159,168, 169, -algia 87,580 442, 446, 447, 484
170, 171, 172, 173, algo- 87,90 -are 169, 175, 176, 179,
175,176, 178,179, ali- 72 180, 216, 233, 240,
180, 327, 328, 336, allo- 88, 101 299, 300, 387, 388,
338, 344 alo- 83 390, 395,407,431,
-ade 264 -ame 234,245,251,266, 518, 520, 521,525,
-ado 242 292 532, 583, 590
-adro 217 an- 88, 109, 124 -areccia 252
aer(o)- 74,81,82,83,84, ana- 88,216 -areccio 252,387,393
87,580 -ana 233, 263 -(a)rella 350
afro- 87 -andrò- 87,90 -arell-are 466, 467
anemo- 72 -arino 277, 279
652 Indice degli affissi, interfissi ed elementi formativi
-fito- 80,87 -iaco 387, 393, 395, 397, -iero 194, 202, 387, 392,
flebo- 87 407 395,400,484
-fobia 92 -iade 264 -ific-are 330,331,336,
-fobo 21,80,89,92 -iano 214,215, 388, 345, 349, 372,436,
-fonia 92, 389 406,410,411,412, 450,451,459,460,
-fono- 69,80,81,83,90, 413.416.417.418, 516,519
92 450 -ificio 239
-forme 69,595 -fiJato 407 -ifico 387,394,401
-foro 72, 80, 89,93 -ilatra 10,222 -iggin-are 466
foto- 73,75,81,83,87 -latria 10 -iggine 265,291
fra- 103,108, 110,124, -ibile v. -bile -igi- 217,389
131, 132, 153 -ic- 231,276,277,278, -igia 310
franco- 87 279, 281, 285, 286, -igli- 373,446
freno- 90 290,451,460 -iglia 247, 252, 266, 292
-fugo 80, 89,90, 93 '-ica 387, 506, 510 -iglio 247, 252, 264, 265,
fungi- 78 -ic-are 466 291, 292, 376
fuori- 132 -icchi- 330,451 -ignaccolo 446
galatto- 78 -icchi-are 422, 436, 466, -ign-are 466
gallo- 87 467,471 igni- 72
-gamo 80 -icchin-are 466, 467 -igno 264, 290, 387, 393,
gastro- 578, 586 -icchio 265,291,446 396,445,446,447
-gate 76 -icci- 265,349,467 -ignolo 234,265
-gene 93 -icci-are 466,469 -ile 21,233,236,240,
-genesi 93 -iccic-are 466 387, 390, 582
-genia 93 -iccio 240,249,251,268, '-ile 440
-genico 93 291,350,441,445, -ilena 350
-geno 80,83,89,93 446,447,449 -ime 247,264
-geo- 87 -ice 234 '-imo 490
-gero 80 '-ice 264,490,491 -imonio 264
'-ggine 350 -ici- 277, 290 in- 16,17,103, 106,108,
giga- 583 -iciattolo 277 109, 112, 113, 114,
gimno- 80 -ico 185,395,442,485, 116, 120, 122, 124,
-gione 324,327 488, 581 125, 141, 143, 144,
giusta- 108,131 '-ico 79, 90,92,93,94, 145, 156,158, 159,
-gioito- 87 216, 248, 259, 260, 168, 169, 170, 171,
-gnato 80,87 300, 387, 389,390, 172,173, 175, 176,
-gono 80 399,400,407,411, 178,179, 180,186,
-grado 72, 80, 89,90,93 416.417.418.419, 311,327, 328, 333,
-grafia 74,83,90,91, 445,460,464,485, 336, 338, 344, 383,
389 510,576, 578, 580, 384, 394, 422,424,
-grafico 83,90 581,590 425,426, 428,484, 584
-grafo- 83, 89, 90, 91 -icolo 265,290 -in-are 451,466,467
-gramma 91 '-ide 394 -ina 210,224,225,226,
-ι 489, 525,603,604,605 -ido 399 231,240, 251,252,
-i- 300,387,388 '-ido 440 264, 286, 350, 373, 594
-ia 10,23,79,90,91,182, -idro- 80,87, 100,578 -inco 407
208, 216, 238, 242, '-ie 310 indo- 87
243, 250, 256, 257, -iera 204, 228,229,233, infra- 102,108,112,131,
259, 264, 298, 300, 239, 251,252, 374 134, 140, 153
304, 305, 306, 309, -iere 191, 194, 202, 203, -ingo 387,393,407,450
350, 389,450, 535, 204, 221, 224, 228, -ino 22, 185,191,194,
607, 608 230, 233, 252, 254, 209,215, 224,231,
'-ia 300, 310, 350 255, 364, 374 264, 265, 266, 268,
Indice degli affissi, inteifissi ed elementi formativi 655