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Lord Chandos Brief
Lord Chandos Brief
Novembre 2004
Ein Brief
Una lettera
Es ist g
utig von Ihnen, mein hochverehrter Freund, mein zweijahriges
Stillschweigen zu u
bersehen un so
an mich schreiben. Es ist meher als
g
utig Ihrer Besorgnis um mich, Ihrer
Befremdung u
ber die geistige Starrnis, in der ich Ihnen zu versinken
scheine, den Ausdruck der Leichtigkeit und des Scherzes zu geben,
den nur groe Menschen, die von
der Gef
ahrlichkeit des Lebens durchdrungen und dennoch nicht entmutigt sind, in Ihrer Gewalt haben.
Sie schlieen mit dem Aphorisma
des Hippokrates: Qui gravi morbo
correpti dolore non sentiunt, iis mens
grotat und meinen ich bed
urfe der
Se `e grande bont`a, stimatissimo amico, scrivermi sorvolando sullinerzia intellettuale che si protrae in
me ormai da due anni, ancora maggiore benevolenza del vostro interesse verso me, della meraviglia per
limmobilit`a spirituale in cui vi sembro essere precipitato, `e lesprimere
sentimenti con quel senso di leggerezza proprio degli uomini non comuni,
di quelli che pur provati dai travagli
della vita, non ne sono stati in alcun
modo sconfitti.
Voi sigillate la lettera con le parole di Ippocrate: Qui gravi morbo correpti dolorem non sentiunt, iis men
grotat, e ne deducete che abbia bisogno del medico non solo per contenere il mio male, ma anche per rendere edotto lintelletto delle condizioni
dello spirito. Vorrei rispondervi come
la vostra attenzione merita, aprirmi
completamente con voi e non so come contenermi. A mala pena riesco
a distinguere se io sono proprio ancora quegli cui la vostra distinta lettera sindirizza: a ventisei anni, sono
io il diciannovenne che scrisse quel
nuovo Paride, quel Sogno di Dafne, quellEpithalamium, quei divertimenti pastorali ridondanti di parole
pompose di cui una soave regina ed
alcuni signori assai compiacenti hanno ancora la bont`a di ricordarsi? E
K
onigin und einege allzu nachsichtige Lords und Herren sich noch zu
entsinnen gn
adig genug sind? Und
bin ichs wiederum, der mit dreiundzwanzig unter den steineren Lauben
des Groen Platzes von Venedig in
sich jenes Gef
uge lateinischer Perioden fand, dessen geistiger Grundri und Aufbau ihn im Innern mehr
entz
uckte als die aus dem Meer auftauchenden Bauten des Palladio und
Sansovino? Und konnte ich, wenn ich
anders derselbe bin, alle Spuren und
Narben dieser Ausgeburt meines angespanntesten Denkens so v
ollig aus
meinem unbegreiflichen Innern verlieren, da ich in Ihrem Brief, der
vor mir liegt, der Titel jenes kleines
Traktates fremd und kalt anstarrt, ja
da ich ihn nicht als ein gelaufiges
Bild zusammengefater Worte sogleich auffassen, sondern nur Wort
f
ur Wort verstehen konnte, als traten
mir diese lateinischen W
orter, so verbunden, zum ersten Male vors Auge?
Allein ich bin es ja doch und es ist
Rhetorik in diesen Fragen, Rhetorik,
die gut ist f
ur Frauen oder f
ur das
Haus der Gemeinen, deren von unserer Zeit so u
atze Machmittel
bersch
aber nicht hinreichen, ins Innere der
Dinge zu dringen. Mein Inneres aber
mu ich Ihnen darlegen, eine Sonderbarkeit, eine Unart, wenn Sie wollen
eine Krankheit meines Geistes, wenn
Sie begreifen sollen, da mich ein
ebensolcher br
uckenloser Abgrund
von den Scheinbar vor mir liegenden
literarischen Arbeiten trennt als von
denen, die hinter mir sind und die
ich, so fremd sprechen sie mich an,
mein Eigentum zu nennen z
ogere.
Ich wei nicht, ob ich mehr die
Eindringlichkeit Ihres Wohlwollens
oder die unglaubliche Sch
arfe Ihres
Ged
achtnisses bewundern soll, wenn
Sie mir die verschiedenen kleinen
Pl
ane wieder hervorrufen, mit denen
ich mich in den gemeinsamen Tagen
sch
oner Begeisterung trug. Wirklich,
ner Jagdh
utte die sch
aumende laue
Milch in mich hineintrank, die ein
struppiger Mensch einer schonen
sanft
augigen Kuh aus dem strotzenden Euter in einen Holzeimer niedermolk, so war mir das nichts anderes, als wenn ich, in der dem Fenster
eingebauten Bank meines studio sitzend, aus einem Folianten s
ue und
sch
aumende Nahrung des Geistes in
mich sog. Das eine war wie das andere; keines gab dem andern weder
an traumhafter u
berirdischer Natur,
noch an leiblicher Gewalt nach, und
so gings fort durch die ganze Breite
des Lebens, rechter und linker Hand;
u
berall war ich mitten drinnen, wurde nie ein Scheinhaftes gewahr: Oder
es ahnte mir, alles w
are Gleichnis
und jede Kreatur ein Schl
ussel der
anderen, und ich f
uhlte mich wohl
den, der im Stande w
are, eine nach
der andern bei der Krone zu packen
und mit ihr so viele der andern aufzusperren, als sie aufsperren konnte.
Soweit erkl
art sich der Titel, den ich
jenem enzyklop
adischen Buch zu geben gedachte.
Es m
ochte dem, der solchen Gesinnungen zug
anglich ist, als der
wohlangelegte Plan einer g
ottlichen
Vorsehung erscheinen, da mein
Geist aus einer so aufgeschwollenen
un unico concetto. Singole parole giravano rapide attorno a me, si mutavano in occhi che mi fissavano ed
in cui io a mia volta dovevo concentrarmi: erano vortici in un perenne
turbinare che a fissarli nel profondo
si `e presi da un senso di capogiro ed
al di l`a dei quali si `e nel vuoto.
Tentai di uscire da questa condizione volgendomi allantica spiritualit`a. Evitai Platone. Mi allontanava
da lui la pericolosit`a dei suoi voli
ideali, e pensai cos` di rivolgermi a
Seneca e Cicerone, a quella ben definita armonia, a quei concetti ben ordinati che confidavo potessero guarirmi, ma non mi riusc` di penetrare
quella realt`a. Quei concetti li capivo
bene, vedevo lo straordinario gioco
di intrecci sorgere dinanzi a me come superbi giochi dacqua che scherzavano con globi dorati. Potevo girare loro intorno e vedere come giocassero lun laltro, ma, e questo `e
il punto, giocavano solo tra di loro,
e la parte pi`
u profonda, pi`
u intima
dei miei pensieri restava esclusa da
quella ridda. Sotto il loro influsso mi
assal` un senso di profonda solitudine: la mia condizione era quella di
chi si fosse trovato improvvisamente
catapultato in un giardino affollato
di statue senza occhi. E di nuovo mi
diressi verso lo spazio libero. . .
Da allora in poi condussi unesistenza
che voi, temo, a malapena potrete
comprendere tanto essa si conduce
priva di sana spirituale creativit`a,
unesistenza che indubbiamente si
discosta appena da quella dei miei
vicini, dei miei parenti e della maggior parte degli aristocratici proprietari terrieri del nostro regno, ma che
comunque non `e del tutto aliena da
istanti lieti e sereni. Non `e facile spiegare in cosa consistano esattamente
tali beati momenti: ancora una volta le parole mi abbandonano. Infatti
`e qualcosa di completamente inde-
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Cera tutto in me: laria forte della cantina pregna dellodore acuto
e pungente del veleno, lecheggiare
sulle mura delle grida di morte che
sinfrangevano sulle pareti ammuffite, i convulsi spasimi dellimpotenza,
di disperazione che sincalzavano
confusamente, la tragica ricerca di
una via di fuga, il freddo sguardo di
non rassegnata rabbia di due esseri che sincontravano dinanzi ad una
fessura sbarrata. Ma perche vado ancora in cerca di quelle parole che ho
ripudiato? Ricordate, amico mio, la
tragica descrizione in Tito Livio delle
ore che precedettero la distruzione di
Alba Longa? Di quellerrabondo vagare della gente per le strade che non
si sarebbero pi`
u riviste,. . . , di quel
mesto prender congedo dalle pietre
del selciato. . . ? Vi dico, amico mio,
che queste sensazioni, unitamente a
quelle del rogo di Cartagine, erano
quelle presenti in me. Ma cera anche qualcosa di pi`
u, qualcosa di pi`
u
divino e pi`
u animalesco; e cera il
presente, il pi`
u concreto e sublime
presente!
Una madre aveva stretto a se i
propri piccoli che morivano, ma non
a loro, non alle inesorabili prigioniere mura di pietra volgeva lo sguardo, bens` nellaria deserta, o attraverso laria, nellinfinito, e accompagnava lo sguardo con stridio di denti.
Un servizievole schiavo rapito da impotente orrore dinanzi a Niobe impietrita deve aver provato le medesime tragiche emozioni che io provavo al sentire denro di me lanima di
quellanimale che digrignava i denti
al tragico destino.
Perdonate questa descrizione, e
non crediate che ci fosse della piet`a
nei miei sentimenti di allora. Questo non dovete affatto pensarlo, altrimenti significherebbe che avrei scelto il mio esempio con molta imperizia. Cera assai di pi`
u ed assai di
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meno che la semplice piet`a: un tragico sentire, un immedesimarsi totale in quelle creature, oppure un avvertire che una specie di fluido di vita e morte, di sogno e di veglia per
un brevissimo istante si fosse trasfuso, e da dove?, in esse. Perche, quale attinenza avrebbe con la compassione, quale con lumana, comprensibile associazione di idee, la circostanza che, unaltra volta, una sera, trovando sotto un noce un innaffiatoio ripieno a met`a col`a dimenticato da un giardiniere, ed osservando quellinnaffiatoio e lacqua in esso resa fosca dallombra dellalbero,
ed ancora un insetto che vagava sullo
specchio dellacqua da un bordo scuro allaltra, mi sia accaduto alla fine che tutto questinsieme di nullit`a, come per una qualche presenza dinfinito, mi abbia attraversato
come un fremito, facendomi rabbrividire dalla radice dei capelli su su
sino al midollo, al punto che me ne
dovrei uscire con parole tali, se le
trovassi, che dovrebbero essere capaci dinvocare quei Cherubini in cui
non credo, e che poi, essendomi allontanato quieto quieto da quel posto, dopo settimane, trovandomi di
nuovo al cospetto di quel noce, sia
ancora dubbioso se rivolgergli un fugace commosso sguardo non volendo allontanare la sensazione di meraviglioso che l`a intorno ancora sentivo spirare, ne volendo tantomeno
disperdere quelle presenze assai pi`
u
che terrene che si cullavano lievi l`a
sui cespugli vicini?
In tali momenti, una qualsiasi cosa del creato a malapena significante
in se, come un cane, un topo, un insetto, un melo atrofizzatosi, una strada per carri che sinerpichi su per la
collina, una pietra soffocata dal muschio, pu`o divenire per me assai pi`
u
seducente della pi`
u bella e generosa amante nella pi`
u spensierata delle notti. Tali silenti, e talvolta ina-
12
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fr
uhzeitige Gew
ohnung, keine Stunde des Tages unausgef
ullt zu lassen,
sind es, scheint mir, allein, welche
meinem Leben nach auen hin einen
gen
ugenden Halt und den meinem
Stande und meiner Person angemessenen Anschein bewahren.
Ich baue einen Fl
ugel meines
Hauses um und bringe es zustande,
mich mit dem Architekten hie und
da u
ber die Fortschritte seiner Arbeit zu unterhalten; ich bewirtschafte meine G
uter, und meine Pachter
und Beamten werden mich wohl etwas wortkarger, aber nicht ung
utiger
als fr
uher finden. Keiner von ihnen,
der mit abgezogener M
utze vor seiner Haust
ur steht, wenn ich abends
vor
uberreite, wird eine Ahnung haben, da mein Blick, den er respektvoll aufzufangen gewohnt ist, mit
stiller Sehnsucht u
ber die morschen
Bretter hinstreicht, unter denen er
nach Regenw
urmern zum Angeln zu
suchen pflegt, durchs enge vergitterte Fenster in die dumpfe Stube
taucht, wo in der Ecke das niedrige
Bett mit bunten Laken immer auf
einen zu warten scheint, der sterben will, oder auf einen, der geboren werden soll; da mein Auge lange an den h
alichen jungen Hunden
h
angt oder an der Katze, die geschmeidig zwischen Blumenscherben
durchkriecht, und da es unter allen den
armlichen und plumpen Gegenst
anden einer b
aurischen Lebensweise nach jenem einen sucht, dessen unscheinbare Form, dessen von
niemand beachtetes Daliegen oder
-lehnen, dessen stumme Wesenheit
zur Quelle jenes r
atselhaften, wortlosen, schrankenlosen Entz
uckens werden kann. Denn mein unbenanntes
seliges Gef
uhl wird eher aus einem
fernen einsamen Hirtenfeuer mir hervorbrechen als aus dem Anblick des
gestirnten Himmels; eher aus dem
Zirpen einer letzten, dem Tode nahen Grille, wenn schon der Herbst-
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majest
atischen Dr
ohnen der Orgel.
Und ich vergleiche mich manchmal in Gedanken mit jenem Crassus, dem Redner, von dem berichtet wird, da er eine zahme Murane,
einen dumpfen, rot
augigen, stummen Fisch seines Zierteiches, so u
ber
alle Maen lieb gewann, da es zum
Stadtgespr
ach wurde; und als ihm
einmal im Senat Domitius vorwarf,
er habe u
ber den Tod dieses Fisches
Tr
anen vergossen, und ihn dadurch
als einen halben Narren hinstellen
wollte, gab ihm Crassus zur Antwort:
So habe ich beim Tod meines Fisches getan, was Ihr weder bei Eurer
ersten noch Eurer zweiten Frau Tod
getan habt.
Ich wei nicht wie oft mir dieser Crassus mit seiner Mur
ane als
ein Spiegelbild meiner Selbst, u
ber
den Abgrund der Jahrhunderte hergeworfen, in den Sinn kommt. Nicht
aber wegen dieser Antwort, die er
dem Domitius gab. Die Antwort
brachte die Lacher auf seine Seite, so
da die Sache in einen Witz aufgelost
war. Mir aber geht die Sache nahe,
die Sache, welche dieselbe geblieben
w
are, auch wenn Domitius um seine
Frauen blutige Tr
anen des aufrichtigsten Schmerzes geweint h
atte. Dann
st
unde ihm noch immer Crassus gegen
uber, mit seinen Tr
anen um die
Mur
ane. Und u
ber diese Figur, deren
L
acherlichkeit und Ver
achtlichkeit
mitten in einem die erhabensten Dinge beratenden, weltbeherrschenden
Senat so ganz ins Auge springt, u
ber
diese Figur zwingt mich ein unnennbares Etwas, in einer Weise zu denken, die mir vollkommen t
oricht erscheint, im Augenblick, wo ich versuche, sie in Worten auszudr
ucken.
Das Bild dieses Crassus ist zuweilen nachts in meinem Hirn, wie ein
eingeschlagener Nagel, um den herum alles schw
art, pulst und kocht.
15
geistigen Uberlegenheit
u
berlasse:
n
amlich weil die Sprache, in welcher nicht nur zu schreiben, sondern auch zu denken mir vielleicht
gegeben w
are, weder die lateinische
noch die englische, noch die italienische oder spanische ist, sondern eine Sprache, in welcher die stummen
Dinge zuweilen zu mir sprechen, und
in welcher ich vielleicht einst im Grabe vor einem unbekannten Richter
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giudice sconosciuto.
Vorrei mi fosse concesso, nelle ultime parole di questa lettera, probabilmente lultima che scrivo a Francesco Bacone, manifestare il pieno amore, la piena riconoscenza, la
sconfinata ammirazione che nutro
per il pi`
u grande beneffatore del mio
spirito e per il primo degli inglesi della mia epoca, e che sempre serbo e
serber`o nel mio cuore finche la morte
non me lo consumi.
Phi. Chandos
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fosco colore. La scena dei topi che muoiono nella cantina `e esemplare da questo punto
di vista. Non `e soltanto la descrizione dettagliata dei momenti salienti della morte
di quegli animali, non `e soltanto la fine di un animo che non reagisce ed `e inebetito
fissando quelle morti, `e in definitiva il fissare, in quelle morti, la propria singola morte
quotidiana.
Tanta spiritualit`
a genera alla fine lassenza di spiritualit`
a. La banalit`
a delle azioni
di esseri giudicati poveri di spirito, la banalit`
a della vita quotidiana che si rifugge
viene poi ricercata dallocchio fuggevole che cerca al di l`
a di una stretta inferriata un
letto ricoperto di poveri stracci in attesa di qualcuno che muoia o nasca, ma ora ci `e
impossibile riprenderla. Il ripudio `e stato definitivo, per sempre.
S`, lo sguardo si perde con nostalgia a cercare un gatto che si muova flessuoso fra
i vasi di fiori di una povera casa contadina, lo sguardo cerca ancora le piccole azioni
quotidiane, ma sa che queste non potranno ripagarlo del dissidio che si `e creato in
modo insanabile.
Se non c`e piet`
a per la morte dei topi, ma questo non pare sino in fondo credibile,
piuttosto si prospetta come una proposizione deffetto mirante nella sua negativit`
a
apparente a celare uno stato danimo intimo di cui si avverte pudore, c`e vicinanza
e simpatia per laffetto di Crasso verso la sua murena addomesticata, quando si evidenzia che chi ci critica non manifesta, e quindi sembra non avere, alcun sentimento
di commozione per le persone pi`
u vicine: pare infatti strano provare simpatia per la
murena di Crasso, e disprezzo per Domizio, e non un solo sentimento di tenera commozione dinanzi alla morte di innumerevoli topi che stanno morendo, in fondo, per
mano tua, per aver tu dato un ordine.
Da queste, come da una moltitudine di altre situazioni consimili, descritte spesso
in contrapposizione luna con laltra, Hofmannsthal fa derivare il suo panteismo, lo
scorgere, meglio, lintuire, traccia di quel Dasein, di quellesistenza ovunque distribuita nel mondo spirituale, animale e materiale. La sensibilit`
a si trasmuta quindi nella
Vergr
orungsglas, la lente da ingrandimento che ci permette di scorgere i pi`
u minuti
particolari: locchio, cio`e la mente, vede allora, se non tutto, assai di pi`
u dei comuni
mortali, percespisce molto, avverte molto, ma tale percezione e tale sentire divengono
il limite umano ed il principio della sofferenza: lanimo si carica delle pene e degli
affanni del mondo. Nel cercare di comprendere ogni cosa ci si smarrisce e ci si perde,
lestrema sensibilit`
a assiste impotente ai giochi dellessere.
Le parole abbandonano perche c`e la profonda intuizione, assai pi`
u di una mera
certezza, di essere in unaltra dimensione, di udire unaltra lingua. Prova a spiegarsi
con un esempio, quello dei topi avvelenati, ma poi produce tre serie di esempi, questo,
quello della murena, e quelle continue citazione di oggetti.
Sembra quasi che Hofmannsthal voglia indicare se non il pericolo, almeno il limite
della conoscenza!
Giacche e con questa che alla fine la sensibilit`
a estrema, il forte sentire, si confonde
in un misterioso quanto nobile intreccio. Il desiderio di conoscere, di sapere, di andare
oltre, sentendo il mondo in se, come propria parte `e sensibilit`
a, e questa conduce
alla conoscenza estrema. Lindagine dei giochi che si consumano alla nostra presenza
diviene inutile ed insensata: siamo impossibilitati a parteciparvi.
C`e il rifiuto della filosofia pi`
u pura, di quella kantiana cui chiaramente, mi sembra,
si riferisca Hofmannsthal quando dice di sentirsi pi`
u commosso da un lontano fuoco di
pastori che dalla visione del cielo stellato! Eppure dentro di lui c`e, e come!, la legge
morale. Ed `e forse una legge morale pi`
u sublime di quella kantiana perche non cerca le
codificazioni in astratte teorie, ma si basa semplicemente sullosservanza delle piccole
azioni del vivere quotidiano.
Il dramma rappresentato da Hofmannsthal `e forse questo: la sua germanicit`
a richiede, esige le codificazioni, ma `e incapace di scorgerle, anche se le avverte pi`
u che
le intuisce. Non riesce a ridurre tutto alluno. Gli sembra s` (e lo ripete pi`
u volte) che
tutto si riduca alluno, che tutto esista, ma gli sfugge il nesso: il DNA genetico della
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