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·uGO VANNI

L'APOCALISSE
ermeneutica, esegesi, teologia

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA


Prima edizione: 19R8
Ristampe: 1991 l 'I'IB 2001 2005

o 1988 Centro editoriale dehoniano


via Nosadella, 6 - 40123 Bologna
EDB (marchio depositato)

ISBN 88-10-30205-2

Stampa: Grafiche Dehoniane, Bologna 2005


Sigle e abbreviazioni 1

Aug. Augustinum
AUSS Andrew University Seminary Studies
Bibl Biblica
BibTB Biblica! Theological Bulletin
BiKi Bibel und Kirche
BOr Bibbia e Oriente
BiRes Biblica! Research
BToday Biblc Today
BVC Bible et Vie chrétienne
CBQ Catholic Biblica! Quarterly
ChH Church History
Chr Christus
Cistercium Revista monastica, Estella (Navarra)
Communio Communio. Commcntarii Internationales de ecci esia
CurTMiss Currents in Theology and Mission
DTT Dansk Teologisk Tidsskrift
ED Euntes Docetc
EsprVie Esprit et Vie
EstB Estudios biblicos
EstFranc · Estudios Franciscanos
EThL Ephemerides Theologicae Lovanienses
EThRelig Études Théologiques et Religieuses
EvO Evangelica! Quarterly
EvTh Evangelische Theologie
EX Ecclesiastica Xaveriana
Ex pT The Expositor Times
FV Foi et Vie
GLNT Grande Lessico del NT (Kittel)
GraceTJ Grace Theological Journal
Greg Gregorùmum

' Le sigle delle riviste vengono prese da New Testament Absrracts, da Elenchus Bibliographi-
cus Biblicus e da Theologische Rea/enzyklopiidie opere familiari agli studiosi.

Il codice Sinaitico è indicato con S o scritlo p~r intero.

5
IDB Thc Interpreter's Dictionary of the Bible
lliffRev Iliff Review
lnterp lnterpretation
JBL J o urna! of Biblica! Literature
JEvTS Journal of the Evangelica! Theological Society
JSJ Journal for the Study Judaism
JThS Journal of Theological Studies
LumVitae Lumen Vitae
Mar. Marianum
NRTh Nouvelle Rcvue Théologique
NT Novum Testamentum
NTS New Testament Studies
N Vet Nova et Vetera
Rast Rassegna di Teologia
RB Revue Biblique
RExp Revue and Expositor
RevBibArg Rcvista Biblica Argentina
RHR Revue de l'Histoire des Religions
RHPhR Revue d"Histoire et de Philosophie Religieuses
RivB Rivista Biblica
RSR Recherches de Science Religieuse
RThom Revue Thomiste
Salm. Salmanticensis
ScC Scuola Cattolica
ST Studia Theologica
StBibFrLibAn Studii Biblici Franciscani Liber Annus
StMiss Studia Missionalia
TAiK Teologinen Aikakauskirja (Helsinki)
THAT Theologisches Handwiirtcrbuch zum AT
ThGl Theologie und Glaubc
ThLZ Thcologische Literaturzeitung
ThStKr Theologische Studien und Kritiken
TPQ Theologisch-Praktisch Quartalschrift
TrThZ Trierer Theologische Zeitschrift
TWNT Theologisches Wòrtcrbuch zum NT (Kittel)
TZ Theologie Zeitschrift
TyndB Tyndale Bulletin
VD Verbum Domini
VoxEv Vox Evangelica
WcstTJ Westminster Theological Journal
WWorld Word and World
ZNW Zeitschrift fiir die neutestamentliche
Wissenschaft und die Kunde der alteren
Kirchc

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Introduzione

Uno sguardo, anche solamente panoramico, agli studi dell'Apocalisse di


questi ultimi due decenni dà l'impressione netta di uno sviluppo in crescendo.
Lo scarso interesse della ricerca scientifica' che A. Feuillet aveva
lamentato nel 1963, appariva, nel 1979, felicemente superato' e quell'èra
dell'apocalittica - come interesse di studio e di ricerca - che già allora si
poteva intravedere, comincia davvero a realizzarsi.' Si nota, infatti, scorrendo
la bibliografia di questi ultimi anni, un interesse che si mantiene e cresce in
tutte le branche di indagine.
L'Apocalisse- è risaputo- non è un testo facile: un contatto frettoloso
può portare a grossi abbagli, come la storia della sua interpretazione ha spesso
mostrato. Si è avvertita l'esigenza per lo meno di un primo orientamento. Si
sono avuti, così. molti contributi validi di tipo introduttorio.'
Una volta preso un primo contatto col testo, si impone lo studio di tutta
una serie di problemi che possiamo raggruppare sotto la denominazione di
<<aspetti letterari>>: si tratta dell'autore del libro e del tempo della sua
composizione, della peculiarità della lingua, della struttura e di altri fenomeni
letterari minori. E siccome quando si parla di aspetti letterari si ha presente un
lettore che reagisce, rientrano in questo quadro gli aspetti riguardanti i
destinatari dello scritto: l'interpretazione del messaggio che è loro richiesta, la

1
o~<L'Apocalypse de saint Jean exerce aujourd'hui moins d'attrait qu'autrdois sur les
exégètes ,de profession», A. FEUILLET, L'Apocalypse: érar de la quesrion, Paris 1963, p. 109.
' E quanto potevamo concludere da una rassegna della ricerca riguardante l'Apocalisse
svoltasi dal 1963 al 1979. Cf. U. VANNI, L'Apocalypse johannique. Érar de la quesrion. in J.
LAMBRECHT (ed.), L'Apocalypse johannique er l'Apocalyprique dans le Nouveau Tesramenr, Leuven
1980. p. 46.
-' Lo dice la produzione amplissima e spesso di alto livello scientifico che ci premureremo di
documentare nelle note seguenti. In esse prendiamo come punto di partenza l'anno 1980,
rimandando per gli anni che precedono alla documentazione raccolta sia nello studio menzionato
nella nota 2, sia in U. V AN"I. Rassegna bibliografica sull'Apocalisse (1970-1975), in RivR (1976)
24, pp. 277-301.
' Cf., ad esempio, F. ZEILINGER, Einftìhrung in die Offenbarung des Johannes, in TPQ
{1984) 132, pp. 53·63; H. GIESEN, Christusbotschaft in apokalyprischer Sprache. Zugang zur
Offenbarung des Johannes, in BiKi (1984) 39, pp. 42-53; A. YARBRO COLLINS, Reading the Book of
Revelation in the Twentierh Cenrury, in lnterp (1986) 40, pp. 229-242.

7
risonanza del messaggio nella vita. Tutto questo fascio di problemi ha
interessato da vicino la ricerca.'
L'Apocalisse, pur presentando una sua originalità irripetibile, non è nata
nel vuoto. Accanto ai contatti, evidenti ma da approfondire sotto molti aspetti,
con l'Antico Testamento,' fa tuttora problema il rapporto con l'ambiente

' Ha trattato il problema dell'ar1tore tendendo a identificarlo con Giovanni il presbitero,


probabile successore di Giovanni apostolo, J .J. GuNTHER The Apvcalypse-Revelarion and
lmagination, in BToday (1981) 19. pp. 361-366. Rileva una continuità tra quarto Vangelo, Lettere
di Giovanni e Apocalisse V.S. PoYTIIRESS, Johannine Aurhorship and the U\·e of lmersentence
Conjunction.< in the Book of Revelation, in WestTJ (1985) 47, pp. 329·336.
Anche la datazione, non meno dell'identità dell'aurore. continua a costituire un prohlcma:
J. STOLT, Om dateringen af Apoka/ypsen, in DDT ( 1977) 40. pp. 202-207; A. YARRRO COLLINS,
Dating the Apocalypse of John, in BiRes (1981) 26. pp. 33-45; H. ULRICHSEN, Die Sieben Hiiupter
und die zehn Horner. Zur Datierung der Offenbarung des Johannes, in ST (1985) J9. pp. 1-20.
Per quanto riguarda gli ultimi apporti sulla struttura dell'Apocalisse, sono da segnalare:
D. GuTHRIE. The Lamb in the Structure of the Book of Revelation. in VoxEv (1981) 12, pp. 64-71;
D. Mvr':oz Le6N, La Estructura del Apoculipsis de Juan. Una approximacwn de 4 de E.<dras y de/2"
de Baruc. in EstB (1985) 43, pp. 125-172; J.-P. CHARLIF.R. The Apocalypse of John. Lasl Times
Scripture of i.llJt Scripture>, in LumVitae (1985) 40, pp. 180-192; U. V ANNI, La strutrura letTeraria
dell'Apocalisse, Brescia 21980. Nella parte aggiunta: «Dieci anni di discussione• (pp. 257-311) viene
fatta una valutazione dei contributi apparsi nel decennio 1971-1980, delle recensioni, con l'apporto
di elementi nuovi.
L'attenzione degli studiosi si è concentrata anche su altri aspetti sempre di carattere letterario,
a cominciare dall'espressione linguistica. In questa ultima prospettiva sono da segnalare A.
LAsCELLom, Predominanre paratassi nella na"ativa ebraizzante dell'Apocalisse, in StBibFrLibAn
(19HO) 30, pp. 303-316; Io., Il ><ai na"atìvo «di consemzione• alla maniera dd wayyiqtol ebraico
neli'Apocall<se, in StBibFrLibAn (1981) 31, pp. 75-104; lo., Il ><ai «consecutivo» di predizione aJill
maniera del weqaralrì ebraico nell'Apocalisse, in StBibFrLibAn (19H2) 32, pp. 133-146.
Inoltre è stata presa in considerazione l'analisi letteraria nella molteplicità delle forme che
comporta: D.L. BARA, The Apocalypse as a Symho/ic Transformation of the World: A Literary
Analysis, in lnterp (1984) 3R, pp. 39-50; U. VANNI, Gli apporti specifici dell'analisi letteraria per
l'esegesi e l'attualizzazione ermeneutica dell'Apocalisse, in RivB (1980) 28, pp. 319-335.
Si è imposto all'attenzione ed è stato fatto oggetto di ricerca, anche qui nel!"'"" molteplicità
di aspetti, il mondo simbolico dell'Apocalisse: M. VELOSO, Slmbo/o.1· en el Apoca/ip.1·<,· de San Juan,
in RevBibArg (1976) 38, pp. 321·333; U. V ANNI, Il simhoiL>mo nell'Apocalisse, in Grc~ ( 19RO) 61,
pp. 461·506; J.-N. ALETTI, Essai sur la symbolique c8eslf de l'Apocalypse de Jean, in Chr ( 1981) 28,
pp. 40-53; E. CoTHtNFT. /,e Symbolisme du culte dam· /'Apoc:ulypse, in Le Symbolisme dans le w/re
des grandes réligions, Louvain·La·Neuvc 1985, pp. 223-238; H. GrEsE,;, ·Das Buch mil de11 sicben
Siegeln». Bi/der und Symho/e in der Offenbarung de.1· Johannes, in BiKi (1984) 39, pp. 59·65.
Il messaggio simbolico dell'Apocalisse provoca unu reazione tipica nei lettori, dalla quale
emergono sia ulteriori caraltcrizzazioni dei lettori stessi sia altri aspetti letterari del messaggio loro
comunicato: J.J. Cor.u,..s, The Apocalypse-Revelation and lmagination, in AToday (19H1) 19, pp.
361-366; U. V A>INI, L 'assemblea ecclesiale •Soggetto interpretante• dell' Apocali.ue, in RasT (1982)
23, pp. 497-513; L.J. SARTRE, lnterpreting rhe Book of Revelation, in WWorld (1984) 4, pp. 57-69;
BARR, The Apocalypse, pp. 39-50; In., The Apocalypse as Ora/ Enactemenl, in lnterp (1986) 40, pp.
243-256; J.L. BLEVINS, The Genre of Revelation, in RExp (1980) 77, pp. 393-408; In .. Revelarion as
Drama, Nashville 1984.
' È impressionante la presenza dell'Antico Testamento nell'Apocalisse, come risulta
mettendone il testo in sinossi con i brani che, in un modo o in un altro. riprende (cf. U. V AN'NI,
Apocalisse e Antico Testamento: una sinossi, Roma 2 1987).
Gli ultimi apporti riguardanti la relazione tra Antico Testamento e Apocalisse riguardano la
possibile dipendenza dal ciclo annuo di letture proprie del calendario giudaico: M.D. GoULOER,
The Apocalypse a;· an Annua/ Cycle of Prophecies, in NTS (1981) 27, pp. 342-367.
Assistiamo inoltre a un fenomeno interessante: una concentrazione dello studio su Daniele e
l'Apocalisse: J.M. EFIRO, Daniel and Revelation. A Study of Two Extraordinary Visions, Valley
Forge 1978; K. HA,..HART, The Four BellJts of /)anie/'s V<<ion in the Night in the Light of Rev. 13.2,

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giudaico, con quello ellenistico, con la situazione politica, con possibili modelli
letterari preesistenti.' Tra questi l'apocalittica giudaica continua ad occupare il
primo posto'
Nel quadro ampio e mosso del rapporto tra l'Apocalisse e il suo ambiente
è emerso da tempo, ma si riproponc sempre all'attenzione, il suo riferimento
anche al Nuovo Testamento c in particolare al quarto Vangelo. Esiste, in
proposito, una notevole fluidità di opinioni e anche l'appartenenza dell'Apoca-
lisse alla cosiddetta scuola giovannea, generalmente ammessa, non può essere
certamente data per scontata.'
Ma l'attenzione degli studiosi non si è limitata a questi tentativi di
collocare adeguatamente l'Apocalisse nel suo ambiente. Il libro è stato studiato
anche dal di dentro. Numerosi contributi hanno portato nuova luce su singoli

in NTS (1981) 27. pp. 576-583; G.K. BEALE, The Danie/ic Background for Revelation 13:18 and
17:9, in TyndB (1980) 31, pp. 163-170; lo., The Use of Daniel in Jew<<h Apocalyptic Literature and
in the Revelation of St. fohn, Lanham 1984; anche il titolo cristologico «Signore dei Signori» (Ap
17 ,14) avrebbe origine in D n 4,37Jo., The Origin of the Title •King of Kings and Lord of Lords» in
Revelation 17.14, in NTS (1985) 31, pp. 618-620; C.G. 0ZANNE, The Fourth Gentile Kingdom (in
Danie/ and Revelation), Worthing 1982; A.B. MtCKELSEN, Daniel and Reve/ation: Riddles or
Realities', Nashville 1984.
1
In questi ultimi anni si è sviluppata la ricerca dei rapporti tra l'Apocalisse e il suo ambiente
sociale e politico: D.E. AUNE, The Social Matrix ofthe Apoca/ypse of fohn, in BiRes (1981) 26, pp.
16-32; Io., The lnfluence of Roman Imperia/ Court Ceremonial on the Apoca/ypse of fohn, in BiRes
(1983) 28, pp. 5·26; H. REtCKE, The lnauguration of Catholic Martyrdom according to St. fohn the
Divine, in Aug. (1980) 20, pp. 275-283; A. YARRRO CoLIJNS, The Revelation of fohn: An
Apocalyptic Respon.se to a Social Crisis, in CurrTMi.s (1981) 8, pp. 4-12; lo., Coping with Hostility,
in BToday (1981) 19, pp. 367-372.
La Yarhro Collins ha elaborato ulteriormente questo materiale, collocandolo in un quadro
di insieme particolarmente riuscito, nel quale trovano posto anche il problema dell'autore, della
data di composizione e dell'efficacia che il testo del libro è capace di esercitare sui suoi lettori (cf.
YARBRO CoLu,.s, Crisis and Catharsis: The Power of the Apocalyp.>e, Philadelphia 1984).
' A partire dall980, i contributi principali sono i seguenti: H. M. PARKER, The Scripture of
the Author of the Revelation of fohn, in lliffRev (1980) 37, pp. 35-51; F. RAUREt.I., Apocallptica y
Apocalipsis, in EstFranc (1980) 81, pp. 183-207; R. BAUCKHAM, The Worship o[ fesus in
Apocalyptic Chrisrianity, in NTS (1981) 27, pp. 322-341; J.F. WHEALON, New Patches on an 0/d
Garment: The Rook of Revelation, in BibTB (1981) Il, pp. 54-59; A. GEYSER, The Twe/ve Tribes in
Revelation: fudean and fudeo-Christian Apocalypticism, in NTS (19M2) 28, pp. 388-399; T.F.
Gt.ASSOI', The Last fudgment in Rev. 20 and Related Writings, in NTS (1982) 28, pp. 528-539.
' Si è occupato di alcuni punti di contatto tra alcuni aspetti dell'Apocalisse e vari scritti del
Nuovo Testamento P.S. MtNEAR, New Testament Apocalyptic, lnterpreting Biblica/ Texts, Nashville
1981.
Ha evidenziato un certo contatto tra l'escatologia paolina e Ap 20 S.H.T. PAGE, Revelation
20 and Pauline Eschatology, in JEvTS (1980) 23, pp. 31-43. Particolarmente interessante, per un
contatto in movimento tra l'Apocalisse e le parabole sinottiche W. PoPKES, Die Funktion der
Sendschreiben in der fohannes-Apokalypse. Zugleich ein Beitrag zur Spiitgeschichte der neutesta·
mentlichen G/eichnisse, in ZNW (1983) 74, pp. 90-107. Cf. anche, sempre a proposito delle
parabole, R. BAUCKHAM, Synoptic Parousia Parab/es Again, in NTS (1983) 29, pp. 129-134.
Per quanto riguarda la collocazione dell'Apocalisse nell'ambito della scuola giovannea, è
nota la posizione negativa di E. Schiissler Fiorenza (cf. specialmente E. ScHl:SSLER FtoRENZA, The
Que.1·t [or the fohannine Schoo/: The Apocalypse an d the Fourth Gospel, in NTS ( 1977) 23, pp. 402-
427) seguita da Y ARBRO CoLLINS, Crisis, pp. 25-53. Si mantiene invece sulla linea della scuola
giovannea O. BòCHER, fohanneische.r in der Apokalypse des Johannes, in NTS (1981) 27, pp. 310-
321.

9
passi, particolarmente su quelli più discussi e disputati, 10 o su aspetti tematici
che possiamo chiamare di teologia biblica." Soprattutto- è un fenomeno che
risalta particolarmente in questi ultimi anni ed è indubbiamente uno dei più
positivi - si è tentato e si tenta, da più parti, di comprendere e spiegare
l'Apocalisse nel suo insieme: si è avuta una fioritura di commenti, con una

10
I contributi riguardanti singoli brani - nonnalmente articolati, se si eccettuano alcuni
libri guardanti le lettere alle chiese- pubblicati dal 19HO al 19Hb superano i 40.
C'è stato un interesse crescente per i capitoli 2-3, come ci mostra la seconda ristampa - la
prima risale al 1963- del contributo classico. apparso nel1904, di W.M. RAMSAY, The Letta;- tu
the Seven Churches, Grand Rapids 1985. Si è occupato sopratrutto dell"ambiente <torico-sociologi-
co delle sette chiese C.J. HEMER. The Letters to the Seven Churches of Asia in Tht'ir Lucul Setting,
Sheffield 1986; si rileriscono ad aspetti particolari delle sette lettere: J.ll. KNOWfH, (i/ory/and
fmm /levelation. Letters to the Seven Chun·he;- (Rev 2-3), in BToday (1985) 23. pp. 173-181; J.L.
BOYER, Are the Seven Leners of Revelarion 2-3 Propheric?, in GraceTJ (198.') n, pp. 267-273; R.
TREVIJANO ETCHFVFRRIA. La Misiòn en la;- i~leJias de Asia (Apoc 2-3), in Salm. (1979) 26, pp. 205-
230: W.H. SH>A, The Covenantal Form ofthe Letters ro rhe Seven Churches. in AUSS (1983) 21, pp.
71-84; J.E. RosscuP, The OvercomeroftheApocalypse, in GraceTJ (1982) 3, pp. 261-286.
Nella seconda parte del libro l'episodio dei due testimoni appare tuttora enigmatico: K.A.
SlllAND, The Two Witnesses of Rev /1:3-12, in AlJSS (19Hl) 19, pp. 127-13'1; J.R. RovsF, «Their
fi{reen Enemies•: The Text of Rev. Xl /2 in P'' and 1611. in JThS (1980) 31, pp. 7S-80; C.H.
GtBLIN, Revelation 11,1-13: itf 1-orm, Funcrion, and Conrexrual1nregration. in NTS (19H4) 30, pp.
433-459. Un altro brano che non sembra mai esaurire lo studio e la ricerca è il capitolo 12: A.
FEUILLET, Le chapilre XII de l'Apocalypse. Son caractère synchétique et sa riche.f_'ie dnctrinale, in
EsprVie ( 1978) 88, pp. 674-683; Io., La Femme vétue du soleil (A p 12) et/a xlorification de l'Epause
du Canrique des Canriques (6,10). Troi.ritme Parrie. Deux probltmes particulitrement ardus:
Commenr lire I'Apocalypse et le Canrique des Canriques?, in NVet (1984) 59, pp. 103-128; P.
EowARDS, The Signs of the Times-or .Here be Dragons•, in «The Way» (1981) 21, pp. 278-291; Il.
GoLLINGER, Das •Grosse Zeichen•. Offb 12 · das Zenrrale Kapitel der Offenbarung des Johannes, in
BiKi (1984) 39, pp. 66-75; E. TESTA, La srrurrura di Ap 12,1-17, in StBibFrLibAn (1984) 34, pp.
225-238; W.H. SHEA, The Para/le/ Lirerary Srructure of Revelarion 12 and 20. in AUSS (1985) 23,
pp. 37-54. Anche ~di regno millenario') non cessa di interessare: G. RociJAJS, Le règne des mille ans
er la seconde mort: origine et sens: Ap 19,/1-20,6, in NRTh (1981) 103. pp. 831-856; M. GoURGUES,
The Thousand-Year Reign (Rev 20:1-6): Terrestrial or Celestial?, in CBQ (19H5) 47, pp. n71>-6H1.
" La teologia biblica ha continuato ad approfondire con apporti nuovi le !ematiche orma.i
classiche dell'Apocalisse come:
Cristologia: N. HOIINJEC, »Das Lamm- tò aQViov'• in der Offenbaruni( de;- Johannes. Eine
exegerischtheologi.rche Unrersuchung, Roma 1980; A. LAPPI.F, Oas Geheimnis des Lammes. Das
Christllsbild der Offenbarung de.< Johannes, in HiKi (1984) 39, pp. 53-5H.
Teologia dello Spirito: B. MoRICONI, Lo Spirito e le chiese, Roma 1983; R.L. JESKE, Spirit
and Communiry in rhe Johannine Apocalypse, in NTS (1985) 31. pp. 452-460; R.J. BAtrCKHAM, The
Role of the Spiri/ in the Apocalypse, in EvO (1980) 52, pp. 66-83.
Escatologia: W. GUNTHER, Der Nah- und Enderwartungshorizonl in der Apokalypse des
heilil(en Johannes, Forschung zur Bi bel 41. Wiirzburg 1980; U. VA~NI. Dalla venura dell'•ora. alla
venwa di Crisro (La dimensione storico-crt<rologica dell'escatologia nell'Apocalisse) in StMiss
(1983) 32. pp. 309-343; A. LAPPLE, ·Das neue Jerusalem•. Die Eschatologie der Offenbarung des
Johannes. in BiKi (1984) 39, pp. 75-81; H.U. voN BAt.THASAR, Die giillli<:hen Gerichte in der
Apokalypse, in Communio (1985) 14, pp. 28-34.
Comunità ecclesiale: G. WOLFF, Die Gemeinde d es Chri.rtus in der Apokalypse des Joha,.,res,
in NTS (1981) 27, pp. 186-197; K.M. FISCIIER, Die Christ/ichkeit der Offenbarun~ Johannes, in
ThLZ (1981) 106, pp. 165-172.
Liturgia: J.A. GRASSI, The Lirurgy of Revelation, in BToday (19M6) 24, pp. 30-37.
Dirilli umani: H. ScH0RMANN, MenschenwUrde und Menschenrechte der «Offenbarung Jesu
Chri.rti• (Skizze), in Greg (1984) 65, pp. 327-336.
Si hanno poi delle opere d'insieme, che trattano anche aspetti della teologia biblica: E.
ScHOSSLER FIORF.NZA, The Book of Revelation. Justice and Jud~ment, Philadelphia 1985; K. STOCK,
Das /etzte Worr hat Gorr. Apokalypse als Frohbotschaft, lnnsbruck-Wien 1985.

lO
gamma ampia e differenziata, oscillante dal livello scientifico a quello di
divulgazione pastorale."
L'Apocalisse non solo non è nata ma neppure ha viaggiato nel vuoto. La
sua risonanza nel corso dei secoli è stata tra le più rilevanti rispetto agli altri
libri della Bibbia: anche questo fatto, adeguatamente studiato e valorizzato,
permette oggi un'interpretazione più approfondita."
Infine è da rilevare l'attenzione crescente prestata all'ermeneutica del-
l' Apocalisse nell'impatto diretto che il testo ha avuto e continua ad avere con la
vita."
Questo mio libro è nato nel vivo del contesto di ricerca tuttora in
movimento del quale abbiamo indicato le linee di fondo. Vi si è trovato inserito
e ne ha fatto parte: il materiale che presenta è stato raccolto c maturato
nell'arco di diciotto anni che l'autore ha dedicato all'insegnamento dell' Apoca-
lisse nel Pontificio istituto biblico e in parte è già stato pubblicato sotto forma
di articoli e dispense.''

11
Il 1979 è stato un aMo fecondo in fatto di commentari: se ne contano almeno sei, alcuni
anche di rilievo. Sono da segnalare: H. HAJLEY, Revelatìon. An lntroduction and Commentary,
Grand Rapids 1979; J P.M. SWEET. Revelation. Westminster Pelican Commcntaries, Philadelphia:
Wcstminster 1979; A. YARBRO CoLUNS, The Apocalypse, New Testament Message 22, Wilmington
1979
Negli anni seguenti l'impegno è continuato. Abbiamo: G.R. BEASLEY-MURRAY, The Book of
Revelation, New Century Bible Commentary, Grand Rapids 1981; P. PRIGE,.T, L'Apoca/ypse de
saint Jean, Commentaire du Nouveau Testament, deuxième série 14. Lausanne-Paris 1981, un
commento particolarmente accurato che si situa a livello di ricerca (apparso anche in traduzione
italiana L'Apocalisse di 5. Giovanni, Roma 1985); E. SciiUSSLER FIORENZA, lnvitation to rhe Book
of Revelation. A Commenrary on rhe Apocalypse with Compiere Text from The JertL<alem Bible,
New York 1981; J. RoLOFF, Die Offenbarung des Johannes, Zurcher Bibelkommentare NT 18,
Zurich 1984; l). B. MOLLER. Die Offenbarung d es Johannes, Okumenischcr Taschcnhuchkommen-
tar zum Ncuen Testament 19, Gutersloh 1984; B. CoRSANI, L'Apocalisse. Guida alla lettura
dell'ulrimo libro della Bibbia, Torino 1987.
Occupa un posto a parte, per la novità geniale, ma molto discussa, della sua impostazione,
l'opera di E. CoRSINL L'Apocalisse prima e dopo, Torino 1980 (tradotto in inglese e francese).
" L'opera più impegnativa per quanto riguarda la storia dell'interpretazione dell'Apocalisse
è quella di G. MAIER. Die Johannesoffenbarung und di e Kirche, Wissenschaftlichc IJntcrsuchungen
zum Neuen Testament 25, Tubingen 1981. Sono anche da segnalare: G. KRETSCHMAR, Die
Offenharung des Johannes. Die Geschichte ihrer Auslegung im l. JahrratLSend. Calwcr Theologische
Monographien B9, Stuttgart 1985; D. BRADY, The Contribution of Brirish Wrirer.1· berween 1560 and
/830 ro the /nterprerarion of Revelation /3:/6-18 (The Number of rhe Beasti- A Study in rhe History of
Exegesis, Beitrage zur Geschichte der biblischen Exegese 27, Tubingen 1983.
14
Oltre a quanto osservato più sopra a proposito della relazione del ~~soggetto interpretan-
te» - vedi nota 5 - è da rilevare un risveglio di interesse per la morale dell'Apocalisse: cL T.
CoLLINS, Apocalypse 22:6-21 as rhe Foca/ Point of Mora/ Teaching and Exhortation in rhe
Apocalypu, Roma 1986.
:; Secondo l'ordine della loro disposizione nell'arco del libro, gli articoli pubblicati prima,
ma tutti rielaborati, sono i seguenti: Gli apporti specifici dell'analisi leueraria e l'alltLalizzazione
ermeneutica dell'Apocalisse, in RivB (1980) 28, pp. 319-335; Il simbolismo nell'Apocalisse, in Greg
(1980) 61. pp. 461-506; La riflessione sapienziale come atteggiamento ermeneutico costante
nell'Apocalisse, in RivB (1976) 24, pp. 185-197; L'assemblea ecclesillle •soggeuo interpretante»
dell'Apocali.I'Se, in RasT (1982) 23, pp. 497-513; Il •giorno del Signore» (Ap 1,/0) giorno di
purificazione e di discernimento, in RivB ( 1978) 26, pp. 187-199; Il ferzo •sigillo• deli'Apucali.ue (Ap
6,5-6): simbolo dell'iflgitLSrizia Jociale?. in Greg (1978) 59. pp. 691-719: La decodificazione del
"grande segno" in Apocalisse 12,1-6, in Mar. (1978) 19, pp. 1221-1 52; Regno •non da quesw mo11do»
ma •regno del mondo •. Il regno di Cristo dal TV Vangelo ali'Apoca/Lue, in StMiss (1984) 33,

11
Il libro però non vuole essere una di quelle raccolte di articoli, peraltro
altamente apprezzabili, che esprimono saggisticamente il pensiero di un autore
permettendo una comprensione di insicmc. 1' Il contenuto che offre ohhediscc a
un disegno più preciso, emerso proprio nel contatto c in un confronto
prolungato con la produzione scientifica di questo ventennio. 17
Spieghiamo subito come. L'autore ha iniziato a interessarsi dell'Apocalis-
se sotto il profilo letterario, studiandone anzitutto la struttura. Raccogliendo il
suggerimento espresso, tra gli altri, dal compianto B. Vawter, 1' di svilupparnc
le implicazioni, l'autore si occupò in seguito anzitutto degli altri aspetti letterari
presenti nel libro c del loro rapporto con l'esegesi. Gli aspetti letterari
apparvero subito collegati col simbolismo, con cui, almeno in parte, coincide-
vano. Ciò portò allo studio diretto del simbolismo nell'Apocalisse, con le sue
varie implicazioni. La più importante tra queste stava nel fatto che emergono
dall'interno stesso del testo indicazioni precise riguardanti proprio il simboli-
smo e soprattutto le modalità della sua interpretazione: il «soggetto interpre-
tante>> è l'assemblea liturgica in atto alla quale è rivolto il discorso e dalla quale
si sollecita più volte una reazione particolarmente attiva. Tale reazione, vista
sempre dall'interno del libro mediante gli elementi che il libro stesso fornisce,
non si limita a interpretare il simbolo, ma ne comporta un'applicazione alla
vita. Si profilava una traiettoria, un arco di sviluppo che si estendeva in
continuità dagli aspetti puramente letterari fino all'interpretazione del vissuto.
I contributi riguardanti questa traiettoria, rivisti e rielaborati in modo da
formare un tutto organico, costituiscono la Prima parte del libro e che, dal
punto di arrivo applicativo della traiettoria stessa, denominiamo Ermeneutica.
A questo punto si poneva una domanda, stimolata dai contributi
riguardanti i singoli brani nonché dai commentari: quale tipo di esegesi
richiede quella visione organica che va dagli aspetti letterari all'ermeneutica,
propria della prima parte?
La risposta non era difficile. L'attenzione agli elementi letterari implicava
una valorizzazione attenta di tutto quello che, riguardo ai singoli testi, poteva
offrire l'analisi storico-critica con un riferimento privilegiato all'Antico Testa-
mento, che l'autore dell'Apocalisse, notoriamente, riprende e rielabora.

pp. 325-358. Dalla >enuta dell"'ora" alla >enura di Cristo. La dimensione storico-cristologica
dell'escatologia nell'Apocalisse, in StMiss (1983) 32, pp. 309-343; La promozione del regno come
responsabilità sacerdotale dei cristiani secondo l'Apocalisse e la Prima Lenera di Pietro, in Greg
(1987) 68, pp. 9-56; Dalla maternità di Maria alla maternità della chiesa. Un'ipotesi di evoluzione da
G> 2,3-4 e 19,26-27 ad Ap 12,1-6, in RasT (1985) 26, pp. 28-47; Gerusalemme nell'Apocalisse, in
Gerusalemme, Atri della XXVI Settimana Biblica, Brescia 1982, pp. 27-52.
1
" Ci sono per l'Apocalisse due casi recenti e significativi: O. BòcHER, Kirche in Zeit und
Endzeit. Auf<iitze zur Offenbarung des Johannes. Neukirchen Vluyn 1983; SCHOSSLF.R FtoRENZA,
The Book.
" Si trana soprallutto -oltre ai contatti personali - delle opere alle quali abbiamo fallo
riferimento nelle note precedenti e di quelle che saranno indicate volta per volta a seconda della
materia trattata.
1
' Cf. la recensione a La struttura lerteraria dell'Apocalisse. I edizione, in CBQ (1972) 34, pp.
249-250. B. Vawter è mancato il l dicembre 1986.

12
Ma non si poteva fermare là. La lingua originalissima, dotata di una carica
espressiva che arriva a innovare forzando la grammatica, lo stile davvero
<<inimitabile» - come lo definisce Boismard - e che si concretizza in un
ventaglio ampio e variato di fenomeni letterari tipici, l'aggancio diretto con un
soggetto interpretante che si suppone sempre particolarmente reattivo, c, in
modo particolare, il simbolismo con la pressione che esercita per una sua
interpretazione imponevano di esplicitare tutti gli clementi presenti sincronica-
mente ed interagenti nel testo.
Inoltre, dato che l'Apocalisse sembra richiedere, proprio dal di dentro,
uno sbocco applicativo, si trattava di orientare l'esegesi verso l'ermeneutica,
pur senza confonderla con essa.
Come realizzare queste istanze complesse, ma tutte irrinunciabili, dell'e-
segesi dell'Apocalisse? La Seconda parte del libro intende dare un contributo
su questa linea, con una prospettiva particolare: i brani sono stati scelti da tutto
l'arco del libro, secondo la sua struttura letteraria. in modo da avere un
approfondimento esegetico almeno saggistico e settoriale di ciascuna delle sue
parti e sezioni. Un'attenzione speciale è stata dedicata, sempre nel decorso del-
l'esegesi, alle grandi figure principali- Cristo agnello. il libro dei sette sigilli,
gli anziani, i viventi, ecc. - che si incontrano nello svolgimento del libro.
Ma neppure questo tipo di esegesi riusciva ad esaurire il messaggio
dell'Apocalisse. Il libro - oggi tutti lo riconoscono - ha una sua unità
letteraria di fondo, anche se poi è difficile precisarne la formula. Come testo
unitario l'Apocalisse è significativa anche per quel messaggio che riesce a
comunicare e suscitare come insieme. Studiando il libro in questa prospettiva,
emergevano delle costanti !ematiche che lo percorrono dall'interno e che si
trattava di esplicitare ed evidenziare. Era la teologia biblica, un campo di
indagine che, lo notavamo più sopra, si è affermato notevolmente in questi
anni ed è tuttora in fase di crescita.
Le !ematiche teologico-bibliche che attraversano il libro come insieme
potevano essere studiate in due prospettive, che corrispondono di fatto a due
livelli. C'era una !ematica che emergeva tutta nell'ambito del libro, sempre
considerato come insieme, e una !ematica che, inoltre, presentava una
dimensione comparativa. Partendo dalla prospettiva, valida almeno come
ipotesi di lavoro e che ripetute conferme hanno reso sufficientemente solida e
fondata, di una continuità in crescendo tra il quarto Vangelo e l'Apocalisse
nell'ambito del circolo giovanneo," era interessante rilevare come alcune
!ematiche essenziali - l'escatologia, il regno, ecc. - acquistano un aspetto
nuovo, sorprendentemente più ricco e suggestivo, se studiate diacronicamente
su una linea di sviluppo a partire dal quarto Vangelo. A questa doppia serie di
!ematiche è dedicata la Terza parte del libro.

" Cf. ad esempio VANNI, Dalla maternità, pp. 28·47. (Ripreso e rielaborato nella Parte
terza).

13
Rispetto a quella che poteva essere l'esigenza giusta di un'ampiezza
maggiore dedicata all'esegesi e soprattutto alla teologia biblica, è stato
privilegiato un criterio di organicità funzionale. Il mio libro vorrebbe anzitutlo
introdurre a una comprensione scientifica del testo mediante l'esposizione
concatenata dei prerequisiti essenziali alla lettura: la prima parte, l'ermeneuti-
ca, risponde a questa esigenza. Vorrebbe, in secondo luogo, guidare a una
lettura e a uno studio approfondito attraverso esemplificazioni distribuite per
tutto l'arco dell'Apocalisse e a questo intento corrisponde la seconda parte,
l'esegesi. L'esegesi poi spinge spontaneamente verso quella comprensione via
via più sintetica, propria della teologia biblica: è quanto viene prospettato nella
terza parte, dedicata appunto ad esempi organicamente collegati tra di loro di
tale teologia.
Nato dall'intreccio dialogico costituito dai contributi di tanti studiosi, il
libro vorrebbe trovarvi una sua collocazione, offrendo del materiale per un
confronto che dovrà continuare.
Le reazioni degli studiosi, che potranno essere di consenso o di critica,
saranno in ogni caso uno stimolo ad approfondire ulteriormente e a ripensare.
L'autore, che si trova impegnato nella preparazione di una presentazione più
completa del messaggio dell'Apocalisse sia sotto il profilo divulgativo sia sotto
quello di ricerca, ne ringrazia in anticipo.

Roma, aprile 1987

14
parte prima

ERMENEUTICA
Il primo passo per la comprensione di un testo è sempre la presa di
coscienza degli aspetti letterari che contiene: a questa esigenza risponde il
primo capitolo: <<L'approccio letterario dell'Apocalisse». Proprio all'interno
dell'approccio letterario emerge e si impone all'attenzione il simbolismo, che,
iniziando come fatto puramente letterario, si sviluppa poi in un 'autonomia
propria. Abbiamo cosl il secondo capitolo: <<Il simbolismo dell'Apocalisse>>.
È un simbolismo tipico, non solo per la sua espressione e per la sua molteplicità
di struttura, ma anche per il fatto che contiene come una pressione, una spinta
verso l'interpretazione e l'applicazione. Questa esigenza caratteristica del
simbolismo viene presa in considerazione nel capitolo terzo: <<Dal simbolismo
alla vita: ermeneutica e riflessione sapienziale>>. Il passaggio dall'espressione
letteraria del simbolismo all'interpretazione del vissuto non è lasciato all'arbi-
trio di un lettore qualunque: l'Apocalisse indica chiaramente <<l'assemblea
ecclesiale>> come <<soggetto interpretante dell'Apocalisse>>: è l'argomento del
quarto capitolo. L'assemblea ecclesiale si trova ad essere la protagonista
privilegiata dell'interpretazione dell'Apocalisse, interpretazione che poi si
risolve, secondo la struttura stessa del libro, in un'attività di purificazione e di
discernimento ma inquadrata idealmente nel giorno di domenica: abbiamo il
capitolo quinto: <<L'assemblea ecclesiale si purifica e discerne nel "giorno del
Signore" (Ap 1,10)». Così si conclude la trafila dagli aspetti letterari
all'ermeneutica.
capitolo l

L'approccio letterario all'Apocalisse

l. INTRODU7.JONF.: IL TESTO DELL'APOCALISSE

Ogni opera scritta, a qualunque livello di letteratura appartenga,


richiede, per essere compresa c valutata adeguatamente, tutto un insieme di
operazioni previe. Le possiamo denominare «approccio letterario>>.
Il primo passo di tale approccio, la prima operazione da compiere, è una
messa a punto del testo originale. Trattandosi di un testo antico, tale messa a
punto può fare problema. Ma la critica testuale, sia per la letteratura antica in
generale sia - e con uno sviluppo tutto particolare - per i libri della Bibbia,
ha raggiunto, oggi, un tale grado di efficienza da darci dei testi che, con
differenze che riguardano la tradizione manoscritta di ciascuno, si avvicinano
tanto all'originale, da coincidere sostanzialmente con esso.
Per quanto riguarda l'Apocalisse, la lingua tutta speciale usata dall'auto-
re, l'accettazione graduale del libro nel canone con la relativa discussione, la
sua accettazione prima nelle chiese di occidente e poi in quelle di oriente,
hanno contribuito a rendere la storia della sua tradizione manoscritta
particolarmente complessa. Il lavoro di 1. Schmid' che ha dedicato allo studio
del testo dell'Apocalisse una buona parte della sua vita, costituisce, a giudizio
unanime degli studiosi, un punto fermo in tutta questa materia. Le sue
conclusioni potranno essere ulteriormente approfondite e perfezionate nei
dettagli.' ma permettono di avere in mano un testo affidabile. È quello
riportato nelle edizioni critiche moderne.
Anche se le scelte fatte che vi appaiono sono normalmente da preferire,
per l'Apocalisse è sempre istruttivo un esame ravvicinato delle varianti, anche
se chiaramente secondarie. Dietro ciascuna di esse si nasconde un qualche
problema della regione e del tempo in cui sono sorte. In modo particolare. per
un approccio tipicamente letterario, sono significative e istruttive le varianti

1 Cf. J. ScHMID, Studien zur Geschichte d~s griechischen Apokalypsetextes, Miinchen 1955-
1956.
' Cf. J. DELOBEL, Le texte de /'Apocalypse: Problèmes de méthode. in J. LAMBRECHT (ed.),
L'Apoca/ypse johannique etl'Apocalyptique dans le Nouveau TPStament, Leuven 1980, pp. 151-166.
A p. 151, nota l, si trova un'ampia bibliografia sulla critica testuale dell'Apocalisse.

17
riguardanti frasi o espressioni che, nel greco tutto particolare dell'Apocalisse,
presentano delle difficoltà grammaticali.
Ci limitiamo a due esempi. In 1,4 l'autore augura alle sette chiese del-
l' Asia grazia e pace àrrò ò wv xaì. ò ~v xaì. ò ÈQXO~Evoç, Colpisce im-
mediatamente la costruzione anomala di arto col nominativo e ritorneremo
in seguito su questo punto importante. Ma l'anomalia che oggi rileviamo,
secondo gli schemi grammaticali acquisiti, era davvero avvertita come tale?
Uno sguardo alla tradizione manoscritta ci dà una risposta chiara: troviamo
arrò ò wv ... nei codici sinaitico, A C P vari minuscoli e traduzioni; inseriscono
invece l'tEoù tra ò.rr6 e 6 <1JV la maggioranza dei codici bizantini dipendenti dal
commento di Andrea di Cesarea, come pure Vittorino e Primasio. L'autorità
dei codici che ci testimoniano ò.rt6 legata direttamente a ò wv, il fatto che
questa sia lectio difficilior non lasciano dubbi: il testo originale aveva àrr6 con 6
wv. Ma l'inserimento così diffuso di l'tEOù dopo èm6, un genitivo che rende
l'espressione regolare grammaticalmente e piana, ci dice che la forma originale
era avvertita come irregolare, strana, che faceva problema. Tenendo conto di
questo dovremo accoglierla e interpretarla con tutta la forza d'urto della sua
irregolarità.
l n l ,5 il gruppo di ascolto, reagendo alla benedizione del lettore, rivolge
la sua lode a Cristo <<che ci sta amando c ci sciolse dai nostri peccati nel suo
sangue>>. Nell'originale greco c'è una variante a proposito di <<Sciolse»: si trova
Moavn in P", Sinaitico, A C, nei manoscritti bizantini dipendenti da Andrea
di Cesarea, in molti minuscoli, in Primasio. Ma è largamente attestata la
variante ì.ouaavn <<che lavò>>: la si trova in P, vari minuscoli, in molti codici
bizantini non dipendenti da Andrea di Cesarea, nelle versioni latina e
bohairica. Anche in questo caso non ci sono dubbi sull'originalità della lectio
ì.uoavn, meglio attestata e più difficile; la variante ì.ouoavn <<che lavò»
sottolinea una certa incongruenza che era avvertita nel contesto. È spontaneo,
per una continuità dell'immagine, attribuire al sangue di Cristo l'azione di
<<lavare»; rompe invece la continuità dell'immagine l'attribuzione, sempre al
sangue di Cristo, dell'azione di «Sciogliere». Ma proprio questa peculiarità
dovrà essere avvertita e valorizzata adeguatamente nell'esegesi.'
Constatazioni di questo genere si potranno fare ogni volta che troviamo
un'asperità grammaticale nell'Apocalisse o una qualche variante di rilievo.
Aiutano il lettore a mettersi in un contatto il più aderente possibile con un testo
che sostanzialmente corrisponde a quello originale ed ha una forza espressiva
tutta sua. Sarà compito dell'analisi letteraria metterla adeguatamente in
risalto.

3
Le varianti documentate nella tradizione manoscritta specialmente dell'Apocalisse, a
parte il loro valore in funzione di una ricostruzione del testo originale, ci testimoniano anche come
il testo è stato recepito. Quando, accanto alla lezione che fa difficoltà, si trova una lezione meno
difficile, come in questo caso, il fatto è una spia di richiamo che sottolinea una problematico del
testo che occorre affrontar~, senza eliminarla.

18
2. ANALISI LETIERARIA, ESEGESI, ERMENEUTICA

Precisiamo, anzitutto, dato anche il proliferare di neologismi con la


confusione relativa che producono, che cosa intendiamo con i vari termini
usati.
Per analisi letteraria intendiamo lo studio di un testo letterario - che ha
quindi una sua fisionomia identificabile e classificabile - in tutta quella che è
una valorizzazione la più completa del testo nella forma con cui esso è
espresso: il suo vocabolario, la sua grammatica, quei fenomeni di stile che
siano chiaramente isolabili (strutture all'interno di una frase: chiasmi c altre
figure retoriche), gli elementi caratteristici del genere letterario usato.
L'analisi letteraria ha una sua autonomia rispetto al contenuto a cui si
riferisce e una precedenza metodologica. Va quindi eseguita e portata più
avanti possibile, prescindendo in un primo momento dal contenuto che essa
veicola. Ma è in funzione di un contenuto. Una volta che l'analisi è stata
eseguita, è possibile un'esposizione del contenuto: è l'esegesi.
Ma l'esegesi, cioè l'esposizione di un testo biblico, è un'esposizione fatta
per la vita. A questo punto interviene l'ermeneutica che rende possibile il
passaggio dal livello astratto di un messaggio, di un contenuto, al livello di
assimilazione vitale. Ciò che il testo dice lo dice, in concreto, alla vita. Quando
si raggiunge la vita, si ha di un testo l'attualizzazione ermeneutica eseguita.
L'analisi letteraria eseguita aderentemente non solo influisce in modo deter-
minante sulla formulazione astratta del contenuto di un testo (livello esegetico),
ma ne orienta anche l'assimilazione per la vita. Un brano poetico, che l'analisi
letteraria non solo fa identificare, ma anche sentire e gustare come tale, percepito,
assorbito lascia una traccia nella vita della persona. Segue la persona.
Tutto questo ha un valore e un significato particolari specialmente per
l'Apocalisse. La sua lingua è un fenomeno tutto particolare. G. Mussies' ha
sottolineato come, pur ammettendo un certo sustrato semitico generale,
l'autore deJrApocalisse maneggia il suo greco al di là sia degli schemi usuali
della grammatica greca sia di quelli della grammatica semitica. È un greco tutto
suo, in cui l'autore sembra trovarsi continuamente a disagio. Che rilevanza ha
questo greco - ecco un primo problema posto all'analisi letteraria - agli
effetti dell'esegesi e dell'attualizzazione ermeneutica?
Lo stile dell'Apocalisse ha, ugualmente, una fisionomia particolare.
Boismard lo qualificava «inimitabile>>, unico, e nessuno gli potrebbe dare torto.
E il suo stile è fatto di un uso tutto particolare di un ritmo, di transizioni, di
figure retoriche che meritano un'analisi ravvicinata, data appunto la peculiari-
tà. L'analisi letteraria dovrà mettere in luce la fisionomia tipica dello stile
dell'Apocalisse. Si pone, di nuovo, la domanda: che influsso ha lo stile, una
volta localizzato e focalizzato, nell'esegesi e nell'attualizzazione ermeneutica?

' Cf. G. MussiES, The Greek of the Book of Revelation, in LAMBRECHT, L'Apoca/ypse
jolumnique et I'Apocalyptique diJns le Nouveau Testament, pp. 167-177.

19
Il genere letterario dell'Apocalisse non ha mancato di porre i suoi
problemi. La simultaneità con la profezia ne ha fatto e ne fa qualcosa di unico.
E le forme letterarie - dialoghi, drammatizzazioni, ecc. - usate di fatto
dall'autore esigono un'analisi letteraria particolarmente aderente e accurata.
I risultati di questa analisi, riferita appunto alle forme letterarie tipiche usate,
danno un loro contributo all'esegesi e all'attualizzazione ermeneutica?
Queste domande diventano particolarmente stringenti se si tiene presente
la fisionomia tipica dell'esegesi c soprattutto dell'attualizzazione ermeneutica
del!" Apocalisse.
L'esegesi è notoriamente difficile per l'uso del simbolismo. Anche se
l'analisi letteraria non coincide con quella del simbolismo, certamente ci sono
dei tratti - e non pochi - in comune.
Per quanto poi riguarda l'ermeneutica, l'Apocalisse ci si presenta come
un'esperienza da farsi che ingloba anche il momento esegetico, ma lo supera.
Nell'interazione tra un lettore e un gruppo di ascolto (1,3),' prima si decodifica
il simbolo, poi si dà al contenuto desunto una dimensione concreta, se ne fa
un'identificazione nell'orizzonte della storia in cui si vive, e infine se ne
traggono delle decisioni e delle scelte operative.
In questa trafila quale influsso hanno le peculiarità di grammatica, di stile
e di genere letterario che l'analisi letteraria riesce ad evidenziare?
Per rendere l'indagine più concreta sceglieremo alcuni esempi precisi, che
studieremo a livello di formulazione grammaticale, di stile, di genere letterario
inteso in senso più ampio.
In tutti e tre questi aspetti, metteremo in evidenza i risultati dell'indagine
letteraria e il contributo specifico che essa offre, sia per l'esegesi che per
l'attualizzazione ermeneutica.

3. IL LIVELLO GRAMMATICALE

Prendiamo in esame due testi tra i molti possibili, che presentano il vantag-
gio di una certa chiarezza sia nell'indagine che nell'applicazione: Ap 1,4a e 5,6.
Viene citato spesso come un esempio di greco anomalo, particolarmente
aspro dal punto di vista della grammatica, A p l ,4a:
XUQlç U!-liv xat ElQi)vl]
lmò ò wv xat ò ~v xat ò èQX61-lEVoç.
'An6 col nominativo era una sferzata all'orecchio di un normale ascoltato-
re greco. Un errore da parte del nostro autore, poco pratico della lingua greca
e dell'uso delle preposizioni? Un sospetto del genere viene subito dissipato da
quanto segue: in Ap 1,4b abbiamo ém6 usato regolarmente col genitivo: ànò
T<ÌJV ÉlttÙ ltVEU 1-lU"((ùV.

' Per quanto riguarda questa interrelazione vedi Pane seconda, c. l.

20
È sommamente improbabile che il medesimo autore usi, nella stessa
frase, due modi di costruire la proposizione, uno regolare, e l'altro irregolaris-
simo, senza rendersene conto. Il primo àn6, conseguentemente, è da parte
dell'autore, una sottolineatura brusca e intenzionale, una provocazione.
E allora il discorso camhia: àno, seguita dal nominativo, da una parte
collega XUQLç u~i:v xaì EiQl\VTJ con 6 wv xal 6 ~v xal o l:gxoprvoç indicando la
provenienza; dall'altra la mancata concordanza slega in certo senso ò rov xal 6
~v xaì 6 ÈQXO~EVoç e conferisce all'espressione un rilievo suo particolare.
Si hanno due indicazioni immediate. L'esegesi dovrà tener conto del
valore particolare di questa espressione. E infatti si vede che essa ha una
densità teologica tutta sua: parafrasa il nome di Dio e ci presenta Dio come
coinvolto nella storia della salvezza in un presente che è illuminato da un
passato e che sfocerà, in un futuro, nella venuta conclusiva.
Anche l'attualizzazione ermeneutica trova nell'uso anomalo un'indicazio-
ne interessante: la brusca soluzione di continuità tra àn6 e il nominativo che
segue comporta una pausa, nella lettura (il testo viene proclamato da un lettore
e ascoltato da un gruppo: cf. 1,3) e nella riflessione di chi ascolta.
Non si tratta di un caso isolato nello stesso contesto: XUQLç il~tv xal
ELQl\VTJ viene augurata da parte di Dio, 6 wv xal 6 ~v xaì 6 ÈQXO~Evoç, da parte
dei <<sette spiriti>>,' e da parte di Cristo. 'An6 ha sempre la funzione di
connettere l'origine della benedizione con il «voi>> del gruppo in ascolto. A
proposito di Cristo si ha un procedimento strano, che riprende in modo diverso
l'anomalia di 1,4a:

xal ànò 'll]ooii XQLmoii


6 JAUQTUç 6 mm6ç
6 JtQul1010KOç 1WV VEKQWV
xal 6 UQXWV 1wv ~amì.Éwv <iiç yiiç.

Dopo il genitivo regolare -lutò 'll)ooii XQLO'toii -,segue, inaspettatamen-


te, il nominativo. Si ha, di nuovo, un certo isolamento, una frattura con quello che
precede: così le espressioni al nominativo acquistano un risalto tutto particolare.
L'esegesi dovrà apprezzare la rilevanza attribuita a questi titoli cristologici. Come
pure il lettore e il suo gruppo di ascolto sono invitati, proprio mediante questa
discontinuità, a una lettura spezzata, ricca di pause riflessive.
Una caratteristica almeno altrettanto imbarazzante del linguaggio dell'A-
pocalisse è la discontinuità nell'uso dei generi. Spesso a un neutro segue un
maschile. In 5,6 viene presentato l'àQv[ov: l'autore ha una consapevolezza
chiara che questo termine che egli predilige è grammaticalmente neutro e sono

6
I •sette spiriti» sono, con tutta probabilità, un'espressione letteraria coniata dall'autore
dell'Apocalisse per esprimere l'azione dello Spirito santo. Cf. per un approfondimento, Parte
seconda, c. l, p. IlO, nota 16.

21
neutri i primi due attributi che gli sono riferiti. Ma subito dopo si ha,
inspiegabilmente, il maschile EXOJV.
Troviamo il medesimo fenomeno nell'ambito della stessa proposizione e
proprio in continuità col testo al quale ci stiamo riferendo: ÉXWV ... òqn'taÀ~oùç
f:mu, ol: EÌm v -rà [bnà) JWEÙftUTa -roi• HfOu ànmwÀ~Évm Eiç ncioav -ri)v yiiv. Al
neutro nvf1)~ata viene riferito, enfaticamente, il maschile ànHn:aÀ~Évot. 7

Questo fenomeno strano ha una sua spiegazione al di là dell'attribuzione


semplicistica di una svista dell'autore o, peggio ancora, di una sua ignoranza. Il
maschile esprime, rispetto al neutro, una maggiore concretezza. Di Cristo
agnello EXWV maschile sottolinea che egli, nella concretezza della nostra storia
e proprio in essa, possiede la pienezza della sua efficienza messianica. Anche la
pienezza distribuibile dello Spirito simboleggiata dagli occhi, diventa una
pienezza operante e distribuita di fatto nella molteplicità delle modalità
concrete che lo Spirito assume nella sua azione svolta storicamente.
Gli esempi -l'accennavamo- si potrebbero moltiplicare. Ma già questi
sembrano sufficienti a indicare come l'autore dell'Apocalisse si trova a disagio
nel sistema linguistico in cui opera. Forza il sistema, ottenendo così effetti di
significato nuovi e suggerendo l'atteggiamento adatto per percepirli e valoriz-
zarli. L'analisi letteraria dovrà, per una comprensione e un'attualizzazione
adeguata, mettere in risalto questi dettagli, seguendo l'espressione grammati-
cale in tutte le sue sinuosità.

4. Lo STILE DELL'APOCALISSE

Ma le particolarità letterarie dell'Apocalisse non si limitano al sistema


grammaticale. L'autore ha un suo stile. Al di là dell'esame molto sintetico e
quasi meccanico che ne ha fatto il Turner' - e anche in questo caso siamo
nell'ambito dell'analisi letteraria - possiamo analizzarne alcuni esempi più
tipici, chiedendoci anche qui quali siano i risvolti esegetici cd ermeneutici -
sempre nel senso sopra indicato - che ne conseguono.
Una caratteristica tipica dello stile dell'Apocalisse sono i cosiddetti
«motivi letterari>>. In analogia con la musica, possiamo chiamare così quel
fenomeno letterario tipico che si determina mediante la ripetizione, rilevante
come numero e frequenza di ricorrenze, nel medesimo contesto di un termine o
di una frase caratteristica. Tale ripetizione costituisce come una trama di
fondo, un Leit-motiv letterario che dà in certo senso il tono a tutto il brano.

7
Sia per éxwv (P e altri leggono fxov), sia soprattutto per ànE<TtaÀ~vot (il codice Sinaitico
legge à:ctm:aÀ~tva) non sono mancate proposte di modifiche nella tradizione manoscritta. Ciò
conferma che l'anomalia era sentita fortemente. Ma, a giudizio comune delle edizioni critiche
moderne, è da ritenersi preferibile la lezione anomala, perché più difficile e perché spiega la
derivazione delle altre.
• Cf. N. TURNER, Sryle, in J.H. MotJLTON, A Grammar of New Testament Greek, Edinburgh
1976, IV, pp. 145-159 (con bibliografia, pp. 158-159).

22
Altri esempi: in Ap 4,1-10 l'a. è introdotto in cielo e la prima esperienza
che fa a questo livello è la constatazione della presenza di un 1'tg6voç. E ttgovoç
è proprio un <<motivo letterario>> caratteristico del brano: vi ricorre 14 volte in
IO versetti; vi ricorre anzitutto al nominativo; eppoi è costruito con diverse
preposizioni: btl - coll'accusativo, il dativo e il genitivo - . xuxÀol'tEv,
tvwmov-'
C'è, rispetto al contenuto delle singole proposizioni, un <<di più>> che viene
espresso dalla ripetizione martellante del termine. Ci dice che tutto è riferito,
rapportato a ttgovoç. Lo dice, lo ripete, lo fa percepire. Si ha quasi una
sensazione, un'esperienza dcll'onniputenza trascendente di Dio applicata alla
storia.
Esaminiamo un secondo esempio: la messe e la vendemmia escatologica:
14,14-20. Il brano ci presenta la prospettiva terminale della storia. L'umanità
sta maturando, sotto l'influsso attivo di Cristo, ripensato nello schema del figlio
dell'uomo di Dn 7,13. 10 A conclusione di questo sviluppo se ne farà una verifica
che prenderà atto dei frutti maturati. La mietitura e la vendemmia esprimono il
momento conclusivo.
Protagonista attivo della mietitura è lo stesso figlio dell'uomo; protagoni-
sta dell'azione di vendemmia è, invece, un angelo. Ma tutti e due, il figlio
dell'uomo e l'angelo, si servono dello stesso strumento, una falce, ÒQÉJtavov,
che costituisce un <<motivo letterariO>> della pericope. Ce lo dice la frequenza
delle sue ricorrenze- sei volte in sei versetti- e il risultato che acquista per il
fatto che è un termine raro: ricorre solo qui in tutto il Nuovo Testamento.
La rilevanza di ÒQÉltavov viene confermata e sviluppata da un altro fatto
letterario: sia quando è riferito al figlio dell'uomo (14, 14-16), sia quando è riferito
all'angelo (14,17-19), ÒQÉltavov ha lo stesso sviluppo letterario caratteristico:
prima è tenuto in mano (€xwv 14,14.17), poi si ha l'invito a lanciarlo (ltÉ!!\POV 'tÒ
ÒQÉltavov: 14,15.18), e finalmente segue il lancio di fatto (É~aÀEV: 14,16.19). Si
passa da una situazione statica all'intenzionalità operativa e all'esecuzione di
fatto, sempre sul filo dello stesso motivo letterario.
Questo fenomeno, che l'analisi letteraria ci ha permesso di mettere in
luce, dà un orientamento all'esegesi. Indica, anzitutto. data l'unitarietà del
motivo letterario ricorrente, una certa equivalenza tra l'azione di mietitura
svolta da Cristo e la vendemmia attuata dall'angelo. Inoltre l'insistenza su
ÒQÉltavov, «falce>> - una falce che ripetutamente è detta «acuta>>, affilata:
14,14.18- suggerisce un taglio che incombe sulle maturazioni dell'umanità sia
in senso positivo che in senso negativo. Ci sarà - viene da pensare - un

' Per uno studio analitico del •motivo letterario• itQ6voç in 4,1-10, cf. V ANNI, La struttura,
pp. 184-185.
10
Tale schema è presente in Ap 1,7 (una ripresa quasi letterale di Dn 7,13) e Ap 1,13 (in cui
Cristo risorto è detto esplicitamente (-)!Amov 1.1i.ùv hv6gU1rrou). Il ripcnsamcnto ùi Daniele in
funzione di una comprensione di Cristo è rilevante nell'Apocalisse, anche se difficilmente gli si può
attrihuire quella funzione unificante dei titoli cristologici che vi vede J. CoMBLIN, Le Chrisr dans
I'Apoca/ypse. Paris-Tournai 1965, pp. 51-79.

23
momento in cui si avrà come un'irruzione conclusiva dal di fuori e dall'alto
nella storia dell'umanità, un <<taglio>> appunto, che essa dovrà subire." Tutto
questo la ricorrenza insistente di ògÉ:n:avov lo insinua, lo fa sentire, stimola a
pcnsarlo, senza dirlo in maniera esplicita. È la funzione tipica del «motivo
letterario>> che abbiamo rilevato più sopra a proposito di 1'tgovoç.
Esaminiamo ancora un esempio, tra i molti possibili. Nella grande dossolo-
gia della sezione conclusiva, in 19,1-8, emerge a una prima lettura, il termine
àì).T]À.o-uùi. Esso si impone all'attenzione per una serie di indizi convergenti:
ricorre quattro volte in otto versetti e questa frequenza, anche se non altissima, ha
la sua rilevanza. Il termine è raro al punto che le quattro ricorrenze del nostro
contesto sono le uniche di tutto il Nuovo Testamento. Non solo. 'AÌ.À.TJÀ.O-u"la è
posto all'inizio della dossologia: è la prima parola che viene espressa. Dopo una
prima strofa, si ha una ripresa (<< ... e dissero per la seconda volta») e anche qui la
prima parola pronunciata è ÙMT]À.o-uùx. Al termine della seconda strofa la cele-
brazione raggiunge un suo culmine letterario, espresso mediante un'adorazione
solennissima: ne sono protagonisti i :n:gEoBirtEQOL e gli ~0a che poi scompariranno
dalla scena dell'Apocalisse. Il loro ultimo intervento è espresso mediante Ò!-ti)v,
ÙÀ.À.TJÀ.o-u"la. Finalmente, l'ultima parte della dossologia che tende a coinvolgere
tutti, anche l'assemblea liturgica terrestre, nella sua celebrazione, comincia an-
ch'essa col termine ÙÀ.À.TJÀ.O-u"la.
Nei punti più qualificanti di tutto il suo sviluppo letterario, la dossologia
fa perno su àÀ.À.TJÀ.o-u·ia.
Qual è, allora, la rilevanza di questo «motivo letterario>>, il di più che,
come tale, suggerisce all'esegesi e all'attualizzazione ermeneutica? 'AÀ.À.T]À.o-u·ia
avvolge tutto il contenuto della dossologia nel tono della lode liturgica a Dio,
proprio dei salmi alleluiatici - e forse dell'uso liturgico del circolo giovanneo
- da cui deriva."
Ciò risulta in modo particolare anche da un altro dato letterario: quando
si ha, nella seconda strofa, la ripresa della celebrazione, si nota una continuità
tra 2b (« ... vendicò il sangue dei suoi servitori dalla mano di lei, Babilonia») e
3b (« ... e il fumo di lei sale per i secoli dei secoli»), che isola l'intermedio
àÀ.À.T]À.o-u"la di 3a. Si ha la sensazione che la celebrazione sia proprio cantata e
che !"esecuzione del canto si sviluppi come a due voci: sullo sfondo permanente

11 La doppia prospettiva, ad esito positiVO e negativo, è indicata, dal punto di vista


esegetico, non tanto dalla differenza tra mietitura e vendemmia, quanto dallo sviluppo che la
vendemmia acquista quando, subito dopo, si parla del «tino, quello grande. dell'ira di Dio»
(14,19). Ma, per una discussione di tutta l'esegesi del brano, cf. A. FEUILLET, La moisson et le
vendage de I'Apoca/ypse 14,/4-20: la signification chrétienne de la révélation johannique, in NRTh
(1972) 94, pp. 113-132; 225-250. Il lungo articolo del Feuillet è riassunto chiaramente da J.
PINTARD, La moisson et/e vendage dans I'Apocalypse (14,14·20). Pour encourager /es confesseurs de
la foi, in EsprVic (1972) 82, pp. 374-377.
12
L'uso del termine, tipico dell'autore dell'Apocalisse, lo mette, ancora una volta, in
contatto diretto con l'A T: esso è preso dal gruppo dei salmi dell'alleluia (146-150). Il cosiddetto
circolo giovanneo, al quale sarebbe da ricondurre anche l'Apocalisse, presenta una dimensione
liturgica evidente, ma non vi si riscontrano celebrazioni dossologiche.

24
di aÀ.À.TJÀ.ouù'I viene precisato il contenuto della lode sia per la distruzione del
male, condensato in Babilonia, sia per il potenziamento del bene che si
intravede nella prospettiva delle nozze dell'agnello. Il superamento irreversibi-
Je del male, la realizzazione ottimale del bene provocano una tendenza, quasi
un assillo di lode.
L'esegesi dovrà, conseguentemente, avvertire e valorizzare il genere
letterario celebrativo del brano, come se si trattasse di un salmo. L'attualiaa-
zione ermeneutica porterà il gruppo di ascolto ad associarsi di fatto al cantico,
facendone proprio l'aÀ.À.TJÀ.ou·(u celebrativo. Dovrà operare un passaggio
analogo a quello che si verifica tra la musica scritta e la sua esecuzione.
Come accennavamo più sopra, gli esempi si potrebbero estendere sia per
quanto riguarda i «motivi letterari», sia per quanto riguarda altri atteggiamenti
stilistici propri dell'autore e che hanno, come tali, una loro incidenza specifica
sull'esegesi e sull'attualizzazione ermeneutica. Ci sono le enumerazioni settena-
rie, 13 c'è un effetto tipico ottenuto mediante enumerazioni opportunamente varia-
te/' gioco dei tempi dei verbi," ecc. che, non meno che lo stile dell'Apocalisse in
generale, meriterebbero uno studio dettagliato e approfondito. Ma da quanto
abbiamo potuto analizzare, emerge chiara al di là di ogni dubbio, l'incidenza
irrinunciabile dello stile sull'esegesi e sulla sua applicazione.

5. ALCUNE FORME LETIERARJE TIPICHE

Già nell'analisi stilistica abbiamo avuto modo di notar lo: ci sono delle forme
tipiche con cui l'autore costruisce e organizza il suo materiale. A proposito di
14,14ss è emersa la «forma>> letteraria costituita dallo schema: EXWV-JtÉj.!'ljlov-
f~aÀ.EV.16 A proposito di 19,1-8 vedevamo come l'aÀ.À.lJÀ.Ouù't tende ad essere
cantato, dando luogo addirittura a una possibile esecuzione a due voci.

13
Questo atteggiamento stilistico è assai frequente nell'Apocalisse. Non solo si usa il
numero sette per esprimere un'idea di totalità (le 54 ricorrenze del termine bn:6. sono tutte su
questa linea), ma si costruiscono delJe serie di sette clementi. Al contenuto espresso dai singoli
termini si aggiunge, proprio mediante la serie di sette, l'idea di completezza in un certo genere: cf.
ad es. 6,15; 9,7-11, ·ecc.
14
Uno dci casi più significativi si trova nel lamento dei naviganti, nel contes10 del dramma
liturgico che interpreta la distruzione di Babilonia: 18,11-13. L'enumerazione è particolarmente
lunga, ma non genera monotonia: l'aurore la sa variare con arte alternando prima una serie di
genitivi dipendenti da yò~ov e di accusativi, dipendenti questi ultimi direttamente da ò.yoQ<Ì~EL
come YÒI!OV. Alla fine, dopo una serie di genitivi e quando la possibilità dell'accusativo sembra
dimenticata, spunta inaspettatamente, con un effetto tutto particolare di sottolineatura, xa:ì. '!Juxàç
aviiQwnwv.
" Il gioco sui tempi dei verbi è una delle caratteristiche più imbarazzanti dell'autore. Un
esempio tipico e discusso è il rapporto dci tempi in 11,3-12: in un racconto che ha un suo
svolgimento, prima incontriamo una serie di futuri (11,7-9), poi una serie di presenti (Il, 10-11 a),
poi una serie di aoristi ( 11,1 b-13), esattamente l'ordine inverso a quello di una successione
normale. Con ciò l'autore probabilmente intende strappare l'episodio dagli schemi storici usuali c
farne uno schema al di sopra della storia (cf. VANNt, Strurcura, pp. 240-244).
16
È uno sch,ema puramente letterario. La sequenza. caratteristica e ripetuta, è sufficiente a
dare ai termini quella rilevanza che ne fa una formula espressiva tipica. uno schema.

25
Ma ci sono delle forme talmente complesse e strutturate, che, pur
costituendo sempre una caratteristica di stile individuale come tale, acquistano
un rilievo speciale per l'orientamento specifico che danno.
Esaminiamone qualche esempio. Il brano l ,4-8" presenta la forma di un
dialogo liturgico. Ne sono protagonisti da una parte il «lettore>> (6 àva-
yLvci>axwv, 1.3) e dall'altra i suoi ascoltatori (ol àxouonEç, 1,3). Il lettore
porta al gruppo il messaggio di Giovanni; il gruppo reagisce. Si ha, così, una
concatenazione che fa sviluppare il dialogo in avanti: il lettore, salutamlo,
augura <<grazia e pace» da parte di Dio, probabilmente dello Spirito e da parte
di Cristo (l ,4-5a). Il gruppo reagisce, partendo da Cristo e indirizzando a lui
specificamente la sua lode, che conclude con la clausola liturgica t':t~T)v (5b-6).
Interviene di nuovo il lettore, e, parlando ancora di Cristo, ne annuncia, sotto
la forma di un oracolo, il ritorno escatologico (1,7a). Il gruppo ascolta, riflette
interiorizzando e si esprime poi in un'accettazione che diventa preghiera: <<Sl,
così sia!» (1,7b). Riprende il lettore che, di nuovo sotto la forma solenne di un
oracolo, annuncia la presenza onnipotente di Dio nella storia della salvezza,
fino alla conclusione escatologica (1,8).
Una struttura così articolata ha i suoi risvolti esegetici evidenti." Appare
subito il genere letterario marcatamente liturgico del brano e il rapporto tipico
tra un lettore e un gruppo di ascolto da cui l'Apocalisse è maturata. Il gruppo di
ascolto reagisce attivamente: questa è un'indicazione precisa per l'attualizza-
zione ermeneutica. L'Apocalisse ci appare, in questo brano, come una traccia
di lavoro da elaborare e sviluppare.
Esaminiamo un ultimo esempio, prima di raccogliere in sintesi alcune
conclusioni generali: 18,1-24.
Il capitolo è dedicato a Babilonia e alla sua condanna, e, a prima vista,
come contenuto non aggiunge niente di nuovo. Non sono mancati i tentativi di
ritencrlo un'aggiunta eterogenea. Charlcs, ad esempio, attribuisce il capitolo a
una fonte giudaica, tradotta in un greco diverso e più elaborato, rispetto a
quello normale dell'Apocalisse e con dislocazioni numerose rispetto alla fonte
originaria. Sarebbe stato scritto sotto Vespasiano."
Le peculiarità stilistiche - la maggiore accuratezza, l'abbondanza di
vocaboli nuovi, ecc. -rilevate da Charles non sembrano determinanti, dato
che si trovano nel capitolo tratti stilistici tipici dell'autore dell'Apocalisse,
comprese alcune arditezze grammaticali. Pongono però il problema di un
genere letterario speciale di questo capitolo.
Alcuni indizi permettono di avanzare l'ipotesi di un genere letterario
drammatico-liturgico. E gli indizi sono i seguenti.
In 18,20 si ha un'esclamazione di giubilo per la condanna di Babilonia e la
sua esecuzione, esclamazione che è rivolta al cielo. Non attribuibile ai
protagonisti che intervengono prima, dato il loro tono di lamento, l'esclama-

" Cf. Seconda parte, c. l, per la trattazione specifica di tutto il brano, con la relativa
bibliografia.
" Cf. Seconda parte, c. l. pp. ICiss.
19
Cf. R.H. CHARLES, Reve/arion. Edinburgh 1920, Il, pp. 54-61.
26
rione sembra da riferirsi al gruppo di ascolto di l ,3. Questo, trovandosi
sulla terra e constatando la distruzione di Babilonia che avviene sulla terra, si
rivolge giubilante al cielo. Abbiamo un aggancio chiaro con l'assemblea
liturgica che, anche qui, non meno che in 1,4-8 reagisce attivamente.
Percorrendo il capitolo, emergono gli indizi di un genere letterario
drammatico: la solennità delle varie scene, la ripetizione di alcune parole
(E1tEOf:V, ErrEOEv: 18,24; oùa[, oùa[: 18, 10.16.19), i gruppi di personaggi che
intervengono con una carica straordinaria di pathos e sono descritti in posizioni
caratteristiche (<<Stando da lontano ... »: 18,10.15.17, ccc.), l'interazione dei
singoli protagonisti, ecc. Specialmente il brano 18,10-19 fa pensare proprio ai
cori delle tragedie greche.
Seguendo l'ipotesi, suggerita da questi indizi, di un «dramma» di tipo
liturgico, la struttura del capitolo si presta a una divisione in quattro parti:
1-9: proclamazione «celeste>> della caduta di Babilonia;
10-19: lamenti delle categorie terrestri;
20: esclamazione di gioia da parte dell'assemblea liturgica;
21-24: azione simbolica da parte di un angelo e sua spiegazione, a
conclusione di tutto il capitolo. Le singole parti sono sempre introdotte e
commentate dall'autore, che fa quasi la parte di un cronista (o del corifeo
proprio della tragedia greca).
Questo genere letterario spiega la presenza del capitolo l!ì. Esso non è
superfluo, rispetto a quanto precede e a quanto segue, perché ha lo scopo, più
che di presentare un contenuto nuovo, di far gustare, sentire al gruppo di
ascolto un contenuto, uno schema di intelligibilità teologica, producendo una
situazione spirituale nuova, simile alla «Catarsi» che doveva essere il frutto
della tragedia greca .20
Formulando l'esegesi di tutto il capitolo sul filo di questa ipotesi
letteraria, arriviamo a queste conclusioni generali. Babilonia costituisce un
tipo, uno schema e un paradigma teologico che ha trovato nella Roma corrotta
della fine del l secolo una sua attuazione esemplificativa. Proprio perché
simbolo, Babilonia supera la vicenda della Roma storica ed è applicabile a tutte
le situazioni storiche simili che si potranno realizzare.
Il paradigma teologico espresso è quello della città, della «Convivenza>>,
che si chiude nella sua immanenza ed erige a sistema il lusso e il consumismo.
Ne deriva una prosperità materiale con tutto un suo dinamismo di espansione e
una capacità di presa, di «ammaliamento>> su tutte le genti. Il prezzo che viene

2ll È quanto ha messo in risalto y ARBRO COLLINS, Crisis' pp. 152-161. n parallelo con la tragedia

greca è suggestivo e sottolinea la forza d"urto letteraria di cui è carico il testo dell'Apocalisse. Essa
però, come apparirà dalle pagine seguenti, deve essere situata e compresa nell'ambito del1'assemblea
cristiana, con quelle modalità particolari che sono tipiche di un'esperienza liturgica. Ma è un'esperien-
za liturgica particolare. nella quale la drammatizzazione -sotto le varie fonne che può assumere- ha
una sua parte. Anche se non possiamo condividere la tesi di J.L. Blevins che l'Apocalisse fu scritta
proprio come un dramma in sette atti. sono innegabili gli spunti e i tratti drammatici che abbondano in
tutto l'arco del libro e che dovranno essere debitamente valorizzati come elementi letterari (cf. J.L.
BLEVINS, Revela1ìon as Drama, Nashville 1984).

27
pagato per sostenere tale consumismo è il più alto possibile: un sistema di
ingiustizia sociale che comporta il sacrificio anche di vite umane per la
prosperità e il lusso altrui. La convivenza Babilonia non è <<disincarnata>>,
socialmente e politicamente parlando: essa è sostenuta dallo stato che si fa
adorare," forma un contesto unico coi centri di potere, i «re della terra>>, è resa
florida e tende ad espandersi in virtù dell'attività dei suoi <<mercanti>>. Questa
grandiosità che si assolutizza, si corrode anzitutto dal di dentro di se stessa:
tutto ciò che rende la vita autentica e attraente scompare da Ici. Ma c'è -
soprattutto- una pressione corrosiva dal di fuori: è il giudizio di Dio che si
farà sentire pesantemente su di lei. La sua negatività si rivolgerà contro di lei
stessa. E Dio, che domina tutto con la sua onnipotenza, inaspettatamente, da
una parte distruggerà Babilonia c tutto il suo male, dall'altra saprà trasformare
in bene anche il male, attuando così il doppio.
Ma l'ipotesi del dramma liturgico mette in rilievo un aspetto fondamenta-
le: Babilonia è la grande presente in tutte le parti in cui il piccolo dramma si
articola. Si pensa, cioè, a una Babilonia attuale, prospera, capace di
contaminare, e di fronte a questa realtà negativa si hanno i vari interventi:
l'annuncio della caduta, l'invito a distaccarsi radicalmente da lei, il suo
incendio al quale assistono «piangendo e lamentandosi>> tutti coloro che si sono
uniti a lei e ne hanno saputo approfittare, il cielo invitato a rallegrarsi, l'azione
simbolica e il commento dell'angelo. Tutto ruota intorno all'esistenza minac-
ciosa e reale della grande città e ha lo scopo di facilitarne una valutazione
precisa.
Tale valutazione è inculcata con tutta la pressione psicologica propria di
una rappresentazione drammatica, e non insegnata astrattamente. Il gruppo di
ascolto, seguendo i vari quadri, immedesimandosi e facendone come un'espe-
rienza esce maturato e cambiato. Non solo sarà in grado di difendersi
dall'influsso affascinante del benessere assolutizzato, ma saprà averne sempre
una valutazione critica precisa: lo saprà vedere al di là delle apparenze
immediate, alla luce del giudizio di Dio.

6. Lo STRUlTURALISMO NELL'APOCALISSE

C'è un modello di analisi propriamente strutturale riguardante l' Apocalis-


se, realizzato da J. Calloud, J. Delorme, J.P. Duplantier mediante un'applica-
zione dei moduli del racconto di Greimas 21 I risultati ottenuti sono, anche qui,
di indubbio interesse e stimolanti, come quando si attira l'attenzione sulla
<<logica>> tutta particolare che ha l'autore nel costruire i suoi racconti.
D'altra parte l'analisi letteraria- intesa nel senso più ampio del termine:
21
Un'espressione plastica e impressionante di tutto questo si trova in 17,3: (<e vidi la donna
seduta su un mostro vestito di scarlatto•>. Cf. per tutta la problematica di teologia politica
soggiacente J. PlKAZA, La perverslon de la politica m un dana (El semido de las bestias y la cortesana
en Ap Il-13 y 17-20, in «Estudios Mcrcedarios» {1971) 27, pp. 557-594.
21
J. CALLOUD- J. DELORME- J.P. DuPLANTIER, L'Apocalypse de]ean. Propositionpour
Cf.
une analyse srrucrurale, in Apoca/ypse et Théologie de /'espérance. Paris 1977, pp. 351-381.

28
gli esempi che abbiamo studiato si riferiscono a tutto un arco che va dalle
funzioni puramente grammaticali alle forme proprie del genere letterario usato
di fatto- si è dimostrata utile, direi indispensabile, per una valorizzazione di
elementi significativi che altrimenti sarebbero andati perduti.
Qual è il rapporto dell'analisi letteraria con l'analisi strettamente
strutturale? Quest'ultima - ci sembra - può andare oltre rispetto all'analisi
letteraria, ma non deve rimanere al di qua. Gli esempi che abbiamo analizzato
dal punto di vista letterario ci hanno messo in contatto con elementi che
trovano, nel campo dell'analisi strutturale. corrispondenze di notevole interes-
se: ad esempio, i «motivi letterari>> non sono molto lontani dalle cosiddette
isotopie. C'è, nell'Apocalisse, un'insistenza accentuata sulle dimensioni spa-
zio-temporali. si possono individuare interessanti schemi attanziali; c'è - e lo
abbiamo rilevato più volte e a livelli diversi- l'esigenza che il lettore reagisca,
collabori, diventi addirittura protagonista."
Esiste, quanto meno, una certa continuità tra i due tipi di analisi; ma
forse, dati i vari punti di contatto rilevati e tanti altri possibili, si può parlare di
un'esigenza di complementarietà e di integrazione reciproca.
Ma come gli studi letterari si sono sviluppati in questi ultimi anni dopo
che l'Apocalisse è stata riscoperta come opera letteraria a se stante e con una
sua originalità irripetibile, così- riteniamo- si potrà realizzare un vero salto
qualitativo anche negli studi di carattere strutturale dell'opera letteraria, un
tipo di analisi strutturale che le corrisponda davvero. Altrimenti si avrà la
sensazione ingrata - è quella suggerita dagli studi menzionati - di voler
mettere il vino sempre imprevedibilmente nuovo dell'Apocalisse negli otri
vecchi di schemi prefabbricati.

7. CONCLUSIONE

L'approccio letterario allibro dell'Apocalisse- abbiamo avuto modo di


constatarlo a più livelli- ne condiziona in misura determinante sia l'esegesi, sia
l'attualizzazione ermeneutica. La disattenzione a questo aspetto è una delle cause
della molteplicità caotica di tante interpretazioni esegetiche dell'Apocalisse quali
ce le mostra la storia dell'esegesi. Ma prima di giungere ad un 'esegesi adeguata, ad
un'esposizione cioè veramente corrispondente al testo di quello che è il suo conte-
nuto, occorre affrontare un altro problema, che sta a cavallo tra l'approccio
puramente letterario e l'esegesi vera e propria. Si tratta del simbolismo.

" Per uno studio sul rapporto tra analisi strutturale e esegesi storica nell'Apocalisse cf. P.
PIUGENT, L'Apocalypse: exégèse hisrorique er analyse srrucrurale, in NTS (1978) 26, pp. 127-137. P.
Prigent, pur riconoscendo all'analisi strutturale delle ampie possibilità, si chiede con sorpresa
perché essa non tenga in nessun conto altri apporti esegetici, in modo particolare quelli «storici».
C'è, forse, un'incomparibililà di metodo: l'analisi strutturale. con la sua lettura sincronica del testo,
salta a piè pari i problemi del metodo storico-critico. Ma per quanto riguarda il rapporto tra analisi
letteraria e strutturale questa possibile difficoltà non dovrebbe sussistere, dato che si prende in tutti
c due i metodi, come punto di partenza, il testo nella sua stesura attuale.

29
capitolo Il

Il simbolismo dell'Apocalisse

l. INTRODUZIONE: I DATI DEL PROBLEMA

Il simbolismo occupa, nell'interpretazione dell'Apocalisse, un posto


centrale. Tutti i commentatori antichi e moderni sono d'accordo su questo,
che, del resto è un fatto che si impone a una prima lettura: per comprendere
l'Apocalisse occorre interpretare i suoi simboli.
Questo fatto è dato giustamente per scontato, ma si nota con sorpresa che
il simbolismo proprio dell'Apocalisse manca ancora di una trattazione orga-
nica.
È stata avvertita l'esigenza di illuminare il simbolo dell'Apocalisse
partendo dalla sua matrice culturale, l'A T. Si sono messi in luce punti di
contatto, dipendenze e sviluppi: ma, per quanto riguarda il simbolismo tipico,
si è rimasti ancora nel generico. 1
Ha destato un certo interesse lo studio delle immagini simboliche
dell'Apocalisse, viste specialmente in rapporto col linguaggio.' Si è indagato,
ma con accostamenti estrabiblici più che discutibili, sulla dimensione rituale del
simbolo.'
L'interpretazione, la decodificazione dell'Apocalisse è stata trattata più
volte e da punti di vista diversi. Il discorso sul simbolo non vi poteva mancare:
di fatto si trovano degli spunti anche interessanti, ma la preoccupazione di

1
Cf. ad esempio, D. EZELL, Revelations on Revelation: New Sounds from 0/d Symbo/s,
Waco 1977; J. CAMBIER, Les images de l'Ancien Testament dans l'Apocalypse de Saint Jean, in
NRTh (1955) 77, pp. 113-122. Ma c'è un meccanismo che, modificando il simbolo, fa scattare
questi elementi nuovi?
1 cr. W. FoERSTER, Bemerkungen zur Bildsprache der Offenbarung Johannis, in Verborum
verilas, Festschrift ftir Gusta v Stahlin, Wuppertal 1970, pp. 225-236. L'autore sottolinea la capacità
di espressioni plastica dell'Apocalisse e l'uso dei numeri; si ferma poi a rilevare c aù approfondire
l'interpretazione contestuale ùi alcuni simboli (come ~<colonna)) in 3,12; la quinta e sesta tromba:
9,1-12.13-19. ccc.). Si pone alla fine il problema all'autenticità o meno delle visioni, proponendo di
risolvcrlo con la puntualizzazione della «kliirende Kraft» (p. 236) del pensiero nell'ambito delle
visioni.
3
Cf. A. VAN GENNEP, Le symbolisme ritualiste de l'Apocalypse, in RHR (1924) 89, pp. 163-
182.

31
fondo appare quella di arrivare, per la via più breve, al contenuto teologico'
Ciò si è verificato anche quando - alludiamo a un articolo sui simboli di
M. Veloso- è stato affrontato direttamente il tema del simbolo. Si è parlato di
metodi di interpretazione, si sono prospettate delle linee teologiche suggestive,
ma il problema come tale è stato solamente sfiorato.' Il problema del mito ha
avuto approfondimenti interessanti, sia di carattere globale, sia riferiti a singoli
brani: ci si è mossi più su una linea storica, filosofica o teologica che su una
linea espressiva. Collegato in qualche modo col simbolo, il mito è stato sentito
come qualcosa di più.'
Ma, da un esame di tutti questi contributi, si impone una constata:<:ionc: al
di là della semplice analisi letteraria e delle osservazioni frammentarie, al di
qua delle grandi lince teologico-bibliche o degli approfondimenti seducenti del
mito, esiste uno spazio che è rimasto vuoto: non è stato studiato il simbolismo
dell'Apocalisse in quanto tale. L'intento di questo lavoro sarebbe quello di
avviare una ricerca in questa linea. Per evitare il doppio scoglio dell'analisi
solamente letteraria c della sintesi teologica facile concentreremo induttiva-
mente la nostra attenzione solo sul simbolo visto all'interno dell'Apocalisse.
Ma che cos'è, propriamente, un simbolo quando se ne parla in un
contesto letterario, come è appunto il libro dell'Apocalisse?
C'è nell'ambito delle espressioni letterarie un discorso che possiamo
chiamare realistico: si ha quando i vari elementi che lo compongono

• Della decodificazione dell'Apocalisse, in una serie di articoli, si è occupato G.B. CAJRD,


On Deciphering rhe Book of Revelarion, in ExpTim (1962s) 74, pp. 13-15; 51-53; 82·84; 103·105.
Già i sottotitoli sono chiaramente indicativi della prospettiva teologica e di pura divulgazione
seguita dall'autore (Heaven and Earth, p. 13; Past and future. p. :\l; The Fiw and the l.a.<t, p. 82).
Le indicazioni riguardanti propriamente il simbolo sono subordinate. L'ultimo artitolctto col tirolo
Myrh and Legend, partendo da un'allusione al simbolismo tcriomorro (p. 103) passa poi a
presentare il problema del mito. CH. A. BF.RNAKU, Théolugie symbolique. Paris 1978, pp. 381-389,
presenta proprio sotto il titolo Apocalypse. alcuni principi di intcrpretalionc applicati all'Apocalis-
se (Cosmos er hisroire, La tramfiguratiun du chrétien, Le mouvemenl symlmlique). Questa
trattazione sintetica cd esplicitamente teologica offre degli spunti di notevole interesse, che
saranno ripresi nel decorso del lavoro.
< cr. VELOSO, S!mbolos, pp. 321-338. L'intento divulgativo porta l'autore a trattare i vari
metodi di interpretazione («Escuela preterista, futurista, hist6rica») dell'Apocalisse, proponendo
una serie di regole interprctative più adeguate, come l'aspetto storico, ecclesiologico, cristocentrico,
che il ùinldmismo del simbolo richiederebbe. Il discorso vero c proprio sul simbolo rimane generico.
6
Il mito ha interessalo lo studio dell'Apocalisse come panoramica generale e sotto aspetti
particolari. Il tema è stato affrontato, per esempio, da R. HALVER, Der Myrhos im lelzlen Buch der
Bibe/. Eine Unrersuchung der Bi/dersprache der Johannes·Apokalypse, Hamburg-Bergstadt 1964.
Come appare dalla definizione che l'autore ne dà. il mito è qualcosa di più del simbolo: «Der
Mythos ist ein Geheimwort, in dem Menschen der Friihzcit in der Ratselhaftigkeil seines Daseins
der Sinn aufleuchtet. !m Mythos sucht er Antwort auf die Frage nach dem Schicksal, den
drohenden und schenkenden Naturgewalten, Geburt und Tod, der Macht der Guttheit und der
Diimonen, Beginn und Endc der Welt» (p. 72). La diversità del milo rispclto al simbolo è indicata
quando, citando K. Kerényi, l'autore afferma: «Symbole, Mythos und Ritus bringen auf
verschicdener Ebene und mit den ihnen eigenen Mitteln ein komplexes System von zusammenhàn-
gendcn Feststellungen iiber die letzte Wirklichkeit der Dinge zum Ausdruck, ein System, das man
als Darstcllung einer Metaphysik betrachten kann» (lo., p. 73). Per quanto riguarda specialmente
Ap 12 l'aspetto mitico è stato studiato da A. YARBRO CaLLINS, The Combat Myrh in the Book of
Revelalion. Missoula 1976.

32
mantengono intatta, nel giro del discorso stesso, l'identità precisa di significato
che hanno nell'ambito del sistema linguistico in cui un autore opera.
Quando, invece, quest'identità non viene più rispettata, ma si compie,
sempre nell'ambito del medesimo sistema linguistico, uno spostamento, un
cambiamento rilevante, il discorso diventa simbolico.'
Lo scarto rispetto al valore usuale, questo scambio di identità che i
termini assumono nel linguaggio simbolico, si trova sottolineato anche dalla
terminologia: allegoria (àì..ì..ayo(lEUW: <<dico diversamente>>) metafora (~-tnu­
qJÉ(lW: «porto oltre>>) allotropia ( aÀÀoç, 't(lÉ1tm: <<Volgo altrove»), ecc. sembra-
no esprimere tutti un certo salto di diversità.
Il passaggio da quello che è il campo delle identità usuali richiede, da
parte di chi lo realizza c lo esprime, una capacità di innovaLione creativa. Una
capacità analoga si richiederà anche da chi vuole percepire quanto viene
espresso in un discorso simbolico senza scambiarlo per un discorso realistico.
La creatività dell'autore tende a suscitare, nel lettore o in chi ascolta, una
creatività corrispondente di risposta. Si pone, allora, un problema: se l'autore
che usa un linguaggio simbolico innova rispetto al sistema e se un atteggiamen-
to corrispondente si richiede in chi ascolta e reagisce, non è arbitrario
qualunque discorso sul simbolo che non si limiti a prendere atto di questa
creatività innovatrice?
Uno sguardo alle espressioni simboliche di tutte le letterature dà una
risposta che ci tranquillizza. La creatività dell'autore che attua il simbolo ha un
suo sviluppo e si esprime con delle costanti rilevabili sia nell'ambito del sistema
linguistico in cui l'autore si muove sia in quella parte che è sua propria anche al
di là del sistema.
Veniamo all'Apocalisse. Il sistema linguistico in cui l'autore opera non è
semplice a definire: la sua lingua è il greco della KOLvTJ, ma la sua matrice
culturale è sostanzialmente l'A T, dove trovava una molteplicità di simboli già
elaborati.
Ma, sia per quanto riguarda i contatti coll'A T in genere, sia, scgnatamen-
te, per quanto riguarda il simbolo- lo ha messo di nuovo in rilievo D. Ezell'
- l'autore mostra una sua spiccata originalità creativa.
Quali sono allora le costanti simboliche caratteristiche di questa creativi-
tà? Quale struttura espressiva assumono? Che tipo di reattività suppongono in
chi legge o ascolta?
Una risposta a tali domande sarà l'impegno di questo capitolo.

7
Per {<sistema linguistico)~ intendiamo tutto l'amhiente culturale in cui l'autore vive e che si
esprime nella lingua, al livello di evoluzione che quest'ultima raggiunge nel tempo dell'autore.
' Cf. p. Ji nota l.

33
2. LE COSTANTI SIMBOLICHE DELL'APOCALISSE

Il simbolismo cosmico

Il cambiamento di significato proprio del simbolo è rilevabile anzitutto nel-


l'ambientazione cosmica. I termini che l'esprimono- come <<cielo>>, <<Stelle>>,
«sole», <<mare>>, ecc. - presentano nell'Apocalisse i due livelli di significato,
realistico e simbolico, che hanno normalmente nell'A T, permettendoci così di
seguire nel passaggio dall'uno all'altro il processo di simbolizzazione.
Così, ad esempio, <<cielo>> (o'ÒQav6ç)' significa talvolta il firmamento (cf.
6,14; 16,21, ecc.). Ma, in forza di un'idealizzazione nel suo significato che, data
la diffusione in culture diverse, dobbiamo dire relativamente spontanea, passa
a significare la zona ideale della trascendenza di Dio. È tipica dell'Apocalisse
l'insistenza su questo ultimo aspetto (cf. 3,12; 4,1.2; 5,3.13; 8,1, ecc.).
Un altro esempio. Le stelle ( àou]g) hanno avuto, già nell'ambito
dell'AT, un'evoluzione di significato analoga a quella del termine ciclo: sono le
stelle in senso fisico e sono simbolo della trascendenza di Dio rapportata in
qualche modo all'azione creativa. 10 Lo stesso sviluppo è rilevabile nell' Apoca-
lisse, ma la simbolizzazione è prevalente sul senso realistico e presenta
un'elaborazione originale. È possibile infatti pensare per un momento alle
stelle del Cielo in senso fisico quando se ne parla nel quadro degli sconvolgi-
menti cosmici (cf. 6,13; 12,4). Ma quando <<stella>> è riferita all'<<angelo della
chiesa>> (1 ,20), quando indica «caduta dal cielo sulla terra» (9,1) una realtà
demoniaca, e quando viene applicata a Cristo che si autodefinisce <da stella
luminosa del mattino>> (22,16) dopo averne fatta la promessa (cf. 2,28), è già
ormai completamente simbolo. Il significato nuovo che acquista è sempre,
fondamentalmente, quello dello spostamento di un elemento celeste che viene
a trovarsi sulla terra. Il contesto poi specifica ulteriormente: si tratterà della
dimensione celeste, trascendente che compete alla chiesa nella sua concretezza
storica," della tensione verso la pienezza del giorno escatologico che Cristo
risorto, sentito come presente nella chiesa, le comunica. Oppure si tratterà,
con un procedimento rovesciato, di una realtà di per se stessa in qualche modo
trascendente, ma che si trova, forzatamente perché vi è caduta, sulla terra.

9
Il passaggio dal livello realistico a quello simbolico emerge dallo studio approfondito dei
termini più importanti. Cf. G. VoN RAo, oùgavoç in Theo/ogisches Worterbuch zum Neuen
Testament, (TWNT), V, coli. 501-509: il cielo è visto nell'AT come un'entità materiale e solida, poi
come abitazione di Dio e luogo di salvezza. Cf. anche A. SooGIN, !amaim, in E. JENNt · C.
WESTER"ANN, Theologisches Handworterbuch zum Alten Te.ftament, Miinchen-Zìirich, II, 1976,
coli. 965-970.
" Cf. W. FoERSTER, éumjQ, in TWNT, I, col. 501.
11
Questo potrebbe essere il significato dell'espressione enigmatica «angelo della chicSB>t> di
cui è simbolo la stella. Dato che il (<tU)> equivalente al «voi>) (cf. aù esempio 2,10) del messaggio
delle sette lettere è da identificarsi con le chiese, !'«angelo della chiesa», al quale appunto le singole
lettere sono indirizzate. sarebbe la chiesa stessa che è, in qualche modo, angelo. che ha una
dimensione trascendente. Per un approfondimento, vedi Parte seconda, c. III, pp. 138-142.

34
Un terzo ed ultimo esempio, tra i tanti possibili. La folgore e il tuono
sono già, sempre nell'A T, riferiti alla trascendenza e segnatamente alla voce di
Dio." Questa simbolizza~ione embrionale assume nell'Apocalisse uno sviluppo
nuovo: i <<lampi e i tuoni>> che partono dal trono di Dio sono esplicitamente
anche <<voci» (cf. 4,5; 8,5; 11,19; 16,18)." Sempre su questa linea viene
applicata al tuono, cambiato simbolicamente in voce della trascendenza, la
terminologia del linguaggio umano: quando, in 10,3 l'angelo emette un grido,
<<parlarono (ÈÀUÀlJoav) i sette tuoni con le loro voci (Tàç tauTiìlv qJwvaç)». Il
riferimento generico alla voce di Dio dell'AT è divenuto un parlare articolato,
con un contenuto preciso, anche se misterioso."
Allargando la prospettiva e studiando da vicino lo sviluppo di altri termini
cosmici, come ad esempio <<sole», <<mare», <<nube>>, ecc. t.< giungiamo puntual-
mente alla stessa conclusione per quanto riguarda l'equivalente realistico
generico: lo spostamento di significato ci dice che c'è nel cosmo come lo sente
l'autore un fremito di novità, una forza propulsiva che tende a oltrepassare il
livello attuale di realtà, coinvolgendo in qualche modo la trascendenza divina.

Gli sconvolgimenti cosmici

L'alterazione della realtà cosmica costituisce la costante simbolica più


nota dell'Apocalisse, anche se, specialmente nel linguaggio comune, non è
sempre percepita come tale."

12
Lo fanno pensare, ad esempio, il collegamento con Dio del fenomeno meteorologico che
troviamo in Es 19,16 nel contesto della teofania (<( ... vi furono tuoni, lampi, una nube densa c un
suono fortissimo dì tromha ... ))) e il riferimento più esplicito alla voce di Dio in Sal29,5 («La voce di
Jahvé spezza i cedri ... »). Cf. anche Sal 77.19.
13
Cf. per un'esposizione delle ricorrenze dell'espressione e del suo sviluppo nella struttura
del libro V ANNI, La srruttura, pp. 141-148.
" La misteriosità del messaggio espresso appare anche dal fatto che l'autore sta per
scriverlo, ma gli viene detto di sigillare «Ciò che hanno detto parlando (lì èÀGÀT]oav) i 7 tuoni»
(10,4). Ma che accanto alla misleriosità del contenuto ci sia anche una sua formulazione precisa lo
si deduce dal fatto che Giovanni lo ha percepito al punto da mettersi a scriverlo («Stavo per
scrivere»: 10,4). Cf. per un approfondimento del versetto J.H. MtCHAEL, The Unrecorded
Thunder-Voices (Apoc /0,3), in ExpT (1924-1925) 36, pp. 424-427.
1
~ È interessante rilevare l'elaborazione originale che fa l'autore anche di altri termini: '6-étkao-
oa ad esempio in leso per lo più nel senso realistico addirittura di mare navigabile (cf. 18.17.19.21,
ecc.), viene idealizzato negativamente e inteso come la sede opaca del male, quasi sinonimo di abisso
(cf. 13,1). Nella nuova creazione dovrà superare la sua negalività (cf. 21 ,l) e diventare «Come di vetro»
(4,6: 15,2). Il sole è quasi la creatura fisica predilelta di Dio: quando lo pensa in termini reali, l'autore
gli paragona il voli o ('Ì Ò1)Hç) di Cristo (l, 16) o la faccia di un angelo (IO, l). La spinta idealizzante che
già si presagisce in questi due casi, si sviluppa e si fa esplicita quando la donna è detta (<rivestita di sole))
(12,1) per indicare la premura doviziosa di Dio nei suoi riguardi.
lf> È comune !"accezione di (<apocalisse,), ccapocalittico» nel senso di catastrofe, disastro
totale, intesa in senso realistico. Ciò si rivela anche in qualche studio, dedicato all'argomento,
come. ad esempio, P. VAN DEN EYNDE, Le Dieu du desordre. Commentaire synthétique
d'Apoca/ypse 6,9·11, in BVC (1967) 74, pp. 39·51. Non meno che per le altre costanti simboliche,
anche qui l'autore prende le mosse daii'AT che poi rielabora con una sua originalità. Ciò è
evidente soprattutto nel caso dei flagelli: cf. H.P. Mùt.t.ER, Die Plagen der Apocalypse. Eine
formgeschichrliche Unrersuchung, in ZNW (1960) 51, pp. 268-278.

35
L'alterazione rispetto al corso normale rende lo spostamento di significa-
to proprio del simbolo particolarmente evidente e radicale. Abbiamo, si
potrebbe dire, una simbolizzazione al quadrato.
Troviamo allora che il sole si oscuca (Èoxonilfu): 9,2), «diventò nero come
un sacco di crine» (6,12), che è colpito, par:lialmente («un terzo del sole>>,
8,12), o totalmente (cf. 16,8), finché, nella fase escatologica, la nuova
Gerusalemme non avrà più bisogno di lui (cf. 21,23).
La luna diventa <<tutta come sangue>> (6,12), è anch'essa <<colpita»
parzialmente (btÀTJY'l tò t(ltTOv: R,12), è dominata dalla donna (cf. 12, l)," e,
non meno del >o le, si renderà anch'essa superflua nella Gerusalemme
rinnovata (cf. 21,23).
Il cielo si sposta indietro ( <'xnEXWQ(m'h]) <<come un rotolo che viene
avvolto» (6,14), deve scomparire per dare luogo a un cielo nuovo (cf. 21,1).
Le stelle sono <<del cielo>> ( 6,13), hanno il ciclo come il loro luogo
naturale. Ma non vi rimangono: una parte di esse è strappata dal cielo e gettata
sulla terra dalla forza del drago (cf. 12,4); vengono, anch'esse, colpite
parzialmente (cf. 8,12: tò t(lttov ... É1tÀTJY'l), cadono sulla terra <<come un fico
getta i suoi frutti maturi scosso da un vento impetuoso» (6,13; cf. anche 8,10).
Anche la terra è ripensata nello schema di alterazioni violente: può essere
<<danneggiata» (cf. 7,2.3), viene <<bruciata» (xatExén,: 8,7) anche se parzial-
mente, è <<colpita» con ogni sorta di flagelli (cf. Il ,6), dovrà scomparire e sarà
rinnovata (cf. 21,1).
L'alterazione violenta della realtà cosmica terrestre trova molte altre esem-
plificazioni nell'ambito dell'Apocalisse: gli alberi, l'erba sono bruciati (cf. R,7), i
monti, le isole sono spostati (cf. 6,14), e, a un certo punto, non si trovano più (cf.
16,20). E, in termini più generali, le acque diventano amare (cf. R,l1), si trasfor-
mano in sangue (cf. 8,8) ecc.: c'è un'alterazione dovuta al movimento tellurico:
OELO!l6ç occupa, rispetto al NT, un posto particolare nell'Apocalisse."
Ci sono anche, sempre nel quadro delle alterazioni, quelle determinate dalla
combinazione violenta e impossibile di elementi e aspetti diversi: si parla di un
<<monte incendiato di fuoco» (8,8), di un <<mare trasparente mescolato a fuoco»
(15,2)."
Davanti a questo quadro, si pone spontaneamente la domanda: l'autore
che impegna a tal punto la sua creatività da presentarci delle alterazioni tanto
macroscopiche, che cosa ci vuoi dire?

17
• Questo sembra il senso dell'espressione ùnox6.tw twv nobwv avtijç (12,1): si tratta di un
st_mhohsm_o ~ntropologlco diffuso nell'Antico e nel Nuovo TcstamcnLO. con l'equivalente realistico
d t sottomiSSIOne. Per un approfondimento esegetico. vedi Parte seconda. c. VII. pp. 2:1'~·21.:1.
111
Ricorre 7 volte neii'Apucalissc su un totale di 14 ricorrenze Ji tutto il NT e la maggior
parte di esse si riferisce a contesti di genere letterario apocalittico, anche a prescindere
dall'Apocalisse. :Enofi6ç ha una sua particolare rilevanza come espressione simbolica di equilibrio
instabile dell'attuale situazione del mondo. Cf. R. BAUCKIIAM, The Eschatoloxical Earthquuke in
the Apoc. oj John, in :-<T (1977) 19, pp. 224-233.
]Q L'espressione, realisticamente contraùdittoria, simboleggia mediante nuovi rapporti tra

gli elementi la nuova creazione analogamente a quanto troviamo in Sap 19,19-20.

36
Troviamo un indizio chiaro per una valutazione interpretativa quando si
afferma che gli uomini. reagendo alle trasformazioni cosmiche, bestemmiano
Dio <<Che ha il potere di questi flagelli>> (16,9; cf. anche 16,2lb). Anche in
questo contesto negativo è chiara e pungente la convinzione che Dio è il
padrone assoluto della natura.
Le alterazioni, allora, del corso normale esprimono una presenza
particolare, stimolante, <<provocante» potremmo dire, da parte di Dio. I passivi
usati con notevole frequenza (Èolw'tur!hl, EltÀ~Y'l· c':trrqwg[o'!JT), xanx<lT],
ecc.) sono passivi teologici: Dio è, attivamente, l'autore di quanto succede.
Gli sconvolgimenti cosmici nell'Apocalisse non sono conclusi in se stessi,
ma agganciano esplicitamente l'uomo, provocandone la reazione-'" La presen-
za attiva di Dio che essi esprimono si colloca cosl nell'ambito preciso della
storia e si fa sentire in essa in proporzione diretta con l'entità delle alterazioni
descritte. Quando, come nella sezione delle trombe (cf. 8,7-12) si ha
un'alterazione limitata e parziale - indicata dal motivo letterario ricorrente "tÒ
'tQLtoV come avremo modo di rilevare nel simbolismo aritmetico- ciò vorrà
dire che la presenza attiva e trasformante di Dio nella storia è ancora parziale,
limitata nei suoi effetti. È la situazione pre-escatologica che stiamo vivendo.
Lo stesso si può dire a proposito del monte infuocato (cf. 8,8) e
soprattutto del mare misto a fuoco (cf. 15 ,2): l'alterazione parziale, la novità
del rapporto acqua e fuoco che coesistono, dice che si sta sviluppando una
nuova creazione.
Quando, poi, come in Ap 16,1-16, si hanno delle alterazioni cosmiche
maggiori rispetto a quelle causate dalle trombe, la presenza di Dio e la sua
azione trasformante si fanno sentire con più forza: si sta per giungere al
<<grande giorno» (16, 14).
Quando finalmente si ha il massimo di alterazione- sole nero, luna che
diventa sangue, stelle che cadono sulla terra (cf. 6,12-17 e 16,1-21), ecc. -si ha il
massimo della presenza trasformante di Dio: <<il gran giorno» è in atto (6,17).
Le trasformazioni violente al di là di ogni riferimento e di ogni
coordinazione esprimono la trasformazione radicale della storia dell'uomo e
dell'ambiente in cui essa si svolge. La presenza attiva di Dio che esse indicano
porta il mondo verso la meta di una novità sconosciuta. Il mondo deve
cambiare, cambierà, sta già cambiando sotto l'influsso di Dio che si coinvolge
nella storia umana. Ecco quanto l'autore - in termini realistici - dice,
insegnando, rievocando, alludendo, tutte le volte che usa la costante espressiva
simbolica degli sconvolgimenti cosmici.

20
Cf. ad esempio in 6,12~17 la reazione umana, sottolineata da una enumerazione settenaria
(6.14-15) che segue immediatamente la prescnta7ionc degli sconvolgimcnti. Gli sconvolgimcnti
delle prime quattro trombe hanno sempre di vista l'uomo, al quale sono anche rapportati
esplicitamente (cf. R. l!). Il riferimento agli uomini è sottolineato nel scttenario deUe coppe, dove
la reazione degli uomini è messa particolarmente in risalto (cf. 16,9.11.21), ecc.

37
Il simbolismo teriomorfo

Troviamo nell'Apocalisse tutto un ventaglio termino logico riguardante gli


animali che non appare meno ampio di quello riguardante il cosmo e la natura.
Si parla di <<animali» (~!pa: 20 ricorrenze), di «agnello>> ( c'Igv[ov: 29 ricorren-
ze), di <<leone>> (ÀÉwv: 6 ricorrenze), di «aquila>> ( c'IEt6ç: 3 ricorrenze), di «cavallet-
te>> ( àxgibEç: 2 ricorrenze), di «drago» (Ogaxwv: 13 ricorrenze, le uniche in tutto il
NT), di «mostro>> o <<bestia>> (frr,giov: 38 ricorrenze), di «cavallo>> (bmoç: 16
ricorrenze), di «rane>> (~{xtgazoç: l ricorrenza), di «scorpioni>• (oxogrr[oç: 3
ricorrenze), «serpente>> (oqnç: 5 ricorrenze), «cane>> (xuwv: l ricorrem:a), «uccel-
lo•• ( OQVEOv: 3 ricorrenze). Il quadro impressiona per la sua vastità che non trova
riscontro, neppure lontanamente, in nessun altro scritto del NT
In alcuni casi gli animali sono visti in un senso realistico e proprio: ad
esempio, le belve che divorano un quarto degli abitanti della terra (cL 6,8), 21 i
cavalli quando il sangue arriva all'altezza del loro morso (cf. 14,20), il ruggito
del leone al quale si paragona la voce dell'agnello (cf. 10,3), la puntura degli
scorpioni (cf. 9,5) ecc. Ma gli animali sono spesso diversi da quanto ci
aspetteremmo e protagonisti di azioni superiori.
Gli ~<!Ja, oltre ad avere un'identità che, cosi combinata, non ha nessun
riscontro nella realtà (cf. 4,6b-8a), esercitano funzioni dossologiche (cf. 4.8b,
ecc.) ingiungono (cf. 6,1-7: egzou: «Vieni!>> ecc.), consegnano le coppe agli
angeli (cf. 15,7), adorano (cf. 19,5). L'agnello, presentato anch'esso con delle
caratteristiche al di fuori del reale (cf. 5,6), esercita una molteplicità di azioni
che non finiscono di sorprendere: prende il libro (cf. 5,7), ne apre i sigilli (cf.
6,1ss) si indigna (cf. 6,16) conduce al pascolo (cf. 7,17); combatte e vince (cf.
17,14), celebra le nozze (cf. 19.7.9), ha un suo trono (cf. 22,1.3). Il leone vince
in modo da fare aprire i sigilli del libro (cf. 5 ,5), le cavallette tormentano gli
uomini come se fossero scorpioni e assumono le forme concrete più sconcertan-
ti (cf. 9,7), l'aquila parla pronunciando un grido minaccioso e sconvolgente (cf.
8,3). l cavalli, oltre al senso realistico sporadico accennato, assumono
proporzioni, colori e atteggiamenti al limite dell'immaginabile (cf. 6, 1-8;
specialmente 9,16-19). Il drago, il primo e il secondo mostro, oltre che avere
un'identità al di là di ogni presentazione umana, compiono azioni ugualmente
sorprendenti: il drago trascina le stelle sulla terra (cf. 12,4), combatte nel cielo
(12,7), ecc.; il primo mostro bestemmia il nome di Dio (13,6), ha potere sopra
ogni tribù e popolo (13,7); il secondo parla come il drago (13,11) costruisce
l'immagine del primo mostro e le dà la vita (13,14-15).
L'esemplificazione potrebbe continuare: non solo l'autore opera quello
spostamento di significato che fa dell'animale un simbolo, ma lo spostamento è
talmente accentuato da divenire, non meno che per quanto riguarda gli

21
Anche se il testo non manca di pom: dei problemi specialmente per quanto riguarda 'ò
'Ém(nov: c r. per un approfondimento del verseno J.H. MICHAEL, The Posirion of the Wild Beasts
in Revelation 6,8b, in Exp (1946-47) 58, pp. 166.

38
sconvolgimenti cosmici, una trasformazione radicale. La creatività dell'autore
si sente impegnata particolarmente."
Che cosa vuole esprimere? Si ha subito la sensazione netta di un livello di
realtà eterogeneo, oscuramente superiore rispetto al livello degli uomini. 21
Questa prima impressione viene confermata e consolidata seguendo lo svi-
luppo delle azioni attribuite agli animali c diventa un'evidenza che si impone. Gli
animali protagonisti, sia di segno positivo che negativo, si comportano secondo
modalità sempre sorprendenti, spesso umanamente inesplicabili. La loro azione
preme sugli uomini e sulla loro storia, ma è sempre sotto il controllo di Dio.
Esprimono una forza che, positiva o negativa che sia, si immette nella storia
umana, segucndone lo svolgimento fino alla conclusione escatologica. Nella Ge-
rusalemme celeste saranno scomparsi tutti gli animali: resterà soltanto, c in posi-
zione centrale, la figura dell'agvlov." Ci sarà una salvezza attiva, causata vital-
mente da Cristo come proiezione escatologica della sua risurrezione.
Analogamente a quanto farà un autore moderno, F. Kafka," l'autore
dell'Apocalisse usa la formula teriomorfa per indicare l'eterogeneità, quasi una

" Anche il simbolismo teriomorfo trova le sue radici nell'AT: vi ritroviamo tutti gli animali
menzionati nell'Apocalisse, vi ritroviamo anche una simbolizzazione avanzata per quanto riguarda
alcuni di essi: gli ~<Jla, ad esempio, in Ez 1,5·10; il &r]Qlov in D n 7 ,3·6; ma l'originalità dell'autore risalta
sia da una simbolizzazionc più ampia, sia anche e soprattutto da un'impronta tutta sua che dà sempre,
anche quando riprende simbolizzazioni elaborate. Ciò appare dalle differenze rispetto ai modelli,
dalle combinazioni del tutto nuove che lui fa (come nel caso degli ~<Jla: derivati fondamentalmente da
Ezechiele, sono presentati anche con dei tratti che ls 6,2, attribuisce ai serafini), dalla creazione di
certe figure come J'6.gvlov che trovano nell'A T solo un precedente molto generico.
23
HALVER, Der Myrhos, pp. 91·98 dedica un'ampia parte del suo studio alle figure di animali
e li interpreta come protagonisti tipici del mito ( «Hier scheint e in Riickfall in di e mythischen
Friihzeiten der Menschheit gegenuber der "moderneren" Sicht der Tierwelt im AT stattgefunden
zu haben .. , Io .. p. 91). Ma gli animali dell'Apocalisse non mostrano un comportamento mitico o
fiabesco come non lo mostrano quelli di F. Kafka. Non agiscono come se fossero uomini, ma hanno
una loro capacità di azione diversa da quella dell'uomo c che spesso la supera.
2
' Ciò costituisce un problema: dato che tutte le altre figure teriomorfe scompaiono prima,
anche quelle che, come gli ~<Jla, seguono tutto lo sviluppo della storia della salvezza fino alla sua
conclusione (l'ultimo intervento degli ~<ila e degli anziani è espresso dal tipico Òfi~V· IÌÀÀT]Àouù':t:
19,4), come si spiega la permanenza dell'IIQv[ov? L'insistenza dell'autore sugli elementi teriomorfi
della prima presentazione (cf. 5,6)- che, secondo una caratteristica letteraria tipica deve essere
rievocata esplicitamente tutte le altre 28 volte in cui ricorre il termine - col1oca l'àpvlov nel
quadro del simbolismo teriomorfo: in effetti un'azione che ha presa sugli uomini, che si svolge al
disopra della loro capacità di verifica, che ha un suo dinamismo prorompente - tratti tipici del
simbolismo teriomorfo- esprimono in maniera aderente e suggestiva l'attività attribuita a Cristo
risorto nello sviluppo della storia della salvezza. Ma hanno un significato sempre su questa linea
anche nella Gerusalemme celeste: Cristo IIQv[ov partecipa alla città-popolo la capacità di un amore
pari t etico rispetto al suo, da vUfi<flJ ne fa la yuvi) (cf. 21,9); insieme a Dio l'IIQV[ov comunica la sacralità
della sua risurrezione e del suo Spirito agli uomini, diventando cosi il tempio della città (21.22): irradia
(l..uxvoç aònìç: 21,23) la potenza della sua risurrezione nella città, comunica influendo la vitalità
propria ùi Dio (cf. 22,1 e 21,3). Non è possibile, ora, allivello pre-escatologico in cui ci troviamo,
verificare in tutta la sua portata la potenza di questo innusso. L'ò.Qvlov rientra quindi nel quadro del
simbolismo teriomorro. ma dato l'impegno creativo che l'autore vi mette, diventa quasi una categoria
simbolica a sé. Lo conferma l'ese~esi: cf. Parte seconda. c. IV. pp. 167-169.
'' Cf. ad esempio KA>KA. Die Verwandlung in Das Urreil und andere Erziihlungen,
Frankfurt am Main 1976, pp. 19-73; Ein Bericht fur eine Akademie, in Ibidem, pp. 88-97.

39
certa trascendenza rispetto all'uomo, di una realtà superiore che stimola e
muove. Non sarà perciò sufficiente una semplice identificazione, quasi una
traduzione del simbolo teriomorfo in equivalenze realisti che. che risulterebbe
inevitabilmente riduttiva sia nel senso del bene operante che del male."'
Ogni espressione simbolica teriomorfa ci riporta allo svolgimento, al vivo
della storia, ma non ce ne dà una chiave di lettura al minuto. L'animale
protagonista dice che c'è, proprio nell'ambito della storia, un complesso di
forze in atto. una vitalità inarrestabile che il contesto immediato potrà
specificare ulteriormente, ma che sjuggirà a una piena verifica dell'uomo. Si
avrà spesso la sensazione dcll'incomprensibilità opaca della potenza del male,
come pure dell'inafferrabilità vittoriosa del bene.
È la percezione acuta dello sviluppo in avanti e di tipo dialettico che
assume la storia, con la varietà molteplice dei suoi elementi, con gli
interrogativi che pone e i vuoti a livello di comprensione umana che lascia, ma
che è sempre dominata dalla logica di Dio, guidata, portata alla pienezza e
mantenuta dall'àgv[ov, a suggerire all'autore dell'Apocalisse un uso così
ampio e differenziato del simbolismo di tipo teriomorfo.

Il simbolismo antropologico

Il senso acuto che l'autore dell'Apocalisse mostra di avere per la storia


come vicenda umana" lo portava a interessarsi dell'uomo, dei vari aspetti della
vita (tw~: 17 ricorrenze; taw: 13 ricorrenze), delle sue manifestazioni ed
espressioni. Troviamo, nell'ambito del suo vocabolario, molte espressioni che
si riferiscono all'uomo considerato nella sua individualità: l'uomo è vitalità
(1Jiux~: 7 ricorrenze), è persona corporea (crwlla: cf. 18,13), ha il sangue come
elemento determinante della sua vita (a{lla: 19 ricorrenze), può soffrire la
fame e la sete (cf. 7,16), ecc.
Ma l'autore non lascia mai l'uomo isolato. L'uomo guarda sempre l'altro,
e l'autore lo pensa inserito nel divenire della storia. Parla, così, della
dimensione relazionale: l'uomo e la donna, l'amore, le nozze, la fecondità, il
parto. Fa un'attenzione speciale al vestito che rende l'uomo, visualizzandolo,
particolarmente rilevabilc negli altri, (i!l<'rnov: 7 ricorrenze; m:oÀ~: 5 ricorren-
ze; JtEQL[~uÀÀw: 12 ricorrenze). Indugia, talvolta, a porre in risalto certi
atteggiamenti, come lo stare in piedi o lo stare seduto; insiste sulle parti del
corpo, come il capo, la fronte, il volto, la mano, i piedi e, ancora più

,. B. REICJtE, Die jiidische Apokalyptik und die johanneische Tiervision, in RSR (1972) 60,
pp. 173-192 esamina accuratamente tutta la documentazione sul Nero redivivus, concludendo che
l'Apocalisse avrebbe ripreso, senza necessariamente farla sua, la credenza popolare sul Nero
redivivus. Lo specifico del simbolismo tcriomorfo viene ignorato per quanto ri~uarda il suo
dinamismo tipico. E questo si rileva. in proporzione ancora maggiore, negli altri studi concernenti
le bestie nell'Apocalisse nei quali ci si è preoccupati di identificazioni storiche affrettate.
" Ciò non implica che l'uomo sia visto dall'Apocalisse come l'artefice della sua storia.
Nell'ambito di essa sono in gioco forze positive o negative di gran lunga superiori alla portata
dell'uomo. ma l'uomo è sempre il punto di riferimento ùi tutti gli interventi.

40
dettagliatamente, i denti, i capelli, la voce, il femore. E sensibile a ciò che può
piacere all'uomo, come l'oro e le pietre preziose. E l'uomo gioisce esulta, alza
il tono della voce, applaude, canta. L'autore è sensibile anche a ciò che
dispiace e che irrita: si parla spesso di passionalità ('lh.J~-toç: 10 ricorrenze),
talvolta di ira (ògyrr 6 ricorrenze).
L'uomo, visto nell'ottica della storia, convive con gli altri. L'autore insiste
sulla convivenza e ne sottolinea alcuni aspetti squisitamente umani, come l'intimi-
tà dell'amicizia che si esprime in termini conviviali: si parla di cena e di vino.
Tra gli uomini ci si vede, ci si congratula, ci si scrive, ci si comunica.
Inoltre c'è il lavoro, la vendemmia, la mietitura, il pascolare. C'è il comprare e
il vendere, che può diventare addirittura un commercio organizzato, sui cui
l'autore insiste con dovizia sorprendente di particolari (cf. 18,11-13.17).
L'autore sa troppo bene che il rapporto interumano della storia scade
spesso nelle tensioni c nella violenza: ci presenta l'uomo che guida il cavallo
(non certo per sport!). l'uomo che combatte, che vince ed è vinto, l'uomo che
strumentalizza l'altro, l'uomo che uccide. Ha attenzione per la sofferenza, per
il grido dell'oppresso, la fatica, il pianto.
L'uomo che convive si esprime in modo particolare nella città: l'autore ne
parla ripetutamente e, lo vedremo poi più da vicino, ne fa addirittura il punto
di arrivo di tutto il dinamismo della storia.
La convivenza degli uomini tra loro non si limita alla città, che pure ne
costituisce uno degli aspetti basilari. Ci sono i re, ci sono i regni, c'è insomma,
il vivere tipico dell'organizzazione dello stato.
Infine la convivenza umana non è completa agli occhi di un autore che ha
maturato la sua mentalità nell'ambito dell' AT senza la dimensione verticale
che mette in contatto con Dio: il culto, la liturgia appartengono al quadro
dell'uomo.
Questo - a grandi linee"' - il quadro antropologico che troviamo
nell'Apocalisse. È un quadro che ha le sue dimensioni realistiche: quando si
parla, ad esempio, della <<voce dello sposo e della sposa>> (18,23), ci si riferisce
alla realtà umana dell'amore nuziale; lo stesso quando si parla del lavoro in
termini tecnici precisi (cf. 18,22), oppure quando si mettono in risalto,
seguendo lo schema dei canti di descrizione, le varie parti del corpo: la testa, gli
occhi, la faccia, il petto, i piedi conservano normalmente la loro identità reale
(cf. 1,14-16). Ma, oltre a una parte realistica, esiste, nel quadro antropologico
dell'Apocalisse, una parte simbolica, quando i vari elementi riguardanti l'uomo

"' Sarebbe interessante e da fare uno studio sistematico dell'antropologia dell'Apocalisse,


approfondendo e completando gli accenni indicati. Così, ad esempio, 1lJuxlj sembra indicare, sulla
linea della mentalità greca l'anima separata dal corpo (cf. 6,9; 20,4) e, sulla linea ebraica, semplice-
mente la vita (cf. 8,9; 12,11; 16,3; 18, 13.14). Eterogeneità culturale da parte dell'autore? Oppure ha
una sintesi nuova, sua, che unisce questi vari significati solto quello più generale e riferibile a tutte le
ricorrenze di <<Vitalità,}? E ancora: qual è la vera portata di voùç, di èi.vttQwnoç, di Kagb[a? Una risposta
contribuirebbe ad ampliare e approfondire l'esegesi e la teologia biblica dell'Apocalisse.

41
subiscono quello spostamento di identità tipico del simbolo. Esaminiamo da
vicino alcuni casi indicativi.
Partiamo dall'uomo considerato anzitutto nella sua individualità. Un
elemento che Io riguarda spesso è costituito dalle vesti: troviamo una veste che
arriva fino ai piedi (tvb~::buflÉVov :n:ol\l]eTJ: I ,13), con una fascia d'oro al petto,
che avvolge Cristo risorto; troviamo un abito (lflétnov), che viene attribuilo a
Cristo nel contesto della cosiddetta parusia apocalittica:" l'abito è cosparso di
sangue e porta la scritta solenne, che qualifica al massimo l'identità del Cristo
che ritorna: <<re dei re, signore dei signori» (19, 16).
Lo stesso termine al plurale (l[!étna) è riferito ai cristiani di Sardi «Che
non macchiarono le loro vesti>> (3,4) e ricorre nella misteriosa beatitudine
inserita prima della battaglia escatologica conclusiva: <<beato chi veglia c
conserva le sue vesti» (16, 15). Unite al termine qualificante «bianco>> - lo
esamineremo nel quadro del simbolismo cromatico- le vesti sono attribuite ai
«vincitori», impegnati fin da adesso con Cristo nella lotta contro il male (cf.
3,5), sono promesse alla chiesa di Laodicea in modo che non si veda <da
vergogna della nudità» (3,18). Ne sono rivestiti i ventiquattro anziani (4,4).
C'è un altro termine riguardante il vestire, moÀ:r], praticamente sinonimo
di l[!étnov che l'Apocalisse usa, per lo più, abbinato all'aggettivo <<bianco»: ai
martiri che chiedono fino a quando Dio non vendicherà il loro sangue, viene
donata una <<veste bianca» (moÀ~ ÀEuxiJ: 6,11); tutti i partecipanti alla salvezza
escatologica nella prima presentazione che ne viene fatta sono rivestiti di <<vesti
bianche» ( moÀàç ÀEuxétç: 7 ,9.13). Si insiste, sempre nello stesso contesto, su
questo particolare: si afferma che coloro che indossano le vesti bianche le
hanno lavate (ErrÀUvav) e rese tali (ÈÀEvxavav) nel sangue dell'agnello (7,14).
Si ha un'ultima ricorrenza di moÀlj- questa volta senza che sia esplicitamente
collegata col termine <<bianco» - nel dialogo liturgico conclusivo: si dice che
sono beati coloro che <davano le loro vesti» (22 .14).
Anche quando non sono usati espressamente né l!J.anov né moÀlj, si
hanno nell'Apocalisse altri accenni al fatto antropologico del vestito che
completano il quadro che stiamo studiando: seguendo il filo del verbo
ltE(.JL~aÀÀw <<rivestire», troviamo, oltre che in esempi già esaminati quando si
trovano accanto al verbo i termini l[!éttLov (cf. 3,5.18; 4,4) o moÀlj (cf. 7.9.13),
che un angelo è <<rivestito di una nuvola» (10,1), che la donna del grande segno
è <<rivestita di porpora e scarlatto» (17,4); la città stessa è detta «rivestita di
lino» ( 18,16): alla sposa dell'Agnello viene concesso di <<rivestirsi di lino
luminoso e puro» (19,8) e l'autore aggiunge subito, dandoci così un'indicazione
preziosa per l'interpretazione: <<infatti il lino sono gli atti di giustizia (<à
1\txaui.Jrtam) dei santi>> (19,8). l due testimoni del capitolo 11 durante il tempo
del loro ministero sono <<rivestiti di sacco» (11 ,3).

" In 19,l1-21 abbiamo una presentazione della conclusione della storia da parte di Cristo. Il
quadro è simbolico ed usa molti tratti di simbolismo antropologico: non è una descrizione visiva
della parusia, anche se il contenuto espresso le corrisponde.

42
Davanti a questo ventaglio di esempi tutti riguardanti il vestire si pone la
domanda: si tratta di un fatto reale o si ha lo spostamento caratteristico del sim-
bolo? Il vestito nell'Apocalisse, come del resto in altre parti della Bibbia,'" pre-
senta una simholizzazione costante: non è mai la stoffa materiale. Ma tale sim-
holizzazione è più o meno accentuata in proporzione al cambiamento operato
dall'autore in rapporto allivello realistico del vestito come stoffa. Così il vestito
di sacco dci due testimoni esprime un atteggiamento di rottura con l'ambiente.
Il vestito di porpora scarlatto della donna indica il lusso consumistico.
La veste del sommo sacerdote" vuole esprimere la nuova funzione di
Cristo proprio come sommo sacerdote nel NT.
La veste cosparsa di sangue e con la scritta sopra sulla veste e sul femore
- due particolari che pur senza escludersi a vicenda, non sono facilmente
armonizzati tra di loro - più che vista è pensata come la capacità permanente
di Cristo, visto come personaggio storico e come individuo presentato in sé, di
portare sui nemici una vittoria incontrastata. Lo spostamento del simbolo
rende costante ciò che, realisticamente, sarebbe solo un fatto episodico, come
le macchie di sangue sulla veste.
Il vestito della sposa, di lino splendente puro, è visualizzabile come reale,
ma l'identificazione che ne fa esplicitamente l'autore - le ·azioni giuste dei
santi - è solo pensata e attribuita dall'esterno. Si ha la modifica propria di
significato del simbolo.
E tale modifica appare ancora più spinta.
La veste bianca donata ai martiri, l'indumento bianco degli anziani, le
vesti dei salvati rese bianche nel sangue dell'agnello non sembrano più, alla
luce del loro contesto immediato, delle vesti reali. Le identificazioni proposte
di tali rivestimenti del corpo risuscitato, anche se difficilmente sostenibili,"

"' Il vestito - portato, messo o tolto - acquista un rilievo particolare nel quadro della
teologia simbolica: cf. BERNARD, Théologie, pp. 208-210.
1
-' L'identificazione della veste è discussa: si tratta di un indumento che indica una dignità o di un
indumento spcciricamcnte sacerdotalc 0 Il contatto coli" A T, letterale e contestuale. ci dà delle indica-
zioni chiare: Es 2H.4 che ha nello stesso versetto ccveste~> (mr'i/ LXX :rohftQTJ) c «fascia~) (LXX ~Orvrtv)
costituisce il modello remoto dell'autore; D n 10.5 come pure Ez 9.2.11. anche se con minore probabili-
tà e che hanno (<veste>• (baddim LXX JtobfJQTJ) attribuita a un personaggio trascendente. rappresenta-
no il contesto prossimo. Ma ciò che determina è la variazione dell'autore rispetto al modello prossimo:
la fascia intorno ai fianchi di Dn e Ez viene spostata al petto (ngòç toiç ~am:oiç v. 13). Ciò. come ci
attesta Flavio Giuseppe (Ani., III. 7 .2), è un segno caratteristico del nobJÌQ'lç sacerdotale.
-'~ Essendo il vestito, visto simbolicamente. un «prolongemcnt du corps)> (BERNARD,
Théologie, p. 208) è venuto spontaneo il riferimento di «vesti bianche» (sia l!'émov sia utOAlj: 6,11;
7,9.13) al corpo risuscitato. dato il contesto trascendente in cui spesso se ne parla. E. Lohmeyer,
per esempio, afferma: <<Weisse Gewanùer sind ein allgemein vcrhreitetcs Symbol fiir himmlische
Verklarung, genauer flir Bekleidung mit verklarten Leihern» (E. LoHMEYER, Die Offenbarung des
Johannes. Tiihingen '1953. p. 34). E porta un'ampia documentazione della letteratura apocalittica
a fondamento della sua asserzione. condivisa ùa molti altri commentatori (Charles, Bartina: cL
CH. BR0TsCII, La clarté de l'Apocalypse. Genève '1966, p. 79). Ma tale interpretazione, oltre che
ad attribuire ali'Ap un'antropologia dualistica (anima e corpo: cf. 6.9-11), non appare sostenibile
né per iJ!ér.nov né per moì-.ft dato che i due termini sono usati anche in contesti terrestri e pre-
escatologici (cf. 16,15 per 1w'ma e 22,14 per m:oì.Ji).

43
indicano la veste che non è più percepita, neppure minimamente, come tale. Si
ha già il salto di identità, tipico della simbolizzazione radicale. E ciò accade al
di là di ogni dubbio possibile, quando si parla dell'angelo rivestito di nuvola,
della donna rivestita di sole, della città rivestita di lino. Lo stesso e di più si
deve dire quando si tratta di conservare o di lavare le proprie vesti.
In questi ultimi casi la creatività dell'autore modifica totalmente l'identità
reale dei termini, attribuendo ad essi un significato del tutto nuovo. Ci chiediamo,
allora, che cosa significa, in questi contesti, presumibilmente i più indicativi per
l'impegno particolare da parte dell'autore, il simbolismo dell'abito.
La risposta non è semplice: l'abito sembra esprimere anzitutto una
situazione che si riferisce strettamente alla persona qualificandola come tale.
Ma il vestito si vede, si valuta dal di fuori. ·
Ciò significa che, parlando di un loro tipo di vestito, l'autore dell' Apoca-
lisse vuoi mettere le persone in rapporto di reciprocità. Si ha come un invito a
guardare c confrontarsi.
Il vestito indicherà allora la situazione della persona, ma quasi proiettata
verso l'esterno, potremmo dire, in funzione degli altri che possono percepirla.
Così, ripercorrendo alcuni degli esempi indicati e concludendo, Cristo è
sommo sacerdote e deve essere visto, percepito come tale dalla comunità
ecclesiale. Le vesti bianche che qualificano i quattro anziani indicano una loro
funzione di cui il gruppo degli axouovuç" (l ,3) deve prendere atto. Le vesti
bianche dei salvati a livello escatologico indicano la reciprocità della salvezza
nella presa di coscienza gioiosa che se ne ha vedendola realizzata anche negli
altri. Lo stesso vale dell'abbigliamento della sposa. Il particolare della donna
«rivestita di sole» è una qualifica della donna stessa ma che deve essere valutata
dal gruppo che interpreta il crT]f!EÌ:ov, al quale la donna appartiene.
Finalmente le vesti da lavare e custodire indicano una qualifica morale
della persona cristiana da rinnovare e mantenere, ma della persona che è
avvertita e capita, <<Vista», in queste sue qualifiche, dagli altri.
Nel quadro antropologico dell'Apocalisse acquista un rilievo notevole la
donna, come appare anche dalle 19 ricorrenze del termine yuvi]. Si ha allora-
viene subito spontanea la domanda - anche nei riguardi della donna quella
idealizzazione che determina il passaggio dal livello di identità realistica a un
altro livello, tipico appunto del simbolo?
La risposta è sorprendentemente affermativa.
Sulle 19 ricorrenze del termine yuvi] solo 3 sono riferibili - e solo a
livello di probabilità- alla donna intesa in senso realistico" e sempre con una
spinta verso la simbolizzazione.

. .l'. È il gruppo .in ascolto che appare' per la prima volta in un dialogo liturgioo oollettore in l ,3 e che
nmarra 1n t<Jic attcggtamcnto ~r tutto lo svolgimctJio del libro. Cf. Parte seconda, c. l, pp. 106-109.
. . ~ Si tratta della <cdonna Gezabele~> che pretende un ruolo profetico e didattico nella chiesa
dt TtatiTa (2,20). È il nome di un personaggio femminile esistente o di un gruppo" La spinta
tdeahzzantc, comunque, appare nel nome Gczabele che fa di questa donna un tipo di

44
In tutti gli altri si rileva lo spostamento di significato tipico del simbolo.
Cosi, per quanto riguarda la yuvi] di 12,1-17, la capacità di farsi amare, di
soffrire. di donarsi, di essere madre, hanno suscitato nell'autore- anche qui a
partire dall' AT- il quadro ideale del popolo di Dio che, accogliendo l'amore
di Dio e contraccambiandolo, affrontando le difficoltà del cammino nel
deserto, si sforza di esprimere, nella situazione storica di conflitto in cui si
trova, la sua parte del Cristo escatologico."
Ma troviamo, riguardo alla donna. anche uno sviluppo simbolico in senso
inverso, un'idealizzazione capovolta. È il quadro impressionante della <<grande
prostituta» (i) rtOQVI] i) !-!Eyétì.T)) di 17,3-18: la bellezza è diventata lusso
sfacciato e fascino provocante, la maternità è stravolta radicalmente, la donna
è presentata come <da madre (i) !ltlTllQ) di tutte le prostitute e di tutti gli
abomini della terra>> (17,5b). Ed è ubriaca, «ebbra del sangue dei santi>> (17,6).
L'autore riprendendo i valori antropologici più significativi della donna, li
capovolge, per esprimere adeguatamente la negatività di Babilonia.
La donna è collegata in tutte le letterature con l'amore. E anche
l'Apocalisse si muove esplicitamente su questa linea.
Non manca qualche allusione, fatta in termini altamente positivi, alla
realtà dell'amore: una delle caratteristiche più impressionanti della degenera-
zione di Babilonia, la città consumistica per eccellenza, è che in essa «non si
udrà più voce di sposo e di sposa>> (18,23). Ma proprio questo apprezzamento
porta l'autore a fare, nell'ambito della terminologia dell'amore, alcuni dei suoi
spostamenti di significato più noti.
Si parla, così, di nozze, ma sono le nozze dell'Agnello: se ne festeggia
l'arrivo (19,7), si proclamano beati quelli che vi sono stati chiamati (19,9).
Si parla della sposa dell'Agnello. La «sposa-donna>> (ti)v VU!lqJT)V ti)v yuvai:-
xa: 21,9). L'autore elabora arditamente elementi desunti dall'A T sulla linea di
un 'esperienza antropologica comune, giungendo a fare del livello paritetico del-
l'amore tra due sposi la qualifica specifica dell'amore che si stabilisce gradualmen-
te tra il Cristo risorto e la chiesa. Questa parità di amore vertiginosa si realizzerà
pienamente a livello escatologico. Ma la chiesa, fin da adesso, sa di essere la vÙ!lqJTJ
che aspira alla presenza completa di Cristo (cf. 22,17).
L'uomo apocalittico non si può pensare isolato, vive insieme agli altri e il
luogo naturale della convivenza è la città. Anche rc6ì.Lç, città, è un termine caro
all'autore dell'Apocalisse che lo usa ben 27 volte.

contaminazione pagana come la Gezabele biblica (cf. IRe 16,31; 2Re 9,22) e anche nell'insistenza
su alcuni particolari chiaramente simbolici («ecco. lo getterà in un letto e coloro che hanno fatto
adulterio con lei ... »: 2,22). In 9.8 nell"interpretazione applicativa che viene suggerita delle
cavallette si dice che avevano «Come capelli di donne»: il punto di partenza del confronto (<<come~~.
Wç) sono i capelli di donna reali, ma proprio il confronto sposta subito verso il simbolismo (che non
è chiaro: prepotenza? seduzione?). Anche in 14,4 («coloro che non furono macchiati con donne>>)
si suppone un punto di partenza realistico- il rapporto sessuale con donne che, lecito o meno,
costituiva una certa controindicazione liturgica - ma si pas<iia subito al simbolo (l'ahilitazione
continuarJ al culto dci 144.t)(Hl. con tultJ prohabilità).
- Per un apprnfonùimclllo d. Pc.Htc seconda. c. VII, pp. 245-249.

45
L'autore intende rr6ì.tç anche in senso realistico e lo fa quando, ad
esempio, parla delle «città dei pagani>> che crollano (16,19), del tino pigiato
<<fuori della città» (14,20).
E si ha la stessa impressione di un'allusione geografica precisa quando si
dice che le forze ostili <<calpestano la città santa>> ( 11 ,2) o quando la figura
simholica della grande prostituta è vista come concretizzata in Roma detta <<la
grande città>> (17,18).
Ma è una prima impressione che va approfondita e ridimensionata. Un
esame più attento ci mostra come, proprio nell'amhito riferito a Gerusalemme
e a Roma, si opera il salto di significato che ci sposta dal livello realistico al
simbolo. La <<Città santa>>, la città <<dove anche il loro Signore fu crocifissO>>
(11,8b), Gerusalemme, è anche equivalente all'Egitto, a Sodoma, a Roma
stessa. 36 E ciò si ha, come viene sottolineato esplicitamente, 37 mediante un
rinnovamento di significato. La parte negativa di Gerusalemme, quella che
ponò alla crocifissione di Cristo, si è già concretizzata nel contesto biblicamen-
te negativo di Sodoma e dell'Egitto. Si concretizza in Roma. È in definitiva,
uno schema, un tipo che tende a riprodursi nella storia. Siamo molto al di là
della Gerusalemme geografica.
Lo stesso si può dire a proposito della <<grande città>> di Roma. Essa non è
solo la concretizzazione storica del simbolo espresso dalla prostituta e da Babilo-
nia. La complicazione, probabilmente intenzionale, della sequenza inestricabile
con la quale l'autore allude alle successioni dei re e alle vicende politiche di Roma
(cf. 17, 9-14), il fatto stesso che essa non venga mai nominata, inducono a pensare
che si oltrepassi l'identificazione storica di Roma con lo schema del simbolo.
Roma diventa un tipo di attualizzazione di Babilonia, un tipo che tende a riprodur-
si nella storia, non meno di Gerusalemme. Anche la <<grande città>> diverrà allora,
per lo meno parzialmente, un simbolo.
Si parte, in tutti e due i casi, dalla concretizzazione geografica, ma si
opera un cambiamento per strada, per cui, alla fine, abbiamo un simbolo.
Ma la maggior parte delle ricorrenze di rr6ÀLç si riferisce a Gerusalemme e
presenta un significato già simbolizzato e ciò radicalmente. Gerusalemme è
detta <<nuova>> <<discendente dal cielo, dalla zona di Dio>> <<Ornata come una

~ 11,8b è notoriamente una cru.x interpretum: c'è come una tensione tra due punti chiari, ma
contrastanti: da una parte «la grande città» è l'espresssione che nell'Apocalisse indica Babilonia
concretizzata in Roma: dall'altra l'espressione «dove anche il loro Signore fu crocifisso)) è riferita
chiaramente a Gerusalemme. L'interpretazione realistica si trova così in un vicolo cieco e si hanno
tentativi di ridurre il testo o all'una o all'altra delle due città. Cf. BROTSCH, La clarté, pp. 186-187
per una panoramica delle opinioni. Solo la simbolizzazione permette di uscire dal vicolo cieco,
come aveva intuito s. Girolamo e come è affermalo, sotto varie forme, da molti au10ri moderni.
Cf. BROTSCII. La c/arté, p. IH7.
37
L'avverbio j'[VEUIJOttxWç riferito esplicitamente all'interpretazione della città (~n;
XaÀ.EiTOl j'[VH·~wnxW;) indica proprio questo cambiamento di significato tipico del passaggio al
s~m~t~lismo. E ciò si ha sia intendendo in un senso generico e <<Spiritualmente))' sia riferendo a quel
sogmfocato nuovo che certe realtà acquistano nel contesto e sotto l'innusso dello Spirito (cf. lCor
2, 13. l'unica altra ricorrenza nel NT del termine :rvFl!flOtlXW;).

46
sposa» (21,2); in una seconda presentazione la noÀLç viene detta subito, con un
salto simbolico ardito, la «donna-sposa dell'agnello» (21 ,9). 38 E questa
arditezza creativa continua: gli elementi tipici della città sono ripresi puntual-
mente, ma hanno un significato nuovo: le sue porte indicano, nella loro
apertura ai quattro punti cardinali, l'universalità; i fondamenti su cui poggiano
le mura sono i dodici apostoli dell'Agnello (21,14).
Le porte e il muro sono ripresi in un secondo giro, sono misurati. La
misura è espressa in termini umani: <<misura di uomo» (~Él:(lOV àvi}gcimou), ma
è una misura che viene superata, cambiata dal di dentro, diventando <<misura di
angelo» (~Él:(lov àv{}gwrrou, o ton v àyyÉÀou: 21 ,17). Lo spostamento di
significato tipico della simbolizzazione, non potrebbe essere più esplicito. Di
fatti, la forma cubica risultante dalla misura e le sue dimensioni enormi,
sconcertanti se si rimane al livello del realismo umano, indicano invece, a un
livello nuovo e superiore, la perfezione assoluta della città.
C'è un terzo giro: le porte, il muro, le fondamenta, la piazza, sono tutti di
materiale preziosissimo, simbolo antropomorfico del «valore» (la ù6!;u)" di
Dio, presente nella città.
La vita dell'uomo come la sente l'autore dell'Apocalisse è anche
convivenza con Dio. Ciò, nella mentalità deii'AT a cui l'autore si ispira, ci
riporta al culto.
Difatti troviamo nell'Apocalisse un'abbondanza sorprendente di termini
cultuali, alcuni molto precisi e propri dell'A T: si parla di tempio (vu6ç: 16 ricor-
renze), di altare (i}umaatn]gwv: 8 ricorrenze), di incensiere e di incenso (ÀL~avw­
"toç, incensiere: 2 ricorrenze, le uniche del NT; {}u~[u~a: 4 ricorrenze), di cande-
labri (ì-.uxvlu: 7 ricorrenze), di coppe liturgiche (cpuiì-.rr 12 ricorrenze, le uniche
del NT), di cetra e di citaredi liturgici(;ui}étga: 3 ricorrenze; xdtug[~Etv: 2 ricor-
renze), di arca dell'alleanza (xt~wtòç Tijç <'iwtn]xl]ç: l ricorrenza). Si tratta,
allora, di un prolungamento reale, storico del culto dell'A T?
Un esame ravvicinato della terminologia cultuale che, in queste proporzio-
ni, non ha riscontro nell'ambito del NT indica una risposta decisamente negativa.
Infatti alla vastità sorprendente della terminologia usata fa riscontro
l'assenza, ugualmente sorprendente, di riferimenti precisi all'organizzazione
rituale dell' AT. Le grandi scene liturgiche che l'autore ci descrive non hanno
punti di contatto persuasivi con lo svolgimento cerimoniale nel tempio e
nemmeno con la liturgia sinagogale. 4(1

" Osserva Bernard: •Le symbolisme de I'Apocalypse est ici particulièrement suggestif; le
chap. 21 décrit en effet la ville nouve!le, la Jérusalem céleste, en insistant sur son caractère
humain» (Théologie, p. 382). È un simbolismo antropologico tra i più completi dell'Apocalisse .
.w La b6~a riprende il concetto veterotestamentario di ~~peso)). (<valore)), ma lo oltrepassa in
una concezione originale: è il valore che si irradia~ una preziosità rilucente, come le pietre preziose.
•• Gli accostamenti proposti lasciano tutti delle perplessità e contengono dei vuoti che solo delle
congetture sono in grado di colmare apparentemente. Cf. ad esempio, J. PESCHECK, Der Gottesdienst in
der Apokalypse, in THPQ (1920)73, pp. 196·514; P. PRIGENT, Apocalypseer licurgie, Neuchiìtel1972,
(specialmente la terza parte Ap 4 e 5 «Une liturgie juive adaptée au christianisme», pp. 46-68).

47
Le scene liturgiche dell'Apocalisse, inoltre, si svolgono in cielo, dove
sono situati quasi tutti gli elementi liturgici che abbiamo indicati. Protagonisti
privilegiati delle celebrazioni liturgiche sono gli ~0a, gli angeli, gli anziani.
Si impone, anche qui, una conclusione: rispetto al livello realistico del
culto dell'A T l'autore opera, usando la stessa terminologia, un cambiamento di
significato. Siamo nell'ambito del simbolo.
Che cosa vuole esprimere?
Tutte le grandi scene liturgiche, pur svolgendosi a livello celeste, non si
concludono nella trascendenza, ma hanno un aggancio esplicito alla terra: Dio
è celebrato perché ha creato tutto (cf. 4,11), ogni creatura «in ciclo c sulla terra
e sottoterra» (5, 13) è coinvolta nella lode dell'Agnello, l'angelo getta il
contenuto del turiholo «Sulla terra•• (8,5), dal tempio escono i sette angeli con
le coppe piene dell'ira di Dio da riversare sulla terra (cf. 15,5-16,1), ecc.
L'aggancio alla terra viene sottolineato anche dal fatto che c'è una sacralità a
livello terrestre, che entra direttamente nella storia: i sacerdoti sono, semplice-
mente, i cristiani (cf. 1,6),' 1 Cristo agnello, oltre che in cielo, è pensato esplicita-
mente sulla terra in quella zona di sacralità che gli compete: si parlerà di <<monte
Si o n>>: la liturgia scende sulla terra, ma non entra nel tempio (cf. l 4, l). I <<Candela-
bri d'oro» si riferiscono alle chiese nella loro concretezza storica (cf. 1.20 e 2,1 ).
L'unica azione liturgica descritta al di fuori del cielo viene situata nel
contesto terrestre della nuova creazione (cf. 15,2-4).
Lo spostamento di significato tipico del simbolo attuato dall'autore
nell'ambito della dimensione antropologico-liturgica presenta così una duplice
tendenza. Partendo da quel contatto di interscambio tra Dio e il suo popolo che
avveniva nel tempio, maggiora da una parte il contatto con Dio, situandolo
costantemente nella trascendenza; maggiora anche il contatto con gli uomini,
portando la sacralità nello sviluppo degli avvenimenti. La liturgia dell' Apoca-
lisse diventa così una liturgia della storia.
Altri esempi del quadro antropologico dell'autore potrebbero essere
utilmente analizzati," ma già da questi esaminati si intravede, al di là delle

" L'idea di una idoneità sacerdotale che i cristiani possederebbero come legata nel presente
per potcrla esercitare solo nel futuro escatologico difesa da E. Schiissler Fiorenza non ha trovato
credito perché poco conciliabile con l'insistenza dell'autore sulla dimensione liturgica del presente
(cf. E. ScHOSSLER FIORE~ZA, Priester fiir Goti. Srudien zum Herrschafls- und Priestermotif in der
Apokalypse, Miinster 1971).
'' Nel quadro dell'antropologia del gesto, è caratteristica la simbolizzazione di alcune
posizioni: l'autore rileva con accuratezza la posizione eretta, lo stare in piedi: implica sempre una
forza. esercitata o subita: i protagonisti del dramma liturgico di Babilonia «Stanno in piedi da
lontano» (18,10.15.17) respinti dal timore; davanti al gran giorno di Dio •chi può stare in piedi?»
(6.17). C'è lo stare in piedi del drago (cf. 12,4), e del ÒT)Q(ov (cf. 12,18): è la forza minacciosa del
male; c'è lo stare in piedi degli angeli: sulla terra (cf. 7,1), •sulla terra e sul mare» (10,5.8): è una
forza di segno posilivo in azione. C'è, soprattutto, lo stare in piedi di Cristo in un atteggiamento
che esprime la forza insistente e discreta dell'amore (•sto in piedi alla porta e busso»: 3,20) e lo
stare in piedi dell'òQvlov (ÈO'TT]x6ç, Ècmiç 5.6; 14,1) che indica la forza della sua risurrezione a
contatto con la storia degli uomini. In dipendenza dell'IIQVlov c'è lo stare in piedi degli uomini:
indica, anche qui, la situazione di forza tipica della risurrezione: i due testimoni, dopo la loro
uccisione. pervasi dallo Spirito di vita, ~otT]onv btl mùç rròliaç aùniJv (Il, Il); i vincitori stanno in

48
singole situazioni rilevate, lo specifico della costante antropologica. L'autore,
attento all'uomo e. a tutto il quadro che lo riguarda, lo vede e lo sente, senza
farsi mai illusioni nei suoi riguardi e senza accettare i suoi limiti, nella
completezza che raggiungerà. C'è un di più, un meglio che preme e incalza,
passando per tutti i dettagli del quadro antropologico.
Ne deriva un'indicazione interpretativa: per comprendere la spinta
creativa che porta l'autore a formulare il suo simbolismo antropologico,
occorre condividere la sua passione per l'uomo. È come se l'autore ci dicesse:
di fronte all'uomo che gioisce, che ama, che soffre, che lavora. che organizza la
sua convivenza, che progredisce o degenera come impegnato nella storia,
ricordate che è sempre, questo stesso uomo, portatore di una novità che lo
supera e gli compete: la novità escatologica di Cristo risorto.

Il simbolismo cromatico

L'autore dell'Apocalisse mostra una sua sensibilità per i colori. Dando uno
sguardo alla gamma dei colori di cui parla, vi troviamo il bianco (ì.Eux6ç: 15
ricorrenze), il rosso (rcugg6ç: 2 ricorrenze), il <<rosso infuocato>> (rcugtvoç: l
ricorrenza), il <<rosso scarlattO>> (x6xxtvoç: 4 ricorrenze), il verde (xì.wg6ç: 3
ricorrenze) e altri due colori di particolare interesse, ma difficili a precisare: «color
giacinto>> (uaxlvl'hvoç: l ricorrenza) e <<colore sulfureo>> ('frwilùl]ç: l ricorrenza).
L'attenzione relativamente rilevante" che il nostro autore mostra così per
il colore non è solo estetica: al di là della sensazione visiva che essi suscitano si
ha il salto qualitativo che determina il simbolo: i colori acquistano una
dimensione qualitativa di significato, esplicabile in termini intellettuali.
Verde, per esempio, è il verde naturale dell'erba (cf. 8,7) o il verde in
generale della vegetazione (cf. 9,4). Ma è anche il colore tipico del quarto
cavallo nella sezione dei sigilli (cf. 6,8) ." La sorpresa che tale termine, prima

piedi sul mare di cristallo misto a fuoco della nuova creazione (cf. 15,2) e davanti al trono di Dio
(cf. 7,9). Anche la posizione complementare, ((stare seduto>> ha una simbolizzazione caratteristica:
è riferita ai centri di potere (<<coloro che siedono sulla terra»: 14,6), alla n6QVT] (cf. 17,1.3.9.15;
18,7). ai cavalieri (cf. 6,2.4.5.8; 9,17; 19,11.1H.l9.21), al personaggio <<Simile al figlio dell'uomo
seduto su una nuvoJa,, (14,14.15.16), a Cristo risorto («un grande trono bianco e un personaggio
seduto su di esso»: 20,11), ai ventiquattro anziani (cf. 4,4), soprattutto a Dio che è detto
costantemente «colui che è seduto sul trono» (4,2.9.10; 5,1.7.13; 7,10.15; 19,4; 21,5) c addirittura
semplicemente 6 xalh'j~Evo; (4,3). Indica una capacità di dominio esercitata di fatto. La sete,
intesa in senso realistico (cf. 7,16), viene poi simboliuata per indicare l'aspirazione tormentosa e
assillante al bene, e, più concretamente, a Cristo presente nell'assemblea liturgica con la sua
sacramentalità (cf. 21 ,6; 22.17). Il nutrimento della manna del deserto dell'A T viene simbolizzato:
la manna acquista COSÌ un senSO OaSCOSlO (TOf• ~lÙVVU TOÌ' X.fZt}ll~l~lt\'01'). quello CUCari:-.t]co
" Un confronto con il resto del NT mette in risalto l'uso del colore c di certi colori da parte
dell'autore dell'Apocalisse: kEux6ç ricorre nell'Apocalisse 15 volte su un totale di 24; le ricorrenze
di nueg6ç, 1r1JQLvoç, uaxiv~tvoç, ~wilbTI; sono le uniche; x6xxtvoç ricorre 4 volte nell'Apocalisse
e solo l volta altrove; xkwg6; 3 volte nell'Apocalisse e l volta altrove.
44
I colori tipici dei quattro cavalli, in rapporto col modello veterotestamentario di Zc 1,7-
17, mostrano l'originalità dell'autore dell'Apocalisse anche nella formulazione del suo simbolismo
cromatico. Ma il problema è complesso: cf. E. HAAPA, Farben und Funktionen bei den
apokalyptischen Reitern, in TAiK (1968) 73, pp. 216-225.

49
mai riferito a un cavallo, ha destato, si riflette nell'imbarazzo delle traduzioni."
Mantenendo il valore di <<verde>> che xJ.wgoç ha negli altri casi, dobbiamo
rilevare come l'autore voglia provocare, inducendo, data la straordinarietà
dell'attributo, a riflettere e a ricercare. E probabilmente il verde, proprio sulla
linea del verde erba, vuoi suggerire già, anche prima della presentazione della
morte (cf. 6,8b), la sensazione della caducità: <<ogni uomo è come l'erba» (Is
40,6)."' Il colore acquista così una funzione di stimolo a indagare e, nello stesso
tempo, suggerisce un contenuto.
Più spontanea - e ammessa senza discussione - è l'associazione di
<<rosso», nuggo; a quello che l'autore vuole esprimere al di là della semplice
sensazione visiva: la «qualità» che i due contesti - quello del secondo cavallo
6,4 e del drago 12,3 - rispettivamente suggeriscono è la crudeltà che non
risparmia la vita umana, il <<sanguinario» potremmo dire, anche se, nell'uso
molteplice che l'autore fa di alf.!a- 19 ricorrenze- mai si allude al colore."
<<Nero», f.!ÉÀaç, indica una negatività che solo il contesto specifica ulterior-
mente: il sole che diventa <<nero come sacco di crine» (6,12) appartiene al quadro
degli sconvolgimenti cosmici studiati più sopra. Anche il terzo cavallo <<nero»
(6,5) fa presagire la negatività che poi si realizzerà nel quadro dell'ingiustizia
sociale indicata, con tutta probabilità, dal cavaliere e dal suo atteggiamento.
Ricorrendo tutti e tre insieme i termini m!gtvo;, 1'tnw1ìl]ç, uax[vl'}tvoç
(9,17) ma solo sforzatamente componibili tra loro, vanno immaginati successi-
vamente, se non addirittura solo pensati: esprimono già la forza trascendente e

" «Selon Bailly, l'adjectif grec peut aussi bien signifier un veri clair, plìle, jaunlìtre, ou
meme un jaune piile, clair - et mème gris, terne, plìle - qu'un vert frais. Il n'est dane pas
étonnant qu'un eventail de traductions bigarrées se deploie à nos yeux: "vert" (Allo, Bonsirven);
"verdàtrc" (Férct, Loisy, Herrmann, Bible Jér et Maredsous, Segond); "pale" (Segond,
Crampon); "livide" (Darby, Bonnet·Schroeder, Biblc Ccnt., Cerfaux-Cambier); "b\eme" (Li\je);
"vcrt jaunc" (Gclin); "jaunatre" (vers. syn.); "jaune" (Stapfer); "vert olive" (Bartina esp.);
"cendros" (Camps en catalan; cou\eur de cendre). P. Claudel bat le record de J'originalité: "un
cheval pourri". Vietar Hugo nous propose m è me deux versions: "Pale, il a la mort sur le dos" (Le
Cheva\, "chansons des rues et des bois"); "et sur un cheva\ mort, la Mort etait montée" (Choix
entre dcux passants; "la LégenJe des siècles")!» (BaiirscH, La c/arté, pp. 125-126).
"' Anche al di fuori del sistema simbolico proprio dell'Apocalisse, il verde è un simbolo
cromatico a valore reversibile: può indicare la vita, la speranza, ma puq indicare anche il contrario,
quasi l'antiumanità (i marziani!). e divenire il colore della morte. E nota, a questo proposilo
nell'ambito della letteratura greca, l'espressione tipica di un frammento di Saffo:
... x).wQOtÉga ÒÈ rro[aç
f~~L, m'lvéxx~v ò'òì.[yw ' 1tLOfirTJç
(E. DtEHL, Anthologia Graeca, Saffo, 2.)
" Una derivazione diretta del rosso dal colore del sangue è infatti da escludere per la lingua
greca (rruggo;. itÙQLvoç da rrug «fuoco», e per la lingua ebraica 'dm rosso. è affine all'egiziano
ldmj, che indica il colore di una stoffa). Rimane un po' sul generico anche F. Lang: «L'originaria
relazione (in Zaccaria) del colore col punto cardinale è stata sostituita dall'allusione alla spada e
alla strage ·'rossa". Corrispondentemente anche il colore del grande drago color rosso-fuoco
(Apoc. 12,3) serve ad illustrarne il carattere bellicoso e omicida" (llUQQ<Ìç, in lWNT, coli. VI, 952;
tr. it., XL coli. 886-887). Il riferimento al sangue si può vedere nel fallo letterario che il colore di
ogni cavallo prepara quanto verrà esplicitato nella presentazione c neirazione dei cavalieri: il rosso
di 6,4a prepara lo spargimento di sangue della strage e della spada di 6,5b; il rosso di 12,3 prclude
alle stragi che seguiranno (cf. 13,7.15).

50
devitilizzazione del demoniaco, che poi emergerà più dettagliatamente dal con-
testo. Il colore che ricorre con la frequenza più rilevante è ÀEux6ç <<bianco>>.
La prima delle ricorrenze dà un'indicazione importante e suggerisce
subito una chiave interpretativa: riprendendo e variando D n 7,9 l'autore ci dice
che la testa e i capelli di Cristo sono «bianchi come lana bianca, come neve»
(1,14). Si parte da un termine visivo realistico: la luna, detta esplicitamente
bianca, non ha nulla di simbolico.
Lo stesso vale per la neve. Ma l'attribuzione del bianco all' <<anziano dei
giorni» già in Daniele comporta una simbolizzazione: esprime - almeno
globalmente - la trascendenza'"
Tale qualifica nell'Apocalisse è riferita al Cristo risorto che, in 1,18, si
presenterà esplicitamente come tale'' Il bianco indica, allora, la realtà a livello
divino, trascendente, propria di Cristo risorto. Questa equivalenza è conferma-
ta dall'uso dei Vangeli: il Cristo trasfigurato è rivestito di bianco~' e il bianco è il
contesto tipico della risurrezione (cf. Mt 28,3; Mc 16,5; Gv 20,12).
Le ricorrenze di ÀEUx6ç che seguono anzitutto nell'ambito del settenario
delle Lettere sottolineano un'associazione molto stretta col Cristo risorto che
sta parlando in prima persona: si tratta di camminare <<in vesti bianche» con lui
(f.IH' Éf.IOU 3,4). in modo simile (ou"twç: 3,5). C'è, insomma, una corrisponden-
za aderente tra il bianco degli abiti, di cui abbiamo parlato più sopra, e Cristo
risorto considerato personalmente. Il bianco appartiene a lui.
In questa prospettiva si comprende sia l'abbondanza sia la varietà delle
ricorrenze del termine nell'Apocalisse: si tratta delle implicazioni molteplici
della trascendenza tipica di Cristo risorto. Così la <<pietra bianca» è come la
base di risurrezione su cui emerge la nuova personalità (<<nome nuovo»)
partecipata da Cristo risorto (2,17). Gli anziani (4,4), i martiri (6,11), tutti i
salvati (7 ,9.13) partecipano alla situazione di Cristo risorto, anche se non si può

" Dn 7,9 •all'anziano dei giorni•- cioè a Dio, El, •padre degli anni»- vengono attribuiti
un <<vestito bianco come neve>) e dei <<capelli come di lana pura)): si ha una simbolizzazione
evidente, anche se non è del tutto chiaro il suo equivalente reale (purezza e luminosità celeste,
maturità: cf. M. DELcoR. Le Livre de Daniel. Paris, 1971. pp. 150-151). L'autore dell'Apocalisse
oltrepassa il modello di Daniele: accentua il bianco ( •<bianchi come lana bianca, come neve)>)
concentrando in una le due espressioni di Daniele e lo attribuisce solo ai capelli di Cristo. ((Anche
in Apoc. Ll4 non si intende l'età (o addirittura la vita eterna), tanto più che prima dei capelli è
nominato il capo (bianco anch'esso). Piuttosto, il colore bianco è "lo splendore di luce dell'essere
celeste. che dà un'idea della sublimità del mondo superiore'"; e la ripresa di questo tratto da Dan
7,9 mostra che per l'autore "Cristo è pari a Dio nell"essenza e nell'aspetto"• (W. MtcHAEL!S,
4ux6ç, in TWNT, IV, col. 253; tr. it. VI, col. 673).
" La qualifica di vivente (ò ~wv), attribuita a Cristo non solo lo mette al livello di Dio, il
vivente per eccellenza, ma, esplicitamente, accentua che questo livello è caratle.ristico della sua
situazione di risorto: si aggiunge infatti, ((c fui cadavere ed ecco sono vivente>) (xaì. tOoù ~Wv EÌI.!t).
"~ In tutte e tre le relazioni sinottkhe della trasfigurazione il bianco viene messo particolarmen-
1

te in risalto: gli abiti diventano ÀfUXÙ wç tÒ qJWç (Mt 17,2); mli.Bovta ÀEuxà À[av (Mc 9,3), 6
l~ano~Òç ui•wu ÀEUxòç r!;amg<'uttwv (Le 9,29). «Non v'è dubbio che in tal modo non viene fatta
un'affermazione semplicemente negativa, come se le vesti avessero perduto i loro colori ... La sua
trasfigurazione è un anticipo della sua escatologia» (MtcHAELtS, ÀEux6ç IV, 254; tr. it. 674-676).

51
parlare propriamente per loro di corpo risuscitato. Il «cavallo bianCO>> (6,2;
19, Il) ·esprimerà la forza messianica propria di Cristo risorto, che, presente e
attiva nella storia dell'uomo, si svolge con leggi e modalità tutte proprie. Gli
<<eserciti celesti, vestiti di bianco su cavalli bianchi>> (19,14) partecipano della
forza vittoriosa e irreversibile della risurrezione di Cristo. La «nube bianca» su
cui si trova il figlio dell"uomo (14,14) esprime la trascendenza tipica, rispetto
alla terra, e all'umanità che stanno ancora maturando, di Cristo personalmente
già risorto. Il «trono grande bianCO>> (20,11) indica la qualità di giudice, propria
anch'essa di Cristo risorto.
Le equivalenze realistiche e qualitative che abbiamo analizzato in dettaglio,
sia per il bianco come per gli altri colorì. non devono far dimenticare un fatto
fondamentale. Anche quando il colore diventa simbolo, il nuovo significato che
esso esprime gradualmente rimane sempre sulla linea del colore. È come un
colore sovraccarico che deve essere guardato e riguardato. Ciò che il simbolismo
cromatico dice di più rispetto alla semplice sensazione visuale deve essere in
qualche modo visto, avvertito e percepito quasi a livello di impressione e di
sensibilità, con quella presa immediata che hanno i colori reali."

Il simbolismo aritmetico

Tipico di tutta la letteratura apocalittica il simbolismo riguardante i


numeri trova anche nell'Apocalisse uno spazio relativamente ampio."
Lo spostamento di significato che è tipico di questa costante simbolica
può essere identificato nel fatto che la quantità, di per sé neutra, espressa dai
numeri, assume mediante scelte artificiose o alterazioni, un valore che è
qualitativo.
La più spinta di queste alterazioni porta il numero a spogliarsi completa-
mente del valore quantitativo per assumerne un altro tutto diverso. È l'artificio
della gematria: le componenti materiali del numero espresse in lettere danno
come equivalente un nome proprio. L'esempio più esplicito- probabilmente
l'unico - che troviamo nell'Apocalisse è il 666 di 13,18." Ci sono poi le
iperboli numeriche, nell'Apocalisse che, come in altri tipi di letteratura
vogliono solo suggerire l'idea di una dimensione al di là dell'immaginato. È ciò

" È interessante rilevare, in continuità con questa presa sull'emotività, come i colori hanno
un ruolo nell'esperienza mistica cristi€tna: <~D'une manière générale, la couleur se réfère à la vie
affcctive. Appliquées à la dcscriptiun de la vie spirituclle. les couleurs signifient l'intensité et la
liberation de la vie affective» (BERNARD, Théologie, p. 261).
" Cf. 0. R0Hr.E. Ò.QLii~Éw, in TWNT, l, 461-464; K.H. RENGSTOR>", btta, ivi, Il, 623-632. F.
HAUCK, OÉxa, i vi, II, 35-36; K.H. RENGSTORF, Oworxa, i vi, II, 323-325 (la parte riguardante l'Apoca-
lisse).
D La bibliografia copiosissima riguardante questo versetto ne sottolinea la difficoltà.
L'equivalente più diffuso è quello di Nerone Cesare che si ottiene sommando insieme i valori
numerici delle lettere ebraiche che lo esprimono (NR WN QSR: n ~ 50 + r ~ 200 + w ~ 6 + n ~ 50
+ q ~ 100 + s ~ 60 + r ~ 200: totale 666). Ma ha importanza, oltre al risultato che si ottiene, il
processo mentale coinvolgente con cui si ottiene.

52
che si verifica a proposito degli angeli che glorificano l'agnello: «il loro numero
era "miri adi di miriadi"» (5, 11 ). Si verifica anche a proposito della cavalleria
infernale: «il loro numero era il doppio di miriadi di miriadi>> (9,16).
Ma passiamo ai casi più tipici nell'intento non di esaurirne l'analisi, ma
più semplicemente di chiarirne il meccanismo. Il numero 7 già nell'ambiente
veterotestamentario indica la completezza, la totalità: è un dato che l'autore
dell'Apocalisse accoglie dal suo ambiente culturale e considera acquisito.
L'impronta qualitativa di significato non deriva da lui. È sua, invece,
l'applicazione che ne fa sia a livello esplicito- 7 chiese, i 7 sigilli, le 7 trombe,
le 7 coppe, ecc. - sia a livello di strutturazione letteraria, nelle enumerazioni
di sette elementi. In tutti e due i casi, l'autore ci vuole indicare un tipo di
totalità che poi il contesto determina e chiarisce.
Contrapposta a sette c'è la metà di sette, tre e mezzo. Si ha una totalità
dimezzata, una parzialità. Anche qui sarà il contesto a indicare un contenuto
preciso: si avrà così una parzialità di durata, una parzialità di intensità, ecc. I 42
mesi in cui sarà calpestata la «città santa>> (11 ,2) indicano, ad esempio, la
durata limitata, l'emergenza di quella situazione. Il fatto che sia espressa in
mesi invece che anni accentua la durata in senso distributivo: si sentirà il peso
di questa situazione: il tempo sembrerà lunghissimo pur nella consapevolezza
che si tratta di un'emergenza.
La totalità dimezzata sulla linea del tempo- 3 anni e mezzo- è distribuita
anche in giorni. Questo procedimento artificioso sottolinea, puntualizzandola
fino al quotidiano, le caratteristiche di una situazione che, comunque. è pensata
come fondamentalmente transitoria. Così, i due testimoni profetizzando per
<<1260 giorni>> (11,3), l'equivalente di tre anni e mezzo, assicurano quotidiana-
mente la loro presenza e attività nell'emergenza che la chiesa sta vivendo. La
donna è nutrita nel deserto sempre «per 1260 giorni>> (12.6): il numero indica
l'assistenza quotidiana da parte di Dio, come accadeva con la manna nell'AT,
durante il periodo della contrapposizione alle forze ostili.
La stessa idea di una totalità diventata frammentarietà viene espressa
mediante le frazioni: la indicano ad esempio TÒ TQ[mv «la terza parte>> che
ricorre con l 'insistenza di un motivo letterario nella sezione delle trombe (cf.
8,7-12), tò tÉtaQTOV «la quarta parte» (6,8).
Mentre il numero 7 indica tipi diversi di totalità ed è solo il contesto a
precisare, il numero 1000 esprime, come suggeriscono l'altezza della cifra e
alcune documentazioni del suo uso," la totalità propria del livello di Dio e
dell'azione di Cristo. Il tempo, neutro allo stato di pura successione cronologi-
ca, diventa sacro se vi si considera la presenza e l'azione di Cristo: si avranno i
1000 anni (cf. 20,1-6). Lo stesso tempo, identico come durata cronologica, sarà
qualificato «tempo breve>>- f!LKQÒV x_g6vov: 6,11; 20,3- se vi si considera
presente l'azione antitetica a Cristo delle forze storiche che gli sono ostili.

" Cf. E. LoHSE, XLÀLttç. X{ÀLOL, in TWNT. IX, coli. 458-460.

53
Più difficile è stabilire l'equivalente realistico di altre alterazioni numeri-
che. Il numero 10 sembra indicare - come suggerisce 2,10: <<avrete una
tribolazione di 10 giorni>> - una limitatezza nonostante l'apparenza del
contrario." Lo stesso si può dire di 5 (cf. 9,5.10). Il numero 12 non ha riscontri
persuasivi nella letteratura apocalittica e sembra una derivazione diretta
dell'autore dalle 12 tribù di Israele e dai 12 apostoli, implicando sempre,
eccetto quando sembra usato in senso realistico (cf. 22,2 indicante i dodici mesi
dell'anno), o le une o gli altri o tutti e due (cf. 7,5-8; 12,1; 21,12-21).
Tipica dell'Apocalisse- e qui appare più chiaro il processo creativo nel
quale l'autore vuoi coinvolgere il lettore - è la combinazione dei numeri
mediante operazioni aritmetiche sempre artificiose, ma relativamente semplici
in se stesse. L'esempio più interessante è la cifra 144.000 risultante dalla
moltiplicazione 12x 12x 1000. Secondo le indicazioni date sopra, si avrebbe una
moltiplicazione ideale tra le 12 tribù di Israele e i 12 apostoli dell'agnello:
Antico c Nuovo Testamento si compenetrerebbero così al punto da formare un
unico popolo di Dio, ma che risulta maggiorando in una unità superiore e
dinamica i valori presenti nel periodo dell'Antico e del Nuovo Testamento. La
successiva moltiplicazione per 1000 rapporta questo popolo di Dio - ma non
inteso in tutta la sua estensione"- ai 1000 anni propri della presenza attiva di
Dio e di Cristo nella storia dell'uomo."
L'esemplificazione potrebbe continuare. Ma da questo che abbiamo visto
appare, con chiarezza sufficiente, il tipo di costante simbolica intesa ed
espressa dall'autore mediante il simbolismo aritmetico. Le variazioni, le
alterazioni della quantità per indicare delle qualità sono senza dubbio
artificiose. Ma l'autore riesce ad esprimere anche qui un suo tipo di creatività.
La pressione verso un meglio e un di più si fa sentire e incide proprio sul
rapporto tra l'autore e queste dimensioni precise. Il nuovo, il di più che egli si aspetta
e in base al quale accetta c crea le variazioni di significato proprie del simbolismo
aritmetico. hanno per lui l'evidenza indiscutibile della chiarezza aritmetica.

Conclusione sulle costanti simboliche

Possiamo, dando uno sguardo retrospettivo al cammino finora percorso,


raccogliere in sintesi alcune osservazioni. L'intento di verificare le costanti

5
~ In questo senso ÙÉKa ha un suo simbolismo, contrariamente a quanto affermato da F.
Hauck (v. nota 53) e può essere applicato anche al drago di 12,3: le «dieci corna» sarebbero una
potenza limitata nonostante l'apparenza minacciosa di forza travolgente, suggerita dal simbolismo
teriomorfo usato.
'' È evidente, infatti, la contrapposizione tra i 144.000 di cui si ha il numero (fp<auoa tètv
OQtfl~6v: 7,4) c la moltitudine copiosa senza numero possibile (ov Ò.QL\~~i)om oÙOEiç tMv<no: 7,9)
che segue immediatamente.
" Ciò risulta chiaro e applicabile per 14,1-5; meno chiaro per 7,1-8, dove avremmo un altro
tipo di operazione: la somma di tutte e dodici le tribù contenente ciascuna 12.000 x 12. Forse si può
dire che il risultato 12.lKJO di ciascuna tribù si ha mediante una moltiplicazione di 12 x 1000, con
un'allusione quindi ai 12 apostoli e al 1000 del tempo di Dio e di Cristo.

54
secondo le quali si esprime la creatività dell'autore che determina il simbolo e
di indicarne l'equivalente realistico ci ha messo in contatto con un orizzonte
vastissimo. Dal cosmo, agli animali, all'uomo nel suo quadro antropologico
ricchissimo, ai colori, ai numeri: ogni aspetto della realtà sembra interessare
sotto il profilo di una simbolizzazione.
C'è, a monte, la percezione acuta dello sviluppo creativo della realtà sotto il
dominio di Dio che sta facendo nuove tutte le cose (ioou, xatvà 3totÙJ rrétvw: 21 ,5).
Abbiamo percorso e ripercorso gran parte del testo dell'Apocalisse. Ciò
ci dice che la vastità dell'orizzonte simbolico dell'Apocalisse è direttamente
proporzionale all'ampiezza della presenza del simbolo. Lo ritroviamo quasi a
ogni parola, come aveva intuito s. Girolamo: <<Tot habet sacramenta quot
verba: parum dixi pro merito voluminis»."

3. LA STRUTI1JRAZIONE DEL SIMBOLO

La creatività dell'autore dell'Apocalisse non si limita agli spostamenti di


significato all'interno di termini o espressioni che abbiamo rilevato. Come tutti
i grandi autori che hanno privilegiato l'espressione simbolica- basti pensare a
Dante, Kafka, Goethe, ecc. - l'autore dell'Apocalisse organizza il suo
materiale simbolico in espressioni complesse. Ci chiediamo allora, come passo
ulteriore della nostra ricerca, se esistano, e quali siano, delle forme determina-
bili tipiche, secondo le quali l'autore si esprime."
L'autore sa organizzare i suoi simboli, spesso di origine e di significato
diversi, in espressioni che hanno una loro coerenza letteraria e fantastica. Una
volta preso atto del valore dei simboli usati, basta allora coinvolgersi nella loro
concatenazione per cogliere, senza soluzioni di continuità, il messaggio che
l'autore vuoi comunicare. Quando, ad esempio, presenta, nella serie dei sigilli,
i quattro cavalli con i rispettivi cavalieri (cf. 6,1-8), se si ha prima una
conoscenza chiara del simbolismo teriomorfo, antropologico e cromatico
usato, basterà seguire il testo passo passo per percepire che ci sono, nella
storia, le forze negative della violenza, dell'ingiustizia e della morte; che esse
imperversano con delle modalità e delle leggi le quali sfuggono alla verificabili-

" Episl. LIII,B. •Sacramentum• ha, al tempo di Girolamo, ancora il valore di significato
misterioso, al di là di quello che appare a prima vista.
" Quando parliamo di strutturazione del materiale simbolico, ci riferiamo alla strutturazio-
ne risultante, quella che può essere percepita dal gruppo che ascolta, reagendo e interpretando: è
la direzione indicata esplicitamente dall'autore stesso (cf. 1,3 e nota 33). Il problema però può
essere considerato e lo è stato di fatto come molte opere ci documentano - cf. ad esempio,
FoF.RSTER, Bemerkungen, p. 235, con la bibliografia indicata- anche dal punto di vista personale
(Erlebnis) dell'autore. Si è parlato della possibilità di questo tipo di visioni. della loro autenticità,
del tipo di esperienza religiosa che suppongono delle esigenze interiori che spingono l'autore a
formulare i suoi simboli c a scegliere l'una o l'altra modalità, a superare in vari modi la temporalità,
in quella che Bernard definisce «l'amplitude illimitée du proccssus symbolisant» (Théologie, p.
107; cf. anche pp. 107-111).

55
tà umana e, in certo senso, la trascendono; ma che, comunque sono sotto il
controllo di Dio. Accanto a queste forze negative c'è quella positiva, il
cavaliere del cavallo bianco, e il suo svolgimento letterario segue parallelo
quello delle altre.
In 14,14-20 l'autore parla del figlio dell'uomo che, insieme agli angeli, racco-
glie la messe e l'uva della vendemmia. Entrano in gioco diverse categorie di
simbolo che abbiamo analizzato: il simbolismo cosmico e cromatico della nube
bianca, il simbolismo antropologico della mietitura, della vendemmia e addirittu-
ra del culto. Ma tutto è amalgamato in un racconto continuato, che si svolge
linearmente. Il lettore e chi ascolta, già a conoscenza delle categorie simboliche
usate dall'autore, percepisce senza difficoltà la portata del messaggio: in una
situazione di trascendenza, ma sempre in relazione con la storia degli uomini,
Cristo risorto ne segue Io sviluppo, fino alla conclusione definitiva.
L'organizzazione letteraria dei simboli, qui ancora abbastanza semplice,
si fa talvolta più complessa e raffinata, pur mantenendo la caratteristica di
fondo di una strutturazione continuamente coerente. È il caso del c .. 18: il
simbolismo antropologico di Babilonia-città viene elaborato, con tutta proba-
bilità, nella forma letteraria di un dramma liturgico. È sufficiente, anche qui,
una conoscenza antecedente del valore del simbolismo antropologico dell' Apo-
calisse riferito alla convivenza, per coinvolgersi spontaneamente nel piccolo
dramma e cogliere il quadro teologico impressionante che l'autore presenta
della città consumistica, radicalmente secolarizzata.
Esiste, quindi, nell'Apocalisse, non meno di quanto possiamo rilevare in
altri autori, la capacità di dare ai simboli un'espressione concatenata, una
struttura continuata e coerente.
Ma non sempre è così. Nella maggioranza dei casi, l'impegno creativo
induce l'autore non solo ad esprimere il simbolo, cambiando il significato reale,
ma anche a rendere la presentazione e la struttura intermittente, con strappi
evidenti nella continuità fantastica.
All'inizio del cosiddetto settenario delle Lettere- 1,12-20- si ha una
presentazione di Cristo risorto. L'autore sembra seguire uno schema noto
nell'A T e detto dei <<canti di descrizione»: vengono descritte successivamente
le varie parti del corpo umano. Ciò suggerisce una traccia precisa, che ha in se
stessa una sua coerenza continuata.
Ma dopo si ha una sorpresa. Il lettore-ascoltatore non riesce a interpreta-
re con un ritmo costante e continuato. I vari simboli presentati sembrano
obbligare, non meno di quanto lo facciano altrove certe asperità grammaticali
(cf. 1,4-8, ad esempio), a un ritmo spezzato: ci sono come degli spazi vuoti tra
un'espressione simbolica e l'altra, e il lettore-ascoltatore è obbligato a riempirli
esplicitando al massimo la sua interpretazione prima di andare avanti.
Sarà allora possibile <<vedere la voce>> (l, 12a) se, con un istante di
riflessione, si esplicherà che si tratta di una visione intellettuale, più pensata
che vista realmente. La posizione indeterminata <<in mezzo ai candelabri d'oro»
(l, 13a) si supera e chiarisce mediante un supplemento che il lettore-ascoltatore

56
è stimolato e quasi obbligato ad esprimere: dovrà disporre mentalmente i sette
candelabri come in cerchio e il figlio dell'uomo ne occuperà il centro; con
questo sforzo di integrazione e di focalizzazione, si è già sulla via di
un 'interpretazione che, tenendo conto del significato dei simboli usati, emerge
con tutta chiarezza: il Cristo risorto sta al centro dell'insieme della chiesa che
svolge un'azione liturgica.
Dopo questa pausa integrativa si potrà continuare la lettura del testo,
senza intoppi, decifrando pacatamente i vari elementi simbolici che l'autore ci
propone, uno dopo l'altro: la veste, il bianco dei capelli, gli occhi, i piedi, la
voce (l ,14-15). Ci dicono che Cristo risorto esercita una funzione sacerdotale,
che è al livello di trascendenza proprio di Dio, che ha la capacità di purificare
caratteristica del simbolismo antropomorfico del fuoco, che la sua voce ha il
timbro di quella di Dio.
Ma la continuità interpretativa viene di nuovo interrotta, al v. 16, con
l'espressione «avente sette stelle nella mano>>. Questa miscela di simbolismo
cosmico, aritmetico e antropologico appare eterogenea e non viene accolta
subito nella mente. Occorre una nuova pausa. I singoli elementi devono essere
elaborati nelle loro equivalenze, senza voler costruire un quadro visivo di
insieme sforzato o addirittura impossibile. Si ha invece, come conclusione, un
quadro di carattere intellettuale, teologico: il Cristo risorto garantisce con la
sua energia («tiene nella destra>>) tutta (<<Sette>>) quella che è la dimensione
trascendente della chiesa («Stelle>>).
Lo stesso vale per la «spada affilata a due tagli che esce in continuazione dalla
sua bocca>>: la difficoltà di una rappresentazione fantastica immediata spinge a
un "elaborazione intellettuale dei singoli elementi simbolici: Cristo indirizza conti-
nuamente la sua parola («dalla sua bocca esce in continuazione>>) e questa parola
ha una capacità di presa tutta particolare («una spada affilata a due tagli>>).
La frase chè segue è, di nuovo, in discontinuità: la faccia di Cristo che
<<risplende come il sole in tutta la sua potenza>> non è facilmente componibile con la
spada che esce dalla bocca. Si ha una frattura con quanto precede: l'immagine
della spada che esce dalla bocca deve essere come cancellata, lasciando la fantasia
sgombra per raccogliere la nuova immagine in tutta la sua portata.
È questo il modo più comune con cui l'autore costruisce i suoi simboli.
Esempi chiari di questi livelli successivi si incontrano specialmente nella
seconda parte del libro."' Si ha un accumulo di simboli tutti dotati di una grande
capacità evocativa, ma che potremmo chiamare allo stato grezzo. Ciascuno di
essi deve essere decodificato e elaborato. Tra l'uno e l'altro, data la

110
La presentazione degli ç~a. ad esempio. si sposta successivamente secondo vari livelli,
per poi, alla fine, ritornare al primo: pieni di occhi- i singoli ~0a- le sci ali -pieni di occhi
(4,6-Ra). Lo stesso vale per la presentazione dell'òQv[ov in 5,6: in piedi- come ucciso- avente
sette corna - avente sette occhi: l'autore stesso indica la necessità di riempire, interpretando, il
vuoto tra i vari livelli ed esplicita egli stesso il significato degli occhi <(che sono- o'l El m v - i sette
spiriti di Dio inviati su tutta la terra». La yuVlj di 12,1·6 è presentata anch'essa a tre livelli
successivi: livello celeste - parto con tutte le doglie - fuga nel deserto, ecc. ecc.

57
discontinuità fantastica che presentano, ci sono degli spazi vuoti: si richiede
l'interpretazione che media e li riempie. Si richiede anche che, non appena un
elemento simbolico è stato interpretato, sia come messo in disparte, lasciando
nella mente uno spazio disponibile che accolga l'altro materiale che verrà.
C'è un terzo tipo di strutturazione del materiale simbolico.
Mentre, nei casi che abbiamo indicati, una pausa riflessiva elaborando e
interpretando il materiale proprio al singolo elemento simbolico permette di
superare la discontinuità, ci sono dei casi in cui il simbolo diventa ridondante.
Quando, ad esempio, in 14,19-20 si ha prima l'uva gettata nel tino grande
dell"ira di Dio e poi ne esce del sangue, la continuità fantastica è interrotta: tra
il vino. tino dell'ira e sangue ci sono degli spazi vuoti. L'interpretazione li
colma: il simbolismo antropologico dell'uva si riferisce alla maturazione del
male dell'umanità; quello sempre squisitamente antropologico del <<tino grande
dell'ira di Dio» esprime il coinvolgimento personale di Dio nella distruzione
del male; il sangue esprime sempre sulla linea di un simbolismo antropologico
l'annientamento di tutto il male, dei nemici.
Ma i singoli elementi simbolici che seguono immediatamente sono refrattari
a un'interpretazione: <<ne uscì sangue dal tino fino all'altezza dei morsi dei cavalli
per uno spazio di 1600 stadi» (14,20b). Né i morsi, né i cavalli, né i 1600 stadi
presentano un significato plausibile: l'autore allora, ha voluto, mediante questa
ridondanza, solo accentuare quanto ha detto prima, dando un'impressione della
potenza spaventosa di Dio, come è espressa dalla quantità del sangue.
Lo stesso effetto- un'impressione stupefacente della potenza, e, addirittu-
ra, dell'illogicità del demoniaco, dell'assurdo intrinseco del male - si ottiene
quando, mediante il simbolismo aritmetico combinato con quello teriomorfo e
antropologico si dice, in 9,16: <<e il numero degli eserciti di cavalleria era di miri adi
di miriadi: udii il loro numero». La ridondanza iperbolica del numero crea solo
un'impressione, non esprime un significato.
E quando- per citare un ultimo esempio- nel simbolismo antropologico
suggestivo della Gerusalemme celeste, tutti e dodici i fondamenti della città sono
costruiti con pietre preziose (21,19-20), la loro indicazione dettagliata non ha un
significato corrispondente: non c'è un simbolismo proprio del diaspro, dello zaffi-
ro, del calcedonio, dello smeraldo, ecc. ma si ha solo un'accentuazione ripetuta
ben dodici volte della preziosità che indica il <<Valore>> di Dio che comunica la sua
gloria alla città. La ridondanza, anche qui, moltiplica il significato di fondo.
Riassumendo: il simbolo nell'Apocalisse appare organizzato diversamen-
te secondo il rapporto che ha con la sua decodificazione. Questa si sviluppa
talvolta in parallelo: avremo il primo caso, una struttura coerente e continua.
Quando invece c'è un eccesso dell'interpretazione sull'espressione simbolica,
abbiamo il secondo caso: la struttura è discontinua, a vari livelli successivi.
Troviamo, nella terza serie esaminata, un'eccesso del simbolo sulla sua
interpretazione. L'interpretazione rimane ferma a un particolare che viene
accentuato, quasi moltiplicato per se stesso dal di più che si trova nel simbolo:
avremo una struttura ridondante.

58
4. IL CONTRJBUTO DEL SOGGETTO INTERPRETANTE

Il simbolo contiene come un'istanza che preme dal di dentro verso


un'esplicitazione, tende ad essere interpretato. Se si arrestasse all'espressione
grezza, il simbolo rimarrebbe inerte, come una musica che si limitasse ad essere
scritta senza venire eseguita.
Questa tendenza, propria di ogni· simbolo, verso l'interpretazione,
nell'Apocalisse appare chiaramente esplicita. L'autore talvolta aggiunge egli
stesso una linea interpretativa al simbolismo che usa. 61 Più spesso sembra
stimolare e quasi provocare chi legge od ascolta mediante indicazioni,
suggerimenti, richiami, proponendo un avvio di interpretazione, puntualizzan-
do delle conclusioni da raggiungere. Vuole a tutti i costi che il lettore-
ascoltatore sia coinvolto attivamente, completando quel processo di creatività
che ha indotto l'autore a formulare il simbolo. Si tratta di un aspetto
fondamentale. Il simbolo dell'Apocalisse ha un dinamismo innato che spinge a
percepirlo adeguatamente, a tutta apertura, a elaborarne la decodificazione e a
portarlo poi, a un contatto diretto con la vita vissuta. Sbocca nell'ermeneutica,
che si attua nella <<sapienza>>.

5. CONCLUSIONE

Ci occuperemo di questi aspetti dettagliatamente nei capitoli che segui-


ranno. Intanto. dando uno sguardo allungo cammino percorso nello studio del
simbolo, possiamo esplicitare, concludendo, alcune constatazioni.
Lo spazio occupato dal simbolo- è la prima osservazione che si impone
- tra gli aspetti puramente letterari e il messaggio propriamente teologico è
apparso sempre più ampio: la quantità impressionante delle costanti simboli-
che con cui l'autore si esprime, la capacità che ha di organizzarle in strutture
multiple, la forza d'urto ed evocativa che sa loro imprimere, l'attenzione
insistente alla vita vissuta, non lasciano mai di sorprendere. Una mancata
valorizzazione del simbolo in tutte queste sue implicazioni sarebbe una lacuna
che potrebbe riuscire fatale per la comprensione dell'Apocalisse.
Anche gli aspetti strettamente letterari- è la seconda osservazione- sono
tutti influenzati e in maniera determinante dal simbolo. La spinta di creatività che,
come abbiamo visto, porta l'autore a formulare il simbolo si riflette sulla lingua,
addirittura sulla grammatica. L'autore non esita a modificarla anche con altera-
zioni ardite, che giungono al limite dell'esprimibile.

61
Dopo aver presentato, ad esempio, le sette lampade davanti al trono delle quali si dice:
«questi sono (a dmv) i sette spiriti di Dio» (4,5). l sette occhi dell'àQv[ov sono interpretati
esplicitamente come «i sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra» (5,6). La città di 11,8 «Che è
chiamata (TJn; Xa.ÀEitaL) ... Sodoma e Egitto>•; del drago si dice che è «il serpente antico, colui che
è detto (ò ><aÀ01JjlEVOç) Diavolo e Satana ... » (12.9); il vestito della sposa spiegato come tà
òJxmwjlata twv aylwv (19,8), ecc.

59
La struttura letteraria con il suo movimento lineare in avanti, fino a una
conclusione risolutiva, tipica della seconda parte" corrisponde alla presa di
coscienza del dinamismo della creazione in atto e che si sviluppa verso il nuovo.
Tale dinamismo sta alla base del simbolismo cosmico, di quello degli
sconvolgimenti e di molti aspetti di quello antropologico. Uno degli indizi che
permettono di identificare sia la struttura nella sua articolazione in cinque
sezioni- sempre della seconda parte- sia lo sviluppo in crescendo, è proprio
un'espressione che si riferisce al simbolismo degli sconvolgimenti. 63
Lo stile, il ritmo del discorso, alcune forme letterarie specifiche aiutano a
percepire il simbolo con quel coinvolgimento pieno della persona che esso
esige per essere compreso. Basti pensare al movimento letterario che l'autore
sa imprimere, ad esempio, agli sconvolgimenti cosmici e alla reazione umana
conseguente di 6,12-17 o alla descrizione della Gerusalemme celeste, ai
dialoghi liturgici, alle dossologie, alle drammatizzazioni.
Ma il simbolismo dell'Apocalisse determina soprattutto il suo tipo di
teologia. La teologia dell'Apocalisse è esprimibile - molti lavori eccellenti lo
hanno dimostrato- in formulazioni concettuali. Si è indagato in questo senso
e con successo sulla cristologia, sulla concezione di Dio, dello Spirito, della
chiesa, degli angeli, del demoniaco.
Ma queste prospettive strettamente concettuali sono un'astrazione, sia
pure legittima. Lo specifico dell'Apocalisse consiste nel fatto che le sue
concezioni teologiche sono state condensate creativamente nel simbolo da
decodificare e applicare alla vita.
Proprio perché contenute nel simbolo, emergono nella loro fisionomia
genuina quando e mentre il simbolo viene interpretato. E siccome nell'inter-
pretazione del simbolo, come abbiamo più volte rilevato, è impegnato
indivisibilmente tutto l'uomo con la sua intelligenza, emotività, capacità di
scegliere e decidere, con una creatività che lo sintonizza a quella dell'autore e
con tutto il peso della concretezza della storia, la teologia specifica dell' Apoca-
lisse sarà quella che prenderà corpo nel soggetto umano decodificante e ne
recherà l'impronta. Sarà, quindi, una teologia che tenderà a situarsi armonica-
mente nella personalità del soggetto e avrà quella completezza organica, quel
dinamismo e quella duttilità, quella spinta creativa, quella capacità di aderenze
che ne permette un'applicazione adeguata alla storia.
Abbiamo sottolineato più volte la presenza e l'importanza di un lettore e
di un gruppo di ascolto protagonista dell'esperienza dell'Apocalisse:" il lettore
col gruppo sono di fatto il soggetto decodificante e sono situati esplicitamente

62
Cf. VANNI, La strutrura, pp. 206-235.
63
Si tratta dell'espressione ÒcrrQa7tal xal q>wval xaì. ~Qovral. Ricorre in questa forma in 4,5; in
8,5 si aggiunge orwfi6ç; in Il, 19 si aggiunge ulteriormente x6.).n~a !'EY<ÌÀT), finalmente in 16,18-21
troviamo tutti gli elementi sviluppati fino al massimo. Cf. VAN-;I, La struttura, pp. 141-148.
"' Cf. nota 33.

60
nell'ambiente della liturgia. Ne segue un'indicazione importante: la liturgia
diventa il luogo ideale dove si interpreta il simbolo e dove emerge la teologia
tipica dell'Apocalisse.
Un'ultima osservazione: il simbolo nell'Apocalisse, confrontato con un
linguaggio realistico, presenta una frangia di indeterminatezza. Ci sarà sempre
qualche cosa di nuovo, un di più che aggiungerà il soggetto interpretante. La
storia dell'esegesi ci mostra quanto sia ampia, varia e anche contraddittoria in
molti dettagli la gamma interpretativa dell'Apocalisse. Si è percepito il
dinamismo del simbolo, ma - ed è stato questo il limite - la spinta creativa
che esso contiene e comunica non si è sviluppata sempre nella linea che il
simbolo stesso esaminato più da vicino avrebbe indicato. Ma proprio una
determinatezza rigida sarebbe limitante: lo sviluppo da parte del soggetto
proprio per quel nuovo e quel di più che richiede e che suscita, permette al
simbolo di avere un'aderenza continuata alle situazioni sempre nuove della
storia.
Proprio in forza della freschezza perenne del simbolo l'Apocalisse sarà
sempre attuale e riuscirà a mettere in contatto con la molteplicità della vita la
ricchezza della sua teologia.

61
capitolo III

Dal simbolismo alla vita:


ermeneutica e riflessione sapienziale

l. INTRODUZIONE

Il problema di una riflessione sapienziale nell'Apocalisse ci viene posto da


un'allusione chiara: troviamo in Ap 13,18: <<Qui c'è la sapienza (~ ampla): chi
ha mente (6 EXWV voiiv) calcoli la cifra del mostro>>. La sapienza è vista in
rapporto con un'attività mentale. Questo rapporto appare ancora più esplicito
in A p 17,9: «La mente che ha sapienza (6 voiiç 6 EXWV ao<plav)».'
Ci chiediamo, allora, che cosa significa nell'Apocalisse «mente che ha
sapienza», qual è il rapporto tra sapienza e attività mentale. In termini più
generali: esige l'Apocalisse, come questi testi espliciti fanno supporre, una
riflessione sapienziale? Quale ne è il senso e la portata~ Può addirittura, questa
riflessione sapienziale, essere generalizzata e diventare atteggiamento erme-
neutico permanente?

2. LA RIFLESSIONE SAPIENZIALE
NELLA PRIMA PARTE DELL'APOCALISSE (1 ,4--3,22)

L'ascolto dello Spirito che parla alle chiese

Ci sono, nella prima parte dell'Apocalisse, due elementi sapienziali che


meritano la nostra attenzione.
Anzitutto la frase: <<Chi ha orecchio, ascolti ciò che lo Spirito dice alle
chiese» (6 EXWV oùç àxouoérrw 1:l tò JtVEUIJ.a ÀÉyEL miç ÉXXÀT]almç).
È un 'espressione di carattere sapienziale. L'orecchio, nell'uso dell'Antico
Testamento, è una parte del corpo umano, ma non propriamente, come nella

1
Cf. per la trattazione specifica di questo tema, segnatamente per l'esegesi di Ap 17,9 e la
raccolta del materiale che lo riguarda, F. PADILLA, «Aqul està la mente que tiene sabidurla• (Ap
/7,9a). Nawrale:a y juncion de la reflexion .l'apiencial en el Apocalipsi<, Roma 1982. Ci riferiamo,
qui e in seguito, quando parliamo delle varie parti e sezioni dell'Apocalisse, alla struttura letteraria
proposta in VANNI, La strurtura, (cf. p. 249).

63
terminologia greca più precisa, l'organo dell'udito. Osserva J. Horst: <<l'organo
che registra i discorsi o i comandi non è il cervello, come per noi, ma l'orecchio.
Esso è la sede dell'intelletto>>.' E G. Liedke: <<Al disopra dell'ascolto, 'ozen,
soprattutto nella sapienza, è l'organo della conoscenza e della comprensione
(Gb 12,11; 13,1; 34,3; Pro 2,2; 5,13; 18,15; 22,17; 23,12)».'
L' <<orecchio>> è come lo strumento mediante il quale ci si appropria il
contenuto sapienziale; <<prestare "orecchio">> è l'applicazione alacre alla
percezione. È, simultaneamente, stare attenti, capire, assimilare, volere ciò
che la sapienza insegna.
L'uso veterotestamentario di orecchio- ascolto nel senso di comprensione
-viene determinato ulteriormente da un'espressione sinottica che ricorre, con
leggere variazioni, in Mc 4,9; M t 11,15; 13,43; Le 8,8: <<Chi ha orecchi per ascolta-
re, ascolti>>.' Siamo nel contesto delle parabole. L'espressione, definita da M.
Dibelius una Weckformel, <<formula di risveglio»' ha una chiara funzione di stimo-
lo. Occorre un ascolto attivo c intelligente: le parabole devono essere interpretate
e ciò richiede uno sforzo applicativo, che non può essere tralasciato. Altrimenti
l'insegnamento in parabole, destinato di per sé a facilitare la comprensione, riesce
ancora più oscuro di un insegnamento fatto in linguaggio realistico. Chi ascolta
viene stimolato a fare appello alle sue energie intellettuali per decodificare la
parabola: <<chi ha orecchi, ascolti>> potrebbe essere parafrasata: <<chi ha intelligen-
za, capisca, si sforzi di capire>>. <<Ascoltare>>, <<orecchi», indicano quel capire
specifico che consiste nell'interpretazione del linguaggio della parabola.
Veniamo all'Apocalisse: la frase: 6 Exwv oùç àxouoénw ti tò 1tVEÙi-W
ÀÉYEL taiç ÈXXÀT]oimç ricorre sette volte (2,7.11.17.29; 3,6.13.22), senza
variazioni, nello schema letterario delle singole lettere e costituisce una
formula parenetica fissa. Tutto questo sottolinea l'importanza che essa assume
agli occhi dell'autore dell'Apocalisse. Ma qual è il suo significato?
Si prende atto del fatto che lo Spirito di Cristo rivolge in continuità un suo
messaggio - <<parla», ÀÉyEL presente continuativo' - alle chiese in generale
('raiç ÈXXÀT]oimç), e non solo alla chiesa a cui è rivolta la singola lettera. 7
Il messaggio dello Spirito non è evidente a prima vista, è come espresso in
codice. Lo potrà comprendere solo chi ha la capacità di interpretare, di

2
In GLNT, VIII, coli. 1527-1528.
' In THAT, l, coli. 97.
• L'espressione ricorre così in Mc 4,9; Mt 11,15; 13,43; in Le 8,8 troviamo la forma
condizionale: <<SC qualcuno ha orecchi per ascoltare, ascolti».
' Cf. M. DIBEI.It:S, Die Formgeschichte de.< Evangeliums, Ttibingen '1961 (ristampa della 3•
edizione, curata da G. Bornkamm, del 1959), p. 248.
'' Cf. A. BI.ASS-A. DEBKUNNEK-F. REHKOPF, Grammatik, des Neutestamentlichen Griechisch,
Gòttingen "1975, n. 318,2: «die durati ve (Aktionsart) ... im Prasensstamm: di e llandlung ist in ihrer
Dauer ... vorgestellt, und zwar entweder zeitlos (tcn:lv 6 1'lEò;) oder die Zeitstufe der Gegenwart
(mit deren niiherer oder weiterer Umgebung) bezeichnend»; J.H. MouLTON, A Grammar of New
Tesramenc Greek. III, Syntax (by N. Turner), Edinburgh 1963. 62 c.
' Il passaggio dalla chiesa particolare, geograficamente localizzata, a un piano più generale,
è indicato anche dall'alternarsi letterario tra singolare c plurale del termine È><XÀYJo(a proprio di
tutto il <<Settenario» delle lettere (cf. VANNI, La scruuura, p. 122).

64
decodificare, chi <<ha orecchio>>: il singolare oilç, <<orecchio>>, proprio dell' Apo-
calisse, in confronto col plurale dna <<Orecchi>> dei sinottici, accentua l'esigenza
di questa capacità. Il cristiano viene stimolato pressantemente ad ascoltare il
messaggio dello Spirito, impegnando le sue energie intellettuali: dovrà
interpretare, vagliare, riflettere, distinguere, in uno stato di vigilanza alacre.
Questo atteggiamento interiore di discernimento dello Spirito è tipicamente
sapienzialc, sulla linea dell'Antico Testamento - ne riprende il contesto e le
espressioni- c dci Vangeli sinottici. Se poi ci chiediamo- ma approfondire-
mo questo aspetto in seguito - quando, dove e come lo Spirito sta parlando
alla chiesa secondo la prospettiva dell'Apocalisse, troviamo una risposta
precisa: la seconda parte del libro (4,1-22,5) espressa in termini simbolici, da
decodificare e applicare alla realtà, è il messaggio cifrato dello Spirito.

Il «mistero», simbolo che esige di essere attualizzato

C'è poi il termine !ilHJT~QLOV, <<mistero>>, che assume nell'Apocalisse-


come risulta inequivocabilmente da 17,7-9, che sarà esaminato in seguito -
una coloritura sapienziale. Esso ricorre -!imitandoci per ora alla prima parte
dell'Apocalisse - in 1 ,20.
L'autore dell'Apocalisse ha presentato la visione iniziale, densa di
contenuti simbolici (1 ,10-17). Occorre decodificare ed elaborare ulteriormente
il materiale simbolico, avviandolo così all'applicazione concreta nella vita della
comunità che ascolta.

19 <<scrivi (yQa'lj1ov) dunque ciò che vedesti


ciò che è e ciò che deve avvenire dopo questo
20 il mistero ('tò ~-tUcrt~QLOV) delle sette stelle ... e sette candelabri:
le sette stelle sono angeli delle sette chiese
e i sette candelabri sono le sette chiese>>

Il v. 20,' che inizia proprio col termine !!U~QLOV, costituisce un nesso di


passaggio dal simbolo grezzo a una sua prima elaborazione applicativa: dopo il
YQO'Ij1ov <<scrivi» a prospettiva generale di l, 19 seguirà il yga'IJOV specifico
riguardante le singole chiese (cf. 2,1, ecc.). In questo nesso di passaggio, tò
!-WOT~QLOV costituisce l'elemento più specifico.
Gli angeli delle sette chiese, le chiese stesse, corrispondono all'immagine

' Grammaticalmente il versetto 20 è quanto mai intricato: è possibile far dipendere 1Ò l.lU<m]-
QtOV da yga'ljJov di l ,21 col vantaggio di potere estendere tale dipendenza anche a tàç bttà ì.uxvluç,
eliminando così l'anomalia di questo accusativo: si avrebbe: «scrivi ... il mistero ... e i sette candela-
bri~). Ma la frase&. dOE; xai a Eloiv xal & ~ÉÀÀEL yEvfm'tat oggetto immediato di YQénpov, sembra
completa e ciò rende inverosimile un'estensione ulteriore della dipendenza. E l'accusativo di tùç
ì..uxviaç dipendente da dO E; che precede immediatamente si spiega come un fenomeno di contrazione
espressiva c grammaticale: la frase completa sarebbe stata t<Ì:lv fj'[tà ÀlJXVL<Ì:lv &ç dbeç; l'autore sposta
l'accusativo sul genitivo, omettendo così la proposizione relativa Uç déeç.

65
simbolica di prima, l'esprimono e la incarnano nello stesso tempo. Vediamo
infatti- v. 1,20b- che i «sette candelabri>> di 1,13 equivalgono, semplice-
mente «SOnO>> (do[v) le sette chiese e che le sette stelle <<sono>> (Eio[v) i sette
angeli delle chiese.
Tò !!UOtl'JQlOV è situato (1,20a) a cavallo tra l'immagine simbolica allo stato
puro e la sua identificazione concreta. Esprime da una parte l'immagine simbolica
stessa, ma che contiene un'istanza di interpretazione, di applicazione concreta
che, quasi, la preme dinamicamente dal di dentro: dall'altra è la stessa realtà
concreta, ma letta, interpretata alla luce dell'immagine simbolica che essa
incarna.
Tò !lUOTilQLOV è, quindi, l'immagine che diventa enigma da risolvere in
chiave di applicazione concreta; ed è la stessa realtà concreta che richiede
l'applicazione dell'immagine per poter essere capita e valutata.
L'attività mentale che permette il passaggio dall'immagine allo stato puro
all'immagine applicata alla realtà concreta, e, in senso inverso complementare,
dalla realtà concreta opaca a una realtà concreta letta e capita teologicamente
mediante l'applicazione dell'immagine, è tipicamente sapienziale, sulla linea
della decifrazione sapienziale del sogno, attestata particolarmente in Daniele,
da cui l'autore dell'Apocalisse sembra dipendere.'
Si intravvede un rapporto molto stretto tra riflessione sapienziale e
J.l.UcmlQLOV. Le ricorrenze di !!UcrtftQLOV nella seconda parte dell'Apocalisse,
che esamineremo, ci permetteranno una determinazione ulteriore.

3. LA RIFLESSIONE SAPIENZIALE
NELLA SECONDA PARTE DELL'APOCALISSE (4,1-22,5):
LA <<MENTE CHE HA SAPIENZA>>

I primi passi che nella seconda parte dell'Apocalisse ci parlano esplicitamen-


te di <<sapienza» oa<p[a ( 13,18; 17 ,9) precisano l'atteggiamento sapienziale. Tro-
viamo nel capitolo 13 un contesto particolarmente interessante per il nostro stu-
dio. Rileviamo subito un fenomeno letterario singolare. L'autore interrompe due
volte l'esposizione del simbolo per rivolgersi direttamente all'assemblea ecclesia-
le che ascolta'' e ciò avviene alla conclusione delle descrizioni simboliche sia del
primo che del secondo mostro, che costituiscono il tema di tutto il capitolo.
Dopo la presentazione del primo mostro (13,1-8), l'autore, con un
discorso diretto, soggiunge: <<Se qualcuno ha orecchio, ascolti>> (13.9): è la
Weckformel che abbiamo già studiato e ritorna leggermente variata: il

' È infatti rilevante il numero delle otto ricorrenze di raz (reso con !LU<m\Q<OV sia dai LXX
che da Tcodozione) nel capitolo 2 di Daniele, con riferimento al sogno di Nabucodonosor da
decifrare: 2,18.19.27.28.29.30.47 (bis). La presenza abbondante e rilevante di Daniele nell'Apoca-
lisse rende un contatto letterario per quanto riguarda ~ucrti]Qtov-raz più che verosimile, data la
loro tipicità e l'equivalenza di significato.
10
Vedi c. lV, pp. 74-75.

66
condizionale del primo tipo d tLç EXEL oùç sta al posto del participio 6 ÉXWV
oùç, ma il significato è equivalente: chi ha <<orecchio» - capacità, volontà di
capire, di interpretare - «ascolti», capisca, interpreti di fatto.
Che cosa si deve capire, interpretare, <<ascoltare»? TI contesto ci dà una
risposta: si tratta di ascoltare quanto l'autore ha appena finito di esporre: il
simbolismo del primo mostro (collegato col simbolismo del drago). Si tratta,
cioè, dopo avere assimilato e decifrato il contenuto espresso in forma
simbolica, di farne un'applicazione alla realtà che si vive. Si ha un contesto
simile a quello delle parabole. E l'autore, dopo aver esortato l'assemblea,
mediante la Weckforme/, a decodificare, a applicare il simbolo, si preoccupa di
metterla egli stesso sulla strada e di suggerire delle conclusioni: parafrasando
Geremia (cf. Ger 15,2; 43,11) afferma che la violenza caratteristica del primo
mostro è sempre sotto il controllo di Dio e che proprio colui che la usa,
sentendosi padrone di tutto, dovrà poi subirne le conseguenze (13,10a). Se
questo è vero, ed è vero, ne segue per i fedeli, i <<santi» che ascoltano,
l'impegno a perseverare nella loro condotta e a mantenere la loro fedeltà a
Dio. Questa è la conclusione che l'assemblea, decodificando il simbolo e
applicandolo a se stessa, deve trarre: <<Qui- tiJbE:" a questo punto del libro-
c'è (da vedere, evidenziare) la perseveranza e la fede dei santi>> (13,10b).
Ma il simbolismo del primo «mostro» (-th]Qiov) non è completo, agli occhi
dell'autore. Un secondo -th]Q[ov (13,11-17), di origine terrestre, si mette a servizio
del primo, dandogli così, nell'opinione ingannata degli uomini, una vita e una consi-
stenza che altrimenti, da solo, non avrebbe. Attraverso l'azione del secondo mostro,
il primo precisa i suoi contorni simbolici e appare come lo stato pagano che si fa
adorare; il secondo mostro è - direnuno in termini moderni -la propaganda."
L'autore a questo punto interrompe di nuovo la descrizione del simbolo,
rivolgendosi direttamente all'assemblea liturgica: <<Qui (ilibE) c'è la sapienza (it
ooqJ[a); chi ha mente (6 €xrov voùv) calcoli (')ITJqJLOénro) il numero del mostro;
è infatti un numero di uomo. E il suo numero è 666 (13, 18a)»."
<<Qui», a questo punto preciso del racconto, entra in gioco la <<sapienza».
Cosa intende esattamente l'autore? Prosegue: <<chi ha mente» - l'espressione
è parallela a <<se qualcuno ha orecchio>> di 10,9 e mostra la sinonimia tra

" È questo il significato prevalente e tipico di w6E neU'Apocalisse (13,10.18; 14,12; 17,9) e
suggensce un contesto esplicito di riflessione sapienziale anche quando sono assenti gli altri termini
1
«Orecchio>), «Sapienza>), come in 14,12. QÒE ricorre due volte nel senso spaziale riferito al cielo (Ap
4,1; 11,12) .
. " Il mostro appare chiaramente come uno schema teologico di teologia politica. In questo
senso e onterprctato anche da H. ScHLIER. Vom Antichrist. Zum I 3. Kapirel der Offenbarung Johannis,
inDie Zeit der Kirche, Frciburg '1958, pp. 265-274; PtKAZA, Laperversiòn, pp. 557-594. Cf. anche O.
CuLLMANN, Lo stato nell'Apocalisse giovannea, in Io., Dio e Cesare, Milano 1957, pp. 79-92.
n Leggono (<666~·: P' 4 Sìnaitico (correzioni) A P, Ireneo, Ippolito, Origene, Vittorino,
Primasio, Andrea di Cesarea, ccc.; «616•): C Ticonio, anonimo citato da Ircneo. Le testimonianze
dei codici depongono chiaramente in favore della prima lez1one (cf. B.M. METZGER, A Textual
Commentary on the Greek New Testament, London-New York 1971, pp. 751-752).

67
«orecchio» e <<mente>> - deve <<calcolare>>" il numero del mostro. Il mostro
simbolico ha infatti una corrispondente nella realtà umana, il suo è un <<numero
di uomo>>, appartenente al mondo umano: il punto di saldatura tra il quadro
simbolico e il mondo reale umano, che permette il passaggio dall'uno all'altro,
è appunto il <<numero>>, una cifra che ne esprime il nome reale 1 '
L'assemblea è invitata a <<Calcolare>>. Dovrà applicare la sua mente, la sua
intelligenza per identificare quella concretizzazione storica, simultanea all'as-
semblea stessa, che realizza il quadro simbolico. Questo, infatti, per l'universa-
lità propria del simbolo. ha una possibilità illimitata di applicazioni concrete, di
«nomi>>. Per arrivare al nome da dare hic et nunc, occorrerà ricercare
nell'ambito del mondo umano, occorrerà raccogliere, vagliare e fissare alcuni
punti che lo determinano, partendo dall'osservazione empirica, induttivamen-
te. Bisognerà, in una parola, trovare un numero, quasi una cifra che incarni nel
momento in cui l'assemblea riflette le caratteristiche astratte del simbolo.
L'assemblea dovrà, quindi, con una «mente che ha la sapienza>>,
esercitare il suo discernimento sapienziale proprio nel trovare, calcolando
("\jJl]qnoémo) tra i molti possibili, quel numero concreto che, volta per volta,
corrisponde storicamente al &rjg(ov.
L'autore. sempre allo scopo di facilitare all'assemblea questo compito
difficile, dà l'esempio di un «calcolo>> già eseguito e che ha portato a un numero
ben determinato: questo numero che una volta ha realizzato storicamente il
quadro simbolico del &rjg(ov è 666, cioè, secondo un'interpretazione oggi
molto diffusa, anche se non accettata da tutti, «Nerone Cesare>> (la somma
delle consonanti di Nrwn Qsr dà appunto 666: nun: 50; res: 200; wau: 6; nun:
50; qof: 100; samekh: 60; res: 200)."
L'attività sapienziale, la messa in atto della croc:p[a, consiste quindi
anzitutto nel decifrare il simbolo, prendendo atto del suo significato, delle sue

" ljlfJq>ta<'nw: il termine ricorre solo un'altra volta nel NT in Le 14,28, dove ha il senso
normale greco: «Calcolare». Riferito a delle cifre esplicite, il verbo ha il valore di calcolare nel
senso preciso di (<trovare il numero esatto~~, calcolando con i sassolini (1.1riiq;o;).
" 'AgLil~o; ha infatti, nell'Apocalisse, un valore quantitativo-qualitativo (5,11; 7,4; 9,16;
20,8) o anche solo qualitativo, quando è riferito al th]giov (13,18; 15,2): in questo caso è infatti
sinonimo dell'«uomo• che esprime, cl. 13,17: «Il nome (tò òvo~u) del mostro o (ij) il numero (tòv
àqdtj.L6v) del suo nome~~-
16 L'abbondante bibliografia in materia sottolinea l'interesse che gli studiosi di ogni tempo
hanno dedicato a questo versetto dell'Apocalisse. L'interpretazione Nerone Cesare è antica;
proposta da Viuorino. è stata sempre presente nei vari commenti dell'Apocalisse. accettata o
respinta. Ultimamente ha avuto una conrerma indiretta in un frammento di Murahha'at (DJD
Il, 18,29) che riporta appunto Nrwn Qsr. Essa spiega inoltre la variante 616: si avrehhc questo
numero con lo stesso procedimento della somma del valore aritmetico delle lettere omettendo il
secondo nun e leggendo: Nrw Qsr. All'obiezione che Giovanni, scrivendo in greco difficilmente
poteva dare un numero da calcolare in ebraico, si può rispondere che l'autore fa appello
esplicitamente a una conoscenza dell'ebraico (cf. 9,11; 16,16). Si può infine aggiungere, sempre a
conferma del riferimento a Nerone, che la forma latineggiantc NRW QSR, equivalente
ovviamente a quella greca NRWN QSR, è l'unica che spiega la variante 616 rispetto a _666,
testimoniata dal codice C: la somma delle consonanti \IRW QSR dà questo risultato preciso. E un
aspetto particolare sviluppato del simbolismo aritmetico, cf. c. Il, p. 52, nota 53.

68
equivalenze realistiche (qui: lo stato che si fa adorare, attorniato dalla sua
propaganda: primo e secondo fu]glov): e, dopo. nell'identificare, nell'orizzon-
te storico in cui vive, quella realtà a cui il simbolo si può riferire; ciò si ha
mediante il passaggio dal simbolo decodificato al numero-cifra, che esprime
un 'entità storica determinata. La situazione concreta risulterà così illuminata
nella sua dimensione religiosa da questo duplice passaggio e la comunità
ecclesiale si potrà orientare adeguatamente nelle sue scelte.
Simbolo, mistero, stupore e sapienza
In A p 17,9 ricorre ancora il termine «sapienza••, croqJla.
L'autore ha presente la descrizione simbolica della <<prostituta» rr6QVll
( 17 ,3-6a) ed è preso da un senso di stupore. L'angelus interpres interviene e spiega:
il mostro è quello del capitolo 13 e viene presentato in una dimensione storica e
metastorica insieme, come vediamo dall'allusione a Nerone da una parte e dalla
miscela impossibile dei tempi (era e non è, verrà, va in rovina) dall'altra." Dopo
parlerà della rrogvrr anche qui le indicazioni fornite si riferiscono a Roma e alla
sua storia. ma. nella loro compilazione (intenzionale?)" mostrano che il simbolo
va al di là della sua realizzazione in Roma. Questa è solo un esempio: più generica-
mente, come schema di contenuto teologico, il mostro è lo stato che si fa adorare"
ed è lui a sostenere la ;u)QVrJ-Babilonia, la città secolarizzata.'"

" «Il mostro è presentato come già esistito (~v), e ciò ha riscontro nel libro, dove si parla di
un l'h]Q[ov (13,1ss). Si afferma la sua inesistenza attuale (oùx Èanv); ma ciò è in apparente
contraddizione con quanto viene affermato dopo circa la punizione dellh]glov (20,10). La stessa
perplessità si ha quando si presenta la comparsa del ttrwlov come futura: ,.u).. ì..n ò.vaj)ulvFIV tx 'tlÌç
ùjlùaoou, mentre il fatto è già descritto in 13,1» (V ANNI, La srruttura, p. 246).
1
1(È difficile- praticamente impossibile- ricostruire quella che poteva essere la prospettiva
storica reale con cui l'autore dell'Apocalisse, alla fine del primo secolo o all'inizio del secondo,
guardava alle vicende recenti di Roma, da Nerone in poi. La sequela intricatissima degli imperatori
non poteva avere per lui la chiarezza che ha per gJi storici moderni. È perciò impossibile precisare se e
quanto nelle indicazioni che egli presenta si distacchi da quella che riteneva la cronaca dei fatti. Ma gli
artifici letterari a cui l'autore ricorre. superando e contraddicendo subito dopo quanto ha affermato
prima (esempio: 17,9-11: le sette teste equivalgono ai sette colli; ci sono sette re, di cui cinque caduti,
uno esistente, l'altro esistito; c il mostro, che sarebbe J'ouavo. appartiene anch'esso ai sette) indicano
che egli intende muoversi al di sopra dei puri avvenimenti storici.
" Cf. quanto detto sopra, a proposito del c. 13. Illh]Qlov è una figura tipica nell'Apocalisse;
presentata una prima volta in maniera sommaria e allusiva in 11,7, viene sviluppata dettagliata-
mente nei suoi clementi simbolici in 13,1-17; in seguito (1-1,9.11; 15,2; 16,2.10.13;
17,3.7.H(bis).ll.12.13.16.17; 19,19.20(bis); 20,4.10) si dirà semplicemente t6lh]Qlov: basterà il
termine caratteristico a evocare il valore simbolico complesso di questa figura.
"' Anche Babilonia è introdotta con delle allusioni generiche (14,8; l6,9b) ma già il nome
esprime uno schema teologico maturato nell'A T: è la città pagana, l'anti-Gerusalemme; si ha poi
un'esposizione dettagliata del suo simbolismo in 17,3b-6: Babilonia è la grande prostituta. Segue
l'applicazione concreta, fatta dall'angelus inrerpre.< (17.7-18). Nel grande lamento (18,1-24). il
simbolismo di 17 .3b-6 viene sviluppato ulteriormente: le varie scene che si susseguono sottolineano
le caratteristiche emblematiche di Babilonia: l'autosufficienza chiusa nell'orizzonte terreno (18,7);
l'avidità che non esita a sacrificare la vita umana (17,12·13): il lusso (18,16); tutta una
organizzazione commerciale e consumistica della vita (18,19b). Da tutto l'insieme emerge un
quadro teologico di grande interesse; si hanno le caratteristiche di una collettività pagana
organizzata come tale a tutti i livelli. Il rapporto tra lo stato che si fa adorare e la città secolarizzata
(il mostro sostiene la prostituta, 17,3.7) costituisce un'indicazione di teologia politica.

69
Proprio nel momento del passaggio ememeutico dal simbolo alla sua
identificazione concreta interviene l'attività sapienziale: «Qui- ebbE, nel senso
sopraprecisato:" a questo punto dell'esposizione fatta dall'autore - c'è la
mente, quella che ha sapienza (ò voùç ò EXWV aoqJ[av, 17,9a)».
La mente sapiente applicando tutte le sue risorse giungerà a identificare
concretamente come e dove il quadro simbolico si realizza: abbiamo una serie di
do[v (ÈoT[v) (17,9-12) che ha un risalto letterario caratteristico. Il verbo dvm
indica qui proprio quell'attualizzazione ermeneutica che è, nello stesso tempo,
corrispondenza del simbolo alla realtà e della realtà al contenuto del simbolo. È
proprio dell'attività sapienziale discernere. identificare, precisare questa corri-
spondenza. L'angelus interpres richiamandosi esplicitamente al discernimento
sapienziale ricorda alla comunità ecclesiale che ascolta il compito che le spetta e
nello stesso tempo- come aveva già fatto l'autore in 13,18- mostra, con l'esem-
plificazione riguardante Roma, come si debba procedere.
Oltre che una precisazione dell'attività sapienziale, troviamo, sempre nel
contesto 17.3-14, una precisazione ulteriore del valore di f..lUOT~QLOV e del suo
rapporto con la ampia.
Come in 1,20, f..lUOT~QLOV appare qui collegato, quasi identificato col
quadro simbolico: proprio quando si parla del nome sulla fronte della grande
prostituta. si aggiunge il termine f..lUOT~QLOV (17,5); esso viene ripreso poi
dall'angelo quando interpreta a Giovanni il quadro simbolico: <<lo ti dirò il
mistero (rò f..lUOT~Qtov) della donna>>.
Ma, come in 1,20 e ancora più esplicitamente, TÒ f..lU<n:~QLOV non è
semplicemente sinonimo del quadro simbolico: è il quadro simbolico che è
divenuto un problema da risolvere, che richiede pressantemente, che esige una
decodificazione e un 'applicazione concreta.
Una conferma e un'esplicitazione di tutto questo si ha nello stupore di
Giovanni di fronte al quadro simbolico: <<mi stupii vedendola (la prostituta)
con stupore grande ( È{}m)f..luoa ... {}au f..lU f..lÉya: 17 ,6b). Proprio nel contesto
psicologico di stupore si inserisce la spiegazione dell'angelo: <<Perché ti stupisci
(bL<i n t{}auwxaaç)? lo ti dirò TÒ f..lU<n:TJQLOV della donna>>. Il quadro simbolico
della donna, percepito da Giovanni, è divenuto per lui un enigma assillante,
che riempie di stupore, ed esige di essere compreso e applicato: solo allora
cesserà lo stupore." Lo stupore indica il simbolo divenuto f..lU<n:~QLOV.
Il contesto mette inoltre esplicitamente il f..lU~Qtov in rapporto con la
aocp(a: dopo che l'angelo ha fornito una prima linea, generica, ancora, di

21 Cf. sopra, p. 67, nota Il.

" Ricorre altrove neii"Apocal"'e lo stesso atteggiamento collegato con ttawu't~ELv (13,3: la
terra intera va dietro al mostro incantata dai suoi prodigi, che non riesce a spiegare; 17,8: gli
abitanti della terra sono presi da stupore di fronte all'enigma del th]giov) c con \~au~am:6ç (15,1: il
grande segno nel ciclo- i sette angeli con le coppe- è un enigma portentoso che, per lo stupore
che incute, esige di essere decifrato; 15,3: le opere di Dio suscitano, nella loro grandezza superiore,
mera\"iglia e sorpresa).

70
decodificazione e di attualizzazione (17,7-8) richiama l'impegno sapienziale
(17 ,9a), precisa ulteriormente l'interpretazione del simbolo e soprattutto ne
determina l'identificazione concreta (17 ,9b-18). La riflessione strettamente
sapienziale è allora l'ultima concretizzazione del simbolismo decodificato.
In una parola: abbiamo il simbolo allo stato puro; il simbolo percepito
come tale diventa un problema da risolvere sia nelle sue equivalenze
realistiche, sia nella sua applicazione alla realtà storica concreta: il simbolo in
questa fase dinamica è il ~umljgwv, a cui corrisponde uno stato di meraviglia e
di stupore; sopraggiunge poi la riflessione sapienziale, che, decodificato il
simbolo, ne scopre la realizzazione nell'orizzonte storico concreto.
Il progetto di Dio, rivelato nel simbolo e attuato nella storia
Un'ultima osservazione. Il significato di ~umljgwv che abbiamo eviden-
ziato si riferisce a tre (1,20; 17,5.7) delle quattro ricorrenze del termine
nell'Apocalisse. Che rapporto ha con l'altra ricorrenza che troviamo in 10,7?
Siamo nel contesto del giuramento solennissimo da parte dell'angelo, il
quale promette che non esisterà più il tempo e, nei giorni del settimo angelo-
settimo nella serie delle trombe - , sarà giunto a compimento tò ~umljgwv
taù frwù." come Dio ha manifestato ai suoi servitori i profeti.
Il significato di ~umtjgwv che il contesto suggerisce inequivocabilmente è
sulla linea del progetto di Dio, formulato in Dio stesso, rivelato, attuato
gradualmente nel tempo (una linea marcatamente paolina)." Il punto di
contatto con le altre ricorrenze esaminate sta nella mediazione profetica. Il
piano di Dio, maturato nella trascendenza divina e in qualche modo partecipe
di essa, non può essere tradotto in termini umani perfettamente equivalenti,
non può trovare un'espressione realistica adeguata. Solo un linguaggio che sia
intelligibile in termini umani ma, nello stesso tempo, tenda a superarli
continuamente, può avvicinarsi in qualche modo al livello del progetto di Dio
da rivelare. Questo è nell'Apocalisse il linguaggio simbolico. Il ~umljgwv tali
frwii mediato dai profeti diventa necessariamente espressione simbolica. È il
messaggio in codice che lo Spirito, parlando alle chiese tramite i profeti,
indirizza loro. E, come il progetto di Dio non è una dimensione religiosa
teorica e astratta, ma tende a realizzarsi e si realizza di fatto nella storia fino al
compimento totale, così il simbolo che ne è l'espressione non è un gioco ozioso
di immagini, ma tende dinamicamente ad illuminare lo svolgimento concreto

" Il testo presenta delle difficoltà grammaticali. ed è stato interpretato in modi diversi (cf.
BRÙTSCH, La clarté, pp. 173-174). Proponiamo di interpretare il difficile ru).É<n'hj come aoristo
profctico da riferirsi al giuramento dell'angelo, c ;:g6vo; nel senso normale che ha il termine
nell'Apocalisse: tempo per convertirsi (2,21): è il tempo •breve .. del dominio delle forze negative
prima della conclusione finale (2,16; 20,3). Il passo, allora, suonerebbe così: «Giurò ... "Non vi
sarà più tempo, ma, nei giorni del settimo angelo, quando suonerà la tromba, è compiuto il mistero
di Dio. come egli rivelò ai suoi servi, i profeti"~>.
" Cf. R. PENNA, Il «mysrerion• paolina, Brescia 1978.

71
della storia. È un simbolismo che, quasi impazientemente, richiede una
decodificazione e un'applicazione alla realtà.
Siamo, allora, in 10,7 sullo stesso piano del valore di ~1!<IT~QLOV studiato
in 1,20 e 17,3. 7. Il contatto tra queste due serie di ricorrenze le illumina
entrambe: il piano di Dio, rivelato simbolicamente dai profeti, deve essere
letto nella realtà; le immagini simboliche devono trovare un'identificazione
concreta mediante il discernimento sapicnziale. Tutte le singole identificazioni
che la comunità ecclesiale compirà in qualunque tempo, si collocheranno nel
grande arco di sviluppo della storia, che è rappresentato dal progetto di Dio.

4. CONCLUSIONE

Gli esempi che abbiamo studiato analiticamente sono i più espliciti, ma non
sono gli unici: il passaggio ermeneutico dal simbolo all'identificazione concreta
affiora costantemente nell'Apocalisse, ed è spesso introdotto da una formula
precisa: o"Ùw[ dmv (cf. 14,4-5; 7,13-15; ecc.). Questo induce ad allargare la
prospettiva delle conclusioni a cui siamo giunti: la riflessione sapienziale che
realizza il passaggio dal simbolo all'identificazione non è un momento sporadico,
ma costituisce, nell'Apocalisse, una costante, un atteggiamento ermeneutico per-
manente richiesto nella comunità ecclesiale che ascolta la lettura.
Nella prima parte l'autore la sprona ripetutamente ad avere quella
sensibilità, disponibilità e alacrità interiore che le permette, nella seconda,
l'ascolto e la comprensione del linguaggio dello Spirito.
Purificata e tonificata interiormente, ritrovando se stessa, la chiesa dovrà
orientarsi nel mondo in cui vive e farvi le sue scelte operative: per questo dovrà
capire la realtà storica che le è simultanea. Il simbolo decifrato e attualizzato
mediante l'impegno intellettuale della sapienza, la porterà a capire e a valutare
la situazione storica in cui vive.
In conclusione: l'atteggiamento sapienziale ha il ~1!<ITTJQLOV come sua
componente oggettiva: è il piano di Dio. secondo cui la storia si svolge di fatto
e che, espresso in un linguaggio simbolico, chiede di essere decifrato e
applicato alla realtà a cui appartiene. Ha la OO(p[a come componente
soggettiva: è la capacità della mente che attua adeguatamente il passaggio dal
simbolo all'interpretazione della realtà.
Quanto stiamo vedendo evidenzia ripetutamente e sotto vari aspetti
un'attività specifica d'un gruppo - di fatto l'assemblea liturgica - come
protagonista attivo dell'ascolto dell'Apocalisse. È questo gruppo che deve
<<avere orecchio», <<mente che ha sapienza» e impegnarsi ad accogliere il
simbolo partendo dalla sua formulazione scritta, passando attraverso la
tensione del ~vot~QLOV fino all'interpretazione sapienziale della realtà storica.
Quali sono le caratteristiche tipiche del gruppo di ascolto in azione, come
soggetto interpretante, in tutto l'arco dell'Apocalisse? È quanto approfondire-
mo nel prossimo capitolo.

72
capitolo IV

L'assemblea ecclesiale
«soggetto interpretante)) d eli' Apocalisse

l. IL PROBLEMA

Il movimento degli studi di linguistica che si è sviluppato in questo secolo,


da F. de Saussure in poi, ha avuto tra gli altri meriti quello indiscusso di
mettere in risalto, per la comprensione di un'opera letteraria, la parte che
spetta al soggetto che la legge o l'ascolta. Si può dire che l'opera letteraria- in
analogia con la musica che si gusta pienamente solo quando viene eseguita -
raggiunge la sua pienezza espressiva nell'interpretazione dal vivo che ne fa chi
la legge e l'ascolta. È, questa, l'attività tipica del <<soggetto interpretante••-' Si
ha, quindi, una reciprocità, una tensione implicita tra lo scrittore e il suo
lettore: chi scrive, lo fa sempre per qualcuno.
Questo fatto di carattere generale acquista un rilievo specifico negli scritti
del Nuovo Testamento che presentano un genere letterario epistolare. Anche
se non si ha normalmente la reciprocità spontanea di una lettera familiare, c'è
sempre un <<io», il soggetto che scrive, che si rivolge a un <<VOi», i destinatari;
identificandosi con essi, il soggetto che scrive diventa anche un <<nOi».' La
coscienza di questa reciprocità si fa talvolta particolarmente acuta. Appaiono
allora, nello scritto epistolare, delle indicazioni che tendono a coinvolgere
esplicitamente il lettore. Tipico è il caso di Paolo: antiche confessioni di fede,
inni, elementi circolanti nelle comunità alle quali scrive sono ripresi e
incorporati nel discorso, come recitati insieme ai suoi destinatari. Paolo stesso
insiste che una sua Lettera sia letta <<a tutti i fratelli».' Si tratta dei fratelli riuniti

' Questa terminologia si ispira alla trattazione, ampia e particolareggiata, che fa U. Eco, del
•Lettore modello», ma senza entrare nel merito delle teorie linguistiche che l'Autore propone (cf.
U. Eco, Lecror in fabula. La cooperazione interpretati va nei testi narrativi, Milano 1979,
specialmente pp. 50-66).
2
Quest'ultimo fatto - l'uso del «noi>> - pone dei problemi di particolare interesse in
Paolo. Per esempio, nella 2Cor uno studio accurato dell'uso del •noi», notando il rapporto di
identificazione o di distinzione tra Paolo che scrive e la comunità a cui scrive, permette dei rilievi
interessanti sulla coscienza che ha Paolo della sua apostolicità (cL M. CARREZ, Le «nOUS>> en 2
Corinthiens. in NTS (1979-80) 26, pp. 474-486).
3
ITs 5,27. Il testo ha una forte carica emotiva, che tende a far pressione sui destinatari: •Vi
supplico con insistenza (tvogxi~w) per il Signore che la lettera sia letta (òvayvwothivm) a tutti i
fratelli>>. <<Tutti)) (rrò.mv), dato il contesto, sembra indicare l'assemblea riunita: tutti insieme. Ciò è

73
nell'assemblea liturgica cristiana. Si profila cosl il soggetto interpretante tipico
degli scritti del Nuovo Testamento di genere epistolare: non è una persona
singola, presa singolarmente, ma, propriamente, un gruppo di ascolto'

2. <<BEATO COLUI CHE LEGGE E COLORO CHE ASCOLTANO>>

Quanto stiamo osservando acquista un rilievo particolarissimo nell'Apo-


calisse. Il suo genere letterario non sembra propriamente quello epistolare nel
senso usuale del termine-' Ma, sotto l'aspetto che riguarda il nostro tema, c'è
qualcosa di più: il libro è uno scritto destinato esplicitamente alla lettura
nell'assemblea liturgica. E l'assemblea alla quale lo scritto è indirizzato
reagisce attivamente alla lettura.
Ce lo dice anzitutto il dialogo liturgico iniziale (1,4-8).' Un'introduzione a
tale dialogo presenta al vivo il rapporto tra uno che legge ad alta voce e molti
che ascoltano, tipico dell'assemblea liturgica cristiana: «Beato colui che legge e
coloro che ascoltano le parole di profezia>> (Ap 1,3). Le <<parole di profezia>>
sono il contenuto del libro come verrà presentato in seguito, e avremo modo di
approfondire questo aspetto. Intanto si delinea la fisionomia del soggetto
interpretante dell'Apocalisse: esso è costituito da un gruppo in ascolto.
Non si tratta di un ascolto inerte. Immediatamente dopo questa indicazio-
ne troviamo, in Ap 1,4-8, il dialogo liturgico vero e proprio che esprime al vivo
la reazione del gruppo. II lettore indirizza al gruppo un saluto e una
benedizione. Lo fa usando una terminologia corrente nello stile epistolare del
Nuovo Testamento, ma con degli aspetti che se ne distaccano. Al gruppo viene
augurata la grazia e la pace - come nelle Lettere paoline e in quelle di Pietro
- ma i due termini vengono collegati solennemente con Dio con una formula a
ispirazione trinitaria, particolarmente complessa e tipica dell'Apocalisse:
<<Grazia a voi e pace
da parte di colui che è e che era e che verrà
e da parte dei sette spiriti che stanno davanti
al suo trono
e da parte di Gesù Cristo
il testimone quello fedele
il primogenito dei morti e dominatore
dei re della terra>> (Ap l ,4-5a).

sottolineato da una variante di critica testuale, secondaria ma significativa: troviamo in S'A K 'P e
vari minuscoli raggiunta di «santi~) davanti a c(fratelli». Particolarmente nell'assemblea liturgica i
fratelli prendevano coscienza della loro situazione di c~santi,, e si consideravano e trattavano come
tali (cf. il «bacio santo» del saluto: ITs 5,26).
4
L'unica eccezione sicura è il higlietto a Filemone. È controverso se 2 e 3Gv siano
indirizzate a una persona o a una collettività simboleggiata dalla destinataria.
~ Cf. a questo proposito le pertinenti osservazioni di A. YARHRO CoLLINS, riportate in
V ANNI, La struttura, p. 241\, nota 20.
' Cf. per un'analisi esegetica più dettagliata del brano con la evidenziazione del suo
carattere ùiologico. Parte seconda. c. l. pp. 101-113.

74
È il lettore di 1,3 che parla al «VOi» costituito dal gruppo che ascolta.
L'aggancio al gruppo è sottolineato anche dalle anomalie grammaticali proprie
del testo greco e intraducibili. Non attribuibili a una mancata conoscenza della
lingua da parte dell'autore, hanno la funzione di stimolare, quasi provocare il
soggetto che ascolta, costringendolo a reagire.'
Il soggetto reagisce. Al <<Voi•• proprio del lettore succede un <<noi» che ha
come soggetto il gruppo che ascolta:

<<A colui che ci ama (in continuazione)


e sciolse noi dai peccati nostri
nel suo sangue
e fece noi regno sacerdoti
a Dio e Padre suo.
A lui la gloria e la forza
per i secoli: amen!» (Ap l,Sb-6).

La reazione del gruppo non potrebbe essere più esplicita. Essa continua
anche in seguito: alla proclamazione oracolare della seconda venuta di Cristo
fatta dal lettore che riprende il discorso (1,7a) segue, da parte del gruppo, dopo
una pausa riflessiva che permette di prendere adeguatamente coscienza del
contenuto annunciato dall'oracolo, un'accettazione esplicita dell'annuncio
stesso e il desiderio, espresso in forma di preghiera, che l'annuncio poi si
realizzi. Il gruppo dice: <<Sì, così sia» (1,7b).
Con questa accettazione diventata preghiera il gruppo si inserisce
attivamente nel dinamismo della storia della salvezza. Il lettore ne prende atto.
Con un nuovo intervento che conclude il dialogo invita il gruppo ad allargare al
massimo l'orizzonte del suo impegno. La storia della salvezza nella quale il
gruppo si sente coinvolto ha il suo punto di partenza e di conclusione in Dio
<<alfa e omega», giungerà al suo compimento con la venuta di Cristo, si svolgerà
sotto l'influsso attivo della potenza di Dio:

<<lo sono l'alfa e l'omega


- dice il Signore Dio -
Colui che è e che era e che verrà,
l'onnipotente>> (Ap 1,8).

Comincia così a precisarsi la fisionomia del gruppo come soggetto


interpretante: ascolta attentamente raccogliendo gli stimoli del lettore, rispon-
de ripctutamente ed esplicitamente, si sente coinvolto nel discorso. C'è
un'interazione tra lui e il lettore. Quale sarà il suo atteggiamento nel decorso
del libro?

7
Cf. sopra, c. I, pp. 20-22.

75
3. DAL <<LETIORE>> A GIOVANNI, DAGLI <<UDITORI>> AL GRUPPO ECCLESIALE

Con Ap 1,9 si ha una svolta stilistica che comporta un approfondimento


interessante del rapporto tra il lettore e il gruppo che ascolta:

<<Io Giovanni,
vostro fratello e compartecipe (01Jyxotvwv6ç) nella tribolazione e nel
regno e nella perseveranza in Gesù ... >> (1,9).

L'<<iO>> è Giovanni già presentato in terza persona in A p l ,4, il <<voi>> si


riferisce alle <<Sette chiese dell'Asia>>, come indicato esplicitamente nel contesto
che segue (cf. Ap 1,11). Qual è il rapporto tra Giovanni che parla in prima
persona rivolgendosi alle chiese dell'Asia Minore e il lettore che si rivolge
direttamente al suo gruppo di ascolto (A p l ,3)? Per una risposta adeguata che
non minimizzi la portata del problema s'impongono delle precisazioni.
La prima riguarda Giovanni. Il fatto che il discorso sia ora introdotto in
prima persona con una certa enfasi, richiama il fenomeno· letterario della
pseudonimia costante in tutta la letteratura apocalittica.' l .'autore vero si
identifica con un personaggio celebre del passato, remoto o reéente che sia, col
quale si sente in affinità spirituale e a cui attribuisce idealmente il suo
messaggio. L'autore dell'Apocalisse si muove nell'ambito geografico e spiritua-
le della scuola giovannea, e si identifica a tal punto con essa da far intervenire
Giovanni l'apostolo a parlare in prima persona. Giovanni è indubbiamente
l'apostolo anche se non si sottolinea l'apostolicità, ma la sua qualità di profeta
(cf. specialmente 10.11). L'attribuzione a Giovanni è un espediente letterario.
Una spia di tutto questo e una conferma si trovano nell'indicazione sul
rapporto tra lettore e gruppo di ascolto che abbiamo rilevato.
L'autore prevede che il libro sarà letto nell'assemblea liturgica e se ne
rallegra, al punto da proclamare beati sia il lettore che gli ascoltatori (cf. 1,3 il
testo che sopra abbiamo esaminato). Il lettore non coincide né con Giovanni, a
cui è attribuita l'esperienza, né con l'autore del libro. È, semplicemente, <<colui
che legge>>: viene qualificato con una funzione che potrà essere, di fatto,
esercitata da chiunque presiederà un'assemblea liturgica. Il lettore leggerà,
però, quello che l'autore ha scritto e che da ora in poi sarà messo
letterariamente in bocca a Giovanni. L' <<iO>> dell'autore, del lettore e di
Giovanni da questo punto coincidono. ,
Un discorso analogo si può fare a proposito del <<VOi>> detto da Giovanni e
riguardante le <<sette chiese>>. Il numero <<sette>> che indica una totalità, il fatto
che i vari elementi allusivi alla situazione storica delle chiese siano riassorbiti in
una visione globale e universale, il passaggio da una chiesa determinata alle
chiese in generale che riscontriamo in tutte e sette le <<lettere>>, sono elementi
che sommati insieme ci dicono che il messaggio di Giovanni oltrepassa le chiese

' Cf. D.S. RussELL, The Method and Message of Jewish Apocalyptic, <<Pseudonymous in
authorship», London 21971, pp. 127-139.

76
determinate geograficamente alle quali appare rivolto. Le «sette chiese» sono
una totalità, sono la chiesa in generale e, come tale, la chiesa universale che poi
si concretizza in quella parte di chiesa che è l'assemblea liturgica.
Allora il <<voi>> detto dal «lettore>> di l ,3 e quello detto da Giovanni in 1, 9
tendono a loro volta a coincidere. Di conseguenza: tutto il messaggio e
l'esperienza di Giovanni che troveremo in seguito nel decorso del libro saranno
espressi, interpretati e proposti all'ascolto dal «lettore>>. Le «sette chiese>> si
ritroveranno in una ÈXXÀTJO(a, un'assemblea che ascolterà: la potremmo
denominare «gruppo ecclesiale di ascolto>>. C'è da aspettarsi, dati gli elementi
dialogici che abbiamo rilevato, un'interazione particolare attiva. Tale intera-
zione verrà provocata anche dalla lingua particolarissima dell'Apocalisse, dal
ritmo dello stile, dalle drammatizzazioni, dalle enumerazioni, dagli schemi
settenari, insomma da tutti quegli elementi letterari che, adeguatamente
espressi e percepiti, fanno presa sulla sensibilità del gruppo.'

4. UN APPELLO ALLA CONVERSIONE CHE VIENE RACCOLTO

Il rapporto tra il lettore e il gruppo ecclesiale di ascolto si fa particolar-


mente vivo nel gruppo settenario delle lettere (Ap 2-3).
A Giovanni viene dato l'incarico di scrivere un messaggio e di inviarlo alle
«sette chiese>> (Ap 1,11). Si ha quindi un movimento che si dirige verso il
gruppo ecclesiale, rappresentato dalle «Sette chiese>>, e che fa pressione su di
esso. Ci aspettiamo una sua reazione. Inoltre, viene precisato, Giovanni è solo
un mediatore. Il messaggio proviene direttamente da Cristo, che si esprimerà
in prima persona. Ciò qualifica il ruolo del «lettore>>: presentando il messaggio
dei capitoli 2-3 non dovrà interpretare soltanto Giovanni, ma, addirittura, il
Cristo risorto. La pressione esercitata acquista un salto ~i qualità: è la
pressione stessa di Cristo. Si pone di nuovo la domanda: quale sarà la reazione
del gruppo ecclesiale di ascolto~ Per rispondere, occorre dare uno sguardo
ravvicinato al modo con cui il messaggio delle sette lettere parte dal «lettore>> e
raggiunge il gruppo.
Ciascuna delle lettere presenta uno schema letterario chiaramente
identificabile in sei punti:" c'è un indirizzo («all'angelo della chiesa ... scrivi>>),
una presentazione che Cristo fa di se stesso alla chiesa («così parla colui che ... >>),
un giudizio valutativo della chiesa stessa («conosco ... >>), .una esortazione
particolare proporzionata al giudizio fatto (comincia col primo imperativo che
segue il giudizio: «convertiti>>, «fai>>, ecc.). Si ha poi un'esortazione di carattere
generale ripetuta tutte e sette le volte con la stessa formula («chi ha orecchio
ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese>>), e, finalmente, una promessa fatta al
vincitore («A chi vince ... darò in dono>>).

' Cf. sopra c. l, pp. 22-25.


10
Cf. VA~NI, La struuura. pp. 302-304. l sei punti dello schema saranno ripresi e illustrati
più in dettaglio nella Parte seconda, c. 111, quando faremo l'esegesi di una delle «sette lettere».

77
C'è da notare un fatto letterario che, nello stile raffinato dell'Apocalisse,
acquista un rilievo. I primi quattro punti dello schema si susseguono sempre
nello stesso ordine: gli ultimi due sono scambiati nelle ultimè quattro lettere.
Ciò indica da una parte la spostabilità e quindi una certa equivalenza rispetto
all'ordine degli ultimi due punti, dall'altra la fissità della concatenazione dei
primi quattro.
Tenendo presente tutto questo, ritorniamo al gruppo ecclesiale di ascolto.
Lo schema letterario del messaggio che gli viene indirizzato con la fissità e
variabilità rilevate, non è un virtuosismo retorico chiuso in se stesso. Ha sul
gruppo ecclesiale di ascolto - che coincide con la chiesa a cui è rivolto il
messaggio - una sua forza d'urto tipica e la chiesa reagisce specificamente, a
seconda dello stimolo che riceve.
L'indirizzo esprime una presa di contatto e la chiesa accoglie l'indirizzo.
Si sente interpellata. L'autopresenrazione di Cristo stimola e provoca sulla
stessa linea dell'indirizzo, specificandola. Alla chiesa viene esplicitato che
l'interpellazione è un discorso che le viene rivolto. Dovrà rispondere. Il
discorso è rivolto da Cristo che precisa, qualificandosi (<<così parla colui
che ... >>), quello che lui è per la chiesa. La chiesa allora si sente legata a Cristo,
in rapporto con lui: reagisce accettando. Cristo accettato accentua una sua
pressione sulla chiesa: <<Conosco le tue opere>>, essa si sente dire. E quando
questa conoscenza, espressa sempre in termini appassionati sia riguardo al
bene che riguardo al male, viene specificata fino al dettaglio, la chiesa si sente
conosciuta fino in fondo, valutata, giudicata. Reagisce accogliendo il giudizio.
A questo punto la provocazione nei riguardi della chiesa si fa ancora più
diretta e immediata: Cristo passa dall"indicativo all'imperativo dell'esortazione.
Siamo al culmine, al massimo di stimolo: la chiesa sente un comando, una
volontà che la vuole determinare in rapporto con la sua situazione. Reagisce
accogliendo l'imperativo di Cristo il quale tende a produrre creativamente
quanto esprime. La chiesa si ritrova allora convertita, stimolata, consolidata,
purificata, secondo quelle che sono le sue esigenze specifiche emerse nel
giudizio. Qualunque sia stata la situazione all'inizio di questo incontro con
Cristo - positiva, negativa, mediocre - la chiesa, ora, è e si sente diversa:
convertita, stimolata, in ogni caso migliore di prima."
Se si valuta lo schema letterario delle lettere non isolandolo in se stesso,
ma nell'impatto che ha quando e mentre viene ascoltato, secondo le reazioni
che abbiamo indicato. appare anzitutto il suo genere letterario: è una trafila
penitenziale. Si comprendono poi la fissità e la variabilità dei sei elementi che
costituiscono lo schema. I primi quattro punti esprimono, una volta che il loro
contenuto è Ietto e ascoltato, una trafila penitenziale che si svolge a tappe
successive. Non si può cambiare la concatenazione di queste tappe senza

11
Cf. per un approfondimento dettagliato dell'influsso attivo di Cristo risorto sul gruppo di
ascolto equivalente alle chiese U. VAN"t. La parola efficace di Cristo nelle .{el/ere» dell'Apocalisse,
in RasT (1984) 25, pr. 18·40.

78
alterare sostanzialmente la trafila stessa, rendendola oziosa. Infine, una volta
raggiunto il suo livello di purificazione e tonificazione interiore, la chiesa è in
grado simultaneamente sia di ascoltare, interpretandolo, il linguaggio dello
Spirito che «parla alle chiese>>, sia di collaborare alla vittoria sulle forze ostili
che Cristo sta riportando.
La reazione provocata dalle parole di Cristo si riferisce alle singole chiese
prese una per una. Esse, però, lo abbiamo visto più sopra, si identificano con
quella porzione di chiesa che le esprime e che è costituita dall'assemblea litur-
gica in atto. E questa è, concretamente, il gruppo di ascolto che si sentirà di
volta in volta identificato con questa o quella chiesa, delle sette che vengono
presentate. Alla fine, rinnovato e purificato, il gruppo potrà affrontare la se-
conda parte, nel corso della quale apparirà il senso preciso sia dell'ascolto dello
Spirito sia della vittoria con Cristo che il gruppo ormai è in grado di realizzare.

5. LA LETI1JRA CRISTIANA DELLA STORIA

Con l'inizio della seconda parte dell'Apocalisse Giovanni-ritorna protago-


nista diretto del racconto, senza che questo fatto letterario comporti un
abbassamento di livello. È sempre la voce di Cristo, proprio quella che era
stata udita prima- si sottolinea esplicitamente (cf. 4,1)- che invita Giovanni
a salire al cielo per poter considerare, dal punto di vista della trascendenza
divina, <<i fatti che devono accadere» (4,1). Non si tratta di prevedere sulla
linea del tempo la cronaca degli avvenimenti, ma di interpretare gli avvenimen-
ti che accadranno alla luce della trascendenza. C'è un filo che li lega in
profondità e che appartiene alla logica del piano di Dio, in base alla quale gli
avvenimenti «devono» ( ÒEi:) accadere.
Come l'autore ci dirà in 10,7, esiste un progetto di Dio, il~J.vcrti)gwv, che
si attua progressivamente nella storia. Dio- precisa 10,7b -lo rivela «ai suoi
servi i profeti». Giovanni è uno di questi: si è qualificato come «Servo» fin
dall'inizio (cf. 1,1) e ha designato il suo libro come «parole di profezia» (1,3).
A contatto con lo Spirito, chiamato «Spirito di profezia» (cf. Ap 19,10b), egli
potrà cogliere la rivelazione da parte di Dio di cui è oggetto e che, accolta,
diventa la «testimonianza di Gesù» (cf. 19,10) da esprimere agli altri.
Qual è il contenuto di questa rivelazione-testimonianza? Vengono
indicate alcune modalità generiche del piano di Dio che si attua nella storia,
come la progressività, lo sviluppo dialettico in uno scontro a vicende alterne tra
forze positive e negative con la vittoria finale delle forze posiÌive, il tutto sotto
l'influsso dell'onnipotenza di Dio applicata alla storia da Cristo risorto. In più
vengono manifestate a Giovanni delle categorie interpretative da applicare alle
varie situazioni concrete del divenire nella storia. Egli le condensa nelle sue
visioni simboliche. Riguardano- per citare qualche esempio e precisare -il
quadro globale della storia come scontro tra la forza immessa. in essa da Cristo
risorto e le forze contrapposte: la violenza, l'ingiustizia sociale, la morte (cf.
A p 6, 1-8); lo stato che si fa adorare e la propaganda che gli dà vita (cf. A p 13,1-18);

79
la convivenza consumistica che taglia i ponti con la trascendenza e si chiude in
un'immanenza autodistruttiva: è la figura di <<Babilonia>> (cf. A p 17-18).
Troviamo il profeta Giovanni tutto coinvolto in questo ruolo di mediazio-
ne: vede, ascolta, dialoga con le figure misteriose degli anziani, si lascia istruire
dall'angelo interprete. La mediazione profetica di Giovanni è diretta immedia-
tamente al gruppo di ascolto. Ce lo indicano alcuni elementi letterari tipici che
esprimono un movimento transitivo dal lettore-Giovanni al suo gruppo di
ascolto e che fanno pressione su di esso. Giovanni, dicevamo, condensa il suo
messaggio in visioni. 12 Ma quello che lui vede personalmente deve essere
<<visto>> anche dal gruppo di ascolto: a doov, <<vidi>> troviamo spesso accoppiato
xal tboiJ <<ed ecco>>, letteralmente <<C vedi>>, indiriaato al gruppo di ascolto.
Oltre poi alla pressione che le visioni fanno sul gruppo di ascolto per la
concatenazione dei loro elementi simbolici i quali richiedono spesso una pausa
riflessiva di decodificazione immediata, elemento per elemento, perché si
possa proseguire la lettura-ascolto," troviamo delle indicazioni indirizzate
esplicitamente al gruppo. Il filo espositivo si interrompe per suggerire su quale
pista il gruppo si deve muovere per comprendere e decodificare il simbolo che
gli viene presentato: così, ad esempio, dopo aver parlato di «sette fiaccole di
fuoco che ardono davanti al trono di Dio» (Ap 4,5), Giovanni soggiunge:
«questi sono i sette spiriti di Dio» riferendosi. con tutta probabilità, allo Spirito
santo nella molteplicità dei suoi doni. Dopo la presentazione dei sette occhi
dell'agnello, Giovanni precisa, dando una chiave interpretativa preziosa che va
nello stesso senso di quella che abbiamo visto adesso: <<questi sono i sette spiriti
di Dio inviati su tutta la terra» (Ap 5,6). Parlando dell'abito di lino splendente
della sposa, Giovanni spiega che si tratta degli «atti di rettitudine operati dai
santi>> (Ap 19.8). L'esemplificazione potrebbe continuare.
È particolarmente significativa per la nostra ricerca l'indicazione che
viene data in 11,8b: Giovanni sta parlando di una convivenza umana (<<Città»)
presentata sotto un profilo di negatività. Il gruppo dovrà identificarla, qualora
esista. nel proprio orizzonte storico, dovrà darle un nome. Giovanni, per
aiutare il gruppo, indica alcune esemplificazioni già realizzate: <<essa si chia-
ma ... So doma ed Egitto, dove anche il loro Signore fu crocifisso». E precisa,
che questa denominazione avviene JtVEVIJ.UtlXWç: da intendere, con tutta
probabilità," «sotto l'influsso dello Spirito». È l'influsso dello Spirito che
qualifica il gruppo ecclesiale per un'interpretazione adeguata.

12
Nel genere letterario apocalittico le (<visioni» sono l'espressione condensata di un fatto più
complesso: comprendono riflessioni, intuizioni, creazioni letterarie, sentimenti, esperienze anche
mistiche dell'autore. Nell'Apocalisse di Giovanni in modo speciale non costituiscono quasi mai un
quadro di insieme che si possa ricostruire visivamente. cr. FoERSTER, Bemerkungen, pp. 225-236
(specialmente a p. 236, dove l'a. tratta dell'aspetto personale delle visioni).
" Cf. per maggiori dettagli sulla strutturazione del simbolo nell'Apocalisse e il conseguente
impatto sul lettore-ascoltatore: quanti abbiamo già notato più sopra, c. Il. pp. 55-59.
•~ Suggerisce questa traduzione l'insistenza sullo «Spirito di profezia» nell'Apocalisse; se ne
ha una conferma in lCor 2.13: l'unica altra ricorrenza di iiVEU!illnxW; nel Nuovo Testamento e che
ha proprio il valore di «Sotto l'inOusso dello Spirito».

80
Ma ci sono dei casi ancora più espliciti. Alcune visioni - specialmente
nella sezione del «triplice segno>>" giustamente riconosciuta come la più
importante della seconda parte - sono espresse in una veste letteraria
narrativa. Il racconto è talvolta interrotto, inaspettatamente, mediante un
richiamo rivolto al gruppo, sia per indicare qual è il ragionamento interpretati-
vo che deve fare e la conclusione a cui deve giungere, sia per sottolineare le
qualità c le attitudini che gli si richiedono. È l'atteggiamento sapienziale di cui
abbiamo parlato nel capitolo precedente. Riprendiamo succintamente alcuni
esempi, studiati là più dettagliatamente, allo scopo di illustrare qui l'attività
richiesta al soggetto interpretante.
In 13,9-10 troviamo, dopo la presentazione del primo [e secondo mostro],
[rispettivamente] lo stato che si fa adorare [e la propaganda che gli dà vita]:

<<Se qualcuno ha orecchio, ascolti (axoucratw):


chi è destinato alla prigionia va in prigionia,
chi è destinato a essere ucciso con la spada
sarà ucciso con la spada.
Qui (ililìE) la perseveranza e la fede dei santi>>.
Nella prima parte dell'Apocalisse la trafila penitenziale delle lettere si
concludeva, abbiamo visto, con lo stesso imperativo- àxoucratw, <<ascolti>>-
rivolto a chi ha orecchio e riguardante il messaggio dello Spirito. Il gruppo di
ascolto, cambiato dall"imperativo efficace di Cristo, aveva la capacità di
eseguire l'ascolto interpretativo che gli veniva richiesto e lo orientava alla
seconda parte dell'Apocalisse. Adesso, proprio nella seconda parte, troviamo
una precisazione interessante: ciò che lo Spirito «dice alle chiese» ed esprime in
un linguaggio cifrato, coincide con le <<Visioni>> di Giovanni, interprete
competente, alla luce dello <<Spirito di profezia>>, della logica profonda del
piano di Dio. 1'
Così tramite lo Spirito, Dio annuncia il «mistero>> del suo piano ai <<Suoi
servitori i profeti>> e, per loro mezzo. anche agli altri cristiani. Ne deriva una
conseguenza importante per il gruppo di ascolto e che riguarda la sua
fisionomia e la sua attività. Deve essere, il gruppo, aperto e docile allo Spirito,
in grado di sintonizzarsi con lui. Potrà allora applicarsi in concreto ad
«ascoltare>>, a interpretare quel messaggio che lo Spirito invia alle chiese
tramite le visioni simboliche di Giovanni. E occorrerà portare l'interpretazione
fino alle sue ultime conseguenze, in un contatto coraggioso con la realtà che si

1
' È la sezione centrale che si svolge da 11,15 a 16,16. È determinata cosl per la rilevanza che
vi acquista il trittico letterario imperniato sul OT)IJ.Eiov che costituisce la struttura portante di tutta la
sezione. Cf. V ANNI, La struttura. pp. 195-202 e 306-308.
" C'è un parallelo interessante in !Cor 2,10-16: quello che l'uomo non può comprendere gli
viene rivelalo da Dio ((attraverso lo Spirito: lo Spirito scruta infatti tutte le cose, anche le
profondità di Dio» (2,10). Si tratta, nel contesto, di «profondità di Dio» riguardanti il suo piano di
salvezza che si attua nella storia.

81
sta vivendo. Nella citazione di Geremia che segue (cf. 13,10) si indica, dopo
che il gruppo di ascolto ha interpretato il simbolo del primo mostro,
un'applicazione concreta: la prigionia, la morte, conseguenza della resistenza
dei cristiani, sono permesse da Dio e vengono ora capite come tali.
A questo punto della trafila che il gruppo sta svolgendo- <<qui>>, a questo
punto del libro - viene eviden:liato un valore di importanza fondamentale.
Nella presa di coscienza, nella lettura, e nell'accettazione del piano di Dio si ha
la «perseveranza>> e la «fede» dei santi. Il gruppo ecclesiale, qualora si trovi a
vivere proprio la situazione indicata nel quadro del primo mostro, sceglierà,
come sua decisione pratica, la perseveranza e la fede.
I santi, così, anche se oppressi dalla prigionia o addirittura messi a morte
hanno, rispetto ai loro antagonisti, una superiorità. Paradossalmente si posso-
no chiamare vincitori, come si può chiamare vincitore Cristo. La vittoria di Cri-
sto, nella prospettiva dell'Apocalisse, è costituita dalla sua passione e dalla sua
uccisione (cf. Ap 4,5-14): da questo deriva la sua capacità di salvezza e di supc-
ramento di tutte le forze ostili. Ne deriva anche specificamente per i cristiani
quella forza, quella energia che ne farà dei vincitori, sempre rispetto alle forze
storiche ostili. Riusciranno a superarle <<a causa del sangue dell'agnello>> (12,4).
Radicata nella passione di Cristo, la vittoria dei santi potrà continuare nella
storia; ma attuerà anche la vittoria di Cristo in senso attivo, con quelle moda-
lità che le circostanze e le situazioni concrete suggeriranno. Si ha così un altro
collegamento con la prima parte e che riguarda direttamente il gruppo di ascol-
to. Dopo la sua purificazione era stato spinto all'ascolto dello Spirito e nello
stesso tempo a impegnarsi ripetutamente in una vittoria che ora inizia a deli-
nearsi nella sua concretezza. Il gruppo comincia così a comprendere come at-
tuare il desiderio di vincere con Cristo e come Cristo, desiderio col quale aveva
concluso la sua esperienza di conversione nella prima parte (cf. Ap 3,21).
Con 13,11 riprende il filo narrativo. Ma lo troviamo interrotto di nuovo
con un appello diretto al gruppo di ascolto in 13.18:
«Qui (wùt) sta la sapienza.
Chi ha mente calcoli la cifra del mostro: è una cifra di uomo.
E la sua cifra è 666>>.
C'è un richiamo a una presa di coscienza: il gruppo ha potenzialmente
una sapienza che esige di essere messa in atto. Ciò avverrà - viene subito
precisato - applicando la propria capacità mentale alla lettura della storia in
cui il gruppo vive. Si è andata delineando nei versetti che precedono la figura
simbolica del mostro. A questo punto del libro- «qui>>, WÙE- il gruppo deve
poter identificare nel suo orizzonte storico se e dove e come vi abbia luogo una
concretizzazione presente della fisionomia, dell'identità simbolica, della <<Ci-
fra>> caratteristica del mostro. Questa cifra, insiste l'autore volendo proprio
provocare il gruppo di ascolto, si trova tra gli uomini, va cercata là. è una cifra
d'uomo. E perché il gruppo abbia un modello di riferimento gli viene indicata
una concretizzazione già avvenuta: la figura dell'imperatore Nerone. Perché il

82
gruppo non lo fraintenda, l'autore esprime questo riferimento universalizzan-
dolo mediante un'artificiosa simboliaazione aritmetica. 17
Tutto questo che il gruppo sta praticando e imparando - la decodifica-
zione del simbolo con l'applicazione sapienziale alla kttura della propria realtà
storica- ci viene sintetiaato in un altro testo particolarmente interessante per
la nostra ricerca: 17,1-17. Ne è protagonista Giovanni, ma, anche 4ui come
altrove, la sua esperienza tende a essere partecipata al gruppo che deve farla
sua. Ce lo esplica un richiamo indirizzato al gruppo, introdotto da una formula
che già conos(iamo: <<Oui- <i>llE, a questo punto del libro -la mente che ha la
sapienza» (17 .9a). Tutto il brano è un esempio dettagliato di come il gruppo
può attuare la sua capacità sapienziale ascoltando lo Spirito che parla
attraverso il simbolo.
Si tratta anzitutto di prendere coscienza del simbolo, di accettare il contatto
con esso. A questo punto il simbolo espresso nella <<Visione>> si mette in movimen-
to. Come un sogno profetico che non può rimanere senza una spiegazione, il
simbolo fa pressione, quasi chiede di essere interpretato. L'autore denomina il
simbolo, messosi cosi in moto, come f.lUcm'JQLOV (17,5). Lo aveva fatto anche
all'inizio del libro (cf. 1,20). Si riferisce, oggettivamente, al piano di Dio che si
compie nella storia e che è stato mediato profeticamente sotto l'influsso dello
Spirito da Giovanni e 4uasi racchiuso nel simbolo. Ora che il simbolo viene in
contatto col gruppo, anch'esso animato profeticamente dallo Spirito e desideroso
di capirne il messaggio, il piano di Dio diventa un enigma che esige una decodifi-
cazione, premendo in questo senso sul soggetto interpretante.
Prendendo coscienza del simbolo. ancora non decifrato in dettaglio, ma
carico di un significato di questa portata, Giovanni è preso da stupore: <<E mi
stupii di grande stupore>> (17 .6b ). Lo stupore portando Giovanni al di fuori
degli schemi usuali gli dà quell'apertura interiore che gli permette di accogliere
il simbolo con tutta la sua forza di pressione verso una decodificazione
completa e un'applicazione pratica. E Giovanni aiutato dall'angelo interprete
potrà comprendere l'una e l'altra. Interviene l'angelo: «Perché ti stupisci? Io ti
dirò il f!UO'tTJQLOV ... >>. L'angelo indica prima alcuni tratti di decodificazione
(17 ,8); poi spinge Giovanni sulla linea della concretezza storica, alla 4uale
dovrà essere applicato Io schema desunto dal simbolo (17,9-18).
L'esperienza di Giovanni è transitiva come abbiamo già visto più sopra.
Rivissuta dal gruppo ecclesiale riassume la reazione del gruppo nella seconda
parte dell'Apocalisse: in contatto con lo Spirito, aperto all'imprevisto profetico,
dovrà accogliere il simbolo con tutta la carica di stimolo che esso possiede,
interpretarlo, cercare di applicarne il messaggio alla realtà storica in cui vive,
trarre le conclusioni operative che tale applicazione suggerisce. Così, ascoltando
questo messaggio dello Spirito, si preparerà a vincere le forze ostili con Cristo.

17
Cf. sopra, c. II, p. 52, nota 53, c. III, p. 81, nota 16.

83
6. <<CHI ASCOLTA DICA: VIENI!>> (22,17):
L'ATTEGGIAMENTO CONCLUSIVO DEL GRUPPO ECCLESIALE DI ASCOLTO

La conclusione dell'Apocalisse (22,6-21) ci presenta di nuovo un dialogo


liturgico. Il fatto ci riporta al dialogo liturgico iniziale (1.4-8), nel quale è
emerso come protagonista il gruppo ecclesiale di ascolto che risponde al
lettore. Ci aspettiamo di ritrovarlo ed è quanto di fatto si verifica, ma con una
differenza letteraria rilevante. Il dialogo liturgico iniziale si svolgeva tra il
lettore e il suo gruppo di ascolto. Alla fine - cf. Ap 1,8- Dio stesso veniva
introdotto a parlare in prima persona ma come negli oracoli profetici dell'/\ T.
Il dialogo liturgico conclusivo, invece, è multiplo: vi intervengono i vari
protagonisti dell'esperienza ormai conclusa: Giovanni, l'angelo interprete,
Gesù, l'assemblea liturgica animata dallo Spirito. Il dialogo è condotto dal
lettore-Giovanni, ma i singoli protagonisti intervengono anche direttamente e
inaspettatamente, rendendo talvolta difficile l'attribuzione precisa delle varie
parti."
Qual è la reazione tipica del gruppo di ascolto in questo dialogo
conclusivo? Ce lo indica chiaramente Giovanni in 22,17: «chi ascolta: (ò
àxouwv) dica: "vieni!">>. Questa espressione si ricollega manifestamente a
quella corrispondente del dialogo liturgico iniziale: «coloro che ascoltano>> (o[
axouovw;, 1,3), e la riprende. Lo stesso tipo di dialogo tra un lettore e il suo
gruppo di ascolto, iniziato in 1,4-8, si sta ora concludendo. Ciascun componen-
te del gruppo ecclesiale di ascolto è invitato a invocare la venuta di Cristo. Ma
l'espressione è in parallelismo sinonimico con un'altra che la precede immedia-
tamente e la illumina: «E lo Spirito e la fidanzata (~ VU!-'<pt]) dicono: "vieni!">>.
Il gruppo di ascolto è denominato «fidanzata>>. L'immagine, presa dall'Antico
Testamento, viene particolarmente sviluppata nell'Apocalisse. Il gruppo di
ascolto si sente legato all'amore di Cristo, che lo ha preso fin dall'inizio (cf.
1,5b). Vorrebbe corrispondervi pienamente, ma sa di trovarsi ancora in una
fase di maturazione e di crescita. Solo nella fase escatologica la «fidanzata>>
diventerà la <<donna>> dell'Agnello (cf. Ap 21 ,9). Ma, anche in questa fase di
crescita, il gruppo si sente animato dallo Spirito e in sintonia con lui: il suo
«Vieni!>> rivolto a Cristo è fatto proprio dallo Spirito al punto che diventa
un'invocazione unica.
Questo dettaglio è significativo. Il gruppo che ora è invitato a invocare la
venuta di Cristo è il gruppo che, qualificato nella prima parte per un ascolto
adeguato dello Spirito, ha cercato di eseguirlo nella seconda sul filo della
manifestazione profetica. Il riferimento alla venuta di Cristo dà, così, una
prospettiva a tutto il lavoro compiuto e all'impegno nella vittoria insieme a
Cristo. Ma seguiamo il dialogo nel suo svolgimento. All'inizio Giovanni

18
Cf. V ANNI, La strunura, pp. 299-300.

84
ricapitola l'esperienza fatta sotto l'influsso dello Spirito (22,6). A questo
punto, inaspettatamente, interviene Cristo che, parlando in prima persona,
annuncia la sua venuta. In questa prospettiva precisa le <<parole di profezia»
(22,7), ascoltate e assimilate, dovranno essere mantenute. Il gruppo di ascolto,
infatti, ritornerà a contatto con la realtà storica dalla quale si era isolato
momentaneamente proprio per fare la sua esperienza. Ritroverà la situazione
di prima: il male e il bene si scontreranno ancora (cf. 22,11).
La storia è fatta di bene e di male, sempre in antitesi irriducibile tra di
loro. L'antitesi continuerà e ci sarà alla fine una prevalenza escatologica del
bene. Intanto, agli occhi del gruppo ecclesiale, la storia attuale con cui esso si
trova in contatto appare protesa verso Cristo. Il male ne costituisce come
un'immagine rovesciata; è un'assenza, un vuoto, una lacuna rispetto alla
presenza rinnovatrice di Cristo. Anche il bene, che pure esiste ed è
riscontrabile nella storia, è in fase di sviluppo e tende verso Cristo, di cui
costituisce un'attuazione parziale che tende a diventare completa.
Cristo, intervenendo di nuovo nel dialogo in prima persona, accoglie
quest'aspirazione della storia: <<Sì, vengo presto ... ». E lui, Cristo, costituirà il
punto di arrivo ('tò TÉJ,oç, <<la conclusione») della storia stessa (cf. 22,12-13). Il
gruppo, ascoltando, ne prende atto. Il dialogo, sviluppandosi, si sposta sul
gruppo di ascolto. Per dare il suo contributo alla vittoria di Cristo sul male e
prepararne così la venuta, dovrà mantenersi a quel livello di sintonia con Cristo
e lo Spirito raggiunto nella trafila penitenziale. Ciò comporta una purificazione
continuata e l'attenzione a difendersi dall'influsso del male che lo potrebbe
ancora raggiungere (cf. 22,14-15). La purificazione è stata e continua a essere
opera di Cristo e il dialogo si sposta spontaneamente su di lui, di nuovo
introdotto a parlare in prima persona: <<lo, Gesù, mandai il mio angelo a
tcstimoniarvi queste cose sulle chiese. Io sono la radice e la discendenza di
David, la stella luminosa del mattino» (22,16).
La testimonianza di Gesù <<Sulle chiese>> riguarda sia la purificazione
penitenziale sia la rivelazione fatta loro del senso concreto della storia. Il
messaggio di Cristo <<testimone fedele» (Ap 1,5), veicolato dallo Spirito sia
nella sua espressione simbolica scritta sia nell'interpretazione al vivo che ne fa
il gruppo ecclesiale, diventa una testimonianza recepita. La storia è in
movimento verso la sua conclusione, che potrà essere ancora lontana. Ma la
presenza di Cristo, che il gruppo sente e accoglie, fa intravedere il punto di
arrivo. Siamo al primo mattino che porterà alla pienezza della luce del giorno.
Il gruppo si rende conto di tutto questo. La gioia iniziale gli fa presagire il
giorno pieno e allora invoca la venuta di Cristo che realizzerà questa pienezza
(cf. 22,17).
È la situazione con cui il gruppo ritorna nella sua vita di ogni giorno.
Dopo avere preso atto dell'intimazione severa a non togliere o aggiungere
niente di quanto ha ascoltato nel messaggio che gli è stato presentato (22,18-
19), e che riguarda proprio il gruppo di ascolto e i suoi singoli componenti
(<<Testimonio a ciascuno che ascolta», 1taVTi T~ àxo1•ovn: 22,18), il gruppo

85
ritorna a quello che è, ormai, il suo atteggiamento di fondo: aspirazione alla
venuta di Cristo, preghiera perché si realizzi, fiducia piena che la realizzazione
ci sarà: <<Dice colui che testimonia questo: "Sì, vengo presto". "Amen, vieni
Signore Gesù!">> (22,20).
Sono le ultime parole del gruppo di ascolto e ne sintetizzano felicemente
l'atteggiamento e le caratteristiche che abbiamo studiate. In un contatto
sempre rinnovato con Cristo, stimolato dallo Spirito e in un contesto
squisitamente liturgico, il gruppo ecclesiale si purifica, interpreta profetica-
mente la sua storia e, constatandovi un risucchio molteplice verso Cristo,
prepara e invoca la sua presenza piena.
L'assemblea liturgica ci appare, così, come la protagonista attiva di tutta
l'esperienza che il libro intende e riesce a provocare. L'esegesi dovrà tenere
debitamente conto di questa intenzionalità dinamica presente ovunque.
L'autore, quasi per sottolineare ulteriormente questo aspetto, colloca l'espe-
rienza di Giovanni e quindi anche quella del lettore e del gruppo di ascolto, nel
quadro espressamente liturgico del <<giorno del Signore>>. È quanto vedremo
nel prossimo capitolo.

86
capitolo V

L'assemblea liturgica si purifica e discerne


nel «giorno del Signore>> (A p l, l O)

l. INTRODUZIONE: IL PROBLEMA

L'espressione <<giorno del Signore>>' ricorrente in Ap 1,10 (br -rfl KlJQtaxfl


~llÉQçt) acquista, anche a una prima lettura, un rilievo tutto suo. Rientra nel
quadro delle circostanze concrete, scelte e determinate dall'autore con molta
accuratezza, secondo uno schema desunto dall'Antico Testamento,' per
descrivere l'evento della sua vocazione profetica.
Giovanni' si trova nell'isola di Patmos. Relegato, emarginato dall'attività
cristiana normale, si sente in comunione con tutti i suoi fratelli (6 aÒEÀ!fJÒç
Uj.!ÒJV xal auyxmvwvoç: 1,9), ai quali comunicherà il suo messaggio e la sua
esperienza.
Quest'insieme di dati trova anche una puntualizzazione cronologica
precisa: tv Tfl KUQtaxfl ~!!ÉQçt. Viene spontaneo chiedersi: perché questa
indicazione cronologica? Che posto occupa tra le altre indicazioni notate? Qual
è il suo valore preciso?

2. I VARI SIGNIFTCATI PROPOSTI: IL <<GIORNO DI JHWH>>

La risposta a questa serie di domande non è semplice: a renderla


complicata contribuiscono da una parte il fatto che l'espressione, unica in tutto
il Nuovo Testamento, trova solo nella letteratura cristiana primitiva dei
1
Per una bibliografia specifica, cf. C. W. DuGMORE, Lord's Day and Easler, in Neotestamen-
lica ti Palrisrica. Festsch. 0. CuLLMANN, Leiden 1962, pp. 272-281; G. CAMPS, Patmos, in DBS,
VII, col!. 74-81; S.Y. McCASLAND. The Origin of lhe Lord's Day, in JBL (1930) 49, pp. 65-82; W.
RoRDORF, Der Sonnlag, Ziirich 1962 (analizza A p l, IO a pp. 203-212; tradotto in francese, spagnolo
e italiano); W. Srorr, A Note on the Word KYPIAKH in Rev 1,10, in NTS (1965-66) 12, pp. 70-75;
K.A. STRANO, Another Look al «Lord's Day» in 1he Early Church and in Rev 1,10, in NTS, (1966-
67), 13, pp. 174-181.
' Lo schema soggiacente è quello che ritroviamo particolarmente in Daniele 10,2-9. Esso si
articola in quattro parti; indicazioni di tempo e di luogo (cf. Dn 10,2-14). manifestazione di un
essere trascendente (cf. Dn 10,5-8), reazione di debolezza da parte del protagonista umano (cf. Dn
10,9), incarico o missione (cf. Dn 10.10-14). Si ritrova anche nella trasfigurazione.
1
Intendiamo con ''Giovanni" il protagonista che parla in prima persona nel corso del libro,
prescindendo dalla questione dell'autore reale.

87
paralleli, che non mancano di porre a loro volta problemi di interpretazione.
Anche il termine xugtax6ç ricorre solo un'altra volta in tutto il NT, quando in
l Cor 11,20 Paolo parla della <<cena del Signore>> (xugwx6v c5Eirrvov).
Non fa quindi meraviglia che, con questa scarsezza di documentazione e
di possibilità di confronto diretto, le opinioni a proposito dell'interpretazione
di XliQLUX~ ~flÉ(la siano ancora notevolmente discordi. Le riassumiamo in uno
sguardo panoramico e sintetico che ci permetterà una focalizzazione più esatta
del nostro problema e delle soluzioni che esso, allo stato attuale degli studi,
lascia intravedere.
La presenza così rilevante dell' AT nell'Apocalisse e - per così esprimer-
ci - il sapore letterario veterotestamentario che essa manifesta ad ogni
versetto non poteva non suggerire una linea di interpretazione: XliQLUX~ ~~ÉQU
non è forse equivalente a ~~ÉQa mù xug(ou, che nei LXX, rende lo yom
Yhwh?' Il suo significato, allora, sarebbe quello di un intervento giudiziale e
conclusivo di Dio nella storia. L'autore dell'Apocalisse si troverebbe a vivere
di persona l'intervento giudiziale di Dio che poi descriverà nel suo messaggio.
Questa interpretazione sembra trovare una conferma proprio nell'uso
dell'Apocalisse: in 6,17 e 16,14 il grande giorno, ~~ÉQa ~ ~EyétÀYJ si riferisce
senza ombra di dubbio all'intervento risolutivo da parte di Dio nella storia
della salvezza.
Ma le ragioni in senso contrario hanno un peso notevole, forse determi-
nante. C'è una differenza fondamentale di contesto: in 1,10 !"autore sta
parlando della propria esperienza profetica, la quale appare chiaramente
distinta dal messaggio che egli esprimerà dopo. Negli altri due brani ~~ÉQU ~
~EyétÀI'] rientra nel contenuto del messaggio. I due aspetti - esperienza
personale e messaggio - non possono essere messi senz'altro sullo stesso
piano, dato che l'autore distingue accuratamente le due fasi. Inoltre, sempre a
proposito del parallelo tra~ ~~ÉQU wù xug[ou dei LXX, xugtax~ ~~ÉQU di Ap
1,10 e ~~ÉQa ~ ~cyétÀI'] di Ap 6,17 e 15,14 le differenze non sono meno
significative delle somiglianze. Basta uno sguardo sinottico per rilevare come si
raggruppino spontaneamente la ~~ÉQa wù XliQlOU dei LXX da una parte, e,
dall'altra, ~ ~~ÉQa ~ ~cyétÀI'] ... airrwv (Dio, l'Agnello) di Ap 6,17 e tijç
~cyétÀI']ç ~~Égaç toù l'twù rravmxgé~togoç di 16,14: la chiara somiglianza
contestuale e la stessa costruzione grammaticale (~~Éga col genitivo riguardan-
te Dio) mettono le due espressioni dell'Apocalisse sullo stesso piano deii'~~É­
QU wù XliQiou dei LXX.' Kugtax~ ~~ÉQU rimane linguisticamente isolata e

' Le sedici ricorrenze di yom Yhwh nella Bibbia ebraica sono sempre rese dai LXX con
fJ!JiQa XUQ[ou (cf. ls 13,6.9; Ez 13,5; Gl1,15; 2,1.11; 3,4; 4,14; Am 5,1H.IH.20; Abd 15; Sof 1,7.14;
Mal 3,23). KUQLax6; ricorre solo in 2Mac 15,36 (A).
5
Tanto più che nei LXX si trova anche qualche espressione simile a quella usata
dall'Apocalisse nei due contesti giudiziali che abbiamo indicati. Si ha, per esempio, in Sof 2.2: ltQÒ
toU bn).Jh:iv tcp'\.!1.ulç ~f..I.ÉQUV itujJ..OÙ XUQlou, e in 2,3; Orrw; OXE:-rnoHf]tf Ì:"V ~)..tf(Jq Ò('YlÌ; XUQ(ou.
Le due frasi sono molto vicine a A p 6,17: Otl ~À\~fV Tj Tj~ÉQu Tj ~Fyaicrpijç ÒQyi]ç a1miiv.

88
proprio questa sua peculiarità suggerisce un significato diverso da quello inteso
dall'autore in 6,17 e 15,14 e che avrebbe potuto esprimere facilmente anche qui
ponendola al posto del difficile XUQLUXTJ.
Resta il problema: qual è il valore di XUQLaxl) l'J!lÉQa distinto da quello di
TJ!!ÉQU tOU XUQ[ou?

3. È IL GIORNO DI PASQUA

Un a seconda linea interpretativa riferisce XUQLaxi) esplicitamente a


Cristo. E il giorno di Cristo per eccellenza è quello di pasqua: <<Il giorno del
Signore in Ap 1,10 certamente non indica una domenica qualsiasi ... ma il 16 di
Nisan>>, afferma recisamente A. Strobel.' Gli indizi di tipo pasquale non
mancano nel nostro contesto immediato, anche a prescindere dalla complessa
questione storica. La <<Visione>> di Cristo di 1,12-18 ha tutta un'impronta
pasquale che, quando Cristo dichiara di aver esperimentato la morte, ma di
essere ora <<il vivente>> (v. 18), viene esplicitata e accentuata. L'affermazione di
H. Kraft che il riferimento alla domenica di pasqua ha una verosimiglianza di
circa il 2% appare, nel suo umorismo sforzato, troppo recisa;' ma bisogna
ammettere che gli elementi pasquali, presenti e chiari nel contesto immediato,
rimangono ancora generici rispetto all'identificazione di una festa cosi specifica
e di rilievo come fu sempre la pasqua. E anche il parallelo della nostra
espressione con Didaché 14,1 - di cui parleremo subito - non si può
intendere che forzatamente in senso pasquale.'

6
«Der mit Situationsangabe genannte Termin, nAmlich "Tag des Herm" meint doch gewiss
nicht nur irgendeinen gewohnlichen Sonntag (wie merkwtirdig unprazis pl6tzlich 1). sondern den
16. Nisan. Das erhartet der iilteste Sprachgebrauch von ~ xugtax~ bis zur Gewissheit und nicht
zuletzt die die Kapitel I bis 22 gestaltende Passatheologie der Apokalypse. "Unser Herr, komm'"
- das ist die Bitte, welche in Besonderheit zur Eucharistfeier der Passanacht gehbrt (Did.
10.6) ... und erst recht im heiligen Erleben der eschatologischen Dimension des Festes wiihrend der
Osterzcit selbst (Ap 22,20)», A. STROBH. Die Pa.ua·Erwarrung als urchrisrliches Problem in Le
/7,20. in ZNW (1958) 49, pp. 157-196.
~<Die
7
Wahrscheinlichkeit, dass Johannes in unserem Text den Osternsonntag meine, wie
manche vermuten, ist rund 2%» (H. KRAFr, Die Offenbarung des Johannes, Ttibingen 1974, p. 43) .
.~ Il riferimento alla pasqua è sostenuto con particolare insistenza da Dugmore. Il giorno
della risurrezione- sostiene il Dugmore- è anche giorno di giudizio, perché con essa si inizia il
giudizio escatologico di Dio. La risurrezione porta quindi a compimento il (<giorno del Signore))
dell'A T. Quanto viene detto in Const. Ap., V, 19,3 descrive la pasqua como giorno del Signore
(ht<pWOXOU<TI); f!Li't; oaj3j3énOU, ~n; tm\ XUQlOX~, Ò;cÒ É<mÉga; EW; OÀE1<toQOijJWVLO;).
D'altra parte l'espressione f!l)Y.Étt ouflflat[~ovr:Eç di s. Ignazio di Antiochia (Ad Magn. 9,1)
va intesa nel senso globale di un superamento del giudaismo sotto l'aspetto legale e non sotto
quello rituale. Quindi. conclude l'autore: «What Jay coulJ be more fitting for him (John) to
experience a vision of the Risen and glùrified?,. (Lord's, p. 277). Gli indizi su cui si basano i
riferimenti della risurrezione nel contesto immediato sono troppo generici perché si possa parlare
di una celebrazione liturgica. K.A. Strand, che pure guarda con simpatia alla tesi di Dugmore, è
obbligato ad ammettere: <<Now to sum up: Dugmore's thesis that "Lord's Day" refers in the
earliest instance to an Easter Sunday rathcr than a weekly Sunday is indeed plausiblc [or early
Christianity in generai, but cannot be applied to Rev 1,10» Another, p. 180).

89
4. È LA DOMENICA CRISTIANA

C'è una terza interpretazione che- anche per la possibilità di valorizzare


gli elementi validi della seconda - è la più comune: xugwxi] l]~Éga è,
semplicemente, la domenica, il primo giorno della settimana cristiana, che
commemora e celebra la risurrezione di Cristo: si tratta di una terminologia e
di un uso religioso già diffusi verso la fine del I secolo e l'inizio del secondo.
Giova un breve approfondimento analitico.
L'accenno generico a una periodicità settimanale di 1Cor 16,2 (xatà ~(av
oa~~atou i:xuotoç u~<ilv nag' Éautcj) nl'tÉtw th]oaugi~wv)' si fa più specifico
in At 20,7 (Ev OÈ tfl ~L~ t<ÌJV oa~~atUJV 01JVT]WÉYWV l]~<ilv xì..aom agtov):" è
il giorno dell'assemblea, il primo della settimana.
All'inizio del secondo secolo o fine del primo, troviamo in Didaché 14,1:
<<Riuniti nella domenica del Signore (xatà XUQLUX!ÌV ot xug[ou) spezzate il
pane e rendete grazie dopo aver confessato prima i vostri peccati>>. E in s.
Ignazio di Antiochia: <<dovremo non guardare più al sabato (~T]XÉn oa~~at[­
~ovtEç), ma vivere secondo la domenica (xatà xugwxi]v ~<iJvtEç) giorno nel
quale spuntò l'alba della nostra vita per grazia del Signore e merito della sua
morte» (Ad Magn. 9,1).
L'uso e il nome nonché un riferimento alla risurrezione di Cristo vengono
confermati da s. Giustino (Apol. 67,7) e dalla Lettera di Barnaba (15,9). 11
Confrontando questi testi con Ap 1,10 emerge un movimento linguistico,
tra una terminologia ancora legata al giudaismo (J.tiav oa~~atou; J.tL~ twv
oa~j3atwv), alla xugwxl] cristiana. S. Ignazio di Antiochia, oltre che mostrarci
il punto di arrivo di questa rapida evoluzione linguistica, ci fa toccare con mano
il passaggio dal giudaismo al cristianesimo: ~T]XÉn oa[lj3ati~ovtEç" àì..ì..à xatà
xugtuxi]v ~<ÌlvtEç (Ad Magn. 9, l). Didaché 14, l ci mostra questa evoluzione a
un livello talmente avanzato da considerare xugtaxl] come semplice designa-

' Non si tratta esplicitamente in ICor 16,2 dell'assemblea liturgica. Tuttavia, come nota
giustamente H. Conzclmann: «Auch wenn die Sammlung nicht wahrend der Gemeinde-
versammlung erfolgt. wird man aus tlieser Datumsangabc crschliessen diir[en, dass der Sonntag
bereits der Versammlungstag ist» (Der ewe Brief an die Corinther, Ttihingen 1969, p. 354).
10
Più esplicita e chiara, per quanto riguarda il contenuto e l'articolazione, è la menzione del
«primo giorno del sabatO» (oa~~OtoV, oaflflum può indicare sia il singolo giorno de) sabato che
tutta la settimana). «"Am ersten Tag der Woche" (oa~~ata) gilt · neben I Kor 16,2 (und Offb
1,10?) als crste Erwahnung der Sonntagsfeier, schliesst aber tagliches Begehen des "Brotbre·
chens" ... nicht aus» (E. HANCHEN, Die Apostelgeschichte, Gottingen '1959, p. 517).
11
CL per una valutazione aggiornata sono il profilo storico di questi testi, S. BACCHtOCCHt,
An Examination of the Biblica/ and Patristic Texts of the First Four Centuries to Ascertain the Time
and the Causes of the Origin of Sunday as the Lord's Day, Roma 1975, pp. 89·115.
12
M7]xÉn craf..~at"(~ovtEç non può essere inteso come un'allusione soltanto generica al
superamento del contesto giudaico, come sostiene Dugmorc (cf. nota 8). Anche se il verbo
presenta una gamma di significati sorprendentemente vasta (cf. LAMPF., A Patristic greek Lexico",
s.v.), nel nostro contesto l'opposizione tra giudaismo e cristianesimo è articolata proprio sul
contrasto delle due feste caratteristiche (!lT]><Én aa[l~a,[~ovTEç, à)J.,à xa'à xvgwxi)v ~WVTEç) Cf.
BACCIIIOCCHI, An Examination, p. 90.

90
zione lessicale del giorno dell'assemblea e sentire quindi il bisogno di indicare
con l'aggiunta sorprendente di xug(ou un allaccio più esplicito al Signore: xmà
Xl'QLUXftV XUQLOU.
L'espressione di Ap 1,10 si situa, anche cronologicamente tra l'espressio-
ne ebraicizzante di 1Cor e Ate la designazione sostantivata e lessicalizzata di s.
Ignazio di Antiochia e della Didaché: tv <ii XUQLaxji ftf.IÉQ\X non ha più traccia
del riferimento al sabato ebraico, e, d'altra parte, l'aggiunta di ft[.lÉQa fa
pensare che non si è ancora raggiunto il livello usuale del semplice xugwxl].
Si impone allora, sul piano della diacronia linguistica, una conclusione:
xugtaxij Ttf.lÉQa si riferisce, nell'Apocalisse, come in lCor e in At, in s. Ignazio
di Antiochia e nella Didaché al giorno dell'assemblea cristiana. La sua
formulazione la colloca in una fase di evoluzione linguistica in cui il valore
aggettivale di xugtaxl] conserva la sua specificità semantica.
C'è da aspettarsi quella freschezza di significato che ha un termine o
un'espressione quando emergono in un sistema linguistico e non sono ancora
logorati dall'uso. Non può essere una formula vuota. 11

5. IL CONTAITO CON LO SPIRITO NEL GIORNO DI DOMENICA

Ma, con tutto questo, non abbiamo che tentato di chiarire un preliminare.
Resta sempre - anzi emerge più chiaro - il problema di fondo: che valore,
che significato ha agli occhi dell'autore dell'Apocalisse questa indicazione del
giorno dell'assemblea cristiana collegato con Cristo e la sua risurrezione? Che
cosa ci vuoi dire l'autore con questa precisazione?
Lo stile raffinato ed evocativo dell'Apocalisse non ci permette di conside-
rarla un'indicazione cronologica marginale che potrebbe anche essere omessa.
Esaminiamo più da vicino il contesto. Le indicazioni concrete dell'espe-
rienza profetica di Giovanni sono articolate in una coordinazione sintattica
che, senza essere del tutto inusitata, ha una sua peculiarità da cui deriva
un'indicazione esegetica. Vediamo il testo:
tyw 'IwaWTJç
6 aòEA<pòç Uf.lÒ>V xat <JUYXOLvwvòç
tv Tji 1'tAl1pEL xal ~amAEi<;t xal UJtO[.lOVji tv 'Il]ooù
ÉyEVO[.ll]V Èv Tfj vijmp Tfi XUÀOU[.lÉVfl Oétl:[.l(fl
ÒLà 1:Òv Myov wù l'twù xaì TftV [.l!l(JTUQ[uv 'll]CJOÙ,
ÈyEVÒ[.tl]V EV JtVElJf.lUTl tv l:fl XUQtaXfi ft[.lÉQçt.
Io, Giovanni
il vostro fratello
e compartecipe nella tribolazione e regno
e (capacità di) perseveranza in Gesù

n È la linea sostenuta, tra gli altri, da Srorr, A Note, cf. in modo speciale p. 75 e da
RORDORF, Der Sonntag, cf. p. 212.

91
mi trovai (trasportato)
nell'isola denominata Patmos
a causa della parola di Dio
e della testimonianza di Gesù
Divenni nello Spirito
nel giorno del Signore (1,9-10).
I due tyEVOflrJV coordinati asindeticamente riprendono ugualmente ciò
che precede immediatamente. Giovanni si sente fratello di coloro ai quali
indirizza il suo messaggio e in profonda comunione con loro sia quando indica
la circostanza di luogo, sia quando indica quella di tempo.
Restringendo a quest'ultima la nostra attenzione ed esplicitando, abbia-
mo che il <<giorno del Signore>> è collegato con un dialogo liturgico. Ce lo dice il
pronome UflÙJV <<VOi>>, di 1,9a: continua il dialogo tra il lettore e l'assemblea che
ha luogo in l ,4-8."
Inoltre: sia à6Ekc:p6ç che <TU)'XotVOJV6ç trovano un aggancio esplicito con
l'assemblea liturgica. Sono, i cristiani riuniti in assemblea, dei fratelli che
esprimono ed esplicitano insieme la loro unità la loro ltaLvwvla, prendendo
coscienza - proprio come nel dialogo liturgico che precede il nostro contesto:
cf. 1,6a- della loro potestà regale, una responsabilità che rimane piena anche
in uno stato di tribolazione e nello sforzo della perseveranza: Èv Tii 1}}.l1jJEL xat
~aoLÀElçt xal UJtOflOVii tv 'lrJoou (Ap 1,9). Giovanni si sente insieme (ouv) ai
suoi fratelli riuniti.
Non solo. Giovanni, col secondo ÈyEVOflrJV che forma una sola proposizio-
ne con l'indicazione del giorno del Signore, ci dice che proprio in quel giorno fu
come preso dallo Spirito: ÈyEVOflrJV Èv JtVEUI-WTL Èv tii XUQLaxfl ~flÉQçt. Non si
tratta di una semplice situazione estatica estracorporea, un'estrapolazione
dell'anima dal corpo: tale concetto sembra estraneo all'Apocalisse. 1'
D'altra parte ÈyEVOflrJV indica un certo movimento, non necessariamente
un moto in senso fisico, ma, più genericamente, il passaggio da una situazione
ad un'altra, come mostra l'uso di ylyvo[J.UL nell' Apocalisse. 1' Ma qual è il

" Cf. per un'esegesi dettagliata del testo, Parte seconda, c. I. pp. 1()6.109.
" «Mit tyFVÒfl~V È:V 1tVE1Jf!Otl beschreibt der Verfasser eine physische Erfahrung, die er als
Ergriffenwerden vom hciligen Gei si deulet. Der Ausdruck ... heissl nicht "ich wurde entriickt"»
(KRAFT, Die Offenbarung, p. 42). Già E. Moring, in un articolo dedicato proprio all'espressione,
respingeva l'interpretazione estetica. anche se quella che proponeva poi lui non è apparsa né
troppo chiara né troppo convincente: «Dieses È:V 1tVEUf!01t is hier nichl gelassi als "Oucllenpunkt
ekstatischer Errcgung", ist aucht nicht "eine abgeplante Forme) liir den ekstatischen Zustand",
wie es nichl ein "Beweilen im itVEUf!O·Eiemente" bedeutet...wenn der Apokalyptiker sagl
tyF:Vof!~V tv rrvEUf!Otl, so will er damit sagen, dass er im pneumatischen Zustand, als ein Pneuma,
in dem somatischen Menschen unzug3.nglichen himmlischen Rcgionen enteilt isb>, E. MdRING,
'Fyrv6w1v tv JTVEVftUrL, in ThStKr (1919) 92, pp. 151.
1
" Nelle sue 38 ricorrenze. ylyvol!aL indica sempre nell'Apocalisse un cambiamento rispetto
alla situazione precedente, un passaggio, che viene inteso in modo più o meno radicale, ma che è
sempre indicato dal contesto.

92
passaggio, di cui qui si parla, riferito allo mrru~-ta? L'autore dell'Apocalisse sa
di essere profeta: presenta il suo discorso come un insieme di <<discorsi di
profezia» (1,3); sa di possedere, appunto come profeta, lo «Spirito della
profezia», tò rrvrii~-ta ti]ç ltQOcpTJtELaç (19,10). Lo Spirito della profezia che
anima l'attività di Giovanni non è altro che lo Spirito santo, tò rrvEÙJ.la che
parla alle chiese (2,7.11.17.29, ecc.) ed è, sempre nel vivo dell'ambito
ecclesiale, autore di rivelazioni trascendenti (cf. 14,13). 17
Alla luce di tutto questo, quando l'autore dice ÈyEVOJ.lTJV Èv ltVEUJ.lUtL
indica che tra lui, profeta, che descrive le circostanze della sua chiamata ad
un'attività profetica, e lo Spirito si stabilisce un contatto particolare, nuovo.
Quando si mette a profetare l'autore <<diviene nello Spirito>>, quasi si immerge
in esso, al punto che lo Spirito diventa come l'ambito in cui egli si muove. Ma
tutto questo accade, l'autore Io sottolinea, proprio nel giorno del Signore. C'è
quindi un collegamento tra il giorno del Signore, il giorno dell'assemblea
liturgica della xmvwv[a, e il suo contatto profetico con lo Spirito.
Tale collegamento viene riproposto con l'identica espressione all'inizio
della seconda parte dell'Apocalisse (4,1-2a):
J.lEtà taiita rloov
xaì Looù -fruQa ~VE!JlYJ.lÉVIJ tv tl]l oùQav!]J
xat ~ qJWVlÌ ~ itQWTTJ ~v ijxouoa wç oaì..myyoç
ÀaÀOUOTJç J.lET' ÈJ.lOÙ Ì,Éywv·
avaBa tiJOE )(QL OEI~w OOL & ori yrvÉo-frm J.lETà taiita.
Eùl'l"Éwç ÈyEVOJ.l.TJV Èv ltVEUJ.lUtL.
Dopo queste cose vidi
ed ecco una porta aperta permanentemente in cielo
e la voce, quella di prima
che udii come di tromba che parlava con me,
diceva (proprio cosl):
«Sali qua
e ti mostrerò le cose che devono accadere dopo questo>>.
Subito divenni nello Spirito ...

Quando la stessa «voce di prima>> - quella udita in l, 10 - lo invita a


salire al cielo, per osservare la storia umana dal punto di vista della
trascendenza divina, l'autore dice <<divenni nello Spirito>>. Si ha lo stesso tipo di
contatto con lo Spirito che abbiamo riscontrato in 1,10. Si ha pure una

17 Nel brano discusso di 14,13 è proprio lo Spirito che parla, 'ò rrvEÙf!O. Ma il suo intervento
sembra situarsi in un dialogo, perché appare come una risposta alla voce del cielo che proclama la
beatitudine dei morti nel Signore. Quanto afferma lo Spirito rispondendo. vale nella simultaneità
dell'assemblea liturgica (à;t' agn).

93
continuità con la situazione di 1,10:" ce lo dicono il richiamo esplicito alla
«voce di prima•• e la peculiarità dell'espressione ÈyEvO~T]V Èv rrvEu~atL che
ricorre soltanto in l ,10 e 4,2 rispettivamente all'inizio della prima e della
seconda parte dell'Apocalisse.
All'inizio della seconda parte non vengono ripetute le circostanze, dato
che si ha una continuità con la chiamata profetica della prima (~Età tauta
dùov). ma, data l'importanza della seconda parte, l'autore sente il bisogno,
non appena essa si prospetta (cf. 4,1b), di esprimere il contatto nuovo, tutto
particolare e proporzionato appunto al messaggio profetico della seconda
parte, che egli ha con lo Spirito; l'autore dirà in 17,3 a proposito dell'angelo
interprete: runjvEyXÉV ~E Eiç EQT]~OV Èv llVEU~an; e in 21,10: xai àmjvEyXÉV ~E
tv rrvEu~an bl:i ògoç ~Éya xai U'l'TJÀOV.
Queste espressioni non presentano un fatto nuovo. L'autore, che è già
divenuto Èv rrvEu~an, nelle due ricorrenze di 17,3 e 21,10 si muove sulla stessa
linea in cui si trova. Immerso nello Spirito, preso dalla forza profetica di Dio e
funzionando come tale, l'autore viene prima «portato» (àmjvEyKEV) nel
deserto, il luogo della tentazione e della lotta; dopo viene di nuovo <<portato»
(arr~vEyxEv) su di un monte che, nella sua altezza straordinaria permette
l'osservazione adeguata della meraviglia della Gerusalemme celeste. In tutti e
due i casi l'autore è afferrato dalla forza dell'angelo che lo trasloca: ma il
trasloco, funzionale agli effetti della missione profetica da svolgere, avviene Èv
rrvEu~an, <<in contatto con lo Spirito», nel contesto dello Spirito. L'importanza
particolare del messaggio che l'autore presenta in tutti e due questi brani
giustifica la sottolincatura del contatto, peraltro permanente nell'esercizio
dell'attività profetica, che l'autore ha con lo Spirito."
Si hanno, perciò, due momenti forti, di particolare contatto con lo
Spirito, che l'autore esperimenta nell'ambito <<del giorno del Signore»:
all'inizio della prima (1,10) e seconda parte (4,2) del suo messaggio profetico.

6. LA PURIFICAZIONE NEL <<GIORNO DEL SIGNORE»

Nella prima parte dell'Apocalisse la comunità ecclesiale, riunita nella sua


assemblea, in un clima di forte tensione spirituale - quello che risulta dal
dialogo liturgico iniziale tra il lettore e l'assemblea stessa (cf. 1,3 e 1,4-8)'" - ,
ascolta un messaggio che Cristo le rivolge e che appare articolato nello schema

" Secondo lo schema veterotestamentario al quale il nostro autore si ispira, le circostanze di


luogo e di tempo permangono durante tutto lo svolgimento di una visione anche complessa: cf. Dn
10,1-12,4; in Dn 12,5 troviamo: « ... sulla sponda del fiume ... sull'altra sponda ... •, con un
riferimento manifesto a 10.1.
lY Sono questi i due brani che hanno fatto pensare a un rapimento estracorporeo, espresso
da tv ;tVE\Jilutt. Ma la contrapposizione sottintesa per sostenere il rapimento estracorporeo tra
nvfii~u-ow~a non appare recepita nell'ambiente cullurale dell'Apocalisse.
"' Cf. sopra, nota 14.

94
con cui è costruita ciascuna delle sette lettere. Lo schema letterario esprime
urm trafila penitenziale. La chiesa-assemblea si sente in contatto particolare
con Cristo (n)! Ù'ffÉÀ.CfJ TI;ç ... ÈXXÀTJa[aç ypénjJov): Cristo si presenta e qualifica
(tétbE À.Éyn 6 ... ) con la stessa solennità e terminologia degli oracoli profetici
dell' AT. Poi giudica la chiesa-assemblea, indicando, in un bilancio della sua
situazione, le sue luci e le sue ombre. Il discorso di Cristo si fa particolarmente
incisivo: in una serie di imperativi - prevale llEtav6TJOOV <<convertiti>> - che
tendono a produrre quanto esprimono, Cristo indica alla chiesa ciò che essa
deve mantenere e ciò che deve cambiare.
Così purificata e tonificata, la chiesa-assemblea sarà in grado di percepire
il messaggio che lo Spirito manda in continuazione a tutte le chiese (6 EXWV oùç
àxouaéttw ti tò 1tVEUila Hyn ta"iç ÉXXÀTJa[mç). Impegnata positivamente a
vincere ( 6 VLxmv, n)l VLxmvn o equivalente) con Cristo- il senso e contenuto
della vittoria si chiarirà nella seconda parte del libro - intravede, nelle
promesse di Cristo, la sua meta escatologica e il cammino per giungervi.
Il primo contenuto che l'apocalisse dà al giorno del Signore è proprio
quello di una purificazione-tonificazione interiore. Si ha, con ciò un parallelo
stretto con Didaché 14,1: la prima cosa da fare nel giorno del Signore è una
purificazione penitenziale. Espressa in termini generici e sommari nella
Didaché - V;ollOÀOYTJOcl!!EVOL tà napant<illlata U!JWV (4,1) - trova nel-
l'Apocalisse un'articolazione idealizzata, ma più completa e incisiva.

7. IL DISCERNIMENTO NEL «GIORNO DEL SIGNORE>>

Eù~Éwç tyEV61JTJV f:v nvEUIJUTL di Ap 4,2- come abbiamo osservato più


sopra - indica un contatto particolare con lo Spirito che il profeta sperimenta
in rapporto alla seconda parte dell'Apocalisse. Tale rapporto si mantiene
costante per tutta la seconda parte, come indicano le due riprese (cf. 17,3 e
21,10) di cui abbiamo parlato, e d'altra parte è in continuità esplicita con quello
della prima parte (1,10) e del giorno del Signore in cui esso si situa.
Possiamo - viene da chiedersi - esplicitare e determinare il senso del
rapporto particolare con lo Spirito che il profeta sente a proposito della
seconda parte?
Troviamo una risposta nella linea teologica di tutta la seconda parte
dell'Apocalisse: il gruppo ecclesiale, elaborando il materiale profetico fornito-
gli da Giovanni, deve interpretare la sua ora. Per fare questo il gruppo ha a sua
disposizione una serie di formule di intelligibilità teologica che l'autore
presenta condensate nel simbolo. Tali formule illuminano dal di dentro i fatti
(iì bEi yEVÉa1'tm) che il gruppo ecclesiale sta vivendo. La rt10lteplicità degli
schemi di intelligibilità forniti permette al gruppo di interpretare la propria
storia scegliendo gli schemi appropriati.
Troviamo tali schemi di intelligibilità teologica in tutte le sezioni che
compongono la seconda parte del libro: i tre punti di riferimento orientativi di
tutta la storia concreta, Dio, il libro e l'agnello (cc. 4-5); il quadro delle forze

95
positive e negative contrapposte violentemente tra di loro indicate nei primi
quattro sigilli (cf. 6,1-8); la chiesa simboleggiata dalla donna del <<grahde
segno>> (cf. 12,1-7); lo stato che si fa adorare e la propaganda che gli dà vita
simboleggiati rispettivamente nel primo e secondo mostro (cf. c. 13); la città
secolare chiusa nella sua autosufficienza e nel suo consumismo simboleggiata
da Babilonia (cf. cc. 17 e 18). costituiscono alcuni esempi di questi paradigmi di
comprensione teologica della storia.
Il lavoro che il gruppo ecclesiale è chiamato a fare nei loro riguardi non è
semplice. Si tratta, anzitutto, di interpretare il linguaggio simbolico in cui essi
sono presentati. In secondo luogo il gruppo ecclesiale deve guardarsi intorno e
verificare se e quali entità storiche attuali corrispondono al contenuto degli
schemi decodificati; finalmente, in terzo luogo, si dovranno trarre le opportune
conclusioni operative''
Quest'azione complessa del gruppo ecclesiale è situata nel «giorno del
Signore>>.
Ne segue, allora, una prospettiva nuova e originale, proprio per il giorno
del Signore. La Didaché parla, come secondo elemento tipico del giorno del
Signore. dopo la purificazione dei peccati, dello spezzamento del pane. Non
appare che l'Apocalisse faccia allusioni all'eucaristia nella seconda parte,"
anche se parla esplicitamente della sacramentalità fondamentale della chiesa."
Ma la prospettiva collegata col giorno del Signore e che segue la purificazione è
l'impegno di una lettura sapienziale che l'assemblea-chiesa deve fare della sua
realtà storica.

8. CONCLUSIONE: IL GIORNO DEL SIGNORE


QUADRO IDEALE DELL'ESPERIENZA APOCALITTICA

Dando uno sguardo retrospettivo al cammino analitico che abbiamo


percorso, ci domandiamo qual è il quadro del giorno del Signore che suggerisce
l'Apocalisse.
Il quadro ha una cornice: è la risurrezione di Cristo. Cristo, proprio come
risorto, è presente nell'assemblea-chiesa riunita nel giorno del Signore. E la
qualifica XUQLuxiJ riferita nell'Apocalisse direttamente a lui e linguisticamente
sempre viva, sottolinea proprio la risurrezione. Il giorno del Signore è il giorno
del Signore risorto.

21
Cf. sopra, c. II, pp. 59.
22
Ce ne sono alcune probabili nella Prima parte (cf. 2,17: la «manna nascosta»; 3,20: la cena
insieme). Rordorf sostiene che ><UQtaxit 1\!J.ÉQa in Ap 1.10 deriva da Y.UQtaxòv OEinvov di 1Cor
11,20 (cf. Der Sonntag. p. 218). Ma l'unicità della ricorrenza di ><llQtnx6v in 1Cor 11,20 (a
prescindere da Ap 1,10) non permette un'argomentazione stringente.
23
Si ha una probabile allusione sacramentaria nell'insistenza sull'attingere subito e
gratuitamente all'acqua della vita nel dialogo liturgico conclusivo: 6 Ot1\'ÒlV èQXÉoiiw, 6 1'lÉÀwv
Àapétw uOwQ ~w~ç OWQfÒV (22,17).

96
Il quadro ha un suo sfondo caratteristico su cui si muovono e acquistano
rilievo i particolari: tale sfondo è costituito dall'assemblea liturgica settimana-
le. che è una riunione di xmvwv[a tra fratelli, che si sanno tali e si esprimono in
conseguenza. La chiesa-assemblea, che sarà il grande protagonista interlocuto-
re di tutta l'Apocalisse, è caratterizzata dall'unità, dalla consapevolezza
solidale della propria dignità e responsabilità, dalla tribolazione e dalla
capacità di sopportarla in permanenza.
Su questo sfondo emergono come due scene: anzitutto la chiesa-
assemblea purifica se stessa, sottomettendosi al giudizio risanante di Cristo
risorto; e poi, in questa posizione di chiarezza e di forza spirituale, studia la sua
ora storica, in modo da collaborare validamente alla lotta e alla vittoria di
Cristo.
L'autore dell'Apocalisse si sente chiamato ad animare profeticamente sia
la prima che la seconda scena, sia la purificazione che la lettura sapienziale.
E lo potrà fare perché preso completamente dallo Spirito.
Senza darci delle indicazioni precise e quasi cerimoniali, come fanno la
Didaché, s. Ignazio di Antiochia, s. Giustino, l'Apocalisse invita a ripensare al
giorno del Signore nella sua sostanza, nella carica ideale che esso comporta. Il
giorno del Signore- sembra dirci- sarà davvero tale, qualunque sia la forma
concreta con cui sarà celebrato, se metterà i cristiani in un contatto sempre
rinnovato con Cristo risorto, se li farà sentire uniti e fratelli nella loro
responsabilità, se li porterà a una purificazione permanente e se- nell'intera-
zione dei vari ministeri ecclesiali - li porterà a prendere ripetutamente
coscienza del contributo specifico da dare, nelle circostanze concrete sempre
nuove, allo sviluppo in avanti della storia della salvezza.

97
Parte seconda

ESEGESI
Per avere un'idea adeguata dell'applicazione all'esegesi dei criteri esegeti-
ci espressi nella Prima parte occorre riferirsi a tutto il libro, seguendone il
divenire indicato dalla sua struttura.
Si inizia con la prima parte (1,4-3,22), della quale sono sottolineati i tre
momenti caratteristici: l'assemblea liturgica che si raccoglie insieme, il contatto
col Cristo risorto, il giudizio di Cristo risorto sulle chiese. A questi tre aspetti
corrispondono i primi tre capitoli: <<A p l ,4-8: un esempio di dialogo liturgico>>,
«<l contatto con Cristo risorto: 1,9-16», <<La Lettera a Laodicea: 3,14-22».
Si passa alla seconda parte (4, 1-22,5), suddivisa in cinque sezioni. Della
sezione introduttoria (4,1-5,14) viene preso il brano fondamentale di <<Cristo-
agnello e 5,6-8». Seguono le tre sezioni centrali, rispettivamente dei sigilli (6,1-
7,17). delle trombe (8,1-11,14), del triplice segno (11,15-16,16). Della prima
viene studiato: <<Il terzo "sigillo" dell'Apocalisse (A p 6,5-6) simbolo dell'ingiu-
stizia sociale», della seconda: <<La quarta tromba e l'aquila: 8,12-13», della
terza: <<Apocalisse 12,1-6: la decodificazione del "grande segno"».
Si ha finalmente la sezione conclusiva (16,17-22,5) alla quale si riferisce il
capitolo: <<La novità escatologica attuata (21,1-8)».

100
capitolo I

Ap 1,4-8: un esempio di dialogo liturgico

l. INTRODUZIONE

L'Apocalisse ha una sua dimensione liturgica. È questo, un fatto che


l'esegesi e la teologia biblica dell'Apocalisse possono considerare acquisito,
specialmente dopo gli studi che si sono susseguiti sull'argomento in questi
ultimi anni.'
Ma se il carattere liturgico generale dell'Apocalisse appare fuori discus-
sione, molti dettagli sono ancora oggetto di ricerca: ci si chiede ancora, per
esempio, quale sia la portata reale delle allusioni sacramentali contenute nelle
<<Lettere••.' quale sia il tipo di liturgia - giudaico, cristiano o addirittura di
origine pagana' - soggiacente all'Apocalisse, ecc.
Tra i dettagli in discussione e da approfondire ulteriormente ce ne sono
alcuni di ordine più letterario: ci si è chiesto se nelle dossologie esistano tracce
di inni preesistenti e, in caso affermativo, quale sia stato il loro Sitz im Leben e
perché. L'indagine liturgico-letteraria si è concentrata in modo particolare
sulla pericope 1,4-8 e gli studi di S. Ui.uchli e di P. von der Osten Sacken' hanno
dato un contributo rilevante di chiarificazione e di approfondimento.

1
Segnaliamo, in ordine alfabetico di autore, gli studi più recenti: W.H. BROWNlEE, The
Priesterly Character of the Church in the Apocalypse, in NTS (1959) 5, pp. 224-225; A. CABANISS, A
Note on the Liturgy of the Apocalypse, in Interp (1953) 7, pp. 78-86; G. DElliNG, Zum
gottesdienstlichen Stil der Johannes-Apokalypse, in NT (1959) 3, pp. 107-137; DER OsrEN SACKEN
VoN P., Christologie, Taufe Homo/ogie- Ein Beitrag zu Ape 1,5f. in ZNW (1967) 58, pp. 255-266;
A. FARRER, A Rebirth of lmages. The Making of St. John's Apocalypse, Westminster 1949; K.P.
JoRNS, Das hymnische Evangelium, Giiters1oh 1971; S. L.O.ucHu, Eine Gottesdienststruktur in der
Johannesoffenbarung, in TZ (1960) 16, pp. 359-378; L. MowRY, Revelation 4-5 and Early Christian
Liturgica/ Usage. in JBL (1952) 71, pp. 75-84; PESCHECK, Der Gottesdieml, pp. 496-514; PIPF.R. The
Apoca/ypse, pp. 10-22; PRIGENT, Apocalypse; ScHOSSLER-fiORENZA, Priester.
2
È sostenuta come certa o molto probabile da P. PRIGE-<T per il battesimo o l'eucaristia in
Ap 2,4-5; 2,10b-ll; 2,17; 2,28; 3,4; 3,20-21 (Apoca/ypse, pp. 14-36). BROTSCH, La c/arté, p. 59 si
mostra scettico al riguardo; mentre, per esempio, KRAn, Die Offenbarung, pp. 59, 66, 86-87, ecc.,
interpreta le promesse in senso liturgico, sulla linea del Prigent.
' Accentuano la dipendenza da una liturgia giudaica Pescheck, Farrer, Prigent, ecc.: è
l'opinione più diffusa; insiste su un influsso misterico pagano Van Genncp; ma un'originalità
cristiana non viene sottovalutata e la mettono particolarmente in risalto Piper, Cabaniss, Mowry,
Uiuchli.
• Cf. nota l.

101
Ma proprio di fronte ai risultati di quest'analisi, alla ricostruzione di brani
antichi e all'identificazione dell'itinerario letterario-teologico da essi seguito,
sorge un problema: la formulazione attuale presenta delle caratteristiche
letterarie proprie? Raggiunge, rispetto alle fonti possibili, un livello di
autonomia apprezzabile e rilevabile? Ha una sua fisionomia letteraria?
Ci sembra che si debba dare una risposta affermativa e che si possa
identificare nel genere letterario dialogico-liturgico la fisionomia propria e
caratteristica che il brano l ,4-8 ha assunto nella sua redazione finale.

2. INDIZI DI ETEROGENEITÀ LI!TTERARIA IN AP 1,4-8


Sono note le durezze estreme di costruzione grammaticale che incontria-
mo all'inizio della pericope: &.rr6 seguito dal nominativo: cmò 6 wv 6 ~v xat 6
tgx6f.tEVoç; l'espressione-limite 6 ~v, ecc.
Ma a queste durezze grammaticali si aggiungono alcune durezze stilistiche
ugualmente rilevanti, anche se non sono vere e proprie anomalie; al nominati-
vo 6 w'tgtuç ... 6 rrgwt6toxoç ... 6 iigxwv (!,Sa) segue bruscamente il dativo
t0 àyarrwvn T!f.tii.ç (Sb) che viene prima protratto con xal Àuaavn ~11ii.ç (Sb)
poi bruscamente variato da xal E1tOL1'JOEV ~!lii.ç j3amì..fiav xal trgri:; (6a) e
finalmente ripreso quasi come dopo una parentesi da aut0 lÌ M!;a xaì tò
xgénoç (6b) che conclude regolarmente la proposizione.
La proposizione che segue tòoù egxrtm f.tETÙ twv vrcprì..wv (1,7) con il
suo carattere di oracolo profetico, giunge inaspettata, senza che vi sia alcuna
continuità con quanto precede.
L'ultima sorpresa la riserva la proposizione conclusiva che viene presen-
tata come un oracolo pronunciato da Dio in prima persona: 'Eyw Ei~u tò "Aì..cpa
xal tò TQ (Sa) e questo fatto viene sottolineato esplicitamente dall'autore
À.ÉyEL XUgLOç 6 'frroç (l ,8).
Durezze e forzature grammaticali da una parte, durezze di passaggi,
soluzioni di continuità ripetute e sempre nuove dall'altra: non ci troviamo,
allora, davanti a una congerie eterogenea, che solo in un recupero accurato
della provenienza dei singoli pezzi può sperare di trovare una spiegazione
letteraria e una linea di esegesi? E questa in sostanza è la risposta di S. Liuchli,
di P. von der Oste n Sacken, di E. Schiissler Fiorenza.'

3. INDIZI LEITERARI DI UNITÀ

Altri fenomeni letterari, ugualmente rilevabili, non permettono di


sottoscrivere subito una conclusione del genere.
Notiamo anzitutto che proprio nella zona delle asprezze grammaticali più
urtanti emerge anche un filo letterario molto chiaro, che conferisce ai versetti

' Cf. LÀUCHLI, Eine Gortes, pp. 361-366; DER 0STEN 5ACKEN VoN, Christo/ogie, pp. 255-256;
265-266; ScHOSSLER-FIORENZA, Priester, pp. 180-212.

102
4-Sa un'unità innegabile: il triplice àrt6 che segue il saluto xaQtç ù~-tiv x.at
ELQ~VT]. Proprio la durezza grammaticale del nominativo dopo àrr6 isola
l'espressione ò 00v ò ~v x.at ò EQXO~-tEVoç dandole un certo risalto letterario.
Un fenomeno analogo è riscontrabile nel nominativo anomalo che segue
'IT)crou XQLOWU in l ,Sa: la ricorrenza triplice ò ~-tér.QTuç ò JtLOTOç, ò JtQWTOTOKoç
TWV VEK(JWV, ò agxwv Twv ~aatÀÉwv TTjç yiiç forma una frase unitaria e
solenne, che proprio lo stacco col genitivo precedente isola e mette in risalto.
Il dativo improvviso di Sb '[(jl àyarrwvn viene ripreso e concluso con un
richiamo esplicito, dopo la parentesi di 6a, che lo riprende e lo completa, in 6b:
au'[(jl ~ M!;a.
La forma oracolare inaspettata del v. 7 introduce una proposizione che ha
un'omogeneità sorprendente: troviamo tutti i verbi al futuro: EQXETm ha un
valore di futuro' e l'unico aoristo, E!;Ex.ÉVTr]crav, collegato chiaramente con il
futuro che precede, appare come un'esplicitazione concessiva: x.al oi:nvEç
auTÒv t!;EKÉVTT)aav <<anche, perfino coloro che lo avranno trafitto>>. Il
susseguirsi dei futuri dà a tutta la frase un ritmo scandito e solenne.
L'ultima espressione - v. 8 - presenta anch'essa una sua omogeneità
letteraria. È tutta in fonna di oracolo. Ma, a differenza di quello che precede
immediatamente, l'oracolo è, qui, in prima persona. L'asindeto tra le tre
attribuzioni riguardanti il x.ugtoç ò 1'tE6ç conferisce loro un ritmo letterario
scandito e solenne, che è caratteristico di tutta la frase.
Abbiamo, quindi, quattro piccoli blocchi letterari - 4-Sa, Sb-6, 7-8 -
che, pur con le asprezze grammaticali che contengono, presentano all'interno
di ciascuno un grado rilevabile di unità letteraria.
Ma esiste un qualche legame tra questi quattro blocchi, che, come abbiamo
osservato, si susseguono con una costante di rottura di continuità reciproca?
Alcuni indizi letterari suggeriscono una traccia di schema unitario.'
L'espressione 6 wv x.al 6 ~v x.al 6 ÈQXO~-tEvoç ricorre nel primo e
nell'ultimo dei quattro piccoli blocchi letterari; data la tipicità dell'espressione,
le due ricorrenze suggeriscono un qualche rapporto tra i due blocchi letterari;
à~-t~v conclude, anche con una certa accentuazione enfatica, il secondo e il
terzo blocco suggerendo così un certo legame almeno esterno tra i due.

' Anche se la forma grammaticale è un presente, il valore temporale espresso sembra essere
futuro (cf. per questa possibilità in generale: F. BLASS-A. DEBRUNNER- F. REHKOPF. Grammatik
des neutestamentlichen Griechi.sch, Giittingen "1975, n. 323). Lo deduciamo dall'uso generale
dell'Apocalisse e dal parallelo con la !orma participiale tgxoJJEVoç: participio presente; essa,
ricorrendo nell'espressione tricolica 6 Wv x.ai 6 T)v xai ò Egx6f.lFVOç suggerisce subito una coloritura
di futuro rispetto al presente ò wv e al passato ò ~v. Ciò ha un'importante conferma nella struttura
letteraria del libro; quando, secondo lo sviluppo lineare della seconda parte (cf. VANNI, La
struttura, p. !59) lo sviluppo in avanti arriva alla soglia della sua conclusione e quello che era
all'inizio, futuro, è ormai diventato presente, la formula appare ripetutamente soltanto con il
presente e il passato: ò wv xal ò ~v (11,17).
' Ci permettiamo di rimandare, per un'analisi minuta dei dettagli, a quanto abbiamo notato
in La struttura, pp. 150-152.

103
Basandoci su queste corrispondenze e sommandole insieme, abbiamo il
seguente schema:

A: 4-5a: 6 c:Ov xat 6 ~v xat 6 ÈQX6J.levoç


B: 5b-6: Ufll'JV
B': 7: vat, ÙJ.ll'JV
A': 8: 6 wv xat 6 ~v xat 6 ~QX6f.1evoç

Lo schema presenta una struttura chiastica chiara, che abbraccia tutto il


brano l ,4-8 e suggerisce una sua unità, che, però, rispetto all'eterogeneità
reciproca dei quattro piccoli blocchi letterari, appare come sovrapposta ed
estrinseca.
Ci troviamo, cioè, davanti all'unità suggerita dallo schema chiastico e
all'eterogeneità che mostrano i singoli blocchi letterari. È possibile superare il
dilemma?

4. LA DIMENSIONE LITURGICA SINTESI TRA ETEROGENEITÀ ED UNITÀ

Una soluzione ci viene dalla dimensione liturgica del brano.


Notiamo anzitutto un'inquadratura liturgica tipica che viene data a tutto il
libro: l'espressione flU'KUQtoç 6 àvayLVWIJ'K(J)V 'KUL o[ a'KOUOVtEç to'Ùç Myouç
Tijç JtQOqJT]tElaç (l ,3a) con cui si conclude il prologo e che precede il nostro
brano, esprime un rapporto di simultaneità tipica dell'assemblea liturgica in
atto: uno che legge, altri che ascoltano. Tale rapporto viene ripreso anche
nell'epilogo del libro (22,17: 6 lxxouwv Eirratw· Egxou).'
La menzione delle É:rttÒ ÉxXÀT]olmç che segue immediatamente (l ,4a)
richiama esplicitamente un ambiente liturgico. Il termine ÉXXÀT]ola conserva
nell'Apocalisse, pur con le sue determinazioni locali, tutto il suo senso
veterotestamentario liturgico: assemblea del popolo di Dio, convocata in
ascolto dello Spirito. La ÉX'KÀT]ola è, nell'Apocalisse, un'entità liturgica 9
Nel nostro brano inoltre sono rilevabili alcuni elementi caratteristici della
liturgia: anzitutto i due lxfli)V. 10 Anche il saluto XUQLç UfllV xat dgi)vT]
specialmente alla luce di questi altri indizi esaminati, acquista una coloritura
liturgica non meno dell'espressione di saluto conclusiva: T] xagLç tou XUQlou
'IT]OOU flEtÒ JtUVtWV (22,21).

'L'Apocalisse, da questi e altri indizi (come l'ascolto dello Spirito che parla: 2,7.11.17 ... ;
14,13; il saluto finale: 22,21. ecc.) appare non come una lettera, ma come uno scritto destinato a
una lettura liturgica.
9
Non si identifica mai la ÈXXÀ.Tiola con La città in cui si trova; l'identificazione invece di
hxi.T)o[m con le hxvim (1.20b), che esprimono esplicitamente un aggancio liturgico, indica che la
dimensione liturgica è talmente essenziale all'txxÀflola da essere addirittura convertibile con essa.
10
Amen, tipico già della liturgia sinagogale, diventa comunissimo nelle liturgie cristiane e di
ciò abbiamo traccia esplicita anche nell'ambito del Nuovo Testamento (cf. Rm 1,25; 9,5; 11,36;
!Cor 14,16; 1Pt 4,11; 5,11; 2Pt 3,18 ecc. ecc.).

104
Riassumendo: il versetto che precede immediatamente il nostro brano e
lo introduce ci esprime l'assemblea liturgica in atto; lo stesso ci dicono i due
éx~~v e il saluto iniziale: possiamo quindi affermare che la dimensione liturgica
è presente nel nostro brano.

5. L'IPOTESI DI UNO SVOLGIMENTO DIALOGICO

Ma in che misura e in che senso? Proprio il versetto conclusivo del


prologo (1,3), col rapporto tipico tra uno che legge e molti che ascoltano,
confermato dall'epilogo, suggerisce l'ipotesi di un dialogo liturgico che
potrebbe svolgersi tra il lettore (6 èlvaytv<iJoxwv) e gli ascoltatori (oi
àxouovnç).
Come è stato mostrato in uno studio recente" la dimensione liturgica,
stando alle fonti più probabili dell'Apocalisse, come I'AT e la prassi cristiana
primitiva, porta spontaneamente a un atteggiamento di dialogo. Elementi
tipicamente dialogici sono presenti nei salmi, visti nella loro redazione finale,
come testi usati nella liturgia; vi troviamo dialoghi condensati di forma
narrativa, ritornelli, risposte, scambi oracolari, dialoghi di <<ingresso>> con una
struttura particolarmente articolata, ecc. L'ordine dei salmi in una sezione
degli scritti di Qumran (11 QPs') è stato spiegato con l'ipotesi di una prassi
liturgica con antifone e risposte. 1'
C'è ~ e con ciò ci avviciniamo all'Apocalisse, rimanendo ancora
nell'ambito di considerazioni più generali - un probabile esempio di dialogo
liturgico proprio nell'ambito della liturgia cristiana primitiva. Secondo l'ipotesi
del Lietzmann, ripresa e perfezionata da Langevin, avremmo in Didachè 10,6
questo svolgimento dialogico: 13
Liturgista: 'EÀ-frÉtw XUQLI;
XUl rtUQEÀ-frÉtw 6 XOO~oç oiJtoç
Assemblea: 'A~~v· woétwa t<!"J otxq> ~au[ò
Liturgista: E'( nç liywç ÈotLV, ÈQXÉo-frw
Ei: nç oùx EotL, ~navodtw
Assemblea: Magav a-fra· éx~~v

11
M.A. I<AVANAGH, Apocalypse 22,6-21 As Conc/uding Liturgica/ Dialogue, Rome 1984,
pp. 99-114.
I principali esempi citati da Kavanagh sono i seguenti: SI 2 per il «dramatic monologue»; si
ha un ritornello nel v. 8, nello scambio tra singolare (Quando io vedo ... ) e plurale (Quanto è
grande, Signore Dio nostro): risposta (Tu!to il popolo dica: «Amen», SI 106,48b); scambi oracolari
!SI 95. coi vari cambi di soggetti che parlano; SI 91); dialoghi di ingresso (qualificati da MowtNKEL
.. toro/h of entry») si articolano in tre momenti: I) the question: who shall be admi!ted? 2) The
answer: He who kept these rules, or is of such a character. 3) The response of the questioner(s):
l (or we) fulfill this: SI 24, 118 ecc.).
"Cf. KAvA,.AGH, Apoca/ypse, pp. 109-113.
" Cf. KA VANAGH, Apocalypse, pp. 114-117.

105
TI dialogo, in conclusione, più o meno articolato, è una delle fonne
letterarie nelle quali si esprime la liturgia. Troviamo questa forma letteraria
anche nell'Apocalisse?
Esaminiamo il nostro brano, tenendo conto delle osservazioni letterarie
fatte sopra, alla luce di questa ipotesi.

6. IL DIALOGO LITURGICO IN 1,4-8

Il primo blocco letterario (4-Sa) inizia con l'espressione 'JmétVYr]c; -rai:ç


tmà txXÀT]almç (4a): riferita com'è all'Apocalisse nel suo insieme- il plurale
txxÀl]olmç ritornerà nell'epilogo (Ap 22,16)- essa ne accentua la destinazio-
ne liturgica: il libro è per le chiese, deve essere letto nelle assemblee liturgiche.
Ma c'è di più. La frase 'IwaVVT]ç taiç bnà ÉxxÀl]crlmç costituisce un nesso di
transizione tra i versetti che la precedono (l, 1-3) e il brano che segue. Quella
che è all'inizio una forma letteraria puramente espositiva (1,1-2), assume poi il
tono letterario, più diretto e coinvolgente, di una proclamazione solenne
(IJ.axagwç ... : 1,3), nella quale troviamo già i protagonisti del dialogo: il
«lettore>> e <<coloro che ascoltano>>. Con 4a si ha un indirizzo esplicito e diretto:
già si intravede la fisionomia dei due protagonisti del dialogo: il <<lettore>> di 1,3
impersonerà Giovanni, <<coloro che ascoltano>> saranno concretamente una di
quelle chiese-assemblee alle quali il lettore si rivolgerà. Non siamo entrati
ancora nel dialogo vero e proprio, ma si avverte, in forza di questo avvio
graduale, che se ne sta varcando la soglia.
Con xagLç U!J.LV xai dgl]Vl] (l ,4b) scatta il dialogo vero e proprio: il
lettore si rivolge esplicitamente e direttamente a un gruppo presente:
l'impersonale e generico 1:ai:ç txxÀTjolmç è divenuto U!J.LV, personale e
specifico. Il lettore esprime una triplice benedizione, un triplice augurio che
possiamo seguire sul filo del triplice arrò fino alla sua conclusione (l ,4-Sa).
Dopo l'intervento della persona singola del lettore, troviamo in tutto il
blocco letterario che segue immediatamente - Sb-6- un soggetto plurale che
si esprime: TI/l àyarrwvn l]!J.aç xai Mcravn l)!J.ilç tx ,;wv UIJ.!lQnwv tl!J.WV.
C'è un passaggio dalla seconda persona plurale (u!J.i:v) alla prima (l)!J.aç):
ciò rende ancora più marcata l'eterogeneità tra i due blocchi, ma, nello stesso
tempo la spiega: è la risposta dell'assemblea, degli àxouovTEç (cf. v. 3) al
saluto: è il <<noi>> che, reagendo al «VOi» del lettore, intreccia con lui un dialogo.
È il <<noi>> dell'assemblea il soggetto che risponde. La rottura della costruzione
grammaticale determinata da xaL trrolT]OEV (rrml]cravn testimoniata dai codici
046, e 69 appare una lezione derivata come armonizzazione grammaticale) dà
risalto all'espressione che segue immediatamente: xai trrolT]crEV l]f.Lilç jlacrL-
ÀElav, lEQEi:ç 1:1/J {}Eiji x ai rrmgi aùwii.
L'espressione assume quindi un'importanza particolare nella risposta che
l'assemblea sta dando. Il successivo aù1:1ji riporta la risposta nel suo alveo
grammaticale iniziale, riassorbcndo cosi esplicitamente la discontinuità.

106
La risposta dell'assemblea esprime anche un cambiamento di direzione
che, sottolineato com'è da una certa disposizione chiastica, acquista un
notevole rilievo letterario, confermando e chiarendo l'ipotesi del dialogo
liturgico: la xagtç ... xat dgt'JvTJ augurata dal lettore passa da Cristo (l ,5a)
all'assemblea; dall'assemblea ritorna a Cristo la <'i6~a xat TÒ xgéxwç (l ,6b ): il
blocco letterario l ,5h-6 appare così come una risposta esplicita al blocco
letterario l ,4b-5a.
Dopo la reazione dell'assemblea, interviene di nuovo il lettore: è lui ad
annunciare solennemente l'oracolo profetico che costituisce il terzo piccolo
blocco letterario omogeneo (v. 7). Presentando Cristo che EQXETUl f!Età Twv
vEq:>EÀwv nella sua glorificazione finale, l'oracolo costituisce una risposta
pienamente aderente all'augurio dell'assemblea con cui si concludeva il blocco
letterario immediatamente precedente: autcjl lÌ M~a KUL tò KQatoç Elç toùç
atwvaç TWV atwvwv.
L'assemblea, dopo aver ascoltato, esprime la sua reazione che è quella tipica
di un dialogo in atto di svolgimento: l'assemblea dice va[ <<SÌ>>, il sì di una risposta
che è un'accettazione dell'oracolo profetico annunciato dal lettore. La risposta
affermativa e di accettazione viene confermata e suggellata con un'impronta più
esplicitamente liturgica mediante l'àf!t'Jv che segue immediatamente.
Dopo questa accettazione che diventa subito un'affermazione solenne da
parte dell'assemblea, interviene di nuovo il lettore, che, concludendo il
dialogo, recita il quarto blocco letterario omogeneo costituito dal v. 8. Il
carattere dialogico viene indicato dall'inciso ÀÉyEt xugwç 6 1'lE6ç: le parole,
evidentemente divine, non sono pronunciate da Dio stesso, ma da un
portavoce, che è, nel caso concreto, il lettore. Il fatto che il lettore parli
all'assemblea a nome di Dio fa risaltare la concretezza liturgica del dialogo.
D'altra parte l'attribuzione esplicita coinvolge Dio stesso nel dialogo in atto:
quanto viene detto esprime una risposta. quasi una reazione dialogica di Dio
all'accettazione divenuta preghiera da parte dell'assemblea.
Avremmo, in uno schema completo, questo svolgimento del dialogo liturgico:
Lettore (6 avaytvwaxwv)
xagtç Uf!LV xai ELQtlVTJ
alto
ò wv xal ò ~v xat ò EQXOf!EVOç
xai altÒ twv bnà iTVFI'ftÙT(Il\' ii Èvwmov tou -ltQ6vou autou
KUL ClltÒ 'ITJOOU XQLatOU
Ò f!UQtUç Ò :n:tat6ç
Ò ltQWt6toxoç tWV VEKQWV
KUL Ò ilQXWV ~UOLÀÉWV TJÌC: yi]ç.
Assemblea (o[ àxm!ovnç)
Tcjl ayaltWVTl lÌf!Ùç
xat Àuoavu t'lf!àç tx twv Òf!UQTlWV lÌf!WV tv tc)l UL!!UTl aùtoù

107
- xat El'tOLTJOEV ~~àç ~amÀ.dav, lEQdç 1:<ji ite<ji xat ltal:QL aùwii -
aù1:<ji ~ M sa xat 1:ò XQ<'noç Eiç wùç alwvaç nilv atcilvwv · ù~l]v.

Lettore

tooù ÉQXHm ~E"tà rwv ve<peÀ.wv


xat 01f'E1:m a'Ùl:Òv l'tàç Ò<pitaÀ.~6ç
xai o'(nveç a'Ùtòv ESEXÉVl:T]Oav
xai x61floV1:m El't' a'Ùtòv nàom al <puÀ.ai ri]ç yijç.

Assemblea

va[, ù~l]v.

Lettore

'Eycil ELI-l-L 1:Ò "AÀ.<pa xai tò 'Q


- À.ÉyEL l<UQlDç Ò itE6ç -
ò <ÌlV xai ò ~v xat ò EQX6!-!EVOç
Ò J'taVl:OXQ<'nWQ.

<<Grazia a voi e pace


da parte di (colui) che è e (che) era e che verrà;
e da parte dei sette spiriti
che (sono) di fronte al trono di lui;

e da parte di Gesù Cristo


il testimone quello fedele
il primogenito dei morti
e il sovrano dei re della terra>>.

<<A colui che ci ama (in continuazione)


e sciolse noi dai peccati nostri
nel sangue

e fece noi regno sacerdoti


a Dio e Padre suo
A lui la gloria e la forza
per i secoli: amen!>>.

<<Ecco: verrà con le nuvole


e lo vedrà ogni occhio
e (lo vedranno) coloro che lo trafissero
e si batteranno il petto su di lui tutte le tribù della terra>>.

«Sì, Amen>>

108
<<lo sono
l'alfa e l'omega
- dice il Signore Dio -
colui che è e che era e che verrà
colui che domina tutto••.

Un fenomeno letterario del genere si riscontra anche altrove nell' Apoca-


lisse. L'epilogo, ad esempio, trova nel genere letterario di un dialogo liturgico
idealizzato un suo chiaro filo di spiegazione." Forse è riscontra bile anche in
altri brani e può essere ulteriormente precisato e sviluppato. Ci si può
chiedere, ad esempio, se il capitolo 18 non sia tutto sviluppato come un dialogo
a dramma liturgico."
Si ha così, illuminando il brano alla luce dell'ipotesi di un dialogo liturgico
tra il lettore e l'assemblea, una soluzione letteraria del dilemma di cui sopra:
c'è un'unità, ma è l'unità propria di un dialogo, nel quale le parti dei vari
interlocutori sono necessariamente distinte e contrapposte. Inoltre il tono di
solennità letteraria, che abbiamo riscontrato in tutti i blocchi, da una parte
corrisponde allo stile del dialogo liturgico, dall'altra conferisce una certa
tonalità unitaria a tutto il brano.
Anche le durezze grammaticali potrebbero avere, in questa ipotesi, un
loro ruolo: interrompendo bruscamente la continuità del discorso, esse
stimolano l'assemblea che ascolta a un'attenzione e concentrazione particolare.
La lettura dovrà avere necessariamente un ritmo lento, spezzato, e ciò favorirà
da parte dell'assemblea che ascolta quelle pause meditative che le permetteran-
no di comprendere a fondo ed elaborare ulteriormente il messaggio che le
viene presentato.

7. L'ESEGESI CHE IL DIALOGO LITURGICO IN 1,4-8 SUGGERISCE

Ma, al di là dell'unità letteraria, si può intravedere un'unità !ematica,


come è spontaneo aspettarsi da un dialogo in cui si ascolta o si risponde
seguendo, pur nella dialettica degli interventi contrapposti, un unico filo di
sviluppo? In altre parole: il carattere letterario di dialogo liturgico dà anche
delle indicazioni per una linea esegetica?
Il primo blocco letterario è presentato dal lettore ai «voi•• ('u~iv)
dell'assemblea. Contiene la formula di saluto usuale, che viene subito
agganciata al triplice àrr6: ed è a questo punto che l'autore, usando un
linguaggio che gli è caratteristico fino alla forzatura, comincia a esprimere
all'assemblea il suo messaggio vero e proprio.

" Cf. VANNI, La struttura, pp. 109-112.


15
Cf. per l'analisi Parte seconda al c. V, pp. 210·212.

109
La triplice benedizione, a schema trinitario, 16 è tutta orientata verso lo
svolgimento attivo della storia della salvezza: l'essere di Dio è un essere
presente, attivo, implicato - nel presente, nel passato e nel futuro - nella
storia della salvezza che si svolge. 17
Lo Spirito presentato com'è nella forma letteraria tipica e fissa i'vtò t&v
bnà JTVE1Jf.u'nwv (cL Ap 1,4; 3,1; 5,6; cf. nota 13) viene indicato in quella
totalità (Éimi) distributiva (nvcuf!énwv) di doni e manifestazioni che hanno
luogo nel corso della storia della salvezza e che non viene espressa dal semplice
singolare nvEUf!U.
Gli attributi di Cristo sono tutti, inequivocabilmente, sulla stessa linea: è
testimone delle promesse che Dio ha fatto per la storia della salvezza, partecipa
da fratello alla morte dell'uomo e gli comunica poi la vita di risorto." La sua
capacità di vincere i centri di potere negativo rappresentati dai ~amÀEiç n'jç
yiiç 1'' situa esplicitamente Cristo nel cuore dello svolgimento storico, attivo e
battagliero della salvezza.
Il saluto del lettore, in questo primo passo di dialogo, tende quindi a
coinvolgere pienamente l'assemblea che ascolta nel dinamismo della storia
della salvezza in cui sono impegnati Dio, lo Spirito, Cristo.
L'assemblea reagisce (l ,Sb-6). Si sente, anzitutto, oggetto di questa
salvezza che si è espressa e si esprime nella storia. L'assemblea è cosciente di
un amore continuato e attivo di Cristo (t0 àyanwvn, presente) che la segue; è
cosciente che questo amore ha avuto la sua manifestazione iniziale nel
momento del passato in cui essa è stata'" liberata dai suoi peccati (Àùcravu,

16
Il punto che fa difficoltà nello schema trinitario è quanto segue al secondo t'ut6: TWv bttà
nvru1-46.twv &. Elmv tvWrnov tot• tJQOvou uùtof!. Si può intendere dei sette ((santi angeli ... davanti alla
gloria del Signore» (Tb 12,15); si può intendere dello Spirito, visto nella totalità delle sue
manifestazioni, dci suoi doni (anche se il riferimento a Is 9,2.3 è dubbio: i doni nel testo ebraico sono
sei). Dato che l'espressione brrà rrv.U~am è tipica dell'Apocalisse e ricorre invariata (1,4; 3,1; 5,6);
dato che gli t;nà 'lVfÙJ!atn sono detti possesso di Cristo (6 EXùlV 3,1) nel senso di un'appartenenza
che riguarda la sua persona (ÈmÙ Ò411UÀJ!O[: 5,6); dato infine il fatto che l'autore usa frequentissima·
mente il tcnnine frrrEì..oç (67 volte) c conosce addirittura i <(seHe angeli che stanno davanti a Dio>' (cf.
8,2) senza identificarli con gli t;nà rrvrù~am, il riferimento allo Spirito santo in azione appare
preferibile.
" L'espressione tricolica ò clJv 1«1l 6 i(v 1«1l ò tQXÒJ.IEVOç mediante il collegamento del duplice
xul mette sullo stesso piano di significato i tre elementi che la compongono. 'EQXO!!""Oç tipico
dell'Apocalisse, indica un intervento nella storia; ciò induce a dare anche a 6 <iJv e ò ~v un significato
attivo.
" È tipica dell'Apocalisse l'espressione itQWT6mxoç TWv VI':XQWv col genitivo senza preposizio·
ne (mentre in Coii,IR si ha ;rgwn\toxo; tx rwv). Dato che vexQ6; tende ad avere nell'Apocalisse un
senso preciso, realistico e piunosto crudo (cf. 11,18; 14,13; 16,3; 20,5.12.13; eccezioni sarebbero 1,17
e 3,1), indicando la persona morta, inerte e cadavere, e dato che Cristo stesso afferma tyEVÒf'T]V
vrxQ6ç (l, 18; 2,8), l'espressione sembra debba intendersi in senso associativo: •primogenito di coloro
che sono morti)), piuttosto che genericamente «primogenito risorto dai morti)~.
19
La ncgatività demoniaca passa gradatamente al OQ(lxwv ( 12,3), al primo e secondo mostro
(13,2.11), ai re della terra (16,14), a Babilonia (17,2). Verrà annientata nell'ordine inverso.
X~ C'è un riferimento aJ battesimo'! È quanto sostiene DER OsrEs SACKEN Vo~. Christologie,
pp. 256-265 al punto da identificare un frammento di liturgia battesimale. Ma l'accostamento con
Paolo e lo sforzo che traspare nel collegare anche in Paolo àya:réuo, ÀUw e simili per ricavame una
formula liturgica preesistente lasciano perplessi.

110
aoristo). Non sarà più detto dell'assemblea, anche se si indicherà chiaramente
l'esigenza di rimanere a questo livello, di stare in guardia, in modo da evitare di
esserci coinvolta di nuovo. II termine éqwgt[a ricorrerà altre due volte
nell'Apocalisse e sarà detto di Babilonia, la città <<Secolare» e autosufficiente,
contrapposta alla chiesa; si dirà esplicitamente:
È~Éì..ftaTE, ò ì..a6ç ~ou, t~ aùtiJç
LVU ~TJ ouyXOLVùlvTJOT]tE taiç O~U(ltLaLç aÙtfjç

OTI b:oì..ì..l]ftl]aav aùtiJç a[ a~agtlm lxXQL toii oùgavoii (18,4-5).


L'a~agt[a è un fatto superato per l'assemblea, ma essa deve sforzarsi di
tenersene lontano.
Ma l'assemblea non è soltanto oggetto della storia della salvezza: essa sa
di esserne divenuta anche protagonista attiva. L'interruzione della continuità
grammaticale dà particolare rilievo a questo fatto: l'assemblea, redenta e
amata da Cristo, ha anche una <<potestà regale>> (~a<JLÌ..E[av). Questa, esercitata
<<sulla terra>> insieme a Cristo, diverrà non meno di quella di Cristo, mediazione
liturgica e sacerdotale tra gli uomini e Dio, nell'opposizione e nel superamento
delle forze storiche negative."
Dopo aver esplicitato particolarmente questa sua associazione all'attività
di Cristo, l'assemblea, riprendendo la dossologia, conclude esprimendo
proprio l'aspetto dinamico che si svilupperà lungo l'arco della storia: almi> l')
M~a xat tò xgénoç Elç wùç atwvaç.
L'à~itv conclusivo ribadisce quanto detto prima, 22 unendo e saldando
insieme le due prospettive espresse: quella più passiva - la comunità oggetto
dell'amore e della liberazione dai peccati da parte di Cristo - e quella di
partecipazione attiva all'azione regale e sacerdotale di Cristo.
La ripresa del dialogo da parte del lettore, nel terzo blocco letterario del
v. 7, ha il tono caratteristico di un oracolo profetico. Il soggetto sottinteso -
che si suppone già noto, familiare, non c'è bisogno di nominarlo e basta a
richiamarlo il triplice aùt6v - è il Cristo di cui si è parlato prima, sia nella
presentazione del lettore (v. 5a), sia nella reazione dossologica dell'assemblea
(vv. Sb-6): il Cristo, cioè, presente e attivo adesso nella storia della salvezza,
che ama l'assemblea, l'ha purificata, l'ha associata alla sua azione.
L'oracolo si articola su tre verbi al futuro che si susseguono in crescendo,
fino ad assumere un tono drammatico: ÉQXEtaL, Ò'IJEtm, x6'1Jovtm. Viene

21
Per quanto concerne un'analisi dei termini jlaot:l.da e IEQEiç e dei problemi che pongono,
vedi Parte terza. c. IV. pp. 349-352.
" 'AiliJv nell'Apocalisse- a prescindere dal caso particolare di 3,14: cf. P. TRUDINGER, 'O
al'rjv (Rev. 3,14) and the Case fora Semitic Origina/ of the Apocalypse, in NT (1972), 14, pp. 277·
279 - ha una funzione di conclusione e di qualificazione liturgica rispetto a quanto è detto o
accaduto prima (cf. 1,6; 7,12; 19,4; 22,20; specialmente 5,14). Troviamo lo stesso passaggio dal va(
all'ili'TJV in 22,20 (cf. nota 22).

111
messo enfaticamente in risalto (ll\ou) il punto terminale e conclusivo. Cristo
verrà: EQXETUL richiama, per il suo significato e la sua forma, il terzo membro
della formula di presentazione di Dio 6 ~QXOf!EVoç (1,4b): la venuta futura di
Dio si attuerà in Cristo. La venuta di Cristo sarà la conclusione della storia
della salvezza (cf. A p 19, 11-16) che, come tale, significherà il superamento
delle forze ostili negative, che Cristo farà insieme ai suoi eserciti celesti (cf. Ap
19,14)." In questo trionfo supremo, opera sua e della comunità ecclesiale che si
è associata, Cristo si imporrà a tutti coloro che durante il decorso della storia
della salvezza lo avranno crocifisso." Tutti, senza possibilità di sfuggire, lo
dovranno vedere (o'lj!Etm a\rròv rrùç Ò!p-ftaì..[!6ç). Come conseguenza di
questo, si avrà un'esplosione drammatica di pianto (x6'1'ovTm tn:' auT6v),
simile a quella dei ~acrtì..Eiç T'fÌç yiiç. che prendono atto della distruzione di
Babilonia e, stando lontano da essa per il terrore che li prende, KO'\'OVTUL trr'
aunjv (Ap 18,19: l'unica altra ricorrenza di x6n:Tw, costruito, come in 1,7, con
~rr[ e l'accusativo).
L'assemblea, cogliendo la portata complessa dell'oracolo che le è stato
presentato, riflette a fondo e dice il suo <<SÌ>>, un «SÌ» di comprensione, di accet-
tazione: va[, che, pura espressione in un primo momento della reazione del-
l'assemblea, viene poi subito inquadrato in un contesto di preghiera: vai, ci[!i]v."
Dopo la risposta dell'assemblea riprende e conclude il lettore: abbiamo
nell'ultimo blocco letterario della pericope, l'ultimo elemento del dialogo.
Anch'esso ha la solennità di un oracolo, portata al massimo di esplicitazione
dal fatto che è Dio stesso che parla in prima persona fin dall'inizio ('Eyw: 8a): il
lettore, riferendo le parole di Dio si limita a notare, discretamente e
incidentalmente, il fatto: ÀÉYEL xugwç 6 {tE6ç (v. 8b).
'O ÙJV xal 6 ~v xai 6 ÈQXOf!Evoç del versetto 8 riprende esplicitamente la
stessa frase di l ,4b; ò ÈQXOf!EVoç di l ,8 si riallaccia a EQXE'tUL di l ,7, detto di
Cristo; e EQXETUL di 1,7 come abbiamo rilevato, si riallaccia a sua volta con ò
ÈQXOf!EVOç di l ,4b. Si ha un filo di continuità che attraversa tutto il brano con
un procedimento chiastico: si passa da Dio a Cristo e da Cristo si ritorna a Dio.

" Gli crtQaTEUIID~a ~oli oùeavoli che seguono Cristo sono collegati esplicitamente con la
chiesa-sposa: il loro rivestimento caratteristico- fvOEÙU!J.ÉVOl ~ùomvov À.nJx.Òv xa-6-aqOv 19,14-
è quello stesso della vUil<flll· Si dice di essa che le viene concesso di rivestirsi di ~Uomvov ÀUJ.L."tQÒV
xm~a(J<)v c precisa che 1Ò yàQ fluoatvov là lilXUI(.iJJ.Lala 1ÙJV ay(mv Ém(v (19,8). Cf. Parte terza,
c. II. pp. 318-328.
'' Kai o l n vEç mi1òv t;ExÉV'tT)oav sembra che non si possa limitare ai crocifissori di Gesù in
senso cronachistico: l'autore deii"Apocalisse suppone la passione anche in senso fisico (cf. ad es.
11 ,8h; fm:auewth]), ma non la descrive mai in termini concreti. Tende anzi a farne una rilettura
teologica interpretandola negli effetti che ne sono seguiti.
" Non è fenomeno di bilinguismo. Na( ricorre altre volte nell'Apocalisse (14,13; 16,7;
22,20) senza essere accompagnato o preceduto immediatamente da Ò.J.ltJV. E significa in tutti e tre
questi casi una risposta confermativa di comprensione, approvazione e accettazione di quanto è
stato prima. La ricorrenza espressa in 22,20 presentando nello stesso contesto vul ed Ò!J.~V. ne distin-
gue chiaramente la funzione, proprio come nel nostro caso: al val di Cristo, che riassumendo quanto
detto prima, promette la sua venuta, segue l'hJJTjv liturgico di invocazione da parte dell'assemblea
riferito alla venuta di Cristo promessa.

112
Dio, presente in ogni tempo e attivo nella storia della salvezza, la concluderà
insieme a Cristo: il suo <<venire» sarà il <<venire>> di Cristo.
Si ha anche un crescendo: dopo la considerazione attenta del ruolo
specifico svolto da Cristo (1,5-7), viene compreso più a fondo il ruolo di Dio:
l'espressione 6 wv xai ò ~v xal ò tQX61J.EVOç di l ,4 diventa, in l ,8, il perno di
altre due, delle quali una la precede e l'altra la segue completandone il
significato. La prima- tyw ELIJ.L tò "AÀqJa xai tò 'Q -presenta. riferendoli a
Dio, gli estremi dell'arco di sviluppo proprio dell'azione creativo-salvifica:
questa qualifica di Dio apparirà poi interscambiabile con Cristo (definito allo
stesso modo in Ap 22,13). La seconda espressione - 6 rravwxgét-rwQ -
indica, in modo particolarmente accentuato, l'energia di Dio applicata di fatto.
DaVTO'XQUTWQ ha qui un valore quasi sintattico e non è una pura denominazio-
ne esortativa: indica Dio che - giorno per giorno, momento per momento,
nella creazione e salvezza che sta portando avanti, che ha iniziato e che
concluderà- esplica la totalità (:ravw -) della sua potenza (- XQatWQ). C'è
forse un richiamo sottile a-rò xg<'noç attribuito a Cristo in 1,6b: la potenza di
Cristo, la potenza di Dio, saranno in grado di realizzare il passaggio dall'A
all'Q.
Alla comunità viene cosl aperto tutto l'orizzonte della storia della
salvezza nella quale essa è coinvolta come oggetto e soggetto: la creazione-
salvezza inizia da Dio, si sviluppa e termina in Dio; ha un suo presente, un suo
passato e un suo futuro; è garantita nello svolgimento dall'impiego concreto
della potenza illimitata di Dio.
Ed è in Cristo che l'azione creativo-salvifica si chiarisce gradualmente nel
suo contenuto e raggiunge la sua attuazione più piena.

8. CONCLUSIONE

L'ipotesi di un genere letterario dialogico-liturgico permette di riscoprire


la pericope l ,4-8. Essa appare con una fisionomia letteraria che le è propria e
che ne spiega sia l'unità di fondo sia le variazioni brusche riscontrate nel suo
svolgimento. Intesa nella sua forma dialogica, la pericope l ,4-8 permette di
mettere adeguatamente in risalto la comunità ecclesiale come protagonista che
interagisce, dialogando, col lettore, con Cristo, con Dio. Il dialogo liturgico,
messo in evidenza all'inizio del libro, prepara la comunità ecclesiale a quella
purificazione penitenziale che sarà il tema di fondo della Prima parte
dell'Apocalisse e al discernimento del ruolo attivo che sarà il tema della
Seconda parte.
Quando la comunità ecclesiale avrà preso completamente coscienza di
quanto le richiede sia la Prima che la Seconda parte, si ritroverà esplicitamente
in una situazione di dialogo liturgico, parallela a questa iniziale: avremo
l'epilogo del libro (22,6-21).

113
capitolo l/

Il contatto con Cristo risorto: l ,9-16'

l. LE CARA ITERISTICHE LETTERARIE

Un primo passo per una comprensione adeguata del testo ci impone di


evidenziare gli clementi letterari caratteristici che il brano presenta c ciò allo
scopo, come abbiamo visto nella prima parte,' di facilitare al soggetto
interpretante un contatto il più aderente possibile col testo.
Tra gli elementi letterari emerge anzitutto uno schema soggiacente,
secondo il quale si sviluppa tutto il materiale che va dal versetto 9 al versetto
20. Il nostro brano coincide con una parte dello schema. Si tratta di uno schema
classico, ravvisabile chiaramente nel libro di Daniele da cui l'autore dipende: è
Io schema di apparizione di un essere trascendente e che si sviluppa in quattro
fasi:

l. indicazioni del luogo e altre


circostanze concrete: Dn 10,1-4 Ap 1,9-11
2. apparizione «trascendente»: Dn 10.5-6 Ap 1,12-16
3. reazione di debolezza da parte
di colui che vede: Dn 10,7-9 Ap 1,17a
4. intervento di colui che appare
e conferimento di un incarico: Dn 10,10-21 Ap 1,17b-20

C'è un contatto contestuale, oltre che con Daniele, anche con la


trasfigurazione (Mt 17,1-9; Mc 9,2-10; Le 9,28-36)? Alcune corrispondenze
interessanti e Io stesso schema - indicazione del luogo, apparizione trascen-
dente, reazione di debolezza, incarico- suggeriscono questa ipotesi. Ma data
la problematica complessa riguardante il contatto letterario tra l'Apocalisse e i
Vangeli sinottici, sembra preferibile spiegare l'identità dello schema da una
dipendenza comune, dei sin ottici e dell'Apocalisse, dal modello dell'Antico
Testamento.

1
CAMPS, Patmos, coli. 74-81. Per gli studi riguardanti il •giorno» del Signore, cf. Porte
prima, c. V.
2
Cf. Parte prima, c. I.

115
C'è un secondo fatto letterario di rilievo da sottolineare. Dopo il dialogo
liturgico intrecciato tra il lettore (Giovanni) e l'assemblea (cf. 1,4-8), si ha ora
un discorso diretto e continuato, sempre rivolto all'assemblea,' anche se le
reazioni di quest'ultima non sono indicate esplicitamente. Tale discorso diretto
si protrarrà - con qualche interruzione sporadica - per tutto il libro,
ridivenendo dialogo liturgico nell'epilogo (22,6-21).'
Altri aspetti letterari riguardanti i singoli versetti o parte di essi saranno
evidenziati nel corso dell'esegesi.

2. ESEGESI: GIOVANNI E LA SUA COMUNITÀ

Passiamo all'esame diretto del testo, seguendo lo schema soggiacente


evidenziato. Troviamo le indicazioni spazio-temporali, che danno concretezza
all'esposizione.
v. 9 'Eyw 'IooaVVTJç
6 aòEAqJÒç Ù!l!ÌlV
xai mJyxmvwvòç
ÈV Tfi 1'tAL\jJEL xal ~acrtÀEL«;; xal ÙltO!lOVfi tv '(l]OOÙ
tytvO!lT]V
ÈV tfi V~O(Jl Tfl XaÀOU!lÉv1J llclT!l!Jl
bLà tòv ì.6yov toù ~Eoù
XUL TTJW !lUQtUQLUV 'lquoù.
V. lOa tyEVO!ll]V
ÈV ltVEU!lOTL
ÈV tfi XUQLUXll TJ!lÉQçt.

«lo, Giovanni,
il vostro fratello
e compartecipe nella tribolazione e regno
e (capacità di) perseveranza in Gesù
mi trovai (trasportato)
nell'isola denominata Patmos
a causa della parola di Dio
e della testimonianza di Gesù.
Divenni nello Spirito
nel giorno del Signore>>.
C'è anzitutto da notare uno sviluppo letterario interessante proprio di
questi versetti: i due Èyrv6!ll]V ne costituiscono la struttura portante sia come

' Ce lo dice il fatto che il discorso di Giovanni è rivolto di nuovo, come all'inizio del dialogo
liturgico di l ,4-8, ai cristiani riunili: Giovanni parlando direttamente a loro si qualifica ((vostro
fratello» (1,9).
' Per un approfondimento in dettaglio cf. V ANNI. La struttura. pp. 109-112 con bibliografia
relativa.

116
verbi - sono gli umct m tutta la frase - , sia per la loro identità, sia per il
collegamento asindetico, senza xal, tra di loro.
<<lo, Giovanni»: l'autore si presenta in prima persona, secondo l'uso
costante della pseudonimia apocalittica.' Il nome, data anche l'enfasi gramma-
ticale con cui è presentato, indica una tendcm~a comunicativa da parte di chi
parla nei riguardi del suo uditorio. Lo ritroviamo con questa stessa potenzialità
nelle altre ricorrenze esplicite: nel titolo (l, l), all'inizio del dialogo liturgico
introduttorio (l ,4), nel dialogo liturgico conclusivo (22,8).
Giovanni, infatti, si mette immediatamente in contatto coll'uditorio a cui
si indirizza, qualificandosi <<il vostro fratello>>. Il termine ÙOcÀ<p6ç <<fratello»
ricorre nell'Apocalisse 5 volte (1,9; 6,11; 12,10; 19,10; 22,9) e ha sempre un
contenuto ecclesiale esplicito. È usato col valore, tipicamente cristiano, di
appartenenza paritetica alla medesima famiglia spirituale. L'uso dell'Apocalis-
se sottolinea la reciprocità dei vari servizi e situazioni ecclesiali.
Rispetto all'uditorio a cui si indirizza, Giovanni è <<fratello e comparteci-
pe>> ( ... xat ouyxOLvwv6ç). Il termine, indica, nell'uso del NT' la compartecipa-
zione attiva rispetto a un gruppo, che, o come punto di partenza o come punto
di arrivo, costituisce sempre l'elemento determinante. Nel nostro contesto
prolunga e specifica àùEÀ<poç: la solidarietà paritetica col gruppo ecclesiale al
quale l'autore si rivolge, si esprime e si concretizza in una condivisione attiva
che verrà subito determinata. Essa si attua << ... nella tribolazione e regno e
capacità di perseveranza in Gesù>>.
Vale la pena esaminare più da vicino questi tre termini che costituiscono il
legame tra Giovanni e il gruppo ecclesiale al quale sta parlando.
<<Tribolazione>> ({}Àiljnç) indica, già in forza del suo significato base,' una
situazione di sofferenza proveniente dall'ambiente in cui si vive. Nell'uso tipico
dell'Apocalisse, la <<tribolazione>> appare anzitutto simultanea alla vita degli
«ascoltatori>> a cui l'autore si indirizza (2,9.10.22[?]). Ce lo dice un esame
accurato delle sue ricorrenze anzitutto nella prima parte del libro: nel nostro

' La pseudonimia apoeatittica applicata all'Apocalisse pennette un approfondimento.


L'autore mettendo tutto il suo discorso in bocca a Giovanni l'apostolo, lo ambienta secondo le
circostanze di spazio e di tempo della vita di Giovanni che dovevano essere note. La permanenza a
Patmos è, in questa linea. un fatto riferito alla vita di Giovanni. che l'autore trova particolarmente
congeniale con il messaggio del suo libro. Altrimenti avrebbe scelto un'altra situazione. Anche la
testimonianza di Ireneo sulla data di composizione dell'Apocalisse indica, propriamente, soltanto
un terminus posi quem: si riferisce, infatti, non alla stesura dellihro come tale, ma all'esperienza di
Giovanni presentata nel libro:« ... infatti (l'Apocalisse) non fu vista (oùbt... twQàfrt]) molto tempo
fa. ma verso la fine del regno di Diocleziano» (Adv. Haer., V,30,3 presso EusEHIO, Historia
Eccle.•ia.<tica, III, 18,8).
" Ricorre in Rm 11,17; lCor 9,23; Fil 1,7; il suo significato base di «condivisione realizzata
insieme~) si ritrova anche nel verbo cruyxOLvwvtw, usato sempre al plurale nel NT: Er 5,11; Fil4,14;
Ap IH.~
' È da comprendersi, come punto di partenza, nell'ambito semantico di \~-ì.. lj:\(JJ, «compri-
mo•: squeeze, chafe, (Liddei-Scott, s.v.). Acquista un rilievo tutto particolare nell'ambito dell'uso
biblico, come mostra l'ampia documentazione raccolta da H. Schlier come pure l'analisi aderente
che ne fa in GLNT, IV, coli. 515-542.

117
caso la «tribolazione» è condivisa da Giovanni e dai fratelli ai quali si rivolge.
È un fatto presente, attuale. In 2,9 è Cristo risorto che rivolgendosi alla chiesa
di Smirne dichiara di sapere (olòa) la tribolazione e la povertà in cui si trova la
chiesa. Si tratta di una tribolazione presente. Un ragionamento analogo si
impone a proposito della <<tribolazione di lO giorni» (2, lO) che incombe sulla
chiesa e durante la quale Cristo la sosterrà. Sulla stessa linea sembra da
interpretare anche l'ultima ricorrenza di m.i1jnç che incontriamo nella prima
parte dell'Apocalisse. Parlando alla chiesa di Tiatira e riferendosi alla
<<profetessa Gezabele>>, Cristo risorto si esprime in questi termini: <<Ecco getto
lei (f3étÀÀ<ù) in un letto e coloro che adulterano con lei in una tribolazione
grande (dç -frì.i"lj!Lv ~EyaÌ.lJV) se non si convertono dalle opere di lei>> (2,22).
A prescindere dalla complessità dell'interpretazione di tutto questo versetto,' è
chiaro che si tratta di un'azione di Cristo effettuata in un presente di cui la
chiesa dovrà prendere coscienza (lòou: <<ecco>>, letteralmente guarda).
Nella seconda parte dell'Apocalisse troviamo una sola ricorrenza di
iH.hjnç riferita a <<coloro che verranno dalla tribolazione quella grande (ol
texo~rvm E:x. Tijç -frì.[ "lj!Ewç Tftç ~ryaì.TJç).
Riguardo a questo ultimo caso si pone il problema della sua collocazione
cronologica: si tratta della tribolazione che precede la fine?' L'assenza di un
riferimento esplicito alla conclusione escatologica nel contesto immediato di
7,14 suggerisce di intendere l'intensità della tribolazione piuttosto in senso
qualitativo: è il massimo della tribolazione, la prova decisiva attraverso la
quale tutti i cristiani dovranno passare, e che è distribuibile per tutto l'arco
della storia.
Possiamo sintetizzare: il senso di <<tribolazione>> nell'Apocalisse è quello
di una costante di difficoltà che il cristiano incontrerà nella sua vita, dovendo
andare sempre controcorrente rispetto all'ambiente in cui vive. Il gruppo di
ascolto, consapevole di tutto questo, saprà valutare nel suo discernimento
sapienziale la portata della tribolazione in cui di fatto si trova: potrà trattarsi
della tribolazione ordinaria, pesante, ma sempre sotto il controllo di Dio; potrà
assumere dimensioni di intensità particolare, fino a diventare la prova decisiva.
Oltre che nella tribolazione, l'autore si sente compartecipe, rispetto ai
fratelli a cui scrive, anche <<nel regno>> 10 (~amì.Ela). I cristiani, per un effetto

• Il problema principale è l'interpretazione di «letto• (XÀ("'lv): si tratta di un'accentuazione


delle pratiche idolatriche nelle quali scivolerà Gezabele, portando così alle ultime conseguenze il
suo sincretismo («letto» sarebbe allora un particolare descrittivo della situazione orgiastica di tali
pratiche)? Oppure - più verosimilmente - si tratta «d'un lit de douleur, sinon de la mort»
(PRIGENT. L"Apocalypse, p. 58)? In ogni caso la «tribolazione». messa com'è in parallelismo con
«letto», è un fatto riscontrabile nell'orizzonte storico presente della comunità.
9
Questa è la posizione di H. Schlicr il quale riconosce la simultaneità delle altre ricorrenze
rispetto ai destinatari dcllihro, ma la interpreta come un anticipo della prova ultima: (( ... tlal punto
di vista della chiesa trionfante ogni tribolazione del tempo appare alla luce di quella ~EyUÀ'l !J).i,jnç
che da lontano già ha cominciato ad attuarsi» (GLNT, IV, col. 533).
'" Rimando per un'analisi dettagliata delle ricorrenze di jlamì.da nell'Apocalisse e le
conseguenze che ne derivano, a quanro deHo nella Parte terza, c. VI.

118
del dinamismo sprigionato da Cristo re crocifisso (cf. Gv 19,19-22), sono fatti
<<regno>>, nel senso di un'appartenenza piena al regno nuovo proprio di Cristo.
In questa situazione saranno poi chiamati a collaborare attivamente al divenire
storico del regno di Cristo nel mondo. Fatti <<regno>> i cristiani hanno anche una
responsabilità regale.
Il terzo elemento che l'autore condivide con i fratelli è la <<perseveranza»
(imo~ovfl) termine tipico dell'Apocalisse - vi troviamo 7 ricorrenze - col
valore di, <<Capacità di sostenere, di sopportare>> perseverando." Tale capacità
si evidenzia nelle circostanze difficili ed è collegata con la fatica (Ap 2,2.3.19);
appare in rapporto particolare col Gesù della vita liturgica (cf. 3,10, dove
Gesù, parlando alla chiesa di Filadelfia, la loda: •Hai mantenuto la parola della
mia perseveranza»): deriva da lui, è un dono suo; è la conclusione che viene
raggiunta nella riflessione sapienziale attuata nel corso del libro (13,10; 14,12:
<<qui>>, a questo punto, emerge la perseveranza dei santi>>) 12 a proposito dei
momenti drammatici della vita del cristiano. Anche in l ,9 la imo~ovi) viene
collegata esplicitamente con Gesù: è la perseveranza, la forza di continuare che
si ha tv 'IT]OOÙ <<in rapporto con Gesù>>, probabilmente in rapporto di
dipendenza col <<GesÙ>> della liturgia n I tre termini si illuminano a vicenda: un
loro stretto coordinamento è suggerito anche dal fatto che l'unico articolo
posto davanti a <<tribolazione» (tii ... ) e la coordinazione dei due xa( li uniscono
in un'espressione unitaria: la <<tribolazione» è la difficoltà costante che il
cristiano incontra nel rimanere <<regno>> e nell'esercizio della sua <<potestà
regale>>: ciò comporta la necessità imprescindibile della <<perseveranza>> pro-
tratta e questa si ottiene in contatto col Cristo risorto, contatto realizzato e
condiviso nell'assemblea liturgica.

" Non meno degli altri tre termini, uno~ovr] è presente accanto ad altre voci affini anche nel
resto del Nuovo Testamento. Cf. la documentazione di F. HAUCK, lltrol-'ovrj, in GLNT, VII. coli.
25-66. Ma è da segnalare il contributo di P. 0RTIZ VALDIVIESO, 'Ytro,.,ovrj en el Nuevo Testamento,
in EX (1957) 17, pp. 51-161. Ortiz supera felicemente la prospettiva strettamente escatologica di F.
Hauck, la quale, specialmente per l'Apocalisse. porta ad un appiattimento per assenza di
prospettiva. È infatti discutibile e riduttiva l'affermazione di F. Hauck: «Ma è soprattutto
l'Apocalisse, il libro della chiesa dei martiri. che elogia per ben sette volte la uno~ovr] definendola
l'atteggiamento giusto e necessario dei credenti nell'ultima ora dell'eone antico» (GLNT. VII. coli.
64-65).
12
Cf. per un'analisi più dettagliata di questo testo importante quanto detto sopra nella Parte
prima, c. !Il. pp. 66-69.
13
Ciò viene indicato dal contesto liturgico immediato e, più generalmente, dall'uso di
'lf]ooiiç senza altri appellativi nell'Apocalisse. Esso ricorre abbinato spesso a !'OQttiQia,
•testimonianza» (1,9; 12,17: 17,6: 19,10 bis: 20,4). Tale testimonianza è attribuila solennemente a
•Gesù Cristo• (l ,2-5) e ha il valore di testimonianza resa da Gesù Cristo in quanto interprete della
parola di Dio. Ma tale testimonianza si trova poi nei cristiani, i quali l'accolgono e l'approfondisco-
no specialmente nel contesto della liturgia. animata dallo Spirito (cf. 19,10). L'accoglienza della
testimonianza viene mantenuta dalla <<fede di Gesù>•, la fedeltà di Gesù. partecipata anch'essa e
condivisa nell'assemblea liturgica. Inoltre troviamo il semplice 'h]ooi!ç e in posizione enfatica
preceduto com'è da i:yw nel dialogo liturgico finale (22,6).

119
3. A PATMOS, IN CONTATTO CON LO SPIRITO NEL GIORNO DI DOMENICA

Seguono, secondo lo schema letterario, le indicazioni di spazio e di


tempo: <<mi trovai trasportato (ÈyEVOrtYJV) nell'isola denominata Patmos>>.
Il verbo y[vortm - nelle 38 ricorrenze che troviamo nell'Apocalisse-
indica propriamente un <<divenire>>: si ha qualcosa di nuovo, qualcosa che non è
ancora accaduto e che accade, con un certo cambiamento rispetto a una
situazione precedente.
Riferito alla situazione geografica, non dice semplicemente che Giovanni
<<si trova» nell'isola di Patmos, ma che questa presenza comporta un passaggio,
un cambiamento rispetto alla sua situazione precedente. È trasportato,
deportato in Patmos, un'isola pittoresca, ma non facilmente raggiungibile,
dall'arcipelago delle Sporadi meridionali, nell'Egeo. Acquista notorietà pro-
prio in forza dell'Apocalisse: il monaco Cristodulo nel 1088 vi fondò
l'imponente monastero di S. Giovanni e la biblioteca."
Esiste una tradizione che ha un fondamento storico" su un soggiorno di
Giovanni l'apostolo a Patmos, probabilmente solo come relegazione per
allontanarlo dalle comunità dell'Asia Minore. L'autore dell'Apocalisse sfrutta
questi dati biografici del protagonista pseudonimo del libro, secondo un
procedimento abituale nell'apocalittica, per evidenziare le circostanze ideali di
solitudine, povertà, austerità, concentrazione. in cui- secondo una tradizione
biblica ampiamente documentata: Paolo che si ritira in Arabia, Elia, Gesù nel
deserto, ecc." - avviene di solito una rivelazione importante e prolungata.
Viene specificato e interpretato il motivo della relegazione: << ... a causa
della parola di Dio e della testimonianza di Gesù». La <<parola di Dio» è ciò che
Dio esprime e manifesta e che si trova n eli' Antico Testamento; tutto questo
raggiunge i cristiani attraverso la <<testimonianza di Gesù»: le due frasi, in
parallelismo sinonimico progressivo, indicano che il messaggio proprio di Dio
ci arriva attraverso l'azione mediatrice di Gesù, detto in proposito <<testimone
fedele» (l,Sa; 3,14). Egli, infatti, è personalmente la <<parola di Dio» (19,13);
nel contatto, specialmente quello realizzato attraverso la liturgia, con la sua
chiesa e nell'azione messianica tendente al superamento del male e al
potenziamento massimo del bene (cf. 19,13), 17 egli esprime, rende concreta,

14
Per una raccolta della documentazione e una valutazione critica dei dati tradizionali vedi
CAMPS, Patmos. coli. 74-81 e la relativa bibliografia.
1
~ La dimora di Giovanni apostolo a Patmos ci è testimoniata in ordine di tempo
dall'Apocalisse, confermata da lrenco (Adv. Haer. V, 30.3) e da molti altri autori che dipendono
da Ireneo (lppolito. Eusebio, Tcrtulliano, Clemente Alessandrino, Origene riprendono le loro
notizie da lrcneo: cf. CAMPS, Patmos, col. 73).
lh Vedi i richiami Ìl).tercssanti e suggestivi, anche se non tutti ugualmente persuasivi- come

l'allusione alla «grotta» - , che riporta KRAFr, Die Offenbarung, pp. 41-42.
17
Il ritolo dato con tanta solennità letteraria a Cristo di A6yo; tnl1 itEoù come suo nome
proprio (19,13) è sulla linea del i.òyoç di Gv 1,1, ma con la prospettiva nuova di un'applicazione
realizzata alla realtà della storia. Cristo è la parola vivente di Dio che, in continuità con l'AT, si
attuerà di fatto nella storia umana quando questa raggiungerà il suo traguardo escatologico. Cf. per
un'analisi del testo quanto detto nella Parte terza, c. Il, pp. 323.

120
testimonia la parola di Dio. Giovanni ha accolto in pieno la testimonianza di
Gesù e quindi la parola di Dio: ne è seguita, come conseguenza inevitabile,
l'emarginazione.
Oltre al luogo, l'autore insiste su una circostanza di tempo particolare: il
giorno di domenica. Giovanni passa - secondo il valore preciso del verbo
y[voJ.lm nell'Apocalisse rilevato più sopra- da quella che era la sua situa;:ione
usuale a una situazione di contatto particolare con lo Spirito ÈyEVOJ.ll(V Èv
JtVE1lJ.lUTL, «divenni nello Spirito>>: ebbe un nuovo contatto con lo Spirito. È un
tratto caratteristico della condizione di profeta, come Giovanni si sente. Lo
<<Spirito della profezia>> (19,10), <<dei profeti>> è lo Spirito santo (22,6), che
guida, ispirandola, l'attività profetica. Non si tratta quindi di un semplice
generico stato di estasi (così Charles, Lohse, ecc.), ma di quella esperienza
tipica del profeta che riceve le sue rivelazioni e si appresta ad esprimerle in
forza di un contatto particolare con lo Spirito. 1'
II contatto particolare con lo Spirito è con lo Spirito di Cristo risorto.
Avviene quindi nel <<giorno del Signore (Gesù)>>, Èv 'TI xugLaxii ~J.lÉQc;t. 19
Il contatto particolare con lo Spirito, l'elemento più rilevante che si
riferisce al <<giorno del Signore», si protrae per tutta la prima parte: viene
ripetuto all'inizio della Seconda parte (4,2) e ripreso verso la sua conclusione
(17,3; 21,10). È sempre la voce di Cristo che parla e rivela, sia nella prima che
nella seconda parte (cf. 1,10; e 4,1). Su di essa viene ora richiamata
esplicitamente l'attenzione.

4. L'INCONTRO CON CRISTO RISORTO: LA VOCE «COME DI TROMBA»

Il secondo elemento dello schema di rivelazione che viene ripreso è la


manifestazione di un essere trascendente che viene in contatto con un uomo.
Inizia con un aspetto uditivo:

v. l,lOb xal ~xouaa <<E udii


ÒltLOW J.lOU dietro a me
(j)WV~V J.lEyéJ.Ì.T(V una voce grande
wç créJ.ì.myyoç come di tromba
l' 11 Ì.fY01JOT(ç· che diceva:
o ~Ì.ÉJtElç Ciò che vedi

18
Cf. per un'approfondimento di questa interpretazione quanto osservato nella Parte
prima, c. V, pp. 91-93. dove è già stato preso in considerazione il nostro testo sotto il profilo
liturgico e per le indicazioni ermeneutiche che contiene. Una situazione estatica viene esclusa
categoricamente anche da JESKE, Spirit, pp. 452-466. Lo Spirito mette in contatto l'autore, visto
come prorcta, e la comunità a cui si rivolge: «lt is that setting of the worship assembly whcrc both
he and they can be "in the Spirit on the Lord's day"» (p. 458).
19
Si tratta di un'espressione caratteristica, anche sotto il profilo linguistico, la cui
interpretazione ha fatto problema. Un'esposizione e una discussione dello stato del problema si
trova nella Parte prima, c. V, pp. 87-91.

121
YQCI-lj!ov scrivi
dç ~t~À(ov m un libro
xat JtÉ~'Ij!ov e invia
wi::; tmà EXXÀT]<Jlatç alle sette chiese:
ELç "Eq>E<JOV a Efeso
xat Eiç L<J~UQVUV e a Smirne
xat dç OÉQya~ov e a Pergamo
xat dç 8UUTElQU e a Tiatira
xat ELç LUQÒEl<; e a Sardi
xat dç <l>tÀaÒÉ)cq>ElUV e a Filadelfia
xat dç Aaoblxnav e a Laodicea»
La voce coglie Giovanni di soprassalto («dietro di me>>), elemento
costante nelle manifestazioni di rivelazione trascendente. La voce è <<grande>>,
ha un'importanza particolare. Tale importanza viene interpretata (wç: <<CO-
me>>) in riferimento al suono della tromba. L'interpretazione non si basa sul-
l'aspetto acustico: non è il timbro e il volume della voce che viene equiparato a
quello di una tromba. Il valore simbolico costante che ha il termine «tromba>>
nell'uso dell'Antico Testamento, specialmente nel contesto di teofanie è di
preparare un contatto diretto con Dio. 20 Se la voce improvvisa ha un'importan-
za, è <<grande>>, da stare al livello di <<una tromba>>, ci aspettiamo di udire la
parola stessa di Dio.
Infatti la voce è messa artificialmente in contatto simbolico con la tromba
proprio mentre si esprime, nell'atto di parlare: ÀEYOU<Jllç collegato grammati-
calmente con craì..;uyyoç anziché ÀÉyoucrav collegato con q>wv~v. 21 La voce è
<<grande>> proprio perché sta parlando col timbro di una <<tromba>> teofanica:
l'autore, con questa anomalia, vuole far pressione su chi legge e ascolta.
La voce esprime un messaggio, che ha per contenuto ciò che Giovanni
«guarda>>. Secondo l'uso tipico dell'autore, <<vedere>> implica per Giovanni
un'esperienza complessa, lunga e laboriosa. Si tratta di riflessioni e approfondi-
menti, di preghiera personale e condivisa, di contatto con lo Spirito, forse
anche a livello mistico che l'autore condensa e propone nella forma letteraria di
visioni. Il contenuto viene ripreso ed esplicitato in 1,19: si tratta di tutta la
materia del libro: <<quelle cose che sono (la situazione delle chiese) e quelle
cose che devono accadere in seguito (i fatti della storia in generale, di cui parla
la seconda parte)>>. 22

"' Vedi l'ampia documentazione raccoila da FRIEDRICH, oai.Jr<y/;, coli. 1197-1240 (special-
mente il n. 4 «Il suono di corni nelle teofanie», coli. 1220-1221). L'autore dell'Apocalisse
riprenderà questo simbolismo nel settenario delle trombe (8,1-11,14).
11 Che fosse spontaneo a un orecchio greco, il riferimento a q;onriJV anziché a oOÀ.ltl."r!Oç ci
viene confermato dalla correzione in À.É:youoav che troviamo nel codice Sinaitico.
2
! Questa sembra l'interpretazione preferibile di un'espressione densa ed anche, bisogna
riconoscerlo, eni&matica: YQ<'n(lov &. Elbrç ><<lÌ [t dolv xaì &. i!ÉMEl yrvtcrtlm i!ftÙ taiJta (1,19).
L'espressione & ELÒEç ~dc cose che vedeste» indica l'esperienza soggettiva del protagonista, mentre
le altre due seguenti ne sottolineano la componente oggettiva di applicazione ai fatti della storia.
Per un'analisi e discussione, cf. V ANNI, La struttura, pp. 116-118.

122
Il messaggio non si limita a una comunicazione a viva voce: deve essere
consegnato per scritto: yga1j'ov El; ~~~À[ov: si sottolinea il carattere di scritto
proprio dell'Apocalisse: un messaggio scritto ha, rispetto al messaggio
puramente orale, una forza incisiva particolare· che gli viene dalla sua
determinatezza e completezza."
Il messaggio è indirizzato esplicitamente <<alle sette chiese»: sono quelle
che vengono nominate subito dopo. L'articolo prima del numero (lo stesso
troviamo già in 1,4: miç bn:à txXÀTJOLatç) indica il gruppo come un'unità. Non
si tratta di una «eptapoli>> ecclesiale, ma si intravede già, al di là delle singole
chiese geograficamente localizzate, un'unità superiore alle singole, la chiesa
nel suo insieme, in quella totalità che viene simboleggiata dal numero «Sette».
Con uno sviluppo grammaticale esplicito, si passa a un'enumerazione
delle sette chiese. L'inserimento della preposizione dç e il conseguente
cambiamento di caso sottolineano lo scarto che si ha nel passaggio dalle sette
chiese viste come totalità unitaria e globale alle singole chiese locali.
L'enumerazione sembra seguire un criterio geografico: Efeso, la capitale, è
anche la città più vicina a Patmos anche se a distanza notevole, circa 100 km in
linea d'aria. Non dovevano essere facili le comunicazioni tra Patmos e il
continente. Le altre si incontrano tutte nell'ordine indicato facendo un giro ad
arco in direzione nord, est, sud-est."
Il soprassalto di Giovanni non gli impedisce di reagire. All'aspetto uditivo
segue ora quello visivo, ma, come vedremo subito, i due aspetti sono saldati
insieme anche forzatamente.

5. IL «FIGLIO DELL'UOMO»

v. 12 xat btÉcrtQE1jiU
~ÀÉltELV
'fitv qlloviJv ijnç tÀO.ÀEL fAEt't!!OU
xat ÈmotQÉ'IjJaç
dùov
bttà kuxviaç xguoiiç

v. 13 xat tv !!ÉO!Jl t<ilv ÀUXVLWV


0!-LOLOV tllÒV UV'frQWltOU
EvÒEÙU!iÉVOV ltOÙÉQTJ
xat ltEQLE~WO!!Évov JtQÒç toiç ~U~crtoiç ~WVTJV xguoiiv.

" Cf. U. V ANNI, li mistero della parola scritta, in B. SECONDIN·T. ZECCA· B. CALATI, Parola
di Dio e spiritualità, Roma 1984, pp. 73-83.
24
Per quanto concerne la situazione storico-geografica delle sette chiese è ancora valida
l'opera classica di RAMSAY, The Lellers. Un aggiornamento particolarmente interessante, soprattut-
to per la parte archeologica, si trova in HEMER, The Letters to the Seven Churches.

123
«E mi voltai
per vedere
la voce che parlava con me
e voltatomi
vidi
sette candelabri d'oro
e in mezzo ai candelabri
uno che corrispondeva (somigliante) a figlio dell'uomo
vestito di una veste fino ai piedi
e cinto intorno alle mammelle di una fascia d'oro>>.
È da rilevare, evidenziando lo sviluppo letterario, un'insistenza sul
«voltarsi>> e sul <<vedere>>, i due verbi che costituiscono il cardine letterario dei
due versetti. I due verbi si corrispondono, secondo uno sviluppo lineare: <<mi
voltai per vedere>> di 12a viene ripreso da <<e voltatomi vidi>> di 12b: la ripresa
indica una corrispondenza parallela progressiva: quanto viene affermato in 12a
viene poi sviluppato in 12b-13. La voce che parlava col timbro della tromba
contiene il nucleo che sarà poi sviluppato nell'aspetto visivo.
La voce. propriamente, non è oggetto di visione. Giovanni si volta per
prendere contatto con la persona che parla, per <<Vederla>>. Ma la forzatura
espressiva <<vedere la voce>> è significativa: non si tratta di una visione vera e
propria, ma di un contatto tutto particolare, con delle modalità nuove e
caratteristiche. Potranno essere percepite dal soggetto interpretante mediante
una valorizzazione attenta di tutti gli elementi simbolici organizzati qui in una
<<struttura discontinua>>." L'insistenza sul dettaglio- del voltarsi- <<mi voltai,
voltatomi>> - sottolinea, visualizzandola, l'eccezionalità dell'esperienza che
l'autore esprime e propone, rispetto alla vita usuale. Ciò che viene proposto
come oggetto è costituito anzitutto da <<Sette candelabri d'oro>>. C'è un contatto
letterario sia con Es 25,31 che con Zc 4,2: si tratta, in tutti e due questi brani, di
un candelabro d'oro (m'norath zahab: LXX: Àuxvla Èx XQUoou, Àuxv(a
XQUm'j)" con sette braccia. li contatto è letterale per quanto riguarda l'aggettivo

" Si tratta dell'organizzazione del materiale simbolico a blocchi separati, che richiedono una
mediazione particolarmente aderente e attiva da parte del soggetto interpretante per comprendere
adeguatamente quanto l'autore vuole comunicare ed evitare il rischio che i blocchi del simbolo
grezzo si accumulino l'uno sull'altro. Per una spiegazione dettagliata del fenomeno letterario della
«struttura discontinua)) c una sua applicazione esemplificativa proprio al nostro brano, vedi sopra,
«Il simbolismo dell'Apocalisse», pp. 31ss.
~·- Riporteremo. quando si trana di un contatto letterario aderente con l" A T. le espressioni
riprese dall'Apocalisse in una trascrizione del testo ebraico aggiungendo il teslO corrispondente dei
LXX e ciò allo scopo di facilitare un confronto e un approfondimento. L'autore dell'Apocalisse,
comunque. come hanno dimostrato concordemente diversi ~tudi (cf. A. VANHOYF., Ezéchiel dans
I'Apocalypse, in Bib. (1962) 43, pp. 431i-472; B. MARCONCINI, L'utilizzazione del resto masoretico
nelle citazioni isaiane dell'Apocalisse, RivB (1976) 24. pp. 113-136; A. GA"GEMI, L'utilizzazione del
Dt-/s neli'ApocaliJ.1·e di Giovanni, in ED (1974) 27, pp. 109-144; 311-339; J .L. MONGE 0ARGIA, Los
Salmos en el Apocalipsis, in Cistercium (1976) 28, pp. 269-278; (1977) 29, pp. 19-48), sembra
dipendere direttamente dal testo ebraico e non dai LXX. Ciò, ovviamente, non comporta che egli
non concoscesse la traduzione dei LXX. Cf., per questo aspetto importante, la nota 31.

124
XQUoaç, che attribuisce ai candelabri; è solo contestuale, per quanto riguarda il
resto. Ci riporta a un ambiente di culto, con un'azione liturgica in atto,
mediante la quale si raggiunge un certo contatto con la trascendenza di Dio.
Ciò è insinuato dall'oro- il metallo di Dio: cf. 21,18-21 27 - di cui sono fatti i
candelabri. Qual è il loro significato'! È illuminante il testo corrispondente di
Ap 2,1, secondo uno schema che ritroveremo nelle <<lettere>> si riprendono e
sviluppano i tratti dell' «apparizione iniziale>>: Cristo risorto si autopresenta alla
chiesa di Efeso come «colui che cammina (6 JtEQtltm:wv) in mezzo ai sette
candelabri quelli d'oro>>: ciò suggerisce una certa spazialità; c'è inoltre una
corrispondenza precisa con l ,20 dove i «Candelabri>> sono identificati con le
«chiese>>. Infine i candelabri sono sette, il numero che indica costantemente,
nel simbolismo aritmetico dell'Apocalisse, la totalità. Emerge un'interpreta-
zione: i sette candelabri d'oro indicano la chiesa nella sua globalità, vista in
stato di attività liturgica e come uno spazio ideale, nel quale è presente e attivo
Cristo risorto e, con lui, Dio stesso.
Lo spazio sacro indicato dai candelabri non rimane vuoto: «c in mezzo ai
candelabri un personaggio>> corrisponde a «figlio dell'uomo>>.
C'è un contatto letterale evidente con Dn 7,13 e che merita un
approfondimento. Troviamo in Daniele:
«lo guardavo nelle visioni della notte ed ecco con le nubi del cielo veniva
come un figlio di uomo (kbar 'enos. LXX e e wç ulòç àvttQw:wu): egli si
avanzò fino all'anziano dei giorni e fu fatto avvicinare a lui>>.
Dn 7,13 è ripreso anche in Ap 14,14 dove il personaggio o~owv ulòv
àvttQlil;wu «corrispondente a figlio dell'uomo>> esegue la mietitura e la
vendemmia escatologica. C'è da notare una peculiarità grammaticale: o~moç
frequente nell'Apocalisse (21 ricorrenze sulle 45 di tutto il NT) è costruito
normalmente col dativo; solo qui e in 14,14, quando è riferito al «figlio
dell"uomo>>, si ha l'accusativo: o~moç col dativo indica, nell'Apocalisse, una
corrispondenza da verificare tra un elemento simbolico e la realtà a cui si
riferisce. La costruzione coll'accusativo esclude lo stesso passaggio interpretati-
vo da un simbolo a una realtà che gli corrisponde. Il personaggio in mezzo ai
candelabri realizza immediatamente in senso pieno, assertivo ed esclusivo, il
«figlio dell'uomO>> di Dn 7,13.
Si tratta allora, secondo un modulo interpretativo di Daniele del resto già
abbondantemente presente nell'ambito del Nuovo Testamento e in particolare
nella «scuola giovannea>>,'" del Cristo visto in prospettiva messianica a sfondo

n Nella presentazione della Gerusalemme nuova, in cui il rapporto tra l'uomo e Dio è visto
arditamente oltre la barriera attuale tra immanenza e trascendcnza, tutto semhra di «oro puro)).
Vedi i dettagli nella Parte terza. c. VI pp. 381-383; 385-387.
lK Troviamo nel quarto Vangelo tredici ricorrenze dell'espressione (~Figlio dell'uomo•>, tutte
in contesti teologicamente molto densi (cf., ad esempio, Gv 1,51; 3,13.14; 5,27, ecc.). Si tratta di
una rielaborazione teologica dello stesso titolo usuale nei sinottici, rielaborazione relativamente
nuova, tanto da provocare tensione: «Chi è questo Figlio dell'uomo?» (Gv 12,34). Tale

125
escatologico. È il Cristo risorto attraverso il quale Dio attua il suo progetto
sulla storia. Ma il Cristo della storia è, anzitutto, il Cristo della sua chiesa, alla
quale si riferisce la caratterizzazione ulteriore espressa in termini di abbiglia-
mento, un tipo di simbolismo antropologico, particolarmente caro all'autore
dell'Apocalisse:" il Figlio dell'uomo è «rivestito di una veste che arriva fino ai
piedi (rroù-~QTJ)». L'abbigliamento, secondo il simbolismo antropologico
dell'Apocalisse, qualifica la persona in se stessa e in rapporto a chi la vede. La
veste che arriva fino ai piedi (noÒ-~QT]ç) e la fascia d'oro collocata in alto,
all'altezza del petto, ma con un'indicazione quasi puntigliosa di questa altezza
(<<alle mammelle»), vogliono dire qualcosa sul <<figlio dell'uomo>> che riguarda
lui e l'ambiente ecclesiale in cui si trova. È un messaggio da decifrare. Per
farlo, occorre procedere per gradi. C'è anzitutto un contatto con l'A T,
segnatamente con Dn 10,5:

<<Alzai gli occhi e guardai: ed ecco un uomo vestito di lino (TM: baddim,
LXX e ~uomva, ~aMtv)"' e i suoi fianchi (TM: motnaw, LXX TTJV
òmpuv, e ~ òocpuç) erano cinti da una cintura d'oro di Ufaz».

Le corrispondenze aderenti tra Dn 10,5 e tutto il nostro contesto


inducono a ritenere che anche D n 10,5 sia stato presente all'autore dell' Apoca-
lisse il quale, però, secondo il suo costume, introduce due varianti di rilievo.
Anzitutto il generico baddim, <<lino», prende la forma di una veste che
giunge fino ai piedi. È tratto simbolico che fa problema. Il termine JtoÒ~QT]ç è
usato soltanto qui nel NT. Il suo significato letterale: <<veste che arriva fino ai
piedi» non ci dice molto a una prima lettura. Il contesto ci suggerisce che si
tratta della veste propria di Cristo risorto ma, secondo lo stile dell'Apocalisse,
il fatto che il termine costituisca una variante vistosa rispetto al modello
anticotestamentario e che appartenga al quadro del simbolismo antropologico
delle vesti particolarmente caro all'autore, è un indizio inequivocabile: l'autore
parlando di rroÙ~QTJ; riferito a Cristo vuole comunicare un messaggio
importante. Di che messaggio si tratta e come identificarlo?
Un primo indizio ci viene dalla traduzione greca dei LXX. L'autore, nel
riprendere l'AT, si riferisce direttamente al testo ebraico o aramaico, come
abbiamo rilevato, ma conosceva, con tutta probabilità, anche la traduzione dei

rielaborazione sbocca nel «Figlio dell'uomo» dell'Apocalisse, facendone il Cristo morto e risorto
(cf. Gv 12,23.34) che, partendo dalla chiesa, applica la sua capacità di influsso a tutto il campo
della storia.
" Cf. sopra, Parte prima, c. Il. pp. 42-44.
"' Riportiamo, a proposito della traduzione dei LXX di Daniele, ancbe quella di
Teodozione. Il rapporto di quest'ultimo con l'Apocalisse fa problema. Nonostante la difficoltà
cronologica (Tcodozionc appartiene al secondo secolo) c'è una tendenza a ravvisare nell' Apocalis-
se alcune riprese letterali della sua traduzione- pre-Teodozione o tradizioni orali- per quanto
concerne Daniele. Tale tendenza è stata sostenuta con molta decisione da H. DE BAAR, L'influence
du livre de Danie/ sur l'Apoca/ypse de Jean (tesi dottorale dife;a al Pontificio istituto biblico il 25-5-
1984, non ancora pubblicata).

126
LXX-' 1 E uno sguardo ai LXX ci mostra 12 ricorrenze di no<'ìi)QT]ç di cui 8 si
riferiscono alla veste del sommo sacerdote. È un indizio non certo probante,
ma che ha, indubbiamente, un suo peso. La veste fino ai piedi potrebbe
indicare una sacerdotalità di Cristo, in continuità con quella dell'Antico
Testamento, ma in un senso ancora tutto da precisare.
Una seconda variante rispetto al modello di Daniele permette una
precisazione ulteriore. Oltre la veste fino ai piedi, Cristo ha, all'altezza del
petto, propriamente <<nella zona delle mammelle» (nQòç wiç f!OO'TOtç) una
fascia d'oro. L'insistenza su questo particolare è sorprendente e colpisce
l'attenzione. Quando, in 15,6 si parla degli angeli con le sette coppe che escono
dal tempio, sono presentati <<rivestiti di lino puro e splendente e cinti al petto di
fasce d'oro». Perché, nel nostro contesto, un'indicazione così minuziosa tanto
da risultare sconcertante nella sua espressione: invece di dire <<alle mammelle>>
non sarebbe stato sufficiente dire <<intorno al petto» come nel caso degli angeli
di 15,6? Si trova una risposta plausibile proprio in un confronto con Dn 10,5-
un testo a cui l'autore si ispira continuamente in tutto il nostro contesto - in
cui si parla, a proposito dell'essere soprannaturale che appare, di un <<Vestito di
lino con ai fianchi (TM: motnaw, LXX ltEQL òmpuv) una cintura di oro di
Ufaz». Si ha uno spostamento in alto, marcato e sottolineato, della cintura
rispetto al modello ispiratore. Con ciò viene indicata la singolarità di Cristo
anche rispetto a figure simili. Ma qual è la differenza che viene così inculcata
tra una cintura d'oro ai fianchi e una cintura d'oro sul petto, proprio sul petto,
all'altezza delle mammelle?
Un testo di Giuseppe Flavio fornisce un'indicazione interessante: <<La
veste talare (no<'ìi)QT]ç xnwv) ... che (i sacerdoti) si cingono al petto (xm:à
atfj{}oç) facendovi passare sopra la fascia» (Ant. III, 7,2). Questa indicazione
permette di determinare la singolarità della figura di Cristo sia per quanto
riguarda il no<'ìi)QT]ç sia per quanto riguarda la cintura d'oro: evocano l'una e
l'altra, sommandosi insieme, una qualifica sacerdotale strettamente personale.
Ma come esercita il Cristo risorto questa sua funzione sacerdotale? Il
contesto immediato lascia la domanda sospesa. Un indizio interessante emerge
dal parallelo con 15,6: anche lì gli angeli hanno una certa funzione sacerdotale,
come è indicato dalla posizione della fascia d'oro <<sul petto>>. Ma essi,
contrariamente a tutti gli usi deli'AT, escono dal tempio e si mettono a

1
' Vari motivi di carattere generale inducono a ritenere che l'autore dell'Apocalisse
conoscesse la traduzione dei LXX: la traduzione circolava negli ambienti cristiani dell'Asia
Minore, familiari all'autore. E irlvcrosimilc che l'autore, persona colta e in contano diretto con que-
sti ambienti cristiani, specialmente col circolo giovanneo, non fosse a conoscenza di un testo
che doveva essere di uso comune. Una riprova aderente di questo si può vedere nel fatto che
l'autore usa OX~vijç !DV ~O(>W(?lOU (15,5) per riferirsi alla '6he/ mo'ed frequentissima neii'AT ma
che, nel testo ebraico, significa «tenda del convegno))_ Sono i LXX che la traducono. interpretando
ma distaccandosi dal valore lessicale dci termini, OXT)VIÌ toù 1-A.UQtlJQ(ou e questa espressione
diventa fissa. È estremamente probabile che l'autore dell'Apocalisse la prenda proprio dai LXX.
La sua conoscenza dei LXX conferirebbe un risalto maggiore all'uso che lui fa del testo originale,
1nvccc che di una traduzione nota.

127
contatto con la storia. Anche la sacerdotalità di Cristo potrebbe muoversi sulla
linea di una mediazione tra il piano di Dio e lo svolgimento della storia, l'instau-
razione del <<regno del mondo>>. 32 Il dettaglio che la fascia sia proprio d'oro-
oltre al fatto della qualifica sacerdotale- pone Cristo in contatto con la trascen-
denza. È una prima indicazione che viene immediatamente sviluppata.

6. IL <<FIGLIO DI DIO»

v. 14f) ÒÈ xEo;paì..f) a\rrou xat "tQtXEç


AEuxat <o; Egwv AEuxòv,
wç xLwv,
xat ol òo;p~aì..,.w( aùwu
wç o;pA6!; l'tUQOç,
v. 15 xat o[ l'tOÒEç UÙ"tOU
Of.!OLOL xaì..xoÀL~UVqJ
wç tv XUf.!LVqJ l'tEllUQOJf.!ÉVr]ç
xat f) o;pwvf) aùwu
dJç qJOOVJÌ ubétl:OJV l'tOÀÀWV.

<<La sua testa poi e i capelli


bianchi come lana bianca,
come neve,
e i suoi occhi
come fiamma di fuoco,
e i suoi piedi
corrispondenti al bronzo
come nel camino di una fornace fondente
e la sua voce
come la voce di molte acque».

Dopo la presentazione del <<figlio dell'uomo» sotto il simbolo dell'abbi-


gliamento, l'attenzione si concentra sulla sua persona, fermandosi su particola-
ri, collegati tra di loro con xal e costruiti con lo stesso schema comparativo
( ... wç, <<come»). Da rilevare l'insistenza su aùwu detto di Cristo: ricorre sette
volte in tre versetti, costituendo un <<motivo letterario», quasi una musica di
fondo, che dà un tono a tutto il brano."
Ciascuno dei particolari presentati costituisce del materiale simbolico -
data la <<struttura discontinua» con cui è costruito - che va decodificato
immediatamente, particolare per particolare. prima di passare all'espressione
seguente.

" n regno «non da questo mondo» del quarto Vangelo diventa, nell'Apocalisse, il «regno
del mondo» attribuito a Cristo: cf. Parte terza. c. II pp. 279-304.
33
Si tratta di un termine c di un"espressione ricorrente con una frequenza rilevabile nello
stesso contesto, in modo da costituirne come uno sfondo letterario; cf. sopra Parte prima, c. I, pp.
20-23.

128
La testa e i capelli sono il primo particolare. Sono presentati insieme,
unitariamente, ma senza subordinazione grammaticale di uno dei due termini
all'altro, come sarebbe naturale (verrebbe da dire: «i capelli della sua testa>>):
ciò accentua l'attribuzione del colore bianco, che viene, così, quasi raddoppia-
ta: sia la testa sia i capelli sono bianchi. Tale insistenza è confermata da un altro
fatto: mentre gli altri particolari sono presentati sempre solo in termini
comparativi (<oç <<come ... »), il bianco, il primo ad essere indicato, è presentato
prima in se stesso e poi rafforzato enfaticamente con due comparativi.
Perché questa insistenza? Una risposta ci viene dal confronto con D n 7,9
che qui viene ripreso alla lettera e variato:

Dn 7,9 Ap 1,14
«Io continuavo a guardare quand'ec-
co ... un anziano dei giorni si assise.
La sua veste come la neve e i capelli del La sua testa poi e i capelli bianchi,
suo capo erano come lana pura; il suo come lana bianca, come neve.
trono era come vampe di fuoco, con
le ruote come fuoco ardente.
C'è da rilevare come l'autore dell'Apocalisse trasferisce al <<figlio
dell'uomo» attributi propri dell"<<anziano dei giorni>>. di Dio, riferendosi allo
stesso contesto di Daniele da cui ha preso l'espressione <<figlio dell'uomo».
Emerge una prima indicazione: <<il figlio dell'uomo>> è situato al livello di Dio,
c'è un'equivalenza tra i due, al punto da permettere lo scambio delle
attribuzioni personali. L'autore non parla, qui, della veste del figlio dell'uomo:
distaccandosi dal modello di Daniele, non attribuisce al <<figlio dell"uomo>> il
dettaglio della veste bianca dell'anziano dei giorni. Ha preferito sviluppare il
simbolismo della veste in un'altra direzione, come abbiamo visto, concentran-
do il bianco sulla testa e sui capelli. Anche qui si distacca dal modello, sia
distinguendo testa e capelli, sia riferendo al bianco loro attribuito due paragoni
in crescendo: <<come lana bianca» già esprime il colore con tutta evidenza:
<<come neve>> esprime il massimo del bianco, secondo un uso biblico diffuso
dell'immagine." L'accentuazione tanto marcata del bianco e la sua attribuzione
forzata anzitutto alla testa suggeriscono una linea interpretativa: come apparirà
anche dalle altre ricorrenze di bianco (ÀEux6ç, Àwxalvw) nell'Apocalisse,"
questo tipo di simbolismo cromatico indica la dimensione trascendente
realizzata e comunicata dalla risurrezione di Cristo. È quasi sinonimo di 1\o!;a,
così come viene intesa nel quarto Vangelo. Cristo, allora, proprio in quanto
risorto e fonte di risurrezione, in quanto immerso nel bianco, è situato allivello
di Dio.

"Cf. Es 4,6; Nm 12,10; Sal 51,7; Is 1,18; Gb 9,30; Sir 43,18.


" Cf. sopra, Parte prima, c. II, pp. 51·52.

129
A questo si può aggiungere un altro aspetto: XE<paì.:r] <<testa>> indica
nell'Apocalisse la sede della vitalità. La testa bianca di Cristo indicherebbe
allora la piena vitalità che gli compete come risorto.
Si passa poi ad altri particolari tutti significativi:

«E gli occhi come fiamma di fuoco».

È il secondo tratto descrittivo riguardante Cristo come persona. C'è da


rilevare un contatto, letterale e variato, con Dn 10,6, il testo di cui ci siamo
occupati più sopra:

<<l suoi occhi sono come torce di fuoco»


(TM k<lappidè - 'es, LXX wç ì..a~rrélbEç rruQ6ç).

È un tratto descrittivo che esprime - in Daniele - sulla scia di un uso


antico-testamentario già stabilito, un'appartenenza alla trascendenza divina.,.
L'autore dell'Apocalisse, pur ispirandosi a Daniele, modifica l'espressione nel
senso di una maggiore accentuazione del fuoco come tale: non si hanno delle
<<torce di fuoco», ma il fuoco allo stato puro, allo stato di fiamma (<pM1;): ciò
induce ad approfondire. Nell'ambito dei molti riferimenti del fuoco a Dio che
troviamo nell'Antico Testamento: il fuoco in relazione a Dio: a) il fuoco nella
teofania, b) il fuoco come strumento del giudizio divino, c) il fuoco come segno
dell'intervento di grazia. d) il fuoco come designazione di Dio), l'insistenza
sulla fiamma da parte dell'autore dell'Apocalisse e il fatto che sta enumerando
le caratteristiche personali del <<figlio dell'uomo», fanno pensare a D t 4,24:

<<Perché JHWH tuo Dio è fuoco divoratore (TM: 'ei 'okla; LXX: 1tiiQ
xatavaì..laxov) e un Dio geloso».

Il fuoco che divora è il fuoco che arde allo stato di fiamma: c'è una
corrispondenza, forse un contatto letterario diretto, tra le due immagini. Come
Dio nell'A T è <<fuoco divoratore», Cristo nel NT ha gli occhi come <<fiamma di
fuoco»: è allo stesso livello di Dio. I suoi occhi esprimono l'amore scottante di
Dio che richiede, in termini di un'interpersonalità acuta di amore (<<geloso»),
una corrispondenza adeguata da parte dei cristiani. Gli occhi <<come fiamma di
fuoco» esprimono inoltre, ma sempre sulla linea di un amore che brucia, una
caratteristica del <<figlio dell'uomo» rapportato alle chiese: ha la capacità di
penetrare con uno sguardo che ha la forza irresistibile del fuoco tutta la
situazione delle chiese e di distruggere ciò che incontra di eterogeneo, come
per appunto il fuoco allo stato di fiamma. C'è implicito un giudizio, ma in
prospettiva medicinale.

" Cf. F. LANG, ;oriip in GLNT, Xl, coli. 821·876.

130
Continua la presentazione di Cristo risorto seguendo lo schema delle
varie parti della persona: «E i suoi piedi corrispondenti al bronzo come nel
camino di una fornace che fonde>>.
Per comprendere questa immagine difficile occorre risolvere due proble-
mi preliminari. connessi tra di loro e riguardanti il testo: si tratta del termine
l'tEJtUQulf!ÉVT)ç che abbiamo tradotto <<fornace fondente>>. Il termine ha fatto
anzitutto difficoltà nella tradizione manoscritta: troviamo JtEJtUQWf!ÉVT)ç testi-
moniato da A C Primasio; JtEJtuQHlf!ÉVtp dal codice Sinaitico e molte versioni
antiche; :ilE:'tuQWf!ÉVOL da P e molti minuscoli. Quale <<lezione>> scegliere?
L'autorità del codice A nei riguardi dell'Apocalisse fa propendere per
JtEJtUQWf!ÉVT)ç, la quale ha anche il vantaggio di spiegare la derivazione delle
altre due lezioni varianti."
Ma - ecco il secondo problema preliminare - come spiegare il genitivo
l'tEJtUQWf!ÉVT]ç? Si tratta con tutta probabilità di un participio sostantivato,
introdotto forzatamente dell'autore per sottolineare il valore di xartlvtp
<<fornace, braciere»."
C'è ancora un contatto, letterale e variato, con Dn 10,6: <<Le sue braccia e
i suoi piedi erano come bronzo lucente». Il bronzo rilucente è tale anche a
prescindere dal fuoco." L'autore dell'Apocalisse, invece, introduce esplicita-
mente l'elemento fuoco e Io fa con un'insistenza accentuata: i piedi del <<figlio
dell'uomo» sono corrispondenti (of!OLOL), possono essere compresi se ci si
riferisce a un termine di paragone noto nell'esperienza umana usuale: si tratta
di un metallo affine al bronzo allo stato incandescente. proprio come si trova
nel braciere di una fornace che tende a fonderlo.
Come in Ap 3,18, la preziosità del metallo è unita all'effetto del fuoco.
L'uno e l'altro aspetto esprimono la figura di Cristo: la preziosità è, qui, sottoli-
neata anche dal fatto che il metallo o la combinazione di cui si parla non hanno
un riscontro persuasivo nell'ambito dei metalli o delle leghe note al tempo del-
l' Apocalisse. Si tratta di un espediente linguistico dell'autore per indicare il
valore unico e trascendente, al di là di ogni verifica umana possibile, di Cristo
risorto, il quale però sta in contatto con l'assemblea liturgica cristiana?"'

. " Come osserva giustamente METZGER, A Textual, p. 732, nrnuQW,..tv<p è concordato con
xa!J.tVqJ, j[EJtUQWJ..IÉvOL è concordato con n60E:;, il tutto nello sforzo evidente di superare la
scomoda lezione più difficile offerta da mltUQOJI'ÉVllç.
J.C~ È la soluzione proposta da G. Mussies e che sembra persuasiva: « ... there is a solution if
onc preceeds from the Aramaic equivalent of """'QUJI'ÉVll s'ripha' the feminine passive of S'raph.
In Hchrew, however, this form can also be a substantive with the meaning of "smelting,
purification" ... wç h ><q~t(V<p !tEltuQUJ!iÉV']ç WOuld be then: "as in a furnace of smelting", or asina
smelting furnace» (G. MusstES, The Morphology of Koine Greek us used in the Apoca/ypse of
fohn. A Study in Bilingualism, Leiden 1971, p. 98).
" Il testo ebraico ha lé'en n'ho.ferh qalal che i LXX rendono wod xul.xòç t!;uowarr<wv,
Teodozione Wç Ogum; XaÀ.x.oU (J"[iÀ(3ovroç. Si ha, in tutti e tre i casi, un'insistenza marcata, sulla
lucentezza- fino a qualificarlo <<sfolgorante)) o <(abbagliante''- del metaJlo, il bronzo. Ma manca
un riferimento preciso a un rapporto del metaJlo nel fuoco.
"' Il termine ;(aÀXoÀ(flavov o xahol.(flavoç ricorre solo nell'Apocalisse. La mancanza di
confronti con altri cofl[esti rende arduo precisare il suo significato. Si sono cercate spiegazioni in

131
Accanto alla peculiarità del metallo c'è il particolare del contatto col
fuoco, che l'autore sottolinea ancora più esplicitamente.
A differenza degli altri, il particolare dei <<piedi>> non ha un significato
specifico: sono semplicemente una parte della persona. Il fatto però che questa
parte qualunque della persona sia pervasa dal fuoco in una misura così
accentuata suggerisce che lo sia tutta la persona.
Come Dio anche Cristo risorto coincide con la <<fiamma divorante>>: è
anche lui un <<Dio geloso>>. Il fuoco che lo pervade tutto, la sua natura «ignea>>,
per così dire, sottolinea la capacità di amore, di giudizio e di purificazione
propria di Cristo come persona, che sarà poi esplicitata nei dettagli.
Questa interpretazione trova una conferma nella ripresa dell'espressione
in Ap 2,18b: nella partecipazione che Cristo risorto fa di se stesso alla chiesa di
Tiatira gli <<occhi come fiamme di fuoco>>, e <<i piedi come bronzo incandescen-
te>> vengono messi in parallelismo sinonimico con <<il Figlio di Dio>>. La capacità
di Cristo di essere <<Figlio di Dio>> per la chiesa viene messa ulteriormente in
risalto:
... <<E la sua voce come la voce di molte acque>>.
Questo ulteriore dettaglio ha un contatto multiplo con l' AT. C'è un
contatto contestuale con Dn 10,6, un testo che, come abbiamo visto, è
particolarmente presente in tutto il nostro brano.
<< ... e il suono delle sue parole aveva il clamore della moltitudine».
Ma il contatto si fa più aderente con Ezechiele per la ripresa della stessa
immagine - di simbolismo cosmico - in una maniera caratteristica:
Ez 1,24: « ... e io udii il rumore delle loro ali (ed era) come il rumore di
molte acque, come la voce dell'onnipotente>>.
Ez 43,2: << ... ed ecco che la gloria di Dio d'Israele giungeva dalla via
orientale e il suo rumore era come il rumore delle grandi
acque>>.
L'autore dell'Apocalisse prende da Daniele lo spunto di una voce
potentissima attribuita a un personaggio trascendente; interpreta alla luce di
Ezechiele questa potenza di voce, strappandola del tutto dal livello degli
uomini per collocarla esplicitamente nella zona trascendente della gloria di
Dio. Il <<figlio dell'uomo>> che ha già parlato con una voce <<come di tromba>>

varie direzioni - le traduzioni latine e siriache - ma senza risultati apprezzabili (cf. per una
documentazione W. BACER, Worterbuch zum Neuen Tesramenr, Berlin, '1958, s. v.). Ma forse si è
posto un falso problema. L'autore tiene presente il modello di Daniele \0,6, ma, come nel caso
della veste, nello stesso tempo lo supera: xaf..xo corrispondente al bronzo di Daniele viene
integrato con un altro termine- Àtf\avov- che fa pensare all'incenso, quindi alla liturgia e alla
trascendenza. Si tratta forse di un neologismo, coniato dall'autore proprio per esprimere l'unicità
trascendente di Cristo risorto e il suo rapporto con l'assemblea liturgica.

132
(v. 9) non solo annuncia la presenza di Dio, ma la realizza in se stesso e la
determina. Tutta la potenza di Dio si trova in lui e si concentra nella sua
parola: prima ancora di comprendere il contenuto del suo messaggio, quello
che le sue parole esprimeranno, si sottolinea che egli, in ogni caso, parlerà con
lo stesso timbro di Dio, che la sua parola avrà la stessa dimensione
impressionante di Dio che manifesta la sua gloria. Con la ripresa del termine
qJwvt'] «VOCe>>- l'autore ne aveva parlato già insistentemente poco prima: <<una
voce come di tromba>> (v. 9), <<vedere la voce che parlava con me>>, (v. 10)- il
gruppo di ascolto viene sensibilizzato gradatamente a percepire il messaggio di
Cristo risorto che gli sarà presentato in Ap 2-3.

7. IL CRISTO RISORTO E LA SUA CHIESA

Intanto l'autore insiste su altri particolari di Cristo risorto, ma sempre


nella prospettiva di rapportarlo alla chiesa
V. 16 xal EXWV tv Tfi od;t(x XELQi mÌ"tou
ÙcrtÉgaç bm'x
xal Èx wu crt6~Lmoç aùwu
QOI!qJa[a O[crtol!oç òl;Ei:a txrroQE1JOI!ÉVTJ
xai ~ 61jnç aùwu
wç Ò ~ÀLOç qJULVE t tv Tfl 01JVU1!Et aÙ"t"OU

<<E stava tenendo nella sua destra


sette stelle
e dalla sua bocca
una spada affilata a due tagli stava uscendo
e il suo volto
come il sole splende nella sua potenza».

Dopo i tratti caratteristici riguardanti la persona del <<figlio dell'uomo>> si


passa a presentare la sua azione, per ritornare alla fine, in maniera sintetica e
conclusiva, direttamente alla persona. Il contatto con l'A T si attenua: l'autore
è ancora più creativo. Gli aspetti che ora presenta sono quindi particolarmente
importanti.
Il primo particolare combina insieme arditamente tre tipi di simbolismo:
<<E stava tenendo nella sua mano destra sette stelle>>.

C'è anzitutto un simbolismo antropologico: <<tenere nella mano destra>>,


la mano della forza, significa tenere saldamente, con tutto l'impegno della
propria energia. Cristo esercita quest'azione in continuità come indica il
participio presente E:xwv. Accanto al simbolismo antropologico troviamo un
tratto di simbolismo cosmico e uno aritmetico: ciò che Cristo tiene saldamente
in mano sono <<sette stelle>>. Le «stelle>> appartengono al cielo, e, quindi, in

133
certo senso, alla zona di Dio;" <<sette» indica la totalità. Viene cosl suggerito
che una totalità di tipo celeste, <<stellare», in qualche modo appartenente alla
trascendenza di Dio è tenuta in mano da Cristo risorto. Di che si tratta
propriamente? L'immagine simbolica, ancora indeterminata e non completa-
mente decodificabile, fa pressione sul gruppo di ascolto e lo sensibilizza. In
effetti l'autore fornirà poco dopo una prima determinazione: <<Le sette stelle
sono gli angeli delle sette chiese» (1,20). L'attenzione si sposta da Cristo alla
chiesa, ma l'espressione «angeli delle sette chiese>> rimane enigmatica. Sarà
ripresa- e trattata in dettaglio- all'inizio del messaggio alle singole chiese.
Potremmo dire che si tratta delle chiese stesse, viste in quella dimensione
trascendente che si trova incarnata nella realtà storica. Tale dimensione, con
tutto ciò che le compete, compresa la prospettiva escatologica, sta completa-
mente e saldamente in mano di Cristo risorto."
Il Cristo risorto che è garante della dimensione trascendente della chiesa,
le rivolge la sua parola in continuazione. Questo fatto di fede, dato per
scontato come tale, viene interpretato. L'autore lo fa con un accumulo di tratti
simbolici, organizzati a <<Struttura discontinua», che esigono una decodificazio-
ne tratto per tratto.
<<Dalla sua bocca una spada ... »: propriamente dalla bocca di Cristo esce il
messaggio che invia alle chiese. Ma questo messaggio ha la forza di una spada
particolarmente tagliente: taglia su tutti e due i lati, è affilata.
Il punto di partenza ispiratore dell'autore può essere stato Isaia 42,2: <<Ha
reso la mia bocca come una spada affilata». Lo sfondo generico dell'immagine è
identico: la parola è come una spada. Ma la simbolizzazione è diversa: in Isaia <<la
bocca» che parla, e quindi la parola, assomiglia (<<come>>) a una spada affilata;
nell'Apocalisse si dice che <<dalla bocca sta uscendo una spada ... »: la spada appare
come il soggetto principale, a cui vengono date delle attribuzioni particolari: <<a
doppio taglio, acuta, che sta uscendo». Ciò comporta, rispetto a Isaia, non solo
una maggiore complessità. ma anche una prospettiva diversa: in Isaia si tratta di
una qualifica data da Dio al suo <<servitore» e che potrà poi attuarsi, insieme alle
altre enumerate nello stesso versetto; nell'Apocalisse si trova uno sviluppo già in
atto: la spada <<sta uscendo dalla bocca>> (EXJtOQf'UOfJ.É:vrr participio presente con
valore continuativo), con tutta la sua forza tagliente.
Ne segue che, proprio mentre Cristo sta parlando, la sua parola acquista
un'efficacia irresistibile, quella di una spada della quale si sottolinea con due
immagini in crescendo la capacità di penetrazione: la spada è <<affilata» (6!;Ela)
e lo è su tutti e due i lati della lama: <<a doppio taglio>> ( olowf!oç)."

" Cf. per un 'analisi più dettagliata del valore simbolico di ll<m\Q «Stella•, quanto osservato
più sopra, Parte prima, c. II. pp. 34-35. . . . .
•z Il simbolismo complesso dell'espressione ~<angelo della ch1esa» sarà npreso ptù avanti,
quando esamineremo la «lettera» a Laodicea. c. III, pp. 138-142.
" Da notare come, sul piano letterario, abhiamo rispetto al modello di Isaia due
rielaborazioni sempre più sviluppate dell'immagine «parola-spada•: quella che abbiamo visto
nell'Apocalisse a quella che troviamo in Eb 4,12-18.

134
La chiesa si sente quindi interpellata, messa in crisi e in discussione, dalla
parola che Cristo risorto le rivolge. Ma sente e sa che tutto questo avviene non
in prospettiva di condanna, ma per stimolare il cammino ulteriore della
conversione. Viene quindi spontaneo alla chiesa passare ùal fatto che Cristo
parla, a lui, alla sua persona vista c considerata in se stessa.

<<E il suo volto, come il sole splende nella sua potenza».

L'attenzione si concentra sulla persona di Cristo e su quella parte


significativa della persona, al punto da coincidere con la persona stessa, che è il
<<VOltO>>: Ò'ljltç nell'ambito del NT ha. oltre al significato ùi <<Visione>> in senso
attivo e di <<apparizione esterna>>, anche quello specifico di <<VOltO>>."
Un contatto letterario, spesso indicato, con un brano dell' AT non appare
probabile.
Troviamo in Gdc 5,31, verso la conclusione del canto di Debora:

«Così periscano tutti i tuoi nemici, o Signore! Ma coloro che ti amano


siano come il sole quando sorge con tutto il suo splendore>>.

I due contesti hanno in comune soltanto l'immagine del sole che poi è
vista con una sfumatura diversa: in Giudici si parla dell'aurora, del sole che
sorge, con quel senso di gioia, di freschezza di attesa, ecc. che suscita.
Nell'Apocalisse il sole è visto già sorto, nel pieno della sua forza luminosa e di
calore. È proprio questo aspetto che viene sottolineato. D'altra parte c'è,
nell'Apocalisse, una simbolizzazione complessa e particolarmente interessante
del sole" e questo fatto accentua l'originalità dell'autore e la sua creatività
proprio a questo proposito.
Più aderente, sia per l'espressione usata sia per il medesimo schema
letterario soggiacente è il parallelo con la trasfigurazione secondo Matteo: <<La
sua faccia risplendette come il sole» (M t 17 ,2) ....

"È il valore documentato di 6-lptç (cf. BAUFR, Worterbuch, s. v.).


'' Il sole (i\kto;) è particolarmente presente nell'ambito dell'Apocalisse: 13 ricorrenze suUe
32 di tutto il NT. Oltre che in senso puramente fisico, l'autore usa il termine col valore simbolico di
un dono particolarmente prezioso da parte di Dio (cf. 12.1 la donna ~<rivestita di sole»).
L'esperienza di Cristo risorto paragonata al sole non si limita a una sensazione fisica, ma suggerisce
una traiettoria di simbolizzazione sulla linea del dono più prezioso da parte di Dio.
" Il parallelo è aderente come immagine c come contesto. In Matteo tratta di Cristo che si
trasforma davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni, mostrandosi, con l'anticipo di un'azione
profetica, già nella sua realtà di risorto. L'autore dell'Apocalisse, che probabilmente è a
conoscenza della tradizione dell'episodio della trasfigurazione- forse addirittura è al corrente del
testo di Matteo - , attribuisce a Giovanni un'esperienza che ha un Filo di continuità con quella di
cui anche Giovanni stesso è stato protagonista nell'episodio della trasfigurazione. L'episodio, in
effetti, esercita una certa pressione sulla tradizione cristiana, come ci mostra l'allusione che
l'autore della seconda lettera di Pietro fa a Pietro, un altro dei protagonisti (cf. 2Pt 1,17).
Ammesso un contatto con la tradizione riguardante la trasfigurazione, ed, eventualmente, con Mt,
dobbiamo però rilevare anche qui l'originalità dell'autore dell'Apocalisse: quella che è in Mt- il
testo più vicino a quello dell'Apocalisse - un'illuminazione improvvisa che inizia (fÀa!11j>EV. con
valore probabile di aoristo ingressivo: ~~cominciò a risplendere,), nell'Ap è una situazione stabile,

135
Tutta la frase ha una notevole forza emotiva, come appare dalla
precisazione « ... quando splende nella sua potenza>>. L'autore gusta la natura.
Quel senso di gioia, di positività, di forza, di creatività che dà il sole quando
splende nella sua potenza (non in un giorno nebbioso!)," lo comunica il volto di
Cristo risorto, e, più generalmente, la sua persona. Non si tratta di una visione
in senso fisico: è il Cristo risorto pensato, sentito, creduto come tale che ha, per
il gruppo di ascolto al quale l'autore si rivolge, il fascino stimolante del sole.
Si parla del sole <<quando splende in tutta la sua potenza,: si sottolinea
l'energia irradiante propria di Cristo risorto nei riguardi di tutti coloro che,
venendo in contatto con lui, potranno riceverla ed esperimentarla, così come
esperimentano l'energia del sole.

8. LA REAZIONE DI DEBOLEZZA E L'INTERVENTO DI COLUI CHE APPARE


CON~'ERENDO UN INCARICO

Terminiamo qui l'analisi esegetica di questo brano fondamentale per


tutto il testo dell'Apocalisse.
Nei versetti che seguono (1,17-20) ritroviamo gli elementi corrispondenti
allo schema soggiacente in Daniele c nell'episodio della trasfigurazione dci
sinottici: Giovanni di fronte all'esperienza abbagliante di Cristo risorto cade
tramortito (1,17a). C'è allora un intervento di Cristo che, qualificandosi in
termini più semplici ed espliciti come risorto (1,17b-18) cosi specifica l'incarico
di scrivere già conferito a Giovanni (1,19-20).

9. CONCLUSIONE

La figura di Cristo, risorto così come emerge da quanto abbiamo potuto


analizzare, è tipica della prima parte dell'Apocalisse. E il Cristo risorto, con
tutte le potenzialità dinamiche che gli competono come tale, ma è soprattutto il
Cristo della chiesa, visto ed accolto da essa, attivo soprattutto per quanto
riguarda la vita della chiesa dall'interno, che è il tema unificante di tutta la
prima parte. Sarà tipica della seconda parte in senso assertivo ed esclusivo la
figura di Cristo-agnello, della quale ci occuperemo in seguito.
Dovremo però, per un'esigenza organica di completezza, vedere più da
vicino il Cristo così come emerge da questa presentazione quando si mette diret-
tamente a contatto con la chiesa. È ciò che faremo nel prossimo capitolo studian-
do il rapporto particolarmente mosso di Cristo risorto con la chiesa di Laodicea.

continuata. Inoltre mentre in Mt il volto di Cristo è soggetto di fka!J,1j>tv, neii'Ap rimane a se


stante, nella sua luminosità unica, irripetibile, che può essere solo paragonata al sole che splende
nella sua potenza.
" Da notare un particolare geografico: la potenza del sole sperimentata a Patmos dove
l'Apocalisse è amhicntata è impressionante e suggestiva. Non è né il sole di mezzanotte del polo
nord né il sole delle zone tropicali!

136
capitolo III

La Lettera a Laodicea: 3,14-22 1

l. IL PROFILO LETTERARIO

Il primo passo che, secondo quanto abbiamo detto nella prima parte, si
impone per comprendere un brano è una valutazione vigile degli elementi
letterari. Si nota subito a questo proposito che, come le altre <<lettere>>, anche la
lettera a Laodicea è costruita con uno schema letterario fisso, distribuito in sei
punti:'
a. indirizzo: "KUl t0 àyyfì..q~ ... (3,14s)
b. autopresentazione di Cristo: tétbE À.ÉyEl ò ... (3,14b)
c. giudizio di Cristo sulla situazione della chiesa: olbét oou tà EQya (3,15)
d. esortazione particolare di Cristo alla chiesa: non ha un inizio carat·
!eristico come le altre parti, perché c'è un passaggio spontaneo e quasi inavver-
tito tra il momento giudiziale sempre in prospettiva medicinale e positiva e il
momento propriamente parenetico qualificato come tale dall'imperativo che,
in ciascuna delle sette <<lettere>>, ricorre puntualmente dopo il <<giudizio>>.
L'esortazione particolare inizia probabilmente in 3,17 e si conclude in 3,20.
e. la promessa fatta al vincitore: 6 VLKÙJV 6wow aùt0 (te!) VLKÙlvtL)
(3,21).
f. esortazione, di carattere generale, all'ascolto dello Spirito.
Questo schema letterario ha anche un senso teologico? In altri term1m:
come interpretare il fatto letterario evidente dello schema, che ricorre

' La Lettera alla chiesa di Laodicea è stata fatta oggetto di ricerca specialmente sotto tre
aspetti: i suoi rapporti con l'AT, la sua ambientazione storico-geografica, il messaggio morale che
propone.
Rientrano nella prima categoria specialmente TRUDINGER, 'O t'ttJ.T]v, pp. 277-279; L. H.
StLBERMAN, Farewellto «O amen». A Note on Rev 3,14, in JBL (1963) 82, p. 213; nella seconda
M.J.S. RunwtcK, The Landicean Lukewarmness, in ExpT (1957s) 69, pp. 176ss; soprattutto
HEMfR, The Lel/ers, pp. 17H-290; trattano globalmente la lenera, esplicitandone sopratlutlo il
messaggio: J. ALONSO DtAZ, El estado de tibieza espiritual en relaci6n con el mensaje del Senor a
Laodicea !Apoc 3,14n). Serie de Ascética 7, Comillas 1955; J.B. BAUER, Salva/or nihil medium
amat (Ape 3,15; Mr 25,29), in VD (1956) 34, pp. 352-355; A. EHRHARDT, Das Sendschreiben nach
Laodizea, in EvTh (1957) 17, pp. 431-445.
2
V ANNI, La parola. pp. 18-40. Per quanto concerne la struttura letteraria tipica di questa
prima parte, vedi VANNI, La struttura, pp. 302-304 (con relativa bibliografia).

137
sostanzialmente uguale in tutte e sette le <<lettere>>? Si tratta di un fenomeno
puramente letterario - come, ad esempio, la combinazione metrica di un
esametro, la strutturazione metrica complessa dei cori nelle tragedie greche,
nelle Odi di Pindaro, ecc. - oppure c'è, qualche elemento in più, riferibile
specificamente ali" esperienza del gruppo di ascolto al quale il discorso è
indirizzato? Dopo l'esegesi dei singoli punti sarà possibile progettare una
risposta.
Una caratteristica letteraria di fondo, che emerge particolarmente in
questa lettera, è il tono caldo e appassionato del linguaggio, cun l'estremismo
tipico di un amore <<da fidanzati••, come avremo modo di rilevare nell'esame di
molti dettagli.
Veniamo all'esegesi dei singoli versetti, che svolgeremo secondo i sct
punti dello schema letterario, con un'attenzione particolare al simbolo.'

2. EsEGEsi

L'indirizzo: «l'angelo della chiesa»

«Angelo della chiesa» è un'espressione tipica dell'Apocalisse: per la sua


ricorrenza in tutte e sette le lettere acquista un rilievo letterario particolare. Le
interpretazioni proposte si possono ricondurre a due linee: l' <<angelo» è visto
come entità individuale di tipo celeste («angelo custode>>, protettore, ecc.) o di
tipo terrestre («vescovo», <<messag~ero>> presente a Patmos e pronto a partire
per raggiungere le chiese, ecc.). E stato interpretato anche come un'entità
collettiva e allora coincide semplicemente con la chiesa, alla quale è indirizzato
il messaggio.' Per un orientamento si impongono alcune precisazioni. La prima
è di carattere storico. Al tempo dell'Apocalisse le chiese dell'Asia Minore
presentano una strutturazione gerarchica complessa, ma ben definita: al vertice
c'è il vescovo, vengono poi i presbiteri e i diaconi. Troviamo tutto questo
ripetuta mente nelle Lettere di s. Ignazio di Antiochia, di poco posteriori (o
contemporanee?) all'Apocalisse, dirette alle chiese dello stesso ambiente
geografico.' Anche se il vescovo non è chiamato <<angelo», il livello attribuito

3
È importante sottolineare questo aspetto, sulla linea di quanto esposto nella prima parte.
Un'attenzione agli elementi storico geografici, che si chiuda in se stessa. divenendo esegesi (cf.
HEMER. The /etrers), dà un risultato appiattito, col rischio di scadere addirittura nel banale (cf. il
giudizio severo in proposito di PRIGENT, L'Apocalypse, p. 74, nota 6). Queste interpretazioni
storico-geografiche a orizzonte chiuso - e che, in fondo, si riducono a una pregiudiziale
ermeneutica- costituiscono, nella storia dell'esegesi della Lettera, una reazione a interpretazioni
troppo collocate nel quadro dello sviluppo della vita spirituale cristiana, quale si è delineata molto
dopo (cf. ALONSO DIAZ, El esrado; BAUER, Salvaror). Solo un'attenzione duttile agli elementi
simbolici, che assumono, ma riinterprctandoli, anche molti dettagli geografici. costituisce una
chiave di lettura adeguata.
' Cf. per una panoramica documentata delle divene opinioni e tendenze BROTsCH, La
clarté, pp. 44-45 e per un aggiornamento PRJGENT, L'Apocalypse, pp. 34-35.
' cr. ad esempio, Letrera ai Magnesii, III-IV, Lerrera ai Tralliani, II-III; Lettera agli
Smirnesi, VIII-IX, ecc.

138
alla sua persona e alla sua funzione che lo mette in un rapporto particolare e
diretto con Dio, potrebbe giustificare pienamente questo appellativo. Un'in-
terpretazione del genere, perciò, non può essere detta anacronistica.
Una seconda precisazione: nell'Apocalisse il termine ayyEÀoç ricorre con
una frequenza particolarmente alta: 67 volte sulle 175 di tutto il NT. A pre-
scindere dall"esprcssione «angelo della chiesa>> - ricorrente 8 volte - il
termine si riferisce a un essere trascendente anche se sempre collegato con la
realtà umana. Si ha una trascendenza negativa in un caso in cui ayyE"Aoç è
riferito al demoniaco: le <<cavallette>>, simbolo appunto del demoniaco che si
insinua nelle strutture umane, hanno come loro re tòv ayyEÀov tijç a~uooou
<<l'angelo dell'abissO>> (9, li). Normalmente la trascendenza attribuita agli
angeli è di segno positivo: gli angeli sono implicati nel dinamismo della storia
della salvezza a vari livelli e con diversi ruoli.
Tra questi è particolarmente interessante quello attribuito a un angelo in
Ap 16,5. Quando viene versata la terza coppa sulle acque che diventano
<<sangue>> come quello di un cadavere (16,3), Giovanni ode <d'angelo delle
acque>>, toù ò.yyÉÀOU tWV ubéxtwv, che, rivolgendosi a Dio, interpreta,
riferendolo alla storia degli uomini, l'intervento di Dio riguardante le acque
(Ap 16,7). Mentre altrove la personalità dell'ayyEì..oç è chiaramente indicata,
qui come in altri casi (cf. ad es. 9,14: <<i quattro angeli legati al fiume grande
l'Eufrate»), la personalizzazione è solo letteraria. L'angelo diventa un simbolo
che esprime il rapporto di una realtà umana con Dio. Il contesto permette di
determinare il senso e la portata di questo rapporto.
La stessa costruzione grammaticale, ayyE"Aoç col genitivo, che incontriamo
sia nel caso dell' <<angelo delle acque» che in quello di <<angelo della chiesa»
avvicina notevolmente le due espressioni: c'è da aspettarsi che l'una illumini
l'altra.
Una terza precisazione. <<Angelo della chiesa», prima che nell'indirizzo di
ciascuna lettera, si ritrova nel contesto dell'<<apparizione» iniziale. In 1,20 si affer-
ma l'equivalenza tra gli <<angeli della chiesa» e le «sette stelle» che il Cristo risorto
tiene con forza nella sua mano destra. La <<stella» rientra nel quadro del simboli-
smo cosmico e indica il livello della trascendenza. L'angelo della chiesa. equiva-
lendo a una stella, è situato nel cielo, nella zona, appunto della trascendenza.
Ma le «sette stelle», pur esprimendo questo significato di trascendenza, sono
collocate nella mano di Cristo. L'autore lo afferma per la prima volta nel vivo
dell'<<apparizione iniziale» (1,16) e lo ripete nell'autopresentazione di Cristo alla
chiesa di Efeso (2,1). Un confronto tra i due testi ne chiarisce il significato:

1,16 2,1
xai EXWV tv T"fi OE!;u;i XEtQl aùtoù 6 KQUtWV toùç É:ttà Ò.cnÉgaç tv T"fi
àcnÉga; Éma OE!;tc;i aùtoù

<<E che ha nella sua destra sette stelle» <<Colui che tiene con forza le sette
stelle nella sua destra»

139
Cristo non solo ha (fxoov) ma tiene con forza (x(latW'V) nella sua destra le
stelle equivalenti agli angeli delle chiese 6 Questo fatto obbliga ad allargare la
prospettiva: la trascendenza espressa dagli <<angeli delle chiese>> non è quella in
certo senso già scontata degli angeli in senso usuale, ma è una trascendenza
nuova che è determinata dall'influsso attivo di Cristo.
Esaminiamo, ora, direttamente, il testo delle lettere: il messaggio è
indirizzato all'<<angelo» della chiesa; ma il discorso che viene fatto riguarda la
chiesa stessa. Il <<IU» della seconda persona singolare diventa un <<VOi» plurale,
senza che appaia nel passaggio variazione alcuna di significato (cf. 2,25 rrÀi}v o
ÉXEtE X(latljoatE «ma ciò che avete mantenete» e 3,11: X(latn EXELç o
«mantieni ciò che hai»). Nello stesso discorso si passa dal <<tU» al <<VOi» per
ritornare al <<tu», senza spostamenti di significato (cf. 2,10: fHJÒÈv qJO~ou <<non
temere per niente» ... EçEtE {lì-.i')JLV ~1-!E(lÙJV ÒÉxa, <<avrete una tribolazione di
dieci giorni» e, subito dopo yivou mm:òç UXQL {lavéttou, <<divieni fedele fino
alla morte»). Il discorso all'angelo è diretto alla chiesa nella sua globalità e
viceversa: angelo e chiesa sotto questo aspetto coincidono.
La chiesa, però, quando le viene rivolto il discorso sia col <<tU» che col
<<VOi», è intesa nella sua struttura concreta. Alcune azioni attribuite sono
tipiche dell'autorità ecclesiale,' come le determinazioni dottrinali, sia quando
se ne loda l'esecuzione (cf. 2,2) sia quando se ne lamenta l'assenza e la
parzialità (cf. 2,14-20). Altre sono riferibili a tutta la chiesa, <<gerarchia»
episcopale compresa, ma senza che ci sia un riferimento particolare a una parte
piuttosto che all'altra della struttura ecclesiale, come i richiami alla conversio-
ne. Ma la chiesa, con la sua struttura concreta, i suoi problemi, le sue luci e le
sue ombre, è in mano a Cristo che la purifica e l'abilita all'ascolto dello Spirito.
Qual è, allora, in sintesi il significato che esprime od evoca la frase <<angelo
della chiesa>>, tenendo conto di tutto questo?
Lo si può comprendere meglio seguendo la trafila che l'autore presenta al
soggetto interpretante. Questi di fronte alla prima affermazione di 1,16 <<e che
tiene nella sua destra sette stelle», rimane perplesso: si chiede com'è che delle
stelle stanno nella mano destra di Cristo. L'incongruenza dell'immagine,
determinata dall'abbinamento del simbolismo cosmico (<<stelle») e di quello
antropologico (<<mano destra»), fa pressione per un 'elaborazione successiva dei
due elementi simbolici. È il procedimento tipico della <<Struttura discontinua».
Le <<Stelle» indicano la trascendenza. ma non si dice ancora a chi sia riferita. La
<<mano destra» è l'energia con cui Cristo risorto possiede e sostiene questa
trascendenza; ma non se ne determina ancora la fisionomia concreta.

' L'azione di una forza che influisce non è riferibilc. nel contesto dell'Apocalisse, agli angeli
intesi nel senso usuale. Non solo non c'è traccia di un qualunque conflitto ma, al contrario. appare
tra Cristo e gli angeli un'armonia sorprendente (cf. ad esempio 14,14-20 dove gli angeli sembrano
addiriltU(a dare degli ordini al «Figlio dell'uomo» intronizzato).
' E la funzione che, ad esempio, nelle lettere pastorali paoline viene attribuita esplicitamen-
te a Timoteo e Tito come a responsabili della comunità.

140
Un passo ulteriore per la sua precisazione si ha in l ,20a. La trascendenza
delle stelle in mano di Cristo risorto è riferita agli «angeli delle chiese>>.
L'espressione, originale ed enigmatica, stimola ancora il soggetto interpretan-
te. Gli vengono in mente gli angeli che svolgono un ruolo rispetto alle chiese
collegandole con la trascendenza. Ma questa prima interpretazione non
esaurisce il simbolo. Il possesso di Cristo esercitato con forza non si addice agli
angeli veri e propri, mentre si addice alle <<chiese» alle quali gli angeli sono
riferiti: Cristo comunica la trascendenza che ha in mano alle chiese e la
mantiene con forza.
La dimensione trascendente data e mantenuta da Cristo alla chiesa si realiz-
za - incoativamente per lo meno - nella concretezza spazio-temporale della
chiesa stessa, nella chiesa rilevabile storicamente, con un·acccntuazione della sua
dimensione liturgica. Subito dopo l'indicazione che <<le stelle sono gli angeli delle
chiese» si soggiunge: <<e i sette candelabri sono le sette chiese» (l ,20b ).
Il passaggio dalla dimensione <<stellare» e trascendente, a quella spazio-
temporale è spontaneo: si tratta della stessa chiesa. Si può vedere una certa
continuità anche nell'immagine: dalle <<sette stelle» simbolo della trascendenza
si passa alle sette fiammelle accese poste sui sette candelabri, che esprimono la
dimensione liturgica attuale della chiesa. Cristo si occuperà - come verrà
esplicitato subito dopo- di tutte e due le dimensioni: sarà, nello stesso tempo,
«colui che tiene fortemente nella sua destra le sette stelle» e <<colui che
passeggia in mezzo ai sette candelabri d'oro» (2,1).
Una conferma letteraria di questa conclusione si può vedere nel fatto che,
nell'espressione fissa ricorrente, àyyÉÀ.~ è diviso da EXXÀ.T]o[aç mediante
l'inserimento, in mezzo, di una determinazione spazio-temporale: -rl]l ayyfA~
tfiç Èv AaoÒLXELçt EXXÀ.T]olaç. L'aspetto trascendente, <<angelico», della chiesa
è collegato strettamente e fa massa con quello storico-geografico, come si
realizza mentre Cristo sta parlando.
In sintesi: l'espressione caratteristica <<l'angelo della chiesa», proprio per
la sua tipicità e il carattere enigmatico che presenta, ha una capacità di
evocazione multipla, secondo lo stile dell'autore dell'Apocalisse: richiama,
anzitutto e soprattutto, la chiesa, collegata con la trascendenza, in analogia con
l'<<angelo delle acque». Tutto il contesto, seguito sul filo dell'attività richiesta al
soggetto interpretante, precisa che tale collegamento consiste nel fatto che
Cristo, presente e attivo nell'ambito storico e sociologicamente rilevabile della
chiesa con la sua struttura, ne garantisce con la sua forza di risorto la
dimensione trascendente. Ma Cristo non agisce da solo: la stretta collaborazio-
ne tra gli angeli e il <<figlio dell'uomo» induce a pensare che l'espressione
«angelo della chiesa» evochi anche, in parallelo e subordinatamente all'azione
di Cristo, il ruolo attivo che gli angeli veri e propri svolgono nei riguardi della
chiesa, aiutandola a raggiungere e realizzare la sua dimensione trascendente.
Il discorso è rivolto a Laodicea. Fondata da Antioco II verso la metà del
III secolo a.C., Laodicea era divenuta importante come nodo stradale da Efeso
verso l'interno. Aveva un centro bancario efficiente. Distrutta da un terremoto

141
nel 60 d.C. si ricostrul con le sue risorse. Era celebre per il commercio di
tessuti. Galeno ricorda un unguento per gli orecchi inventato a Laodicea, il che
fa supporre una fiorente scuola medica.'

L'autopresentazione di Cristo: «Così parla colui che ... »


Dopo che, con l'indirizzo, si è stabilito un contatto preciso tra il Cristo
risorto che parla inviando un messaggio e la chiesa destinataria, Cristo si
qualifica, si ripresenta alla chiesa stessa. Abbiamo, secondo lo schema
letterario illustrato più sopra, l'auto-presentazione di Cristo, che alla chiesa di
Laodicea si esprime in questi termini:
V. 14b tME À.ÉyEL
6 Ùj.!ftV
6 j.!UQtuç 6 rwn:òç xat àÀT]thv6ç
ft ÙQX~ tf)ç XtLOEWç tOÙ -!tEOÙ.
«Queste cose dice
l'amen
il testimone, quello fedele e ventlero,
l'inizio della creazione di Dio>>

La formula introduttoria, particolarmente solenne, delle auto-presenta-


zioni di Cristo «queste cose dice», tMlE ÀÉyEL, ricorre sempre uguale in tutte le
<<lettere>>; collegata come dipendenza letteraria, col koh 'amar «Cosl parla>>
detto frequentissimamente di Dio nell'AT, specialmente nei profeti, conferisce
alle parole di Cristo lo stesso livello di importanza e lo stesso tono profetico-
oracolare della parola di Dio. Ma prima di indicare quello che dice, Cristo
insiste su se stesso come soggetto che parla. Si qualifica anzitutto come
•<l'amen>>, 6 ÙjlftV.
È l'unico caso in cui il termine è presentato, nel NT, come un attributo di
Cristo. Qual è la sua origine e quale il significato preciso?
Sono stati proposti due modelli ispiratori anticotestamentari. Anzitutto Is
65,16-19
«C h i vorrà essere benedetto nel paese,
sarà benedetto in Dio-Amen' ('elohe- 'amen;
LXX: tòv -!tEòv tòv ÙÀl]-!ttv6v),
chi vorrà giurare nel paese,
!!iurerà per Dio-Amen (TM e LXX come sopra) perché

' Per una presentazione dettagliata delle notizie storiche e archeologiche riguardanti
Laodicea, cf. HF.MER, The Letters. La notizia del terremoto e della ricostruzione della città
(«rcmcdio propriis opihus rcvaluit») ci viene da Tacito (Ann. 14.27.1). Ma solleva problemi per le
modalità del rapporto con Roma (HEMER, The Letters, pp. 193-196).
' Nel testo ebraico abbiamo 'e/ohe-'omen. La traduzione dei LXX tòv iiEòv tòv t'ù.T]i1Lv6v
sembra supporre la lettura 'e/ohe-'amen. com~ osserva CUARLES. The Revelation, p. 94.

142
saranno dimenticate le tribolazioni antiche
saranno occultate ai miei occhi.
Ecco infatti io creo nuovi cieli e nuova terra;
non si ricorderà più il passato,
non verrà più in mente,
poiché si godrà e si gioirà sempre
di quello che sto per creare
e farò di Gerusalemme una gioia>>.
Un secondo modello proposto è Pro 8,30:
«Allora io ero con lui come architetto
('àm6n, LXX: CxQJ.lO~ovoa)
ed ero la sua gioia ogni giorno>>.
'AJ.lijV sarebbe, qui nell'Apocalisse, una lettura erronea di 'àm6n. E 'àm6n
«architetto>>, con ruolo attivo nella creazione, quadrerebbe ottimamente con il
contesto che segue, dove Cristo si presenta come <d'origine della creazione di
Dio>>. Si tratta di una costruzione ingegnosa, ma, proprio come tale, suscita
molte perplessità. È difficile ammettere una lettura erronea dell'A T da parte
dell'autore dell'Apocalisse, il quale tende, caso mai, a darne un'interpretazio-
ne nuova. D'altra parte il contatto con il Terzo Isaia è talmente aderente, da
imporsi come determinante, tanto più che proprio nel testo di Isaia, che
l'autore dell'Apocalisse sembra riprendere, si trova un'allusione inequivocabi-
le alla nuova creazione di Dio, quella che si attua in rapporto a Cristo.
Come allora suggerisce il contesto di Isaia, Cristo presentandosi come 6
à11iJv concentra in sé, personalizzandola, la fedeltà di Dio alle sue promesse, la
coerenza di Dio con se stesso, in prospettiva di un rinnovamento.
Nel Cristo risorto che si presenta come 6 ÙJ.lTJV abbiamo la concretizzazio-
ne viva e personale degli impegni di Dio.
Nella liturgia CxJ.lTJV conclude, riassumendola e indirizzandola verso Dio in
una tensione di desiderio, una preghiera o una celebrazione: questo accade in
modo speciale nell'Apocalisse (cf. 1,6.7; 5,14; 7,12(bis); 19,4; 22,20). Cristo-
CxJ.li}V suggerisce allora, dato il contesto liturgico in cui ci troviamo, anche un
movimento ascendente. In lui si condensano e concretizzano le aspirazioni
dell'assemblea liturgica rivolta a Dio. Passano attraverso di lui.'" Cristo sarebbe
allora il «SÌ>> pieno di Dio alla chiesa e il «SÌ, così sia>> della chiesa a Dio.
Cristo continua e, in parallelismo con 6 CxJ.lTJV, si presenta come 6 I!UQtuç
6 mot6ç xat àÀ.rp'hvoç: «il testimone, quello fedele e veritiero». Si tratta di

" Si ha questo doppio movimento, discendente e ascendente, riferito a Cristo e collegato


con l'amen liturgico, anche senza la forte personalizzazione che troviamo nell'Apocalisse: ((TuttL' le
promesse di Dio. in[atti. in lui (sono) "Sì"; per questo anche attraverso di lui l'amen (tò Nai
'A~ttiv) a Dio per la gloria per meuo di noi» (l ,iO). Si ha un caso di dipendenza parallela ·da
Isaia?

143
un'interpretazione di 6 Ò.!ttiv inteso nel suo movimento discendente: Cristo è la
concretizzazione a portata degli uomini, nell'ambito della loro storia, della
promessa di Dio. La sua testimonianza non è altro che un'attualizzazione della
parola di Dio. Tale testimonianza, vista in rapporto con Dio, è «fedele»,
perfettamente aderente alla parola di Dio; vista sul versante dell'uomo, la
testimonianza di Cristo è <<Veritiera•• nel senso che esprime e rivela la realtà e la
funzione di Cristo rapportata al gruppo di ascolto.
Una terza espressione, un parallelismo sinonimico con le altre due
esaminate, conclude la presentazione che Cristo fa di sé. Cristo si qualifica
come ~ agx~ <i]ç xT[orwç wù {ìroù, <<il principio dell'azione creativa di Dio».
L'espressione ha fatto pensare a un contatto letterario di dipendenza
rispetto alla lettera ai Colossesi 1,15.
La vicinanza delle due città, l'indicazione che la lettera ai Colossesi venga
letta anche in Laodicea (Col 4,16) e alcune corrispondenze interessanti
rendono suggestiva l'ipotesi. Una verifica porta ad un approfondimento.
Col 1,15 Ap 3,14b
oç tOTL V tOÙ {ìEQij
EÌKÒJV T) UI?Xri tT)ç xr[arwç toù
TOÙ UOQé11:01J {ìEQij
n:gwt6mxoç n:étOT]ç wr[arwç
1,18
oç Èonv al?xri, n:gwtomxoç
ÈK tWV YEKQWY

I termini rilevati in comune sono due: Ò.QXTJ e xtlatç, ma si trovano inse-


riti in proposizioni diverse. Diversa è anche la loro strutturazione grammati-
cale: in Col àgxT) è assoluto e senza articolo rispetto all'Apocalisse; xt[orwç
dipende, sempre in Col, da n:gwt6toxoç ed è preceduto da rrétOT];. mentre nel-
l'Apocalisse dipende da Ò.QXTJ ed è seguito da toù {ìEOù. La formulazione del-
l' Apocalisse, rispetto a quella di Col, non è meno originale e suggestiva.
La corrispondenza di fondo si spiega con un ambiente liturgico comune,
quello appunto di Colossi-Laodicea; le differenze notevoli rivelano un'indipen-
denza letteraria ed un'originalità dei due autori nell'elaborare, ciascuno a
modo suo, un probabile materiale liturgico comune. L'espressione si rifà
all' AT? Si cita Pro 8,22: <<Il Signore mi acquistò come inizio (TM qtintinf re'sit,
LXX: ExnoE !!E àgxT)v) della sua via, prima che lui facesse dall'inizio».
n testo ebraico suggerirebbe solo un contatto tenue, dato dall'equivalen-
za di re'sit con àgxT); quello dei LXX, traducendo con €xnor l'ebraico qtintini
sarebbe più aderente al testo dell'Apocalisse: exnor potrebbe corrispondere
a xt[orwç toù \'tEoù. Ma c'è, sia nel caso del testo ebraico come in quello dei
LXX, una differenza di fondo: la sapienza di cui si parla è oggetto dell'acquisto
o della creazione di Dio a un livello di primarietà assoluta; nell'Apocalisse
invece Cristo non è l'oggetto della creazione attiva di Dio, ma il principio da

144
cui essa- in un senso che cercheremo subito di precisare - deriva. Ciò rende
un contatto letterario coi Proverbi estremamente improbabile.
Ritornando al testo dell'Apocalisse, e tenendo conto delle indicazioni
derivanti dal parallelo liturgico con Colossesi, si tratta anzitutto di precisare il
valore di àgxl] attribuito a Cristo rispetto all'azione creativa di Dio. Notiamo
che l'articolo ~ è in parallelo con i due ò precedenti: indica quindi lo stesso
soggetto: Cristo morto e risorto.
'Agxl] è detto di Cristo anche nel dialogo liturgico conclusivo (22,13) ed è
abbinata a "tÉÀoç, in parallelismo con A e Q: il Cristo morto e risorto, presente
nell'assemblea liturgica, si qualifica come l'inizio e la conclusione di uno
svolgimento, di una serie omogenea simboleggiata dalle lettere dell'alfabeto.
Nel nostro contesto Cristo è detto~ agxl], l'inizio di uno svolgimento da
sviluppare. Tale svolgimento è la ;n[mç ttEoii, <<la creazione di Dio••: l'uso ripe-
tuto di XTLO[la nel senso di «risultato di un'azione creativa>> (cf. Ap 5,13; 8,9) e
l'uso di xTil;w riferito a Dio (cf. A p 4,11; 10,6) suggeriscono di prendere xtimç-
ricorre solo qui nell'Apocalisse - nel suo valore attivo di <<atto di creazione>>.
In che senso, allora, il Cristo risorto è ÙQXTJ dell'azione creativa di Dio?
Il termine agxl] ricorre nell'Apocalisse, oltre che nel nostro contesto, in
21,6 e 22,13; è abbinato a tO.oç (agxl] xal1:ò tÉÀo;); il binomio Ò.QXTJ xal1:ò
"tÉÀoç a sua volta è abbinato a tò •AÀcpa xal tò 'Q. L'intero grappolo
terminologico è riferito a Dio xattlj[lEVoç che rinnova tutto (21,6) e a Cristo
risorto nel dialogo liturgico conclusivo (22,13). 11
Non solo. L'espressione TÒ "Aì.cpa xal tò 'Q ricorre anche in 1,8, dove è
riferita a Dio, presente nella storia della salvezza, che ha iniziato, che segue nel
suo sviluppo attuale, che concluderà mediante una venuta.
Tutto questo, sommato insieme, ci dà un quadro teologico relativamente
completo: Dio viene pensato e sentito come il realizzatore, il <<creatore» di uno
sviluppo che comprende tutto quello che esiste ed esisterà. Dio è impegnato e
coinvolto in questo sviluppo, ne tiene in mano- per così dire- gli estremi,
l'inizio e la conclusione.
Nell'ambito di questi estremi, inizio e conclusione, passato e futuro, c'è
un elemento caratteristico che emerge: è la <<novità».
Dio spingendo in avanti, verso la conclusione, il divenire del mondo, sta
facendo <<nuove tutte le cose» (cf. 21,5). Anche il brano di Isaia che ha ispirato
la presentazione di Cristo-amen è situato nel contesto di una nuova creazione.
Ma la <<novità», nell'Apocalisse è collegata talmente con Cristo da essere
un suo attributo specifico." Dio, allora, facendo nuove tutte le cose le riferisce

11
Che il brano 22,6-21 debba essere interpretato come un dialogo liturgico idealizzato
risulta da una serie di elementi letterari rilevabili nel testo stesso. Cf. A.H. KAvA>~AGH, Apocalypse
22:6·21 as Concluding Liturgica/ Dialogue, Roma 1984.
" Lo suggerisce la ricorrenze di xmv6; nell'Apocalisse (2,17; 3,12bis; 5,19; 14,3; 21,2.5) e
soprattutto l'espressione <i>I\T)v xmv~v riferita a Cristo·ÒQv[ov e che celebra proprio la novità di
Cristo come essa si realiua nella storia.

145
a Cristo, quasi le cristifica. Si comprende, perciò, che, quando tutto il processo
di creazione e di realizzazione è pensato concluso, l'attributo di Dio <<alfa e
omega, inizio e conclusione» sia riferito anche a Cristo (22,13): egli costituisce
l'ispiratore della novità dal punto di partenza alla conclusione dell'opera di
Dio, e, sotto questo aspetto, ne è egli stesso il punto di partenza e di
conclusione.
Questo quadro teologico illumina il nostro contesto. Alla chiesa di
Laodicea Cristo risorto si presenta, chiede di essere capito e riscoperto, come
l'inizio dell'azione creativa di Dio che porterà, gradatamente, alla realizzazio-
ne piena della sua novità. In Cristo risorto la chiesa potrà vedere la novità in
parte già realizzata; potrà intravedere le potenzialità di rinnovamento che la
riguardano nel suo presente; potrà, in una parola, comprendere meglio
quell'azione misteriosa creatrice di Dio che si sta svolgendo. Cristo risorto è un
inizio che si sta svolgendo e si concluderà. È la «parola di Dio>> (19,13) che si
attua nella storia."

Il giudizio di Cristo sulla chiesa: «So le tue opere» ...


Una volta che si è autopresentato alla chiesa e che è stato di nuovo
compreso in tutta la sua portata, Cristo risorto parla alla chiesa valutando la
sua posizione:

v. 15 otM oou 'tà EQYU


on
OU'tE 'ljrUXQÒç El
OUtE ~Eat6ç.
OqlEÀOV
'ljlllXQÒç ~ç
l] ~Eat6ç.
oihwç on
XÀtagòç el
xal
OÙ'tE ~EatÒç
OUtE 'ljllJXQÒç
1-!ÉÀÀW OE t~o~Éom tx wù ato~o~at6ç ~o~ou

<<So le tue opere


che
né freddo sei
né caldo
volesse il cielo

13
Cf. Pane terza, c. II, p. 323.

146
che tu fossi freddo
o caldo
così poiché
sei tiepido
e
né caldo
né freddo
sto per vomitarti dalla mia bocca».
Un fatto letterario: il giudizio, così come lo troviamo espresso, ha un suo
movimento letterario, un suo ritmo, basato tutto sull'espressione \j!UXQÒç xat
~EOTÒ~. <<freddo e caldo». La ripetizione di questo <<motivo letterario»," oppor-
tunamente variato in qualche dettaglio, ma sostanzialmente identico, ha una
sua presa evocativa e stimolante sul gruppo di ascolto. Questi, provocato dal-
l'immagine espressa con l'accostamento dei due termini, da una parte si inter-
roga sul suo significato preciso, nell'impegno di decodificarlo, dall'altra si sente
subito interpellato. L'espressione si riferisce alla sua realtà. Sullo sfondo di
questo interesse pungente, suscitato dalla frase, ricorrente ed enigmatica, del
«motivo letterario>>, acquistano rilievo i diversi aspetti del giudizio di Cristo.
Il primo di questi è la sua consapevolezza nei riguardi della chiesa: ol<'\a
<<SO ... >>: è una conoscenza acquistata e permanente, tipica di Cristo che segue
con passione e interesse tutta la vita delle singole comunità ecclesiali."
Oggetto di questa conoscenza di Cristo sono oou -rà lgya, le <<opere>>
opere>>: le opere sono, nell'Apocalisse- come altrove nel NT," specialmente
in Giacomo- l'espressione necessaria e adeguata, in termini di comportamen-
to, dei valori di una persona, intesa in senso individuale e collettivo. Le <<opere»
rappresentano quindi tutta la realtà concreta, specialmente quella esterna, che
riguarda la chiesa. Sono la chiesa in quella traduzione che essa fa di se stessa sul
piano della storia, rilevabile sociologicamente. Questa immagine che la chiesa
fa di se stessa nel suo comportamento viene dettagliata: il dichiarativo che on
segue, specifica quali sono le immagini" di fondo che esprimono le sue realtà:

14
Per questa espressione e la sua rilevanza letteraria nell'Apocalisse, cf. sopra, Prima parte,
c. l, pp. 22-25.
" Il verbo usato o!ba, •so• esprime una conoscenza piena posseduta, senza quel divenire
della conoscenza stessa che invece esprime il termine analogo yLvWoxw. Per quanto riguarda la
conoscenza acquisita che Cristo ha della chiesa e l'attenzione con cui la segue è significativa
l'espressione che troviamo in Ap 2,23 « ... e conosceranno tutte le chiese che io sono colui che
scruta i reni e i cuori e darò a voi, a ciascuno. secondo le opere vostre>).
" Cf. l'ampia monografia di R. HEIUGENTHAL, Werke a/s Zeichen, Ttibingen 1983,
riguardante tutto il Nuovo Testamento situato nel suo ambiente culturale. La parte dedicata
all'apocalittica appare, però, inquadrata forzatamente in un contesto sistematico che pianifica
scritti tanto diversi (come Matteo e Paolo).
'' Come abbiamo notato sopra (cf. nota 3) si rileva una scarsa valorizzazione dell'immagine
come tale già nel commentario di Ticonio: ((N eque frigidus es neque fcrvcns. Id est inutilis. Utinam
frigidus csses aut calidus. Id est quocumque modo utilissimus» (Citato da HEMER, The Leuers,

147
«non sei né freddo né caldo>>. Una prima puntualizzazione, nell'impegno
richiesto al gruppo di ascolto di decifrare l'immagine, emerge dalla forma
letteraria con cui è presentata: la chiesa si trova tra due estremi, freddo e caldo.
Ciò dice già di per sé una situazione intermedia, ma che il contesto immediato
ancora non determina. Un elemento di determinazione ci viene almeno come
ipotesi dalle <<lettere>> che precedono, le quali specificano il rapporto che deve
intercorrere tra Cristo e la chiesa: Cristo richiede un amore ottimale, <<il primo
amore>> (Ap 2,4). L'impressione che la situazione intermedia si riferisca
proprio al rapporto intersoggettivo tra Cristo e la chiesa viene confermata dallo
sviluppo dell'immagine: spesso l'amore è espresso tramite l'immagine del
fuoco, ripresa anche dall'Apocalisse e riferita a Cristo." Un Cristo <<pervaso di
fuoco», nel senso di un amore acuto, non può tollerare una chiesa che sia
<<tiepida>>, cioè, come viene ripetuto puntigliosamente <<né calda né fredda>>.
A questo punto si insinua nell'immagine un altro elemento che la rende
più riferita alla persona: essa esprime una situazione che provoca un'azione di
rigetto, con un'allusione probabile alle acque tipiche dell'antica Gerapoli,
l'odierna Pamukkale. Ottime per il bagno, tali acque, proprio per la loro
temperatura tiepida, hanno un effetto emetico. La chiesa <<tiepida», in una
situazione di stallo nel suo amore, provoca proprio questa reazione di fastidio,
espressa con una frase che si riferisce alla forma acuta del fastidio del vomito,
quando il processo fisiologico sta per concludersi: <<Sto per vomitarti dalla mia
bocca>>. L'espressione, nella sua crudezza, non poteva essere più efficace.
Un confronto con la situazione delle chiese precedenti conferma e
sottolinea il linguaggio estremizzato, proprio di due innamorati, che, come
abbiamo rilevato, è la caratteristica letteraria di fondo di tutta la lettera. La
situazione intermedia di <<tiepidezza», in un linguaggio oggettivo, è meno
negativa della situazione di morte rimproverata alla chiesa di Sardi (cf. Ap
3,1), ma che non provoca una reazione così violenta (cf. Ap 3,2-3). Ma qui il
linguaggio ha solo la logica dell'amore, il quale è portato dall'assoluto delle sue
aspirazioni: <<Oh! Fossi tu caldo o freddo!>>.
Come si manifesta, in quei termini rilevabili all'esterno che sono indicati
dalle <<opere>>, l'insufficienza di amore della chiesa di Laodicea? La forma,
particolarmente articolata, dell'esortazione particolare, ci permetterà qualche
precisazione ulteriore.

pp. 187-188). La maggior conoscenza dei luoghi e della storia pona vari moderni (Rudwick,
Hemer) a una sottohneatura di particolari concreti. La chiesa di Laodicea si troverebbe in una
situazione intermedia tra le acque calde di Gerapoli e le sorgenti fresche di Colossi: ciò per
significare «Ìneffectiveness rathcr than haldheartedness» (IIEMEK, nu· Leflers, p. 208). L'autore ha
preso con tutta probabilità lo spunto delle acque tiepide di Gerapoli - non tutte le sorgenti erano
calde - , ed elabora questo dato mediante una simbolizzazione complessa, secondo li suo stile,
ri.ferita .a una situazione morale. Il discorso di Cristo non si rivolge a una società idraulica, incapace
d1 forntre l'acqua alla temperatura utilizzabile, ma alla chiesa.
" Cf. ad es. Ap 1,14-18.

148
L'esortazione particolare: «Ti dò un consiglio... ama fortemente»

Dopo il giudizio da parte di Cristo, in stretta continuità letteraria con


quanto esso esprime, abbiamo, nello schema fisso delle lettere, l' «esortazione
particolare>>: essa normalmente inizia quando il discorso di Cristo passa
immediatamente dall'indicativo del giudizio all'imperativo." Qui l'impe
rativo che troveremo al versetto 19, è preparato da un discorso che si muove
di già sul versante esortativo e troverà nell'imperativo il suo massimo di
intensità.
L'esortazione particolare si estende, così, dal versetto 17 al versetto 20.
Alcuni elementi letterari risaltanti permettono di individuarne lo svolgimento:
emerge anzitutto un collegamento determinato dal rapporto tra i versetti 17 e
18: OH ÀÉ)'Etç ... CJ1Jf.lf\OUÀE1JUl OOl <<pOiché dici ... ti COnsiglio»; risalta J'tyw,
<<io» dell'inizio del v. 19, posto com'è in posizione enfatica; risalta anche tbou,
<<ecco guarda», all'inizio, del v. 20, con l'effetto che ha di richiamare
l'attenzione. Ne deriva uno schema di sviluppo utile per l'esegesi: accento
posto sulla reciprocità tra la chiesa e Cristo (vv. 17-18); accento posto su Cristo
che sta parlando (v. 19); accento posto sulla reazione di attenzione da parte
della chiesa (v. 20). Vediamo da vicino queste tre fasi.

v. 17 OTL ÀÉyELç on
rrì..ouot6ç El!J.t
Kal 1tE1tÀOUtT]KU
xat oùbÈv XQElav ÉXW
xal oùx olbaç on
CTÙ d 6 mì..alrrwQoç
xal ÈÀEELv6ç
Kai rrtwxoç
KUL TU!pÀ6ç
xal yt•~tvòc;.
V. 18 OUf.l~OUÀnJW OOL
étyoQéwm rraQ' t!J.OÙ
XQUolov rrrnUQWf.!ÉVov EK 1tUQ6ç
'Lva rrì..oun]onç
Kai lf.lClTLa ÀEUKU
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xai f.l~ cpavtQw% T) aioxuVTJ n;ç yuf.IVOTT]t6ç oou
Kai KOÀÀOUQLOV ÈYXQLOat toùç ocpftaÀf.!OUç OOU
tva ~ì..trrnç. ·

19
Il verbo all'imperativo è l'unico elemento distintivo tra il giudizio e l'esortazione
particolare. Si ha una distinzione nella continuità: il giudizio sfocia spontaneamente nell'esortazio-
ne particolare e l'esortazione particolare ha bisogno del giudizio. La distinzione tra questi due
punti dello schema letterario è molto meno rilevabile letterariamente di quella degli altri.

149
<<Poiché stai dicendo:
sono ricco
e mi sono già (e rimango) arricchito
e di niente ho bisogno
e non sai
che proprio tu sei l'insufficiente
e miserabile
e povero
e cieco
e nudo
consiglio a te
di acquistare presso di me
oro incandescente (come quando esce) dal fuoco
affinché tu arricchisca
e vestiti bianchi
perché tu te ne rivesta
e non sia mostrata la vergogna della tua nudità
e collirio per ungere i tuoi occhi
perché tu guardi>>.

La situazione morale della chiesa viene ora espressa in termini realistici,


che interpretano l'immagine della tiepidezza usata prima. È da sottolineare che
è la chiesa stessa che si esprime: on
ÀÉyEL<;, <<Stai dicendo». Si tratta
preferibilmente di una drammatizzazione dialogica letteraria: la chiesa, in
questa ipotesi, reagisce con sorpresa al giudizio drastico espresso da Cristo su
di lei, ribattendo che si trova invece in una posizione ottimale.
La chiesa si vanta della sua ricchezza. Lo fa con due espressioni sinonime che
si illuminano a vicenda: nÀoumoç df.tt <<sono ricco» e 1tE1tÀOUtT)KU <<e mi sono già
(e rimango) arricchito». Si tratta di una situazione di particolare floridezza
economica che la città di Laodicea ha raggiunto e che pensa di poter mantenere.
I termini usati, stando al valore che hanno normalmente nell'Apocalisse, indi-
cano chiaramente questa linea interpretativa. 20 La conferma anche la possibile
dipendenza da Os 12,9 (TM): <<Però mi sono fatto ricco e ho trovato potere»."
La situazione economica particolarmente agiata porta Laodicea a un
senso orgoglioso di autosufficienza: essa può affermare che, proprio in forza

lll nkoum.oç ha, nell'Apocalisse, un valore generico, riferito sia a una ricchezza di carattere

spirituale anche in contrasto con una povertà materiale (cf. 2,9), sia a una ricchezza in senso reale e
che dal contesto risulta valutata negativamente (6,15). Ha anche il valore di categoria sociale
(15.16). Qui il contesto è un'attribuzione negativa che la chiesa fa a se stessa. Nell'Apocalisse il
vcrho rrÀoutÉw si riferisce alla ricchezza reale, inquadrata nel contesto negativo del lu!;so della
«Città consumistica•, Babilonia (cf. 18,3.15.19). Ciò suggerisce un senso analogo nel nostro
contesto: Laodicea si è arricchita materialmente, sfruttando la sua prosperità. Ha preso qualcosa di
Babilonia.
" Il contatto con Os 12,9 (TM) dato per scontato da Charles potrebbe illuminare il valore di
fondo, ma l'aggancio è troppo vago per essere probante.

150
della sua situazione stabile di ricchezza, non <<ha bisogno di niente»." La chiesa
si crede. così, perfetta e arrivata. È !'«inganno della ricchezza>> (Mt 13,22), che
smorza, uccide tutto il resto appiattendo soprattutto il dinamismo dell'amore
verso Cristo, con tutte le implicazioni negative che ne seguono.
Si tratta di una situazione di abbaglio che viene messa in risalto come tale
dalle espressioni taglienti di Cristo. È lui che <<58>> la vera situazione che la
chiesa invece ignora del tutto (oux oloaç). Proprio perché la chiesa si crede e si
dice ricca, autosufficiente, si trova invece, di fatto, nella situazione opposta: ...
mì d 6 "taÀalltW!;lOç << ... proprio tu sei l'insufficiente>>. Da rilevare la posizione
enfatica di m! <<tu, proprio tU>>: e quello che è la chiesa di Laodicea, proprio lei,
viene indicato con una chiarezza drastica.
L'articolo 6 davanti a <aÀ.alltwgoç indica una condizione generale di ineffi-
cienza, di parzialità, di bisogno degli altri che il contesto normalmente specifica.')
Viene fatta prima un'affermazione di carattere generale. come di
principio: tu sei <<l'insufficiente•• per eccellenza. Questa constatazione enfatiz-
zata di un'insufficienza radicale corrisponde all'affermazione orgogliosa della
chiesa, la quale prima dichiarava di non aver bisogno di niente. In effetti il
giudizio di Cristo risorto le sottolinea che essa, invece, ha bisogno di tutto.
Alcuni aspetti più concreti di questa insufficienza vengono specificati ulterior-
mente: xal EÀ.EELv6ç, come in !Cor 15.19, il termine ha il valore di <<degno di
compassione, di commiserazione»,'' fa pena. È la reazione che si impone a
chiunque guarda attentamente la situazione vera della chiesa di Laodicea: non
comporta un disprezzo ostile, ma la constatazione amara della situazione di
una chiesa che invece di provocare un apprezzamento ammirativo come essa
crede, di fatto suscita un senso sofferto di compassione.
La chiesa è detta anche <<povera» (mwz6ç). Non ha risorse vere, le risorse
di carattere spirituale e morale, che poi saranno precisate meglio. Ricca material-
mente. la chiesa di Laodicea davanti agli occhi di Cristo è un insieme di lacune.
Il discorso si personalizza. La chiesa è non-vedente, 1UcpÀ.6ç, in senso
morale, frequente nel quarto Vangelo. Manca alla chiesa la capacità di una
valutazione sapienziale delle cose, di lettura della storia, di <<discernimentO>>.

" Il riferimento alla ricostruzione della città con propri mezzi dopo il terremoto del 60 ~
suggestivo (cf. HEMER, The Lel/ers, pp. 191-196), ma si tratta, al più, di uno spunto che l'autore
prende dal campo economico e che trasferisce sul piano morale. Non è da dimenticare che la chiesa
di Laodicea, come quelle delle altre città, costituiva una piccola minoranza rispetto alla totalità
della popolazione. Risentiva della situazione dell'ambiente, ma non ne era certo un elemento
storicamente determinante.
" Cf. ad esempio Rm 7,24 tal.al:twgoç tyw av>'Ygwnoç, l'unica ricorrenza di tal.alnwgoç
nel NT oltre quella dell'Apocalisse. Il verbo taÀOt1lUJQÉUJ ricorre in Gc 4,9 e il sostantivo
to.ÀaLnooqia in Rm 3,16 e Gc 5,1 sempre con lo stesso significato di fondo «essere manchevole di
un elemento essenziale~) specificato dai rispettivi contesti.
24
Anche Hemer, cosi propenso a una valutazione in chiave storico-archeologica, conclude,
a proposito di queste espressioni, che «local facts are used to present Christ as the source of the
remcdy for thc churche's hidden needs of spiritual wealth, vision an d holiness» (The Letters,
p. 201).

151
L'ultima caratteristica che esprime l'insufficienza della chiesa è di carattere
globale: viene sottolineato il fatto della sua ••nudità>>: yu!-(v6ç. Data la sottolinea-
tura, nel quadro del simbolismo antropologico dell'Apocalisse, dei vestiti come
simbolo di una qualità inerente alla persona e riscontrabile dagli altri che guarda-
no," la loro mancanza che determina la nudità comporta lo stesso simbolismo ro-
vesciato. Si tratta allora di una squalifica globale della persona nuda, rilevabile
come tale da chi la osserva. È la situazione negativa. degradata della chiesa di
Laodicea. Si può precisare ulteriormente? La sottolineatura rilevata sull'intersog-
gettività tra Cristo risorto e la chiesa da una parte, e, dall'altra la corrispondenza
con un testo noto di Ezechiele permettono di dare una risposta affermativa. La
nudità è interpretata in un contesto di amore. Troviamo in Ez 16,7-8: << ... eri nuda
e vergognosa (TM 'erom w''eryiih, LXX ytJ!-(YI\ xat <ÌOXTJ!lOVOuoa). Passai vicino
a te e ti vidi; ecco la tua era l'età dell'amore; io stesi il lembo del mio mantello su
di te e coprii la tua nudità ('erwatek, LXX: ClOXTJ!-IOalrvr]v oou); giurai alleanza
con te, dice il Signore Dio, divenisti mia».
La nudità, abbinata con la vergogna, è inserita nella reciprocità di un amore
che sfiora la gelosia. La nudità pubblica diventa una vergogna intollerabile per chi
vuole per sé l'intimità della persona che ama. Detto da Cristo risorto è indubbia-
mente una sferzata rude alla chiesa: la chiesa sta tradendo l'amore di Cristo.
La constatazione enfatizzata di un'insufficienza radicale si contrappone
all'affermazione orgogliosa della chiesa, la quale dichiara di non aver bisogno
di niente. La valutazione invece che ne fa Cristo risorto prima di passare
all'esortazione sottolinea che la chiesa ha bisogno di tutto. Ma questa
valutazione negativa che viene fatta alla chiesa non è conclusa in se stessa. Il
Cristo risorto che mostra di non gradire una chiesa chiusa in un'autosufficienza
illusoria - non per questo la vuole umiliare - e molto chiusa nel circolo
ozioso di una autocommiserazione depressiva. La valutazione è funzionale.
L 'insufficienza viene inculcata per rendere più efficace il «consiglio» che segue
la correlazione on oùx oiòa; ... OU!-((3ouÀEuw oot. «Poiché tu non sai» qual è la
tua situazione, «ti consiglio ... ».
Più, allora, la chiesa prenderà coscienza di quello che ancora non sa nei
propri riguardi, più sarà spinta a seguire attivamente i suggerimenti di Cristo
che le permetteranno di superare la negatività presente.
Data la situazione negativa in cui la chiesa si trova, il Cristo che le sta
parlando dà delle indicazioni, perché essa ne possa uscire. Lo fa con
discrezione, con la delicatezza di un consiglio opportuno, che vuole essere
accolto. Un tono ironico attribuito a ou!-((3ouÀEUW ool non corrisponderebbe al
contesto che precede e che segue.
àyoeémm nae'È!-(OU: <<di comprare presso di me». Con una probabile
allusione all'attività di compra e vendita praticata nella città di Laodicea, viene

" Vedi il simbolismo antropologico della veste in Prima parte, c. Il, pp. 42-44.

152
suggerito alla chiesa di spostare la prospettiva da se stessa verso Cristo e di
cercare in lui tutto quello che le manca- troverà in lui la sua sufficienza- con
lo stesso impegno che mette nelle attività commerciali. Cristo, anche nell'Apo-
calisse, è presentato sempre come colui che dona (cf. bwaw aùnj.J delle «pro-
messe>> in ciascuna lettera); la metafora della compera non sminuisce la gra-
tuità da parte di Cristo, ma vuole stimolare l'interesse della chiesa. Da notare
che la chiesa è invitata non a comprare da Cristo, ma presso (nagét) Cristo .
.. .Xguo[ov ... : << ... Oro>>. In corrispondenza con le lacune notate, viene
elencato in dettaglio quello che la chiesa se vuole può trovare in Cristo e
rimediare così alla sua insufficienza.
<<Oro infuocato (proveniente) dal fuocO>>: l'espressione ha una sua
originalità e densità evocativa. La purificazione veniva praticata per i metalli
rendendoli incandescenti. Anche se neii'AT si parla frequentemente dell'ar-
gento che deve essere purificato mediante l'incandescenza. tale uso è docu-
mentato anche per l'oro, specialmente quando viene usato in senso metafo-
rico." ilEJtUQWf!Évov riferito all'oro indica quindi, fondamentalmente, una
purificazione realizzata: è l'oro reso completamente genuino mediante la
71UQWOL;. <<l'incandescenza>>. Ma, qual è il significato dell'oro?
Nell'Apocalisse le altre 4 ricorrenze di xguo[ov si riferiscono a Babilonia
(17,4; 18,6): è l'oro <<immondo>> della ricchezza e del lusso della città consumi-
stica; oppure si riferiscono alla Gerusalemme nuova: xguo[ov xa{}ag6v (21, 18.
21) esprime una partecipazione alla realtà stessa di Dio, quasi un <<contagio>>,
che deriva alla città dal contatto immediato con Dio. È l'oro <<puro>>."
In Ap 3,13 si tratta di fare il passaggio da una situazione simile a quella di
Babilonia (cf. vv. precedenti) a una situazione di purificazione sulla linea di
quella della Gerusalemme nuova. Si dice che esiste un oro che si può acquistare
da Cristo, perché sta <<presso» (nagét) di lui. Si ha, così, una prima indicazione:
l'oro, il metallo più prezioso, in possesso di Cristo simboleggia la preziosità di
Cristo stesso. Solo lui possiede l'oro genuino. Ma non lo tiene per sé. Questa
preziosità, propria di Cristo, è transitiva: passa da Cristo, una volta che la
chiesa lo desideri e lo voglia davvero, alla chiesa. Nel contesto della
Gerusalemme nuova, - come abbiamo accennato - la presenza dell'oro
indica una partecipazione immediata di se stesso realizzata da Dio. C'è una
continuità, quasi una coincidenza tra l'oro e Dio che si fa dono ed è ricevuto
come tale. Quest'uso caratteristico illumina il nostro contesto, lo precisa: l'oro
che si trova in possesso di Cristo e che Cristo è disposto a dare non costituisce
una ricchezza anonima. Appartiene a lui nel senso che esprime qualche cosa di

"' Cf. ad esempio Pro 27,2: •l'incandescenza (LXX OuQrootç) è la verifica per l'argento e
l'oro».
21
Il termine xa'3agéç ((puro>) indica costantemente, nelle sue ricorrenze nell'Apocalisse, un
contatto diretto con la trascendenza di Dio: è ((puro)) il vestito degli angeli che escono dal tempio
celeste (15,6), l'abito della sposa (19,8), l'abito di coloro che seguono Cristo nella vittori•
escatologica (19,14), l'ambiente della Gerusalemme nuova (21,18.21).

153
lui; partecipato, donato alla chiesa comporterà una partecipazione alla ricchez-
za personale di Cristo. Tale ricchezza è intesa in senso globale: può riferirsi a
tutto quello che appartiene a Cristo: il suo amore, la sua parola, la sua vita.
La ricchezza che la chiesa trova in Cristo è «Oro incandescente, infuocato>>
(ltEnUQW!!Évov bt ;rug6ç). La tautologia che si avrebbe dando a Èx il valore di
im6 e facendo quindi del fuoco un agente attivo (lett. «reso infuocato dal
fuoco>>) induce a vedere in Èx un'indicazione di provenienza. L'oro è
incandescente proprio come si trova ad essere nel momento in cui è tolto dal
fuoco che lo ha purificato.
Cristo risorto è già stato collegato direttamente col fuoco: i suoi occhi sono
«come fiamma di fuoco>> (1,14), i <<Suoi piedi come bronzo nel crogiuolo di una
fornace>> (1,15). Questo conferma la dimensione cristologica in senso personale
dell'oro e indica nello stesso tempo la forza scottante della ricchezza di Cristo
che tende a passare nella chiesa. La chiesa, una volta acquistato l'oro
infuocato, non potrà essere tiepida.
tva JtÀ.oun'wnç: <<affinché tu ti arricchisca>>. È la ricchezza vera, propria di
Cristo e che proviene da lui, intesa globalmente, che darà alla chiesa quella
completezza che le manca.
xal i !lana À.EUxa: <<... e vestiti bianchi ... >>. L!l<inov nelle ricorrenze
dell'Apocalisse ha sempre un valore positivo. È un'immagine che, secondo la
linea del simbolismo antropologico a cui appartiene, indica una qualifica
positiva riferita alla persona interessata e percepita dalle altre persone.
Potremmo parlare di un <<mantO>> morale da conservare (cf. Ap 16,15) che
avvolge la persona e la rende comprensibile per quello che è (cf., ad es., A p
3,4.5; 4,4; 16,5; 19,13.16). Mentre uroÀ.'lj, <<veste>>, pur riferendosi come
L!lén:wv alla persona che qualifica, ha il carattere di una maggiore accentuazio-
ne individuale (cf. 6,11; 7,9.13.14; 22,14). La chiesa è invitata ad acquistare da
Cristo una qualifica positiva che la perfeziona come chiesa in se stessa e per
quanto appare agli altri.
Di quale qualifica si tratta? I vestiti da acquistare sono <<bianchi>> (i.wxa): il
colore ci dà una prima risposta.
Infatti il simbolismo cromatico tipico di À.Eux6ç <<bianco» (15 ricorrenze
nell'Apocalisse su 24 in tutto il NT) ha, come equivalenza realistica- dato
l'uso simbolico tipico di À.wx6ç in questo senso: cf. Gv 20,12; Mc 16,5; Mt 28,3
- una partecipazione alla risurrezione di Cristo. I vestiti bianchi ci dicono
allora che la chiesa acquisterà dal Cristo risorto che le sta parlando in prima
persona la vitalità che gli è tipica.
I vestiti bianchi acquistati, si sottolinea esplicitamente, devono essere
indossati. Quando la chiesa se ne sarà rivestita, non sarà più manifesta la
vergogna della sua nudità.
L'abbinamento caratteristico tra <<abiti>> e <<vergogna>> da coprire, rilevate
più sopra ci porta nell'orbita di Ezechiele. La vitalità di Cristo risorto che viene
acquistata dalla chiesa si colloca nel contesto di una reciprocità di amore. La
chiesa dovrà accogliere in pieno l'amore di Cristo risorto e dovrà ricambiarlo

154
tendendo allo stesso livello. Essa è la vUf.LqJTJ, <<la fidanzata» animata dallo
Spirito (cf. 22,17): la vitalità di Cristo risorto che le viene partecipata le
permette di essere all'altezza della sua situazione. Altrimenti la chiesa
rimarrebbe nella sua condizione vergognosa e palese - particolarmente acuta
in un contesto di amore reciproco - di nudità.
xat xoÀÀougtov ... : <<e del collirio>>; si tratta di una pomata da spalmare
sugli occhi, facendola penetrare ( Éy-xgì:om <<ungere dentro>>): si allude
probabilmente, sempre come spunto di elaborazione simbolica, a una scuola
medica di Laodicea." Si tratta di un simbolismo antropologico. C'è una luce da
guardare ed è lo stesso Cristo che si autodefinisce <<luce del mondo>> (Gv 8, 12) c
che,' nell'Apocalisse, è presentato con una sottolinea tura particolare di questo
aspetto <<come il sole quando splende in tutta la sua potenza>> (1,16). Ma la
chiesa di Laodicea, nel linguaggio estremistico proprio del nostro brano, è stata
definita <<Cieca>>, non riesce a vedere. Il contatto con Cristo, il ricorso a lui, le
permetterà di superare questa situazione negativa. Cristo che dà la luce ai non
vedenti (cf. Gv 9) le permetterà di vedere, guarendola, mediante il «collirio>>.
È difficile precisare la portata simbolica di questo termine: si tratta semplice-
mente di un'allusione a un prodotto medico di Laodicea, dato da Cristo solo
per dire che la chiesa recupererà in pieno la sua vista per opera di Cristo?
Oppure, ammesso questo senso minimo, si può vedere nel «collirio da ungere
dentro sugli occhi>> un'allusione a un mezzo specifico usato da Cristo per
guarire la chiesa? Dato il valore simbolico specifico degli altri due elementi in
parallelismo - i vestiti bianchi e l'oro - è probabile che anche collirio abbia
un suo senso specifico: allora, dato che gli occhi nell'Apocalisse sono simbolo
dello Spirito (cf. 5 ,6) e che nell'ambito giovanneo l'unzione è riferita allo Spi-
rito (cf. lGv 2,20.27), si può interpretare il collirio come simbolo dello Spirito.
'Lva ~ÀÉrrnç: <<affinché tu possa guardare>>. La chiesa, parlando propria-
mente, non è completamente senza luce. La sua è una miopia, non una cecità
vera e propria, altrimenti il collirio non sarebbe proporzionato per guarirla. La
chiesa, potremmo dire, ha una visione appannata, sfocata che, mediante un
dono rinnovato dello Spirito, viene resa efficiente. Ma nei riguardi di chi o di
che cosa? Il verbo è senza un complemento oggetto. La chiesa potrà vedere
meglio, pienamente la luce: il simbolismo della luce riferito a Cristo nel quarto
Vangelo suggerisce Cristo stesso come oggetto sottinteso del vedere. La chiesa
avrà tramite lo Spirito, una maggiore conoscenza di Cristo.
v. 19 Éy<Ì.l
ooouç tàv qnì.w ÈÀÉyxoo xat rrau'lruw·
~TJÀEUE oiJv xat f.LC'tOVOT]EOOV.

"' L'affermazione corrente di un «collirio» (xokkm!QLOV oppure xoUUQLOV) proprio di una


scuola medica di Laodicea, deve essere ridimensionata. Galeno, la fonte principale, afferma che
esisteva un «unguento ('xo)J,U(;HOV)» derivato da una pietra grigia e parla di Laodicea a proposito di
un unguento riguardante gli orecchi. È probabile comunque che anche l'unguento oftalmico fosse
noto ai medici di Laodicea (cf. HEMER, The Letrers, 196-199).

155
«lo
tutti quelli che possa amare (li) metto in crisi e (li) educo:
sii dunque fervente nell'amore e convertiti>>
L'enfasi grammaticale posta su iyw richiama l'attenzione sulla persona di
Cristo risorto che sta parlando. È lui, proprio lui e non altri, che si comporta
così.
oaouç Eav cptÀw ... : <<tutti quelli che possa amare>>: &aoç con av e
congiuntivo (cf. Bauer, s. v.) indica una totalità che si allarga distributivamen-
te: <<tutti quelli che in ogni caso ... >>. C'è una sfumatura di «ipoteticità>>, che
riguarda proprio l'estensione massima che si tende a raggiungere.
Si può, allora, tradurre: <<tutti coloro che riesco a raggiungere col mio
amore>>. Si tratta di un amore particolarmente intenso, come esprime il verbo
qnì-w e che è abbinato ad un'azione padagogica. Tale abbinamento ha il suo
punto di partenza ispiratore, con tutta probabilità, in Pro 3,11-12:
<<Figlio mio non disprezzare l'educazione (TM mU.sar, LXX rrmlìdaç) del
Signore
e non avere a noia la sua esortazione
poiché il Signore rimprovera chi ama
(TM: ki 'et 'aser-yehehahh yhwh y6kiafJ:
LXX lìv yàg ayarrij. xugwç EÀÉYXEL)
e come un padre si compiace nel figlio>>.
Quest'azione pedagogica di Dio nei riguardi del suo popolo viene qui
attribuita a Cristo; e mentre a Dio pedagogo si riferisce l'amore del padre, il
tipo di amore di Cristo appare, da tutto il contesto e dalla sfumatura di qnì-w, di
tipo sponsale.
'Eì-Éyxw xal rrmlìEuw: i due verbi costituiscono un contesto unitario,
riferiti come sono tutti e due all'azione pedagogica di Cristo.
In ÈÀÉYXW però prevale l'idea di un'azione sull'animo della persona: si
può dire <<Confutare, dimostrare che ha torto, mettere in crisi»; rrmlìeuw ha un
valore più generale: indica l'educazione impartita di fatto e sotto le forme più
diverse. La chiesa di Laodicea oggetto dell'azione pedagogica di Cristo, è stata
messa in crisi dal giudizio e dall'esortazione particolare e viene <<educata>>
anche mediante altri tipi di intervento, che non sono specificati, ma che la
chiesa si deve aspettare (prove, difficoltà, ecc.).
~i)ì..eve oùv xal (.lHav6T]aov: ~T]ÀEuw ricorre solo qui in tutto il NT. Vicino
a ~T]ÀOW, indica un tipo di amore acuto, reattivo e fervente, che può arrivare
alla punta della gelosia."
L'azione pedagogica di Cristo, pur nella sua crudezza, è sempre ispirata

" Abbiamo in ~ljÀElJE l'unica ricorrenza del verbo del NT. BAUER, W!irterbuch, s.v .. lo
assimila a ~TJÀ6w come significato fondamentale <(sich eifrig um jmdn. bemti.hen)). Si può notare
che il suffisso -Euw tende a sottolineare una certa continuità.

156
da un amore appassionato ( qnÀ.w): dovrà essere accettata sullo stesso piano da
parte della chiesa che ne è l'oggetto.
Questo tipo di accettazione viene richiesto proprio dal tipo di amore di
Cristo e ne è come una conseguenza: ~i)À.EUE oiiv <<Dunque sii fervente
nell'amore>>. Una reazione depressa, amareggiata, o anche solo passiva
sviserebbe l'azione pedagogica di Cristo e non le permetterebbe di raggiungere
lo scopo a cui tende. D'altra parte, siccome si tratta di un imperativo di Cristo
che tende a produrre ciò che esprime, la chiesa non dovrà fare uno sforzo di
tensione per mettersi a questo livello di amore richiesto. Basterà che accolga
con disponibilità piena quanto Cristo le dice.
Come risultato di una situazione di amore fervente ristabilito, ci sarà
l'atto di conversione, ~naVOTJOOV <<convertiti>> - notare l'aoristo puntuale di
ltETaVOTJOOv c l'indicazione di uno stato nel presente continuato di ~TJÀ.E1JW -
che qui consisterà nella capacità di <<pensare-oltre>> nel senso di uno spostamen-
to dell'attenzione della chiesa dalla sua autosufficienza a Cristo. con l'intenzio-
ne attiva di prendere da lui (<<Comprare>>) tutto ciò che le manca.
v. 20 toou
EOTTJKU tJtt ri]v %gav xat xgouw·
M.v nç
àxouan Ti)ç <pwvijç ~ou
Kai UVOL~TI T~V %gav,
ELOEÀ.EUOO~Ul ltQÒç UliTOV
xai OELltvljaw ~Et'aùwù
xai aùtòç ~Et'è!J.OÙ
<<Ecco
sto premendo sulla porta e busso
se uno
ascolta la mia voce
e apre la porta
verrò a lui
e cenerò con lui
e lui con me>>.

toou: si sposta l'accento da Cristo alla chiesa che viene interpellata in modo
ancora più diretto. Questo discorso fatto alla chiesa suppone l'accettazione avve-
nuta da parte di questa di quanto detto nel v. 19: solo se si troverà in stato di
amore fervente, di una disponibilità al di là dei suoi scherni abituali, e se avrà
accettato di convertirsi, la chiesa sarà in grado di percepire questa nuova proposta
di Cristo. In termini positivi: i due imperativi ~TJÀ.EUE xai ~aVOTJOOV pronunciati
da Cristo risorto, tendono a realizzare subito quello che esprimono.
Per l'interpretazione di questo versetto sono stati proposti due <<modelli>>
ispirativi: il ritorno escatologico di Cristo (d. Le 12,37; Gc 5,9 ecc.); il Cantico dei
cantici 5,1-2.

157
Il ritorno escatologico fa difficoltà: si utilizzerebbero solo alcuni elementi
simbolici (<<Stare alle porte>>, <<banchetto>>) trascurandone altri («bussare>>);
soprattutto la prospettiva escatologica, intesa in senso stretto, non appare
compatibile con l'immediatezza di tutta l'esortazione particolare.
Più appropriato a tutto il contesto sembra invece il modello di Ct 5, 1-2,
già proposto da Charles e molti altri e sviluppato con particolare insistenza da
A. Feuillet. 30
Il testo dei LXX ha quattro elementi comuni con quello dell'Apocalisse."
L'Apocalisse citerebbe il testo dei LXX. Siccome l'autore dell'Apocalisse
riprende normalmente il testo ebraico sostanzialmente corrispondente al testo
masoretico il caso merita un esame ravvicinato. Vediamo le corrispondenze in
un quadro sinottico, che riprendiamo dal Feuillet, completando col testo
masoretico:

Ap 3,20 Ct 5,2 LXX TM


tùou l:crrrpw bri njv <pwVIj ÒÒEÀqnùoù fJ.OU, Voce del mio diletto
t'JVt;JaV xal Xt;JOVW. EO.V Xt;JOVfl ÉnÌ n)v t'JVt;Jav· che bussa: Aprimi, so-
n; àxouun njç <pwvrjç 'A VOL~OV [J.Ot, ÒÒEÀqJ~ rella mia ...
rwu xal àvoi~n ti]v [J.OU
Wgav ...

Il confronto mostra alcune corrispondenze interessanti. Quella tipica dei


LXX e che non ricorre nel TM è solo apparente: btl t'Ì]V Wgav è riferito
nell'Apocalisse a EotT]Xa «sto in piedi alla porta>> e nei LXX a xgouEt: «bussa
sulla porta>>. Le altre tre, comuni ai LXX e al TM, non sembrano indicare una
ripresa diretta né dai LXX né dal TM.
Al di là delle corrispondenze verbali ci sono infatti delle differenze
notevoli; manca, nel TM, il particolare della porta; in Ct 5,2 lo sviluppo del
racconto è omogeneo: la voce del fidanzato, che sta bussando, esprime
esplicitamente il suo desiderio che l'amica apra, mentre nell' Ap la «VOCe>>
rimane slegata dallo sviluppo della frase. Soprattutto, nell'Apocalisse si ha una
conclusione - il banchetto - che costituisce il punto di arrivo di tutto lo
sviluppo della frase; nel Cantico esiste indubbiamente uno scenario di intimità
conviviale - come fa notare il Feuillet 32 - ma precede (Ct 5,1) invece di
seguire. Ciò cambia il movimento letterario del discorso.
Si può parlare allora, con un certo grado di probabilità, di Ct 5,2 come
punto di partenza ispirativo, ma non si ha una ripresa vera e propria, come
accade in tanti altri casi, né dai LXX né dal testo ebraico.

"' Cl. A. FEUtLLET, Le Cantique des Cantiques en I'Apocalypse, in RSR (1961) 49, pp. 321-
353; la parte riguardante il nostro versetto, pp. 324-334.
" Cf. FEUtLLET. Le Canrique, p. 327.
32
«Il y a là exactement le meme scénario qu'en Apoc. III, 20; seu1ement les details sont
placés en un ordre diFFércnt,, FEUtLLET, Le Cantique, p. 328.

158
Tenendo presente questa indicazione orientativa, possiamo individuare
meglio la linea esegetica.
Lo spostamento del centro di attenzione sulla chiesa coincide con un
cambiamento notevole di tono: dall'imperativo tagliente del v. 19, si passa, con
il condizionale Èav nç, allo stile delicato, quasi timido, di un suggerimento. Il
discorso è ancora rivolto aUa chiesa, ma ci si indirizza di più al singolo
individuo, come mettono in risalto i pronomi usati: uç, n(>Òç a{rr6v, aùt6ç,
a'Ùtoù.
La breve allegoria - a differenza del Cantico - ha uno sviluppo in
crescendo in due fasi. Nella prima fase troviamo una <<presenza di fronte a un
ostacolo»: <<sto alla porta>>, letteralmente (b:l) <<premendo sulla porta>>; si
vuole superare l'ostacolo: <<busso>>. A questo punto <<la voce>> rompe la
continuità dell'immagine; non è il rumore dell'azione di bussare: qJwvfi, detta
di Cristo, è la sua voce viva che si fa sentire alla chiesa in termini che
suggeriscono un rapporto interpersonale. Non viene precisato quello che la
voce esprime: rimane come un segreto tra Cristo e la chiesa. <<Se uno ascolta la
mia voce ... >>: la voce di Cristo con tutto quello che esprime in questo contesto
intersoggettivo di amore, tende ad essere ascoltata, ma non si impone con
violenza. Ma se la chiesa ha accolto l'imperativo di Cristo a un amore fervente,
non c'è dubbio sull'ascolto. La chiesa, percependo la voce di Cristo sotto
qualunque forma essa si esprima, avrà la stessa volontà trepida di ascoltarla che
riscontriamo nella sposa in Ct 5,2.
All'ascolto realizzato segue, nella breve allegoria costituita dal versetto,
una seconda fase, anch'essa in crescendo: apertura della porta, ingresso,
banchetto.
L'apertura della porta è presentata come una conseguenza dell'ascolto
della voce e fa quasi parte di esso; lo indica la costruzione grammaticale che
unisce àxouan xat avol!;n nello stesso giro di <<protasi>>, dipendente da Èav.
Avendo percepito la voce di Cristo che si presenta, la chiesa, gli si rende
disponibile: il tratto simbolico antropologico dell'apertura della porta indica
una piena volontà di accoglienza. È quanto Cristo desidera.
Infatti, non appena scatta nella chiesa - esattamente nella singola
persona- questa volontà di accoglienza, non appena si schiude la porta dal di
dentro, Cristo riprende l'iniziativa: <<entrerò da lui>>. L'espressione ha una sua
densità teologica notevole, come mostra la corrispondenza parallela con Gv
14,23: <<Se uno mi ama, anche il Padre mio lo amerà, e verremo da lui (ngòç
a'Ùtòv 0.E1JOOf!E1'ta) e faremo dimora presso di lui>>.
In ambedue i passaggi c'è il contesto di una reciprocità di amore tra Cristo
e i cristiani, espressa in termini di convivenza familiare. A <<Se uno mi ama>> del
quarto Vangelo corrisponde, nell'Apocalisse, tutto il contesto dell'esortazione
particolare e, in modo particolare, l'accoglienza di Cristo espressa mediante
l'apertura della porta. L'amore del cristiano verso Cristo è sempre una risposta
all'iniziativa di Cristo che precede, ma condiziona una nuova iniziativa di
Cristo, sempre in termini di amore, che poi segue.

159
A <<verremo da lui>> del quarto Vangelo corrisponde «entrerò da lui»: si ha
una maggiore personalizzazione. L 'entrare, (dç-d. evao(J,at) più specifico del
semplice venire (ÈÀEUOO!J-E-Ita), è in continuità con l'apertura della porta, cioè
con la decisione personale di accoglienza nei riguardi di Cristo dopo aver
percepito la sua voce. Il significato di fondo, in tutti e due i testi, è quello di una
con-presenza. di una convivenza tra il Padre e Cristo da una parte e il cristiano
dall'altra. Nell'Apocalisse la con-presenza tra Cristo c il cristiano è ancora più
aderente: potremmo dire che Cristo, in questa seconda iniziativa di amore,
tende a occupare di sé tutto lo spazio personale che il cristiano gli presenta.
All'espressione «faremo dimora presso di lui>> del quarto Vangelo corrispon-
de, nell'Apocalisse, «Cenerò con lui ed egli con me>>. Si ha, di nuovo, una personaliz-
zazione maggiorata, nell'ambito dello stesso contesto di familiarità domestica.
La cena è consumata insieme a un livello di reciprocità paritetico. Si
insiste su questo particolare: «cenerò con lui e lui con me>>. Tutto questo
esprime la gioia, l'intimità di un amore tra Cristo e il cristiano che tende ad
essere un amore tra uguali. «Entrando» da lui, nel senso sopra indicato, Cristo
assimila il cristiano a se stesso, portandolo al suo livello.
L'immagine della cena non poteva non richiamare la «cena del Signore» a
una comunità che la celebrava abitualmente." Vista nell'ottica di questa cena
simbolica, la cena eucaristica viene interpretata come un incontro di amore con
Cristo, realizzato in termini di reciprocità, e che permette al cristiano di fare
«entrare» in sé, di assimilare la vitalità di Cristo risorto. Viene in mente Gv
6,56-57: <<Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui.
Come inviò me il Padre il vivente e io vivo in forza del Padre così chi mangia
me vivrà in forza di me».

La promessa al vincitore
V. 21 Ò VlXWv
bwaw aùt<ji
xa-frlaat !J-Et't!J.OU
Èv t<ji -frQOV(fl !J-OU
!Ìlç xayÙl ÈVLXf)OU
xal Èxédhaa IJ.HÙ tou ltatg6ç !J-OU
tv t<ji 1'tg6v(fl a'Ùtou.
«Colui che sta vincendo
darò a lui
di sedersi con me
sul trono mio
come anch'io vinsi
e mi sedetti col Padre mio
sul trono suo».

" Cf. U. V ANNI, L'eucaristia nel•giomo del Signore• dell'Apocalisse, in PSV (1983) 7, pp.
174-186.

160
6 vtxoov: l'autore ha inculcato per sette volte questo termine - al nomi-
nativo o al dativo- al gruppo di ascolto, senza chiarirne il significato, per tutto
il <<settenario» delle lettere. Con questo espediente letterario ha esercitato una
pressione sempre più forte sul gruppo di ascolto, il quale, stimolato appunto
dalla ripetizione del termine, si domanda qual è il suo significato. Ntxwv «colui
che sta vincendo>> riferito alla chiesa pone in effetti molti interrogativi: qual è
l'avversario, l'ostacolo da vincere, da superare? Come viene vinto e superato di
fatto? Chi dà alla chiesa la forza necessaria per farlo?
A tutte queste domande l'autore darà una risposta nella seconda parte
dell'Apocalisse: l'avversario da vincere è il male a radice demoniaca incarnato
nella storia degli uomini (in fatti e personaggi); il modo di vincerlo è tipico:
dando se stessi, magari la propria vita; l'energia che permette di vincere è <<il
sangue dell'agnello>> (12,11), cioè la vitalità che deriva da Cristo morto e
risorto.
Inoltre, sempre nella seconda parte, troviamo che Cristo è impegnato a
vincere gli stessi avversari del cristiano; si dice anche che, in un momento della
storia imprecisato, si avrà un superamento irreversibile del male, tramite
appunto la vittoria riportata su di esso dall'Agnello. Si ha, allora, un
abbinamento: combattendo gli stessi avversari di Cristo e facendolo in virtù di
un'energia che deriva da Cristo stesso il cristiano vincitore, che nel momento in
cui Cristo parla alle chiese <<Sta vincendo>>, collabora come tale alla vittoria che
sta riportando Cristo.
L'insistenza sul termine nella prima parte, la sua genericità non ancora
precisata, la prospettiva positiva che ne deriva stimolano il gruppo di ascolto e
lo orientano alla seconda parte.
Al vincitore viene fatta la promessa di un dono (bwaw a1rr:0) che va oltre
la pura e semplice ricompensa per la vittoria riportata, come appare dal
contenuto delle promesse di tutte e sette le lettere.
Nel nostro testo - non a caso è l'ultimo dei sette in cui si parla di
<<vincitore>> - viene sottolineata una corrispondenza parallela con Cristo. Già
si intravede la seconda parte, dove questa corrispondenza diventerà collabora-
zione precisata e dettagliata.
Qui Cristo promette: <<gli darò in dono di sedere con me sul mio trono>>.
Si ha il simbolismo antropologico dell'intronizzazione: colui che sale sul trono e
che vi si può sedere esprime con ciò una sua dignità corrispondente. Se si
tratta, ad esempio, di trono regale, sarà la dignità di re: uno che, senza questa
dignità, salisse sul trono e vi si sedesse, sarebbe un usurpatore. Il cristiano che,
collaborando con Cristo, sarà vincitore insieme a lui, potrà condividere, a un
livello vertiginoso di parità, il trono stesso di Cristo, con lo stesso livello di
dignità che compete a Cristo. L'aspetto personale di una reciprocità allo stesso
livello è sottolineato dalla condivisione simultanea del trono: <<gli darò da
sedersi con me (~-tET'È~-toù) sul mio trono>>.
La condivisione del trono di Cristo viene ulteriormente accentuata. Cristo
mette se stesso in parallelo con il «vincitore>>: <<come (ruç) anch'io vinsi

161
(tvb~T]Oa) e mi sedetti col Padre mio sul suo trono». Nella simultaneità liturgica
di Cristo che rivolge la sua parola alla chiesa, la vittoria da lui riportata appare
un fatto passato e concluso (tvlXT]OU, aoristo). Di quale vittoria riportata si
tratta? In Ap 5.5 si afferma che Cristo, detto leone di Giuda, <<vinse (tvb~T]OEV)
in modo da aprire il libro e i suoi sette sigilli>>. Dopo si preciserà che questa
qualifica Cristo l'ha acquistata con la sua passione e morte: <<Tu sei in grado di
prendere il libro e di aprire i suoi sigilli per il fatto che fosti ucciso ... >> {5,9). La
morte di Cristo è quindi interpretata- sulla linea del quarto Vangelo- come
una vittoria già riportata sul male, sulle sue radici demoniache e sulle sue
incarnazioni nella storia.
Conseguenza della vittoria riportata da Cristo mediante la sua morte è il
suo <<ritorno>> al Padre e la condivisione del suo trono: <<mi sedetti col Padre
mio sul suo trono>> (3,22). Abbiamo lo stesso simbolismo antropologico di
prima: Cristo, condividendo il trono del Padre ed esplicitamente col Padre è al
suo stesso livello. A questo livello egli intende portare il cristiano vincitore: in
fondo esiste un solo trono, condiviso tra il Padre, Cristo e il cristiano.
Quello che per il Cristo che sta parlando è un fatto passato e concluso, per
il cristiano è l'ultima meta a cui tende e che deve ancora raggiungere. Lo farà al
livello escatologico della Gerusalemme nuova.
E non si ha soltanto un parallelo: tra la vittoria e l'intronizzazione di
Cristo e del cristiano c'è un nesso di dipendenza. La vittoria del cristiano è
determinata dalla vittoria di Cristo, che sola la rende possibile. Così pure
l'intronizzazione del cristiano dipende da quella di Cristo e ne è come un
prolungamento, un'estensione.

L'ascolto dello Spirito

v. 22 6 EXWV oilç
àxouoénw
"tL "tÒ ltVEÙ!.la ÀéyEL "taiç ÉXXÀT]o[mç.

<<Chi ha orecchio
ascolti
ciò che lo Spirito dice parlando alle chiese».

Questa espressione, una delle più caratteristiche del gruppo sette-


nario delle <<lettere>>, è stata studiata sopra, quando abbiamo trattato della
riflessione sapienziale. Rimandiamo per un'esegesi dettagliata a quanto detto
allora."

" Cf. sopra, Parte prima, c. m. pp. 63-65.

162
Si tratta, in sintesi, di ascoltare lo Spirito che, nella seconda parte
dell'Apocalisse, indirizza tramite l'autore il suo messaggio cifrato alle chiese. Si
ha quindi una spinta ripetuta - l'espressione ricorre identica sette volte - e
autorevolissima, espressa com'è da un imperativo di Cristo, verso l'impegno
tipico di lettura della storia che l'autore chiederà al gruppo di ascolto nella
seconda parte del suo libro. È quanto vedremo nei capitoli che seguono.

3. CONCLUSIONE

Intanto, per concludere, possiamo dare uno sguardo riassuntivo a quanto


abbiamo osservato, analizzando il testo versetto per versetto.
C'è un filo letterario che unisce le varie parti di questa lettera? Vari indizi
hanno richiamato l'attenzione sull' «atteggiamento» tipico di amore da parte di
Cristo nei riguardi della chiesa: il linguaggio estremista (3,15b-16), tagliente ed
esigente (v. 17), poi sfumato (v. 18). poi di nuovo stimolante e travolgente (v.
19) e finalmente appassionato e delicato insieme (v. 20). Tale amore viene
prima fatto capire dal tono del linguaggio usato (vv. 15-18), viene poi insinuato
mediante il richiamo a Ezechiele, viene infine affermato recisa mente ed
esplicitamente (vv. 19-20). La probabile ispirazione sia a Ez 17 sia al Ct 5 si
muove nello stesso senso.
L'amore di Cristo verso la chiesa sembra seguire lo schema tipico del
movimento di amore tra due fidanzati, quasi una rfb di amore: c'è da aspettarsi
quindi una certa reazione anche da parte della chiesa. Questa sembra indicata
da on ÀÉyELç di 17a; lo spostamento dell'accento letterario da Cristo alla chiesa
del v. 20 (tbou) indica un coinvolgimento più diretto al quale la chiesa
dovrebbe reagire. Ma, anche a prescindere da questi dettagli, l'amore di Cristo
così come appare espresso tende ad avere una presa immediata sulla chiesa di
Laodicea, prendendola come è e trasformandola. Accettando l'amore di
Cristo, spostando l'attenzione da se stessa a lui, la chiesa avrà capovolto la sua
situazione.
Vediamo allora- troviamo così una risposta alla domanda che ci siamo
posti all'inizio di questo capitolo- che qualcosa accade durante lo svolgimen-
to della lettera: la chiesa che all'inizio provoca la nausea di Cristo diventa alla
fine - sulla scia del Cantico dei cantici - la <<fidanzata» alla quale Cristo si
rivolge in termini di amore e di apprezzamento, fino a invitare la chiesa a
condividere pariteticamente la sua situazione di regno. Lo schema letterario
rilevato, conseguentemente, non è soltanto tale. Esprime uno sviluppo reale,
che accade di fatto.
Il soggetto interpretante dell'Apocalisse, il gruppo di ascolto, che si è
identificato volta per volta con la situazione delle singole chiese rispecchiando-
vi la propria, ora non è soltanto più consapevole della sua situazione morale,
ma si trova collocato in una situazione pienamente positiva. È la posizione di
forza che gli permette di affrontare adeguatamente il messaggio della seconda
parte del libro.

163
capitolo N

Cristo agnello: Ap 5,6-8

l. INTRODUZIONE

Il tema dell'agnello occupa un posto di primo piano nell'Apocalisse, e,


più in generale, nell'ambito della <<scuola giovannea». Ma come interpretarlo?
Com'è noto, l'espressione «agnello di Dio (à[!vòç wv ttwv) che toglie il
peccato del mondo>> (Gv l ,29) propria del quarto Vangelo ha incontrato e
incontra tuttora non poche difficoltà esegetiche. Lo stesso si può dire, in
proporzione, della figura di Cristo-agnello tipica dell'Apocalisse. Anche se il
tema è stato fatto oggetto di studi accurati,' ci sono ancora non pochi punti da
chiarire in maniera pienamente persuasiva, a cominciare dal termine àgvtov
fino alla sua interpretazione di insieme.
E, come per altre figure caratteristiche che ruotano intorno all'àgvtov, si
richiede, per una comprensione adeguata, una piena valorizzazione di tutti gli
elementi letterari e simbolici che l'autore ci presenta.
Allo scopo quindi di comprendere la portata di àgvtov nell'Apocalisse,
esaminiamo direttamente la prima presentazione che l'autore ne fa in 5,6-R,
mediante un'esegesi minuta del testo. In un secondo momento saremo in
grado, desumendola appunto dall'esegesi, di tratteggiare le linee essenziali
della figura dell'àgv[ov come emerge dall'Apocalisse e di precisare il suo
rapporto con l' Ù[!vÒç wv ttwv del quarto Vangelo.

2. IL CONTESTO IMMEDIATO

La presentazione del <<libro» (~L~À[ov) (5,1-5) precede immediatamente


quella dell'àgv[ov e ne costituisce una preparazione: vi ravvisiamo uno
sviluppo letterario in crescendo che culmina in una tensione drammatica.

' S. BARTINA, Los siete ojos del Cordero (Apoc 5,6), in EstB (1962) 21, pp. 325-328; J.D.
D'SousA, The Lamb of God in the Johannine Writings, Allhabad 1966; P.A. HARLt, L'Agneau de
l"Apocalypse et le Nouveau Testament. in EThRclig (1956) 31, pp. 26-35; N. Hu.LYER, «The Lamb•
in the Apocalypse, in EvQ (1967) 39. pp. 228-236; HOHNIEC, Da.s Lamm; G.E. LADD. The Lion is
the Lamb (Apoc), in «Eternity» 14 (1965) 4, pp. 20-22; MoRICONI, Lo Spirito; MoWRY. Revelation,
pp. 75-S4; F. NJKOLASCH, Da.s Lamm als Christussymbol in den Schriften der Vater, Wicn 1963.

165
n libro è «nena (mano) destra del personaggio seduto sul tronO»: esprime,
cioè, una concretizzazione del dominio attivo di Dio sulla storia degli uomini, sim-
boleggiato dal trono. Tale concretizzazione è resa ancora più interessante per il
fatto che è dettagliata al massimo: <<(già) scritto dentro e sul retro>>.' Non ci sono
spazi vuoti: tutto quello che riguarda gli uomini e la loro storia è determinato con
tutta esattezza.' L'interesse del <<gruppo di ascolto>> è già stimolato al massimo:
desidera <<vedere>> il libro, leggerlo per comprendere il senso della sua storia. La
tensione verso la lettura è resa più acuta da un ostacolo: il libro è chiuso totalmen-
te, <<Sigillato con sette sigilli>>. Occorre superare l'ostacolo della chiusura, «apren-
do i sigilli>>: si cerca chi possa farlo. Tale ricerca è espressa con un'enfasi letteraria
particolare: <<E vidi un angelo forte che gridava con voce grande: Chi è in grado di
aprire il libro e di sciogliere i suoi sigilli?,, (5,2). La ricerca si compie in cielo, in
terra e sottoterra, ma non si trova nessuno: siamo al massimo della tensione. Il
senso della storia rimarrà chiuso nella trascendenza, inaccessibile all'uomo che
pure ne è il protagonista. Il pianto dell'autore che segue (cf. 5,4) esprime la dispe-
razione, la delusione amara dell'uomo
<<che sfoglia avanti, indietro, indietro, avanti
sotto le stelle il libro del mistero>>.'
La tensione, divenuta davvero drammatica, ha una soluzione che, per
ora, viene fatta soltanto intravedere: <<Non piangere! Ecco: vinse il leone,
quello della tribù di Giuda, la radice di David, in modo da aprire il libro e i suoi
sette sigilli>> (5,5). Il riferimento a Cristo, preparato e quasi già presente
nell'AT, è fatto con stile simbolico, allusivo ed evocativo, che, come tale,
stimola particolarmente il gruppo di ascolto. La vittoria che viene affermata
come un fatto passato (<<vinse>>, tvlxl']oEv) è ugualmente stimolante e fa
pressione: il gruppo si chiede come essa sia avvenuta e soprattutto quale sia il
suo rapporto preciso con la capacità di aprire il libro e i suoi sigilli, risolvendo
così la tensione notata. Si ha una spinta letteraria multipla in avanti, che
prepara la presentazione dell'ò.QV[ov.

2
L 'immagine usata è piuttosto oscura. almeno a prima vista: viene in mente subito lo
schema dei contrari, per cui quando si privilegia lowffEV <<dentro>~ si pone il suo contrario E;(l)ttEV,
«di fuori)) (la maggioranza tlci codici); quando invece si privilegia ònw'fiEv «dietro>> si ha il suo
contrario E!-LlQOcritFV ((davanti>>: EIL"tQOm'tEv xaì. 6;no{h:v è documentato dal Sinaitico). Il testo
fmoih:v xui ();um'tt-:v, documentato soprauutto da A, è manifestamente «lectio difficilior» e spiega
la derivazione delle altre.
' Il JltjlÀ[ov è stato ed ~ tuttora oggetto di ricerca. Ce lo dice l'ampia bibliografia che lo
riguarda, come, ad esempio, K. STARITZ, Zu Offenbarung Joh 5,1, in ZNW (1931) 30, pp. 157·170;
0. Rou.ER, Das Buch mit sieben Siegeln, in ZNW (1938) 36, pp. 98-113; H.P. MDLLI'R, Die
Himmlische Ratversammlung. Mntivgeschichtliches zu Ape 5,1-5, in ZNW (1963) 54, pp. 254-257;
J. MASSINGBERD Fooo, The Divorce Bill of rhe Lamb and the Serali of rhe Suspected Adulteress. A
Note an Apoc 5,1 and 10,8-10, in JStJud (1971) 2, pp. 136-143; R. BERGMEIER, Die Buchrolle und
das Lamm (Apk 5 und 10), in ZNW (1985) 76, pp. 225-242. Ce lo dice anche la molteplicità delle
interpretazioni proposte: vi si è vista la storia in generale, l'elenco dci debiti dell'uomo nei riguardi
di Dio, i decreti sterminatori contro le nazioni, il piano di Dio sulla fine del mondo, l'Antico
Testamento, tutta la Bibbia. Cf. BR0TSCH, La clarté, pp. 106-107.
' G. PAscou, •Il libro», in Primi Poemelli, Bologna 1904.

166
3. LA PRESENTAZIONE DELLA FIGURA DELL'AGNELLO (5,6)

Il brano fa parte di un'unità letteraria più ampia che va da 5,6 a 5,14 e


comprende successivamente la presentazione statica dell'àQv[ov (5 ,6), il suo
movimento verso il libro e la sua presa di possesso (5.7), la reazione
dossologica provocata da quest'azione dell'àQv[ov e che ne mette in risalto la
portata (5,!\-14). La glorificazione ha, pur sempre all'interno dell'unità
letteraria in cui è situata, uno svolgimento proprio, con un allargamento a
cerchi concentrici, determinati dai protagonisti. Celebrano l'agnello i venti-
quattro anziani e i quattro viventi (5,8-10), un numero sterminato di angeli
(5 ,11-12), tutto il creato (5,13). La conclusione si riporta all'inizio della
celebrazione, con l'à!liJv dei viventi e l'adorazione degli anziani (5,14).
La presentazione statica dell'aQV[ov è fatta con quello stile concentrato,
usuale nell'Apocalisse quando viene introdotta per la prima volta una figura di
rilievo che ritorna più volte nel decorso del libro (come. ad esempio, la presen-
tazione degli t!Jla, 4,6b-8a; dei ltQEO~UTEQOl4,4). Le altre 28 volte che l'autore
parlerà dell'àQv[ov si limiterà a usare il termine, ma occorrerà esplicitare men-
talmente volta per volta tutto il nucleo teologico-biblico indicato la prima volta
per comprendere adeguatamente il significato dei sinp:oli contesti.
Il fatto che la figura-base di questa costruzione sia l'aQv[ov ci pone
nell'ambito del simbolismo teriomorfo.' Quanto viene attribuilo a Cristo come
agnello si riferisce alla storia dell'uomo, ma si svolgerà al disotto della
trascendenza di Dio e al disopra della possibilità di una verifica adeguata da
parte dell'uomo.
La presentazione dell'aQv[ov è fatta in termini simbolici e a struttura
discontinua:' non è possibile, se non cadendo in forzature artificiose e al limite
della sopportazione da parte della fantasia, costruire coi vari elementi simbolici
presentati un quadro di insieme. I singoli dettagli richiedono di essere elaborati
successivamente uno per uno: ed è questa elaborazione del materiale simbolico
fatta pezzo per pezzo che permette di passare da un dettaglio all'altro.
Vediamo il testo, prendendo anzitutto in considerazione alcune varianti nella
tradizione manoscritta le quali, anche se non costituiscono seri problemi di critica
testuale, mostrano come il testo era avvertito anomalo in alcune delle sue espressioni
grammaticali. Questa attenzione aiuterà a porre debitamente in rilievo tali anoma-
lie, valorizzandone tutta la portata espressiva, nella nostra esegesi.
La prima variante di un certo rilievo riguarda gli attributi caratteristici
dell'àQv[ov: esso è detto ÉXWV XÉQaw bm't, con l'irregolarità del maschile
ÉXWV riferito al neutro àQv[ov, in P", Sinaitico, A, 046: l'autorità dei codici non
lascia dubbio che questa sia la lezione preferibile; ma l'irregolarità fu avvertita
dalla maggioranza dei codici posteriori che hanno regolarmente il neutro ÉXOV.

' Cf. Parte prima c. Il, p. 39, nota 24 riguardante la figura simbolica dell'àQViO'Y.
' Cf. Parte prima, c. II, pp. 56-57.

167
Una seconda variante presenta una maggiore difficoltà di scelta: trovia-
mo, dopo la menzione dei sette occhi dcll'àgv(ov, nella decodificazione che
l'autore stesso fornisce di questa immagine: ot Eiatv ta Èlnà JtVE1JJ,tata to'Ù
tiEo'Ù in P", Sinaitico, diversi minuscoli; omettono tà tltta A e diversi
minuscoli. L'autorevolezza dei codici è bilanciata e ci sono spiegazioni
plausibili sia per l'assenza di ÉJtta nel testo originale (sarebbe stato aggiunto in
seguito sotto l'influsso di 1.4; 3,1; 4,5) sia per la sua presenza (l'omissione
sarebbe accidentale e dovuta a una confusione con I'Énta che precede
immediatamente).' È leggermente preferibile mantenere tà ÈJtta per il fatto
che Érrnì rrVEUJ.!Uta costituisce per l'autore un'espressione fissa e perché,
quando questa espressione non viene valutata in blocco come tale, la
ripetizione di ÈJtta appare quasi tautologica.
Un'ultima variante di rilievo è costituita dall'appellativo dato agli Érrtà
JtVEUJ.!Uta: troviamo àJtEatUÀJ.tÉVOt, forma maschile forzata e irregolare, in A e
2053; troviamo la forma regolare àrrEatUÀJ.!ÉVa nel Sinaitico e diversi minusco-
li; molto attestata, anche se tardivamente, è la forma {moatEÀÀé>J.!EVU, al
presente invece che al perfetto. L'autorevolezza di A e il fatto che {moataÀJ,tÉ-
vm costituisce una lezione più difficile la rendono nettamente preferibile. Ma è
interessante rilevare che veniva avvertita nella sua peculiarità, sia come maschi-
le che come perfetto. Dovremo tenerne conto nell'esegesi. Veniamo al testo.
5,6 xal d<'ìov
ÈV J,tÉO(Jl tO'Ù tiQOVOU XUL t<ÌJV tEOOOQWV ~tPWV
XUL EV J.!ÉO(Jl t<ÌJV ltQEOj3UtÉQWV
àgv(ov
Èatl]XÒç ooç f:mpayJ,tÉVOV
EXWV XÉQutU b:Tà
xal òcp{}aÀ~oùç ÉJttà
OL Elatv tà Èrrtà i"tVEU J.!UtU TO'Ù \'tEO'Ù
àrrEatUÀJ.!ÉVOt Eiç nàaav nìv yi)v.
«E vidi
in mezzo al trono e ai quattro viventi
e in mezzo agli anziani
un agnello
in piedi come ucciso
che aveva (davvero) sette corna
e sette occhi,
che sono i sette spiriti di Dio
(proprio) quando sono stati inviati a tutta la terra>>.

' L'autore costruisce con particolare accuratezza letteraria il simbolismo del trono, la prima
volta che lo presenta. Lo fa mediante una ripetizione rilevante del termine tlgovoç, che ricorre 14
volte in IO versetti. Cf. V ANNI, La strul/ura, pp. 184-185.

168
xal dl'lov ... Il <<vedere» proprio dell'autore dell'Apocalisse- le 43 volte
che troviamo dl'lov, detto in prima persona dall'autore stesso- non indica una
visione vera e propria. Suppone tutta una gamma svariata e prolungata di
esperienze - lettura dell' AT, riflessione personale sul rapporto tra il
contenuto religioso della sua fede e i fatti della storia, preghiera, condivisioni
carismatiche, ecc.- che, arrivata a un certo punto di maturazione. si condensa
in forma di messaggio. Come se l'autore ci volesse dire: vi presento una mia
idea, una mia sintesi, il punto di arrivo di una lunga maturazione.
Èv ~ÉOl!J TOÙ ttg6vou ... L'espressione ha un valore simbolico: non va
intesa quindi nel senso visivo banalmente realistico «al centro del trono» e che
sarebbe poi incompatibile con quanto l'autore ha affermato prima, ponendo
già i viventi Èv ~Éal!J Toù ttg6vou «in mezzo al trono ... » (4,6a), e con quanto
segue immediatamente. Occorre mettere in atto l'elaborazione propria della
struttura simbolica discontinua: «trono» è un simbolo antropologico e indica,
proprio nella sfera dell'esperienza umana da cui è preso, un livello di dignità e
la capacità di esercitare un influsso sugli altri. Il trono di cui si parla è quello di
Dio che, seduto appunto su di esso, esercita il suo influsso attivo sulla storia
(cf. 4,2ss). Rispetto a quest'azione di Dio, l'agnello occupa idealmente una
posizione centrale. L'azione di Dio sulla storia è rapportata a lui in misura
determinante. Vedremo in che senso.

4. I QUATIRO VIVENTI

xal tv ~ÉOl!J ... T<i>v TEaaétgwv ~l(>wv ... La centralità di Cristo-agnello nei
riguardi dell'azione di Dio sulla storia è determinata ulteriormente. Anche per
quanto riguarda l'azione dei quattro viventi, ai quali pure è attribuita una
centralità nell'azione di Dio sulla storia (cf. 4,6a), Cristo è un punto di
riferimento centrale.
Ma che cosa significano i quattro ~(jla?
Per comprendere il loro significato occorre richiamare, riinterpretandolo,
tutto il contesto simbolico della loro prima presentazione che troviamo in 4,6b-8.
I quattro viventi sono prima descritti per quello che sono (6b-8a), poi si
passa alla loro azione (8b).
Il quadro che li riguarda come loro presentazione è costruito dall'autore
in livelli simbolici successivi. Occorre «decodificare>> ciascun livello prima di
passare a quello seguente. Si ha una «Struttura discontinua».'
Si ha un primo livello con la presentazione degli ~(jla «in mezzo al trono e
intorno al trono»; un secondo li definisce: «pieni di occhi davanti e dietro»; un
terzo livello specifica simbolicamente i singoli: «leone», «toro», «uomo», «aquila
che vola»; un quarto livello li presenta con «sei ali»; finalmente un quinto livello
riprende il simbolismo degli occhi di cui essi «sono pieni intorno e dentro».

' Cf. Parte prima, c. II, pp. 56-57.

169
Ci si è chiesto anzitutto qual ~ l'origine, la matrice ispiratrice di queste
quattro figure simboliche. E la si è cercata nella mitologia, nell'astrologia (4
costellazioni; 4 segni dello zodiaco, ecc.).'
Oggi prevale il riferimento all' AT come punto di partenza, segnatamente
Ezechiele e in modo particolare Ez l ,5 e 1,18.
L'autore dell'Apocalisse presenta però, anche rispetto a Ezechiele, una
sua originalità, come del resto fa normalmente quando introduce l'A T nel suo
discorso. Che cosa ha voluto esprimere l'autore dell'Apocalisse, partendo da
Ezechiele, ma elaborando poi in proprio?
Nei quattro viventi si sono visti i quattro evangelisti (da Ireneo in poi, con
varianti nelle singole attribuzioni)."' Oppure sono stati interpretati come
rappresentanti della creazione, intesa, quest'ultima, con significati molto
diversi: qualcuno vi ha visto degli esseri celesti angelici, particolarmente elevati
(Michl) o addirittura la prima irradiazione della divinità (Bonsirven).
Ci si è posto il problema della loro funzione: rappresentano Dio di fronte
alla creazione (K. Barth); esprimono la santità perfetta e lo splendore di Dio
(Michl); orientati verso i 4 punti cardinali governano sotto Dio la creazione
(Allo); presiedono al governo del mondo fisico (Boismard).
Come orientarsi? Una lettura del brano che valorizzi tutti gli elementi
letterari e simbolici presenti potrà indicarci una risposta. Ma prima dei singoli
versetti, occorre un esame del modello ispiratore di base che è Ezechiele l. C'è
un riferimento contestuale generale: l'autore dell'Apocalisse riprende da Ez l
il grande contesto della gloria di Dio che si manifesta. Si ha un'esperienza della
trascendenza di Dio, si viene in contatto con essa.
Il riferimento a Ez l poi si puntualizza in citazioni riprese alla lettera o quasi:
1,4-6
<<lo guardavo ed ecco un uragano avanzare dal settentrione, una grande
nube e un turbinio di fuoco, che splendeva tutto intorno, e in mezzo si

11
La bibliografia che riguarda monograficamente i quattro «viventi~o~> è limitatissima, anche
se poi ogni commentatore presenta la propria interpretazione. Si possono citare due brevi studi:
W MoocK, Zur Geh. Offb 4,6-J/, in ThGI (1936) 28, pp. 609-612; S. BARTINA, El toro apocaliptico
1/eno de ojos (Apoc 4,6-8; Ct 9,9), in EstB (1962) 21, pp. 329-336; J. LEVEQt:E, Les qUJJtre vivants de
l'Apocalypse, in Chr (1979) 26, pp. 333-339. Una panoramica indicativa delle varie interpretazioni
proposte ~i trova in BROTSCH. La e/arti!, pp. 99-100.
1
n E un'interpretazione che ha avmo una notevole risonanza nella storia dell'esegesi.
Proposta per la prima volta da Ire neo (A dv. Haer. 3, 11,8), essa riferiva i quattro evangelisti ai
«vivcntin in questo ordine: la faccia di uomo a Matteo, il toro a Luca. l'aquila a Marco, il leone a
Giovanni. Fu ripresa da S. Agostino. ma variata nelle attribuzioni: (<Undc mihi videtur, qui ex
Apocalypsi illa quatuor animalia ad intelligendos quatuor evangelistas interpretati sunt, probabi-
lius aliquid attendisse illi qui lconem in Matthaeo, hominem in Marco. vitulum in Luca, aquilam in
Johanne intcllcxcrunt, quam illi qui hominem Matthaeo, aquilam Marco, leonem Johanni
tribuerunl» (De comemu Evangelistarum, 1,6). Dal V secolo in poi l'attribuzione dei quattro
«viventh) agli evangelisti ebbe una larga diffusione nell'arte cristiana. con un'ulteriore variante,
rispetto a s. Agostino: l'uomo venne attrihuito a Matteo, il leone a Marco. il toro a Luca, l'aquila a
Giovanni. È superfluo, sotto il profilo esegetico, rilevare illetteralismo riduttivo in cui cade questa
interpretazione manifestamente inaccettabile.

170
scorgeva come un balenare di elettro incandescente. Al centro apparve la
figura dei quattro viventi (TM d'muth 'arba' !Jayyoth, LXX: wc; Ò!Aolw~-ta
-reaoétgwv 1;<!Jwv] dei quali questo era l'aspetto: avevano sembianza
umana e avevano ciascuno quattro facce e quattro ali>>.
1,10
«Quanto alle loro fattezze, ciascuno di loro aveva faccia di uomo [TM
p'ne 'adam, LXX: rcgoo<<lrcov àvl'tgwrcou] poi faccia di leone [TM p'nè
'aryi!h; LXX: ngoownov tou ÀÉovtoc;] a destra, faccia di toro [TM p'nè-
sor, LXX: rcg6owrrov ~-t6oxou] a sinistra e, ognuno dei quattro, faccia di
aquila (TM p'ne neser, LXX: ng6owrcov ànou]».
l ,18
«La loro - delle ruote del carro - circonferenza era assai grande e i
cerchi di tutte e quattro erano pieni di occhi tutt'intorno [TM m'le'oth
'enaym sabib, LXX: nÀ~gnc; 6qn'tai-~-t<iìv xuxMI'tEv].
I punti di contatto preciso mettono in evidenza la libertà con cui l'autore
dell'Apocalisse rielabora Ezechiele e quindi la sua originalità: l'autore
dell'Apocalisse attribuisce le quattro fattezze (lett. «la faccia») distributiV'B-
mente ai singoli quattro viventi," mentre Ezechiele le attribuisce tutte e
quattro a ciascuno; gli occhi che Ezechiele attribuisce alle ruote, l"autorc
dell'Apocalisse li attribuisce ai quattro viventi. Avremo perciò, direttamente in
Ezechiele un punto di partenza obbligato per identificare il simbolismo dei
quattro viventi, ma non un punto di arrivo.
Diamo, ora, uno sguardo ai singoli versetti, secondo i cinque livelli
simbolici rilevati.
4,6b «E in mezzo al trono e intorno al trono quattro viventi»

È il primo livello simbolico: elaborando i vari elementi proposti si ha che i


<<quattro viventi» sono da pensare al centro dell'azione di Dio che domina la
storia (<<in mezzo al trono»), nel contesto degli elementi della corte celeste che
entrano in qualche modo nella storia della salvezza (intorno al trono»). Il loro
simbolismo teriomorfo (<<viventi», lett. <<animali») situa loro e la loro azione al
disotto della pura trascendenza di Dio e al disopra del livello della verifica
umana. Il contatto con Ez l, da cui l'immagine dei quattro viventi è presa,
suggerisce un'accentuazione della loro vicinanza a Dio.
Il secondo livello simbolico è incentrato sugli occhi. Il contatto con
Ezechiele esiste (1,18, cf. sopra) ma è piuttosto tenue: l'autore dell'Apocalisse

11
Il termine ~0a è una traduzione dell'ebraico Jiayyoth di Ezechiele; in latino è stato
tradotto «animalia» (Volgata). Nelle lingue moderne il termine «animale» ha preso una
connotazione più precisa, zoologica. La traduzione più vicina è ~<viventi~>. anche se il termine. nella
sua genericità, fa perdere la sfumatura di simbolismo teriomorfo che tc~n contiene nell'Apocalisse.

171
attribuisce gli occhi direttamente ai viventi e non aiie ruote del carro.
Riprendendo Io stesso simbolo al v. 8, insiste suiia completezza più assoluta
deila loro distribuzione: «intorno e dentro sono pieni di occhi». I viventi hanno
la massima abbondanza, <<Sono pieni>>, di occhi, «davanti, dietro, intorno e
dentro».
Un'insistenza tanto accentuata e un grado così notevole di originalità
creativa esige un contenuto simbolico che vada al di là di un puro elemento di
coreografia (così si può interpretare in Ezechielc: la Bible de Jérusalem traduce
«refletS>> («riflessioni»), invece che «Occhi>>):" la pienezza di occhi interessa
tutti e quattro ugualmente e Ii caratterizza. Qual è l'equivalente realistico di
questa immagine?
Zaccaria parla degli «occhi del Signore che scrutano tutta la terra>> ( 4.1 0):
l'autore deii'Apocalisse riprende questa immagine, attribuendola aii'agnello e
spiega che si tratta «dei sette spiriti di Dio inviati su tutta la terra», cioè, con
tutta probabilità, deii'azione dello Spirito.
Avremmo aiiora due indicazioni di contenuto per decodificare l'immagi-
ne: l'onniscenza c I'onnipotenza divina rapportata alla terra e un collegamento
di essa con l'azione dello Spirito.

Il terzo livello simbolico dettaglia ciascuna deiie quattro figure:


4,7 «E il vivente il primo era simile a un leone
e il secondo vivente era simile a un giovane toro
e il terzo vivente era avente proprio la faccia come di uomo
e il quarto vivente era simile a un'aquila che vo"la».

Il contatto con Ezechiele si riduce a un minimo, come è stato notato.


I singoli viventi sono paragonati ciascuno a una realtà esistente a livello
umano. Proprio il riferimento all'uomo è messo particolarmente in risalto
mediante una variazione stilistica e un'asperità grammaticale: nel testo ebraico
troviamo la stessa espressione per tutti e quattro i riferimenti (p'nè ... ); l'autore
interpreta liberamente rendendo p'né, «faccia di ... >> con «i\!!OLOV>> «corrispon-
dente a ... » in tre dei quattro. Quando si parla del rapporto con l'uomo aderisce
di più all'originale ebraico, rendendolo,con EXWV TÒ JtQOOWJtOV ooç
<'xv1'tQOOJtO"U
«avente proprio la faccia come di uomO>>. Inoltre il passaggio dal neutro al
maschile rilevabile in EXWV accentua forzatamente l'espressione.
In generale si ha un passaggio dal livello trascendente (trono) al livello
proprio de II 'uomo. E il livello dell'uomo al quale «i viventi>> sono rapportati
viene ulteriormente precisato, anche se la decodificazione deiie singole
immagini non deve essere troppo premuta proprio per la loro indeterminatez-
za: il rapporto tra i viventi e il mondo degli uomini è un rapporto di energia, di
forza (<<leone>>, ripreso e attribuito a Cristo in 5,5), di fecondità (!l6oxc:p:

" Cf. V ANNI, La struttura, pp. 150-152.

172
«young bull>>, Liddeii-Scott, s.v. «giovane toro>>, ma resta il punto più
indeterminato). L'aggiunta di ltE"tOIJ.ÉV(!J <<che vola>>, ad an0 <<aquila>>, rispetto
al modello ezechieliano, e la ricorrenza della stessa espressione in 8,13
(<d'aquila che vola>> e annuncia i tre <<guai>>, con una funzione di accentuazione
dello sviluppo in avanti della storia) suggeriscono il senso di una forza
propulsiva che spinge in avanti nell'ambito della salvezza riguardante gli
uomini (cf. Ap 12,14).

Il quarto livello simbolico sposta il modello ispiratore di Ezechiele a Isaia:

4,8 <<E i quattro viventi


uno come uno di essi
aveva proprio su sei ali>>.

Le 4 ali di cui parla Ezechiele sono le 6 di cui parla Isaia a proposito dei
sera fini:

<<E dei serafini stavano sopra: sei ali e sei ali a ciascuno>>
[a <<ciascunO>> TM l"'el]ad, LXX: t0 ÉvL..xat t0 èvl) (Is 6,2).

I viventi sono riportati al livello della trascendenza: hanno la funzione di


lode diretta e immediata a Dio seduto sul trono (Is 6, l) che esercitano in Isaia i
serafini. Le ali alzate indicano un'azione che si sta svolgendo, una tensione
verso il livello di Dio.

Il quinto livello simbolico ripropone il simbolismo degli «occhi>>: <<intorno


e dentro sono pieni di occhi>>.
L'insistenza sugli occhi fa inclusione con quanto detto nel secondo livello
e lo completa. Si ricava che <<gli occhi>> rappresentano per <<i viventi>> l'elemento
simbolico più caratteristico e più determinante: si tratta, con tutta probabilità
come abbiamo visto, del rapporto tra i viventi e lo Spirito. L'importanza di
queste figure appare anche, chiaramente, dalla lode che rivolgono a Dio:

<<E non hanno sosta di giorno e di notte, mentre dicono:


Santo santo santo
il Signore Dio onnipotente
colui che è e che era e verrà!>> (4,8c).

Come i serafini di Isaia, i viventi sono impegnati m una glorificazione


continuata, senza alcuna interruzione - <<giorno e notte>>, è la totalità del
tempo espressa mediante lo schema dei due estremi - il cui contenuto
riprende quello dei serafini:

<<Santo, santo, santo JHWH degli eserciti;


tutta la terra è piena della tua gloria>> (Is 6,3).

173
Il superlativo del triplice <<Santo>> esprime al massimo la trascendenza di
Dio, ciò che, potremmo dire, c'è di più divino in Dio, al di là e al di sopra di
qualunque realtà creaturale. Ma, già in Isaia, la santità divina non rimane
chiusa in se stessa: Dio si manifesta nella sua «gloria••: tutto il creato esprime
allora, con un'abbondanza che è chiamata pienezza, la realtà, il valore
(letteralmente «il pesO>>: kabOd) di Dio.
L'autore dell'Apocalisse fa qui una variazione di grande rilievo: a quella
che è, in Isaia, una manifestazione generale di Dio nel creato, viene sostituito
un rapporto di Dio con la storia, mediante l'espressione tipica dell' Apncalis~c:
«colui che è e che era c verrà>>Y Dio «verrà>> per mezzo di Cristo, concludendo
così la storia della salvezza: intanto la segue nel presente («è>>), come ha già
fatto nel passato («era»).
Riassumendo: l'insistenza dell'autore dell'Apocalisse sui viventi, la
costruzione accurata e complessa del loro quadro simbolico, il numero delle
loro ricorrenze mostra che si tratta di una dimensione essenziale dell' Apocalis-
se. Possiamo precisarla, riprendendo le osservazioni analitiche fatte sopra: i
viventi rappresentano schematicamente il dinamismo che, partendo dal livello
di Dio si indirizza verso la storia umana e poi, ripartendo dalla storia umana.
raggiunge di nuovo il livello divino. Tale dinamismo è tutto permeato, sia nella
fase discendente come in quella ascendente, dall'azione dello Spirito. Quello
che i viventi esprimono, sia nella loro presentazione statica, sia in quella
dinamica, corrisponde a questo duplice dinamismo: situati a livello di Dio
(<<trono») tendenti attivamente verso di lui («ali>>). sono tutti e quattro
rapportati al mondo degli uomini: lo dicono le loro «fattezze» tutte prese
dall'esperienza umana; lo dice il simbolismo aritmetico di 4, che, riferendosi ai
quattro punti cardinali (o ai «quattro venti»), abbraccia tutta la realtà terrestre.
Nella celebrazione, in modo particolare, sono evidenti i due «poli>> del
movimento: Dio è celebrato in se stesso, nella sua santità (movimento verso
Dio) ed è celebrato nella sua potenza che mette in atto lo sviluppo della storia
della salvezza (movimento verso l'uomo). Nelle ricorrenze i viventi appariran-
no come situati al livello di Dio (cf. 4,9), li troviamo nel movimento
discendente di Dio («voce di tuono>•) agli uomini (cf. 6,1.3.5.7; 17,7); li
troviamo animatori del movimento ascendente (5,8.11.14; 19,4). Quando poi,
la storia della salvezza sarà conclusa, non ci sarà più questo movimento perché
si avrà, nella convivenza paritetica tra Dio e gli uomini della Gerusalemme
nuova, un superamento della trascendenza e dell'immanenza. l viventi come
gli anziani si troveranno per l'ultima volta in 19,4 (l'ultima loro espressione
sarà: «amen, alleluia>>) e non compariranno nella Gerusalemme.
Rispetto a questo passaggio, a questo scambio tra cielo e terra, tra
immanenza e trascendenza simboleggiato e richiamato dagli ~ljla tutte le volte
che incontriamo questo termine dell'Apocalisse - 20 volte in tutto, al
singolare o al plurale- si ha come punto di riferimento centrale, determinante

u Cf. Pane seconda, c. l, pp. 112-113.

174
e qualificante, Cristo come agnello. Dato che il rapporto tra quarto Vangelo e
Apocalisse sembra quello di una esplicitazione maggiore e di un'applicazione
alla storia degli stessi temi teologici," si può vedere nella centralità di Cristo
rispetto al movimento di scamhio tra cielo e terra una ripresa di Gv 1,51: «In
verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto c gli angeli di Dio che salgono e
scendono sul figlio dell' <<Uomo>>. Gli t,tjia non sono né angeli, né altri
personaggi determinabili: sono schemi vuoti che, purché si indichi il passaggio
che avviene sotto l'influsso dello Spirito, possono includere anche gli angeli.

5. l 24 ANZIANI

Cristo-agnello occupa un posto centrale anche rispetto ai ltQEO~UTEQot: il


fatto ha un'importanza particolare, dato che viene ripetuta l'espressione
preposizionale Év ~tÉO()J.
Qual è il significato di questa nuova figura simbolica, talmente importan-
te da essere collegata anch'essa direttamente con l'agnello?
I JtQEO~UTEQOl. gli <<anziani», costituiscono una figura simbolica complessa e
molto frequente nell'Apocalisse, dove spesso sono abbinati ai viventi. È difficile
identificare l'origine, anche solo ispirativa, di queste figure simboliche."
Lo sfondo mitologico- divinità inferiori intorno a una divinità maggiore
- sembra da escludersi, data l'opposizione viscerale dell'autore a qualunque
forma di paganesimo. Più verosimile, anche se generica, appare l'origine
veterotestamcntaria ispirata a Esodo 24,1-12 (i settanta <<degli anziani di
Israele», mizziqné Israel, LXX tlilv n:gwfluTÉQWV 'Iogmjì., rapportati in
qualche modo alle dodici tribù d'Israele).
Ma chi sono i ventiquattro anziani nella rielaborazione originale che fa
l'autore anche di questo possibile remoto modello veterotestamentario?
Si è parlato di esseri celesti, angeli o simili (Bornkamm, Boismard,
Lohse, Gunkel, Spitta, Bousset, Allo, Charles, Rissi, ecc.); si è parlato di
uomini glorificati (rientrano in questa categoria Ticonio, Vittorino, Andrea,
Ecumenio, Primasio, Beda, Lutero, Cornelio a Lapide, Swete, Cerfaux-
Camhier), identificato poi con tutti i santi dell'antica e nuova alleanza (Alberto
Magno), la chiesa trionfante (Schnepel), i rappresentanti del sacerdozio regale
(Stiihlin), personaggi dell'antica alleanza (Michl, Wikenhauser, Bartina,
Prigent, Feuillet), o, più genericamente, rappresentanti dell'umanità (Renan,
Ragaz, Guardini).
Un'indicazione precisa si può ricavare solo da un'analisi dei vari tratti
simbolici che l'autore - secondo il suo stile - ci presenta la prima volta che

" Cf. Parte terza, c. II. III, IV. Costituiscono esempi tipici di una continuità teologica in
crescendo tra il quarto Vangelo e l'Apocalisse.
" Per la panoramica di tutte queste interpretazioni, cf. BROTSCH, La clarté, pp. 95-97. Si
sono occupati del problema della interpretazione dei ventiquattro anziani dell'Apocalisse: A.
SKRtNJAR. Vìgintiquaruor seniores (Apoc 4,4.10; 5,5-14, etc.), in VD (1936) 16, pp. 333-338; 361-368;
A. FEUtLLET, Les vingt-quatre vieil/ards de I'Apocalypse, in RB (1958) 65, pp. 5-32.

175
parla di queste figure simboliche, limitandosi in seguito a richiamare la prima
presentazione solo col termine ol ngwButEQOl:
<<E intorno al trono
(vidi) dei troni ed erano ventiquattro
e sui troni
(vidi) ventiquattro anziani seduti
rivestiti di vesti bianche
e sulle loro teste delle corone d'oro>> (4,4).
l troni - da non tradursi semplicemente <<sedili>> - messi intenzional-
mente <<intorno al trono>> unico di Dio, indicano una partecipazione attiva, una
capacità di influenza per quanto riguarda lo sviluppo della storia della salvezza.
Il numero di ventiquattro, su cui la forzatura grammaticale del passaggio
dall'accusativo al nominativo richiama bruscamente l"allenzione, non ha un
valore simbolico proprio ncll'apQ(.:alittica. All'interno dell'Apocalisse di Gio·
vanni, troviamo in 21,12.14 da una parte le <<dodici tribù di Israele>>, dall'altra i
<<dodici apostoli dell'agnello>>, inseriti gli uni e le altre nel contesto strettamente
unitario delle mura della Gerusalemme nuova. Questo accostamento suggeri-
sce una somma e si ottiene, così, 24. Avremo allora, rispetto agli anziani, una
distribuzione omogenea nell'ambito dell'unico popolo di Dio, tenendo conto
delle due grandi fasi della sua evoluzione: Antico e Nuovo Testamento.
Seduti: la posizione stessa di Dio, che, come i troni, indica una capacità
attiva di influsso.
Anziani: il termine si riferisce, a partire dal libro dell'Esodo (vedi sopra)
e soprattutto nel NT, a un ruolo di influsso riguardante gli altri che è possibile
esercitare in base a un'esperienza sapienziale di applicazione alla vita e che poi
i singoli contesti specificano in dettaglio. Ciò vale in modo particolare per
l'ambiente giovanneo e paolino."
Vestiti in vesti bianche: la veste indica nel quadro del simbolismo
antropologico dell'Apocalisse una qualifica della persona come tale e in
rapporto alle altre che vedono. 17 Il bianco è un simbolismo cromatico che trova
nell'Apocalisse uno sviluppo tipico: significa una partecipazione realizzata
della risurrezione di Cristo, un livello <<soprannaturale>>, «trascendente», ma
sempre rapportato alla risurrezione di Cristo. Non implica necessariamente la
risurrezione personale avvenuta, ma neppure la esclude.
Sulle loro teste delle corone d'oro: la corona indica, nell'Apocalisse, una
qualche attività positiva (vittoria, ecc.) condotta a termine, della quale la
corona è come il riconoscimento. Gli anziani si trovano in una situazione di
salvezza attuata e riconosciuta. L'oro è il metallo tipico della liturgia e della

" Cf. G. BoRNKAMM, 1CI}Éa{Jvç, 1CI}Ea{Jvui}Oç ><rÀ, GLNT, Xl, 81-164. È panicolarmente
significativo, dato che siamo nello stesso ambiente giovanneo, il titolo di ò 1tQEo~Uu:vo;, con un
manifesto rapporto con la vita della chiesa, che si attribuisce con solennità l'autore sia della
seconda che della terza lettera di Giovanni (2Gv 1: 3Gv l).
17
Cf. Parte prima, c. l, pp. 43-44.

176
vicinanza di Dio, come abbiamo rilevato: gli anziani quindi vengono visti in
una situazione di particolare vicinanza con Dio e collegati con l'assemblea
liturgica. Le singole ricorrenze che incontreremo nel testo dell'Apocalisse
preciseranno in che senso.
Cercando di unire insieme questi tratti simbolici - ed è un passo
necessario per comprendere il significato del termine sintetico ltQEO~utEQOt
senza altre aggiunte che troveremo in seguito - ne emerge questa figura: si
tratta di persone che hanno già compiuto la loro trafila terrestre (corona), e si
trovano in una situazione di compartecipazione della risurrezione di Cristo
(vesti bianche). Ma hanno una loro funzionalità rispetto agli altri (vesti) che è
quella di un influsso attivo, reale anche se subordinato a quello di Dio e di
Cristo (troni, seduti) e riguardante la vita della chiesa (<<anziani>>): svolgono
una mediazione liturgica tra Dio e la chiesa stessa (oro). Dopo il loro <<amen-
alleluia>> di 19,4 non si ritrovano più: mancano nella Gerusalemme nuova. Ciò
accentua la loro funzionalità che come quella dei viventi si esplica solo nello
sviluppo della storia della salvezza fino alla sua conclusione e indica che essi
sono non dei personaggi già definiti - li dovremmo allora ritrovare nella
Gerusalemme nuova - ma piuttosto degli schemi letterari di personaggi.
Questi schemi sono <<vuoti>>: il gruppo degli ascoltatori, protagonista attivo
dell'esperienza apocalittica, dovrà riempirli, collocandovi personaggi e nomi
che sono per lui più familiari e ispiratori e che potranno essere desunti sia
dall'Antico che dal Nuovo Testamento. Sono sostanzialmente i santi, canoniz-
zati o meno, a cui il gruppo si ispira. Questa prospettiva presenta anche il
vantaggio di dare un 'inquadratura più precisa alla maggioranza delle interpre-
tazioni già proposte alle quali abbiamo fatto accenno più sopra, a condizione
che nessuna sia presa in senso esclusivo. L'unica linea interpretativa che
sembra da escludere è quella che interpreta i 24 anziani come esseri angelici.
Rispetto alla mediazione multipla. in senso ascendente e discendente, che
viene indicata da questi schemi di personaggi, Cristo occupa una parte
centrale. Siccome l'attività tipica di Cristo agnello nella seconda parte
dell'Apocalisse è essenzialmente rivolta al superamento delle forze ostili
nell'ambito della storia, si intravede che l'azione dei ;rgw~utEQOL si riferirà a
Cristo in senso attivo. Essi aiuteranno i cristiani che si trovano ancora sulla
terra a comprendere il senso della presenza e dell'azione di Cristo; porteranno
a Dio, sempre a nome dei cristiani ancora viventi sulla terra, le loro buone
volontà, i loro desideri, le loro preghiere, riguardanti sempre la realizzazione
del <<regno di Cristo>> (cf. 11,15) nel mondo.

6. CRISTO-AGNELLO: POSSIBILI ANTECEDENTI E PARALLELI

Rispetto a questa figura tipica dell'Apocalisse si pone anzitutto il


problema della sua origine e del suo significato. Ma occorre prima una
precisazione filologica sulla forma àgv[ov usata 29 volte dall'Apocalisse.
Strettamente parlando è una forma diminutiva di àg~v, àgv6ç che in greco

177
classico significa <<agnello>> o <<pecora>>. La forma ÙQvlov nel greco classico ha
ancora il valore di diminutivo: <<piccolo agnello>>, ma a livello del greco del NT
questa sfumatura non era più avvertita, come per altri casi morfologicamente
uguali (l'h"jQlov, flL(lf-lov, ecc.).
Quanto all'origine dell'immagine, è stato preso giustamente in considera-
zione anzitutto l'A T e segnatamente l'offerta (tamld) di un agnello che si
praticava nel tempio mattina e sera (cf. Es 29,38-42; Nm 28,3-8). Ma- ci si è
chiesto- quanto influsso poteva esercitare sull'uso dell'autore un fatto rituale
che ormai, dalla distruzione del tempio in poi, non si praticava più? 1'
Un secondo riferimento è stato visto nell'agnello pasquale (Es 12,1-27; Lv
23.5-6; Dt 16,1-7). L'agnello pasquale è ucciso- non offerto in sacrificio-,
mangiato, e, soprattutto, ne viene spruzzato il sangue sugli stipiti delle porte.
Rimane, globalmente, il simbolo di tutta la liberazione dall'Egitto alla terra
promessa. È forse il punto di contatto più aderente, ma sempre come modello
ispiratore. C'è un parallelo tra l'uccisione e il rilievo dato di efficacia del
sangue. In effetti, come vedremo nel decorso dell'esegesi, l'aQvlov dell'Apoca-
lisse è presentato come ucciso e, mediante l'efficacia del suo sangue, realizza
l'opera della redenzione in tutta la sua complessità. In più un contatto con
l'Esodo può essere confermato dal riferimento esplicito, nel contesto della
morte di Gesù, che viene fatto nel quarto Vangelo- siamo nell'ambito della
scuola giovannea - all'agnello pasquale proprio dell'Esodo. 1'
Un terzo riferimento è stato visto nel servitore di JHWH di Is 53,7:
<<Egli fu maltrattato, si lasciò umiliare e non apri la sua bocca: come un
agnello (TM: kasseh, LXX: wç :n:go(laTov) condotto al macello, come
pecora (TM: wuk"riil]el, LXX: wç Ù!J.v6ç) muta di fronte ai suoi tosatori e
non aprì la sua bocca>>.
Secondo J. Comblin" la figura apocalittica dell'agnello deriverebbe tutta
da questo brano di Isaia, del quale sarebbe un'interpretazione. Ma i punti di
contatto col testo di Isaia appaiono piuttosto vaghi e non sono sufficienti per
giustificare o spiegare la costruzione complessa della figura dell'agvlov da
parte del nostro autore. Si può, al più, vedere in Isaia 53,7 un punto di partenza
ispiratore, che, da solo, non sarebbe sufficiente a spiegare né l'organizzazione
letteraria né il significato teologico-biblico che l'autore intende quando ci
presenta l'agvlov.

18
Cf. per una documentazione e discussione HoHNJEC, Das Lamm, pp. 23-24.
19
Cf. CoMBLIN, Le ChrL<I, pp. 20-35.
>~ Cf. Gv 19,36: l'allusion~ a Es 12.10.46 (LXX) collega la morte di Gesù e la trafittura del
costato con l'agnello pasquale. E a questo punto che si risolve la tensione provocata dalla prima
presentazione di Gesù come «l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29, ripresa
smtet1zzata- un procedimento letterario che ha riscontro nell'Apocalisse- in Gv 1,36). Solo
nella morte di Gesù, con tutti gli annessi c connessi che ci presenta Giovanni, si comprende la
portata reale di quella espressione. Mediante la sua morte Gesù realizza, globalmente, la nuova
pasqua nel contesto della quale egli esercita la funzione dell'agnello.

178
Rimane nel generico il contatto letterario, a volte indicato, con Ger
11,19: «<o ero come un agnello innocente, che viene condotto al macello>>.
Anche se i LXX hanno wç àgvtov, la corrispondenza della forma del sostantivo
ha una rilevanza scarsa, perché l'Apocalisse non dipende dai LXX. E in
Geremia l'allusione all'agnello è semplicemente un termine di paragone. che
mette in risalto la sua innocenza disarmata nei riguardi dei nemici. Non c'è
niente di tutto questo nella figura dell'Ù(lVLOV.
Concludendo: gli elementi che l'autore, a proposito dell'àQVlov, trovava
nell'AT si riducono a dei contatti che privilegiano l'Esodo e a degli spunti
ispiratori. La somma di tutti questi elementi non equivale neppure lontana-
mente alla figura dell'àgvtov.
L'autore si è ispirato alle opere della scuola apocalittica che lo precedono?
Un brano di un certo interesse" si trova nel libro etiopico di Enoch."
Tutto il lungo brano dei capitoli 89-90 ruota intorno al simbolismo del pastore:
Dio signore delle pecore, le figure più rilevanti della storia di Israele fino ai
Maccabei sono <<pecore» e <<agnelli». Si tratta di un quadro simbolico generale,
complesso e confuso, che ha in comune con l'àgvlov dell'Apocalisse solo lo
sfondo <<pastorale>>. Un hrano, conservato in greco, è più vicino alla concezione
dell'àgv[ov:
<<E il signore delle pecore inviò questo agnello ('tòv iiQVa Toiiwv) a un
altro agnello (Èrrl ò.gva ETE(lOV) per farne un montone (dç X(H6v) ... per
guidare le pecore al posto del montone che aveva lasciato la sua via>>
(I t:noch 95 ,45).
Si trova il termine classico <<agnello» (agva, accus. di U(ll]V, agv6ç), ma
tutto il discorso si svolge in un contesto simbolico di interrelazioni ·pastorizie
(agnello, montone, pecore), completamente estraneo all'Apocalisse. Una
dipendenza letteraria vera e propria anche generica, è da escludere. Anche il
fatto che l'àgvtov in certi contesti dell'Apocalisse è presentato in una
situazione di forza (come in 6,16) o assume un ruolo di guida (come in Ap 7,17)
non è pertinente: l' <<agnello» di Enoch per svolgere questi ruoli diventa
esplicitamente montone (xgt6ç), non rimane agnello.
Viene citato un altro brano, preso dal Testamento di Giuseppe, (II sec.
a.C.), ma che mostra tracce evidenti di un'interpolazione cristiana posteriore."

21 Cf. HOHNJEC, Das Lamm, pp. 27-28.


" Il l libro di Enoch detto anche l'Apocalisse etiopica di Enoch (11·1 a.C.) appartiene al
genere letterario apocalittico, al punto che sono stati indicati dei punti di contatto interessanli
proprio con l'Apocalisse di Giovanni. Il Nestle-Aiand (26' ed.) ne indica 15. Ad un esame
ravvicinato tali punti di contatto si rivelano piuttosto generici, diversi da quelli che l'Apocalisse
mostra con l't\T.
2
' Dando uno sguardo al testo riportato in sinossi da J.H. CHARLESWORTH, The 0/d
Testament Pseudoepigrapha. Apocalyptic Literature and Testaments, London 1983. p. 824 appaiono
evidenti le interpolazioni cristiane, tolte le quali rimane solo uno sfondo teriomorfo riferito
all'agnello.

179
C'è da notare, a prescindere da questi, un punto di contatto generale
nell'ambito del simbolismo teriomorfo. Nel Testamento di Giuseppe esso è
molto più accentuato e dettagliato che nell'Apocalisse: l'agnello e gli agnelli
sono messi in rapporto di intesa con cervi, tori, vacche, giovenche. C'è un
rapporto di opposizione con ogni sorta di animali e di rettili. Questo contesto,
abbondante e prolisso, descrittivo fino ai dettagli più banali, può essere stato
conosciuto dall'autore dell'Apocalisse e potrebbe anche avergli suggerito
l'immagine dell'agnello. Ma la differenza notevole di stile- l'Apocalisse usa
una struttura discontinua, richiedendo un 'interpretazione attiva da parte di chi
legge e ascolta - , il fatto che l'agnello non è messo mai dall'Apocalisse in
conflitto diretto con altri animali, rendono improbabile un contatto di
dipendenza letteraria anche generico.
Ancora più improbabile - praticamente da escludere - è un ultimo
contatto letterario indicato, quello col Testamento di Beniamino, 3,8.
•<In te si compirà la profezia celeste riguardante l'agnello di Dio, il Salvatore
del mondo, poiché l'immacolato sarà tradito dai senza legge, e colui che è
senza peccato morirà per gli empi mediante il sangue per la salvezza dei
gentili e di Israele, e per la distruzione di Beliar e dei suoi servitori».:
Si tratta di una manifesta interpolazione cristiana, che neppure è inserita,
come quella del Testamento di Giuseppe, nel contesto di un simbolismo
teriomorfo.
Il confronto con la letteratura apocalittica, concludendo, sottolinea
l'originalità creativa dell'autore dell'Apocalisse. Si può dire lo stesso rispetto
all'<<agnello di Dio>> del quarto Vangelo?
La questione è dibattuta, anche perché implica tutta la problematica che
I'<<agnello di Dio>> pone nell'ambito del quarto Vangelo, anche a prescindere
dell'Apocalisse.''
Notiamo anzitutto, l'aspetto letterario. Nel quarto Vangelo si usa
l'espressione 6 à~vòç toù ltEOù 6 ULQUJV tijv a~agtiav tOÙ xoa~ou (Gv 1,19),
poi, più semplicemente 6 à~vòç toù ltwù (Gv 1,36). Entrambe le espressioni
sono messe in bocca a Giovanni Battista. Quando, come abbiamo rilevato,
Cristo crocifisso è messo in rapporto con l'agnello pasquale dell'Esodo (cf. Gv
19,36), si sottolinea solo che <<nessun osso gli sarà spezzatO>>, ma senza nomi-
nare esplicitamente l'agnello. Ma una corrispondenza tra i tre testi è evidente.
Si può dire che l'espressione enigmatica nella sua densità attribuita a
Giovanni Battista fa pressione sulla lettura susseguente del quarto Vangelo
fino a chiarirsi nella scena del Golgota.
Nell'Apocalisse- a prescindere da Gv 21,15: ~oaxnà ÙQvia ~ou <<Pasci
i miei agnelli>>, l'unico luogo dove ricorre il termine àQviov al plurale, ma
riferito inequivocabilmente al gregge del nuovo popolo di Dio - si notano

" Cf. HoHNJEC, Das Lamm, pp. 28-33.

180
delle differenze rilevanti anzitutto dal punto di vista letterario: si ha sempre il
termine àgv(ov e la frequenza marcata delle sue 29 ricorrenze senza mai una
variazione sottolinea la rilevanza che ha la figura dell'lxgv[ov nella mente
dell'autore. È quella e sempre quella.
Inoltre àgv[ov è usato, a differenza di lx!J.v6ç senza il genitivo wii -ltwii.
C'è, quindi, rispetto al quarto Vangelo, sotto il profilo della terminologia un
distacco netto. L'autore dell'Apocalisse avrebbe potuto usare tranquillamente
l'espressione 6 Ù!J.VÒç wii -ltwii, che quadrerebbe perfettamente con tutti i
contesti nei quali usa il termine àgv[ov. Se, come è comunemente ammesso e
come un insieme di indizi induce a supporre, l'autore dell'Apocalisse era a
conoscenza del quarto Vangelo, perché ha scelto un termine diverso?
Questo ci porta a un approfondimento. I <<sondaggi>> fatti su altri punti
mostrano tra il quarto Vangelo e l'Apocalisse una continuità in sviluppo. E lo
sviluppo viene dato dal contatto più diretto, più aperto del contenuto religioso
del quarto Vangelo con i fatti della storia. LI Si verifica uno sviluppo di questo
genere anche a proposito della figura di Cristo-agnello? Vari indizi lo
suggeriscono. perlomeno, a livello di ipotesi. Cristo come <<agnello di Dio>> si
ricollcga direttamente all'agnello pasquale dell'Esodo e, forse, anche al
servitore di JHWH del Secondo Isaia. La designazione enigmatica all'inizio del
Vangelo rimarrebbe tale senza la ripresa sopra notata nel contesto della
crocifissione. È lì che Gesù si realizza proprio nello stato di crocifissione
<<dando la sua vita>>, supera le peccaminosità dell'uomo, si rivela come re di
tutto il nuovo popolo di Dio (cf. Gv 19,19-22). Come attuerà in seguito, Cristo
questa sua potenzialità di regno?
Nell'Apocalisse troviamo una risposta. Il regno di Cristo <<non da questo
mondo», di altro tipo rispetto ai modelli umani, si realizza e questo nuovo regno di
Cristo diviene il <<regno del mondo». Il passaggio si opera esplicitamente in forza
di Cristo-agnello che come tale è <<re dei re e signore dei signori» (A p 17,14).
Alla luce di tutto questo risulta una traiettoria di sviluppo dal quarto
Vangelo all'Apocalisse: l'à~-tv6ç wii -ltwii viene chiarito gradualmente nel suo
contenuto in tutto il decorso del quarto Vangelo; si realizza e si rivela come
colui che toglie il peccato del mondo nella situazione di crocifissione.
Da allora in poi la sua funzione assume un aspetto nuovo, quello della
regalità che lo mette in contatto diretto e articolato con la storia degli uomini.
Questo nuovo aspetto è proprio quello che, lo vedremo in dettaglio, è espresso
col termine rinnovato di àgv[ov. La figura dell'àgv[ov apocalittico comincia
dopo l'<<ora» di Gesù del quarto Vangelo, è determinata da essa e ne porta il
contenuto nel vivo della storia. Non si comprenderà adeguatamente la portata
deii'Ù!J.v6ç toù -ltwii senza vederne la continuità in crescendo nell'àgv[ov.
E neppure si potrà capire il senso dell'àgv[ov se non si espliciterà prima tutta la
figura deii'Ù!J.vo; fino alla crocifissione.

" Cf. Parte terza, cc. Il, III.

181
In questa prospettiva, l'autore dell'Apocalisse, nella creazione originale
che fa della figura dell'àQvlov si colloca nell'ambito del «Circolo giovanneo"
riprendendo e sviluppando, sulla stessa linea, l'agnello di Dio che toglie il
peccato del mondo.
C'è allora da aspettarsi, nei tratti caratteristici della sua figura che
l'autore ci presenterà, dei punti di contatto illuminanti con il quarto Vangelo.
Dovremo tenerne debitamente conto nella esegesi.

7. I TRATn SIMBOUCT DELL'AGNELLO

'Em:rptòç wç Èmpayj.tÉVov, «in piedi, come ucciso>>: si tratta di due


elementi simbolici, sempre a struttura discontinua, che esigono una decodifica-
zione immediata, prima di procedere nella lettura. La posizione eretta di
f<ITl"]Xoç è un simbolismo antropologico che indica la risurrezione. È lo <<Stare
in piedi>> efficiente e attivo, proprio appunto della risurrezione. In dipendenza
dall'àQvlov c'è lo stare in piedi degli uomini: indica, anche qui, la situazione di
forza tipica della risurrezione: i due testimoni, dopo la loro uccisione, pervasi
dallo Spirito di vita <<Stettero dritti poggiando sui loro piedi»: 11,11; i vincitori
<<Stanno i n piedi>> sul mare di cristallo misto a fuoco della nuova creazione (cf ..
15,2) e davanti al trono di Dio (cf. 7,9). Mettendo per un momento da parte
l'immagine dello stare in piedi, esaminiamo l'altro tratto simbolico, con cui
l'autore qualifica l'ÙQVtov: Èmpayj.tÉvov <<che è stato ucciso>>.
L "uso linguistico generale di mpatw, sia a livello di g~ecità generale sia
soprattutto a livello dei LXX, suggerirebbe un valore sacrificale espiatorio:
indica l'immolazione cultuale delle vittime. Ma l'uso dell'Apocalisse che ha un
suo tipo di greco ed è probabilmente indipendente dai LXX, lascia delle
perplessità: troviamo mpatw infatti, oltre che in riferimento esplicito all'àQ-
v[ov (5,6.9.12; 13,8), nel senso marcatamente profano e di per sé negativo di
un'uccisione violenta: gli uomini si uccidono tra di loro (6,4) e uccidono coloro
che sono fedeli a Cristo (6,9; 18,24). Anche una delle teste del <<mostro» è detta
Èmpayj.tÉVl"]V ( 13 ,3).
Se l'autore dell'Apocalisse riprendesse il valore sacrificale di mp6.tw
applicandolo all'àQv[ov difficilmente estenderebbe un termine, che avrebbe così
acquistato un valore denso di sacralità, a un campo semantico così diverso. È
preferibile, allora, dare al termine tocpayj.tÉVov riferito all'àQVlov quel valore più
generale di <<Ucciso>> che troviamo, in varie traduzioni antiche, come la Volgata:
occisus- piuttosto che quello di «immolato>> che apparirebbe troppo specifico. Si
tratta di un'allusione chiara alla morte violenta di Cristo presa nel suo insieme.
wç ... La particella esprime normalmente nell'Apocalisse un certo rappor-
to di equivalenza tra due termini, che poi il contesto specifica, ma che deve
essere rilevato e determinato pensando.
E qui l'equivalenza è, a prima lettura, paradossale. Lo stesso soggetto
non può essere, nello stesso tempo, <<in piedi>> risorto e <<UCciso». I due termini
provocano una tensione tra di loro che solo wç potrà risolvere: ma come?

182
La continuità sopra rilevata tra l'aJ,Lv6ç del quarto Vangelo e l'liQVlov spinge a
un raffronto: una situazione analoga a quella presentata qui nell'Apocalisse si
rileva a proposito di Cristo in Gv 20,19-22: riassumiamo in un prospcllo
sinottico gli elementi più interessanti.
Ap quarto Vangelo
~f..{}Evò 'ITJOO'Ùç xui ÉOTIJ
Eiç "tÒ !AÉOOV ...
Émpay~-tévov llìn!;Ev -ràç XEL(Iaç xal
"t~V nÀEUQÙV UÙ"tOÙ

Nel quarto Vangelo si tratta della presenza di Gesù come risorto (Éo-rr]) in
mezzo ai suoi discepoli. Il Gesù vivente, risorto ha ancora presente la passione
e la mette in risalto, mostrando (ÉiìEL!;Ev) le mani con le trafitture dei chiodi (cf.
Gv 20,24-27) e il fianco aperto: è la sua situazione di crocifisso. Anche qui la
simultaneità sorprende e merita di essere approfondita: non si tratta di
mostrare la passione come se fosse solo un ricordo, molto meno per persuadere
i discepoli - che non mostrano dubbi in proposito - sull'identità di persona
tra il Cristo risorto e il Cristo della passione. L'episodio di Tommaso (20,24-28)
suggerisce un certo contatto diretto che si può avere proprio col Gesù della
passione, stando in contatto col Gesù risorto e credendo in lui.
La simultaneità dei due aspetti - morte e risurrezione - è reale e va
spiegata come tale. La spiegazione è indicata dal fatto che, sempre nel quarto
Vangelo, tutto il capitolo 20 è inquadrato in due domeniche."' Nella domenica
l'assemblea liturgica cristiana celebrava la risurrezione. È proprio nell'ambito
di questa assemblea che Cristo, presente, applica ai discepoli e ai cristiani le
virtualità sia della sua morte sia della sua risurrezione. La simultaneità tra i due
aspetti è di carattere applicativo.
Si spiega così la simultaneità dei due aspetti anche nell'Apocalisse, situata
esplicitamente come esperienza nel <<giorno di domenica•• (l, 10). I cristiani,
celebrandolo ed esprimendolo come risorto, lo vedono e lo avvertono anche
come ucciso. Il procedimento mentale, allora, che viene suggerito da wç è
proprio questo: il Cristo UQV[ov con cui si viene in contatto nella celebrazione
liturgica domenicale va capito come risorto - la celebrazione si riferisce in
modo particolare a questo aspetto- ma anche come ucciso, data l'applicazio-
ne liberante che lui fa della sua morte. Vedremo in seguito che anche la
risurrezione non solo è celebrata, ma è partecipata e condivisa, non meno della
morte.
Il <<contatto» col Cristo vivente, morto e risorto, applicativamente, nella

" Cf. Gv 20,1-22. È da rilevare come questa inquadratura è sottolineata: tfJ lit l.l'Ì' t<iJv
oaflfl<'nwv <<il giorno primo della settimana• 20,1; oiJOT)ç oùv 61j1(aç tfi ~l.lÉQ\' b<Eivn tii l'LÌ'
oaflfi6.twv <<essendo dunque la sera quel giorno il primo della settimana~•: l'l·pisodio di Tommaso è
posto esplicit<.~mcntc la domenica su~'>cgucnte: I.Lftl'tlftÉQaç òxtW ~<otto giorni dopo)).

1R3
simultaneità della liturgia, è anche punto di riferimento, con tutta probabilità,
degli inni cristologici che troviamo nel NT. 27
"Exwv x.Égata bttà ... Un passaggio sottolineato con enfasi grammatica-
le, fxwv <<avente proprio>>, al maschile," aggiunge due caratteristiche nuove.
Anzitutto le <<sette corna>>. Il numero <<Sette>> indica qui, come in genere
nell'Apocalisse, una totalità, una completezza da attribuire al sostantivo a cui
«sette>> è riferito. <<Corno>> è un simbolo teriomorfo per indicare la forza, già
diffusissimo nell'AT: <<Nell'AT invece- a differenza dell'ambiente greco- il
corno (qeren) non soltanto esprime la potenza fisica nella simbologia profeti-
ca ... ma è l'espressione diretta della potenza>>." L'autore dell'Apocalisse
riprende e fa suo questo tratto simbolico: il Cristo morto e risorto, col quale il
cristiano viene in contatto nella liturgia, possiede davvero- è un fatto nuovo,
ma sulla linea della sua capacità regale- la totalità della potenza che lo abilita
a superare tutto ciò che, nell'ambito della storia, è di segno negativo .
. . .x.at òqrfraÀf.i.oÙç bttà. L'espressione simbolica è particolarmente enig-
matica. L'autore, come fa altrove, mette il lettore e il gruppo di ascolto sulla
via di una decodificazione. Aggiunge: «che sono (o'( dmv) i sette spiriti di Dio
(tà brtà JtVE1Jf.i.ata tou ~wu) proprio quando sono inviati (à:n:wtaÀf.i.ÉVot) a
tutta la terra».

8. J <<SEITE SI'IRlTI» SIMBOLO DELL'AZIONE DELLO SPIRITO

Ma che cosa ci vuoi dire l'autore con questa decodificazione che richiede
una decodificazione ulteriore?
L'espressione tà Éntà :n:vE1Jf.i.ata tou ~EOu è originale dell'Apocalisse e
ricorrente. Come tale è evocatrice di un significato preciso e costante, da
inquadrarsi poi nei singoli contesti dove ricorre.
Si trova anzitutto in 1,4: « ... e dai sette spiriti che stanno davanti al suo
tronO>>. L'interpretazione di questa prima ricorrenza è determinante per il
senso da dare anche negli altri contesti. 30
Una prima linea interpretativa che è stata proposta identifica gli É:n:tà
JtVEUf.i.ata con degli angeli. Sono state addotte delle ragioni di un certo peso e
che è doveroso prendere in considerazione: due paralleli biblici stringenti

" L'esperienza Uturgica della comunità cristiana primitiva, come essa ci appare in brani che, se
pure in misura e maniera diversa, hanno un carattere innico- come Gv 1,1-18; Ef 1,3-14; Coll,12-
20; Fil 2,5-11 - merita di essere approfondita. In questi brani innici l'assemblea celebra il Cristo
morto e risorto, che awerte presente e attivo, simultaneo alla sua celebrazione. Ne deriva l'esigenza
di una comprensione approfondita del Cristo soggetto della celebrazione ed è proprio questa esigenza
che porta a prendere in considerazione, proprio in sede di celebrazione Uturgica, anche la
preesistenza trasccnùcntc di Cristo. Il punto di partenza sembra essere sempre il Cristo della liturgia.
2A L'anomalia era avvertita. come ci testimonia la tradizione manoscritta: troviamo infatti il
neutro regolare fxov, concordato con ò.gvlov. i n P e altri codici di minore importanza.
"' W. FoERSTER, ><É(Jaç, GLNT, V, 351.
., Cf. sopra, Parte seconda, c. l, p. 110 dove si è accennato, in sintesi, all'interpretazione
che ora viene presentata in dettaglio.

184
mostrano nell'ambito del Nuovo Testamento un'equivalenza tra «angeli>> e
<<spiriti»: si tratta di Eb 1,7.14." Inoltre troviamo in Tobia 12,15 un riferimento
a Raffaele, «uno dei sette santi angeli ... che stanno davanti alla gloria del
Signore». L'espressione sembra davvero parallela a l ,4. In più l'interpretazio-
ne di É:rttà :rtVEUf.Lata riferita allo Spirito santo - è l'interpretazione alternati-
va, come vedremo subito- fa difficoltà perché lo Spirito santo è presentato
spesso nell'Apocalisse, ma sempre al singolare." Perché questo plurale,
sorprendente, al punto da far pensare a Charles che avremmo, nel caso di un
riferimento allo Spirito sempre nel contesto di l ,4, una <<grotesque Trinity>>. In
effetti l'espressione è provocante. proprio per la sua singolarità e per il
contesto in cui è situata. Questa interpretazione, già presentata da Cassiodoro,
ha avuto una risonanza notevole nella storia dell'esegesi dell' Apoealise."
Proprio, però, nella storia dell'esegesi si presenta ben presto anche
l'interpretazione che riferisce gli €:rttà :rtVEUf.Lata proprio allo Spirito. Proposta
da Vittorino di Pettau nel commento più antico dell'Apocalisse che abbiamo,"
fu poi ripresa da Ticonio e soprattutto da s. Agostino.''
Le ragioni principali addotte per questa seconda interpretazione sono
soprattutto contestuali. Intendendo - sempre in l ,4 - <'mò twv €:rttà
:rtVEUf.LUtwv in senso trinitario, si ha un saluto liturgico omogeneo, senza

" Il parallelo con Eb 1,7.14 rischia di rimanere nell'approssimativo perché l'equivalenza


affermata tra ci"()'EÀ.oç c 1tV€"Ù!J.a. propriamente, non si realizza in nessuno dei due testi. Vi si parla
infatti di angeli, i quali vengono qualificati funzionalmente come ;tVEUJlam (l ,7) e ÀE<tOUQ'(L><Ù
miEUJlntn (1.14).
" Cf. Ap 2,7.11.17.29; 3,5.13.22; 14,13; 22,17. Si ha, in tutti questi casi, esplicitamente ~ò
nvEù~a.
"Come abbiamo già visto parla di «grotesque Trinity>>, CHARLF.s. Revelation, 6,11;
CAsstoooRo, Apowlypsis Sancri Johanni<, Migne. PL 70, 1405, ritiene, basandosi proprio su Tobia
12, che i ~(sette spiriti» sono i sette arcangeli «qui ante thronum Dominu leguntur assistere,~. Nei
primi commenti greci- Ecumenio (VI sec.), Andrea di Cesarea (VII sec.), Areta di Cesarea (IX
sec.)- si dà una soluzione originale: il nome !ripartito di Dio di A p l ,4 si riferisce alla Trinità.
Conseguentemente gli brtà nvElJIJ.a'ta sono a un livello inferiore: sette angeli, o, al più,
•operazioni dello Spirito» (Andrea di Cesarea, Commentarius in Apocalypsim, coli. 221·
223.255.262. Migne, PG, 106). Tra i moderni si muovono decisamente su questa linea Bousset,
Lohmeycr, Joiion, Feuillet. L'argomento è stato approfondito in modo particolare da J. MtciiL,
Die Engelvorstellungen in der Apokalypse des hl. Johannes, Miinchcn 1937, (riassunto e valutato da
MORICONI, Lo Spirito, pp. 23-28): i •<Sette spiriti~~. secondo una tradizione giudaica, sono i <<sette
principi degli angeli».
:w Vittorino afferma: <c. unius scilicet dona spiritus sancti» (Commentarii in Apocalypsim
editio Victorini, ed. l. Hausleitcr, CSEL, 49, Vienna 1916, pp. 16.18).
3
~ S. Agostino darà a questa interpretazione una diffusione incontrastata in occidente. Per
Agostino il sette è il simbolo della totalità delle operazioni dello Spirito santo (cf. De Civitate Dei,
XVII, 4, 119). Si riferisce in modo particolare all'Apocalisse quando, commentando il salmo 150
afferma che, sia in Isaia 9,2.3 che nell'Apocalisse i •<sette spiriti~) si riferiscono allo Spirito santo
(Enarrationes in Psalmos, CL, l ,25-54/67). Anche per quanto riguarda la chiesa greca i tre
commentatori citati (nota 33) sarebbero giusto un'eccezione: <<Pour l'Orient, la question est
complexc. Avant la controverse sur l'authenticité de I'Apocalypse, tous !es témoignagcs
convergcnt, semble-t-il, verse une exégèse similairc, celle dcs dons du Saint-Esprit, qucls quc
soient les noms donnés a ce septénaire, formes des minislère, sept esprits d'Jsai"e, ... La question de
l'authenticité une fois vidée, les trois grand commentateurs grecs, Oecumenius, André et Arethas
commencent à s'avancer dans une autre vaie ... » A. SKRINJAR, Les sept Esprits (Ap 1,4; 3,1; 4,5;
5,6), in Bibl (1935) 16, p. 21.

185
quell'abbassamento di livello inevitabile che il riferimento agli angeli, comun-
que inteso, comporterebbe. Solo questa «omogeneità>> permette di dare a
XUQLç <<grazia>> del saluto iniziale tutto il suo valore, senza declassare il termine
al senso generico di <<benevolenza>>. È l'interpretazione che sembra la più per-
suasiva, ed è condivisa dalla maggior parte degli studiosi, antichi e moderni."
Vediamo più da vicino le motivazioni che inducono a questa preferenza.
Si può osservare, anzitutto, a proposito dei testi paralleli di Ebrei e di
Tobia, che esistono, nell'Apocalisse angeli che stanno davanti a Dio, ma sono
sempre detti ayyEÌI.OL (cf. 8,2). Il termine UT'fEÌI.oç ricorre 67 volte nell'Apoca-
lisse: è quindi particolarmente familiare all'autore, ha una gamma di significati
molto vasta, ma mai viene abbinato a rrvEl!~a.
Ma è soprattutto una valorizzazione adeguata di tutti gli elementi letterari
simbolici presenti nel contesto- ci riferiamo sempre a 1,4- che porta a una
comprensione adeguata dell'espressione. L'impressione - riferendoci sempre
alla sua prima ricorrenza - di una <<Trinità grottesca>> si ha solo se si intende
come una formulazione teologica esplicita e precisa e non invece per quello che
essa è in realtà: un'espressione simbolica, particolarmente condensata, capace
di esercitare una notevole carica evocativa e di stimolo sul <<soggetto
interpretante>>.
Già la preposizone àrr6, ripetuta tre volte nello stesso contesto e sempre
riferita all'origine della XUQL:; xal ElQTJVT], comporta una parità di livello
rispetto alle tre denominazioni alle quali è riferita. Una molteplicità di fonti di
provenienza comporterebbe una molteplicità anche rispetto a quella che è
invece l'unica XUQLç.
L'espressione <<Sette spiriti>> è tipica, nelle varie forme grammaticali in cui
ricorre, dell'Apocalisse (cf. 1,4; 3,1; 4,5; 5,6). Anche se un confronto con Is
11,2-3 è illuminante, non si può certo affermare che la formulazione letteraria
ne derivi. In Isaia, infatti, non si parla di numeri, anche se appare chiaro
l'aspetto di una distribuzione operativa multipla che lo Spirito assume. E ciò è
tanto più vero se si tiene presente che nel TM - quello che l'autore segue a
preferenza dei LXX -l'esemplificazione dell'azione dello Spirito comporta sei
elementi e non sette."
36 Aderiscono a questa interpretazione, oltre agli autori citati. lrcnco, Primasio, s.

Anselmo, s. Tommaso, Allo, Boismard. Lohse~ Bonsirven, Schweitzer, Rissi (cf. BROTSCH, La
clarté, p. 27). Particolarmente esauriente, specialmente in un conrronto con Michl, è MoRICONI, Lo
Spirito, pp. 29·35.
" Si è fatto notare un contatto, o almeno un parallelo, con Isaia 11,1-3. Lo Spirito promesso
al «germoglio che spunterà dalla radice di lesse» si ramifica, una volta che raggiunge di fatto la
persona alla quale è destinato. in molti aspetti particolari, sei nel Testo Ebraico, sette nei LXX:
TM LXX
«Su di lui si poserà
lo spirilo del Signore JrVrii~Ja roU fJEoV.
spirito di sapienza e d'intelligenza 1t'VE'Ùf.10. aoq;iaç xai avvtonoç
spirito di consiglio e di fortezza nv•Dfla fJovATjç xal ioxvoç.
spirito di conoscenza e di timore del Signore nvEÙ!JU }'t'Warwç xai rVar{JEiaç·
si compiacerà del timore del Signore.
tiJ.1tldJOEl aùtòv nvEÙfla qxi{Jov ffwv.

186
Originale nella sua formulazione letteraria, l'espressione «Sette spmtl>>
risulta enigmatica anche al «soggetto interpretante>> a cui è proposta. Provoca
infatti una tensione tra il livello paritetico rispetto a 6 wv xai 6 ~v xai 6
ÈQXOIJ.EVOç e 'Ir1ooù XQLO"tOÙ in cui è collocata e che appare subito trinitario, e
il plurale ÉrrTà rrvEUIJ.énwv, inusitato e sconcertante se riferito allo Spirito,
normalmente designato col singolare.
Che significa - si chiede allora il soggetto interpretante, concretamente
gli àxouovnç (cf 3,1)- questo strano plurale attribuito allo Spirito? Un primo
elemento di risposta è suggerito da Is 11,2-3: è lo Spirito inteso come persona
- la XÙQLç che ne proviene è squisitamente personale - ma vista negli effetti
molteplici che assume quando entra in contatto con gli uomini. Ci sono poi due
elementi simbolici che l'autore attribuisce a nvEu~étTwv. Anzitutto ÈrrTét che,
nel simbolismo aritmetico dell'Apocalisse, indica una «totalità». Lo Spirito,
fonte di <<grazia e di pace», raggiungendo gli uomini tende ad attuare una com-
pletezza, una totalità nel suo contatto con loro. Di quale completezza si tratta?
L'altro elemento simbolico non è meno stimolante. Lo Spirito che si dona
agli uomini tendendo a una totalità è collocato <<davanti al trono». Non si tratta
di una qualifica di tipo personale riguardante lo Spirito in quanto tale, che
apparirebbe, così, situato al livello della divinità: sarebbe superflua, dato che
l'àn6 già indica esplicitamente lo stesso livello di provenienza; e sarebbe anche
insufficiente, perché potrebbe essere riferita agli angeli. Si tratta, invece, di
una qualifica dinamica: <<trono», infatti, nell'Apocalisse indica non tanto una
dignità in assoluto, quanto la capacità di influire sulla storia. Lo Spirito,
venendo in contatto con gli uomini con una certa totalità, si colloca nel
movimento di dominio attivo, simboleggiato dal <<trono», che Dio esercita sulla
storia. Il trono è proprio il <<SUO», a"ÌJTOÙ, di <<Colui che è e che era e che verrà»,
di Dio proprio rapportato alla storia.
La frase ''··.e dai sette Spiriti che stanno davanti al trono suo>>,
riassumendo, ha un effetto stimolante che spinge in avanti la lettura. Fa
pensare allo Spirito, ma visto negli aspetti che assume quando, nel contesto
dell'influsso attivo che Dio esercita sulla storia, giunge un contatto con gli
uomini. Come si realizzerà tutto questo? L'autore dirà in seguito che Io Spirito
-inteso in questa molteplicità dei suoi doni tendente a una totalità- possiede
l'energia illuminante e purificante di Dio (4,5). Sarà, soprattutto, il suo
rapporto con Cristo che ne farà comprendere meglio la portata. II rapporto con
Cristo precisa, anzitutto, la natura dello Spirito: esso appartiene a Cristo (6
ÉXUJV: · 3, l), gli appartiene come un elemento personale.
Con questo arriviamo alla nostra espressione: i <<sette occhi» dell'agnello
sono un'indicazione simbolica, ma appartengono a lui come qualcosa di
proprio, come parte della persona. Ciò non ha senso riferito agli angeli; dà
invece un senso pieno e soddisfacente riferito allo Spirito. Siamo di nuovo in
parallelo con Gv 20,22: il Cristo vivente e, insieme, morto e risorto, <<alitò
(ÈVEqJUOTJOEV) e disse loro: Ricevete lo Spirito santo». Lo Spirito è visto come
un elemento- per così dire- proprio di Cristo risorto, che lui possiede e che

187
comunica agli altri prendendolo da sé: lo dice il simbolismo antropologico
dell'«alitare», così come viene presentato nel contesto biblico."
Cristo come &gvlov possiede la pienezza (Émà) dello Spirito, ma non la
tiene per sé, la «invia>>. Il termine ÙnEcrtOÀ~J.ÉVOl, al maschile mentre 1tVEU~J.a·ra
esigerebbe il neutro, sottolinea sforzatamente proprio questo fatto-" Lo
Spirito, allora, parte da Cristo risorto e si irradia, nella totalità delle sue
manifestazioni, a tutta la terra, a tutta l'umanità. Inviato agli uomini, donato a
loro, tende a raggiungerli tutti (<<tutta la terra»). Nel suo impatto con la realtà
umana lo Spirito si <<ramifica>>- come in Is 11,2-3- aderendo così in pieno
alle esigenze delle diverse situazioni degli uomini ai quali è mandato. La
<<totalità» che tende a realizzare è, anzitutto, in estensione. Ma siccome è lo
Spirito di Cristo, esso tende a realizzare, immettendosi in tutti i risvolti della
storia umana, tutta quella <<novità>> di Cristo che, attuata concretamente e al di
dentro della storia, porterà alla meta escatologica del «cielo nuovo>> e della
<<terra nuova>> (21,1).
V. 7 XOt ~À{l-Ev
xal ELÀT]<pEV
ÉK "tiiç OEl;tàç toii xa1'l-TJ~J.ÉVou Éltl toii 1'l-g6vou.
<<E venne
e ricevette (e mantiene)
dalla destra di (colui) che siede sul trono>>.

Dal punto di vista grammaticale, l'espressione manca di soggetto e


predicato. L'uno e l'altro sono indicati chiaramente dal contesto: il soggetto è
-rò àgv[ov, come appare chiaramente dalla celebrazione dossologica indirizzata
subito dopo, appunto, all'agnello; l'oggetto è -rò f3tf3Hov come viene indicato
esplicitamente nel versetto 8 dove ricorre, all'aoristo, lo stesso verbo che qui
troviamo al perfetto: otE EÀaf3Ev tò Btf3Àiov. Comunque l'assenza sia del soggetto
che dell'oggetto è enfatica e richiama l'attenzione sui due verbi che, in certo senso
isolati, acquistano un risalto particolare, un tono di solennità liturgica, stimolan-
do l'attenzione e la reazione creativa del <<soggetto interpretante>>.
'Hf.1'l-Ev: <<Venne>>. L'àgv[ov già si trova <<in mezzo al trono» non
realisticamente e spazialmente, ma nel senso simbolico che occupa una
posizione centrale nel dominio di Dio sulla storia, simboleggiato appunto dal
trono; anche il movimento indicato ~À1'l-Ev non va intesto nel senso spaziale

JH ~<Alitare» è il gesto antropomorfico con cui Dio comunica la vita ad Adamo, come
troviamo in Gn 2,7. È anche il gesto mediante il quale le ossa aride di Ezechiele rivivono: Ez 37,9.
Implica un passaggio di vita da chi la detiene a chi ancora non l'ha.
w L'anomalia grammaticale era avvertita: troviamo il neutro regolare Ò:tEma>...J.lÉVU nel
codice Sinaitico, nei minuscoli 38, 39. È la forma che sceglie TischendorL Sembra da preferire,
come •lectio difficilior•, ÒJtEOHlÀJlÉVOL testimoniata da A.

188
banalizzato, di uno spostamento reale nella zona celeste, dove si trova il trono,
ma in un senso simbolizzato: c'è stato un «movimento>> che ha portato Cristo
ad essere l'àgviov al livello del trono: è stata la sua vittoria sulle forze ostili
riportata mediante la passione e la morte (cf. <<come anch'io ho visto e mi sono
seduto insieme a mio Padre sul trono di lui>>: 3,21).'" Viene evocata
probabilmente anche la risurrezione (l' àgviov è detto al versetto precedente
Èatrptoç «ritto in piedi>>, cioè risorto) che, nel linguaggio del quarto Vangelo, è
presentata come un movimento verso il Padre."
ElÀT]qJEv: il perfetto suggerisce un'azione continuata. iniziata nel passato,
ma il cui effetto perdura nel presente. Il libro viene ricevuto dall'agnello e
viene mantenuto da lui: è ormai in suo possesso stabile e ('<<agnello>> ne diventa
il responsabile unico e all'altezza del compito. Inoltre viene da sottolineare che
ELÀT]qJEV è un «ricevere>>, un <<prendere su invito»: suppone un'iniziativa previa,
una volontà di dono, alla quale corrisponde. La volont~ di dono è, qui, quella
del xm'h'Jf!EVoç, di Dio «seduto» sul trono, il quale tende a trasferire la sua
iniziativa in Cristo étgviov, a donargli tutta la responsabilità della storia.
'Ex Tijç ÙE~làç ... È il libro che appartiene a Dio, che, stando nella sua
mano destra, è in contatto immediato con la forza propria di Dio. Il libro
rappresenta il piano di Dio sulla storia: proprio in quanto formulato da Dio,
tale piano gli appartiene, partecipa della trascendenza e solo una forza di Dio
proporzionata a quella che lo ha formulato e con cui è in contatto sarà in grado
di interpretarlo e di eseguirlo adeguatamente. L'àgviov riceve direttamente il
libro allo stesso livello di traseendenza in cui il libro si trova, senza passaggi
intermedi, nello stesso contesto di energia.

v. 8 x ai on ÉÀaj3Ev 1:Ò j3Lj3ì..iov


1:à 't:Éooaga ~ljla
xal OL ElXOOl 'tÉOOaQEç 1tQEOj3U't:EQOl
fnmav Èvwmov wu àeviou,
fxovnç Exaowç
xdtagav
xal qJtaì..aç xguoàç
YEf!OUoaç -!hJf!Laf!anov,
a'i ELOLV al 1tQOOE1!Xal 't:Wv ayiwv
«E quando ricevette il libro
i quattro viventi
e i ventiquattro anziani
caddero davanti all'agnello
•• Cf. per un'esegesi dcltagliata, Parte seconda, c. III, pp. 160-162. .
"1 L"idea che la risurrezione di Gesù sia interpretata come un'ascesa al Padre SI trova
esplicitamente in Gv 20,17 <<As(.;cnùo al Padre mio e Padre vostro)). Ma non è l'unico caso nel
quarto Vangelo, dove si ha un'insistcnzo particolare su verbi di movimento (EQXEirllat, \maynv ... )
Iifeiita alla vicenda di Cristo. Cf. V. P.\SQUETIO, Incarnazione e comunione con Dio. La venuta d1
Gesù nel mondo e il suo ritorno al luogo d'origine secondo il IV Vangelo, Roma 1982.

189
aventi ciascuno
una cetra
e coppe d'oro
piene d'incensi
che sono le preghiere dei santi».
La celebrazione che segue, articolata in gesti e parole, interpreta il valore
dell'atto compiuto dall'agnello, specificandone il significato. Da notare che
mentre ELÀT]qJEV (perfetto) di 5,7 si riferisce alla presa di possesso del libro,
sottolincandone la permanenza, EÀuf:l€v (aoristo) indica proprio il momento in
cui avviene la presa di possesso, sottolineando il fatto come evento. Ed è
proprio l'evento che viene celebrato nella dossologia solenne che segue: esso
permette di superare la tensione determinatasi in 5,1-5 tra l'esigenza di una
lettura del libro e la sua impossibilità.
tò j}L(:lÀlov: è il libro (rotolo) che, con simbolismo a struttura discontinua,
era stato presentato in 5,1: <<nella mano destra del (personaggio) seduto sul
trana>> il libro si riferisce al dominio di Dio sulla storia ed è in contatto diretto
con la forza trascendente di Dio; <<già scritto, dentro e sul retrO>>: è tutto scritto,
senza che rimanga uno spazio vuoto, ma lo scritto, che si trova dentro al rotolo,
non si vede; <<già sigillato con sette sigilli>>: il contenuto non solo non si vede,
ma non si può vedere, perché il rotolo è sigillato e lo è totalmente (sette sigilli).
Le varie identificazioni proposte" devono essere verificate sul fatto che il libro
verrà aperto, a cominciare dal capitolo 6, e che tale apertura proseguirà
progressivamente fino alla conclusione, come mostra la struttura letteraria
dell'Apocalisse nel suo sviluppo lineare." Il contenuto del libro sarà, allora,
quel piano di Dio sulla storia, trascendente, inaccessibile all'uomo. che poi sarà
manifestato cd eseguito dall'àgv[ov nel decorso di tutta l'Apocalisse.
La presa di possesso del libro da parte dell'àgv(ov rende possibile quello
scambio tra cielo e terra, sotto l'influsso dello Spirito, che è simboleggiato, con
tutta probabilità come abbiamo visto, dalla figura e dall'azione degli ~<jla. Il
loro intervento acquista un senso più preciso. Lo stesso vale per i 24 anziani: la
mediazione combinata sia dci <<viventi» che degli <<anziani>> troverà proprio
nell'interpretazione e realizzazione della storia attuata dall'àgv[ov il suo
impatto concreto.
La reazione celebrativa nei riguardi dell'àgv[ov è presentata all'inizio con
un simbolismo a struttura discontinua, come appare dalla <<incoerenza» che
risulterebbe da azioni e atteggiamenti attribuiti realisticamente (come configu-
rare i <<viventi» che <<cadono» in adorazione? Come possono gli anziani tenere
in mano - e suonare - la cetra e nello stesso tempo le coppe d'oro?).
«Caddero davanti» esprime un atto di adorazione che riconosce nell'àgv[ov

" Per un'indicazione bibliografica e una panoramica, cf. sopra p. 166, nota 3.
" Cf. V ANNI, La strul/ura, pp. 206·235.

190
un'«adorabilità». L'atto materiale («caddero>>) indica, simbolizzato, il rappono
di adorazione degli <<anziani>> e <<viventi>> nei riguardi dell'àgvlov. Si prende
coscienza di quello che lui è, della sua trascendenza. Il riconoscimento della
trascendenza dell'àgv[ov scatta quando questi si è appropriato del libro. Viene
adorato non solamente l'ètgv[ov per quello che è in generale (5,6), ma anche e
soprattutto per quello che è quando agisce (5,7) dopo essersi appropriato del
libro. Appare infatti all'altezza di Dio (potrà leggerlo e aprirne i sigilli) e come
investito di tutte le prerogative di Dio nei riguardi della rivelazione e
attualizzazione della storia.
t:xovuç EX(lotoç ... Il maschile e soprattutto la determinazione i!xamoç si
riferisce agli anziani. Questa determinazione, infatti, che mette l'accento non
sul gruppo dei ventiquattro, ma su ciascuno di loro, suggerisce quella
personalizzazione che il gruppo di ascolto deve fare a proposito degli
<<anziani>>, considerati. in quanto categoria, schemi di personaggi da riempire.
Quando tale riempimento è avvenuto - il gruppo di ascolto vi colloca
qualcuno dei suoi santi, ecc. - allora si può parlare dei singoli, con la loro
personalità determinata: gli <<anziani>> dello schema esistono come <<qualcuno>>.
xdtùgav: questo strumento musicale si ritrova anche altrove nell' Apoca-
lisse (14,2; 15,2) ed esprime, sulla scia dell'uso nell'AT, una celebrazione
liturgica lirica e festosa. La scoperta dell'ètgvlov e della sua funzione riempie di
una gioia commossa. Propria di <<ciascun>> anziano, viene comunicata al gruppo
di ascolto con cui l'anziano, determinato e precisato dal gruppo stesso che gli
dà un nome. si trova in contatto. Si ha così il rovesciamento della situazione di
pianto disperato di prima (5,4), già preannunciato allora proprio da ••uno degli
anziani>> (5,5a).
xai qnùì.aç xgvoiiç: L'oro ricorre spesso sia come sostantivo.. sia come
aggettivo.'' Ha un suo significato simbolico chiaro: è il metallo che indica un
contatto diretto con Dio o con Cristo; si ha talvolta una simbolizzazione
rovesciata: l'oro indica allora una profanazione, un'usurpazione profana di
qualcosa che è sacro: è il caso di Babilonia, degli idoli, ecc.
Le «coppe>> sono d'oro perché stanno in contatto diretto con Dio, nella
<<liturgia celeste>>, come l'altare, il turibolo, gli incensi.
Poste in mano agli anziani le coppe sono piene <<di incensi>>. Non sono, di
per sé, dei turiboli, nei quali l'incenso già brucia. Nelle coppe si trovano in
abbondanza - sono piene - granelli d'incenso destinati a bruciare e a salire
dopo a Dio sotto forma di fumo. È ciò che avverrà al settimo sigillo (cf. 8,3-4).

" XQuoéov è il metallo tipico della Gerusalemme nuova: 21,18.21: Gerusalemme nuova;
3,18: l'oro incandescente che si compra da Crirto; 17,4 e 18,16 detto del lusso di Babilonia.
"XQÙ<TEoç detto dei sette candelabri: 1,12.20; 2.1: delle corone escatologiche: 4,4; della
corona di Cristo giudice: 14,14; di oggetti liturgici o di uso affine: coppe 5,H; 15.7; fasce: 1,13; 15.6;
incensiere: R.3; altare: 8,3; 9,13; la canna in mano all'angelo: 21,15; e, in senso profano negativo, è
detto degli idoli: 9,20; e del calice in mano a Babilonia: 17,4.

191
A'( dow ... <<Che sono»: è una formula che l'autore usa di frequente per aiutare
il soggetto interpretante a fare la sua decodificazione. L'abbiamo trovata più
sopra a proposito degli occhi dell'agv[ov. Stabilisce infatti un'equivalenza
realistica tra le coppe (al femminile si riferisce direttamente ad esse,
ovviamente col loro contenuto di grani d'incenso) e le preghiere dei cristiani
che si trovano sulla terra, denominati. secondo un uso frequente in Paolo,
«santi», cioè separati, «ricomprati>> dal profano, sciolti dai loro peccati e
divenuti proprietà di Dio, <<regno>>. Sono gli <<anziani>> i quali, in contatto con i
<<Santi>> che stanno ancora sulla terra, ne raccolgono le preghiere e le
presentano a Dio, in un contesto di sacralità superiore (le <<coppe d'oro>>).
C'è uno sviluppo interessante di questo tema nell'ambito dell'Apocalisse:
le preghiere dei <<santi>> salgono a Dio <<tonificate» (cf. 8,3-4) e da Dio esce, in
conseguenza, un impulso nuovo allo sviluppo della storia della salvezza (8,5).
Alla fine, quando lo sviluppo della storia della salvezza si starà concludendo,
l'energia di Dio distruggitrice del male (<<l'ira>>) sarà contenuta nelle stesse
coppe che ora sono le preghiere dei santi (cf. 15,7)."

9. CoNCLUSIONE

Uno sguardo riassuntivo alla breve pericope che abbiamo analizzato ce ne


mostra la densità straordinaria. Vi troviamo il nucleo protagonista di tutta la
seconda parte dell'Apocalisse: il libro, Cristo come agnello, lo Spirito che egli
dona, i viventi e gli anziani.
Le scelte interpretative che abbiamo fatto a proposito di queste figure
simboliche tutte fondamentali ci permetteranno un orientamento preciso per
tutto il resto del libro. Vedremo in seguito uno sviluppo ulteriore notevole: il
libro sarà aperto, Cristo-agnello eserciterà la sua azione multipla, i viventi e gli
anziani la accompagneranno costantemente mettendola in contatto con la
storia. Ma tutto questo non farà che confermare e arricchire il contenuto
simbolico di queste figure.

"Cf. per un approfondimento ulteriore VANNI, La struttura. pp. 219-227: «Le fiale, le
preghiere dei santi, l'incenso e l'altare, un filo che unisce e attraversa le sezioni».

192
capitolo V

Il terzo sigillo dell'Apocalisse (Ap 6,5-6)


simbolo dell'ingiustizia sociale

1. INTRODUZIONE: IL PROBLEMA DeL TERZO SIGILLO

I primi quattro sigilli della serie settenaria omonima ricorrenti nella Prima
sezione della seconda parte dell'Apocalisse' non hanno mancato di suscitare
seri problemi di interpretazione. Ce lo suggerisce la bibliografia, relativamente
abbondante, che li riguarda;' ce lo conferma in maniera inequivocabile la
diversità irriducibile delle interpretazioni che troviamo proposte nei commen-
tari antichi e recenti. Tale diversità riguarda specialmente il primo sigillo, il
cavaliere del cavallo bianco (Ap 6,1-2).' Si è d'accordo sull'interpretazione di
fondo del secondo sigillo (A p 6,3-4); la convergenza dei simboli (spada,
sangue, strage) indica la violenza. E si è anche d'accordo sul senso fondamen-
tale del quarto (Ap 6,7-8), data anche l'interpretazione già avviata che l'autore
ci presenta del materiale simbolico da lui usato.'
Per quanto riguarda il terzo sigillo (Ap 6,5-6)' la diversità dell'interpreta-
zione tradisce addirittura un senso di imbarazzo: è un sigillo del quale si
farebbe volentieri a meno: non ne appare chiara l'importanza e non si riesce a
elaborare in un quadro coerente di significato i dati simbolici che l'autore
presenta. Vediamo il testo:'

1
V ANNI. La struttura, p. 310.
2
Cf. E.-B. ALLO, «Les chevaux apocalyptiques», in L'Apocalypse, Paris '1933, pp. 92-95;
G. BALDENSPERGER. Les cava/iers de /'Apoco/ypse (6,/-8), in RHPhR (1924) 4, pp. l-31; 0.
BòcHER, Die Johannesapokalypse, Darmstadt 1975, pp. 47-56; F. DoRNSEJFF, Die apokalyptischen
Reiter (Apoc 6,/ffj, in ZNW (1939) 38. pp. 196-197; HAAPA, Farben, pp. 216-225; D.M.
MACLAREN, What are the Four Hor..emen ofthe Apocalypse (Apoc. 6,1-8)?, London 1924. Per il terzo
sigillo, cL nota 5.
' Per un quadro delle opinioni fino al 1966 cf. BR0TSCH, La c/arté, pp. 121-123. Da quella
data non risultano monografic di rilievo riguardanti il primo sigillo.
• Il simbolismo della caducità - il cavallo XÀUJ0Òç, «verde-erba• - viene interpretato
dall'autore e determinato come la morte, l'aldilà squallido che- nella cultura sia greco-latina sia
giudaica - la seguiva, le malattie e la fame (Àt~<~). la violenza che causano continuamente la
morte a una parte degli uomini (nì tÉmgwv rjjç yij; 6,8b).
' Per la bibliografia specifica c'è da segnalare: S. KRAUSS, Die Schonung von 61 und Wein in
der Apokalypse, in ZNW (1909) lO, pp. 81-89; J. MoFFATT, •Hurt noi the Oil and the Wine•, in «The
Expositor» (1908), pp. 359-369.
' Alcuni problemi nella tradizione manoscritta riguardanti fgxou e xal doov non sembrano
determinanti agli effetti della nostra ricerca: Cf. METZGER, A Textua/ Commentary, pp. 739-740.

193
v. 5 xaì. OtE ~vot1;ev t~v a<pgayUìa t~v tQLTT]V
i]xouoa
toù tQltou ~!f>ou ÀÉyovtoç· egxou.
xat doov
xaì. tooù 'l:n::n:oç ~tÉÀaç
xat ò xaful~ttvoç È:n:' aùtòv
exwv ~uyòv tv tfl XELQL aùtoù
v. 6 xaì. i]xouoa
wçqJW~V ltfYclÀT]V
Èv ~tÉOqJ tù>v twoétgwv !;,qJWV f.tyouuav·
xoi:vLi; olwu ÒT]VUQLOU
xaì. TQELç xoivtxEç XQt-!twv OT)VUQLOU
xat TÒ EÀatov xat tòv olvov Il~ Mtx-r]<JTlç.

E quando aprì il sigillo, il terzo,


udii
il terzo vivente che diceva: «Vieni!»,
e vidi
ed ecco (vedi) un cavallo nero
e colui che stava seduto su di esso
aveva una bilancia nella sua mano
e udii
come una voce in mezzo ai quattro viventi che diceva:
<<Una misura di grano per un danaro
e tre misure di orzo per un danaro:
e l'olio e il vino non danneggiare>>.

Anche ad una prima lettura emergono degli interrogativi: qual è il


significato del colore nero attribuito al cavallo? Qual è il significato preciso
della bilancia (~uy6v) in mano al cavaliere? Perché la strana differenza tra il
trattamento riservato al grano e all'orzo e quello riservato al vino e all'olio?
E, infine, qual è l'apporto specifico del terzo sigillo da collocare allo stesso
livello di importanza del contenuto degli altri tre, come suggerisce l'identità
dello schema letterario con cui sono costruiti e il quadro letterario unitario che
tutti e quattro costituiscono?'
Sul filo di questi interrogativi è emersa una serie di interpretazioni che
commentatori e articolisti hanno dato e che costituiscono dei tentativi di
risposta. Le esaminiamo in un quadro riassuntivo, con qualche osservazione
critica.

Cf. VANNI, La strul/ura, p. 190. Per uno studio dello schema letterario proprio di ciascuno dei
primi quattro sigilli, cf. dopo, pp. 198-199.

194
2. PANORAMA CRITICO DELLE INTERPRETAZIONI PROPOSTE

C'è una linea interpretativa che possiamo denominare «zeitgeschicht-


lich>>, storica, nel senso di riferimenti a un'esperienza simultanea all'autore e da
lui conosciuta personalmente.
La più caratteristica è quella che ruota intorno a un decreto di
Domiziano. L'imperatore, ci riferisce Svetonio,' preoccupato dalla sproporzio-
ne della produzione del frumento rispetto a quella eccedente del vino, tentò di
limitarne drasticamente la produzione, specialmente fuori d'Italia. Lo scalpore
e l'opposizione che il decreto suscitò costrinsero l'imperatore a ritirarlo.'
L'autore dell'Apocalisse che, stando a una discussa testimonianza di Ireneo,
scrisse il suo libro verso la fine del regno di Domiziano,"' sarebbe stato a
conoscenza di questo decreto, e, riprendendolo nel terzo sigillo, avrebbe così
messo in rapporto immediato il suo messaggio con Domiziano e la sua
persecuzione. Proposta da S. Reinach nel 1901, ripresa da A. Harnack nel
1902, da E. Schiirer nel 1906 e sviluppata soprattutto da J. Moffatt nel 1908,"
questa soluzione apparve brillante. Fu condivisa da più di un commentatore e
anche oggi quasi nessuno si esime, almeno, dal menzionarla.
Ma non tardarono a sorgere delle perplessità: la più consistente fu
l'obiezione che il provvedimento di revoca da parte di Domiziano del suo editto
non poteva considerarsi un flagello sulla linea degli altri indicati nei sigilli. Anche
la limitazione dell'editto e della sua revoca al vino, senza menzione alcuna
dell'olio, non coincide che parzialmente col testo dell'Apocalisse.
Si tentarono allora, sempre sulla stessa linea della storia contemporanea,
soluzioni più complesse e sottili. S. Krauss, basandosi su testimonianze
rabbiniche e su un'analisi minuta di alcune espressioni di Giuseppe Flavio,
propose un'interpretazione originale: l'Apocalisse alluderebbe ad un primo
momento dell'assedio di Gerusalemme. Tito avrebbe espressamente ordinato

8
~~Ad summam quondam ubertatem vini, frumenti vero inopiam existimans nimio vinearum
studio neglegi arva, edixit, ne quis in Italia noveiJaret utque in provinciis vineta succiderentur
relicta ubi plurimum Jimidia parte, (SuETostcs, Domitianu.s, VII).
9
Svctonio aggiunge: ((nec exscqui rcm perseveravit)> (SuETONrus, Domitianus, VII). I mo-
tivi socio-politici per la mancata esecuzione del Uecreto sono menzionati da FILOSTRATO. Vira Apoll.
6,42; Vita SophL1·t. 1,21 come nota KRAUSS. Die Schonung, pp. 81-82. Svetonio parla anche di un
motivo psicologico curioso, una specie di ansia superstiziosa: «Ut cdicti dc cxiùendis vincis propositi
gratiam faccrct, non alia magis re compulsus crcditur, quam quod sparsi libelli cum his versibus
erant: xliv l" <pÒY!Iç Érri i)li;uv, 6~wç É"n ><U(>7tO<po(>l]ow
ilooov 17tto7tEioat oo[, xc'm!;>E,
thJo~iv(ù (SuETONtus, Domitianus, XIV).
10
La testimonianza di Irenco che pone la composizione del libro dell'Apocalisse verso la
fine del regno di Domiziano merita ancora di essere presa seriamente in considerazione (almeno
come terminw pm;t quem). L'editto riguardante i) vino si potrebbe collocare Verso il 92 (cf.
KRAUSS, Die Schonung, p. 81). Ma, proprio per quanto riguarda il brano di Ireneo, ci sono
difficoltà tutt'altro che trascurabili. Varie considerazioni di carattere storico suggerirebbero di
antidatare notevolmente la composizione del libro (cf. J.A.T. RoBtNso,;. Redating the New
Testament, London 21977, pp. 221-253): altre, soprattutto di carattere letterario come l"uso della
pscudonimia. indicherebbero, al contrario, una datazione da collocarsi agli inizi del II secolo.
" Cf. KRAUSS, Die Schonung, pp. 81-82.

195
di risparmiare, a beneficio dei soldati assedianti, le colture di vino e di olio
fiorenti intorno alla città. Solo in un secondo tempo. per togliere qualsiasi
illusione di scampo agli assediati, avrebbe ordinato la distruzione totale.
L'autore dell'Apocalisse, al corrente di questo particolare, lo riprenderebbe
per mostrare che, accanto alla parte punitiva degli interventi di Dio nella
storia, c'è sempre una parte costruttiva e di speranza. Il risparmio, anche se
momentaneo, delle colture del vino e delle viti ne costituirebbe un simbolo.
Ignorata del tutto o esaminata solo frettolosamente, 12 questa teoria
elaborata non ha avuto un peso nell'esegesi susseguenti:. La sua indubbia
ingegnosità e la suggestività dell'ultima conclusione non furono sufficienti a
colmare l'alta dose di arbitrario e artificioso che la teoria del Krauss richiede
per stare in piedi su indizi molto generici."
Accanto a queste soluzioni più elaborate in dettagli, ce ne sono altre
presentate più sinteticamente, ma che vanno sulla stessa linea: tali sono, ad
esempio, l'allusionc a delle carestie particolarmente gravi verificatesi nell'arco
cronologico del primo secolo."
Queste spiegazioni presentano, ciascuna a modo suo, lo stesso inconve-
niente serio: è difficilmente ammissibile, che l'autore dell'Apocalisse si sia
limitato ad allusioni intcrpretative o fatti del t~:mpo. Il suo messaggio, pur
includendo agganci ad eventi contemporanei, tende a superarli in una
prospettiva più generale, resa valida, mediante l'introduzione del simbolo, al di
là del dettaglio concreto che l'ha originata.''
Meno sviluppata, ma ugualmente frequente nei commentatori appare una
linea di spiegazione che possiamo chiamare storico-profetica: l'autore dell' Apo-
calisse si riferisce al flagello della carestia che si ripeterà nella storia degli
uomini. Un rappresentante tipico è Allo il quale, col senso acuto che possedeva
della portata del simbolo dell'Apocalisse, tenta di dare di tutto il brano
un'interpretazione più vasta e aderente possibile." Sulla stessa linea si
muovono Lohmeyer, Kraft e Massingberde Ford-"

12 Esempio tipico: E. Lohmeyer anribuisce al Krauss proprio quanto questi contesta, che

cioè si tratti del lusso dei ricchi: «Ungeniigend ist, dass er "den Luxus der Reichen" meine s.S.
Krauss in ZNTW 1909 51 [81) ff.», LOHMEYER, Die Ojfenbarun~. p. 61.
u Il caso più tipico è un editto che sarebbe stato conccr.~ato in un consiglio di guerra: «In
einem ahnlichen Kricgsrat diirfte anfanglich die Schonung der 01 · und Weinkulturen beschlossen
worden sein, bis man durch die Umstande davon abzugehen genOtigt wan> (LoHMEYER, Die
Offenbarung, p. 87).
" Si sono proposte varie date e circostanze: per esempio l'anno 62,1a seconda metà del regno di
Nerone, ecc. (cf. R. H. CHARLES, The Revelation of fohn, l, Edinburgh 1956 [ristampa della prima
edizione dell920], p. 167); J. Massingberde Ford propone varie date (42,45-46,49,51 d.C.) di carestie
alle quali si poté ri[erire l'autore dell'Apocalisse (cf. Revelation. New York 1965, p. 107).
~.~ Tipico, a questo proposito, l"atteggiamento dell'autore nelle (<lettere>>: allude, per
esempio, a dei disordini che hanno luogo nella chiesa di Tiatira (Ap 2,20), ma al gruppo, o alla
persona responsabile, non dà il suo vero nome, ma il nome simbolico ed evocativo di Gezabcle.
Strappa così il fatto concreto a cui allude alla sua contingenza storica e ne fa, mediante la
simbolizzazione, un paradigma di intelligibilità teologica di portata generale.
" «C'est maintenant la famine, la noire famine.. C'est la "Famine" en général après la
"Guerre" en général», ALLO, L'Apocalypse, p. 88.

196
Tutte le spiegazioni che ruotano intorno a una carestia si riferiscono al
grano e all'orzo e affrontano con imbarazzo la spiegazione dell'olio e del vino.
Allo rimane indeciso tra una spiegazione allegorica e una di carattere storico,
sulla linea dell'editto di Domiziano;" Massingberde Ford riferisce il vino e
l'olio al culto preservato nel tempio." Interpretazioni più radicali vedono
nell'olio e nel vino la sacramentalità permanente della chiesa 20
Originale, sempre a questo proposito, è l'interpretazione di H. Kraft: si
tratta delle conseguenze negative che esercita sulle colture agricole il passaggio
della guerra. Il vincitore infierisce e tende a distruggere tutto, ma, mentre le
colture a ritmo annuale (il grano c l'orzo) vengono impedite, quelle a ritmo
pluriennale (l'olio e il vino) possono rimanere c continuare a d:uc il loro frutto.
Si tratterebbe quindi della situazione tipica e puntuale del passaggio del fronte
in una guerra. 21
La linea storico-profetica sembra coincidere di più con la prospettiva del-
l' Apocalisse di Giovanni, come pure dell'apocalittica in generale: il messaggio
apocalittico, «profezia aperta», non ha per oggetto la previsione puntuah: di un
fatto, ma la presentazione di uno schema teologico di interpretazione del fatto
stesso, quando che accada. Ma non mancano forti perplessità, anche su vari
dettagli. Viene da chiedersi, ad esempio, a proposito dell'interpretazione di
Allo, Lohmeyer, Kraft, se l'aggettivo «nero» sia riferihile alla fame, nel conte-
sto culturale biblico, con la stessa spontaneità che riscontriamo nel nostro. Il
riferimento della bilancia al razionamento dei viveri, quando la documentazio-
ne biblica è molto più ampia, appare arbitrario e non giustificato."

" «Der dritte Reiter. .. symbolisiert offenbar die Hungersnot: dazu stimmt die schwarze
Farbe, auch die Wage. die fiir den Seher andeutcn mag, dass jenem seine Ration zugewogen
werden muss, das ist nach Lev 26,26, Ez 4,16 Zeichen ausserster Not», LoHMEYER, Die
Offenbarung, pp. 60-61; cr. KRAFT, Die Offenbarung, p. 117. La Massingberde Ford insiste in
modo particolare sul simbolismo della bilancia. Afferma recisamente: (<The balance does not in
this context represent justice ... Rather, it represents fa mine reflecting the sentiment of Ezek 5:16»,
Revelation. p. 107. Cf. la discussione nella nota 31.
'" CL ALLO, L'Apocalypse, pp. 88-89.
" «The stili unpublished Tempie Serali, rescued during the six Day War in Israel, mentions
the jewish feasts of which scholars had no knowledge before, a Feast of Oil and a Fcast of New
Wine ... They were stored in a special piace and handled only by thc priests. Josephus, War. 5.5.65,
dcscribes with horror the sacrilegious plundcring of the tempie by one John in the time of Titus:
"He accordingly drew evcry drop of the sacred wine and of the oil. .. "», MASStNGBERDE Foao,
Revelation, pp. 98-99. CL anche p. 108.
11
) Le formulazioni più antiche e più interessanti sono quelle di Andrea di Cesarea e di
Primasio: Tò !-lÉvtat mcr{I).I}m !-l~ ÒOLY.Eioi)m <Òv olvov xat <Ò tÀmov. 1ò !-l~ l:n'lnrim~m ÀÉyn
TlÌV t)l·~nlo-tgocpilç Xeurroi• latQElav lì toùç tJL"tE1ttwx6taç tol; ÀT)o-tui; xaì. tQUU~J.ana6ÉVtaç
l}q>a:tElJ\JOL. (ANDREAS CAESARIENSIS, Commentarius in Apocalyp.<im, PG, 106, 268).
<dn vino itaquc et oleo vim sacramentorum prohibet violari, utpote unctioncm pretiosumque
cruorem. Hinc legimus (Zach IX) quid bonum eius, et quid pulchrum eius, nisi frumcntum
electorum et vinum germinans virgines?n (PRIMAStus. Commentarius in Apocalypsim, PL 68, 837).
21
L'olio e il vino rimangono perché rolivo e la vite resistono al passaggio della guerra,
essendo <(coltivazioni pluriennali•>; il grano c l'orzo, invece, vengono meno per l'impossihilità di
seminarli annualmente. Cf. KRAFT, Die Offenbarung, p. 117.
" Cf. più avanti l'analisi dell'uso dei ~uy6ç e la documentazione relativa (p. 706-707 e Nota 31).

197
Il risparmio del vino e dell'olio, con la sola ·conseguenza di rendere più
difficile la situazione di carestia dei poveri, non spiega adeguatamente la
solennità letteraria con cui tale ordine viene impartito. Il ricorso al ritmo delle
colture appare dubbio - i nemici potrebbero distruggere anche le colture
pluriennali, non solo impedire la semina- e sa di artificio. C'è, qqanto meno,
un difetto di focalizzazione. Inoltre questa linea interpretativa presenta spesso
l'inconveniente di un passaggio, nello stesso ambito simbolico, da un signifi~a­
to materiale - quello della carestia, simboleggiato dal grano e dall'orw- a
un significato metaforico, quello appunto che viene attribuito all'olio c al vino.
È difficilmente ammissibile un piano di interpretazione diverso per elementi
che presentano una omogeneità naturale tra di loro, come sono appunto il
grano, l'orzo, il vino e l'olio.
La linea, finalmente, che interpreta il brano come appartenente a una
vecchia apocalisse giudaica, con un riferimento generico all'attesa messianica,
non ha trovato credito per la sua genericità."
Si impone una conclusione deludente: gli interrogativi suggeriti dal testo e
che sopra abbiamo elencati rimangono in gran parte senza una risposta
persuasiva. Si tratta allora di uno di quei simboli oscuri, espressi insufficiente-
mente e quindi irrimediabilmente vaghi e nebulosi, che incontriamo talvolta
nell'apocalittica, e di cui costituiscono un sottoprodotto letterario?

3. UNA VALORIZZAZIONE PIÙ ADEGUATA E PRECISA


DEGLI ELEMENTI LETTERARI E SIMBOLICI

Ma- viene da chiedersi prima di rassegnarsi a questa conclusione amara


sono stati approfonditi e valorizzati adeguatamente tutti gli elementi
letterari che si trovano nell'ambito del terzo sigillo e del suo contesto
immediato? Sono state sviluppate fino in fondo tutte le implicazioni dei vari
tratti simbolici che l'autore ci presenta?
Il silenzio pressoché totale, nelle spiegazioni che abbiamo esaminate, su
elementi di carattere tipicamente letterario e la frammentarietà nell'interpreta-
zione dei vari elementi simbolici, suggeriscono di approfondire ulteriormente
la ricerca in queste due direzioni.
Esamineremo allora - sarà questo l'itinerario che il nostro lavoro si
propone - in un primo momento i fenomeni letterari tipici del contesto
immediato del nostro brano (Ap 6,1-8) e poi del brano stesso (6,5-6),
esplicitando le indicazioni esegetiche che ne scaturiscono.

" È la linea sostenuta da Charles: «lt seems ... to have been in an old apocalypse. This
apocalypse states that thcre will be a generai dearth, but not of the vintage, though, owing to the
disordcr, wine would be dear», The Revelation, I, p. 168.

198
4. Gu ELEMENTI LETIERARI DEL CONTESTO (6,1-8)

I primi quattro sigilli (Ap 6,1-8) presentano tutti uno schema fisso,
letterariamente rilevabile, che, anche se con leggere variazioni secondo lo stile
dell'autore, ricorre sostanzialmente identico in tutti e quattro.
Lo possiamo individuare così: c'è anzitutto l'apertura del sigillo da parte
dell'agnello, apertura che viene indicata con l'espressione fissa <<aprÌ>> (fivOL-
!;Ev) (6,la.3a.5a.7a). Si ha poi una parte uditiva espressa con: udii (iptouoa)
(6,1b.3b; 5b.7b). Essa ci presenta sempre la voce di ciascuno dei quattro
<<viventi>> che dà un ordine: <<vieni!» (6.1c.3c.Sc.7c).
Alla parte uditiva fa seguito una parte visiva: un'introduzione tipica e
particolarmente accentuata" ne sottolinea l'importanza: <<e vidi ed ecco (vedi)>>
(xat dòov xat iòou) (6,2a.Sd.8a). La frase introduttoria è omessa nel secondo
sigillo (cf. 6,3c-4a), ma il <<ContenutO>> che segue presenta le stesse caratteristi-
che di quello degli altri: si ha sempre un cavallo con un colore tipico; sul cavallo
sta seduto- si insiste su questo particolare: 6 xa-fritJ.l.Evoç Èn:'aù-r6v, 6,2.5; n]>
xm'l-l]J.A.ÉV<p tn:'aù-r6v 6,5; 6 xa-fritJ.A.Evoç tn:avw, 6,8 - un cavaliere al quale
<<Viene dato» - 6,2.4; Éò6-&r] aùwi:ç, 6,8 - un potere particolare o, nel caso
del primo cavaliere, il riconoscimento di un potere esercitato (mÉq:Javoç: 6,2).
L'elemento <<fu datO>> Èò6-&r] manca proprio nel nostro sigillo e ciò pone un
problema letterario di cui dovremo occuparci.
Intanto s'impongono tre constatazioni letterarie che costituiscono anche
delle indicazioni esegetiche. I primi quattro sigilli, data l'identità dello schema
letterario con cui sono costruiti. formano un blocco unitario e omogeneo. Esso
li differenzia dagli altri sigilli che seguono, i quali avranno, ciascuno, uno
schema letterario proprio." Conseguentemente i primi quattro sigilli dovranno
essere interpretati unitariamente e l'uno illuminerà l'altro.
Un a seconda constatazione: lo schema presenta uno sviluppo lineare
progressivo e non, come accade talvolta anche nell'Apocalisse, uno schema a
struttura concentrica: si parte da una chiusura che viene superata mediante
l'apertura del sigillo; il <<contenuto>> che emerge si precisa gradatamente fino a
un massimo di chiarezza nella parte visiva: in essa si risolve più esplicitamente e
assume il massimo grado di determinazione quanto era stato detto o accennato
più genericamente prima. L'interpretazione esegetica dovrà seguire, conse-
guentemente, uno sviluppo a ritmo ascendente: inglobando man mano tutti gli
elementi evocati dallo stesso <<vieni>> tgxou, giungerà a un massimo di
chiarezza nella parte visiva.
Finalmente c'è da notare come fatto letterario e come indicazione

24
Kai. dOov xal ì.OoU non è un'espressione pleonastica. Il primo verbo, dE>ov si riferisce a
quella che è un'esperienza personale dell'autore; il secondo. ì.boV, coinvolge direttamente il
gruppo di ascollo (cf. Ap 1,3). Per un approfondimento, cf. Parte prima, c. IV, pp. 76-77.
'-' Sarà sempre impostato su una parte uditiva e visiva, dopo l'apertura del sigillo da parte
dell'àQVlov; ma il contenuto dell'una e dell'altra parte varierà di volla in volta.

199
esegetica che il cavallo e il cavaliere seduto su di esso formano un contesto
unico: il cavaliere esprime e realizza attivamente quanto viene indicato nel
cavallo, specialmente per quanto riguarda il colore.

5. ELEMENTI LETTERARI PROPRI DEL TERZO SIGILLO

Lo schema letterario rilevato si verifica in pieno anche nel terzo sigillo:


troviamo l'apertura, la parte uditiva, la parte visiva. Dovremo quindi applicare
alla sua interpretazione le indicalioni esegetiche notate più sopra.
Ma c'è anche una variazione di rilievo. Con 6,6 si ritorna dopo la parte
visiva, alla parte uditiva con quella caratteristica tipica- la voce degli ~0a­
che nella parte uditiva segue immediatamente l'apertura del sigillo: <<C udii
come una voce in mezzo ai quattro viventi che diceva ... ». La voce viene rivolta
al cavaliere c contiene un incarico che assume la forma precisa di un ordine:
<<non molestare>> (f!lÌ c'tòtxljonç) (6,6).
La parte uditiva così aggiunta interpreta quella visiva che precede. Ed ha,
sia per il risalto letterario che assume sia perché collegata direttamente con la
funzione degli ~cjia, un rilievo particolare.
C'è da aspettarsi, quindi, un contributo apprezzabile proprio da questa
parte uditiva aggiunta per l'interpretazione d'insieme del terzo sigillo.

6. GLI ELEMENTI SIMBOLICI DEL TERZO SIGILLO: L'APERTURA, IL TERZO ti!Jov,


L'ORDINE IMPARTITO, IL CAVALLO NERO, IL CAVALIERE, LA BILANCIA

Queste osservazioni condotte su un piano letterario già lasciano intrave-


dere alcuni spunti di interpretazione esegetica. Facciamo un passo ulteriore in
questa direzione esaminando gli elementi simbolici che il nostro testo contiene,
raccogliendo l'interpretazione che man mano ne emerge.
Il primo elemento simbolico da rilevare è l'apertura stessa del sigillo per
opera di Cristo <<agnello>> (c'tgv[ov): ci riporta al libro, già completamente
scritto, ma illeggibile di 5,1-3. Soltanto dopo che I'c'tgv[ov ha preso e fatto suo il
libro, il contenuto di questo diventerà accessibile all'uomo. Il fatto è messo in
rilievo da una dossologia particolarmente solenne (5,8-14): la rivelazione che
seguirà, l'apertura del libro e dei suoi sigilli (cf. 5,9), avranno un'importanza
eccezionale per gli uomini. L'azione di apertura ha il significato di una rivela-
zione che impegna particolarmente l'c'tgvlov: c'è quindi da attendersi un livello
di importanza particolare per quanto riguarda il contenuto che viene rivelato.
Dopo l'apertura, nella parte uditiva dello schema, acquista risalto l'inter-
vento del terzo vivente: -wù tgh:ou ~cpou. La denominazione ordinale - toù
tQ[tou - richiama il terzo vivente che incontriamo nella prima presentazione
di queste figure simboliche: di esso si dice che ha <<l'aspetto come di uomO>>
(4,7). Nella prima presentazione, l'autore ci vuoi forse dire. con questa espres-
sione, che il terzo vivente è in contatto particolare col mondo degli uomini. Il
richiamo esplicito al terzo vivente suggerirebbe allora un'aspettativa: in questo

200
sigillo èmergerà in modo particolare un aggancio riguardante gli uomini. Ma la
difficoltà di identificare il simbolismo dei viventi e di precisare la portata esatta
della distinzione tra ciascuno di essi come la troviamo espressa in 4,6b-8, non
permette di premere troppo questo aspetto, peraltro in se stesso interessante.
Il vivente esprime un ordine: <<Vieni!». Su <<Vieni» converge tutta la parte
uditiva, secondo lo schema letterario illustrato sopra. T viventi hanno, in tutto il
decorso dell'Apocalisse, una funzione simbolica complessa. di non facile
identificazione, come mostra la molteplicità delle interpretazioni a cui hanno
dato luogo. Esprimendo, qui, con un certo grado di probabilità solidamente
ancorato al testo," un movimento discendente da parte della trascendenza
divina verso l'uomo, l'intervento e il comando del vivente indicano un
movimento che, partito da Dio, raggiunge il livello degli uomini e ha come
contenuto una realtà che riguarda la loro storia. Si tratta di una realtà positiva
o negativa? Solo il contesto susseguente potrà specificare.
Continuiamo l'analisi dei simboli. Troviamo, subito dopo l'ordine impar-
tito, l'apparizione di un cavallo sottolineato da <<Cd eccO>> (letteralmente <<C
vedi>>, xaì t<'ìou). Questa figura simbolica teriomorfa- il cavallo appunto-
ha, come simbolo, un contenuto suo che occorre precisare. Anche se la
stragrande maggioranza delle ricorrenze - sus <<Cavallo>>, ricorre in tutto 138
volte- sono in senso realistico, non manca nell'A T una qualche idealizzazio-
ne. La troviamo, ad esempio, nei cavalli di fuoco che rapiscono Elia (cf. 2Re
2,6-11); ritorna nel secondo libro dei Maccabei, esprimendo una forza
trascendente a contatto con la realtà umana, rispettivamente con Eliodoro
(2Mac 3.25) e Antioco (2Mac 5,2-3).
C'è, soprattutto, Zaccaria 1,8 e 6,2-3 col quale, almeno come punto di
partenza ispiratore anche per i colori caratteristici che attribuisce ai cavalli, il
nostro contesto mostra un certo contatto letterario. 27 Il cavallo ha, in Zaccaria,
una funzione simbolica più esplicitata, pur sulla linea che lascia intravedere il
secondo libro dei Re e che è ripresa da 2Mac; si tratta sempre del contatto di una
forza trascendente con il livello degli uomini, ma tale contatto viene sviluppato in
senso orizzontale: è una forza, un'energia propria di Dio, che pervade la terra.
Questo valore simbolico viene ripreso dall'Apocalisse anche al di fuori
del nostro contesto: oltre ad avere un senso realistico," tnnoç, cavallo, è una
figura che l'autore costruisce con cura: abbiamo, così, nella cavalleria infernale

"' Per una panoramica delle interpretazioni proposte fino al 1966 cf. BROTSCH, La clarté,
p. 99. Il passaggio dalla trasccndenza al livello terrestre è sottolineato nel primo sigillo. Si
attribuisce allo ~ipov una (<voce come di ruono)) - e ciò indica la trasccndenza, come se fosse voce
di Dio -; l'effetto ottenuto dalla voce è l'apparizione del cavallo a livello terrestre.
" Il contatto letterario con Zaccaria, sottolineato da Haapa (cf. nota 2) e accettato
normalmente dai commentatori sembra esigere un ridimensionamento, dato che le differenze sono
più numerose e più importanti che i veri punti di conlatto. Si può al più, parlare a proposito di
Zaccaria c dell'Apocalisse di un contatto di carattere ispiratore. Ciò mette in risalto l'originalità
dell'autore dclrApocalisse anche in questa sua creazione letterario-teologica.
"Cf. Ap 9,7.9; 14,20; 18,13; 19,18.

201
di 9,17-18, un simbolo elaborato delle forze demoniache che invadono la terra;
mentre in 19,11.14 (19.21) il «cavallo bianco» è messo in relazione con Cristo
che conclude, accompagnato da eserciti celesti essi pure su «cavalli bianchi», la
battaglia escatologica. Un esame ravvicinato dell'immagine ci mostra che, a
differenza di quando tmtoç è usato in senso realistico, c'è sempre un cavaliere
che cavalca e il cui significato simbolico esplicito determina quello più generico
di cavallo. Il cavallo-simbolo appare, in questi brani dell'Apocalisse, sempre
come una forza invadente la terra, ma viene poi specificata ulteriormente come
cristologica o come demoniaca. lJ n tale valore simbolico illumina il nostro
contesto: c'è una forza che, in collegamento di dipendenza con la trascendenza
divina, invade la zona degli uomini.
Resta un problema: si tratta di una forza positiva o negativa?
Una prima risposta a questa domanda ci viene data dal colore tipico
attribuito al cavallo: f.!ÉÀ.uç <<nero». Il simbolismo cromatico ha un suo rilievo
nell'Apocalisse," ma il simbolismo specifico del nero non è facile a precisare.
Le scarse ricorrenze del termine nell' AT non danno indicazioni precise.
L'unica ricorrenza nell'Apocalisse di f.!ÉÀ.aç si ha in 6,12 dove si dice che il
sole divenne f.!ÉÀ.aç wç cr<ixxoç tQLXtvoç, <<nero come un sacco fatto di crine (di
cavallo)». Ma questo ultimo testo non aiuta molto a precisare il simbolo
cromatico di <<nero» attribuito al cavallo. La corrispondenza - in un primo
momento interessante - dci crini di cavallo che qualificano il colore nero
assunto dal sole, è solo uno di quei tratti descrittivi che, con un certo gusto
dell'orrido, il nostro autore impiega in questo brano"' Si ha solo la conclusione
generica che <<nero>>, rappresentando il contrario della luce del sole vista
dall'autore dell'Apocalisse come qualcosa di altamente positivo (cf. 1,16) ha
una carica accentuata di negatività.
Si ottiene così un'indicazione, anche se globale e suscettibile di ulteriori
determinazioni: il cavallo nero è una forza di segno negativo scalpitante nella
storia umana.
Rimaniamo, pur nell'ambito della negatività, nel generico: <<nero>> non
dice di per sé né fame, né carestia, come affermano troppi commentatori.
Ma qual è, guardata più da vicino, questa forza negativa che interessa vita
e storia degli uomini?
Il cavaliere aiuta - lo abbiamo rilevato più sopra - a precisare il
simbolismo del cavallo. Ecco come esso ci viene qui presentato: <<e colui che
sedeva su di esso teneva una bilancia nella sua mano>> (6,5).

. " l colori esprimono, o.I .di là del valore visivo, delle qualità in senso morale e
parttcolarmcntc sviluppato è il bianco. È talmente sentito il suo valore simbolico, da dare luogo a
espressioni che, inrr:sc visivamente. sarebhcro contraddittorie come ((resero bianche (EAei,xuvav)
nel sa~ue .. (7,14). CL Pane prima. c. Il. pp. 49-52. .
Un altro, particolarmente chiaro, lo troviamo nel fatto che le stelle cadono m terra come
«Un fico getta i suoi fichi maturi scosso da un vento impetuoSO>> (6,13).
Si tratta di tocchi coloristici
che, senza aggiungere un contenuto specifico al simbolo, contribuiscono a dare una tonalità
sconvolgente a1 quadro di insieme.

202
Zuy6ç, propriamente, non si riferisce a tutta la bilancia, ma alla parte più
importante di essa: ne costituisce l'asse centrale, che collega i due piatti: la sua
posizione, in pareggio o meno, determina l'equilibrio tra la merce che viene
posta in un piatto c il peso corrispondente che si trova sull'altro.
Per questo viene attribuita allo ~11y6;, nell'ambito dell'Al". un'importan-
za fondamentale: può essere giusto o ingiusto. sincero o ingannatore. Si insiste,
ad esempio, in Ez 45,10: <<Voi avrete un asse della bilancia giusta (mo'zne-
~edeq, LXX ~uyòç òlxmoç) e una misura giusta, e una quantità determinata
(LXX xoivt!;, come nell'Apocalisse; TM bat-~edeq), giusta».
Gli esempi che, nell'ambito dell'AT si riferiscono alla bilancia (cbr.
mo'znaim) si moltiplicano. Ne emerge un valore che, attribuito alla bilancia-
~11y6ç- va al di là dell'uso materiale di essa: la bilancia diventa un simbolo di
giustizia vista nd suo esercizio più ampio, esercizio che può essere positivo o
negativo."

Ritorniamo all'Apocalisse. La bilancia avrà un funzionamento negativo: lo


dice il colore nero attribuito al cavallo. Non solo, ma tale negatività avrà pro-
porzioni notevoli: sarà come una forza travolgente immessa nella storia umana,
come ci suggerisce - lo abbiamo visto - il simbolismo proprio del cavallo.

" n termine ~uyòç, riferito alla bilancia - in greco ha di per St! una portata più ampia -
significando sia nella forma maschile che in quella neutra, ~~giogo>>, «parte centrale di una nave,.,
ecc.: cf. LmoELL-Scorr, s.v. traduce normalmente l'ebraico mo'znaim che, propriamente, si
riferirebbe ai due piatti della bilancia da tenere in equilibrio.
Seguendo, nell'ambito dell'A T, il filo, rileviamo anzitutto un senso realistico (Lv 19,36; Pro
11,1; 16,11; 20,23; Am 8,5; Ger 32,10; Ez 45,10).
Ma dal senso realistico fu spontaneo il passaggio a un significato più generale (cf. ad
esempio Ez 5,1) e simbolico: l'uso ingiusto della bilancia porta all'idea di calunnie, di torti inflitti
(Os 12,7; Sal 62,10); i -.discorsi» sono pesati (Sir 21,25).
Giobbe parla di una sofferenza da pesare (6,2). e. addirittura, desidera che Dio lo valuti con
una bilancia giusta (31,6). Anche in Michea 6,11 Dio è presentato come protagonista di una
valutazione giusta compiuta per mezzo di una bilancia.
Davanti a questa gamma di significati che il termine ~bilancia» assume, non appare
giustificata l'applicazione al terzo sigillo solo di due casi sporadici nel senso di una misura eseguita
nel contesto di una distribuzione di viveri. Lv 26,26 citato da LOHMEYER, Die Offenbarung, p. 60
presenta un quadro complesso nel quale il razionamento a peso del pane è uno dei tanti elementi
che sottolinea la negatività dell'insieme. Non si usa né mo'znaim né ~uyò;: <~Quando avrò spezzato
il bastone nel vostro pane, dicci donne faranno cuocere il vostro pane in uno stesso forno e ve lo
riporteranno a peso .. (LXX i·v m:atlfi<!J- Ez 4, 16) citato sia da Lohmeyer che dalla Massingberde
Ford porta alla stessa conclusione: <<E mi disse: "Figlio di uomo ecco spezzerò il bastone del pane
in Gerusalemme e mangeranno pane pesato (b'nishkal «nach Gewicht», GESENJUS, s.v.; LXX tv
m:uili'<!J) e scarso, e berranno acqua razionata (h'm'surah: LXX: lv l'étg<p) e in difficoltà». Le
differenze di questo testo con l'Apocalisse appaiono evidenti: riguardano la terminologia: ~~peso))'
come effetto in Ez, ~~bilancia», come strumento nell'Apocalisse, ccpane)), in Ez, c~grano e orzo»
neJI'Ap; l'impostazione letteraria: parallelismo sinonimico tra «pane>) e ccacqua•) in Ez antitesi tra
«grano-orzo>) e «vino-olio>> neli'Ap: e anche il contesto: in Ez il razionamento dei viveri è
inquadrato esplicitamente in una punizione di carestia; nell'Ap invece ciò si ha solo supponendo,
gratuitamente, che il colore nero del cavallo sia sufficiente a indicare la carestia: sorprende, perciò
come la Massingberde Ford che pure dà a ~<nero» un significato più generale ccdeath or mourning>),
(Revelation. p. 107), possa poi affermare che il contesto dell'A p esige un accostamento con Ez 4,16
invece che con Ez 45,10, dove ricorre il termine bilancia (cf. la nota 17).

203
La forza di segno negativo che esso rappresenta viene specificata dal
cavaliere. La parte attiva che questo, unito al cavallo, esercita negli altri sigilli è
qui particolarmente sottolineata. Viene presentato come <<avente l'asse della
bilancia nella sua mano>>: i:'xwv ~uyòv Èv tfl XELQL aùtoù. La leggera enfasi
grammaticale dell'espressione: <<nella sua mano>> posto alla fine della frase
richiama l'attenzione sull'atteggiamento di <<avere nella mano>>. E questa
espressione, in tutto il suo uso biblico," indica la padronanza, la capacità di
disporre: il cavaliere, avendo in mano la bilancia, ne può fare ciò che vuole.
L'autore prepara gradatamente il suo gruppo d'ascolto provocando una
tensione crescente. Il gruppo si chiede, quasi con impazienza, in che consiste
questa negatività macroscopica evocata dal cavallo nero e dal suo cavaliere.

7. LA CHIARIFICAZIONE SINTETICA DELLA <<PARTE UDfTIVA» AGGIUNTA:


L'INGIUSTIZIA SOCIALE

Un giro chiarificatore si ha nella frase che segue: la ripresa insolita della


parte uditiva - come abbiamo rilevato più sopra - conferisce alla frase un
risalto tutto suo facendola proprio notare:
<<E udii come una voce in mezzo ai quattro viventi
che diceva ... >>.
È difficile precisare di chi sia la voce che parla: di uno dei viventi? Di un
angelo? O, addirittura, di Dio? Il testo rimane indeterminato anche se, data la
tendenza che ha l'autore ad attribuire esplicitamente ai viventi i loro
interventi," mentre altre volte sottolinea soltanto il loro livello magari proprio
con un riferimento di centralità" (<<in mezzo»: 5,6), sembra preferibile riferire
la voce a <<colui che siede sul trono», a Dio stesso." In ogni caso la voce passa,
per così dire, in mezzo ai viventi. Si ha, perciò, nella voce, un movimento che
parte dalla trascendenza di Dio, per terminare nell'immanenza della storia
umana, secondo una parte del simbolismo dei viventi. L'intervento misterioso
della voce, corrisponde al <<fu dato» (f:Mfu]) di 6,2.4.8. Il fatto però che tale
passaggio dal livello della trascendenza a un livello umano sia espresso oral-
mente e dettagliatamente e che rappresenti un ordine impartito al cavaliere,

" La mano - anche a prescindere dalla determinazione ulteriore •mano destra• - ha già
nell'uso molteplice deli'AT (cf. A. S. VAN DER WouoE, yad in E. JENNt-C. WESTERMANN,
Theo/ogisches Handwdrterbuch zum Alten Tes/ament, l, Munchen 1971, coli. 667-674) anche il
valore simbolico di forza: indica una capacità che viene poi specificata dal contesto. Questo uso lo
ritroviamo nell'Apocalisse: !imitandoci alla nostra espressione, troviamo Èv tfl XELQ(, oltre che nel
nostro contesto, in 7.9; 10,2.8; 14,14 (particolarmente significativo: il Figlio dell'uomo ha in mano
la falce che poi getterà per attuare la mietitura e la vendemmia): 17,4. Tutte le volte indica il
possesso pieno, la completa disponibilità dell'oggetto che si tiene in mano.
" Cf. ad esempio, Ap 4,8.9; 5,8.14; 15,7; 19,4.
" Cf. ad esempio, Ap 5,6; 7,11; 14,3.
35
L'attribuzione della voce a un angelo sembra fuori posto: non c'è nessuna menzione del
testo e, in genere, il ruolo degli ~q,a è diverso da quello degli angeli.

204
costituisce un elemento di rilievo: il cavallo nero e il cavaliere con la bilancia in
mano. svolgeranno un ruolo corrispondente. La trascendenza che ordina con
parole esplicite - «permette>>, diremmo con un linguaggio filosoficamente più
preciso - la negatività che dovrà essere realizzata dal cavaliere del cavallo
nero, appare qui coinvolta più direttamente che non negli altri sigilli.
Ma veniamo al contenuto dell'ordine dato:
<<(una) misura di grano per un denaro e tre misure di orzo per un denaro>>.
Non è facile precisare fino all'ultimo dettaglio il valore di «misura>> (xoi:vts):
nell'ambiente greco è una misura di quantità. di capacità, ma per materiale soli-
do. La sua estensione poteva variare. Nei LXX traduce a volte anche bat, che era
una misura di quantità, ma per liquidi. Il nostro contesto, riferendo xoivt~ a dei
solidi (il grano e l'orzo), si mantiene sulla scia dell'uso greco normale.
Si ha una misura di grano. ~i1:oç, <<grano>> appunto, è un termine
generico, riferibile sia al grano comune sia a tipi particolari." Il parallelismo
con <<orzo>>, XQt1'twv- che esamineremo subito- suggerisce che si tratta di un
grano di uso comune.
Una <<misura>> di questo grano costa un <<denaro>>: il genitivo bT]VaQtou.
esprime la valutazione della misura fatta in termini di prezzo.
Ed era un prezzo sproporzionatissimo. Anche se i dati forniti da Cicerone
e citati normalmente dai commentari, data la distanza cronologica di oltre un
secolo, vanno presi con un margine di relatività, costituiscono sempre
un'indicazione preziosa: ne risulta una differenza tra il prezzo normale e quello
stabilito qui dal cavaliere, a proposito del grano, che oscilla tra una
maggiorazionc minima di 8 volte a una massima di 16 rispetto al valore usuale."
La sproporzione, quindi, tra il valore reale e quello voluto dal cavaliere è
enorme: l'asse della bilancia indicherà un nuovo pareggio sproporzionatissimo
tra una misura di grano che rimane identica e il prezzo di un denaro. Tale
pareggio ingiusto dovrà essere realizzato dal cavaliere del cavallo nero.
Stranamente, la sproporzione non si mantiene uguale a proposito
dell'orzo: tre misure per un denaro secondo i dati di Cicerone sarebbero
leggermente superiori al prezzo normale." Siccome l'orzo era il materiale del

" Cf. 'LIDDELI.-Scorr-JONF.s, s.v. oiToç.


n -«Nam cum ex scnatus consulto et ex legibus frumentum in cellam ei sumere liceret idque
frumentum senatus ita aestimasset. quaternis HS tritici modium binis hordei, iste hordei numero
ad summam tritici adiecto tritici rnodios singulos eu m aratori bus denariis ternis aestimaviL.. hoc
reprchcndo, quod, cum in Sicilia HS binis tritici modius csset, ut istius epistula ad te missa
declarat, summum HS ternis. id quod et testimoniis omnium et tabulis aratorum planum factum
ante a est, tu m iste pro tritìci modiis singulis tcrnos ah aratoribus de nario~ cxegit. .. ; ve rum enim
vero, cum esset HS binis aut etiam ternis quibusvis in locis provinciae, duodenos sestcrtios
excgisti» (OcERO, Actio in C. Verrem. III. LXXXI. LXXXIV).
Come spiega Charles «Now, sin cc a modius contains 8 choenices, an d a denarius = four
sesterces. it follows lhat the price in our tcxt was 16 times the lowcst price ofwheat in Sicily, 102/3
times, thc highest. and H times the aestimate made hy the senale» (The Revelation, l, p. 167).
38
Una ~~misura)) (xoivL~) era l'ottava parte di un ~~modius)) e il prezzo di un «modiuS>• di orzo
era di due sesterzi; un sesterzio valeva la quarta parte di un danaro. Ne segue che tre <~misure•) di

205
pane comune, più ordinario rispetto a quello di grano," è da considerarsi come
il materiale del pane dei più poveri. Ne segue che questi ultimi sono come
confinati, dall'intervento arbitrario del cavaliere, a servirsi solo del pane di
orzo.~'
L'ordine dato al cavaliere dalla trascendenza continua e si precisa
ulteriormente: <<e l'olio e il vino non molestare••.
La medesima voce che parla, il medesimo personaggio al quale è
indirizzato il discorso suggeriscono a proposito di questa frase e di quella
precedente una omogeneità letteraria. La struttura grammaticale, per la
mancanza di verbo nella prima frase, fa sl che l'espressione si chiarisca
completamente, come comando, nella seconda mediante il «non molestare»
(!liJ éu)txl]onç). La successione dei xal collega strettamente tra di loro le due
frasi e le singole parti di ciascuna.
Anche il contenuto conferma questo tipo di unità omogenea: ci si muove
sempre nell'ambito agricolo: grano, orzo, olio. vino. Ma l'unità letteraria e di
contenuto materiale fa risaltare ancora di più il contrasto tra le due frasi: la
seconda si presenta come in antitesi rispetto alla prima.
Vediamone più da vicino la portata specifica. Oggetto della nuova azione
ingiunta al cavaliere sono l'olio e il vino. Secondo la mentalità e il costume del-
l' AT si tratta di prodotti agricoli particolarmente apprezzati. Anche se, assoluta-
mente parlando, non erano sempre generi di lusso raffinato, il loro uso continuato
e normale supponeva un certo livello sociale. Mentre, cioè, il grano e l'orzo erano
i generi di prima necessità, indispensabili per la vita di ogni giorno, l'olio e il vino
rappresentano generi di cui si poteva fare a meno senza troppa difficoltà.
È, d'altra parte, l'abbondanza accentuata di olio e di vino che rappresen-
tava una caratteristica dei benestanti: in una vita di lusso l'olio e il vino non
potevano certo mancare. L'espressione di Pro 21,17: <<Diventerà indigente chi
ama i piaceri e chi ama il vino e l'olio>> è una condanna del lusso. Questo è il
quadro anticotestamentario in cui l'autore dell'Apocalisse sembra muoversi,
qui come in genere." Nel nostro testo si dice che i generi raffinati e i generi
relativamente di lusso come il vino e l'olio non devono essere toccati.

orzo. costando un denaro. avevano subito una maggiorazione leggera (4/3). l calcoli del Moffan
sono un po' diversi, ma danno la stessa conclusione: «The first clause of the admonition offers no
difficulty to the intcrpreter ... A xoivtl; of wheat. the usual rations of a working man for one day, is
to cost twelvc times its usual price. and, whereas ... a denarius, the labourer's daily pay ... could
usually buy twenty four measurcs of barley, the coarser grain, is now unable to command more
than an eighth quantity» (Hurt, pp. 359-360).
" Cf. ad es. Gdc 7,13; 2Sam 17,28; 2Re 4.42; Ger 41,8; Gv 6,9.
40
Osserva che anche se qui si tratta formalmente di un rincaro, questo portava la
conseguenza di una disparità sociale stridente. Cf. MOHAIT, Hur1, p. 117 .
.~, Anche se l'autore scrive immediatamente per le chiese dell'Asia Minore. il suo ambiente
culturale rimane sempre quello dell'AT. Gli spunti ellenistici allo stato puro chiaramente rilevahili
come tali sembrano piuttosto rari. Per esempio. quando l'autore allude con probabilità ad Apollo
giocando sul termine greco lt:toÀÀtHuv mette questo termine in rapporto con lt[jabOwv (9.ll). Le
grandi installazioni pagane sono ripensate e interpretate in chiave ebraica. come il trono di Zcus
che diventa di Satana (cf. 2,13).

206
L'espressione 1-t'Ì 66txi]onç fa anch'essa difficoltà, come mostrano le varie
traduzioni, che, partendo dall'incolore <<non sciupare», si limitano normalmen-
te al generico «non danneggiare>>," o, forse più aderentemente, «non mole-
stare>>.
È quest'ultima la traduzione che occorre probabilmente privilegiare, ma
dandole un contenuto più preciso, secondo l'uso tipico dell'Apocalisse.
'A6txÉw infatti, quando è usato in senso transitivo, indica una negatività che
viene inserita violentemente nel contesto degli uomini o delle cose a cui si
riferisce. 'AòtxÉw non si comprenderebbe senza un punto di riferimento
positivo rispetto al quale si verifica una lacuna.
Ciò- sempre secondo l'uso dell'Ap- può accadere nei riguardi degli
uomini. La «morte seconda>> (Ap 2,11) sarebbe per loro non soltanto un danno
qualsiasi,'' ma la carenza radicale che metterebbe l'uomo, fatto per la vita,
totalmente fuori del suo contesto. Riferito «alla terra, al mare e agli alberi>>
(A p 7 ,3), àbtxtw esprime un cambiamento violento che verrebbe loro inflitto
provocando quanto meno una lacuna, una privazione nel loro assetto c nella
loro situazione attuale.
Ritorniamo al nostro contesto: che valore ha un danno inflitto, una
privazione, una lacuna attuata violentemente nei riguardi dell'olio e del vino?
Il richiamo alle colture - alla vite e all'olivo - viene spontaneo, ma è
improprio perché si tratta qui dell'olio e del vino, visti in quanto prodotti già
allo stato di consumo come sono il grano e l'orzo. È proprio questo livello di
consumo, tipico dei prodotti finiti. che deve essere mantenuto intatto, senza
introdurvi nessuna lacuna, nessun elemento negativo, senza privare il vino e
l'olio- venduti, comprati. consumati- di nessuna delle loro caratteristiche
ottimali. Il cavaliere dovrà impedire che questo livello sia alterato.
Come potrebbe - viene da chiedersi - essere introdotta una negatività
nel livello o contesto di consumo dell'olio o del vino? O deteriorandoli o
vendendoli a un prezzo inaccessibile.
Il fatto che l'azione da evitare sia riferita esplicitamente e direttamente al
cavaliere il quale, con la bilancia in mano. potrebbe procurare il danno in
questione, suggerisce che si tratti di un prezzo. Il cavaliere, cioè, dovrà trattare
vino e olio in maniera opposta a come tratta il grano e l'orzo: quella violenza
che esso infligge attribuendo loro un prezzo sproporzionatissimo, dovrà essere
evitata del tutto nei riguardi dell'olio e del vino. MJÌ àbtxl]onç unico verbo in

" Allo traduce letteralmente: •ne (leur) nuit pas• (L'Apoca/ypse, p. 89); Krauss non ha
dubhi sul significato di «schoncn>• (Die Schnnung. p. 82, nota 4); Massingberde Ford traduce: «do
no! injure» (The Revelation, p. 96); Caird: «do not harm» (G. CAtRD, The Revelation ofSt. John the
Divine, London 1966, p. 78); più sfumata la traduzione di Kra[l «sollst Du nichts antun» (Die
Offenbarung, p. 116); la CE!: unon sciupare».
,.J È la traduzione di W. Bauer: <d hm wird kein Schaden gcschehen ùurch de n zwcitcn Tod:..
(W6rterhuch zum Neuen Tesrament. Berlin '1968, s. v.). Di per sé è usata qui la forma passiva (~lÌ
ÒOlXTJi};j). che però, proprio come tale, permette di sluuiare il verbo anche in senso transitivo
attivo, rovesciando la costruzione grammaticale. Tutti gli elementi si corrispondono.

207
una frase letterariamente omogenea, come abbiamo osservato, a proposito
dell'olio e del vino, suppone un àòLxt:iv a proposito dell'orzo e del grano.
Tutta questa analisi, basata sugli elementi letterari e simbolici che il brano
presenta ed evoca dall'ambiente culturale dell' AT, punta convergentemente e
progressivamente verso una conclusione: il cavaliere dal cavallo nero esprime
la capricciosità immotivata della ingiustizia. Esso è un protagonista attivo di
ingiustizia: come tale si esprime nel fissare, in maniera arbitraria, il prezzo del
grano e dell'orzo lasciando alla portata del povero solo quest'ultimo e sempre a
un livello più difficilmente raggiungibile. E quando la sua azione impedisce che
siano alterati i prezzi dei generi relativamente di lusso, più a livello consumisti-
co, come sono il vino e l'olio, la sua ingiustizia, introducendo differenze nei
riguardi delle classi meno abbienti, opprimendo queste ultime e favorendo il
lusso delle altre, acquista una inequivocabile dimensione sociale.
Il caso del grano c dell'orzo contrapposto a quello del vino e dell'olio è un
simbolo emblematico: lascia intravedere un quadro ampio e sconcertante.
Partendo dagli squilibri individuali e sociali riguardanti il vitto e la vita
quotidiana, il quadro si allarga a un livello più vasto e più generale, come
suggerisce l'uso dell'olio e del vino nell'ambito deii'AT. Tende a interessare
tutta la vita esterna che l'uomo conduce a contatto con gli altri.

8. L'INTERPRETAZIONE DELL'INGIUSTIZIA SOCIALE


VALORIZZA TUTTI GLI ELEMENTI LETTERARI E SIMBOLICI

Tale ingiustizia è una forza che invade la storia, con tutta la sua forza di
urto negativa. Il simbolismo teriomorfo del cavallo nero l'esprime adeguata-
mente. E appunto perché il simbolismo-base è teriomorfo," si tratterà di una
fascia di realtà svolgentesi sotto il dominio della trascendenza divina, ma con
leggi e modalità che sfuggiranno al controllo della verificabilità umana.
L'ingiustizia sarà opprimente, assurda, spesso umanamente inspiegabile.
Vengono così assorbiti pienamente e valorizzati i dati letterari e simbolici
che abbiamo analizzati più sopra.
L'ingiustizia sociale assume nella Bibbia e nella realtà umana proporzioni
tali da stare allo stesso livello della violenza fisica e della morte. Si ha, così,
quella equivalenza tra i tre sigilli negativi che veniva suggerita dal loro identico
schema letterario. Anche la contrapposizione dei tre sigilli a contenuto
negativo col primo a contenuto positivo acquista, così, un suo rilievo più chiaro
e omogeneo.

" Questa è, in generale, la portata specifica del simbolismo teriomorfo nell'Apocalisse. Sia
quando intervengono protagonisti positivi (agnello, leone ... ). sia quando intervengono quelli di
segno contrario (primo e secondo mostro, cavallette, ecc.) si ha nelle azioni che essi svolgono una
certa trasccndenza rispetto al livello perccttihilc della storia e ci si trova al disotto della pura
trascendenza divina. Cf. per un approfondimento: Parte prima, c. Il, pp. 38-40.

208
L'ingiustizia viene presentata con ritmo ascendente: si passa gradatamente
dalla percezione generica di una forza storica negativa (il cavallo nero) a una sua
specificazione sempre più determinata. Il culmine si ha nell'ordine espresso dalla
voce che passa attraverso i viventi e che esprime il fatto dell'ingiustizia con una
chiarezza tagliente. È, quest'ultimo, l'elemento letterario tipico del terzo sigillo e
accentua ancora di più lo schema a sviluppo lineare che troviamo anche negli altri tre.
Il contesto unitario, quasi la saldatura tra cavallo e cavaliere, acquista il
suo risalto dovuto: è il cavaliere che, determinando la negatività generica
espressa dal colore nero del cavallo, appare in un primo momento un
protagonista attivo nel campo della giustizia o dell'ingiustizia (la bilancia nelle
sue mani) e viene poi determinato come realizzatore d'ingiustizia.
Non meno degli elementi più strettamente letterari vengono valorizzati in
pieno quelli specificamente simbolici. La rivelazione solenne dell'apertura da
parte dell'agnello corrisponde all'importanza e alle proporzioni che l'ingiustizia
assume nella storia.
Se vogliamo sottolineare che è proprio il terzo vivente con la fisionomia di
uomo a evocare il cavallo nero e il suo cavaliere, troviamo una corrispondenza
interessante nel fatto che l'ingiustizia sociale è un fenomeno tipicamente
umano. tristemente causato dagli uomini.
Il comando del vivente, indicando un movimento che parte dalla
trascendenza e sbocca nella storia umana, richiama il fatto che l 'ingiustizia, pur
essendo un prodotto degli uomini, è sempre sotto il controllo di Dio.
Il cavallo come forza travolgente esprime al vivo tutta la pressione e
l'influsso che l'ingiustizia esercita sulla storia. La negatività espressa dal nero si
addice in pieno all'ingiustizia. Il cavaliere ha un suo ruolo attivo - come
abbiamo già notato- che viene specificato dal fatto che è in possesso dell'asse
della bilancia e che ne può fare quello che vuole: è lui che causa l'ingiustizia.
La voce che impartisce l'ordine con tanta solennità si addice all'ingiustizia
e le è proporzionata: si ribadisce, di fronte al dilagare di questo fatto negativo,
che c'è sempre la trascendenza divina che lo tiene sotto controllo.
Finalmente l'ingiustizia sociale emerge proprio dal gruppo simbolico che
ha lasciato più perplessità: il prezzo maggiorato del grano e dell'orzo e
l'intangibilità del vino e dell'olio.
Questo sguardo retrospettivo e comparativo evidenziando come l'ingiu-
stizia sociale soddisfi pienamente tutti i dati letterari e simbolici minutamente
analizzati. appare come una conferma dell'interpretazione proposta.
Un'ulteriore conferma si può riscontrare nell'ambito dell' AT da cui
l'autore viene costantemente ispirato.

9. HA LE SUE RADICI NELL'ANTICO TESTAMENTO

L'ingiustizia, individuale e sociale, assume nell'A T proporzioni così


vaste, costituisce un problema talmente diffuso e acuto da rendere probabile
un influsso esercitato sull'autore dell'Apocalisse anche a questo proposito.

209
Un testo di Amos, tra i tanti possibili, è particolarmente significativo:
«Ascoltate questo, voi che calpestate il povero
e sterminate gli umili del paese,
voi che dite: Quando sarà passato il novilunio
e si potrà vendere il grano?
E il sabato, perché si possa smerciare il frumento
diminuendo le misure e aumentando il siclo
e usando bilance false
per comprare con denaro gli indigenti
e il povero per un paio di sandali?
Venderemo anche lo scarto del grano» (Am 8,4-6).
Il lusso è descritto da Amos in termini equivalenti a quelli dell' Apocalis-
se: <<Bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati>>
(Am 6,6).
È un problema che si fa sentire acutamente, anche se sporadicamente,
nell'ambito del NT specialmente per quanto riguarda i poveri. Paolo, ad
esempio, rimprovera, proprio in base a disuguaglianze sociali,'' alla chiesa di
Corinto di disprezzare i poveri. Anche Giacomo se ne occuperà ripetutamente
e con decisione ....

10. SJ RITROVA SPECIALMENTE NELL'APOCALISSE

Ma è soprattutto nell'ambito dell'Apocalisse che troviamo uno sviluppo e


un approfondimento del tema teologico della giustizia. La sezione dei sigilli,
dalla quale siamo partiti, ci dà una presentazione come a grandi blocchi di
quegli elementi tipici che poi prenderanno parte attivamente allo scontro in
crescendo tra forze positive e negative, tipico della vicenda apocalittica. La
forza positiva - Cristo, simboleggiato con tutta probabilità dal cavaliere del
cavallo bianco - avrà il sopravvento decisivo dopo aver seguito, in forme
diverse e associandosi i santi. la salvezza nel suo divenire."
Parimenti le forze negative espresse dagli altri tre cavalli e cavalieri
hanno, in quella che è la loro attività tipica. uno sviluppo: diventeranno il
prolungamento del demoniaco nella storia umana e tenderanno a confluire
nella Babilonia, la città secolare sostenuta dallo stato che si fa adorare."
Nel dramma liturgico che ci presenta la condanna e la caduta di
Babilonia, vengono illustrate le sue caratteristiche negative: la sua autosuffi-
cienza" e il suo consumismo.

" Cf. G. THEISSEN, Soziale Schichtung in der korinthischen Gemeinde. Ein Beitrag zur
Soziologie des hellenisrischen Urchristenrums, in ZNW (1974) 65, pp. 232-272.
" Cf., ad es .. Gc 2,1-4; 5,1-6.
" Cf. Ap 19,11-16. Per un'analisi dettagliata, vedi: Parte terza, c. II, pp. 318-328.
"Cf. Ap 17.3-6 .
.. Cf. Ap 18,7.

210
Proprio nel contesto della Babilonia troviamo una corrispondenza col
terzo sigillo. Esaminiamola da vicino.
L'autore, dopo aver affermato che l'intreccio consumistico tra Babilonia,
la convivenza secolarizzata, e i commercianti è venuto meno, ne precisa a poco
a poco, fino a farla sentire emotivamente, la negatività:

<<E i mercanti della terra piangono e fanno lamento su di lei perché


nessuno compra più il loro carico» (18,11).

Riprendendo il termine «cariCO>> e sviluppando, prosegue:

<<Un carico di oro


e di argento
e di pietra preziosa
e di perle
e di lino
e di porpora
e di seta
e di scarlatto
e ogni legno di sandalo
e ogni oggetto di avorio
e ogni oggetto
di legno preziosissimo
e di bronzo
e di ferro
e di marmo» (18,12).

Il quadro non potrebbe esprimere meglio la situazione del consumismo


eretto a sistema di vita, ma non è ancora completo. L'autore sposta
gradatamente l'attenzione sul lusso riguardante più direttamente la persona:

«e cannella
e amono
e spezie
e unguento
e incenso» (18,13a).

Nel quadro del lusso riferito più direttamente alla persona troviamo ancora:

<<e vino e olio e fior di farina e grano» (18,13b).

Sono proprio i generi che abbiamo incontrato nel terzo sigillo. Manca
l'ono, perché proprio dei poveri. Ritroviamo il grano: il valore generico di
oitoç, che in 6,6 riceveva una specificazione dal contesto nel senso del grano

211
più usuale, acquista qui il senso di un genere di lusso. Un genere di uso
ordinario sarebbe in questo contesto un corpo estraneo. Il generico oiwv viene
subito determinato da OEf4(ÙaÀtv:"' è qui, il grano che dà «il fior di farina», una
farina di lusso.
Nel contesto del lusso consumistico di Babilonia si situano senza difficoltà
il vino e l'olio che non sono stati minimamente danneggiati. Si ha così, espresso
plasticamente e con una carica poetica e drammatica notevoli, quel livello di
lusso che, in contrasto stridente col livello ordinario e di povertà, si lasciava
intravedere in 6,6.
E proprio questo contrasto viene qui sottolineato in forma sconcertante.
n livello di lusso non solo contrasta con la vita degli altri uomini. ma addirittura
se ne serve per potersi mantenere. n consumismo strumentalizza anche la vita
umana, esprimendo così il massimo di ingiustizia sociale:
<<. .. e persone e vite umane>> (18, 13c).
L'intervento di Cristo - agv(ov (cf. 17,14) determina la distruzione di
tutto questo contesto negativo.
Questa vittoria di Cristo viene specificata ulteriormente. L'apparizione
<<sul cavallo bianco>> ( 19,11) si riallaccia esplicitamente al quadro letteraria-
mente omogeneo dei primi quattro sigilli, richiamandone tutto il contesto.
Fedele alle promesse fatte da Dio e rievocate nell'assemblea liturgica, Cristo
cavaliere vittorioso, tv ùtxmoouvn xglvn xalnoÀEf4Ei (19,1lb). La sua azione
sarà come avvolta da un contesto di giustizia: l'equilibrio turbato dalle forze
negative rappresentate dagli altri tre cavalli e cavalieri sarà ristabilito in pieno.
Cristo, il cavaliere vittorioso, ci appare allora come colui che, contrapposto
dialetticamente già nella fase attuale della storia della salvezza alle forze ostili
della violenza, della ingiustizia sociale e della morte, le saprà superare tutte:
nella fase escatologica (Ap 21,1-4) non ci sarà più traccia né di esse né delle
loro conseguenze che premono pesantemente sulla vita dell'umanità.' 1

11. CoNCLUSIONE

Dando ora uno sguardo al cammino percorso, viene spontaneo constatare


come l'interpretazione del terzo sigillo riferito all'ingiustizia sociale abbia
acquistato gradatamente - per la sua aderenza ai dati letterari, per la
valorizzazione di tutti i tratti simbolici, per la sua inquadratura nello sviluppo
lineare dell'Apocalisse - un grado di probabilità sempre più chiaro.

"' L(!.ttbai.Iç; «d. Feinmehl, das feinste Weizenmehl», BAUER, Wiirterbuch, s.v.
~ 1 Per un approfondimento e una documentazione del superamento irreversibile del male
realizzato nella fase escatologica, segnatamente in rapporto ai quattro sigilli, vedi Parte seconda,
c. VIII. pp. 261-266.

212
Tale grado di probabilità appare confermato da un confronto con le altre
interpretazioni, esposte e valutate più sopra: la carestia, la guerra perduta, le
varie spiegazioni liturgiche, ecc., taglierebbero fuori violentemente il terzo
sigillo dal contesto. Che tale interpretazione sia stimolata dalla nostra
sensibilità moderna non fa difficoltà: l'autore dell'Apocalisse ha usato un
simbolo, non ha fatto un ragionamento gnomico astratto. E il simbolo possiede
una sua forza, una carica che viene messa in luce ed esplicitata dalla pressione
che esercita su di esso il divenire storico della salvezza.
Ciò vale in modo particolare per il simbolo dell'Apocalisse: la carica
complessa di significati, di suggestioni e di evocazioni che esso racchiude potrà
trovare, oggi come ieri e domani, esplicitazioni, ripercussioni e applicazioni
nuove, ma che si collocheranno tutte sull'asse di sviluppo lineare della storia
della salvezza.

213
capitolo VI

Dalla sezione delle trombe


la quarta tromba
e l'aquila: A p 8,12-13

1. INTRODUZIONE

La sezione delle trombe (Ap 8,1-11,14), oltre che allo sviluppo letterario
normale delle altre serie settenarie dell'Apocalisse (i sigilli e le coppe)
determinato dal susseguirsi progressivo dei singoli elementi che li costituisco-
no, presenta un fenomeno particolare. Dopo la quarta tromba, si ha la
proclamazione solenne dei tre «guai>> e questi coincidono, di fatto, con le
ultime tre trombe. Non si tratta - oggi c'è accordo su questo 1 - di
un'interruzione del settenario o di una combinazione eterogenea, ma di un
fenomeno di accentuazione, come aveva bene intuito E. Lohmeyer,' di un
crescendo letterario.
Un esame ravvicinato e dettagliato sia della quarta tromba sia della
presentazione dei tre <<guai>> ci permetterà di farci un'idea più precisa di tutto il
settenario, che presenta caratteristiche letterarie tipiche, tali da isolarlo e
distinguerlo dagli altri.'

1
La sovrapposizione dei tre •guai• alle ultime tre trombe non ha mancato di suscitare
difficoltà, inducendo, ad esempio, Charles a una ricostruzione logicamente corrente del testo: le
prime quattro trombe costituirebbero un'aggiunta posteriore. Il testo originale sarebbe stato 8,1.3-
5.2 (sostituendo 3 a 7). 6 (con la stessa sostituzione). 13 (The Revelation, l, p. 218). Oggi si dà
giustamente la prevalenza al testo come è stato tramandato dalla tradizione manoscritta, per
evitare il rischio di c<coerenze>> troppo soggcuive. Il discorso di Charles si può, al più, spostare alla
preistoria del testo.
' Cf. E. Lohmeyer, « ... das dreifache Wehe hier nicht sachlich gliedert, sondern pathetisch
steigert» (Die Offenbarung, p. 76).
3
Cf. per quanto riguarda gli indizi per la struttura del libro forniti dai tre •guai». VANNt, La
strurrura, pp. 131-133; per quanto riguarda le caratteristiche di tutta la serie scttenaria delle trombe,
in modo particolare la •parzialità», suggerite dalla frequenza di 'ò 'IJ[,ov, cf. ibidem pp. 191-195.

215
2. L'ULTIMA TROMBA E L'AQUILA: 8,12-13.
ALCUNI PRELIMINARI LETTERARI'

Uno sguardo alla tradizione manoscritta ci offre, a proposito della nostra


pericope, un testo relativamente sicuro. L'unica variante di un certo interesse
ricorre in 8,13: Ù'('(ÉÀov testimoniata da P, diversi minuscoli, alcune traduzioni, al
posto di aETou testimoniata dal Sinaitico, A e dalla maggioranza dci codici. Si
tratta manifestamente di una <<lcctio facilior>>, come riconoscono i commentari.'
La sostituzione contiene comunque un'indicazione per l'esegesi: l' «aquila» non si
inquadra facilmente nel contesto e richiederà un'attenzione speciale.
Ci sono poi alcuni aspetti letterari di un certo interesse. Analogamente a
quanto si verifica per i primi quattro sigilli, anche le prime quattro trombe (8,7-
12) suno costruite con uno schema letterario caratteristico, sempre il medesimo
in ciascuna tromba: ne risulta, così, un blocco omogeneo costituito dall'insieme
delle quattro trombe. Lo schema è il seguente:
L'angelo suona la tromba; allo squillo si verifica un fenomeno di
sconvolgimento cosmico; conseguenza dello sconvolgimento è il turba-
mento di un settore del sistema di vita attuale e il settore viene turbato
<<per la terza parte» ('tò 'tQl1ov).
Il culmine si ha in questo effetto finale, cosl come, nei primi quattro
sigilli, il cavaliere rappresentava il massimo della specificazione del simbolo.
Si pone, infine, anche a proposito di questo testo una domanda: c'è,
soggiacente, lo schema delle piaghe dell'Esodo? Alcuni punti di contatto sono
evidenti;' ma la maggior parte del materiale che presenta il nostro autore è
preso anche da altri libri e passi dell'Antico Testamento' ed è sempre
rielaborato in maniera autonoma. Avremo modo di approfondire i dettagli
nell'esegesi.

' Oltre ai commentari, si è occupato parzialmente della nostra breve pericope. nel quadro di
una ricerca più ampia, MCu.ER, Die Plagen, pp. 268-278. Esaminando insieme i sette sigilli (6,1-
8.11),le sette trombe (8,7-9,21; 11,15-19) e le sette coppe (16,1-21) l'autore privilegia il settenario
delle coppe, dal quale deriva uno schema letterario schematizzabilc in cinque punti: \. Potenza
conferita all'angelo, 2. Uso da parte dell'angelo di questa potenza, 3. Effetto con una
«apokalyptische Schòpferkraft» (p. 268), 4. L'effetto tende a raggiungere i viventi, 5. Si ha una
reazione degli uomini. L'angelo agirebbe così alla guisa di un '<mago))' con degli antecedenti
nell'Esodo. L'autore stesso riconosce che, a proposito delle trombe, lo schema si attua solo
panialmentc. In effetti, come avremo modo di vedere, le prime quattro tromhc presentano uno
schema letterario proprio, che trova solo qualche punto di corrispondenza negli schemi letterari,
anch'essi propri, sia dei sigilli, sia delle coppe. Una schcmatizzazione che voglia abbracciare tutte e
tre queste serie settenarie, come quella proposta dal Mìiller, cade nell'astratto.
' Cf. PRIGENT, L'Apocalypse, p. 138; SwETE, Commentary, p. 113.
6
I punti di contatto particolarmente aderenti sono la corrispondenza tra Es 9,13-35 e Ap 7,9
(la grandine). Es 7,20.21 e Ap 8,8 (il sangue), Es 10,21-23 e Ap 8.12 (le tenebre). La nostra
pcricope, nel v. 12, ha un qualche rapporto con la ((piaga•• delle tenebre; il versetto 13 invece
richiama altri contesti dell'Esodo. Gli uni e gli altri saranno valorizzati adeguatamente nell'esegesi.
' Ad es. il v. 7 riprende, oltre Esodo, anche Ez 38.22; Sap 16.22; il v. Il riprende Ger 9,15;
il v. 12 Is 13,10; Ez 32,7.8; Gl 2,10; 3,15, ecc.

216
3. Lo SQUILW DELLA QUARTA TROMBA: 8,12

Il versetto 12 appartiene, per lo schema letterario rilevato che vi si


ritrova, al gruppo delle prime quattro trombe. La sua interpretazione dovrà, di
conseguenza, integrarsi in quella delle altre, dato il hlocco omogeneo che
formano insieme.
Il versetto 13 invece è tipicamente di transizione, isolabile com'è dal
contesto che lo precede e da quello che lo segue. Esaminiamo direttamente il
testo, mettendo in evidenza anche visualmente le corrispondenze letterarie:
V. 12 XUL Ò TÉ1:Cl(ltOç OY'(EÀAJç toaÀJtLOfV <<E il quarto angelo suonò la tromha
xal rnÀij'(ll c fu colpita
tò tQttov mi1 ~À[ou la terza parte del sole
XUL tÒ TQlTOV tfJç OEÀijVI]ç e la terza parte della luna
xal "tÒ tQLwv tò:rv àotÉQhlV e la terza parte delle stelle
i:va uxonoilfl in modo che si ottenebrasse
"tÒ TQL"tOV aÙ"tÒYV la terza parte loro
xal ~!J.ÉQa !-ITJ qJ(tvn e il giorno non splendesse
tÒ TQL"tOV aÙtfJç la terza parte di esso
xal ~ w; Ò!-!Otwç. e la notte ugualmente>>.

Il suono della tromba dell'angelo rientra nel quadro del simholismo


antropologico, già sviluppato ampiamente nell' AT.' Riferito a un essere
trascendente - l'angelo che suona - indica la vicinanza di Dio che sta per
arrivare e manifestarsi passando dal livello inaccessihile della sua trascendenza
a quello immanente della storia. II fatto che lo squillo si ripete sette volte
inculca l'imminenza di questo arrivo, lo fa sentire e gustare, provocando un
senso acuto di attesa.
Allo squillo della tromba segue, come conseguenza secondo lo schema
letterario rilevato, un colpo inferto: <<fu colpito>>, btÀfi)'TI. Il termine ha una sua
rilevanza anzitutto per la sua rarità: lo troviamo, come verbo, soltanto qui
nell'Apocalisse e in tutto il Nuovo Testamento. Il termine parallelo, il
sostantivo 1tÀTjyrl, ricorre invece con relativa frequenza, sedici volte nell'Apo-
calisse sulle ventidue ricorrenze del Nuovo Testamento.' E queste ricorrenze
forniscono un'indicazione di significato anche per quanto riguarda l'unica
ricorrenza del verbo. La più caratteristica di queste ricorrenze, quella che dà il
tono anche alle altre, la incontriamo in Ap 15,11. Siamo all'inizio del settenario
delle coppe che, letterariamente, fa parte del trittico del <<triplice segno»

• Cf. G. FRJEDRICH, oaÀJtcyl; xtk in GLNT, XI, coli. 1220-1221 («Il suono dei corni nelle
teofanie»; «Il significato escatologico del corno))).
' Le ricorrenze di 1tkTrfli nel NT appaiono cosi distribuite: Le 2; At 2; 2Cor 2: Ap 16. La
traduzione «piaga», derivante direllamente dal greco e dal latino «plaga». la parte del linguaggio
abituale (ad esempio: le piaghe di Egillo). ma rischia di essere ridulliva o di rimanere troppo nel
generico. Preferiamo ~<colpo,,, una traduzione più letterale e più immediata.

217
(Ap 11,15-16,16). 10 Si va verso la conclusione della storia della salvezza.
L'autore ci dice: «E vidi un altro segno nel cielo, grande e stupefacente, sette
angeli che avevano i sette colpi (tàç Émtà ltÀT]yaç) quelli ultimi, poiché in essi si
compì lo sdegno di Dio». I colpi sono quindi un segno e un effetto del
coinvolgimento personale in termini di antitesi - <<sdegno» - con cui Dio
tende a distruggere il male che si è realizzato nella storia. Tale distruzione si
attua neutralizzando ed eliminando il sistema terrestre, antitetico a Dio c
chiuso alla trasccndenza, di cui si parlerà al v. 13.
Se i <<colpi>> di 15,1 sono <<gli ultimi», i definitivi, gli altri di cui si parla
prima, dato lo sviluppo lineare in avanti tipico di tutto il libro, 11 avranno,
rispetto ad essi, un certo carattere di parzialità. Tutto questo illumina il nostro
brano: il colpo inferto parte dalla trascendenza e termina nella storia, nel
contesto di quell'opposizione di Dio nei riguardi del male, del sistema terrestre
che porterà alla sua eliminazione. Non appartenendo ai «colpi ultimi», ha
presumibilmente un certo carattere di provvisorietà. Ciò sarà confermato,
come vedremo, dal fatto che risulta colpita solo una <<terza parte».
Un secondo aspetto rilevante di ÉnÀ~YTJ è dato dalla sua formulazione
grammaticale. Esso costituisce un passivo teologico, forma frequente nell' Apo-
calisse: il verbo al passivo sottintende Dio come agente attivo, ma l'accento è
messo sull'effetto concreto risultante, sui fatti, che si sottintendono attribuiti a
Dio come a causa ultima.
Il risultato del colpo inferto riguarda direttamente il sole, la luna e le
stelle tò tQitov: <<per la terza parte»: la ricorrenza ripetuta di questa
espressione ne fa un «motivo letterario» 12 e costituisce una trama di fondo:
quello che accade, il colpo inferto non è totale. «La terza parte», secondo il
simbolismo aritmetico tipico dell'Apocalisse quando si esprime in <<frazioni>>,
indica la parzialità. A tale parzialità si contrappone esplicitamente - sempre
nell'Apocalisse- una totalità riguardante gli stessi clementi, la luna, il sole e
le stelle: si dice <<il sole divenne nero come un sacco di crine, e tutta la luna (l)
OEÀ~VT] OÀ7J) divenne come sangue, e le stelle del cielo caddero sulla terra ... >>
(6,12). Viene da chiedersi qual è il significato di questa trasformazione violenta
dell'ordine cosmico, parziale o totale che sia, risultato dal colpo inferto da Dio.
Una linea di risposta l'abbiamo intravista nella prima parte:L' si tratta di pure
immagini simboliche, di segni, che proprio come tali richiedono un'interpreta-
zione, una decodificazione esplicita: chi le prendesse alla lettera cadrebbe nella

10
Per quanto riguarda la problematica del scttenario delle coppe inserito nel (<trittico)) del
triplice segno (la donna. il drago. gli angeli con le sette coppe) cf. V ANNI, La strullura, pp. 306-308.
11
È rilevabilc nella struuura letteraria dell'Apocalisse specialmente nella Seconda parte, un
asse di sviluppo lineare in avanti che attraversa tutte le sezioni. Per una documentazione rimando a
VANNI, La strul/ura, pp. 206-235.
12
È un fenomeno letterario tipico dell'Apocalisse consistente in una ripetizione rilevabile,
nell'ambito di una pericopc, dello stesso termine o della stessa frase. Cf. Prima parte «Gli apporti
dell'analisi letteraria». pp. 22-25.
u Cf. Prima parte, «Il simbolismo dell"Apocalisse», pp. 35-38.

218
concezione banale di «apocalisse», di «apocalittico>> nel senso di catastrofi
reali. Ma, proprio come immagini, provocano a un'interpretazione: sono
portatrici di un messaggio. Di che messaggio si tratta?
Un presupposto irrinunciabile, per un'interpretazione adeguata di queste
immagini che rientrano nell'ambito del simbolismo cosmico è, ovviamente, la
concezione biblica del cosmo. Il cosmo è creato da Dio, è in mano sua: quello che
vi accade è voluto e programmato da lui. Non solo: il cosmo porta all'uomo,
sempre da parte di Dio, un messaggio multiplo, che può oscillare da un'espressio-
ne globale della realtà -la <<gloria»- di Dio a un'indicazione particolareggiata e
puntuale. Basta pensare ai cosiddetti salmi della creazione."
Quando il cosmo è presentato sotto !"aspetto di alterazioni violente, il messag-
gio di Dio che viene comunicato acquista un tono di emergenza: lo sconvolgimento
sconcerta, sbilancia, addirittura sbigottisce." Dio richiede un'attenzione che va al di
fuori degli schemi usuali. Le trasformazioni violente fanno, così, sentire in modo
particolarmente immediato la sua presenza attiva nel tempo della storia."
Il messaggio continua e, in questa forma insolita, acquista anche un
contenuto eccezionale, in certo senso insolito. Dice che il mondo cambierà, che
i rapporti tra le cose saranno altri e diversi. Più dettagliatamente, questo
cambiamento comporta il superamento irreversibile del sistema terrestre,
antitetico a Dio e ai cristiani. Colpendo il sole, la luna e le stelle, Dio esprime
la sua volontà di colpire il sistema.
La volontà di Dio si attua, diventa il «risultatO>> messo in evidenza dal
passivo teologico." Ma si tratta di un'attuazione graduale. Dio è in grado di far
crollare tutto il sistema terrestre, ma non pone in atto questa sua capacità
all'istante. La sua azione, espressa nel doppio messaggio di un cambiamento

1
' Tra questi salmi particolarmente significativo è il Sall9,1-7. Al creato rispetto a Dio e alla
gloria viene attribuita una funziont: di <<narrazione~) (m~sapp'rim), di <<annuncio)> (maggfd), di
«messaggio>} ('omer). di «parole>• (deharlm).
1
' Sì può avere un'idea dell'impatto che le alterazioni del corso normale della natura
producono nell'uomo dall'esperienza delle eclis.'i negli ambienti extrabiblìci. È signilicativa, a questo
propcsito. la reazione del pceta greco Archiloco a un'eclissi totale di sole avvenuta nelle isole Egee 1'8
aprile 647 a.C.: <<Non c'è nessuna cosa che non ci possa aspettare e che si possa giurare impossibile l
né che pcssa sorprendere, l dopo che Zeus padre degli Olimpi l di mezzogiorno fece notte avendo
nascosto la luce al sole che illumina: ,\·ugli uomini sopravvenne un lunuo.w timore. l Da ora in poi tulto
diventa credibile, tutto può essere aspettato l dagli uomini: nessuno di voi quardando si meravigli, l
neanche se le fiere hanno dei delfini in cambio il pascolo l marino c ad esse i flutti sonanti del mare l
diventino più graditi, a quelli invece sia gradita la montagna» (Dieh/, 74).
Archiloco e i suoi contempcranei sono colpiti dolorosamente dalla novità, nella quale
intravedono la pcssibìlità, da parte della divinità, di cambiare anche radicalmente i rappcrti adesso
esistenti tra le cose.
" Sia in Is 13,10 che in Gl2,!0 la cessazione completa della luce del sole, della luna e delle stelle ha
un significato strettamente escatologico. Il <'giorno>~ del Signore che viene cosi espresso indica, ma
sempre in termini di immagine, la fine del modo di vivere attuale e l'inizio di un altro radicalmente nuovo.
Soprattutto si vuole mettere in risalto la presenza attiva, piena, di Dio nell'ambito della storia. L'autore
deli'Apccalisse prende lo spunto da loro. ma, secondo il suo stile, clahora in proprio.
" Non è un passivo teologico, dato che il verho è usato. nei LXX e nel NT, si ha soltanto al
passivo, con il significato «verfinstert werden, verdunke/1 werden, sich verfinsterm> (BAUER,
Worterbuch, col. 1501).

219
totale e di un cambiamento parziale del sole, della luna e delle stelle, comporta
due livelli, uno iniziale e uno definitivo. Il colpo che raggiunge solo «una terza
parte>> indica appunto il livello di parzialità. Si suggerisce, cioè, al gruppo
interpretante che il sistema terrestre, prima del suo crollo definitivo, avrà delle
scosse, delle incrinature.
Il gruppo di ascolto, constatandole nell'orizzonte storico in cui vive, si
sentirà incoraggiato a proseguire. Ma come potrà il soggetto interpretante, il
gruppo di ascolto, identificare questa crisi nell'ambito del sistema terrestre? In
altri termini: il colpo inferto contro tale sistema e di cui viene sottolineata,
come abbiamo visto, proprio la concretezza oggettiva, quali contorni realistici
potrà assumere nell'ambito della storia?
Un'indicazione che permette di spingerei un po' su questa linea viene data
dalle conseguenze del colpo inferto che, secondo lo schema letterario delle prime
quattro trombe, l'autore esplicita dettagliatamente. Il sole, la luna e le stelle, col-
piti per «Un terzo>>, perdono di un terzo la loro capacità di illuminazione (i va oxo-
uatlii tò tgll:ov aùtwv). Da notare, anche qui, il passivo oxonatlii" che indica la
situazione risultante di una diminuzione parziale dell'efficienza rispettiva, del so-
le, della luna e delle stelle. nei riguardi della vita dell'uomo. Il sole dà luce, riscal-
da, permette lo sviluppo della vita: la luna era, di fatto, la misura del tempo; alle
stelle veniva attribuita una certa forza di illuminazione e quasi di protezione" e di
garanzia nei riguardi dello svolgimento della vita. Si avrà, di conseguenza, una
certa devitalizzazione nell'ambito del sistema terrestre.
C'è una precisazione ulteriore, sempre su questa linea. Come risultato del-
l'ottenebramento parziale del sole, della luna e delle stelle, si avrà il fatto che <<il
giorno per una terza parte non brilli e la notte ugualmente». Il giorno(~ ~!!ÉQU) e
la notte (~ vt!!;) determinano, con la loro presenza e il loro avvicendarsi, lo svolgi-
mento della vita umana. Se il sole è ottenebrato per una terza parte, verrà a man-
care, nella stessa proporzione, la luce del giorno (iva IJ.TJ <pérvn) che ne dipende.
U guai mente se la luna e le stelle saranno ottenebrate per una terza parte si avrà
un'alterazione corrispondente nell'ambito della notte (~ vt!!; ÒIJ.O(wç). È facile in-
tuire il risultato globale: lo svolgimento della vita degli uomini sarà diverso, squili-
brato, alterato. Il colpo, cosl, indirizzato immediatamente al sole, la luna e le stel-
le termina nell'ambito della storia umana.
Che cosa vi si realizzerà di fatto? Come, dove potrà il gruppo di ascolto
ravvisare questo stato di squilibrio e di alterazione, con tutte le implicazioni di

•A (<Per l'AT c per il giudaismo rabbinico tardivo gli astri sono ... destinatari ed esecutori dei
comandi divini e annunciatori della gloria di Dio», W. FoERSTER, iimQOV, ò:aniQ. in GLNT, I, coli.
1338-1339. Come tali influiscono sulla vita che si svolge sulla terra.
19
Il verbo cpa[vw, al passivo, ha, riferito alle fonti della luce- qui sono il sole, la luna, le
stelle- il senso di «scheinen, leuchtem> (BACER, Worterbuch, col. 1684). Sia il giorno che la notte
non hanno, propriamente parlando, una capacità di luce. Diventano, ciascuno secondo le sue
caratteristiche e con le sue funzioni. come il campo in cui appare, si manifesta cd esprime la luce
del sole. della luna, delle stelle. Mediante le dimensioni giorno-notte tipiche della storia umana il
sole, la luna e le stelle sono in grado di raggiungerla.

220
una crisi del sistema terrestre che esso comporta? L'autore, come ci mostra ad
esempio il capitolo 17, 20 conosceva la storia romana almeno degli ultimi
decenni che precedettero la composizione del suo scritto. Poteva cogliere
facilmente le tensioni. le crisi, i cambiamenti e rovesciamenti di potere che vi si
verificavano. Non dovevano sfuggirgli anche elementi centrifughi rispetto al
governo dell"imperatore. E l'impero romano era, per !"autore, una concretizza-
zione del sistema terrestre e immanente, il quale non riesce mai a costruirsi
come esso vorrebbe. Il gruppo di ascolto, con uno sguardo particolarmente
attento, potrà scorgere nelle forme del sistema terrestre a lui contemporanee i
sintomi di crisi che esse facilmente comporteranno. Dovrà allora sentirsi
incoraggiato a mantenere e rafforzare la sua aderenza al sistema di Dio e di
Cristo. Coglierà in queste crisi del sistema immanente e terrestre un segno, un
avvertimento di Dio: sempre sotto l'azione di Dio che porta avanti la storia
della salvezza per mezzo di Cristo risorto, il sistema antitetico, nonostante tutte
le sue risorse, le sue minacce, la sua tracotanza, è destinato a crollare dal di
dentro. Incombe su di esso l'ipoteca di un giudizio di valore negativo e di
squalifica da parte di Dio che così realizza quel suo contatto con la storia
simboleggiato dallo squillo della tromba. È quanto l'autore espliciterà nel
versetto 13.

4. IL GRJDO DELL'AQUILA CHE VOLA ALLO ZENITH

Il grido dell'aquila che vola viene presentato dall'autore come una cura-
possiamo dire anche con un'arte - particolare, che conferisce al versetto
un'efficacia letteraria tutta sua. Si ha un simbolismo a struttura continuata che
permette di costruire e gustare un quadro letterario di insieme.
Vediamo il testo da vicino, evidenziando le corrispondenze letterarie
sottili, ma significative che contiene:
v. 13 xat dlìov E vidi
xat ijxouaa e udii
tvòç ànou 1tEtOf!ÉVou ÈV f!EOougavftf!a"tl un'aquila che stava volando
allo zenith
xut À.Éyovmç cpwvfl f!tyaì..n · che diceva a gran voce:
oùut, oual. oùal «Guai, guai, guai
"tO"Ùç Xa"tOlXOUV"taç È1tt Tijç yrìç per gli abitanti sulla terra
tx "tWv wm&v cpwvwv ni; da parte degli altri suoni
oaÀ.myyoç della tromba
"tWv "tQlWv ò.yyfì..wv dei tre angeli
"tWV f!EÀÀ.ovrwv oaÀ.lt[~nv. che stanno per suonare!».

"' Sono note le difficoltà interpretative di questo capitolo, per quanto riguarda la
successione degli imperatori. Ma la successione stessa. le lotte, le tensioni tra gli imperatori
mostrano una crisi diffusa del sistema terrestre che essi esprimono e simboleggiano.

221
Nella presentazione che l'autore fa del suo materiale simbolico, i verbi
<<vedere» e <<Udire>> sono spesso abbinati e si completano a vicenda. Qui li
troviamo in un intreccio letterario elegante: «vidi ed udii» sono prima riferiti
globalmente a <<un'aquila» poi sono ripresi nell'ordine: <<Che stava volando allo
zenith» corrisponde a <<vidi»; <<e diceva con gran voce» corrisponde a <<udii».
L'attenzione viene così prima concentrata tutta sull'aquila, poi viene presa in
considerazione ciò che fa e ciò che dice.
L'aquila rientra nel quadro del simbolismo <<teriomorfo»: la sua figura
quindi si riferisce a quello strato di realtà che si trova al disotto della
trascendenza di Dio e al di sopra della possibilità di controllo da parte degli
uomini, ma che è sempre riferita allo sviluppo in avanti della storia."
Come termine, aquila (Ùnò;), è relativamente raro nel Nuovo Testamen-
to. Ve lo troviamo al plurale in un detto di Gesù riportato in Luca c Matteo (Le
17,37; Mt 24,28: <<Dove sarà il corpo là si raduneranno o[ c'remi.»); al singolare
ricorre tre volte nell'Apocalisse: 4,7 e 12,14, oltre che nel no~tro testo.
Nonostante questa sobrietà di ricorrenze, il rilievo letterario che viene
dato al termine in tutti e tre i contesti in cui ricorre suggerisce un valore
simbolico particolarmente importante agli occhi dell'autore. Quale?
Gli altri due contesti illuminano il nostro: in 4,7 si dice che il quarto
«Vivente» è <<simile a un "aquila che vola». Si attribuisce all' <<aquila lo stesso
tratto descrittivo che ritroviamo solo nel nostro contesto. Visto allora che i
<<viventi» esprimono globalmente il passaggio sotto il segno dello Spirito dalla
trascendenza all'immanenza, il fatto che uno di loro sia <<simile a un'aquila che
vola» collega tale passaggio con l'aquila stessa. E l'aquila che vola esprime,
nell'esperienza del popolo di Dio nel deserto, una forza incombente che incute
timore: l'aquila vola spiando la terra e pronta a piombare irresistibilmente sulla
preda che vede. Il passaggio, perciò, dalla trascendenza all'immanenza indica
anche una forza. un'energia che si applicherà puntualmente sulla terra.
L'altro brano in cui ricorre c'In6ç è ugualmente significativo. Il popolo di
Dio, simboleggiato dalla <<donna>>, rivive l'esperienza dell'Esodo nel contesto
della sua storia, determinato dallo scontro tra bene e male. In 12,14 tale
scontro ha luogo tra la <<donna» e il drago, il quale <<perseguita» la donna nel
deserto (12,13). Allora alla donna <<furono date le due ali della grande aquila
perché volasse nel deserto al luogo suo ... ». L'aquila è detta <<grande»: ciò dà
rilievo alla sua figura; le sue ali passando alla <<donna», la rendono capace di
superare le insidie del <<drago»; viene ripreso Es 19,4: <<Vi ho presi su come su
ali di aquila>•. L'aquila è vista allora come una forza di segno positivo che,
comunicata al popolo di Dio, gli permette di superare l'antitesi del male.
Veniamo al nostro testo. Le indicazioni desunte dagli altri due ci fanno
vedere nell'aquila un'energia che, inserendosi nel vivo dello sviluppo storico
della salvezza, ha la capacità di superare il male.

" Cf. Parte prima, c. II, pp. 38-40.

222
Come in 4,7 l'aquila <<sta volando>>, ce lo indica il participio presente. Lo
fa <<nel punto più alto del firmamento»: ~EOOUQOVT]~a propriamente un
termine dotto col valore di: <<il punto più alto del cielo», <<lo zenith» ricorre
altre due volte nell'Apocalisse, tutte e due in contesti particolarmente solenni
di giudizio." In 14,6-7 è un angelo <<che sta volando nel punto più alto del
firmamento» tiene <<il vangelo eterno>> e invita i popoli a temere Dio <<poiché è
giunta l'ora del suo giudizio». In 19,17 un angelo che sta in piedi nel sole invita
a gran voce <<tutti gli uccelli che volano nel punto più alto del firmamento» a
radunarsi per la <<grande cena di Dio» nella quale si ciberanno delle <<carni» di
tutte le forze che saranno state ostili a Dio nel decorso della storia. Si ha, in
tutti e due i casi, un elemento che proviene dalla trasccndenza (l'angelo), ma
che poi si mette in contatto con il mondo proprio degli uomini, muovendosi nel
punto di questo mondo umano che è il più vicino alla trascendenza, pur senza
appartenervi strettamente: non si dice tv oùeav0.
L'aquila, volando <<nel punto più alto del firmamento», suggerisce un
certo contatto con la trascendenza proprio per la zona in cui si muove; ma è
indirizzata verso il mondo degli uomini. Si ha, quindi, un passaggio dalla
trascendenza al mondo degli uomini di cui l'aquila - qui come in 4,7 - è
protagonista.
E l'aquila parla. Il fatto che l'aquila, oltre a volare, si esprima in un
linguaggio umano ne accentua la simbolizzazione da parte dell'autore e merita
un'attenzione particolare: l'aquila ha qualcosa da dire, è portatrice di un messag-
gio che proviene dalla trascendenza e interessa gli uomini.
Si tratta di un messaggio sconvolgente: <<Guai, guai, guai» (oùal oùal
oùal): da notare la triplice ripetizione che accentua in crescendo, quasi fosse
una forma di superlativo ebraico.
Oùul, <<guai», esprime l'incombenza di una negatività, di cui è naturale
avere paura. Il termine, infatti, è di per sé un'interiezione con una forte
tensione emotiva, o la percezione da parte di qualcuno della negatività che gli
sovrasta (oùa[ ~OL <<guai a me») o la minaccia, sempre di una negatività
incombente, rivolta ad un altro (oùa[ aot, nvt: <<guai a te, a qualcuno»).
Qui abbiamo l'ultimo caso: si tratta di negatività incombenti sugli uomini:
«coloro che abitano sulla terra». Ma la costruzione anomala con l'accusativo invece
che col dativo, ricorrente nell'Apocalisse anche in 12,12, richiama l'attenzione.
Oùa[, infatti, proprio del greco ellenistico, ha regolarmente il dativo
anche nell'uso popolare, come troviamo ad esempio nei papiri di Ossirinco."
L'autore dell'Apocalisse non doveva ignorare questo uso.

" Il termine ~aouQÒ"'ll"'. ricorrente solo nell'Apocalisse nell'ambito del NT (8.13; 14,6;
19,17) è di per sé un termine dotto. tipico dell'astronomia e indica «d. h6chste Punkt der
Mittagslinie» (BAUER. Wiirlerbuch, 1004). lo zenith. Pur non essendo preso in un senso
strettamente tecnico, conferma il livello culturale d~ll'autore dell'Apocalisse.
n Il termine non era usaro nel greco classico. E comune nei LXX eNTe si ritrova in alcune
espressioni pittoresche, come oùa( am, t"aì..abtWQE ... oUui om· oùa( JlOL: P. Oxyr III 41 (J.H.
MouLTON·G. Mn.I.tGAN, The Vocabulary of the Greek Teslamenl l/luslraled from the Papyri and
Other non·Lilerary Sources, London 1957, p. 464).

223
Se allora, contro l'uso normale conosciuto, sceglie l'accusativo, intende
ottenere, con questo artificio linguistico, un effetto particolare. Il dativo dopo
oùal collega immediatamente il male incombente col suo destinatario e ne
sottolinea, cosl, la transitività. L'accusativo, invece, è da interpretarsi come di
relazione, col valore di <<riguardo a ... >>. II rapporto tra il male e i destinatari
rimane, ma è molto più generico: ed o"Ùa[ ne risulta un po' isolato. Difatti
l'autore dell'Apocalisse farà di questi tre 01ial un'interessante e originale
personificazione letteraria: dirà alla conclusione della quinta tromba: <<Il guai
(i] ouat i] [.lia) primo è passato; ecco, verranno ancora due "guai" dopo queste
cose>> (9, 12); ripeterà lo stesso, con un frasario equivalente, alla conclusione
della sesta tromba (cf. 11,14).
Da tutto questo seguono alcune indicazioni: il messaggio dell'<<aquila>>
contiene una minaccia che non viene applicata immediatamente ai suoi
destinatari. L'applicazione ci sarà, ma avrà una sua gradualità, un suo sviluppo
nel tempo: ce lo dice il fatto letterario della coincidenza dei tre guai con le
ultime trombe.
I destinatari della minaccia sono gli abitanti della terra, propriamente
<<coloro che hanno la loro casa (xat-mx-oùvtaç) sulla terra>>. L'espressione
indica una categoria di persone che nell'Apocalisse ha normalmente una
configurazione negativa: sono gli uccisori dei martiri (6,10); sono coloro che si
oppongono alla <<testimonianza>> della chiesa, costruendosi un sistema di vita
immanente (11,10 (bis) ); coloro che si lasciano sedurre dallo stato che si fa
adorare (13,8.12.14 (bis) ): coloro che accettano la concezione consumistica
della vita di Babilonia (17 ,2.8); in un solo caso il senso è ancora neutro: ci sarà
una prova per <<gli abitanti sulla terra>> (3,10). È una negatività ben specificata:
si tratta di coloro che, chiudendosi alla trascendenza, si costruiscono un sistema
immanente di vita e lo esprimono in termini di comportamento. Sono coloro
che <<hanno la loro casa>> sulla terra: al tempo dell'Apocalisse, <<abitare>> (xaT-
OLXÉW) significava non semplicemente trovarsi in un luogo in maniera rilevabile
statisticamente (magari tramite un censimento), ma avervi la propria casa, il
proprio mondo.
Costoro sono posti - è il messaggio che viene dalla trascendenza ed è
annunciato solennemente nel mondo degli uomini - sotto il segno di un
giudizio negativo da parte di Dio.
I cristiani che seguono un sistema di vita diverso non sono oggetto di
questa minaccia, poiché, pur trovandosi sulla terra, non vi hanno costruito la
<<loro casa>>. Saranno spesso vittime del sistema terrestre che li opprimerà.
Specialmente allora dovranno tener presente che, pur con tutta la sua forza
organizzata, il mondo ostile dell'immanenza che li osteggia ha su di sé l'ipoteca
di una minaccia divina che a suo tempo ne comporterà la distruzione. Per i
cristiani si tratta di un messaggio positivo: la distruzione del male appartiene
allo svolgimento della storia della salvezza che essi stanno vivendo.
I <<guai>> deriveranno, saranno messi in atto- Èx indica la provenienza-
dai «Suoni rimanenti dei tre angeli che stanno per suonare la tromba>>.

224
L'espressione, a prima lettura piuttosto contorta e pesante, riferisce alle altre
tre trombe i tre <<guai» annunciati dall'aquila.
Nello stesso tempo, qualificando i tre angeli che ancora devono suonare
come i <<rimanenti>> (twv Àomwv), collega retrospettivamente i tre <<guai» con
le quattro trombe che precedono. L'autore ha in mente un quadro di insieme,
di cui fanno parte tutti i sette angeli con le loro trombe: dopo che hanno
suonato i primi quattro, <<rimangono» gli altri tre. Non fa meraviglia, allora, se
troviamo nelle prime quattro trombe e nei tre <<guai» la stessa tematica di fondo
riguardante la contrapposizione, a livello terrestre, dei due sistemi di vita di cui
abbiamo parlato e la valutazione trascendente che ne viene fatta.
C'è anche un collegamento che guarda in avanti: i tre angeli rimanenti
suoneranno di fatto la loro tromba e ciò sta per accadere. L'annuncio
dell'aquila crea un senso di attesa. Al soggetto interpretante, così, viene detto
e ricordato che la storia della salvezza, qualunque sia il momento che si sta
vivendo, è in movimento: si svolge in avanti verso la sua conclusione.

225
capitolo V II

Il «grande segno>>: Ap 12,1-6

l. INTRODUZIONE

Il capitolo 12 dell'Apocalisse è uno dci brani più studiati di tutto il Nuovo


Testamento. Monografie esaurienti ne hanno esaminato l'itinerario nella storia
dell'esegesi, 1 ne hanno studiato le prospettive esegetico-teologiche, anche
quelle relativamente nuove, che sono state aperte dalla letteratura di Qumran
e dall'applicazione delle strutture letterarie.' Gli articoli riguardanti il c. 12,
anche quelli che si muovono su un piano scientifico di ricerca. quasi non si
contano; si occupano della questione un tempo classica in campo cattolico
dell'identificazione della donna con Maria, del suo aspetto ecclesiologico oggi
sempre più prevalente, di questo o quest'altro dettaglio (storico, filologico,
teologico ... ). Si ha l'impressione di una sinfonia di voci che, anche se
armonicamente discordi, fanno sentire in maniera impressionante la ricchezza
che sembra davvero inesauribile di questo capitolo della parola di Dio.' Degno
di particolare attenzione uno di questi studi, l'ultimo in ordine di tempo, di J.
Pikaza, che basandosi su una polistratigrafia simbolica. apre una via nuova e
suggestiva all'interpretazione di insieme di Ap 12.'
Viene, allora, da chiedersi se l'indagine su questo tema non debba
considerarsi ormai esaurita e se non rimanga - è ciò che costituisce lo scopo
ultimo dell'indagine esegetica - che l'ascolto umile e l'applicazione alla vita
concreta del messaggio teologico del brano.
Ma proprio sulla linea applicativa si incontra uno spazio ancora relativamen-
te vuoto. Quando si passa dal livello di studio esegetico alla sua attualizzazione

1 Ci riferiamo al noto lavoro di P. PRtGENT, Apoca/ypse 12. Histoire de /'exégèse, Ttibingen


1959. La vasta eco suscitata da] libro, riscontrabile nelle numerose recensioni, ha dimostrato
l'interesse sempre vivo per questo argomento.
2 Cf. Specialmente GoLUNGER, Das «Grosse Zeichen», dove si trova anche un'ampia

bibliografia aggiornata insieme a studi riguardanti l'Apocalisse in genere, a pp. 185-197.


' Alla bibliografia completa della Gollinger (cf. nota precedente) sono da aggiungere:
F. La chiesa alla ricerca di Cristo, in BOr (1973) 15, pp. 27-32; J. PtKAZA, Apocalipsis
MoNTAGNI'•II.
Xl/: el nacimiento pascual del Salvador, in Salm. (1976) 23, pp. 217-256.
' Cf. nota 3.

227
nella vita, emergono perplessità, si cade nel parziale.' Il passaggio dell'esegesi alla
vita è necessario, al punto da costituire una verifica della validità di una linea
esegetica, ma, in questo caso. paradossalmente data l'abbondanza dell'indagine
già svolta che lo dovrebbe facilitare, esso si presenta difficile.
Questo capitolo vorrebbe situarsi proprio in questo punto di aggancio
dell'esegesi alla vita, nell'intento. se non di colmare lo spatio ancora vuoto, di
presentare un contributo per riempirne una parte.

2. TRE PARAMETRI ORIENTATIVI

Nel nostro studio useremo tre parametri orientativi: il simbolo da


decodificare, il soggetto decodificante, le conclusioni da «mantenere».
Ma precisiamo subito la natura e i limiti della nostra ricerca. Se ci
poniamo la domanda esplicita: dove sta il punto di blocco nel passaggio
dall'esegesi alla vita a proposito del grande segno dell'Apocalisse, una prima
risposta è relativamente semplice: il contenuto del <<segno» rimane indetermi-
nato e sfocato. Il gruppo ecclesiale che nel suo lavoro di discernimento deve
attuare il passaggio, si trova disorientato c le applicazioni alla vita o
scivoleranno inevitabilmente nel devozionalismo o rimarranno disperatamente
astratte e senta mordente.'
Si richiede perciò una messa a punto proprio della decodificazione del
segno ed è ciò che costituisce l'oggetto specifico della nostra ricerca. Dopo aver
precisato l'itinerario di decodificazione proprio dell'Apocalisse e aver richia-
mato il ruolo specifico del soggetto decodificante, cercheremo di seguire
quest'ultimo nelle varie tappe del suo lavoro applicato al brano Ap 12,1-6.
La decodificazione del simbolo ha, nell'Apocalisse, uno sviluppo tipico.'
Il messaggio religioso, trasmesso sotto l'influsso dello «Spirito di profetia»'
viene condensato in un simbolo. Il simbolo non è destinato a rimanere lettera
morta o semplicemente un'immagine poetica fissata per iscritto. Esso ha,
nell'Apocalisse, come un dinamismo che lo preme dal di dentro verso
un'interpretazione. In questa fase il simbolo viene denominato ]WCTt~QLOV,' e
costituisce un enigma da sciogliere quanto prima. La percezione del simbolo
che spinge a una sua interpretazione è accompagnata da uno stato di meraviglia

' Un sintomo di questo sta, per esempio, nell'applicazione a Maria sempre e solo del primo
quadro della donna (12,1) (cf. festività dell'assunzione), mentre il secondo quadro (12,2) è
accuratamente evitato.
6
È il caso di molte «mediazioni•• riguardanti il brano in questione. Anche - e ciò non
accade sempre- quando si raggiunge un buon livello di spiritualità, si ignora una base esegetica o
si prende il simbolo con un'estrosità che più che interprctarlo lo trasforma.
7
Cf. Parte prima, c. II, pp. 55-59.
8 Cf. Ap 1,2-3 confrontato con 19,!0b. È notevole anche la rilevanza che acquista «divenni

nello Spirito», lyEVÒ!!TJV €v rrVEu11an, rispettivamente all'inizio della prima c seconda parte
dell'Apocalisse (l,IO; 4,7).
' Cf. Parte prima, c. III, pp. 65-66.

228
e addirittura di stupore: 10 è, questo, come un'apertura al di là di quello che è
l'ambito conoscitivo tranquillo al puro livello umano. Tale apertura è
necessaria per entrare in qualche modo in contatto con il trascendente. In uno
stato, quindi, di meraviglia e di stupore il simbolo viene interpretato,
decodificato: vengono evidenziate le sue equivalenze realistiche.
Ma il processo ermeneutico non si esaurisce all'identificazione del
significato del simbolo. Una volta raggiunto questo, occorre dare uno sguardo
accurato intorno, nell'orizzonte storico simultaneo, e precisare se e dove si
trovano delle realizzazioni concrete che gli corrispondono. Questa istanza
applicativa è messa in risalto nel decorso dell'Apocalisse, talvolta suggerita
(mediante l'espressione: <<questo è, questi sono>>, aggiunta all'espressione
simbolica), talvolta esplicitata interrompendo il filo dell'esposizione per
richiamare l'attenzione su un punto particolare ('Qiif ècrtlv, <<Qui c'è»), una
volta addirittura esemplificata, a titolo indicativo (cf. 13, 18)." Quando siano
stati identificati e valutati, ncll'oriuonte storico in cui si vive, gli elementi a cui
si può applicare il contenuto espresso dal simbolo, si imporranno quasi
automaticamente delle conclusioni operative. Non si tratterà necessariamente
di conclusioni a effetto immediato. Occorrerà <<mantenere» (TI']QEiv), conserva-
re viva la parola a questo livello di presa sulla realtà (cf. l ,3). Giungerà presto
l'occasione di applicarla alla pratica: <<il tempo è vicino» (l ,3).
Questo lavoro complesso deve essere eseguito, secondo le indicazioni espli-
cite che ci dà l'autore dell'Apocalisse, da un gruppo ecclesiale: il rapporto tipico
dell'assemblea liturgica, tra uno che legge (6 àvaytvWo-xwv, 1,3) e molti che
ascoltano (o[ àxoUOVTEç, l ,3) si protrae per tutto l'arco del libro e viene esplicita-
to in modo particolare sia dal dialogo liturgico iniziale, appunto tra il lettore e gli
ascoltatori, 12 sia dal dialogo liturgico, idealizzato ma sempre tale, che costituisce
l'epilogo del libro." Il soggetto decodificante è quindi il gruppo ecclesiale che
ascolta e fa un'esperienza apocalittica: dopo essersi lasciato purificare (cf. Ap 2-
3), esso, stimolato da una lettura lenta. spezzata, ricca di pause e di silenzi, elabo-
ra il materiale grezzo del simbolo e ne applica il risultato alla sua vita. In questa
prospettiva l'Apocalisse è una traccia di lavoro, un libro da fare.
Seguiamo, allora, prendendo come campo di applicazione Ap 12,1-6, lo
sviluppo della decodificazione e applicazione del simbolo eseguito dal gruppo
ecclesiale degli axouovTEç (l ,3).

3. IL <<GRANDE SEGNO» DI APOCALISSE 12,1-2: LA PRESENTAZIONE

L'attività del soggetto decodificante viene subito stimolata dalla termino-


logia usata: nel cielo un <<grande segno» (12,1a). Il termine UlJ~Eì:ov- tipico

10
Cf. Parte prima, c. III, pp. 69-71.
" Per una discussione particolareggiata, vedi Parte prima, c. III, pp. 66-69.
12
Cf. Parte seconda, c. l, pp. 106-109.
"Cf. V ANNI, La scruuura, pp. 109-112.

229
della sezione che comprende 11,15-16,16"- non è tanto un «portento»," uno
spettacolo straordinario da ammirare, ma un messaggio che esige una
decodificazione. Per comprendere quello che l'autore vuole dire o evocare,
bisogna che il <<segno>> sia capito nelle sue implicazioni, che occorrerà
sviluppare. Il <<segno» contiene innata un'esigenza di dinamismo gnoseologico:
per comprenderlo nel suo valore occorre svilupparlo e oltrcpassarlo.
L'attenzione del gruppo decodificante è suscitata ancora dall'aggettivo
)J.Éya attribuito al segno. Esprime, il termine, una grandezza di tipo logico,
intellettuale, un'importanza; 11011 si riferisce, certamente, alle dimensioni
spaziali del segno stesso. E la sua posizione enfatica dopo il sostantivo richiama
esplicitamente l'attenzione.
Ll])J.Etov llÉya, già come espressione, ha un effetto stimolante sul gruppo
che ascolta: si tratta di un segno di cui occorre sviluppare il significato c già si
promette che il significato avrà un'importanza tondamentalc.
Tale OlJilEtov llÉya viene visto nel cielo: È:v T<jl oùgav<jl. L'espressione non
si riferisce immediatamente alla donna di cui si parlerà subito dopo e che, in un
primo livello simbolico, sarà situata in un quadro celeste, ma qualifica il segno
stesso. proprio come tale. Giovanni si trova idealmente in cielo. dove è stato
invitato a salire (cf. 4,2b): tv T<jl oùgavcf! è quindi una sottolincatura che,
esprimendo, secondo il simbolismo veterotestamentario ripreso spesso nel-
l'Apocalisse," un'idea di trascendenza, l'attribuisce al grande segno. Chi
ascolta e si accinge a decifrare il grande segno dovrà allora tener presente che si
tratta di un messaggio da situarsi in qualche modo a livello celeste e che implica
la trascendcnza divina.
Abbiamo quindi un'introduzione solenne che coinvolge progressivamente
chi ascolta: c'è un messaggio da decifrare, è di grande importanza, si situa
addirittura nel contesto della trascendenza di Dio.

4. IL PRIMO LIVELLO SIMBOLICO: LA DONNA CELESTE

Al gruppo ecclesiale, reso attento e disposto ad eseguire il suo lavoro di


decifrazione, viene presentata la figura della <<donna>>.
v. l yuvl]
lTEQL~E~À.TJilÉVTJ TÒV ~À.LOV
XUL TJ OEÌ..tlVT] tJJtOXÒ.TCU TWV rrol\ci:Jv UÙTfiç
xat trrl Tfiç XECpaÀ.iJç aùTiiç OTÉcpavoç aOTÉQWV bc.illìExa.

" Cf. VANNt, La struttura, pp. 195-202.


•~ Le traduzioni variano: (<A great portent)) (CAIRD, The Revelation); « ... ein Zeichen gross
am Himmeh• (LoHMFYER, Die Offenbarung): «ein grosses Zcichen» (KRAET, Die Offenbarung);
«Un gran~ signc» (TOB); •un segno grandioso» (CE!).
" E il senso normale che ha il termine nelle sue 52 ricorrenze nell'Apocalisse. Solo
raramente ha un significato geografico più o meno determinato (cf. ad esempio 5.11: 6.!3: 6.14:
13,13; 14,7; 20,11; 21,1).

230
Una donna
vestita del sole
e la luna al disotto dci piedi di lt:i
e sulla testa di lei una corona di dodici stelle.
Appare subito una certa unità che determina un unico livello simbolico ed
è data dagli elementi celesti che sono riferiti alla donna. Ma i singoli clementi
non sono immaginabili simultaneamente: la presenza del sole che addirittura
avvolge la donna non è pensabilc con la luna messa in risalto con tanta
evidenza. Lo stesso vale per la corona di dodici stelle.
Ci imbattiamo così in una difficoltà interpretativa che il gruppo ecclesiale
ha già incontrato più volte nel suo lavoro di decodificazione e si è abituato a
superare: il materiale simbolico che l'autore fornisce è allo stato grezzo. Esige
un'elaborazione immediata, attuata punto per punto, elemento per elemento:
è impossibile costruire fantasticamente un quadro statico di insieme. Solo una
volta che i singoli elementi simbolici saranno stati adeguatamente elaborati,
sarà immaginabile un quadro in movimento. Le sue caratteristiche e rapporti
particolari tra i vari elementi si diversificheranno spesso da quelli esistenti nel
mondo attuale, facendo presagire quella che sarà la nuova creazione."
Il primo elemento che acquista un risalto rilevabile è la <<donna». Essa è il
soggetto portante di tutto il grande segno. Ed evoca subito, inquadrata nel
contesto anticotestamentario che per un 'interpretazione dell'Apocalisse occor-
re privilegiare rispetto agli altri," l'immagine della donna sposa e madre.
Nell'Antico Testamento, pur nella complessità che la figura della donna vi
assume sotto il profilo personale, sociale, politico e religioso, questi due aspetti
emersero con particolare evidenza. E venne spontaneo sfruttare la figura della
donna" nel contesto del rapporto del popolo con Dio: si parlò allora di un
rapporto sponsale tra Dio e il suo popolo. si parlò, anche se con maggiore
cautela per evitare un antropomorfismo che sarebbe stato aberrante, di una
certa fecondità: l'espressione «figli del Dio vivente» viene messa in paralleli-
smo con la maternità del popolo e quando questi si allontana da Dio, ciò è visto
come un tradimento: «i tuoi figli allora- Dio minaccia - non li amerò perché
sono figli di prostituzione» (Os 2,1.6)."'

" Il caso più significativo lo incontriamo in 15,2: il mare, cambiando la sua natura torbida e
tenebrosa, è diventato «di cristallo~>, (,nÀ[VTJ ed è addirittura <<misto a fuoco~> lJF!J.LY~ÉV'TJ rrugL
Questo brano che il Boussct definiva un <<enigma" (ein Riit.sel) lrova una sua spiegazione nel
contesto di una nuova creazione, che già la Sapienza (cf. !9,1R-20) metteva in rapporto con
l'Esodo. Ma un discorso simile si può fare a proposito di tutti i grandi «quadri~> che l'autore ci
presenta nel decorso dellihro anche prima del c. 12 (cf. ad esempio 6,12-14: 8.6-12; 9.1-11 ecc.).
1
~ Ciò sia perché la mentalità dell'aurore rende inverosimile una sua dipendenza diretta e
accettata da altre fonti, sia e soprattutto per il senso particolarmente acuto che egli ha dell'unità tra
Antico e Nuovo Testamento. Gli è spontaneo inserire le moltissime citazioni dell'Antico
Tcs(amento - oltre 500 - nel suo discorso. facendole sue.
" Cf. J. KOHLEWEtN, '/Jfa Frau, in JENNt·WESTERMANN, Theologisches Handworrerbuch
zum Alten Testament, l, coli. 247-251.
"' Cf. anche ls 60,4; 66,7-9.

231
Il termine yuvft esercita, quindi. su un gruppo abituato a cogliere le
allusioni anticotestamentarie come è quello a cui l'autore dell'Apocalisse si
rivolge, un'azione evocativa: gli fa pensare, anche se ancora in termini vaghi e
indeterminati nei particolari, al popolo di Dio, al rapporto sponsale tra Dio e il
suo popolo, alle vicende che tale rapporto comporta compreso l'aspetto della
fecondità. E siccome il gruppo ecclesiale è parle consapevole c cosciente del
popolo di Dio, si sente come identificato nella figura della donna.
La donna - popolo di Dio, gruppo ecclesiale - viene ulteriormente
determinata: il primo particolare riguarda l'immagine del sole che la riveste e
l'avvolge: Jtt:QLBt:fn.lJ/-!ÉVl] si riferisce specificamente al contesto semantico del
vestito." Non ci sono passi dell'Antico Testamento che ci diano un parallelo
persuasivo a proposito del sole come elemento di rivestimento. Ma si parla
spesso di un'azione di rivestimento eseguita da Dio, di abiti, di monili donati,
con riferimento all'intesa nuziale, da Dio al suo popolo. I primi indumenti sono
attribuiti a Dio (cf. Gn 3,21). Gerusalemme viene esortata a rivestirsi della sua
gloria (cf. Is 52,1) ed essa, poi, reagendo. riconosce di essere stata rivestita da
Dio <<delle vesti della salvezza>> (Is 61,10).
Dio quindi, in un contesto di amore, di fidanzamento, di alleanza,
adorna, riveste il suo popolo. Ma perché il rivestimento di sole? Al di là di
qualunque interpretazione mitologica. il sole è considerato, nella Bibbia, un
elemento proprio di Dio, quasi una creatura privilegiata che particolarmente lo
esprime e lo manifesta. Nell'Antico Testamento l'esigenza di evitare divinizza-
zioni della natura o addirittura di superare quelle esistenti" fa usare, in
proposito, un linguaggio cauto, ma che lascia trasparire un'importanza di
rilievo attribuita al sole rapportato con Dio.
Il Nuovo Testamento può permettersi di essere più esplicito: si parla
quindi, a proposito di Dio Padre, del «Suo sole>> e quando si vuole indicare il
livello trascendente di Gesù si dice che la sua faccia <<risplende come sole>>."
La donna. perciò, rivestita di sole indica un'immagine nuova, tipica
dell'autore dell'Apocalisse: essa è vista come avvolta da Dio di un vestito, con
tutta la cura amorosa che questo comportava nell'Antico Testamento; per di
più Dio rivestendo e avvolgendo la donna di sole. le dà, per così dire, quanto
egli ha di meglio. La donna appare, così, come amata particolarmente e curata
da Dio, a livello della sua trascendenza.
Il gruppo ecclesiale, elaborato questo primo elemento di materiale
simbolico che gli viene presentato, mantiene il significato di fondo che ne ha
estratto e, messa per un momento da parte l'immagine che l'ha suggerito, passa
a esaminare un nuovo elemento di materiale simbolico che segue immediata-
mente: <da luna sotto i suoi piedi>>.

21
Anche se il verbo ha un ambito di significato più vasto. il riferimento al vestito era. al
tempo del Nuovo Testamento. _il più frequente e il più spontaneo (cf. BAcER. Wiirterbuch. s.v.).
12 Cl. TH. HARTMAN'<, Seme!, Sonne, in ]ENNt-WESTERMANN, Theologisches Handworter-
buch zum Alten Testament, coli. 9A7-999.
23
Cf. Mt 5,45; 17,2 c Ap 1,16.

232
L'Antico Testamento a prima vista non ci aiuta molto a precisare il valore
di questa immagine. La luna non suscita i sentimenti poetici talvolta stupendi
(basti pensare a Saffo, Virgilio, Leopardi), tipici della sensibilità artistica
occidentale, specialmente romantica. È detta, rispetto al sole, una luce minore;
si parla, qua e là, della sua utilità, della sua funzione. ma sempre in senso
meteorologico e fisico-'' A differenza del sole, non mostra alcun rapporto
particolare con Dio. L'immagine della luna non esprime in un primo momento
alcun significato particolare. Sembra un simbolo vuoto. Il gruppo ecclesiale
prova una certa perplessità che, però, lo spinge a raccogliersi e a concentrare le
sue capacità interpretative c creative. Difatti se la luna non era pensata in
termini di simbolo nell'ambito dell'Antico e del Nuovo Testamento, lo era in
termini reali: permetteva di fissare i mesi, era un punto di riferimento
imprescindibile nella determinazione dci tempi liturgici e del tempo in
generale." Anche se l'esistenza parallela di un calendario solare sembra
documentabile, specialmente a Qumràn, il calendario lunare non lascia dubbi
sulla sua esistenza e dovette essere senz'altro prevalente. La luna, perciò,
vuota di un valore simbolico specifico e preciso, evocava chiaramente la
successione del tempo, l'avvicendarsi dei mesi e delle stagioni.
La donna, viene detto al gruppo ecclesiale, ha la luna sotto i suoi piedi.
L'espressione unoxén:w nilv noù!iJv ha, nel contesto semitizzante e anticotesta-
mentario dell'Apocalisse, una linea di significato precisa. Tenere qualcuno o
qualcosa sotto i piedi significava averne il dominio."
Non si tratta allora di una funzione di sostegno esercitata da parte della
luna nei riguardi della yuvlj. L'accento è posto proprio sulla yuvlj che. avendo
sotto i piedi la luna, la domina, ne è padrona: la luna le è sottomessa. Data
allora la funzione di regolazione del tempo propria della luna, il simbolo usato
esprime un contenuto realistico relativamente semplice: la donna domina la
successione del tempo, è al disopra dello svolgersi delle vicende umane, non è
intaccata, non è condizionata da esse. Vive in una dimensione superiore.
Ma non si può dire che essa si trova in una situazione atemporale. La
luna, pur sotto i piedi della donna, esiste e niente suggerisce che essa abbia
perso per ora la sua funzione. Ciò accadrà nella fase escatologica (cf. A p
21,23). ma per ora il tempo continua a svolgersi regolarmente: la donna però

" La luna viene considerata, nell'ambito dell'Antico Testamento, come regolatrice fonda-
mentale del tempo, come sorgente di luce minore adatta per la notlc. Inoltre sorge intorno ad essa
un certo folclore che non diventa simbolo. ma si riferisce alla fertili!à dei campi e alla fecondità
degli animali, a un influsso magico sulla vila. In senso religioso si ha una polemica contro i culti
lunari, e il cambiamento della luna rientra nel 4uadro degli sconvolgimenti cosmici escatologici.
Cf. J. NELLIS. in H. HAAG. Bibel·Lexicon, Einsicdeln-Ziirieh-Kòln 1968, coli. 1165-1167.
25
Alcuni testi lo indicano chiaramente, sia nell'amhito dcli"Antico come del Nuovo
Testamento. Cf. A. CAQL'OT, Remarques sur la féte de la «néomenie» dans l'ancien Jsrae/, in RHR
(1960) 158, pp. 1-18. Paolo pclcmizza con la partecipazione alla festa della luna nuova (cf. Col 2,16).
2
" L 'idea di porre il piede su qualcuno o su qualcosa per indicare un segno di dominio era
usuale nell'Antico Testamento. Cf. K. Wrtss. noù;, in GLNT, XI, col. 12. Anche nel Nuovo Testa-
mento l'idea di una sottomissione è espressa mediante imoxàtw t<i>v rroòwv (cf. Mt 22,44; Eb 2,8).

233
è in grado di dominarne lo svolgimento, senza esservi coinvolta: il popolo di
Dio è superiore al tempo umano, pur non ignorandolo.
Questa superiorità non ha il significato astratto di un'affermazione di
principio. Un'espressione caratteristica del Sal 89,37-38 aiuta a precisare:
La sua discendenza durerà sempre,
come la luna sarà stabile sempre,
il suo trono davanti a me come il sole
testimone fedele nel cielo.
Il salmo abbina il sole e la luna nella funzione meteorologica di
determinare le stagioni e la loro successione. Il tutto nel contesto esplicito
dell'alleanza. Questa, da parte di Dio, rimarrà intangibile, al disopra di
qualunque vicissitudine di debolezza umana: il sole e soprattutto la luna, nella
loro periodicità indefettibile, ne saranno una garanzia. Degna di attenzione è
specialmente l'espressione <<come la luna sarà stabile sempre•• (89,38).
La periodicità del tempo, quindi, coincide con la durata dell'alleanza.
Finita eventualmente tale periodicità, non si sa, a livello del salmo, che cosa
potrebbe accadere in seguito. Il contesto del salmo sembra ripreso, come spun-
to ispiratore, dall'autore dell'Apocalisse. Si parla dell'arca dell'alleanza nel
contesto che precede immediatamente e che, pur non appartenendo alla stessa
unità letteraria del grande segno," certamente lo condiziona: già la menzione
esplicita dell'arca richiama il contesto dell'alleanza, e, nel testo dell'Apocalis-
se, il rapporto arca-alleanza viene sottolineato con una certa enfasi: ~ XL~on:òç
tijç 1\wlhjxTjç aùtoù <d'arca della sua alleanza» (11,19). L'unione dell'alleanza
con il sole e specialmente con la luna ricorda al gruppo ecclesiale la validità
dell'alleanza stessa per tutto lo scorrere del tempo. Ma la donna, dominando la
luna, supera la successione del tempo e quindi l'alleanza stessa.
Al gruppo ecclesiale rimangono dci vuoti e degli interrogativi sulla
modalità di questo superamento. Non si tratterà certo di una abrogazione, che
sarebbe contraria a tutta la linea di fedeltà di Dio che l'Antico Testamento
afferma ripetutamente e che l'Apocalisse riprende senza attenuarla mai. Ma-
già si intuisce - si tratterà di un superamento nel senso di un'attuazione più
completa, al di là e al di sopra di qualunque vicenda di rischio. Si avrà una
realizzazione maggiorata al massimo, al di là della quale non sarà possibile
andare.

21
Con 11,15 inizia la terza sezione della seconda parte dell'Apocalisse (cf. V ANNI, La
struuura, pp. 195-202). Si ha anzitutto una dossologia (vv. 11.15-19) e dopo l'espressione xai cilcpihj
'Ì ><LBw<ò; 1:Tjç bw&!Jx'lç aùmì• tv n)> vw;, m)mi'. 'Qcpihj e tv ''Ì' oùguvc)J collegano 11.19 con 12.1
in cui ricorrono gli stessi rermini. Ma l'espressione posta in mezzo: xaì tyi·vovto ètOTgarral xai
cp(tlVai x al Bpovrai x ai OELOIJ.Òç xaì. xéù..a~a ~-tFY6J..l1 ( 11.19b) ha, come nelle altre ricorrenze si mi lari
e tipiche nell'Apocalisse. una funzione generica di introduzione (cf. 4,5; 8,5; 11.19; 16.1R-21 e
V ANNI, La strwtura, pp. 141-148). Perciò l'espressione del gronde segno che segue immediatamen-
te rientrando in quanto viene detto nel corpo della sezione e non più alla sua introduzione,
appartiene a una unità letteraria distinta.

234
Un terzo elemento, sempre appartenente al primo livello simbolico della
yuv~. viene indicato al gruppo ecclesiale: intorno alla testa della donna esiste
una corona di dodici stelle. Il materiale simbolico grezzo così presentato non è
meno denso di quello che il gruppo ha già elaborato: ciascun termine ha una
sua carica simbolica che esige di essere esplicitata.
La corona non è mai. neirApocalisse, un semplice elemento esornativo:
indica piuttosto il riconoscimento di un premio raggiunto e già conquistato" e
ha normalmente un valore strettamente escatologico. La corona già situa la
donna nella zona ideale dell'escatologia.
La corona w fatta di stelle. Il termine, ha, nell'Apocalisse, una linea
simbolica chiara desunta dall'Antico Testamento1'' e che, applicata con
sfumature diverse e in contesti diversi, si mantiene costante. Indica il livello
della trascendenza, quasi la zona di Dio (cf. Gb 22,12; Is 14,13). Le stelle sono
riferite ripetutamente, nell'Apocalisse, alla dimensione trascendente della
chiesa!' Unendo allora l'indicazione di <<corona» o quella di «stelle» nel senso
indicato, si ha una situazione di premio raggiunta riguardante la chiesa e che,
collocata in una zona trascendente, appartiene alla sfera di Dio.
Non solo. Ma l'attribuzione già elaborata dal gruppo ecclesiale di <<stelle»
come qualifica della chiesa. focalizza l'identificazione della donna-chiesa,
popolo di Dio, dando un "ulteriore concretezza agli indizi già emersi nella cura
di Dio per il suo popolo e a proposito dell'alleanza, che ha sempre il popolo
come controparte necessaria.
Le stelle che stanno intorno alla testa della donna in forma di corona sono
dodici. Il numero non è usuale nell'apocalittica e quindi anche il suo valore
simbolico lascia delle perplessità. Può trattarsi del prodotto di 3 x 4 e siccome
la somma di questi ultimi è sette, ci troveremmo neirambito, addirittura
accentuato. della totalità. indicata dal numero 7." Ma è difficile. pur nella

" Esaminando le ricorrenze di cni·q>avoç nell'Apocalisse, emerge subito il suo valore di


segno di un premio raggiunto: la corona è pronta, si tratta solo di mantenerla, viene detto alla
chiesa (cL 2,10; 3.11). Nei ventiquattro anziani è uno dei segni della loro situazione escatologica
(cl. 4,4; 4,10). Il cavaliere vittorioso riceve, come gesto profetico. la corona di una vittoria che
infallibilmente riporterà (cl. 6.2). Il Figlio dell'uomo, nella raccolta escatologica, ha. come suo
segno caratteristico, una corona d'oro (cf. 14,14). Solo una volta. al plurale. il termine ((corona)~ è
attribuito a realtà negative e pre-escatologiche (le cavallette). ma l'autore sente di doverne
mitigare il senso premettendo un l<come•) (Wç mÉ(flavm x.Quooi.: 9,7).
:'l Diversamente dalla luna. le stelle hanno un valore teologico diffuso nell'Antico
Testamento che viene espresso anche in forma di simbolo.
_,H Troviamo questo valore. con tutta probabilità, accettando l'interpretazione ecclesiale
dell'espressione «angelo della chiesa• in l ,26.20; 2.1; 3,1.
" È questa l'opinione di H. Gollingcr: «Sic kommt nachst der Siebenzahl am hiiufigstcn in
der Apokalypsc vor. Sie ist das Proùukt von drci und vicr. dcren Summe die Sieben ist. So
verwundert es nicht. dass die Zwòlf noch mchr als die Sicben cin Symbol der Fullc und
Vollkommenheit ist. Sic hat fiir den Juden wie auch fiir ùcn Christen. aher auch fitr Hciden eine
besondcre Bedeutung: lsracl ist das ZwOI[sliimmevolk, das sich von den zw6lf Erzvatern herlcitct
(vgl. Ex 24,4, u.o); dic Zahl der Apostel bctragt zwòlf. Zwiilf ist aber auch die Zahl dcs
Sternkreises und als sokhe lnbegriff der Vollkommcnhcit und Vollstilndigkeit. Mit dicsen
Vorstcllungen muss heim Apokalyptiker gcrcchnet werdcn, wie auch cr selhst sich hewusst sein
ffill'<.;lc. da . . . . \l..' i ne l.e,crgleichgi.iltig. von wclchcr Wcltamchauun~ sie hcrkamcn - dicscr Zahl
einc hcrvorragcmic Bedcutung beimesscn wi.J.rdcn•• (Das «Grosse Zeichen». pp. 85-H6).

235
complicatezza riconosciuta dei simboli aritmetici dell'Apocalisse, seguire tutto
questo giro di sviluppo con un grado di certezza attendibile. Lasciando in
disparte il problema dell'origine remota di I2. troviamo che nell'Apocalisse il
numero è attribuito esplicitamente alle dodici tribù di Israele e agli apostoli.
Riveste una particolare importanza, dato il contesto marcatamente escatologi-
co in cui i simboli precedenti hanno collocato la figura della donna, un brano
della sezione conclusiva, riguardante appunto la <<Gerusalemme celeste>>, il
popolo di Dio nella sua fase definitiva futura: in 21,12-14 si parla prima di un
grande muro (tEi:xoç !J.Éya xat U1f!rJÀ6v), che ha dodici porte. Viene poi
sviluppato il valore simbolico delle porte: sono le dodici tribù di Israele,
orientate ormai in tutte le direzioni geografiche e divenute espressione
dell'unità universale del popolo di Dio (cf. 21,12b-13). Ritornando al muro,
l'autore tiene a precisare una caratteristica essenziale e irrinunciabile: il muro
ha dodici fondamenta, senza le quali esso crollerebbe. e. si precisa. br' aùtwv
òwònw 6v611ata twv èlt.iJbExa ò.nom6Àwv toù àgviou (21.14b ). Dodici,
perciò, ci riporta alle dodici tribù di Israele e ai dodici apostoli: ma sia le tribù
che gli apostoli fanno parte, a livello escatologico, del contesto unitario
dell'unico popolo di Dio, senza che la loro funzione sia separata o anche
soltanto distinta-"
È quanto suggerisce al gruppo ecclesiale il numero dodici attribuito alle
stelle che fanno corona. La situazione escatologiaca realizzata dalla donna è
collegata con le dodici tribù di Israele e con i dodici apostoli, ma viste le une e
gli altri non nello sviluppo della storia della salvezza- ci aspetteremmo allora
che le stelle fossero 24, come gli anziani - ma proprio nella fase terminale
ormai acquisita, nella quale le due categorie - tribù e apostoli - si sovrap-
pongono senza distinguersi più, nell'unità realizzata di tutto il popolo di Dio.
Al gruppo ecclesiale viene quindi nuovamente suggerito ciò che esso già
tende ad esplicitare, alla luce dell'Antico Testamento e dell'esperienza
apocalittica ormai acquisita: i tre elementi, ciascuno contenente un significato
escatologico preciso, vengono uniti e come moltiplicati l'uno per l'altro: la
corona, le stelle, dodici. È il livello escatologico proprio del popolo di Dio, che
esso raggiungerà nella Gerusalemme nuova e che, rispetto al momento in cui il
gruppo ecclesiale esegue il suo lavoro di decodificazione, è proiettato ancora
nel futuro.
Una volta che gli elementi grezzi del materiale simbolico presentato sono
stati elaborati adeguatamente, sostituendo il contenuto ricavato all'immagine
per lasciare così spazio all'immagine successiva, il gruppo ecclesiale può

32
Una dimensione è esistita nella fase pre-escatologica c si è rispecchiata nei 24 anziani- il
loro numero esprime probabilmente proprio la somma tra le 12 tribù e i 12 apostoli - che, pur
trovandosi personalmente a livello escatologico. di fatto collaborano allo sviluppo ancora in atto
della storia della s~lvezza. Quando tale sviluppo sarà arrivato al suo culmine - c ciò si verifica
nella sezione conclusiva - i 24 anziani avranno esaurito la loro funzione. non meno degli ~4la.
Dopo il loro Ù!!TJV o),À~ÀOUÙX conclusivo di 19.4 non li incontreremo più nell'Apocalisse.

236
ripercorrere successivamente le singole immagini gustando il quadro in
movimento che esse evocano. La donna-popolo di Dio che viene presentata, è
rivestita da Dio, con una cura tutta particolare, di quanto egli ha di meglio: è
«rivestita di sole>>; ha «<a luna sotto i suoi piedi>>, è superiore alle vicissitudini
del tempo nelle quali si realizza l'alleanza, proprio perché le compete quella
realizzazione ottimale che Dio attuerà alla fine dello svolgimento del tempo.
Ciò significa livello escatologico, Gerusalemme celeste: è proprio a questo
livello che la donna-popolo di Dio viene situata con una triplice accentuazione
particolarmente efficace: ha già la «corona>> segno del premio escatologico; una
corona <<di stelle>>, segno della trascendcnza divina riferita alla chiesa; c le stelle
sono «dodici». ciò che indica addirittura il livello escatologico della Gerusalem-
me celeste.

5. IL SECONDO LfVELLO SIMBOLICO DELLA DONNA

Lo stesso soggetto del grande segno, la <<donna>>, viene presentata


successivamente con degli attributi completamente diversi: mentre in un primo
tempo i vari elementi simbolici ruotavano tutti intorno a fenomeni celesti, la
prospettiva ora si sposta e si concentra intorno a un parto. Si ha così un nuovo
giro di immagini, un nuovo livello simbolico:
xal Ev yam:ql exouoa
XnL XQU~El ÙJÒ[Vol'Oa XUL ~aoavt~O!!ÉvTJ tEXELV.

Ed (è) incinta
e urla partorendo e tormentata nel dare alla luce.

Il simbolismo della donna visto alla luce dell'Antico Testamento, come


abbiamo notato più sopra, comporta anche un riferimento alla sua maternità.
La donna immagine del popolo di Dio è madre e madre feconda.
Al gruppo ecclesiale il cambiamento brusco e radicale della scena dice
proprio questo, con sobrietà ma con altrettanta chiarezza: la donna è incinta.
Ed è pensata in questo stato con una certa stabilità: itxouoa indica, come
participio presente, una situazione che si protrae. Prima di presentare
l'immagine usuale delle doglie del parto, viene messo in rilievo il fatto della
gravidanza.
Che cosa suggerisce al gruppo ecclesiale questo primo elemento del
quadro simbolico? Data l'identità del soggetto simbolico di fondo rispetto al
livello precedente, secondo un procedimento usuale nell'Apocalisse,'' il

" Si può parlare, a proposito della struttura del simbolismo propria dell'Apocalisse, di vari
livelli successivi e diversi, ma che sono riferiti allo stesso soggetto nell'intento di esprimere meglio e
di più la sua portala teologica. Un esempio, tra i tanti, si ha in 5.6: J"àgv[ov rimane il soggetto
fondamentale. In livelli simbolici successivi e diverr..i l'uno dall'altro. l'ùllviov viene qualificato
come tonp<.6ç, ~ocpayf..LÉvov, ÉXWV xÉgant bnù. )(ui ùtt.nuì...JA.où; bttU.

237
gruppo ecclesiale si chiede che cosa esprima questa gravidanza permanente
della donna-popolo di Dio e nella quale il gruppo in qualche modo si riconosce.
La risposta è relativamente semplice, suggerita proprio dall'immagine della
gravidanza: c'è, nel popolo di Dio, qualcosa che deve nascere. Esso si trova in
un periodo di attesa, tutto proteso vl!rso l'evento della nascita. Il popolo di Dio
non ha quindi concluso la sua missione: ha in gestazione qualcosa che dovrà
dare alla luce. Si sente relativo a un futuro, a quel figlio che esso esprimerà.
Ma prima di far riflettere il gruppo ecclesiale sull'identità del nascituro,
l'autore mette in risalto con un passo ulteriore. nell'ambito dello stesso livello
simbolico, proprio l'evento del parto. La donna sta partorendo: è wù[vouoa,
cioè, secondo il valore preciso del verbo," nel travaglio già iniziato del parto. Si
insiste, anche qui, sulla durata di questo stato di travaglio. come suggerisce il
participio presente. È un travaglio lungo e particolarmente doloroso. Posto
com'è in rapporto ai due participi Ò)Ò[vovoa e ~uoavl~Of.lÉVT] il verbo xga~El,
già di per sé molto forte," acquista cosl un rilievo ancora maggiore.
Le doglie prolungate e lancinanti del parto sono un'immagine cara
all'apocalittica.
Esistono suggestivi paralleli extrabiblici sia nell'ambiente semitico che
greco, i quali possono aiutare a comprendere il significato delle doglie del
!?arto." Si tratta sempre di figure inquadrate in un contesto religioso preciso.
E difficile - come osservavamo all'inizio - che ci sia un influsso diretto
sull'autore dell'Apocalisse, anche perché accanto a indubbi punti di contatto
non sono meno rilevanti le differenze, proprio nello svolgimento del racconto.
Più vicini alla mentalità dell'autore e quindi più illuminanti sono gli
esempi paralleli riscontrabili nell'ambito giudaico." E difficile precisare se e
quale influsso questi brani abbiano esercitato direttamente sull'autore del-
l'Apocalisse. Ma forse un tentativo del genere è anche ozioso, data la creatività
che egli suole manifestare anche quando si riallaccia all'Antico Testamento
fino a indrodurlo alla lettera nel suo discorso.
Fra i tanti testi" che si riferiscono al parto come metafora, fanno al nostro
caso quelli in cui, osserva giustamente la Gollinger, l'immagine ha uno
sviluppo continuo. È tipico il brano dell'Apocalisse di Isaia (Isaia 26.17-18);

>t «Geburtsschmerzen er/eiden, unter Schmerzen gebiirem), BAUER, Griechi'ich·deutsches, s.v.


" •Schreien, briillen, kreischen. indem man laute Tòne, jedoch keine verstandl. Worte
hervorbringt)), BAUER. Griechisch-deursches, s.v.
" Cf. GoLUNGER, DIL< •GroHe Zeichen•. pp. 127-133.
17 CL GoLUNGER, DIL< •Grosse Zeichen". pp. 133-150.
-~ <(Die Wchen bzw. die Frau in Wchen sind im Altcn Tcstament ein gebrauchliches Bild fi.ir
Not und Drangsalund kommen als solchcs in den verschicdcnstcn Zusammenhangen vor, z.B. in
Ps 48.7: Jes 13.8 (Tag Jahwes); 21,3: 37.3 LXX: Jer 49,22; 50.43. lsrael hzw. Jcrusalem wird mit
ciner Frau in Wchen vcrglichen: Jcr 4.31: 6.24; 13.21: 22.23: 30.1>: Mich 4,91. Das Aild wird
besonùcrs gcrn gebraucht, wenn ein Strafgericht Jahwes odcr ùcr «Tag Jahwcs)) angeki.inUìgt wird,
z.I3. in Jes 13,8; Jer 30,6 u.a. (vgl. auch aethHen 62.4)» (Got.L.INGER, Das •Grone Zeichen•,
p. 134).

238
costituisce a giudizio di A. Kassing," il brano biblico più aderente al nostro
testo:"'
Come una donna incinta che sta per partorire
si contorce e grida nei dolori,
così siamo stati noi di fronte a te, Signore.
Abbiamo concepito, sentito le doglie,
abbiamo partorito vento;
non abbiamo portato salvezza al paese
e non sono nati abitanti nel mondo.
Sotto l'intlusso di Dio- suggerisce l'immagine di Isaia- il popolo ha
concepito: ha fatto sua, ha avuto come in gestazione una salvezza. Quando si è
trattato di esprimerla è subentrato il travaglio: la comunicazione-partecipazio-
ne di questa salvezza al mondo doveva passare attraverso un punto critico che
pure si è realizzato, ma la salvezza non ha visto la luce. È interessante notare
che è la comunità del popolo la protagonista delle doglie.
Ma l'immagine del parto ricorre in un testo degli inni di Qumràn,
1QH3,3-18, che è diventato un punto di riferimento classico nell'interpretazio-
ne del grande segno." Le espressioni più significative che possono illuminare la
decodificazione del nostro testo come modulo letterario parallelo sono le
seguenti:
7 Ero nell'angoscia
come una donna partoriente
al suo primo parto,
allorché improvvise giungono le sue doglie
8 e un tormento atroce (colpisce) le sue increspature
facendo contorcere la fornace
di colei che è incinta,
poiché i figli sono giunti ai flutti di morte.
9 Colei che è incinta di un uomo
era tormentata dai suoi veementi dolori poiché
tra i flutti di morte partoriva un maschio e,
tra veementi dolori da sheòl,
scaturiva
10 dalla fornace di colei che era incinta

" Cf. A. KASSING, Die Kirche und MariiJ. lhr Verhiiltnis zum 12. Kapitel der Apoka/ypse,
Di.lsseldo~f 195R. p. 130.
411
E la denomimtzione che viene ormai data al brano 24-27 (la (<grande apocalisse d'Isaia») la
cui datazione, però, sembra meno recente di quanto non si supponga normalmente (cf. SOGGIN,
Introduzione, p. 353).
~~ Per una documentazione esauriente e ragionata sulle varie posizioni degli studiosi a
proposito dell'interpretazione di Ap 12 in rapporto con Qumran 1QH3, 3-18, cf. H. BRAUN,
Qumran und da.s Neue Testament, Tiibingen 1966, pp. 313-319.

239
un mirabile consigliere
con la sua potenza
e un uomo usciva fuori dalle sue increspature."
Prescindendo dalla possibile interpretazione messianica di questo brano
- suggerita soprattutto dall'espressione <<mirabile consigliere>> del v. 10 - ,
notiamo, sul piano della sua presentazione letteraria, un livello più avanzato di
decodificazione rispetto allo stesso simbolo di Ap 12,2: il dolore della
partoriente è già interpretato come <<angoscia>> (<<ero nell'angoscia come una
partoriente>> (v. 7); la presentazione del quadro simbolico è talmente dettaglia-
ta e prolissa da non lasciare spazio a un completamento ulteriore: chi legge
deve semplicemente seguire il racconto, mentre in Ap 12.2 troviamo un'indica-
zione condensata e quanto mai sintetica, che stimola e richiede un'elaborazio-
ne ulteriore. Inoltre: all'inizio di Qumran si mette a contatto diretto lo spasimo
del parto con la nascita del bambino, che segue immediatamente alle doglie
improvvise (<<Un uomo usciva fuori dalle sue increspature>>, v. 10). Nell'Apoca-
lisse, invece, le difficoltà sono concentrate nel tempo che precede l'evento del
parto.
C'è in comune l'immagine di fondo: un parto, con tutte le difficoltà che
esso comporta, riesce; lo stesso accade al protagonista dell'inno che, passando
attraverso il momento critico della sua angoscia, mantiene piena la fiducia in
Dio che poi verrà premiata con una liberazione degli avversari (cf. inizio
dell'inno, specialmente v. 3,5). .
Ma è più significativo il diverso livello di elaborazione che abbiamo rile-
vato nei particolari sopra notati: l'Apocalisse ci fornisce un modulo da svilup-
pare, Qumràn ci mostra come può essere sviluppato, accentuando, esplici-
tando particolari a seconda del significato che si vuole estrarre dal simbolo.
Il conclusione: il gruppo ecclesiale si aspetta, secondo l'indicazione
generale del simbolo, un momento critico che poi viene risolto; ma non può
ancora precisare la natura né del momento critico né della sua risoluzione.
Per completare il quadro che può illuminare per la decodificazione di
questo aspetto del grande segno occorre un'ultima precisazione: nella lettera-
tura rabbinica, in genere di datazione posteriore ma che interpretando l'Antico
Testamento (specialmente Js 26,17: 66,8; Ger 22,23; 30,6; Os 13, 13; Mi 4,9s)
può avere fatto sentire il suo influsso almeno generico, premendo forse sul suo
frasario e sulle sue immagini, sull'autore dell'Apocalisse, ricorre il tema dei
<<dolori messianici» collegati con gli ultimi tempi. Si dice, in sostanza, che
nell'immagine del parto viene espresso il massimo di quella tensione che
precederà l'irruzione del tempo salvifico e la certezza che questo tempo
salvifico si verificherà storicamente.'-'

" Traduzione di L. MoRALDt, l Manoscritti di Qumran, Torino 1971, pp. 372-373.


43
H. Cìollinger riassume felicemente questo aspetto importante: «Zugrundc licgt wohl
folgende Vorstcllung: wie dic Wehen Anzeichen der cinsctzcnden Geburt sind und diese

240
Ritorniamo all'Apocalisse. La donna-popolo di Dio che viene presentata
al gruppo ecclesiale, è caratterizzata proprio dal punto critico del parto:
woivouoa, il parto sta avvenendo. Interpretando il simbolo alla luce dei testi
veterotestamentari che esso evoca, ciò significa che il tempo escatologico, della
salvezza piena, è già in atto e fa sentire tutta la sua pressione: la donna-popolo
di Dio lo sta vivendo in pieno. Preso atto di tutto questo, il gruppo ecclesiale si
sente coinvolto e stimolato: dovrà determinare nel suo orizzonte le modalità
con cui vivere la tensione escatologica irreversibile che, simboleggiata appunto
dal parto, si sente attribuita.
La conclusione viene messa in risalto da tEXEiv. II verbo" dice più di
woivw: indica proprio l'effetto, quasi a prescindere dal dolore. II risultato del
parto è presentato e ricercato nella sua completezza.
Decodificando l'immagine, il gruppo ecclesiale puntualizza l'impegno
prolungato nelle scelte personali che si richiedono per !"attuazione piena del
tempo escatologico. Esso non si realizza automaticamente e di sorpresa; è
rapportato alla nascita del Messia, come evento che deve verificarsi e verso il
quale tutto Io sforzo è proteso.
Ma come deve intendere, il gruppo ecclesiale, la nascita del messia? II
secondo livello simbolico non è stato mai riferito a Maria, come esigerebbe la
continuità dell'immagine, dato che è sempre la stessa <<donna>> la protagonista
di fondo sia del primo che del secondo livello. Ma mentre il primo livello si
presta facilmente a esprimere, nella suggestività delle sue immagini, dati
mariologici, il secondo andrebbe contro la credenza tradizionale del parto
indolore. Sul piano esegetico l'inapplicabilità a Maria del secondo livello
comporta anche quella del primo.

6. IL SECONDO SEGNO

Al gruppo ecclesiale che si sta ponendo la domanda sul significato da dare


all'evento del parto, l'autore con una variazione improvvisa, presenta un
quadro simbolico diverso, che viene però subito messo in rapporto col primo:
vv. 12,3-4a xal wcp1'hj ér).ì.o GTJ[J.Eiov Èv t0 oùgav0
xal ioou

unweigerlich nach sich ziehen, so bringt der Hohcpunkt der Not und Bedrangnis der GHiubigen
notwendig dic eschatologische Geburt d.h. die mcssianische Heilszeit hcrvor. Mit dicsem Bild ist
aher nicht nur das absolut sichere Hereinhrcchcn der Hcils7eit. sondern auch dic Notwendigkeit
der Wehen ausgcsprochen: wie das Kind nicht zur Welt kommen kann, hcvor dic Wehen ihren
Hòhepunkt crreicht haben. so kann ùic neue llcilszeit nicht anbrechen, bcvor lkdrangnis und
Vcrfolgung auf ihrcn Hohepunkt ~elangt sind. Mit der Detonung der Notwcndigkcit, 7.ugleich aber
auch der zcitlichcn Bcgrenzung der ·dctztcn bòscn Zeih~ ist dieser letztcn Orangsalszcit ein Sinn
gegcben: sic ist die uncrlassliche Voraussetzung fi.ir die ncue. ftir die Hcilszcit und muss dieser
nicht nur weichen, sonùcrn sie sogar sclbsl hcrvorbringen. Daher biete! sich das Rild der Wehen
fiir Trostschriftcn in Verfolgungszcitcn gcraùczu an~' (Das «GroJse 7.eichen>~, pp. 135-136).
LI ccGebiiren ... eigtl. m. Akk. uiòv u.a.l), BACER, Griechisch-deUL'ìches, s.v.

241
ÒQUX.WV f.l.Éyaç ltuQQÒç
t:xwv x.Hpaì.àç Ém:à x.at x.ÉQata Mx.a
x.al trrl tàç x.Ecpaì.àç a'Ùtoù Émà ÙLaÙ~f!ata
x.al TJ O'ÙQà a'ÙtoÙ mJQEl tÒ t(JL tOV tWV éwtÉQWV tOÙ O'ÙQUVOÙ
x.at [~aÀEV a'Ùtoùç Ei.ç ri)v yijv.
E fu visto un altro segno nel cielo
ed ecco
un drago rosso grande
che aveva teste sette e dieci coma
e sulle sue teste sette diademi
e la sua coda trae il terzo delle stelle del cielo
e le gettò verso la terra.
Si tratta di un <<altro segno>>: il termine aÀÀo posto solo a qualche versetto
di distanza dal primo Ol]f.l.Eiov ha una funzione letteraria di collegamento e
insieme di distinzione tra i due." Questo nuovo segno di decodificazione, pur
non avendo l'importanza del primo (non è detto <<grande») deve assorbire
interamente l'attenzione del gruppo ecclesiale: si tratta sempre di un messaggio
cifrato che, non meno del primo, viene situato nella zona della trascendenza
divina: appare anch'esso, <<nel cielo».
Qual è il valore di questo nuovo segno? L'attenzione del gruppo
ecclesiale viene esplicitamente stimolata da x.al iòou <<ed eccO>>, letteralmente
<<e vedi>>. Dopo lo t~Jcp-lh] generico, riguardante tutto il <<segno» di prima, si
tratta di un'accentuazione dei particolari che dovranno essere accuratamente
percepiti e decifrati.
II simbolismo teriomorfo - 1\gax.wv, <<drago» - situa il contenuto del
segno in quella fascia di realtà che si svolge al disotto della trascendenza di Dio
e al di sopra del livello proprio della verificabilità umana.
La sua importanza, forse addirittura la sua proporzione immane (f.l.Éya:;),
il suo carattere demoniaco (rrugg6ç) indicano una forza smisurata e temibile.
Dove si trova, come agisce?
L'autore dà, a questo punto, del materiale simbolico particolarmente
grezzo. La decodificazione impegna a fondo il gruppo ecclesiale: il drago ha
una sua completezza, qualcosa di assoluto nel suo genere: lo dice la totalità

'' Di per sé OÀÀo non indica un riferimento a una realtà dello stesso tipo, come sarebbe se
avessimo OEUtEQOV. Ma nell'uso dell'Apocalisse l'aggettivo non ha mai il senso di (<diversità>)
rispetto a una realtà precedente. ma soltanto quello di distinzione. Così aÀ).o; ftyyEÀo; (cf. ad
esempio 14,8.9.15.17.18) è sempre un angelo che è semplicemente distinto da quelli precedenti.
Nel nostro caso si ha la conferma di una distinzione. ma anche di un riferimento reciproco in
15.1 quando il OT]J..LEiov introdotto ancora da àì..Ao viene messo esplicitamente in relazione con gli
altri due che precedono. riprendendo c completando la loro fraseologia: uno sguardo sinottico alle
tre ricorrenze lo mostra con un'evidenza immediata:
12, [ XOL OT)~ELOV ~fyO WqO\'hj tv ,q,OÙ(JOV<jl
12,3 xaì ftÀÀo OT)~ELOV wq;lh] Èv '~' OlÌ(JOV<jl
15,1 xal aÀÀo OT)~Eiov wqoth] EV ,q,OÙ(JOV<jl ~tya xa\ frallJ1017t6v.

242
(bn6.) della sua vitalità (;m:paÀaç) che viene esplicitamente sottolineata.
Il drago è la massima espressione del male.
Ma il male, in tutta la sua vitalità, è sempre limitato: le <<dieci corna»
indicano una potenza circoscritta: è il risultato al quale il gruppo ecclesiale
perviene sommando i due dati che, sempre allo stesso livello simbolico, ma con
scatto successivo rispetto alla prima indicazione. vengono subito indicati:
<<corno>> esprime potenza, forza; il numero 10 invece esprime il limite di una
grandezza che appare smisurata a livello terrestre."
Un'ulteriore indicazione completa la figura del drago: la pienezza della
sua vitalità si concretizza tutta nella storia umana in contatto coi suoi centri di
potere: sulle sette teste del drago si trovano altrettanti <<diademi», le insegne
tipiche dei re." A questa presentazione statica ne segue un'altra di carattere
dinamico: al gruppo ecclesiale che sta scoprendo gradualmente la natura del
drago viene presentata un 'immagine che ne sottolinea a un tempo la forza al di
là di ogni immaginazione e la negatività: con la coda «strappa via» (mJQEL) un
terzo delle stelle dal loro luogo naturale e le getta sulla terra, un luogo ad esse
estraneo. Daniele è il probabile punto di partenza che ha ispirato questa
immagine: <<Esso (il corno) crebbe fino a raggiungere l'esercito dei cieli e fece
cadere a terra una parte di questo esercito e delle stelle e le calpestò con i
piedi» (8,10). L'immagine esprime in Daniele l'auto-divinizzazione di Antioco
IV Epifane.'" Ed è questa caratteristica che viene attribuita al drago: vuole
creare un nuovo ordine, una nuova creazione di cose. e parzialmente ci riesce,
proprio come se fosse davvero la divinità. Ha, quindi, una tendenza ad
autodivinizzarsi e a profanare.
Al gruppo ecclesiale non viene subito detto chi è questo drago, proprio
per non semplificare intellettualisticamente il processo di decodificazione.

" «Die Zehn bezeichnet also offenbar in der Apokalypse eine grosse Fiille im irdischen
Bcreich. Sic ist Vollzahl des Menschlichen und hcinhallct als solchc zugleich ein Mass, eine
Bcgrenzung. Bcsonders deutlich triti dieses Momcnt der Begrcnzung in 2,10 zutage: die Gcmeinde
von Smyrna wird cinc langc. aber von Gott begrenzte Vorfolgung erleben. Ebenso iSI die Macht
Satans und seiner Funktioniirc (IO Hòrner) auf dieser Wclt zwar unvorstellhar gross, aber doch
nicht unhegrcnzt. Denn dic fiir die Menschen so schrccklichen Endereignisse, die Kompromisslo-
se, jedc Vorstellungskraft iihersteigendc Verfolgung und Vcrnichtung finden ehenso ihr sicheres,
von Gott bcstimmtes Ende wic die unheilvolle Macht Satans und seiner Funktioniire» (Goi.LINGER,
Dar •Grosse Zeichen,, p. 87).
" Il termine OtàOlJfLO ricorre nell'Apocalisse soltanto in 12,3: 13,1; 19,12. Distinto da
m:É<pavo;, che suppone una realtà positiva già conclusa, btàOlJfLO sottolinea lo svolgimento in atto
di un potere regale, che può essere positivo (19,12) o negativo (12,3; 13,1).
" «On sait qu'Antiochus à partir dc sa victoire sur le roi d'Egypte de 169 à 166, fait inserire
effectivemcnt ses ti tres divins sur ses monnaies: "Roi Antiochos Theos Epiphancs", l'étoilc
paraissant toujours sur le front diadème et le revers tles tétradrachmes portant l'image du Zeus
Nicéphore dc Phidias, assis sur un trònc. Il est dcvcnu manifcstatement dieu. De 166 à 163. !es
monnaies prcscntent l'exergue le plus développé du Roi Antiochos Theos Epiphancs Nicéphoros.
Outrc la rcpréscntation du Zeus dc Phidias, le roi n'hésite pas à porter le titre proprc au dieu:
Nicéphore, c'est-à-dire qui rcmporte la victoire. La divinisation d'Antiochus Epìphane a eu pour
conséquencc d'évìncer toute autre divinité, si l'an comprend en cc scns la fin du verset 10: elle fit
tomber à terre une partic de celte armée et des étoiles et !es foula aux pieds» (DELCOR. Le Livre de
Daniel, p. 173).

243
L'autore, cioè, non ha dubbi e Io metterà esplicitamente in risalto subito dopo,
quando, parlando del drago, intende <<il serpente antico, colui che è chiamato
diavolo o satana>> (12,9): ma vuole che, prima di questa identificazione biblica
più precisa, il gruppo ecclesiale si renda conto di tutta la portata del secondo
segno che sta decodificando. Il drago, senza essere ancora denominato una
realtà demoniaca, nei tratti simbolici che lo caratterizzano esprime la realtà
prima del nome: si tratta di una forza immane, presente e attiva nella storia, di
tipo dissacratore e con pretese di autodivinizzazione. È, come risulterà chiaro
in seguito, il demoniaco che agisce nell'ambito dell'uomo e attraverso gli
uomini. e che, nonostante tutte le pretese e apparenze, non si potrà mai
contrapporre a Dio sullo stesso piano. Il drago sarà sempre sotto il controllo di
Dio, ma nello stesso tempo agirà con delle modalità, con delle leggi, uno stile,
una logica che gli uomini potranno avvertire solo in parte ed esprimere, per lo
più, in termini di negazione."

7. {L <<DRAGO>> E LA «DONNA>> A CONFRONTO

È proprio a questo tipo di forza, in certo senso al di sopra della logica


umana ma presente nella storia, che la donna-popolo di Dio si vede
contrapposta:
v. 4b xai 6 t!Qétxwv f<rtl]XEV Évwmov tl]ç yuvmxòç
ti'Jç f.lEÀÀOUOl]ç tEXELV
'(va OtUV 1ÉX"!] "tÒ 1ÉXVOV aù1i]ç XmacpGYTJ.

e il drago stette davanti alla donna


che doveva dare alla luce
per potere, una volta che questa avesse dato alla luce,
divorare il figlio di lei.
Abbiamo qui una svolta significativa nel procedimento letterario dell'au-
tore: i due «segni» vengono posti l'uno accanto all'altro. Ne deriva un nuovo
tipo di simbolismo, determinato da questa reciprocità. E ne emergerà un filo
narrativo rudimentale ma chiaro, che sarà uno degli elementi caratteristici di
questa sezione.·1"
La contrapposizione è schiacciante per la donna. TI gruppo ecclesiale che
si identifica con essa avverte subito la sproporzione che c'è, a livello storico. tra
quello che esso può fare, tra la salvezza che riuscirà ad esprimere, e le forze
ostili che agiscono in senso contrario. L'autore dell'Apocalisse ponendo ora

" È proprio la <<via negationis» che sembra congeniale all'Apocalisse nella presentazione del
demoniaco. C'è in esso qualcosa <.li assurdo, al di là e al di sopra della possibilità di una logica c
anche di un'immaginazione umana. Cc lo dice. ad esempio, la descrizione della «cavalleria
infernale» in 9,1J.J9.
"'Cf. V ANNI, La struttura, 195-202.

244
uno accanto all'altro - il drago <<sta>> proprio <<davanti» alla donna che deve
partorire - e quindi in confronto i due segni prima sviluppati, ciascuno per
conto proprio e in assoluto, lo suggerisce esplicitamente: da una parte una
donna che, pur avendo inscritta una dimensione escatologica, si contorce nel
dolore di un parto che essa vuole. ma che le riesce difficile; dall'altra un mostro
immane, con una potenza impressionante e con intenzioni ostili palesi. Al
gruppo ecclesiale non riuscirà difficile riscontrare nel proprio orizzonte storico
se esiste - e spesso è esistita: la difficoltà e le persecuzioni anche estreme di
tutti i tempi lo documentano- una forza ostile da interpretare con le categorie
simboliche espresse dal drago e identificarle in concreto.
Intanto il simbolismo continua assumendo la veste di un racconto:
v. Sa xai hEXEv utòv
UQGEV
oç ~ÉÀÀEL ltOL~a( VEL V Jt<lVTU tà É1'tvlj Èv QU~Ù(fl OLÙT]Q(Ì.

E diede alla luce un figlio


un essere maschile
il quale pascerà tutte le genti con verga di ferro.

Il parto, preparato e atteso con tanto sforzo, ha finalmente luogo. E viene


subito indicato al gruppo ecclesiale il risultato immediato del parto: il figlio è
un maschio. La singolarità grammaticale con cui l'autore si esprime stimola
l'attenzione del gruppo: non si ha l'accusativo agaEVa," che sarebbe la forma
regolare; non si ha neppure il nominativo maschile UQOT]V che, pur con sforzo,
potrebbe essere concordato con il nominativo o; che segue immediatamente.
Si ha il nome «maschio» ma espresso al neutro: questa particolarità grammati-
cale è un'incongruenza rispetto al linguaggio normale nel quale l'autore
dell'Apocalisse non sembra trovarsi mai a suo agio.
E che cosa suggerisce l'autore al gruppo ecclesiale mediante questo
procedimento artificioso? Si ha immediatamente l'impressione di una certa
bipolarità. Da una parte viene suggerita l'idea forza, di dominio, di importan-
za. Il termine maschio, al tempo dell'autore dell'Apocalisse, evocava sponta-
neamente tutto questo." Nello stesso tempo- ecco l'altro <<polo»- il termine
viene espresso in una forma grammaticale neutra, che lo mette in confronto e
lo isola dal maschile ul6v tendendo a spostare il discorso dal concreto verso
l'astratto, e ciò è tanto più sorprendente in quanto il sostantivo precedente,
ul6v, è iitequivocabilmente maschile.

~~ Le incertezze nella tradizione manoscritta confermano la peculiarità dell'espressione:


troviamo O.goFva in S P 47 , Ò.QCJEV in A C.
-~ 2 A parte l'infondata accusa di un anrifcmminismo- particolare - a smentirla basterebbe
l'importanza attrihuita alla donna in tutta l'Apocalisse-. l'autore si esprimeva nelle categorie del
suo tempo. Allora, sia nell'<imbiente culturale semitico che in quello greco, l'uomo. il maschio,
appunto, dava il tono a tuili gli aspetti della vita. specialmente a ciò che riguardava il rapporto di
confronto con gli altri (difesa, valutazione, commercio).

245
Il gruppo ecclesiale, perplesso in un primo momento, piano piano
comprende: il confronto tra Is 7,14 «essa partorirà un figlio» e Is 66,7: <<essa
partorì un essere maschile» indicato da Kraft come la soluzione dell'anomalia
del neutro non appare determinante filologicamente, data l'impossibilità di
esprimere adeguatamente il neutro in ebraico, dal quale, e non dai LXX,
sembrano dipendere gli inserimenti anticotcstamentari dell'Apocalisse.'' Ma il
contesto stesso di Is 66- che abbiamo indicato più sopra - mette sulla via di
una soluzione, come vedremo subito.
Intanto la distinzione tra ul6v c UQ<JFV suggerisce un allargamento, quasi
una univcrsalizzazione, quella appunto insinuata dal neutro più astratto, del
prodotto del parto.
Chi è? Al gruppo ecclesiale viene data una terza indicazione che lo mette
sulla via di una soluzione chiara, anche se complessa. Il figlio, con una potenza
e un "importanza di carattere generale che sembra andare al di là del rapporto
stesso di filiazione, è precisato come colui che, in un futuro ben sottolineato''
<<pascerà le genti con una verga di ferro». La citazione letterale del Sal 2 è
particolarmente illuminante. Dato l'uso che ne è fatto nell'ambito del
cristianesimo primitivo in generale e dell'Apocalisse in particolare (cf. 2,27;
1<),15), non si hanno dubbi sull"identità della persona a cui si allude: è Cristo.
Ma un esame più dettagliato delle altre due citazioni del Sal 2 fatte
dall'Apocalisse permette di precisare ulteriormente.
In Ap 2,27 all'azione di Cristo che concluderà la storia della salvezza nella
sua fase escatologica si associa l'azione dci cristiani vincitori con lui. In Ap
19,15 si ha- ci troviamo nella fase conclusiva dell'asse di sviluppo in avanti e
in crescendo di tutta la seconda parte dell'Apocalisse - la realizzazione della
vittoria escatologica, e anche allora al Cristo, protagonista di tale vittoria, si
uniscono gli eserciti celesti (tà <JTQUTEV!-Iata tà Èv <0 oùgavt)J JÌxoÀ.ov~n
a'Ùt!\l). Si ha una compartecipazione.
Nel nostro testo la situazione è diversa. Il gioco dei tempi ci dice
inequivocabilmente che ci troviamo cronologicamente nella fase pre-escatolo-
gica: all'aoristo EtExEv, al perfetto E<JTT]XEV si contrappone il futuro perifrastico
!-IÉÀ.À.n rrot~tatVELV. Proprio in questa fase pre-escatologica nasce dalla donna-
popolo di Dio, addirittura dal gruppo ecclesiale, un Cristo che concluderà, ma
in un futuro strettamente escatologico la storia della salvezza.

" • ... Kommt di e merkwiirdige Zusammenstellung ul6v und O(lOEV zustande; sie ist kein
grammatischer und stilischer Fchler. kein falscher Ausdruck flir eincn miinnlichen Kn"ben,
sondern sic soli aul beidc Orakcl verweisen: Jes 7.1~ ""sic wird cincn Sohn gebaren"" und Jcs 66,8
""sic gcbar ein Mannliches""» (KRAFT, Die Offenbarung, p. 166). La dimensione messa in risalto dal
Kraft si trova nei LXX (Is 7.14 TÉ~ETm uiòv 66.7 (non 8 1). xui ETEXEV apoEv) ma nel testo ebraico
non ha un riscontro apprezzabile sulla linea del genere dci nomi (ls 7,14: ben; 66.7 ziJkiir). Che qui
l'autore voglia suggerire un significato particolare si può desumere anche dal fatto che, alludendo
dopo aJia donna, usa tranquillamente l'accusativo maschile:(( ... ~n; hnu:v t:òv iiQaFVa» (12,13).
-" Lo dice llÉÀÀ.n aggiunto a notJ..tulvt::Lv. Anche se J.A.ÉÀÀ.fl non ha tutta quella carica
escalologica chl' gli attribuisct.! con insistenza la Gollinger (cf. Da.r (,Grosse Zeichen•>. p. 9t)). unito
a :itoq.t(llvnv che così è reso futuro, si riferisce scnz'altro alla conclusione escatologica.

246
Il gruppo ecclesiale è cosciente che il tempo escatologico è spuntato ormai
definitivamente" come qualifica della situazione che vive. Ma il testo dell' Apo-
calisse che esso sta decodificando gli suggerisce di più: c'è addirittura un'azione
generativa di Cristo che viene attribuita alla comunità ecclesiale. L'immagine è
indubbiamente ardita: il popolo di Dio dell'Antico Testamento (cf. Is 66.H), si
protrae nel Nuovo Testamento e riguarda Cristo, senza soluzione di continuità.
Il popolo di Dio dell'Antico Testamento doveva "dare alla luce" a una salvezza
sul piano storico; la comunità del Nuovo Testamento - ecco la conclusione a
cui giunge gradatamente il gruppo ecclesiale - ugualmente dà alla luce un
Cristo particolare, un Cristo di dimensioni storiche, un Cristo che è, sì, suo
figlio, è generato da essa. ma che poi evade e supera l'ambito del rapporto
madre-figlio. Un Cristo, soprattutto, che è ancora futuro rispetto a una
realizzazione completa delle sue potenzialità.
Il concetto e l'immagine sono tipici d eli' Apocalisse, espressi nella forma
in cui li troviamo, ma non sono estranei all'ambito terminologico e teologico
del Nuovo Testamento. La lettera agli Efesini, ad esempio, ci parla di una
crescita storica di Cristo, fino al raggiungimento della sua natura completa (cf.
Ef 4.13). Nella lettera ai Galati Paolo parla esplicitamente di una consistenza
ecclesiale di Cristo nell'ambito della comunità e la mette addirittura in
rapporto con le doglie del parto, mantenendosi quindi nello stesso ambito di
immagini che troviamo nel nostro contesto: TÉxva ~ou, oiìç n:étì.tv cbòivw
].!ÉXQLç o-ù ].!OQcpw,'}f] XQta"tòç Èv U].!LV (Gal 4,19)."
Analogamente a quanto affermava di se stesso Paolo, il gruppo ecclesiale
che si riconosce nella donna, prende coscienza con stupore di avere questa
missione oltre ogni prospettiva umana: potrà, dovrà esprimere al proprio
livello storico il suo Cristo, dando così un contributo alla formazione di quel
Cristo totale che alla fine della storia realizzerà in pieno la salvezza.
Essa possiede, ne è <<incinta>> (tv yamgi Ezouoa) un Cristo da comunicare,
da donare agli altri; il passaggio del dono avviene tra difficoltà estreme, che rag-
giungono punte parossistiche (xgét~n cbbivouoa); ma queste difficoltà non bloc-
cano la volontà, che la comunità ecclesiale sente, di esprimere storicamente il Cri-
sto che porta con sé: essa si sforza di darlo alla luce (fiuoavt~O].!ÉVIl l:EXEiv)."

" È la nota posizione della Gollinger (cf. Das «Gro.ue Zeichen•, specialmente pp. 164-167),
che però intesa in senso esclusivo ha l'inconveniente di togliere rilievo alla prospettiva futura e di
far quasi scomparire l'elemento cristologico personale che pure è contenuto nelle citazioni del Sal 2
da parte dcii"Apocalissc (cf. specialmente 2.2H u>ç xàyw) e che emergerà pienamente nella fase
escatologica.
" L'interpretazione esegetica del hrano di Paolo pone molti problemi. Felicemente
riassuntiva ci appare la spiegazione del Mussner: <<Erst wcnn Chrisws bei den Galatern eine so
feste Gcstalt angcnommen hat, dass die Gemeinde im Evangclium, und d.h. im À6yoç to'Ù
<Jta1JQOÙ, ganz gcfcstigt ist, hahen die apostolischen Gehurtswehen ihr geistliches Ziel voli
erreieht» (F. MussN>R, Der Galaterbrief. Frcihurg-Basei-Wien 1974. pp. 312-313).
~ Questa interpretazione sembra risolvere un'antinomia classica nell'interpretazione di
7

questo brano: la madre sembra la chiesa, il figlio è Cristo. Come combinare questo rapporto?
L'interpretazione mariologica salva bene la seconda parte. ma mortifica la prima: l'interpretazione
ecclesiologica si trova in imbarazzo nello spiegare la nascila ùi Cristo, e allora si sono avute

247
E l'aspirazione si realizza: l'espressione storica di Cristo da parte della
comunità avviene realmente (EtEXEV), il Cristo che così viene espresso dipende
davvero dalla comunità (vlov), ma ha una forza propria (agoEV) che saprà
superare i limiti che la comunità inevitabilmente comporta: alla fine saprà
concludere lo sviluppo della storia della salvezza (oç f!ÉÀÀEL).
Ma rimane una difficoltà che il gruppo ecclesiale sente particolarmente
pesante: l'espressione storica di Cristo contrasta con la situazione diversa che
storicamente esiste e che, anzi, ha delle proporzioni immani, sproporzionate
dal punto di vista di una valutazione sociologica, al bene cristologico che il
gruppo ecclesiale è in grado di esprimere. La decodificazione complessa del
<<segno» del drago fa sentire al gruppo ecclesiale con particolare acutezza e
quasi con un senso di spavento, la sua picolezza di fronte alle forze ostili, che
gli sono storicamente simultanee.
Ma qui st verifica uno di quei casi tipici della imprevedibilità risolutiva
di Dio:
v. Sb xal ~grraofh] 1:ò 1:Éxvov au"tT]ç
JtQÒç TÒV ~EÒV XUL 1tQÒç l:ÒV ~QOVOV UlJTOU.

e fu rapito il prodotto del parto di lei


verso Dio e verso il trono di lui.
Troviamo, anzitutto, una maggiore determinazione nel rapporto materni-
tà-filiazione: <<il figlio» dato alla luce, il <<maschio>> con quel valore generico che
abbiamo notato, diventano 1:Ò tÉxvov aùtTjç letteralmente <<il frutto del parto
(nx-) di lei». Si ha, poi, un passaggio brusco. Il figlio della donna - quella
realizzazione storica di Cristo che la chiesa è riuscita ad esprimere - viene
sottratto, <<rapito», - strappato violentemente se vogliamo conservare al
termine usato ~grraalhj tutto il suo valore usuale"- alle intenzioni feroci del
drago e situato allivello della trascendenza di Dio, presso il <<trono di Dio» che
simboleggia, in tutto l'arco dell'Apocalisse, l'onnipotenza divina esercitata
nella storia. Il bene da esso comunque realizzato, il Cristo che sarà riuscito ad
esprimere, anche se storicamente fragile, debole, incompleto rispetto alle forze
ostili che agiscono in senso contrario, non andrà perduto, non sarà schiacciato.
Nella fase pre-escatologica in cui si trova, il gruppo sa che tutto quello che
esprime di positivo è come assunto e fatto proprio dalla trascendenza divina,

spiegazioni anche suggestive (la nascita del Cristo pasquale dalla chiesa dell'Antico Testamento:
Feuillet, Pikaza) ma che. prescindendo dal presente del gruppo ecclesiale che fa per se stesso il
lavoro di decodificazione e l'applicazione alla sua storia. rimangono troppo nel vago.
-~ Il termine contiene un'idea di spostamento violento innaturale: <<rauben. fortschleppen»
(BAUER, Griechisch-deursches, s.v.). Il contesto di minaccia immediata c potente- il drago in
posizione di divorare il figlio della donna- suggeriscono di dare al verbo turta la portata del suo
significato abituale. Cf. per tutta la questione, Got.UNGER. Das «Grosse Zeichen», p. 100 (con la
riserva che alcune ricorren?.e nel Nuovo Testamento, come Mt 11,12; 12,29; 13.19; Gv 6,15;
10,12.29; At 23,10; Gd 23 vengono trascurate in confronto con At 8,39; 2Cor 12,2.4; lTs 4.17).

248
fin da ora. Nella fase escatologica strettamente intesa, alla conclusione della
storia della salvezza, quando Cristo annienterà tutto il male, anche il <<drago>>
avrà la sua sorte. Nella battaglia finale, Satana raccoglierà le <<genti>> (tà rtlvrj)
dai quattro angoli della terra, ma poi sarà sconfitto insieme ad esse (cf. Ap
20,8). A questa sconfitta finale del male viene richiamato il gruppo ecclesiale
con l'allusione a Cristo che pascerà <de genti>> (tà EtìvTJ) con verga di ferro.
Si apre quindi per il gruppo ecclesiale, che discerne e decodifica. una
duplice prospettiva: da una parte l'impegno a fare tutto il bene possibile, a
esprimere tutto il suo Cristo nel momento storico in cui vive. nonostante la
preponderanza delle forze ostili negative che sembrano opporvisi; dall'altra si
fa intravedere al gruppo che quanto esso riesce a realizzare adesso si pone sulla
linea del trionfo escatologico, completo anche storicamente, che Cristo saprà
realizzare alla fine.

8. LA DONNA NEL DESERTO

Il quadro simbolico, dopo il confronto tra il drago e la donna, sembra


concentrarsi, per un momento, esclusivamente su quest'ultima. In seguito il
confronto riprenderà e avrà nuove fasi drammatiche (cf. ad esempio, Ap 12,13-
18). Per ora si ha come un epigono letterario della tensione drammatica che ha
contrapposto i due segni, la donna e il drago. Il drago, deluso nella sua
aspettativa dal rapimento del bambino sfogherà il suo furore contro la donna e
ciò sarà detto in 12,17-" Da parte della donna si ha una fuga che trova la sua
piena spiegazione nel fatto di una minaccia superiore - quella appunto del
drago - alla quale la donna intende sottrarsi:
v. 6 xat ~ yuvi) ÉqmyEV Eiç t'ijv i:QTJJ.!OV
01tOU EXEL ÈXEL témov ~tOlJ.!OOJ.!ÉVOV WtÒ tOÙ {}wù
LVO ÈXEi tgÉqJWOlV autljv ~~-~Égaç XLÌ..laç ÒLOxoo[aç t!;~xovta.

E la donna fuggì nel deserto


dove ha un luogo approntato da Dio
in modo che là la nutrano per 1260 giorni.

Al gruppo ecclesiale che discerne viene subito richiamata, attraverso


l'indicazione del luogo, la situazione del popolo di Dio - di cui il gruppo
ecclesiale sente di far parte - durante il periodo del deserto.

" Tutto il brano 12,13-18 riprende e sviluppa il contrasto tra il drago e la donna,
sottolineandone il livello storico terrestre. Si ha come un progressivo avvicinarsi alla terra, alla
storia da 12.7 in poi. È una spiegazione, quasi un aiuto alla decodificazione che viene offerto al
gruppo ecclc<iale, a cominciare da 12,H. Il parallelo letterario della Gollinger mette opportuna-
mente in risalto lo sviluppo della contrapposizione tra la donna c il Urago (cL Das ((GrcHse
Zeichen•, pp. 113-114). La fuga di 12,6 sembra ripresa in 12,14.

249
E il deserto ha costituito come un concentrato simbolico denso e
misterioso, che è stato interpretato diversamente nella tradizione biblica: è il
luogo della tentazione e dell'infedeltà oppure il luogo del rapporto ideale -
l'amore della giovinezza - tra il popolo e JHWH."'
L'autore dell'Apocalisse presenta una formulazione sua propria del
simbolo teologico del deserto: esso appare anzitutto come il tempo della
~ÀL1!nç della prova determinata dalla pressione delle forze ostili a radice
demoniaca impersonate nel simbolo del drago. Il deserto viene presentato
dall'autore dell'Apocalisse esplicitamente come un luogo appropriato per la
donna-popolo di Dio, luogo che Dio stesso ha predisposto e preparato.
E significa rifugio. protezione, purificazione, verifica, amore nella difficoltà e
nel travaglio. Il tempo e il luogo del deserto appaiono talmente confacentisi
alla donna-popolo di Dio, da essere definiti come suoi propri nello sviluppo
interpretativo dei due segni che l'autore ci offre a cominciare da 12.7.
In questa situazione Dio non fa mancare il suo aiuto. Come aveva fatto nel
deserto quando aveva nutrito Elia (cf. 1Re 17,1-7), il suo popolo con la manna
(cf. Es 16), in un contesto particolare di amore (cf. Os 2,16-18), così ora alla don-
na-popolo di Dio non mancherà il necessario per la sua vita di popolo di Dio.
Avrà un nutrimento, che potrà essere molteplice, come indica il plurale TQÉcpwmv
a soggetto indeterminato, nelle sue modalità concrete, ma che risalirà sempre al-
l'iniziativa della premura di Dio. L'espressione <<1260 giorni» che sottolinea l'ele-
mento temporale del quadro simbolico del deserto, può essere forse stata ispirata
da Daniele 12,11," ma acquista nell'Apocalisse un contenuto proprio, lo stesso
che hanno delle cifre equivalenti nel c. 11 :"' si ha sempre la metà di 7 anni: data la
totalità simboleggiata dal numero 7, viene sottolineata l'idea di una parzialità.
È questa una qualifica del <<tempo breve•• delle forze ostili: esso potrà avere la
stessa durata cronologica del tempo proprio delle forze positive, ma è già come
corroso dal di dentro dal confronto con il tempo di Dio.
Un nutrimento dato allora per un periodo di tre anni e mezzo, per il
tempo della parzialità e della pressione delle forze ostili, sottolinea che questa
ci sarà, ma che non potrà mai intaccare il tempo di Dio.
Non solo quindi - viene suggerito al gruppo ecclesiale che ascolta e
discerne- ogni espressione di bene sarà garantita nella sua permanenza da un
intervento di Dio contro forze ostili anche immensamente superiori, ma sarà
anche garantita la sopravvivenza efficiente della donna-popolo di Dio che, nel
<<SUO luogo>>, nel deserto, ritroverà costantemente se stessa.

"" Cf. J.L. McKENZIE, Dictionary of the Biblt. Milwaukee 1965, pp. 195·196.
61
KRAFT, Die Offenbarung, p. 166. Ma ci sono ùci prohlcmi che non vanno sottaciuti. Il
numero in Daniele è diverso (1290 giorni per l'aggiunta di un mese intercalato) e si hanno dubbi
fondati sull'autenticità di 12,11. Potrebbe rappresentare una glossa successiva (cf. DELCOR, Le
Livre de Daniel. pp. 258-259).
~>< Si ha prima un computo fatto in mesi: «mesi quarantaUue» (11,2), poi in giorni «1260
giorni• (li ,3).

250
9. RIFLESSIONI CONCLUSIVE

Un'esegesi scientifica non può applicare la figura della donna a Maria.


Neppure lo può fare, lo abbiamo notato, un'esegesi in prospettiva applicativa
seguita, secondo le indicazioni date dall'Apocalisse. nelle fasi della decodifica-
zione del simbolo eseguita dal gruppo degli axouovtE; (1,3). Cercando di
svolgere tutte le implicazioni che questo tipo di approccio ci ha suggerito, non
ci siamo mai incontrati con Maria. Abbiamo, anzi, visto che il secondo quadro
simbolico, con la sua insistenza sulle doglie, non è applicabile alla figura
teologica di Maria neppure come essa emerge dalla liturgia. La donna non è
Maria.
Ribadita con tutta chiarezza questa conclusione che sembra imporsi ed è
condivisa, sia pure con motivazioni diverse, dalla maggioranza degli studiosi, si
deve fare un passo anche nella direzione mariologica.
Il simbolo apocalittico, oltre che un contenuto proprio, ha una sua forza
evocativa, che aiuta a riscoprire e ad esplicitare quello che il soggetto ecclesiale
ha in mente, pensa e desidera. Se il gruppo ecclesiale discernente sa già in
anticipo -l'Apocalisse questo non glielo insegna- che esiste una funzione di
maternità messianica di Maria, la lettura del simbolo aiuta a rievocarla e a
gustarla. Pensando, così, alla donna vestita di sole nel senso di una particolare
vicinanza fecondatrice di Dio, il gruppo ecclesiale potrà sentirsi richiamata la
figura di Maria nel suo rapporto ineffabile con Dio come ci indica Luca. Lo
spasimo delle doglie del parto richiama il quadro di Giovanni 19,15-17 dove,
accanto alla croce, Maria riceve l'incarico messianico di madre della chiesa. Il
periodo del deserto potrà suggerire il travaglio di maturazione che Maria
superò durante la vita pubblica di Gesù.
E con questo ci spostiamo dall'Apocalisse al contesto più ampio del
«circolo giovanneo», nel quale anche l'Apocalisse si situa. E un confronto
accurato tra la figura di Maria come emerge dal quarto Vangelo e Ap 12,1-6
non solo permette, ma sembra implicare una continuità e addirittura una
reciprocità tra Maria e la chiesa. Maria è <<donna» perché rapportata alla
chiesa, la chiesa ha una maternità nei riguardi di Cristo perché rapportata a
Maria. È un discorso da approfondire: lo faremo nella terza parte più
esplicitamente teologica, quando ci occuperemo del rapporto sotto questo
aspetto tra il quarto Vangelo e l'Apocalisse."

" Cf. Parte terza, c. III.

251
capitolo VIli

La novità escatologica attuata: A p 21,1-8 1

l. INTRODUZIONE

Siamo di fronte a uno dei brani piU caratteristici dell'Apocalisse:


l'impegno dell'autore nel presentare e far sentire la nuova creazione con tutte
le sue implicazioni e conseguenze gli permette di formulare un quadro
letterario complesso e suggestivo. Riesce a introdurre il gruppo di ascolto nel
mondo di Dio che diventa anche il mondo dell'uomo.
Il brano inizia con 21, l e si protrae di per sé fino a 22,5, con uno sviluppo
letterario omogeneo che però si svolge in due stadi successivi: anzitutto
abbiamo la presentazione della Gerusalemme nuova <<come una fidanzata già
ornata per il suo uomo•• (21,2).' Si tratta della situazione terminale, escatologi-
ca, ma vista in rapporto alla situazione attuale, con particolare riferimento
all'assemblea liturgica, nella quale la chiesa è e si sente ancora la <<fidanzata»
(21,1-R).'
Il secondo stadio letterario (21 ,9-22,5) ci mostra ancora la Gerusalemme
nuova, ma come la <<fidanzata» diventata <<donna» (21 ,9). Siamo a un livello

1
Indicazioni bibliografiche: A. COLUNGA, El cielo nuevo y la ti erra nueva, in Sal m. (1956) 3, pp.
485-492; 1. COMBLIN, La Liturgie de/a Nouvel/e léru.wlem (Apoc 21.1-22.5), in EThl. ( 195J) 29. rr.
5-40; D.M. SrA~LH, Lo! l Make Al/ Things New (Ap 21,5). in Way (1969) 9, pp. 27R-9J; W.
THiiSING. Die Vision des «Neuen Jerusalems» (Apk 21,1-22,5) als Verheissung und Gottesverkundi-
gung. in TrThZ ( 1968) 77, pp. 17-34; U. VANNI, l peccati nell'Apocalisse e nelle Lettere di Pietro, di
Giacomo, di Giuda, in SC (1978) 106, pp. 372-386.
' Nel brano 21,1-22,5 troviamo una presentazione ripetuta della Gerusalemme nuova,
rispettivamente 21, 1-8; 21.9-22,5. Si tratta di un duplicato, magari accidentale, dovuto alla
combinazione maldestra delle fonti utilizzate? Una risposta affermativa a questa domanda è stata
data dai Literarkritiker e trova uno degli ultimi epigoni in Charles (cf. Revelation, Il, pp. 144-154).
Vedi, per una presentazione sintetica di questo quadro di opinioni. COMBI.IN, La Liturgie, pp. 6-7.
Oggi, superata la mentalità divisionistica della ~<critica letteraria>~ della fine del secolo scorso e
dell'inizio di questo secolo. si tende a vedere nel resto attuale una sua unità. Osserva giustamente
TnOSING, Die Vision. p. 20: ~(Nur scheinbar besteht eine Spannung zwischen diesen beiden Teilen
der Vision... Falls dem Apokalyptiker fiir die beiden Teile der Vollcndungsvision zwci
urspriinglich sclbstandigc litcrarischc Vorlagen (und nicht nur eine Reihe von Einzelmotiven)
vorgegehcn gewesen sein sollten (was moglich, aber nicht zwingend ist), hiitte er sie durch seine
Geslaltung vollig aufeinander hingeordnet>•.
' Cf. Parte terza, c. V, pp. 3H4-385.

253
escatologico, potremmo dire, allo stato puro, visto e considerato in se stesso.'
Esaminiamo direttamente il primo di questi due stadi: 21,1-8.

2. LA PERJCOPE 21,1-8: ASPETfl LEITERARI

Emerge e si impone anche a una prima lettura una constatazione: la


pericope ha una sua organizzazione letteraria unitaria. costruita su quello
schema tipico dell'Apocalisse che mette in rapporto tra loro un verbo di vedere
e un verbo di udire: xat dl\ov ... xat ~xouoa (21,1.3).
La parte uditiva iniziata con <<e udii>> presenta una serie di interventi, di
voci che meritano una particolare attenzione. La prima è <<una voce grande dal
trono>> (v. 3). che poi viene personalizzata: colui che parla è <<il (personaggio)
seduto sul tronO>>; l'intervento del personaggio seduto sul trono viene spiegato
e sottolineato da un À.ÉyEL <<dice>>, senza soggetto esplicito. Si tratta con tutta
probabilità dell'angelus interpres' che, come tale, si rivolge all'autore c, suo
tramite, all'assemblea liturgica terrestre (5b-R). Il nostro testo suppone
l'assemblea liturgica in atto come suo destinatario specifico e come suo
soggetto interpretante' adeguato. Ma vediamo il testo più da vicino.

3. IL CIELO NUOVO E LA TERRA NUOVA

Al soggetto interpretante viene presentata anzitutto la parte «VISIVa»,


introdotta da un verbo di vedere (Elbov). ma che poi va subito oltre quello che
potrebbe essere un possibile quadro d'insieme.
21,1 xat dbov
oùgavòv xmvòv xat yijv xmvi)v'
6 yàg JtQ!Ìltoç oùgavòç xat ~ JtQWtT] yij àmiì-..{}av
xat ~ {}éù.aooa oùx EcrtLV t'n.
<<E vidi
un cielo nuovo e una terra nuova
il primo cielo infatti e la prima terra passarono
e il mare non è più>>.
Per comprendere la portata di questo testo importante occorre anzitutto
situarlo nella continuità che ha con l'Antico Testamento. Si ha infatti un

' Cf. Parte terza, c. V. pp. 381-384.


' È una figura nota nell"ambito dell'apocalittica. L'angelo interprete media tra la rivelazione
simbolica e la sua comprensione. Cf. P. VtELHAUER. Die Apokalyptik, in Neutestamentlìche
Apokryphen (hrsg. E. Henneckc), Tubingen 1964. II, p. 409.
' Cf. per la rilcvanza particolare che assume il soggetto interpretante nell'Apocalisse: Parte
prima, c. IV, pp. 73-86.

254
contatto letterale contestuale con Is 65,17 che merita di essere preso in
considerazione dettagliatamente:
«Ecco che io sto per creare cieli nuovi e una terra nuova. Non si
ricorderanno più le cose di prima, non torneranno in mente».'
La novità che viene sottolineata da Isaia implica un'azione creatrice di
Dio nei riguardi dell'ambiente dell'uomo corrispondente alla sua situazione
definitiva di salvezza. Si attua ora. di fatto, il mondo nella sua totalità -
espressa mediante i due estremi: cielo-terra - in cui <<tutto è buono>>,
intravisto idealmente in Gn L 1-2.3.-' Alla presentazione visiva si aggiunge
subito una presentazione interpretativa, che ha lo scopo di stimolare il soggetto
interpretante a una riflessione: dovrà comprendere in tutta la sua portata
questo rinnovamento previsto da Isaia che ora si è realizzato. Il «cielo nuovo e
la terra nuova>> espressione di un mondo totalmente rifatto, si comprendono
confrontandoli col mondo di prima. Si dice <<il primo cielo infatti e la prima
terra>>. La particella y6.Q «infatti>> sottolinea il carattere di esplicitazione di
tutta la frase. Rispetto alla situazione escatologica «il primo cielo e la prima
terra» sono quelli di adesso. Non si dice che ci sarà una loro distruzione, non si
parla di nessuna catastrofe: si afferma soltanto che tutto l'insieme che
costituisce nel presente il mondo degli uomini, compreso tra cielo e terra, è
destinato a scomparire così com'è, a uscire di scena. Ma c'è di più.
Il rinnovamento comporta il superamento radicale del mondo di prima,
come indica il verbo àni]À-frav «andarono via», nel senso di un rinnovamento
cristologico: xmvoç «nuovo» nell'Apocalisse è sempre riferito a contesti
riguardanti Cristo. Ciò è particolarmente evidente in Ap 5,9 quando si afferma
che i viventi e gli anziani cantano un <<Canto nuovo». Viene ripresa un'espres-
sione caratteristica dei salmi nei quali l'espressione canto nuovo non indica una
nuova melodia ma la attuazione progressiva che Dio fa della sua novità nella
storia. Nell'Apocalisse quest'azione continua di rinnovamento di Dio viene
attribuita a Cristo, al quale compete l'organizzazione del regno di Dio su tutta
la terra. La dossologia che segue (cf. Ap 5.9-14) non fa altro che svolgere tutte
le implicazioni di questo rinnovamento che Cristo imprime a tutto il creato nel
decorso della storia della salvezza, portandolo alla fine a raggiungere un livello
ottimale di novità attuata. È il livello in cui ci troviamo adesso. Il mondo
nuovo, di conseguenza, sarà il mondo cosmico e il mondo degli uomini saturo

7
In Is 65.17 si passa, come qui. dalla creazione di un cielo nuovo e di una terra nuova, alla
presentazione della Gerusalemme rinnovata, trasformata «in gioia» (fl5,IA). La salvezza attuata
comporta, secondo uno schema ahìtu:ile nell'Antico Testamento, una positività realizzata al
massimo c assicurata contro l'insidia degli clementi antagonistici (cf. 65,20-25).
H C'è una corrispondenza sorprendente tra la situazione di un mondo senza male intravista

ne] primo racconto della creazione della Genesi e la situazione di piena positivit3 che qui viene
indicata come realizzata. Una delle ultime pagine della Bibbia. questa dell"Apocalisse. riprende e
completa quanto viene detto nella prima.

255
dei valori di Cristo che con la sua presenza, attuata gradatamente nell'arco
della storia, avrà colmato i vuoti attuali. Il rinnovamento cristologico di cui si
parla viene sottolineato, sia pure indirettamente, da un'espressione a prima
vista strana: l'autore afferma che <<il mare non è più>>. Il mare, infatti.
nell'Apocalisse è visto come il serbatoio abissale del male. Diventa così
sinonimo dell'oppositore di Cristo. del demoniaco. che come tale si contrappo-
ne alle forze positive di Cristo c dei cristiani nell'arco della storia. Il demoniaco
dovrà scomparire. Nel testo che precede (cf. 20.1-10) l'autore ha trattato
esplicitamente la scomparsa di satana dalla scena della storia. Il mare perciò
che adesso deve scomparire indica che nella nuova creazione non ci sarà più
l'antitesi dell'antagonista demoniaco. Tutto sarà pienamente e senza limiti
improntato dalla presenza di Cristo. Il mare stesso, nel contesto di questa
nuova creazione, cambierà natura, diventerà uaÀlVT] «trasparente>>, <<di vetro>>
(cf. 4,6; 15,2).

4. LA «CITTÀ SANTA>>

Continua intanto e si approfondisce la parte visiva: abbiamo il v. 2:

x ai tf)v 1t0Àlv n')v aylav


')EQOUOOÀTJ~ XUlVTJV
dùov
xata~a(vouoav €x tou oùgavou Ù1tÒ tou l'tEOii
ip:m~ao~ÉVI']V
<Ìlç VU~{j)T]V XEXOO~T]~ÉVT]V 1:1].! UVÒQL aùtijç.

«E la città santa
Gerusalemme nuova
vidi
discendente dal cielo da Dio
preparata
come una fidanzata (già) ornata per il suo uomo>>.

Viene ripreso il simbolismo globale dell'A T che vede in Gerusalemme


l'espressione ideale di tutto il popolo di Dio reso santo dalla vicinanza divina
che si concretizza nella presenza del tempio.
La figura di una Gerusalemme idealizzata è particolarmente sviluppata
nell'Antico Testamento e nell'apocalittica. sia anteriore che posteriore al-
l' Apocalisse di Giovanni. l testi dell'Antico Testamento hanno certamente
influito, qui come in generale, sull'Apocalisse. Per il nostro versetto ci sono dei
contatti contestuali con due passi di Isaia:

<<Svegliati, svegliati, rivestiti della tua magnificenza, Sion; indossa le vesti


più belle, Gerusalemme, città santa>> (Is 52,1).

256
L'immagine del vestito viene poi specificata in termini nuziali in Is 61,10:
«lo gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio,
perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto
della giustizia, come uno sposo che si cinge il diadema e come una sposa
che si adorna di gioielli>> (Is 61, IO).
Ma, sia per questi testi e per altri possibili, vale quanto abbiamo osservato
più volte. L'A T per l'Apocalisse è un punto di partenza, per lo più ispiratore,
mai un punto di arrivo. La novità come tale, la novità soprattutto intesa in
senso cristologico, sono elementi tipici che qualificano, in senso assertivo e
esclusivo, la Gerusalemme dell'Apocalisse.
Questo discorso vale a maggior ragione, sembra, per le figure di Gerusa-
lemme presenti nell'apocalittica, elaborate per lo più in prospettiva terrena.
Nell'Apocalisse la Gerusalemme nuova indica sia il popolo di Dio nella
pienezza della sua situazione escatologica, sia l'ambiente nuovo in cui essa si
trova. Come vedremo subito, il <<cielo nuovo» e la <<terra nuova» coincidono
con essa. Così quella che era la <<città santa», resa tale dall'appartenenza a Dio
e dalla presenza del tempio, diventa adesso, pervasa dalla novità di Cristo, la
<<Gerusalemme nuova».
La Gerusalemme terrestre, simbolo anch'essa del popolo di Dio (cf.
ll,lss), è superata. La <<nuova>> Gerusalemme, infatti, non ha, come la prima,
un'origine terrestre. Proviene direttamente dalla trascendenza, dal <<Cielo».
L'autore insiste sorprendentcmcnte sul presente: «Vede>>, pensa la Gerusalem-
me proprio mentre essa «sta scendendo» (xm:a~a[vouoav) dalla zona della
trascendenza, dal «cielo». Con essa, la trascendenza stessa viene in contatto
con gli uomini, stabilendo così un nuovo rapporto tra immanenza e trascenden-
za. Non incontreremo più m)gav6;, «cielo>>, simbolo tipico della trascendenza
attuale.
Un'altra osservazione. L'autore vede la Gerusalemme mentre sta discen-
dendo dal cielo con un'azione continuata, come suggerisce il participio
presente xaTa~a[vouoav. È la continuità della penetrazione della «novità>> di
Cristo nella storia come si realizza progressivamente in tutto l'arco di sviluppo
della storia stessa.
La provenienza dal cielo viene, infatti, accentuata e personalizzata: la
Gerusalemme non solo discende genericamente dalla trascendenza (Èx mii
oùgavoii) ma deriva direttamente da Dio, da un contatto diretto con lui, come
ci dice l'espressione sinonima, ma accentuativa, che viene aggiunta: à:tò Toii
itwii, proveniente proprio «da Dio», fatta da lui, affine a lui. affine quindi a
Cristo che attua il progetto di Dio.'

9
Dato che ém6 nel greco del NT può equivalere a lm6 come preposizione indicante il
complemento di agente (cf. BAUER, Worterbuch. pp. 174-176). è possibile riferire &.:tò ttwv a
tltoL~ao~ÉvT) col significato risultante di «preparata da Dio•>, e col vantaggio di togliere !"apparente
duplicato tra h ,o,; oùgavoù e &.:tò mù flEDii. Ma l'espressione ~mii'UOEV Èuu"jv (cf. nota

257
Pur provenendo direttamente da Dio e in una situazione di particolare
affinità con lui e con Cristo, la Gerusalemme non è creata dal nulla e
all'istante. La sua discesa progressiva viene ora ulteriormente specificata in
termini di preparazione. A quella che è l'azione propria di Dio si affianca in
parallelo un'azione propria del popolo di Dio e quella della Gerusalemme in
19.7: la <<donna>> futura dell'agnello durante il decorso della storia confeziona il
suo abito da sposa, e, in questo senso, si prepara al traguardo della nuzialità
escatologica. Ma è Dio che rende l'abito confezionato <<puro e luminoso»."' La
Gerusalemme risulta ora, nel contesto della sua attuazione escatologica, come
rp:oq.WO!AÉVT]V' già preparata. E viene subito specificata la preparazione
effettuata come quella tipica di <<una fidanzata>> la quale si è ormai adornata,
vestita del suo abito nuziale (cf. 19,8), pronta per l'incontro del matrimonio,
all'altezza di realizzarlo. Non si tratta di una comparazione generica. La
<<fidanzata>> (vU!-l(JITJ) è la chiesa stessa riunita nell'assemblea liturgica (cf.
22,17): è lei che è destinata a diventare, preparandosi mediante i suoi <<atti di
giustizia>> (19.8), e arricchita direttamente da Dio, la <<Gerusalemme nuova>>.
L'impatto col gruppo di ascolto, che costituisce l'assemblea ecclesiale in atto, è
immediato e provocante.

5. «ECCO LA TENDA DI DIO CON GLI UOMINI>>

Segue a questo punto, nell'ambito della stessa unità letteraria, la parte


<<Uditiva>>. Ci aspettiamo, secondo lo stile abituale dell'autore quando usa lo
schema visivo-uditivo, una determinazione ulteriore di quanto abbiamo visto.
v. 3 xat t;xouoa
q~wvijç !AEYOÀT]ç Éx "t:OU ~QÒVOU
ÀEYOUOT]ç·
iboù ~ OXT]VÌ] mii ~EOU !AETÙ TWV à~Qom:wv
xat OY.TJVOJOEL !!Et· àu-rwv
xat mhol Àaol aùwii €oov-rm
xat aù-ròç, 6 ~Eòç 1-ln'àu-rwv,
fo-rm aù-rwv ~Eoç.

precedente) suggerisce di intendere, anche qui, la donna come soggetto attivo rispetto a
~toq.1aa~v. D'altra parte ànò toù 6Eoil non è una ripetizione rispetto a tx toù OÙQavoU: dato
che si tratta di un c.:ciclo nuovo", che indica la «Zona'~ propria di Dio, ma senza più una divisione
dalla zona degli uomini, si ha praticamente un sinonimo puro e semplice c.li Dio: provenendo dal
cieJo, la Gerusalemme nuova deriva direttamente proprio da Dio. ·
10
Troviamo proprio in 19,7-8 questi due aspetti distinti. Da una parte viene detto che la
«donna dell'agnello preparò se stessa)) (f)tol(J.aarv tat 1 T~v); in parallelismo sinonimico con questa
azione di preparazione si aggiunge che «le fu dato•) - tb6thr si tratta di un passivo teologico che
suppone Dio come agente attivo- di rivestirsi di un lino puro e splendente". Poi. distinguendo
chiaramente tra il lino c la sua purcua e il suo splendore, si afferma che esso si riferisce «all'azione
di giustizia dei santb). Il lino, quindi. è proprio dei «Santi)•. dci cristiani, è l'abito da sposa che essi
confezionano ogni giorno; lo splendore della trasccnclcnza viene ':onfcrito all'ahito direttamente da
Dio.

258
«E udii
una voce grande (che veniva) dal trono
che diceva:
"Ecco la tenda di Dio con gli uomini
e metterà la sua tenda con loro
ed essi saranno i suoi popoli
ed egli, Dio con loro,
sarà il loro Dio",,,

La voce che parla e che viene udita proviene dal trono, ma l'autore non ne
specifica il soggetto. A lui interessano esplicitamente altri dettagli simbolici: lavo-
ce <<grande»: non in senso acustico, ma per l'importanza particolare che riveste;
deriva dal <<trono», simbolo della capacità decisionale di Dio attuata nella condi-
zione della storia. È questa onnipotenza impegnata attivamente nello sviluppo
della storia che ora esprime parlando, la conclusione a cui la storia è giunta.
La Gerusalemme nuova presentata nella parte visiva vi.:ne adesso
interpretata come la ~tenda di Dio con gli uomini>>. Su questa identificazione
viene attirata particolarmente l'attenzione del gruppo di ascolto: lo indica
l'insistenza sulla voce che parla c la sua solennità, lo indica anche e in modo
particolare il termine loou, <<ecco>>, propriamente <<vedi>> che ricollega stretta-
mente il discorso di adesso alla parte <<visiva>> di prima: si tratta di vedere, di
vedere ancora, in maniera più precisa e profonda.
Ma qui urtiamo con un'incongruenza apparente. La nuova immagine
della tenda di per sé è incompatibile con quella della <<città» a cui si riferisce. Si
ha un simbolismo a struttura discontinua che, come tale impegna particolar-
mente l'attività del soggetto interpretante:" la <<tenda>> era, nell'A T, indistinta-
mente, abitazione di Dio e abitazione degli uomini." Questa immagine
applicata alla Gerusalemme nuova dice che essa. appunto come una tenda
unica, è un'abitazione comune condivisa da Dio e dagli uomini. Il cielo, infatti,
come <<zona» esclusiva di Dio non compare più e non compare più neppure la
terra (se non nella menzione sporadica e stereotipa dei <<re della terra>> di
21,24). Si ha, adesso, un cielo <<nuovo>> e una terra <<nuova» nel senso di una

11
Cf. Parte prima, c. Il, pp. 55-59.
12
Troviamo documentato ampiamente questo fatto nell'uso dei tennini 'ohel, mi!k!Jn,
sukkii, tutti resi con m<l]vtl dai LXX. L'uso delle tende in israele era talmente diffuso che si
potrebbe «dare una panoramica della storia del popolo di Israele con l'ausilio di passi che
costituiscono la parola m<l]vTJ» (W. MICHAEI.IS. m<l]VT], in GLNT XII, col. 455). La tenda si
riferisce anche alla presenza di Dio in mezzo al suo popolo: è il tabernacolo, m<I]VT] secondo i LXX,
'Ohel, e miJktln secondo il testo ebraico: «Quale 'ohel, il tabernacolo (e lo mostra l'espressione
molto frequente '6hel m6'ed, tenda dell'incontro))) non deve essere stato pensato come un luogo in
cui Dio abita costantemente, ma come uno in cui Dio ogni tanto si fa trovare per l'incontro. Nella
designazione miJkiin. invece, deve essere implicito che Dio abita nel tabernacolo )•• (In_, crx.TJvft,
459). Le tende degli uomini c quella riferita in certo senso a Dio rimangono sempre distinte, anche
se si nota qualche volta la tendenza da parte dell'uomo ad abitare «nella tenda di Dio» (cf. Sall5,1;
61,4).

259
piena realizzazione a tutti i livelli della novità di Cristo. Come mostra chiara-
mente la descrizione dettagliata della Gerusalemme realizzata (21,9-22,5), esi-
sterà soltanto la città-donna. in una situazione di comunione paritetica con Dio
e con l'agnello. Non si parlerà di un habitat, di un ambiente distinto nel quale
collocare la città. Già fin da 21,1 il «Cielo nuovo» e la <<terra nuova>> indicano
rispettivamente una nuova <<zona>>, un nuovo tipo di abitazione di Dio (cielo) e
una nuova <<zona>>, un nuovo tipo di abitazione degli uomini (terra) realizzati
-l'uno e l'altra- sotto l'influsso della risurrezione di Cristo, apportatrice del-
la <<novità>>. Uno sviluppo letterario successivo ci ha presentato la Gerusalem-
me nuova; il terzo sviluppo che stiamo esaminando ci dice che la nuova abita-
zione di Dio c degli uomini è come una «tenda>>, unica, comune a Dio e agli
uomini e coincide con la Gerusalemme. Si ha quindi un'equivalenza stimolante
tra <<nuovo cielo e nuova terra>>, <<Gerusalemme nuova>>, <<tenda>>.
L'iniziativa di questo superamento umanamente inconcepibile della
barriera attuale tra immanenza e trascendenza è propria di Dio. Anche gli
uomini abiteranno con Dio, ma l'iniziativa di questa condivisione è sua: è lui-
si sottolinea, con una personalizzazione in parallelismo sinonimico progressivo
con la frase seguente - che <<abiterà nella tenda>> ( OKl]VWOH) con gli uomini.
C'è, a proposito di questa espressione e di quelle che seguono, un
contatto letterario, contestuale e letterale, con Ez 37,27:
<<Su di loro sarà la mia dimora. Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio
popolo>>.
Quello che Ezechiele afferma come realizzazione della formula dell'al-
leanza («lo a voi Dio. voi a me popolo>>) nel contesto della risurrezione
escatologica del popolo di Israele, viene riinterpretato dall'Apocalisse in una
prospettiva ancora più vasta: la pienezza della vita dipende da una nuova
condivisione di tutto con Dio, realizzata dalla partecipazione piena alla
risurrezione di Cristo. In questa coabitazione di Dio c degli uomini si attua la
formula della reciprocità dell'alleanza. La formula antica <<lo sarò il vostro
Dio, voi sarete il mio popolo>> viene ripresa dall'Apocalisse e riformulata in
maniera nuova e originale: <<Essi saranno i suoi popoli (:\.aol) ed egli stesso,
Dio con loro, sarà il loro Dio (i'mat énmov frE6ç)>>. Il plurale À.ao(
(documentato dal Sinaitico, A 046, alcuni minuscoli sembra preferibile, anche
come <<lectio difficilior>>, a :\.aoç testimoniato da P 051 la quasi totalità dei
minuscoli, vari Padri) indica un allargamento dell'alleanza dell'antico Israele a
tutti i popoli. Tutti i popoli, a cominciare dai giudei. attraverso Cristo
costituiscono il nuovo popolo di Dio in continuità con l'antico.
Anche la seconda parte della formula dell'alleanza riinterpretata presenta
dei problemi per quanto riguarda la sua tradizione manoscritta.
Troviamo f.LE't' aùnov Em:at aùnov frE6ç in A. nelle versioni più antiche,
Ireneo, Ticonio, Ambrogio, Beato, ecc.; P 051 alcuni minuscoli e Andrea di
Cesarea hanno EOTat f.LET' àunov frEòç aùn:iJv; il Sinaitico, alcuni minuscoli.
Ambrogio, Agostino, Primasio, alcuni codici di Andrea presentano una

260
lezione ridotta llrt' àU1:&v fcrtaL. Sulla derivazione delle varie lezioni si sono
fatte consideraziooni che sembrano ugualmente plausibili sulla linea di
un'aggiunta rispetto al testo del Sinaitico per un effetto di parallelismo c sulla
linea di una semplificazione introdotta per rendere meno ridondante il testo di
A. Al disopra di queste considerazioni rimane il fatto dell'autorità determinan-
te di A per quanto riguarda l'Apocalisse. Il testo che ci dà, in effetti, richiede
un'attenzione particolare per essere percepito anche nel gioco di parole che
presenta, ma non si può dire ridondante e appare chiaramente preferibile."
Infatti dopo il pronome aùmù della frase precedente, riportante la
formula dell'alleanza c riferito a Dio, il nominativo xat aùt6ç riprende
chiaramente, collegandola con la prima, la seconda parte della formula
dell'alleanza. Ma si specifica l'identità di Dio dell'alleanza alla luce di quanto è
stato affermato parlando di un'unica tenda comune a Dio e agli uomini: dopo
xat aùt6ç viene precisato che si tratta di o{}E6ç ~tEt' aùtwv. <<Dio con loro>> nel
senso indicato. Poi si riprende e si completa la formula dell'alleanza: Ém:at
aùtwv {}E6ç <<sarà il loro Dio».

6. IL SUPERAMENTO DEL MALE

Il Dio dell'alleanza che condivide la stessa tenda degli uomini, fa sentire


gli effetti di questa sua presenza immediata:

v. 4 xat t!;aì.Ebj!n niiv lìétxQUO'V


Èx twv 6cp{}aì.w•>v aùtwv
xat 6 {}éxvm:oç oùx Ém:at Én.
oun nÉv{}oç
OUtE XQUUyTJ
outE n6voç oùx fcrtat ~tL ·
tà ltQWta ÙltTJÀ1'tav.
<<E asciugherà ogni lacrima
dai loro occhi
e la morte non sarà più
né lamento
né grido
né fatica sarà più:
le prime cose passarono».

· " La difficoltà di determinare la «lectio» originale è sottolineata da B. Metzger e dal


comitato internazionale (A Textual, pp. 765-766). Ma è anche una questione di punteggiatura. Se,
come appunto fanno il Metzgcr e il comitato, si pone 1~-t virgola dopo f_crtal (!J.FT' uùtWv Emut,
aùtWv th:ò;) si ha in ogni caso un senso tortuoso. Se, come suggerisce la formula dell'alleanza, si
mette la virgola dopo il primo aUtWv ( ... ò l'tEò; t.tn' aùtWv, Emat a'Òtù.lv l~rò;) il testo corre
lineare, senza prohlcmi di interpretazione.

261
Il versetto si ispira direttamente all' «Apocalisse di Isaia":"
<<Eliminerà la morte per sempre.
Il Signore Dio asciugherà le lacrime
su ogni volto.
Farà scomparire
da tutto il paese
la condizione
disonorevole del suo popolo» (ls 25,8).
Anche qui il testo di Isaia, che pure viene ripreso alla lettera- ci sono due
evidenti contatti letterari- non è una citazione. ma viene rielaborato dall'autore
secondo il suo stile: si ha, nell'Apocalisse rispetto al modello ispiratore di Isaia,
uno spostamento significativo nell'ordine che determina un ritmo nuovo, alta-
mente drammatico; si ha pure un allargamento di prospettiva analogo a quello
rilevato nel versetto precedente: ciò che era detto del popolo di Israele viene
esteso a tutto l'insieme del nuovo popolo di Dio ed è maggiorato.
Mentre in Isaia si ha prima l'eliminazione della morte e poi, come
conseguenza, il superamento del pianto, nell'Apocalisse si inizia proprio con
questo secondo aspetto squisitamente .umano e poi si enumerano le cause che
lo determinano. Tra queste la morte è al primo posto c corrisponde al testo di
Isaia. Ma poi si ha un allargamento di prospettiva rispetto al testo di Isaia, che
sembra riprendere - ed è un elemento che approfondiremo in dettaglio - lo
schema letterario dei primi quattro sigilli (A p 6, 1-8). Nell'enumerazione delle
cause che determinano il pianto è rilevabile uno sviluppo letterario. caratteri-
stico per gli elementi che si corrispondono e lo sviluppo in crescendo: tra i due
oùx f:m:m Ett, collocati uno all'inizio e uno alla fine della enumerazione, con
Ett in posizione grammaticalmente enfatica posto come è dopo il verbo f:m:m e
che determinano quindi un'inclusione, troviamo la sequenza accentuativa dei
tre OU'tE. Subito dopo abbiamo la conclusione, particolarmente solenne e
lapidaria: un oracolo profetico espresso enfaticamente all'aoristo, 'tÙ ngùna
èmf]À~av, mentre tutti gli altri verbi che prece~ono si trovano regolarmente al
futuro (t!;aÀEt1jJEL. .. (m:m ... (m:m).
Ci troviamo davvero davanti a un piccolo capolavoro letterario. Vediamo
da vicino il messaggio che, tramite questo procedimento raffinato e riuscito,
l'autore vuole inculcare al gruppo di ascolto.
Il primo elemento fondamentale è il superamento definitivo del pianto,
attuato da Dio direttamente con un tratto di tenerezza che rientra nel quadro
del simbolismo antropologico: «asciugare le lacrime>>: è lui che, personal-

1
' Oggi distinguiamo- con rondamento- due brani nel corpo di Isaia i quali, per il Iom

stile e il contenuto escatologico tuno particolare, sono denominati rispettivamente «Grande>) (24-
27) e «Piccola Apocalisse di Isaia» (J4.J5). L'autore dell'Apocalisse. data l'utilizzazione ampia che
fa di tutto il libro di Isaia. mostra chiaramente di intercss<Jrsi al lihro, senza privilegiare le
cosiddette parti apocalittiche.

262
mente, «asciugherà ogni lacrima dai loro occhi>>. L'espressione è ripresa da
Isaia, ma con due variazioni significative.
La prima è contestuale. Come abbiamo già rilevato, in Isaia l'abolizione
della morte precede il superamento del pianto, che ne è una conseguenza,
quasi un'esplicitazione. Nell'Apocalisse il contesto sottolinea la presenza di
Dio faccia a faccia con l'uomo. in un contesto di intersoggettività. Ed è proprio
un effetto, un'espressione di questa situazione da capogiro che Dio- sentito
talmente presente che non occorre nominarlo esplicitamente - <<asciugherà
ogni lacrima dai loro occhi>>. Lacrime, pianto c presenza faccia a faccia con Dio
si escludono a vicenda.
In secondo luogo si ha nell'Apocalisse una sottolinea tura di quella
completezza propria della fase conclusiva. Si dice che Dio «asciugherà ogni
(ltav) lacrima>>. Ovviamente anche in Isaia, dove manca <<ogni», si ha
un'azione consolatrice piena da parte di Dio, dato che un'azione parziale in
questo senso appare inammissibile. Una consolazione che proviene da Dio che
ha eliminato la morte - siamo sempre in Isaia- non può essere intesa come
limitata, quasi lasciando un residuo di lacrime. Ma quello che in Isaia è
sottinteso nell'Apocalisse viene esplicitato con l'aggiunta dell'aggettivo «ogni>>
davanti a <<lacrima>>. La forza consolante e liberatrice che scaturisce dalla
presenza immediata del Dio dell'alleanza pienamente realizzata viene percepi-
ta in tutta la sua totalità.
La presenza di Dio, già come tale, comporta il superamento di ogni
negatività, di ogni parzialità. di ogni sofferenza. Partendo da questo fatto
fondamentale, l'autore dell'Apocalisse enumera le negatività eliminate ormai
in maniera irreversibile: sono tutte quelle che causano il pianto degli uomini.
Anzitutto la morte fisica. Essa, con tutto il suo corteggio di mali, con le
tensioni drammatiche che provoca- l'autore mette in risalto tutto questo nel
quarto sigillo: 6,7-8 - tra gli uomini «non sarà più>> (oùx [m;m [n),
completamente superata dalla condivisione piena, da parte dell'uomo, della
vitalità divina. È Dio, proprio in quanto <<Vivente>>, che si oppone antitetica-
mente alla morte. Il <<verde>> (cf. 6,7) rimarrà sempre tale, superando la
caducità di una promessa di vita che poi non è mantenuta ...,
La presenza immediata di Dio che condivide la <<tenda>> con gli uomini
esclude quindi tutti gli clementi anti-Dio e anti-Cristo che adesso fanno
pressione sugli uomini, provocando le loro lacrime. Dal quarto sigillo, la
morte, di Ap 6,7-8, si passa agli altri due che precedono: la violenza omicida,
tipica del secondo sigillo (6,3-4), che causa il <<lamento>> (JtÉvftoç) di dolore e il

" È quanto suggerisce il colore •verde• (xl.wQ6ç) attribuito al cavallo della morte.
L'imbarazzo di questo simholismo cromatico ha indotto i commentatori a proporre le traduzioni
più diverse: ((pallido, giallo, verdastro ... )•. Ma tenendo presente l'uso dell'A T e dell'Apocalisse
stessa, il verde (dell'erba, degli alberi) è presentato spesso come un verde che non dura. E questo
senso corrisponde alla concezione della morte nell'Apocalisse, intesa come l'interruzione violenta
di un'attività promettente sulla terra. Cf. Parte prima, c. 11, p. 50, nota 45.

263
«grido>> (xQavy~) di disperazione, sarà superata irreversibilmente. Sarà pure
superata irreversibilmente la «fatica>> (n6voç) di chi, oppresso dalringiustizia
sociale (6,5-6), 1" deve penare per sopravvivere. Tutto questo insieme globale di
negatività connesse tra di loro - ce lo dice anche la successione dei tre oiiu -
è destinata a scomrarire.
Muovendoci a ritroso dal quarto sigillo, abbiamo incontrato, in termini di
una ripresa allusiva, i due sigilli che precedono immediatamente. Ci aspettiamo
una ripresa allusiva. del tipo delle altre già viste, anche al primo sigillo (6,1-2)
che ci presenta, simboleggiata dal cavallo bianco e dal suo cavaliere. la forza
positiva della risurrezione di Cristo immessa nella storia, 17 in funzione anti-
tetica rispetto alle forze di segno negativo rappresentate dagli altri tre sigilli.
La risurrezione di Cristo. di per sé, proprio nella prospettiva della scuola
giovannea, tende a superare il pianto. Ce lo dice, tra l'altro, il messaggio dei
«due angeli vestiti di biancO>>, il simbolo della risurrezione. che, dall'interno
del sepolcro vuoto dicono alla Maddalena: <<Perché piangi?» (Gv 20,12). 1'
Il motivo del pianto della Maddalena è proprio la morte di Cristo; nel
messaggio che le viene rivolto si insinua chiaramente che la risurrezione
avvenuta elimina la causa del pianto.
Questa connessione tra la risurrezione di Cristo e il superamento del
pianto si ritrova anche - almeno a livello implicito- nel nostro testo? Tutto
induce a una risposta affermativa.
La soppressione di tutta la fascia della sofferenza- dalla morte alla fatica
fisica - che interessa gli uomini appartenenti al mondo di adesso, il <<primo>>
mondo, per riprendere l'espressione di 21,1, è definitiva ed è collegata con il
rinnovamento totale che Dio sta attuando nella storia. Tale rinnovamento
consiste, in concreto, in un'azione prolungata di Cristo risorto che immette
nella storia la positività della sua risurrezione.
Ma vediamo i dettagli.
Dopo la conclusione dell'enumerazione delle negatività scomparse -
l'ultima è la fatica, che, collegandosi mediante la ripetizione di oun ... [mm [n
con la prima, conclude la serie- si ha un'affermazione più generale e globale.
Tutto il mondo attuale dovrà essere superato.
L'espressione con cui l'autore afferma tutto questo presenta un problema

" Per questa interpretazione del terzo sigillo- piuttosto che quella corrente di carestia, che
ci appare riduttiva- vedi sopra, c. V, pp. 193-213.
n L'interpretazione del primo sigillo, col cavallo hianco e rispettivo cavaliere armato di arco
che «USCÌ vincente e per vincere» (6,2) è controversa. Una valorizzazionc artenta degli clementi
simbolici (il <<bianco» sempre riferito neli"Apocalisse alla risurrezione di Cristo) e contenutistici (la
«Vittoria>> è sempre quella di Cristo alla quale egli associa i cristiani), rendono nettamente
preferibile l'interpretazione cristologica, nel senso di una energia di risurrezione immersa da Cristo
stesso nel campo della storia.
" In Gv 20,12 è caratteristico il fatto che, nella costruzione che l'autore fa di tutta la scena, il
primo messaggio che proviene dalla risurrezione di Cristo riguardi proprio il pianto. Con la
risurrezione il pianto umano non ha più il senso di una disperazione, ma tende ad essere
ridimensionato e superato del tutto.

264
di critica testuale: troviamo on
,;à JtQùna lmfjì.:ttav nel Sinaitioo corretto; 046,
molti minuscoli, versioni, Ireneo, Ticonio, Agostino, ecc.; abbiamo semplice-
mente Tà nqùna ànfjìdtav in A P 051 vari minuscoli, Beato; Tà yàq JtQÙlTa
ànfjì.:ttav in alcuni minuscoli."
Appare chiara, nella tradizione manoscritta, la tendenza a stabilire un
collegamento - mediante on o yùg - tra questa espressione e quelle che
precedono: l'asindeto faceva difficoltà. Ne segue allora un'indicazione di
preferenza per le <dectio•• di A, che risulta difficilior."'
L'assenza di un collegamento esplicito con la serie che la precede rende
l'espressione ,;à ltQÙlTa àltfjì.ttav <de cose di prima passarono» particolarmente
solenne e il collegamento che ne emerge con quanto precede è letterariamente
più efficace: è come un oracolo in forma di esclamazione: <<Le cose di prima
passarono!». Si tratta - viene ripreso, con un'inclusione manifesta, l'espres-
sione <<il primo cielo e la prima terra» di 21, l - di tutto quel complesso di
realtà tipico della prima creazione, quando la trascendenza e l'immanenza,
<<cielo» e <<terra», erano separate e contrapposte. Tutto questo insieme di cose,
indicato globalmente come tale dal neutro Tà JtQÙJTa, è destinato a scomparire
definitivamente e. nell'aoristo profetico dell'espressione, è considerato come
già accaduto.
Da notare, in questa contrapposizione, un aggancio alla situazione. Essa
sarà superata, ma è tenuta presente- ciò invece non avverrà nella descrizione
dettagliata della Gerusalemme <<fidanzata-donna» di 21,9-22,5 - e ciò
costituisce un certo aggancio, un riferimento all'esperienza attuale del gruppo
di ascolto. Il confronto tra un'attualità che viene tenuta presente ma che tende
ad essere superata in positivo è confermato dai verbi che esprimono tale
superamento tutti al futuro (OKT]VWOEL ... EOOVTUL ... rmm ... È!;aì.Ei1j!El. ..
rmm; anche ànfjì.ttav, lo abbiamo notato, ha il valore di un aoristo profctico).
Ma il riferimento allusivo al primo sigillo non si limita alla scomparsa delle
forze negative vinte e sconfitte da quella di segno positivo, la risurrezione di
Cristo immessa nella storia. Si ha anche e soprattutto il risultato di un
rinnovamento generale, che viene messo particolarmente in evidenza:
v. Sa xal dnEv ò xm'h]f.LEVOç Ènl T(ii ttQOV!Jl.
tòoù xmvà itOLÙl m'tvm.
«E disse colui che stava seduto sul trono:
Ecco faccio nuove tutte le cose».

19
Il Sinaitico prima mano presenta una lezione singolare: tà rrp6f3utu <'utfJAttnv «le pct.:orc
passarono». Si tratta più che di una disattenzione di un vero lapsus del copista. È t.1ifficilc infatti
vedere come possa essergli venuto ali n penna j'[Q6/~ata invece che a:gWtu, quando non si trova, nel
testo il minimo appiglio pastorale. Un lapsus freudiano? ..
10
Il ragionamento di Mctzger e del comitato che Ou possa essere stato omesso acciùcntal-
mente da un copista per la somiglianza con fn che precede irnmediatament~ rientra nell'ambito
delle possibilità, ma niente ùi più. Il richiamo al lapsus di itQ6[Jaru '"aie per il Sinaitico, non per A
(MllzG•R, A Texrual, p. 766).

265
Questo intervento grandioso di Dio riassume e sintetizza quanto è stato
detto fino a ora, dal versetto 21 ,l in poi. Dio viene presentato come 6
xa{hjllEvoç <<colui che sta seduto>> sul trono: questo simbolismo antropologico
comporta un influsso attivo e direzionale da parte di Dio sulla storia." Pensato
in atteggiamento di un dominio, di un impulso dinamico riguardante i fatti
degli uomini, Dio rivolge solennemente un messaggio che è un invito a
guardarsi intorno: ìbou, <<ecco>> (letteralmente <<guarda>>) è detto al gruppo di
ascolto perché verifichi, anche nella sua esperienza immediata, quella novità
che Dio sta già realizzando- ce lo dice il verbo nou:ò, indicativo presente con
valore continuativo- nell'ambito della storia. Si tratta di una novità che tende
a coinvolgere <<tutto>>, m'tvra. Viene ripreso il versetto 21,1 dove si parlava
della totalità rinnovata, espressa mediante i due estremi <<Cielo>> e <<terra>>:
<<Vidi un cielo nuovo e una terra nuova>>.
Come in 21, l anche qui una novità rapportata a tutte le cose deve essere
messa in stretto rapporto con Cristo. E ciò perché si tratta di un'attività di Dio,
svolta all'interno della storia e Dio agisce nella storia tramite Cristo." Cristo è
perciò il protagonista concreto di questa novità che si realizza, <<il principio di
ogni azione creativa di Dio>> (Ap 3,18)-"
Proprio come ÙQXl\ <<principio>>, <<prototipO>> della creazione di Dio,
Cristo non è un protagonista meccanico di rinnovamento. Il rinnovamento, che
coincide con la creazione in quanto realizzata nel mondo degli uomini, porta
l'impronta dell'archetipo che la ispira, tende ad attuare i valori di Cristo. In
altri termini, Cristo come <<Parola di Dio>> realizzata pienamente nella storia,"
esprime anche il contenuto, per così dire, della novità. Di conseguenza
quell'immissione del dinamismo di risurrezione che Cristo nel primo sigillo (cf.
6,1-2) immette nella storia tende gradatamente ad assumere, nell'ambito della
storia stessa, i suoi valori personali, primo di tutti la sua vitalità di risorto.
Tutto questo si attuerà pienamente nella fase terminale, strettamente
escatologica. Ma la creazione di Dio esercitata tramite Cristo nella storia è già
in atto. Un occhio attento potrà cogliere qualche elemento, intravedere delle
gemme di una fioritura: la pressione del dinamismo della risurrezione di Cristo
si fa già sentire nel superamento della violenza, dell'ingiustizia, perfino della
mortalità che gli uomini devono realizzare.

21
L'insistenza dell'autore dell'Apocalisse sull'attributo xa&IJI.trvoç •seduto (sul trono)•
riferito a Dio indica non tanto la trascendenza statica di Dio, quanto un suo atteggiamento
dinamico. Il trono, su cui Dio è seduto, è un punto di riferimento, di partenza e di arrivo, di tutto il
movimento di sviluppo che riguarda la storia.
" A Cris.to agnello viene affidato il rotolo che contiene il progetto della storia degli uomini
(cf. Ap 5,7-H). E proprio allora che viene formulato il «cantico nuovo .. (5,9), il cui contenuto (5,9b-
10) mostra gli effetti del «s<tnguc)) di Cristo-agnello su tutti gli uomini. E il ((sangue» è inteso come
una forza attiva che, partendo dall'uccisione di Cristo, implica applicativamente anche la sua
risurrezione.
"' Per la portata dinamica di questa espressione cl. Parte seconda, c. III, pp. 142-146.
" Cl. Parte terza, c. Il, p. 134.

266
7. UN DISCORSO STIMOLANTE RIVOLTO ALL'ASSEMBLEA

La dichiarazione solenne di Dio viene adesso ripresa e interpretata:


v. Sb KUL ÀÉyEL"
YQCx!jlOV on oÙ"tOL o[ ìàJOL
mmol Kal ÙÀ.l]1'hvo[ ELOLV.
<<E dice:
scrivi che queste parole
sono fedeli e veritiere».
II soggetto che interviene è, con tutta probabilità, l'angelo interpretell che
ha, nell'apocalittica, una funzione di mediazione tra il livello di Dio c quello
dell'autore. L'intervento, infatti, riguarda l'azione propria dcll"autore, lo
scrivere. Naturalmente si tratta di uno scritto destinato poi ad essere letto
nell'assemblea liturgica.
Ciò che l'autore deve scrivere- l'imperativo yQ6.1j!ov che ne sottolinea
l'importanza- riguarda, in generale, tutto quello che è stato detto finora nel
decorso del libro. In particolare, e soprattutto, «queste parole>> si riferiscono al
contesto immediato: sono le parole con le quali Dio invita a prestare attenzione
al fatto che si attua nella storia la sua azione continuata della novità di Cristo.
Nonostante le difficoltà, le perplessità, la tensione che l'attenzione allo
sviluppo della storia suscita, queste parole sono «fedeli» perché esprimono la
fedeltà coerente di Dio alle sue promesse, proprio quella che si realizza nella
storia. E sono anche «veritiere»: non solo nel senso che non contengono
menzogne - un'affermazione del genere, qui, sarebbe una banalità - ma
soprattutto nel senso che si riferiscono alla verità della parola di Dio in quei
contorni storici che essa assume attuata da Cristo, «parola>> per eccellenza e
denominato personalmente «fedele e veritiero» (mmòç Kai ÙÀ.!]{hv6ç) proprio
come «parola di Dio» (A6yoç wu {)wù) (19,11.13).
Dopo la breve parentesi dell'angelo interprete, si ha un nuovo intervento
di Dio. Si prepara, così il contesto a quell'intreccio di dialogo liturgico che
concluderà il libro."
v. 6 Kai d1tÉV ~-tOL · yÉyovav.
F:yw Ei~-tL 1:ò aÀ.!jla Kal 1:ò ili,

" C è un intreccio di interventi che rischia di creare confusione: il primo dltf:v è attribuito
inequivocahilmcnte a Dio; il secondo ccverbum dicendin ).ÉyEI non ha un soggetto esplicito: si tratta
probabilmente dell'angelo interprete che, col suo intervento, sottolinea l'importanza di quanto
<~Giovanni)) sta scrivendo; un terzo ccvcrhum dicendi», all'inizio del versetto sce.uentc, xai d:rFv
f.tOL suggerisce che le affermazioni fatte in prima persona. devono essere senz'altrO attribuite n Dio,
almeno fino al v. 7 compreso. Il v. 8 potrebbe essere un messaggio di contrapposizione da
altribuirsi direttamente all'angelo interprete, o all'autore.
" Cf. per una analisi dettagliata e persuasiva del genere letterario dialogico-liturgico di Ap
22,6-21, KAVANAGH, Apoca/ypse.

267
l] CÌQXlÌ xaì tò tÉì..oc;.
ÈyÙl t<)! Òt\j!wvn
òwow ÈK Tf)ç JtT]yijc; wii iiòatoç tijç twiiç
ÒUJQEUV.
<<E mi disse: Sono divenuti.
lo sono l'alfa e l'omega
l'inizio e la conclusione.
lo a chi ha sete
donerò dalla sorgente dell'acqua della vita
come donO>>.

Il discorso è di nuovo attribuito direttamente a Dio, il quale prende


posizione sulle sue parole, affermandone, con un 'espressione concisa e
solenne, il compimento irreversibile già attuato: yÉyovav <<sono divenute (e lo
rimangono)». C'è da notare come il verbo yÉyovav giunge con una solennità
inaspettata, privo come è di soggetto esplicito. Riprende lo stesso verbo
yéyovEv che ricorre all'inizio della sezione conclusiva (cf. 16,17), anche là senza
un soggetto esplicito. La corrispondenza tra i due verbi è caratteristica" e fa
pensare che si richiamino reciprocamente. In 16,17 è una voce dal <<tempio e
dal trono» che proclama yÉyovEv, come effetto dell'ultima coppa versata. Il
soggetto non esplicitato rende il verbo ancora più solenne: ma tutto il contesto
indica chiaramente a che cosa si debba riferire il yÉyovEv: si tratta della
realizzazione delle promesse di Dio mediante l'ultimo colpo infcrto al male.
In 21,6 si avverte, rispetto al corrispondente 16,17, un processo di
personalizzazione: yÉyovav è riferito, dato il plurale, inequivocabilmente alle
parole di Dio che precedono; colui che lo pronuncia è Dio stesso in persona.
Nella distruzione del male e dei suoi protagonisti come pure nel potenziamento
del bene che si trovano nel lungo brano che intercorre tra i due verbi si ha
un'esplicitazione della presenza di Dio a contatto con i fatti umani. In un
contesto in cui i verbi attribuiti a Dio sono prevalentemente o al presente o al
futuro, il perfetto yÉyovav ha il valore di un perfetto profetico: le parole di Dio
si considerano come già realizzate, qualunque sia la loro scadenza cronologica.
Dio che si è fatto e si fa più presente nella storia, dà, proprio in rapporto
con la storia, una definizione di se stesso. E questa definizione pone un
problema di critica testuale: si deve leggere, dopo yéyovav, la frase Èyw Ei)lL tò
"Aì.<:pa xaì tò 'Q con A, diversi minuscoli e versioni, oppure è da preferire la
frase raccorciata ÈyÙl tò "Aì..cpa xaì tò 'Q testimoniata dal Sinaitico, P, 046,
molti minuscoli? Dato che la stessa espressione ricorre in 22,13 senza ELJ..IL -lo
troviamo solo in una decina di minuscoli - appare preferibile mantenere il

" Sono le uniche due ricorrenze del perfetto yÉyova nell'Apocalisse. Inollrc si ha. in' tutti e
due i casi, un intervento della trascendenza che annuncia, nella forma profetica del perfetto, un
fatto futuro come già avvenuto.

268
verbo, con A e gli altri codici: si spiega infatti come, sotto l'influsso di 22,13 il
verbo sia stato omesso, ma non si spiega come possa essere stato aggiunto."'
Dio quindi si proclama Alfa e Omega. L'espressione sembra coniata dal-
l'autore dell'Apocalisse" e merita, proprio per questo, un'attenzione speciale.
Alfa c Omega indicano gli estremi di una serie omogenea, l'alfabeto. Dio,
identificandosi con i due estremi. si mette con ciò stesso in rapporto diretto con
tutta la serie. Lo stesso dirà Cristo di sé in 22,13. Ma di quale serie si tratta?
L'autore, decodificando egli stesso l'immagine ardita che usa, definisce ulte-
riormente Dio come <<principio>> (àgx~) e <<conclusione>> (TÉÌ.oç). Quest'ultima
espressione merita una considerazione attenta. In 22,13 quando essa è riferita a
Cristo, è messa in parallelismo sinonimico <<primo e ultimo». E tale espressione
è una ripresa letterale dell'Antico Testamento, notoriamente di Is 41; 44,6;
48,12, dove è attribuita a Dio e ne sottolinea la trascendcnza. Ma non in un
senso astratto: Dio è primo e ultimo, come i tre contesti di Isaia mostrano all'evi-
denza. non considerato in se stesso. ma visto in rapporto con la storia umana.
Lo stesso e di più si dovrà dire allora dell'espressione <<inizio e
conclusione>> del nostro testo, la quale, pur sinonima della frase <<primo e
ultimo>>, appare. rispetto a quest'ultima, meno personale e più oggettivata,
quindi ancora più vicina alla storia e quasi saldata con essa. Dio è il <<principio>>
e la <<conclusione>> proprio della nostra storia.
Così ritorniamo al nostro punto di partenza, l'espressione Alfa e Omega,
che ora risulta chiarita. La serie di cui le due lettere rappresentano gli estremi è
lo sviluppo completo della storia. Come l'alfabeto, essa ha una continuità. una
sua concatenazione misteriosa che nel dettaglio - potremmo dire nelle lettere
intermedie - può risultare problematica fino a disorientare. Ma - viene
ricordato all'assemblea liturgica, con la quale il contatto del discorso del nostro
autore si sta facendo via via più stretto- agli estremi della serie si trova Dio, al
punto da coincidere in certo senso con essi. Tutta la serie quindi, tutta la storia
sarà come garantita da una presenza costante, attiva e vigile di Dio. Presenza
che Dio - come verrà poi esplicitato in 22,13 - realizza tramite Cristo.
Intanto il discorso di Dio, sempre più esplicitamente orientato verso
l'assemblea liturgica in atto. prosegue. Dio promette a <<chi ha sete» il <<dono
gratuito>> (bwgEav) che scaturisce dalla <<sorgente dell"acqua della vita>>.
La rilevanza letteraria dell'Éyw ripetuto attira di nuovo l'attenzione su
Dio. il quale costituisce il principio fontale di tutto, ma agisce tramite Cristo.
Nei riguardi di Dio come nei riguardi di Cristo si suppone nell'uomo
un'aspirazione viva, una <<Sete>>. Passando attraverso lo spessore della storia,
questa <<Sete>> non sarà necessariamente un'aspirazione mistica che abbia per
oggetto diretto Dio e Cristo, quasi un decollo in verticale, quanto piuttosto un
desiderio assillante di bene. di giustizia, di valori, di tutto quello, in una parola,

" Apparirebbe perciò alquanto rìduttìva la soluzione adottata dal Metzger e comitato dì
porre ri~ì tra parentesi (A Texwal. p. 767).
'"' Cf. la documentazione di G. KnTEL, A Q, in GLNT, I. coli. 5,11.

269
che rende piena una vita condotta nella concretezza della storia. Quest'aspira-
zione tormentosa - «Sete» protratta, come suggerisce il participio presente
continuativo T<j.J c~ll1j1wvn- non rimarrà insoddisfatta, ma avrà, addirittura, un
appagamento maggiorato. Ci sarà anzitutto il refrigerio momentaneo che è
possibile. caso per caso, nell'ambito della storia dove la sete si verifica. Ma la
sete profonda verso un meglio, un po' di più, che sarà appagata non solo con
l'acqua, ma addirittura con la sorgente." E si tratterà <<della sorgente
dell'acqua della vita>>. La vita, dato il contesto escatologico e il futuro del verbo
(òwaw). è quella stessa di Dio e di Cristo, come poi si ritrova, più
esplicitamente, in 22,1: << ... il fiume dell'acqua della vita, che esce dal trono di
Dio e dell'agnello». Si tratta, in definitiva. della pienezza della vita di Dio
come si trova in Cristo, pienezza che è implicita o allo stato latente in ogni
aspirazione dell'uomo al bene.
Questa <<acqua della vita>> che appaga viene data gratuitamente, come
<<dono>>: ciò non esime la «fidanzata>> dall'impegno di preparazione che
abbiamo visto sopra, ma ne supera la portata e la moltiplica. Il dono della vita
che viene da Dio sorpassa tutte le aspirazioni e gli sforzi dell'uomo per averla.
Pur essendo il dono della sorgente dell'acqua della vita essenzialmente
escatologico, esso è in continuità con quella vita che nell'ambito dell'assemblea
liturgica è già a disposizione come dono di <<chiunque ha sete>> e lo voglia. Si
tratta della sacramentalità."
E l'assemblea è invitata a guardare, partendo dalla situazione di lotta che
deve sostenere, proprio alla pienezza escatologica:
v. 7 6 vLxwv XÀT]QOVOf!tlOEL TaùTa
xat EOO[lm m'm!> {}Eòç
xai aùTòç EOTUL f!OL ui6ç
«Colui che sta vincendo avrà in eredità queste cose
e sarò a lui Dio
ed egli sarà a me figlio>>.
Pur nella prospettiva escatologica, che viene sempre mantenuta, l'atten-
zione dell'autore tiene presente il gruppo di ascolto, l'assemblea liturgica alla
quale indirizza il suo discorso. Qui l'aggancio si fa immediato: tutto quello di

"' Troviamo lo stesso gioco di immagini in Gv 4,14. La promessa di Gesù alla samaritana
non riguarda un certo quantitativo di acqua. ma la sorgente stessa (m]y/J} dell'acqua. Il fatto poi
che Gesù presenti l'acqua che promette di dare come dono (t~v 1\olQEÙV tali !troù Ov 4.10) trova
una corrispondenza interessante nel\'enfatìco Ocognlv- anch'esso riferito all'acqua- della rine
del v. 6.
lj Ciò viene messo ancora più in risalto dall'allusione ali" acqua della vita che incontriamo nel
d!alo,!!l' liturgico conclusivo. Si dice in 22,17b: •<Chi ha sete venga. <.:hi vuole prenda l'acqua della
vatot come dono)>. Il movimento indicato- «venga (tgxÉcritw))•- si attua nell'ambito dell'assem-
blea liturgica, partendo da chi ascolta e terminando dove sta la persona che parla. L'acqua della vita.
di conseguenza. è pensata presente c simultanea rispetto all'as~cmblea che si svolge.

270
cui si sta parlando (taùta) spetterà come eredità - quindi sulla linea di un
figlio che riceve tutti i beni da parte del padre - a colui che <<sta vincendo>>, nel
presente, collaborando con la vittoria sul male che Cristo sta realizzando nella
storia. È la vittoria di Cristo, Figlio. Allora anche il cristiano che vi partecipa"
tenderà a raggiungerne il livello.
Si ha poi un contatto letterale con 2Sam 7,14: <<lo gli sarò come padre e lui
mi sarà come un figlio», dove la frase è detta da Davide nei riguardi di Salo-
mone. L'autore la riprende, ma, secondo il suo stile abituale, la riinterpreta e
trasforma: ci sarà una reciprocità tra l'uomo e Dio. che abiteranno nella stessa
<<tenda>>, nella stessa casa, come in una famiglia. Vista dal di dentro, questa
reciprocità tra l'uomo e Dio è interpretata dallo schema del rapporto tra padre
e figlio. Solo che Dio invece che Padre, si qualifica proprio come <<Dio»: è
Padre, come appare dall'altro termine della reciprocità (<<sarà a me figlio»), ma
un padre che impegna la sua divinità nella paternità: Dio è, per l'uomo, pie-
namente Dio in quanto padre, e, viceversa, è pienamente padre in quanto Dio.

8. L' ANTI-GERUSALEMME

Alla positività vertiginosa di chi accetta di vincere con Cristo presentato


all'assemblea liturgica in atto, viene contrapposta, sempre tenendo presente la
stessa assemblea, la prospettiva rovesciata di chi si chiude a Cristo e non lo
accetta:

v. 8 miç ÒÈ ÒEtÀoiç
xat (m(omtç
xai È~ÒEÀl!YI!Évotç
xai qJOVEÙOtV
xai 1tOQVOll;
xai qJOQI!UKotç
xai dbwì..oì..atQatç
xai rriiotv toiç 1j!El!c5Éotv
tò I!ÉQoç a1milv
Èv tTi ÀLI-!"11 tTi XatOI!ÉvTJ 1t1JQL xai -frE(<p,
o Èonv 6 -fravmoc; ò OEUtEQoç.
<<Ma ai vili
e agli infedeli
e agli abominevoli
e agli omicidi
e agli impudichi

" Cf. Parte seconda, c. III, p. 158 Ap 3,21-22 e l'esegesi più sopra.

271
e ai fattucchieri
e agli idolatri
e a tutti i mentitori,
la loro parte
nello stagno quello che arde di fuoco e di zolfo
ciò che è la morte seconda>>.
Questa sequenza di epiteti al dativo come pure la sua conclusione
suggeriscono alcune osservazioni letterarie che, come di consueto, sono
utilmente orientative per quanto poi concerne l'esegesi.
La serie al dativo non ha un aggancio grammaticale immediato col
contesto. La frase che segue subito dopo, col giro espressivo ebraicizzante che
presenta («ai vili... la parte loro>>), non è legato affatto con la serie che
precede, che potrebbe stare benissimo- come nel caso analogo di 22, 15"- al
nominativo. Il dativo, in altri termini, esprime qualcosa di particolare e non
occorre andare troppo lontano per determinarlo. Essendo Dio che parla - o
per lo meno l'angelo interprete- il dativo esprime, nella maniera più diretta,
un'intenzionalità che raggiunge i destinatari del discorso. Sono coloro che,
come viene messo in risalto dalla particella di opposizione M che incontriamo
all'inizio della serie, si collocano al di fuori della reciprocità «padre-figlio>>.
L'enumerazione comprende prima sette elementi costituiti da aggettivi o
participi, collegati tra loro dal semplice xal. Poi si ha una variazione, di
carattere chiaramente riassuntivo, quando si aggiunge <<e a tutti i menzogneri>>.
I menzogneri esprimono tutta la serie considerata, in forza del simbolismo
tipico del sette. come una totalità negativa.
Approfondiamo esegeticamente i dettagli, cominciando da quest'ultimo
elemento: come mostra il parallelo di 22,15 dove troviamo sempre a
conclusione di un'enumerazione <<C chiunque ama e fa la menzogna>>, si tratta
di una qualifica negativa di fondo non riducibile a una menzogna verbale. Si
tratta di una situazione di menzogna amata e realizzata: è la menzogna della
vita quando viene impostata e vissuta in antitesi alla <<verità-valore» che
coincide con Cristo.
La serie settenaria dei casi concreti specifica e dettaglia. Coloro che, in
antitesi alla verità di Cristo sono <<menzogneri>> nel senso che <<fanno la
menzogna» nella vita sono anzitutto i <<Vili» (toi:; lìELÀoi:ç), coloro che non
hanno il coraggio di vivere la verità in un ambiente eterogeneo o addirittura
ostile. Per l'Apocalisse ogni cristiano è un martire potenziale, a prescindere dal
martirio subito di fatto. Coi <<Vili>> sono collegati gli «infedeli>>: il termine

33
Abbiamo in 22,15 r;w seguito da una serie di nominativi che corrispondono in parte ai
dativi del nostro testo. Con E;u.J c il nominativo, in contesti del genere. si deve sottintendere un
verbo - tipo <'.GtfQXÉm'twv - che giustifichi la costruzione l (,zu crganzcn ist das Vcrbum an
Stcllcn. wie Apk 22.15», BAUER, Wdrrerbuch, p. 522). Un discorso analogo si deve fare a proposito
di 21,8: la serie dei dativi richiede di sottintendere un verbo corrispondente.

272
ànlm:otç propriamente indica solo una mancanza di fede, ma il contesto
suggerisce di prenderlo in un senso forte e radicale: sono coloro che o si
rifiutano di credere o vengono meno, nelle circostanze drammatiche della
storia. alla fede che professano. Più difficile è interpretare esattamente
BilEÀUY~-tÉvOLç <<abominevoli»: più che un comportamento. come accade negli
altri Cilsi il termine indica un giudizio apprezzatamente negativo dato su una
categoria che come tale rimane imprecisata: si tratta degli aderenti all'<<abomi-
nio>> degli idoli sono coloro che, aderendo al <<sistema terrestre>> condividono
!'<<abominio>> di Babilonia? Gli <<Omicidi» sono da intendersi nel senso usuale:
si tratta di coloro che subordinano la vita altrui al proprio tornaconto. Gli
<<impudichi>> sono coloro che hanno una vita sessuale licenziosa, con particolare
riferimento ai disordini morali collegati col matrimonio. I <<fattucchieri>>,
(qJaQ!.Hixmç) sono, con tutta probabilità, coloro che si dedicano alla magia,
particolarmente diffusa nell'ambiente dell'Asia Minore nel l secolo: la magia
diventa un mezzo per manipolare la personalità altrui. Finalmente gli <<idolatri»
sono coloro che non solo praticano il culto agli idoli, ma che accolgono tutto il
sistema di vita pagano implicito nell'idolatria.
Tutti coloro che, nei diversi modi indicati, attuano la <<menzogna» sono
esclusi dalla Gerusalemme nuova. Con questo tipo di vita, anziché confezio-
narsi come fanno i cristiani l'abito da sposa. scelgono di fatto quella che sarà la
loro «parte» (tò i-!ÉQoç mhwv), la situazione proporzionata direttamente alle
scelte che avranno fatte: invece di stare dalla parte di Cristo, partecipando
della sua «novità>>, si collocano in una posizione antitetica. quella del
demoniaco. Avranno, allora, anche nella fase escatologica conclusiva la sorte
del demoniaco, <<lo stagno ardente in continuazione di fuoco e zolfo>>.
L'immagine «Stagno del fuocO>> è caratteristica dell'Apocalisse. Ciò risulta
dalla tipicità della formula <<Stagno del fuoco»(~ Àii-!VTJ tlJÙ JtUQ6ç) che ricorre sei
volte (19,20; 20,10.14(bis).15; 21,8) nell'Apocalisse c mai altrove, dal fatto che
l'autore si preoccupa di darne un'interpretazione equiparandola alla morte
seconda, e da un confronto con altre immagini apocalittiche di giudizio negativo.
Iniziamo da questo ultimo aspetto, che mette in rilievo l'originalità
dell'Apocalisse e quindi il tipo di interpretazione che richiede.
Prendiamo un brano di uno scritto apocalittico, l'Apocalisse di Pietro (135
d.C.) relativamente vicino nel tempo al nostro testo:
«E questo accadrà nel giorno del giudizio ... ; fiumane di fuoco verranno
scatenate ... Le acque saranno trasformate in carboni di fuoco. Tutto ciò
che contengono sarà arso e il mare diverrà un brilciere. Sotto il ciclo ci
sarà un fuoco terribile, inestinguibile, che si dilagherà per compiere il
giudizio dell'ira ... Il cielo diverrà tutto fulmine e i suoi fulmini spavente-
ranno il mondo>>."

" M. ERBF.ITA, Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Torino 1969. III, p. 220.

273
Colpisce subito, nel confronto, l'estrema sobrietà dell'autore dell' Apoca-
lisse. Le immagini, scatenate e a ruota libera, dell'Apocalisse di Pietro vogliono
soprattutto creare uno stato d'animo di sorpresa, un senso di attesa di qualcosa
di tremendo. al di là di qualunque immaginazione umana. E le immagini, m
questa prospettiva, nello stesso tempo si moltiplicano c si equivalgono.
Nell'Apocalisse invece abbiamo una sola immagine, che si presenta in
una forma letteraria fissa, senza nessuna esuberanza letteraria, e che suggeri-
sce, nella sua originalità, una pienezza condensata di significato da elaborare,
da interpretare. A questo scopo diamo anzitutto un'occhiata prospettica alle
sue ricorrenze:
<<Viventi, i due (il primo e secondo mostro) furono gettati nello stagno del
fuoco, uno stagno che brucia in continuazione nello zolfo» (19,20).
<<Il diavolo che li fuorvia fu gettato nello stagno del fuoco e di zolfo, dove
(si trovano) anche il mostro e il falso profeta e saranno tormentati giorno
e notte per i secoli dei secoli>> (20, l O).
<<La morte e l'ade furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la morte
seconda, lo stagno del fuoco>> (20,14).
<<Se uno non fu trovato scritto nel libro della vita. fu gettato nello stagno
del fuoco>> (20, 15).
<<La loro parte (di coloro che «operano la menzogna>>) nello stagno,
quello che brucia in continuazione col fuoco e lo zolfo, che è la morte
seconda>> (21 ,8).
Si impone anzitutto una constatazione. Lo stagno del fuoco è propria-
mente un'immagine, non una realtà: provoca il soggetto interpretante ed esige
una decodificazione che ne valorizzi tutti gli elementi. Non si tratta di tocchi di
pura fantasia, come nel fuoco dell'Apocalisse di Pietro.
Vediamo allora da vicino i singoli aspetti.
<<Stagno>> (ì..l~-tVlJ) è normalmente riferito all'acqua:" in Luca è detto del
lago di Genezaret (cf. 5,1.2; 8,22.23.33). Il fatto che uno stagno, un lago. non
contenga dell'acqua già indica che ci si muove in un ordine di cose nuove,
stranamente diverso da quello attuale.
Lo stagno arde in continuazione (xmo~-tÉvn) ma- e l'autore insiste su
questo particolare - la materia che brucia è propriamente lo zolfo.
Troviamo questa precisazione nella prima delle ricorrenze. L'autore,
quando presenta per la prima volta un'immagine caratteristica che poi
riprenderà, normalmente la precisa e la specifica meglio che nelle ricorrenze
successive: in 19,20 -la prima volta appunto che ci incontriamo nell'espressio-
ne tipica- viene precisato con accuratezza che lo <<stagno di fuoco (1:i)v À.t~-tVl]V

1
~ Il signiricato proprio di À.l!J.VTJ, nella grcciLà normale, contiene sempre un riferimento
all'acqua: <(Poo/ of.wmding water, lcft by thc sea or a rivep) (Lmnn.L-Sron-JoNF.s. Greek-Enxlish
Lexicon, 1050), al punto da essere spesso sinonimo di mare.

274
toii rcug6c:;) brucia continuamente nello zolfo>>. Questa articolazione viene
intesa anche nelle ricorrenze successive, espressivamente più condensate,
come <<Stagno di fuoco e di zolfo>>, ecc. Ne deriva una conseguenza importante,
perché la scelta dello zolfo non è casuale: come già notava Swete, 16 l'autore
allude probabilmente al racconto di Sodoma e Gomorra. Lo <<zolfo e il fuoco>>
che piovono dal cielo (Gn 19.24; la stessa immagine è ripresa in Ez 38,22)
distruggono la città di Sodoma e rendono impossibile la vita. Tale impossibilità
è riferita in modo particolare allo zolfo, che rende l'aria irrespirabile.
L'immagine dello <<Stagno del fuoco che brucia nello zolfo>> indica una
situazione definitiva e circoscritta (lo stagno) nella quale si attua continuamen-
te una distruzione (fuoco) che rende la vita impossibile (zolfo). Tale situazione
è al di là di quello che sono le categorie attuali dell'esperienza umana.
Questa situazione è, in certo senso, violenta: nello stagno di fuoco e di
zolfo i vari protagonisti del male <<vengono gettati>>, contro quella che sarebbe
la loro tendenza, come effetto della vittoria di Dio e di Cristo. Abbiamo così un
primo risultato interpretativo: le forze del male, dal demoniaco agli uomini,
vengono private tutte di quella vitalità che avevano e vorrebbero avere. La loro
situazione definitiva è quella di una distruzione, di una devitalizzazione
permanente. E ciò al di là di qualunque possibilità, da parte del soggetto
interpretante, di una ricostruzione realistica di tale situazione.
Ci sono altri elementi interessanti. I protagonisti del male non vengono
annientati: per il diavolo e i due mostri, questa situazione costituisce un
tormento che si situa nel tempo trascendente dei <<secoli dei secoli>>. Non viene
specificata la natura di questo tormento. C'è- ma senza nessuna precisazione
descrittiva o coloristica - l'idea di una punizione permanente.
Infine- è l'aspetto più significativo per il nostro contesto - l'immagine
nel suo complesso e con le sue implicazioni, viene interpretata, in maniera
ripetuta c insinuante, dall'autore stesso quando denomina lo <<Stagno di fuoco>>
come «morte seconda>>. L'espressione «morte seconda» è anch'essa caratteri-
stica dell'Apocalisse (cf. 2, Il; 20,6.14; 21 ,8) e per due volte è abbinata allo
<<Stagno del fuoco>> in funzione di interpretazione secondo la frase caratteristica
che l'autore dell'Apocalisse usa in questi casi: <<Ciò è>> (6 Èanv). Qual è il
significato di questa interpretazionery Per quanto riguarda lo <<stagno del fuocO>>
il soggetto interpretante non trova nessun parallelo nella sua esperienza
diretta, mentre è comune e diffusa l'esperienza della morte, che illumina il
significato anche allo <<Stagno di fuoco>>. Vediamo come la privazione della
vita, intesa nel senso concreto e attivo di <<Vitalità>>. comporta, per l'uomo, la
sua scomparsa dall'attività nel campo della storia. Ora sulla linea della

36
~<iUILO!J.É'VTJ; tv ttEl<p -l'autore si riferisce direttamente a Ap 20,19 - ... points rather to
the story of Sodom and Gomorrah (Gen XIX. 24: cf. Ez XXXVIII, 22}». H.R. SWETE,
Commentary on Revelation, Grand Rapids 1977. ristampa della terza edizione inglese pubblicata a
Londra nel 1911, p. 258.

275
privazione di vitalità che il soggetto interpretante rileva nella morte usuale, c'è
un'altra privazione maggiorata di vitalità che è appunto la «morte seconda»,
potremmo dire la morte al quadrato. Di conseguenza lo «stagno del fuoco e di
zolfo>> esprime quest'assenza radicale e spaventosa di ogni vitalità, di ogni
attività possibile, inculcandola al vivo, al disopra di qualunque concettualizza-
zione. Dato che l'espressione <<morte seconda>> ricorre nella letteratura
rabbinica è possibile che essa sia stata presente nelle tradizioni orali targumiche
anche al tempo dell'Apocalisse. Ma, anche nell'ipotesi che l'autore dell'Apoca-
lisse abbia trovato l'espressione già fatta, egli ha saputo rielaborarla con una
originalità tutta propria, come riscontriamo normalmente anche quando
riprende l'AT."
La devitalizzazione radicale e tormentosa contenuta nell'immagine viene
applicata ai vari soggetti protagonisti del male e assume, così, delle esplicitazio-
ni ulteriori secondo l'identità di questi (come le punizioni per il diavolo).
Applicata alla morte e ali" ade. esprime, e con una carica emotiva notevole. che
tutta la potenza e la forza con cui la morte e l'ade opprimono adesso gli uomini,
verranno meno in maniera definitiva e irreversibile.
Nel nostro contesto si contrappone alla vitalità all'infinito, propria del
nuovo rapporto escatologico tra l'uomo e Dio che convivono sotto la stessa
tenda. Si tratta di una segnalazione di rischio presentata all'assemblea liturgica
che ascolta. Nessun cristiano si riconosce in questo quadro negativo. Ma la
negatività espressa, con la conseguenza della devitalizzazione finale, gli fa
capire quale sarebbe la sua «parte>> qualora venisse meno, per viltà, alla sua
fede. Nello stesso tempo il quadro negativo aiuta l'assemblea a reagire
andando contro corrente. Coloro che sono ostili a Cristo e che si contrappon-
gono ai cristiani possono avere una vita sulla terra attuale apparentemente
piena, ma si auto-destinano al vuoto spaventoso di vitalità, alla «morte
seconda>> simboleggiata dallo <<Stagno ardente di fuoco e di zolfo>>.

37
In effetti l'espressione caratteristica <<morte seconda>> (mwt tnjn) ricorre con una
frequenza apprezzabile nella letteratura rabbinica, segna(amente nei Targumin. I testi sono
riportati in H.L. STRACK-P. BILLERBECK, Kommemar zum Neuen Testamem aus Talmud und
Midrasch, Miinchen '1961. III. pp. R30-831 e sono stati studiati rispettivamente da M. McNAMAR,\.
The New Tescamenc and che Pa/escinian Targum co che f'enraceuch, Roma 1966. pp. 117·125:
A. GANGEMI, La marce seconda !Ap 2,11). in RivB (1976) 24. pp. 3-11.

276
parte terza

TEOLOGIA
La teologia dell'Apocalisse è, nello stesso tempo, ricca e complessa e
dipende dall'esegesi dalla quale emerge la figura di Cristo presente nella nostra
storia.
Il dinamismo di Cristo applicato al divenire della storia mette in moto lo
sviluppo del regno e tende a concluderlo. Di questo aspetto si occupano il
primo e il secondo capitolo, rispettivamente: <<Regno "non da questo mondo"
ma "regno del mondo". Il regno di Cristo dal quarto Vangelo all'Apocalisse» e
<<Dalla venuta dell"'ora" alla venuta di Cristo. La dimensione storico-
cristologica dell'escatologia nell'Apocalisse>>.
La dimensione storico-cristologica si riferisce in modo particolare alla
<<donna>> del c. 12 che simboleggia la chiesa. Uno studio comparativo col quarto
Vangelo permette l'ipotesi di un rapporto di continuità in crescendo tra la
figura di Maria <<donna>> e «madre di GesÙ>> come essa appare nel quarto
Vangelo e la donna-chiesa dell'Apocalisse. Si occupa sinteticamente di questo
aspetto il capitolo terzo: «Dalla maternità di Maria alla maternità della chiesa.
Un'ipotesi di evoluzione da Gv 2.3-4 e 19,26-27 ad Ap 12,1-6>>.
Il divenire del Regno coinvolge i cristiani in una mediazione di tipo
sacerdotale e si conclude nella realizzazione della Gerusalemme nuova: a
questi due aspetti sono dedicati il quarto e quinto capitolo: «La promozione del
Regno come responsabilità sacerdotale del cristiano>> e «Gerusalemme nel-
l' Apocalisse>>.

278
capitolo I

Regno «non da questo mondo)) ma «regno del mondo))


Il regno di Cristo dal quarto Vangelo all'Apocalisse

l. INTRODUZIONI!: IL PROBLEMA

Il discorso sul regno di Cristo si trova, a un livello di esplicitazione


teologica notevole, sia nel quarto Vangelo che nell'Apocalisse. Ma, anche a un
semplice confronto di approccio, la prospettiva teologica del quarto Vangelo
sembra divergere, e notevolmente, da quella dell'Apocalisse. È comune ai due
scritti il rilievo attribuito al regno di Cristo; tutti e due insistono sulla qualifica
personale di re attribuita a Cristo. Ma quando si tratta di rapportare la regalità
di Cristo agli uomini, il linguaggio e il contenuto sembrano puntare in direzioni
diverse. È un fatto, questo, che si impone all'attenzione, mettendo a raffronto
due espressioni caratteristiche, riferite tutte e due al regno di Cristo.
Parlando a Pilato, Gesù dichiara solennemente:

<<Il regno quello mio, non è da questo mondo (oux fm:tv l:x toii x6allou
toumu): se il regno, quello mio, fosse da questo mondo, i miei servitori
combatterebbero perché non fossi consegnato ai giudei; ora però il regno
mio non è da quaggiù (oux [m:tv i:vTEùl'tEv)•• (Gv 18,36).

Troviamo invece nella dossologia solenne che prepara, nell'Apocalisse, la


sezione del <<triplice segno»: 1

<<Divenne il regno del mondo (~ ~aotÀEla toù x6ollou) del Signore


nostro e del suo Messia (mù Xgtm:où autoù)» (11,15).

Nella prima frase, quella del quarto Vangelo, si parla di un regno di


Cristo ma che sembra staccato da questo mondo; l'espressione dell'Apocalisse
parla invece di una realizzazione del regno del mondo come regno di Dio e di
Cristo.

1
Mi permetto di rimandare per questa tenninologio e, più in generale. per i problemi
riguardanti la struttura letteraria dell'Apocalisse a quanto ho notato in La struttura.

279
Dato che i due scritti, anche se non necessariamente dello stesso autore,
hanno indubbiamente molti punti in comune e appartengono al cosiddetto
«circolo giovanneO>>,' queste due concezioni, apparentemente divergenti,
suscitano tutta una serie di interrogativi stimolanti: qual è il senso preciso di un
regno <<non da questo mondo?>> Che significa propriamente il <<regno del
mondo>> che diviene il regno di Dio c di Cristo? E ancora: c'è un rapporto in
profondità tra le due espressioni, certamente diverse nella formulazione, ma
che non si escludono a vicenda? Si verifica, come è possibile rilevare per altri
temi teologici-biblici, anche a proposito del regno di Cristo un movimento di
sviluppo dal quarto Vangelo all'Apocalisse?
L'esame dettagliato di queste domande ci permetterà di cogliere il senso
originale e la portata della concezione del regno di Cristo nell'ambito della
scuola giovannea.

2. IL REGNO DI DIO DEL QUARTO VANGELO

La prima volta che, nel quarto Vangelo, si parla di regno, il discorso si


presenta in termini personalizzati: si parla, propriamente, di un re: è Gesù a cui
Natanaele, in un primo entusiasmo di fede, dice solennemente:
<<Maestro, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele>> (Gv 1,49).
Il senso di questa dichiarazione solenne non viene precisato dal contesto,
che comunque, ha una carica evocativa:' è significativo il rimando a un di più
riguardante il futuro che incontriamo subito dopo: <<Vedrai cose maggiori di
queste>>, risponde Gesù a NaLanaele. Ci aspettiamo uno sviluppo, una chiarifi-
cazione, un di più per quanto riguarda anche l'espressione <<re di Israele>>.
Troviamo poi l'espressione più oggettiva <<regno di Dio». Parlando a
Nicodemo, Gesù sottolinea l'esigenza imprescindibile di una nuova nascita,
quella che si realizza <<dall'acqua e dallo Spirito», per avere un aggancio valido
col <<regno di Dio>>. Senza questa nuova nascita, il regno di Dio non si può

' Cf. O. BòcHER, Das Verhiiltnis der Apokalypse des Johannes zum Evangelium des
Johanne.>, in J. LAMBRECHT (ed.), L'Apocalypse johannique et l'Apocalyptique dans le Nouveau
Testament, Lcuvcn. 1980, pp. 289-301.
J La frase ha un movimento letterario interessante: ((Tu sei il Figlio di Dio, il re tu sei di
Israele>>. Le due attribuzioni «il Figlio di Dio (6 t•lò; toù l'tEoù)>> e «il re di Israele (6 ~aotÀEÙç TOÙ
'laQa~À.)>> si susseguono asindcticamente, in forma di parallelismo sinonimico. La loro corrispon-
denza è accentu<tla dalla ripetizione ~<tu sei>> (aù d) che dà solennità a tutta l"espressione. ((Figlio di
Dio•• era anche una designazione messianica, ma. nell'uso di Giovanni, se si tiene conto anche
dell'articolo (•Il Figlio di Dio»), la frase assume un peso teologico notevole: è difficile non darle il
senso pieno di filiazione trascendente che normalmente ui6ç ha nel quarto Vangelo: «John may
wc\1 have wished to include in "son of God" a confcssion of the divinity of Jesus•). R. E. BROWN,
The Gospel according to John, Ncw York, 1966. p. RR. D'altra parte il titolo •re di Israele» è
riferito esplicitamente a Dio in Is 44,6. Il parallelismo stretto tra le due espressioni, facendo sì che
si attraggano a vicenda, lascia intravedere una sintesi tra «Figlio di Dion c «re di Israele•), che si
attuerà a un livello nuovo, ancora imprecisato, ma verso il quale il testo fa pressione.

2HO
<<vedere>>, non si può comprendere e molto meno si può entrare a prendervi
parte (Gv 3,3.5).'
La forma grammaticale è una negazione: <<non può», ma la prospettiva è
positiva: chi rinasce dall'acqua e dallo Spirito può comprendere il regno di Dio
ed entrare a farne parte.
Come avviene tutto questo? Mediante la <<rinascita» che, iniziata nel
battesimo, viene poi fatta sviluppare dallo Spirito in una forma di vita tutta
improntata alle verità-valori di Cristo. Lo Spirito è detto ripetutamente
<<Spirito di verità»' nel senso preciso che attua nel cristiano le verità-valori di
Cristo. Colui perciò che <<vede>> e comprende il regno di Dio ed entra a farne
parte è, in ultima analisi, il cristiano che, animato dallo Spirito_ attualizza la
verità di Cristo nella sua vita.
Regno di Dio o regno di Cristo?
Vari indizi spingono a una convergenza nella persona stessa di Gesù.
Nicodemo viene da Gesù e gli parla proprio di lui: non gli pone una
questione dottrinale, ma gli dichiara di essere venuto alla persuasione, di aver
capito dalle <<Opere» che Gesù è il <<maestro venuto da Dio» (3,2). E proprio a
questo punto Gesù soggiunge che per capire il regno di Dio occorre rinascere di
nuovo.
E quando la parte dialogica vera e propria è terminata, l'attenzione si
concentra tutta esplicitamente nella persona di Gesù, <<il Figlio dell'uomo
disceso dal cielo» (Gv 3,13), che «deve essere innalzato» (3,14), che è stato
donato da Dio al mondo di Dio (cf. 3,16). Si insiste sulla fede in lui (cf. 3, 18),
messa in parallelo con la verità da fare (cf. 3,21). C'è una tendenza centripeta
multipla, in tutto questo contesto che parla del regno di Dio, verso la persona

' Anche l'espressione •il regno di Dio» è situata in un contesto letterario di parallelismo
sinonimico progressivo:
A ccln verità, in verità ti dico:
B se uno non nasce di nuovo (o dall'alto: O.vwlh:v)
C non può vedere il regno di Dio ...
A' In verità. in verità ti dico:
B' se uno non nasce dall'acqua c dallo Spirito
C non può en/rare nel regno di Dio» (Gv 3.3.5).
Il parallelismo. quanto mai aderente, suggerisce un'interpretazione globale: la verità che
Gesù rivela con particolare impegno (A c A') è che se uno non nasce di nuovo a quel tipo di vita
che comincia col battesimo e viene sviluppato dallo Spirito (B e B') non può né comprendere
intellettualmente il regno di Dio né entrare a farvi parte (C e C'). La comprensione e la
condivisione del regno esige la comprensione e la condivisione della verità di Gesù. veicolata nel
cristiano dallo Spirito.
' Il collegamento tra lo Spirito e la verità che Cristo attua appare già in Gv 4,2 (adoreranno
<<in Spirito e verità•), tv rtvEUJlan xai Ò.ÀrJl~f.Lçt.). In 14.17 troviamo c<lo Spirito della verità», 'tÒ
ltVE1)~a rftç UÀ!]ilEia;. Lo stesso in 15,26 dove allo •Spirito della verità», rò ;tVEii~a tijç IIÀ!]ildaç,
è attrihuita la funzione di rendere testimonianza a Gesù. Ancora più esplicita l'allra ricorrenza
16,13: <do Spirito della verità vi farà strada conducendovi alla verità piena)) (se leggiamo con A B
054 ecc. Eiç ri]v IIÀljtlnav itàoav). Giovanni ha così chiaro il collegamento tra lo Spirito, che non
ha un contenuto proprio. e la verità-rivelazione di Gesù che esso anima, da coniare l'espressione
condensata (do Spirito della verità•> (tò :rvF.f.IJ..I.U ti); àì...rr6Elaç). Non si comprende la verità senza lo
Spirito né lo Spirito senza rapportarlo alla verità.

281
di Gesù. Ma non si ha un'identificazione esplicita; si ha solo un fascio di
suggerimenti in questa linea che dovrà essere elaborato ulteriormente.
Tra questi elementi la verità da accogliere mediante l'apertura della fede
e da attuare sotto l'influsso dello Spirito appare come il più caratteristico. Lo
ritroviamo nel <<libro dell'ora» quando riemerge esplicitamente la dimensione
personale della regalità di Gesù.

3. <<lO SONO RE>>

Troviamo nel colloquio tra Gesù e Pilato:


<<Dunque tu sei re?
Rispose Gesù: Tu lo dici: io sono re. Io sono nato per questo, per rendere
testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce»
(18,37).
C'è una continuità, una corrispondenza aderente, tra la venuta di Cristo
nel mondo, la sua testimonianza della verità e la sua qualifica di re: <<per
questo» (Eiç wuw) riprende quanto affermato immediatamente prima (<<io
sono re») e prepara proletticamente l'esplicitazione che si ha dopo (<<per
rendere testimonianza alla verità»). Ne segue una conseguenza importante:
solo l'omogeneità docile della fede alla verità testimoniata da Gesù - essere
dalla verità - permette di far parte del suo regno.'
La regalità appare quindi relazionata alla sua verità. Il regno di Dio di cui
Gesù parla a Nicodemo si realizza di fatto nel contesto della verità di Gesù
accolta e attualizzata. Siccome Gesù si identifica con la sua verità (cf. Gv 14,6),
la corrispondenza della verità con la regalità ci porta esplicitamente sulla linea
di una personalizzazione: Gesù-verità è, personalmente, il re del regno di Dio.
Il regno di Dio diventa il suo.
Oltre a questa personalizzazione del regno di Dio che tende a far perno su
Gesù <<testimone della verità», ci sono due altri aspetti importanti da
sottolineare: Gesù stesso qualifica la sua regalità definendo le caratteristiche
del suo regno e lo fa in un contesto che coinvolge direttamente sia Pilato che i
giudei.'
Parlando a Pilato, Gesù, prima ancora di presentarsi come re della verità
- ciò che abbiamo visto più sopra - determina in modo chiaro, anche se in

'Cf. l. DE lA PoTTERIE, La vérité dans Saint Jean, Rome 1977, pp. 428-435.
7
La regalità affermata esplicitamente da Gesù proprio davanti a Pilato e respinta dai giudei
ricorre anche nei Sinottici (cf. Mt 27,11 e paralleli), ma è una caratteristica del quarto Vangelo lo
sviluppo elahorato. Il fatto non ha mancato di attirare l'attenzione degli studiosi: cf. A. JAUHERT,
La comparition devant Pilate selon Saint Jean /8,28-19,26 in FV (1974) 13, pp. 3-12; J. EscA~DE,
Jésus devant Pilate. Jean 18,28-19.24. in FV, (1974) 13, pp. 66-81 (analisi strutturale della
pericope); F.M. BRAcN, La seigneurie du ChrLrt dans le monde, selon S. Jean, in RThom ( 1967) 67,
pp. 357-86.

282
termini di ciò che non ~. la fisionomia specifica del suo regno. Vale la pena
analizzare da vicino questo testo fondamentale:
<<Il regno, quello mio,
non è da questo mondo;
se fosse da questo mondo
il regno, quello mio,
i miei sudditi combatterebbero
perché non venga consegnato ai giudei:
allora quindi il regno, quello mio,
non è da quaggiù>> (18,36).
È da notare l'insistenza sull'espressione leggermente enfatica: ti ~aotÀEla
ti fjli), <<il regno, quello mio>>. L'enfasi, rilevabile dal confronto spontaneo con
quella che sarebbe stata l'espressione greca normale ti ~amÀEla ÈlliJ, sottolinea
la peculiarità del regno di Gesù.
Si tratta di un regno che può essere in qualche modo compreso nella categoria
semantica dei regni, ma si distingue da essi per il fatto che è il suo (T, È!liJ). Dice un
rapporto stretto alla persona, è unico e irripetibile come la persona stessa.
Si comprende, allora, l'insistenza con cui il regno tipico e proprio di Gesù
viene distinto dal mondo degli uomini, da quell'intreccio e da quel sistema di
rapporti che costituiscono, nel loro insieme, il mondo di quaggiù, <<questo
mondo» di cui tutti, cominciando da Pilato interlocutore di Gesù, hanno
esperienza. È un punto di riferimento immediatamente comprensibile. Non si
dice- come si legge nell'apocrifo Atti di Pilato citato opportunamente dai vari
commentatori - che il regno di Gesù non è in questo mondo. Si sottolinea,
marcatamcnte c ripetutamente, che esso non è commensurabile col contesto
attuale dci rapporti tra gli uomini.
E questo è tanto importante agli occhi dell'evangelista da essere inculcato
anche con un'esemplificazione. Ogni re <<da questo mondo», che sia veramente
tale e non semplicemente un sognatore, ha un contesto di <<Servitori»,' di
sudditi intorno a sé. Quando il re è in pericolo fino a rischiare addirittura di
perdere la vita, i sudditi lo difendono, spesso con dedizione e con accanimento.
La morte del re segnerebbe la fine, la distruzione del regno al quale anche i
sudditi sono interessati. Gesù, invece, è solo. La prospettiva realistica che sarà,
di fatto, consegnato ai giudei per essere crocifisso- Pilato lo farà subito dopo:
cf. 1,16a'- non solo non spinge nessun suddito di Gesù a combattere per lui,

H Il termine Umwhat «servitori, sudditi>~ non ha mancato di suscitare difficoltà qualora lo si

riferisca in termini realistici a un regno di Gesù. Ma, come nota opponunamente BROWN, The
Gospel. pp. 852-853, qui si tratta solo di un esempio di regno di questo mondo. fatto apposta per
distinguere il regno proprio di Gesù: «W e are no t explicitly told that a kingdom that is not of this
world has subjects».
'l Anche se Gesù di fatto sarà poi crocifisso dai romani. Giovanni sottolinea (polemicamcn~

te?) che gli agenti ispiratori e responsabili sono i giudei: (<Allora dunque lo consegnò loro perché
fosse crocifisso» (Gv 19,16a).

283
ma neppure distrugge la prospettiva del suo regno. La sua regalità è davvero
eterogenea rispetto a qualunque ottica umana: <<consegnatO>> ai giudei, Gesù è re.
Già all'inizio dell'interrogatorio di Gesù da parte di Pilato era possibile
presagire una prospettiva del genere. I giudei presentando Gesù a Pilato lo
qualificano come malfattore e chiedono implicitamente la sua morte (cf. Gv
18,3), ma non lo qualificano come re. Pilato invece fa subito dopo a Gesù la
domanda: <<Sei tu il re dei giudei?>> (Gv 18,33). Con ciò veniva già insinuata
l'idea di un rapporto tra la morte di Gesù e la sua regalità.
Ritorniamo all'esemplificazione. Essa possiede una forza dimostrativa
ineluttabile. Adeguatamente compresa porta alla conclusione logica: «allora
quindi» (vùv OÉ) il regno di Gesù non è di quaggiù. Non è commensurabile a
nessun parametro umano.
Eppure esiste ed è davvero il regno di Gesù. Pilato trae dalle parole di
Gesù l'unica conseguenza possibile: <<Dunque (oùv) tu sei un re?». Gesù
replica: <<Sei tu a dirlo (où ÀÉyELç) che io sono re» (l 8,37). Viene messo in
risalto non solo il fatto che Gesù è re ma anche che è proprio Pilato, un
esponente di <<questo mondo>>, ad affermarlo. Pilato infatti, nella prospettiva di
Giovanni, sembra avere un ruolo particolare di proclamazione proprio in
rapporto con la regalità di Gesù. È lui l'interlocutore con cui Gesù parla della
sua regalità e la specifica. Ed è lui, potremmo dire, proprio in quanto Pilato:
Giovanni lo sottolinea, mettendo in bocca a Gesù, quando Pilato lo interroga,
una domanda che sorprende: <<Lo dici da te stesso o altri te lo hanno detto di
me''» (Gv 18,34). Pilato protesta di non essere giudeo, di parlare ufficialmente
a nome proprio, come procuratore romano e giudice di Gesù. Solo a questo
punto Gesù spiega a Pilato le caratteristiche del regno, quello suo. Si ha
l'impressione che Gesù voglia evitare di parlare della sua regalità a un
interlocutore che potesse farsi esplicitamente portavoce dei giudei.
E Pilato lo designerà in seguito <<re dei giudei» (18,39). Sarà lui a
presentarlo ufficialmente come tale: <<Ecco il vostro re>> (19,14); lo farà
crocifiggere come re dei giudei, porrà sulla sua croce la scritta in aramaico,
greco e latino <<Gesù nazareno re dei giudei» (19,19) e si opporrà recisamente a
una modifica (19.22).
Per Pilato, Gesù è davvero il re dei giudei. Facendolo crocifiggere, lo
rende tale e lo proclama ufficialmente.
Tutto immerso nel contesto di questo mondo, Pilato non entra nel giro
della regalità propria di Gesù. La sua ignoranza di fatto della verità di Gesù
glielo impedisce (cf. Gv 18,38). D'altra parte non accetta la prospettiva politica
riduttiva sulla quale insistono i giudei e che avrebbe dovuto interessare Pilato
come procuratore. Gesù è <<il re dei giudei>> e Pilato fa di tutto per liberarlo.
Si ha allora una sensazione netta: nel proclamare Gesù <<re dei giudei>>
Pilato- nella ricostruzione di Giovanni -svolge un ruolo più grande di lui.
Ha il <<potere» che gli viene solo dall'alto (Gv 19,10-11). Accetta superficial-
mente la definizione che Gesù dà di sé come re e se ne fa portavoce ufficiale.
La designazione <<re dei giudei>> appare, in conclusione, carica di un significato

284
nuovo, ancora misterioso e tutto da spiegare. È però rilevante che sia un uomo
«da questo mondo» e che appartiene alla sua struttura organizzata a proclamar-
lo. Tutto questo è confermato dall'atteggiamento dei giudei.
Il loro atteggiamento nei riguardi di Gesù è presentato fin dall'inizio del
processo in termini di un'ostilità pesante. Lo schiaffo del servitore del sommo
sacerdote Anna è una ripulsa violenta di quello che Gesù ha detto, della sua
verità (cf. Gv 18,19-23). La prima presentazione che i giudei fanno a Pilato
indica Gesù come un evidente malfattore (cf. Gv 18,30). Quando Pilato,
nell'intento di salvare il <<re dei giudei», propone di rilasciarlo in occasione
dell'usuale condono di pasqua, sono i giudei a gridare che preferiscono
Barabba, un autentico malfattore (cf. Gv 18,40). Sono i giudei per primi che
parlano di crocifissione, anche dopo che Gesù è stato flagellato (cf. Gv 19,6).
Finalmente, quando Pilato, indicando Gesù, lo proclama loro re, i giudei
arrivano al massimo di ostilità:
<<Gridarono dunque: Togli! Togli!
Crocifiggi! Crocifiggi'
Dice loro Pilato: Crocifiggerò il vostro re?
Risposero i sommi sacerdoti: Non abbiamo nessun re se non Cesare.
Allora dunque lo consegnò loro perché fosse crocifisso>> (Gv 19,14-16).
I giudei così si autoescludono da quello che è un regno <<non da questo
mondo» e preferiscono, esplicitamente ed esclusivamente, un re di questo
mondo.

4. GESÙ CROCIFISSO RE UNIVERSALE

Si ha, allora, una tensione che rimane irrisolta: la linea di Pilato porta
all'affermazione ripetuta e ribadita che Gesù è il re dei Giudei. I giudei invece
si chiudono radicalmente a questa prospettiva e scelgono un re e un regno di
questo mondo. Chi sono i giudei di cui Gesù è re, visto che i giudei veri e propri
si auto-escludono nell'ambito della sua regalità?
Questa domanda non trova una risposta esplicita nel Vangelo di
Giovanni. Ma alcuni indizi sono significativi.
L'iscrizione posta sulla croce di Gesù, proprio quella che lo proclama
solennemente re, è scritta in <<ebraico, greco e latino». Non si tratta di un det-
taglio banale, quasi decorativo. L'ambito indicato dalle tre lingue, praticamen-
te tutto il bacino del Mediterraneo, indica una certa universalità. I «giudei» di
cui Gesù è re tendono quindi a coincidere con tutti gli uomini. Il regno di Dio,
realizzatosi nell'Antico Testamento con i giudei, tende adesso, tramite la
crocifissione a raggiungere tutti.
Questa tendenza all'universalità si trova affermata chiaramente in altri
brani di Giovanni, riferiti alla crocifissione:

«lo quando sarò innalzato da terra, attrarrò tutti a me» (Gv 12,32).

285
Commentando la profezia che Caifa, quasi suo malgrado, fa sulla morte
di Gesù <<per il popolo perché non tutta la nazione perisca>> (Gv 11,50),
l'evangelista così si esprime:
<<Profetizzò che Gesù sarebbe anche morto per il popolo e non per il
popolo soltanto, ma anche per portare ad unità i figli di Dio dispersi>> (Gv
11,51-52).
Come attuerà Gesù questa sua prerogativa di re universale? Lasciando
questa domanda sospesa, possiamo. a questo punto, dare uno sguardo in pro-
spettiva allo sviluppo della regalità di Cristo nell'ambito del quarto Vangelo.
La prima affermazione personalizzante che fa di Gesù <<il re di Israele>>
(Gv 1,49), con un rimando a quello che sarebbe stato poi lo sviluppo
successivo, è stata confermata e approfondita.
Il primo passo di tale approfondimento si è avuto in una esplicitazione
messa in bocca a Gesù stesso: esiste un regno di Dio da <<vedere>> attraverso la
fede e a cui prendere parte. Comincia ad attuarsi col battesimo e si sviluppa in
seguito sotto l'influsso costante dello Spirito che attualizza la verità testimonia-
ta da Gesù.
I molteplici indizi convergenti su Gesù anche quando parla di regno di
Dio attirano di nuovo l'attenzione su di lui come persona. Il regno di Dio fa
perno su di lui, lui ne è il protagonista attivo e la qualifica di re spetta
pienamente a lui.
Ma questa qualifica emerge ancora più precisa e acquista il massimo di
chiarezza nell'ambito deli'<<Ora>>. li regno di cui Gesù è il protagonista attivo,
per cui è re, si attua nella condivisione della sua verità, ma non ha riscontro nei
parametri di regalità ai quali siamo abituati.
Infatti il punto che qualifica e addirittura sembra realizzare di fatto, come
capaciti! di aggancio alla storia, la regalità di Gesù è costituito dalla sua morte,
che è insieme crocifissione ed esaltazione-" Già nel discorso tra Gesù e
Nicodemo, dove si era parlato del regno di Dio, emerge la necessità che il
Figlio dell'uomo sia <<esaltato>> nel senso appunto della sua morte e della sua
crocifissione. Tale prospettiva si fa. nello sviluppo ulteriore del Vangelo,
precisa e tagliente: il re dci giudei dovrà essere crocifisso e proprio in questa
situazione realizzerà il culmine della sua regalità, che proprio sulla croce si
manifesta con una potenzialità universale.
Questo approfondimento teologico della figura di Gesù suppone la sua
risurrezione. Giovanni ne è consapevole al punto da sovrapporre i due aspetti,
quello della morte e della risurrezione, anche nella presentazione dei due
eventi. Il Cristo risorto mostrerà i segni della passione (cf. Gv 20,20); il Cristo
che muore proprio nell'ultimo atto della sua esistenza terrena, <<darà lo

10
Cf. per un approfondimento di questo tema THOSING, Die Erhiihung.

286
Spirito»" (Gv 19,30) come il Cristo risorto (cf. Gv 20,22). L'acqua che uscirà
dal suo fianco trafitto è simbolo dello Spirito (cf. Gv 19,34). Ma c'è di più. La
prima designazione di Gesù come <<re d'Israele>> era stata messa in parallelismo
sinonimico con «Figlio di Dio» (Gv 1,49) e tutte e due le designazioni erano
state rapportate dal loro contesto immediato a un futuro più grande che le
avrebbe chiarite (cf. Gv 1,50). La dimensione della regalità trova la sua
massima espressione nella crocifissione, come abbiamo rilevato. Viene da
chiedersi che ne è della frase parallela: «Figlio di Dio». E sembra che anche la
qualifica di «Figlio di Dio» trovi una sua esplicitazione proprio sulla croce. Ce
lo dice espressamente Giovanni:
«Non conobbero che parlava loro del Padre. Disse dunque Gesù:
Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora conoscerete che io
sono e che non faccio nulla da me stesso, ma come mi insegnò il Padre,
così faccio» (Gv 8,27-28).
L'esaltazione è la crocifissione, nella quale quindi si fa conoscere la realtà
trascendente di Gesù, Figlio e allo stesso livello del Padre («io sono>>). Ma ciò
che Giovanni mette in risalto esplicitamente nel contesto della crocifissione è la
regalità di Cristo, a differenza degli altri evangelisti che, sempre a proposito di
crocifissione, non parlano di regalità ma di una manifestazione della filiazione
divina di Gesù."
Viene allora da pensare che i due aspetti «Figlio di Dio» e «re di Israele»
siano uniti e saldati insieme nella regalità come essa si attua sulla croce. Si
tratta della regalità propria. unica, irripetibile, non confrontabile con nessun
termine umano, che solo il Figlio di Dio può realizzare perché «è», e si trova al
livello del Padre. E come Dio, il Padre, è «colui che è» probabilmente nel
senso transitivo di «colui che fa essere il suo popolo». così Gesù, re dalla croce,
si farà conoscere come colui che fa essere i nuovi giudei, il nuovo popolo di
Dio. La regalità si colloca allora a un livello di trascendenza e la trascendenza si
esprime a sua volta nella regalità. Si ha il culmine della concezione della
regalità di Cristo in Giovanni.

11
L'espressione :rragÉ8wxrv tò 1tVEiljJ.a «diede, consegnò lo spirito'~ data la sua novità
linguistica per designare l'ultimo respiro di un moribondo - e dato anche il contesto
immediatamente seguente che sottolinea la fuoruscita dal fianco di Gesù dell'acqua, interpretata
come il dono dello Spirito- sembra voler suggerire che. morendo, Gesù comunica il suo Spirito
alla chiesa: cf. l. DE LA PorrERIF., Exegesis IV Evangelii. De narratione passionìs et martis Christi,
Joh 18·19 (ad usum auditorum), Roma 1978-1979, pp. IH6-189.
" È tipica, a guesto proposito, la costruzione letteraria di Matteo: dopo la crocifissione di
Gesù (Mt 27,38), i passanti e i capi dei sacerdoti, rappresentanti dei giudei. lo sfidano a scendere
dalla croce se lui è davvero, come ha detto, «figlio di Dio», ulo; ... tou ttwu (Mt 27A0·44). Segue
poi la morte di Gesù (Mt 27,45-50). Allora il centurione romano proclama, in risposta esplicita ai
giudei: «Veramente, akrp'l<i>ç, figlio di Dio era costui» (Mt 27,54). La morte di Gesù diventa una
rivelazione della sua filiazione. in risposta alla ripulsa dei giudei. In Giovanni la ripulsa dei giudei
punta tutta contro la regalità, e parallelamente, la proclamazione di Pilato si riferisce alla regalità.

287
Ma proprio questo quadro riassuntivo che appare un punto di arrivo,
costituisce anche un punto di partenza. Contiene tutta una serie di potenzialità
da sviluppare ancora.
Il fatto della proclamazione della regalità da parte di Pilato, uomo
inquadrato nei regni di questo mondo, e il rifiuto parossistico da parte dei
giudei che, come popolo di Dio avrebbero dovuto essere i primi a farne parte,
ci pone davanti a una bipolarità paradossale che possiamo formulare in sintesi
così: come si svilupperà e con quali modalità questo regno universale di un re
dei giudei proclamato ufficialmente da un profano, da un <<laico>>? È una
domanda che, nell'ambito del quarto Vangelo, non riesce a trovare una
risposta.
Ugualmente senza risposta rimangono altre istanze similari che sono
emerse man mano e che qui possiamo riassumere: come si attuerà di fatto la
condivisione della verità che permette di partecipare al regno di Gesù'' Anche
se Gesù è il protagonista attivo del regno, questo rimane sempre regno di Dio:
qual è allora il rapporto concreto tra il regno di Dio e Gesù che ne è il re?
Inoltre: la scena solenne della crocifissione coll'iscrizione trilingue, la
proclamazione di Pilato e il rifiuto dei giudei rapportano la regalità di Cristo
con la concretezza multipla della storia della quale sia Pilato sia i giudei sono
un'espressione. La regalità di Cristo è in contatto con gli uomini, fa pressione
su di loro: ma allora come è possibile che un regno non <<da questo mondo»
faccia presa sulla storia degli uomini, sul loro ambito che è proprio questo
mondo?
Tutte queste domande, è spontaneo constatarlo, si richiamano a vicenda.
Costituiscono un'istanza globale di approfondimenti e chiarimenti ulteriori.
Raccogliendo questa istanza passiamo ora alla seconda fase della nostra ricerca
esaminando - sempre a grandi linee - la regalità di Cristo così come essa ci
appare nell'Apocalisse.

5. I CRISTIANI COME <<REGNO» NELL'APOCALISSE

Rileggendo l'Apocalisse nella prospettiva di questa serie di domande,


colpisce subito, fin dalle prime righe, il fatto che i cristiani sono fatti regno da
Cristo e proprio in rapporto con la sua morte.
Nell'ambito del dialogo liturgico iniziale (cf. A p l ,4-8), il gruppo di
ascolto costituito dall'assemblea liturgica in atto reagisce alla benedizione
augurale del lettore (cf. Ap 1.4-Sa) con una dossologia indirizzata a Cristo:
<<A colui che ci ama
e ci sciolse dai nostri peccati nel suo sangue
- e fece noi regno, sacerdoti a Dio e Padre suo -
a lui la gloria e la forza per i secoli. Amen» (Ap l,Sb-6).
I cristiani si autocomprendono come regno realizzato da Cristo: <<ci fece
(btolT]oEv ~f!àç) regno». La discontinuità grammaticale del verbo con il

2H8
contesto immediatamente precedente, mette ancora più in risalto il contenuto
espresso: si tratta di un fatto di particolare rilievo."
Ma accanto a questa discontinuità grammaticale rispetto all'espressione che
precede, c'è anche, secondo lo stile complesso dell'Apocalisse, una continuità in-
teressante da sottolineare. All'aoristo ÈltOLT]OEV <<fece>>, corrisponde il participio
aoristo Auoavn, <<che sciolse>>." Questa corrispondenza pone sullo stesso piano di
un'azione passata sia la liberazione dai peccati mediante il sangue, sia la costitu-
zione dei cristiani come regno da parte dello stesso soggetto che è Cristo.
Lette di seguito, appunto come il testo ce lo presenta, queste due azioni si
susseguono con una concatenazione logica spontanea, ma che non appare
subito come tale. È chiaro infatti che la liberazione dai peccati mediante il
sangue precede la costituzione dei cristiani come regno, ma non si vede come,
una volta attuata la liberazione dai peccati, emerga la dimensione del regno.
C'è come uno spazio vuoto nella concatenizzazione tra le due azioni. Tale
spazio vuoto viene colmato se si pensa alla crocifissione come espressione di
una regalità attiva da parte di Cristo, così come essa appare nel quarto
Vangelo. La crocifissione, comporta, senza dubbio, la liberazione dai peccati;
ed è la stessa crocifissione che, espressione e attuazione di Cristo come re,
genera immediatamente il <<regno» che sono i cristiani.
I cristiani si realizzano come <<regno» proprio nella prospettiva di un
regno <<non da questo mondo» che abbiamo trovato nel quarto Vangelo. Gesù,
protagonista di questo nuovo tipo di regno, <<quello suo», diventa re dando la
propria vita, consegnato ai giudei. È dando la sua vita, <<nel suo sangue», si
sottolinea nell'Apocalisse, che Cristo rende i cristiani suo regno.
I cristiani regno sono il primo effetto, realizzato concretamente, della
regalità di Cristo applicata alla storia. Solo perché lui è re può far sì che i
cristiani diventino regno: l'Apocalisse e il quarto Vangelo si illuminano a
vicenda, nel senso preciso che quella che è, nel quarto Vangelo, una
potenzialità attiva, una «causa» potremmo dire, la regalità di Cristo, trova una
sua esplicitazione nei cristiani <<regno>> che costituiscono il risultato realizzato,
l'effetto di questa potenzialità.

" La reazione dossologica da parte del gruppo di ascolto alla benedizione del lettore si
in<..Iirizza spontaneamente a Cristo: troviamo dei participi al dativo che riguardano razione di
Cristo: t'ÌJ aycotwvn 'iftii; xal Moavn ~l'ii; ... (1,5bss). La serie dci participi al dativo viene
interrotta bruscamente da un verbo di modo finito, anch'esso attribuito a Cristo: x.ai. È:j(OlYJOEV.
L'inconcinnitas era avvertita: vari codici sostituirono all'indicativo btolflOEV il participio noti)cravn
(046, 1854, 2053, 2062), un dativo come gli altri che precedono.
14
L'espressione è insolita ed ha proprio il valore di una liberazione da legami- i peccati-
la quale rende possibile per i cristiani divenire poi- come vedremo- anche protagonisti alli vi del
regno. La peculiarità di questa concezione dell'Apocalisse è, anche qui. sottolineata dalla
tradizione manoscritta: all'immagine inconsueta di uno scioglimento riferito al sangue venne
sostituita l'immagine più coerente di un lavaggio: P, 1006, 1841, 2053. 2062, ecc., hanno Àouoavn
«che lavò>) al posto di ì..Uouvtl «che sciolse».

289
C'è un altro fatto che conferma l'influsso attivo di Cristo re sui cristiani.
Questi non sono detti soltanto <<regno>> ma anche, con una particolare enfasi.
<<Sacerdoti a Dio e Padre suo»."
La stessa azione di Cristo, nello stesso contesto di regalità attuato sulla
croce, costituisce i cristiani simultaneamente <<regno» e <<sacerdoti». I due
termini (j3aotÀElav e LEgEiç) dipendono dallo stesso verbo (bo[T]OEV).
Anche se dipendenti dallo stesso verbo, i due termini non sono sinonimi.
La qualifica di «sacerdoti» attribuita ai cristiani, in un testo così carico di
allusioni di Antico Testamento come l'Apocalisse, fa pensare a un loro ruolo di
mediazione, sulla linea - almeno come punto di riferimento - della
mediazione tipica del sacerdozio dell'Antico Testamento.

6. CRISTO-AGNELLO RENDE l CRISTIANI REGNO, SACERDOTI E CAPACI DI REGNARE

Ma come si realizza di fatto, sempre nell'ottica dell'Apocalisse, questa


mediazione attiva? Un altro testo in cui si parla di nuovo di sacerdozio e di
regno realizzati in dipendenza da Cristo che dona la sua vita- il Cristo-re nella
prospettiva del quarto Vangelo - ci permette una prima risposta e un
allargamento inatteso di prospettiva.
Per comprenderlo, occorre riferirsi al contesto immediato. In Ap 5,6
viene presentato per la prima volta il Cristo-agnello (1:ò agvlov)." I punti di
contatto con la figura di Cristo re presentata dal quarto Vangelo sono
interessanti: si ha la stessa sovrapposizione tra la morte e la risurrezione.
L'«agnello» è presentato <<in piedi (ÈOTTJXÒç, simbolismo antropomorfico della
risurrezione) come ucciso»; la potenzialità attiva implicita nel Cristo-re
crocifisso che abbiamo rilevato assume l'espressione concreta di una forza
aggressiva: l'agnello ha <<sette corna», cioè- secondo il simbolismo aritmetico
tipico di <<sette» e di quello teriomorfo tipico di <<corno» - la <<totalità della
forza». Il Cristo re che muore, abbiamo notato, è colui che, anticipando lo
stato di risurrezione, dona lo Spirito: il Cristo-agnello ha anche <<Sette occhi,
che sono i sette spiriti di Dio proprio quando sono inviati sulla terra». I <<Sette
spiriti» sono da identificarsi con tutta probabilità con lo Spirito di Cristo che,
donato e inviato, si ramifica in una completezza di doni.
Il termine agvlov ricorre altre 28 volte nell'Apocalisse. Eccetto una
volta 17 sarà sempre riferito direttamente a Cristo. Secondo Io stile allusivo
dell'Apocalisse, il termine agviov anche senza altre aggiunte richiamerà -
occorrerà esplicitarlo direttamente ogni volta- tutto il quadro teologico denso
che abbiamo trovato nella prima presentazione.

" Rimando per una documentazione e un approfondimento ulteriori alla Parte terza, c. IV,
pp. 354-360.
16
Cf. per una valutazione teologico-biblica aggiornata della figura di Cristo come ~cagnell<h>
nell'Apocalisse HOHNJEC, Da.r Lamm. Cf. anche Parte seconda. c. IV, pp. 182-1!!4.
" È il caso del secondo mostro in A p 13, Il: esso ha «due corna simili a un agnello» (O!!Ot« ltgvi<;J)
Si tratta di un tentativo di appropriazione indebita della forza di Cristo da parte di questo protagonista del
male: il riferimento. anche se indireno. sembra sempre da rapportare a Cristo-agnello.

290
L'agv[ov riceve solennemente da Dio il libro dai sette sigilli che contiene
tutta la storia dell'uomo. E sarà lui, l'àgviov, il Cristo morto e risorto con la
pienezza della sua potenzialità e dello Spirito che dona - il Cristo-re del
quarto Vangelo- l'unico in grado di aprire il libro e di interpretarlo, dando
così un senso alla storia dell'uomo. L'agvlov è il Cristo-re ma rapportato
direttamente e coinvolto nelle vicende del mondo.
Al Cristo-agnello, proprio dopo che si è appropriato del libro, viene
rivolta una celebrazione dossologica solennissima che esplicita ed illustra la
portata della sua azione:
<<Tu sei in grado di prendere il libro
e di aprire i suoi sigilli
perché fosti ucciso e comprasti a Dio nel tuo sangue
(persone) di ogni tribù e lingua e popolo e nazione
e li facesti regno al nostro Dio
e sacerdoti
e regnano" sulla terra» (Ap 5,9-10).
L'asperità grammaticale che, nel testo esaminato più sopra, metteva
insieme con una certa forzatura senza nessuna particella di collegamento
«regno» e «Sacerdoti>>, viene qui superata e chiarita. I cristiani, fatti regno da
Cristo, sono anche sacerdoti e regnano sulla terra. La costruzione letteraria
della frase è caratteristica: si passa da un regno nel senso di un risultato
(E:rroil]oas aùmuç ... ~amÀE[av: «li facesti ... regno>>) a un regnare in senso
attivo di cui sono i protagonisti i cristiani (~aOLÀEuoumv «regnano>>) attual-
mente, se vogliamo accettare la /ectio del codice A. Si tratta di un regno da
esercitarsi «sulla terra>>. L'espressione, nell'Apocalisse, si riferisce alla situa-
zione storica presente. palpabile e visibile, degli uomini che vivono sulla terra.
È proprio in rapporto con loro che i cristiani «regnano>>. Il probabile
BamÀEuoumv, al presente, rende simultanea l'azione del regnare. E <<regnare>>
ha qui, come normalmente nell'Apocalisse," il senso attivo di «procurare il
regno>>. Fatti regno da Cristo, i cristiani rispondono reagendo attivamente sulla
stessa linea: procurano il regno di Cristo.
Così realizzano il loro sacerdozio. Lo indica il termine «sacerdoti>>, che,
incluso tra il regno in senso passivo e il regno da procurare in senso attivo, ha

'" Un'incertezza nella tradizione manoscritta a proposito del tempo e del soggetto di questa
azione di «regnare» merita di essere presa in considerazione non solo allo scopo di acccnare il testo
originale. ma anche per comprenderne la difficoltà di interpretazione. Troviamo la terza persona
plurale al futuro Bnmhuoo11mv nel codice Sinaitico, in diversi minuscoli ( 1854. 2050, 2053, 2344,
2351) c in diverse versioni: l'azione di regnare viene attribuita a soggetti che stanno sulla Lerra, gli
uomini raggiunti dall'azione di Cristo·agnello, ma è spostata nel futuro. C'è poi la lezione
j:\aatÀEUouotv, sempre alla terza persona plurale e nel presente, testimoniata da A. 1006, 1611,
1841, 2329, ecc. È probabilmente da preferire sia per l'autorità del codice A, sia come «lectio
difficilior»: l'azione di regnare è attribuita a soggetti umani ed ha luogo adesso, simultaneamente a
chi parla, sulla terra. Cf. per ulteriori dettagli, Parte terza, c. IV, pp. 352·354.
" Cf. Parte terza, c. V, pp. 352-354.

291
chiaramente una funzione di passaggio. «Fatti>> regno i cristiani sono <<fatti»
anche sacerdoti: come tali hanno una qualifica corrispondente che permette
loro di impegnarsi nel procurare il regno.
La regalità di Cristo non solo si attua nei cristiani divenuti suo regno ma si
prolunga attivamente in essi, in quell'esercizio del loro sacerdozio che essi
fanno contribuendo alla realizzazione storica, «sulla terra>>, del regno stesso.
La dimensione grandiosa di questo effetto nell'azione di Cristo-agnello fa
pensare all'azione stessa come causa. È quanto nella prima frase del testo
riportato e che merita un esame più attento.
Viene messo in risalto, come prima cosa, il fatto che Cristo-agnello è «in
gradO>> (al;LOç, non nel senso di una qualifica morale. ma in quello più concreto
della capacità e dell'efficienza) di appropriarsi del piano di Dio sulla storia, di
rivelarlo aprendone i sigilli, e di attuarlo in concreto servendosi anche della
mediazione dei cristiani sacerdoti. Abbiamo, in altre parole, Cristo tutto
rapportato alla storia, in grado di darle un senso e di rivelarla. Quella tendenza
verso la storia che abbiamo rilevato nella regalità di Cristo crocifisso del quarto
Vangelo trova qui un'esplicitazione e un aggancio concreto.
La capacità di questo rapporto concreto con la storia, di <<pressione» su di
essa dipende esplicitamente dalla morte di Cristo. Senza essere mai descritta,
viene riinterpretata dall'Apocalisse in termini che, da una parte richiamano da
vicino la regalità di Cristo crocifisso, dall'altra le aprono una prospettiva
amplissima ma sempre sul piano della concretezza storica. L'universalità già
suggerita dalle lingue diventa, qui, la più ampia possibile: «da ogni tribù e
lingua e popolo c nazione>>. Oltre l'universalità viene esplicitato un altro
aspetto. Il quarto Vangelo ci ha parlato di Cristo re, presentando però un
quadro assolutamente nuovo della sua regalità. Veniva da chiedersi come essa
si attualizza di fatto. Qui abbiamo una prima risposta. Con il dono della sua
vita, il suo <<sangue>>, realizzato mediante la sua uccisione, Cristo <<acquista>>
tutti a Dio. La regalità di Cristo si esplica proprio in quest'azione di acquisto,
che è messa, nel nostro testo, in parallelismo sinonimico con la costituzione
attiva, sempre da parte di Cristo, di tutti gli uomini come suo regno. L'azione
di acquisto, ~y6gacraç, poi specificata com'è da E;w[rJcraç a\rroùç ... ~amì-.Elav
è un esercizio attivo di regalità da parte di Cristo.
Riassumendo: l'esplicitazione della regalità di Cristo crocifisso che
troviamo in questo testo dell'Apocalisse risalta ed è quasi visualizzata dai verbi
ricorrenti nella breve pericope e dalle loro correlazioni. Viene detto a Cristo-
agnello:
<<Sei in grado di prendere il libro
e di aprire i suoi sigilli
perché (on) fosti ucciso
e comprasti a Dio nel tuo sangue
(persone) di ogni tribù e lingua e popolo e nazione
e li facesti regno e sacerdoti
e regnano sulla terra>> (5,9-10).

292
7. IL REGNO DEL MONDO DMENE REGNO DI DIO E DI CRISTO

La presentazione dell'fiQV[ov che abbiamo esaminato ci ha permesso di


ravvisare un parallelismo stringente e complementare tra il <<Gesù nazareno re dei
giudei>> del quarto Vangelo e il Cristo-agnello dell'Apocalisse. Ogni volta, allora,
che incontriamo nell'Apocalisse l'agnello come protagonista possiamo interpreta-
re la sua azione anche alla luce della regalità del quarto Vangelo. Quindi- per
citare alcuni esempi indicativi- quando l'agnello apre i primi quattro sigilli la sua
azione è collegabile al quadro della regalità. Partendo da queste ipotesi, vediamo
allora come il testo dell'Apocalisse si illumina di una luce nuova.
Il primo sigillo ci presenta, com'è noto, il cavaliere armato seduto sul
cavallo bianco (Ap 6,1-2). Rappresenta, con tutta probabilità,w l'energia di
risurrezione, immessa da Cristo risorto nel campo della nostra storia e che
proprio il Cristo in quanto agnello <<rivela», rende comprensibile, come ci dice
l'apertura stessa del sigillo. Se ora pensiamo alla regalità di Gesù crocifisso che
già anticipa la risurrezione, tipica del quarto Vangelo, comprendiamo meglio
questa energia di risurrezione immessa nella storia. È una potenzialità di
vittoria che aggancia già fin da adesso gli eventi degli uomini. ma raggiungerà il
suo culmine nella fase strettamente escatologica, quando il <<cavaliere» -
ritorneremo su questo testo - sarà qualificato esplicitamente come il <<re dei
re» (19,16). Possiamo allora dire, alla luce del quarto Vangelo, che il cavaliere
del primo sigillo tende a identificarsi con Cristo re e possiede una capacità di
regno che diventerà piena e realizzata nella fase conclusiva. La corona che gli
viene data, proprio perché suppone questa vittoria completa riportata dal <<re
dei re» e si riferisce ad essa, è una corona regale.
D'altra parte l'Apocalisse sviluppa la regalità del quarto Vangelo e la
determina, facendone una forza di risurrezione che entra nel vivo del divenire
dialettico della storia dell'uomo.
Ciò appare ancora più chiaro dagli altri sigilli aperti successivamente
dall'agnello. Emerge in tutti una situazione di antitesi tra bene e male,
concretizzata nella storia dell'uomo. È l'antitesi tra le forze di segno positivo
che fanno capo a Cristo e quelle di segno negativo che si radicano nel
demoniaco. La regalità di Cristo si sviluppa nella storia in un confronto
dialettico con tutte quelle forze che, ancorate a un sistema terrestre, a un
<<regno da questo mondo», si contrappongono a lui, come i giudei nella
presentazione che ne fa il quarto Vangelo.
Il rapporto tra Cristo-agnello e il Cristo-re del quarto Vangelo, visto in
questa ottica di una contrapposizione all'interno della storia, emerge in modo
tutto particolare in alcuni passaggi caratteristici che esigono un esame più
ravvicinato.

'" Per un'esposizione delle varie interpretazioni a cui il cavaliere dal cavallo bianco del
primo sigillo ha dato luogo e una loro valutazione. cf. PRtGENT. L"Apocalypse, pp. 107-110.

293
Il primo di questi passaggi l'abbiamo citato più sopra. Nella grande
introduzione dossologica alla sezione del <<triplice segno•• troviamo l"afferma-
zione sorprendente a prima lettura che il regno di Cristo, in divenire
nell'ambito della storia, appare come già realizzato:
<<Divenne il regno del mondo
(appartenenza) del Signore nostro
e del suo Messia
e regnerà per i secoli dei secoli>> (Ap 11,15).
Si parla del «regno del mondo» (l] ~aotì..e[a taù XOO!AOU) che, nello stile
lirico e profetico tipico di tutta la celebrazione (cf. 11,15-18), anticipa la
realizzazione di un regno che appartiene a Dio (taù XUQ[ou t'J!lwv), e,
ugualmente, al suo Messia (xal taù XQtm:où aùtaù).
Tale appartenenza viene affermata non come una questione di principio,
ma come un dato di fatto sviluppatosi nel tempo e che ora ha concluso il suo
divenire (ÈyÉvno). E il soggetto del divenire è il <<regno del mondo».
Si tratta di un regno che si attua nella concretezza della storia, che si
realizza nel <<mondo». Ma quale mondo? Il raffronto spontaneo- da cui siamo
partiti in questa nostra ricerca- con l'espressione del quarto Vangelo: <<il mio
regno non è da questo mondo», induce ad approfondire. È chiaro e scontato,
nell'Apocalisse, che il regno di cui si parla non è <<da questo mondo»: è, lo
abbiamo visto più sopra, un regno che è tutto radicato, come nel quarto
Vangelo, nella capacità di dono di sé che Cristo ha realizzato mediante la sua
crocifissione. Se il regno di Dio e di Cristo si attua nell'ambito degli uomini,
non proviene da loro, non è commensurabile al loro livello: è regno <<del
mondo» ma <<non da questo mondo». Però è sempre un regno nel mondo, non
scorporato né divisibile dalla realtà della storia: il <<mondo» si trova tra gli
uomini e non si trova altrove.
Questo aggancio saldo e ad ampio respiro con la storia anche profana
emerge in un fatto che abbiamo constatato. È proprio Pilato, un rappresentan-
te qualificato c ufficiale di questo mondo organizzato nelle sue strutture, che
proclama Gesù come re. La regalità «non da questo mondo» di Gesù è messa
così in contatto con il mondo di Pilato. Non si tratta di un contatto innocuo. Il
regno di Gesù è eterogeneo al mondo di Pilato nel quale anche i giudei si
rifugiano come il loro unico mondo quando dichiarano di non aver altro re che
Cesare. Gesù non è un antagonista personale di Cesare, ma il suo regno non è
compatibile col sistema di vita terrestre organizzato da questo mondo come
proprio. Si ha uno scontro. Tale scontro viene presentato, sempre nello stile
lirico e celebrativo della dossologia introduttoria che stiamo esaminando, in
termini di una contrapposizione violenta. l <<Ventiquattro anziani», interpreti
della storia della salvezza a livello di realizzazione attuata, così si esprimono:
<<Ti ringraziamo, Signore Dio che domini tutto, che sei e che eri
poiché prendesti la tua forza quella grande
e instaurasti il tuo regno:

294
e le genti andarono in collera
ma venne la tua collera>> (11,17-18).
Il regno instaurato risulta tale perché la forza di distruzione del male di Dio,
la sua <<collera>>, si è contrapposta vittoriosamente alle forze organizzate e oppres-
sive proprie di questo mondo. L'autore dell'Apocalisse si darà la pena di precisare
meglio. nella parte del libro che segue, sia la linea del regno di Dio e di Cristo, sia
quella delle forze di questo mondo. Arriverà alla conclusione che il regno di Dio
sarà attuato dinamicamente da Cristo e dai suoi vincendo il sistema di questo
mondo e si realizzerà alla fine, nella concretezza suggestiva del mondo rinnovato.
Ma vediamo alcuni dettagli di questa contrapposizione dialettica e del suo
punto di arrivo.
La linea del regno di Dio e di Cristo viene ripresa all'inizio della sezione
del triplice segno, ancora nello stile di una dossologia. Il racconto midrashico è
costruito probabilmente dall'autore stesso dell'Apocalisse" che riinterpretando
l'Antico Testamento (cf. Gb 1.6-12; 2,1-6; Zac 3,1) sottolinea come tutto ciò
che appartiene al demoniaco non è assolutamente da pensarsi «in cielo>>,
situato in qualunque modo nell'ambito della trascendenza divina, ma esplicita-
mente sulla terra e a contatto con la storia degli uomini: ·
<<Ora divenne
la salvezza e la potenza
e il regno del nostro Dio
e il potere del suo Messia
per il fatto che (ou)
fu gettato l'accusatore dei nostri fratelli ...
ed essi lo vinsero
in forza del sangue dell'agnello
e in forza della parola della loro testimonianza
e non amarono la loro vita fino alla morte>>" (12,10-11).

21 La «lotta in cielo)) presentata in 12,7ss ha fatto pensare a un mito pagano, diffuso anche

nell'ambiente cananeo, che sarebbe ripreso dall'autore dell'Apocalisse: cf. ad esempio, YARBRO
COLLINS, The Combal. Ma le allusioni dirette ali'AT, la creatività che l'autore dell'Apocalisse
manifesta sempre in proposito, la sua intenzionalità chiaramente demitizzante e riinterpretativa
come appare in 12,9 (<c. il serpente dell'inizio, colui ch'è detto il diavolo e satana, colui che
inganna tutta la terra abitata))) inducono a ritenere preferibile che tutto il racconto. come in tanti
altri casi nel decorso del libro, sia stato costruito proprio dall'autore.
22
Tutto il brano 12.10-11 presenta una struttura grammaticale caratteristica che, adeguata-
mente valorizzata, permeue di cogliere tutta la portata del ••regno di Dio)> attuato_ L'affermazione
sulla presenza del regno di Dio, con le sue potcnzialitil di salvezza. e del dinamismo di Cristo
dipende dal fatto che il demoniaco si trova sulla terra ma è stato già vinto dai cristiani in forza del
sangue delragncllo e della testimonianza, e dal fatto che i cristiani, rivivendo in loro il tipo di regno
di Cristo, fanno dono della propria vita. Schematizzando:
•AQn tytvno ... r\ BamkEla ...
lltl
t~kl\ih] 6 ><an]ywQ ...
xaì. aùtol ÈVlKfl<Jav m)Tòv ...
><al ou>< l'jyéml'loav n]v 1j>UXTJV m!t<ilv (12,7-10).

295
C'è un'attuazione del regno di Dio che è già un fatto presente. All'assem-
blea liturgica che ascolta (cf. Ap 1,3) viene detto che <<ora>> (agn <<adesso>>, men-
tre la <<voce dal cielo>> sta parlando) è divenuto, si è realizzato concretamente,
nell'ambito della storia, il regno di Dio. Tale regno è sinonimo di <<salvezza» (~
O!JYtT]Qla) data da Dio mediante la forza (~ bUvaruç) messa in atto a questo inten-
to. Il regno di Dio già realizzato ha una sua potenzialità attiva di salvezza.
Questa potenzialità attiva viene attribuita esplicitamente a Cristo: il suo
potere ( È!;ouola) messo com 'è in parallelismo col <<regno di Dio», ne specifica
la modalità di attuazione, precisando così l'abbinamento di Dio e del suo Cristo
nel regno che abbiamo visto più sopra. Non si hanno due regni. L'unico regno
di Dio è gestito attivamente da Cristo.
E viene spiegata più in dettaglio questa capacità di attuazione attiva del
regno attribuita a Cristo. È una capacità di vittoria sul demoniaco presente e
attivo sulla terra, comunicata ai cristiani e dipendente direttamente (fna) sia
dal <<sangue dell'agnello». sia dalla <<parola della loro testimonianza».
Il <<Sangue dell'agnello» ha dietro di sé tutta la prospettiva teologica che
abbiamo esaminato più sopra. Implica la morte di Cristo, ma come una vita
donata che poi, applicata ai cristiani, produce in essi gli effetti di vitalità tipici
addirittura della risurrezione." Da questa vitalità bivalente di una morte che
diventa vita è determinata la capacità di vittoria già realizzatasi nella vita dei
cristiani (tvlXT(oav: <<vinsero»).
In stretto parallelismo con il <<sangue dell'agnello» c'è anche un'altra
causa di vittoria: la <<parola della loro testimonianza».
L'espressione presa in se stessa e così come suona può essere interpretata
come la parola di testimonianza resa a Cristo dai martiri. 24 Ma un esame attento
della frase nel suo contesto immediato e in quello di tutta l'Apocalisse orienta
in una direzione diversa. La <<parola della loro testimonianza» è messa in
corrispondenza aderente con il <<sangue dell'agnello»: dipendente dalla stessa
preposizione (lìta) è riferita allo stesso verbo (ÈvlxT(oav: «vinsero»). Il sangue
dell'agnello non è l'occasione ma la causa che determina la vittoria; Io stesso
dovrà dirsi della <<parola della testimonianza»: ambedue precedono il fatto
concreto della vittoria e la rendono possibile. In più, la parola della
testimonianza ha nell'Apocalisse una fisionomia teologica caratteristica. Cristo
è <<il testimone fedele e di verità» (l ,5; 3,14) della parola di Dio che egli
esprime e partecipa; i cristiani, accogliendo la parola di Dio tramite Cristo,

" Ciò appare chiaro seguendo tutto l'arco semantico di all-'a nell'Apocalisse. Particolar-
mente significativa è l'espressione: (<resero bianche (H.nJxavav) le loro vesti nel sangue
dell'agnello» (Ap 7,14). Il <<bianco»- nell'Apocalisse significa sempre la risurrezione di Cristo
applicata agli uomini- della risurrezione viene realizzato per mezzo del sangue di Cristo-agnello.
!
4
t da Lener presente che <Jnche il termine ~étQtu; affine a ~UQtugLa prc~enta. proprio
nell'ambito dell'Apocalisse. un'evoluzione semantica da un senso più giuridico e trihunalizio a un
senso più personale che può- si tratta solo di una possibilità - implicare la morte: cL TRITES,
MétQn1;, pp. 72-80; B. DEHANSCHUTIER, The Meaning ofWirness in the Apocalyp.>e, in LAMBRECHT,
L'Apocalypse, pp. 283-288.

296
accolgono e fanno propria la sua testimonianza: sono coloro che <<possiedono
(si usa il verbo EXHV <<avere>>) la testimonianza di GesÙ>> (12,17; 19,10; 6,9).
Questa testimonianza di Gesù veritiero posseduta è una forza che spinge i
cristiani ad affrontare tutte le difficoltà. a dare la vita fino ad essere decapitati.
È, indubbiamente, una testimonianza che esprimono anche con le parole nel
momento cruciale, ma, prima, c'è in loro la parola di Dio, veicolata dalla
testimonianza di Cristo e che i cristiani posseggono, che li spinge ad affrontare
anche la morte. Questa concezione teologico-biblica illumina il nostro conte-
sto: la <<parola della loro testimonianza>> acquista un senso pregnante: è la
parola di Dio divenuta testimonianza di Cristo, passata come tale nei cristiani e
assimilata da loro. Costituisce. così, una forza che preme dall'interno e fa sì,
insieme al <<sangue dell'agnello>>, che i cristiani vincano di fatto il demoniaco e
non amino la propria vita fino a farne dono, morendo. La vittoria è un fatto
(ÈVLKTJOUV). come pure è un fatto parallelo questo esproprio di se stessi (oùx
ijyarrlJauv) che può portare anche alla morte. Tutti i cristiani sono, potenzial-
mente, dei martiri anche se non tutti sono chiamati a diventarlo di fatto. In
questa capacità dei cristiani si realizza la 1\;oucr[u di Cristo la quale, a sua volta,
attualizza il dinamismo di salvezza del regno di Dio.
Se ora, partendo da questo testo dell'Apocalisse, diamo uno sguardo al
quadro della regalità del quarto Vangelo, emergono alcune linee interessanti di
sviluppo.
Il regno di Cristo crocifisso - notavamo - si realizza nel dono che lui fa
di sé: l'Apocalisse precisa che tale realizzazione si attua <<nel sangue dell'agnel-
lo>>. Notavamo anche come il regno di Cristo entra nella persona in misura
dell'accettazione della verità testimoniata da Cristo. Nell'Apocalisse i cristiani,
accogliendo la parola di Cristo, <<testimone fedele e di verità>> (àÀTJ{hvoç), vi
trovano la forza di vincere e di dare la propria vita. Il cristiano, in questa
situazione, non solo <<è dalla verità» (Gv 18,31) ma la vive tutta dal di dentro,
come testimonianza ricevuta e assimilata. Così fa parte del regno ed è in grado
di contribuire a realizzarlo ulteriormente mediante la sua vittoria: si realizza in
lui lo stesso tipo paradossale di regno <<non da questo mondo>> che abbiamo
notato in Cristo.

8. CRISTO <<RE DEI RE E SIGNORE DEI SIGNORI>>

Seguendo il filo terminologico che si riferisce esplicitamente al regno di


Cristo, troviamo nell'Apocalisse due frasi pressoché identiche, nelle quali è
espressa con la massima chiarezza la personalizzazione del regno da parte di
Cristo. Il rapporto tra regno di Dio e regno di Cristo nel senso dinamico già
accennato- Cristo attualizza il regno di Dio che, così, diventa anche il suo-
viene ulteriormente approfondito.
La prima espressione ricorre in un contesto particolarmente difficile per
quanto concerne i dettagli, ma significativamente chiaro nella sua orientazione
di fondo: si tratta di una contrapposizione tra una serie di re terreni e Cristo-

297
agnello (A p 17,12-14). La difficoltà estrema di identificarli storicamente,
mette in risalto il valore simbolico della loro categoria. Si tratta di protagonisti
minori del <<regno di questo mondo>>, un sistema di vita terrestre e immanente
che, autoesclusosi dalla trascendenza, appare tutto racchiuso in se stesso. La
radice profonda di questo sistema è il demoniaco che, espresso nell'Apocalisse
in varie forme e a vari livelli simbolici. si presenta come una tendenza anti-
regno rispetto a Dio e a Cristo. Le cavallette. simbolo multiplo del demoniaco
che invade la terra (Ap 9,1-11), «hanno su di loro un re>> (Ap 9,11)." I <<sette
diademi>>, segno specifico di un potere regale, sulle corna del drago (12,3)
indicano come questi, simbolo del demoniaco in fase aggressiva, tenda a
insinuarsi nella storia umana. Il drago, poi, si prolunga nel primo <<mostrO>>,
simbolo dello stato che si fa adorare (cf. 13,1-8); questi a sua volta è sostenuto
dall' <<altro mostro» (13, 11-17) che rappresenta la propaganda che dà vita a
questo tipo di stato. Dal drago, dal primo mostro e dal secondo- quest'ultimo
è chiamato anche <<falso profeta>> ('I'Eul\orrgoq>~nlç)- esce come un impulso
di energia negativa che passa sui <<re della terra>> (cf. Ap 16.13-14).
I <<re della terra>> a loro volta formano un contesto unico di intesa e di
intercomunicazione con <<Babilonia>>, la città dell'uomo, tutta chiusa nella sua
auto-sufficienza e nel suo consumismo (cf. 18,7.9.11-13). Si ha così un quadro
impressionante del sistema terrestre, anti-regno rispetto a Dio e a Cristo.
Ma Cristo non rimane indifferente. La sua regalità non è un'ambizione
personale, ma una necessità che entra nella logica" del progetto di Dio. Il
regno terrestre, proprio perché contrapposto a Dio e a Cristo, sarà annullato.
Lo farà Cristo stesso:
<<Costoro - i re - combatteranno contro l'agnello,
ma l'agnello li vincerà
poiché è signore dei signori
e re dei re>> (17,14).
L'agnello avrà la capacità di vincere i re. Tale capacità si basa sul fatto che
egli è <<signore dei signori», cioè, come indica questo titolo dato a Dio,"' allivello
stesso di Dio. Proprio perché situato allo stesso livello di Dio, l'agnello, <<signore
dei signori» è anche <<re dei re>>, padrone assoluto dei re della terra. Essi, con tutto
il contesto che esprimono e quello che sta a monte. dovranno scomparire.

" Cf. per tutta la questione PRIGENT, L'Apocalypse, pp. 252-255.


" È interessante notare come l'autore dell'Apocalisse pone in rilievo questo fatto: non si
limita all'affermazione, già sorprendente perché non preparata dal contesto precedente che non fa
Il mtmmo accenno a una regalità, che le cavallette «hanno un re su di loro)) (Exoumv bt'aùtWv
jXImÀÉu). Il nome è indicato sia in greco che in ebraico: «il suo nome in ebraico è 'abaddon e nella
lingua _grec~ ò.noA~l~(I)V_)) (9,11). La presenza del re, così sottolineata, induce a pensare al
demomaco m tcrmm1 dt un regno che si oppone al regno di Dio e di Cristo.
27
Tale logica appare chiaramente anche in un brano paolino. di evidente derivazione
apocalittica, riguardante il regno di Dio che Cristo risorto sta instaurando: ccQuindi la conclusione.
quan~o c.onsegnerà il regno al Padre, quando avrà annullato ogni principato e ogni potere e forza.
In ratti lm deve regnare (bEi yà(l m'•1òv flumÀEÙEtv) fino a quando abbia posto tutti i nemici sotto i
suoi piedi» (!Cor 15,24-25).
211
Cf. Dt 10,17; Sal 105,3.

298
Quest'azione di Cristo viene presentata di nuovo con un'espressione
identica a quella che abbiamo visto, ma posta in un ordine inverso rispetto ai
suoi elementi. Si tratta della presentazione di Cristo ripensato proprio nella
fase conclusiva della storia della salvezza (Ap 19,11-16)."
La sua morte e la sua capacità di realizzare in pieno la parola di Dio ne
fanno il «re dei re e signore dei signori>> ( 19,16).
Torniamo ora alla regalità del quarto Vangelo. Il contesto antitetico di
Pilato e dei giudei nel quale e dal quale essa è affermata, assume con
l'Apocalisse i contorni precisi e impressionanti di tutto un sistema di vita
terrestre, organizzato e strutturato, chiuso a Dio e con radice demoniaca. Le
proporzioni del regno di questo mondo come esse appaiono nell'Apocalisse
sorpassano l'orizzonte di Pilato.
Pilato, rispetto a Babilonia, al «mostro» che la sostiene e ai <<re della
terra» che la corteggiano, si riduce alle dimensioni modeste di un inizio
embrionale pur nella stessa linea. Il regno di questo mondo come si sviluppa
nell'Apocalisse è molto più vasto e negativo.
Un discorso analogo si può fare rispetto ai giudei. La loro chiusura ostile
nei riguardi di Cristo, portata fino alle ultime conseguenze, ha fatto pensare a
un accanimento demoniaco. Di fatto l'autore dell"Apocalisse, esplicitando al di
là di ogni dubbio, chiama i giudei, <<sinagoga di satana» (Ap 3,9). Ma non si
cura molto di loro. II demoniaco anticristico che appare nell'Apocalisse (cf. ad
es. 12.4b) anche se si muove sulla stessa linea. supera talmente il livello del loro
atteggiamento da farlo dimenticare. l veri giudei, per l'autore dell'Apocalisse,
sono i cristiani e Gesù è il loro re, come vedremo subito.
Ma è soprattutto il fatto stesso della regalità di Cristo «re dei re e signore
dei signori» che ha una continuità di sviluppo con il quadro del quarto Vangelo.
La presentazione solenne di Ap 19,11-16 ne riprende e sviluppa vari aspetti. Si
vede nell'Apocalisse la portata reale, vera, di tanti elementi che, nel quarto
Vangelo, solo paradossalmente erano attribuiti a un re.
Colui che Pilato chiamava <<re dei giudei» e aveva fatto flagellare, era
stato dileggiato dai soldati, certo con la connivenza di Pilato, proprio per la sua
regalità: la corona di spine, il vestito di porpora dovevano ridicolizzare le sue
pretese regali. Giovanni aveva insistito sul particolare della corona e del vestito
di porpora volendo proprio inculcare il quadro di un re sofferente (cf. Gv
18,5). Gesù si era proclamato re in questo contesto di sofferenza, che aveva
trovato il suo culmine nella crocifissione.
Il quadro di Apocalisse 19,11-17 mostra tutta la portata di quest'afferma-
zione di Cristo. Nel momento del suo trionfo egli porta un vestito «immerso nel
sangue» della morte.]()

" Rimando per un'analisi di questo brano alla Parte terza, c. II. pp. 3tR·328.
30
L'espressione c<rivestito di un vestito immerso nel sangue, lJ.A.ér:nov f1Ff1a~~vov ai!J.a'tllto
(19,13) sembra da riferirsi. sulla linea di una proposta già avanzata da A. FEUtLI.ET, proprio alla
passione c alla morte di Gesù e non al sangue dei nemici che spruuerehhero le sue vesti. Cf. Parte
terza, c. II, pp. 323.

299
L'autore dell'Apocalisse sottolinea moltissimo questo fatto. Proprio sul
vestito immerso nel sangue - e sottolineando con tutta probabilità anche la
posizione regale di uno che sta solennemente seduto- si trova la scritta <<re dei
re c signore dei signori>>."
Un'ultima osservazione. Gesù re-crocifisso avrebbe dovuto, sempre nella
prospettiva del quarto Vangelo, far conoscere addirittura la divinitit di Gesù.
Qui, il Cristo, vestito della sua passione, appare, proprio perché <<re dei re»
realizzato come tale nell'ambito della storia, anche <<signore dei signori», cioè
al livello di Dio. È la sua capacità di superare tutto il male dell'anti-regno e di
realizzare la parola di Dio fino a coincidere con essa che fanno conoscere la sua
dimensione trascendente."

9. IL REGNO MILLENARIO

Ma all'autore dell'Apocalisse sta particolarmente a cuore puntualizzare il


contatto diretto, la presa con la storia della regalità del <<re dei re e signore dei
signori».
Nel contesto in cui tutti gli elementi anti-regno, a cominciare da Babilonia
fino al demoniaco, sono ridotti all'impotenza, l'autore inserisce il noto brano
del regno millenario. '' Esso riguarda più propriamente i martiri che <<vissero e
regnarono con Cristo mille anni>> (20,4). Ma è sempre il regno di Cristo che è in
primo piano. Che significa. propriamente, <<regnare>>, detto di Cristo e per
partecipazione anche dei martiri? Con tutta probabilità si tratta dell'instaura-
zione del regno di Dio che Cristo attua longitudinalmente con i suoi
nell'ambito del divenire della storia. Non è regnare nel senso di godere di un
regno, ma nel senso attivo di un regno che vien procurato. E ciò avviene
tramite una mediazione sacerdotale nella quale sono coinvolti anche i martiri.
La «prima risurrezione>> (20,5b), è con tutta probabilità, la capacità funzionale
mediante la quale i martiri e, più in generale, tutti i cristiani in quanto
sacerdoti, partecipano all'azione di Cristo risorto che, proprio come tale, porta
in avanti la storia della salvezza.
Anche se qui non si allude direttamente alla regalità di Cristo crocifisso, il
fatto che i martiri regnino insieme a lui induce a pensarlo. Partecipando alla
sua croce (cf. 11 ,8) i martiri partecipano anche alla funzionalità regale di Cristo
crocifisso."

31
«E ha sul vestito e sulla sua coscia il nome scritto: re dei re e signore dei signori, ~mì...rùç
flamMwv xal xugw; xuglwV» (19.16). Con tutta probabilità si tratta di una sola scritta. sul vestito
che copre la coscia. La scritta è lcggihile trasversalmente: ciò suppone il ((cavaliere>> seduto
solennemente sul cavallo bianco. Cf. Parte terza, c. Il, pp. 326-327.
" Cf. Parte terza, c. Il, pp. 323.
33
I prohlcmi che il brano 20,1-10 ha sollevato sono quanto mai numerosi e complessi e
hanno una loro storia. Cf. Il. BIETENHARD, Das Tausendjiihrige Reich. Eine bibli.rch·theo/og<rche
Studie, Ziirich 1955.
" Cf. Parte terza, c. IV, pp. 364-367.

300
10. IL REGNO DEL MONDO RINNOVATO

L'ultima ricorrenza di <<regnare>> nell'Apocalisse si trova in un contesto


particolarmente mosso. L'autore sta concludendo. E nella conclusione ci parla
di «ciclo nuovo e di una terra nuova>> (21,1), di una città antitetica a Babilonia,
la Gerusalemme nuova. Come Babilonia costituiva l'anti-regno, così possiamo
dire che la Gerusalemme nuova costituisce il regno pienamente realizzato.
E ciò si ha in una convivenza paritetica. vertiginosa tra gli uomini da una parte
e Dio e Cristo-agnello dall'altra, al di là di quelli che sono. adesso, i limiti tra
trascendenza e immanenza. Questa situazione è presentata dall'autore in
termini brillanti: tutto è nuovo, occorre una nuova misura, trascendente, una
misura <<di angelo» (21.17) per potere identificare pienamente le caratteristiche
della città, tutta oro, pietre preziose, tutta illuminata dalla gloria di Dio.
Tra le caratteristiche della città-regno che l'autore mette più in risalto
emergono l'universalità e la continuità. Le dodici porte, tre per ciascuno dei
punti cardinali (Ap 21,13-14), indicano che la città è aperta in tutte le direzioni,
a tutti i popoli. Quest'apertura a respiro davvero universale è inquadrata in un
contesto caratteristico che la illumina. Immediatamente prima di parlare della
posizione delle porte, si dice che ci sono <<scritti su di esse dei nomi che sono
quelli delle dodici tribù di Israele>> (21 ,12). L'universalità coincide con l'esten-
sione del nuovo Israele. E subito dopo la presentazione delle porte aperte in
tutte le direzioni, si precisa che il muro della città ha dodici fondamenti- cor-
rispondenti alle dodici porte- e su di esse dodici nomi: quelli <<dei dodici apo-
stoli dell'agnello>> (21,14). L'universalità del nuovo Israele si attua in termini
cristiani. Si ha una conseguenza: le dodici tribù di Israele, con l'apertura a tutti
i popoli, poggiano sugli apostoli dell'agnello. Vediamo realizzata al massimo,
per opera di Cristo-agnello- sempre nel senso di Cristo morto e risorto. con la
pienezza della sua efficienza messianica e dello Spirito da dare agli uomini che
abbiamo rilevato nella prima presentazione di Ap 5,6 - quella universalità
potenziale inclusa nella regalità di Cristo crocifisso.
Tutta la vitalità della città-regno proviene da un influsso, attivo e
immediato, esercitato da Dio e da Cristo agnello:
«E mi mostrò un fiume di acqua viva brillante come cristallo, che usciva
in continuazione dal trono di Dio e dell'agnello>> (22,1).
È da rilevare l'associazione paritetica esplicita, sullo stesso trono, di Dio e
di Cristo-agnello. Essa è caratteristica della Gerusalemme nuova e sarà
ripetuta subito dopo (cf. 22,3). 35

'' Nella grande dossologia che celebrava Cristo àgv[ov (5,9-13) si diceva: «A colui che siede
sul trono e all'agnello. np xa1~1..1-ÉV(JJ bd -c<!J {tgOvq.~ xat t<P àqvl(p)) (5.13). Con ciò si poneva Cristo-
agnello allo stesso livello di Dio <~seduto sul trono)), con un riferimento allo sviluppo della storia
della salvezza. Ma solo ora, a sviluppo ultimato. Cristo-agnello condivide in pieno il trono stesso di
Dio e si ha un unico trono.

301
Il medesimo trono che compete a Dio e all'agnello su cui s1 ms1ste
esplicitamente e dal quale deriva tutta la vita è qui un'immagine polivalente.
In tutta l'Apocalisse il trono indica una capacità di influsso attivo c di
dominio sulla storia degli uomini. Anche ora che il divenire della storia degli
uomini si è concluso, si ha un influsso esercitato, immediatamente e diretta-
mente. nella vita escatologica di Dio. È, per dirla con Paolo, <<Dio tutto in
tutti>> (lCor 15,28), che comunica direttamente la sua vita. È il regno di Dio
attuato in tutta la sua pienezza.
Sullo stesso trono di Dio si trova Cristo-agnello. Cristo, quindi, anche a
livello strettamente escatologico realizzato, esercita dallo stesso trono del
Padre che ha raggiunto mediante la sua vittoria (cf. Ap. 3,22) un influsso
determinante sulla vita degli uomini e lo fa come «agnello>>. Questa qualifica
apre una prospettiva interessante: l'influsso di Cristo in quanto agnello si attua
non solo nello sviluppo della storia della salvezza ma anche a questo livello di
salvezza ultimata. Mentre alcune figure simboliche, anche di segno positivo e
in rapporto con la trascendenza, come gli <<anziani>> e i «Viventi>>, concludono
prima la loro funzione - esattamente in 19,4" - la figura di Cristo come
agnello ha la sua piena attività anche a livello escatologico. Non ci sarà, a
questo livello, più bisogno dell'uso della forza aggressiva messianica contro il
male (le «sette corna>>: A p 5,6), ma la risurrezione di Cristo radicata nella sua
passione, nonché la comunicazione del suo Spirito - sono queste le altre
caratteristiche di Cristo come àQviov - avranno ancora un senso e una
funzione e saranno addirittura determinanti. Il <<fiume dell'acqua di vita>>
(22,1) che scaturisce dal trono di Dio e dell'agnello, sarà propriamente quella
pienezza di amore che si intravede nella morte di Cristo e che diventa vitalità
partecipata nella sua risurrezione mediante il dono dello Spirito. È tramite
Cristo morto e risorto e con la pienezza dello Spirito che Dio esercita il suo
influsso sugli uomini anche al livello escatologico della Gerusalemme nuova.
La capacità di influsso di Cristo in quanto agnello esercitata nella Gerusa-
lemme nuova, fa pensare al Cristo re del quarto Vangelo: il fatto che la sua
regalità, attuata sulla croce, comporti, come abbiamo visto, la sua risurrezione
e il dono dello Spirito, come pure una rivelazione particolare della sua filiazio-
ne trascendente, la rendono aderente anche al contesto specifico della Gerusa-
lemme nuova (Ap 22,1-5). Senza vedere necessariamente nell'«albero di vita>>
di 22,2 l'albero della croce," la pienezza della vita realizzata nella Gerusalem-
me nuova esplicita tutte le potenzialità della regalità di Cristo crocifisso. Il suo
regno è, ora, realizzato in pieno e condiviso da tutti gli uomini salvati. È in
questo mondo rinnovato, dove anche i «re della terra>>, cambiati di segno, han-
no assunto una funzione positiva (A p 21 ,24) che si attua pienamente il regno.

36
Sono caratteristiche le ultime parole che i 4(viventi» e gH «anziani» pronunciano nella
dossologia di 19.1·7 c che concludono la loro funzione: «Amen. alleluia» (19.'l).
'' Lo ha fatto. ad esempio. Halver (citato da BROTSCH, La clarté. p. 382). Ma si può obiettare
che la croce come «albero della vita», ;v/..ov ~wfjç (22.2) non è un simbolo usato nell'Apocalisse.

302
Un regno che è, unitariamente, di Dio e di Cristo. Dopo che, per la
seconda volta, si afferma che nella città c'è il trono <<di Dio e dell'agnello>>
(22,3), troviamo in seguito Dio e l'agnello uniti inscindibilmente: i <<suoi
servitori>> (ol boùì.OL ain:où) sono, simultaneamente, servitori di Dio e
dell'agnello. Essi <<Vedranno il suo volto>> (tò 1tQÒownov aùmù) si tratta del
volto di Dio ma anche di Cristo, come suggerisce Ap l ,16b: << ... la sua faccia-
di Cristo risorto- era come il sole quando splende in tutta la sua potenza>>."'
Anche quando si dice dopo; <<il nome suo (1:6 OVOIJ.U aùmù) scritto sulle loro
fronti>> richiama 14,1: << ... hanno il nome di lui e il nome del Padre suo scritto
sulle loro fronti>>. C'è, allivello escatologico raggiunto, una convertibilità tra i
due nomi.
Questa corrispondenza continua e si fa sempre più aderente: non ci sarà
più giorno né notte perché il <<Signore Dio farà splendere la sua luce su di loro>>
(22,5). Ma la luce di Dio, è stato precisato pochi versetti prima, è portata a
contatto con le singole persone da Cristo agnello <<lucerna>> (Ap 21-23). È in
questa situazione di influsso di Dio e di Cristo che si realizza la condivisione
degli uomini tra loro, con Cristo e con Dio, del medesimo regno, attuato ormai
nella prospettiva tipica (i <<Secoli dei secoli>>) nella pienezza del mondo di Dio:
<<regneranno per i secoli dei secoli>> (22 ,5). Il <<regno del mondo>> diventa
davvero di Cristo e di Dio quando esprime ed attualizza il loro livello
trascendente di vita nel quale Dio e Cristo coinvolgono l'uomo.

11. CONCLUSIONE:
LA CENTRALITÀ DEL REGNO DJ CRISTO NELLA STORIA DELL'UOMO

Uno sguardo sintetico al lungo cammino percorso suggerisce, ora, alcune


riflessioni conclusive.
Lo sviluppo in crescendo del regno di Cristo e di Dio dal quarto Vangelo
all'Apocalisse che abbiamo rilevato ci permette di guardarlo in prospettiva.
Comincia ad attuarsi al di dentro della singola persona. Accogliendo la
verità di Cristo. credendo in lui, accettando il battesimo la persona entra a far
parte del regno di Cristo e comincia a <<vederlo>>. Si tratterà in pratica di
condividerne le verità-valori, portandole, sotto la pressione dello Spirito, nella
pratica quotidiana della vita.
Ma le verità di Cristo, come Cristo, stesso non sono di quaggiù e
presentano, rispetto alla mentalità media dell'uomo, parametri di valutazione
differenti. Tutto ciò che è egoismo, a livello individuale e collettivo, tutto ciò
che è ricerca della propria <<gloria>>, è radicalmente eterogeneo a Cristo e alla
sua verità.

lll Questo accostamento diventa più aderente se si tiene conto che. nel contesto della
Gerusalemme nuova, <mon ci sarà più bisogno ... di sole•> (22,5).

303
Ciò comporta da una parte un sistema di anti-regno rispetto a Cristo,
organizzato a livello individuale e collettivo, sotto la pressione misteriosa del
demoniaco. È il regno <<da questo mondo>>: ne sono esponenti Pilato e i giudei
nel quarto Vangelo; nell'Apocalisse diventa il regno di cui è regina Babilonia
(cf. IH,7).
Dall'altra si ha il vero tipo del regno di Cristo. Esso consiste nell'espro-
prio di sé per amore degli altri. Cristo re è, in questa prospettiva, colui che
dona la sua vita cosi come appare nella crocifissione. La crocifissione è
paradossalmente il fondamento e l'espressione della regalità di Cristo.
Possiede una forza misteriosa e irresistibile che fa presa sulla storia
dell'uomo. I cristiani che hanno accolto la verità di Cristo e sono parte del suo
regno ne diventano poi protagonisti attivi. Portano la crocifissione regale di
Cristo nella concretezza della vita vissuta. Lo fanno contrapponendosi al
sistema anti-regno che vi trovano, sostenuti dalla forza della crocifissione e
dalla verità di Cristo, la quale, adeguatamente compresa e praticata, diventa in
loro una testimonianza.
Ma i cristiani non sono i soli né i principali protagonisti attivi di un regno
di Cristo in divenire. Cristo stesso è coinvolto attivamente nello sviluppo della
storia. Annienterà progressivamente tutta la struttura anti-regno, che vi si sarà
formata, nella sua organizzazione e nella sua radice demoniaca.
Si avrà allora, nell'ambito di un mondo completamente rinnovato su
misura dei valori di Cristo, una convivenza a livello paritetico - determinato
dalla partecipazione che Cristo fa del suo amore e della sua vitalità di risorto-
tra gli uomini, Cristo, lo Spirito e il Padre. Sarà il regno <<nei secoli dei secoli>>.
Questa concezione teologica, complessa e ardita, colloca il regno di Dio e
di Cristo al centro degli interessi di tutta la storia umana.
Non è il circolo intimistico di un gruppo di iniziati e neppure una
dimensione religiosa che si limiti a colorire scialbamente dal di fuori un
contesto intrinsecamente profano. Il regno di Cristo non è «da questo mondo»
nel senso preciso che non ne deriva e non ne condivide la logica e la struttura.
Ma si attua di fatto e la sua concretezza è tale da eliminare il regno antagonista.
Non ci sarà spazio per un sistema di vita chiuso ncll"immanenza per il male
comunque organizzato. Il regno di Cristo realizzato sarà l'unico mondo
dell'uomo e di Dio.

304
capitolo Il

Dalla venuta dell' «ora>) alla venuta di Cristo


La dimensione storico-cristologica
dell'escatologia nell'Apocalisse

l. ESCATOLOGIA ED ESCATOLOGIE

Il quadro dell'escatologia che ci presenta il Nuovo Testamento nel suo


insieme è estremamente ricco e variegato.' Questa ricchezza e varietà diventa
talvolta tensione tra concezioni a prima vista incompatibili tra loro. La venuta
di Cristo, ad esempio, è avvertita come imminente nella prima lettera di Pietro
mentre la seconda lettera sembra fare di tutto per farla sentire remota. Un
fenomeno analogo si constata nelle due lettere ai Tessalonicesi: la venuta di
Cristo pur sempre indeterminata nella prima ai Tessalonicesi (cf. lTs 5,1)
esercita una pressione benefica e di stimolo sulla vita attuale della comunità. Il
quadro cambia totalmente nella seconda lettera: l'attesa della parusia produce
nella comunità una specie di surriscaldamento ambientale, con tutti gli
inconvenienti negativi di una situazione di emergenza. L'autore,' allora, si
sforza di allontanare nel tempo la scadenza della venuta. almeno sotto il profilo
psicologico per la comunità che l'ascolta, richiamandola, non meno di quanto
fa l'autore della seconda di Pietro, a un suo impegno fattivo nel presente della
storia. Proprio questo impegno precede, prepara, l'autore della seconda lettera
di Pietro dice addirittura <<affretta»' la realizzazione della venuta.
A prescindere dalla questione dell'identità di autore tra prima e seconda
Tessalonicesi e da quella, analoga ma più complessa, della pseudonimia delle
due lettere di Pietro, notiamo un fatto importante. La diversità non è contrad-
1
Rimandiamo per un'esauriente panoramica teologico-biblica sull'escatologia del Nuovo
Testamento all'articolo di A. BuscEMI, L'escarologia del Nuovo Teswmenro, in StMiss (1983) 32,
pp. 27J-308.
: È notoriamente discussa l'autenticità della seconda lettera ai Tessalonicesi. Gli indizi in
senso contrario. tutti desunti dalla critica interna, hanno un loro peso, anche se non sono decisivi.
Nell'ipotesi di una redazione tardiva- fine del I secolo- della lettera, avremmo. confrontandola
con ltt prima lettera ai Tcssalonìcesi normalmente datata intorno al 50, due strati di evoluzione
della stessa scuola paolina.
3
«Voi dovete comporlarvi con una condotta santa e pia, mentre attendete e accelerate
(mw)oovm;) la venuta del giorno di Dio» (2Pt 3.11-12). Cf. U. VANNI, Punti di tensione
escatologica del N. T., in RivB (1982) 30, p. 375, nota 24.

305
dizione: la concezione della venuta di Cristo, espressa con un certo grado di
entusiasmo, quasi guardata in se stessa e in assoluto nella prima ai Tessalonice-
si e nella prima lettera di Pietro matura gradualmente, nell'ambito della stessa
scuola teologica. Ne deriva una formulazione più sobria, saldamente ancorata
alla realtà in cui si vive, senza più traccia di astrazione o di sogno. Le due
comunità cristiane hanno avuto il coraggio di affacciarsi sul divenire della storia
reale, accogliendone la sfida. E allora anche la venuta, messa a contatto col
divenire grezzo della storia, è compresa più adeguatamente e in profondità.'
Si può applicare. sempre a proposito dell'escatologia, questa chiave
interpretativa che appare nella scuola paolina e nella tradizione che fa capo
idealmente a Pietro, anche nell'ambito della scuola giovannea, prendendo
come punti di riferimento il quarto Vangelo, la prima lettera di Giovanni e
l'Apocalisse? La questione è di estremo interesse e appare fondata su una base
solida. A prescindere dalla vexata quaestio degli autori delle singole opere
indicate e dalla corrispondenza o meno fra di loro, si è parlato, con
fondamento, di un circolo giovanneo a cui appartengono tutte.' Si ha, anche
qui, una scuola caratteristica e che si sviluppa nel tempo. Tappe successive di
questo sviluppo possono essere considerate il quarto Vangelo, la prima lettera
di Giovanni, e, in modo tutto particolare, l'Apocalisse.
C'è allora - ecco il problema preciso che poniamo - uno sviluppo
dell'escatologia, identificabile nel <<campione>> della venuta di Cristo, dal
quarto Vangelo all'Apocalisse? Anche se la seconda venuta di Cristo non
esaurisce tutta la portata teologica dell'escatologia, ne costituisce un punto
centrale e discriminante. Ogni escatologia - anche al di là dei confini della
scuola giovannea - si qualifica in rapporto al tipo di venuta di Cristo che
presenta. In più, c'è come un filo, letterario e teologico a un tempo, che ci
guida, una serie di ricorrenze del verbo EQXEOitm, alcune anche di ~xnv,
caratteristiche di questo gruppo di scritti e riferite all'escatologia.

2. L'ANTITESI <<VERRÀ L'ORA ED È ADESSO»

Nell'uso molteplice e ricco, sia sotto il profilo linguistico che sotto quello
più strettamente teologico del verbo EQXEm'tm, <<Venire>>, in Giovanni special-
mente quando è riferito direttamente a Gesù,' emerge un accostamento
caratteristico e, a prima vista, almeno sorprendente: troviamo, sia in 4,23 che
in 5,25 l'espressione fgxnm wga xaL vùv E:onv.

' Cf. per una documentazione e un approfondimento di questa problcmatica VANNI, Punti
di tensione. pp. 366-380.
' Cf. per una panoramica bibliografica aggiornata sullo stato attuale degli studi e del
dibattiro a proposito del «circolo giovanneo~). G. GHIBERTI, Ortodossia e eterodossia nelle Lettere
giovannee. in RivB (1982) 30, p. 382, nola 2.
6
Cf. per un'esauriente trattazione di tutte le implicazioni del verbo ÉQXW~at nell'ambiiO
del quarto Vangelo, PASQUETIO, Incarnazione.

306
La traduzione e l'interpretazione variano: fQXEtUL di per sé presente, si
può tradurre <<viene>>, <<sta venendo>>. Ma un senso di presente attribuito al
verbo sarebbe talmente equivalente alla parte che segue xai vùv tonv da
rendere l'espressione ridondante e tautologica, contro quello che è lo stile
normale di Giovanni. È quindi preferihile dare a EQXETUL un valore di futuro
che ha più di una volta' e tradurre <<verrà l'ora ed è adesso>>. L'espressione,
allora, acquista rilievo al punto da caricarsi di tensione. Sembra, infatti,
presentare una sintesi impossibile tra un futuro e un presente riferito allo stesso
soggetto, l'ora di cui Gesù sta parlando.
Il contesto illumina, in entrambi i casi, il senso dell'ora e ne illustra il
contenuto. In 4,23 Gesù, parlando alla samaritana, le presenta il nuovo
rapporto con Dio, !'<<adorazione>>, che si determina nella misura in cui si
seguirà l'impulso dello Spirito che attua all'interno del credente la rivelazione,
la <<verità» di Cristo. È la adorazione <<in Spirito e verità».' Questo tipo di
adorazione porta il cristiano a una comunitarie là vertiginosa col Padre, il Figlio
e lo Spirito.' È, chiaramente, un vertice, un massimo: si può parlare di
un'escatologia qualitativa. Quando si realizzerà questa situazione ideale di
comunitarietà tra Dio, Cristo e lo Spirito da una parte e l'uomo dall'altra?
L'espressione usata -verrà l'ora ed è adesso- ci parla di un futuro che già si
realizza nel presente. Il presente- come osserva giustamente G. Ferraro 10 - è
da riferire a Gesù, soprattutto al suo Èyw ELflL che incontriamo subito dopo nel

7
Cf. F. BLASS-A. DEBRUNNER-F. REHKOPF, Grammatik des neutestamentlichtn Griechisch,
Gottingen 1975. p. 323. C.K. Barren definisce EQXEWL WQa xai vùv tcrnv come «curious
expression, apparently contraùictory» (The Gospel according 10 St. fohn, London 1955, p. 198).
Notando come l'espressione è riferita all'adorazione in Spirilo e verità e alla risurrezione,
puntualizza: «Indeed John docs not mcan to dcny that they do truly belong to a later time. but he
emphasizcs by means o[ his oxymoron that in the ministry, an d above ali in the perso n o[ Jesus they
were proleptically present» (ibidem, p. 199).
' L'espressione ha dato luogo ad una diversità impressionante di interpretazioni (cf. DE LA
PoTIERIE, La vérité, Il, pp. 673-706). Oggi gli esegeti riconoscono quasi all'unanimità «que doit
s'entcndrc ici de l'Esprit dc Dieu, de l'Esprit Saint ... Dieu se communique à nous par le don de
l'Esprit>• (DE LA PmTIRIE, La vérité, p. 676). La «verità» è la rivelazione del Padre che Gesù porta
agli uomini. L'adorazione in «Spirito e verità» sarà quindi la vita stessa dell'uomo che. attuando
sotto l'influsso dello Spirito la verità di Gesù, condurrà un'esistenza che sarà un'adorazione
continuata, una liturgia della vita.
' Il testo. pur nella sua difficoltà di interpretazione, suggerisce chiaramente questa linea,
anche tenendo conto delle corrispondenze letterarie:
A <<i veri adomrori adoreranno il Padre nello Spirilo e nella verità
B il Padre cerca tali adoratori:
C Dio è Spirito
B' e coloro che lo adorano è necessario
A' che lo adorino nello Spirito e nella verità» (4,23-24).
Questo schema chiastico indica che il centro del discorso è l'affermazione: Dio è Spirito
(nveii~a ò D;òç). ò tle6ç indica qui. come spesso nel NT. il Padre. Il Padre è Spirito, o nel senso
causativo di «colui che dona lo Spirito» (cf. DE LA PorrERIE, La vérité, p. 676) o, forse
preferibilmente, nel senso di una identità di natura. Proprio, allora, questa identità tra il Padre, lo
Spirito e il Figlio esercita un risucchio sull'adorazione degli uomini, portandoli verso il vertice di
una partecipazione alla vita trinitaria.
" Cf. G. FERRARO, L'•ora• di Cristo nel quarto vangelo, Roma 1974, pp. 128-158.

307
testo (cf. Gv 4,26). Ma la presenza di Gesù non attua ancora la comunità
trinitaria con l'uomo che viene indicata: c'è un di più, c'è un futuro. Quando,
come si realizzerà? Sono interrogativi che vengono lasciati sospesi e che
esercitano una pressione sul lettore.
Arriviamo alla stessa conclusione analizzando l'altra ricorrenza della
medesima espressione: <<verrà l'ora ed è adessO>>. La troviamo in Gv 5,25:"
Gesù sta parlando della sua caratteristica di Figlio. Il Padre lo ama, gli mostra
tutto quello che fa, dandogli la capacità e la missione di realizzarlo egli stesso,
proprio come Figlio (cf. Gv 5,19-20a). In questo quadro amplissimo ci sono
state già delle realizzazioni dimostrative. delle <<opere>> compiute da Gesù. È
chiara l'allusione alla guarigione del paralitico con la tensione tra Gesù e il
gruppo dirigente che ne era seguita (cf. Gv 5,1-18). Alle realizzazioni già
avvenute ne seguiranno altre, ma in crescendo: ci sarà una maggiorazione (cf.
Gv 5.20b). Queste <<Opere>> più grandi sono specificate: si tratta della vita che
Gesù Figlio donerà a chi ne è privo e del giudizio che egli eserciterà su ogni
uomo. Chi si è aperto a lui con la fede <<ha la vita eterna>> (Gv 5,24). Il giudizio
su di lui sarà positivo, perché è già passato dalla morte alla vita.
C'è, quindi, un presente già realizzato - la vita posseduta - che
garantisce la positività del giudizio nel futuro. Ma è proprio a questo punto che
troviamo la nostra espressione:
<<In verità, in verità vi dico:
verrà l'ora ed è adesso
quando i morti udranno la voce del Figlio di Dio
e quelli che avranno udito vivrannO>> (Gv 5,25).
E subito dopo si aggiunge:
«Non vi meravigliate di questo,
poiché verrà l'ora
nella quale tutti coloro che stanno nei sepolcri udranno
la sua voce
e andranno coloro che avranno fatto del bene in una
risurrezione di vita,
coloro invece che avranno fatto del male in
una risurrezione di giudizio>> (Gv 5,28-29).
La vita che chi crede già possiede se m bra identificata con una vita che
viene collocata chiaramente nel futuro, ed è collegata con la risurrezione fisica
e col giudizio. La presenza di Gesù che parla indica, qui, non meno che nel
caso precedente, il presente di un dono di vita che viene realizzato in lui,
simultaneo a lui. Ma questo presente è identificato di nuovo con un futuro che,
pensando specialmente al giudizio e alla risurrezione, è chiaramente escato-

11
Cf. per un'analisi dettagliata di tuno il contesto, FERRARO, L'«ora», pp. 138·158.

308
logico anche in un senso strettamente temporale. La discriminazione tra
<<risurrezione di vita» e <<risurrezione di giudizio», comunque la si voglia
interpretare concretamente," indica senza ombra di dubbio la situazione
ultima, definitiva degli uomini, oltre la quale non ne è pensabile un'altra.
Ritorna ancora più acuto il problema che è emerso sopra. L'espressione,
volutamente ambigua, fa pressione e costringe a riflettere: come, in che senso
la situazione futura, intesa come tale anche in senso cronologico. si può
considerare presente?
Il quarto Vangelo lascia sospesi questi interrogativi che stimolano il
lettore, senza fornirgli ancora una risposta completa.

3. L'<<ULTIMA ORA>> PERCEPITA NELLA STORIA

Una conferma della pressione che questi interrogativi non risolti esercita-
no costantemente nell'ambito del cerchio giovanneo la troviamo nella prima
lettera di Giovanni.
Si parla, riprendendo la terminologia tipica del quarto Vangelo, della
venuta dell'ora. Ma quello che era. nei casi esaminati dal quarto Vangelo, un
presente collegato enigmaticamente con un futuro, nella prima lettera viene
presentato come un presente sconcertante:
Figlioli: è l'ultima ora (roxérrTJ wga): e come udiste che verrà (Égxnm)
l'anticristo, proprio adesso (xat vùv) si sono verificati molti anticristi
(àvtixgwtot rroUot yEy6vumv). Da questo (MEv) conosciamo che è
l'ultima ora>> (2,18).
La situazione alla quale si allude ha una complessità storica notevole."
Ma al di là dei dettagli, anche discutibili, appare chiaro un fatto generale. Un
fatto, o un insieme di fatti accaduti concretamente e rilevati come tali,
determinano la presa di coscienza che si sta verificando quella che è chiamata
<<l'ultima ora>>. L'inclusione letteraria, tipica della frase che abbiamo riportato
- notare <<Ultima ora>> all'inizio e alla fine della frase - sottolinea quanto
stiamo vedendo: l'ultima ora è un fatto presente (tonv) perché si è verificata
nella storia (yE)'6vamv) una serie di fatti che, in qualche modo, la esprime: si
tratta della presenza, sempre nell'ambito della storia, di tutto un insieme di
germi, di tendenze che in senso opposto alla verità-valore di Cristo, provocano
dei <<Vuoti>> rispetto a questi valori. Queste tendenze, gli <<anticristi>>, possono
concretizzarsi, quasi incarnarsi in persone concrete, ma sono, di per sé, delle

12
. Cf. per una discussione approfondita dei vari aspetti implicati, letterari ed esegetici, R.
ScHNACKF.NBt:RG, Das Johannesevangelium. Il, Freihurg-Bascl-Wien 1971. pp. 144-150.
u L'espressione ~(ultima ora)> s'impone anche per la sua originalità: è runica ricorrenza che
troviamo nel NT. Cf. per un'analisi accurata di tutti gli aspetti che essa comporta, R. E. I3Row~.
The Epislles of fohn, New York 1982, pp. 330-338.

309
categorie, dei paradigmi che vanno al di là e al di sopra delle persone che li
possono esprimere."
Questa presenza costituisce un problema per i cristiani della cerchia giovannea.
La comunità si sta affacciando sulla concretezza della storia. È costretta,
quasi suo malgrado, a prendere atto che quei valori autentici di Cristo i quali si
dovrebbero poter riscontrare, accettati e condivisi, nell'ambito della realtà
storica, di fatto sono assenti. C'è davvero un vuoto. Da questa considerazione,
induttivamente (o-&Ev), si conosce che è giunta l'ultima ora. Una situazione
storica, in cui siano presenti e operativi degli elementi che la comunità può
qualificare come <<anticristi>>. è come intaccata, corrosa dal di dentro. È con-
traddittoria, non può durare. È quindi, ('<<ultima ora» in senso anche
cronologico: urge un superamento, un capovolgimento che, data l'assoluta
intollerabilità della situazione attuale, non può tardare.
La comunità si è messa in contatto con la storia, ne ha accettato in pieno
tutta la forza di urto. Ma a questo atteggiamento coraggioso corrisponde una
reazione che dovrà ancora maturare: l' <<Ultima ora>> vista nella storia per la
presenza di elementi contrari a Cristo ne rappresenta una lettura diagnostica
frettolosa. L'antitesi tra Cristo e gli <<anticristi>> dovrà essere superata,
eliminata, la storia non potrà sopportarla. Ma questa constatazione, che ha la
radicalità acerba e sorpresa di una prima scoperta, non comporta il superamen-
to all'istante né necessariamente a breve scadenza. L' <<Ultima ora>> già arrivata
è una prima impressione che andrà approfondita e ridimensionata.
È quanto troviamo nell'altra grande opera del circolo giovanneo: l' Apo-
calisse di Giovanni.

4. L'<<ULTIMA ORA>>, LA STORIA E LA VENUTA DI CRISTO

L'ultima ora già presente deriva nella prima lettera di Giovanni dalla
sorpresa della constatazione dei molti ixvtLXI,HOtoL della storia. Il fatto che
queste presenze di <<anticristi>> facciano conoscere l'ultima ora implica un loro
superamento. Avremmo, altrimenti, l'assurdo biblico di una conclusione
negativa. Ma come avviene questo superamento? La prima lettera di Giovanni
non ci dice niente di preciso. E ciò fa sorpresa, se confrontiamo la lettera con
altri scritti del Nuovo Testamento probabilmente contemporanei, come, ad
esempio, la prima lettera di Pietro, dove il contatto con la storia - come
abbiamo avuto modo di rilevare - viene subito messo in rapporto con la
venuta imminente di Cristo." Si ha l'impressione che, nel circolo giovanneo, si

" Da rilevare l'originalità di questo tennine mlxpcatoç coniato dall'autore della lettera.
Esso esprime quasi con asprezza la sorpresa sconcertante che l'osservazione di elementi diversi.
ostili (avtc-) a Cristo produce. Nella visione ancora più ampia e realistica ma meno acerba della
storia che troveremo nell'Apocalisse non si userà più il termine ~(anticrislo>).
" Cf. V ANNI, Punti di tensione. pp. 371-374.

310
eviti di pensare alla venuta di Cristo in termini usuali e che stia maturando, in
proposito, una concezione nuova e originale. È quanto troviamo nell'Apocalis-
se. Si prova, infatti, un senso di sorpresa quando si constata, nell'Apocalisse,
l'assenza della formula maranatha" riferita nell'uso liturgico della chiesa
primitiva alla seconda venuta del Signore. La troviamo nella conclusione della
prima lettera ai Corinti (16,22) e nella Didaché (10,6).
Viene da chiedersi com'è che in un libro tutto ispirato alla liturgia com'è
l'Apocalisse e nel quale ricorrono con frequenza apprezzabile altre formule
liturgiche ebraico-aramaiche - come ÒJ.u]v e aìJ.T]ì..oui:ét - manchi proprio
questa."
Il problema si fa più acuto in base a un'altra considerazione: nell' Apoca-
lisse si parla ripetutamente della venuta del Signore, e vi si trova un'espressio-
ne che, come contenuto, è equivalente" a maranatha: <<Amen. Vieni, Signore,
Gesù>> (22.20). Perché l'autore dell'Apocalisse, che doveva essere a conoscen-
za dell'espressione aramaica che, nelle Didaché. troviamo abbinata ad t'x~i]v,"
proprio dopo à~i]v usa l'espressione greca corrispondente che abbiamo indi-
cato, dando così l'impressione di evitare intenzionalmente l'uso di maranatha?
Viene in mente l'ipotesi che l'autore intenda, in una maniera tutta sua,
diversa da quella corrente, la venuta del Signore di cui parla. Un esame
ravvicinato dei testi che si riferiscono ad essa ci permetterà di verificare
l'ipotesi e di approfondirla.

5. «VERRÀ CON LE NUBI>>

Incontriamo la prima presentazione della venuta di Cristo in Ap 1,7:


<<Ecco - letteralmente "guarda": tbou - verrà (tgxnm) con le nubi
e ogni occhio lo vedrà
anche coloro che l'avranno trafitto
e si batteranno il petto su di lui tutte le tribù della terra>>.

" Il significato fondamentale della fonnula marantJtha è chiaro: si tratta della venuta del
Signore. Ma c'è la possibilità di dividerla diversamente con una conseguente variazione di
significato: lCor 16,22 !.Hx~mva ftu è testimoniato - pur con qualche incertezza - da ~
SAB*CD•; ~ugav a-Ba da B'. 0': l'espressione intera JlOQOvcd}a si trova in F. L'autorità dei codici
impone la scelta !AU(Java l'ta «Signore nostro, vieni))_ In Didaché 10,6, invece. la forma meglio
testimoniata c da preferire è JlOQuv a-fra ((il Signore viene•>. Sarebbe intere~santc uno studio delle
variazioni della formula rispetto agli ambienti nei quali è testimoniata.
17
Cf. per lx~~v 1,6.7; 5.14; 7,12; 19,4; 22,10.21. "A)..),TJÀOt•LÙ ricorre- si tratta dell'unico
caso nel NT- in 19,1.3.4.6.
" Qualche commentatore - ad esempio PlttGENT, L"Apocalypu, p. 362 - la considera
un'equivalenza perfetta, al punto di poter decidere, proprio in base alla frase dell'Apocalisse,
addirittura il significato di maranatha nel senso di invocazione («Vieni•>, invece che <<Viene••, cf.
nota 16). Ma l'accostamento della Didachè- che pure è preso come uno dei punti di riferimento
- smentisce ques1a interpretazione se, come ahbiamo notato, vi dobbiamo leggere in base alla
tradizione manoscritta LIOOOV w'lH
1' cr. ()ùf lll.fi:' !•,.;gnv t'tltn. ò.p~v.

311
Il testo dell'Apocalisse riprende, pur senza citarli esplicitamente, due
brani dell'Antico Testamento. Anzitutto Dn 7,13-14:
<<Ed ecco con le nuvole del cielo come un figlio di uomo stava venendo:
giunse fino all'Anziano dei giorni e fu presentato a lui, che gli diede
potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo
potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che
non sarà mai distrutto».
Nella rilettura cristiana che l'autore dell'Apocalisse fa dell' AT il <<Figlio
dell'uomo•• è senz'altro Cristo.'" Dio è visto nell'Apocalisse (l ,4) fin dalla
prima presentazione esplicita che ne abbiamo, come <<colui che è e che era e
che verrà» (ò wv xat 6 ~v xat ò ÈQXOJ.!EVoç).
La sua venuta futura si attuerà per mezzo di Cristo. A Cristo, infatti, nel
quadro di Daniele, Dio, !'«anziano dei giorni», affida la responsabilità della
conduzione della storia. Tutto, nell'ambito della storia umana, ormai si
riferisce a Cristo, fa capo a lui. Egli la saprà portare avanti nello sviluppo nel
tempo che la storia avrà e la saprà concludere mediante la sua venuta futura.
L'altro brano dell'Antico Testamento che qui viene ripreso si trova in
Zaccaria 12, IO:
<<Ed effonderò sulla casa di David e sugli abitanti di Gerusalemme uno
spirito di benevolenza e di consolazione e guarderanno a mc. Faranno
cordoglio su colui che avranno trafitto, come si fa lutto per il figlio unico,
come si fa lutto per il primogenito».
Il contesto di Zaccaria parla di un cambiamento radicale di atteggiamento:
dalla trafittura il popolo passa al pianto, sotto l'influsso di Dio. È uno schema alla
luce del quale viene interpretata dall'autore dell'Apocalisse la venuta di Cristo.
La venuta sarà una manifestazione che si imporrà a tutti (<<ogni occhio lo vedrà»),
anche coloro che <<lo avranno trafitto»: dato che la passione di Gesù per l'autore
dell'Apocalisse, si prolunga nella storia," si tratta non solo né principalmente dei
crocifissori immediati di Gesù ma di tutti coloro che, in qualunque modo, nel
decorso della storia, si saranno contrapposti a lui. Tutti gli àvrlXQLutOl, per usare
il termine caratteristico della prima lettera di Giovanni, saranno messia faccia a
faccia con la realtà di Cristo e ne saranno scossi.
Si profila, da tutto questo, uno sviluppo dialettico della storia. Cristo si
situa al di dentro di questo sviluppo mediante la sua passione, che vi si
prolunga. La sua venuta sarà una manifestazione, un passaggio da un certo
livello di trascendenza (<<con le nuvole»), allivello terrestre della storia umana.

20
È un'interpretazione applicativa corrente nell'ambito delle comunità cristiane primitive.
Per quanto riguarda i problemi di interpretazione a livello veterotcsramentario di Dn 7,13-14, cf.
DEI.COR, Le Livre, pp. 153-155.
21
Ce ne parla in modo particolare Ap 11.7-8. Nella vicenda storica dci ~<due testimoni» si
prolunga e ripete la crocifissione eli Cristo.

312
6. <<VENGO PRESTO>>: CRISTO RISORTO RICHIAMA LA SUA VENUTA NELLA STORIA

Il tema della venuta di Cristo viene ripreso e approfondito anzitutto nella


prima parte (l ,4-3,22) dell'Apocalisse. 22 Un esame ravvicinato dei testi che la
riguardano permette di precisare ulteriormente il senso e la portata.
Troviamo il primo testo in Ap 2,5. Secondo lo schema letterario col quale
l'autore costruisce ciascuna delle sette <<lettere» che troviamo nella prima
parte," Cristo dopo essersi presentato alla chiesa e avere fatto una valutazione
della sua situazione morale, le rivolge un'esortazione pressante a convertirsi.
Perché l'esortazione faccia presa fino in fondo, viene aggiunta una minaccia
che fa intravedere alla chiesa il rischio che essa corre qualora si chiuda alla
conversione richiesta:
<<Se no verrò a te (ÉQXOf!UL om)
e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto
qualora tu non ti converta>> (Ap 2,5).
Il rischio che la chiesa corre, nel caso di una mancata conversione, è parti-
colarmente grave. Essa, nonostante il livello del <<primo amore>> che sta venen-
do meno (cf. 2,4), è ancora uno dei sette candelabri d'oro che determinano uno
spazio di presenza attiva di Cristo (cf. 2, l b). Se si rifiuta di convertirsi e di ri-
tornare al livello ottimale di <<primo amore>>, la chiesa di Efeso sarà rimossa,
tagliata fuori da questo circuito vitale di presenza di Cristo." La rimozione del-
la chiesa di Efeso dal circuito vitale della presenza attiva di Cristo è messa in
parallelo con la sua venuta e appare addirittura come una sua conseguenza:
<<verrò a te e rimuoverò il tuo candelabro ... >>: che senso ha questa venuta?
Notiamo che colui che parla in prima persona e si rivolge alla chiesa è
Cristo stesso. C'è, quindi, una sua presenza già attuata, una simultaneità tra
Cristo e la chiesa che l'ascolta. La venuta non sarà l'arrivo di un personaggio
estraneo o lontano. Come intenderla?
Anche se i contorni concreti ci sfuggono - si tratta in fondo di una
minaccia fatta col desiderio che non sia attuata - tutto il discorso del contesto
antecedente (cf. 2,2-3) orienta decisamente verso la concretezza della storia.
Alcuni fatti nuovi, tuttora imprecisati ma che potrebbero accadere, portereb-
bero la chiesa all'estinzione. Cristo, già presente e attivo nella chiesa di Efeso
alla quale rivolge la parola, promette di far sentire un nuovo tipo di presenza

22
Mi permetto di rimandare per tutti i problemi che si riferiscono alla composizione
letteraria dell'Apocalisse e alla sua conseguente suddivisione a quanto ho osservato in V ANNI, La
struttura.
" Cf. VAN~I. La Srrutrura, p. 304.
2A E l'interpretazione che si impone tenendo presente la corrispondenza di Àuxvi.av aou (<il
candelabro che sei tU>>, con «i selle candelabri>~ (ì..uxvui)V) di 2,1. Intendere <<candelabro» come
«lucerna>} (ì..Uxvoç: cf. Mt 5.15) e interpretare la minaccia come il rischio tutto esteriore, per Efeso,
di perdere la sua notorietà, di non essere più la «lucerna sul moggio>> di Mt 5.15, significherebbe
allontanarsi dai dati filologici e teologico-biblici del testo.

313
negli eventi, che, qualora si verificassero davvero in concreto, comporterebbe-
ro la sorpresa sconcertante di una venuta inaspettata.
Un discorso analogo si impone a proposito di Ap 2,16. Siamo nel contesto
dell'esortazione rivolta alla chiesa di Pergamo, dopo che è stata rilevata e
condannata da Cristo, che parla sempre in prima persona, la tendenza di alcuni
componenti della chiesa a un compromesso sincretista con l'ambiente pagano.
Anche qui la venuta è una minaccia qualora non abbia luogo nella chiesa la
conversione che Cristo le richiede:
<<Convertiti, dunque: se no verrò presto a te (fQXO~-ta( om -raxli) e
combatterò con loro con la spada della mia bocca>> (2,16).
La <<Spada che esce dalla bocca>> è la parola di Cristo. Qualora la chiesa
non accolga quella parola che Cristo adesso le rivolge e invitandola alla
conversione, ci sarà un'altra parola di Cristo che si contrapporrà polemicamen-
te alla chiesa - a quella parte della chiesa - che non avrà voluto prestare
ascolto alla prima parola rivoltate.
Questa seconda parola minacciata è messa in rapporto di dipendenza con
una venuta che è detta anche imminente. Non si tratta dell'imminenza di una
scadenza precisa: la venuta è una minaccia che avrà luogo solo nel caso di una
mancata conversione. L'imminenza della venuta ipotetica inculca l'urgenza
della conversione.
Ma qual è il tipo di venuta prospettata, in collegamento con la parola di
Cristo? Se la parola di Cristo che spinge alla conversione rimane inascoltata,
essa assumerà un aspetto nuovo, si incarnerà nei fatti. Ci saranno degli
avvenimenti che, toccando la chiesa da vicino, smentiranno il suo atteggiamen-
to ed esprimeranno la verità della parola di Cristo. Sarà una verità polemica nei
riguardi della chiesa. E siccome saranno fatti nuovi, la parola che concretizze-
ranno comporterà, rispetto a quella che è la presenza usuale di Cristo nella vita
della chiesa, la novità di una sorpresa.
Un rilievo tutto particolare, sempre nell'ambito delle lettere alle chiese,
lo assume la venuta di Cristo, minacciata alla chiesa di Sardi e che troviamo in
Ap 3,3b:
«Se dunque tu non veglierai,
sopraggiungerò come un ladro (ijl;w <Ìlç xÀÉ1ttT]<;)
e non saprai in quale tempo giungerò a te (ijl;w È1tl oE)>>.
L'immagine del ladro che arriva all'improvviso è caratteristica del Nuovo
Testamento. Appartenente, probabilmente, agli ipsissima verba di Gesù," essa

" Ce lo dice, tra l'altro, il criterio della doppia discontinuità, rispetto all'epoca che precede
il Gesù di Nazarel e rispetto all'epoca successiva: l'espressione «come un ladro nella notte~) non si
trova mai prima di Gesù; dopo, viene attribuita a lui. direttamente o indirettamente. La doppia
discontinuità isola l'espressione da possibili fonti anteriori e da una rielaborazione successivà da
parte delle comunità cristiane, permettendo di auribuirla a Gesù direttamente.

314
si muove nelle varie stratificazioni della tradizione cristiana: la incontriamo in
Paolo (lTs 5,2), in Matteo (24,43-44) e Luca (12.39-40), nella seconda lettera
di Pietro (3,10); la ritroveremo nell'Apocalisse (16,15).
Si riferisce all'ultima venuta. Anche qui, come negli altri due casi che
abbiamo analizzati. la venuta è messa in rapporto di dipendenza con una
minaccia: <<se non sarai vigilante, sopraggiungerò come un ladro>>. Negli altri
due casi la conversione attuata potrebbe evitare la venuta, qui il rapporto è
diverso: la vigilanza richiesta, anche attuata in pieno, non impedirà la venuta,
ma eviterà che questa colga la chiesa impreparata. Se, in altri termini, la chiesa
sarà davvero vigilante, come Cristo, rivolgendole direttamente la parola in
prima persona, le richiede, la venuta che pur avrà luogo non sarà più il
sopraggiungere di un ladro. L'autore dell'Apocalisse re interpretando nella sua
prospettiva e sotto la pressione di un'esigenza parenetica il Àoywv di Gesù, gli
toglie il rivestimento di parabola che ha in Luca.'"
Ma qual è, visto più da vicino, il rapporto tra la vigilanza nella chiesa e
l'ultima venuta che Cristo stesso, parlando alla chiesa nel presente, inculca con
tanta insistenza?
La venuta ultima, quandoché si realizzi, da una parte sarà Cristo che
sopraggiunge (~!;w);" dall'altra avrà un'aderenza totale, farà presa su tutta la
fascia della vita della chiesa, aggancerà la chiesa in tutte le dimensioni storiche,
concrete della sua realtà: <<sopraggiungerà su di te». Sarà quindi, un soprag-
giungere di Cristo nei fatti della storia che lo esprimeranno. La chiesa, perciò,
non dovrà trovarsi sfasata, con una sua realtà diversa, eterogenea a quella che
Cristo ora le chiede e che realizzerà in futuro egli stesso. La chiesa di Sardi -
cambiando totalmente la prospettiva della sua situazione attuale fatta di
un'apparenza, di un «nome» a cui non corrispone una situazione di fatto: cf.
Ap 3,1b- dovrà mettersi e mantenersi, vigilando, in corrispondenza con la
realtà cristologica futura che avrà luogo con la venuta.
Riassumendo: in tutti e tre i casi esaminati Cristo non parla a distanza,
ma, già presente e attivo all'interno della vita della chiesa, mostra la capacità di
far pressione su tutti i fatti della storia, di modellarli secondo le sue esigenze.
E, alla fine dello sviluppo della storia, Cristo ne avrà cambiato i connotati.
Tutta la realtà, comunque ciò possa configurarsi in concreto, esprimerà un
sopraggiungere, una presenza realizzata, un'affinità omogenea col Cristo risorto
che sta parlando e che apparirà riconoscibile nell'ambito della storia stessa.
La chiesa avrà la sorpresa gioiosa di ritrovare nei tratti di tutta la realtà -
umana c cosmica- lo stesso Cristo che essa si sente stimolata ad amare con la
freschezza del primo amore. Ma ciò si verificherà a una condizione che appare
irrinunciabile: la chiesa dovrà trovarsi essa stessa in sintonia con i tratti di

" Cf. BAUCKHAM, Synoptic Parousia, NTS pp. 162-176.


17
Il verho ~xnv indica, rispetto a EQXEOtlal, un movimento di venuta che ormai si sta
concludendo.

315
Cristo che si realizzeranno. Una mancata assimilazione dei valori propri di
Cristo, qualunque vuoto rispetto a lui che si realizzasse all'interno della chiesa,
costituirebbe un'eterogeneità stridente: rischierebbe di fare della chiesa un
corpo estraneo nel quadro della storia rinnovata.
Si comprende allora l'esortazione, rivolta solo come incoraggiamento e
senza ombra di minaccia, alla chiesa di Filadelfia:
<<Verrò presto (ÉQXOfWL TUXU)
mantieni ( XQ<iTEL) con forza ciò che hai
in modo che nessuno prenda la tua corona>> (3,11).
La situazione positiva che la chiesa realizza storicamente la mette già in
un rapporto di corrispondenza, di sintonia col Cristo risorto che parla. Ma
questa situazione presente deve essere mantenuta con forza, in vista di un
futuro che si sta preparando con un ritmo che scorre veloce: è il futuro
dell'ultima venuta di Cristo.
È indispensabile che il rapporto di sintonia sia mantenuto con forza e
questo proprio in rapporto con la venuta futura. Altrimenti la chiesa, nella sua
realtà storica che la determina (<<ciò che hai>>), si troverebbe sbilanciata rispetto
alla presenza totale e universale di Cristo che si attuerà con la venuta. La
venuta rimane indeterminata nella sua scadenza cronologica, è futura, ma si
tratta di un futuro che fa pressione: c'è un TUXU, un <<prestO>> che incalza. Ciò
richiede alla chiesa la capacità di guardare in avanti, in apertura continua ed
aggiornata al nuovo, al di più che si verificherà giorno per giorno nella storia.

7. LA VENUTA <<GUARDATA>> NELLO SVILUPPO DIALEmCO DELLA STORIA

L'unico testo che, nella seconda parte dell'Apocalisse, ci parla della venuta
di Cristo presentata da lui in prima persona non ha mancato di sollevare difficoltà
che, ancora oggi, lasciano in imbarazzo i commentari. Si tratta di Ap 16,15:
<<Ecco: verrò come un ladro (EQXOIJ.UL wç xÀÉnTl(ç):
beato chi veglia e custodisce le sue vesti
in modo da non camminare nudo
e (gli altri) vedano la sua vergogna>>.
La frase sorprende anzitutto per la prima persona («verrÒ>>). In tutta la
prima parte del libro, Cristo risorto ha rivolto il suo messaggio alla chiesa
parlando in prima persona, ma, in tutto il discorso della seconda parte, Cristo,
dopo l'introduzione (<<vieni su e ti mostrerò le cose che debbono accadere in
seguito>>: 4,1b), non parla più in prima persona. Questo sarebbe l'unico caso.
Inoltre la frase, così come suona, appare a prima vista fuori contesto. Se,
infatti, si leggono di seguito i versetti 15,14 e 15,16 l'espressione narrativa
scorre in avanti senza difficoltà. Gli spiriti demoniaci che animano i <<re della
terra>> li riuniscono per la battaglia finale, quella del <<grande giorno di Dio
onnipotente>> (16,14) e li riuniscono nel <<luogo» 'AQIJ.UYEOwv dove avviene la

316
battaglia (16,16). Questa continuità, compatta e concatenata, viene brusca-
mente interrotta da 16,15.
Si tratta di un'interpolazione? È l'ipotesi piU spontanea. Ma lo stile
dell'espressione trova tante corrispondenze con il resto dell'Apocalisse da
renderne inverosimile l'attribuzione ad un autore diverso.
Se, allora, la frase è dell'autore dell'Apocalisse, dovrebbe essere spostata
da un contesto in cui costituisce un corpo estraneo ed essere collocata altrove.
È stato proposto, cosl, di aggiungerla prima di 3,18 (Bcza), di collocarla tra
3,3a e 3,3b (Charles, Lohmeyer), o, più semplicemente, di spostarla dopo
16,15 (Rissi). ''
Ma, contro tutte queste ipotesi, rimane la difficoltà che nella tradizione
manoscritta non c'è traccia alcuna che possa giustificare spostamenti del genere.
P. Prigent ne conclude che si tratta di una glossa marginale, scritta dal-
l'autore stesso dell'Apocalisse e incorporata in seguito nel testo." Ma si tratta
solo di un'ipotesi. Resta il fatto che la frase è stata letta e accettata, senza
variazioni di rilievo/' in tutti i manoscritti al posto in cui viene riportata.
D'altra parte interruzioni brusche nell'esposizione sono una caratteristica
tipica dello stile dell'Apocalisse e sono particolarmente significative perché
l'autore, proprio attraverso la forza d'urto di questa interruzione, vuole interes-
sare più direttamente. provocare, il soggetto interpretante, il gruppo di ascolto."
Accogliendo, quindi, l'espressione con tutta la forza d'urto che le deriva
dalla sua forma insolita di prima persona e la sua collocazione apparentemente
forzata in un contesto che essa interrompe, analizziamola più da vicino.
<<Ecco»: è un modo caratteristico con cui l'autore dell'Apocalisse
coinvolge direttamente il lettore e il gruppo di ascolto nel suo discorso. Non è
soltanto un richiamo all'attenzione, ma un invito a condividere l'esperienza che
l'autore sta facendo, a guardare insieme a lui. Nel nostro versetto è Cristo che
parla. Rivolgendosi direttamente al soggetto interpretante, lo invita a «guarda-
re>>, a rendersi conto di quanto accade. E quanto accade è indicato espressa-
mente proprio nel contesto unitario in cui la nostra espressione si inserisce: si
tratta, lo abbiamo notato, del divenire dialettico tra bene e male che ha luogo
nel decorso della storia e che sta giungendo a un massimo di tensione. L'invito

28
Citati da PRIGENT, L'Apoca/ypse, p. 248.
" Cf. PRIGEST, L'Apowlypse, p. 248.
30 Troviamo EQXfTUL invece di ÉQXO!Wl in S'. Ma proprio la terza persona fll?xrtm) appare
come «lectio facilior» rispetto alla prima (ÉI?XO!'Ul). La prima è quindi da prelerirsi. Inoltre
~).t-Jtouatv. testimoniato da p-l\ P~ 1 , molti minuscoli, costituisce solo una variazione grammaticale
rispetto a flì.Fawm v.
31
Per quanto riguarda il rilievo tutto particolare di un soggetto interpretante come ~~gruppo
di ascolto>> (cf. l ,3) che segue un «lettore>>, realizzando così il contesto dell'assemblea liturgica
cristiana, cf. Parte prima, c. IV, pp. 74-76. Proprio la rilevanza che il soggetto interpretante
acquista anche in questo caso mi induce a superare la propensione anche ipotetica per una
interpolazione o dislocazione testuale che avevo espresso prima (cf. VA~NI. La struttura. p. 32.
nota 41).

317
di Cristo a <<guardare>> (l&>u) ha proprio come oggetto lo scontro che si sta
verificando. «Guardando>> questo scontro, comprendendolo, leggendone le
implicazioni dal di dentro si arriva a una conclusione inaspettata: rgxo~m wç
XÀ.É:rtTI]ç «verrò come un ladro>>. È l'espressione che abbiamo analizzato sopra e
che si riferisce alla venuta conclusiva di Cristo, sottolineandone l'indeterminatez-
za come scadenza. Nella storia che si sta svolgendo in uno scontro tra bene e male
è leggibile la venuta futura di Cristo. Il gruppo di ascolto, soggetto interpretante
dell'Apocalisse, è invitato perentoriamente a fare questa lettura in profondità,
che è vista particolarmente importante, addirittura imprescindibile. al punto da
provocare l'interruzione del filo espositivo. L'interruzione, così, sottolinea che
non si può guardare la storia in tutta la sua realtà anche più cruda senza vcdervi
dentro una pressione in atto che porta alla venuta futura di Cristo.
Tutto questo si trova, ma in profondità, in perfetta sintonia col contesto:
il gruppo di ascolto era stato invitato fin dall'inizio della seconda parte
dell'Apocalisse a leggere in profondità il filo religioso della sua storia (cf. 4, l).
Ora che questa lettura volge al suo termine, ci troviamo proprio alla fine della
sezione del triplice segno," essa viene sintetizzata e rapportata alla venuta di
Cristo che si sta movendo nella storia.
Davanti a questa prospettiva, il soggetto interpretante non può rimanere
inerte. Gli si chiede di <<Vegliare», di mantenere uno stato di vigilanza, di
apertura continua verso il futuro portatore della presenza di Cristo. come era
stato chiesto alle chiese nella prima parte.
In parallelismo con la vigilanza si insiste sulla custodia delle vesti. La
veste, nel simbolismo proprio dell'Apocalisse, indica una qualifica della
persona sia per quanto la riguarda come tale sia come essa è considerata e vista
dagli altri." Custodire le proprie vesti significherà, allora, per il gruppo di
ascolto a cui l'invito è indirizzato, l'impegno imprescindibile a conservare
quella situazione di affinità con Cristo, che era stata richiesta nella prima parte.
Proprio in vista della venuta futura, il gruppo di ascolto deve mantenere e
conservare, secondo lo sviluppo in avanti della storia, la sua omogeneità col
Cristo che vi si realizza. Altrimenti si avrebbe, al momento della venuta e della
manifestazione, un vuoto disagi oso, che sarebbe rilevato da tutti coloro che,
sempre nel contesto della venuta-manifestazione, potrebbero notarlo.

8. LA VENUTA DI CRISTO E DEI SUOI

La pressione in avanti che Cristo esercita nella storia in vista della sua
venuta ci viene confermata e approfondita in Ap 19,11-16, un brano che è
chiamato usualmente dai commentatori «il ritorno di Cristo». Come avremo

" Cf. V ANNI, La strurtura, pp. 306-308.


" Cf. Parte prima, c. II, pp. 42-44.

318
subito modo di rilevare, si tratta senz'altro della seconda venuta. Non se ne dà
però una descrizione visiva, ma si propone al sogget.to interpretante tutta una
serie di considerazioni che lo aiutano a comprendere, vedendola nell'ultima
sua conseguenza, la portata della presenza attuale di Cristo nella storia umana.
Vediamone da vicino gli aspetti principali."
C'è, anzitutto, una caratteristica di fondo che si impone e fa di questo
brano un unicum in tutta l'Apocalisse: riprende, spesso alla lettera, molti testi
usati in precedenza. Ciò appare chiaro da un confronto sinottico:
Ap 19,11-16 Ap: altri brani
11 «E vidi il cielo aperto ed ecco un 4,1 ... ed ecco una porta aperta nel
cavallo bianco e colui che vi è cielo
seduto sopra è 6,2 ... ed ecco un cavallo bianco e
colui che era seduto sopra
aveva l'arco e gli fu data una
corona e uscl vittorioso e per
vincere.
chiamato fedele e veritiero. 1,5 (Gesù Cristo) il testimone fedele
3,14 il testimone fedele e veritiero
12 I suoi occhi fiamma di fuoco 1,14 I suoi occhi come fiamma di
fuoco
2,18 colui che ha gli occhi come.fiam-
ma di fuoco.

e sulla sua testa molti diademi, 2,17 ... gli darò ... sulla pietruzza un
aventi un nome scritto che nessu- nome scritto che nessuno com-
no comprende se non lui prende se non colui che lo
riceve.
13 e rivestito di un vestito immerso
nel sangue e il suo nome è stato e
rimane proclamato: la parola di
Dio.
14 E gli eserciti nel cielo lo seguivano 14,14 ... questi seguono l'agnello do-
su cavalli bianchi, rivestiti ciascu- vunque vada
no di un lino bianco puro 19,7-8 ... sono giunte le nozze del-
l'agnello e la sua donna si è
preparata, e le fu dato di rive-
stirsi di lino splendente puro:
il lino infatti sono gli atti di
giustizia dei santi

" Cf. per un approfondimento e una discus.,ione ulteriori, M. RISSI, The Future of the W or/d.
An Exegetica/ Srudy of Revelation 19,11-22,5, London 1972; VANNI, lA struttura, pp. 202-203.

319
15 E dalla sua bocca esce fuori una 1,16 ... dalla sua bocca stava uscendo
spada acuta una spada acuta, a doppio taglio
2,12 ... colui che ha la spada quella a
doppio taglio. quella acuta
2,16 convertiti, dunque; altrimenti
verrò da te presto e combatterò
con loro con la spada della mia
bocca
per colpire con essa le genti ed egli 2,26-27 ... gli darò potere sulle genti e
li pascerà con verga di ferro. li pascerà con verga di ferro
15,5 ... che pascerà tutte le genti
con verga di ferro
Ed egli calpesterà il tino dell'ira 14,19-20 ... e vendemmiò la vite della
furente di Dio onnipotente. terra e gettò nel tino grande
dell'ira di Dio.

E fu calpestato il tino fuori della città


e uscì sangue dal tino fino all'altezza
dei freni dei cavalli.
16 Ed ha sul suo vestito e sulla coscia 17,14 ... questi combatteranno con
un nome scritto: Re dei re e signo- l'agnello e l'agnello li vincerà,
re dei signori. poiché è signore dei signori e re
dei re; e con lui i chiamati ed
eletti e fedeli.

Già da questo prospetto appare chiaro un fatto interessante: in Ap 19,11-


16 confluisce e si conclude, ma concentrandosi sulla persona e l'azione di Cristo
che ritorna, tutto un movimento di forze presenti e attive nella storia.
Vediamo il testo.

<<E vidi il cielo (stabilmente) aperto


ed ecco un cavallo bianco e colui che vi siede sopra
è chiamato fedele e veritiero
e giudica e combatte nella giustizia>> (19,11).

Il cielo «aperto in permanenza>> (~vE!JlY~-tÉVov: perfetto, «che è stato e


rimane aperto>>) indica che la trascendenza di Dio è ormai accessibile diretta-
mente, in maniera stabile e completa. Non è più necessaria la mediazione degli
~(!Ja i quali compaiono insieme agli «anziani» l'ultima volta in 19,4: non si ha
più solo un contatto limitato con la trascendenza divina, come era indicato
all'inizio della seconda parte: 4,1: «ecco una porta aperta nel cielo ... >>.
Quest'apertura piena e permanente della trascendenza divina non
riguarda la trascendenza stessa, il cielo e ciò che vi accade, ma le vicende degli

320
uomini che si realizzano sulla terra: tutta l'azione del cavaliere che apparirà in
dettaglio nei versetti seguenti è riferita alle vicende umane. Il cielo aperto
completamente e definitivamente è tale in funzione della terra, permette di
capire gli elementi di trascendenza presenti nelle vicende umane.
Il cavallo come simbolo teriomorfo" indica una forza travolgente che si
svolge nell'ambito della storia ma che non si potrà verificare in tutti i dettagli;
<<bianco», secondo l'uso costante dell'Apocalisse, indica una dimensione sopra-
terrena collegata con la risurrezione di Cristo. Si ha, così, l'energia particolare,
sovrumana, sprigionata dalla risurrezione di Cristo e immessa nella storia.
Il cavaliere forma - qui come in 6,2 - un blocco simbolico unitario col
cavallo .. In 6,2 il cavaliere col cavallo bianco era presentato armato (EXWV
1:6!;ov <<avente un arco••), incoronato (ÈOolh} aun{> mtq;avoç <<gli fu data una
corona»), come se avesse già compiuto la sua missione: data la sua qualifica
permanente di vittorioso (vrKwv, <<che vince» in continuità), avrebbe dovuto
riportare una vittoria definitiva (tva vtx~on <<per vincere» in un certo
momento). Si trattava, in 6,2, dell'energia della risurrezione di Cristo applicata
alla storia in contrapposizione alle altre forze di segno negativo, indicate dagli
altri tre cavalli (la violenza, probabilmente l'ingiustizia sociale, la morte).
Qui anzitutto si dà un nome al cavaliere: <<Viene chiamato» il soggetto
attivo che denomina e identifica, qui come altrove nell'Apocalisse quando si
usa il verbo xaì..Ei:v - cf. specialmente 12,9; 11,8, particolarmente rilevante;
forse anche 16,16 - , è il soggetto interpretante." Quella che era, in 6,2,
l'energia della risurrezione di Cristo presentata come forza attiva nella storia,
viene ora vista in termini di persona e riceve la denominazione personale di
mmòç xaì. àì..rp'hvoç, <<fedele e veritiero»: si tratta di due titoli già esplicita-
mente attribuiti a Cristo (vedi 1,5 e 3,14). Il fatto che questi titoli siano qui una
denominazione fatta dal soggetto interpretante dà loro il rilievo di un'equi-
valenza con la persona a cui si riferiscono e che l'interesse di una scoperta.
Situandosi, cioè, alla conclusione della storia, il soggetto interpretante constata
come tutte le promesse e gli impegni di Dio hanno avuto la loro attuazione,
realizzata da Cristo risorto, il quale, in qualche modo, si identifica e coincide
con l'attuazione realizzata. La storia giunta al suo culmine esprime la fedeltà e
veracità di Dio condensata. sintetizzata, «ricapitolata» nella persona di Cristo.
<<E giudica con giustizia e combatte».
La doppia espressione, caratteristica di questa pericope e non ripresa da
altri passaggi antecedenti, è riferita al Cristo che si trova culmine della storia ed
indica le modalità con cui egli realizza gli impegni di Dio: giudica <<con

" Cf. Parte prima, c. II, pp. 3R-40: Parte seconda, c. V, pp. 201-204.
36
C'è una qualche incertezza nella tradizione manoscritta a proposito di xaÀmJIJrvoç;
manca in A P OSI; si trova nell'ordine xnì-.mJ!!EVo; rrtutòç xaì. <ÌÀllthvéç in 045 e molti minuscoli; si
trova nell'ordine - forse prdcribile - ;nm:6ç xaÀ01J!'EVo; xai ò.ÀT]~Lvoç in S.

321
giustizia>>, in coerenza· con le promesse e gli impegni di Dio, e realizza
dinamicamente il suo giudizio travolgendo l'antagonista: <<Combatte>> (in
parallelismo sinonimico con <<giudica con giustizia>>). Tutto questo avviene
adesso, nel presente. Alla conclusione della storia si realizza questo giudizio
dinamico e irresistibile di Cristo. Ed è così che egli, <<vittorioso>>, riporta la sua
vittoria in concreto. Si ha una precisazione ulteriore di 6,2.
Inquadrando questo nel contesto del circolo giovanneo e, in modo
particolare, mettendolo in rapporto con il testo sopra esaminato di Gv 5,25-29,
notiamo come, in questa azione esercitata da Cristo sulla storia, viene
superata, in termini di realizzazione ultimata, l'antitesi <<verrà l'ora ed è
adesso ... >> a proposito del giudizio di Cristo.
<<Gli occhi poi di lui (sono) fiamma di fuoco
e sulla testa di lui molti diademi,
(lui) che ha un nome scritto
che nessuno sa se non lui>> (19,12).
Gli occhi di Cristo sono già stati presentati dall'autore «come>> una
fiamma di fuoco: si trattava, in 1,16 e 2,18 della capacità di Cristo risorto di
giudicare la sua chiesa: gli occhi esprimono la capacità di vedere, di valutare
con tutta esattezza: la <<fiamma di fuoco>> - si può dire, per evitare una
tautologia (la fiamma è necessariamente di fuoco!) <<fuoco a forma di fiamma>>:
non si tratta di un fuoco sotto la cenere e neppure di un qualunque fuoco
acceso, ma di un fuoco a fiamma, che prende la forma penetrante di una
fiamma- è un fuoco che raggiunge efficacemente e brucia il male, identificato
guardando. Nelle due ricorrenze precedenti del nostro contesto questa capacità
di giudizio distruggitore di Cristo si svolge nei riguardi della sua chiesa:
l'efficacia indicata dal fuoco a fiamma c'è e si ha quindi una vera distruzione del
male; ma è in prospettiva di purificazione e quindi limitata da «come». Qui
invece- se accettiamo la lezione più probabile"- abbiamo il fuoco a fiamma
senza alcuna limitazione, allo stato puro, con tutta la sua capacità di
distruggere il male. Infatti il giudizio distruggitore di Cristo, le modalità della
sua vittoria, sono contro il male che gli si è opposto nel decorso della storia.
Il cavaliere che esercita la funzione di giudizio irreversibilc. che annienta
distruggendolo il male che giudica, non è una forza e basta; come abbiamo
visto. è una persona; la sua denominazione come persona. che già emergeva in
xaÀmJ~Evoç, viene qui esplicitata ulteriormente: <<ha un nome>>, e il nome <<è
scritto e rimane tale>> (yEyQa~~tvov): è quindi una persona in senso pieno. Ma
è impossibile definirla: solo lui conosce il suo nome. Tenendo presente che ci

37
Si ha, anche qui, una perplessità nella tradizione manoscritta: troviamo, in riferimento
agli occhi di Cristo, wç q>À6l; IT1JQ6ç in A e vari minuscoli; wç invece è omesso da s p 046 OSI e dalla
maggioranza dei minuscoli. Il sospetto che si tratti nel testo di A di un'armonizzazione rispetto a
Ap 1,14 e 2,18, induce a propendere per la lezione di S, senza wç; avremo. allora, i «suoi occhi
(sono) fiamma di fuoco».

322
troviamo nella sezione conclusiva e che il soggetto interpretante è chiamato a
vedere il cielo aperto in rapporto alla terra, non ci possiamo fermare alla
trascendenza della personalità di Cristo. Infatti in questa pericope, come anche
in genere nell'Apocalisse, si ha una trascendenza di Cristo applicata alla storia,
che fa presa nella nostra storia e la determina. Ma gli uomini non sono in grado
di percepire nei dettagli, identificandola all'istante e mettendola subito in
rapporto con la persona di Cristo, questa forza di risurrezione. Quando, allora,
Cristo agisce nella storia di adesso, si vedono alcuni effetti della sua azione, si
crede nella sua presenza, ma non si riesce a leggere pienamente il suo nome, a
vedere lui come persona negli avvenimenti. Ciò sarà possibile solo a livello
escatologico.
<<Ed è avvolto di un vestito immerso nel sangue e il suo nome è stato e
rimane chiamato: la Parola di Dio>> (19,13).
L'immersione nel sangue della veste si riferisce, con tutta probabilità, al
<<sangue>> di Cristo: alla sua passione, intesa con tutte queste modalità
dinamiche. L'immagine viene allora pienamente giustificata:" non si tratta di
una semplice spruzzatura, ma di un'immersione, di un contatto totale e
permanente con la sua passione che qualifica personalmente Cristo facendone
!'<<agnello che sta in piedi (risorto) come ucciso (5,6)>> e lo qualifica anche
rispetto agli altri, ai suoi nemici, dandogli quella capacità di vittoria piena su di
loro che adesso verrà messa in atto.
Cristo non solo è chiamato dagli uomini che considerano la sua opera
<<fedele e veritiero>> in rapporto alla parola di Dio, ma addirittura <<parola di
Dio>> realizzata nella storia. Cristo è, così, la realizzazione escatologica della
nuova creazione che contiene la pienezza di ogni parola di Dio, e, viceversa, la
nuova creazione coincide con Cristo come parola attuata.
«E gli eserciti
-nel ciclo-
lo seguivano su cavalli bianchi
vestiti ciascuno di lino bianco puro>> (19,14).
Il contesto di battaglia fa pensare a <<eserciti>> organizzati riguardanti i
cristiani che collaborano attivamente con Cristo. La loro situazione vista a
«cielo aperto» (tv oùgavcjl, «nel cielo>> non si riferisce al luogo della battaglia e
della sequela che è e rimane la terra: cf. 19,17-19; indica semplicemente. in
maniera allusiva, la trascendenza celeste con tutte le sue implicazioni di

" Ciò non si ha se si interpreta sulla scorta di Is 6J.J.Jia veste come spruzzata dal sangue dei
nemici. Il termine greco usato r3E~a~~Évov ((immerso, inzuppato» é difficilmente riferibile al
sangue dei nemici ((spruzzato sulle vesti>> (Is 63.3). Ciò è stato avvertito anche nella tradizione
manoscritta: quando si è voluto mettere il nostro testo in rapporto con Is 63, l-3 si è messo al posto
di ~E[l«flf!Évov («immerso••) QEQOV<t<Jflfvov (P. vari minuscoli), rrEQL(>EQOflflÉvov (S•. Irenco). Cf.
FEI.:ILLET, La moi.l·son, p. 231.

323
applicazione sulla terra), dal punto ideale della conclusione raggiunta, è quella
di una collaborazione attiva e paritetica con Cristo allo stesso livello di effi-
cienza: come lui cavalcano <<cavalli bianchi>>. In 6,2 si parlava solo di «cavallo
bianco>> riferito genericamente alla forza risurrezionale di Cristo immessa nella
storia; in 14,4 si diceva che i 144.000 visti nella prospettiva della vita ecclesiale
attuata si ritrovano nella categoria di coloro che «seguono l'agnello dovunque
vada»." Questa sequela attiva, «apostolica» è vista e capita ora allo stesso
livello di Cristo risorto, con la stessa efficacia. E come, per quanto riguarda
Cristo, emerge ora, in confronto con la fase pre-escatologica, la sua dimen-
sione personale, altrettanto accade per i suoi seguaci. Si soggiunge infatti che i
cavalieri dei cavalli bianchi"' sono: «vestiti di lino bianco splendente».
L'espressione riprende il vestito della donna sposa e proprio questo testo
permette di precisare:
<<Rallegriamoci perché
è giunto il tempo delle nozze dell'agnello
e la sua donna si è preparata:
e le fu dato di rivestirsi di lino puro splendente,
il lino sono gli atti di giustizia dei santi» ( 19 ,8).

La sposa è pronta per le nozze escatologiche perché si è preparata in


precedenza. Tale preparazione viene ora, a livello di conclusione, riassorbita
nel suo vestito nuziale fatto di «lino luminoso puro»: secondo il simbolismo
antropologico dell'abito nell'Apocalisse, la sposa è qualificata anzitutto in
rapporto a se stessa: la dimensione trascendente a cui è giunta viene espressa
da «lino puro» e da <<luminoso», in quanto riflette la luce di Dio (cf. 21,11.23;
22,5). Ma è una situazione che viene apprezzata: la luminosità è avvertita dagli
altri. L'autore, poi, sempre a proposito dell'abito della sposa, fa una
precisazione interessante: gli elementi Ì>.a!!;rg6v «luminoso>> e xattaQ6v
«puro», sono un dono esclusivo della trascendenza (Ni61'h]): il «lino» è frutto
anche dell'attività della sposa quando era ancora «fidanzata» e si preparava: è
costituito dai ÒLXOLW!!Ota tÙlV ay[wv' «gli atti di giustizia dei santi». Gli «atti di
giustizia dei santi» considerati soprattutto come oggetto prodotto nella storia,
corrispondono all'attività dei cristiani nella fase pre-escatologica. E sono, essi,
simboleggiati dal «lino» dell'abito.

" Nel quadro teologico della sequela del NT, l'Apocalisse occupa un posto a parte. Mentre
nei Sinottici e in Giovanni «seguire>) Gesù è prenderlo come il valore determinante della propria
esistenza, nell'Apocalisse si parla della sequela dell'àQvlov, cioè del Cristo morto e risorto
impegnato attivamente nella spinta in avanti della storia. Cf. U. VANNI, Questi seguono l'agnello
dovunque va<W (Ap. 14,4), in PSV (1979) 2. pp. 171-192.
40
Il rivestimento di lino bianco e splendente è riferito esplicitamente ai singoli cavalieri. Lo
indica il passaggio brusco. tipico dello stile dell'Apocalisse. dal neutro del più generico
atQOtEUtJ.ata «eserciti)), al maschile fvbEÒUtJ.tvm «rivestiti,~. Da notare anche la forza del perfetto:
Ev6Eòu~vm vuoi dire che i cavalieri, ciascuno di essi, sono rivestiti e rimangono tali.

324
Nel nostro contesto: ciascuno è stato rivestito e rimane tale come indica il
perfetto tvÙEÒUI.IÉvm:" c'è un fatto iniziato nel passato e il cui effetto perdura
nel presente. Nel passato- nella fase pre-escatologica- è stato confezionato
il <<lino»: sono gli «atti di giustizia>> che sulla linea di Cristo, che «giudica nella
giustizia>>, hanno contribuito allo sviluppo e alla conclusione della storia.
A livello di conclusione, essi ricevono una maggiorazione: il lino è ÀEux6v
«bianco>>: è la situazione trascendente personale realizzata in dipendenza e
partecipazione della risurrezione di Cristo; è anche xm'tug6v «puro>> nel senso
che realizza quella completezza di positività che è tipica del livello di Dio (cf.,
ad esempio 21,21b).
«E dalla bocca di lui
esce una spada acuta
perché colpisca con essa le genti
ed egli
li pascerà con verga di ferro
ed egli
calca il tino del vino
della passionalità
dell'ira
di Dio
dell'onnipotente>> (19,15).
Viene ripresa un'espressione già usata in 1,16 e 2,12.16; la «spada che esce
dalla bocca>> è la parola di Cristo, la quale possiede l'efficacia tagliente e
irresistibile di una spada affilata. Abbiamo visto sopra come essa si esprime sia
direttamente, sia incarnandosi nei fatti. Qui si tratta del secondo caso, ma la
realizzazione nei fatti della parola di Cristo riguarda le <<genti>>, protagoniste
del male realizzatosi nella storia. La parola, concretizzata in fatti nuovi,
«colpirà» le genti, distruggerà il male. Ma questa parola concretizzata converge
in lui: continuando il discorso si dice che proprio lui" «pascerà» con verga di
ferro e «calca>> il tino. Specialmente con questa ultima immagine si ha, di
nuovo, un'esplicitazione in termini personali e riferiti a Cristo dell'azione di
superamento dei nemici di Dio, già maturata nella storia e realizzata alla fine.
In 14,19-20 si parlava della «vendemmia escatologica>>: l'uva. maturata durante
lo sviluppo della storia, viene colta alla fine e gettata nel tino. Ma l'uva, la
vendemmia e la spremitura del mosto, diversamente dalla mietitura (cf. 14,15-
16) hanno una connotazione negativa: esprimono il male accumulatosi nel
decorso della storia e distrutto alla fine da Dio. In questa distruzione Dio si
coinvolge personalmente: il tino dove viene gettata l'uva, è il «tino grande

1
"Cf. nota precedente.
'' Nello sviluppo letterario del versetto 19.15 viene messo in risalto e ripetuto enfaticamente
il pronome uùTO; ~duh>, <(proprio lui>), nella doppia ripresa: xaì. airròç :toqJ.avEi. .. xai alrròç
1tO'IEi. ..

325
dell'ira di Dio» (14,29b). Si ha poi un'altra precisazione: l'uva ptg~ata si
riferisce agli uomini: viene rapportata a un contesto umano (la <<Città», fuori
della quale viene pigiato il vino) e il vino che fuoriesce dalla pigiatura è
<<sangue>> in una abbondanza impressionante (14,20).
Tutto questo contesto viene ora ripreso e collegato direttamente con Cristo
e, sotto qualche aspetto. maggiorato: il passivo teologico Ènan'rthl <<fu pigiata>>
di 14,20 diventa l'attivo cristologico nani: <<pigia, calpesta>>. È al presente, perché
la riflessione che si sta portando avanti si situa alla conclusione della storia."
<<E ha
sulla veste e sulla coscia di lui
un nome scritto:
"Re dei re"
e "Signore dei Signori">> (19,16).
Dopo tutto quello che è stato osservato e riflettuto nella pericope si arriva
ora a una conclusione sintetica, che riassume quanto è possibile comprendere
di Cristo a livello escatologico: si tratta del «nome>>, di ciò che lo qualifica
strettamente, lui e non un altro, come persona.
Alla persona non si riferisce solo il termine ovotJ.a. Il «nome>> infatti è
scritto sulla veste e la veste, come abbiamo già osservato più volte, qualifica la
persona in se stessa e sotto l'aspetto relazionale. È un nome proprio aderente
alla persona e confacente ad essa, perfettamente corrispondente.
Il testo presenta una precisazione ulteriore: la si può comprendere tenendo
presente la posizione del cavaliere: esso è xm'h\tJ.Evoç «seduto>>. Il fatto che
Cristo sia presentato qui, nella nostra pericope (v. 11), come <<seduto>> lo
avvicina alla capacità di dominio di Dio;" il fatto poi che sia seduto sul <<Cavallo
bianco>> esprime il dinamismo applicativo del dominio divino sulla storia, come
conseguenza e partecipazione della risurrezione. Ora è proprio questa posizio-
ne che viene evocata dall'iscrizione posta sulla coscia: essa si riferisce alla
persona di Cristo, ma è leggibile trasversalmente sulla sua coscia perché Cristo
è seduto sul cavallo bianco, cioè in atteggiamento di dominio esercitato."
L'iscrizione per il personaggio a cui è riferita e per dove è collocata, già fa
presagire il suo contenuto: <<Re dei re e Signore dei signori>>: l'espressione ha la
forma caratteristica di un <<superlativo di nome>>, di stampo ebraico: porta la
regalità e la signoria al massimo esponente.

43
Il fatto che, qui, viene raggiunto un culmine è messo in risalto anche dal «crescendo•)
letterario determinato dalla sequenza di ben cinque genitivi: .. :ttìv À.fiVÒV toU olvou, toù th.Jf.tOU,
tijç ÒQ"fl1ç, 'oii fiEDii, WU ltUVTO><QÙtO!?Oç (!9,!58).
" «Seduto». 6 xaih'JI'•voç, è nell'Apocalisse, sulla scia dell'AT, un titolo di Dio ed esprime
la sua capacità di dominio attivo sulla storia (cf. 4,2, ecc.).
4
~ Si ha, allora, una sola iscrizione: sulla veste che copre trasversalmente la coscia del cavaliere
seduto. Questa imerpretazione, perfettamente aderente a tutto il contesto, toglie alla presentazione
di Cristo l'enigma irritante di una presunta doppia iscrizione. una sul «mantello~~ ùcl cavaliere- ma
4Ji1nov significa ugualmente «veste~> - e una direttamente sulla carne della coscia. (Cf. le perplessità
dell'esegesi, a questo proposito, riportalc c riprese da PRIGENT, L'Apocalypse, p. 297).

326
Consta di due parti, due <<Superlativi>>, quella della regalità e quella della
signoria. Quest'ultima deriva dall'A T: «Signore dei signori>> è un titolo proprio
di Dio." Il nome proprio di Cristo in atto di vincere i nemici è quello di Dio.
L'altra parte dell'espressione, «re dei re>> era diffusa come titolo aulico." Il
massimo della regalità indica, quindi, un dominio assoluto ma che riguarda i re
sulla terra. È una prerogativa personale di Cristo.
Quello che è interessante nell'Apocalisse è, oltre il senso delle due parti
dell'espressione attribuita a Cristo, il loro rapporto reciproco e col contesto
immediato.
L'espressione presenta le due parti di cui si compone anche in ordine
inverso: in 17,14 «l'agnello li vincerà perché (on) è Signore dei signori e Re dei
re>>; qui il suo nome scritto è: «Re dei re e Signore dei signori>>.
In 17,14 si afferma che l'agnello vincerà tutta una serie dei re della terra:
la potenza dei re della terra viene superata in maniera incontrastata.
Si vuole indicare la ragione di questa possibilità di superamento e si
comprende allora che l'agnello potrà vincere perché (on) anzitutto è «Signore
dei signori>> a livello divino; eppoi perché applica questa sua energia
trascendente a livello terrestre, come «Re dei re>>.
Nel nostro contesto si parte dalla capacità che ha Cristo di vincere i re
della terra; i loro diademi appartengono a lui come persona." Proprio in lui,
nella sua persona, in quello che è e che fa, si esprime la capacità assoluta e
concreta di dominio: è «seduto sul cavallo>>. Come tale ha la qualifica personale
di «Re dei re>>. In questa qualifica concretizzata nella sua persona, se ne legge
un'altra, maggiore ma in continuità, quella di «Signore dei signori>>, cioè di
Dio. Il suo comportamento personale, esprimente la sua capacità di vincere il
male, esprime nello stesso tempo il suo livello divino.
In 17,14 l'accento è messo sul rapporto di potenza con i re esplicato
dall'agnello perché è «Signore dei signori>> e quindi anche «Re dei re>>. Qui si
ha un'esplicitazione in termini personali; si guarda alla persona, che si
manifesta nell'azione concreta: appare, la persona, «Re dei re>>, e, in questa
stessa prospettiva, «Signore dei signori>>.
Raccogliendo in un quadro di insieme i dettagli analizzati, potremo
concludere: non si ha, qui, una descrizione vera e propria della parusia. Non si
parla mai di ritorno di Cristo. Ci si muove, però, a livello di conclusione e
Cristo appare come «Un di più>> rispetto all'esperienza che ne è fatta prima.

" 'adoni ha'Jdonfm, nei LXX ><U(>LOç ><U(>LOJV (Dt 10,17; Sal 105,3).
7
• Si ritrova detto anche ùi Dio in 2Mac 13,4: ((Il re dei re suscitò l'ira di Antioco». Pur
riferito a Dio, il titolo mette Dio a contatto e confronto con un re della storia umana.
"' Cf. A p 19,12: i ;wHà OLaùruwm intorno alla testa di Cristo non qualificano lui come
vincitore in assoluto (si avrebbe mÉqJavo;, «corona>>). ma. sia per il loro numero. sia per il
significato preciso del termine t>LétÒtlllO, una fascia azzurra ornata di bianco che veniva legata sulla
fronte dei re (flamÀEiaç yvw(>ta~a lo chiama Luciano), indicano la vinoria di Cristo riportata
proprio sui re della terra, dei cui diademi si è appropriato.

327
Il soggetto interpretante, elaborando il materiale simbolico fornitogli,
riflette su tutto questo. Lo fa, guidato come sempre dall'autore, riprendendo
vari momenti precedenti della sua esperienza apocalittica e constatandone la
completezza realizzata da Cristo, che gli appare nello stesso tempo come
rapportato alla storia e come persona avente un nome. Potremmo dire che il
Cristo che qua si delinea è una persona tutta impegnata nella storia, la quale,
divenendo, assorbe e fa sue le caratteristiche personali di Cristo stesso.
Cristo persona tutta applicata nella storia dell'uomo e alla storia del-
l'uomo, è particolarmente attivo nella sconfitta definitiva del male: lo giudica
come male e lo annienta. Ha questa capacità proprio perché è stato ucciso.
Cristo si associa un gruppo che partecipi più da vicino alla sua azione e
alla sua realtà. Questo, che già si era impegnato prima della sequela
dell'agnello, vede e constata adesso la portata di quanto ha fatto e continua a
fare: si tratta di collaborare con Cristo quasi allo stesso livello.
Così, in questa rimeditazione della storia nella quale è presente Cristo,
fatta situandosi idealmente nel punto di arrivo, il gruppo di ascolto coglie la
portata sorprendentemente cristologica della storia e la portata <<Storica>> della
persona di Cristo. Si sente incoraggiato nel suo cammino di collaborazione con
Cristo.

9. LA REALIZZAZIONE CRISTOLOGICA DELLA STORIA NELLA GERUSALEMME NUOVA

Ma qual è, viene da chiedersi, in termini positivi e non solo di


superamento del male, questa piena realizzazione cristologica nell'ambito della
storia? L'autore ci dà una risposta in una delle sue pagine più riuscite, quando
ci presenta, a due riprese, la Gerusalemme nuova.
Il termine xmv6; <<nuovo>> ha nell'Apocalisse un valore preciso: non
indica la sostituzione di una parte avariata o logora, ma si riferisce costante-
mente ai valori di cui Cristo è portatore e che egli immette nella storia. In
ultima analisi <<nuovo>>, nell'Apocalisse, indica una realizzazione di Cristo
risorto, attuata da lui come risorto e che lo esprime proprio come tale. La
Gerusalemme nuova è la città-convivenza attuata da Cristo risorto e che,
proprio per la novità che la caratterizza, ne partecipa la vitalità.
Diamo uno sguardo sintetico ad alcuni aspetti:"
<<Vidi un cielo nuovo e una terra nuova:
il cielo di prima, infatti, e la terra di prima erano passati>> (21,1}.
È l'ambiente nel quale viene situata la Gerusalemme nuova. Non si
precisano le modalità in termini fisici, ma si insiste su un salto qualitativo tra il
mondo «di prima>>, e questa realizzazione ottimale definitiva tutta pervasa
dalla novità di risurrezione di Cristo.

" Cf. per un'esposizione esegetica dettagliata, Parte seconda, c. VIII. pp. 253-276.

328
In questo ambiente rinnovato viene collocata la città: essa discende dal
cielo, è tutta costruita da Dio e su misura di Dio, ma non rimane racchiusa
nell'ambito inaccessibile della trascendenza. È la convivenza, la collettività del
popolo di Dio, rinnovato in proporzione e su misura di Cristo. Ma questa
collettività, questa città, viene precisato con un'immagine ardita, si è ormai
preparata, durante tutta la vicenda della storia, ed è pronta, come una sposa
ornata per incontrare lo sposo.
A questa prima presentazione ne segue un'altra ancora più suggestiva e
che fa toccare con mano la portata della presenza di Dio e di Cristo attuata
nella città degli uomini, al di là di quelli che sono, ora, i confini tra immanenza
e trascendcnza:
«Vieni, ti mostrerò la fidanzata sposa dell'agnello>> (21,9).
Si è realizzato tra Cristo-agnello e il suo popolo l'amore paritetico tipico
del livello nuziale. Preparandosi durante lo sviluppo della storia, collaborando
attivamente con lui a superare il male col bene, la chiesa «fidanzata>> ha
finalmente raggiunto il livello di <<sposa>>.
In che consiste, più in dettaglio, questo livello paritetico di amore?
L'autore dell'Apocalisse si sforza di farlo apprezzare e gustare. La
Gerusalemme nuova è tutta pervasa dalla ricchezza infinita di Cristo e di Dio:
lo dice e lo inculca il simbolismo ridondante della luce, delle pietre preziose e
dell'oro. Indicano, l'uno e l'altro, la presenza immediata di Dio che si dona
(21,10-21). Non sorprende a questo punto l'affermazione che, nella Gerusa-
lemme nuova, si nota l'assenza di ogni forma di tempio (21,23-31). Tutto è
tempio, perché in tutta la città si realizza, in maniera omogenea, la presenza
diretta e comunicativa di Dio e di Cristo risorto con tutti gli uomini. Dio e
Cristo sono la vita della città (cf. 22,1-5).

10. Lo SPIRITO E LA FIDANZATA DICONO: <<VIENI!>>

Dopo aver fatto gustare all'assemblea liturgica la meta di <<Sposa>> a cui


essa si prepara, ma che potrà raggiungere solo nel futuro, l'autore ritorna nel
presente. Siamo di nuovo nella concretezza dell'assemblea liturgica che
abbiamo trovato all'inizio (l ,4-8), e, come all'inizio, l'assemblea si esprime in
un dialogo (22,6-21). Ne sono protagonisti tutti quei personaggi che hanno
contribuito alla realizzazione dell'esperienza ormai ultimata: Giovanni (il
<<lettore>>), l'angelo interprete, Cristo, l'assemblea, animata dalla forza dello
Spirito."'
Ritornando, dopo l'esperienza di purificazione e di discernimento, nella
concretezza della sua storia, l'assemblea vi ritrova lo scontro tra male e bene

S(l Cf. per un'ulteriore precisazione sul dialogo liturgico conclusivo, V ANNI, La struuura, pp.
299-300.

329
dal quale si era momentaneamente isolata. Rituffandosi nel groviglio della
storia dopo la meditazione della pienezza riguardante Dio, Cristo e gli uomini
come si realizza nella Gerusalemme nuova, l'assemblea comprende meglio
cosa significa, al presente, l'assenza di Cristo. Tutto ciò che, nella storia in cui
vive, è ancora mancanza di amore, violenza. morte, male sotto qualunque
forma, è un vuoto di presenza di Cristo, del suo amore, della sua vitalità, della
positività vertiginosa della sua risurrezione. Di fronte a questa constatazione il
gruppo sente il bisogno di invocare, con tutte le sue forze e con tutta la
pressione di amore nei riguardi di Cristo di cui è capace, la pienezza della sua
venuta:
<<Lo Spirito e la fidanzata dicono: "Vieni!" Chiunque ascolta dica
"Vieni''·, (22,17).

L'invocazione accorata non cade nel vuoto. Cristo risorto, creduto e


sentito presente nell'assemblea liturgica, la raccoglie in pieno e la fa sua:
<<Sì, vengo presto!>> (22,20a).

Questa promessa, da una parte rassicura l'assemblea, dall'altra rende


ancora più acuta la nostalgia della presenza di Cristo nella storia. Accogliendo
con una reazione di fede trepida e grata la promessa di Gesù, l'assemblea la fa
sua e la trasforma in preghiera, come le era accaduto all'inizio. Risponde:
<<Amen, vieni Signore Gesù>> (22,20b).

Appare chiara e suggestiva, a questo punto, l'interpretazione originale


che l'Apocalisse ci presenta dell'aspirazione alla venuta di Cristo diffusa nella
chiesa primitiva. La venuta di Cristo passa attraverso la storia e vi trova una
maturazione graduale mediante la realizzazione di tutti i valori di Cristo.
Anche i cristiani vi portano un loro contributo attivo. C'è stato, rispetto al
maranatha primitivo, un salto qualitativo.
La Didaché dice:
<<Y enga la grazia (~ XUQLç) e passi questo mondo

maran atha. Amen» (10,6).

L'Apocalisse precisa che la <<grazia» è la bontà di Dio mediante il lavorio


che la risurrezione di Cristo attua al di dentro della nostra storia. Il livello del
mondo di adesso deve passare, ma per dar luogo a un altro mondo, dove si
situa la Gerusalemme nuova, che ne costituisce la realizzazione ottimale.
E nella Gerusalemme nuova è leggibile, attuata in pieno, la venuta del
<<Signore»."

" Cf. Parte terza, c. V, pp. 388-389.

330
11. CONCLUSIONE

L'elaborazione dell'escatologia in chiave cristologica che abbiamo rileva-


to nell'Apocalisse, ci permette ora, in uno sguardo sintetico e riassuntivo, di
scorgere più chiaramente la traiettoria secondo la quale è maturata l'escatolo-
gia nell'ambito del <<Circolo giovanneo>>.
Nel quarto Vangelo abbiamo, potremmo dire, un quadro trecentesco,
con tutti gli elementi, ma senza prospettiva. La presenza di Cristo tra gli
uomini, determinata dalla sua incarnazione, è sentita come il valore decisivo
della storia. C'è lui, c'è tutto.
Ma la presenza di Cristo nella storia non è una sua collocazione distaccata
accanto agli eventi degli uomini. Cristo influisce sulla storia e la cambia: è
portatore di una nuova vita che è destinata a diventare la vita degli uomini nel
senso più pieno della parola. Cristo è ugualmente portatore di una rivelazione,
di una verità valore, anch'essa destinata a cambiare i connotati della storia. Lui
stesso darà una valutazione, mediante il suo giudizio, sull'accettazione o meno,
da parte degli uomini, di questi suoi doni di vita e di verità.
Cristo e la storia sono messi in rapporto, ma il rapporto non viene
sviluppato. Si ha allora l'antitesi rilevata tra la storia che, come tale, è in
movimento e tende al futuro, e Cristo, che è più visto e sentito come presente e
arrivato. L'espressione <<verrà l'ora ed è adesso» esercita una forza notevole di
stimolo: essa coinvolge subito il lettore ma esige, in qualche modo, di essere
chiarita e superata.
Nella prima lettera di Giovanni troviamo un'emersione cruda della
dimensione della storia in alcuni suoi elementi sconcertanti. Il rapporto tra la
storia e Cristo è avvertito, ma in termini negativi: la presenza degli <<anticristi»
determina !'«ultima ora».
Nell'Apocalisse il rapporto tra Cristo e la storia è affrontato e approfon-
dito.
Cristo e la storia col suo svolgimento sono simultanei. C'è un Cristo
futuro nella storia futura: nella situazione che si avrà nella convivenza della
Gerusalemme, la novità pienamente realizzata sarà la vitalità di Cristo risorto
comunicata e partecipata senza limiti.
C'è un Cristo futuro che influisce sulla storia attuale, la quale diviene e si
sviluppa in direzione di lui.
La sua venuta non è, quindi, l'arrivo portentoso di un assente, quasi il
sopraggiungere di un deus ex machina che riordini miracolisticamente la storia.
È, piuttosto, la presenza in crescendo di questa forza di risurrezione, che, già
immessa nel campo della storia, ne saprà poi concludere positivamente lo
sviluppo. A sviluppo ultimato, si avrà come una coincidenza tra la storia
rinnovata e Cristo risorto suo rinnovatore.
Il rapporto nel quarto Vangelo tra Gesù incarnato e la storia acquista,
così, una prospettiva: ]'«adesso» di Gesù è messo in rapporto con !'«adesso»
della storia; viceversa il futuro della storia, I'<<ora che verrà», è messa

331
anch'essa, proprio nel suo sviluppo, in rapporto con Gesù. È lui che verrà con
l'ora e nell'ora, insieme alla storia e nella storia che si sviluppa in avanti.
La presenza del male che tanto impressiona la prima lettera di Giovanni
non fa più pensare, nell'Apocalisse, all'imminenza dell'«ultima ora». Gli
elementi anti-Cristo presenti nella storia saranno superati nella forza di
pressione di Cristo: si avrà uno sviluppo in avanti che potrà essere anche lungo,
complesso, a vicende alterne, pur con l'esito finale scontato.
In una parola: le varie concezioni escatologiche che appaiono e serpeggia-
no nell'ambito del circolo giovanneo, si maturano di pari passo con la
profondità che raggiunge la coscienza del rapporto di Cristo con la storia.

332
capitolo Il I

Dalla maternità di Maria alla maternità della chiesa:


un'ipotesi di evoluzione
da Gv 2,3-4 e 19,26-27 ad Ap 12,1-6

l. INTRODUZIONE

L'ammissione comune, condivisa da molti studiosi sia pure a livelli diversi,


di una continuità tra il quarto Vangelo e l'Apocalisse,' merita di essere riesamina-
ta. La messa in evidenza di elementi teologici molteplici che si corrispondono è
solo un primo passo. La differenza. rilevabile anche ad un primo approccio. dci
due contesti sia sotto il profilo letterario che sotto quello teologico, impone un
approfondimento. Viene da chiedersi: qual è il senso specifico che elementi simili
acquistano situati come sono in contesti diversi? E qual è il rapporto tra di essi,
visti nel contesto immediato che li determina? Un rapporto di continuità sullo
stesso piano, di sviluppo, di integrazione reciproca? Alcune ricerche fatte in
proposito' permettono di formulare la seguente ipotesi di lavoro: tra il quarto
Vangelo e l'Apocalisse c'è una continuità dinamica, sotto il segno di un'evoluzio-
ne: i valori teologici. visti più contemplativamente c quasi in assoluto nel quarto
Vangelo, vengono posti, nell'Apocalisse, a contatto diretto con la storia, nell'in-
tento di evidenziare il significato religioso profondo che essa contiene.
In questo quadro acquista un interesse notevole il rapporto tra la <<donna>> di
Gv 2,4; 19.26 e la «donna>> di Apocalisse 12.1ss. Nei due testi del quarto Vangelo il
termine «donna>> (yuvm) è riferito a Maria. ma, letterariamente inusitato in bocca
a un figlio che si rivolge alla madre, emerge dal contesto in cui ricorre, imponendo-
si particolarmente all'attenzione. Ci si chiede che cosa voglia significare, data
proprio l'enfasi letteraria con cui è presentato. Un discorso analogo si impone per
l'Apocalisse: il termine «donna>> (yuvrl) ricorre con una frequenza talmente
rilevante nell'ambito di tutto il capitolo 12 da costituire un «motivo letterario>>,'
che proprio come tale emerge dal contesto e si impone all'attenzione.
Data la particolare rilevanza che acquista «donna>> sia in Gv che in Ap 12
c'è un qualche legame che unisce tra loro i tre contesti in cui ricorre? E, in caso

1
Cf. ad esempio BocHER. D<L< Verhiiltnis, pp. 289-301. Tendono a collocare l'Apocalisse
nell'ambiente paolino escludendo quello giovanneo SciiLSSLER·FTORENZA. YARHHO CouJ:ss, d.
sopra Introduzione, p. 9, nota 9.
' Cf. Parte seconda, cc. II e III.
'Cf. VANNt. La struttura. p. 196.

333
affermativo, quali sono le conseguenze teologico-bibliche che questo rapporto,
debitamente approfondito e valorizzato, comporta sia per l'esegesi che per la
teologia biblica?
Per rispondere ordinatamente a queste domande, esamineremo prima il
senso che ha il termine <<donna>> nelle due ricorrenze indicate del quarto
Vangelo; passeremo quindi a un esame comparativo con Apocalisse 12,
esplicitando punti di contatto e divergenze.
Saremo in grado, a questo punto. di concludere la nostra ricerca
raccogliendo in sintesi i risultati del confronto.

2. LA <<DONNA» IN Gv 2,4

Siamo nel contesto del segno di Cana, che è stato ed è tuttora oggetto di
studio e di dibattito tra gli esegeti, come mostra l'abbondante bibliografia al
riguardo.'
Il termine <<donna» ricorre all'inizio della parte dialogica.' Alla constata-
zione che Maria espone a Gesù sulla mancanza di vino, Gesù risponde:
<<Che è a me e a te, o donna (yuvm)?
Non è ancora giunta la mia ora» (Gv 2,4).
Per comprendere il senso che ha il termine <<donna» dobbiamo situarlo
nel contesto immediato che lo illumina.
Il primo elemento che il contesto ci suggerisce è proprio la rilevanza
dell'appellativo <<donna». Immediatamente prima troviamo per due volte
l'espressione <<la madre di Gesù» (2,1.3). Ci aspetteremmo allora, in continuità
con la presenza sottolineata della madre. che Gesù, rivolgendosi a lei, la
chiamasse con l'appellativo usuale di <<madre». L'appellativo <<donna>> acquista
risalto non solo perché inconsueto sulle labbra di un figlio che si rivolge alla
madre, ma anche perché si contrappone esplicitamente alla duplice indicazione
<<madre di Gesù» che incontriamo prima nel testo. Chi è, che funzione svolge la
madre di Gesù quando Gesù stesso la denomina inaspettatamente <<donna»?
La risposta non è facile. È chiaro che il senso da dare a <<donna» dipende
anzitutto dall'espressione nella quale l'appellativo si trova inserito, ma è
proprio questa espressione che fa difficoltà. Il primo stico della frase: <<Che è a
me e a te, donna?» ha dato luogo, data anche la sua indeterminatezza, a una
ridda senza fine di traduzioni diverse.

4
Cf. fERRARO. L'•ora•, pp. 100-116. con la bibliografia indicata; I. DE LA PonERJE, De
marre Jesu in IV Evangelio (Ad usum audirorum). Roma 1982-83. pp. 21-22 .
.~ Tutto il brano riguardante il segno dì Ca na si puù JiviJere, seguendo le indicazioni
letterarie che contiene, in tre parti: narrativa (2.1·3). diatogieil (2.4-K), narrativa (2,9-12). La parte
dialogica, occupando un posto centrale rispeno alle altre due che si corrispondono, acquista un
risalto particolare (cf. DE LA PonERIE, De Marre Jesu, p. 30).

334
La strutturazione letteraria tipica della frase e gli esempi corrispondenti
nell'ambito dell'Antico e Nuovo Testamento prospettano due linee interpreta-
rive: o un senso di ostilità tra la persona che parla e la persona a cui è rivolta la
parola o almeno un certo dislivello tra le due che il contesto specifica. La prima
linea è da escludere. Occorre allora determinare la seconda: in che consiste il
dislivello tra Gesù e Maria? Si è sottolineata una diversità di concezioni: Maria
indica la mancanza del vino nel contesto concreto e cronachistico della festa
nuziale che si sta svolgendo. Gesù darà il vino. ma come segno, nel contesto
esclusivo della sua missione messianica. Ma questa divisione non appare
giustificata nel testo: Gesù pur agendo nel piano della rivelazione messianica,
lo fa inquadrando la sua azione proprio nel contesto nuziale in cui si trova. Gli
elementi di <<cronaca>> - l'intervento dell'architriclino, l'azione dei servi -
non sminuiscono il senso simbolico di tutto il segno. E, d'altra parte. non si può
ridurre l'indicazione di Maria sulla mancanza del vino a una semplice
constatazione casalinga. Il vino che Gesù duna, inteso in senso simbolico, non
è meno carente del vino del banchetto. È allora riduttivo e arbitrario dare al
vino di cui parla Maria un senso limitato rispetto al vino di cui si parla dopo.
Il dislivello è probabilmente specificato dal testo stesso: Gesù chiama
Maria, enfaticamente <<donna>>. Si sono proposte varie interpretazioni. Il fatto
sorprendente che Gesù denomini con questo termine la madre, ha fatto
pensare a una rottura: Gesù non si muove più sul piano delle relazioni
familiari, il termine <<donna>> anziché <<madre>> esprimerebbe questo passaggio.'
Ma c'è un'obiezione di fondo. Mai. né in Giovanni né in Luca,' Maria viene
presentata nella cornice di un rapporto puramente familiare. Appare, allora,
gratuita l'affermazione dell'interruzione di un tipo di rapporto la cui esistenza
non è documentata. La <<madre di GesÙ>> è vista da Luca in un contesto
teologico anche quando si parla dell'infanzia di Gesù.
Senza quindi postulare un'interruzione che, non documentata e per il
fatto che va contro la linea di Luca probabilmente conosciuta da Giovanni,
appare gratuita e inverosimile, occorre cercare in una linea positiva.
Il termine donna ha fatto pensare alla <<donna del protovangelo» (Braun,
Gachter), ma il richiamo appare forzato e poco persuasivo.
Si è pensato a un'allusione a Gn 3,20: Maria sarebbe la donna Eva,
<<madre di tutti i viventi» (Hoskyns, Dubarle ). Ma il contesto immediato di
Giovanni non regge alla portata di un significato del genere, che pure rimane
possibile e suggestivo.

6
Questa posizione è riassunta molto chiaramente da M. Thurian: « ... le temps des relations
familiales est achcvé; il ne peu plus ètrc consìdcré comrnc le fils humain de Marie, et la Vicrge a
cessé d'ètre la mère humainc de Dieu» (Citato in DE LA PorrERIE, De matre Jesu. p. 61).
7
Il confronto tra il quarto Vangelo c Luca ha mostrato c mostra sempre più punti di
contatto. Si può passare, senza salti indebiti. dall'uno all'altro. Cf. J.A. FnzMEYER, The Gospel
According lo Luke, The Anchor Bible 28, New York 1981, pp. 87-A9.

335
È stata proposta una terza linea interpretativa: la ••donna>> corrisponde
alla Sion ideale, propria dei tempi escatologici. Maria, «donna» quindi
rappresenterebbe Israele, inteso nella sua globalità: non solo l'antico Israele,
ma anche c soprattutto il nuovo (Sahlin, Feuillet, Thurian, Serra, Olsson, De
La Potterie).'
Perché, in che senso la madre di Gesù proprio qualificata come donna
diventerebbe Eva o addirittura tutto il popolo di Israele? Il testo non dà una
risposta: evoca qualcuno di questi significati - forse l'uno e l'altro - ma in
una maniera ancora imprecisata. Cè una tensione verso il dopo.
Questo che stiamo vedendo a proposito del termine «donna» lo possiamo
estendere anche alla frase che precede. L' <<eterogeneità» tra Gesù e Maria non
è data- l'abbiamo visto- dall'interruzione di un tipo di rapporto familiare e
neppure da una pretesa incomprensione di Maria del piano messianico su cui
Gesù si muove. L'eterogeneità- se così la si può chiamare- appare invece
da riferirsi a Gesù, da una parte, e dall'altra a Maria «madre di GesÙ>> e
insieme <<donna». C'è un qualcosa di nuovo, che si aggiunge alla «madre di
Gesù» per iniziativa di Gesù stesso. La domanda, allora, «Che è a me e a te,
donna' 1>> si rivela stimolante proprio su questa linea di sviluppo. Solo Gesù che
la formula può darle una risposta adeguata. Tale risposta è concentrata
enigmaticamente nel termine «donna>>: Gesù che, rivolgendosi esplicitamente
a Maria come sua madre, pone la domanda sul loro rapporto e poi la chiama
donna, è lui che opera il passaggio tra il livello di «madre di Gesù», da
intendersi in tutta l'ampiezza anche teologica del suo significato, e «donna>>,
con una valenza semantica nuova, tuttora enigmatica che richiama la figura di
Eva e quella di Sion, ma senza che sia possibile determinare di più.
Un elemento di determinazione ulteriore lo troviamo nel secondo stico
del versetto 4: «Non è ancora giunta la mia ora». Ma anche questo stico
richiede, per diventare pienamente significativo, alcune precisazioni importan-
ti. La prima riguarda la sua punteggiatura: si deve intendere in forma
interrogativa o in forma affermativa? La prima alternativa è la meno comune,
ma merita lo stesso una considerazione attenta: documentata nella tradizione
patristica (Taziano, Efrem, Gregorio Nisseno, Teodoro di Mopsuestia) è
ripresa da alcuni moderni (Boismard, Vanhoye, De La Potterie).' Le ragioni
filologiche, all'interno dell'uso linguistico di Giovanni e del NT elencate da
A. Vanhoye hanno il loro peso. Ma c'è una conseguenza che, ci sembra, fa
pesare la bilancia verso l'altra alternativa, anch'essa grammaticalmente solida:
l'ora di Gesù sarebbe già incominciata. L'espressione, infatti. diventerebbe
parallela a quella del primo stico, 4a, che abbiamo già esaminato: sarebbe una
domanda retorica (<<Non è ancora giunta la mia ora?>>) che, aspettando una
risposta positiva, equivale a un'affermazione. L'ora di Gesù, già arrivata,
sarebbe l'ora della sua manifestazione messianica, della manifestazione della
11
Cf. per una documentazione relativa anche ai nomi citati più sopra DE LA PonERII:::, De
matre Jesu, p. 62.
9
Cf. DE LA POlTERIE, De mutre Jesu, p. 47.

336
«sua gloria>> (cf. 2,11). Si avrebbe un significato pienamente sostenibile, se non
ci fosse il fatto letterario che !'<<ora di Gesù>>, espressa in varie forme come <<la
sua ora>> (Gv 7,30; 8,20; 13,1), o posta in bocca a Gesù (17,1: <<Padre, è giunta
l'ora>>), si riferisce puntualmente alla passione e alla risurrezione. Alla luce di
queste ricorrenze l'espressione I'<<Ora mia>>(~ wga !!Oll) in bocca a Gesù difficil-
mente può avere un altro significato. 10
Intesa in questa prospettiva, l'espressione «non è ancora giunta la mia
ora>> sposta più esplicitamente verso il futuro la pressione letteraria che,
presente nella formula interrogativa, si condensa poi nel termine <<donna>>.
Quando giungerà l'ora di Gesù si comprenderà quello che c'è di nuovo tra
Maria <<madre di Gesù>> proclamata «donna>> e Gesù stesso.
Intanto però c'è un fatto da notare. Anche se il contenuto della
denominazione ci risulta enigmatico e polivalente a questo punto, Maria è già
<<donna». Dal suo comportamento possiamo farci una prima idea di quello che
è, di quello che esprime questo nuovo titolo conferitole da Gesù.
Maria fa tramite tra Gesù e i servitori. La sua azione è tutta subordinata a
quello che Gesù vorrà fare: non lo precede. non fa la minima pressione, però,
di fatto, media: «Quello che lui potrebbe dirvi (o TL av Ì.ÉYfl U!!LV ltOlljoat€),
fatelo>> (2,5). Così. per mezzo di questa mediazione discreta, si attua il segno,
con tutta la sua portata cristologica, in cui Gesù manifesta la <<SUa gloria>>
(2,11). La funzione di Maria come <<donna>> si profila in questa linea: facilita il
contatto di Cristo con gli uomini, contribuisce alla loro presa di coscienza di
Cristo.

3. LA <<DONNA>> IN Gv 19,25-27
Anche questo passo di Giovanni, non meno del segno di Cana, è stato fatto
ripetutamente oggetto di studio e di ricerca. Vi ritroviamo le due espressioni
«madre di Gesù>> e «donna>> che abbiamo incontrato in Gv 2. In più alla maternità
di Maria verso Gesù si aggiunge un'altra maternità, quella verso il discepolo.
«Donna>> sta in mezzo alle due, come appare da una lettura del testo:
25 Stavano poi presso la croce di Gesù
la madre sua (~ !l~tl]Q autoù) ...
26 Gesù dunque avendo visto la madre
e il discepolo che stava là, quello che amava,
dice alla madre: DONNA ecco il tuo figlio.
27 Quindi dice al discepolo: «"Ecco la
tua madre" (~ !l~tl]Q oou).
E da quell'ora particolare il discepolo
l'accolse nel suo ambiente>>.

10
«The hour of Jesus rcfers to his dcath on thc cross and exaltation in glory ... It is
unthinkable that in this verse ~ wga has a diffcrent meaning, (BARREIT, The Gospel, p. 159).

337
Qual è il significato di <<donna» illuminato da questo suo contesto?
Per una risposta occorrono alcune puntualizzazioni. C'è da notare- è un
fatto fondamentale, che dà il tono a tutto il brano - l'appartenenza di questo
quadro alla grande scena del Golgota, secondo la costruzione letteraria di
Giovanni. Sullo sfondo di Gesù crocifisso (cf. 19, 18), si mette in evidenza,
prima la regalità tipica di Cristo (cf. 19,19-22), poi, probabilmente, l'unità della
chiesa simboleggiata dalla tunica inconsutile (cf. 19,23-24), poi abbiamo il
nostro brano. In seguito troviamo la morte di Gesù (cf. 19,28-32) e l'apertura
del costato (cf. 19,31-37).
L'alto livello teologico, espresso con un impegno letterario notevole, di
tutta la scena e dei suoi singoli quadri suggerisce di interpretare in questa
prospettiva anche il nostro brano che, altrimenti, si risolverebbe, rispetto al
grande contesto in cui è inserito, in un sorprendente corpo estraneo. Ciò si
avrebbe nell'interpretazione di un puro gesto umanitario di pietà filiale da
parte di Gesù o in quella che vede un argomento per la verginità di Maria nel
fatto che Gesù affidi la madre a Giovanni. Ciò non sarebbe avvenuto qualora
Maria avesse avuto altri figli."
Avvicinandoci di più all'esegesi del brano, notiamo un altro fatto
importante: tutto il contesto in cui si inserisce <<donna>> è quanto mai esplicito
dato il suo genere letterario narrativo. Tutto è affermazione piana e non ci
sono domande retoriche. C'è allora da aspettarsi una qualche chiarificazione
anche rispetto al brano dialogico che abbiamo esaminato.
Un esame diretto non delude. Si ha, chiaramente, un contesto di
rivelazione: ce lo dice lo schema letterario usato anche altrove da Giovanni -
come ha rilevato l. De La Potterie" - secondo il quale la particella <<eCCO>>,
preceduta da un verbo di vedere, indica una qualità nascosta che apparirà in
futuro, ma che ora viene rivelata autorevolmente. Qui Gesù, con un unico
sguardo, abbraccia <da madre e il discepolo ... che egli amava>> (19,26), simbolo
e figura di tutti coloro che accettando l'amore di Gesù diventeranno suoi
discepoli. All'unico verbo di vedere (tòwv, <<vedendo>>, <<avendo visto>>) segue
un duplice <<ecco>> (iòE): con questo sdoppiamento lo schema letterario di
rivelazione appare più articolato. C'è una rivelazione che riguarda la madre di
Gesù nel suo rapporto col discepolo: <<Ecco ('lùE) tuo figlio>> e c'è anche una
rivelazione che riguarda il discepolo in rapporto con la madre di Gesù: <<Ecco
(iOE) tua madre>> (19.27). La ripetizione non è certo tautologica o ridondante,
ciò che contraddirebbe allo stile di Giovanni specialmente in questo racconto
solenne. Alla madre di Gesù viene rivelato quello che è il discepolo per lei con

" Cf. DE LA PorrERIE, De matre Jesu, p. 68.


12
Vengono indicari i segucnli brani: . .
Gv 1,19: «Vide (Giovanni Battista) Gesù che veniva e dice "Ecco" l'agnello d1 Dio».
Gv 1.36: ((Guardando Gesù camminare. dice: ··Ecco l'agnello di Dio'\~.
Gv 1.47: «Gesù vide Natanaele che veniva verso di lui e dice: "Ecco un vero Israelita"• (DE LA
PorrEKIE, De matre Jesu, p. 75).

338
delle modalità che appariranno in futuro: <<un figlio»; al discepolo viene
parimenti rivelato quello che la madre di Gesù è per lui: <<Una madre>>, anche
qui con delle modalità che appariranno nel futuro.
Viene subito da chiedersi quali saranno queste modalità perché da esse si
potrà comprendere il senso di questa realtà nuova. pertinente reciprocamente
alla madre di Gesù e al discepolo. Il testo non lo precisa, ma dà altri elementi
da approfondire per completare il quadro.
La madre di Gesù è chiamata di nuovo <<donna», con la stessa rilevanza
letteraria notata più sopra. Anche qui, come sopra, «donna» viene dopo
<<madre di Gesù», ma il suo contenuto non rimane vago: collegato com'è
letterariamente con la rivelazione della maternità attuata (<<Donna, ecco tuo
figlio»), suggerisce anche un collegamento di contenuto. La nuova maternità si
inscrive nella qualifica di <<donna». Ma qual è il senso di questa maternità?
È ovvio che la maternità della madre di Gesù nei riguardi del discepolo è
di ordine morale: il discepolo fisicamente è già nato, come troviamo nel
discorso di Nicodemo (cf. Gv 3,4). Ma. illuminando il nostro contesto proprio
con quello di Nicodemo, l'uomo già nato rinasce di nuovo e dall'alto tramite
l'acqua e lo Spirito (cf. Gv 3,5). Si forma così in lui una nuova vita, determinata
dalla fede in Gesù, alimentata dallo Spirito che Giovanni denomina <<vita
eterna» (Gv 3,15.16.36; 4,14.36; 6,47, ecc.) ed è la vita stessa di Gesù.
È riguardo a questa vita che Maria-donna esercita una funzione di maternità.
Non è immaginabile una terza ipotesi, un terzo tipo di vita rispetto alla quale
Maria possa essere madre. Né si può ridurre- sarebbe svuotarla di significato
- la sua maternità solo a una premura. a una tenerezza, priva di contenuto.
Maria, madre di Gesù. prolunga a un livello morale questa sua funzione: è
madre della vita di Cristo nel discepolo che Gesù ama e di tutti coloro che, in
seguito, saranno come lui.
Notiamo un altro particolare, sempre a proposito della maternità morale
di Maria: il discepolo che Gesù ama, di per sé è già nato anche nella prospettiva
della vita nuova. La vita di Gesù già si trova in lui. Il compito di Maria madre
non sarà quello di dare il primo germe di vita, ma favorirne lo sviluppo e la
crescita. Paolo si attribuisce una funzione analoga, con una espressione che
può illuminare il nostro testo. Scrivendo ai galati, già cristiani, ma in fase di
sviluppo per quanto concerne la loro vita eristica, Paolo si esprime in questi
termini: <<Figlioli miei, che io partorisco di nuovo, finché Cristo non prenda
forma in voi (~og<pw{}fJ)» (Gal 4,19). Il di più di vita di Cristo che Paolo vuole
comunicare ai galati è espresso tramite il simbolo di una maternità sofferta.
Riassumendo: Maria vede la sua prerogativa di <<madre di Gesù»
applicata ai discepoli di Gesù. È come una maternità al quadrato. Il termine
«donna» si riferisce a questa maternità. Ricaviamo questa valenza semantica di
<<donna» dall'analisi che abbiamo fatta, ma l'insistenza caratteristica sul
termine non è ancora del tutto chiara. Per indicare questa maternità il termine
«donna» non era necessario: bastava semplicemente ripetere quello di madre
o, caso mai, introdurre il nome di Eva.

339
Nonostante l'ampia schiarita che, rispetto alla prima ricorrenza di yuvm
in Gv 2.3, troviamo in Gv 19,25-27- il testo appunto che stiamo analizzando e
al quale la prima ricorrenza rimandava - , rimane ancora una certa dose di
enigmaticità. È vero che la maternità è una delle caratteristiche fondamentali
della yuvi] nell'ottica sia dell'Antico che del Nuovo Testamento. ma perché
rapportare una maternità già espressa con tutta chiarezza - <<la madre di lui>>
-<<la madre tua>>- proprio al termine <<donna>>, ovviamente più generico di
<<madre>> rispetto alla funzione di maternità? Il testo continua a far pressione:
c'è un senso ulteriore da scoprire e ancora latente nel termine <<donna>>.
Una spiegazione è stata ravvisata in un contatto tra il nostro testo e Gn
3,20: <<Adamo chiamò il nome della sua donna Eva poiché essa fu madre di
tutti i viventi>>. È possibile un rapporto evocativo tra il testo di Giovanni e
quello della Genesi: la maternità di Maria richiamava Eva, la madre per
eccellenza. Ma anche in questo caso il fatto che il termine <<donna>> si trovi nella
Genesi in forma grammaticalmente subordinata (<<il nome della sua donna>>) e
con il significato preciso di moglie di Adamo. non spiega perché esso emerga
nel testo di Giovanni.
Un altro riferimento all'A T appare più aderente. Maria <<donna>> e <<madre>>
sarebbe da mettersi in rapporto con Sion, la quale, vista in prospettiva
escatologica, coincide praticamente con la chiesa; Maria <<donna>> si identifiche-
rebbe, allora, addirittura con la chiesa: sarebbe, Maria, la nuova Sion spesso
presentata <<Sotto il simbolo di una donna e precisamente in relazione con la sua
maternità escatologica>>." Si tratta di una prospettiva interessante. ma c'è una
difficoltà: i testi normalmente citati- Is 43,5-6; 49,18; 56,6-8; 60,4; Ger 31,3-14;
Bar 4.36-37; 5,5 -parlano senz'altro di una maternità attribuita al popolo, ma
non emerge in nessuno di essi l'appellativo <<donna>> dato al popolo stesso.
Dobbiamo riconoscere che ci troviamo di fronte a un vuoto. Accettando,
con la maggioranza degli studiosi, la corrispondenza come contenuto tra <<Maria>>
e la Sion escatologica, la chiesa. rimane inspiegato come questa corrispondenza
sia stata espressa, e con originalità, proprio tramite il termine <<donna>>.
Viene ancora da chiedere come l'autore del quarto Vangelo sia giunto a
identificare Maria-donna proprio con la chiesa. Troviamo una risposta proprio
nell'ambito del circolo giovanneo e precisamente in Ap 12: la <<donna»
protagonista del capitolo è identificata, secondo la stragrande maggioranza
degli studiosi, proprio con la chiesa. A livello di Apocalisse 12 la chiesa è,
semplicemente e scontatamente, denominata yuvi], donna. Supposto quel
rapporto di continuità tra il quarto Vangelo e l'Apocalisse che- pur in forme
e proporzioni diverse - viene riconosciuto dai sostenitori della scuola
giovannea, si può illuminare, a partire da Apocalisse 12, il nostro contesto di
luce riflessa: se la <<donna>> è la chiesa, Maria <<donna>> tende a coincidere
davvero con la chiesa. Il vuoto di documentazione di cui sopra appare colmato.

13
Cf. DE LA POTIERIE. De matre Jesu, p. 77.

340
Tutto questo trova una conferma nella presenza di Maria proprio nell'am-
bito della chiesa giovannea che il testo che stiamo esaminando sembra insinuare.
Nelle parole che l'evangelista attribuisce a Gesù c'è anche- lo abbiamo
visto - una rivelazione che riguarda il «discepolo che Gesù amava» e lo
impegna di persona. All'affermazione della maternità di Maria rapportata alla
chiesa («donna, ecco tuo figlio») corrisponde l'affermazione di una filiazione
riguardante il discepolo e riferita a Maria («Ecco tua madre»). Come reagisce il
discepolo? Il testo sottolinea l'importanza di quel momento, ma non si esprime
in termini puramente cronologici. Non dice «da allora» (sarebbe stato à:rrò t6TE
oppure !J.EtÙ taùta) ma «a partire da quell'ora particolare» ( àrr' ixcivl)c; tiiç
wgaç). È l'ora di Gesù nel senso forte e specifico del quarto Vangelo,
designante la morte e la risurrezione.
A partire perciò dall'ora di Gesù e in dipendenza da essa, il discepolo,
compresa la rivelazione, accoglierà Maria come una madre che favorisca in lui e in
tutti i suoi condiscepoli- nella sua chiesa -la formazione ulteriore, la crescita di
Cristo. L'espressione usata fì,apEV ... aùnìv Eiç tà Una è stata interpretata nei
modi più diversi: dall'accoglienza materiale in casa sua, a un'accoglienza «tra i
suoi beni>> in senso spirituale, fino a un'accoglienza, fatta dal di dentro in termini
di fede; l. De La Potterie traduce: <<Il discepolo l'accolse nella sua intimità>>."
Questo tipo di accoglienza va senz'altro affermato: è la risposta positiva alla
rivelazione di Gesù. Dal <<discepolo che Gesù amava>> non ci si può attendere una
reazione diversa. Ma era necessario sottolinearlo? Anche Maria accetta senza
dubbio la rivelazione di Gesù, crede in quello che Gesù le dice. ma questa sua
reazione è data per scontata. Si può pensare lo stesso per quanto riguarda la
reazione corrispondente, <<reciproca>>, del discepolo.
Allora l'espressione che viene aggiunta ci sposta a un dopo nel tempo
rispetto al momento della rivelazione, e vuoi dirci qualcosa di più. In effetti ELç tà
Una si applica con un po' di sforw a una dimensione interiore quando questa non
sia suggerita dal contesto. Come altre ricorrenze di Giovanni ci mostrano
chiaramente, 1' l'espressione può significare il proprio ambiente umano. la propria
gente. Ed è il senso che. con tutta probabilità, viene espresso anche qui. Al tempo
in cui venne redatto il quarto Vangelo esisteva un ambiente umano tipico di
Giovanni e della scuola giovannea. È in questo ambiente, in questa chiesa, che il
discepolo accoglie Maria. Con ciò viene ancora di più evidenziata la dimensione
ecclesiale e concreta della sua maternità.
Tutto questo sottolinea l'importanza attribuita all'ora di Gesù. Era stato
un punto di arrivo rispetto al segno di Cana per capire l'identità di Maria e il
suo rapporto con Gesù.

14
Cf. l. Dr- LA PoTIF.RTE, La parole de léslL'i, «Voici ta mère'' et /'accueil du Disciple (Jn
19,27b), in Mar (1~74) .1o. p. 1-39 L'interpretazione è stata fortemente contestata da F. Nr.tRYNcK.
dç rà itua: Jn 19,27 (et/6.32). in EThL (1979) 55. pp. 357-365; segue una risposta di l. Dr LA
Po·rrERIE, «Età partir de ceue heure, le Disàple tuccul'illit dans son imimitén (ln /9,27b), in Mar
(1980) 42, pp. 84-125.
'-' Cf. Gv 1,11; 13.1; 16.32.

341
A questo punto infatti la domanda di Gesù: «Che è a me e a te, donna>>
(Gv 2,4) non è più retorica e ha una risposta precisa. Tra Gesù e Maria c'è un
rapporto di maternità che si prolunga nei discepoli di Gesù; tale maternità,
inoltre, fa sì che Maria sia <<donna»: che si identifichi con la comunità
escatologica, la quale ha, a sua volta. come vedremo. un suo tipo di fecondità.
Diventa adesso un punto di partenza per la risonanza ecclesiale della figura di
Maria. Quello che ora essa è, lo pratica e realizza nell'ambito della chiesa di
Giovanni, dove essa è accolta nella sua funzione di maternità.
Da quello che stiamo vedendo deriva un'esplicitazione importante: il
termine <<donna», trait-d'-union tra Maria e la chiesa lo è anche tra la chiesa e
Maria. Se Maria è rapportata alla chiesa, la chiesa dovrà essere corrisponden-
temente rapportata a Maria, altrimenti tutto il discorso girerebbe a vuoto.
Maria è rapportata alla chiesa. come abbiamo visto, come <<madre di
Gesù>> incaricata di prolungare questa sua funzione nell'ambito della chiesa nel
senso indicato. La chiesa sarà rapportata a Maria anzitutto nell'impegno di
accogliere la sua funzione di maternità. Ma la designazione sia della chiesa sia
di Maria con lo stesso termine <<donna>> comporta una certa identificazione. da
scoprire nell'ambito semantico del termine stesso. La fecondità che si esplica
nella maternità ecclesiale nei riguardi di Gesù propria di Maria spiega
pienamente, a questo punto, la designazione di <<donna>>. Lo stesso titolo
attribuito alla chiesa esprime la sua fecondità come nuova Sion, ma dovrà
essere compreso nell'ottica della fecondità di Maria. Due fecondità diverse
renderebbero strana e ambigua l'attribuzione dello stesso termine a Maria e
alla chiesa. Ne deriva una conseguenza: anche la fecondità della chiesa
<<donna>> dovrà riguardare un'espressione, una crescita dci tratti di Cristo nella
storia, come quella di Maria.
È quanto troviamo in Apocalisse 12, dove il termine yuvl] è stato
attribuito alla chiesa forse proprio sotto l'influsso della presenza ecclesiale di
Maria. Ci siamo già occupati dell'esegesi di 12,1-6." Riprendiamo sintetica-
mente i tratti essenziali già analizzati nell'intento di documentare ulteriormen-
te e di chiarire la reciprocità tra Maria e la chiesa.

4. LA <<DONNA>> IN AP 12,1-6

Il nostro primo intento, tenendo sempre debitamente conto degli studi già
fatti, è quello di verificare se c'è un ponte tra la <<donna>> di Gv 2,3; 19,26 e la
<<donna» di tutto il capitolo 12 dell'Apocalisse.
Guardando dall'esterno e come in prospettiva, più di un elemento
suggerisce una corrispondenza: la <<donna>> di Ap 12, non meno di quella del
quarto Vangelo è collegata con Cristo, fino ad esprimerlo in forma di parto.
Non è detta <<madre di Gesù>>, ma di fatto ne assolve la funzione.

" Cf. Parte seconda, c. VII, pp. 227-252.

342
Un'altra corrispondenza aderente sta nel fatto che sia nel quarto Vangelo
che nell'Apocalisse si introduce il termine <<donna>> senza nessuna spiegazione.
Con ciò sembra che si dia per scontata, nell'ambito del circolo giovanneo. la
comprensione spontanea del significato del termine.
Un altro punto di contatto rilevante sta nel fatto che si tratta, in tutti c tre
i casi, di contesto di rivelazione. Più contemplativa nel quarto Vangelo, tale
rivelazione si fa coinvolgente nell'Apocalisse con l'esigenza di decodificarne i
rispettivi <<segni>>.
Quando, però. seguendo le indicazioni di questi punti di contatto, ci
addentriamo in un esame comparativo ravvicinato. sorgono dei problemi. Gli
studiosi che vedono una continuità tra il quarto Vangelo e l'Apocalisse,
finiscono per identificare la <<donna>> di Ap 12 con Maria. madre di Gesù. Fa
eccezione A. Feuillet che ha approfondito particolarmente questo aspetto."
Riferendosi a Gv 19,24-25. Feuillet afferma che Gesù in Maria vide Sion,
attribuendole così la maternità propria di Sion stessa, secondo i profeti.
Passando ad Ap 12 l'autore conserva questa identificazione: la donna è Maria-
chiesa, che, sul calvario, metaforicamente dà alla luce il Messia.
Ma è difficile accettare che Gesù abbia visto in Maria di Gv 19,24-25 solo
la Sion escatologica e che quindi abbia attribuito a Maria solo la maternità
propria di Sion, che peraltro, come abbiamo notato più sopra, rimane
abbastanza indeterminata.
Maria ha una maternità in proprio a livello sia fisico che morale nei
riguardi di Gesù e proprio come tale è messa in contatto con la chiesa. di cui,
una volta accolta in essa. determina e specifica - come una presenza
prolungata - la maternità. Rileggiamo il testo:
<<E un segno grande fu visto nel cielo:
una donna
avvolta di sole
e la luna sotto i suoi piedi
e sulla sua testa una corona di dodici stelle>>.
Si tratta di un messaggio che viene dalla trascendenza, ma che esige una
mediazione interpretativa, una vera e propria decodificazione.
Questo sforzo interpretativo, di grande importanza come ci dice la
qualifica <<grande>• attribuita al segno, si concentra sulla <<donna>>: essa, come
donna, ne è il primo oggetto.
Lo sforzo è accentuato dalla <<Struttura discontinua>> di questo materiale
simbolico.
Decodificando tratto per tratto, la <<donna>> è il primo elemento che si
impone all'attenzione, anche perché è il soggetto portante di tutto il quadro

17
Cf. A. FEUILLET, Le Messie ti sa mère d'après le chapitre /2 de /'A.poca/ypse, in RB (1959)
66, pp. 55·86.

343
simbolico. A un orecchio attento a cogliere i riferimenti all' AT come quello del
gruppo di ascolto, soggetto interpretante dell'Apocalisse, viene subito in
mente il popolo dell'AT, con il rapporto sponsale tra il popolo e Dio, con le
vicende che tale rapporto comporta.
La donna-popolo viene ulteriormente determinata: è avvolta di sole. Con
ciò si esprime una cura e premura tutta particolare di Dio nei riguardi della
donna, alla quale Dio dona, possiamo dire. la sua creatura più bella. il sole.
In questa situazione positiva, il popolo di Dio domina il tempo, come
esprime il simbolo della luna, la misura appunto del tempo, sotto i suoi piedi.
Questa perennità impedisce di circoscrivere il popolo di Dio all'A T: la donna
rappresenta, in continuità con l'antico, il nuovo popolo di Dio. Ed è su questo
aspetto che si concentra l'attenzione dell'autore.
Anche se il popolo di Dio deli'AT, l'antica Sion, è all'origine della sua
figura. ora, il presente dell'autore che scrive e del gruppo ecclesiale che ascolta e
interpreta, l'antica Sion è diventata la chiesa di Giovanni e rimarrà tale sino alla
fine dci tempi. Infatti ha sulla testa una corona di dodici stelle. Il simbolismo del
numero dodici si riferisce nell'Apocalisse alle <<dodici tribù>> e ai <<dodici apostoli
dell'agnello>>." Talvolta, ma sempre nella prospettiva unitaria di un unico grande
popolo di Dio, costituito prima dai giudei poi omogeneamente dai cristiani, i due
aspetti sono sommati: è il caso dei ventiquattro anziani che indicano personaggi,
sia deU' AT che del NT, i quali hanno già raggiunto la loro meta escatologica. Nel
caso nostro le dodici stelle indicano soprattutto i dodici apostoli dell'agnello che,
come tali, illuminano. tramite i loro insegnamenti, di trascendenza celeste- sono
<<stelle>> - la vita della chiesa.
E la donna-chiesa sta per diventare madre:
<<Ed è incinta
e urla
partorendo e torturata nel dare alla luce>> (12,2).
Ogni dettaglio di questo secondo quadro simbolico che ha sempre come
soggetto la donna-chiesa, merita un'attenzione particolare. La donna-chiesa è
incinta - letteralmente <<avente nel ventre>> - . Èv yamgl EXOUcra. Ha dentro
di sé un contenuto da esprimere, da comunicare. L'espressione, la comunica-
zione sarà costituita dal parto, ma si tratta di un parto particolarmente difficile:
la donna <<urla>> ed è <<torturata nel dare alla luce>>. Nonostante le doglie, acute,
vuoi partorire.
Viene da chiedersi qual è questo <<contenuto>> misterioso che la donna-
chiesa ha dentro di sé e il perché di tanta insistenza sullo spasimo lancinante del
parto. All'immagine, elaborata accuratamente in questi termini, deve corri-
spondere una realtà adeguata.

"Troviamo questo abbinamento proprio in Ap 21.12.

344
Ce la indica la presentazione del parto:
<< ... e il drago stette dinanzi alla donna
che stava per partorire
per potere, una volta che avesse partorito,
divorare il prodotto del parto di lei.
E partorì uno (che è) figlio, un essere maschile,
il quale pascerà tutte le genti con verga di ferro:
e fu rapito il prodotto del parto di lei
verso Dio e verso il trono di lui>> (Ap 12,4-5).
Esistevano anche nel quarto Vangelo i nemici di Gesù che si facevano
presenti specialmente nell'<<ora>>. Ma nell'Apocalisse acquistano una dimensio-
ne di organizzazione storica a radice demoniaca. È il <<sistema terrestre>> di una
vita tutta costruita sulla terra e chiusa alla trascendenza che tende a eliminare
la presenza di Dio e di Cristo. Ed è in antitesi con questo sistema. superandolo
e distruggendolo, che il <<regno del mondo>> diverrà <<del Signore nostro c del
suo Cristo>> (Ap 11,15).
Non si tratterà di un regno anonimo: il regno realizzato esprimerà i valori
di Cristo stesso a livello personale, il suo amore, la sua vitalità.
Per esprimerci con un'immagine della lettera agli Efcsini si avrà, a regno
ultimato, una realizzazione piena di Cristo, morto, risorto e asceso al cielo.
Raggiungerà allora la sua piena statura (cf. Ef 4,10-13b). Attuando progressi-
vamente il regno nella storia, il Cristo risorto e asceso al cielo tende a crescervi
coi suoi valori personali, fino al livello della sua pienezza.
Ma intanto Cristo, coi suoi valori, è già presente e vivo nella sua chiesa.
È questo il <<contenuto>> che la donna-chiesa incinta possiede e che deve
esprimere nella concretezza della sua storia, facendovi crescere e sviluppare
quei valori di Cristo di cui è portatrice. Il passaggio dal Cristo posseduto a
livello personale dai discepoli di Gesù che costituiscono la donna-chiesa alla
crescita di Cristo nella storia è ciò che esprime la metafora del parto, usuale
nell'Antico Testamento e riferita anche al popolo che deve partorire una
salvezza al paese (cf. ls 26,17-18). Visto al suo punto di arrivo escatologico, il
Cristo che così nasce dalla donna-chiesa è uno che è <<Figlio>> (ul6v), che ha
forza (<<Un essere maschile>>), che supererà tutto il male pascendo <<le genti con
verga di ferro»; visto nell'immediatezza storica in cui viene espresso, è il
<<prodotto del partO>> (ux-vov) di lei. Tutto ciò che la chiesa riesce a realizzare
in termini di bene, tutto ciò che essa riesce a sopportare, tutto si riferisce al
Cristo morto e risorto che sta crescendo nella storia. si aggancia, si agglutina a
lui, divenendone, per così dire, parte viva. La donna-chiesa non esprime. cosi,
un Cristo precario, vulnerabile, raggiungibile dalla violenza del sistema
terrestre animata dal demoniaco. Il prodotto del parto di lei viene <<rapitO>>,
strappato via dalla portata del drago e. facendo parte del Cristo glorioso e
vincitore potenziale di tutti i nemici, viene come collocato <<presso Dio e il suo
trono>>: è la zona di Cristo-agnello (cf. Ap 5.6).

345
Ma il parto ideale della donna-chiesa avviene in un contesto drammatico:
anche se non raggiungerà il prodotto del parto, la pressione delle forze ostili si farà
sentire pesantemente su di lei. Dovrà combattere contro il sistema terrestre,
ne sarà emarginata, sarà anche perseguitata, fino alla prospettiva del martirio.
Come acquista la chiesa-donna tutte queste caratteristiche superlative? Una
risposta interessante ci viene proprio dalla figura della madre di Gesù <<donna» e
come tale tutta rapportata alla chiesa, anch'essa <<donna».
Una volta, cioè, che è stata proclamata <<donna>>-chiesa ed è stata accolta
come tale dalla chiesa di Giovanni, la madre di Gesù ispira alla chiesa
un'autocomprensione in profondità, sulla traccia, per così dire, di quella che è
Maria personalmente. Se Maria equivale alla chiesa, la chiesa equivale a Maria:
abbiamo il movimento inverso a quello rilevato nel quarto Vangelo, quando
notavamo che <<donna>> proietta Maria nella direzione della chiesa, ma si tratta
della stessa equazione di fondo.
Supponendo, come tutto lascia credere, che l'opera lucana fosse conosciuta
nella chiesa giovannea, possiamo allora dire che conoscendo Maria come <<piena
di grazia>> (Le l ,28) la chiesa, guardando a se stessa, si autocomprende <<come
rivestita di sole>>, ricolma della benevolenza di Dio. Pensando alla coscienza che
Maria ha di una sua perennità in seguito alla bontà usata da Dio nei suoi riguardi
(<<tutte le generazioni mi chiameranno beata>> Le l ,40), la chiesa comprende che è,
anch'essa, superiore al tempo e ha la luna, indice del tempo, sotto i suoi piedi.
Maria è stata a contatto diretto coi dodici apostoli (cf. At 1,14): anche la chiesa si
sente illuminata dalla loro dottrina (le <<dodici stelle>>). La presa di coscienza della
situazione particolare di dolore che ha accompagnato la maternità di Maria
(<<Costui è posto ... come segno contraddetto e una spada ti trafiggerà l'anima» Le
2,35) permette alla chiesa di capire e accettare con coraggio la sofferenza estrema
della sua maternità.
Ma è sopra tutto il tipo di maternità di Maria che si ritrova nella chiesa. Come
abbiamo visto in precedenza. Maria. oltre ad essere la madre fisica di Gesù, ha una
maternità di ordine morale nei riguardi dei nuovi discepoli di Gesù. Favorisce in
loro una maggiore presenza di Gesù, sotto vari aspetti, da quello della conoscenza
della sua gloria, a quello di una maggiore partecipazione alla sua vita. La sua
attività nell'ambito del segno di Cana, che abbiamo già indicato, è emblematica a
questo riguardo. La chiesa portatrice di Cristo impara da Maria che anch'essa può
dare alla luce Cristo contribuendo attivamente alla sua crescita e alla sua presenza
nella storia.

5. ALCUNE OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Se ora diamo uno sguardo al cammino che abbiamo percorso, l'ipotesi di


lavoro dalla quale siamo partiti ci appare confermata e approfondita. Esiste una
continuità in crescendo, una vera evoluzione tra <<madre di Gesù>> e la <<donna» nel
quarto Vangelo da una parte e quanto troviamo a proposito della <<donna>> nel
capitolo 12 dell'Apocalisse, dall'altra.

346
La <<madre di Gesù>> detta <<donna>> enigmaticamente già in Gv 2,4 fa pensare
alla chiesa, della quale Maria, Gesù e i discepoli insieme (cf. Gv 2,12)
rappresentano la prima realizzazione. Ma il termine «donna>>, venendo dopo la
domanda provocante di Gesù sul suo rapporto con Maria, ribadita con l'allusione
all'<<Ora>> di Gesù, esce fuori dal suo contesto immediato e punta in avanti, verso
l' «Ora)>.
Nel contesto dell'<<ora>> la qualifica di <<donna>> viene ripresa e se ne ha una
prima spiegazione. Mediando tra madre di Gesù e la maternità nei riguardi dei
discepoli, il termine riferisce Maria alla chiesa, che è già costituita dai discepoli di
Gesù. La madre di Gesù donna appare di fatto in funzione della chiesa.
Accolta nella chiesa di Giovanni, esercitandovi la sua funzione di maternità,
Maria spinge la chiesa che l'accoglie a rispecchiarsi in lei. Appare allora, sulla
linea della <<Sion>>, come un simbolo paradigmatico della chiesa stessa. In questo
senso si identifica idealmente con la chiesa.
Ma la sua denominazione di <<donna>> e <<madre di Gesù» appariranno in tutta
la loro portata nelrApocalisse. La chiesa, rispecchiandosi in Maria, scoprirà la
sua identità e la sua funzione di portatrice e generatrice di Cristo nella storia.
Allora la chiesa potrà denominarsi, semplicemente, <da donna>>.
Quest'ampia traiettoria teologico-biblica deve essere tenuta presente nel
suo insieme con tutto il dinamismo letterario che comporta, pena. altrimenti, il
rischio di interpretazioni isolate e riduttive. Se si prescinde dalla chiesa-donna
dell'Apocalisse, che genera Cristo nella storia fino al compimento escatologico,
gli appellativi <<madre di GesÙ>> e <<donna>> dati a Maria nel quarto Vangelo
rimangono elementari e si appiattiscono. Viceversa, se si prescinde dal
movimento in avanti che parte dal quarto Vangelo e sbocca nel capitolo 12
d eli' Apocalisse, la figura della <<donna>>-chiesa apparirà sorprendente ed
enigmatica, come ci mostrano le tante interpretazioni che, anche salvando il
significato ecclesiale di fondo, sono state proposte. Non si capisce adeguatamente
la donna-chiesa senza rapportarla a Maria.
Parimenti, se non si coglie nel quarto Vangelo, la tensione tra <<madre di
GesÙ>> e <<donna>>, si correrà il rischio, nell'interpretare il capitolo 12
dell'Apocalisse, di identificare la <<donna>> con Maria, svuotandone la dimensione
ecclesiale. Non si capisce la portata teologico-biblica di Maria, <<madre di Gesù>>,
se non la si vede insieme come <<donna>> rapportata, in quanto tale, alla chiesa.
Maria- in sintesi- è madre di Gesù nel senso più ampio del termine: è
madre fisica di Gesù, diventa madre morale favorendone la crescita nei discepoli.
Così è messa in contatto diretto con la chiesa-donna di cui costituisce il simbolo
ideale e nella quale potrà riconoscersi: la maternità della chiesa che porterà Cristo
negli spazi della storia prolunga la maternità di Maria e si salda con essa.

347
capitolo IV

La promozione del Regno


come responsabilità sacerdotale del cristiano
Ap 1,5; 5,10; 20,6

l. INTRODUZIONE: STATO DELLA QUESTIONE

Nel quadro della teologia biblica propria dell'Apocalisse il tema del


sacerdozio ha acquistato, in questi ultimi anni, un rilievo suo particolare. Il
testo stesso dell'Apocalisse lo suggerisce e quasi lo impone all'attenzione: vi
troviamo - e il fatto è unico in tutto il Nuovo Testamento - che per ben tre
volte i cristiani sono detti esplicitamente <<Sacerdoti>> (iEQELç) e ciò in contesti
particolarmente importanti c caratteristici: nel dialogo liturgico tra il <<lettore>>
e gli <<ascoltatori>> che inizia il gruppo settenario delle lettere alle chiese (1,6),
nella celebrazione dell'àQv[ov che si è appropriato del libro dei sette sigilli
(5,9) nella prima sezione della seconda parte del libro,' nella presentazione del
regno millenario di Cristo che l'autore ci fa, sempre nella seconda parte, nella
sezione conclusiva.
La designazione dei cristiani come <<sacerdoti>>, senza nessuna spiegazione
esplicita del termine, come se si trattasse di una dimensione teologica già nota,
suscita in realtà - ed è questo uno degli effetti dello stile evocativo
dell'Apocalisse - una serie di interrogativi.
Cosa intendeva dire - viene da chiedersi - l'autore parlando del
sacerdozio dei cristiani? Perché collega - e lo fa in tutti e tre i contesti - il
sacerdozio col regno? E, inoltre, c'è un rapporto tra il sacerdozio dei cristiani e
il sacerdozio di Cristo e in quale senso? Ci sono, oltre a questi tre testi espliciti,
altri testi dell'Apocalisse che si riferiscono al sacerdozio? La teologia biblica
dell'Apocalisse si è particolarmente impegnata in questi ultimi quindici anni a
dare una risposta specifica.
E. Schiissler Fiorenza' in una monografia, quanto mai ampia ed
esauriente, ha raccolto ed esaminato le tre ricorrenze di LEQEi:ç e tutto il
materiale relativo. Ha preso in considerazione la radice veterotestamcntaria
del termine LEQEÙç, le altre risonanze nell'ambito del Nuovo Testamento.

' Rimandiamo alla struttura letteraria del libro come proposta in V ANNI, La struttura.
2
ScuDssLER FIORENZA, Priester fUr Gott.

349
Ha poi analizzato i singoli testi, cercando di collocarli, mediante un'applicazio-
ne del metodo storico-critico, nella loro situazione vitale: questa sarebbe
costituita dalla comunità cristiana primitiva che si trova a vivere in un contesto
sociale di conflitto.
L'autrice giunge a questa conclusione: tutti i cristiani possiedono una
dignità sacerdotale e regale. Ma questa loro qualifica si trova. al momento
presente, come legata, ridotta allo stato di potenzialità: potranno svolgere il
loro sacerdozio e la loro regalità solo a livello escatologico.
Le reazioni a questa conclusione sorprendente non si fecero attendere.
Quasi tutte le recensioni dell'opera, che pure fu riconosciuta giustamente come
fondamentale per la raccolta del materiale, la documentazione e l'analisi,
ritennero inaccettabile questo slittamento a livello escatologico della qualifica
di sacerdoti.
Un contributo che si muove in una prospettiva completamente diversa è
stato presentato da A. Feuillet.' Data la fluidità del tema «sacerdozio>> nella
teologia attuale, Feuillet fa un tentativo per chiarificarlo in una prospettiva
teologica unitaria. La figura del <<servitore di JHWI·h del secondo Isaia, in
particolare ls 53, esprimerebbe la radice biblica del sacerdozio del Nuovo
Testamento. Si riferisce a Cristo che offre se stesso in sacrificio; si riferisce agli
apostoli, chiamati in modo speciale ad attualizzare il sacrificio di Cristo e a
continuarne la missione. offrendo, in questa prospettiva, la loro vita. Si
riferisce - l'Apocalisse insiste su questo aspetto e accenna a quello che
riguarda Cristo - a tutti i cristiani. Dotati di una prerogativa sacerdotale e
regale, i cristiani la eserciteranno nella stessa linea di Cristo, che regna
sacerdotalmente dalla croce: dovranno, quindi, offrire la loro vita, le loro
difficoltà, le loro persecuzioni e tribolazioni per liberare l'uomo dal peccato.
Si tratta di una capacità sacerdotale regale attuale e che, in contrasto
anche con la visione sociale e politica proposta da E. Schiissler Fiorenza in un
secondo momento come integrazione al suo libro sopracitato,' si realizza in una
dimensione puramente spirituale.
Un terzo contributo, notevole per la penetrazione dei testi e per la
chiarezza della sintesi a cui giunge, è stato offerto da A. Vanhoye.'
Esaminando il sacerdozio in tutto l'arco del NT, dedica un'attenzione
particolare anche all'analisi dei nostri tre testi. E questa è, in sintesi,
l'interpretazione teologico-biblica che ne propone: il sacerdozio è una qualifica
propria del cristiano, ma dipende dal sacerdozio di Cristo. I sobri accenni che

' A. Fwn.LET, Les Chr~tiens pr2tres et rois d'aprts I'Apocalypse. Contribution à Ntude de la
conc.ption chrétienne du sacerdoce, in RThom (1975) 75, pp. 40-66.
' E. ScHOSSLER FlORE"'ZA, •Redemplion as Liberation, Ap /,5 and 5,9f. .. •, in CBO (1974)
36 pp. 220-232.
5
A. VANHOYE, Pretres anciens, pretre nouveau selon le Nouveau Testament, Paris 1980.
pp. 307-340.

350
con i tre brani in cui ricorre lEQEic; si fanno al sacrificio di Cristo, che ha <<sciolto
i peccati nel suo sangue>>, che è stato ucciso, ecc., ce lo dicono esplicitamente.
Derivante dal sacerdozio di Cristo, il sacerdozio dei cristiani riguarda tutti
i fedeli e li raggiunge nel loro presente. La morte redentrice di Cristo produce
una nuova vita di relazione con Dio. Ma, per quanto riguarda le modalità
concrete di esercizio, l'Apocalisse dà solo alcune indicazioni per altro
particolarmente interessanti. Senza suggerire niente che vada nel senso di una
mediazione vera e propria, l'autore dell'Apocalisse si interessa della vita dei
cristiani e del culto di adorazione presente sulla terra. Ma c'è anche un aspetto
ultraterrcno: i martiri dopo la morte vivono una nuova attuazione del loro
sacerdozio, perché la loro morte sbocca subito in una prima risurrezione.
Finalmente il sacerdozio. per il collegamento costante che mostra col
tema teologico del regno. è visto in un contesto di positività gloriosa, quasi di
trionfo. È uno degli effetti più importanti della redenzione.
Queste osservazioni segnano, allo stato attuale degli studi, il punto di
arrivo della ricerca teologico-biblica sul sacerdozio nell'Apocalisse, ma non
pretendono di essere esaustive. Rimangono infatti dei punti da chiarire, tutti di
non lieve importanza. Viene ancora da chiedersi: dato che il sacerdozio fa
pensare spontaneamente a una qualche mediazione. com'è che l'autore
dell'Apocalisse da una parte usa il termine <<sacerdoti» con estrema disinvoltu-
ra, e, dall'altra, non si occupa di esplicitare la mediazione che la terminologia
suggerirebbe?
È interessante la continuità ultra-terrena del sacerdozio che si attua su
questa terra. Ma come configurare globalmente un sacerdozio che si svolge
sulla terra e, rimanendo tale, continua anche nella trascendenza e si esercita
sempre nello stadio attuale della storia della salvezza?
La pienezza di vita che viene suggerita dalla <<prima risurrezione» deriva
dall'azione redentrice di Cristo e qualifica i martiri sotto l'aspetto personale: è
una vita che essi possiedono. Ma la qualifica di <<sacerdoti•• non indica
soprattutto una funzione, un'attività da svolgere, e solo come implicazione una
qualifica personale adeguata e proporzionata alla funzione stessa?
Se non riusciamo a precisare di più questa funzione. rimaniamo inevita-
bilmente nel vago e resta, nel campo della teologia hiblica sul sacerdozio
nell'Apocalisse, un vuoto imbarazzante. Infine: l'abbinamento al <<regno» che
è - come è stato giustamente rilevato - una costante nelle ricorrenze di
<<Sacerdoti» nell'Apocalisse ha solo la funzione di sottolineare la dignità
sacerdotale, quando il concetto di regno sembra avere nell'Apocalisse una
portata teologica notevole e specifica? Proprio quest'ultima domanda indica
una pista di ricerca. Ci chiediamo, cioè, quale sia la fisionomia tipica, quali le
implicazioni teologico-bibliche del concetto di <<regno» abbinato costantemen-
te, nell'Apocalisse, al sacerdozio. Poi esamineremo i tre testi dove ricorre il
termine LEQEiç, illuminandoli con quanto avremo acquisito a proposito del
regno. Saremo, infine, in grado di prospettare in sintesi il quadro del
sacerdozio nell'Apocalisse.

351
2. IL GRUPPO TERMINOLOGJCO ~UOLÌ..E1Jç • ~UOLÌ..eta • ~aOLÌ..E1JW

Percorrendo il filo delle 21 ricorrenze di ~aOLÌ..E1Jç, «re>>, SI tmpongono


all'attenzione alcuni gruppi di personaggi. ai quali il termine viene attribuito.
Innanzitutto Dio. In un contesto solenne di celebrazione della vittoria sul
male e dell"instaurazione della nuova creazione, Dio è chiamato <<re delle
genti>> (~amì..Eùç twv t-frvwv, 15,3).
Anche Cristo è chiamato solennemente e ripetutamente re, in contrappo-
sizione ai cosiddetti «re della terra>> (1,5; 6,15; 16,14; 17,2.18; 18.3.9.21.24;
19,9). Quest'ultima espressione designa dei centri di potere di segno negativo.
Entrano in gioco nel contrasto tra bene e male. Il contrasto si conclude, in
seguito all'intervento di Cristo, prima con la distruzione dei «re>>, poi con una
loro ricomparsa inaspettata nel quadro dinamico della vita escatologica della
Gerusalemme nuova.'' Denominato fin dall'inizio «colui che domina i re della
terra>> (1,5), Cristo «re dei re>> (17,14; 19,16) li sconfigge irreversibilmente,
determinando la loro trasformazione.
Il termine ~amì..El!ç ricorre anche per designare dei personaggi che
sembrano storici. anche se non è facile attribuire loro un nome: è il caso degli
imperatori romani (cf. 17,9.12). 7 Una volta r3aotÌ..Euç ha anche il significato più
generico di capo di popolo (cf. 10,11). È detto anche del capo demoniaco che
guida le cavallette, una volta che è stato precisato il loro aggancio con la realtà
della storia umana (9, 11).
In sintesi: il titolo «re>>, al di là dei casi di pura denominazione, appare
nell'Apocalisse come essenzialmente relativo: indica una capacità di dominio
ostacolata normalmente da un antagonista. «Re>> evoca il contesto polemico di
uno scontro tra forze positive e negative. Dio è «re» nel senso che domina, con la
sua onnipotenza applicata da Cristo alla concretezza della storia. tutte le forze del
male. Cristo è «re dei re>> proprio perché porta a contatto con la storia la sua
capacità di vincere il male che vi si organizza. Il demoniaco e i «re della terra>>
sono, appunto, queste forze attive. organizzate e ostili a Cristo e ai cristiani.
Da notare che il termine ~aoLÌ..Euç nell'Apocalisse non è mai riferito ai
cristiani.
Accanto a ~nmì..Euç, troviamo 9 ricorrenze di ~amì..da «regno>>. A diffe-
renza di «re>>, «regno>> è attribuito esplicitamente proprio ai cristiani: Cristo li
ha fatti «regno>> (l ,6), costituendoli tali nel suo sangue (5,9); Giovanni si dice
compartecipe del «regno>> insieme ai suoi fratelli (1,9).

' La funzione positiva dei •re della terra• in Ap 21,24 fa problema. Il contrasto con le altre
ricorrenze, normalmente interpretate in senso negativo, è supcrabilc tenendo presente il salto di
qualità in positivo che la Gerusalemme nuova comporta rispetto alla situazione attuale. Cf. V.
ELI.ER, How The Kings of the Earth Land in the New Jerusalem: the •Worfd, in the Book of
Revelation, in Katallagete l Be Rcconciled (1975) 5, pp. 21-27.
7
Per la prohlcmatica riguardante l'identificazione degli imperatori romani di Ap 17 cf.
PRIGENT, L'Apoca/ypse, pp. 252-255.

352
Il <<regno» è attribuito anche a Dio e a Cristo (11 ,5), ma non appartiene a tutti
e due nello stesso modo: messo come è (12,10) in parallelismo sinonimico con la
<<salvezza», la <<potenza», <<il potere>> (Èçoua[a) di Cristo, ne sottolinea l'aspetto
dinamico: il regno di Dio è il regno che Cristo sta ora realizzando attivamente.
<<Regno>> è attribuito anche alle forze di segno negativo. Quando l'angelo
versa la quinta coppa sul trono del mostro, il <<regno» di questo viene
ottenebrato (16,10).
C'è infine, «regno>> in senso politico: un <<regno>> riferito agli imperatori
(17.12.18.19): messo com'è in parallelismo con <<potere>> (tçoua[a: 17,12.13)
acquista il senso preciso di potenza. capacità di regnare.
Si delinea. così, un quadro di insieme: <<regno» non indica una situazione
di cui godere, ma ha anzitutto un valore dinamico. È il potere esercitato. Ed è
presente, anche qui, un antagonista da superare: il potere antitetico del
mostro, la spinta in senso contrario al divenire del regno di Dio, di Cristo.
Qual è il posto dei cristiani, detti anch'essi ripetutamente <<regno>>, in
questo quadro di insieme? Avremo modo di precisarlo nell'analisi esegetica
che faremo di A p l ,6: possiamo intanto affermare che i cristiani, fatti <<regno>>
da Cristo partecipano insieme al regno in divenire, in un contesto di pressioni e
di forze di segno negativo da superare.'
Ci sono, infine, le 7 ricorrenze di PaatÌ.E1JHV <<regnare>>. Ne sono i
soggetti Dio, Cristo e i cristiani.
Nella celebrazione dossologica che introduce la sezione del <<triplice segno>>
(11,15-18). Dio e Cristo vengono celebrati perché, con l'attuarsi del loro regno
nel senso che abbiamo indicato. sia l'uno che l'altro regneranno <<per i secoli dei
secoli>> (11,15). Rivolgendosi poi più direttamente a Dio, la dossologia prosegue:
<<Hai preso la tua potenza, quella grande e regnasti», superando l'antagonismo
dell'ira delle genti (Il, 18). Lo stesso si afferma, sempre a proposito di Dio, nella
grande dossologia della sezione conclusiva (19,6). Ma «regnare» è detto anche e
con insistenza rilevante dei cristiani: essi «regnano sulla terra» (5, IO).
I cristiani martiri sono associati a Cristo: <<Vissero e regneranno con Cristo
per mille anni>> (20.5). Partecipi della vitalità di Cristo attraverso la prima risurre-
zione, essi sono al di sopra dell'insidia della condanna escatologica rappresentata
dalla <<morte seconda» (20,6). Il significato probabile di <<mille anni>> come una
qualifica positiva del tempo della storia della salvezza costituita dalla presenza in
essa della forza di risurrezione di Cristo - il contrario sarebbe il <<tempo breve»
delle forze ostili negative - illumina questo contesto difficile. Cristo regna non
nel senso di possedere, quasi godendolo, un regno realizzato, ma nel senso attivo
di un regno da instaurare. C'è poi un altro significato. I cristiani «regneranno»
anche a livello escatologico (22,5); si tratta, nel contesto di condivisione propria
della Gerusalemme nuova, di una loro partecipazione al regno di Dio ormai rea-
lizzato definitivamente. È il regno posseduto e goduto.

' Cf. Parte terza, c. Il, pp. 290·293.

353
Possiamo, a questo punto della nostra analisi, tracciare un bilancio
sintetico, anche se non necessariamente conclusivo.
Il gruppo terminologico che ruota intorno a <<re>>, «regno>>, «regnare>> ha,
anzitutto, due tempi· di realizzazione: uno strettamente escatologico e uno
situato nello svolgimento della storia.
A livello di conclusione raggiunta, si tratta di un regno a cui prendere
parte gioiosamente. A livello di sviluppo si ha invece un senso prevalentemente
dinamico. È il regno che viene instaurato mediante una forza, una potenza che
gli è proporzionata. Si tratta, infatti, di una conquista, superando l'antagoni-
smo delle forze ostili, che hanno un loro regno e anche un loro re.
Protagonista di questo senso attivo è Cristo, al quale viene partecipata la
potenza vittoriosa di Dio.
Primo frutto dell'azione di Cristo come realizzatore di un regno sono i
cristiani, detti «regnO>> nel senso di un risultato ottenuto. Ma una volta
diventati regno, appartenenti totalmente a Dio, i cristiani «regnano>> a loro
volta, anch'essi in senso attivo. Collaborano con Cristo.
Tutto questo si attua nella fase di svolgimento della storia della salvezza e
prima della sua conclusione finale, sia nella dimensione terrestre della vita sia
in quella ultra-terrena.
Tenendo presente questo quadro di insieme, analizziamo ora i tre brani
dell'Apocalisse nei quali troviamo il termine LEQELç abbinato almeno a uno dei
termini di regno che abbiamo esaminati.

3. l CRISTIANI FAITI «REGNO-SACERDOTI>>: AP 1,6


La prima ricorrenza di iEQELç che incontriamo nell'Apocalisse si trova
inserita in un genere letterario particolare che possiamo qualificare di dialogo
liturgico. In effetti il rapporto tra un lettore (6 àvaytvwaxwv) e un gruppo di
ascolto (o i àxouovnç) che l'autore mette in particolare evidenza si sviluppa
articolatamente in tutto il brano l ,4-!l. È possibile addirittura identificare con
un sufficiente grado di probabilità la parte del lettore (l ,4-5a.7.!ì) e la parte di
risposta del gruppo di ascolto (1,5b; 1,7b: <<SÌ, amen>>). Lo scambio al vivo tra il
lettore c il gruppo di ascolto conferisce al brano un tono letterario particolare.
Siamo nel vivo dell'assemblea liturgica cristiana, in quella situazione, cioè,
tipica della chiesa primitiva in cui i cristiani prendono coscienza della loro
identità e della loro responsabilità. Si animano reciprocamente, manifestano i
loro peccati, celebrano l'eucaristia, nell'ambito del <<giorno del Signore>> (Ap
1,10). È un tempo particolarmente forte, intenso e l'autore ci ritornerà sopra
nei versetti seguenti (cf. 1,9-10). La dimensione sacerdotale dei cristiani
emerge in questo contesto di un'esperienza liturgica particolarmente sentita.'

' Cf. Parte prima, c. V, pp. 94-97.

354
C'è un'altra considerazione, più di carattere letterario, che appare indispen-
sabile per comprendere adeguatamente il testo e il contesto di cui ci stiamo
occupando. Lo stile è particolarmente concentrato ed evocativo: l'autore vuole
esercitare sugli ascoltatori una pressione immediata, creando delle aspettative,
facendo intuire e presagire, ma senza dire ancora tutto. La benedizione del lettore
- per citare un esempio chiaro riferito a l ,4 - ma il discorso vale ugualmente
per tutto il brano 1,4-8 - ha un'impronta squisitamente trinitaria, come oggi
riconosce la maggior parte dei commentatori,'" ma è formulata in modo da
provocare gli ascoltatori e lasciarli pensosi: Dio- il Padre- è detto, con uno
strappo grammaticale al limite dell'esprimibilità," «Colui che è e che era e che
verrà>>; lo Spirito è designato con un'espressione per lo meno enigmatica: «i sette
spiriti che (sono) davanti al trono di lui»; Gesù Cristo, con un nuovo passaggio
grammaticale brusco dal genitivo al nominativo è qualificato <<testimone quello
fedele, primogenito dei morti e dominatore dei re della terra» (l ,4). Nel decorso
del libro si chiarirà che cosa l'autore intende dire o suggerire con tutte quelle
espressioni nuove e difficili. Ma, sul momento, il gruppo che ascolta sente nascere
dentro molti interrogativi pressanti sul significato di quanto sta ascoltando e che
non hanno ancora una risposta. Il testo fa pressione verso quanto sarà spiegato in
seguito. spinge in avanti. La nostra espressione riguardante il sacerdozio e il regno
fa parte di questo contesto.
Il piccolo brano costituisce la risposta del <<DOi» proprio del gruppo di
ascolto alla benedizione del lettore, di cui abbiamo parlato. Esso presenta
un 'articolazione grammaticale e stilisti ca tipica: inizia e si conclude con un
dativo riferito a Cristo; in mezzo c'è una frase che, sciolta in qualche modo dal
movimento celebrativo dell'inizio e della fine, acquista per ciò stesso un risalto
letterario tutto suo. Vediamo questo svolgimento da vicino:
<<A colui che ci sta amando
A e sciolse (ì..uoavn) noi
dai peccati nostri nel sangue suo
- e fece (btoiT]OEv) noi
B regno (~aOLì..E[av)
sacerdoti (legdç) a Dio e Padre suo -
a lui
A' la gloria e la forza
per i secoli dei secoli.
Il brano è una risposta alla benedizione del lettore (cf. l ,4-5a). Riprendendo
il terzo elemento della triplice benedizione riguardante Cristo, lo sviluppa, in un
movimento di ritorno. Tale movimento, come appare anche visivamente dallo

10
Cf. Parte seconda, c. IV, pp. 184-192.
" Cf. Parte prima, c. I, pp. 20-21.

355
schema letterario, inizia con un riferimento a Cristo espresso mediante un dativo
(A); si sviluppa quindi con una frase che costituisce quasi una parentesi (B);
riprende alla fine il dativo riferendolo di nuovo a Cristo (A').
Per il nostro argomento interessa proprio la frase (8), ma per poterla
comprendere in tutta la sua portata occorre situarla nel suo contesto.
Analizzeremo, quindi, brevemente anche le due altre parti - A e A' - che
appartengono allo stesso movimento letterario.
Nella prima fase (A) del movimento letterario viene sottolineata anzitut-
to la realtà continuata dell'amore di Cristo espressa chiaramente dal participio
presente àyaJtwvn.
Nel quadro del suo amore continuato viene attribuita a Cristo un'azione
particolare, già realizzata e conclusa nel passato. Si tratta di un'azione di
«scioglimento>>," di liberazione dai peccati effettuata da Cristo. I peccati
costituiscono un impaccio, un intralcio nel cammino, quasi uno scafandro che
avviluppa e impedisce di muoversi: grazie all'intervento di Cristo, il cristiano è
liberato dal gravame di questi legami. Potrà muoversi speditamente, potrà
agire. L'autore, secondo il genere letterario evocativo particolarmente denso e
concentrato di questo brano non ci precisa subito i dettagli dell'attività tipica
dei cristiani «sciolti» dagli impedimenti dei peccati. Ciò apparirà chiaramente
nel decorso del libro; ma la sua affermazione va colta in tutta la sua portata: i
cristiani, amati in continuazione da Cristo, sono stati resi da lui capaci di agire.
Questa liberazione è collegata esplicitamente col sangue di Cristo: Èv njl
ULfLUTL aùtoù. Il sangue di Cristo, di cui si fa qui menzione per la prima volta, è
inteso in tutta la portata teologico-biblica che ha nell'arco dell'Apocalisse. Non
è semplicemente né principalmente un mezzo di espiazione, ma ha una valenza
attiva particolarmente sottolineata: indica una partecipazione effettuata e
personalizzata a tutto l'evento pasquale; alla morte e alla risurrezione di
Cristo. La morte di Cristo ha compiuto la liberazione da tutta la peccaminosità
e quando, come nel caso nostro, è partecipata e condivisa liturgicamente, la
realizza. I cristiani sono stati «sciolti>> dai loro peccati perché si sono
appropriati della morte di Cristo. Ma accanto alla morte e indivisibile da
questa, c'è l'aspetto di risurrezione. I cristiani, liberati dai loro peccati proprio
in virtù del sangue di Cristo, partecipano dell'agilità creativa tipica appunto
della risurrezione. La liberazione avvenuta proprio mediante il sangue li
proietta in questa prospettiva di attività.
Al centro dello schema del movimento letterario come sopra l'abbiamo
indicato si trova l'espressione più importante del brano (l'abbiamo designata
con la lettera 8). L'amore continuato di Cristo che raggiunge i cristiani nel loro
presente, come pure l'azione liberatrice che li ha sciolti dai loro peccati,

" È il valore preciso di Àuoavn. La «lectio» è senz'altro da preferire. ma proprio percM


rirerita al sangue Ui Cristo, ha incontrato difficoltà di comprensione, come ci dimostra la tradizione
manoscritta.

356
sboccano in un risultato concreto, in una qualifica permanente che riguarda i
cristiani stessi e della quale devono prendere atto nel momento forte della loro
assemblea liturgica:
<<e fece noi regno sacerdoti a Dio e Padre suo».
C'è anzitutto da sottolineare l'azione svolta da Cristo, che è il soggetto di
«fece>> (trro[T]Ocv). Il fatto grammaticalmente rilevante di un passaggio dal
participio all'indicativo" pone in risalto l'iniziativa di Cristo: l'autore vi
richiama deliberatamente l'attenzione.
L'iniziativa di Cristo. soggetto attivo, rende i cristiani <<regno-saL:erdoti».
L'abbinamento dei due termini è sorprendente: ci aspetteremmo un <<C» (xal)
tra i due o una subordinazione di <<Sacerdoti» a <<regno». L'autore riprende Es
19,6, anche se, secondo il suo stile, non mette in rilievo la citazione, ma la
incorpora direttamente nel suo discorso.
L'autore prescinde, anche qui secondo il suo stile, dai LXX e si riferisce
direttamente al testo ebraico. Delle due possibilità che il testo ebraico presenta
- «regno di sacerdoti», «regno, sacerdoti»- l'autore sceglie la seconda. sulla
linea di Teodozione e di Aquila, di cui abbiamo parlato più sopra e non traduce
«regno di sacerdoti».
Rispetto all'Esodo, sposta la prospettiva sacerdotale dal futuro di una
promessa al passato di una realizzazione già effettuata. In base all'azione di
Cristo, i cristani sono già regno e sacerdoti. E lo sono - vale la pena
sottolinearlo - non per una loro iniziativa, neppure in base a una loro
condotta morale irreprensibile. La loro sacerdotalità. come pure la qualifica di
regno ad essa abbinata derivano direttamente da Cristo, appaiono come un
dono.
Da notare che l'autore non dice <<regno di sacerdoti» perché cosi avrebbe
introdotto un concetto estraneo: nell'Apocalisse il <<regno», come appartenen-
za espressa mediante un genitivo, è solo di Dio e di Cristo (cf. Ap 11,15;
12,10). Neppure introduce una congiunzione tra i due termini: ciò li avrebbe in
certo senso isolati e resi quasi autonomi l'uno dall'altro. Così come essi si
presentano, appaiono indivisibili, rapportati inseparabilmente. Se i cristiani
sono «regno» sono anche, ugualmente, <<Sacerdoti»; se sono <<Sacerdoti» sono
necessariamente «regno». Una qualifica sembra inglobare l'altra. Ma qual è il
valore preciso di <<sacerdoti» e di «regno» in questa loro reciprocità? È l'aspetto
che più ci interessa e merita un'analisi ravvicinata. Il termine <<sacerdoti»
(lEQEiç) indica il sacerdote con un'accentuazione dello svolgimento attivo delle

0
Prima avevamo i due participi 6.yattWvn e ì-..Ucravn. La form,a partecipiale nmi)oavn al
posto di faoll')OEV avrebbe dato a tutta la [rase una maggiore fluidità. E quanto troviamo in effetti
in 046, 1854, 2053, 2062. La <<lectio» nmljoavn è certamente secondaria, ma il fatto che ci sia
documentata costituisce una riprova significativa del rilievo che acquista il passaggio. che era
avvertito come forzato e quindi era stato variato. dal participio all'indicativo.
!J Come è noto i sostantivi in -nJ, come i~amì.FV;, itQEi!ç, ygacpEUç, sono «nomlna agentis»
e indicano, come tali, un'attività svolta o da svolgere.

357
sue funzioni, analogamente ad altre formazioni affini che ritroviamo nella
lingua greca." Il termine qualifica le singole persone che. come tali. sono
sacerdoti, funzionano attivamente da sacerdoti, a differenza della traduzione e
interpretazione dei LXX che si riferisce globalmente all'insieme, traducendo
iEgén:Eu ~-ta.
Qual è - vista più da vicino - la fisionomia, quale la funzione specifica
delle singole persone sacerdoti? Nell'ambito dell'A T e segnatamente dall'Eso-
do da cui il termine è desunto, sacerdote esprime un ruolo di mediazione. C'è
da una parte il livello degli uomini, della loro storia, con tutte le implicazioni
che comporta e nel quale il sacerdote stesso si trova inserito; dall'altra c'è Dio,
nella sua trascendenza. Le due parti - gli uomini e Dio - devono stare in
sintonia: un'eterogenità non superata con il mondo della divinità sarebbe
inconcepibile sia nell'ambito religioso-cultuale dell' AT sia, in generale. in tutto
quello del Vicino Oriente. I sacerdoti, uomini come gli altri, sono in funzione
di questa sintonia di rapporto. Questa prospettiva generale che può dirsi
scontata assume nell'Apocalisse una coloritura particolare. I cristiani sono stati
fatti da Cristo <<sacerdoti a Dio e Padre suo>> (l ,6): la loro mediazione si
svolgerà, quindi, tra il polo di Dio e quello degli uomini. ma in un contesto di
paternità-filiazione che, tramite Cristo, riguarda gli uomini.
l cristiani sacerdoti prima ancora di essere designati come tali sono quali-
ficati come <<regnm>. Il rapporto col quarto Vangelo chiarisce notevolmente
questa denominazione inaspettata: Cristo che attua proprio sulla croce e dalla
croce il suo nuovo tipo di regalità, vi coinvolge il nuovo popolo di Dio: i
cristiani sono <<regno>> perché fatti tali da Cristo crocifisso, dalla sua passione
applicata e accettata. I cristiani non appartengono estrinsecamente a Cristo re,
ma c'è un'affinità con lui dentro di loro, costituiscono il suo regno dal di
dentro.
Questo fatto è in rapporto con la loro attività di sacerdoti, anzitutto
perché la rende possibile. I cristiani non sarebbero in grado di esercitare una
qualunque mediazione tra gli uomini e Dio se non fossero già affini a Cristo
come regno.
Inoltre il quadro globale del significato di regno che abbiamo visto
permette di precisare che l'attività sacerdotale dei cristiani sarà da collocare nel
quadro dinamico del divenire del regno nel quale Cristo impegna adesso la sua
potenza e la sua attività. Non è pensabile per i cristiani, regno e sacerdoti in
senso attivo, un altro quadro diverso da quello di Cristo.
Ciò è confermato dall'ultima fase del movimento letterario (A'). Dopo la
parentesi, il discorso si rivolge di nuovo direttamente a Cristo al quale viene
attribuita <<la gloria>> e <<la forza per i secoli». Non si tratta di una frase
stereotipa, già fatta e ripetuta, anche se viene inquadrata esplicitamente in un
contesto liturgico, come ci ricorda l'amen conclusivo. L'espressione, confron-
tata con le altre conclusioni liturgiche del NT, conserva una sua piena
originalità. Quale il suo significato? Il termine <<gloria», M~a, nell'ambito
dell'Apocalisse, è sempre in contatto diretto con Dio, con Cristo e con un

358
essere trascendente." Nella dinamica contestuale in cui si trova inserito ha due
movimenti: c'è una M~a, propria di Dio e di Cristo, dell'angelo, che parte da
loro e tende come ad espandersi, a comunicarsi nella zona degli uomini; c'è una
b6~a invece che gli uomini attribuiscono, sembrano addirittura «dare>> a Dio e
a Cristo. È sempre la stessa ò6~a. La potremmo allora parafrasare come la
realtà propria, tipica, il livello di essere e di agire caratteristico di Dio e di
Cristo che si comunica agli uomini o viene da essi riconosciuto come tipico di
Dio e di Cristo. Tale -riconoscimento non è una constatazione strettamente
razionale: è fatto a caldo, con gioia, con esultanza. Nel riconoscimento c'è,
implicita e presupposta, la condivisione della M~a di Dio e di Cristo da parte
degli uomini, che, così, possono osare di <<dare gloria>> a Dio e a Cristo.
La realtà tipica di Cristo, come apparirà nei versetti seguenti (cf. I ,9-20),
è la sua situazione di risorto. La <<gloria>> che gli viene attribuita è il
riconoscimento da parte dei cristiani, che in qualche misura già la condividono,
della situazione di risurrezione propria di Cristo.
A <<gloria>> è associato qui il termine «forza>> (xQénoç). Ritroviamo la
stessa associazione in 5,13: sono le uniche ricorrenze di XQén:oç nell'Apocalis-
se. Abbinato com'è alla situazione di Cristo risorto. caratterizzato dalla
«gloria>>, ne accentua l'aspetto dinamico: Cristo risorto possiede, proprio come
tale, un'energia tipica che lo porterà, tenendo sempre conto di tutto lo sviluppo
del libro dell'Apocalisse, a superare e ad annientare le forze ostili a Dio.
Concluderà, così, la storia della salvezza, associando i suoi alla sua azione di
vittoria." La forza di Cristo è implicita nella sua <<gloria>> di risorto.
Partecipando alla sua risurrezione, i cristiani partecipano in qualche modo alla
sua capacità di vittoria nei riguardi del male.
Riassumendo: l'abbinamento «regno-sacerdoti>>, inquadrato adeguata-
mente nel suo contesto immediato, costituisce una qualifica fondamentale dei
cristiani, già realizzata. La mediazione attiva tra il livello degli uomini e quello
di Dio suggerita dal termine <<sacerdoti>> (iEQEiç) viene precisata sotto alcuni
aspetti proprio dal termine <<regno>> (~aotÀE[av): esso indica l'affinità con
Cristo indispensabile per la mediazione come pure, in termini generali, il
campo dove tale mediazione si svolge: è il campo del regno che diviene, sotto
l'influsso di Cristo risorto. Non si dice come i cristiani eserciteranno di fatto
questa loro mediazione. Lo stile denso ed evocativo del brano induce ad
attendere esplicitazioni ulteriori nei testi seguenti. Intanto appare affermato e
ribadito un fatto fondamentale: i cristiani sono sacerdoti perché sono regno e
nel senso del regno. La loro regalità rende possibile e interpreta la loro attività
sacerdotale.

" Il termine Mça nell'Apocalisse è detto di Dio (4,9.11; 5,13; 7,12; 11,13; 14,7; 15,8; 16,9;
19,1.7; 21,11.23) di Cristo (1,6; 5,11.13) di un angelo (18,1), dei re (21,24), delle nazioni (21,26).
" Cl. Parte terza, c. II, pp. 318-328.

359
4. SACERDOTI CHE REGNANO SULLA TERRA: AP 5,9-10

Il secondo brano dell'Apocalisse in cui ricorre il termine lEQEiç conferma e


chiarisce le conclusioni che abbiamo formulate. Si tratta di un brano di
importanza decisiva per la nostra indagine e che deve quindi essere studiato da
vicino. Ci troviamo nella seconda parte dell'Apocalisse e precisamente nella sua
sezione introduttoria." La tensione letteraria creatasi alla presentazione del
<<libro» {Bl~À[ov) contenente il segreto della storia umana, ma completamente
inaccessibile, viene superata dalla presentazione di Cristo come <<agnello»
( UQV[ov)." Proprio in quanto morto e risorto, in possesso della totalità della forza
messianica e dello Spirito da donare agli uomini, Cristo riceve il libro, lo fa suo, e
si accinge a togliere i sigilli. Quest'azione fondamentale e risolutiva agli effetti
della storia viene celebrata in una dossologia solennissima, che, allargandosi
progressivamente a seconda dei protagonisti che l'esprimono, si estende in tre
cerchi concentrici: il primo (5,9-10) ha come protagonisti di lode i quattro
<<viventi» e i ventiquattro anziani. Gli uni e gli altri rappresentano, in un modo
misterioso e quasi inafferrabile. una mediazione tra il cielo. la zona propria di
Dio, e la terra, vista come la piattaforma dell'immanenza, la zona degli uomini.
È in questo primo cerchio celebrativo che noi incontriamo il termine «sacerdoti»
(lEQEi;). Gli altri due cerchi hanno come protagonisti rispettivamente un numero
sterminato di angeli (5,11-12) e tutto il creato (5,13). Un nuovo intervento di
mediazione degli anziani e dei <<Viventi» conclude la celebrazione (5,14).
Qual è, in un contesto che già a un primo sguardo ci appare ricco e
complesso, il significato che vi acquista il termine <<Sacerdoti>>? Uno sguardo
sintetico al movimento letterario del primo cerchio celebrativo (5.9,10) e
un'analisi esegetica dettagliata degli clementi più attinenti al nostro argomento
ci permetteranno di formulare una risposta.
Rivolgendosi all'<<agnello>> sia i «Viventi>> che gli anziani cantano il <<Canto
nuovo>>, il cantico, cioè, che celebra la novità propria che Cristo introduce
gradatamente nella storia.
Possiamo schematizzare così il suo movimento letterario:"
<<Degno sei
di ricevere il libro
e aprire i suoi sigilli

17
Cf. VANNI, La struttura, pp. 182-188.
" Illennine ÒQv[ov, per la forma e la frequenza è tipico dell'Apocalisse. L'autore secondo il
suo stile ne fa una presentazione simbolica dettagliata la prima volta che usa il termine in 5,6: (<un
agnello in piedi come ucciso, avente proprio sette corna e sette occhh'. Interpretando le immagini,
si tratta del Cristo preparato daii'AT. morto c risorto, con la pienezza della sua efficienza
mcssianica, con la pienezza dello Spirito da comunicare agli uomini. Le altre 28 volte che l'autore si
riferirà all'àQV[ov, lo indicherà o col semplice articolo: tò 6Qv(ov, o con qualche altra aggiunta
molto sobria: occorrerà, però. per comprendere il senso del termine nel contesto, fermarsi un
istante e richiamare tutto il contesto teologico-biblico della prima presentazione. Per una visione
aggiornata dei problemi riguardanti l'èr.Qvlov nell'Apocalisse, cf. HOHNJEC, ((Das Lamm•).
" Cf. Parte seconda, c. IV, pp. 165-!92.

360
poiché fosti ucciso
e comprasti a Dio nel sangue tuo
(persone) da ogni tribù e popolo e nazione
e li facesti al nostro Dio
regno WamÀciav)
e sacerdoti (lEQEiç)
e regnano (f3aatÀEuoumv) sulla terra».
n brano che ci riguarda direttamente si trova alla fine di un movimento
letterario complesso. Occorre esplicitarne le fasi principali per poter cogliere la
portata della conclusione.
Il movimento letterario parte da un'affermazione solenne riguardante il pre-
sente (<<degno sei>>) per risalire subito a un passato che la motiva (<<poiché fosti
ucciso ... >>). La motivazione si riferisce anzitutto a un fatto fondamentale: la morte
violenta subita da Cristo. Da questo fatto fondamentale ne derivano altri due,
ugualmente appartenenti al passato ma che influiscono sul presente: l'acquisto
(«comprasti>>) da parte di Cristo di tutte le genti in forza del suo sangue, e, paral-
lelamente. la costituzione dei cristiani («e li facesti ... >>) nella loro situazione tipica
di regno e di sacerdoti. Il movimento letterario si conclude proprio nella linea di
un'azione attuale da parte dei cristiani, i quali, simultaneamente alla presenza
qualificata di Cristo agnello <<stanno regnando>> (f3amÀEÙoumv) sulla terra.
Guardiamo a distanza ravvicinata i dettagli di maggiore interesse.
Iniziamo col testo. C'è. proprio nell'ambito della nostra pericope 5,10 un
problema importante di critica testuale. Si deve leggere f3aatÀEuouotv «regna-
no>> con A 046; f3aatÀEuooumv «regneranno>> con il Sinaitico, P, diversi
minuscoli e Padri; f3aotÀEUOO!lEV «regneremo>> con 2432, alcuni codici della
Vetus Latina e della Volgata, diversi Padri? La questione è complessa e la
diversità della lettura tradisce l'imbarazzo dell'interpretazione. Tutto sommato
la lezione f3amÀEuouotv al presente appare preferibile:"' è attestata dal codice
A, ritenuto il più attendibile per l'Apocalisse, e appare come «lectio difficilior>>
rispetto alle altre due: fa difficoltà esegeticamente parlando una situazione di
regno attribuita ai cristiani nel presente. Si comprende come - tenendo conto
di Ap 22,5 dove troviamo proprio il futuro f3aoLÀEUoouotv, in un contesto
strettamente escatologico - si sia passati da un presente enigmatico a un
futuro che non fa problemi sia alla terza che alla prima persona. Non si
spiegherebbe invece il cammino in senso inverso.
Riprendiamo il nostro studio di 5,9b. Emerge l'importanza attribuita
all'azione di Cristo come «agnello». Egli è l'unico ad essere «degnO>>, in grado"

20
È una questione esegetica che induce B. M. Mctzger e il comitato a preferire j3amÀEuoou-
mv «as more suited to the meaning of the context» (A Textual Commentary, p. 738). In realtà il
presente, prefcribile come «lectio difficilion~, aderisce al contesto molto più del futuro.
" L'aggettivo ò!;LOç. enfaticamente al maschile rispetto al neutro Ò.Qvlov, ha qui il senso di
capacità efficiente, non di una semplice dignità onorifica.

361
di ricevere il libro della storia dell'uomo e di renderne la lettura possibile.
Tutta la storia, così come è, con le sue ombre e le sue luci, è presa in mano da
Cristo <<agnello>> che, solo, ne costituisce la chiave ermeneutica valida. C'è
un'esigenza insopprimibile di guardare dentro alla storia, in tutte le sue
componenti, allo scopo di estrarne quell'interpretazione che permetterà ai
cristiani di regolarsi validamente nelle loro scelte.
La capacità che possiede il Cristo <<agnello>> di accogliere e interpretare tutta
la storia è stata causata dalla sua morte violenta. In conseguenza della sua morte,
Cristo «agnello» «acquistò» persone provenienti da tutte le categorie possibili."
L'acquisto, data anche la pregnanza di significato del verbo àyoga~w che viene
usato." suppone un passaggio di proprietà, un'eterogenità di appartenenza da
superare. Gli uomini si trovano in questa condizione di non-appartenenza: l'azio-
ne di Cristo li raggiunge tutti, li fa propri. Ma l'azione di <<compera», di acquisto, di
cui è protagonista Cristo-agnello non si ferma a lui: è destinata a raggiungere Dio.
Si intravede una forma tutta particolare di acquisto: è una compera ed una media-
zione nello stesso tempo, dato che il soggetto acquirente, Cristo-agnello, non
trattiene per se stesso gli uomini che acquista, ma li indirizza a Dio.
Ora se l'acquisto come tale può considerarsi concluso una volta per tutte
-come suggerisce l'aoristo lìy6gaoaç, <<comprasti>> - non si può dire che gli
uomini <<acquistati>> abbiano già raggiunto Dio, che costituisce la loro
destinazione ultima. Uno sguardo realistico alla storia- l'autore dell'Apoca-
lisse si farà premura di presentarlo proprio nell'apertura dei primi quattro
sigilli: 6,1-8 - mostra una tensione drammatica tra bene e male che passa
attraverso gli uomini. Anche se, fondamentalmente, essi appartengono di
diritto a Cristo, c'è ancora tutto un insieme di elementi centrifughi da superare
e neutralizzare proprio nell'ambito della storia. prima che gli uomini apparten-
gano di fatto pienamente a Dio, portando il <<SUO nome sulle loro fronti» (22,4).
Notiamo, a questo proposito, una coincidenza: i cristiani sono detti in l ,6
<<sacerdoti a Dio e Padre suo>>. L'azione di acquisto realizzata da Cristo-agnello
è indirizzata, come termine ultimo, «a Dio>>. Che ci sia, allora, in questo
tragitto storico dall'acquisto già realizzato all'appartenenza futura uno spazio
per la mediazione propria dei cristiani sacerdoti? Questa domanda avrà una
risposta dall'esame ulteriore della pericope di cui ci stiamo occupando e, in un
quadro ancora più completo, dalla pericope 20,6 che studieremo tra poco.
Accanto e parallela all'azione dell'acquisto a Dio viene collocata la costi-
tuzione dei cristiani come regno e sacerdoti. Il testo corrisponde alla lettera a
quello che abbiamo studiato in l ,6, ma presenta degli ampliamenti significativi.

22 C'è una corrispondenza interessante con l'universalità simboleggiata dalle tre lingue -

aramaico, latino, greco- della scritta «Gesù Nazareno re dei giudei•• posta sulla croce (Gv 19.20).
'' Di per sé il termine àyoga~w. sia nelle 2) ricorrenze dei LXX sia nella grecità in generale,
ha il significato di un acquisto puramente comm~::rcialc. Il suo valore religioso è una novità
linguistica del NT.

362
L'iniziativa viene attribuita a Cristo-agnello. È considerata come avvenu-
ta e compiuta nel passato: si tratta anche qui di un'azione efficace, creativa,
espressa con lo stesso verbo e lo stesso tempo: <<e facesti>> ( xal btotT]oaç
corrisponde a xal E:rtatT]OEV di 1 ,6).
Siccome il soggetto che parla - i protagonisti del primo cerchio della
dossologia- è costituito dai «Viventi>> e dagli <<anziani», i cristiani sono indicati
alla terza persona con airrouç «essi», oggetto di «facesti» Èrro(Tjoaç. In 1,6 dove
il soggetto grammaticale che si esprimeva erano i cristiani stessi, avevamo
i]~àç, «noi». Ma si tratta sempre dei cristiani, pensati concretamente come
riuniti nella loro assemblea liturgica.
L'azione di Cristo-agnello <<li fece» - dicono i «viventi» e gli anziani -
per il nostro Dio (t0 {}Ecj) i]~wv) un regno (l)aotì.dav)» (5,10).
Nel quadro dell'appartenenza a Dio rappresentato dalla situazione di regno,
i cristiani hanno anche la qualifica attiva di sacerdoti: LEQEiç. Il termine ha la
stessa carica di significato che abbiamo analizzato in l ,6: ma, mentre in 1.6 era
proprio la qualifica «sacerdoti» che, sempre inclusa nel «regno», veniva messa
direttamente in rapporto con Dio, qui si ha uno spostamento di accento: è il regno
che viene riferito a Dio e, implicitamente, anche la qualifica di sacerdoti.
La situazione di regno propria dei cristiani. pur essendo stata causata in loro
dall'azione di Cristo, non è statica. È una situazione dalla quale scaturisce un
dinamismo di regno ed è proprio in questo dinamismo di regno che si realizza il
sacerdozio specifico dei cristiani. Quando infatti si afferma che essi «Stanno
regnando sulla terra>> (13aotÀruoumv rnl ti']ç yijç) non si parla di un regno
concluso e ormai quasi gustato e goduto da loro, ma piuttosto di un regno che
viene procurato. Abbiamo visto che il senso prevalente di ~aotÀEUELV «regnare»
nell'Apocalisse è proprio questo. Letto nel presente, ~amÀEuoumv indica che i
cristiani stanno già procurando lo stesso regno di cui sono stati fatti oggetto e
svolgono questa loro attività «sopra la terra>>: ciò significa che essi agiscono
direttamente nella storia, a contatto con essa. La «terra>> nell'Apocalisse indica
appunto la rona degli uomini, il teatro della loro storia.
Dicevamo che in questo impegno attivo di procurare il regno di Dio e di
Cristo, i cristiani esercitano il loro sacerdozio. È quanto emerge chiaramente
dal nostro testo confrontato con 1,6: là si affermava. con uno stile particolar-
mente condensato, la reciprocità del regno e della funzione sacerdotale: i
critiani erano detti «regno-sacerdoti». Qui le due qualifiche sono distinte e
messe debitamente in rapporto tra di loro. Ciò appare ancora più chiaramente
visualizzando il testo in uno schema:
ÈltOLTJOUç U'Ùtoùç ...
~UOLÀELUV
xal lEQEiç
xal 13aotÀEuoumv Èrrl n;ç yijç (5, 10).
Posto com'è tra 13aotÀEiav e 13aotÀEuouotv, lEQEi:ç è un termine cerniera
rispetto agli altri due. Proprio in quanto sono stati fatti regno, i cristiani sono

363
stati fatti anche sacerdoti, e, come tali, «regnanO>>, nel senso attivo sopra
indicato, sulla terra, contribuendo alla realizzazione del regno di Dio e di
Cristo nella storia. Si profila così il tipo di mediazione propria dei cristiani
sacerdoti: c'è da una parte il piano di Dio, un regno progettato e da attuare;
dall'altra c'è la situazione che gli uomini stanno vivendo di fatto. Mediante lo
sviluppo in avanti della storia, realizzato da Cristo come <<agnello», il progetto
e il fatto del regno di Dio e di Cristo dovranno coincidere. Lo spazio vuoto che
ancora li separa dovrà essere colmato, attuando così in pieno l'opera di
acquisto a Dio: in questo spazio vuoto da colmare si inseriscono i cristiani.
Come regno attuato, essi colmano, per parte loro, il vuoto tra il progetto di Dio
e la sua esecuzione; come sacerdoti «regnano sulla terra», contribuendo a far sì
che anche gli altri uomini diventino regno.
I cristiani sono in grado di esercitare questo ruolo. Infatti essi non
agiscono per conto proprio, ma collaborano attivamente con Cristo. che resta
sempre il protagonista di fondo del regno di Dio da stabilire. 2' Cristo come
«agnello» è in grado di realizzare la storia così come Dio l'ha progettata,
facendo sì che il regno del mondo diventi suo e di Dio.

5. IL SACERDOZIO DEI MARTIRI IN RAPPORTO A DIO E A CRISTO: AP 20,6

Il testo di 20,1-10, nel quale si inserisce la nostra pericope (20,6) è noto


per la sua importanza nella storia dell'esegesi dell'Apocalisse e per la difficoltà
estrema di interpretazione. I «mille anni» di cui si parla hanno dato luogo alle
diverse interpretazioni millenaristiche. che, in forma più o meno accentuata, si
sono succedute nel corso dei secoli, a cominciare da Ireneo.
Limitiamo la nostra ricerca al contesto che tocca direttamente la pericope
20,6 nella quale ricorre il termine LEQEi:ç ed è praticamente il brano 20,4-6. Il
brano presenta un movimento letterario tipico: in una prima parte (20,4-Sa)
abbiamo un quadro simbolico complesso; in una seconda parte (20,5b-6) tro-
viamo delle indicazioni ermeneutiche che aiutano a decodificare il quadro simbo-
lico e ad applicarlo alla realtà vissuta. Esaminiamo queste due parti da vicino.
Il quadro simbolico di 20,4-Sa si riferisce ai martiri. Sono coloro che
hanno dato la vita mantenendo, in un contesto storico di contrapposizione
ostile, «la testimonianza» di Gesù che ha portato in contatto con gli uomini «la
parola di Dio» (20,4). Distinti probabilmente da altri personaggi che hanno-
nella fase strettamente escatologica - un ruolo di giudizio e di valutazione i
martiri:
«Vissero ( E~l]oav)
e regnarono (È~ao[À.Euoav) con Cristo mille anni.
Gli altri morti non vissero fino a quando
furono compiuti i mille anni» (20,4b-5a).

364
Viene superata la barriera della morte fisica che segue la scomparsa
dell'uomo dalla sua attività sulla terra. In questa situazione di vita, i martiri
regnano con Cristo mille anni. Questa cifra simbolica indica, con tutta
probabilità, tutto il tempo della storia, a prescindere dalla sua durata
matematica. in quanto qualificata dalla presenza attiva della forza di Cristo. In
contrapposizione - qualitativa e non cronologica - c'è il <<tempo breve»
proprio delle forze negative che sotto la pressione del demoniaco imperversano
nella storia. La presenza di Cristo in tutto l'arco della storia simboleggiata dai
«mille anni>> è particolarmente attiva: Cristo <<regna>> preparando e procurando
il regno, come abbiamo rilevato più sopra nell'analisi del gruppo terminologico
~amì..E\Jç-Bamì..Eiu-BamÀEUW. A Cristo presente e attivo nel campo della
nostra storia sono associati i martiri. Dotati di una vita misteriosa, essi
preparano il regno insieme con Cristo.
Questo quadro simbolico e che stiamo interpretando, pone dei problemi
ulteriori. sia di comprensione del simbolo, sia di applicazione del simbolo alla
vita. L'autore aiuta il gruppo di ascolto a completare questo suo lavoro,
indicando delle equivalenze, suggerendo approfondimenti. E la seconda fascia
letteraria del brano in cui è inserita la nostra pericope:
<<Questa la risurrezione (1) av6m:amç), quella prima (1) :rtQÙlTl])
beato c santo chi ha parte
nella risurrezione, quella prima:
su costoro la morte seconda (ò ÒEUTEQOç itavatoç) non ha potere
ma saranno sacerdoti di Dio e di Cristo
(lEQEiç toii -ltEoii xal toii Xgtotoii)
e regneranno (~amÀEUooumv) con lui mille anni» (20,5b-6).
La vita misteriosa di cui godono i martiri scomparsi dalla terra viene
interpretata come prima risurrezione. E questa interpretazione è estremamen-
te complessa come mostrano i diversi tentativi di spiegarla: si è parlato di una
risurrezione vera e propria, si è parlato di una risurrezione metaforica. Una
risurrezione vera e propria sembra al limite delle possibilità: il testo non
l'esclude esplicitamente, ma, tutto sommato, la rende improbabile. La
garanzia contro la «morte seconda», la morte al quadrato che segue la morte
fisica normale, sarebbe superflua e priva di senso quando venisse data a coloro
che fossero risorti positivamente in senso realistico.
Il senso metaforico è suggerito inoltre anche dall'appellativo :n:gci:rr11
«prima» che qualifica la risurrezione. La morte fisica, la prima morte è morte
in grado minore rispetto alla seconda. Ugualmente la prima risurrezione è da
intendersi in un senso diminuito rispetto alla seconda."
La prima risurrezione coincide di fatto con l'esercizio del regno di Cristo.

" Troviamo la stessa concezione in 1Cor 15,20·28.


25
In effetti sia OElJuQo; <<Secondo~~ che nQfiltYJ «prima~~ sono essenzialmente relativi e hanno
senso pieno solo se esistono gli altri termini di confronto. La morte «seconda•> è intelligihile come
tale perché esiste la morte <<prima>>. quella fisica. La risurrezione <<prima>> è intelJigibilc se esiste
una risurrezione «seconda>>, quella universale.

365
Si potrà dire, allora, che essa contiene la capacità attiva, vitale- di qui il nome
di risurrezione - di collaborare col Cristo risorto alla realizzazione del regno
di Dio nella storia.
La risurrezione sarebbe, in definitiva. quella somma di vitalità che
permette ai cristiani una cooperazione attiva col Cristo risorto.
Qui si tratta di martiri, che hanno già compiuto positivamente la loro
trafila terrena. Proprio mediante l'impegno nella lotta contro le forze negative,
ostili a Dio e a Cristo, che essi hanno realizzato, hanno espresso paradossal-
mente una loro vitalità: sono stati in grado di superare, a costo della loro vita
terrena, il male organizzato che si è contrapposto a loro. Hanno subito la prima
morte, scomparendo così dalla scena della storia: ma anche se sono state
vittime della morte fisica, saranno garantiti pienamente contro quella morte
aggravata, la negazione di ogni vitalità, che è la morte seconda. La prima
risurrezione comporta in essi anche quella definitiva.
È proprio a questo punto che si inserisce, contrapponendosi alla morte
seconda, la qualifica di sacerdoti di Dio e di Cristo data ai martiri.
La contrapposizione ha un suo effetto letterario che non va sottovalutato.
Invece dell'inerzia assoluta propria della morte seconda, i martiri, una volta
scomparsi visibilmente dalla scena della storia, hanno una loro attività di
mediazione, che, appunto, li qualifica come sacerdoti (lEQEiç). Tale attività è
stituata esplicitamente nel presente per i cristiani in vita come abbiamo visto
nel brano precedente, parallelo al futuro del regno a cui partecipano
(puOLAEuoouOLv f!H'm'nou xiAta i:ur 20,6).
Si tratta di un 'attività esercitata dai martiri direttamente dalla loro
situazione di oltretomba? Non si può escludere un'ipotesi del genere, ma varie
considerazioni la rendono inverosimile.
L'attività dei martiri nell'altra vita è presentata nel quinto sigillo (cf. 6,9-
11) come un impulso di preghiera, indirizzata a Dio perché ristabilisca
l'equilibrio turbato con la loro uccisione. Si tratta di «vendicare>> il loro sangue.
Ma la loro preghiera non è sufficiente per qualificare come sacerdotale l'azione
dei martiri. La mediazione tipicamente sacerdotale richiede di più.
È quanto troviamo nell'episodio di due <<testimoni» - si potrebbe dire
anche <<martiri»"' - di Il ,l. Dopo la loro morte si ha una riviviscenza, una
risurrezione che impressiona i loro nemici, provocandone addirittura la
conversione. Non si tratta- con tutta probabilità"- della risurrezione fisica

"' Il termine !!t'tQwç presenta, nell'ambito dell'Apocalisse. un'evoluzione interessante. Si


passa dalla funzione di testimone in un processo al significato più preciso e liturgico di martire: cf.
TRJTES, Mà(}rvç, pp. 72-80.
,. Il brano è tra i più discussi di tutta l'Apocalisse e presenta notevoli difficoltà esegetiche, come
mostra l'abbondante bibliografia che lo riguarda. Cf. D. HAUGG, Die Zwei Zeugen. Munster 1936.
l ~due testimoni)) sono stati identiricati con i personaggi più svariati, da personaggi dell'A T (come
Mosè ed Elia, Mosè ed Aronne) a personaggi concreti del NT (è nota l'identificazione dei due con
Pietro e Paolo proposta da J. MCNCK, Perru.s un d Pau/us in der Offenbarung Johannis. Kòln 1950). Ma,
secondo l'uso <..icii'Apocalissc. quanto è detto dei ((due lcstimoni•) in A p Il ..1·13 costituisce uno schema
interpretativo tipo, applicabile a tutti i personaggi della storia che verifichino quelle caratteristiche.

366
di alcuni individui, ma della capacità di influsso sullo sviluppo della storia che
hanno, in virtù della morte subita, i martiri che annunciano nell'ambito del
sistema terrestre, immanente, il messaggio di Dio e di Cristo. La morte
affrontata per Dio e per Cristo sconfigge il male e viene, in seguito, compresa e
valutata come un'attuazione di vita. La morte del martire contiene implicita
una risurrezione.
Anche se l'azione e la situazione dei <<due testimoni>> non è qualificata
come sacerdotale, di fatto essi esercitano una mediazione tra il progetto di Dio
e la storia. Inoltre - particolare degno di rilievo - attuano, nelle diverse
situazioni storiche, la crocifissione di Cristo: << ... dove anche il loro Signore fu
crocifisso» (11,8). Sono vicini a Cristo e prolungano, nella concretezza della
storia, la crocifissione e la risurrezione di Cristo.
Tutto questo che stiamo vedendo illumina il nostro contesto. Mediante la
condivisione della morte di Cristo, affrontando la morte e donando la vita per
Cristo, i martiri immettono nella storia un'energia di risurrezione. Mediano, con
una vitalità che è in grado di sacrificare la propria esistenza terrena, tra la
situazione storica che li uccide e Dio e Cristo. Hanno quasi un doppio ruolo
sacerdotale nei riguardi di Dio (wù {}eoù) e nei riguardi di Cristo (Toù Xgunoù).
Il loro ruolo sacerdotale che si riferisce direttamente a Dio è equivalente a
quello dei cristiani in generale, di cui abbiamo parlato: si tratta di una mediazione
tra il progetto di Dio scritto nel ~L~À[ov di 5,1ss e la realtà della storia. Il termine
legeìç comporta qui, come negli altri due casi già visti, l'impegno attivo di una
mediazione esercitata in vista del regno. Mentre, però, negli altri due testi i
cristiani in generale erano <<sacerdoti a Dio» (T0 {}ecjl), qui sono detti <<sacerdoti di
Dio» (mù {}wù). Il genitivo invece che il dativo non modifica il ruolo di
mediazione nei riguardi di Dio, ma sottolinea l'appartenenza totale, già
realizzata, dei martiri a Dio. Caratteristico di questo brano è l'abbinamento
esplicito di Cristo a Dio per quanto concerne la funzione sacerdotale dei martiri.
Appartenenti totalmente al giro di Dio e di Cristo, i martiri mediano non solo
riguardo a Dio, al suo progetto, ma anche nei riguardi di Cristo. Dando la vita
<<dove anche il loro Signore fu crocifisso» (11,8), sopravvivendo poi nella
valutazione degli uomini, i quali si accorgono con stupore che la loro morte ha il
segreto di una vita, portano Cristo nei risvolti della storia.

6. LE LINEE DI FONDO DEL SACEitDOZIO NELL'APOCALISSE

Giunti a questo punto della nostra analisi, possiamo dare uno sguardo al
cammino percorso e raccogliere in sintesi i risultati teologico-biblici di
maggiore importanza.
Il sacerdozio cosl come ci appare nell'Apocalisse è un ruolo attivo di
regno" che i cristiani devono esercitare nella storia, una volta raggiunti

28
• <?ueslo ruolo attivo, tipico del verbo «regnare))' come abbiamo visto più sopra, suppone il
livello ottJmalc che deriva ai cristiani dalla loro situazione di redenti, e, in certo senso, lo esprime.

367
dall'azione liberatrice di Cristo che li ha costituiti regno. È proprio la
dimensione del regno, nelle varie implicazioni che comporta, a precisare e a
dare corpo alla responsabilità sacerdotale dei cristiani.
Il quadro che, così, si è delineato a poco a poco, è di un'ampiezza e
ricchezza impressionanti. C'è sempre, sullo sfondo, la situazione attuale, di
cammino verso la pienezza escatologica che si realizzerà nella Gerusalemme
nuova.
Non vengono precisate le modalità concrete tramite le quali i cristiani
possono contribuire all'attualizzazione del regno e quindi esercitare il loro
sacerdozio. L'autore dell'Apocalisse lascia al gruppo di ascolto, soggetto
interpretante e protagonista attivo dell'esperienza che egli propone, le
conclusioni immediate, le scelte concrete. Ma da quanto abbiamo avuto modo
di vedere il quadro delle possibilità di attuazione è amplissimo. Abbraccia tutta
la vita, fino a richiederne, qualora le circostanze lo esigano, anche il dono
completo. Tutti i cristiani, sacerdoti impegnati nell'attuazione del regno, sono
dei martiri potenziali.

368
capitolo V

Gerusalemme nell'Apocalisse

l. INTRODUZIONE

L'Apocalisse - come tanti studi recenti sia sotto il profilo letterario che
sotto quello più contenutistico o teologico hanno dimostrato all'evidenza' -
attinge il suo materiale direttamente dall'A T'e lo rivive alla luce dell'esperien-
za cristiana. Potremmo dire che l'autore dell'Apocalisse rilegge l'A T alla luce
del Nuovo, ma intendendo con quest'ultimo non tanto gli scritti, con nessuno
dei quali appare sicuramente in contatto, quanto un contesto vissuto. Jl Nuovo
Testamento è per l'Apocalisse soprattutto l'esperienza di una comunità che lo
vive. Si è parlato in proposito - ma si tratta notoriamente di ipotesi - del
circolo giovanneo come pure di un ambiente post-paolino.'

1
Cf. per una documentazione bibliografica: U. V ANNI, L'Apoca/ypse johannique. État de la
question, VII L'Apocalypse et l"Ancien Testament, in Lambrecht, L'Apocalypse, pp. 31-32.
Per quanto riguarda la figura di Gerusalemme nell'Apocalisse, presenta una brevissima sintesi E.
Loi!SE in LL<ilv X!À, in GLNT XII, coli. 370-371. L'attenzione dei commentatori si ~ concentrata
soprattutto sulla Gerusalemme di 21-22: cf. per un'esposizione di alcune interpretazioni tipiche
(Bousset, Charles, Lohmeyer, Hadorn, Sickenberger, Wikenhauser, Kraft) e una presa di
posizione: Biici!ER, Die Johannes, pp. 106-120. La mancanza ùi una trattazione monografica di
insieme su Gerusalemme nell'Apocalisse ~ tuttora una lacuna nel quadro degli studi sull' Apocalis·
se. La presente ricerca vorrebbe essere un avvio per cominciare a colmarla.
' Qual è - ci si ~ chiesto ultimamente - la fonte diretta della Apocalisse per quanto
concerne l'A T: il testo ebraico, i LXX, o le traduzioni aramaiche dei Targumin? Semhra che un
contatto coi LXX, già sostenuto con passione dal Swete. sia da escludere. Alcuni studi hanno
riscontrato contatti interessanti tra i Targumin e alcune espressioni tipiche dell'Apocalisse (cf. ad
esempio McNAMARA, The New Tesrament, pp. 97-125; 189-237). Ma resta insoluta la questione di
una datazione posteriore di vari secoli di tutti i documenti targumici che oggi possediamo. D'altra
parte i vari studi condotti sul rapporto tra ATe Apocalisse (Vanhoye, Gangemi, Marconcini. ecc.)
mostrano in moltissimi casi un contatto diretto col testo ebraico-aramaico. Allo stato attuale della
ricerca non c'è dubbio che l'autore dell'Apocalisse usi l'A T direttamente nel testo ebraico e
aramaico che possediamo.
-' Il cosiddetto <~circolo giovanneo>~, notoriamente proposto da Culmann, permette di
risolvere scn1.a entrare nella problematica labirintica degli autori, il problema degli clementi
comuni tra l'Apocalisse e il quarto Vangelo. Ma ci sono delle difficoltà: degli studi accurati sulla
gnosi in Corinto e nell'Apocalisse hanno mostrato interessanti punti di contatto che ridimensiona-
no l'appartenenza dell'Apocalisse alla cosiddetta <<Scuola giovannea~~ (cf. E. ScHOSSLER FIORENZA,
Apocalypric and Gnosis in the Book o[ Reve/ation, in JBL (1973) 92. pp. 565-583. lo. The Quest,
pp. (402-427). Le tracce paolinc non sono limitate alla gnosi, ma si estendono anche a interessanti
punti di contatto linguistici, come l'uso esclusivo di rrvEu~an><Òlç (cf. !Cor 2,13-14 e Ap 11,8),

369
Nata nell'esperienza cnsttana di una comunità, l'Apocalisse è anche
indirizzata a un gruppo di ascoltatori, a una comunità. Senza costituire una
lettera vera e propria, il libro è uno scritto destinato alla lettura di un gruppo
che ascolta e reagisce, sempre nei termini di un'esperienza cristiana.
Quando, allora, ci si pone il problema di Gerusalemme nell'Apocalisse,
dato il rilievo a tutti i livelli- storico, politico, religioso, civile, profetico-
che la città assume nell'A T e la centralità che vi occupa, dato anche l'influsso
che Gerusalemme ha esercitato sulle comunità cristiane primitive, c'è da
aspettarsi che l'autore attinga abbondantemente dall'A T anche per Gerusa-
lemme e che, stimolato dal gruppo cristiano in cui il libro è maturato e al quale
è destinato, ne faccia una sua rielaborazione creativa.
Ciò premesso, possiamo precisare subito l'itinerario della nostra ricerca,
per comprendere che cosa è, che cosa rappresenta, che cosa evoca, che cosa
significa Gerusalemme nell'Apocalisse, raccoglieremo anzitutto gli elementi
che si riferiscono a Gerusalemme, facendone un breve esame analitico. Ci
chiederemo, in un secondo momento qual è l'impronta specifica che l'autore dà
a questo materiale: emergeranno così in una prospettiva sintetica i tratti
caratteristici di Gerusalemme come è stata ideata dall'autore. In un terzo
momento, confrontando il messaggio dell'Apocalisse con le nostre esigenze,
vedremo se - in che senso e con quali limiti - tale messaggio fa presa sulla
realtà storica attuale.

2. l TESTI DELL'APOCALISSE RIGUARDANTI GERUSALEMME

Passiamo ora all'esame diretto dei testi. Ma, per procedere con tutta
esattezza, si pone una questione preliminare: come identificarli? È noto che
l'autore dell'Apocalisse usa un linguaggio ricchissimo di immagini, evocativo e
allusivo, sempre sorprendentemente originale. Come possiamo individuare,
allora, con tutta sicurezza tutti quei testi e solo quelli che ci parlano di
Gerusalemme, senza tralasciarne nessuno e senza scambiarli con altri, sia
quando Gerusalemme è nominata espressamente, sia quando ci si riferisce ad
essa in maniera indiretta o per immagini?
L'autore stesso ci permette una soluzione chiara del problema: quando
nomina espressamente Gerusalemme, 'IEgouoaìdt!.t- lo fa 3 volte in tutto il
libro - collega il termine con una serie di attributi e aggettivi.
Troviamo, così, in 3,12, accanto a 'IEgouoaÀ~I.l indicate queste caratteri-
stiche:
«e il nome della città del mio Dio
della Gerusalemme nuova che discende dal cielo
(proveniente) dal mio Dio».

><tJQcaxoç (cf. 1Cor 11,20 e Ap 1,10). Si può parlare, per l'Apocalisse, di un ambiente religioso
evolutosi sulla duplice linea, giovannea e paolina, ormai a debita distanza dalle due matrici
originarie. Anche se la linea giovannea appare nettamente prevalente.

370
Rimandando a dopo l'analisi esegetica, notiamo che <<città del mio Dio>>
(rr6ì.Ewç wù frwù ~-tou), «discendente dal cielo, da Dio>>(~ Kata~a[vouaa EK
wù oùçavoù àrrò wù frwù ~-tou), «nuova» (tljç xmv~ç) sono tratti tipici di
Gerusalemme. Si riferiranno ad essa anche in testi nei quali il nome di
Gerusalemme non apparisse esplicitamente.
Si parla esplicitamente di Gerusalemme in 21,2.9-10, anche qui con tutta
una serie di attributi tipici:
«E la città santa
(la) Gerusalemme nuova
(la) vidi
discendente dal cielo
(proveniente) da Dio
già preparata come una sposa resa (si) bella per il suo uomo .
. . .mostrerò a te la fidanzata
la moglie dell'agnello
... e mi mostrò la città santa
Gerusalemme
discendente dal cielo, dalla zona di Dio».
Alla terminologia tipica desunta dal primo brano dobbiamo aggiungere
l'espressione «Città santa>> (t!ÌV ltOÀ~V T!ÌV ay(av), «fidanzata» (VUWJlflV),
«sposa, donna» (yuvaixa).
Otteniamo così un nucleo terminologico caratteristico e relativamente
variato che già ci lascia presagire la ricchezza teologica di questa figura: «Città
santa», «Città del mio Dio», «nuova», «che scende dal cielo», «fidanzata>>,
«donna».
Ripercorrendo il testo di tutto il libro alla luce di questo ventaglio di
termini, possiamo identificare altri passaggi in cui si parla di Gerusalemme
senza nominarla esplicitamente: l'espressione, così, ttìv JtOÀLV ttìv aylav «città
santa>> ci permetterà di riferire a Gerusalemme 11,2 e tutto il contesto a cui
appartiene unitariamente: 11,2-8; il termine yuvr'j, «donna», ci farà compren-
dere come riferito a Gerusalemme il canto di celebrazione di 19,7-8;
l'espressione T!ÌV JtOÀLV ttìv i]ymtl]!-IÉVflV, «la città che è stata ed è amata»,
manifestamente vicina a vu~qJTt e a yuvTj ci farà identificare Gerusalemme nella
città assediata nella battaglia escatologica di 20,9. Finalmente il termine yuvTj,
«fidanzata>>, ci farà ritrovare Gerusalemme nel dialogo liturgico idealizzato con
cui il libro si conclude: 22,17. Inoltre c'è una ricorrenza che apparentemente
sembra andare per conto suo rispetto a quelle indicate: in 14,1, si parla del
«monte di Sion» (oçoç Lu.iJv) e anch'esso si riferisce a Gerusalemme.
Ed ecco l'elenco complessivo dci brani che ne risulta, disposto secondo la
struttura del libro:'

• Ci riferiamo ora in seguito alla struttura letteraria dell'Apocalisse che abbiamo presentata
in La struttura.

371
Prima parte: 3,8
Seconda parte, sezione delle trombe: 11,2-8
sezione del triplice segno: 14,1
sezione conclusiva: 19,7-8; 20,9; 21,2-4; 21,9-22,4
Conclusione: 22,17.
Queste le ricorrenze sicure - prescindiamo da qualche altra di identifica-
zione dubbia e discutibile come quella della <<città» di 14,20 proposta
recentemente da A. Feuillet -;'distribuite come sono per tutto l'arco del libro
ci mostrano subito come questa figura è sempre presente all'autore. Esaminia-
mo brevemente le singole ricorrenze.

3. LA GERUSALEMME ESCATOLOGICA PROMESSA AL VINCITORE: AP 3,8

Il contesto immediato della Lettera a Filadelfia - quello appunto della


promessa al <<vincitore» che costituisce uno dei sei punti fissi dello schema
letterario secondo il quale è costruita ciascuna delle sette lettere della prima
parte -ci parla di una permanenza senza soluzione di continuità del vincitore
nell'ambito della sacralità di Dio: sarà <<Una colonna nel tempio del mio Dio, e
non ne dovrà assolutamente più uscire» (3,12a). Quest'appartenenza irreversi-
bile a Dio è indicata attraverso un'altra immagine, quella dell'iscrizione del
nome come segno di possesso stabile. Ed è a questo punto che troviamo il testo
che ci riguarda:
<<E scriverò su di lui
il nome del mio Dio
e il nome della città del mio Dio, la nuova Gerusalemme,
proprio quella che discende dal Cielo da parte del mio Dio
e il mio nome nuovo».
C'è anzitutto da notare l'espressione wii ~EOii 11ou: ricorrendo tre volte
nella stessa frase, acquista il rilievo di un <<motivo letterario>>: ripetendo con
insistenza martellante <<del mio Dio>> ("toii ~EOii 110u), il Cristo risorto che sta
parlando suggerisce subito nell'appartenenza a Dio e a lui una caratteristica
costante - è quasi una musica di fondo - della Gerusalemme di cui si
parla.
Più specificamente: Gerusalemme è ritenuta una grandezza nota: basta
nominarla per farsi intendere senza ombra di equivoco. È detta <<nuova>>.

' CL FEUILLET, La moi.sson, pp. 113-132; 225-250. Riferendo a Cristo Ap 14,19-20,


l'espressione H;wtìFv tiiç rr6l.nu; di 14.20a riguarderebbe la città ùi Gerusalemme c sarebbe
un'allusione precisa alla morte di Cristo avvenut<J <.fuori della città». Ma l'interpretazione in chiave
cristologica di tutto il hrano suscita tante perplessità da essere difficilmente accettabile. Per quanto
riguarda il nostro argomento, il rapporto tra Gerusalemme e crocifissione è affermato esplicita-
mente in A p Il ,8.

372
Il termine, nell'Apocalisse, sulla linea dell'uso veterotestamentario,' si riferisce
alla novità escatologica, contrapposta, in certo modo, alla situazione presente
che è vista sotto l'ombra di una negatività da superare. Tale novità è rapportata
in modo tutto particolare a Cristo, che ne è il realizzatore. Tutte le otto
ricorrenze di xmv6ç nell'Apocalisse si muovono in questa direzione precisa.'
La Gerusalemme, allora, sarà nuova perché si sostituirà a una Gerusalemme in
qualche modo attuale e sarà permeata tutta dalla realtà di Cristo.
La dimensione di novità escatologica è sottolineata dal suo rapporto
strettissimo con la trascendenza: è la <<Città di Dio», che appartiene totalmente
a lui. L'espressione è più forte che non <<Città santa>>. Scende <<dal cielo>>, dalla
zona della trasccndenza. e, si sottolinea esplicitando con una sforzatura
stilistica un significato già chiaro di <<cielo>>, viene <<da Dio>> ( ... ÈY. wu oùgavou,
6.:rtò TOU 1'tEOU !-lO"U).
Viene insinuata anche una qualche dimensione cristologica: la suggerisce
il parallelismo che abbiamo rilevato tra il nome di Dio, della città e di Cristo; la
suggerisce anche l'aggiunta di <<mio>> (~-tov) a <<Dio>> (1'tEOu). Dio a cui
appartiene Gerusalemme, è il Dio - si sottolinea con insistenza - di Cristo
che sta parlando. L'appartenenza di Dio a Cristo mette in contatto con Cristo
stesso la Gerusalemme che appartiene a Dio.
Finalmente c'è da sottolineare la dimensione antropologica: il nome di
Gerusalemme è scritto sulla fronte di un uomo. del vincitore, che, quindi, in
forza del simbolo usato, appartiene alla città,' come appartiene a Dio e a
Cristo.
Ma come potrà realizzarsi una simile appartenenza che sembra mettere
sullo stesso piano Dio, Cristo risorto che sta parlando e la città, da una parte, e
l'uomo vincitore dall'altra?
L'autore non ci dà, per il momento, nessuna risposta. Secondo il suo stile
vuole solo, in questo primo accenno a Gerusalemme, abbozzare un quadro,
evocare, suggerire. Nel decorso del libro questi interrogativi, per ora sospesi, si
chiariranno e si preciseranno, una volta - ed è questo ciò che l'autore vuole
ottenere adesso - suscitato l'interesse e un senso di attesa nel lettore-
ascoltatore.

' Cf. C. WESTF.RMANN. hàdfl!, in E. lENNI-C. WESTERMANN Theo/ogisches Handworterbuch


zum Alten Testament. MUnchen 1971, coli. 529-539, nota 5.
7
~ detto nuovo il «nome,>, la personalità dqnata al vincitore e che lo mette in un rapporto
tutto particolare c personale con Cristo (cf. 2,17). E nuovo il nome di Cristo risorto (cf. 3,12b). Il
<H_cantico nuovo>) riguar~a lui (cf. 5,9; 14,3). Il «Ciclo _nuovo c la terra nuova>> (21 ,l) come pure il
nnnovamento cscatologtco di tutto sono portati avanti dinamicamente da Cristo O.gvlov. Lo stesso
si deve dire della ((nuova>> Gerusale111me (cf. 3.12; 21,2).
. ' Osserva E. Lohmeyer: «Das Schreiben cines Namens auf jenen ... drUckt die Zugehorig-
ke~t aus, h1er zu Gott und seiner Stadt; es verleiht also gleichsam das BUrgerrecht in ihr», Die
Offenbarung, p. 37.

373
4. LA <<CITIÀ SANTA» CALPESTATA: AP 11,2-8

L'autore riprende il discorso su Gerusalemme in uno dei contesti notoria-


mente più difficili e discussi: l'episodio cosiddetto dei due testimoni del capitolo
11. A prescindere, almeno in un primo momento, dalla interpretazione contro-
versa della figura dei due testimoni,' il quadro riguardante Gerusalemme risulta
relativamente chiaro. Se ne parla una prima volta nel v. 2: << ... e la città santa
calpesteranno per quarantadue mesi ... ». Si tratta dei pagani (wiç ì:-ltvmLv: v. 2a)
che occupano il cortile esterno del tempio, senza però poter penetrare nella sua
parte più sacra né violare l'altare."' I <<pagani>> calpesteranno, profanandola,
Gerusalemme, detta qui, per la prima volta, la <<città santa» (t~v 1tOÀLv ~v
àylav). Si tratta di una denominazione corrente, usuale, diffusa nell'A T e nella
letteratura rabbinica." Gerusalemme è <<santa» perché è la città di Dio. che
appartiene a Dio in modo tutto particolare. La santità, tipica del tempio,
determinata da una separazione di fatto dal campo del profano e dalla presenza di
Dio, viene estesa a tutta la città che, quindi, è come il tempio allargato.
L'invasione dei <<pagani» la dissacrazione che essi attuano della città santa
ha una durata: i 42 mesi equivalgono a tre anni e mezzo. È il numero
caratteristico della parzialità, della precarietà: è la metà di 7 ed è applicato,
nell'Apocalisse, sotto forme aritmetiche diverse," al tempo delle forze ostili
che combattono nella storia in opposizione a Dio e a Cristo.
Gerusalemme profanata, pagani che invadono, tempo limitato perché sta
sotto il controllo di Dio: ma, ci chiediamo, di quale Gerusalemme si tratta?
Allude, l'autore, a un episodio storico avvenuto nell'AT o anche nel NT," per
esempio alla distruzione di Gerusalemme? Chi sono, propriamente i <<pagani»
invasori?
L'autore ci suggerisce una risposta in una frase di questo brano,
riguardante Gerusalemme, ma che, a una prima lettura, si presenta davvero
sconcertante. In Il ,8, parlando dei due testimoni che hanno concluso la loro
missione col sacrificio della vita, l'autore ci dice:
<< ... e il cadavere loro sulla piazza della città grande
che viene denominata sotto l'influsso dello Spirito
Sodoma ed Egitto
dove anche il loro Signore fu crocifisso».

' Cf. per un quadro bibliografico ed esegetico Il messaggio della salvezza, 8, Torino-
Leumann 197H, pp. 427·434.
111
Tale esegesi è suggerita dal simbolismo tipico dell'azione di ((misurare,. a nome di Dio col
significato di proteggere, assicurare, prendendo atto.
" Cf. per una documentazione in proposito, H. STliATHMANN, GLNT X. 1295-1300.
12
Cf. per un approfondimento del simbolismo aritmetico del!" Apocalisse. Parte prima, c. Il,
pp. 52-54.
. " La distruzione di Gerusalemme del 70 d.C. non corrisponde alla descrizione deli'Apoca-
hsse. dato che neppure gli adoratori furono risparmiati. Ciò non implica che si debba porre la
composizione dcii"Apocalisse prima del 70. che verso l'anno 68, come ha sostenuto RontNSON,
Redating. pp. 221·253.

374
L'allusione a Gerusalemme, contenuta nell'ultima espressione, ~ chiara,
al punto da non lasciare dubbio: il luogo <<dove il Signore fu crocifissO>> è
certamente Gerusalemme.
Ma la questione si complica a causa delle altre indicazioni che l'autore ci
presenta e che mette in parallelo a questa: la <<Città grande» (nìç l'tOÀEwç -ri]ç
flEyaAl]ç) è, nell'uso costante del suo linguaggio," Roma e non Gerusalemme:
il corpo dei due testimoni giace insepolto sulla piazza di Roma. Non solo, ma
l'autore stabilisce un'ulteriore equivalenza sorprendente: sotto l'influsso dello
Spirito - itVEUflattxwç sembra avere questo significato preciso, e non
semplicemente quello troppo vago di <<spiritualmente»"- la <<città grande» si
può denominare Sodoma e addirittura l'Egitto. Questa equivalenza multipla
tradisce la presenza di uno schema simbolico generalizzato di negatività che
può essere applicato ripetutamente, sotto una certa pressione dello Spirito, a
situazioni storiche diverse: sarà la negatività di Roma, sarà quella della città
corrotta per eccellenza," Sodoma; sarà la nazione pagana tipica radicalmente
ostile al popolo di Dio che è l'Egitto.
Lo stesso tipo, lo stesso paradigma di negatività si realizza anche nella
Gerusalemme che crocifisse Cristo.
La simbolizzazione che ne emerge ci permette allora, data la stretta
unitarietà di tutto il contesto 1,2-8, di precisare: anche la città santa calpestata
non è la Gerusalemme di un momento storico determinato e già realizzato
esaustivamente, ma è un paradigma simbolico che può trovare applicazioni
molteplici e ripetute nell'arco di sviluppo della storia. I 42 mesi, dato il loro
valore simbolico evidente, confermano la simbolizzazione di tutto il contesto.
I <<pagani», allora, sono le forze ostili di ogni tempo, eterogenee rispetto a
Gerusalemme; i 42 mesi indicano il tempo dello sviluppo in avanti della storia
della salvezza, tempo nel quale il male, anche se in via di superamento
graduale. è pur sempre presente ed attivo. Siamo, rispetto alla conclusione
finale risolutiva, che possiamo chiamare strettamente escatologica, in una fase
previa, pre-escatologica. La Gerusalemme di ogni età nella fase pre-escatolo-

" L'autore dell'Apocalisse parla, cominciando proprio da 11,8 di una rr6kcç 1\ l'fYCxÀIJ,
limitandosi all'inizio a questa indicazione ancora enigmatica. L'enigma è mantenuto in 16,19 dove
ricorre di nuovo l'espressione c il contenuw suggerisce un rapporto con Babilonia. In 17,18 si ha la
soluzione: n:6J...Lç i} IJ.fyétÀT] è una designazione quasi sinonima di Roma. Finalmente, nel dramma
liturgico di A p 18 l'espressione viene ripetuta cinque volte (18,10.16.18.19.21 ): la «grande città•
identificata espressamente con Babilonia (18,10) è condannata irreversibilmente e distrutta.
1
~ L'avverbio j'[VEUIJ.OtLx.<i>ç, ricorrente solo qui e in ICor 2,14 in tutto il NT. sembra avere,
qui come appunto nella ricorrenza paolina, il valore più preciso di <(in rapporto con lo Spirito>~.
nvrùj.la, inratti, non significa mai nell'Apocalisse «Spirito» nel senso di una contrapposizione alla
materia. Vi si insiste, invece, sullo Spirito che anima i profeti (cf 19.10; 22.6); si può allora
tntcndere rrvcu~anx(l>ç sulla linea di un significato che viene scoperto e attribuito dal gruppo degli
ò.xouovtEç (l ,3), che compie, nell'ambito dell'assemblea liturgica. la sua esperienza apocalittica.
16
Tutto questo rientra nel quadro del simbolismo antropologico riguardante la città che è
particolarmente sviluppato nell'Apocalisse, sia sotto l'aspetto positivo - e allora abbiamo la
simbolizzazionc di Gerusalemme - sia sotto l'aspetto negativo, che presenta come una
idealizzazione rovesciata.

375
gica può essere profanata, schiacciata dalle forze ostili. In essa possono trovarsi
simultaneamente e coabitare, come nella Gerusalemme che uccise Cristo,
elementi positivi e negativi. La sezione delle trombe (8,1-11,13) nella quale è
situato il brano che abbiamo analizzato è caratterizzata proprio da questa
<<parzialità intrastorica>>: l'azione della storia della salvezza, appena messasi in
moto, registra dei momenti di involuzione, dei momenti in cui le forze positive
sono di fatto superate e sconfitte da quelle negative. È il trionfo effimero ma
clamoroso del male.

5. IL MONTE SJON

Un'allusione chiara a Gerusalemme- al di fuori però della terminologia


consueta - si trova in 14, l:
<<E vidi
ed ecco l'agnello ritto sopra il monte Sion
e con lui 144.000 persone che avevano il nome di lui
e il nome del Padre di lui scritto sulle loro fronti».
Il <<monte di Sion» richiama Gerusalemme. Pur essendo solo una parte
della città, per la sua altezza ne costituiva il punto più elevato. Ciò portò ben
presto a una sua idealizzazione.
La posizione di monte diceva forza, capacità di dominio: «Sion>>,
particolarmente l'espressione «monte di Sion>>, diventa così simbolo di
sicurezza: la presenza di Dio in Sion è una forza sovrastante che domina
qualunque minaccia nemica.
La coscienza della presenza di JHWH fa si che questa sicurezza diventi
addirittura una capacità attiva di espansione, quasi una forza aggressiva.
Il monte Sion, la zona di Gerusalemme più vicina al cielo, fa pensare
particolarmente a Dio. La presenza di Dio che fa di Gerusalemme la «città
santa» vi si trova come concentrata. Si o n diventa sinonimo di tempio ma senza
nessuna implicazione cultuale. Dio, particolarmente presente, vi si rivela,
emana la sua legge, fa sentire la sua voce, è per tutti un polo di attrazione e di
risucchio. Messa più volte in parallelismo sinonimico con Gerusalemme, Sion
non ne rappresenta un duplicato: essa appare, potremmo dire, come un
condensato di Gerusalemme stessa sotto il profilo di una presenza attiva,
efficace, particolarmente coinvolgente di Dio nella storia della salvezza. 17
L'autore dell'Apocalisse, proprio mediante l'espressione <<monte di Sion>>
richiama questo contesto veterotestamentario che, come di consueto, costitui-
sce per lui il punto di partenza per una rielaborazione creativa. Per individuarla

" Cf., per una documentazione e un approfondimento analitico ulteriore, G. FoHRF.R,LLWv


KtÀ,in GLNT XII. 253-374; F. SroLz, Sijj6n, Zion, in JENNJ·WESTERMANN. Theo/ogisches
Handworterbuch zum A. T., Il, pp. 543-551.

376
riassumiamo la linea esegetica del contesto.,. Sul monte Sion converge la
presenza di Cristo àgvlov, di Cristo, cioè che, come deduciamo da Ap 5,6 dove
J'àgv[ov è presentato per la prima volta. morto e risorto, possiede la pienezza
dell'efficienza messianica e dello Spirito da inviare sulla terra. È il Cristo nel
pieno dinamismo della sua risurrezione: si dice infatti - ed è un particolare
significativo nel quadro del simbolismo antropologico dell'Apocalisse - che
l'àgvlov è Ècn:òç bl tò ògoç l:uov, <<ritto sul monte Sion>>: sottolineando con
ciò una certa prontezza ad agire."
Con lui sono i 144.000. Distinti dall'insieme del popolo di Dio essi
rappresentano un gruppo che, in analogia col resto di Israele dell'A T, anticipa
funzionalmente per tutti gli altri alcune caratteristiche della situazione escato-
logica.
Ma siamo, adesso, nel pieno dello sviluppo della storia della salvezza
cristologica. Il messaggio che l'esprime proviene dalla trascendenza di Dio,
risuona in una liturgia celestiale, diventa alla fine il <<Cantico nuovo>> che solo i
144.000 sono in grado di imparare per poi trasmetterlo agli altri.
Al gruppo degli ascoltatori vengono poi date delle piste indicative per
poter identificare nel proprio orizzonte storico le categorie che corrispondono
in concreto ai 144.000.
Alla luce di questa linea interpretativa, emerge già un'indicazione: il
monte Sion, luogo ideale della presenza simultanea di Cristo risorto con tutto il
suo dinamismo e di coloro che sono in grado di comprenderlo e di parteciparlo,
appare come il punto di partenza dell'azione messianica di Cristo nella storia.
Ma c'è di più. La caratteristica tipica dei 144.000 è il nome di Cristo e del
Padre scritto sulla fronte. Questo particolare ci ricollega, da una parte, a 3,12:
dove il contesto del «vincitore>> corrisponde aderentemente a quello dei
144.000; si ha una sacralità permanente, come pure il nome di Dio e di Cristo
scritto sulla fronte. C'è solo una differenza: manca, sulla fronte dei 144.000, il
nome di Gerusalemme. È significativa questa omissione? D'altra parte,
quando si sarà realizzata in pieno la Gerusalemme nuova, il nome di Dio sarà
scritto sulla fronte di tutti (cf. 22,4).
Si apre, allora, questa prospettiva. Il vincitore di 3,12 proiettato nel futuro,
appartiene pienamente a Dio, a Cristo, alla Gerusalemme. I 144.000 appartengo-
no in pieno a Cristo, a Dio, ma non ancora alla Gerusalemme perché da
realizzarsi. Essi si trovano soltanto sul «monte Sion>>. Quando, anche in forza del
loro contributo, la Gerusalemme nuova sarà una realtà, essa apparterrà loro, ma
apparterrà. insieme. a tutti. L'appartenenza attuale dei 144.000 a Dio e all'àgvlov
è in movimento verso questa appartenenza anche alla città.

'" Per una analisi esegetica e teologica biblica più denagliata mi permetto di rimandare al
mio articolo Questi seguono l'A~:nello dovunque vada (Ap 14,4), in PSV (1980) 2, pp. 171-192.
" Lo «stare in piedi» rientra nel quadro dell'antropologia del gesto e ha uno sviluppo
particolarmente interessante in tutlo il libro dell'Apocalisse: cf. Parte prima, c. II, p. 48, nota 42.

377
6. GERUSALEMME «DONNA DELL'AGNELLO»

Si riparta di Gerusalemme e lo si fa con un'insistenza tutta particolare


nella sezione conclusiva.
Il primo brano che incontriamo si colloca nel contesto della grande
dossologia di 19,1-8 la quale, caratterizzata come è dal <<motivo letterario>>
aÀÀT]Àov'Lét, ricorrente solo qui in tutto l'ambito del NT, acquista un rilievo
letterario e liturgico tutto suo.
La prima parte della dossologia- 19,1-4- è dedicata alla distruzione, già
avvenuta, di Babilonia, la l'IOQVTJ ~ !J.EYé!ÀTJ (cf. v. 2); la seconda parte, nella quale
sembra coinvolta'' anche l'assemblea liturgica terrestre (cf. 19,5), celebra invece il
trionfo della vUj.!qrr], che sarà descritto dettagliatamente in seguito. A quella che è
stata la condanna distruggitrice di una città-prostituta, Babilonia, viene contrap-
posto il trionfo di una sposa, che poi apparirà come città, Gerusalemme.
Ma vediamo il testo:
<<Alleluia
poiché regnò il Signore ...
e diamo a lui la gloria
poiché giunsero le nozze dell'agnello
e la sua donna si preparò
e le fu dato di rivestirsi
di lino puro e splendente.
Il lino infatti sono le azioni giuste dei santi>> (19,6-8).
Il testo ha un'importanza particolare per la nostra ricerca. Ci presenta
innanzitutto l'evento delle nozze dell'àQviov come il punto di arrivo di tutto lo
sviluppo della storia della salvezza. Le nozze sono infatti messe in parallelismo
sinonimico con il regno di Dio ormai stabilito.
Il punto di arrivo è detto yéxj.!oç, <<nozze>>. Si parla della yvv~, <<donna>>,
<<moglie>>, che viene attribuita all'àgviov. Abbiamo una concentrazione di
immagini con un contenuto particolarmente denso. Rispetto al Cristo <<agnel-
lo» - cioè, come l'autore ci dice esplicitamente la prima volta che introduce
questo termine cristologico che gli è caratteristico, il Cristo morto e risorto, con
la pienezza della sua efficienza messianica e dello Spirito che vuole partecipare
agli uomini - i santi, come verrà precisato subito, si trovano al livello di
reciprocità di un amore paritetico.

"' La dos.o;ologia di 19,1-8 comincia con il canto di una •grande foUa• in cielo (19,1): una sua prima
parte si conclude col solennissimo «Amen -alleluia» dei viventi e degli anziani ( 19.4), sempre in cielo. La
seconda parte è introdotta da una voce che parte dal trono. dal cielo, ma che. tenendo presenti coloro ai
quali si indirizza, non sembra arrestarsi al cielo: sì insiste, infatti, su una totalità (<<turri i suoi scrvitori» 19,5)
che comprende anche «coloro che lo temono>> (ol cpof}où~EVm nìrt:6v), una categoria che difficilmente si
può collocare a livello celeste. Quando poi segue la celebrazione vera e propria si ha di nuovo come
protagonista la <<grande folla>>, ma non si dice più che es.o.;a si trova nel cielo. Da ciò si può dedurre la
possibilità di un coinvolgimento nella celebrazione che segue anche dell'assemblea liturgica terrestre. E la
celebrazione che segue è proprio quella che riguarda le nozze dell'agnello.

378
Rispetto a questo punto di arrivo si dice che la <<donna dell'agnello si
preparò>>: si suppone, allora, uno sviluppo, un divenire antecedente, un
movimento che porta a questo livello conclusivo. La preparazione è quindi
distribuita nell'arco della storia della salvezza, prima della sua conclusione.
In che consiste questa preparazione? Con una coerenza continuata
nell'immagine" si parla del vestito nuziale, di cui è rivestita, per dono di Dio-
tb6\hj: passivo teologico: suppone Dio per autore e soggetto attivo - di un
<<vestito di lino puro e splendente>>.
La donna indossa questo vestito nel momento delle nozze, ma lo ha
preparato in antecedenza. La confezione dell'abito nuziale corrisponde al
periodo di preparazione ormai concluso.
Che cosa esprime il vestito nuziale <<di lino puro e splendente>> su cui
l'autore insiste con enfasi? L'autore stesso ci dà un'indicazione preziosa che
aiuta a decodificare il simbolo: il <<vestito di lino>> - è il valore del termine
Buomvov" corrisponde- a btlWlOOf!Ul:a tlÌJV ay[wv. Non è, questa, un'espres-
sione facile. Identificati come sono con l'abito, gli <<atti eseguiti di giustizia dei
santi>> indicano, secondo il simbolismo tipico dell'abito nell'Apocalisse, un
aspetto che riguarda la persona. Si deve trattare, perciò, di una <<giustizia>>, di
una rettitudine praticata che perfeziona la persona stessa. Ma tà btltatÙJf!ata
ha forse, in questo quadro, un senso più preciso. Si può intendere òtxa[wf!a
dandogli tutta la forza di significato che il suffisso -f.la rispetto al verbo Òtxat6w
suggerisce," come il prodotto di una azione giusta eseguita dai santi. Questi
ultimi. nell'uso dell'Apocalisse, sono soprattutto i fedeli ancora sulla terra.
Qual è allora, propriamente, la rettitudine prodotta dai santi nello
svolgimento della storia della salvezza e che diventa, a livello escatologico, una
loro qualifica personale ottimale? Il termine btxa[wf!a ricorre un'altra volta
nell'Apocalisse ed è riferito ai risultati dell'azione rettificante di Dio messa in
atto nel decorso della storia della salvezza. Non si tratta, qui, di un
perfezionamento personale, ma di effetti prodotti nella storia da Dio che è
detto con compiacenza <<giusto>> (cf. 16,5) e <<giusti>> sono riconosciuti i suoi
interventi (cf. 15,2.7; 19,2).

21
La struttura del simbolismo con una coerenza continuata - è uno dei tre tipi
fondamentali di struttura identificabili nell'Apocalisse -si ha quando il processo di decodificazio·
ne si sviluppa in parallelo con l'espressione simbolica, senza soluzione di continuità. Cf. Parte
prima, c. Il, pp. 55-56.
22
Il tenninc jluomvoç ha, nell'Apocalisse. il valore di un aggettivo sostantivato e indica la
preziosità della stoffa (cf. Bauer, s.v.). Ricorre con un valore negativo, con riferimento al lusso
tipico del contesto di Babilonia (18.12) c personalmente proprio a Babilonia (18,16); nelle altre
due ricorrenze, una riferita appunto alla ccdonna», l'anti-Babilonia ( 19.8) e l'altra riferita
all'esercito celeste (19.14) il senso positivo viene sottolineato dall'aggiunta dei due aggettivi «puro»
e «splendente•). Rientra, per quanto riguarda i tre ultimi casi, nel quadro del simbolismo
antropologico del vestito particolarmente sviluppato nell'Apocalisse.
n Il valore attivo del suffisso -m e quello passivo quando è attribuito a verbi transitivi di -IJ.a
si mantengono anche nel greco ellenistico c sono ri~contrabili più volte in quello tipico
dell'Apocalisse (cf. ad esempio 6QétoEL in 4,3; Ò!-'OlWjl<lta in 9,7).

379
Si deve allora riconoscere a tà btxauo!J.ata almeno una sfumatura di
significato sulla stessa linea: si tratta di quelle azioni, delle «opere>> realizzate
dai cristiani durante lo svolgimento della storia della salvezza e che, oltre che
appartenere ad essi fino ad esprimere la loro personalità, hanno anche un
influsso positivo sullo svolgimento della storia stessa, esercitano un'azione
rettificante nei confronti del male. La somma di tutte queste azioni costituisce
l'ahito della donna dell'agnello. La sua bellezza, la sua luminosità suggerisco-
no, secondo lo stile evocativo proprio dell'autore dell'Apocalisse, un certo
livello ottimale. Ritroveremo ÀaJ.lnQ6c; e xa{}aQ6ç detti qui dell'abito della
sposa, nella descrizione della Gerusalemme nuova (cf. 21, 18.21b; 22,1). Lo
stesso viene insinuato quando si sottolinea che quest'abito, preparato dalla
sposa a livello pre-escatologico -Tjtot!J.UOEV ha un senso pienamente attivo-
è, a livello escatologico, dono di Dio.

7. LA CmÀ AMATA

Si parla di Gerusalemme, ancora senza nominarla esplicitamente, in un


altro brano della sezione conclusiva: 20,9. Siamo nel contesto della conclusione
dialettica della storia della salvezza: lo scontro tra bene e male ha raggiunto il
suo momento decisivo. Le forze di segno negativo compiono uno sforzo
supremo che sembra coronato da successo:
<<E salirono sulla pianura della terra
e accerchiarono l'accampamento dei santi
e la città quella che è ed è stata amata>> (20,9).
Si tratta della battaglia che costituisce il punto di passaggio tra la fase pre-
escatologica e la fase definitiva. La battaglia si svolge in stadi successivi: si ha il
raduno dei due eserciti sulla pianura, l'esercito satanico, particolarmente
numeroso e potente, prevale su quello dei <<santi>> che viene accerchiato.
A questo punto l'autore aggiunge una precisazione: propriamente è accerchiato
l'accampamento dei santi, secondo lo svolgimento della battaglia che viene
sobriamente indicato. Ma l'immagine dell'accampamento non è sufficiente:
l'autore aggiunge allora l'espressione che ci riguarda da vicino, <<e la città
amata>>." La città è amata da Dio e lo è in permanenza come suggerisce il
participio perfetto TjyanT[J.!ÉVI]V. Questo amore è reale, è vero e senza rotture di
continuità anche quando la città si trova in questa situazione critica di
accerchiamento.
È un'esplicitazione di quanto trovavamo suggerito al capitolo 11, dove si
parlava del tempo limitato e provvisorio della prevalenza delle forze ostili.

2
A Il testo parla di un accerchiamento simultaneo dell'accampamento dei santi c della città.
Si tratta forse - più che di una descrizione rcalistica da riferire simultaneamente a un
accampamento a difesa della città - di un'allusione polivalente al popolo di Dio durante il
cammino nel deserto e poi insediato a Gerusalemme, la città amata per eccellenza da Dio. «The
"Comp of the saints" and the "Beloved City" are two aspects of one body, the Univcrsal
Church ... ~~ SWETE, Commentary.

380
Infatti questa prevalenza, che qui sembra decisiva e irreversibile, viene
improvvisamente rovesciata: si ha la distruzione, davvero definitiva e irreversi-
bile, delle forze del male. Questo tipo di distruzione è indicato dall'immagine
del fuoco che viene <<dal cielo>> - dalla zona della trascendenza divina - e
divora gli acccrchiatori. Che ne sarà della città amata in permanenza una volta
scomparse tutte le forze ostili che la insidiavano?

8. LA NUOVA GERUSALEMME

L'autore ci dà una risposta nella presentazione finale di Gerusalemme,


come sintesi conclusiva del movimento di una salvezza che si realizza nella
storia. Quando la dossologia del capitolo 19 lasciava intravedere nella sua parte
a direzione prospettica, viene ora, proprio alla conclusione del libro, sviluppa-
to e dettagliato. Abbiamo così la doppia presentazione della Gerusalemme
escatologica del c. 21. Le due presentazioni si susseguono in crescendo. Lungi
dall'essere un duplicato inaccettabile - era l'opinione della critica letteraria
della fine del secolo scorso, di cui troviamo ancora una traccia nel commento di
R.H. Charles" -le due presentazioni si richiamano e si completano a vicenda.
Vediamo come, esaminandone le grandi linee. La prima presentazione si
situa nel contesto del grande rinnovamento escatologico. Si parla di un cielo e
di una terra che, superato il mondo di prima, possiedono in pieno le
caratteristiche della novità di Cristo. E, subito dopo, viene introdotta la
Gerusalemme:
<<E la città quella santa
Gerusalemme nuova
vidi discendente dal cielo da Dio
già preparata
come una sposa adornata per il suo uomo>> (21,2).
Vengono ripresi i tratti caratteristici già indicati fin dalla prima parte:
presentati allora come futuri e in termini di promessa (3,12), ora sono un dato
di fatto compiuto. Allora si aveva un futuro (yQénvw), riferito a Gerusalemme
con tutte le sue implicazioni. Adesso si ha il fatto compiuto, espresso
dall'aoristo (dòov).
Vediamone gli aspetti principali e più qualificanti.
Gerusalemme, nominata esplicitamente, è detta qui, anzitutto, <<la città
santa>>. È la stessa espressione incontrata al c. 11 quando si parlava della città

" La doppia presentazione di Gerusalemme ha fatto problema: 21,1-8 e 21,9-22,5 sono


apparsi come un duplicato letterario, forse addirittura una svista dell'autore o del redattore finale
da ricomporre (Ch•rles, c. recentemente. J. Massingberdc Ford). Ma oggi una dislocazione dei
testl è ritenuta come superata. <<Rcv 21,9-22,5, the account of thc vision of the New Jerusalem,
looks very much likc a sel[-contained literary unit». M. Wn.cox, Tradition and Redaction of Rev
21,9-22,5, in LAMBREClll, L'Apocalypse, p. 205. Cf. Parte seconda, c. VIII, pp. 253-254.

381
santa calpestata dai pagani. Si tratta della stessa città, con la stessa qualifica,
<<Santa>>, che indica, sulla linea dell'uso veterotestamentario che abbiamo esa-
minato, una presenza particolare di Dio che tende a comunicare qualcosa di sé.
È la stessa città. Ma emerge una tensione tra la situazione di allora e
quella di adesso. La città infatti è detta <<nuova», con tutta la carica cristologica
che abbiamo già individuato nel termine. Nell'ambito, quindi, dello stesso
soggetto, la città, c'è una novità collegata con Cristo e dipendente da lui.
Quale?
Si ha subito una risposta, anche se in termini tuttora generici: la città è
<<discendente dal cielo, da parte di Dio». Partecipa - questo è il significato
della provenienza sottolineata - della trascendenza di Dio, è tutta secondo
Dio, è affine a lui.
Proveniente dal cielo, Gerusalemme non vi rimane. Si situa sulla terra,
anch'essa rinnovata. Si ha così un superamento della divisione tra cielo e terra,
tra la trascendenza e l'immanenza, tra la distanza e talvolta l'opposizione del
livello dell'uomo rispetto a quello di Dio.
Ma c'è un'altra caratteristica che viene indicata: la nuova Gerusalemme
- è preferibile chiamarla così piuttosto che Gerusalemme celeste - è <<Stata
ed è preparata (i]toq.taO!lÉVTiv) come una fidanzata che è stata e rimane
adornata (xEXOO!llJ!lÉVTJV) per il suo uomo» (n]l ÙVÒQL a\ni'Jç). È una città, ma
che viene subito proiettata sulla via dell'amore: è una città fatta di persone,
capaci appunto di amare. C'è stata una preparazione - l'autore riprende qui
quanto aveva anticipato nella dossologia del c. 19- ormai ultimata. La città
fidanzata, preparatasi, è pronta a incontrare lo sposo.
Finalmente c'è da notare, a proposito di questo contesto particolarmente
denso, un'esplicitazione, in termini uditivi dopo la presentazione in termini
visivi:" si dice che la Gerusalemme è la <<tenda» (i] OXT]V~) comune a Dio e agli
uomini: si ha, cioè, nella Gerusalemme nuova una convivenza allo stesso livello
tra Dio e gli uomini, con tutte le implicazioni che ne seguono. Prima tra tutte il
compimento dell'alleanza e la scomparsa definitiva di tutti gli elementi negativi
(cf. 21.4).
Questa prima presentazione della Gerusalemme nuova, pur nella sua
suggestività, lascia dei punti interrogativi sospesi: come si attuerà la convivenza
tra Dio e gli uomini? Qual è il contenuto realistico dell'immagine del
fidanzamento?
A questi interrogativi l'autore dà una risposta nella seconda presentazio-
ne di Gerusalemme, in 21,9-22,5. Raccogliamo da questa descrizione, uno dei
capolavori letterari dell'autore dell'Apocalisse, gli elementi significativi per la
nostra ricerca.''

26 È uno schema usuale nell'Apocalisse la successione e l'integrazione reciproca della parte

visiva e della parte uditiva. CL. ad esempio, l'apertura dei sigilli da parte dell'agnello (6-7).
27
Per una panoramica interessante e documentata delle varie interpretazioni della
Gerusalemme cf. BbcHER, Die Johannesapokalypse, pp. 106-120.

382
Anzitutto c'è una giustapposizione caratteristica di terrntm: l'angelus
interpres promette di far vedere all'autore lTJV VU!-HjlT)V lTJV YUVUÌXU toÙ ÙQVLOU
(21,9). La VUf.lCJlT), propriamente la <<fidanzata>>, preparata e ornata, di cui si
parlava qualche versetto prima, è diventata la «donna». Il passaggio tra i due
stadi indicati dai due termini è ormai un fatto attuato. Siamo in una situazione
di nuzialità realizzata.
Seguono le modalità di questa realizzazione. Una prima serie di esse,
introdotte da i:xouoa, i:xouoav (21,11a. 12a.b.), illustra la presenza di Dio nella
città, tutta compenetrata dalla «gloria»: questa è diventata una sorgente di
illuminazione (cpwO"TI)g) e la luce che irradia pervade la città. E la gloria
illuminante, la M!;a-cpwO"TI)Q è la realtà propria di Dio come l'autore. appena
salito al cielo (4,2-3), l'aveva sperimentata a livello di trascendenza: ci parla,
adesso come allora, di pietre preziose come espressione della realtà stessa di Dio
(21,11). Ma c'è un'immediatezza nel percepirla che non richiede più l'ascesa al
cielo: la luce che porta la realtà di Dio nella città è «simile a una pietra
preziosissima ... quando manda i suoi riflessi» (xgumaM.i~ovn) (21,11b).
La seconda modalità della situazione di nuzialità è di carattere sociale: è
lo stare insieme, proprio come in una vera città: ci sono le fondamenta, il muro
di cinta, le porte, addirittura le sentinelle alle porte. Questa cittadinanza
universale è il punto di arrivo di tutto il movimento della storia della salvezza
che passa dall'Antico al Nuovo Testamento, includendo tutte e due queste fasi
senza soluzione di continuità. L'autore lo dice, con un accenno sobrio ma
particolarmente evocativo, quando ci parla dei nomi delle dodici tribù di
Israele scritti sulle porte della città e dei nomi dei dodici apostoli dell'agnello
scritti sui fondamenti (cf. 21 ,12.14).
Seguendo lo schema proprio della struttura di una città (fondamenta,
mura, porte, ecc.), l'autore passa a considerare la nuova Gerusalemme più da
vicino: lo fa attraverso il simbolismo del misurare. L'angelo, con una canna
d'oro, misura- prende atto, verifica- prima la città in genere, poi le porte e
le mura (cf. 21,15).
Il risultato è sorprendente: le dimensioni al limite dell'immaginabile, la
forma cubica esprimono secondo il simbolismo aritmetico-geometrico del-
l' Apocalisse il massimo della perfezione realizza bile: Dio- si direbbe- non
poteva fare di più (21,16-17).
Le mura e le porte appaiono, alla verifica dell'angelo, tutte fatte di oro
risplendente e di pietre preziose: la struttura ridondante del simbolismo usata
qui dall'autore" sottolinea con un'insistenza, che sembra rimanere sempre
insoddisfatta, la preziosità massima di tutto. Tutta la città è pervasa della
ricchezza, della realtà di Dio. Non a caso viene ripresa con insistenza una

"' La <<Struttura ridondante» si ha, nell'Apocalisse, quando un elemento simbolico viene


ripetuto e quasi moltiplicato per se stesso. Si ottiene, così. un effetto letterario forlissimo di
accentuazione: cf. Parte prima, c. II, p. 58.

383
caratteristica dell';!bito della <<donna>>: la sua lucentezza rimasta allora - a
livello della dossologia del c. 19- un po' indeterminata, acquista il rilievo
preciso della partecipazione alla realtà di Dio (vv. 17-21).
Il tema del tempio costituisce un terzo ed ultimo giro letterario nella
presentazione della città. Nella città non c'è più bisogno di tempio, perché
tutto in essa lo è, omogeneamente. L'autore riprende il contesto teologico del
tempio, e, ripensandolo liberamente alla luce specialmente di Ezechiele (cf.
40-48), ne indica il superamento in termini di maggiorazione. E, man mano che
parla, si ha come un rialzo del tono letterario: l'autore appare sempre più preso
dal suo discorso. Si nota l'assenza del tempio, ma senza sorpresa. La presenza
di Dio e di Cristo àQv[ov rende tutta la città un tempio (21.22-23). La città-
tempio ha quella doppia funzione di irradiazione e di attrazione che esercitava
il tempio della Gerusalemme terrena: in uno schema letterario che riprende da
vicino quello dei salmi graduali, l'autore ci mostra questo doppio movimento,
alla luce del quale cerca di interpretare quella che sarà l'attività escatologica
(21 ,24-27).
Dal tempio, ripensato da Ezechiele (47,1-12), usciva un fiume portatore
di vita. La città-tempio è tutta pervasa dall'acqua della vita. E tale vita si
manifesta e concretizza in un'appartenenza irreversibile a Dio - il nome
scritto sulla fronte di tutti - e in una convivenza espressa in termini cultuali
idealizzati (22,1-5).
La nuzialità realizzata comporta - riassumendo - la partecipazione più
piena e completa alla realtà di Dio e di Cristo, attuata in una convivenza
paritetica con loro vissuta insieme da tutti gli uomini."

9. LA «FIDANZATA>>

Rimane ancora un brano da esaminare, prima di raccogliere in sintesi i


tratti caratteristici di questa figura teologica, che già cominciamo a intra-
vedere.
In quel dialogo liturgico idealizzato che costituisce la conclusione del libro
e nel quale intervengono esplicitamente come protagonisti Giovanni, l'angelus
interpres, Cristo risorto, l'assemblea liturgica e lo Spirito, si parla, proprio a

" Quando si parla di livello poritetico nel contesto della nuzialità, occorrono alcune
precisazioni. Il modello sociale esistente allora non comportava un tale livello paritetico: l'uomo
aveva una supremazia riconosciuta sulla donna, proprio nell'ambito del matrimonio. L'autore
dell'Apocalisse non ignorava tutto questo. Ma già nella idealizzazione nuziale dell'A T la
prevalenza dell'amore aveva portato a un certo superamento del dislivello sociale dci due sposi.
Nel Cantico dei cantici - ad esempio - la pariteticità dei due emerge senza ombra di dubbio.
Partendo allora da questa idealizzazione della situazione coniugale e sponsale che, sul filo
dell'amore, tende a diventare paritetica. l'autore sviluppa arditamente l'immagine in questo senso.
Ci sarà un livello paritetico di amore tra gli uomini, Cristo, Dio. Tale livello è confermato da un
contesto che quasi lo esige: non avrebbe senso compiuto parlare di coabitazione con Dio, di
condivisione con lui di tutto se poi il rapporto nuziale conservasse ancora la dipendenza tipica del
modello sociale di partenza.

384
proposito dell'assemblea liturgica, di una situazione di VU!lQJTI, «fidanzata»: è
uno dei termini caratteristici del nucleo riguardante Gerusalemme. «E lo
Spirito e la fidanzata dicono: vieni!» (22,17). La <<fidanzata>> (v'll!l<pTJ), come
abbiamo già osservato, non è ancora la <<donna>> (yuvt]), anche se ne è sulla via.
Identificata col gruppo degli axouovnç (cf. l ,3), ciascuno dei quali è invitato a
riportare l'invocazione <<Vieni!>>, l'assemblea liturgica è detta «fidanzata>>.
Animata dallo Spirito di Cristo, essa aspira alla presenza piena, <<nuziale>>, di
Cristo stesso. Come «fidanzata>>, sente già un legame di appartenenza che la
lega a lui.

10. LA fiGURA TEOLOGICA DI GERUSALEMME

Giunti a questo punto, la nostra analisi, lunga anche se inevitabilmente


sommaria, può dirsi completata. I vari elementi che abbiamo raccolto man
mano possono essere riuniti. secondo le loro affinità. in un quadro di insieme?
E qual è il quadro teologico di insieme che ne risulta?
Per rispondere con precisione a questa domanda occorre risolveme prima
un'altra: la Gerusalemme di cui ci parla l'autore è una figura simbolica o una
realtà?
Nel costruire i suoi quadri simbolici l'autore dell'Apocalisse parte da
realtà constatabili nell'esperienza concreta di ogni giorno e le trasforma dando
luogo così all"espressione di una realtà nuova. Questa viene percepita in tutta
la sua portata quando si decodifica l'espressione simbolica.
Per rispondere alla domanda se Gerusalemme è presentata in termini
realistici o simbolici, basta un semplice sguardo ai brani esaminati per scegliere
la seconda alternativa: le trasformazioni che l'autore fa intenzionalmente
rispetto al piano realistico- basti pensare alla dimensione della città, alla sua
forma cubica, alla sua polivalenza, ecc. - sono talmente evidenti da non
lasciare ombra di dubbio: Gerusalemme è un simbolo. Allora - è la
conseguenza più interessante che si impone -non dovrà essere scambiata per
una descrizione realistica: occorrerà, rivivendo creativamente il processo
simbolizzante dell'autore, scoprire la realtà nuova che viene indicata e
suggerita nella concentrazione propria del simbolo. Ciò riguarda tutti i dettagli
della presentazione della figura simbolica di Gerusalemme.
Ritornando ora alla domanda dalla quale siamo partiti. notiamo che i vari
passaggi, i vari tratti simbolici analizzati, proprio perché si richiamano a
vicenda, formano un quadro simbolico unitario. Lo abbiamo visto esaminando
le implicazioni reciproche, l'intreccio addirittura dei termini che ci hanno
permesso di identificare i brani riguardanti Gerusalemme. Gerusalemme,
nell'Apocalisse, è sempre la stessa figura simbolica unitaria. Ma questa figura
unitaria ha una sua complessità, che risulta evidente quando tentiamo di
precisarne i contorni.
Ci è apparsa in due situazioni diverse tra di loro, ma che si susseguono nel
tempo: la Gerusalemme calpestata dai nemici e nella quale può coesistere il

385
male; la Gerusalemme perfetta, al di là e al di sopra delle insidie del male e
dalla quale ogni forma di negatività è esplicitamente esclusa. Potremmo dire
che abbiamo la Gerusalemme penultima, pre-escatologica e la Gerusalemme
strettamente escatologica. II passaggio dall'una all'altra è indicato nei 144.000
con l'agnello sul monte Sion.
Ci sono poi altre due dimensioni di per sé diverse, ma attribuite tutte e
due alla stessa figura unitaria: Gerusalemme è pensata e vista da una parte
nella prospettiva dell'amore: è la <<fidanzata>>, che diventa <da donna>>;
dairaltra è presentata. e con insistenza, in una prospettiva sociale: è la città
nella quale si vive insieme.
Queste sono le quattro dimensioni più salienti della figura unitaria della
Gerusalemme quale risalta dall'Apocalisse. Come si situa la loro diversità
evidente nell'ambito della figura simbolica, fondamentalmente unitaria, come
abbiamo visto, della Gerusalemme?
Il libro dell'Apocalisse presenta, nella sua struttura, un movimento
lineare in avanti. Si articola secondo un asse di sviluppo, che partendo dalla
prima parte passa per tutte le sezioni della seconda, fino a risolversi nella
sezione conclusiva."'
Tenendo presente questo fatto letterario e ripercorrendo i brani che
abbiamo esaminati, vediamo che le quattro dimensioni quasi si inseguono a
vicenda, fino a confluire e fondersi tutte nella presentazione conclusiva.
In 3,12 si parla della Gerusalemme escatologica, le cui caratteristiche
ottimali vengono indicate chiaramente e suggerite. È la città, ma la sua
appartenenza così stretta a Dio, all'uomo e a Cristo - il nome è scritto sulla
fronte - , il parallelo col nome di Cristo, suggeriscono un'appartenenza, una
reciprocità che potrà svilupparsi in termini di amore. Tutto questo è promesso
come prospettiva futura alla chiesa che, nel suo presente, si deve purificare,
accettando il giudizio di Cristo su di lei." Si provoca come un movimento, una
tensione che, partendo dal livello della situazione di adesso, si indirizza verso il
livello escatologico intravisto. La chiesa si sente futura.
Si ha una prospettiva analoga in 11,2-8. La Gerusalemme pre-escatologi-
ca è esposta alle insidie delle forze ostili che potranno avere anche un
sopravvento. Ma il tempo limitato indica chiaramente che la situazione di
tribolazione, di pressione da parte delle forze ostili e di sconfitta subita passerà
e sarà superata. Anche qui si parte da un presente, visto con tutte le sue
parzialità, ma si ha in vista un futuro, il futuro escatologico, che appartiene

" Cf. VANNI, La stru/tura, pp. 206-235.


" Il giudizio sulla singola chiesa è uno dei sei punti fissi dello schema letterario delle sette
Lettere (indirizzo, auw-presentazione di Cristo, giudizio, esortazione particolare, esortazione
generale all'ascolto dello Spirito e promessa al vincitore). Il giudizio (olou ... ) esprime alla chiesa la
conuscenza che Cristo ha della sua situazione; rimperativo di Cristo che segue e con cui inizia
l'esorlazione particolare (qui xgé.tEL O Exnç: ~~tieni con forza ciò che hai>): 3,11). tenendo a
produrre ciò che esprime, cambia o consolida la situazione della chiesa.

386
alla «città santa» con lo stesso grado di verità della cruda esperienza del pre-
sente. Si ha, così, una spinta in avanti che parte dalla parzialità, dal «non
ancora» dalla situazione presente per giungere alla completezza escatologica.
Il movimento del passaggio tra le due fasi viene riferito in modo tutto
particolare a Cristo a~;~vlov (14,1-9). Egli prende il posto di JHWH sul <<monte
Sion>>, attuando così un superamento della trascendenza. La sua energia
messianica - attraverso i 144.000 - farà sì che si passi gradatamente dalla
situazione attuale a quella propriamente escatologica.

11. IL DINAMISMO DELLA <<PREPARAZIONE>>

Il passaggio non è un salto improvviso di qualità, quanto piuttosto uno


sviluppo. L'autore dell'Apocalisse lo chiama <<preparazione>>. Mediante la
preparazione attuata, si passa dalla situazione di parzialità che deve essere,
proprio come tale, superata, alla situazione di perfezione conclusiva. La
Gerusalemme pre-escatologica si prepara allora, durante tutto lo sviluppo della
storia della salvezza, a divenire la Gerusalemme escatologica.
È possibile determinare ulteriormente la spinta in avanti della preparazio-
ne? L'autore riferisce direttamente la preparazione attuata alla <<donna>> ma la
<<donna>> è, a sua volta, riferita alla <<Città>>. Ritroviamo così le altre due
dimensioni caratteristiche della figura di Gerusalemme: la dimensione dell'a-
more, la dimensione della convivenza. Ciascuna di esse è implicita nella
preparazione, nello sviluppo verso il livello escatologico.
La VUj.!cpll, <<fidanzata>>, detta semplicemente cosi, corrisponde alla
situazione presente. È una caratteristica dell'assemblea liturgica allo stato
attuale.
Ma la <<fidanzata>> non resterà eternamente tale. Arriverà il momento
delle nozze ed essa allora diventerà la yuviJ: c'è una tensione da parte della
<<fidanzata>> a diventare la <<donna>> e questa tensione si concretizza nella
preparazione.
Si ha una spinta in avanti anche sull'altra linea, nella dimensione della
<<città>>. Essa è promessa, fin dall'inizio, come <<nuova>>. Con ciò si contrappone
allo stato attuale: c'è una spinta verso un rinnovamento, che partendo
anch'essa dal livello pre-escatologico, si conclude nella novità escatologica.
Non solo. Le due ultime dimensioni qualitative - <<donna» e <<città» -
situate come sono nella linea dello sviluppo delle altre due, la fase pre-
escatologica ed escatologica che abbiamo indicate, appaiono nel punto di
partenza distinte chiaramente tra di loro, ma tendono poi a coincidere al punto
di arrivo.
La «città>> non è detta esplicitamente <<fidanzata>> né nella prima
presentazione a livello di promessa e molto meno nel tempQ della parzialità,
indicato al c. 2. Viceversa quando si parla semplicemente di vUf.lqJT], ci si

387
riferisce all'assemblea liturgica, ma non si fa la minima allusione alla città. Nel
passaggio dalla fase pre-escatologica a quella escatologica, al momento della
battaglia decisiva, nell'espressione <<la città amata>> le due dimensioni tendono
a ravvicinarsi, anche se non è esplicitato il tipo di amore del quale la città è
oggetto.
La precisazione si avrà subito dopo e si svilupperà gradatamente. In un
primo momento le due dimensioni saranno semplicemente accostate. Partendo
dalla <<Città» si dirà che essa, la Gerusalemme nuova, è «ormai preparata come
una fidanzata ornata già per il suo uomo». La preparazione attuata-" ha fatto sì
che <<la città» possa essere compresa, pensata, immaginata ( wç) sulla linea della
<<fidanza t a».
Nella seconda presentazione che segue immediatamente, la <<fidanzata»
diventata <<donna» coincide perfettamente con la «città»; <<ti mostrerò (bt:l;w
oot)- viene detto all'autore dell'angelus interpres -la fidanzata-donna», e, di
fatto. <<mi mostrò>> (€on;F:v flOL: lo stesso verbo) la <<città santa>>.
Finché la <<fidanzata>> è soltanto tale e la <<città>>; non è ancora <<nuova>>,
non appare un contatto tra di loro. Il contatto, secondo lo sviluppo della
preparazione. viene specificato gradualmente, data anche la novità ardita
dell'immagine unitaria finale," fino a diventare coincidenza piena. Quando la
<<fidanzata>> è divenuta <<la donna>> è anche <<la città>>; ugualmente quando la
«Città>> è divenuta <<nuova>>, è già sulla linea della <<fidanzata».
L'amore tipico di fidanzata raggiunge il livello di nuzialità della fase
escatologica; una convivenza minacciata e che può addirittura scadere allivello
di Babilonia (cf. c. 18) nella fase pre-escatologica, diventa «nuova», permeata
di Cristo, nella fase propriamente escatologica.

12. L'INTERPRETAZIONE DELLA FIGURA SIMBOLICA

Se ora ci chiediamo qual è l'equivalente realistico della figura sim-


bolica complessa della Gerusalemme dell'Apocalisse, la risposta è a questo
punto relativamente semplice: Gerusalemme esprime la realtà del popolo di
Dio.
È un popolo di Dio unitario e universale, anche se ha due aspetti di
presentazione distinti: l'Antico e il Nuovo Testamento. Questo popolo di Dio
ha, nel suo sviluppo cronologico, una fase pre-escatologica nella quale è

12 Da rilevare tutta la portata semantica del perfetto ~toq!aa~v «Si è preparata e rimane

tale»: indica una preparazione, iniziata nel passato, il cui effeno continua nel presente e alla quale
la <<fidanzata» ha collaborato (senso medio: cf. i}toi.J.LaaEv ÉavTi]v «preparò se stessa>~ di 19,7).
·" Cf. BRDTSCH, La clarté, pp. 377-378 le osservazioni di P. Claudcl a proposito della
Gerusalemme così come presentata nel commento dell'Allo (ad es. «Voilà une fiancée qu'il
faudrait de grands bras pour étrcinJrc!))).
esposto alle insidie e alle pressioni del male; ma è già unito a Cristo con un
vincolo di amore irreversibile. Collabora con lui al superamento del male,
esprimendo le sue opere di rettitudine. Così si prepara.
A preparazione ultimata, il popolo raggiunge. nella fase escatologica, la
sua pienezza. Questa consiste in una circolarità paritetica di amore tra Cristo
risorto, Dio e tutti gli uomini. La barriera della trascendenza è, in certo senso,
vertiginosamente superata: siamo al livello che Paolo chiamerebbe <<Dio tutto
in tutti>> (cf. lCor 15.28).

13. CoNCLUSIONE: L'APPLICAZIONE ALLA STORIA DI OGGI

Il passaggio tra la figura simbolica di Gerusalemme e il suo equivalente


realistico, propriamente, deve essere fatto nell'Apocalisse dal gruppo degli
àxouovnç (l ,3) che sono i protagonisti interpretativi di tutto il libro.
Ciò comporta alcune sottolineature ulteriori.
Anzitutto il passaggio dal simbolo all'equivalente realistico, la decodifica-
zione del simbolo, non è, nell'Apocalisse, un virtuosismo, la ricerca oziosa di
corrispondenze intellettuali. Il gruppo vive nella sua storia: la decodificazione
avrà la sua traiettoria completa quando diverrà anche applicativa, illuminando,
appunto, la situazione storica nella quale il gruppo vive.
Rispecchiandosi nella figura complessa di Gerusalemme, il gruppo
verifica la sua situazione presente, il suo livello di amore- è, il gruppo stesso,
la vUJ.Lq;'l - , la sua capacità di convivenza. la sua reattività di fronte alle
pressioni storiche ostili, il suo impegno di collaborazione a vincere il male.
Rivede la sua preparazione, nelle circostanze storiche concrete in cui si trova.
Da questa applicazione coraggiosa fatta dagli àxouovtEç alla propria
situazione storica intesa in tutta la sua concretezza seguiranno delle conclusioni
operative che dipenderanno, nella loro formulazione precisa, dalle circostanze
storiche stesse. Le «opere di rettitudine dei santi>> saranno diverse in rapporto
alla contingenza storica nella quale si dovranno realizzare.
Ma c'è anche un aspetto più generale, quasi un denominatore comune, di
queste conclusioni più specifiche. Il gruppo-chiesa si sente in divenire. Al di là
dell'illusione di una completezza già raggiunta, al di qua di quella che potrebbe
essere un'utopia allo stato puro e che costituirebbe un'evasione nebulosa e
onirica, il contenuto simbolico di Gerusalemme, compreso e applicato, fa presa
su una situazione sociale reale, spingendo verso una situazione migliore,
ugualmente reale, preparata nell'impegno di ogni giorno.
La creatività dell'autore dell'Apocalisse appare chiara e affascinante
proprio in confronto con i suoi modelli ispiratori. L'intuizione di una presenza
in termini di amore di Dio tra gli uomini rapportata a Gerusalemme che
ritroviamo in Ezechiele, nel Terzo Isaia e un po' dappertutto neii'AT, viene
sviluppata fino alla convivenza nella reciprocità escatologica, resa possibile dal
ruolo determinante svolto da Cristo risorto.

389
L'esperienza della Gerusalemme storica, la presa di coscienza di quei
valori impliciti che proiettati nel futuro l'hanno fatta diventare promessa e
profezia già a livello dell'AT, sono, per l'autore, l'inizio di un cammino, di uno
sviluppo che può culminare solo nella Gerusalemme nuova. Non ci sono due
Gerusalemme, come non ci sono due popoli di Dio.
Soprattutto, proprio perché volutamente e radicalmente simbolizzata, la
figura teologica di Gerusalemme possiede l'attualità, la freschezza perenne del
simbolo. Adeguatamente interpretata e applicata, la Gerusalemme dell'Apo-
calisse è stata nel passato. è per noi oggi, sarà anche in futuro in grado di
evocare e far gustare creativamente un tipo di esistenza che ci compete, e alla
quale aspiriamo tutti. Gerusalemme, ugualmente città di Dio, di Cristo e degli
uomini, dove la divinità diventa umana e l'umanità si fa sorprendentemente
divina, portata al livello di un amore vertiginoso, è davvero la nostra città.

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6,2 203
4,24 130 9,30 129
Genesi
10,17 298 327 12,11 64
16,1-7 178 13, l 64
1,1-2,3 255 22,12 235
2,7 186 Giudici 31,6 203
3,20 335 340 34,3 64
3,21 232 5,31 135
19,24 275(bis) 7,13 206 Salmi
23 248
Esodo 2 105 246(bis)
2 Samue/e 247
4,6 129 7,14 2,8 105
271
7,20 216 15,1 259
17,28 206
7,21 216 19,1-7 219
9,13-35 216 l Re 24 105
10,21-23 216 29,5 35
12,1-27 178 16,31 45 48,7 238
12,10 178 17,1-7 250 51,7 129
12,46 178 61,4 259
16 250 2 Re 62,10 203
19,4 222 77,19 35
19,6 357 2,6-11 201 89,37-38 234
19,16 35 4,42 206 89,38 234
24,1-12 175 9,22 45 91 105
24,4 235 95 105
25,31 124 Tobia 105,3 298 327
28,4 43 106,48b 105
29,38-42 178 12 185 118 105
12,15 110 185 146-150 24
150 185
Levitico
2 Maccabei
Proverbi
19,36 203 3,25 201
23,5-6 178 5,2-3 201 2,2 64
26,26 197 203 13,4 327 3,11-12 156
15,36 88 5,13 64
Numeri 8,22 144
Giobbe 8,30 143
12,10 129 11, l 203
28,3-8 178 1,6-12 295 16,11 203

405
18,15 64 44,6 269 280 9,2 43
20,23 203 48,12 269 9,11 43
21,17 206 49,18 340 13,5 88
22,17 64 52,1 232 256 16,7-8 152
23,12 64 53 350 17 163
27,2 153 53,7 178(bis) 32,7 216
56,6-8 340 32,8 216
Cantico dei cantici 60,4 231 340 37,9 188
61,10 232 257(bis) 37,27 260
5 163 63,13 323(bis) 38,22 216 273(bis)
5,1-2 157 158 63,3 323 40-48 385
5, l 158 65,16-19 142 43,2 132
5,2 158(tcr) 159 65,17 255(bis) 45,10 203(ter)
6,10 10 65,18 255 47,1-12 384
9,9 170 65,20-25 255
66 246 Daniele
Sapienza 66,7-9 231
66,7 246(ter) 2 66
16,22 66,8 240 246 247 2,18 66
216
2,19 66
19,19-20 36
Geremia 2,27 66
2,28 66
Siracide 4,31 238 2,29 66
6,24 238 2,30 66
21,25 203 9,15 216 2,47 66(bis)
43,18 129 11,19 179 4,37 9
13,21 238 7,3-6 39
Isaia 15,2 67 7,9 51(ter)
22,23 238 240 129(bis)
1,18 129 30,6 238(bis) 240 7,13 23(bis)
6,1 173 31,3-14 340 125(ter)
6,2 39 173 32,10 203 7,13-14 312(bis)
6,3 173 41,8 206 8,10 243
7,14 246( quater) 43,11 67 10,1 94
9,2 110 185 49,22 238 10,1-4 115
9,3 IlO 185 50,43 238 IO, 1-12,4 94
11,1-3 186 10,2-9 87
11,2-3 186 187 188 Baruch 10,2-14 87
13,6 88 10,5 43 126(ter)
13,8 238(ter) 4,36-37 340 127
13,9 88 5,5 340 10,5-6 115
13,10 216 219 10,5-8 87
14,13 235 Ezechiele 10,6 130 131
21,3 238 132(bis)
24-27 239 262 l 170(ter) 171 10,7-9 115
25,8 262 1,4-6 170 10,9 87
26,17 240 l ,5 170 10,10-14 87
26,17-18 238 345 1,5-10 39 10,10-21 115
34-35 262 1,10 171 12,11 250(bis)
37,3 238 1,18 170 171 172
40,6 50 1,24 132 Osea
41 269 4,16 197 203(bis)
42,2 134 5,1 203 2,1 231
43,5-6 340 5,16 197 2,6 231

406
2,16-18 250 Nuovo Testamento Giovanni
12,7 203
12,9 l 50( bis) 1,1 120
13,13 240 Matteo 184
l' 1-18
1,11 341
Gioele 5,15 313(bis) 1,16a 283
5,45 232 l ,19 180 338
11,12 248 1,29 165 178
1,15 88 11,15 64(bis)
2,1 1,36 178 180 338
88 12,29 248
2,10 219 1,47 338
13,19 248 1,49 280 286 287
2,11 88 13,22 151 1,50 287
3,4 88 13,43 64(bis)
4,14 1,51 125 175
88 17,1-9 115 2 337
17,2 51 135 232 2,1 334
Amos 22,44 233 2,1-3 334
24,28 222 2,3 334 339 342
5,18 88(bis) 24,43-44 315 2,3-4 12 278 333
5,20 88 25.29 137 2,4 333 334(bis)
6,6 210 27,11 282 336 342 346
8,4-6 210 27,38 287 2,4a 336
8,5 203 27,40-44 287 2,4-8 334
27,45-50 287 2,5 337
Ab dia 27,54 287 2,9-12 334
28,3 51 154 2,11 337(bis)
15 88 2,12 346
3,2 281
Marco
3,3 28l(bis)
Michea 3,4 339
4,9 64(bis) 3,5 28l(bis) 339
4,9s 238 240 9,2-10 115 3,13 125 281
6,11 203 9,3 51 3,14 125 281
16,5 51 154 3,15 339
Sofonia 3,16 281 339
3,18 281
Luca
1,7 88 3,21 281
1,14 88 3,36 339
2,2 88 1,28 346 4,2 281
2,3 88 1,40 346 4,10 270
2 217 4,14 270 339
Zaccaria 2,35 346 4,23 307(bis)
5,1 274 4,23-24 307
5,2 274 4,26 308
1,7-17 49 8,8 64(bis) 4,36 339
1,8 201 8,22 274 5,1-18 308
3,1 295 8,23 274 5,19-20a 308
4,2 124 8,33 274 5,20b 308
4,10 172 9,28-36 115 5,24 308
6,2-3 201 9,29 51 5,25 307 306(bis)
12,10 312 12,37 157 5,25-29 322
12,39-40 315 5,27 125
Malachia 14,28 68 5,28-29 308
17,20 89 6,9 206
3,23 88 17,37 222 6,15 248

407
6,47 339 19,27 337 338 341 2 Corinti
6,56-57 160 19,27b 341(his)
7,30 337 19,28-32 338 2 217
8,12 337 19,30 287 12,2 248
8,27-28 287 19,31-37 338 12,4 248
9 155 19,34 287
10,12 248 19,36 178 180 Galati
10,29 248 20 183
11,50 286 20,1 183 4,19 247 339
11,51-52 286 20,1-22 183
12,23 126 20,12 51 154
Efesini
12,32 285 264(bis)
12,34 125(bis) 20,17 189
13,1 1,3-14 184
337 339 20,19-22 183
4,10-13b 245
14,6 282 20,20 286
4,13 247
14,17 281 20,22 187 2B7
5,11 117
14,23 159 20,24-27 183
15,26 281 20,24-28 183
16,13 281 21,15 180 Fi/ippesi
16,32 341(bis)
17,1 337 1,7 117
Atti
18,3 284 2,5-11 184
18,5 299 4,14 117
1,14 346
18,19-23 284 2 217
18,28-19,24 282 8,39 248
Co/ossesi
18,28-19,26 282 20,7 90•
18,30 285 23,10 248 1,12-20 184
18,31 297 1,15 144(bis)
18,33 284 1,18 110 144
18,34 284
Romani 2,16 233
18,36 279 283 4,16 144
18,37 282 284 1,25 104
18,38 284 3,16 151 l Tessa/onicesi
18,39 284 7,24 151
18,40 285 9,5 104 4,17 248
18,19 287 11,17 117 5,1 305
19,6 285 11,36 104 5,2 315
19,10-11 284 5,26 74
19,14 284 ·1 Corinti 5,27 73
19,14-16 285
19,15-17 251 2,10 81 Ebrei
19,16a 283 2,10-16 81
19,18 338 2,13 46 80 1,7 185(bis)
19,19 284 2,13-14 369 1,14 185(bis)
19,19-22 118 181 338 2,14 375 2,8 233
19,20 362 9,23 117 4,12-18 134
19,22 284 11,20 88 96(bis)
19,23-24 338 370 Giacomo
19,24-25 343(bis) 14,16 104
19,25 337 15,19 151 2,1-4 210
19,25-27 337 339 15,24-25 298 4,9 151
19,26 333 337 15,28 302 388 5,1-6 210
338 342 16,2 90(ter) 5,1 151
19,26-27 12 278 333 16,22 401(bis) 5,9 157

408
l Pietro 106(bis) 288 119(bis) 352
354 355 1,9-10 92 354
4,11 104 1,4-8 26 27 56 1,9-11 115
5,11 104 74(bis) l ,9-16 100 115
84(bis) 92 94 1,9-20 359
2 Pietro 100 !Ol(bis) l ,9a 92
102(bis) 104 1,10 Il 16
1,17 135 106 109 113 87
3,10 315 114(bis) (quinquies)
3,11-12 305 116(bis) 288 88(bis)
3,18 104 329 354 355 89(bis)
1,4a 20(bis) 21 90(bis)
l Giovanni 104 !06(bis) 9l(bis)
1,4b 20 104 94(ter) 95
2,18 309 112(ter) 96(bis) 121
2,20 155 l ,4b-5a 107 133(bis) 183
2,27 155 l ,5 18 85 296 319 354 370
321 349 350 1,10-17 65
2 Giovanni 352(bis) l,lOa 116
1,5a 102 103 107 l,lOb 121
l 176 111 120 l, Il 76 77 121
1,5b 84 102(bis) 1,12 123 133 191
3 Giovanni 103 354 1,12-16 115
1,5bss 289 1,12-18 89
176 1,5s 101 l, 12-20 56
l,Sb-6 26 75 103 104 l, 12a 56 124(bis)
Apocalisse 106 107 110 1,12b 124
111 288 1,12b-13 124
1,1 79 117 139 1,5-7 113 114 1,13 23 42 43 66
1,1-2 106 1,6 48 111 143 123 191
1,1-3 106 311 1,13a 56
1,2-3 228 1,6 349 352 353 1,14 51(bis) 128
1,2-5 119 354 358(bis) 129 154 319
1,2-8 375 362( quater) 322
1,3 20 21 26(bis) 363( ter) 1,14-15 57
27 44(bis) 55 1,6a 92 102 103 1,14-16 41
74 75 76(bis) 1,6b 102 103 107 1,14-18 148
77 79 84 93 113 1,15 128 154
94 105 1,7 23 102 103 1,16 35 57 133 139
106(ter) 199 104 107 111 140 155 202
299 112(ter) 143 232 320 322
(quinquies) 3ll(bis) 354 325
251 296 317 1,7-8 103 1,16b 303
375 385 389 1,7a 26 75 l ,17 110
1,3a 104 1,7b 26 75 354 1,17-20 136
1,4 18 76 85 1,8 26 75 84 102 1,17a 115 136
110(bis) 113 103 104 107 l,l?b-18 136
117 123 112(bis) 113 l,l?b-20 115
1,4 168 184 145 354 l' 18 51 89
185(ter) 1,8a 102 112 l, 19 65(bis)
186(bis) 355 l ,8b 112 122(bis)
l ,4--3,22 63 100 313 l ,9 76(bis) 77 87 1,19-20 136
l ,4-5a 26 74 92 115 1,20 34 48
103(bis) 104 116(bis) 117 65(quater)

409
70(bis) 71 83 148 168 185 4,1 34 67 79(bis)
113 125 132 186 187(bis) 121 312 318
139 141 191 235 319 320
235 3,lb 315 4,1-2a 93
1,20a 66140 3,2-3 148 4,1-5,14 100
1,20b 66 104 141 3,3a 317 4,1-10 23(bis)
1,21 65 3,3b 314 317 4,1-22,5 65 66 100
1,26 235 3,4 42 51 101 154 4,1b 94 316
1-9 27 3,5 42(bis) 43 51 4,2 34 49 94(bis)
1-22 89 154 185 95 121 326
2 387 3,6 64 4,2-3 383
2,1 48 65 125 3,8 372(bis) 4,2b 230
139(bis) 141 3,9 299 4,2ss 169
191 235 313 3,10 119 224 4,3 49 379
2,1b 313 3,11 140 235 316 4,4 42(bis) 49 51
2,2-3 313 386 154 167 175
2,2 119 140 3,12 31 34 176 191 235
2,3 119 145(bis) 370 4,5 35 59 60 80
2,4 148 313 373 377(bis) 168 185 186
2,4-5 101 381 386 187 234
2,5 313(bis) 3,12a 372 4,5-14 82
2,7 64 93 104 185 3,12b 373 4,6 35 256
2,8 110 3,13 64 153 185 4,6-8 170
2,9 117 118 150 3,14 111(bis) 120 4,6-8a 57
2,10 34 54 117 118 137 144 296 4,6b-8 169 201
140 235 319 321 4,6-11 170
243(bis) 3,14-22 100 137 4,6a 169(bis)
2,10b-11 101 3,14b 137 142 4,6b-8a 38 165 167
2,11 64 93 104 185 3,14s 137 4,6b 171
207 275 276 3,14ss 137 4,7 172 200
2,12 320 325 3,15 137(bis) 146 222( ter) 223
2,13 206 3,15-18 163 228
2,14-20 140 3,15b-16 163 4,8 172 173 204
2,16 71 234 3,17 137 149(ter) 4,8b 38 169
314(bis) 320 163 4,8c 173
2,17 51 64 93 96 3,17-18 149 4,9 49 174 204
101 104 145 3,17a 163 358
185 319 373 3,18 42(bis) 129 4,10 49 175 235
2,18 319 322(bis) 145(bis) 163 4,11 48 145 358
2,18b 132 191 266 317 4--5 95 101
2,19 119 3,19 149(ter) 155 5 47 166
2,20 44(bis) 196 157 159 163 5,1 49 166(bis)
2,21 71 3,19-20 163 190
2,22 45 117 118 3,20 48 96 137 5,1-3 165 166 190
2,23 147 149(ter) 157 200
2,25 140 158(bis) 5, 1ss 367
2,26-27 320 163(bis) 5,2 166
2,27 246(bis) 3,20-21 101 5,3 34
2,28 34 101 247 3,21 82 137 160 5,4 166 191
2,29 64 93 185 189 5,5 38 162 166
2,3 lO(qualer) 3,21-22 271 173
77(bis) 133 3,22 64 162(bis) 5,5-14, 175
229 185 302 5,5a 191
3,1 110(quater) 4 47 5,6 20 21 38 39

410
48 57 59 80 6,2 49 52 6,7 382
110(ter) 155 199( ter) 204 7,1 48
165 167(ter) 235 264 319 7,1-8 54
168 182 185 321(quater) 7,2 36 207
186 191 322 324 7,4 54 68
204(bis) 237 6,2a 199 7,5-8 54
290 301 302 6,3 174 7,7-8 266
323 345 360 6,3-4 193 263 7,9 42(bis) 43 49
377 6,3a 199 51 54 154 182
5,6-8 100 165(bis) 6,3b 199 204 216
5,7 38 49 167 188 6,3c 199 7,10 49
190 191 6,3c-4a 199 7,11 204
5,8 174 188 189 6,4 49 50 182 7,12 111 143(bis)
191 204 199 204 311 358
5,8-10 167 6,4a 50 7,13 42(bis) 43 51
5,8-14 167 200 6,5 49 50174194 154
5,9 162 182 200 199(bis) 202 7,13-15 72
255 266 349 6,5-6 11100 7,14 42 118 154
352 373 193(bis) 198 202 296
5,9-10 291 292 264 7,15 49
360(ter) 6,5a 199 7,16 40 49
5,9-13 301 6,5b 50 199 7,17 38 179
5,9-14 255 6,5c 199 8,1 34 215
5,9b 361 6,5d 199 8,1-11,13 376
5,9b-10 266 6,6 200(bis) 8,1-11,14 100 122 215
5,9s 350 211 212 8,2 110 186 215
5,10 349 353 361 6,7 174 263 8,3 38 19l(bis)
363(bis) 6,7-8 193 263(bis) 215
5,11 53 68174358 6,7a 199 8,3-4 191 192
5,11-12 167 360 6,7b 199 8,3-5 215
5,12 182 6,7c 199 8,5 35 48 60 192
5,13 34 48 49 145 6,8 38 49(bis) 53 234
167 230 301 199(bis) 204 8,6 215
358(bis) 359 6,8a 199 8,6-12 231
360 6,8b 38 50 193 8,7 36(bis) 49
5,14 111 143 6,9 41 182 297 215 216
167(bis) 174 6,9-11 35 43 366 8,7-9,21 216
204 311 360 6,10 224 8,7-12 37 53 216
5,19 145 6,11 42 43 51 53 8,8 36(bis) 37
6 190 117 154 185 216
6,1 174 6,12 36{bis) 50 8,9 41 145
6,1-2 193 264 266 202 218 8,10 36
293 6,12-14 231 8,11 36 37 216
6,1-7 38 6,12-17 37(bis) 60 8,12 36(ter)
6,1-7,17 100 6,13 34 36(bis) 216(ter)
6,1-8 38 55 79 95 202 230 217(ter)
193(bis) 198 6,14 34 36(bis) 8,12-13 100 215 216
199(bis) 262 230 8,13 173 215
362 6,14-15 37 216(bis) 217
6,1~,11 216 6,15 25 150 352 221(bis) 223
6,1a 199 6,16 38 179 9,1 34
6,lb 199 6,17 37 48 9,1-11 231 298
6,1c 199 88(quater) 9,1-12 31
6,lss 38 193 89 9,2 36

411
9,4 49 367(bis) 369 82
9,5 38 54 372 374 375 12,5a 245
9,7 34 201 235 11,8b 46(bis) 80 12,5b 248
379 112 12,6 53 249(bis)
9,7-11 25 11,10 224(bis) 12,7 38 249 250
9,8 45 11 ,10-11a 25 12,7-10 295
9,9 201 11,11 48 182 12,7ss 295
9,10 54 11,12 10 67 12,8 249
9,11 68 139 206 11,13 218 358 12,9 59 244 295
298(his) 352 11,14 224 321
9,12 224 11,15 81 177 234 12,10 117 353 357
9,13 191 279 294 345 12,10-11 29S(bis)
9,13-19 31 244 353 357 12,11 41 161
9,14 139 11,15--16,16 100 218 230 12,12 223
9,16 53 58 68 11,15-18 294 353 12,13 222 246
9,16-19 38 11,15-19 216 234 12,13-18 249(bis)
9,17-18 202 11,17 103 12,14 173 222(bis)
9,17 49 50 11,17-18 295 249
9,20 191 11,18 110 353 12,17 119 249 297
10 166 11,19 35 60 12,18 4S
10,1 35 42 234(ter) 13 66 67 69(bis)
10,2 204 11,19b 234 96
10,3 3S(his) 38 11,13 28 13,1 35 69
10,4 3S(his) 12 10 243(bis)
10,5 48 (quinquies) 13,1-8 66 298
10.6 145 32 231 227 13,1-17 69
10,7 71 72 79 (quinquies) 13,1-18 79
10,7b 79 239(bis) 276 13,1ss 69
10,8 48 204 333 334(bis) 13,2 8 110
10,8-10 166 340 ter) 13,3 70 182
10,9 67 342(ter) 13,6 38
10,11 76 352 343(ter) 344 13,7 38 so
10,18 110 347(bis) 13,8 182 224
10-19 27 12,1 35 36 54 135 13,9 66
11 42 250 374 228 230 234 13,9-10 81
380 382 242 13,10 67 82 119
11,1-13 IO 12,1-2 229 13,10a 67
11,1b-13 25 12,1-6 11 12 57 100 13,10b 67
11 ,lss 257 227 228 229 13,11 38 82 110 290
11,1 366 251 278 333 13,11-17 67 298
11,2 44 53 250 342(bis) 13,12 224
371 374 12,1-7 96 13,13 230
11,2-8 371 372 12,1a 229 13,14 224(bis)
374 386 12,1ss 333 13,14-15 38
11,2a 374 12,1-17 10 45 13,15 so
11,3 42 53 250 12,2 226 240(bis) 13,16-18 11
11,3-12 10 25 344 13,17 68
11,3-13 366 12,3 SO(ter) 13,18 9 52 63 66 67
11,5 352 54 110 242 68 70 82 229
11,6 36 242(bis) 298 13,18a 67
11,7-8 312 12,3-4a 241 14,1 48(bis) 303
11,7-9 25 12,4-S 345 371 372 376
11,7 69 12,4b 244 299 14,1-5 54
11,8 59 300 321 12,4 34 36 38 48 14,1-9 386

412
14,2 191 16,1-21 37 216 17,9-14 46
14,3 145 204 373 16,2 69 17,9-18 83
14,4 45 324(bis) 16,3 41 110 139 17,9a 63 70 71 83
377 16,5 139 154 379 17,9b-18 71
14,4-5 72 16,7 112 139 17,11 69
14,6 49 223 16,8 36 17,12 69 352
14,6-7 223 16,9 37(bis) 358 353(bis)
14,7 230 358 16,9b 69 17,12-13 69
14,8 69 242 16,10 69 353 17,12-14 298
14,9 69 242 16,11 37 17,13 69 353
14,11 69 16,13 69 17,14 9(his) 38 181
14,12 67 119 16,13-14 298 212 298 320
14,13 93(bis) 104 16,14 37 88(bis) 327(ter) 352
110 112 185 110 317 352 17,15 49
14,14 23(his) 49 52 16,15 42 43 154 315 17,16 69
125(bis) 191 316 317(bis) 17,17 69
204 235 319 16,16 68 81 317 321 17,18 46 352 353
14,14-16 23 16,17 268(ter) 375
14,14--20 23 24(bis) 16,17-22,5 100 17-18 80
56 140 16,18-21 60 234 17-20 28
14, 14ss 25 16,18 35 17,19 353
14,15 23 49 242 16,19 46 375 18 27 56%
14,15-16 325 16.20 36 375 388
14,16 23 49 16,21 34 37 18,1-24 26 69
14,17 23 242 16,21b 37 18,1 358
14,17-19 23 17 96 221 352 18,3 150 352
14,18 23(bis) 242 17,1 49 18,4 117
14,19 23 24 17,1-17 83 18,4-5 111
14,19-20 58 320 17,2 110 224 352 18,6 153
325 372 17,3 28 49 69(bis) 18,7 49 69 210
14,20 38 46 201 72 94(bis) 95 298 304
326(bis) 372 121 18,9 298 352
14,20a 372 17,3-6 210 18,10 27(his) 48
14,20b 58 17,3-6a 69 375(bis)
14,29b 325 17,3-14 70 18,10-19 27
15,1 70 218 17,3-18 45 18, Il 211
242(bis) 17,3b-6 69(bis) 18,11-13 25 41 298
15,2 35 36 37 49 17,4 42 153 18,12 211 379
68 69182 191 191(bis) 204 18,13 40 41 201
229 254 379 17,5 70 71 83 18,13a 211
15,2--4 48 17,5b 45 18,13b 211
15,3 70 352 17,6 45 119 18,13c 212
15,5 127 320 17,6b 70 83 18,14 41
15,5--16,1 4S 17,7 69(bis) 71 18,15 27 48 150
15,6 127(ter) 153 72 174 18,16 27 42 69 191
191 17,7-8 71 375 379
15,7 38 191 192 17,7-9 65 18,17 27 35
204 379 17,7-18 69 41 48
15,8 358 17,8 69(bis) 70 18,18 375
15,11 217 83 224 18,19 27 35 112
15,14 88 89 316 17,9 9 49 63(bis) 150 375
15,16 150 316 66 67 69 352 18,19b 69
16 217 17,9-11 69 18-20 26
16,1-16 37 17,9-12 70 18,21 35 352 375

413
18,22 41 153 202 319 21,2 47 145 253
18,23 41 45 323 379 256 371 373
18,24 27 182 352 19,15 246(bis) 320 381
19 381 382 384 325(bis) 21,2-4 372
19,1 311 358 378 19, 15b 326 21,3 39 254(bis)
19,1-4 378 19,16 42 154 293 258
19,1-7 302 299 300 320 21,4 261 382
19,1-8 24 25 326 352 21,5 49 55
378(bis) 19,17 223(bis) 1~s) 253
19,2 378 379 19,17-19 323 21,5a 265
19,2b 24 19,17-21 384 21,5b 267
19,3 311 19,18 49 201 21,5b-8 254
19,3a 24 19,18-20 231 21,6 49 145(bis)
19,3b 24 19,19 49 69 202 267 268 270
19,4 3949111143 19,20 69(bis) 273 21,7 267 270
174(bis) 177 274(bis) 21,8 267 270 272
204 236 19,21 49 202 273 274 275
302(bis) 20 9(ter) 10 27 21,9 39 45 47 84
31l(bis) 320 20,1-6 10 53 253 329 383
378 20,1-10 256 300 364 21,9-10 371
19,5 38 378(ter) 20,3 53 71 21,9-22,4 372
19,6 311 353 20,4 41 69 119 300 21,9-22,5 253(bis) 260
19,6-8 378 364 263 381 (ter)
19,7 38 45 258 20,4-5a 364(bis) 382
358 388 20,4-6 364 21,10 94(bis) 95
19,7-8 258 319 20,4b-5a 364 121
371 372 20,5 110 353 21,10-21 329
19,8 42(bis) 59 BO 20,5b 300 21,11 234 358 383
112 153 20,5b-6 364 365 21,11a 383
258(bis) 324 20,6 275 349 353 21, 11b 383
379 362 364( ter) 21,12 176 301
19,9 38 45 352 366 344 383
19,10 79 93 117 20,8 68 249 21,12-14 236
119(ter) 121 20,9 371 372 21,12a 383
297 375 380(his) 21 ,12b 383
19,10b 79 228 20,10 69(bis) 273 21,12b-13 236
19,11 49 52 202 212 20,11 49 52 230 21 '12-21 54
267 319 320 20,12 110 21,13-14 301
326 20,13 110 21,14 47 176
19,11-16 112 210 20,14 273(bis) 301 383
299(his) 318 274 275 21,14b 236
319(bis) 20,15 273 274 21,15 191 383
320(bis) 20,19 275 21,16-17 383
19,11-17 299 21 47 381 21,17 47 301
19,11-20,6 10 21,1 35 36(ter) 21,18 153(bis) 191
19,11-21 42 188(bis) 230 380
19,11-22,5 319 253 254(bis) 21,18-21 125
19,11b 212 260 265 21,19-20 58
19,12 243(bis) 319 266( ter) 301 21,21 153(bis) 191
322 327 328 373 21,21b 325 380
19,13 120(ter) 146 21,1-4 212 21-22 39
154 267 299 21,1-8 100 253(ter) 21,22-23 384
319 323 254(bis) 21,23 36(bis) 39
19,14 52 112(bis) 21,1-22,5 253(ter) 233 324 358

414
21,23-31 329 22,6 84 119 22,15 272( quater)
21,24 259 302 121 375 22,16 34 85 106
352 358 22,6-21 1184105113 22,17 45 49 84(bis)
21,24-27 384 116 145(bis) 85 96104 155
21,26 358 267 329 185 258 330
21-22 369 22,7 85 371 372 385
21,23 303 22,8 117 22,17b 270
21,24 27 22,9 117 22,18 85
22,1 38 39 270 301 22,10 112(bis) 311 22,18-19 85
302 380 22,11 85 22,20 85 89
22,1-5 302 329 384 22,12-13 85 111(bis) 143
22,2 54 302(bis) 22,13 113 145(ter) 311
22,3 38 301 303 146 268 22,20a 320
22,4 362 377 269(quater) 22,20b 330
22.5 253 303(ter) 22,14 42 43 154 22,21 104(bis) 311
324 353 361 22,14-15 85

415
Fonti extrabibliche

IEnoch Didaché

62,4 238 10,6 89 105


89-90 179 311(ter)
95,45 179 330
14,1 89
Qumriln 90(bis)
95(bis)
101!3-18 239(bis)
1QH3,5 240
1QH3,7 239 240
1QH3,8 239
1QH3,9 239
1QH3,10 239
240(bis)
llQPs 105

417
Indice degli autori

AGOSTINO 170 185 260 265


ALBERTO MAGNO 180
ALETTI J.-N. 8
ALLO E.B. 170 180 186 193 196 207 388
ALONSO DIAZ J. 137 138
AMBROGIO 260
ANDREA DI CESAREA 18 67 180 185 197 260
ANSELMO 186
ARCHILOCO 219
ARETA DI CESAREA 185
AUNE D.E. 9

BACCHIOCCffi S. 90
BALDI-:NSPERGER G. 193
BALTHASAR U. VON 10
BARR D.L. 8
BARRETT C.K. 307 337
BARTH K. 170
BARTINA S. 45 165 170 180
BAUCKIIAM R. 9 10 36 315
BAUER W. 132 135 156 207 212 219 220 223 232 238 240 248 257 272 379
BAUER J.B. 137 138
BEALE G.K. 9
BEASLEY-MURRAY G.R. 11
BEATO DI LIEBANA 260 265
BEDA 180
BERGMEIER R. 166
BERNARD A. 32 43 47 52 55
BIETENHARD H. 300
Bt.ASS F.-DF.BRUNNER A.-REHKOPF F. 65 103 307
8 27
BI.EVINS J.L.
BòCHER O. 9 12 193 280 333 369 382
BOISMARD E. 13 170 175 186 336
80NSIRVEN J. 170 186

419
BoRNKAMM G. 63 175 180
BoussET W. 185 231 369
BOYER J. L. 10
BRADY D. 11
BRAUN F.M. 282 335
BRAUN H. 239
BROWN R.E. 280 283 309
BROWNLEE W.H. 101
BRùTSCH CH. 44 46 50 71 101 166 170 180 186 193 201 302 388
BuscEMI A. 305

CABANISS A. 101
CAIRO G.B. 32 207 230
CALLAUD J. 28
CAMBIER J. 31
CAMPS G. 87 115 120
CAOUOT A. 233
CARREZ M. 73
CASSIODORO 185
CERFAUX L. 180
CHARLES R.H. 26 43 121 142 150 158 180 185 196 198 205 215 253 317 369 381
CHARLESWORTH J.H. 179
CHARLIER J. -P. 8
CICERONE 205
CLAUDEL P. 388
CLEMENTE ALESSANDRINO 120
COLLINS T. 11
CoLLINS J .J. 8
CoLUNGA A. 253
CoMBLIN J. 23 178 253
CONZELMANN H. 90
CoRNELIO A LAPIDE 180
CORSANI B. 11
CORSINI E. Il
CoTHÉNET E. 8
CULLMANN 0. 67 87

DE BAAR H. 126
DE LA POTTERIE l. 282 287 307 335 336 338 340 341
DEHANSCHUTTER B. 296
DELCOR M. 51 243 250 312
DELLING G. 101
DELOBEL J. 17
DELORME J. 28

420
DIBELIUSM. 65
DIEHL E.50 74
DORNSEIFF F. 193
D'SousA J.D. 165
DUBARLE A. -M. 335
0UGMORE C. W. 87 89 90
0UPLANTIER J.P. 28

Eco U. 73
EcuMENIO 180 185
EDWARDS P. 10
EFIRD J.M. 8
EFREM 336
EHRIIARDT A. 137
ELLER V. 352
ERBETTA M. 273
EscANDE J. 282
EusEBIO 117 120
EZELL D. 31 33

FARRER A. 101
FERRARO G. 307 308 335
FEUILLET A. 7 10 25 158 180 185 248 323 336 343 350 372
FILOSTRATO 195
FISCHER K.M. 10
FITZMEYER J.A. 335
FLAVIO GIUSEPPE 43 127 195
fOERSTFR W. 31 35 55 78 184 220
FOHRER G. 376
FRIEDRICH G. 122 217

GACHTER P. 335
GALENO 142
GANGEMI A. 125 276 369
GESENIUS W. 203
GEYSER A. 9
GIIIBERTI G. 306
GIBLJN C.H. 10
G!ESEN H. 7 8
GIROLAMO 46 55
GIUSTINO 90 97
GLASSON T.F. 9
GOLLJNGER H. 10 227 235 238 240 242 246 247 248 249
GouLDER M.D. 8

421
GOURGUES M. 10
GRASSI J .A. 10
GREGORIO NISSENO 336
GREIMAS A. -J. 28
GUARDINI R. 180
GUNKEL H. 180
GUNTHER J.J. 8
GUNTIIER W. 10
GUTHRIE D. 8

HAAPA E. 49 193 201


HADORN W. 369
HAILEY H. 11
HALVER R. 32 39
HANCHEN E. 90
HANIIART K. 8
HARLÉ P. 165
HARNACK A. 195
HARTMANN TH. 232
HAUCK F. 52 54 119
HAUGG D. 366
HEILIGENTHAL R. 147
HEMER C.J. 10 123 137 138 142 147 148 151 155
HILLYER G.E. 165
HOHNJEC N. 10 165 178 179 180 300 360
HoRsT J. 64
HOSKYNS E.C. 335

IGNAZIO D'ANTIOCHIA 89 90 91 97 138


IPPOLITO 67 120
IRENEO 67 117 120 170 186 195 260 265 364

JAUBERT A. 282
JESKE R.L. IO 121
JbRNS K.P. 101
JoOoN P. 185

KAFKA F. 39
KASSING A. 239
KAVANAGII M.A. 105 145 267
KERl,NYI K. 32
KITTEL G. 269
KNowELS J.H. 10
KRAFT H. 89 92 101 120 1% 197 207 230 246 250 369

422
KRAUSS S.193 195 196 207
KRETSCHMAR G. 11
KDHLEWEIN J. 231

LAMBRECHT J. 7 17 19 280 296 381


LAMPE G.W.H. 90
LANCELLOTTI A. 8
LANG P. 50 130
LANGEVIN P.E. 105
LAPPLE A. IO
LAUCHLI S. 101 102
LEOPARDI G. 233
LE V EQUE J. 170
LIDDEL H.G. -SCOTT R -Jr>NES H.S. 173 203 205 274
LIEDKE G. 64
LIETZMANN H. 105
LOHMEYER E. 44 185 196 197 203 215 230 317 369 373
LOHSE E. 53 121 186 369
LUCIANO 327

MACLAREN D.M. 193


MAIER G. li
MARCONCINI B. 124 369
MASSINGBERD-FORD J. 166 196 19/ 203 207 381
McCAsLAND S.V. 87
McKENZIE J.L. 250
McNAMARA M. 276 369
METZGER B.M. 67 131 193 260 265 269 361
MICHAEL J.H. 35 38
MICIIAELIS W. 51 259
MICHL J. 170 180 185 186
MICKELSEN A.B. 9
MILLIGAN G. 223
MINEAR P.S. 9
MOFFAT J. 193 195 206
MoNGE GARCIA J .L. 124
MoNTAGNINI F. 227
MoocK W. 170
MORALDI L. 240
MORICONI B. 10 165 185 186
MùRING E. 92
MOULTON J.H. 22 64 223
MowRY L. 101
MDLLER U.B. 11

423
MOLLER H.P. 35 166 216
MUNCK J. 366
MUNOZ LEON D. 8
MussiESG. 19 131
MussNER F. 247

NEIRYNCK F. 341
NELLIS J.233
NIKOLASCII F. 165

0LSSON B. 336
0RIGENE 67 120
0RTIZ VALDIVIESO P. 119
OsTEN SACKEN P. voN DER 101 102 110
0ZANNE C.G. 9

PADILLA F. 63
PAGE S.H.T. 9
PARKER H.M. 9
PASCOLI G. 166
PASQUETTO v. 189 306
PENNA R. 71
PESCHEK J. 47 l 01
PIKAZA J. 28 67 227 248
PrNDARO 138
PINT ARO J. 24
PIPER O. 101
POPKES W. 9
PoYTHRESS V.S. 8
PRIGENT P. 11 29 47 101 118 138 180 216 227 293 298 311 317 326 352
PRIMASIO 18 67 129 178 184 195 258

RAD G.
VON 34
RAGAZ L. 180
RAMSAY W.M. 10 123
RAURELL F. 9
REICKE 8. 9 40
REINACH S. 195
RENAN E. 180
RENGSTORF K.H. 52
RISSI M.180 186 317 319
ROBINSON J.A.T. 195 374
ROCHAIS G. 10
ROLLER O. 166

424
ROLOFF J. 11
RoRDORF W. 87 91 96
RosscuP J.E. 10
ROYSE J.R. 10
RUDWICK M.J.S. 137 147
ROHLE O. 52
RussELL D.S. 76

SAFFO 50 233
SAHLIN H. 336
SARTRE L.J. 8
SCIILIER H. 67 117 118
SCHMID J. 17
SCHNACKENBURG R. 309
SCHNEPEL E. 180
SCIIÙRER E. 195
SCHURMANN H. 10
SCHÙSSLER FIORENZA E. 9 10 11 12 48 101 102 333 349 350 369
SCHWEIZER F. 186
SERRA A. 336
SHEA W.H. 10
SICKENBERGER J. 369
SILBERMANN L.H. 137
SKRINJAR A. 180 185
SOGGIN A. 34 239
SPITTA F. 180
STAHLIN J. 180
STANLEY D.M. 253
STARITZ K. 166
STOCK K. 10
STOLT J. 8
STOLZ F. 376
STOTT w. 87 91
STRACK H.L. -BILLERBERCK P. 276
STRANI) K.A. 10 87 89
STRATHMANN H. 374
STROBEL A. 89
SVETONIO 195
SwEET J.P.M. 11
SWETE H.B. 180 216 275 369 380

TACITO 142
TAZIANO 336
TEODORO DI MoPSUESTIA 336

425
TERTULLIANO 120
TESTA E. 10
THEISSEN G. 210
THURIAN M. 335 336
TIIOSING w. 253 286
TICONIO 67 147 180 185 260 265
TOMMASO o'AOUINO 186
TREVIJANO ETCIIEVERRIA R. 10
TRITES A. 366
TRUDINGER P. 111 137
TURNER N. 22 64

ULRICHSEN H. 8

VAN DER EYNDE P. 35


VAN DER WouoE A.S. 204
VAN GENNEP A. 31 101
V ANHOYE A. 124 336 350
V ANNI U. 7 8 10 13 23 25 35 60 63 64 69 74 77 78 81 84 102 109 116 122 123 137
160 168 172 190 192 193 194 215 218 229 230 234 244 253 277 279 305 306
310 313 317 318 319 324 329 349 360 369 371 386
VAWT'ER B. 12
VELOSO M. 32
VIELIIAUER P. 254
VIRGILIO 233
VITTORINO DI PETTAU 18 67 68 180 185

WEISS K. 233
WESTERMANN C. 373
WHEALON J.F. 9
WIKENHAUSER A. 180 369
WILCOX M. 381
WoLFF G. 10

Y ARBRO COLLINS A. 7 8 9 11 27 32 74 295 333

ZEILINGER F. 7

426
INDICE GENERALE

Sigle e abbreviazioni ............................................................ . pag. 5

Introduzione )) 7

parte prima
ERMENEUTICA ............................................................... . » 15

CAPITOLO I
L'APPROCCIO LETTERARIO DELL'APOCALISSE ............ . )) 17
l. Introduzione: il testo dell'Apocalisse ................................... . )) 17
2. Analisi letteraria, esegesi, ermeneutica ................................ . » 19
3. Il livello grammaticale ...................................................... . )) 20
4. Lo stile d eli' Apocalisse .................................................... . )) 22
5. Alcune forme letterarie tipiche .......................................... . )) 25
6. Lo strutturalismo nell'Apocalisse ....................................... . )) 28
7. Conclusione .................................................................. . )) 29

CAPITOLO II
IL SIMBOLISMO DELL'APOCALISSE ................................ . )) 31
l. Introduzione: i dati del problema ....................................... . )) 31
2. Le costanti simboliche dell'Apocalisse ................................. . )) 34
Il simbolismo cosmico .................................................. . )) 34
Gli sconvolgimenti cosmici ............................................ . )) 35
Il simbolismo teriomorfo ............................................... . )) 38
Il simbolismo antropologico ........................................... . )) 40
Il simbolismo cromatico ................................................ . )) 49
11 simbolismo aritmetico ............................................... . )) 52
Conclusione sulle costanti simboliche ............................... . )) 54
3. La strutturazione del simbolo ............................................ . )) 55
4. Il contributo del soggetto interpretante ................................ . » 59
5. Conclusione .................................................................. . )) 59

427
CAPITOLO III
DAL SIMBOLISMO ALLA VITA:
ERMENEUTICA E RIFLESSIONE SAPIENZIALE .. .. . .. . . . . . . . . . " 63
l. Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . » 63
2. La riflessione sapienziale nella prima parte dell'Apocalisse (1,4--
3,22) . ............................. ......... ... ........... .............. .......... » 63
L'ascolto dello Spirito che parla alle chiese . . . . . . . .. . . . . .. . . . .. . . . . . . . . » 63
Il «mistero>>, simbolo che esige di essere attualizzato . . . . . . .. . . . . . . . . » 65
3. La riflessione sapienziale nella seconda parte dell'Apocalisse
(4,1-22,5): la «mente che ha sapienza» ................................ » 66
Simbolo, mistero, stupore e sapienza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ... ... . . . . . . . . » 69
Il progetto di Dio, rivelato nel simbolo e attuato nella storia . . . . . . » 71
4. Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 72
CAPITOLO IV
L'ASSEMBLEA ECCLESIALE
«SOGGETTO INTERPRETANTE» DELL'APOCALISSE » 73
l. Il problema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , 73
2. «Beato colui che legge e coloro che ascoltano» . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . » 74
3. Dal <<lettore» a Giovanni, dagli <<uditori» al gruppo ecclesiale ..... » 76
4. Un appello alla conversione che viene raccolto .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. . » 77
5. La lettura cristiana della storia .. .. .. .. .. .. .. .. .. ................ .... .. .... » 79
6. <<Chi ascolta dica: Vieni!» (22,17): l'atteggiamento conclusivo
del gruppo ecclesiale di ascolto .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. » 84
CAPITOLO V
L'ASSEMBLEA Lm.JRGICA ST PURTFICA E DISCERNE
NEL <<GIORNO DEL SIGNORE» (AP l, 10) .......................... .. )) 87
l. Introduzione: il problema ................................................ .. )) 87
2. I vari significati proposti: <<il giorno di JHWH» ...................... . )) 87
3. È il giorno di pasqua ........................................................ . )) 89
4. È la domenica cristiana .................................................... . )) 90
5. Il contatto con lo Spirito nel giorno di domenica .................... .. )) 91
6. La purificazione nel <<giorno del Signore» ............................ .. )) 94
7. Il discernimento nel <<giorno del Signore» ............................ .. )) 95
8. Conclusione:
il giorno del Signore quadro ideale dell'esperienza apocalittica » 96

parte seconda
ESEGESI ......................................................................... . )) 99
CAPITOLO I
AP l ,4-8: UN ESEMPIO DI DIALOGO LITURGICO .............. . )) 101
l. Introduzione ................................................................. . )) 101
2. Indizi di eterogeneità letteraria in A p l ,4-8 .......................... .. )) 102

428
3. Indizi letterari di unità ..................................................... . » 102
4. La dimensione liturgica sintesi tra eterogeneità ed unità ........... . ,. 104
5. L'ipotesi di uno svolgimento dialogico ................................. . » 105
6. Il dialogo liturgico in l ,4-8 ................................................ . » 106
7. L'esegesi che il dialogo liturgico in 1,4-8 suggerisce ................. . » 109
8. Conclusione .................................................................. . » 113

CAPITOLO II
IL CONTA TfO CON CRISTO RISORTO: 1,9-16 .................... . » 115
l. Le caratteristiche letterarie ............................................... . » 115
2. Esegesi: Giovanni e la sua comunità .................................... . » 116
3. A Patmos, in contatto con lo Spirito nel giorno di domenica ...... . » 120
4. L'incontro con Cristo risorto: la voce <<come di tromba ............ . » 121
5. Il <<figlio dell'uomo>> ........................................................ . » 123
6. Il <<Figlio di Dio>> ............................................................ . » 128
7. Il Cristo risorto e la sua chiesa ............................................ . » 133
8. La reazione di debolezza e l'intervento di colui che appare
conferendo un incarico ..................................................... . » 136
9. Conclusione .................................................................. . » 136

CAPITOLO III
LA LETTERA A LAODICEA: 3,14-22 .................................. . » 137
l. Il profilo letterario .......................................................... . » 137
2. Esegesi ......................................................................... . )) 138
L'indirizzo <<l'angelo della chiesa>> ....................................... . )) 138
L'auto presentazione di Cristo: «Cosl parla colui che .. ·'' .......... . )) 142
Il giudizio di Cristo sulla chiesa: <<So le tue opere» .................. . » 146
L'esortazione particolare: <<Ti do un consiglio ... ama fortemente» » 149
La promessa al vincitore ................................................... . » 160
L'ascolto dello Spirito ...................................................... . » 162
3. Conclusione .................................................................. . ,. 163

CAPITOLO IV
CRISTO AGNELLO: 5,6-8 .................................................. . » 165
l. Introduzione ................................................................. . » 165
2. Il contesto immediato ...................................................... . » 165
3. La presentazione della figura dell'agnello (5,6) ...................... . » 167
4. I quattro viventi ............................................................. . » 169
5. I 24 anziani .................................................................... . » 175
6. Cristo-agnello: possibili antecedenti e paralleli ...................... . )) 177
7. I tratti simbolici dell'agnello .............................................. . » 182
8. I <<Sette spiriti» simbolo dell'azione dello Spirito .... '................. . )) 184
9. Conclusione .................................................................. . » 192

429
CAPITOLO V
IL TERZO SIGILLO DELL'APOCALISSE (AP 6,5-6)
SIMBOLO DELL'INGIUSTIZIA SOCIALE .......................... . )) 193
l. Introduzione: il problema del terzo sigillo ........................... . )) 193
2. Panorama critico delle interpretazioni proposte .................... . )) 195
3. Una valorizzazione più adeguata e precisa
degli elementi letterari e simbolici ..................................... . >> 198
4. Gli elementi letterari del contesto (6,1-8) ............................ . » 199
5. Elementi letterari propri del terzo sigillo ............................. . >> 200
6. Gli elementi simbolici del terzo sigillo: l'apertura, il terzo
~0ov, l'ordine impartito, il cavallo nero, il cavaliere, la bilancia >> 200
7. La chiarificazione sintetica della «parte uditiva» aggiunta:
l'ingiustizia sociale ........................................................ .. » 204
8. L'interpretazione dell'ingiustizia sociale valorizza
tutti gli clementi letterari e simbolici .................................. . » 208
9. Ha le sue radici nell'Antico Testamento ............................. . >> 209
10. Si ritrova specialmente nell'Apocalisse ............................... . » 210
11. Conclusione ................................................................. . >> 212

Cl\PITOLO VI
DALLA SEZIONE DELLE TROMBE:
LA QUARTA TROMBA E L'AQUILA: 8,12-13 ..................... . >> 215
l. Introduzione ................................................................. . >> 215
2. L'ultima tromba e l'aquila: 8,12-13. Alcuni preliminari letterari 216
3. Lo squillo della quarta tromba: 8,12 .................................... .
">> 217
4. Il grido dell'aquila che vola allo zenith ................................. . )) 221

CAPITOLO VII
IL <<GRANDE SEGNO>>: AP 12,1-6 ....................................... . » 227
l. Introduzione ................................................................. . )) 227
2. Tre parametri orientativi ................................................. .. >> 228
3. Il «grande segno» di Apocalisse 12,1-2: la presentazione .......... . >> 229
4. Il primo livello simbolico: la donna celeste ............................ . » 230
5. Il secondo livello simbolico della donna ............................... . » 237
6. Il secondo segno ............................................................. . » 241
7. Il «drago>> e la «donna» a confronto .................................... .. >> 244
8. La donna nel deserto ....................................................... . » 249
9. Riflessioni conclusive ...................................................... . )) 251

CAPITOLO VIII
LA NOVITÀ ESCATOLOGICA ATTUATA: 21,1-8 ................ . » 253
l. Introduzione ................................................................ .. » 253
2. La pericope 21,1-8: aspetti letterari .................................... .. >> 254
3. Il cielo nuovo e la terra nuova ............................................ . >> 254

430
4. La <<città santa>> .............................................................. . >> 256
5. «Ecco la te n d~ di Dio con gli uomini>> ................................. . >> 258
6. Il superamento del male ................................................... . >> 261
7. Un discorso stimolante rivolto all'assemblea ......................... . >> 267
8. L'anti-Gerusalemme ..................................................... .. >> 271

parte terza
TEOLOGIA ..................................................................... . >> 277

CAPITOLO I
REGNO «NON DA QUESTO MONDO>> MA «REGNO DEL
MONDO>>. IL REGNO DJ CRISTO DAL QUARTO VAN-
GELO ALL'APOCALISSE ................................................. . » 279
l. Introduzione: il problema .............................................. .. >> 279
2. Il regno di Dio del quarto Vangelo ................................... .. >> 280
3. «lo sono re>> ................................................................. . >> 282
4. Gesù crocifisso re universale ............................................ . >> 285
5. I cristiani come «regno» nell'Apocalisse ............................. . >> 288
6. Cristo-agnello rende i cristiani regno,
sacerdoti e capaci di regnare ........................................... .. » 290
7. Il regno del mondo diviene regno di Dio e di Cristo .............. .. >> 293
8. Cristo «re dei re e signore dei signori>> ................................ . >> 297
9. Il regno millenario ......................................................... . >> 300
10. Il regno del mondo rinnovato ........................................... . >> 301
11. Conclusione:
la centralità del regno di Cristo nella storia dell'uomo .......... .. >> 303

CAPITOLO II
DALLA VENUTA DELL'«ORA>> ALLA VENUTA DJ CRI-
STO. LA DIMENSIONE STORICO-CRISTOLOGICA DEL-
L'ESCATOLOGIA NELL'APOCALISSE ............................. .. >> 305
l. Escatologia ed escatologie ................................................ . >> 305
2. L'antitesi «Verrà l'ora ed è adesso>> ................................... .. >> 306
3. L'«ultima ora» percepita nella storia ................................. .. >> 309
4. L'«ultima ora>>, la storia e la venuta di Cristo ....................... . >> 310
5. «Verrà con le nubi>> ...................................................... .. >> 311
6. «Vengo presto>>: Cristo risorto richiama la sua venuta nella storia » 313
7. La venuta «guardata>> nello sviluppo dialettico della storia ..... .. >> 316
8. La venuta di Cristo e dei suoi ........................................... . >> 318
9. La realizzazione cristologica della
storia nella Gerusalemme nuova ...................................... .. >> 328
10. Lo Spirito e la fidanzata dicono: «Vieni!>> ........................... .. >> 329
11. Conclusione ................................................................ .. >> 331

431
CAPITOLO III
DALLA MATERNITÀ DI MARIA ALLA MATERNITÀ DEL-
LA CHIESA: UN'IPOTESI DI EVOLUZIONE DA GV 2,3-4
E 19,26-27 AD AP 12,1-6 ..................................................... . )) 333
l. Introduzione ................................................................. . >> 333
2. La <<donna>> in Gv 2,4 ....................................................... . >> 334
3. La <<donna» in Gv 19,25-27 ............................................... .. >> 337
4. La <<donna» in A p 12,1-6 .................................................. . » 342
5. Alcune osservazioni conclusive .......................................... . )) 346

CAPITOLO IV
LA PROMOZIONE DEL REGNO COME RESPONSABILITÀ
SACERDOTALE DEL CRISTIANO. AP 1,5; 5,10; 20,6 ........... . » 349
l. Introduzione: stato della questione .................................... .. >> 349
2. Il gruppo termino logico ~aoLÌ.E1Jç- ~aOLÌ.E[a- ~aOLÌ.Euw .......... . )) 352
3. I cristiani fatti <<regno-sacerdoti>>: Ap l ,6 .............................. . >> 354
4. Sacerdoti che regnano sulla terra: A p 5,9-10 ......................... . >> 360
5. Il sacerdozio dei martiri in rapporto a Dio e a Cristo: Ap 20,6 ... . )) 364
6. Le linee di fondo del sacerdozio nell'Apocalisse ..................... . )) 367

CAPITOLO V
GERUSALEMME NELL'APOCALISSE ............................... . » 369
l. Introduzione ................................................................ . )) 369
2. I testi dell'Apocalisse riguardanti Gerusalemme ................... . >> 370
3. La Gerusalemme escatologica promessa al vincitore: Ap 3,8 ... . >> 372
4. La <<città santa» calpestata: Ap 11,2-8 ............................... .. >> 374
5. Il monte Si o n .............................................................. .. » 376
6. Gerusalemme <<donna dell'agnello» .................................. .. )) 378
7. La città amata .............................................................. . >> 380
8. La nuova Gerusalemme .................................................. . >> 381
9. La <<fidanzata>> .............................................................. . )) 384
10. La figura teologica di Gerusalemme .................................. . )) 385
11. Il dinamismo della <<preparazione>> ................................... .. >> 387
12. L'interpretazione della figura simbolica .............................. . » 388
13. Conclusione: l'applicazione alla storia di oggi ...................... . )) 389

BIBLIOGRAFIA .............................................................. . )) 391

INDICE BIBLICO ........................................ . ,. 405

FONTI EXTRABIBLICHE >> 417

INDICE DEGLI AUTORI )) 419

INDICE GENERALE )) 427

432

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