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IL GIUDIZIO UNIVERSALE
( 2 5 ,3 I -4 6 )

K . Bornhiiuser, Zur Auslegung von Mt. 25,J I-46: Luth 46 ( 1 93 5 ) 77-82.; E. Bran­
denburger, Das Recht des Weltenrichters ( SBS 99), 1 9 80; R. Briindle, Matth.
2J,J 1-46 im Werk des fohannes Chrysostomus (BGBE 2.2.), I 979; Id., Zur lnterpre­
tation von Mt. 2J,J I-4 6 im Matthiiuskommentar des Origenes: ThZ 3 6 ( I 980) I 7-
2 5 ; W. Brandt, Die geringsten Briider. Aus dem Gespriich der Kirche mit Mt. 2J,J I-
46: JThSB 8 ( I 9 3 7 ) I-2.8; l. Broer, Das Gericht des Menschensohnes uber die Vol­
ker: BiLe I I ( I 970) 2.73 - 2.9 5 ; S. Brown, Faith, the Poor and the Genti/es. A Tradi­
tion-Historical Reflection on Mt. 25,J I-46: TJT 6 ( I 990) 1 7 I - I 8 I ; D. Catchpole,
The Poor on Earth and the Son of Man in Heaven. A Re-Appraisal of Mt. 2J,J I-
46: BJRL 6I ( I 978- I 979) 3 5 5-3 97; P. Christian, ]esus und seine geringsten BrUder
(EThS 12.), I 9 7 5 ; L. Cope, Matthew 2J,J I-46. « The Sheep and the Goats» Re­
interpreted: NT I I ( I 969) 3 2.-44; J.M. Court, Right and Left. The lmplications for
Matthew 25,3 I-46: NTS 3 I ( I 9 8 5 ) 2.2.3-2.3 3 ; J.R. Donahue, The «Parable» of the
Sheep and the Goats. A Challenge to Christian Ethics: TS 47 ( I 98 6 ) 3 - 3 1 ; A. Feuil­
let, Le caractère universel du jugement et la charité sans frontières en Mt. 2J,J I-
46: NRTh I I l. ( I o2.) ( I 98o) I 79 - I 96; L.J. Frahier, L 'interprétation du récit du ju­
gement dernier (Mt. 2J,J I -46) dans l'oeuvre d'Augustin: REAug 3 3 ( I 9 87) 70-84;
Id., Le jugement dernier. lmplications éthiques pour le bonheur de l'homme, Paris
I992.; J. Friedrich, Gott im Bruder (CThM A.7), I 977; W. Gahler, Wer sind die ge­
ringsten Bruder? Ein Gang durch die Auslegungsgeschichte von Mt. 25,3 I-46: Die
Christenlehre 2.3 ( I 970) 3 - I 6; D. Gewalt, Matthiius 2J,J I-46 im Erwartungshori­
zont heutiger Exegese: LingBibl 2.5-2.6 ( I 973 ) 9 - 2. 1 ; S. W. Gray, The Least of My
Brothers. Matthew 2J,J I -46. A History of lnterpretation (SBL.DS I J 4 ) , I 9 89; G.
Haufe, «Soviel ihr getan habt einem dieser meiner geringsten Briider . . . », in Ruf und
Antwort (Fs E. Fuchs), Leipzig I 9 64, 4 84-49 3 ; J.C. Ingelaere, La «parabole» du
jugement dernier (Mt. 2J,J I-46): RHPhR 50 ( I 970) 2. 3 - 60; B. Klappert, . . . zu rich­
ten die Lebenden und die Toten: RKZ I 3 5 ( I 994) nr. I, Theologische Beilage, I - 8 ;
W. Kornfeld, Die Liebeswerke Mt. 2J,J 5f.42{ in alttestamentlicher Oberlieferung,
in H.C. Schmidt-Lauber (ed. ), Theologia scientia eminens practica ( Fs F. Zerbst),
Wien et al. I 979, 2.5 5 - 2. 6 5 ; S. Légasse , Jésus et l'enfant ( EB), I 969, B s - I oo; R. Mad­
dox, Who are the «Sheep» and the « Goats » ? : ABR I 3 ( I 9 6 5 ) I 9-2.8; A.J. Matill,
Mt. 2J,J I-46 Relocated: RestQ I7 ( I 974) 107- I I4; J.R. Michaels, Apostolic
Hardships and Righteous Genti/es: JBL 3 4 ( I 965 ) 2.7- 3 7; X. Pikaza, Hermanos de
]esus y servidores de los tntis pequeftos (Mt. 2J,J I-46). ]uicio de Dios y comprami­
so historico en Mateo (BEB 46), Salamanca I 9 84; M. Puzicha, Christus Peregrinus.
Die Fremdenaufnahme (Mt. 2J,JJ) als Werk der private Wohltiitigkeit im Urteil
der alten Kirche ( MBTh 4 7 ) , I 9 Bo; C. Riniker, Die Gerichtsverkundigung J esu, diss.,
Bern I99 I , 505- 5 2. 5 ; J.A.T. Robinson, The «Parable» of the Sheep and the Goats:
NTS 2. ( I 9 5 5 - I 9 5 6 ) 2.2. 5 - 2. 3 7; Stanton, Gospel, 2.07-2.3 1 ; J. Theisohn, Der auser­
wiihlte Richter (StUNT 12.), I 9 7 5 , I49- I 8 2.; D.O. Via, Ethical Responsibility and
Human Wholeness in Mt. 25,3 I-46: HThR So ( I 98 7 ) 79- I oo; F. Watson, Liberat-
ing the Reader. A Theological-Exegetical Study of the Parable of the Sheep and the
Goats (Mt. 2J,J I-46), in Id. (ed. ), The Open Text, London 1 99 3 , 5 7-84; K. Wengst,
Wie aus Bocken Ziegen wurden (Mt. 2J,J 2{): EvTh 54 ( 1 994) 4 9 1 - 5 0 1 ; W.J.C. We­
ren, De broeders van de Mensenzoon. Mt. 2J,J I-46 als toegang tot de eschatologie
van Matteils, Amsterdam 1 979; A. Wikenhauser, Die Liebeswerke in dem Gerichts­
gemiilde Mt. 25,3 1 -46: BZ 20 ( 19 3 2 ) 3 66-3 77; U. Wi lc kens , Gottes geringste Brii­
der - zu Mt. 2J,J I-46, in E.E. Ellis - E . Gr a ss er ( ed d.) , Jesus und Paulus (Fs W.G.
Kiimmel), Gottingen 1 9 7 5 , 3 63 - 3 8 3 ; J. Winandy, La scène du jugement dernier
(Mt. 2J,J I-4 6): ScEc 1 8 ( 1 9 66) 1 69-1 8 6; Zumstein, Condition, 3 27-3 50.
Altra bibliografia (b) nella sezione su Mt. 24.3-25,46 (sopra, p. 499).

31 Ma quando il figlio dell'uomo viene nella sua gloria e tutti gli angeli con
lui, allora .si siederà sul trono della sua gloria. 3 2 E tutti i popoli si riuni­
ranno al suo cospetto ed egli li separerà l'uno dall'altro, come il pastore se­
para le pecore dai capretti 33 ed egli metterà le pecore alla sua destra, ma i
capretti alla sua sinistra.
34 Allora il re dirà a quelli alla sua destra: 'Venite, voi, i benedetti del Pa­
dre mio! 1 Prendete in consegna come eredità il regno che è pronto per voi
dall'inizio del mondo! 3 5 Poiché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare;
ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero uno sconosciuto e mi avete accolto
ospitalmente; 3 6 ero nudo e mi avete vestito; ero malato e vi siete presi cura
di me; ero in prigione e siete venuti da me'. 37 Allora i giusti gli risponderan­
no e diranno: 'Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo nutri­
to o assetato e ti abbiamo dato da bere? 3 8 Quando ti abbiamo visto senza
conoscerti e ti abbiamo accolto con ospitalità o nudo e ti abbiamo rivestito?
39 Quando ti abbiamo visto malato o in prigione e siamo venuti da te?'. 40 E
il re dirà loro in risposta: 'Amen, vi dico: ogni volta che (lo) avete fatto a uno
di questi miei fratelli del tutto insignificanti, 1 (lo) avete fatto a me'.
41 Allora dirà anche a quelli a sinistra: 'Andate via da me, voi, i maledetti,
nel fuoco eterno che è pronto per il diavolo e i suoi angeli! 42 Poiché ho avu­
to fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato
da bere; 43 ero uno sconosciuto e non mi avete accolto ospitalmente; nudo,
e non mi avete rivestito; malato e in prigione e non avete avuto cura di
me!'. 44 Allora anch'essi risponderanno e diranno: 'Signore, quando ti ab­
biamo visto affamato o assetato o sconosciuto o nudo o malato o in pri­
gione e non ti abbiamo servito?'. 45 Allora lui risponderà loro e dirà: 'Amen,
vi dico: ogni volta che non (lo) avete fatto a uno di questi del tutto insigni­
ficanti, non (lo) avete fatto neanche a me'.
46 E questi andranno via alla punizione eterna, ma i giusti alla vita eterna.
1 . Struttura. Il nostro testo è l'ultimo prima che cominci la storia della pas­

sione ed è, allo stesso tempo, l'ultima esauriente istruzione di Gesù ai suoi


1 Per il genitivo d'agente con un participio passivo cf. BDR, S 1 8 3,3·
1 B e altri omettono -rwv ti8e:Àcpwv 11-ou, ma si tratta di un adeguamento secondario al v.
4 5 · Pochissimi manoscritti CE, o67) aggiungono qui -rwv !J-Lxpwv (adeguamento a 10,42),
rivelando così la loro interpretazione del testo.
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discepoli. Perciò acquisisce grande importanza. I vv. 3 1 s. riprendono 24,30


s. saltando 24,3 2-2 5,30: adesso si racconta che cosa succederà quando il fi­
glio dell'uomo arriverà con i suoi angeli.
I vv. 3 1 -3 3 formano l'introduzione che descrive lo scenario del giudizio in
maniera relativamente minuziosa, essendo ampliata (vv. 3 2b-3 3 ) da un pa­
ragone del giudice universale con un pastore. Concludendo, il v. 46 raccon­
ta brevemente il destino dei giusti e di quelli privi di amore. Tra introduzione
e conclusione ci sono due dialoghi tra i convenuti e il giudice (vv. 34-40 e
41-4 5 ) che ora viene chiamato «re•• . I due dialoghi hanno la funzione di
spiegare la sentenza del giudice. I dialoghi (nella letteratura giudaica dialo­
ghi di questo tipo compaiono spesso nella descrizione del giudizio) 1 conten­
gono il dispositivo della sentenza e l'autodifesa dei convenuti in giudizio. I
due dialoghi si corrispondono in larga misura alla lettera: dopo la pronun­
cia della sentenza, che funge da introduzione (vv. 3 4 e 4 1 ), segue la sua mo­
tivazione: il giudice universale elenca tre volte due 1 opere d'amore che gli
uni gli hanno fatto e gli altri no (vv. 3 5 s. e 42 s.). Segue poi la controdoman­
da, che è anche un'autodifesa, al giudice universale, dei sottoposti al giudi­
zio: ambedue i gruppi riprendono l'elencazione delle opere d'amore e le ri­
petono in forma di domanda preceduta da 'ltO'tE (vv. 3 7-39 e 44). Nel com­
plesso, la serie delle opere d'amore viene ripetuta quattro volte. Più il testo
procede, più si può notare una tendenza alla concisione e all'abbreviazione.
Con notevole abilità si tralasciano sostantivi e gruppi di verbi vengono con­
densati, così che alcuni elementi particolari dei vv. 3 4-39 non trovano più al­
cun riscontro nei vv. 4 1 -44. Alla fine di ogni dialogo (vv. 40 e 4 5 ) il giudi­
ce universale respinge la controdomanda con un solenne logion introdotto
da <<amen•• , che svela come egli si identifichi con i più insignificanti.
Il testo continua ancora ad apparire con la tradizionale soprascritta di
«parabola del giudizio universale» .3 Ma, in realtà, non si tratta di una pa­
rabola nel senso comune del termine.+ Solo i vv. 3 2b s. sono una breve pa­
rabola. La parte principale del testo è formata dai due lunghi «dialoghi del
giudizio» (vv. 34-40 e 4 1 -4 5 ). Ricorrendo a un'espressione di ripiego e in
mancanza di meglio si può definire la pericope di Mt. 25,3 1-46 una <<de­
scrizione del giudizio>> : s non è né un'apocalisse 6 - mancano le visioni, né
una <<parenesi del giudizio» 7 - manca qualsiasi apostrofe diretta ai lettori.

2. Fonte. Vi è chi pensa che tutto il testo sia opera di Matteo.8 Perlopiù
1 Attestazioni in Bill., IV, 1 2.00. 1 2.02. 1 204. 1 206. 1 209 s.
2.Si tratta di tre coppie con gli elementi di ogni coppia associati contenutisticamente:
1tELvciw e ÒL.Jxiw, �ÉvO<; e yup.v6<;, àa..9tvttv ed èv (jiUÀa.xii tlva.L. La stretta unione degli ele­
menti di ogni coppia viene evidenziata nei vv. 3 7-39 dal triplice m)'tE.
3 Questo il titolo della pericope in Aland, Synopse.
4 Tutt'al più è una «parabola» nel senso dei «discorsi metaforici» di Enoc etiopico.
5 Berger, Formgeschichte, 303 s. 6 Così Via", So-82. 7 Brandenburger", 1 10.
8 Cope", 42-44; Haufe", 486 ( •in larga misura» redazionale); Weren", 29-73. 240 s.; Kret-
si suppone che Matteo abbia ripreso il testo dal materiale della sua tradizio­
ne particolare, rielaborandolo più o meno profondamente. A favore di que­
sta ipotesi depone la non uniforme distribuzione dei matteismi:
I vv. 3 I e 3 2a contengono moltissimi matteismi I oltre a riecheggiamen­
ri del linguaggio biblico ... Inoltre, questa introduzione non si riallaccia sol­
tanto a 24,30 s.,3 ma ricorda anche una serie di passi precedenti del vange­
lo: 1 3 ,40-43 ·49 s.,4 1 6,27 e, soprattutto, 1 9,28 .S La spiegazione sicuramen­
te più facile dell'affinità tra 19,28 e 25,3 1 è che Matteo riprende qui il pro­
prio precedente logion di 1 9,28, che già a suo tempo aveva rielaborato a fon­
do redazionalmente. Il passaggio da «figlio dell'uomo» (v. 3 1 ) a «re» (v.
34) è certamente brusco, ma non può essere considerato un indizio sicuro
del fatto che Matteo avrebbe parlato del «figlio dell'uomo» e la tradizione,
invece, solo del «re». Il titolo di «re» attribuito al figlio dell'uomo e giudi­
ce universale è certamente una novità 6 nella tradizione del figlio dell'uomo
sia giudaica sia cristiana, ma l'epiteto di « re» non giunge del tutto inatte­
so, perché già al v. 3 1 Matteo parla di «trono» .? Neanche il passaggio dal
collettiVO 1tcXV'tl% 'ti% eoz9Vlj (v. 3 2a) ad IZÙ't'oU-; O a espressioni che Si riferiscono a
singole persone (ot éx òe�twv ecc. ) è un argomento valido per una distinzio­
ne tra redazione e tradizione: ••tutti i popoli» segnala l'orizzonte universale
del giudizio che viene ora descritto; ma naturalmente vengono giudicate sin­
gole persone. 8 Non si può più dire come recitasse l'introduzione premattea­
na del testo: non si sa, quindi, né chi fossero i convenuti originari né se in
origine il testo parlasse del «figlio dell'uomo » .9

zer, Herrschaft, 2 1 2-2 1 5; Gundry, 5 I I-5 1 6; Gnilka, n, 3 67-370; Lambrecht, Treasure,


273-27 5 . Prescindendo del tutto dai risultati dell'analisi linguistica (cf. sotto, p. 636 n.
1 ), questa ipotesi è improbabile, perché altrove Matteo non ha mai sviluppato ex novo
un testo di tale lunghezza.
I Cf. vol. I, introduzione, 4.2, s. vv. Bé, 1tac;, !Xyye:Àoç, 'tO'tt, auvayw, �1tpoa&v, E�vo<;. Per

1tana -t!Ì E�VlJ cf. 24,!P4; 28,19. Per titpopi�w cf. 1 3 ,49. Talora Matteo compone logia
redazionali del figlio dell'uomo che verrà, cf. vol. n, pp. 6 1 8 s.
:1. Le affinità più importanti sono quelle dei vv. 3 1 . 34·4 1 .46 con la conclusione del Deu­

teronomio: cf. Deut. 30, 1 6 (tÙÀoyÉw, XÀlJpo�!J.É:ro); 30,19 (�wlj, eÙÀoyla, xa-tapa) e 33,1
s. (tÙÀoyÉw, IXyytÀot IJ.n' aÙ'tou). Matteo ha forse rafforzato tali reminiscenze. Cf. inoltre
anche Gl. 4,2.I I (auvayw, 7tliv-ta -tà É�V1J). Non ci sono, invece, contatti letterali con
Zacc. 14,5 LXX. Non c'è neanche alcuna dipendenza letteraria di 25,3 1 s. dalle parabo­
le di Enoc etiopico: qui le coincidenze si limitano all'espressione biblica comune •sedere
sul trono della gloria» (contro Theisohn", 1 5 2- 1 8 2.; cf. anche sopra, p. 1 7 1 n. 5).
3 Terminologia comune: o u!Òç -tou ti.,?pC:mou, Epl&:a�t, Bo�, IXyytÀot.
4 Terminologia comune: o u!Òç 'tOU tiv�pW7tOU, xo�oç, (»atÀeia/(hatÀ!Uç, Bta�Àoc;, IXyyt­
Àot, 1tiip, Blxatoç, 7ta'tljp.
5 o-tav xa�lCTTJ o u!Òç -tou tiv�pC:mou è11Ì �povou Bo�lJc; czÙ'tou. 6 Cf. sotto, p. 6 3 7 n. 4·
7 Anche l'immagine del pastore si adatta a un re; cf. Pikaza", 1 68.
8 Neanche 2.4,9.14; 2.8, 19 escludono un annuncio missionario a singoli individui.
9 Per ragioni di storia della tradizione, mi sembra che qui l'espressione o u!òc; -tou ti�pW-
7tOu sia comunque relativamente recente. In testi sinottici essa compare altrimenti solo in
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Nei vv. 3 2b-46 i matteismi sono più radi. I Nella struttura sintattica si
scorge la mano di Matteo, mentre la terminologia è in larga misura tradizio­
nale. Ciò è vero, in particolare, per gli hapax XIX't!Xpao(J-IXt (v. 41), ÈmaxÉ7t'to­
(J-IXt (vv. 36 e 43), XOÀIXatc; (v. 4 6). Il verbo auvayw «accogliere ospitalmente»
è usato in un'accezione assolutamente non matteana (vv. 35 ·38.43). Unica
è anche l'idea degli angeli del diavolo (v. 41). Non rientrano nel lessico
chiaramente preferito di Matteo neanche (3ctatÀe:Uc;, .. àòe:À<pot 3 ed ÈÀaxta'toc;.4
L'ipotesi più probabile è che Matteo abbia utilizzato una tradizione orale
relativa al giudizio universale, i cui elementi fondamentali sono stati ben
conservati nel testo di 2 5 , 32 b-4 6 . Forse l'evangelista la ha conformata alla
conclusione del Deuteronomio.S

3. Storia della tradizione. Nel caso del nostro testo le considerazioni sug­
gerite dall'analisi della storia della tradizione e anche quelle conseguenti, re­
lative al problema dell'autenticità, sono particolarmente difficili e le conclu­
sioni che se ne possono trarre rimangono del tutto ipotetiche. Gli interroga­
tivi importanti sono due:
a) La pericope che Matteo ha ricevuto dalla tradizione è unitaria oppure
si è trattato di due pericopi tradizionali in origine distinte? Robinson4 e al­
tri hanno sostenuto la tesi che la parabola del pastore (vv. 3 2b s.) e il dia­
logo del giudizio ( vv. 35 -4 5 ) costituissero, senza le introduzioni narrative,
pericopi tradizionali indipendenti. 6 Matteo ha però ricevuto già come uni-
logia originariamente isolati e in logia di commento, ma non, come ad esempio nelle pa­
rabole di Enoc etiopico, quale enunciato in composizioni di una certa lunghezza. Le ec­
cezioni sono rappresentate da passi secondari, spesso redazionali (Mc. 9,9. 1 2. parr.; 13,
26 parr.; Mt. 1 3,37; 1 6, 1 3 ; Le. 21,36; 22,48; 2.4,7).
I Cf. vol. I, introduzione, 4.2., s.vv. : v. 34: -.é·n:, épw, 8Eirrt, 7tGt't�p 11-ou; v. 3 5 : ycip; v. 37 :

'tO'tE, tX7tOXptVOiJ-Gtl, ÒtXIXIOc;, ÀÉywv, XUpiE, �; VV. 3 8 S.: 8É, �; V. 40: tX7t0XptVOiJ-Gtl, épw, tXiJ-�V
ÀÉyw tJv,iv, Elc; -.o&!wv; v. 4 1 : -.6-.E, épw, 7tUp Gt!wvtav, 8tal3oÀoc;; v. 42.: yap; v. 44: -.on, ti7to­
xplvoiJ-IXt, ÀÉywv, xuptt, �' 8t1XXOVÉW (qui cf. 2.0,26.28; 2.3,I I ); V. 4 5 : 'tO'tE, tX7tOxptvop.1Xt, ÀÉ­
ywv, IÌiJ-�V ÀÉyw tJv.iv, Elc; -.o&rwv, où8É; v. 46: à:ltÉp'X,OiJ-IXt, ÒÉ, ÒtxiXtot. Naturalmente i voca­
boli elencati indicano, come illustra la tabella del vol. I, introduzione, 4.2, interventi re­
dazionali in misura molto differente.
2. Talora al v. 34a si assegna alla redazione matteana il termine �atÀEUc; (così, ad es., Rob­
inson0, 230). Ma in Matteo il titolo cristologico �atÀEUc; non ha alcun ruolo rilevante,
ma compare soltanto in 2.,2.; 2.1,5; 2.7, u-42 in contesti molto diversi e mai escatologici.
La predilezione matteana per le parabole con la figura del �atÀEUc; ( 1 8,2.3; 2.2.,2..7. 1 1 .
I 3 ) è, nel nostro caso, un argomento che depone contro la tesi della redazione, perché
nelle parabole il titolo è sempre riferito a Dio e non a Cristo. D'altra parte Matteo co­
nosce la �atÀEtiX del figlio dell'uomo ( 1 3,4 1 ; 1 6,28; 2.0,21 ), ma altrove non chiama mai
il figlio dell'uomo «re•.
3 Da solo il termine ti8EÀq>ol dice poco; cf. vol. I , p. 76, s.v. L'idea dei «fratelli di Gesù»
compare sia nella tradizione (Mc. 3 ,3 5 ) sia nella redazione (Mt. 2.8,xo).
4 Il termine compare soltanto in 2.,6; 5,19 in contesti diversi. 5 Cf. sopra, p. 63 5 n. 2.
6 Robinson°, spec. 2.3 2.-237; anche Légasse0, 86-93; Christian°, 7 s. Robinson°, 2.33, for-
tà i vv. 3 2b-46 poiché resta improbabile un'origine matteana sia del v. 34,
che unisce le due parti, sia del v. 46, che conclude la pericope.1 L'argomen­
to principale contro la tesi di Robinson è, però, che una rinuncia alle intro­
duzioni renderebbe i dialoghi incomprensibili: non si saprebbe più chi so­
no quelli che parlano. È, però, sempre possibile che nella tradizione premat­
teana la similitudine del pastore fosse un ampliamento secondario della de­
scrizione del giudizio.
b) Il secondo e più difficile interrogativo riguarda l'epiteto di «re» : nella
pericope tradizionale originaria si riferiva a Gesù o a Dio? Nella storia
originaria chi viene identificato con i <<fratelli del tutto insignificanti » : Dio 1
o Gesù? Solo un esame attento del contenuto può permettere di arrivare a
una decisione. La continuità dello sviluppo della tradizione in tale direzio­
ne depone a favore dell'ipotesi che si tratti di Gesù. Soprattutto nel v. 34,
dove il <<re» parla di Dio chiamandolo «Padre», si dovrebbe arrivare, in ca­
so contrario, a supporre cambiamenti considerevoli nella formulazione del
testo originario} Inoltre esistono paralleli cristiani di un'identificazione di
Gesù con persone (Mc. 9,37; Q 10, 1 6; Mt. 1 0,42 / Mc. 9,4 1 ). A favore del­
la tesi che il referente sia Dio depone la tradizione del giudaismo, nella qua­
le <<re» è un epiteto diffuso di Dio, mentre resta difficile un'applicazione del
predicato «re>> al giudice universale Cristo.4 Nei testi giudaici il giudice
universale è, quasi sempre, Dio stesso. A favore del riferimento a Dio si de­
ve tener conto, poi, dell'esistenza di paralleli biblici e giudaici rilevanti che

nisce una propria introduzione alla parabola del pastore: •Il regno dei cieli è simile a un
gregge che un pastore raduna . . . .. . Sarebbe così sostanzialmente affine a Mt. 13,4 7 s. Il
dialogo del giudizio sarebbe un parallelo più diffuso di Le. 1 2,8 s.
1 Cf. sopra, p. 636 n. 1. Resta più difficile decidere in merito alle introduzioni narrative:

i vv. 3 7aot.44aot potrebbero essere benissimo redazionali.


2. Così, ad es., Bultmann, Tradition, 13 1; Robinsona, 230; Broera, 287 s.; Schweizer,
3 1 1 ; Wilckensa, 3 76-3 8 2, e altri.
3 Sarebbe inoltre veramente singolare sentire il Dio giudice universale pronunciare un
logion introdotto da «amen», uno dei tipici segni distintivi del linguaggio di Gesù. Cf. i
vv. 40 e 4 5 ·
4 Relativamente diffuso è l'epiteto «re» usato per i l messia davidico, cf. Friedricha, r 8o­
I 8 2. Ma il messia davidico non ha praticamente mai la funzione di giudice universale;
Volz, Eschatologie, 275, cita soltanto Tg. ls. 5 3 ,9 e una tarda interpretazione di Dan. 7,
9 riferito al messia in lfag. 14a e Sanh. 3 8b. Quale giudice universale appare, oltre Dio,
soltanto il figlio dell'uomo nelle parabole di Enoc etiopico. Sebbene, nel libro enochico
delle parabole, al figlio dell'uomo siano assegnati sporadicamente alcuni attributi divini
(soprattutto il fatto di sedere sul «trono della gloria », cioè il trono di Dio) ed egli sia
•l'Unto» (48,10; 5 2,4), pure non lo si chiama mai direttamente •re». Una forma mista
dell'attesa del figlio dell'uomo e dell'attesa messianica appare nel giudaismo soltanto
verso il 100 d.C. (4 Esd. 1 3 ). Un'applicazione dell'attributo «re» al giudice universale
«messianico» durante il ministero di Gesù o nei primi tempi della tradizione di Gesù sa­
rebbe, quindi, un anacronismo, prescindendo dal fatto che Gesù stesso si è probabilmen­
te considerato il figlio dell'uomo e non il messia davidico.
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considerano le opere d'amore verso i poveri elementi determinanti nel giu­


dizio di Dio oppure le riferiscono direttamente a Dio. 1 In una tradizione bi­
blica giudaica la similitudine del pastore si adatta molto bene a Dio. 1 Nel­
la tradizione postpasquale del primo cristianesimo l'immagine del pastore
viene, tuttavia, riferita anche a Gesù (cf. Mc. 6,3 4/ Mt. 9,3 6; Ebr. 1 3 ,20;
I Pt. 2,25; Gv. 10). In conclusione: è possibile che in origine il testo fosse
riferito a Dio; tuttavia questa ipotesi risulta chiaramente la più complicata.

4· Origine. Oggi si è in larga misura abbandonata l'ipotesi, avanzata talo­


ra in passato, che il nostro testo fosse in origine un testo giudaico) A mio
parere è improbabile anche l'ipotesi che il testo provenga dal cristianesimo
ellenistico:� Il testo risale o a Gesù stesso s o a un autore appartenente a una
comunità del primo giudeocristianesimo. 6 A favore della seconda alterna­
tiva si fanno valere i (radi) semitismi, 7 l'orizzonte apocalittico e i numerosi
paralleli giudaici. 8
I tentativi di far risalire il testo a Gesù si muovono su un terreno non si-

1 Prov. 14,3 1 ( «chi opprime il povero offende chi l'ha creato, ma chi ha pietà del biso­

gnoso, lo onora ,. ); 19, 1 7 ( «chi ha pietà del povero presta al Signore, che gli contrac­
cambierà l'opera buona" ); Hen. slav. 44,2. s_ ( «Chi offende il volto di un uomo offende il
volto di un re ...» ) Molto affine è anche il passo di Midr. Tann. a Deut. 1 5 ,9 citato da
.

jeremias, Gleicbnisse, 2.05 ( «se avete dato da mangiare ai poveri, ne terrò conto come se
aveste dato da mangiare a me » ). Un po' diversi sono i paralleli giudaici che vedono in
Dio un modello di carità ed esortano a seguirlo compiendo, come lui, opere d'amore: ad
es. Sof. 14a (Bill., I, 5 6 1 ) (Dio ha vestito ignudi [Gen_ 3,2.1 !], visitato malati [Gen. 1 8,1],
consolato chi è in lutto e seppellito i morti [Deut. 34,6)). Per l'importanza delle opere
d'amore nel giudizio v. sotto, p. 657 n. 3·
1 j. Jeremias, 1tOI(J.�" x-rÀ., in ThWNT VI , 486,1-2.2.; 488,9- 1 3 ; 489,1 5-18; 490,2.8-49 1,
2.1. 3 Così Bultmann, Tradition, 1 3 1 .
4 Così Brandenburger", 76-86, che vorrebbe collocarne l'origine i n una comunità giu­
daica ellenistica perché l'identificazione di Gesù con i più insignificanti avrebbe i paral­
leli più prossimi in Rom. 8,2.9 ed Ebr. 2., n-x 8. Ma in Mt. 2.5,3 1-46 non riesco proprio
a trovare una cristologia né della preesistenza né dell'incarnazione.
5 Così, ad es., Jeremias, Gleichnisse, 2.06; Manson, Sayings, 2.49; Broer4, 2.88; Agbanou h,
193 s.; Friedrich4, 2.83-2.97; Wilckens4, 3 79-3 82..
6 Favorevoli a una provenienza giudeocristiana palestinese sono, ad es., Hahn, Hoheits­
titel, 187; Légasse4, 93; Zumstein, Condition, 3 3 3 ·
7 Sono probabilmente semitizzanti le reggenti coordinate con senso condizionale ai vv.
3 5 -39 e 42.-44 (Beyer, Syntax, 2.79: «quando avevo fame, mi avete nutrito» ); auvciyw
«accogliere ospitalmente» (ebraico: kns, 'sp). Non è, invece, necessariamente un semiti­
smo El� nel senso di -rt� (esempi in greco in Bauer, Wb6, s.v. tl�, 3 ) . Non è, poi, assolu­
tamente un semitismo -rou-rwv ai vv. 40 e 4 5 , solo apparentemente ridondante (Dalman,
Grammatik, I I 3 [S 17 nr. 9)): il giudice universale potrebbe benissimo indicare con un
cenno i fratelli che gli sono accanto.
8 Cf. sopra, pp. 63 5 n. 2.; 638 n. 1; per le opere d'amore cf. sotto, pp. 656 nn. 1 s.; 657
nn. 1-3.
curo: in origine, Gesù ha parlato del Dio «re» come giudice del mondo? In­
terpretato così, il testo si adatterebbe ottimamente ai paralleli giudaici. 1
Ma altrove, nelle parole di Gesù, Dio «è sempre il Padre, mai il fratello
degli uomini » : 2. il criterio della coerenza milita quindi contro tale ipotesi.
Anche un logion introdotto da amen suonerebbe strano detto da Dio. Op­
pure qui Gesù ha parlato di sé come figlio dell'uomo e giudice universale a
venire? 3 Ma allora dovrebbero risalire a lui anche i passi paralleli di Q 10,
16; Mc. 9,37; Mt. 10,42, ciò che a me sembra difficile. In questa interpre­
tazione continuerebbe a essere difficile anche l'epiteto «re » : Gesù ha riferi­
to a se stesso un predicato del messia davidico o, addirittura, un predicato
divino? 4 Questo ampio testo relativo al figlio dell'uomo mal si adatta, an­
che formalmente, agli altri logia di Gesù riguardanti il figlio dell'uomo, che
sono tutti molto brevi. È allora più consigliabile far risalire questo testo, de­
cisamente particolare, a qualche discepolo giudeocristiano di Gesù altri­
menti a noi sconosciuto? Forse è proprio questa l'ipotesi migliore. I molti
commentatori che attribuiscono il testo a Gesù, spesso senza vedere in ciò
alcun problema, dovrebbero, se non altro, rispondere alla domanda se essi
non abbiano preso tale decisione anche perché per noi, figli del xx secolo,
questo testo è diventato tanto importante, che lo neghiamo a Gesù solo oh­
torto collo.s

Storia degli effetti. Le interpretazioni principali del testo sono tre.


1 . L'interpretazione universale. « Quando il figlio dell'uomo verrà, giu­
dicherà tutti i popoli. Il giudizio si deciderà in base alle opere d'amore e
di pietà nei riguardi degli emarginati, dei poveri e dei sofferenti di tutto
il mondo, i più insignificanti tra i fratelli e le sorelle di Gesù» . 6 l fratelli
e le sorelle del figlio dell'uomo sono, quindi, tutti i bisognosi della terra,
cristiani e non cristiani. Spesso in questa interpretazione il motivo costi­
tutivo è dato dall'ignoranza: prima del giudizio universale gli uomini non
sapevano di aver fatto del bene a Cristo stesso e che nei fratelli più insi­
gnificanti fosse presente nel mondo il giudice universale in persona. In
questo tipo d'interpretazione il testo viene considerato un «riepilogo del­
l'insegnamento e dell'imperativo di tutto il vangelo» 7 e « il capolavoro
della letteratura evangelica » .8 Sono pochi i testi dei vangeli che eserciti-

1 Cf. sopra, p. 638 n. 1 .


2. Wilckensa, 379· I o uso peraltro l'argomento i n maniera diversa d a Wilckens, i l quale
ne desume che nel nostro testo si manifesterebbe un aspetto dell'originalità di Gesù.
3 Così Rinikera, 5 12.-p .2.. 4 Cf. sopra, p. 637 n. 4 ·
5 Lo suppone Pikazaa, so, che si pronuncia per la non autenticità.
6 Donahuea, 3· 7 Trilling, n, 2.82..
8 Légasse, 85. Frahier, Jugement", usa la storia quale testo fondamentale per un'ampia
etica cristologica su base biblica.
IL GIUDIZIO UNIVERSALE

no oggi un fascino pari a quello di Mt. 2 5 , 3 1 -4 6 secondo questa interpre­


tazione. Ci sono diverse dimensioni di significato che contribuiscono a
tale fascino. Cercherò di offrirne una panoramica.
a) Mt. 25,3 1 -46 è un testo esemplare per un cristianesimo non dogmatico e
pragmatico. Ciò che importa è soltanto l'amore per il prossimo, non un
credo o la fede. Qui, secondo alcuni, «l'amore per Dio» (e per Cristo) viene
«interpretato come amore per il prossimo>> . 1 Questa concentrazione del­
l'amore per Dio nell'amore per il prossimo è stata espressa nella forma si­
curamente più bella nel noto racconto di L. Tolstoj, Dove c'è l'amore, c'è
Dio.2. ll ciabattino Martin Avdeic piange la morte del suo unico figlio. Sente
allora la voce di Cristo che gli promette di venirlo a trovare il giorno dopo.
L'indomani Martin siede tutto il giorno alla finestra e aspetta. Diverse per­
sone passano a trovarlo: il primo è un vecchio sfinito dalla fatica di spalare
via la neve; viene poi la moglie di un soldato con un bambinetto, entrambi
semicongelati; terza viene una vecchia che litiga con un ragazzo dei vicoli
per una mela rubata. Martin parla con loro e offre loro da bere e da man­
giare. Queste tre persone erano Cristo, ma Martin non lo sa. Soltanto la let­
tura serale di Mt. 25,3 5 e 40 glielo insegna. Per Tolstoj Dio è l'amore che
dimora in ogni uomo e unisce tutto ciò che è separato. Per lo scrittore rus­
so uno dei testi più centrali della Bibbia è I Gv. 4,7 s.
b) Non c'è da meravigliarsi che in tutte le epoche della storia della chiesa
Mt. 25,3 1 -46 sia stato un testo fondamentale della diaconia. Risale a esso
il classico elenco delle sette «opere di misericordia » : basandosi su Tob. 1,17
LXX Lattanzio integra l'elenco di Mt. 25,3 5 s. con la sepoltura dei morti;
l'elenco era già fissato in epoca altomedievale.J « Per la caritas medievale il
logion . . . sui fratelli più insignificanti ne costituisce addirittura il cuore>> .•
«Per l'assistenza ai poveri un logion solo . . . Mt. 25,40 è diventato più impor­
tante di tutto un sistema di regole di saggezza >> .s In tutti i testi importanti,
fino all'ultimo catechismo cattolico, 6 M t. 2 5 è costantemente citato quan­
do si tratta di incoraggiare alla diaconia o a giustificarla teologicamente.
r H. Braun, Die Problematik einer Theologie des Neuen Testaments, in Id., Gesammente
Studien zum Neuen Testament und seiner Umwelt, Tiibingen • 1 967, 3 3 7; anche U. Luz,
Einige Erwiigungen zur Auslegung Gottes in der ethischen Verkiindigung ]esu (EKK.V 2),
1970, 1 27: «Il bisognoso è il 'dove' di Dio nel mondo,..
2. L. Tolstoj , Siimtliche Erziihlungen in fiinf Biinden m , ed. G. Drohla, Frankfun 1990,

327·341.
3 Lact. Epit. 65 (CSEL 19, 746); Tommaso, Summa 2/11 qu. 3 2 an. 2; nei commenti ad es.
in Dionigi il Cenosino, 277; Tommaso, Lectura, nr. 2098. Le opere della misericordia
sono sovente raffigurate pure iconograficamente e, a panire dal xn secolo, scenicamente
anche nelle rappresentazioni pittoriche del giudizio universale (LCI I, 24 5-25 1 ).
4 Brandt", 7, con documentazione epigrafica tratta da lapidi di fondazione degli hospitia.
5 W. Liese, Geschichte der Caritas I, Freiburg 1922, 3 3 ·
6 Katechismus, nrr. 1 503. 1 9 3 2. 2447. Nella Gaudium et Spes 27,2 (LThK• XIV, 366) Mt.
25,40 è il fondamento dell'amore universale del prossimo.
c) Mt. 25,3 1 -46 sembra esprimere, in maniera esemplare, l'idea che il be­
ne, soprattutto l'amore, può essere fatto solo di per se stesso. Nel nostro
testo le persone non sanno, infatti, di aver dimostrato il loro amore a Cristo
(vv. 37-39). Ciò è particolarmente importante per l'interpretazione di Im­
manuel Kant: il giudice universale «ha dichiarato veri eletti nel suo regno
proprio quelli che hanno prestato aiuto ai bisognosi senza pensare minima­
mente che ciò che facevano meritasse una ricompensa » . Se la ricompensa di­
venta la molla che spinge ad agire, l'azione umana non è più morale e non è
più conforme alla religione vera, naturale. 1 Il pensiero di Kant ha condizio­
nato l'interpretazione liberale del XIX secolo. 2 Ma l'idea in sé è più vecchia
di Kant; già Pascal aveva scritto: «Gli eletti ignoreranno le proprie virtù, i
reprobi la grandezza delle loro colpe>> .3
d) Mt. 25,3 1-46 ha un ruolo importante nella teologia della liberazione.
G. Gutiérrez tratta del passo nel contesto della «conversione al prossimo>> :
non c'è via che porti a Dio che non passi per il «sacramento del prossimo» ,
«poiché l'amore per Dio non può far altro che esprimersi nell'amore per il
prossimo » .4 Credere significa, allora, schierarsi dalla parte dei poveri:
«Mettersi dalla parte dei poveri significa: vedere l'immagine di Cristo nei
torturati e negli abitanti dei quartieri degradati, negli umiliati e negli offesi,
negli afflitti e nei disperati: è la via che hanno percorso Martin Luther King
e Camillo Torres>> .S Inoltre per i teologi della liberazione Mt. 25,3 1 -46 non
è innanzitutto un testo fondamentale per l'etica, bensì per l'ecclesiologia e
la cristologia. J. Moltmann formula così la valenza ecclesiologica del no­
stro testo: «l più insignificanti dicono dove sta la chiesa >>.6 La dimensione
cristologica del testo viene espressa efficacemente in un'opera teatrale del
poeta coreano Kim, Chi-Ha intitolata Il Cristo dalla corona d'oro. Davan­
ti a una chiesa coreana c'è una statua in cemento di Cristo con una corona
d'oro puro. Ai suoi piedi siedono alcuni mendicanti. Un prete grasso e un
uomo d'affari passano vicini, indifferenti. Un poliziotto cerca addirittura di
allontanare i mendicanti. Uno di loro comincia a imprecare contro la sta­
tua di cemento: «Quale affinità ci può essere tra me e questo blocco di ce­
mento? >> e vuole rubare la corona d'oro della statua di cemento. Allora la
1 I. Kant, Die Religion innerhalb der Grenzen der blossen Vemunft (in Werke vi, ed. E.

Cassirer, Berlin 192.3, 3 10 s.) (cit. da IV, I , I [p. 3 I I ]).


2. Cf. ad es. F.C. Baur, Vorlesungen uber neutestamentliche Theologie ( 1 864), rist. Hil­
desheim 1973, 1 10 s. ( « l'atto morale supremo può essere solo quello che avviene unica­
mente per la pura idea del bene»); Holtzmann, Theologie 1, 394 ( «se l'avessero fatto . . .
consapevolmente, . . . allora i l motivo del loro atto sarebbe stato egoistico>> ); J . Weiss, 3 89.
3 B. Pasca), Pensées, ed. L. Brunschwicg, Paris 1 9 1 4, nr. 5 1 5 .
4 G. Gutiérrez, Theologie der Befreiung, Miinchen-Mainz 1973, 179. 1 8 8. 1 8 6; cf. L.
Boff, ]esus Christus, der Befreier, Freiburg et al. 1986, 72. s.
5 W. Jens, Traktat vom Frieden, von der Gewalt und der Revolution, in H.J. Schultz, Po­
litik ohne Gewalt?, Frankfurt '1980, 149.
6 j. Moltmann, Kirche in der Kraft des Geistes, Miinchen 1975, 148.
IL GIUDIZIO UNIVERSALE

statua comincia a piangere e dice al mendicante: «Mi hai liberato dalla mia
prigione. Prendi la corona d'oro, a me ne basta una di spine. Prendi l'oro e
distribuiscilo» . La pièce finisce così: ritornano il prete, l'uomo d'affari e il
poliziotto, strappano al mendicante la corona d'oro e lo arrestano. Gesù tor­
na a essere una pietra inespressiva. 1 Cristo diventa quindi uomo nei pove­
ri, la sua incarnazione continua: è questo il cuore dell'approccio della teolo­
gia della liberazione. 2
e) Mt. 25,3 1 -46 è importante anche nel dialogo tra ebrei e cristiani. D
punto esegetico di partenza è in questo caso la possibilità che - sul piano te­
stuale che riguarda Gesù - l'espressione «i fratelli più insignificanti» potes­
se riferirsi a tutti i poveri di Israele.3 I fratelli e le sorelle di Gesù sarebbero
allora gli ebrei. Allora Mt. 25,3 1 -46 diventa la dichiarazione di fallimento
del cristianesimo corresponsabile degli orrori di Auschwitz. «Un mondo che
si dichiarava cristiano guardò, senza muovere un dito, come il popolo del
patto venisse sistematicamente sterminato, non pensando a ciò che il Cristo
dirà: 'Ciò che avete fatto a uno dei più insignificanti tra questi miei fratelli
e sorelle, lo avete fatto a me' » .4 G. van Norden riferisce una storia significa­
tiva e toccante pubblicata da un giornalista in Slesia. Dopo il cosiddetto «si­
nodo bruno» del settembre 1 9 3 3 , in Slesia un pastore appartenente ai cristia­
ni tedeschi, richiamandosi alle leggi ariane, intima per tre volte agli ebrei
della sua comunità di abbandonare la chiesa. A questo punto qualcosa si
muove, proprio sulla croce posta sopra l'altare: è il Crocifisso che scende
dalla croce e abbandona la chiesa - citando le parole di Mt. 25,4 5 . s
f) Mt. 2 5 , 3 1 ss. ha u n ruolo non irrilevante anche nei tentativi cristiani di
stabilire il rapporto del cristianesimo con le altre religioni. La convergenza
dell'elenco matteano delle opere d'amore (vv. 3 5 s.) con affermazioni pre­
senti in altre religioni aveva sempre esercitato un grande fascino. Questo
catalogo di opere d'amore non è specificamente cristiano, ma s'incontra in
forma simile anche in testi di altre religioni. 6 A ciò si aggiunge che gli uo-

1 Secondo Ahn, Byung Mu, ]esus and People (Miniung), in R.S. Sugirtharajah (ed. ), Asian

Faces of ]esus, London 1993, 163-165. Tr. inglese della pièce: Kim, Chi-Ha, The Gold­
Crowned ]esus and Other Writings, ed. Chong, S.K. - S. Killen, Ann Arbor 1978.
2 Non è una novità: cf. sotto, pp. 646 s.

3 Klapperta, 5 s. Se il testo dovesse risalire davvero a Gesù, questa interpretazione sareb­


be probabile.
4 Shalom ben Chorin, Freundesbrief an Ferdinand Hahn, in C. Breytenbach - H. Paulsen
(edd.), Anfiinge der Christologie (Fs F. Hahn), Gottingen 199 1 , 1 1 .
s G. van Norden - G. Schonbom - V. Wittmiitz (edd.), Wir verwerfen die falsche Lehre.
Arbeits- und Lesebuch zur Barmer Theologischen Erkliirung und zum Kirchenkamp(,
Wuppertal 1994, 1 74.
6 Si cita spesso il Libro dei morti egiziano; cf. sotto, p. 657 n. 3; inoltre il Ginza di de­
stra 1,105 (Lidzbarski, 1 8,5 ss. ) {pietà per gli affamati, gli assetati, gli ignudi, i prigionie­
ri); 2,42 (36, 1 3 ss. ) (simile); Ovid. Metam. 8,607-7 1 5 (Bauci e Filemone offrono ospita­
lità agli dei presentatisi nelle vesti di poveri viandanti). Altri paralleli in Bultmann, Tra-
mini di 25,3 1 -4 6 non sanno di aver avuto a che fare con Cristo. La norma
in base alla quale il figlio dell'uomo giudica gli uomini in Mt. 25,3 1-46 sem­
bra non aver niente a che fare con una religione specifica: è una norma uni­
versale. Sotto questo aspetto il nostro testo è paragonabile a quello paolino
di Rom. 2, 1 2- 1 6: i gentili vengono dichiarati giusti secondo la legge scritta
nei loro cuori. Una grande influenza sulla teologia protestante ebbe anche
una predica di Lutero, nella quale il riformatore aveva già evidenziato che le
opere di Mt. 25,3 5 s. venivano fatte più dai turchi e dai pagani che dai te­
deschi dei suoi giorni. 1 Cominciando con l'illuminismo venne ad aggiunger­
si anche l'idea della religione della ragione e dell'amore che dovrebbe esse­
re, in ultima analisi, il metro di tutte le religioni storicamente sviluppate; essa
avrebbe trovato un'espressione linguistica eccezionale in Mt. 25,3 1-46. Que­
sto passo può essere il testo fondamentale di una teologia cristiana delle re­
ligioni? P. Tillich, al quale dobbiamo l'importante concetto di «chiesa laten­
te» , della quale fanno parte anche persone di religioni non cristiane/ ha
visto in Mt; 25,3 1-46 una testimonianza importante della «esclusività con­
dizionata» del cristianesimo, in quanto limitata dalla giustizia. Per lui Mt.
2 5,3 1-46 è un testo che «libera l'immagine di Gesù da un particolarismo che
lo renderebbe proprietà esclusiva di una determinata religione».3 Per Taki­
zawa, il teologo e filosofo giapponese della religione, il quale distingue la pa­
rola primordiale divina, che egli chiama «Emmanuele» e opera in tutte le re­
ligioni, dalle sue incarnazioni storiche, ad esempio Gesù, Mt. 25,3 1-46 met­
te in evidenza proprio questo «Emmanuele» , relativizzando quindi la profes­
sione di fede in Gesù, fondatore di una religione. 4
g) In una società moderna, postcristiana, atea la pericope di Mt. 25,3 1-
46 può risultare estremamente importante per la teologia fondamentale. Già
Bultmann definì a suo tempo questa pericope l'esempio biblico più significa­
tivo delle «trasformazioni di Dio» nel N.T.: Dio entra nella storia; compa­
re nell'aldiquà, nella realtà immanente. Questo testo può essere d'aiuto agli
uomini moderni, per i quali la parola «Dio» è diventata un accessorio privo
di significato della tradizione, non a elaborare un nuovo concetto di Dio,
bensì ad avere un incontro nuovo con Dio.s D. Solle ha approfondito que-
dition, 1 3 1. Il parallelo più vicino si trova in un testo buddhista antico dei Tripiçaka,
dove il Buddha dice ai monaci: «Chiunque, o monaci, voglia servirmi, serva il malato»
( Vinayo Mahavaggo 8,:z.6; citazione tratta da A.J. Edmunds - M. Anesaki, Buddhist and
Christian Gospels, Tokyo 1905, 105).
1 Lutero, Evangelien-Auslegung n , 8 5 3 s. 8 57.

2. P. Tillich, Systematische Theologie m, Stuttgart 1966, 1 79-182., spec. 1 8 1 . Anche K.

Rahner, Grundkurs des Glaubens, Freiburg et al. 41976, 303 : Gesù si fa trovare nei fra­
telli umani bisognosi «per così dire, sotto anonimato».
3 P. Tillich, Die Frage nach dem Unbedingten, in Id., Werke v , Stuttgart 1964, 66 s.
4 Takizawa, K., Buddhismus und Christentum, dattiloscritto, 1 950, 1 1 7 s.
s R. Bultmann, Der Gottesgedanke und der moderne Mensch, in Id., Glauben und Ver­
stehen IV, Tiibingen 1965, 1 2.3-I2.7.
IL GIUDIZIO UNIVERSALE

sta idea nel dialogo con il marxismo: per lei l'incarnazione di Dio è «il pro­
cesso progressivo dell'autorealizzazione divina nella storia » , che rende Dio
conoscibile ed empiricamente percepibile nei poveri;1 « Che nel mondo Dio
sia stato e ancora sia oltraggiato e torturato, bruciato e gassato, è la roccia
della fede cristiana, la cui speranza è che Dio raggiunga la propria identità •• . 1
In maniera diversa, e pur sempre simile, anche per Kitamori, il teologo giap­
ponese del «dolore di Dio», Mt. 25,3 1 -46 è un testo chiave: «Dio si nascon­
de dietro alla realtà del mondo»; egli vuole «essere amato nel nostro ama­
re la realtà del mondo» . La realtà del mondo è « una realtà dolorosa: la fa­
me, la sete, la condizione di straniero, la nudità, la malattia e la prigione» .
Dio patisce il dolore del mondo e questo dolore, essendo il dolore di Dio, di­
venta il luogo dell'esperienza della trascendenza e della grazia.3
Questa interpretazione di Mt. 25,3 1 -46 è oggi la più diffusa 4 ed è diven­
tata quasi patrimonio comune. Essa è imperniata sull'identificazione dei
«fratelli più insignificanti » con tutti gli uomini che si trovano in si­
tuazioni difficili. Taie interpretazione non è antica e non è diventata im­
portante prima degli inizi del XIX secolo. S Nella chiesa antica, nel me­
dioevo e nell'età della Riforma tale interpretazione ha avuto, checché
se ne dica, 6 ben pochi sostenitori.7 Nell'albero della storia dell'interpre-
r D. Solle, Das Fenster der Verwundbarkeit, Stuttgart 1987, so.
:z.D. Solle, Stellvertretung, Stuttgart 1965, :z.o4.
3 Kitamori, K., Theologie des Schmerzes Gottes (Th O u ), 1972., 98-103 (cit. a p. 98).
4 Graya, il diligente cronista della storia dell'interpretazione del nostro tempo, ha classifi­
cato (pp. :z.:z.s -:z.:z.7) circa 5 50 esegesi del xx secolo. Di queste, 440 sostengono la tesi che
l'espressione -riÌ !-8v1J vada intesa in senso universale e almeno altre 3 60 ca. sono favore­
voli a un'interpretazione universale dei « fratelli più insignificanti ».
5 Paulus, m , 4 8 8 , la sostiene come possibilità, come faranno poi, ad es., Fritzsche, 747;
de Wene, r s:z. (richiamandosi a Ebr. :z.,n ); Ewald, 3 4 1 . Essa ricorre frequentemente
nella seconda metà del XIX secolo.
6 Graya trana la storia dell'interpretazione quasi unicamente nell'ottica di questa proble­
matica, anche se offre un quadro un po' diverso dal mio. A suo dire, soprattutto nel pe­
riodo tra il 32.5 e il 750, l'interpretazione «universale» dei « fratelli più insignificanti»
sarebbe stata sostenuta da un numero relativamente alto di interpreti. Il modo in cui
Graya interpreta i testi è parzialmente fuorviante: r. non tiene nel debito conto la mo­
dernità della sua problematica, che non poteva interessare affatto, nei suoi termini, gli
autori antichi; :z.. tiene troppo poco conto del fatto che, a partire dalla svolta costanti­
niana, gli interpreti ecclesiastici hanno avuto sempre meno contatti diretti con i gentili;
perciò essi davano quasi per scontato che nel corpus Christianum parlare di uomini e par­
lare di cristiani (e viceversa) fosse la medesima cosa; 3 · quando parla dell'approvazione
delle opere di misericordia anche verso i non cristiani, Graya non è abbastanza chiaro
nel precisare che questo non esclude affatto che l'espressione «i miei fratelli più insignifi­
canti » potesse riferirsi ai cristiani.
7 Chiare testimonianze dell'interpretazione universale dei « fratelli più insignificanti» si
hanno, ad es., in Cesario di Arles, Sermo 199,3 (CChr.SL 104, 804 s.) e Sermo 2.9,3 s.
( IOJ, I2.7- r:z.9); in epoca medievale Teofilatto, 4 3 2. (come possibilità); Tostado, qu. 393
tazione di Mt. 25,3 1 -46 la suddetta interpretazione è un ramo giovane
e, a mio giudizio, tipicamente moderno.
2.. L'interpretazione classica. Al contrario, l'interpretazione ecclesia­
stica dominante fin verso il 1 8oo vedeva nei «miei fratelli più insignifi­
canti» i membri della comunità cristiana. Perlopiù si includevano in quel­
l'espressione tutti i membri della comunità, ma sporadicamente si faceva
sentire qualche voce che ne limitava esplicitamente l'applicazione ai so­
li battezzati. ' Rispetto a questa posizione di maggioranza, sono relativa­
mente rare le interpretazioni che limitano ancor più il senso del termine
«fratelli » , per esempio ai soli apostoli o ai «cristiani perfetti ».1 Gli in­
terpreti hanno inteso «tutti i popoli » in senso universale, anche se molte
volte il ruolo dei non cristiani nel giudizio è rimasto poco chiaro. Spesso
gli esegeti hannolimitato anche la frase 1tav-ta. -tà &.SvYj a «tutti i cristia­
ni» .3 Questa impostazione permetteva di ottenere un senso chiaro: nel

(secondo Graya, 193: determinante è la discendenza da Adamo). Anche in Giovanni Cri­


sostomo si nota una tendenza verso l'interpretazione universale quando, per esempio,
nega ogni esame preventivo degli ospiti che bussano (Briindle, Matth. 2J,JI·46a, 2.48-
2.50). Hier. In Mt. 2.44 è al corrente di un'interpretazione universale, ma la rifiuta.
1 Per la chiesa antica cf. ad es. Clem. Al. Quis Div. Salv. 30,1 (BKV n/8, 2.61 ); Tertulliano

(cf. Graya, 2 5 ); Chrys. In Mt. 79, 1 (PG 58, 7 1 8 ) (battesimo segno distintivo); Hier. In
Mt. 2.44 (non . . . genera/iter); Agostino (spesso; passi in Graya, 69 s.); Ambr. Off. 2.,2.8
(BKV 1/3 2, 1 97) (i cristiani poveri sono il tesoro della chiesa); Basilio (passi in Graya, 42
s.). Per il medioevo ad es. Pascasio Radberto, 866 (non tutti i poveri, ma soltanto i pau­
peres Christi); Cristiano di Stavelot, 1470; Tommaso, Lectura, ne. 2103 . Per l'età della
Riforma ad es. Calvino, n, 297; Musculus, 5 39; Wolzogen, 3 99; Grozio, n, 273; Lapi­
de, 465 (l'espressione indica «proprie» gli apostoli e i «religiosi»; «consequenter» tutti i
cristiani battezzati; qui Cristo non parla affatto di elemosine per i non cristiani e gli ere­
tici; comunque non è proibito darle). Sulla chiesa antica cf. inoltre Puzichaa, 17-22.
2. Così Orig. In Mt. ser. 73 (GCS I I, 174). L'interpretazione restrittiva corrisponde a
quella gnostica e manichea; cf. M. Hutter, Mt 2J,J L·46 in der Deutung Manis: NT 3 3
( 1 99 1 ) 276-282. Viceversa, i n Ps.-Ciem. Epist. ad Virg. 1 , 1 2 (ANFa 8 , 59 s . ) i carismati­
ci itineranti vengono esortati a visitare i cristiani normali che soffrono. Ovviamente,
nelle regole monastiche il testo viene applicato soprattutto alla propria confraternita, ad
es. Bas. Reg. Brev. 284; Regula Benedicti 3 6, ma non in maniera esclusiva. Nella sua
applicazione omiletica Lutero, Evangelien-Auslegung n, 8 54 s., pensa particolarmente
ai pastori e ai maestri di scuola: non certo perché essi formassero una élite, ma perché a
quei tempi se la passavano proprio male.
3 Già per Origene questa alternativa era irresolubile; cf. Orig. In Mt. ser. 70 (GCS 1 1,
1 64). Si pronunciano per un giudizio sui cristiani, ad es., Lact. lnst. 7,20 (CSEL 19,
647-650); Cesario di Arles (cf. Graya, 103 s.); Beda In Mt. 109; Valdés, 447; Grozio, n,
271 . Perlopiù non si hanno qui alternative chiare, e spesso il giudizio sui cristiani non è
che la conseguenza di un'accentuazione del testo a fini omiletici o parenetici. Dove il te­
sto viene inquadrato in una data visione del mondo, come nell'esegesi cattolica post­
medievale, il giudizio è sempre universale e tocca, ad esempio, anche gli infantes (Mal­
donado, soo s.; Lapide, 462).
IL GIUDIZIO UNIVERSALE

giudizio finale i cristiani saranno giudicati col criterio delle opere di mi­
sericordia che essi hanno compiuto, o trascurato, nei riguardi dei loro
fratelli di fede poveri e bisognosi. Queste interpretazioni hanno perlopiù
un orientamento parenetico. Il testo vuole sollecitare le comunità a com­
piere le opere di misericordia. In questo modello ermeneutico la circo­
stanza che gli uomini non conoscessero Cristo non aveva uno spazio pre­
ciso. Spesso vi si vedeva soltanto un'espressione dell'umiltà dei giusti o
della miopia degli ingiusti. •
Soprattutto le prediche di Giovanni Crisostomo offrono esempi magnifici di
interpretazioni parenetiche del nostro testo, che il grande predicatore cita
circa 1 70 volte.1 Nella Hom. 79 egli sottolinea che i comandamenti della mi­
sericordia possono essere osservati facilmente e contengono una promessa
sublime, perché nella persona del mendicante è Dio stesso che riceve l'ele­
mosina. Inoltre tutti i battezzati sono fratelli di Cristo, non solo i monaci e
gli eremiti sui monti) Giovanni raccomanda costantemente ai membri del­
le sue comunità di Antiochia e Costantinopoli di pensare alla sorte dei po­
veri, che in quelle città erano numerosissimi. 4 Spesso il cagnolino della ric­
ca matrona se la passava molto meglio dei fratelli senza tetto.5 Non basta
che le comunità abbiano �e:voòoxe:i:a ( «foresterie» ); in realtà tutti i cristiani
che possiedono una casa dovrebbero riservare una stanza, un xe:ÀÀtov Xpt­
a-rou, da mettere a disposizione dei senzatetto, dove Cristo possa essere pre­
sente. 6 Giovanni Crisostomo è uno di quegli autori che richiedono esplici­
tamente che l'ospitalità cristiana sia estesa anche ai giudei e ai gentili: anzi,
in casi dubbi, persino agli eretici. 7 Un altro documento notevole è l'Oratio
14 di Gregorio Nazianzeno sull'amore verso i poveri; l'orazione culmina con
Mt. 25,3 1 -46. 8 Nell'Occidente medievale, però, risultò molto più efficace
di tutte le prediche e le dotte interpretazioni la leggenda del catecumeno
Martino di Tours, tramandata da Sulpicio Severo: alle porte della città di
Amiens questo soldato diede a un povero la metà del suo mantello militare,
l'ultimo che gli era rimasto. La notte seguente gli apparve Cristo con indosso

I Cf. Opus Imperfectum 54 (PL s 6, 944 ): o humilitas! . . . Vir. . . bonus etiam debitam

sibi laudem fugit. Viceversa, la domanda dei condannati (v. 44) è un'espressione del lo·
ro perdurante peccato: essi non vogliono vedere ( 5 4 [946] ).
2. Cf. la panoramica in Brii.ndle, Matth ZJ,J L -46°, 1 6-42.
3 Chrys. Hom. 79, 1 (PG 58, 7 1 8).
4 Per la storia sociale cf. Brii.ndle, Matth ZJ,J I-46°, 75-1 2 1 .
5 Chrys. Hom. in Rom. 1 1 ,6 (PG 6o, 492).
6 Chrys. Hom. in Act. 45,4 (PG 6o, 3 19). Anche Musculus, 542, prende di mira l'abitu­
dine invalsa nell'età moderna in Occidente di •scaricare» i fratelli di passaggio in fore­
sterie, sottraendosi in questa maniera all'obbligo dell'ospitalità.
7 Brii.ndle, Matth ZJ,J I·46°, :z.48 s.
8 Greg. Naz. Orat. 14 (BKV 1/59, 273-308: 307 s. per il complesso relativo a Mt. 25).
la metà del suo mantello e gli spiegò, con le parole di Mt. 2.5,40, che egli stes­
so lo aveva incontrato in quel povero. I
Meritano particolare menzione alcune importanti riflessioni specifiche
che sono state fatte nel quadro di questa interpretazione «classica» :
a ) Per quanto attiene alla cristologia il nostro testo è stato oggetto di appro­
fondita riflessione alla luce della dottrina delle due nature: in quanto Dio,
Cristo è incapace di sofferenza (cbt<i.SY)c;), ma soffre nel proprio corpo, la
chiesa ... Egli è vero Dio e vero uomo, ricco quanto a ciò che egli è, ma povero
quanto a ciò che egli ha di umano.3 Se il Signore si identifica con i poveri,
la sua passione dura fino alla fine del mondo; 4 l'umanità di Cristo e la sua
passione non sono, dunque, un episodio transitorio. Anche Giovanni Criso­
stomo, antiocheno, conosce l'idea di una passio continua: «Quella volta ho
patito per te un profondo dolore, per te lo soffro ancora oggi, per muoverti a
compassione . . . . In croce ho patito la sete per te, adesso la patisco nella per­
sona dei poveri, per muoverti all'amore, per la tua stessa salvezza ».s
b) Di quali opere si parla ai vv. 3 5 s. ? Generalmente predominava l'in­
terpretazione letterale; si era, quindi, consapevoli che si trattava di opere di
misericordia concrete per poveri in carne e ossa. Già Origene, però, aveva
interpretato le opere di misericordia in senso spirituale: il cibo era quello
per il nutrimento spirituale, le vesti erano la sapienza della quale ci si do­
veva rivestire e la visita da rendere ai fratelli era il rimprovero o il conforto
spirituale. 6 Successivamente si arrivò spesso ad associare opere sociali e
opere spirituali: anche la preghiera o l'esposizione della retta dottrina posso­
no essere opere di misericordia.7
c) Nell'epoca della Riforma la natura meritoria delle opere di misericor­
dia divenne un punto controverso. Commentando il v. 34, Calvino mise in
evidenza che la salvezza dei benedetti era dovuta alla grazia gratuita di Dio
che egli aveva destinata ai salvati prima di qualsiasi opera umana. La ricom­
pensa è una ricompensa gratuita data per grazia: il ytip (v. 3 5 ) non significhe­
rebbe affatto che le opere siano il motivo reale della salvezza. 8 Seguendo
Calvino, le opere di misericordia furono considerate non causa della salvez­
za, bensì «signa» dell'elezione.!' Gli esegeti cattolici disssentirono dall'ese-
I Sulpicio Severo, Vita MaTtini 3 (BKV 1/20, 2.2. s.).
2. Orig. In Mt. ser. 73 (GCS I I , 172 s.).
3 Leo Magn. Serm. 9 1 ,3 (BKV 1/ 5 5, 2.8 1 ) . 4 Leo Magn. Serm. 70,5 (BKV 1/ s s . 1 87).
5 Chrys. Hom. in Rom. 1 5 ,6 (PG 6o, 547 s.); cf. Brandle, Matth 2J,J I-46•, 5 6. 3 26 s. 344·
6 Orig. In Mt. ser. 7 2 (GCS I I , 1 68-172.). Una bella interpretazione spirituale si trova in
Macar. Hom. 30,9 (BKV 1/ 10, 260 s.): l'ospitalità si riferisce all'entrata di Cristo nelle
anime umane. Hier. In Is. 1 6 (CChr.SL 73A, 667) (a Is. 5 8,6 s.) pensa al calore della chie­
sa, alla veste del battesimo e al cibo della dotttina ortodossa.
7 Così, ad es., Calvino, n, 295; Musculus, 5 3 6. 5 3 8 . Allora, anche i professori possono
essere salvati! 8 Calvino, n, 294 s., e Inst. 3 , 1 8,1-3.
9 Cocceio, 40; anche il cattolico Valdés, 449, è su questa linea.
IL GIUDIZIO UNIVERSALE

gesi di Calvino: il yap (v. 3 5 ) avrebbe valore causale e non consecutivo; la


salvezza è concessa «non solum post laborem, sed etiam propter laborem»,
ossia sarebbe in tutto un merito/ Al giovane Giansenio, fondatore del gian­
senismo, si devono le parole: «Dovete ora prendere concretamente possesso
di quel regno, che è stato predestinato a voi dall'eternità, . . . affinché rispon­
diate alla predestinazione divina con i buoni costumi e le buone opere ».,.
3 . L'interpretazione esclusivistica. A partire dal XVIII secolo, 3 fa la sua
comparsa un nuovo tipo d'interpretazione che nel XIX secolo fu soste­
nuta sporadicamente 4 e poi sempre più frequentemente a partire dal
1960 circa.s In esso si interpretano le parole 1tana -.à. WvYj non nel sen­
so di «tutti i popoli», bensì di «tutti i gentili» .6 Alla presenza del giudi­
ce universale si troverebbero, dunque, soltanto i non cristiani; i cristiani
ai quali il giudice universale fa specifico riferimento ( «questi » fratelli),
formano la platea e non vengono giudicati. Per la maggior parte degli
interpreti i «fratelli più insignificanti» sono qui i cristiani, anche se alcu­
ni restringono l'espressione agli apostoli e ai missionari cristiani. I non
cristiani vengono dunque giudicati con il criterio del loro comportamen­
to verso i cristiani. In questa lettura il testo non ha, in primo luogo, una
funzione parenetica, ma si propone di confortare i missionari cristiani
tormentati e perseguitati. Essi sono talmente importanti che è dal com­
portamento nei loro confronti che dipende la salvezza o la perdizione
dei gentili. Questa interpretazione non è caratterizzata da quell'apertura
ampia, che abbandona ogni elemento dogmatico, tipica dell'interpreta­
zione di tipo universalistico, bensì da uno spirito ristretto, quasi settario/
Mt. 25,3 1 -46 qui non è più una testimonianza della relativizzazione di
tutti i dogmi e di tutte le confessioni, bensì una testimonianza della pre­
tesa di assolutezza cristiana. Letto in questa prospettiva, Mt. 2 5 , 3 1 -46

r Maldonado, 503; Lapide, 464; altri sostenitori di questa linea in Gray", 210-216.
2.Giansenio, 250.
3 Secondo Gray", 24 1 s., il primo sostenitore di questo tipo d'interpretazione è stato l'in­
glese John Heylin nelle Theological Lectures at Westminster Abbey 1, 1 749.
4 Ad es., da Olshausen, 9 3 1 s.; O. Pfleiderer, Das Urchristentum 1, Berlin 1 1 902, 596;
Holtzmann, 288; B. Weiss, 440; Zahn, 673 s. (conforto per i discepoli); Klostermann,
207; altri esegeti di questa tendenza sono indicati in Keil, 497, e Gray", 25 1 s.
5 Ad es. Winandy", 178-1 86 ( 1 84: •la messa in scena drammatica di» Mt. 10,40-42);
Haufe"; Cope"; Ingelaere", 3 2-56; Lambrecht", 3 29-340; Broer", 292-295 (per Matteo);
Gewalt"; Friedrich", 259-270 (per Matteo); Stanton, Gospel, 207-23 1 ; Hare, 288-291;
Watson", 64-66.
6 Se l'espressione includa o meno anche i giudei è questione su cui i pareri si dividono.
7 Cope", 44: «L'etica è ecclesiastica e settaria; non rappresenta un progresso significati­
vo del pensiero etico rispetto alla morale del giudaismo coevo• .
non è più nemmeno il punto culminante al quale tende tutta la sezione
parenetica di Mt. 24,32-25,30. In alternativa, i sostenitori di questa in­
terpretazione sono costretti a ipotizzare un giudizio in due fasi: dopo il
giudizio riguardante la comunità, al quale si è già accennato in 24,4 5-
2 5 , 3 0, verrebbe ora aggiunto ancora un altro testo sul giudizio dei non
cristiani. 1
Nel XIX secolo, quando l'attività missionaria verso le popolazioni pagane
toccò l'apice e, al contempo, ci si rese conto di come il mondo non fosse to­
talmente cristianizzabile, un'informazione sul destino dei non cristiani al
momento del giudizio universale era estremamente rilevante: i non cristiani
non sono semplicemente perduti, ma hanno un'opportunità, poiché Dio non
li giudicherà in base alla loro fede, bensì secondo le loro opere d'amore;
con un criterio, dunque, che vale in tutti gli ambiti culturali e, quindi, può
essere applicato anche per i pagani. 1 Nel XIX secolo quest'idea si dimostrò
efficace riuscendo a fornire un impulso positivo. Ai giorni nostri, quando
per la maggior parte degli uomini il giudizio universale è diventato un con­
cetto piuttosto astruso e la salvezza dei non cristiani è ancor più ovvia, l'im­
pulso suddetto ha perso gran parte della sua utilità. Ciononostante, proprio
a partire dal 1 9 60 circa, questa interpretazione divenne sempre più popo­
lare. Il motivo di tanto favore non sta a mio parere nel fatto che questo ti­
po d'interpretazione risponderebbe particolarmente ad alcuni bisogni del
nostro tempo, bensì, più semplicemente, nella solidità del suo fondamento
esegetico: essa ha dalla sua Mt. 10,1 1 - 1 5 ·40-4 2 e l'uso linguistico grecogiu­
daico comune di É-8vlJ come goiim. Rispetto all'interpretazione universalisti­
ca dominante nel nostro secolo, quest'altra interpretazione rappresenta una
svolta radicale: il testo di Mt. 25,3 1 -46, tanto familiare e «attuale» secon­
do l'interpretazione universalistica, diventa improvvisamente alieno. Molti
esegeti hanno mosso pesanti critiche teologiche a questa interpretazione,3
anche se essa sembra loro esegeticamente inevitabile. Alla maggior parte de­
gli esegeti risulta difficile applicare nel nostro tempo il testo così inteso in
maniera teologicamente ed esegeticamente sostenibile. Oggi questo tipo di
interpretazione sembra affermarsi sempre di più, anche se quasi nessuno lo
accetta con piacere.

1 Questo giudizio universale in due tempi corrisponde a quanto si legge in Test. Ben.
10,8 s. (prima viene giudicato Israele, poi le nazioni ). S. Grossmann, Das Ende der Welt,
Wuppertai-Kassel 1 99 1 , 101, nota puntualmente come, in tal caso, la pericope di 25,3 1-
46 diventerebbe una semplice appendice: egli definisce, infatti, il testo una sorta di «cen­
tro di prima accoglienza » per non cristiani.
1 L'interpretazione di Jeremias, Gleichnisse, 205 . 207, corrisponde, in maniera classica,

a tale bisogno.
3 J. Weiss, 3 8 8, parla di «insopportabile presunzione cristiana » . Gnilka, n, 375, ritiene
che questo modo di vedere sia poco cristiano e poco matteano. Per Browna, 178, il testo
rafforza «la supponenza morale di una comunità chiusa e particolaristica ».
6 so IL GIUDIZIO UNIVERSALE

Oggi quindi sulla scena ci sono sostanzialmente soltanto due tipi d'in­
terpretazione che si fronteggiano: l'universalistico e l'esclusivistico. Nel
dibattito teologico odierno l'interpretazione classica vive, praticamente,
nell'ombra: ma è proprio quella che desidero qui propugnare.

31-32a. I versetti introduttivi (vv. 3 1 -3 2a), opera dell'evangelista, svi­


luppano la scena della venuta del figlio dell'uomo Gesù che è già fami­
liare ai lettori, essendo stata preceduta da numerose allusioni in passi già
noti. 1 La maestà del personaggio viene messa in chiaro risalto: come in
1 3 ,3 9 ·4 1 .49; 1 6,27; 24,3 1 e anche altrove nella tradizione protocristia­
na,'" gli angeli lo accompagnano. Come in 1 6,27; 24,30 egli giunge
nella gloria divina; come in 1 9,28 egli si siede sul «trono della gloria »,
vale a dire, nel linguaggio biblico solenne, sul trono di Dio.3 Come in
tutto il N.T., il figlio dell'uomo Gesù è lui stesso il giudice universale e
non, come nella tradizione di Daniele, un mero cancelliere del tribunale
o un testimone processuale. 4
Davanti al suo trono si radunano 1ttXV'tl% 'ttX e-8VYj. Il testo parla soltan­
to di questi. Il terzo gruppo presente al giudizio, •• questi » fratelli, non
compare mai nella descrizione della scena del giudizio, ma viene men­
zionato soltanto al v. 40, nel discorso diretto del giudice. Questo parti­
colare è fondamentale per la comprensione del testo: i lettori cercheran­
no anche qui, come in tutti i testi precedenti, di ritrovarsi nel testo. Essi
capiscono nel momento in cui si identificano. Con chi si identificheran­
no? Che essi si identifichino, secondo la prospettiva dell' « interpretazione
esclusivistica » , con « questi miei fratelli più insignificanti » , è, per così
dire, escluso narratologicamente, poiché si parlerà di loro soltanto al v.
40, nella risposta del giudice universale. In questa rappresentazione del
giudizio universale essi non sono tra gli attori. Se il narratore avesse vo­
luto che i lettori si identificassero con i «fratelli più insignificanti », avreb­
be potuto introdurli benissimo all'inizio della descrizione, con il giudice
universale. I lettori si identificheranno allora con 1ttXV'tl% 'ttX e-8vYj? Que­
sta identificazione andrebbe bene per i testi precedenti, quelli dei due
schiavi, delle vergini e degli schiavi del capitalista partito per un viag-

1 Mt. 10,23 ; 1 3 ,40-43 ·49 s.; 1 6,27 s.; 1 9,28; 24,30 s. Cf. Luck, 275: «In Matteo questo

evento getta la sua ombra molto prima» .


2 Mc. 8,38; 1 3 ,27; Gv. 1 , 5 1 ; cf. 2. Tess. 1 ,7; Le. 1 2,8 s . 3 Cf. sopra, a 19,28.

4 Questa funzione specifica costituisce il parallelo contenutistico più importante tra le


similitudini di Enoc etiopico e l'intera tradizione neotestamentaria del figlio dell'uomo,
anche se il N.T. va oltre le similitudini enochiche, nelle quali il «Signore degli spiriti •
continua a essere attivamente presente quale sommo Signore: è lui che ha insediato sul
trono il suo «eletto» (cf. 3 8-40; 46,3; 48,2; 49,2; 5 1 ,3; 6 1 ,8; 62,2. 14).
6p
gio ( 24,4 5 -25,30), poiché sia nel nostro testo sia in quelli precedenti ci
sono due possibilità di scelta: i lettori devono decidere - non solo nel­
l'atto intellettuale, ma anche nella condotta di vita - se stanno dalla par­
te delle giovani stolte o di quelle avvedute, di uno o dell'altro schiavo e
nel gruppo alla destra o alla sinistra del giudice.
Questa identificazione con gli €-BvTj è però semanticamente difficile
perché sia nell'ambito linguistico grecogiudaico influenzato dai LXX, sia
nello stesso vangelo di Matteo, il termine in questione indica general­
mente i gentili non israeliti (e non cristiani) . È possibile che lettori giu­
deocristiani si identifichino con loro? Anzitutto i lettori interpreteranno
l'espressione partendo da quanto hanno letto finora nel vangelo, ricor­
dandosi, quindi, da un lato di 24,3 0 s. e, dall'altro, di 24, 14. In 24,30
s. 1taacu a.l cpuÀa.t -ti)�:; ylj�:; diventano testimoni della venuta del figlio del­
l'uomo. Esse faranno cordoglio e il figlio dell'uomo invierà allora i suoi
angeli per radunare «i suoi eletti » dai quattro angoli della terra. Se si in­
tende 2 5 ,3 I-46 come continuazione di 24,29-3 I ,' allora la comprensio­
ne universalistica di 7ttXV'ta. -tà €-BvT) è la più naturale. Ma rientrano tra
questi anche gli «eletti » che vengono radunati dai quattro punti cardina­
li solo successivamente? È difficile dirlo con certezza. I lettori si ricorde­
ranno, inoltre, anche di 24,9· 14, dove già prima era comparsa l'espres­
sione 7ttXV'ta. -tà MvT). Qui gli e.fJ.vT) sono le nazioni non cristiane e il termi­
ne è usato in un contesto missionario: « Questo evangelo del regno sarà
predicato in tutto il mondo, affinché ne sia resa testimonianza a tutte le
genti: e allora verrà la fine» ( 24, I 4 ) . Nel nostro testo la fine annuncia­
ta in 24, I 4 è giunta. Ciò significa che nel frattempo tutti i popoli hanno
ascoltato « l'evangelo del regno » e lo hanno o accettato o rifiutato. L'at­
tesa della parusia a breve di Matteo non è in contrasto con l'ipotesi che
egli si aspettasse effettivamente qualcosa del genere. :t Se, dunque, si tie­
ne conto della visione matteana della missione, non si potrà certo dire
che i «gentili » di cui si parla nel nostro passo sarebbero soltanto quelli
che non hanno ancora sentito parlare di Cristo. La lettura più probabi­
le è, quindi, che le parole 1ttXV't!X -tà e.fJ.'ITj significhino «tutti i popoli », CO­
munità cristiana inclusa.
Ci sono quattro altre considerazioni che confermano l'interpretazione
qui proposta:
a) A partire da 24,3 Gesù parla ai soli discepoli. Fin da 24,3 2 egli usa
immagini sempre nuove per metterli in guardia dal giudizio che attende
r Cf. sopra, intr. a 2.4.3-2.5,46, nr. 1 .
:tL'analogia con Paolo mostra che l a pretesa di «completare» l'evangelo i n tutta l'ecu­
mene, «da Gerusalemme e dintorni fino all'lliiria,. (Rom. 1 5,19) si poteva assolutamen­
te unire all'attesa a breve della fine.
IL GIUDIZIO UNIVERSALE

anche loro. Matteo, però, non ha ancora descritto il giudizio che riguar­
da la comunità. Tutta quanta la parenesi di 24,3 2-2 5,30 non servireb­
be a niente se non terminasse con la rappresentazione di un giudizio nel
quale risultasse coinvolta la comunità. 1
b) Questa interpretazione è anche l'unica che renda giustizia alla con­
cezione matteana del giudizio: in 1 6,27 l'evangelista aveva spiegato che
il figlio dell'uomo «renderà a ciascuno ( l ) secondo il suo comportamen­
to »; in 1 3 ,3 8 .4 1 il regno del figlio dell'uomo era il campo del mondo: il
mondo era il campo dal quale gli angeli raccoglievano grano e zizzania,
cioè i giusti e gli ingiusti. Secondo 1 3 , 3 7-4 3 non esisteva alcuna distinzio­
ne tra comunità e mondo rispetto al giudizio; la comunità stessa è un cor­
pus permixtum; 2. un giudizio separato, nel quale il figlio dell'uomo giudi­
ca solamente i non cristiani, sarebbe in totale contraddizione con la con­
cezione matteana della chiesa.
c) Matteo aveva chiuso tre dei suoi grandi discorsi precedenti con te­
sti che parlavano del giudizio universale che avrebbe riguardato anche la
comunità (7,21 -27; 1 3 , 3 7-43 ·47- 50; 18,23-3 5 ) . Dovrebbe ora proprio
la conclusione dell'ultimo discorso di Gesù e, quindi, la conclusione dei
suoi ammaestramenti ai discepoli, abbandonare lo schema costante con
un'appendice nella quale si parlerebbe di un tema che non riguarda di­
rettamente la comunità, cioè il giudizio che riguarda gli «altri» , i non
cristiani ? Non è verisimile.
d) Entrambi i gruppi apparsi in giudizio si rivolgono al sommo giudice
chiamandolo xupte:, appellativo che appartiene chiaramente al vocabola­
rio della comunità e richiama passi precedenti (7,21 s.; 2 5 , 1 1 . 20-24).3
Mediante tale appellativo i lettori vedranno confermata la loro identifi­
cazione con i due gruppi alla destra e alla sinistra del figlio dell'uomo.
Se Israele sia incluso o meno nell'espressione «tutti i popoli» 4 è un interro­
gativo al quale il testo non risponde. Tanto qui quanto in 24,9- 1 4 non c'è
alcun particolare interesse per Israele. Matteo aveva sì alluso al fatto che a
Israele fosse stata tolta quella sua elezione particolare e che con la distru-
r Se si limitasse il significato dell'espressione 1t�na -rò: MvlJ ai non cristiani, la pericope

di Mt. 2.5,3 1 -46 diventerebbe una sorta di appendice contenente informazioni sul pro­
blema particolare del destino dei non cristiani al momento del giudizio universale. A.J.
Matill4, 107- 1 14, che intende il nostro testo proprio in questa maniera, lo può allora
magnanimamente trasferire dopo 10,14, alla fine del discorso ai discepoli.
2. Cf. vol. 11, pp. 430-4 3 3 . 3 Osservazione di M. Mayordomo-Marin.
4 Il più acceso sostenitore dell'esclusione di Israele è Walker, Heilsgeschichte, 108 s. A
detta sua da 2.1,3 3-2.2.,10 e 2.3,1 -2.4,2. risulta chiaro che Israele «è uscito dalla storia del­
la vocazione di Dio», mentre il giudizio storico che lo ha colpito, la distruzione di Geru·
salemme, avrebbe per lui carattere escatologico. Vanno all'incirca nella medesima dire­
zione i pareri di B. Weiss, 440, e Lange, Erscheinen, 2.98 s.
zione di Gerusalemme fosse ricaduta su «questa generazione>> la colpa di
aver perseguitato i profeti e gli inviati di Gesù ( 2 1 ,43; 23,3 4-24,2; cf. 24,
1 5-20), ma fin qui non aveva mai parlato di un giudizio definitivo del figlio
dell'uomo su Israele.

3 2b-3 3 . Il giudizio del figlio dell'uomo comincia con una similitudine


che illustra l'azione giudiziaria vera e propria, la separazione (àcpopt�w) .
In primo luogo, dunque, il giudice universale separa i giusti e gli ingiusti,
ponendo i primi alla sua destra, il lato « fausto >> , i secondi alla sua sini­
stra, il lato «infausto >> . I Il giudice pronuncia il suo giudizio subito, al­
l'inizio, e non ha alcun bisogno, come ogni giudice terreno, di scoprire la
verità sugli imputati con un interrogatorio. La divisione immediata, an­
cor prima del processo, evidenzia la sovranità del giudice universale. Il
dialogo con i due gruppi che avviene in seguito servirà soltanto a moti­
vare il giudizio già pronunciato. Questo atto determinante della separa­
zione spiega il paragone col pastore; 1 probabilmente essa si riferisce al­
la pratica di selezionare nel gregge i capretti destinati al macello.
La parte figurata della similitudine è meno chiara di quanto sembri alla mag­
gioranza degli esegeti. Il termine Éptcpoc; viene tradotto con «montone», con
«capra >> o «capro>> .3 Se si trattasse di montoni, cioè di animali maschi, la
separazione potrebbe rispecchiare la necessità di separare le femmine da
mungere dai maschi. Il pastore avrebbe raggruppato i maschi a sinistra, il
lato peggiore, perché non producevano latte. 4 Gli esegeti che optano per
I Nel giudaismo e nell'antichità la sinistra è il lato infausto, la destra quello propizio, cf.

Bill., 1, 980 s.; Ingelaere", 4 1 ; Court", 225 s.; W. Grundmann, 8t�t6c;, in ThWNT n,
3 7,21 ss.; 3 8,14 ss. Il termine EòWv!J!Loc; ( «con un buon nome, onorato» ) è un eufemismo
per !Ìptanp6c;.
2 La similitudine del pastore potrebbe rammentare ai lettori i passi in cui ricorre il tema

del pastore (9,3 6; 14,14; r 8 , 1 2-14), sia pure con una diversa applicazione. A mio parere
nel vangelo di Matteo non esiste né una coerente «cristologia del pastore » matteana, co­
me la espone F. Martin, The lmage of the Shepherd in the Gospel of St. Matthew: ScEs
27 ( 1 975) 261-301, né una «sttategia narrativa» basata sul motivo del pastore, come la
propone j.P. Heil, Ezechiel 34 and the Narrative Strategy of the Shepherd and Sheep
Metaphors in Matthew: CBQ 5 5 ( 199 3 ) 698-708.
3 In ambito tedesco, dove «separare le pecore dai montoni» è diventata un'espressione
proverbiale, si seguono generalmente Lutero e la Ziircher Bibel del I 5 3 1, traducendo con
Bocke ( «montoni» ) (cf. Vulgata: haedus, «montone, capro»). In inglese prevale la scelta
di goat («capra » ), mentre il francese opta per bouc («capro») e lo spagnolo per cabras
(«capre » ) e cabritos ( «capretti» ).
4 Lo pensa, ad es., Gnilka, n, 3 72. - Negli scritti di teologi antichi e recenti si leggono
molte amenità circa la natura del montone/capro. Questo animale sarebbe foetens, asper,
immundus, petulcus, fervens semper ad coitum, lascivus, per praecipitia incedens, rixo­
sus (così, ad es., Hier. In Mt. 243 ; Lapide, 462); ha corna come il diavolo (cf. Friedrich",

144 n. 70); è grasso e violento (Holtzmann, 288) e così via.


IL GIUDIZIO UNIVERSALE

«capre» fanno invece riferimento all'usanza palestinese di avere greggi mi­


ste; la sera era quindi necessario separare le pecore dalle capre, perché di
notte queste ultime avrebbero patito il freddo più delle pecore, meno sensi­
bili. Questa premurosa usanza pastorale palestinese esiste, però, soltanto
sulla carta ed è nata da una trascrizione inesatta dalla grande opera di Dal­
man, Arbeit und Sitte in Paliistina. 1 Resta quindi un enigma perché mai un
pastore dovesse separare le pecore dalle capre.
Tutti questi lambiccamenti sono tuttavia superflui, perché ÉpLcpoç non si­
gnifica né <<montone >> né <<capra >> . Certo, questi significati vengono indicati
nel lessico di Bauer/ ma i lessicografi antichi e gli scoliasti danno un'infor­
mazione chiara e diversa: o!/a.! ÉptcpoL sono capretti, distinti sia dai becchi
adulti ('t'pa"(ot) sia dai capri «giovani >> ('X.L!I-a.ppot).3 Di conseguenza, Éptcpoç
ha un significato ben preciso e non può diventare né un termine generico
per «capre•• né una denominazione generica per animali maschi di diverse
specie animali ( «becco, montone, capriolo, ecc. » ). Perché un pastore sepa­
ra allora le pecore dai capretti? Forse i LXX ci indicano una traccia: in qua­
si tutti i passi in cui compaiono gli Éptcpm essi vengono macellati o serviti a
tavola o sacrificati.4 Probabilmente è proprio questa la ragione della sepa­
razione dei capretti: erano destinati al macello.s Resterebbe allora un'ulti­
ma difficoltà: perché questo gregge è formato proprio da pecore e capretti?
Si può supporre che nel grecogiudaico del tempo fosse ancora vivo il signi-

1 Dalman, Arbeit VI, 2.76, riporta che ciò sarebbe accaduto in autunno, sulla pianura co­

stiera. Wengstd, 493-497, mostra in toni avvincenti come questa notizia, che riferiva
un'usanza locale stagionale, si sia trasformata attorno al 1 900 in un'usanza generale dei
pastori della Palestina a mano a mano che la citazione passava incontrollata da studioso
a studioso.
:z. Bauer, Wb6, s.v., indica che Éptipa<;, il cui significato sarebbe a suo dire, ma erroneamen­

te, «montone» o «becco>>, potrebbe significare anche, •quando associato a 7tp0!3a't"a, sem­
plicemente capra ». I testimoni indicati a presunto sostegno di tale opinione sono stati
accuratamente controllati e dimostrati irrilevanti da Wengs�, 497 s.
3 Un elenco delle diverse denominazioni si trova in Eustazio, Comm. in Horn. Od. 1,33,
42. ss. (ed. G. Stallbaum, 1 8 2. 5 ) e in Poli. Onom. 1,250. Hesych., s.v. (Schmidt, 1 1 , 1 9 1 ),
definisce Éptipo<; un l''xp(x; a;l� nato a primavera (dello stesso anno). Ulteriori testimo­
nianze in Wettstein, 1, 5 1 x . Nei LXX &ptipa<; rende generalmente g•di ( «capretto» ) e solo
una volta 'attUd ( " becco »). IO volte su 2 7 i LXX precisano ÉptipOI con alywv. Per ÉplipOI
«agnelli» non esiste neanche una testimonianza, anzi, l'associazione non rara di apVE<; ed
ÉptipOI che si riscontra nella Bibbia e in greco dimostra che gli ÉptipOI non possono essere
certamente agnelli. Quindi ò/ij tp!ipO<; non può neppure significare «giovane animale»,
come presume Wengstd, 498, bensì, più precisamente, «capretto» .
4 Gen. 2.7,9.I6; 37,3 1 ; Es. 1 2.,5; Lev. I, lo; Giud. 6, I9; 1 3 , 1 5 . I9; 2 Cron. 3 5 ,7 s . ; Tob.
2., 1 2. s.; Am . 6,4; Ger. 2.8,40 LXX; Ez. 43,22..25; 45,23; cf. Gen. 3 8 ,I 7.20. 2.3; I Sam.
1 6,2.0; I Esd. I,? LXX.
5 Lo ipotizza anche Wengs�, 499 s., il quale, nella storia più recente dell'interpretazione
dell'immagine e nella sua tendenza minimizzante, scorge i segni di una rimozione del­
l'idea del giudizio.
65 5
ficato antico di 7tpO�cx-rcx come « bestiame min uto» ? 1 Nei LXX il termine
traduce quasi sempre �o 'n, che significa genericamente «bestiame minuto»,
dunque pecore o capre.:z. L'immagine della similitudine sarebbe allora rigo­
rosa: il pastore separa i capretti destinati alla macellazione dal resto del
gregge, cioè dagli ovini e dagli altri caprini. Si deve dire, però, che questa
ipotesi non è dimostrabile.3
3 4 · La similitudine è finita, Gesù prosegue con il proprio discorso. Per
quel che riguarda il nome « re » , epiteto insolito per il figlio dell'uomo che
viene, non è chiaro se i lettori lo collegassero al «regno» del figlio dell'uo­
mo, del quale si è parlato precedentemente nel vangelo ( 1 6,28; 20,21;
cf. 1 3 ,4 1 ),4 oppure se nelle loro associazioni lo colleghino piuttosto a
Dio « re » , che nella tradizione biblica siede sul «trono della gloria » , sul
quale qui è assiso Gesù. Comunque sia, in questo modo viene sottoli­
neata la maestosità del giudice universale, preparando efficacemente, al
contempo, il contrasto con l'epifania del «re » nei «più insignificanti » . Il
giudice supremo chiama i benedetti di Dio, suo Padre, a entrare nel «re­
gno » che era stato preparato per loro dal disegno eterno di Dio. Secondo
la concezione giudaica, il bene della salvezza, ad esempio, il giardino
dell'Eden, rientra nel novero delle realtà preesistenti.5 L'espressione «be­
nedetti del Padre mio » implica il concetto di predestinazione che nel giu­
daismo dell'epoca era dato per scontato, 6 senza venire però elaborato
sistematicamente. Il versetto parallelo (v. 4 1 ) fa capire chiaramente co­
me Matteo mostri un certo riserbo nei confronti dell'idea di una doppia
predestinazione. Forse al v. 34 (e ai vv. 4 1 e 46) l'evangelista vuole ri­
cordare la conclusione del Deuteronomio, dove Mosè pone davanti al
popolo benedizione e maledizione/

r Anche in greco il termine indica in ionico e nei dialetti orientali genericamente «bestia­

me» e solo in attico specificamente «pecora » (LSJ, s.v., 1; H. Preisker - S. Schulz, ltpO�­
"ov x"À., in ThWNf VI, 689,6- 1 3 ).
:z. Così oltre 200 volte. Al contrario, solo 9 volte rende kebesfkibsa ( «ariete/agnello » ).

3 Nel vangelo di Matteo si deve in ogni caso adottare sicuramente il significato di «peco­
re» in 7, 1 5 ; 10,6; 1 5 ,24.
4 Il testo non vuole suggerire tale associazione; infatti, al v. 34 il termine �a1Àda. è usa­
to diversamente da 1 3 ,4 1 ; 1 6,28; 20,21, vale a dire nel senso di salvezza, come �a1ì.ela.
"ou &ou in 2 1 ,43. Punge, Heilsgeschehen, 1 8 6-205, costruisce sulla base dei testi di Mat­
teo nei quali Gesù è chiamato «re» un'ampia cristologia che includerebbe anche l'abbas­
samento e la sovranità di Gesù. Un'interpretazione sicuramente fuori misura e forzata.
5 Cf. Bill., 1, 974 s. 983 (sono preesistenti il giardino dell'Eden e la Geenna).
6 Cf. Bill., m , 266-2 72.
7 Cf. sopra, p. 63 5 n. 2. L'allusione si adatta a 2, 1-23; 5,1 s.; 7,28 s. dove Gesù appare
quale nuovo Mosè (cf. vol. 1, pp. 1 8 3 . 204 s. 303. 6 u ). Quanto alla ripologia di Mosè
nel vangelo di Matteo è più che giusta l'osservazione di Allison, New Moses, 267: «Il te-
IL GIUDIZIO UNIVERSALE

3 5 -3 9. Inizia ora il dibattimento vero e proprio del giudizio. Afferma­


zioni e domande sono formulate all'aoristo, a mo' di flashback sulla vi­
ta presente dei lettori. Da questa descrizione del giudizio formulata al fu­
turo essi apprendono, dunque, qualcosa circa se stessi nel presente. Il
testo ha un carattere parenetico indiretto, che viene rafforzato ulterior­
mente mediante le ripetizioni e quel martellante «quando » (vv. 3 7- 3 9 ; cf.
v. 44). L'elenco delle buone opere, che il re enumera a quelli del gruppo
alla sua destra per motivare il suo invito, suona del tutto familiare a orec­
chi giudaici, giacché elenchi analoghi ricorrono frequentemente in testi
biblici e protogiudaici. 1 Negli elenchi giudaici è particolarmente fre­
quente la combinazione di affamati e nudi, mentre appare, invece, rara­
mente la visita ai carcerati. Ci troviamo qui di fronte a un elemento che
riflette una situazione specifica, importante per il primo cristianesimo ?
Soprattutto i missionari cristiani, ma non solo loro, dovevano aspettarsi
di finire in prigione. 1 La visita ai carcerati era importante perché il car­
cere non provvedeva né al loro sostentamento né ad altre loro necessità
elementari. 3 Per i missionari cristiani itineranti, che non avevano fami­
liari nella località in cui erano detenuti, l'aiuto da parte delle comunità
era particolarmente necessario.

ma del nuovo Mosè rimane un elemento fra i tanti, e non il più importante» . B. Charette,
The Theme of Recompense in Matthew's Gospel USNT.S 79), 1992, 1 5 8 e passim, scorge
un punto di contatto con Gen. 12., 3 (EÙÀoyÉOf1-11t, xi1'TI1p!i0f1-11t) e vorrebbe interpretare tut­
ta la teologia matteana di ricompensa e punizione alla luce della promessa fatta ad
Abramo e della promessa biblica della terra. Ma i due verbi appaiono molto frequente­
mente contrapposti; i punti di contatto sono troppo aspecifici per poter sostenere il peso
di una dimostrazione di questa tesi.
1 Is. 58,7 (affamati, senzatetto, nudi); Ez. 1 8,7. 1 6 (indebitati, affamati, nudi): Giob. 2.2.,

6 s. (nudi, assetati, affamati); 3 1 ,17.19.2.1 .3 1 s. (orfani, nudi, poveri, innocenti, stranieri);


Tob. 1,16 s. (affamati, nudi, defunti); 4,16 (affamati, nudi); Sir. 7,34 s. (afflitti, malati);
Hen. slav. 9,1 (affamati, nudi, caduti, offesi, orfani); 42,8; 63,1 (nudi, affamati). Una pa­
noramica del materiale biblico e protogiudaico è offerta da Wikenhauser0, 3 66-3 69, e
Kornfeld0• Fra le testimonianze rabbiniche sono molto vicine a Mt. 25 Ab. R.N. 7 (Bill.,
IV, 567 s.); Derek erez rabba 99 (Wikenhauser0, 3 70); Derek erez zuta 2 (Wikenhauser0,

370 s.) (affamati, assetati, nudi).


2 Cf. Q 12.,4- 12.; Mc. I 3 ,9-1 3 ; 2 Cor. 6,5; 1 1 ,23 .

3 Soltanto i carcerati ricchi potevano farsi accudire privatamente. Per i reclusi poveri T.
Mommsen, Romisches Strafrecht (Systematisches Handbuch der Deutschen Rechtswis­
senschaft 1/4), Leipzig 1 899, 304, parla di una «spaventosa miseria ». Soltanto a partire
da Costantino ci fu una diaria per il sostentamento dei prigionieri più poveri (indicazio­
ne di H. Herzig). Luc. Peregr. Mort. 12. descrive in che modo si potesse vivere bene in pri­
gione: Peregrino, un cristiano ( ! ), veniva visitato e viziato in prigione da tutti i membri
della comunità, da bambini e vedove, dagli anziani della chiesa, fino a non paterne più.
- Per le condizioni nelle prigioni antiche cf. anche B. Rapske, The Book of Acts and Pau/
in Roman Custody, Grand Rapids 1994, spec. 209-219. 370-3 92.
La teorizzazione rabbinica successiva classificò tutte queste opere buo­
ne sotto il nome di opere d'amore (gemilut /:Jiisadim), per distinguerle dal­
le elemosine (�edaqa) . Erano considerate «opere d'amore» quelle opere
che non richiedevano soltanto donazioni di denaro, bensì l'impegno di
tutta la persona. Opere d'amore ed elemosine rientravano insieme, per i
rabbi, tra le « opere buone» (ma'iisim tobim), che non possono essere de­
finite dalla torà in maniera precisa, come avveniva, invece, per i coman­
damenti. 1 Per i giudei le opere d'amore erano molto importanti; � lo di­
vennero ancor più dopo la distruzione del tempio. Secondo i testi giu­
daici, fare o trascurare le opere d'amore avrà un peso determinante nel
giudizio finale.3 Per i giudei il dialogo suona quindi familiare. Suona, in­
vece, insolito che il celeste figlio dell'uomo re dica: «Avete dato da man­
giare a me, ecc. » . La formulazione è studiatamente enigmatica e la con­
trodomanda successiva è comprensibile. La prolissa ripetizione in for­
ma interrogativa di tutte le opere d'amore (vv. 3 7- 3 9 ) ha un effetto ral­
lentante e fa aumentare la tensione: il giudice universale re come risolve­
rà l'enigma che ha posto ai salvati ?
I giudicati non sanno di avere, in realtà, reso le loro opere d'amore a Cristo
stesso. Nella storia dell'interpretazione questo motivo della inconsapevo­
lezza si dimostrò rilevante: si tratta, forse, del bene che viene fatto di per sé,
come intendono Kant e la teologia liberale? Si deve dunque pensare che 7tav­
'ttx -.à. HJvYl indichi i non cristiani, come sostengono l'interpretazione «esdu­

sivistica » e, in parte, quella << universalistica » ? 4 Ma a questo punto sorgono


immediatamente grandi difficoltà. I missionari itineranti di Gesù s non han­
no detto, nella loro predicazione, chi essi rappresentavano? La loro acco­
glienza poteva essere separata dall'accettazione del loro messaggio? In re­
altà, infatti, i primi a sostenerli con le loro opere d'amore saranno stati quel­
li che avevano accettato il loro annuncio. Se si vuole davvero spiegare il mo­
tivo dell'inconsapevolezza in concreto, chiedendosi chi in realtà fossero
quelle persone che si dimostravano sorprese dalle parole dei vv. 3 5 s., si do­
vrebbe pensare piuttosto a cristiani del periodo postpasquale, che restano
stupiti nell'apprendere di aver reso a Gesù stesso un servizio d'amore, poi-

I Bill., IV, 5 59 s.

� Secondo Abot 1,2 il mondo poggia su tre pilastri: la torà, il culto e le opere d'amore.
Per altre testimonianze rabbiniche cf. Bill., IV, 562-565, e Friedricha, 1 70 s.
3 Midr. Sal. 1 1 8 § 17 (Bill., IV, 1 2 1 2) (le opere d'amore sono la porta dell'eternità); Sanh.
I03b (Bill., IV, s 67) (l'ospitalità fa partecipare al mondo futuro); Ned. 40a (Bill., IV, 577)
(visitare i malati salva dalla Geenna). Un testo non giudaico che rientra in questa tema­
tica si ha nel Libro dei morti egiziano, cap. 1 2 5 (AOT l a , 1 2): il defunto ha nutrito gli
affamati, dato acqua agli assetati e veste ai nudi.
4 Cf. ad es. Jeremias, Gleichnisse, 207; Haufea, 490; Friedricha, 276 (per la tradizione
postpasquale). 5 Di costoro, infatti, si tratta: cf. sotto, pp. 659-66 1 .
IL GIUDIZIO UNIVERSALE

ché non era proprio più possibile che dopo la sua morte lo incontrassero
personalmente.
Ma probabilmente non è assolutamente lecito trasferire il motivo dell'in­
consapevolezza dal mondo del testo al mondo reale, bensì lo si deve inter­
pretare come motivo letterario. I Questo espediente ha lo scopo di rendere
possibile l'affermazione cristologica saliente della narrazione del v. 40. Se
le persone nei gruppi a destra e a sinistra avessero saputo, già durante la
loro vita terrena, che il giudice universale del testo si identifica con i fratelli
più insignificanti, questi non avrebbe più dovuto dirlo ai giudicati - e, di con­
seguenza, neanche agli ascoltatori e ai lettori. Il motivo dell'inconsapevo­
lezza rende possibile, letterariamente, la formulazione del punto saliente
che risulta, così, estremamente efficace e memorabile perché gli ascoltatori
e lettori condividono la sorpresa dei giudicati. Oltre all'effetto sorpresa, il
motivo dell'inconsapevolezza illustra la concezione di ricompensa implicita
nel testo: i giusti non hanno •calcolato» una ricompensa né hanno voluto
meritarsela con il loro amore. Mi sembra, quindi, che il motivo non voglia
affatto indurre a cercare nel mondo fuori del testo persone che non sanno
niente di Cristo, come se il testo parlasse soltanto di loro. In Mt. 25,3 1-46
non si tratta, dunque, di una via particolare che porta a Dio senza sapere
niente di Cristo e senza una confessione di appartenenza a Cristo. 1

40. Con un solenne logion introdotto da «amen» il giudice universa­


le dà nel v. 40 la risposta che costituisce l'affermazione determinante
dell'intero testo: tutto ciò che i benedetti del Padre hanno fatto « a uno
di questi suoi fratelli del tutto insignificanti » 3 lo hanno fatto a lui stes­
so. Come capiscono questa frase i lettori ? Con ogni probabilità, in una
comunità cristiana si penserà, in primo luogo, ai membri della comuni­
tà stessa che tra di loro si chiamano « fratelli» e « sorelle » . Le rare testi­
monianze dell'espressione « fratelli di Gesù » ,4 conservate dalla tradizio­
ne comunitaria, orientano nello stesso senso. Nel vangelo di Matteo so­
no « fratelli di GesÙ » quelli che fanno la volontà del Padre, e Matteo stes-

I Già Calvino, u, 296, ritiene che mediante il motivo dell'inconsapevolezza l'evangdista

rappresenta per noi ( ! ), in modo chiaro, che quanto gli uomini si fanno l'un l'altro ri­
guarda Cristo stesso.
2. C'è un'altra considerazione che rafforza questa lettura. Chi ha letto o ascoltato questa
storia sa, una volta per tutte, che il giudice universale è presente nei suoi fratelli più in­
significanti. La storia fa piazza pulita dell'innocenza dei suoi ascoltatori e lettori (cf.
Viaa, 99). Essa mira, però, ad aprire i loro occhi sui fratelli più insignificanti e non a di­
struggere, per così dire, con le proprie mani, la possibilità di salvezza che essa racconta.
In questo caso si dovrebbe proibire a tutti di leggere il nostro testo.
3 iMx,a-roç va probabilmente considerato un superlativo assoluto fossilizzato con signi­
ficato dativo: «piccolo, del tutto insignificante• . Cf. BDR, S 6o,2.
4 Mc. 3,34 s.; Gv. 20,17; cf. anche Rom. 8,29 ed Ebr. 2,1 1-18.
so precisa di riferirsi ai discepoli ( 1 2,49 s. ) . Egli userà ancora una volta
l'espressione « miei fratelli» nella storia di pasqua, riferendosi ai disce­
poli ( 28,Io). Ciò si adatta bene all'idea cristiana che un giorno i membri
della comunità giudicheranno il mondo a fianco del giudice universale
(cf. I Cor. 6,2; Mt. I9,28). I
Questi « fratelli del tutto insignificanti » 1 costituiscono forse un grup­
po particolare all'interno della comunità cristiana ? Nel testo «piccolo,
insignificante » è in contrasto con il « grande» re celeste e giudice univer­
sale; il superlativo sottolinea retoricamente il gigantesco abisso che sepa­
ra i miseri sofferenti dal giudice universale e mette efficacemente in ri­
salto il sorprendente miracolo della sua identificazione con loro.3 Non si
dovrebbe, pertanto, costruire il senso di èì..ti.xta-roc; partendo da fuori
del testo, per esempio, da (J.txpoi come una possibile designazione dei cri­
stiani, comunque potesse essere intesa. 4 È possibile scoprire a chi i let­
tori potrebbero aver soprattutto pensato soltanto esaminando a fondo
il contenuto dei vv. 3 5-39.
Da molti testi protocristiani prematteani risulta che in questo caso è ai ca­
rismatici itineranti del primo cristianesimo, dunque ai missionari di Gesù,
che ci si riferisce in modo particolare. Dal discorso missionario di Q IO
sappiamo che gli inviati di Gesù erano poveri (Q I0,4). Quando erano in
viaggio, ed erano dunque �vot, essi dipendevano da altri per cibo e bevan­
de (Q IO,? s.; cf. Mt. I0,42). Possedevano una sola veste (Mc. 6,9 ); se si
strappava, restavano yU(J.voLs Rischiavano la vita (Q I2,4-7) e dovevano
giustificarsi davanti alle autorità (Q 1 2,8 s. I I s.; cf. Mc. I 3 ,9 -I 3 ), che po­
tevano metterli in carcere (cf. Q 1 2, I I s.). Anche i cataloghi paolini delle
peristasi missionarie parlano di fame, sete, prigioni, freddo e abbigliamen­
to insufficiente ( I Cor. 4,n s.; 2 Cor. 6,4 s.; 1 1 ,23-27). Non mancano

I Cf. sopra, p. 1 70 n. S ·
2. Che i n questo testo non s i parli d i «sorelle»
è doloroso. Naturalmente l'evangelista, no­
nostante una mentalità del tutto patriarcale, con • fratelli» intende donne e uomini cri­
stiani; dato il suo ambiente culturale non gli è neanche venuto in mente che fosse necessa­
rio specificarlo.
3 Ha una funzione retorica simile Num. r. 1 4,4 (Freedman-Simon n, 5 8 1 s.): se si ascolta
un'interpretazione della torà fatta dalla « persona più insignificante in Israele », essa de­
v'essere presa in considerazione come se provenisse dal più sapiente in Israele, anzi, da
Dio stesso.
4 Al riguardo cf. sopra, a 1 8,6. I sostenitori di un'interpretazione di tipo «universalistico»
fanno notare, a mio parere a ragione, che (J-txpO.; non può essere semplicemente equipara­
to a ÉÀcX'X,tCTto<; (così, ad es., Schweizer, 3 1 3 ) . Matteo avrebbe potuto dire benissimo 't'wv
li&cì-.cp<ii v fJ-OU 't'wv (1-txpwv, se solo avesse voluto dire questo. D..ci'X,tCTtoç è stato dunque scelto
per costruire un chiaro contrasto con il « re» celeste e non per la sua vicinanza a (1-txpol.
s rU!I-vO.; può significare anche • scarsamente vestito, seminudo» (LSJ, s.v. , s).
660 IL GIUDIZIO UNIVERSALE

neanche le malattie (2 Cor. 1 2,7-9).1 Le opere d'amore elencate in Mt. 25,


3 5 s. corrispondono perfettamente alla situazione dei missionari cristiani
itineranti.
Allo stesso tempo sappiamo che il Signore risorto si è identificato proprio
con questi messaggeri itineranti e con il loro messaggio: anche essi sapeva­
no che un giudizio peggiore di quello di Sodoma e Gomorra attendeva quan­
ti li respingevano (Q 10, 1 2; cf. v. 6). Gesù aveva detto di loro: «Chi ascol­
ta voi, ascolta me; chi respinge voi, respinge me» (Q x o, x 6). Questo princi­
pio dell'apostolato protocristiano è conforme al diritto giudaico del messag­
gero 1 e costituisce sicuramente lo sfondo delle dichiarazioni d'identità dei
vv . 40 e 4 5 · Si tratta di un principio molto diffuso: Paolo lo approfondisce

con la sua teologia della croce (2 Cor. 4,1o); Luca racconta che il Signore
glorificato disse a Paolo, che perseguitava i cristiani: «Perché mi perseguiti? »
(Atti 9,4; 22,7; 26, 14); nella comunità della Didachè, infine, vigeva ancora
la regola che si dovesse accogliere un maestro venuto da fuori «come il Si­
gnore», ammesso che fosse un vero maestro (Did. 1 1 ,2; cf. 4,1 ).
Così i lettori del vangelo di Matteo hanno alle spalle una ricca e vasta
esperienza e un'ampia conoscenza della tradizione che li portano a pensa­
re, per prima cosa, che «i fratelli del tutto insignificanti» di Gesù si riferi­
scano proprio ai predicatori itineranti. Dietro al nostro testo, a livello del
testo prematteano, dovrebbe esserci proprio il rapporto tra carismatici se­
dentari e carismatici itineranti. Tuttavia, certamente anche nella tradizione
prematteana il problema non era, in primo luogo, quello di dare conforto
ai predicatori itineranti nelle difficoltà della loro missione) Non penso che
il nostro testo abbia mai funzionato in modo che potessero diventare figure
d'identificazione per i suoi destinatari quei «fratelli del tutto insignificanti••
che in esso non appaiono direttamente; la sua funzione è stata piuttosto sol­
tanto quella di far riflettere i membri delle comunità sedentarie sul loro com­
portamento verso i carismatici itineranti. A mio giudizio il testo agì sin dal­
l'inizio in senso parenetico e non funse mai da conferma per missionari cri­
stiani angustiati. È quindi soltanto indirettamente che in esso appare vaga­
mente una pretesa di assolutezza, che era già caratteristica della proclama­
zione di Gesù (cf. ad es. Q n,3 1 s.; 1 2,8 s.) e caratterizzò poi anche la predi­
cazione dei suoi messaggeri dopo pasqua (cf. ad es. Q x o, x o- 1 2; 1 2,1o).4
Sulla scorta anche della loro lettura del vangelo di Matteo, i lettori
avranno pensato, in primo luogo, ai missionari itineranti. Essi si saran-
r Cf. anche in Act. Thom. 145 come l'apostolo Tommaso si definisca con le parole di

Mt. 25,3 5 s. 2. Cf. vol. 1 1 , p. 196 nn. 3 s.

3 Come pensano, ad es., Zahn, 674; lngelaere", 6o; Stanton, Gospel, 222. Cf. anche l'in­
terpretazione «esclusivistica », sopra, pp. 648-650.
4 A mio parere non si può proprio dire che Mt. 25,3 1-46 mostri un' «insopportabile alte­
rigia cristiana » e «fanatismo» (J. Weiss, 3 8 8), perché il testo non serviva all'autolegitti­
mazione. Cionondimeno la pretesa che Gesù e i carismatici itineranti protocristiani avan­
zavano per sé suona singolarmente estranea in una società pluralistica come l'odierna.
66I
no ricordati il discorso ai discepoli del cap. Io, dove si era parlato della
vita itinerante e della estraneità dei discepoli ( I 0, 5 s.; cf. 28,I9), della
loro povertà ( I o,9 s.), della loro dipendenza dall'ospitalità altrui ( I o, I I ­
I 5 ) e dei pericoli che avrebbero corso a causa di un ambiente ostile, di
processi e di minacce mortali ( I0, 1 7-23 .28 s.; cf. 24,9 ). Ma sarà venuta
loro in mente soprattutto la conclusione del discorso ai discepoli, dove
essi stessi sono esortati ad accogliere ospitalmente i fratelli itineranti ( I o,
40-42). In quel passo Matteo, influenzato da Mc. 9,3 7, aveva formulato
il logion antico di Q r o, I 6 in una maniera che corrisponde esattamente
al nostro testo: « Chi accoglie voi, accoglie me » (Mt. I o,4o). Mt. I o,4o-
42 è, dunque, il parallelo più vicino al nostro v. 40.
Andando oltre i missionari itineranti, sarà lecito pensare anche al­
l'identificazione di Gesù con altri cristiani «che stanno in basso» e «pic­
coli » ? Considerando I 8, 5 non è assolutamente vietato. 1 Tuttavia, non si
tratta, come sostiene l'interpretazione universalistica, dell'identificazio­
ne di Gesù con le persone più povere in genere né dell'idea comune del­
l'immagine e somiglianza di Dio 2. e neanche dell' «abbassamento del Pre­
esistente e della sua presenza come 'fratello' nella sfera della miseria
umana tipizzata » . 3 Non si tratta della concezione paolina del corpo di
Cristo 4 e certamente neanche di un figlio dell'uomo inteso come figura
collettiva s (che non è mai esistito) . Piuttosto, anche in Matteo c'è sullo
sfondo il diritto giudaico cristiano del messaggero, dunque il concetto
giudaico e protocristiano dello sa/Uih o t:ÌTCOO''tOÀo�, nel quale il figlio del­
l'uomo celeste diventa manifesto. 6
La posizione dei destinatari del nostro testo è la medesima che in Io,
40-4 2: sono loro gli interpellati e non coloro le cui pretese adesso vengo­
no finalmente confermate. Essi si ricorderanno che nella loro stessa co-

1 Anche secondo il discorso ai discepoli del cap. 10 i predicatori itineranti non erano un
gruppo ben delimitato, ma gli stessi discepoli, il cui mandato e autorità di giudicare ( 10,
1 1-1 5 ) vengono descritti nel discorso, erano sottoposti al giudizio e venivano interrogati
criticamente sul loro comportamento verso i messaggeri: cf. specialmente 10,3 2 s.34-39.
40-42, e vol. n, spec. pp. 108 s. 20 1-204.
2. Cf. Christian4, 40 s. Per l'accostamento tra Gen. 1 ,26 s. e Mt. 25,3 5-40 nella chiesa an­
tica d. Puzicha4, 109-1 1 3 .
3 Brandenburger4, 8 3 . Egli interpreta nell'ottica della concezione paolina dell'incarna­
zione, legittimando così la sua comprensione universalistica dei « fratelli• .
4 Come sostiene sovente l'interpretazione ecclesiastica, a d es. Giovanni Crisostomo (cf.
Brandle4, 286-288), Agostino (cf. Puzicha4, 1 28-1 3 6; Frahier, L 'interprétation4, 75· 79-
S I ). Lutero, Evangelien-Auslegung n, 8 5 7 (predica del 1 5 37) fa dire a Cristo: «Questi
poveri sono i miei piedi e i miei arti » . 5 Manson, Sayings, 249 s.
6 Pertanto non è semplicemente sbagliato che alcuni interpreti pensino agli apostoli: ad
es. Meyer, 4 1 7; Bornhauser4, 77-8 1 ; in modo acuto Michaelsa, 3D-37·
662 IL GIUDIZIO UNIVERSALE

munità l'amore si è raffreddato, che l'anarchia ha preso il sopravvento


( 24, 1 2; cf. 1 8 ,6-9) e che in mezzo a loro c'è odio ( 24,10) e la «trappo­
la >> della propria ambizione di potere, ragione per la quale Gesù è co­
stretto a insistere continuamente sulla modestia e sull'abbassarsi ( 1 8, 1 -
5 ) e sul servizio ( 20,20-28; 23,8- I I ) . Leggendo i l v . 40, quindi, essi non
si identificheranno guardando all'indietro con i « fratelli del tutto insi­
gnificanti >> , come se, improvvisamente, essi stessi non fossero più sotto­
posti al giudizio del figlio dell'uomo. Al contrario, sanno di essere essi
stessi stimolati dalla proclamazione di Gesù alla pari di tutti gli altri e
che anche la loro stessa comunità può appartenere, proprio come tutto
il resto del mondo, al campo dove ara e semina il diavolo (cf. 1 3 , 3 8 s.).
Anche essi sono inclusi nei 1t!in1X 'ttX e-8v11 e verranno giudicati con il me­
desimo metro di tutti gli altri uomini. La pretesa del tutto particolare dei
discepoli di Gesù, che nel vangelo di Matteo effettivamente c'è, non può
quindi trasformarsi in trionfalismo e in assolutizzazione della propria
persona. I discepoli di Gesù sono certo - per la loro proclamazione di
Cristo - le persone più importanti della storia del mondo; ma non si può
dare per scontato che essi stessi siano all'altezza dell'esigenza implicita
in questa importanza. Essi sono la « luce del mondo » , ma non è affatto
certo che questa luce risplenda davvero in modo che gli uomini lodino
il Padre per le opere dei discepoli ( 5, 14-1 6) . ' Secondo Matteo non esi­
ste, dunque, alcun gruppo specifico di « fratelli del tutto insignificanti »
che si trovino in una situazione particolare e non debbano comparire in
giudizio. Per dirlo con un'immagine: per Matteo i «più insignificanti » so­
no confusi tra gli altri.:z.

41-45· La seconda parte del testo, il dialogo tra il giudice e il gruppo


sulla sua sinistra, non presenta più grosse sorprese. Al v. 4 1 la simme­
tria col v. 3 4 presenta due lacune: Matteo evita con sensibilità la formu­
lazione speculare XIX'tlJPIX!LÉvot 'tou 7t1X'tpoç 1'-ou 3 e poi non dice neanche
che il fuoco eterno è stato preparato sin dall'inizio della creazione per i
1 L'ipotesi avanzata da Maddoxa è rimasta isolata. Egli sostiene che l'esortazione di

provvedere ai poveri sia diretta specificamente ai capi della comunità. Non sono «tutti i
popoli » a essere giudicati, bensì soltanto «essi» , cioè i responsabili della comunità. La di­
stinzione tra 1tlivta 'ttX É-BvYj e aÙ'to� (v. p.) è talmente sottile che prima di Maddox non
l'ha ancora notata nessun altro lettore del vangelo.
:z. Ciò è in linea con la posizione dei missionari itineranti nella comunità matteana, dove

essi non formano un gruppo specifico stabile, distinto dagli altri discepoli. Vero è, inve­
ce, che tutti sono chiamati alla perfezione del radicalismo itinerante e tutti sono, perciò,
•potenziali predicatori radicali itineranti » . Cf. vol. n, p. 109.
3 Chrys. In Mt. 79,2. (PG 58, 719 s.): non è il Padre che li rende maledetti, bensì le loro
proprie opere.
maledetti, poiché Dio « non ha creato gli uomini per la distruzione » !
Matteo h a abbreviato u n po' l a parte successiva del dialogo, ma non po­
teva ometterla del tutto perché la condanna nel giudizio resta per lui una
possibilità reale e minacciosa. Il dialogo fa capire con efficace chiarezza
che il rapporto con Gesù non può essere disgiunto dai rapporti con le
persone concrete, nel nostro caso i membri della comunità, che lo rap­
presentano. Venerare Gesù non significa altro che fare ciò che egli ha co­
mandato, anzitutto prendere sul serio il comandamento dell'amore. Al
v. 44 i condannati - in perfetto stile matteano - riassumono le opere
d'amore col verbo ÒttxxovÉw: così come si era comportato il figlio dell'uo­
mo, altrettanto avrebbero dovuto fare anche loro (cf. 20,26. 28; 23 , n ).
Non si potrà « universalizzare » neanche questa parte del testo, sebbene
al v. 4 5 non appaia più à:ò&À<poL Il termine è rimasto vittima della ten­
denza riduttiva riscontrata nella seconda parte del dialogo; ma i lettori,
naturalmente, leggeranno il v. 4 5 adeguandolo automaticamente al v.
40. Che Matteo abbia omesso proprio quel termine à:Ò&À<pol, la cui in­
terpretazione è diventata oggi tanto controversa, mostra soltanto che per
lui il suo senso era evidentemente chiaro e non aveva bisogno di ulte­
riori spiegazioni.

46. Il testo si chiude con estrema brevità. Il versetto conclusivo (v. 46)
mostra che l'accento principale non cade sul futuro eterno di salvati e
perduti; i punti salienti della pericope si trovano ai vv. 40 e 4 5 e sono i
due detti introdotti con << amen» . La vita eterna e la punizione eterna
sono la conseguenza della sentenza del giudice universale. Qui è chiaro,
una volta ancora, che Matteo sostiene un duplice esito della storia del
mondo; non si parla minimamente di una riconciliazione universale. Qui
l'evangelista ha potuto rinunciare a una particolare descrizione degli
orrori dell'inferno (cf. 24, 5 1 ; 2 5 , 3 0 ) : il tempo degli avvertimenti è ormai
passato, il giudizio finale è qui: il giudice universale ha parlato, non c'è
più niente da fare.

Il testo conclusivo del discorso escatologico è in linea con la teologia


matteana. Dopo l'ampia parenesi di 24,3 2-25,30 esso riprende nuova­
mente la descrizione del giudizio del figlio dell'uomo. Si tratta di un giu­
dizio universale al quale sono sottoposti tutti gli uomini, anche se Mat­
teo ha di mira soprattutto la comunità, che ora dovrà rispondere del pro­
prio operato al giudice supremo, insieme a tutti gli altri uomini. Questa
visione del giudizio risulta, quindi, conforme a 1 3 ,3 7-4 3 .49 s. e anche a
1 6,27: il figlio dell'uomo giudicherà ogni persona secondo quanto ha fat­
I Orig. In Mt. ser. 72. (GCS II, 172.); cf. Tommaso, Lectura, or. 2.094.
IL GIUDIZIO UNIVERSALE

to. Secondo Matteo, dunque, ci sarà un solo giudizio, il giudizio cosmi­


co del figlio dell'uomo re, davanti al quale dovranno apparire tutti quan­
ti. Il testo non fornisce, praticamente, quasi nessuna informazione sulla
visione del mondo che ispira la scena del giudizio, alla quale si allude sol­
tanto figuratamente; analogamente, conclusosi il giudizio, il testo non
si diffonde affatto in descrizioni relative al destino definitivo di salvati e
condannati o al nuovo eone. Le luci sceniche sono puntate tutte sui dia­
loghi del processo, i quali mettono in risalto, con una quadruplice ripe­
tizione, il criterio seguito dal giudice in sede di giudizio. Mt. 2 5 , 3 1 -46 ri­
corda così da vicino il breve dialogo processuale di Mt. 7,2 1 - 2 3 , dal qua­
le pure risulta che ciò che conta sono i fatti; al credente snocciolare un so­
lerte «Signore, Signore» non serve a niente, come non servono miracoli
e profezie. Ciò che per il giudice conta sono i fatti, non le professioni di
fede o i carismi. Il criterio seguito in sede di giudizio sarà l'amore: in que­
sto modo esso risulta conforme alla proclamazione di Gesù, per il quale
l'amore è il sommo comandamento ( 5, 2 I -48; 22,3 4-40; 23 ,23 ) . Nel cri­
terio che il giudice universale fissa per i popoli e la comunità, i lettori
riconoscono ciò che il loro maestro e Signore Gesù ha praticato e inse­
gnato nella sua vita terrena. Se poi essi, giudicando se stessi col metro
di questo criterio, si identificano con quelli alla destra o con quelli alla si­
nistra del giudice, non ha adesso, sostanzialmente, alcuna importanza,
poiché il giudizio consiste proprio nell'assegnazione dei posti che viene
fatta dal figlio dell'uomo e non dagli uomini. In questo modo la formu­
lazione matteana del nostro testo impedisce ai cristiani qualsiasi assolu­
tizzazione di se stessi. I
Cristologicamente questo esteso testo didascalico del vangelo di Mat­
teo presenta una sorta di concentrato della cristologia matteana. Sullo
sfondo c'è la concezione tradizionale giudaica dell' «inviato» (cf. I 0,40-
42), che in Matteo viene approfondita con la promessa dell'Emmanuele:
il Gesù risorto sta, in quanto « Emmanuele» , con la sua comunità, fino
alla fine del mondo ( I ,23; 28,20), identificandosi anche con la povertà
e la sofferenza dei suoi seguaci. I lettori del vangelo di Matteo sanno,
inoltre, che nella sua vita terrena Gesù stesso è stato un forestiero senza
patria né casa ( 8,20) e che ha anche patito la fame ( 2 I , I 8; cf. I 2, I ) .
Nella storia della passione che sta per cominciare, essi apprenderanno
che gli è toccato di peggio della semplice prigionia. 1 Quando, nel giudi-
I Matteo non ha, dunque, •cristianizzato» un testo in origine aperto e universalistico, !i­

mitandolo alla comunità, come pensa, ad es., Friedrich", 302 s. (per la comunità postpa­
squale e per Matteo).
1 Cf. Todt, Menschensohn, 62: •l criteri usati da questo figlio dell'uomo giudice re sono

lo specchio della missione messianica di Gesù sulla terra, come la descrive Matteo» .
66 5
zio finale, il figlio dell'uomo si identifica con i suoi fratelli poveri, essi
ripenseranno anche alla sua vita sulla terra. Il nostro testo lascia così
apparire anche una parte di tutto il cammino che il figlio dell'uomo ha
percorso, I dell'identità tra il Gesù terreno e quello glorificato e della pre­
senza di Dio «con noi » , che è fondamentale nell'Emmanuele matteano.:�.
Perciò il nostro testo fa immaginare alla comunità anche qualcosa del
fondamento che la sostiene, anche nel giudizio, ma senza, per questo, ri­
sparmiarle il giudizio.

Significato attuale. Abbiamo parlato del fascino esercitato dall'inter­


pretazione universalistica del nostro testo,3 la quale per molte persone
- me incluso - è, nel suo nucleo, evangelica perché rende accessibili am­
biti fondamentali della vita nella prospettiva dell'evangelo dell'amore
illimitato proclamato da Gesù. Questa interpretazione non può essere di­
fesa esegeticamente dal punto di vista di Matteo. Molto probabilmente,
l'evangelista non ha visto nei fratelli di Gesù in difficoltà ogni uomo sof­
ferente, bensì discepoli sofferenti. Il problema è, dunque, questo: è teolo­
gicamente legittimo esporre un testo in maniera contraria al suo signifi­
cato originario se per i riceventi odierni il significato di tale reinterpreta­
zione è evangelico nell'ispirazione centrale e utile? In questo caso sono
propenso a rispondere «SÌ >> e nei punti che seguono accennerò ai motivi
e ai limiti del mio « SÌ >> alla luce della Bibbia.
I. Un punto di orientamento fondamentale per ogni significato odier­
no di un testo è la storia di Gesù alla quale devono essere conformi le
nuove interpretazioni dei testi biblici." Nel nostro caso ci sono moltepli­
ci punti di contatto positivi con essa: Gesù stesso ha parlato dell'amore
sconfinato non solo per gli amici, ma addirittura per i nemici ( 5 ,43 s.) .
Matteo h a tramandato questo materiale esplosivo anche se per lui per­
sonalmente, come per tutto il cristianesimo delle origini, in primo pia­
no c'era l'amore per i membri della comunità (cf. Gal. 6, 10). Matteo
racconterà tra poco come, con la sua passione, Gesù abbia percorso si­
no alla fine il suo cammino di amore estremo e come, così facendo, ab­
bia aperto per i suoi discepoli la strada per poter andare alle nazioni. Se
si prende, come qui proposto, Gesù, « l'interprete crocifisso »,5 quale li­
nea guida da seguire nella lettura di questo singolo testo, si può vedere,

I Cf. vol. n, pp. 622-624, per la concezione matteana del « figlio dell'uomo » .
:1. Cf. Luz, Skizze, 2 2 2 s., e vol. IV, a Mt. 28,20.
3 Cf. sopra, pp. 63 9-64 5 . 4 Cf. Luz,
Matthew, 8 2-9 1.
s Formulazione felice di Watson", 72, che poi (72-80) incoraggia a una «nuova rivela­
zione», fondata cristologicamente, che sia conforme all'orientamento del testo.
666 IL GIUDIZIO UNIVERSALE

allora, che l'interpretazione universalistica oggi è in grado di superare


le limitazioni dell'amore in una maniera conforme alla storia di Gesù,
così come è testimoniata da tutto il N.T. I
2.. Almeno su un punto il senso orientativo del testo matteano concor­
da con il tipo d'interpretazione universalistico. Ciò che premeva a Mat­
teo era comunicare che nel giudizio la comunità cristiana non ha alcu­
na posizione privilegiata, bensì verrà interrogata dal suo Signore, il fi­
glio dell'uomo, sulle opere d'amore che ha fatto, proprio come tutti gli
altri uomini. Perciò questo testo di Matteo costituisce un ammonimen­
to a guardarsi da ogni assolutizzazione di sé, cristiana o ecclesiastica che
sia. I sostenitori moderni delle interpretazioni universalistiche fanno an­
cora un altro passo nella medesima direzione di una « deassolutizzazio­
ne» della chiesa cristiana. Ciò facendo, essi non colgono il senso del te­
sto stesso, ma sicuramente la direzione che esso indica.
3 · C'è un problema fondamentale, che è tale proprio a partire da Ge­
sù: una nuova interpretazione di un testo biblico produce amore? z. È
davanti a questa domanda che oggi si decide la verità delle interpretazio­
ni teologiche delle tradizioni bibliche. L'interpretazione universalista lo
fa ? Sì! Essa dona occhi per riscoprire i poveri del mondo, i non cristia­
ni, Dio stesso in una maniera nuova, così che da essa nasce l'amore del
quale parla il testo.
Resta comunque vero che, nonostante tutto ciò, una nuova attualizza­
zione non può rendere il testo stesso superfluo. Intendo ciò non solo nel
senso formale che ogni nuova interpretazione deve avere un testo bibli­
co quale punto di partenza, testo al quale deve riferirsi. Lo dico anche
in un senso sostanziale: che nel « fratello più insignificante » - sia o non
sia un membro della comunità - si nasconda e possa essere incontrato il
Signore glorificato e Dio stesso, non è un'affermazione lapalissiana che
possa esser fatta e basta. Qui si tratta invece di un paradosso, di una ve­
rità inconoscibile agli occhi umani che è sorprendente in un senso tal­
mente fondamentale da potere essere trasmessa all'uomo soltanto dal-

I Nel caso di questo testo in particolare, si farebbe tuttavia bene a non richiamarsi a un si­

gnificato originario riconducibile a Gesù. Ovviamente ci si può domandare se con l'espres­


sione «i miei fratelli del tutto insignificanti» Gesù, se il nostro testo risale effettivamente
a lui, non abbia potuto intendere tutti i poveri e gli oppressi di Israele (ma non tutti gli
uomini!). Nella tradizione protocristiana questo testo avrebbe allora avuto una validità
ristretta, come ad esempio i •poveri» , gli •affamati » e gli •addolorati » delle beatitudini
(Q 6,2.0 s.). Ma questa riflessione rimane vaga e incerta tanto quanto la possibilità che il
testo possa essere ricondotto a Gesù. Essa non è una giustificazione esegetica che possa
sostenere il peso di interpretazioni partorite dalla propria fantasia.
z. Cf. Luz, Matthew, 91-97, per l'amore quale criterio funzionale di verità.
LA CONCEZIONE DEL GIUDIZIO IN MATIEO 667
l'esterno. ' Perciò il testo che fa questo, ovvero il Cristo che parla attra­
verso questo testo, è molto più di un puro punto di partenza per nuove
interpretazioni o un maestro di un'etica universale che, alla fine, rende
il maestro superfluo. Gesù è, invece, colui che dona nuovi occhi che fan­
no vedere in maniera nuova e conoscere l'uomo povero e Dio, e il testo
è il luogo dal quale scaturisce una forza che fa superare il giudizio uni­
versale.1
RIEPILOGO ED EXCURSUS

LA CONCEZIONE DEL GIUDIZIO


NEL VANGELO DI MATIEO
Bornkamm, Enderwartung; B. Charette, The Theme of Recompense in Matthew's
Gospel USNT.S 79), 1 9 9 2.; G. Greshake, Heil und Unheil: Thjb(L) ( 1 9 86) 48-72.;
E. Jiingel, Gericht und Gnade, in Deutscher Evangelischer Kirchentag Ber/in 1989.
Dokumente, Stuttgart 1 9 89, 2.2.2.-2.3 8; J.M. Lochman, Das Glaubensbekenntnis,
Giitersloh 1 9 8 2., 1 4 2.- 1 4 5 ; G. Lohfìnk, Zur Moglichkeit christlicher Naherwartung,
in G. Greshake - G. Lohfink, Naherwartung, Auferstehung, Unsterblichkeit (QD
7 1 ), 3 1 978, 3 8- 8 1 ; C.P. Miirz, Zum Verstandnis der Gerichtspredigt in Q, in H.-J.
Klauck (ed. ), Weltgericht und Weltvollendung (QD 1 50), 1 994, 1 2.8-148; Margue­
rat, ]ugement, spec. 1 1 -62.; Mohrlang, Matthew, 48-7 1 ; M. Reiser, Die Gerichts­
predigt ]esu (NTA n.s. 2. 3 ) , 1 990; H. Vorgrimmler, Hoffnung auf Vollendung. Auf­
riss der Eschatologie (QD 90), 1 9 80.
Altra bibliografia nella sezione su Mt. 2.4,3 -2.5,46 (sopra, p. 499).

Non ha senso riepilogare il discorso sul giudizio finale (Mt. 24-2 5 ) da solo.
Dato che non è soltanto un discorso di Gesù su un tema preciso, bensì rac­
coglie e lega insieme ciò cui tendevano tutti gli altri discorsi, è possibile ri­
capitolarlo unicamente delineando l'intera concezione matteana del giudi­
zio. Per tale ragione nei paragrafi seguenti si troveranno unite la ricapitola­
zione di Mt. 24 s. e un'esposizione della concezione del giudizio in Matteo.
1 . Il giudizio finale nel macrotesto del vangelo di Matteo. Nel primo
vangelo il giudizio finale svolge una funzione importantissima. Già il
Battista lo annuncia in 3 ,7- 1 2 e poi tutti i discorsi nel vangelo termina­
no con annunci del giudizio per la comunità: il discorso della montagna
(7, 1 3 -27); il discorso delle parabole ( 1 3 , 3 7-43 ·47-50); il discorso sulla
comunità ( 1 8,23-3 5 ) e anche, ma qui è molto meno chiaro, il discorso
ai discepoli ( 10,3 2 s.3 9-42).' Inoltre si parla anche in altri passi, all'in-
4
1 P. Althaus, Die letzten Dinge, Giitersloh 1 9 3 3 , 1 9 3 , dice che « il giudizio svelerà nella

sua rilevanza agli occhi di Dio ciò che non è appariscente e ciò che è ovvio» . Per scopri­
re questa verità serve il giudizio di Dio o un testo che ne parli.
:z. Così anche Watson°, 79: «Il Gesù crocifisso non offre semplicemente una spiegazione

del mondo . . . poiché egli è la sorgente della grazia liberatrice » .


3 Bornkamm, Enderwartung, 14-2. 1 .
668 RIEPILOGO ED EXCURSUS

terno dei discorsi stessi e altrove nel vangelo, di giudizio finale o della
ricompensa ovvero della vita eterna, di punizione o dell'inferno. Ciò va­
le per la prima parte del vangelo ( 5 , 3 - 1 2.22. 25 s.29 s.; 6,2.4. 1 8; 7,1 s.;
8,n s.; 9,3 8; IO, I 4 s.28), ma soprattutto per i due «capitoli della sepa­
razione» (capitoli 1 1 e 1 2), dove il termine guida è xplat<; ( n ,6.20-24;
1 2,20. 27· 3 3 -37·4 1 s.; cf. 3 1 s.), poi per la parte centrale, che riguarda
la comunità ( 1 6,25 -27; 1 8 ,8 s.; 1 9 , 1 6.24. 27-3 0; 20, 1 1 - 1 6) e per i capi­
toli che raccontano l'attività di Gesù a Gerusalemme ( 2 1 , 1 8-20; 22, n -
1 4 ; 23,3 3 ; cf. 23,3 4-24,2). La proclamazione del giudizio fatta da Gio­
vanni Battista all'inizio del vangelo è indubbiamente il testo che più tar­
di sarà ripreso più frequentemente. 1 Così l'ultimo discorso che Gesù tie­
ne ai discepoli sul Monte degli Ulivi e che, in una cornice apocalittica
( 24,3-3 1 ; cf. 25,3 1-46), lancia gli ultimi avvertimenti alla comunità pri­
ma del minaccioso giudizio incombente ( 24,3 2-25 ,3 0), non è altro che il
culmine di qualcosa che è stato già sempre canto fermo, motivo tema­
tico e fine della proclamazione di Gesù secondo Matteo.
La natura di «motivo tematico ricorrente» della proclamazione del giudizio
si manifesta in maniera incisiva 1 nel linguaggio formulare di Matteo e nel­
la ripetizione di logia. Molti dei logia che Matteo ripete in toto o in parte
trattano del giudizio e lo imprimono nella mente del lettore: 3 , 1 0b = 7, 1 9;
7,22 S. = 25,1 1 S.; 1 0, 1 5 = 1 1 ,22.24; 10,39 = 1 6,25; 1 3 , 1 2 = 2 5,29; 1 3 ,42
= 1 3 ,50; 1 9,28 = 25,3 1 ; 19,30 = 20, 1 6; 24,42 = 2 5 , 1 3 . Molte di queste ri­
petizioni e molti di questi richiami sono dovuti alla redazione matteana. Ai
logia suddetti si aggiungono poi i frequenti e, in parte, stilizzati logia sul­
la venuta del figlio dell'uomo ( 1 0,23; 1 3,4 1 ; 1 6,27; 19,28; 24,27.30 S-3 7·39·
44; 25,J I ). Particolarmente incisiva e memorabile è l'espressione ricorrente
«là sarà pianto e stridore di denti >>, che Matteo ripete ben sei volte (8, 1 2;
1 3 ,42.50; 22, 1 3 ; 24,5 1 ; 25,30). Non sono tuttavia da dimenticare anche al­
tre espressioni e altri termini importanti appartenenti al vocabolario del
giudizio, ad esempio, yÉevva. -rou 1tup<)ç ( 5,22; x 8,9; cf. 5,29 s.), �tlì..ì..w e:l<; -rò
axo't'o<; 't'Ò èçwnpov ( 8, 1 2; 22, 1 3 ; 25,30) e, sul versante positivo, e:laépxea.Sa.t
el<; "�" �a.atì..da.v 't'wv oùpa.vwv ( 5,20; 7,21 ; x 8,3; 1 9,23 s.; cf. 23 , 1 3 ). In questo
modo, nel vangelo di Matteo il giudizio finale è costantemente presente, im­
primendosi nelle teste e negli animi dei suoi lettori.
2. Matteo e la fonte Q. L' « onnipresenza >> del giudizio non è però una
invenzione di Matteo. Anche per questo aspetto l'evangelista, notoria-
1 Per 3,7 cf. 1 2.,34; 2.3,3 3; per 3,8.10 cf. 7,1 6-1 9; 1 2.,2.3 ; per 3 , 1 1 cf. 1 1 ,3; per 3 , 1 2. cf.
I 3,30.40.42.• 50•
1 Anderson, Narrative Web, 44, che concentra la sua analisi soprattutto sulla funzione

delle ripetizioni nella narrazione, dice che esse hanno, tra l'altro, lo scopo «di mettere in
luce o attirare l'attenzione, . . . di imprimersi durevolmente nella mente del lettore impli­
cito, di sottolineare l'importanza . . . , di costruire modelli di associazioni» .
LA CONCEZIONE DEL GIUDIZIO IN MATIEO 669

mente ligio alla tradizione, attinge ai materiali delle sue fonti o, più preci­
samente, ai materiali di Q, la fonte dei logia. I Mentre nel vangelo di
Marco il giudizio finale non ha una funzione importante, in Q le cose
sono diverse: la proclamazione del giudizio apre (Q 3 ,7-9 ) e chiude (Q
1 7,23-27) il documento. Già in Q numerosi blocchi di tradizione termi­
nano con un annuncio di giudizio 1 che costituisce l' « orizzonte teologico
comune » 3 della fonte.
Prescindendo da alcuni materiali della sua fonte propria e dai testi re­
dazionali, dunque, Matteo deve in larga misura alla fonte Q i suoi lo­
gia di giudizio. Ciò non deve, però, creare l'illusione che tra i materiali
di Q e il vangelo di Matteo sia avvenuta una rielaborazione teologica
profonda e determinante. La rielaborazione si manifesta soprattutto nel­
l'organizzazione della composizione e, in relazione con essa, nella deter­
minazione dei destinatari dei logia. Nella fonte Q molti logia di giudi­
zio sono legati alla proclamazione a Israele (Q 3 ,7-9; 7,3 3-3 5 ; 10, 1 3 - 1 5;
I I ,29-3 2. 3 7- 5 2; 1 2, 8 - I o [cf. 1 2, 1 1 s.]; 1 3 , 25-3 5 e, probabilmente, 17,
2 3 - 3 7 ) .4 Il sostanziale fallimento della missione a Israele degli inviati di
Gesù dopo la sua morte è rispecchiato dal gran numero di minacce di
giudizio e dal rilievo dato loro nella fonte Q. In confronto ai tempi di
Gesù, evidentemente la situazione si è fatta molto più critica. La pro­
clamazione del giudizio con la quale Gesù, il giudeo di Galilea, chiama­
va tutto il popolo al ravvedimento, era diventata l'annuncio del giudi­
zio fatto da una piccola minoranza emarginata alla grande maggioran­
za del popolo, ostile a Gesù e niente affatto disposta a ravvedersi.
In Matteo qualche cosa di tutto ciò è rimasto ancora, poiché mediante
lo specchio della sua storia di Gesù egli riguarda indietro alle esperien­
ze che la sua comunità ha fatto con un Israele che rifiutava Gesù. Tutta­
via, alcune cose sono diverse già per il semplice fatto che la predicazio­
ne del giudizio, che in Q era rivolta direttamente a un Israele ostile, pas­
sa in una storia di Gesù che serve, in primo luogo, alla comunità per de­
terminare la propria posizione. Soprattutto, però, Matteo ha inserito
gran parte della predicazione del giudizio fatta da Gesù nei suoi cinque
grandi discorsi. I discorsi interrompono il tessuto narrativo del suo van­
gelo; di regola sono discorsi rivolti dal proscenio direttamente al pub-

I Così anche Marguerat, Jugement, 3 7.


2. Cf. Q 6,46-49 per 6,2ob-49; 7,33-3 5 per 7,1 8-3 5; 10, 1 3 - 1 5 per 9,57-10,22; 1 1 ,29-3 2
per 1 1,14-3 2; 1 1 ,37- 5 2; 1 2,8-10.37-46.49 s.58 s. per i logia sui discepoli di Q 1 2; 13,
23-30.34 s. per 1 3 , 1 8-3 5.
3 Miirza, 1 3 6. Kloppenborg, Formation, ritiene quindi, al seguito di Liihrmann, Studien,
ma a mio parere spesso a torto, che gli annunci di giudizio messi tanto sovente in coda sia-
no, quanto alla storia della tradizione, generalmente secondari. 4 Cf. Q 1 7,26-30.
RIEPI LOGO ED EXCURSUS

blico dei lettori del vangelo, cioè alla comunità. 1 Con questo espedien­
te i logia di giudizio che sono inseriti nei discorsi diventano logia di giu­
dizio diretti alla comunità: essa deve ora prepararsi ad affrontare il giu­
dizio; essa dovrà rispondere del proprio operato davanti al figlio dell'uo­
mo. Ciò è particolarmente chiaro in 1 3 ,3 6- 5 2 e nei capp. 24 s., dove la
predicazione del giudizio segue a un cambiamento di destinatari, dal po­
polo ai discepoli. Il contributo teologico di Matteo consiste quindi nel­
l'aver reso la comunità il destinatario principale dell'annuncio del giudi­
zio fatto da Gesù. L'accusa rivolta ad altri si è trasformata così in esame
critico della propria comunità, divenuta stanca e indifferente."'
3. Le rappresentazioni del giudizio prossimo nel vangelo di Matteo.
Nel complesso si può dire che il vangelo di Matteo presenta una visione
coerente dell'evento: giudice sarà il figlio dell'uomo Gesù, quando ap­
parirà sulle nuvole del cielo con i suoi angeli. Non si parla mai di parte­
cipazione di Dio al giudizio. Prima del giudizio finale le strutture cosmi­
che crolleranno; la venuta «come un lampo » del figlio dell'uomo aboli­
rà le limitazioni spaziali. Il giudizio sarà universale e riguarderà tutti gli
uomini. Non ci sarà quindi un giudizio separato della comunità.3 La sto­
ria del mondo finisce con un grandioso contrappunto: la «vita eterna » e
il «fuoco inestinguibile » . Nulla di più di questo si dice.
Scendendo nei particolari, invece, rimangono alcune incongruenze, che non
sono però rilevanti. Secondo 1 9,28 è Israele che viene giudicato, secondo
25,3 1-46, invece, «tutti i popoli » . In 1 9,28 a fianco del giudice universale
ci sono i dodici apostoli, in 25,3 1-46 i «fratelli del tutto insignificanti » .
Sebbene in 25,3 1-46 si richiami a 19,28, Matteo non ha alcun interesse a
risolvere tale contraddizione. Secondo 24,40 s. i giusti verranno portati via
dal mondo, secondo 1 3 ,4 1 s. saranno, invece, gli iniqui che saranno allon­
tanati dal mondo. Secondo 1 3 ,4 1 gli ingiusti saranno radunati dagli angeli
del figlio dell'uomo e portati via; secondo 24,3 1 gli angeli radunano, inve­
ce, gli eletti, mentre secondo 25,3 1 s. è il figlio dell'uomo che procede per­
sonalmente alla separazione. Secondo 8,1 1 s.; 1 1 ,20-24; 1 2,4 1 s.; 19,28;
23,3 6 vengono condannate collettività, cioè Israele o alcune delle sue città;
la maggior parte degli altri testi presuppone, invece, che vengano giudicati
individui. Le contraddizioni non riguardano mai il punto centrale delle rap­
presentazioni matteane del giudizio; esse originano dalla diversità del mate­
riale delle fonti utilizzate dall'evangelista.
Molto più importante è che Matteo sviluppi con studiata parsimonia
rappresentazioni di tipo apocalittico. Egli calca e illustra rappresentazio-

1 Per Mt. 10 ciò è vero solo in larga parte (cf. vol. 11, pp. 108 s.).
:z.
Cf. vol. 1, pp. 1 14 s.
3 Per il problema di un giudizio particolare per la sola comunità cf. sopra, a 2 5 ,40.
LA CONCEZIONE DEL GIUDIZIO IN MATIEO 67 1

ni apocalittiche per un'unica ragione specifica: vuole mettere chiaramen­


te in risalto la maestà divina del giudice universale Gesù (cf. spec. I 6,2.7
s.; 2.4, 3 0 s.; 2.5,3 1 ) . ' Per genere letterario i capp. 2.4 s. sono molto più
lontani di Mc. I 3 dal genere apocalittico classico grazie al grande inser­
to parenetico di Mt. 2.4,3 2.-2.5,30. Matteo non ha preclusioni nei riguardi
dell'immaginario apocalittico, ma non sente il bisogno di diffondersi in
descrizioni di questo genere o di precisazioni che riguardino una conce­
zione apocalittica del mondo. È in armonia con tale sobrietà la man­
canza di una descrizione dell'atto del giudizio vero e proprio; Matteo lo
illustra con una similitudine e lo amplia poi con un dialogo tra giudi­
cante e giudicati ( 2.5,3 1 -46). Lo stesso vale per le sue rappresentazioni
della vita eterna e dell'inferno, anche se è stato detto, non certo a torto,
che l'evangelista parla dell'inferno in termini più concreti che della vita
eterna.,_ A conti fatti, però, l'evangelista non parla mai molto concreta­
mente neanche dell'inferno: la locuzione «pianto e stridore di denti » ri­
mane certo impressa nei lettori, ma non viene sviluppata oltre. Anche
la frequente menzione del «fuoco» ( 5 ,2.2.; I 3 ,42..5o; I 8,8 s.; 2.5,4 I ; cf. 3 ,
I I; come metafora i n 3 , I o; 7,I9; I 3 ,30.40) 3 non è che un'allusione ai
tormenti dell'inferno per mettere in guardia la comunità, ma non è cor­
redata da alcuna descrizione. Affermazioni di questo tipo incutono co­
munque spavento, anche senza ulteriori concretizzazioni. Matteo non si
diffonde in descrizioni di come saranno le cose all'inferno o nella vita
eterna.4 L'unica circostanza chiara è che gli ingiusti finiranno all'infer­
no, «là fuori» nelle tenebre, lontani da Dio e da Cristo ( 8 , I 2.; 2.2., 1 3 ; 2.5,
30; cf. 2. 5 , I O s.), mentre i giusti si rallegreranno al banchetto celeste ( 8 ,
I I s . ; 2.2., I I ; 2. 5 , I 0. 2. I .2.3; cf. 2.6,2.9 ) e vivranno nella luce, presso Dio
( I 3 ,4 3 ) . Questa è una descrizione veramente sbiadita che resta di gran
lunga indietro rispetto alla concretezza di molte scene che si leggono in
testi giudaici del tempo. s
z La rielaborazione redazionale di questi passi rimane sempre fedele alla tradizione e uti­

lizza il linguaggio biblico; cf. vol. n, pp. 6I4 s., e v. sopra, inrr. a 24,3-3 I, nr. 2, e intr.
a 25,3 1-46, nr. 2.
2. Mohrlang, Matthew, so: Matteo parla dell'inferno « in modo molto vivido» .
3 Per Simb, 1 3 3 . I 3 8, i l «fuoco» del giudizio segnala un radicamento particolarmente
chiaro di Matteo nel pensiero apocalittico giudaico, non cristiano. Mi pare che esageri.
Ovviamente il fuoco è importante già in testi dell'A.T. e giudaici che parlano del giudi­
zio (F. Lang, 7tUp x'tÀ., in ThWNT VI, 93 5,43 ss.; 937, 1 6 ss. p ss.; 938,38 ss. ), ma la sua
frequenza in Matteo è dovuta più al linguaggio tipizzato che all'eredità apocalittica.
4 Ciò dimostra anche che Matteo non subisce l'influenza della religiosità della compen­
sazione. Non si tratta di descrivere quanto sarà bella la vita futura di quelli che adesso
sono oppressi e perseguitati o quanto sprofonderanno in basso gli attuali persecutori.
5 Cf. in proposito Volz, Eschatologie, 272-3 3 I. 3 8 1 -407. Perciò non posso condividere
RIEPILOGO ED EXCURSUS

Come si può spiegare questa riluttanza di Matteo, l'evangelista del


giudizio, nei confronti di rappresentazioni concrete? La ritrosia di Mat­
teo dipende unicamente dal fatto che egli vuole trasmettere la procla­
mazione del giudizio di Gesù e nient'altro che questa. Gesù stesso è sta­
to estremamente moderato nel ricorrere all'immaginario apocalittico pur
avendolo condiviso. Il messaggio di giudizio di Gesù era fatto di logia
concisi, che presupponevano tali concezioni apocalittiche, ma non le de­
scrivevano, e di similitudini e parabole che non lasciano spazio alcuno
al dispiegamento di rappresentazioni. Matteo ha tramandato testi di
Gesù oppure testi che egli doveva ritenere fossero di Gesù. 1 Non è cer­
tamente un caso fortuito che i grandi inserimenti redazionali, che si ri­
scontrano nei testi di giudizio, siano o ripetizioni o riprese di precedenti
logia di Gesù 2. oppure - nel caso di 1 3 , 3 7-43 ·49 s. - interpretazioni di
tradizioni preesistenti di Gesù. Gesù vuole far conoscere da vicino al­
la sua comunità la proclamazione del giudizio fatta da Gesù. Matteo
conferma di essere un buon allievo del suo maestro anche nel parsimo­
nioso ricorso alle immagini apocalittiche)
4· Il problema del tempo e dell'ora della fine. L'apocalittica giudaica
ha una concezione lineare del tempo e pensa sostanzialmente che la fine
di questo mondo sia una fine nel tempo. Anche Matteo condivide tale
concezione. La parusia supera parzialmente i limiti dello spazio ( 24,23-
28; cf. vv. 29-3 1 ), ma non quelli del tempo: 24,29-3 1 indica che Mat­
teo ritiene fondamentalmente la parusia e il giudizio eventi che si verifi­
cano nel tempo, 4 anche se con la parusia la sequenza temporale degli
eventi raccontati nel cap. 24 (-ro-rE) si interrompe e sembra che oltre il
giudizio finale non ci sia più niente che accada sulla linea del tempo. 5
l'impressione generale di Simb, passim, ma spec. 242-24 5, per il quale Matteo sarebbe
notevolmente vicino proprio all'apocalittica giudaica e reagirebbe come questa a minac­
ce di vario genere nel mondo con un modello di pensiero apocalittico dualistico e una
chiusura di tipo settario nei confronti del mondo. Questa tesi non regge e viene confuta­
ta sia dal predominio dell'etica nel vangelo di Matteo, visibile anche nella parte centrale
parenetica del discorso di giudizio (24,3 2-25,30), sia dalla forza dell'idea missionaria
sia, ancora, dall'ecclesiologia del corpus permixtum.
1 Naturalmente Matteo non era in grado di riconoscere come tali probabili creazioni

della comunità. È una composizione della comunità soprattutto il discorso apocalittico


particolareggiato di Mt. 24,3-3 1. Matteo lo attualizza, ma non lo amplia in direzione di
una vera e propria apocalisse. Egli ha anzi abbreviato i testi di Q che ha inserito in Mt.
24 (cf. sopra, intr. a 24,3 6-4 1, nr. 2, e intr. a 24,42-44, nr. 2). - Reiser", 294, presenta un
utile prospetto dei testi matteani di giudizio che potrebbero risalire a Gesù.
2. Cf. sopra, § 1 dell'excursus.

3 La sintesi della proclamazione del giudizio di Gesù fatta da Reiser", l-93-3 14, rende
evidente la vicinanza a Matteo. 4 Cf. sopra, a l.4,:Z.9-3 1 .
5 Le cose stanno diversamente, a d es., i n Hen. aeth. 9 1 , 1 7 e Apoc. 21, 1-22,5.
LA CONCEZIONE DEL GIUDIZIO IN MATIEO 673
Nel pensiero apocalittico neanche la trascendenza divina, che l'apoca­
littico sperimenta come assenza di Dio nel presente e speranza della sua
presenza nel futuro, trascende il tempo. Perciò il vangelo di Matteo - e
con esso altri scritti neotestamentari - pone noi, uomini di oggi, davan­
ti al problema se possiamo e dobbiamo ancora riprendere la concezione
apocalittica del tempo.
L'interpretazione di 24,29.3 2-34 ha reso verisimile l'ipotesi che Mat­
teo considerasse prossima l'ora della parusia e che altre affermazioni pre­
cedenti del suo vangelo, le quali facevano pensare a un'attesa imminen­
te (3 ,2; 4, 1 7; 1 0,7. 23; 1 6,28; 24,22), non siano la riesumazione di una
tradizione, ma debbano essere prese in seria considerazione. • D'altra
parte, bisogna pur dire che per Matteo l'attesa imminente non è la cate­
goria determinante. Per la parenesi l'elemento determinante è invece la
non conoscenza dell'ora della parusia, che può scoccare in qualsiasi mo­
mento e non può essere prevista ( 24,3 6.42.50; 2 5 , 1 3 ; cf. 24,23-28; 25,
6). L'importante per quanto riguarda l'ora della parusia è che questa può
avvenire in qualsiasi momento, così che i discepoli devono esser sempre
provvisti di olio e vegliare. Dire che la parusia è temporalmente vicina
ha l'effetto di intensificare questa «attesa costante » e, inoltre, la funzio­
ne di confortare la comunità che vive oppressa e perseguitata. 1
5 · L'escatologia al servizio dell'etica. Come per Gesù, così anche per
Matteo ciò che importa non sono tanto le informazioni circa il futuro,
quanto l'opera dei membri della comunità. Il giudizio a venire costitui­
sce l'orizzonte nel quale i lettori del vangelo di Matteo dovrebbero col­
locare il loro comportamento; esso indica che cosa sia in gioco, in ulti­
ma analisi, nella predicazione etica: l'alternativa tra vita e morte, tra re­
gno dei cieli e fiamme dell'inferno. Il giudizio a venire chiarisce quale
sia il vero significato delle azioni umane; mostra sotto quale promessa
«sovradimensionata » si collochino le opere buone apparentemente non
importanti compiute dagli uomini, come l'osservanza di un comanda­
mento minimo ( 5,19), un sorso d'acqua offerto a un «piccolo» ( 10,42),
il farsi basso come un bambino ( 1 8,4) o l'ospitalità offerta a un fratello
« forestiero » (25,3 5 ): il contenuto della promessa è il regno dei cieli, la
ricompensa celeste, l'accesso alla gioia del cielo o la comunione con Cri­
sto stesso. Il giudizio mostra anche sotto quale mortale minaccia « sovra­
dimensionata » si collochino peccati umani apparentemente insignifican­
ti e l'omissione della giustizia: per esempio, percorrere la strada larga e
senza strettoie per la quale molti si avviano (7, 1 3 ), rifiutarsi di perdona-

1 Cf. sopra, a 24,29; 24,34 s.


:z. Cf. vol. 11, pp. 6 1 5 s., a 1 6,28; anche 24,21 s. e sopra, pp. 549-5 5 I .
RIEPI LOGO ED EXCURSUS

re ( 1 8, 3 0) e di mostrarsi solidali con il prossimo ( 24,49), << dimenticarsi


l'olio » (25,3 ) e trascurare l'ospitalità ( 2 5 ,43 ) : la minaccia consiste nella
perdizione, nei tormenti, nel pianto e stridore di denti o nell'essere sepa­
rato da Cristo e nella pena eterna. Il giudizio mostra che al cospetto di
Dio non ci sono, in ultima analisi, né compromessi né neutralità etica,
bensì soltanto un sì o un no, soltanto l'ubbidienza o il rifiuto.
Ancora due punti merita ricordare, che mostrano in modo particolar­
mente chiaro la dimensione etica del messaggio matteano del giudizio:
a) La struttura di Mt. 24-25 . 1 Nel bel mezzo dello schema apparentemente
apocalittico di una storia della fine del mondo Matteo inserisce un inter­
mezzo parenetico esageratamente lungo, che occupa circa la metà dei due
capitoli ( 24,3 2-25,30); in esso l'aspetto importante è soltanto l'esortazione,
rivolta alla comunità, perché in vista dell'imminente giudizio, vegli, cioè sia
ubbidiente, pratichi l'amore, sia pronta, in attesa operosa, per il ritorno di
Cristo.
b) Nell'intermezzo parenetico di 24,3 2-25,30, ma anche in altri testi mat­
teani dell'annuncio del giudizio i modelli letterari dominanti sono le para­
bole e le similitudini." Gran parte delle parabole di Matteo ha a che fare con
il giudizio e, viceversa, gran parte delle affermazioni matteane riguardanti il
giudizio si trovano in parabole (7,24-27; 1 1, 1 6 s.; 1 2,43 -4 5 ; I J ,24-30·3 7-
43 ·47-50; 1 8,23-3 5; 20, 1 - 1 6; 22,1 1 - 1 4; 24,42-25,30). Da dove deriva que­
sta affinità tra enunciati riguardanti il giudizio e parabole? In negativo, ta­
le affinità indica che Matteo non dà alcun peso a descrizioni che riflettono
una data visione del mondo e a precisazioni riguardanti idee e immagini re­
lative al giudizio. In positivo, però, le parabole di Gesù fanno presa proprio
sulla vita concreta dei lettori. Molte di esse vogliono toccarli emotivamente
e condurli a un nuovo atteggiamento di vita. Matteo rafforza questo tratto
fondamentale delle parabole di Gesù interpretandole pareneticamente.3 Se
l'evangelista parla ripetutamente del giudizio in parabole, lo fa perché vuo­
le porre il giudizio al centro della loro vita concreta. Egli vuole scuotere, ri­
svegliare, cambiare gli uomini, condurli a una nuova vita. Anche sotto tale
aspetto Matteo è un buon allievo di Gesù. 4
6. Il giudizio secondo le opere. Per poter superare il giudizio risultano
determinanti le opere degli uomini, non soltanto la fede e, soltanto in
un senso ben determinato, il rapporto con Gesù. Ciò appare chiaramen­
te ovunque, nei capp. 24 e 25, le immagini consentono un'associazione

t Cf. sopra, intr. a 24,3-25,46, nr. 1. 2. Cf. vol. n, pp. 469 s. 3 Cf. vol. n, pp. 467 s.
4 Già Gesù voleva, con molte delle sue parabole, impegnare emotivamente i suoi ascol­
tatori, guidarli a parteggiare pro o contro i personaggi della storia e aiutarli ad applica­
re alla propria vita le reazioni avute e le decisioni prese ascoltando la storia. Le parabo­
le vogliono essere applicate (e non solo interpretate). Cf. vol. n, pp. 467 s.
IL SENSO DEL D ISCORSO SUL GIUDIZIO OGGI 67 5
con concrete realtà della vita. 1 M a anche passi precedenti del vangelo
fanno riferimento alle opere: Matteo ha parlato dei «frutti » ( 3 ,8-10; 7,
1 5-20; 1 3 ,8.22 s. 26; 2 1 , 19·34·4 1 .43 ) e, in negativo, della << anomia » (7,
23; 1 3 ,4 1 ); ha sottolineato il « fare» ( 7,2 1 . 24.26; 1 3 ,4 1 ; 1 6,27).1 Per­
ciò anche metafore come l' «abito da nozze » o l' <<olio» fanno pensare so­
prattutto alle opere.J Nel giudizio, dunque, il fattore determinante non
è la qualità dell'albero, bensì i suoi frutti (7,1 5 -20); non l'ascolto delle
parole, bensì il fare ( 7,24-27); non le lampade, bensì l'olio ( 2 5 , 1 - 1 3 ); non
il capitale iniziale, bensì il guadagno ottenuto con i talenti affidati ( 2 5 ,
1 4 - 3 0 ) . Viceversa, Matteo non parla mai della fede nel contesto del giu­
dizio. Per lui invocare il Signore e implorarne l'aiuto è importante in que­
sta vita (cf. ad es. 14,28-J I ; 1 7, 1 5 ; 20,30 s.), ma un giorno, nel giudi­
zio, dire semplicemente « Signore, Signore» , non servirà a niente (7,21 s.;
2 5 , 1 1; cf. 23,39; 2 5 ,44). L'unico rapporto con il Signore che nel giudi­
zio ha un peso è, invece, l'ubbidienza ai comandamenti che l'unico mae­
stro ha dato ( 2 3 , 8 ) . Non è perciò conforme a Matteo unire con una «e»
la professione di fede in Cristo e le opere e insistere che in giudizio en­
trambi gli elementi sono necessari. 4 Invece, il punto che la teologia di
Matteo vuole ribadire è che una genuina confessione di appartenenza a
Cristo non può consistere in altro che nell'ubbidienza ai suoi comanda­
menti. Se le opere di una persona non sono in ordine, secondo Matteo
niente è in ordine. Allora per noi oggi si pone, in tutta la sua durezza, il
seguente interrogativo teologico: il giudizio secondo le opere sostenuto
da Matteo non riduce forse il dono della grazia a un'assistenza provvi­
soria, che aiuta semplicemente i discepoli a prepararsi in questa vita nel
modo giusto per affrontare il giudizio secondo le opere? anzi, il dono del­
la grazia non viene, in ultima analisi, privato totalmente di ogni valore?
Se le cose stessero veramente così, allora sì che il pensiero del giudizio fa­
rebbe realmente paura.

IL SENSO
DEL DISCORSO SUL GIUDIZIO OGGI
1 . Giudizio e grazia. La teologia matteana del giudizio distrugge, forse,
l'annuncio della grazia ? Visto che, alla fine del vangelo, Gesù si rivela
un giudice universale neutrale fino alla spietatezza, il quale destina quel­
li alla sua destra alla gioia eterna, quelli alla sua sinistra all'eterno pian-
1 Cf. :Z.4,4 5·49 (ubbidienza o gozzoviglie, percosse date ai conservi); :z.s,:z.o-:z.3 (profitto);

cf. le opere d'amore in :z.s,J I-46.


2. Cf. inoltre s,6-lo; 6,:z.- 1 8 ; IO,J4 S.41 s.; 19,16- :z.I .
3 Cf. sopra, a :z.:z.,I I - I J ; :z.s,1 3 . 4 Come sostiene, a d es., Agbanouh, 1 9 7 s.
67 6 IL SENSO DEL D ISCORSO SUL GIUDIZIO OGGI

to e stridore di denti, non porta forse tale teologia a un'incertezza della


salvezza, alla quale gli uomini non possono reagire in altra maniera che
cercando di mettersi dalla parte giusta mediante le loro buone opere ? in
altre parole, non porta forse alla giustizia delle opere? Nel vangelo di
Matteo l'atteggiamento dei credenti verso la parusia del giudice univer­
sale sembra essere stranamente ambivalente: da una parte, la vicinanza
della parusia e la venuta del Signore sono una consolazione e motivo di
gioia poiché rendono possibile agli eletti entrare nel regno dei cieli; • dal­
l'altra, col giudizio di annientamento e i tormenti dei condannati l'evan­
gelista può minacciare pesantemente i suoi lettori, facendo loro paura.�
Ma allora Matteo stimola i credenti con la paura invece che con l'amo­
re di Dio ?
Matteo non si perita di incutere ai credenti la paura del giudizio. Con tale
sua spregiudicatezza egli - con molti altri testi neotestamentari, soprattutto
l'Apocalisse di Giovanni - ha avuto un notevole successo nella storia degli
effetti. Nella maggior parte delle epoche la paura del giudizio è stata parte
della fede-cristiana: le raffigurazioni medievali del giudizio, che presentano
visivamente i tormenti dei dannati e sono molto più vivide ed efficaci di
quelle che dipingevano la gioia dei beati, ne sono valide testimonianze. Se
si prende sul serio ciò che esse raffigurano, quelle immagini diventano un
incubo. Quale esempio cito un testo classico della paura del giudizio che per­
vadeva il medioevo e presenta inconfondibili echeggiamenti matteani. Si
tratta di alcune strofe del celebre Dies lrae di Tommaso da Celano:
Quantus tremor est futurus Che tremore ci sarà
quando iudex est venturus quando il giudice verrà
cuncta stricte discussurus. e con gran severità ogni cosa valuterà.
Poi il poema richiama Mt. 25,3 1 -46:
lnter oves locum presta Collocami tra gli agnelli,
et ab haedis me sequestra, separami dai capri,
statuens in parte dextra! sistema mi alla tua destra !
Il sentimento dominante è la paura:
Quid sum miser nunc dicturus, Miserello, che dirò,
quem patronum rogaturus, che patrono invocherò,
cum vix iustus sit securus! se a stento il giusto può esser sicuro.J
1 Cf. inoltre 1 6,2.8; 14,2.1 s.34 s.; 15,1-10 (l'immagine delle nozze).
:1. A prescindere dalle formule del «pianto e stridore di denti » e dal « fuoco» , è importan­

te che Matteo abbia tramandato gli accenni alla crudeltà del giudizio senza attenuarli
(cf. ad es. 5,16; 1 8,34; 2.4,5 1 ).
3 Testo con traduzione secondo P. Klopsch (ed.), Lateinische Lyrik des Mittelalters, Stutt­
gart 1985, 43 6-439.
IL SENSO DEL DI SCORSO SUL GIUDIZIO OGGI 677
Ancor oggi la pietà cristiana non è esente dalla paura del giudizio. In un testo
divenuto ormai famoso, lo psicanalista Tilman Moser guarda in retrospet­
tiva alla propria biografia religiosa e formula le sue preghiere del passato ser­
vendosi delle parole di Mt. 25: «Ti ho pregato e implorato di accogliermi
sul lato delle 'pecore', perché sapevo che il mio posto era tra i 'capri'. Da
bambino . . . mi sembrava ovvio che il mondo . . . fosse fatto di salvati e di re-
probi; la cosa spaventosa era solo che io . . . stavo sempre sospeso sopra
l'abisso della dannazione e non sapevo mai quanto avrebbe retto quella
passerella stretta che mi sosteneva>> . Il giudice divino, costantemente pre­
sente «con la sua faccia da 'grande fratello' sempre sopra di noi, che ci con­
trolla eternamente» , dice Moser, rende l'uomo malato, minacciandolo sem­
pre di negargli l'amore e di interrompere il rapporto con lui. L'idea del giu­
dizio rende forse l'uomo «una cavia assillata dalla paura in un esperimento
senza via di uscita >> ? r Oppure, viceversa, essa rende, nell'intimo, l'uomo re­
ligioso un trionfatore disumano che assolutizza se stesso, un vincitore che sa
che Cristo << mi ha tolto di dosso ogni maledizione . . . ha gettato nella perdi­
zione eterna tutti i suoi e miei nemici, ma accoglie me presso di sé, nella
gioia e nella gloria del cielo» ? 1 Tra la Scilla della propria paura e la Ca­
riddi del rafforzamento del proprio potere mediante un Dio che incute pau­
ra esiste una via del vero timore di Dio?
Di fronte a un simile Dio che incute paura e condiziona l'uomo, l'illumi­
nismo ribadì il diritto della ragione autonoma. Anche questa posizione può
essere confermata da una reazione (critica) al classico testo del giudizio di
Mt. 25,3 1 -46:
Capri, a sinistra! così ordinerà il giudice:
e voi pecorelle starete in pace alla mia destra!
Bene! Ma ancora una cosa si spera che allora dica:
voi, uomini ragionevoli, venitemi proprio davanti)
Al giudice universale che innalza in cielo e precipita nell'inferno, il nostro se­
colo ha reagito detronizzando questo Dio che rende l'uomo schiavo.4 Op-
x T. Moser, Gottesvergiftung (st 5 3 3 ), 1976, 19. 14. 2.9.
:1.
Heidelberger Katechismus 52. (BSKORK\ 1 6 1 ). Naturalmente, sarebbe facile fornire
la prova di questo tipo di religiosità adducendo testi di movimenti settari. Citando, inve­
ce, un testo centrale della chiesa riformata (avrei potuto anche optare per un testo catto­
lico, luterano o ortodosso, ma, essendo io un riformato, non lo faccio), desidero mostra­
re come anche la nostra pietà ecclesiastica rechi l'impronta di questo tipo di radici - che
in una società pluralistica vengono spesso pudicamente taciute o «dimenticate».
3 J.W. von Goethe, Epigramme, Venezia 1 790, nr. 48, in Id., Werke I, Miinchen 1987,
3 2.0 (rist. dell'edizione di Weimar, 1 8 87) (tr. it. M.T. Giannelli).
4 Questa reazione è descritta efficacemente nel racconto Wie Gott Maior seinen Thron
verlor, di Leszek Kolakowski: i beati, che hanno osservato il comandamento di Dio, si
rivoltano in cielo perché si ricordano dei loro parenti e amici condannati all'inferno e
vogliono stare insieme a loro. A questo Dio non resta altro che abdicare (in Idem, Der
Himmelsschliissel, Miinchen 1963, 1 57· 165 ).
67 8 IL SENSO DEL DISCORSO SUL GIUDIZIO OGGI

pure lo ha gettato nel fiume dell'oblio: nella visione del mondo della mag­
gior parte degli uomini di questa nostra società occidentale individualistica
è semplicemente scomparsa del tutto l'immagine di un giudice universale o
di un giudizio universale.
In questa situazione, l'annuncio di giudizio di Matteo che cosa ha da
dire? Mi sembrano importanti le seguenti riflessioni:
a) L'annuncio di giudizio di Matteo non porta assolutamente a una
chiesa che assolutizza se stessa, perché esso mette la comunità sotto il
giudizio del figlio dell'uomo insieme al resto dell'umanità. Qui si è da­
vanti a un punto centrale dell'annuncio matteano del giudizio e alla sua
peculiarità rispetto all'annuncio del giudizio in Q. Nella prospettiva di
questo annuncio di giudizio si situa un nuovo atteggiamento verso le
proprie opere, che rende inutile qualsiasi autogiustificazione, poiché il
giudizio su di noi è lasciato a Dio soltanto. 1 Nella prospettiva di que­
sto annuncio di giudizio si colloca anche la rinuncia di uomini e chiese
a rivendicare per sé il diritto di giudicare gli altri uomini, un diritto di­
vino che spetta soltanto al figlio dell'uomo (cf. Mt. 7, 1 s.).1 Nella pro­
spettiva di questo annuncio di giudizio potrebbe situarsi anche (( la soli­
darietà con quelli che non . . . sono sulla via della salvezza » ,3 per esem­
pio, con gli appartenenti ad altre chiese e religioni o con gli atei, poiché
tutti dovranno un giorno stare al cospetto del giudice universale e di­
pendono tutti, in egual misura dalla sua magnanimità. In Matteo, tut­
tavia, queste prospettive sono visibili solo in parte: l'annuncio di giudi­
zio nel suo vangelo ha certamente portato a una solidarietà interna alla
comunità: i membri della comunità devono astenersi dal giudicarsi gli
uni gli altri (7, 1 -6); essi devono farsi piccoli e servirsi a vicenda, cercare
i perduti e perdonare i peccatori (cf. 1 8 , 1 -22). L'annuncio di giudizio
ha reso possibile che la chiesa si considerasse un corpus permixtum e non
la schiera degli eletti. In Matteo esso non ha, però, portato, ad esempio, a
una nuova solidarietà con Israele che, un giorno, verrà giudicato an­
ch'esso - come la chiesa - dal giudice universale.
b) L'annuncio matteano del giudizio celebrato dal figlio dell'uomo
non può essere letto unicamente in un'ottica individualistica. In questo

1 G. Ebeling, Dogmatik des christlichen Glaubens m, Tiibingen 1979, 470: «Il giudizio

secondo le opere porta ad absurdum la giustificazione attraverso le opere» .


:o jungela, 2.37, scrive: •Il giudizio universale è l a liberazione dell'uomo dal compito di
giudicare e, perciò, un sollievo che ci giunge inaspettato. Fa bene all'uomo non dover più
giudicare: né altri né se stesso» .
3 Parole riprese da Greshakea, 7 1 , i l quale racconta l'episodio del poeta francese C . Pé­
guy, che per solidarietà con quelli che secondo il parere della chiesa andranno all'infer­
no, voltò le spalle alla chiesa.
IL SENSO DEL D I SCORSO SUL GIUDIZIO OGGI 6 79
messaggio, infatti, non si tratta semplicemente di me, se io verrò accol­
to o riprovato sulla base delle mie opere. Nel pensiero apocalittico, che
influenza anche Matteo, si tratta piuttosto di Dio stesso: si tratta della
sua verità che diviene manifesta, del suo potere che si afferma. Consi­
derato in questa luce, il giudizio comporta una speranza per i credenti:
nel giudizio si tratta della « rivelazione di ciò che adesso è celato nel suo
contrario��, della «risoluzione di tutte le contraddizioni » e del «compi­
mento della salvezza nella quale si è creduto » . 1 Oltre a tutto ciò, per
Matteo è fondamentale la prospettiva cristologica: per l'evangelista si
tratta del futuro di Gesù, che, precedendo i membri della comunità sul­
la via della giustizia, della persecuzione e della sofferenza, è entrato pri­
ma di loro nella vita e nel regno dei cieli. Ma si tratta anche della verità
della volontà del Padre annunciata da Gesù e del futuro della giustizia
del regno di Dio vissuta e sofferta dai credenti ( 6,3 3 ). Perciò per Mat­
teo, giudeo e discepolo di Gesù, il giudizio universale del figlio dell'uo­
mo Gesù è espressione di una speranza. Guardare al giudizio universale
soltanto dal punto di vista dell'individuo che lo supererà o non lo supe­
rerà, è una prospettiva moderna che è il risultato della predicazione cri­
stiana del ravvedimento e dell'individualizzazione moderna, ma non è
certo la prospettiva di Matteo.
c) Per Matteo il giudice universale è Gesù e non uno sconosciuto qual­
siasi. Taie affermazione può essere intesa in due maniere. Si può sotto­
lineare che alla fine, quel Gesù che annuncia alla comunità l'evangelo
del regno e l'accompagna lungo il suo cammino in quanto «Dio con
noi » , si trasformerà in un giudice spietato che giudicherà rigorosamente
con il criterio dei suoi comandamenti, cioè, in linguaggio teologico, se­
condo il metro della «legge » . Ma si può anche sottolineare l'estremo op­
posto: la comunità conosce il giudice universale e non ha bisogno di aver
paura di lui; essa conosce il suo messaggio dell'amore di Dio; lo cono­
sce, poiché egli è il suo unico e solo maestro, che le ha mostrato il Padre
celeste; essa prega quotidianamente lui, che è il suo Signore; egli l' «Em­
manuele» , l'ha continuamente soccorsa nella sua piccola fede, nella
malattia e nel pericolo. Certo, essa non sa quale sarà il suo giudizio per­
ché essa non ne dispone; ma sa, di certo, che questo « Dio con noi » le si
è dimostrato un compagno fedele e amorevole. La comunità non ha bi­
sogno di aver timore di un simile giudice. Quale delle due letture devo­
no preferire i lettori ?
Non si deve passare sotto silenzio che in Matteo ci sono sicuramente
tratti che potrebbero far pendere la bilancia dalla parte della prima let-

1 Ebeling (v. sopra, p. 678 n. 1 ), 469.


680 IL SENSO DEL DI SCORSO SUL GIUDIZIO OGGI

tura. Penso, a questo proposito, soprattutto alle parole minacciose che


parlano di fiamme infernali e tormenti eterni. D'altra parte è chiaro che
nel suo libro l'Emmanuele Gesù è alfa e omega: Matteo non sviluppa
semplicemente una teologia del giudizio, ma la inserisce in una storia di
Gesù che narra della presenza di « Dio con noi » , del suo soccorso e del
suo insegnamento che rimette in sesto. Proprio come la proclamazione
etica del discorso della montagna, letta come parte della storia mattea­
na di Gesù, non è «legge » , ' così anche la predicazione del giudizio di
Matteo non lo è. Sono quindi del parere che il vangelo di Matteo, tutto
sommato, voglia condurre i suoi lettori verso la seconda lettura. La tesi
esegetica di fondo che sta dietro a tale opinione è il convincimento che
nel vangelo di Matteo la storia di Gesù, il «Dio con noi » , abbia la pre­
minenza sulla proclamazione di Gesù, sull' e:ùayyÉÀtov 't'ljç �cxatÀe:(cxc;, del­
la quale l'annuncio di giudizio costituisce una componente essenziale, la
inquadri e la determini.
Ma allora, alla luce della storia matteana di Gesù, si devono porre do­
mande critiche alle minacce matteane di giudizio. Alla luce di quella sto­
ria che narra come Dio voglia la nostra salvezza, non può « regnare al­
cuna 'simmetria' tra salvezza e perdizione, tra cielo e inferno » .z. Su que­
sto punto il vangelo di Matteo continua a essere poco chiaro; anzi, al­
cuni dei suoi testi mostrano non solo quella inquietante simmetria, ben­
sì addirittura una prevalenza della minaccia e dei tormenti infernali. Per­
ciò la sua storia degli effetti è anche una storia di paura, insicurezza e
disorientamento. A mio giudizio, si ha qui una contraddizione con Ge­
sù che, indubbiamente, ha parlato anche di giudizio, ma, appunto solo
«anche » } Chi cerca di far muovere gli uomini con la minaccia dei tor­
menti dell'inferno, ha ben scarsa fiducia nella forza della grazia e nella
solidità della fede.
d) Per finire è d'uopo ricordare la concezione maueana della legge e
della volontà di Dio. Il giudeocristiano Matteo non conosce la distinzio­
ne fondamentale tra legge ed evangelo che la Riforma ha scoperto sulla
base della sua interpretazione di Paolo. La legge che Gesù ha adempiu­
to per Matteo non è una legge inattuabile; essa non è mezzo e misura per
la conoscenza del peccato inevitabile, bensì è la «volontà » attuabile •• del
Padre», il Dio che ama. La legge è un'istruzione utile, esemplificata da
I Cf. vol. I, pp. J JO-J J 2; Luz, ]esusgeschichte, s S-73 .
:z.
Greshake4, 69; cf. Vorgrimmler4, 1 60.
3 Cf. Reiser4, 3 1 2-3 14. La contraddizione è messa in chiara luce da una formulazione di
Lochmann", 143: nella prospettiva della fede il giudizio universale significa «l'assoluta
fine del terrore,. e non «un incalcolabile 'terrore senza fine'» . Purtroppo, in Matteo esso
significa anche un terrore senza fine.
IL SENSO DEL DISCORSO SUL GIUDIZIO OGGI 68 I
Gesù, praticata nella comunità con la quale Gesù vuole essere fino alla
fine del mondo (28,20). La legge aiuta i discepoli nel cammino che con­
duce nel regno dei cieli attraverso la porta stretta. La concezione mattea­
na della volontà del Padre corrisponde strutturalmente alla torà d'Israe­
le, anche se nel contenuto alcune cose appaiono in una luce nuova. Mat­
teo non doveva percorrere la via paolina del fallimento dovuto alla leg­
ge e della svolta radicale verso qualcosa di totalmente nuovo. I Perciò,
per Matteo, il giudizio sulla base delle opere non significa qualcosa di
terribile, cioè il giudizio secondo un criterio che, in ultima analisi, com­
porta per gli uomini un fallimento inevitabile.:�. Per l'evangelista nel giu­
dizio la questione è piuttosto un'altra, ossia vedere che uso i discepoli di
Gesù abbiano fatto dell'utile istruzione del Padre nel loro cammino su
quella strada sulla quale Gesù li ha preceduti e lungo la quale li ha ac­
compagnati e soccorsi. È questo che verrà loro chiesto il giorno del giu­
dizio universale dal loro stesso «fratello » , quello che essi conoscono e
che li ama. Mediante questa domanda essi verranno considerati dal lo­
ro « fratello » come davvero suoi fratelli, non semplicemente come «per­
sone >> , che non sono nulla senza la grazia di Dio, bensì nelle loro opere
e, quindi, in tutta la loro umanità.3
In Matteo, dunque, il dono della grazia è stato invalidato dall'idea del
giudizio? Le considerazioni precedenti sono state un tentativo per mo­
strare che - almeno in larga misura - non è così. Esse sono state un ten­
tativo compiuto da un esegeta, turbato e irritato anch'egli da alcuni testi
di Matteo, di restare, finché possibile, solidale con i «suoi » testi, difen­
dendoli, nei limiti del possibile, dalle obiezioni e dagli interrogativi del
nostro tempo. A questo proposito, c'è un punto che deve restare chia­
ro: non solo queste obiezioni e questi interrogativi, bensì anche il mio
stesso tentativo di difendere Matteo sostenendo, al contempo e il più a

I Per il rapporto complementare tra Matteo e Paolo cf. Luz, Erfullung, 4 3 1 -4 3 5 , e Id.,

]esusgeschichte, I6J-I70. Il particolare cammino di Paolo gli insegnò, tra l'altro, a rico­
noscere la profondità del peccato e - in un isolamento estremo al cospetto di Dio - a
provare la profondità della sua grazia. Ma quel cammino non fu e non è il percorso di
tutti i cristiani, nonostante esso si sia dimostrato particolarmente produttivo per l'epoca
moderna con la sua individualizzazione spinta.
2. Senza poter entrare qui in particolari, desidero almeno far notare che anche per Paolo
- in Cristo - la parusia e il giudizio secondo le opere ( ! ) non significa niente di ter­
rificante, bensì la fine della notte (Rom. I J , I I-J 4), un «giorno•, dunque, che lo fa vola­
re e verso il quale si avvia fiducioso. Per questo aspetto, la situazione di Lutero è del tut­
to diversa.
3 Cf. Jungel", 2 3 5 : «Che Dio si rivolgerà, da giudice, ancora una volta alla vita che ab­
biamo vissuta mostra che non gli siamo indifferenti. Venendo giudicato, l'uomo sarà
considerato seriamente come persona» .
682 I L SENSO DEL D ISCORSO SUL GIUDIZIO OGGI

lungo possibile, il primato della grazia divina, è un tentativo moderno


cresciuto sul terreno della teologia della Riforma. Matteo il giudeo, ra­
dicato nella propria comunità e sostenuto, insieme a essa, dal Dio padre
di Gesù e dal Dio del patto d'Israele, 1 scuoterebbe forse il capo, senza
riuscire a capire, di fronte al mio tentativo di soppesare, in modo chia­
ro e univoco, l'ambivalenza di grazia e giudizio.
2. Il pensiero apocalittico oggi. Matteo parla della parusia e del giudi­
zio universale con il vocabolario e l'arsenale di immagini dell'apocalit­
tica del suo tempo. Egli si figura la venuta del figlio dell'uomo e giudice
universale alla stregua di un arrivo nel tempo e nello spazio, anche se in
questo evento i concetti usuali di spazio in parte collassano. l. Egli si im­
magina che la sua venuta sia « vicina �� cronologicamente, sebbene que­
sta vicinanza non abbia alcuna rilevanza costitutiva per il suo messag­
gio. 3 Egli concepisce la trascendenza divina in termini spaziali, cioè co­
me trascendenza spaziale, e la finitezza del mondo in termini temporali,
come limitazione nel tempo.
I problemi posti dal pensiero apocalittico sono antichissimi, ma la teologia
non è ancora riuscita a risolverli. L'imbarazzo teologico si riflette in molti
testi dogmatici odierni quando si giunge ai capitoli su fine del mondo, giu­
dizio e parusia. Essi sono o di un sorprendente squallore e di una brevità
eloquente o si mostrano inclini al biblicismo e alla ripetizione di formule tra­
dizionali oppure cercano di addomesticare parusia e giudizio rendendoli
fenomeni del tutto mondani. -4 Inoltre, il problema più profondo posto oggi
dal pensiero apocalittico non riguarda la cosmologia, bensì la teologia.
Margaret Davies si è espressa in questa maniera: « Gli uomini della fine del
xx secolo possono immaginarsi fin troppo bene l'incombente distruzione del
mondo . . . Ma i cristiani di oggi non considerano le possibili fini del mondo
il preludio necessario al regno escatologico di Dio » . s A mio giudizio oggi
la difficoltà maggiore del pensiero apocalittico non è costituita dal fatto che
non potremmo immaginarci una fine del tempo e dello spazio. Certo, non

1 Secondo Charette4, 1 66, Matteo pensa nelle categorie tradizionali del «nomismo del

patto» del giudaismo.


2. Cf. sopra, excursus «La concezione del giudizio nel vangelo di Matteo», S 4, e pp. 540 s.

3 Cf. sopra, excursus «La concezione del giudizio nel vangelo di Matteo» , S 4, e a 14,
19 · 3 1 ; pp. 546 · 5 5 1 - 5 54 • 5 5 8.
4 Cf. !'«interpretazione all'interno della storia ,. della parusia nella storia dell'interpreta·
zione di 14,3-3 1 (v. sopra, pp. 5 1 1·5 1 6). Come esempio di interpretazione del giudizio
all'interno della storia cf. P. Althaus, Die letzen Dinge, Giitersloh • 1 9 3 3 , 1 66: «L'effetto
è il giudizio di Dio». Il discorso che Althaus (pp. 1 89-100) sviluppa sul tema ricorda il
nesso tra l'agire e le sue conseguenze neli'A.T. Ma questo schema si riferisce al giudizio
della storia e al potere del peccato, non al giudizio escatologico di Dio.
5 M. Davies, 1 76.
I L SENSO DEL D I SCORSO SUL GIUDIZIO OGGI 68 3
potremmo immaginarci una fine del tempo e dello spazio in sé, ma, indub­
biamente, la fine di coloro che - dopo Kant - possono pensare soltanto in ca­
tegorie dello spazio e del tempo. Oggi noi possiamo pensare una fine del­
l'umanità e, quindi, una fine di spazio e tempo quali fondamentali categorie
immaginative umane. Ma anche con tutto ciò non ci siamo avvicinati ne­
anche di un millimetro al nucleo del pensiero apocalittico. La difficoltà più
grande davanti alla quale il pensiero apocalittico ci pone oggi è, piuttosto,
questa: esso non è più in grado di mantenere la sua pretesa teologica di un
tempo di rendere pensabile ed esprimibile il nascondimento di Dio sulla ba­
se del presupposto di un mondo diventato alienato da Dio e ateo. Dietro a
quella fine del mondo e dell'umanità che è diventata nuovamente pensabile,
non ci apparirà Dio, bensì il nulla.
In questa situazione, di quale aiuto può essere l'escatologia apocalitti­
ca di Matteo ? Mi sia concesso esprimere tre considerazioni molto fram­
mentarie:
a) Matteo fa capire in maniera esemplare come il pensiero apocalitti­
co possa rendere possibile la vita qui e ora. Si può cogliere a prima vi­
sta quanto Matteo sia restio a precisare elementi relativi alla visione del
mondo e alle rappresentazioni. In ciò egli segue Gesù che ha sì usato nei
suoi logia idee apocalittiche, senza mai, però, svilupparle. Egli stesso ha
modificato, mediante l'inserimento della parte centrale, l'unico suo testo
apocalittico di una certa dimensione (capp. 24 e 2 5 ), basato sullo sche­
ma di un compendio apocalittico della storia dal presente fino alla pa­
rusia (Mc. 13 ), e lo ha modificato in maniera tale che il testo, per così
dire, è traboccato fuori dallo schema rovesciandosi nella vita. Ciò che
gli premeva ottenere con questo schema apocalittico era aiutare gli uo­
mini ad arrivare a prendere la loro propria decisione fondamentale, qui
e ora. La vicinanza di Matteo al principio dell'escatologia di Karl Rah­
ner è talmente vistosa da indurmi a citare Rahner per esteso:
L'escatologia cristiana non è un reportage che anticipa avvenimenti che si
verificheranno «più tardi,. (questo è l'intento primario della falsa apocalit­
tica . . . ), bensì la previsione necessaria all'uomo nella sua decisione spiritua­
le di libertà, previsione che nasce dalla sua collocazione nella storia della
salvezza determinata dall'evento di Cristo . . . uno sguardo gettato verso il
compimento definitivo . . . per rendere possibile la sua propria decisione illu­
minata di percorrere fino in fondo quel tunnel oscuro. 1

r K. Rahner, Eschatologie, theologisch-wissenschaftstheoretisch, in LThK' m, 1096. E

con altre parole: •Questa realtà futura che può essere evocata in immagini, ma non pre­
sentata già adesso in un reportage, viene detta all'uomo perché egli può superare il suo
presente soltanto se sa di essere in movimento verso il suo futuro, che è il Dio inaffer­
rabile nella sua vita» (Id., Eschatologie, in SM I, 1967, 1 1 8 8).
684 IL SENSO DEL DISCORSO SUL GIUDIZIO OGGI

È proprio quanto sostiene Matteo in maniera molto vivida: egli rappre­


senta un'escatologia che non vuole sapere tutto per filo e per segno, ma
che è sviluppata totalmente in funzione del giusto atteggiamento di vita
nel proprio presente. ' Ma, allo stesso tempo, egli rappresenta un'escato­
logia che non permette di essere ridotta a una pura comprensione del­
l'esistenza, ma sa che senza almeno l'abbozzo di una sommaria previsio­
ne del futuro, per mezzo della quale Cristo proclami la propria signoria
sul mondo, questo giusto atteggiamento di vita resterebbe sospeso in aria
e rimarrebbe, in fondo, un tentativo autonomo dell'uomo.
L'uomo non può stabilire da solo la propria finitezza, perché cercan­
do di farlo egli sarebbe di nuovo assoluto e arbitrario. Egli non può nem­
meno controbilanciare lo strapotere del male nel mondo, una potenza
che egli conosce per esperienza diretta, poiché tentando di farlo dimo­
strerebbe di essere o un titano o un illuso. Il pensiero apocalittico rende
possibili entrambe le cose: gli apocalittici possono far rilevare, dall'ester­
no,� la limitatezza dell'uomo 3 che viene chiamato a rispondere delle
proprie azioni, e anche la limitatezza del potere del male nel mondo al
quale Dio fisserà una fine, affinché gli uomini, sollevati e incoraggiati,
possano restare fedeli a Dio nel mondo malvagio.
Il Matteo discepolo di Gesù è tuttavia un apocalittico sui generis. La
particolarità più vistosa dell'apocalittica matteana è proprio d'essere
sempre in funzione dell'idea di giudizio. Ciò comporta uno spostamen­
to di accenti. Mentre in molti testi apocalittici, sia giudei sia cristiani, la
funzione principale del linguaggio apocalittico è quella di confortare,
rafforzare l'identità e confermare la fede di un gruppo apocalittico,4 in
1 Nella sua struttura di fondo l'escatologia apocalittica matteana è quindi rivolta, con­

formemente all'esempio di Gesù, al mondo e non è un tentativo di elaborare l'esperienza


della lontananza di Dio, della malvagità del mondo e del proprio isolamento nel mon­
do. Cf. sopra, pp. 671 s. n. 5· Che lo stesso Matteo, anche per l'influenza di tradizioni di
stampo apocalittico dualistico, tenda costantemente a demonizzare il mondo e a dipin­
gerlo di nero (cf. ad es. 24,9-2 1 ) non lo considero una conseguenza del principio cristo­
logico della sua escatologia, bensì un retaggio apocalittico che non è stato ancora tra­
sformato dalla luce di Cristo.
:z. Per i testi apocalittici è fondamentale non dare a vedere di essere opera del personag­

gio che vi sta parlando. Perciò i veggenti hanno visioni, perciò compaiono le figure del­
l'angelo interprete e dell'angelo rivelatore; perciò è così importante che Gesù, l'Emma­
nuele, istruisca i discepoli sul Monte degli Ulivi.
3 A questo punto la morte dell'uomo, che incombe su ognuno, è un analogon del lin­
guaggio apocalittico, come ha mostrato continuamente la storia degli effetti e dell'inter­
pretazione dei testi matteani (cf. ad es. sopra, pp. 565 s. 590 s.). Questo analogon è im­
portante perché la propria morte è per ognuno un'esperienza ineludibile e, in termini di
storia del pensiero, insuperabile. Si tratta tuttavia di un analogon comunque limitato,
poiché pone un limite soltanto al singolo uomo, ma non al mondo né all'umanità.
4 Cf. W.A. Meeks, Social Functions of Apocalyptic l.Anguage in Pauline Christianity, in
IL SENSO DEL DISCORSO SUL GIUDIZIO OGGI 68 5
Matteo l'idea del giudizio che sarà pronunciato anche sulla comunità po­
ne nuovamente in dubbio quella consolazione e quella conferma della
identità . Essa non rimuove quel dubbio, ma lo fa continuare. L'idea del
giudizio non lascia che la comunità riposi in se stessa e si consoli, ma la
mette in movimento. All'interno dello schema di pensiero apocalittico
l'idea matteana di giudizio, che è altrettanto apocalittica, ha per così di­
re una funzione sovversiva rispetto alla consueta funzione principale del
genere apocalittico. Sta qui la caratteristica specifica del pensiero apoca­
littico di Matteo.
b) L'escatologia apocalittica matteana risulta utile perché essa stessa
cozza continuamente contro i limiti della propria conoscenza e mostra
la propria fragilità. Le scarne informazioni circa la visione, le strutture
e il futuro del nuovo mondo rende particolarmente vistosi tali limiti. Un
momento di tale rottura è l'incompiutezza della concezione matteana
del tempo: le affermazioni del vangelo circa la vicinanza cronologica del
futuro di Dio vogliono intensificare e non certo relativizzare I l'assoluta
ignoranza umana circa il tempo e l'ora della parusia. L'affermazione che
si legge in 24,3 6 è di grande portata: non soltanto gli uomini, ma anche
gli angeli e persino il Figlio non sanno esattamente come dove e quando
verrà la fine. Mt. 24,3 6 segnala così una chiara differenza rispetto alla
maggior parte dei testi apocalittici giudaici, nei quali l'angelo interpre­
te conosce ogni cosa. In quanto l'apocalittica matteana mostra soltanto
tracce dei limiti della concezione lineare del tempo, la rottura delle cate­
gorie spaziali diventa più chiaramente visibile. Espressione di tale rottu­
ra non è soltanto la « ubiquità» della parusia, che proviene dalla tradizio­
ne di Gesù ( 24,23 -28), bensì anche il crollo del cosmo al momento della
parusia ( 24,29), dissoluzione che è conforme alla tradizione apocalitti­
ca. Diversamente da quanto si legge in alcuni testi apocalittici, nel van­
gelo di Matteo la rovina cosmica comporta un silenzio circa un eventua­
le « nuovo mondo >> : il mondo spazio-temporale presente forma, allo stes­
so tempo, il limite ultimo di ogni possibilità di ulteriori enunciati.� Infi­
ne, desidero già adesso 3 far notare che lo schema apocalittico totale che
si trova in Matteo non è, allo stesso tempo, lo schema sistematico nel

D. Hellholm (ed.), Apoca/ypticism in the Mediterranean World and the Near East, Tii­
bingen ' 1 9 8 9 , 687-70 5 .
I Nel senso di una ignoranza relativa: l'ora della parusia è certamente sconosciuta a tut­

ti, meno che al Padre, ma il Figlio sa almeno che l'ora non è lontana.
2. Nel suo utile saggio Lohfinka, 6o, fa notare che nella sua storia la teologia cristiana

avrebbe «abbandonato già relativamente presto le concezioni spaziali dell'apocalittica »,


mentre fino a oggi le riesce, evidentemente, difficile abbandonare la concezione lineare
del tempo dell'immagine apocalittica della storia. 3 Cf. sotto, c.
686 IL SENSO DEL DISCORSO S U L GIUDIZIO OGGI

quale egli ordina le sue affermazioni su Cristo, Dio e il mondo. Lo sche­


ma concettuale apocalittico di Matteo non prevale sul suo pensiero teo­
logico. Ecco un'altra espressione del limite di quello schema. Per farla
breve, penso che proprio questi indici della « incompiutezza » dell'apoca­
littica matteana potrebbero risultare importanti per uomini per i quali
un'immagine apocalittica coesa del mondo continua a essere una porta
sbarrata.
c) Si arriva così al punto più importante: a mio giudizio, l'escatologia
matteana è utile proprio perché non è il fondamento che rende possibi­
le la sua teologia. Nel pensiero apocalittico giudaico l'espansione del
pensiero spaziale fin nella dimensione cosmica e l'espansione del pensie­
ro temporale sino all'inizio e alla fine della storia avevano reso possibi­
le parlare di Dio e sperare in lui in un tempo senza Dio e senza salvezza.
Matteo non è un apocalittico al quale il quadro storico universale ren­
da possibile parlare di Dio soltanto in un'epoca tanto oscura e lontana
da Dio. Perciò non è una tragedia che per noi oggi dietro alla fine del
mondo, diventata ancora una volta immaginabile, non appaia più al­
cun regno di Dio altrettanto immaginabile. I Matteo può parlare di Dio
nelle tenebre dell'ultima tribolazione non perché è capace di pensare a
una trascendenza spazio-temporale di là di questo mondo, bensì perché
egli deve raccontare di Gesù, il «Dio con noi » , nel mondo. È questo Ge­
sù che per Matteo permette di conoscere concretamente nel mondo il
Padre celeste. Per Matteo non è l'escatologia apocalittica ciò che rende
possibile la sua teologia, bensì lo è Gesù, il «Dio con noi •• nella storia.
La dimensione apocalittica dell'escatologia matteana non è che un ausi­
lio per individuare quali conseguenze decisive per la vita e la morte e
quale rilevanza determinante per il futuro del mondo abbia il fatto che
nel mondo ci sia il «Dio con noi » . Niente più che questo.
I Cf. sopra, p. 682 n. 4·

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