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IL GIUDIZIO UNIVERSALE
( 2 5 ,3 I -4 6 )
K . Bornhiiuser, Zur Auslegung von Mt. 25,J I-46: Luth 46 ( 1 93 5 ) 77-82.; E. Bran
denburger, Das Recht des Weltenrichters ( SBS 99), 1 9 80; R. Briindle, Matth.
2J,J 1-46 im Werk des fohannes Chrysostomus (BGBE 2.2.), I 979; Id., Zur lnterpre
tation von Mt. 2J,J I-4 6 im Matthiiuskommentar des Origenes: ThZ 3 6 ( I 980) I 7-
2 5 ; W. Brandt, Die geringsten Briider. Aus dem Gespriich der Kirche mit Mt. 2J,J I-
46: JThSB 8 ( I 9 3 7 ) I-2.8; l. Broer, Das Gericht des Menschensohnes uber die Vol
ker: BiLe I I ( I 970) 2.73 - 2.9 5 ; S. Brown, Faith, the Poor and the Genti/es. A Tradi
tion-Historical Reflection on Mt. 25,J I-46: TJT 6 ( I 990) 1 7 I - I 8 I ; D. Catchpole,
The Poor on Earth and the Son of Man in Heaven. A Re-Appraisal of Mt. 2J,J I-
46: BJRL 6I ( I 978- I 979) 3 5 5-3 97; P. Christian, ]esus und seine geringsten BrUder
(EThS 12.), I 9 7 5 ; L. Cope, Matthew 2J,J I-46. « The Sheep and the Goats» Re
interpreted: NT I I ( I 969) 3 2.-44; J.M. Court, Right and Left. The lmplications for
Matthew 25,3 I-46: NTS 3 I ( I 9 8 5 ) 2.2.3-2.3 3 ; J.R. Donahue, The «Parable» of the
Sheep and the Goats. A Challenge to Christian Ethics: TS 47 ( I 98 6 ) 3 - 3 1 ; A. Feuil
let, Le caractère universel du jugement et la charité sans frontières en Mt. 2J,J I-
46: NRTh I I l. ( I o2.) ( I 98o) I 79 - I 96; L.J. Frahier, L 'interprétation du récit du ju
gement dernier (Mt. 2J,J I -46) dans l'oeuvre d'Augustin: REAug 3 3 ( I 9 87) 70-84;
Id., Le jugement dernier. lmplications éthiques pour le bonheur de l'homme, Paris
I992.; J. Friedrich, Gott im Bruder (CThM A.7), I 977; W. Gahler, Wer sind die ge
ringsten Bruder? Ein Gang durch die Auslegungsgeschichte von Mt. 25,3 I-46: Die
Christenlehre 2.3 ( I 970) 3 - I 6; D. Gewalt, Matthiius 2J,J I-46 im Erwartungshori
zont heutiger Exegese: LingBibl 2.5-2.6 ( I 973 ) 9 - 2. 1 ; S. W. Gray, The Least of My
Brothers. Matthew 2J,J I -46. A History of lnterpretation (SBL.DS I J 4 ) , I 9 89; G.
Haufe, «Soviel ihr getan habt einem dieser meiner geringsten Briider . . . », in Ruf und
Antwort (Fs E. Fuchs), Leipzig I 9 64, 4 84-49 3 ; J.C. Ingelaere, La «parabole» du
jugement dernier (Mt. 2J,J I-46): RHPhR 50 ( I 970) 2. 3 - 60; B. Klappert, . . . zu rich
ten die Lebenden und die Toten: RKZ I 3 5 ( I 994) nr. I, Theologische Beilage, I - 8 ;
W. Kornfeld, Die Liebeswerke Mt. 2J,J 5f.42{ in alttestamentlicher Oberlieferung,
in H.C. Schmidt-Lauber (ed. ), Theologia scientia eminens practica ( Fs F. Zerbst),
Wien et al. I 979, 2.5 5 - 2. 6 5 ; S. Légasse , Jésus et l'enfant ( EB), I 969, B s - I oo; R. Mad
dox, Who are the «Sheep» and the « Goats » ? : ABR I 3 ( I 9 6 5 ) I 9-2.8; A.J. Matill,
Mt. 2J,J I-46 Relocated: RestQ I7 ( I 974) 107- I I4; J.R. Michaels, Apostolic
Hardships and Righteous Genti/es: JBL 3 4 ( I 965 ) 2.7- 3 7; X. Pikaza, Hermanos de
]esus y servidores de los tntis pequeftos (Mt. 2J,J I-46). ]uicio de Dios y comprami
so historico en Mateo (BEB 46), Salamanca I 9 84; M. Puzicha, Christus Peregrinus.
Die Fremdenaufnahme (Mt. 2J,JJ) als Werk der private Wohltiitigkeit im Urteil
der alten Kirche ( MBTh 4 7 ) , I 9 Bo; C. Riniker, Die Gerichtsverkundigung J esu, diss.,
Bern I99 I , 505- 5 2. 5 ; J.A.T. Robinson, The «Parable» of the Sheep and the Goats:
NTS 2. ( I 9 5 5 - I 9 5 6 ) 2.2. 5 - 2. 3 7; Stanton, Gospel, 2.07-2.3 1 ; J. Theisohn, Der auser
wiihlte Richter (StUNT 12.), I 9 7 5 , I49- I 8 2.; D.O. Via, Ethical Responsibility and
Human Wholeness in Mt. 25,3 I-46: HThR So ( I 98 7 ) 79- I oo; F. Watson, Liberat-
ing the Reader. A Theological-Exegetical Study of the Parable of the Sheep and the
Goats (Mt. 2J,J I-46), in Id. (ed. ), The Open Text, London 1 99 3 , 5 7-84; K. Wengst,
Wie aus Bocken Ziegen wurden (Mt. 2J,J 2{): EvTh 54 ( 1 994) 4 9 1 - 5 0 1 ; W.J.C. We
ren, De broeders van de Mensenzoon. Mt. 2J,J I-46 als toegang tot de eschatologie
van Matteils, Amsterdam 1 979; A. Wikenhauser, Die Liebeswerke in dem Gerichts
gemiilde Mt. 25,3 1 -46: BZ 20 ( 19 3 2 ) 3 66-3 77; U. Wi lc kens , Gottes geringste Brii
der - zu Mt. 2J,J I-46, in E.E. Ellis - E . Gr a ss er ( ed d.) , Jesus und Paulus (Fs W.G.
Kiimmel), Gottingen 1 9 7 5 , 3 63 - 3 8 3 ; J. Winandy, La scène du jugement dernier
(Mt. 2J,J I-4 6): ScEc 1 8 ( 1 9 66) 1 69-1 8 6; Zumstein, Condition, 3 27-3 50.
Altra bibliografia (b) nella sezione su Mt. 24.3-25,46 (sopra, p. 499).
31 Ma quando il figlio dell'uomo viene nella sua gloria e tutti gli angeli con
lui, allora .si siederà sul trono della sua gloria. 3 2 E tutti i popoli si riuni
ranno al suo cospetto ed egli li separerà l'uno dall'altro, come il pastore se
para le pecore dai capretti 33 ed egli metterà le pecore alla sua destra, ma i
capretti alla sua sinistra.
34 Allora il re dirà a quelli alla sua destra: 'Venite, voi, i benedetti del Pa
dre mio! 1 Prendete in consegna come eredità il regno che è pronto per voi
dall'inizio del mondo! 3 5 Poiché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare;
ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero uno sconosciuto e mi avete accolto
ospitalmente; 3 6 ero nudo e mi avete vestito; ero malato e vi siete presi cura
di me; ero in prigione e siete venuti da me'. 37 Allora i giusti gli risponderan
no e diranno: 'Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo nutri
to o assetato e ti abbiamo dato da bere? 3 8 Quando ti abbiamo visto senza
conoscerti e ti abbiamo accolto con ospitalità o nudo e ti abbiamo rivestito?
39 Quando ti abbiamo visto malato o in prigione e siamo venuti da te?'. 40 E
il re dirà loro in risposta: 'Amen, vi dico: ogni volta che (lo) avete fatto a uno
di questi miei fratelli del tutto insignificanti, 1 (lo) avete fatto a me'.
41 Allora dirà anche a quelli a sinistra: 'Andate via da me, voi, i maledetti,
nel fuoco eterno che è pronto per il diavolo e i suoi angeli! 42 Poiché ho avu
to fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato
da bere; 43 ero uno sconosciuto e non mi avete accolto ospitalmente; nudo,
e non mi avete rivestito; malato e in prigione e non avete avuto cura di
me!'. 44 Allora anch'essi risponderanno e diranno: 'Signore, quando ti ab
biamo visto affamato o assetato o sconosciuto o nudo o malato o in pri
gione e non ti abbiamo servito?'. 45 Allora lui risponderà loro e dirà: 'Amen,
vi dico: ogni volta che non (lo) avete fatto a uno di questi del tutto insigni
ficanti, non (lo) avete fatto neanche a me'.
46 E questi andranno via alla punizione eterna, ma i giusti alla vita eterna.
1 . Struttura. Il nostro testo è l'ultimo prima che cominci la storia della pas
2. Fonte. Vi è chi pensa che tutto il testo sia opera di Matteo.8 Perlopiù
1 Attestazioni in Bill., IV, 1 2.00. 1 2.02. 1 204. 1 206. 1 209 s.
2.Si tratta di tre coppie con gli elementi di ogni coppia associati contenutisticamente:
1tELvciw e ÒL.Jxiw, �ÉvO<; e yup.v6<;, àa..9tvttv ed èv (jiUÀa.xii tlva.L. La stretta unione degli ele
menti di ogni coppia viene evidenziata nei vv. 3 7-39 dal triplice m)'tE.
3 Questo il titolo della pericope in Aland, Synopse.
4 Tutt'al più è una «parabola» nel senso dei «discorsi metaforici» di Enoc etiopico.
5 Berger, Formgeschichte, 303 s. 6 Così Via", So-82. 7 Brandenburger", 1 10.
8 Cope", 42-44; Haufe", 486 ( •in larga misura» redazionale); Weren", 29-73. 240 s.; Kret-
si suppone che Matteo abbia ripreso il testo dal materiale della sua tradizio
ne particolare, rielaborandolo più o meno profondamente. A favore di que
sta ipotesi depone la non uniforme distribuzione dei matteismi:
I vv. 3 I e 3 2a contengono moltissimi matteismi I oltre a riecheggiamen
ri del linguaggio biblico ... Inoltre, questa introduzione non si riallaccia sol
tanto a 24,30 s.,3 ma ricorda anche una serie di passi precedenti del vange
lo: 1 3 ,40-43 ·49 s.,4 1 6,27 e, soprattutto, 1 9,28 .S La spiegazione sicuramen
te più facile dell'affinità tra 19,28 e 25,3 1 è che Matteo riprende qui il pro
prio precedente logion di 1 9,28, che già a suo tempo aveva rielaborato a fon
do redazionalmente. Il passaggio da «figlio dell'uomo» (v. 3 1 ) a «re» (v.
34) è certamente brusco, ma non può essere considerato un indizio sicuro
del fatto che Matteo avrebbe parlato del «figlio dell'uomo» e la tradizione,
invece, solo del «re». Il titolo di «re» attribuito al figlio dell'uomo e giudi
ce universale è certamente una novità 6 nella tradizione del figlio dell'uomo
sia giudaica sia cristiana, ma l'epiteto di « re» non giunge del tutto inatte
so, perché già al v. 3 1 Matteo parla di «trono» .? Neanche il passaggio dal
collettiVO 1tcXV'tl% 'ti% eoz9Vlj (v. 3 2a) ad IZÙ't'oU-; O a espressioni che Si riferiscono a
singole persone (ot éx òe�twv ecc. ) è un argomento valido per una distinzio
ne tra redazione e tradizione: ••tutti i popoli» segnala l'orizzonte universale
del giudizio che viene ora descritto; ma naturalmente vengono giudicate sin
gole persone. 8 Non si può più dire come recitasse l'introduzione premattea
na del testo: non si sa, quindi, né chi fossero i convenuti originari né se in
origine il testo parlasse del «figlio dell'uomo » .9
1tana -t!Ì E�VlJ cf. 24,!P4; 28,19. Per titpopi�w cf. 1 3 ,49. Talora Matteo compone logia
redazionali del figlio dell'uomo che verrà, cf. vol. n, pp. 6 1 8 s.
:1. Le affinità più importanti sono quelle dei vv. 3 1 . 34·4 1 .46 con la conclusione del Deu
teronomio: cf. Deut. 30, 1 6 (tÙÀoyÉw, XÀlJpo�!J.É:ro); 30,19 (�wlj, eÙÀoyla, xa-tapa) e 33,1
s. (tÙÀoyÉw, IXyytÀot IJ.n' aÙ'tou). Matteo ha forse rafforzato tali reminiscenze. Cf. inoltre
anche Gl. 4,2.I I (auvayw, 7tliv-ta -tà É�V1J). Non ci sono, invece, contatti letterali con
Zacc. 14,5 LXX. Non c'è neanche alcuna dipendenza letteraria di 25,3 1 s. dalle parabo
le di Enoc etiopico: qui le coincidenze si limitano all'espressione biblica comune •sedere
sul trono della gloria» (contro Theisohn", 1 5 2- 1 8 2.; cf. anche sopra, p. 1 7 1 n. 5).
3 Terminologia comune: o u!Òç -tou ti.,?pC:mou, Epl&:a�t, Bo�, IXyytÀot.
4 Terminologia comune: o u!Òç 'tOU tiv�pW7tOU, xo�oç, (»atÀeia/(hatÀ!Uç, Bta�Àoc;, IXyyt
Àot, 1tiip, Blxatoç, 7ta'tljp.
5 o-tav xa�lCTTJ o u!Òç -tou tiv�pC:mou è11Ì �povou Bo�lJc; czÙ'tou. 6 Cf. sotto, p. 6 3 7 n. 4·
7 Anche l'immagine del pastore si adatta a un re; cf. Pikaza", 1 68.
8 Neanche 2.4,9.14; 2.8, 19 escludono un annuncio missionario a singoli individui.
9 Per ragioni di storia della tradizione, mi sembra che qui l'espressione o u!òc; -tou ti�pW-
7tOu sia comunque relativamente recente. In testi sinottici essa compare altrimenti solo in
IL GIUDIZIO UNIVERSALE
Nei vv. 3 2b-46 i matteismi sono più radi. I Nella struttura sintattica si
scorge la mano di Matteo, mentre la terminologia è in larga misura tradizio
nale. Ciò è vero, in particolare, per gli hapax XIX't!Xpao(J-IXt (v. 41), ÈmaxÉ7t'to
(J-IXt (vv. 36 e 43), XOÀIXatc; (v. 4 6). Il verbo auvayw «accogliere ospitalmente»
è usato in un'accezione assolutamente non matteana (vv. 35 ·38.43). Unica
è anche l'idea degli angeli del diavolo (v. 41). Non rientrano nel lessico
chiaramente preferito di Matteo neanche (3ctatÀe:Uc;, .. àòe:À<pot 3 ed ÈÀaxta'toc;.4
L'ipotesi più probabile è che Matteo abbia utilizzato una tradizione orale
relativa al giudizio universale, i cui elementi fondamentali sono stati ben
conservati nel testo di 2 5 , 32 b-4 6 . Forse l'evangelista la ha conformata alla
conclusione del Deuteronomio.S
3. Storia della tradizione. Nel caso del nostro testo le considerazioni sug
gerite dall'analisi della storia della tradizione e anche quelle conseguenti, re
lative al problema dell'autenticità, sono particolarmente difficili e le conclu
sioni che se ne possono trarre rimangono del tutto ipotetiche. Gli interroga
tivi importanti sono due:
a) La pericope che Matteo ha ricevuto dalla tradizione è unitaria oppure
si è trattato di due pericopi tradizionali in origine distinte? Robinson4 e al
tri hanno sostenuto la tesi che la parabola del pastore (vv. 3 2b s.) e il dia
logo del giudizio ( vv. 35 -4 5 ) costituissero, senza le introduzioni narrative,
pericopi tradizionali indipendenti. 6 Matteo ha però ricevuto già come uni-
logia originariamente isolati e in logia di commento, ma non, come ad esempio nelle pa
rabole di Enoc etiopico, quale enunciato in composizioni di una certa lunghezza. Le ec
cezioni sono rappresentate da passi secondari, spesso redazionali (Mc. 9,9. 1 2. parr.; 13,
26 parr.; Mt. 1 3,37; 1 6, 1 3 ; Le. 21,36; 22,48; 2.4,7).
I Cf. vol. I, introduzione, 4.2., s.vv. : v. 34: -.é·n:, épw, 8Eirrt, 7tGt't�p 11-ou; v. 3 5 : ycip; v. 37 :
'tO'tE, tX7tOXptVOiJ-Gtl, ÒtXIXIOc;, ÀÉywv, XUpiE, �; VV. 3 8 S.: 8É, �; V. 40: tX7t0XptVOiJ-Gtl, épw, tXiJ-�V
ÀÉyw tJv,iv, Elc; -.o&!wv; v. 4 1 : -.6-.E, épw, 7tUp Gt!wvtav, 8tal3oÀoc;; v. 42.: yap; v. 44: -.on, ti7to
xplvoiJ-IXt, ÀÉywv, xuptt, �' 8t1XXOVÉW (qui cf. 2.0,26.28; 2.3,I I ); V. 4 5 : 'tO'tE, tX7tOxptvop.1Xt, ÀÉ
ywv, IÌiJ-�V ÀÉyw tJv.iv, Elc; -.o&rwv, où8É; v. 46: à:ltÉp'X,OiJ-IXt, ÒÉ, ÒtxiXtot. Naturalmente i voca
boli elencati indicano, come illustra la tabella del vol. I, introduzione, 4.2, interventi re
dazionali in misura molto differente.
2. Talora al v. 34a si assegna alla redazione matteana il termine �atÀEUc; (così, ad es., Rob
inson0, 230). Ma in Matteo il titolo cristologico �atÀEUc; non ha alcun ruolo rilevante,
ma compare soltanto in 2.,2.; 2.1,5; 2.7, u-42 in contesti molto diversi e mai escatologici.
La predilezione matteana per le parabole con la figura del �atÀEUc; ( 1 8,2.3; 2.2.,2..7. 1 1 .
I 3 ) è, nel nostro caso, un argomento che depone contro la tesi della redazione, perché
nelle parabole il titolo è sempre riferito a Dio e non a Cristo. D'altra parte Matteo co
nosce la �atÀEtiX del figlio dell'uomo ( 1 3,4 1 ; 1 6,28; 2.0,21 ), ma altrove non chiama mai
il figlio dell'uomo «re•.
3 Da solo il termine ti8EÀq>ol dice poco; cf. vol. I , p. 76, s.v. L'idea dei «fratelli di Gesù»
compare sia nella tradizione (Mc. 3 ,3 5 ) sia nella redazione (Mt. 2.8,xo).
4 Il termine compare soltanto in 2.,6; 5,19 in contesti diversi. 5 Cf. sopra, p. 63 5 n. 2.
6 Robinson°, spec. 2.3 2.-237; anche Légasse0, 86-93; Christian°, 7 s. Robinson°, 2.33, for-
tà i vv. 3 2b-46 poiché resta improbabile un'origine matteana sia del v. 34,
che unisce le due parti, sia del v. 46, che conclude la pericope.1 L'argomen
to principale contro la tesi di Robinson è, però, che una rinuncia alle intro
duzioni renderebbe i dialoghi incomprensibili: non si saprebbe più chi so
no quelli che parlano. È, però, sempre possibile che nella tradizione premat
teana la similitudine del pastore fosse un ampliamento secondario della de
scrizione del giudizio.
b) Il secondo e più difficile interrogativo riguarda l'epiteto di «re» : nella
pericope tradizionale originaria si riferiva a Gesù o a Dio? Nella storia
originaria chi viene identificato con i <<fratelli del tutto insignificanti » : Dio 1
o Gesù? Solo un esame attento del contenuto può permettere di arrivare a
una decisione. La continuità dello sviluppo della tradizione in tale direzio
ne depone a favore dell'ipotesi che si tratti di Gesù. Soprattutto nel v. 34,
dove il <<re» parla di Dio chiamandolo «Padre», si dovrebbe arrivare, in ca
so contrario, a supporre cambiamenti considerevoli nella formulazione del
testo originario} Inoltre esistono paralleli cristiani di un'identificazione di
Gesù con persone (Mc. 9,37; Q 10, 1 6; Mt. 1 0,42 / Mc. 9,4 1 ). A favore del
la tesi che il referente sia Dio depone la tradizione del giudaismo, nella qua
le <<re» è un epiteto diffuso di Dio, mentre resta difficile un'applicazione del
predicato «re>> al giudice universale Cristo.4 Nei testi giudaici il giudice
universale è, quasi sempre, Dio stesso. A favore del riferimento a Dio si de
ve tener conto, poi, dell'esistenza di paralleli biblici e giudaici rilevanti che
nisce una propria introduzione alla parabola del pastore: •Il regno dei cieli è simile a un
gregge che un pastore raduna . . . .. . Sarebbe così sostanzialmente affine a Mt. 13,4 7 s. Il
dialogo del giudizio sarebbe un parallelo più diffuso di Le. 1 2,8 s.
1 Cf. sopra, p. 636 n. 1. Resta più difficile decidere in merito alle introduzioni narrative:
1 Prov. 14,3 1 ( «chi opprime il povero offende chi l'ha creato, ma chi ha pietà del biso
gnoso, lo onora ,. ); 19, 1 7 ( «chi ha pietà del povero presta al Signore, che gli contrac
cambierà l'opera buona" ); Hen. slav. 44,2. s_ ( «Chi offende il volto di un uomo offende il
volto di un re ...» ) Molto affine è anche il passo di Midr. Tann. a Deut. 1 5 ,9 citato da
.
jeremias, Gleicbnisse, 2.05 ( «se avete dato da mangiare ai poveri, ne terrò conto come se
aveste dato da mangiare a me » ). Un po' diversi sono i paralleli giudaici che vedono in
Dio un modello di carità ed esortano a seguirlo compiendo, come lui, opere d'amore: ad
es. Sof. 14a (Bill., I, 5 6 1 ) (Dio ha vestito ignudi [Gen_ 3,2.1 !], visitato malati [Gen. 1 8,1],
consolato chi è in lutto e seppellito i morti [Deut. 34,6)). Per l'importanza delle opere
d'amore nel giudizio v. sotto, p. 657 n. 3·
1 j. Jeremias, 1tOI(J.�" x-rÀ., in ThWNT VI , 486,1-2.2.; 488,9- 1 3 ; 489,1 5-18; 490,2.8-49 1,
2.1. 3 Così Bultmann, Tradition, 1 3 1 .
4 Così Brandenburger", 76-86, che vorrebbe collocarne l'origine i n una comunità giu
daica ellenistica perché l'identificazione di Gesù con i più insignificanti avrebbe i paral
leli più prossimi in Rom. 8,2.9 ed Ebr. 2., n-x 8. Ma in Mt. 2.5,3 1-46 non riesco proprio
a trovare una cristologia né della preesistenza né dell'incarnazione.
5 Così, ad es., Jeremias, Gleichnisse, 2.06; Manson, Sayings, 2.49; Broer4, 2.88; Agbanou h,
193 s.; Friedrich4, 2.83-2.97; Wilckens4, 3 79-3 82..
6 Favorevoli a una provenienza giudeocristiana palestinese sono, ad es., Hahn, Hoheits
titel, 187; Légasse4, 93; Zumstein, Condition, 3 3 3 ·
7 Sono probabilmente semitizzanti le reggenti coordinate con senso condizionale ai vv.
3 5 -39 e 42.-44 (Beyer, Syntax, 2.79: «quando avevo fame, mi avete nutrito» ); auvciyw
«accogliere ospitalmente» (ebraico: kns, 'sp). Non è, invece, necessariamente un semiti
smo El� nel senso di -rt� (esempi in greco in Bauer, Wb6, s.v. tl�, 3 ) . Non è, poi, assolu
tamente un semitismo -rou-rwv ai vv. 40 e 4 5 , solo apparentemente ridondante (Dalman,
Grammatik, I I 3 [S 17 nr. 9)): il giudice universale potrebbe benissimo indicare con un
cenno i fratelli che gli sono accanto.
8 Cf. sopra, pp. 63 5 n. 2.; 638 n. 1; per le opere d'amore cf. sotto, pp. 656 nn. 1 s.; 657
nn. 1-3.
curo: in origine, Gesù ha parlato del Dio «re» come giudice del mondo? In
terpretato così, il testo si adatterebbe ottimamente ai paralleli giudaici. 1
Ma altrove, nelle parole di Gesù, Dio «è sempre il Padre, mai il fratello
degli uomini » : 2. il criterio della coerenza milita quindi contro tale ipotesi.
Anche un logion introdotto da amen suonerebbe strano detto da Dio. Op
pure qui Gesù ha parlato di sé come figlio dell'uomo e giudice universale a
venire? 3 Ma allora dovrebbero risalire a lui anche i passi paralleli di Q 10,
16; Mc. 9,37; Mt. 10,42, ciò che a me sembra difficile. In questa interpre
tazione continuerebbe a essere difficile anche l'epiteto «re » : Gesù ha riferi
to a se stesso un predicato del messia davidico o, addirittura, un predicato
divino? 4 Questo ampio testo relativo al figlio dell'uomo mal si adatta, an
che formalmente, agli altri logia di Gesù riguardanti il figlio dell'uomo, che
sono tutti molto brevi. È allora più consigliabile far risalire questo testo, de
cisamente particolare, a qualche discepolo giudeocristiano di Gesù altri
menti a noi sconosciuto? Forse è proprio questa l'ipotesi migliore. I molti
commentatori che attribuiscono il testo a Gesù, spesso senza vedere in ciò
alcun problema, dovrebbero, se non altro, rispondere alla domanda se essi
non abbiano preso tale decisione anche perché per noi, figli del xx secolo,
questo testo è diventato tanto importante, che lo neghiamo a Gesù solo oh
torto collo.s
327·341.
3 Lact. Epit. 65 (CSEL 19, 746); Tommaso, Summa 2/11 qu. 3 2 an. 2; nei commenti ad es.
in Dionigi il Cenosino, 277; Tommaso, Lectura, nr. 2098. Le opere della misericordia
sono sovente raffigurate pure iconograficamente e, a panire dal xn secolo, scenicamente
anche nelle rappresentazioni pittoriche del giudizio universale (LCI I, 24 5-25 1 ).
4 Brandt", 7, con documentazione epigrafica tratta da lapidi di fondazione degli hospitia.
5 W. Liese, Geschichte der Caritas I, Freiburg 1922, 3 3 ·
6 Katechismus, nrr. 1 503. 1 9 3 2. 2447. Nella Gaudium et Spes 27,2 (LThK• XIV, 366) Mt.
25,40 è il fondamento dell'amore universale del prossimo.
c) Mt. 25,3 1 -46 sembra esprimere, in maniera esemplare, l'idea che il be
ne, soprattutto l'amore, può essere fatto solo di per se stesso. Nel nostro
testo le persone non sanno, infatti, di aver dimostrato il loro amore a Cristo
(vv. 37-39). Ciò è particolarmente importante per l'interpretazione di Im
manuel Kant: il giudice universale «ha dichiarato veri eletti nel suo regno
proprio quelli che hanno prestato aiuto ai bisognosi senza pensare minima
mente che ciò che facevano meritasse una ricompensa » . Se la ricompensa di
venta la molla che spinge ad agire, l'azione umana non è più morale e non è
più conforme alla religione vera, naturale. 1 Il pensiero di Kant ha condizio
nato l'interpretazione liberale del XIX secolo. 2 Ma l'idea in sé è più vecchia
di Kant; già Pascal aveva scritto: «Gli eletti ignoreranno le proprie virtù, i
reprobi la grandezza delle loro colpe>> .3
d) Mt. 25,3 1-46 ha un ruolo importante nella teologia della liberazione.
G. Gutiérrez tratta del passo nel contesto della «conversione al prossimo>> :
non c'è via che porti a Dio che non passi per il «sacramento del prossimo» ,
«poiché l'amore per Dio non può far altro che esprimersi nell'amore per il
prossimo » .4 Credere significa, allora, schierarsi dalla parte dei poveri:
«Mettersi dalla parte dei poveri significa: vedere l'immagine di Cristo nei
torturati e negli abitanti dei quartieri degradati, negli umiliati e negli offesi,
negli afflitti e nei disperati: è la via che hanno percorso Martin Luther King
e Camillo Torres>> .S Inoltre per i teologi della liberazione Mt. 25,3 1 -46 non
è innanzitutto un testo fondamentale per l'etica, bensì per l'ecclesiologia e
la cristologia. J. Moltmann formula così la valenza ecclesiologica del no
stro testo: «l più insignificanti dicono dove sta la chiesa >>.6 La dimensione
cristologica del testo viene espressa efficacemente in un'opera teatrale del
poeta coreano Kim, Chi-Ha intitolata Il Cristo dalla corona d'oro. Davan
ti a una chiesa coreana c'è una statua in cemento di Cristo con una corona
d'oro puro. Ai suoi piedi siedono alcuni mendicanti. Un prete grasso e un
uomo d'affari passano vicini, indifferenti. Un poliziotto cerca addirittura di
allontanare i mendicanti. Uno di loro comincia a imprecare contro la sta
tua di cemento: «Quale affinità ci può essere tra me e questo blocco di ce
mento? >> e vuole rubare la corona d'oro della statua di cemento. Allora la
1 I. Kant, Die Religion innerhalb der Grenzen der blossen Vemunft (in Werke vi, ed. E.
statua comincia a piangere e dice al mendicante: «Mi hai liberato dalla mia
prigione. Prendi la corona d'oro, a me ne basta una di spine. Prendi l'oro e
distribuiscilo» . La pièce finisce così: ritornano il prete, l'uomo d'affari e il
poliziotto, strappano al mendicante la corona d'oro e lo arrestano. Gesù tor
na a essere una pietra inespressiva. 1 Cristo diventa quindi uomo nei pove
ri, la sua incarnazione continua: è questo il cuore dell'approccio della teolo
gia della liberazione. 2
e) Mt. 25,3 1 -46 è importante anche nel dialogo tra ebrei e cristiani. D
punto esegetico di partenza è in questo caso la possibilità che - sul piano te
stuale che riguarda Gesù - l'espressione «i fratelli più insignificanti» potes
se riferirsi a tutti i poveri di Israele.3 I fratelli e le sorelle di Gesù sarebbero
allora gli ebrei. Allora Mt. 25,3 1 -46 diventa la dichiarazione di fallimento
del cristianesimo corresponsabile degli orrori di Auschwitz. «Un mondo che
si dichiarava cristiano guardò, senza muovere un dito, come il popolo del
patto venisse sistematicamente sterminato, non pensando a ciò che il Cristo
dirà: 'Ciò che avete fatto a uno dei più insignificanti tra questi miei fratelli
e sorelle, lo avete fatto a me' » .4 G. van Norden riferisce una storia significa
tiva e toccante pubblicata da un giornalista in Slesia. Dopo il cosiddetto «si
nodo bruno» del settembre 1 9 3 3 , in Slesia un pastore appartenente ai cristia
ni tedeschi, richiamandosi alle leggi ariane, intima per tre volte agli ebrei
della sua comunità di abbandonare la chiesa. A questo punto qualcosa si
muove, proprio sulla croce posta sopra l'altare: è il Crocifisso che scende
dalla croce e abbandona la chiesa - citando le parole di Mt. 25,4 5 . s
f) Mt. 2 5 , 3 1 ss. ha u n ruolo non irrilevante anche nei tentativi cristiani di
stabilire il rapporto del cristianesimo con le altre religioni. La convergenza
dell'elenco matteano delle opere d'amore (vv. 3 5 s.) con affermazioni pre
senti in altre religioni aveva sempre esercitato un grande fascino. Questo
catalogo di opere d'amore non è specificamente cristiano, ma s'incontra in
forma simile anche in testi di altre religioni. 6 A ciò si aggiunge che gli uo-
1 Secondo Ahn, Byung Mu, ]esus and People (Miniung), in R.S. Sugirtharajah (ed. ), Asian
Faces of ]esus, London 1993, 163-165. Tr. inglese della pièce: Kim, Chi-Ha, The Gold
Crowned ]esus and Other Writings, ed. Chong, S.K. - S. Killen, Ann Arbor 1978.
2 Non è una novità: cf. sotto, pp. 646 s.
Rahner, Grundkurs des Glaubens, Freiburg et al. 41976, 303 : Gesù si fa trovare nei fra
telli umani bisognosi «per così dire, sotto anonimato».
3 P. Tillich, Die Frage nach dem Unbedingten, in Id., Werke v , Stuttgart 1964, 66 s.
4 Takizawa, K., Buddhismus und Christentum, dattiloscritto, 1 950, 1 1 7 s.
s R. Bultmann, Der Gottesgedanke und der moderne Mensch, in Id., Glauben und Ver
stehen IV, Tiibingen 1965, 1 2.3-I2.7.
IL GIUDIZIO UNIVERSALE
sta idea nel dialogo con il marxismo: per lei l'incarnazione di Dio è «il pro
cesso progressivo dell'autorealizzazione divina nella storia » , che rende Dio
conoscibile ed empiricamente percepibile nei poveri;1 « Che nel mondo Dio
sia stato e ancora sia oltraggiato e torturato, bruciato e gassato, è la roccia
della fede cristiana, la cui speranza è che Dio raggiunga la propria identità •• . 1
In maniera diversa, e pur sempre simile, anche per Kitamori, il teologo giap
ponese del «dolore di Dio», Mt. 25,3 1 -46 è un testo chiave: «Dio si nascon
de dietro alla realtà del mondo»; egli vuole «essere amato nel nostro ama
re la realtà del mondo» . La realtà del mondo è « una realtà dolorosa: la fa
me, la sete, la condizione di straniero, la nudità, la malattia e la prigione» .
Dio patisce il dolore del mondo e questo dolore, essendo il dolore di Dio, di
venta il luogo dell'esperienza della trascendenza e della grazia.3
Questa interpretazione di Mt. 25,3 1 -46 è oggi la più diffusa 4 ed è diven
tata quasi patrimonio comune. Essa è imperniata sull'identificazione dei
«fratelli più insignificanti » con tutti gli uomini che si trovano in si
tuazioni difficili. Taie interpretazione non è antica e non è diventata im
portante prima degli inizi del XIX secolo. S Nella chiesa antica, nel me
dioevo e nell'età della Riforma tale interpretazione ha avuto, checché
se ne dica, 6 ben pochi sostenitori.7 Nell'albero della storia dell'interpre-
r D. Solle, Das Fenster der Verwundbarkeit, Stuttgart 1987, so.
:z.D. Solle, Stellvertretung, Stuttgart 1965, :z.o4.
3 Kitamori, K., Theologie des Schmerzes Gottes (Th O u ), 1972., 98-103 (cit. a p. 98).
4 Graya, il diligente cronista della storia dell'interpretazione del nostro tempo, ha classifi
cato (pp. :z.:z.s -:z.:z.7) circa 5 50 esegesi del xx secolo. Di queste, 440 sostengono la tesi che
l'espressione -riÌ !-8v1J vada intesa in senso universale e almeno altre 3 60 ca. sono favore
voli a un'interpretazione universale dei « fratelli più insignificanti ».
5 Paulus, m , 4 8 8 , la sostiene come possibilità, come faranno poi, ad es., Fritzsche, 747;
de Wene, r s:z. (richiamandosi a Ebr. :z.,n ); Ewald, 3 4 1 . Essa ricorre frequentemente
nella seconda metà del XIX secolo.
6 Graya trana la storia dell'interpretazione quasi unicamente nell'ottica di questa proble
matica, anche se offre un quadro un po' diverso dal mio. A suo dire, soprattutto nel pe
riodo tra il 32.5 e il 750, l'interpretazione «universale» dei « fratelli più insignificanti»
sarebbe stata sostenuta da un numero relativamente alto di interpreti. Il modo in cui
Graya interpreta i testi è parzialmente fuorviante: r. non tiene nel debito conto la mo
dernità della sua problematica, che non poteva interessare affatto, nei suoi termini, gli
autori antichi; :z.. tiene troppo poco conto del fatto che, a partire dalla svolta costanti
niana, gli interpreti ecclesiastici hanno avuto sempre meno contatti diretti con i gentili;
perciò essi davano quasi per scontato che nel corpus Christianum parlare di uomini e par
lare di cristiani (e viceversa) fosse la medesima cosa; 3 · quando parla dell'approvazione
delle opere di misericordia anche verso i non cristiani, Graya non è abbastanza chiaro
nel precisare che questo non esclude affatto che l'espressione «i miei fratelli più insignifi
canti » potesse riferirsi ai cristiani.
7 Chiare testimonianze dell'interpretazione universale dei « fratelli più insignificanti» si
hanno, ad es., in Cesario di Arles, Sermo 199,3 (CChr.SL 104, 804 s.) e Sermo 2.9,3 s.
( IOJ, I2.7- r:z.9); in epoca medievale Teofilatto, 4 3 2. (come possibilità); Tostado, qu. 393
tazione di Mt. 25,3 1 -46 la suddetta interpretazione è un ramo giovane
e, a mio giudizio, tipicamente moderno.
2.. L'interpretazione classica. Al contrario, l'interpretazione ecclesia
stica dominante fin verso il 1 8oo vedeva nei «miei fratelli più insignifi
canti» i membri della comunità cristiana. Perlopiù si includevano in quel
l'espressione tutti i membri della comunità, ma sporadicamente si faceva
sentire qualche voce che ne limitava esplicitamente l'applicazione ai so
li battezzati. ' Rispetto a questa posizione di maggioranza, sono relativa
mente rare le interpretazioni che limitano ancor più il senso del termine
«fratelli » , per esempio ai soli apostoli o ai «cristiani perfetti ».1 Gli in
terpreti hanno inteso «tutti i popoli » in senso universale, anche se molte
volte il ruolo dei non cristiani nel giudizio è rimasto poco chiaro. Spesso
gli esegeti hannolimitato anche la frase 1tav-ta. -tà &.SvYj a «tutti i cristia
ni» .3 Questa impostazione permetteva di ottenere un senso chiaro: nel
(cf. Graya, 2 5 ); Chrys. In Mt. 79, 1 (PG 58, 7 1 8 ) (battesimo segno distintivo); Hier. In
Mt. 2.44 (non . . . genera/iter); Agostino (spesso; passi in Graya, 69 s.); Ambr. Off. 2.,2.8
(BKV 1/3 2, 1 97) (i cristiani poveri sono il tesoro della chiesa); Basilio (passi in Graya, 42
s.). Per il medioevo ad es. Pascasio Radberto, 866 (non tutti i poveri, ma soltanto i pau
peres Christi); Cristiano di Stavelot, 1470; Tommaso, Lectura, ne. 2103 . Per l'età della
Riforma ad es. Calvino, n, 297; Musculus, 5 39; Wolzogen, 3 99; Grozio, n, 273; Lapi
de, 465 (l'espressione indica «proprie» gli apostoli e i «religiosi»; «consequenter» tutti i
cristiani battezzati; qui Cristo non parla affatto di elemosine per i non cristiani e gli ere
tici; comunque non è proibito darle). Sulla chiesa antica cf. inoltre Puzichaa, 17-22.
2. Così Orig. In Mt. ser. 73 (GCS I I, 174). L'interpretazione restrittiva corrisponde a
quella gnostica e manichea; cf. M. Hutter, Mt 2J,J L·46 in der Deutung Manis: NT 3 3
( 1 99 1 ) 276-282. Viceversa, i n Ps.-Ciem. Epist. ad Virg. 1 , 1 2 (ANFa 8 , 59 s . ) i carismati
ci itineranti vengono esortati a visitare i cristiani normali che soffrono. Ovviamente,
nelle regole monastiche il testo viene applicato soprattutto alla propria confraternita, ad
es. Bas. Reg. Brev. 284; Regula Benedicti 3 6, ma non in maniera esclusiva. Nella sua
applicazione omiletica Lutero, Evangelien-Auslegung n, 8 54 s., pensa particolarmente
ai pastori e ai maestri di scuola: non certo perché essi formassero una élite, ma perché a
quei tempi se la passavano proprio male.
3 Già per Origene questa alternativa era irresolubile; cf. Orig. In Mt. ser. 70 (GCS 1 1,
1 64). Si pronunciano per un giudizio sui cristiani, ad es., Lact. lnst. 7,20 (CSEL 19,
647-650); Cesario di Arles (cf. Graya, 103 s.); Beda In Mt. 109; Valdés, 447; Grozio, n,
271 . Perlopiù non si hanno qui alternative chiare, e spesso il giudizio sui cristiani non è
che la conseguenza di un'accentuazione del testo a fini omiletici o parenetici. Dove il te
sto viene inquadrato in una data visione del mondo, come nell'esegesi cattolica post
medievale, il giudizio è sempre universale e tocca, ad esempio, anche gli infantes (Mal
donado, soo s.; Lapide, 462).
IL GIUDIZIO UNIVERSALE
giudizio finale i cristiani saranno giudicati col criterio delle opere di mi
sericordia che essi hanno compiuto, o trascurato, nei riguardi dei loro
fratelli di fede poveri e bisognosi. Queste interpretazioni hanno perlopiù
un orientamento parenetico. Il testo vuole sollecitare le comunità a com
piere le opere di misericordia. In questo modello ermeneutico la circo
stanza che gli uomini non conoscessero Cristo non aveva uno spazio pre
ciso. Spesso vi si vedeva soltanto un'espressione dell'umiltà dei giusti o
della miopia degli ingiusti. •
Soprattutto le prediche di Giovanni Crisostomo offrono esempi magnifici di
interpretazioni parenetiche del nostro testo, che il grande predicatore cita
circa 1 70 volte.1 Nella Hom. 79 egli sottolinea che i comandamenti della mi
sericordia possono essere osservati facilmente e contengono una promessa
sublime, perché nella persona del mendicante è Dio stesso che riceve l'ele
mosina. Inoltre tutti i battezzati sono fratelli di Cristo, non solo i monaci e
gli eremiti sui monti) Giovanni raccomanda costantemente ai membri del
le sue comunità di Antiochia e Costantinopoli di pensare alla sorte dei po
veri, che in quelle città erano numerosissimi. 4 Spesso il cagnolino della ric
ca matrona se la passava molto meglio dei fratelli senza tetto.5 Non basta
che le comunità abbiano �e:voòoxe:i:a ( «foresterie» ); in realtà tutti i cristiani
che possiedono una casa dovrebbero riservare una stanza, un xe:ÀÀtov Xpt
a-rou, da mettere a disposizione dei senzatetto, dove Cristo possa essere pre
sente. 6 Giovanni Crisostomo è uno di quegli autori che richiedono esplici
tamente che l'ospitalità cristiana sia estesa anche ai giudei e ai gentili: anzi,
in casi dubbi, persino agli eretici. 7 Un altro documento notevole è l'Oratio
14 di Gregorio Nazianzeno sull'amore verso i poveri; l'orazione culmina con
Mt. 25,3 1 -46. 8 Nell'Occidente medievale, però, risultò molto più efficace
di tutte le prediche e le dotte interpretazioni la leggenda del catecumeno
Martino di Tours, tramandata da Sulpicio Severo: alle porte della città di
Amiens questo soldato diede a un povero la metà del suo mantello militare,
l'ultimo che gli era rimasto. La notte seguente gli apparve Cristo con indosso
I Cf. Opus Imperfectum 54 (PL s 6, 944 ): o humilitas! . . . Vir. . . bonus etiam debitam
sibi laudem fugit. Viceversa, la domanda dei condannati (v. 44) è un'espressione del lo·
ro perdurante peccato: essi non vogliono vedere ( 5 4 [946] ).
2. Cf. la panoramica in Brii.ndle, Matth ZJ,J L -46°, 1 6-42.
3 Chrys. Hom. 79, 1 (PG 58, 7 1 8).
4 Per la storia sociale cf. Brii.ndle, Matth ZJ,J I-46°, 75-1 2 1 .
5 Chrys. Hom. in Rom. 1 1 ,6 (PG 6o, 492).
6 Chrys. Hom. in Act. 45,4 (PG 6o, 3 19). Anche Musculus, 542, prende di mira l'abitu
dine invalsa nell'età moderna in Occidente di •scaricare» i fratelli di passaggio in fore
sterie, sottraendosi in questa maniera all'obbligo dell'ospitalità.
7 Brii.ndle, Matth ZJ,J I·46°, :z.48 s.
8 Greg. Naz. Orat. 14 (BKV 1/59, 273-308: 307 s. per il complesso relativo a Mt. 25).
la metà del suo mantello e gli spiegò, con le parole di Mt. 2.5,40, che egli stes
so lo aveva incontrato in quel povero. I
Meritano particolare menzione alcune importanti riflessioni specifiche
che sono state fatte nel quadro di questa interpretazione «classica» :
a ) Per quanto attiene alla cristologia il nostro testo è stato oggetto di appro
fondita riflessione alla luce della dottrina delle due nature: in quanto Dio,
Cristo è incapace di sofferenza (cbt<i.SY)c;), ma soffre nel proprio corpo, la
chiesa ... Egli è vero Dio e vero uomo, ricco quanto a ciò che egli è, ma povero
quanto a ciò che egli ha di umano.3 Se il Signore si identifica con i poveri,
la sua passione dura fino alla fine del mondo; 4 l'umanità di Cristo e la sua
passione non sono, dunque, un episodio transitorio. Anche Giovanni Criso
stomo, antiocheno, conosce l'idea di una passio continua: «Quella volta ho
patito per te un profondo dolore, per te lo soffro ancora oggi, per muoverti a
compassione . . . . In croce ho patito la sete per te, adesso la patisco nella per
sona dei poveri, per muoverti all'amore, per la tua stessa salvezza ».s
b) Di quali opere si parla ai vv. 3 5 s. ? Generalmente predominava l'in
terpretazione letterale; si era, quindi, consapevoli che si trattava di opere di
misericordia concrete per poveri in carne e ossa. Già Origene, però, aveva
interpretato le opere di misericordia in senso spirituale: il cibo era quello
per il nutrimento spirituale, le vesti erano la sapienza della quale ci si do
veva rivestire e la visita da rendere ai fratelli era il rimprovero o il conforto
spirituale. 6 Successivamente si arrivò spesso ad associare opere sociali e
opere spirituali: anche la preghiera o l'esposizione della retta dottrina posso
no essere opere di misericordia.7
c) Nell'epoca della Riforma la natura meritoria delle opere di misericor
dia divenne un punto controverso. Commentando il v. 34, Calvino mise in
evidenza che la salvezza dei benedetti era dovuta alla grazia gratuita di Dio
che egli aveva destinata ai salvati prima di qualsiasi opera umana. La ricom
pensa è una ricompensa gratuita data per grazia: il ytip (v. 3 5 ) non significhe
rebbe affatto che le opere siano il motivo reale della salvezza. 8 Seguendo
Calvino, le opere di misericordia furono considerate non causa della salvez
za, bensì «signa» dell'elezione.!' Gli esegeti cattolici disssentirono dall'ese-
I Sulpicio Severo, Vita MaTtini 3 (BKV 1/20, 2.2. s.).
2. Orig. In Mt. ser. 73 (GCS I I , 172 s.).
3 Leo Magn. Serm. 9 1 ,3 (BKV 1/ 5 5, 2.8 1 ) . 4 Leo Magn. Serm. 70,5 (BKV 1/ s s . 1 87).
5 Chrys. Hom. in Rom. 1 5 ,6 (PG 6o, 547 s.); cf. Brandle, Matth 2J,J I-46•, 5 6. 3 26 s. 344·
6 Orig. In Mt. ser. 7 2 (GCS I I , 1 68-172.). Una bella interpretazione spirituale si trova in
Macar. Hom. 30,9 (BKV 1/ 10, 260 s.): l'ospitalità si riferisce all'entrata di Cristo nelle
anime umane. Hier. In Is. 1 6 (CChr.SL 73A, 667) (a Is. 5 8,6 s.) pensa al calore della chie
sa, alla veste del battesimo e al cibo della dotttina ortodossa.
7 Così, ad es., Calvino, n, 295; Musculus, 5 3 6. 5 3 8 . Allora, anche i professori possono
essere salvati! 8 Calvino, n, 294 s., e Inst. 3 , 1 8,1-3.
9 Cocceio, 40; anche il cattolico Valdés, 449, è su questa linea.
IL GIUDIZIO UNIVERSALE
r Maldonado, 503; Lapide, 464; altri sostenitori di questa linea in Gray", 210-216.
2.Giansenio, 250.
3 Secondo Gray", 24 1 s., il primo sostenitore di questo tipo d'interpretazione è stato l'in
glese John Heylin nelle Theological Lectures at Westminster Abbey 1, 1 749.
4 Ad es., da Olshausen, 9 3 1 s.; O. Pfleiderer, Das Urchristentum 1, Berlin 1 1 902, 596;
Holtzmann, 288; B. Weiss, 440; Zahn, 673 s. (conforto per i discepoli); Klostermann,
207; altri esegeti di questa tendenza sono indicati in Keil, 497, e Gray", 25 1 s.
5 Ad es. Winandy", 178-1 86 ( 1 84: •la messa in scena drammatica di» Mt. 10,40-42);
Haufe"; Cope"; Ingelaere", 3 2-56; Lambrecht", 3 29-340; Broer", 292-295 (per Matteo);
Gewalt"; Friedrich", 259-270 (per Matteo); Stanton, Gospel, 207-23 1 ; Hare, 288-291;
Watson", 64-66.
6 Se l'espressione includa o meno anche i giudei è questione su cui i pareri si dividono.
7 Cope", 44: «L'etica è ecclesiastica e settaria; non rappresenta un progresso significati
vo del pensiero etico rispetto alla morale del giudaismo coevo• .
non è più nemmeno il punto culminante al quale tende tutta la sezione
parenetica di Mt. 24,32-25,30. In alternativa, i sostenitori di questa in
terpretazione sono costretti a ipotizzare un giudizio in due fasi: dopo il
giudizio riguardante la comunità, al quale si è già accennato in 24,4 5-
2 5 , 3 0, verrebbe ora aggiunto ancora un altro testo sul giudizio dei non
cristiani. 1
Nel XIX secolo, quando l'attività missionaria verso le popolazioni pagane
toccò l'apice e, al contempo, ci si rese conto di come il mondo non fosse to
talmente cristianizzabile, un'informazione sul destino dei non cristiani al
momento del giudizio universale era estremamente rilevante: i non cristiani
non sono semplicemente perduti, ma hanno un'opportunità, poiché Dio non
li giudicherà in base alla loro fede, bensì secondo le loro opere d'amore;
con un criterio, dunque, che vale in tutti gli ambiti culturali e, quindi, può
essere applicato anche per i pagani. 1 Nel XIX secolo quest'idea si dimostrò
efficace riuscendo a fornire un impulso positivo. Ai giorni nostri, quando
per la maggior parte degli uomini il giudizio universale è diventato un con
cetto piuttosto astruso e la salvezza dei non cristiani è ancor più ovvia, l'im
pulso suddetto ha perso gran parte della sua utilità. Ciononostante, proprio
a partire dal 1 9 60 circa, questa interpretazione divenne sempre più popo
lare. Il motivo di tanto favore non sta a mio parere nel fatto che questo ti
po d'interpretazione risponderebbe particolarmente ad alcuni bisogni del
nostro tempo, bensì, più semplicemente, nella solidità del suo fondamento
esegetico: essa ha dalla sua Mt. 10,1 1 - 1 5 ·40-4 2 e l'uso linguistico grecogiu
daico comune di É-8vlJ come goiim. Rispetto all'interpretazione universalisti
ca dominante nel nostro secolo, quest'altra interpretazione rappresenta una
svolta radicale: il testo di Mt. 25,3 1 -46, tanto familiare e «attuale» secon
do l'interpretazione universalistica, diventa improvvisamente alieno. Molti
esegeti hanno mosso pesanti critiche teologiche a questa interpretazione,3
anche se essa sembra loro esegeticamente inevitabile. Alla maggior parte de
gli esegeti risulta difficile applicare nel nostro tempo il testo così inteso in
maniera teologicamente ed esegeticamente sostenibile. Oggi questo tipo di
interpretazione sembra affermarsi sempre di più, anche se quasi nessuno lo
accetta con piacere.
1 Questo giudizio universale in due tempi corrisponde a quanto si legge in Test. Ben.
10,8 s. (prima viene giudicato Israele, poi le nazioni ). S. Grossmann, Das Ende der Welt,
Wuppertai-Kassel 1 99 1 , 101, nota puntualmente come, in tal caso, la pericope di 25,3 1-
46 diventerebbe una semplice appendice: egli definisce, infatti, il testo una sorta di «cen
tro di prima accoglienza » per non cristiani.
1 L'interpretazione di Jeremias, Gleichnisse, 205 . 207, corrisponde, in maniera classica,
a tale bisogno.
3 J. Weiss, 3 8 8, parla di «insopportabile presunzione cristiana » . Gnilka, n, 375, ritiene
che questo modo di vedere sia poco cristiano e poco matteano. Per Browna, 178, il testo
rafforza «la supponenza morale di una comunità chiusa e particolaristica ».
6 so IL GIUDIZIO UNIVERSALE
Oggi quindi sulla scena ci sono sostanzialmente soltanto due tipi d'in
terpretazione che si fronteggiano: l'universalistico e l'esclusivistico. Nel
dibattito teologico odierno l'interpretazione classica vive, praticamente,
nell'ombra: ma è proprio quella che desidero qui propugnare.
1 Mt. 10,23 ; 1 3 ,40-43 ·49 s.; 1 6,27 s.; 1 9,28; 24,30 s. Cf. Luck, 275: «In Matteo questo
anche loro. Matteo, però, non ha ancora descritto il giudizio che riguar
da la comunità. Tutta quanta la parenesi di 24,3 2-2 5,30 non servireb
be a niente se non terminasse con la rappresentazione di un giudizio nel
quale risultasse coinvolta la comunità. 1
b) Questa interpretazione è anche l'unica che renda giustizia alla con
cezione matteana del giudizio: in 1 6,27 l'evangelista aveva spiegato che
il figlio dell'uomo «renderà a ciascuno ( l ) secondo il suo comportamen
to »; in 1 3 ,3 8 .4 1 il regno del figlio dell'uomo era il campo del mondo: il
mondo era il campo dal quale gli angeli raccoglievano grano e zizzania,
cioè i giusti e gli ingiusti. Secondo 1 3 , 3 7-4 3 non esisteva alcuna distinzio
ne tra comunità e mondo rispetto al giudizio; la comunità stessa è un cor
pus permixtum; 2. un giudizio separato, nel quale il figlio dell'uomo giudi
ca solamente i non cristiani, sarebbe in totale contraddizione con la con
cezione matteana della chiesa.
c) Matteo aveva chiuso tre dei suoi grandi discorsi precedenti con te
sti che parlavano del giudizio universale che avrebbe riguardato anche la
comunità (7,21 -27; 1 3 , 3 7-43 ·47- 50; 18,23-3 5 ) . Dovrebbe ora proprio
la conclusione dell'ultimo discorso di Gesù e, quindi, la conclusione dei
suoi ammaestramenti ai discepoli, abbandonare lo schema costante con
un'appendice nella quale si parlerebbe di un tema che non riguarda di
rettamente la comunità, cioè il giudizio che riguarda gli «altri» , i non
cristiani ? Non è verisimile.
d) Entrambi i gruppi apparsi in giudizio si rivolgono al sommo giudice
chiamandolo xupte:, appellativo che appartiene chiaramente al vocabola
rio della comunità e richiama passi precedenti (7,21 s.; 2 5 , 1 1 . 20-24).3
Mediante tale appellativo i lettori vedranno confermata la loro identifi
cazione con i due gruppi alla destra e alla sinistra del figlio dell'uomo.
Se Israele sia incluso o meno nell'espressione «tutti i popoli» 4 è un interro
gativo al quale il testo non risponde. Tanto qui quanto in 24,9- 1 4 non c'è
alcun particolare interesse per Israele. Matteo aveva sì alluso al fatto che a
Israele fosse stata tolta quella sua elezione particolare e che con la distru-
r Se si limitasse il significato dell'espressione 1t�na -rò: MvlJ ai non cristiani, la pericope
di Mt. 2.5,3 1 -46 diventerebbe una sorta di appendice contenente informazioni sul pro
blema particolare del destino dei non cristiani al momento del giudizio universale. A.J.
Matill4, 107- 1 14, che intende il nostro testo proprio in questa maniera, lo può allora
magnanimamente trasferire dopo 10,14, alla fine del discorso ai discepoli.
2. Cf. vol. 11, pp. 430-4 3 3 . 3 Osservazione di M. Mayordomo-Marin.
4 Il più acceso sostenitore dell'esclusione di Israele è Walker, Heilsgeschichte, 108 s. A
detta sua da 2.1,3 3-2.2.,10 e 2.3,1 -2.4,2. risulta chiaro che Israele «è uscito dalla storia del
la vocazione di Dio», mentre il giudizio storico che lo ha colpito, la distruzione di Geru·
salemme, avrebbe per lui carattere escatologico. Vanno all'incirca nella medesima dire
zione i pareri di B. Weiss, 440, e Lange, Erscheinen, 2.98 s.
zione di Gerusalemme fosse ricaduta su «questa generazione>> la colpa di
aver perseguitato i profeti e gli inviati di Gesù ( 2 1 ,43; 23,3 4-24,2; cf. 24,
1 5-20), ma fin qui non aveva mai parlato di un giudizio definitivo del figlio
dell'uomo su Israele.
Bill., 1, 980 s.; Ingelaere", 4 1 ; Court", 225 s.; W. Grundmann, 8t�t6c;, in ThWNT n,
3 7,21 ss.; 3 8,14 ss. Il termine EòWv!J!Loc; ( «con un buon nome, onorato» ) è un eufemismo
per !Ìptanp6c;.
2 La similitudine del pastore potrebbe rammentare ai lettori i passi in cui ricorre il tema
del pastore (9,3 6; 14,14; r 8 , 1 2-14), sia pure con una diversa applicazione. A mio parere
nel vangelo di Matteo non esiste né una coerente «cristologia del pastore » matteana, co
me la espone F. Martin, The lmage of the Shepherd in the Gospel of St. Matthew: ScEs
27 ( 1 975) 261-301, né una «sttategia narrativa» basata sul motivo del pastore, come la
propone j.P. Heil, Ezechiel 34 and the Narrative Strategy of the Shepherd and Sheep
Metaphors in Matthew: CBQ 5 5 ( 199 3 ) 698-708.
3 In ambito tedesco, dove «separare le pecore dai montoni» è diventata un'espressione
proverbiale, si seguono generalmente Lutero e la Ziircher Bibel del I 5 3 1, traducendo con
Bocke ( «montoni» ) (cf. Vulgata: haedus, «montone, capro»). In inglese prevale la scelta
di goat («capra » ), mentre il francese opta per bouc («capro») e lo spagnolo per cabras
(«capre » ) e cabritos ( «capretti» ).
4 Lo pensa, ad es., Gnilka, n, 3 72. - Negli scritti di teologi antichi e recenti si leggono
molte amenità circa la natura del montone/capro. Questo animale sarebbe foetens, asper,
immundus, petulcus, fervens semper ad coitum, lascivus, per praecipitia incedens, rixo
sus (così, ad es., Hier. In Mt. 243 ; Lapide, 462); ha corna come il diavolo (cf. Friedrich",
1 Dalman, Arbeit VI, 2.76, riporta che ciò sarebbe accaduto in autunno, sulla pianura co
stiera. Wengstd, 493-497, mostra in toni avvincenti come questa notizia, che riferiva
un'usanza locale stagionale, si sia trasformata attorno al 1 900 in un'usanza generale dei
pastori della Palestina a mano a mano che la citazione passava incontrollata da studioso
a studioso.
:z. Bauer, Wb6, s.v., indica che Éptipa<;, il cui significato sarebbe a suo dire, ma erroneamen
te, «montone» o «becco>>, potrebbe significare anche, •quando associato a 7tp0!3a't"a, sem
plicemente capra ». I testimoni indicati a presunto sostegno di tale opinione sono stati
accuratamente controllati e dimostrati irrilevanti da Wengs�, 497 s.
3 Un elenco delle diverse denominazioni si trova in Eustazio, Comm. in Horn. Od. 1,33,
42. ss. (ed. G. Stallbaum, 1 8 2. 5 ) e in Poli. Onom. 1,250. Hesych., s.v. (Schmidt, 1 1 , 1 9 1 ),
definisce Éptipo<; un l''xp(x; a;l� nato a primavera (dello stesso anno). Ulteriori testimo
nianze in Wettstein, 1, 5 1 x . Nei LXX &ptipa<; rende generalmente g•di ( «capretto» ) e solo
una volta 'attUd ( " becco »). IO volte su 2 7 i LXX precisano ÉptipOI con alywv. Per ÉplipOI
«agnelli» non esiste neanche una testimonianza, anzi, l'associazione non rara di apVE<; ed
ÉptipOI che si riscontra nella Bibbia e in greco dimostra che gli ÉptipOI non possono essere
certamente agnelli. Quindi ò/ij tp!ipO<; non può neppure significare «giovane animale»,
come presume Wengstd, 498, bensì, più precisamente, «capretto» .
4 Gen. 2.7,9.I6; 37,3 1 ; Es. 1 2.,5; Lev. I, lo; Giud. 6, I9; 1 3 , 1 5 . I9; 2 Cron. 3 5 ,7 s . ; Tob.
2., 1 2. s.; Am . 6,4; Ger. 2.8,40 LXX; Ez. 43,22..25; 45,23; cf. Gen. 3 8 ,I 7.20. 2.3; I Sam.
1 6,2.0; I Esd. I,? LXX.
5 Lo ipotizza anche Wengs�, 499 s., il quale, nella storia più recente dell'interpretazione
dell'immagine e nella sua tendenza minimizzante, scorge i segni di una rimozione del
l'idea del giudizio.
65 5
ficato antico di 7tpO�cx-rcx come « bestiame min uto» ? 1 Nei LXX il termine
traduce quasi sempre �o 'n, che significa genericamente «bestiame minuto»,
dunque pecore o capre.:z. L'immagine della similitudine sarebbe allora rigo
rosa: il pastore separa i capretti destinati alla macellazione dal resto del
gregge, cioè dagli ovini e dagli altri caprini. Si deve dire, però, che questa
ipotesi non è dimostrabile.3
3 4 · La similitudine è finita, Gesù prosegue con il proprio discorso. Per
quel che riguarda il nome « re » , epiteto insolito per il figlio dell'uomo che
viene, non è chiaro se i lettori lo collegassero al «regno» del figlio dell'uo
mo, del quale si è parlato precedentemente nel vangelo ( 1 6,28; 20,21;
cf. 1 3 ,4 1 ),4 oppure se nelle loro associazioni lo colleghino piuttosto a
Dio « re » , che nella tradizione biblica siede sul «trono della gloria » , sul
quale qui è assiso Gesù. Comunque sia, in questo modo viene sottoli
neata la maestosità del giudice universale, preparando efficacemente, al
contempo, il contrasto con l'epifania del «re » nei «più insignificanti » . Il
giudice supremo chiama i benedetti di Dio, suo Padre, a entrare nel «re
gno » che era stato preparato per loro dal disegno eterno di Dio. Secondo
la concezione giudaica, il bene della salvezza, ad esempio, il giardino
dell'Eden, rientra nel novero delle realtà preesistenti.5 L'espressione «be
nedetti del Padre mio » implica il concetto di predestinazione che nel giu
daismo dell'epoca era dato per scontato, 6 senza venire però elaborato
sistematicamente. Il versetto parallelo (v. 4 1 ) fa capire chiaramente co
me Matteo mostri un certo riserbo nei confronti dell'idea di una doppia
predestinazione. Forse al v. 34 (e ai vv. 4 1 e 46) l'evangelista vuole ri
cordare la conclusione del Deuteronomio, dove Mosè pone davanti al
popolo benedizione e maledizione/
r Anche in greco il termine indica in ionico e nei dialetti orientali genericamente «bestia
me» e solo in attico specificamente «pecora » (LSJ, s.v., 1; H. Preisker - S. Schulz, ltpO�
"ov x"À., in ThWNf VI, 689,6- 1 3 ).
:z. Così oltre 200 volte. Al contrario, solo 9 volte rende kebesfkibsa ( «ariete/agnello » ).
3 Nel vangelo di Matteo si deve in ogni caso adottare sicuramente il significato di «peco
re» in 7, 1 5 ; 10,6; 1 5 ,24.
4 Il testo non vuole suggerire tale associazione; infatti, al v. 34 il termine �a1Àda. è usa
to diversamente da 1 3 ,4 1 ; 1 6,28; 20,21, vale a dire nel senso di salvezza, come �a1ì.ela.
"ou &ou in 2 1 ,43. Punge, Heilsgeschehen, 1 8 6-205, costruisce sulla base dei testi di Mat
teo nei quali Gesù è chiamato «re» un'ampia cristologia che includerebbe anche l'abbas
samento e la sovranità di Gesù. Un'interpretazione sicuramente fuori misura e forzata.
5 Cf. Bill., 1, 974 s. 983 (sono preesistenti il giardino dell'Eden e la Geenna).
6 Cf. Bill., m , 266-2 72.
7 Cf. sopra, p. 63 5 n. 2. L'allusione si adatta a 2, 1-23; 5,1 s.; 7,28 s. dove Gesù appare
quale nuovo Mosè (cf. vol. 1, pp. 1 8 3 . 204 s. 303. 6 u ). Quanto alla ripologia di Mosè
nel vangelo di Matteo è più che giusta l'osservazione di Allison, New Moses, 267: «Il te-
IL GIUDIZIO UNIVERSALE
ma del nuovo Mosè rimane un elemento fra i tanti, e non il più importante» . B. Charette,
The Theme of Recompense in Matthew's Gospel USNT.S 79), 1992, 1 5 8 e passim, scorge
un punto di contatto con Gen. 12., 3 (EÙÀoyÉOf1-11t, xi1'TI1p!i0f1-11t) e vorrebbe interpretare tut
ta la teologia matteana di ricompensa e punizione alla luce della promessa fatta ad
Abramo e della promessa biblica della terra. Ma i due verbi appaiono molto frequente
mente contrapposti; i punti di contatto sono troppo aspecifici per poter sostenere il peso
di una dimostrazione di questa tesi.
1 Is. 58,7 (affamati, senzatetto, nudi); Ez. 1 8,7. 1 6 (indebitati, affamati, nudi): Giob. 2.2.,
3 Soltanto i carcerati ricchi potevano farsi accudire privatamente. Per i reclusi poveri T.
Mommsen, Romisches Strafrecht (Systematisches Handbuch der Deutschen Rechtswis
senschaft 1/4), Leipzig 1 899, 304, parla di una «spaventosa miseria ». Soltanto a partire
da Costantino ci fu una diaria per il sostentamento dei prigionieri più poveri (indicazio
ne di H. Herzig). Luc. Peregr. Mort. 12. descrive in che modo si potesse vivere bene in pri
gione: Peregrino, un cristiano ( ! ), veniva visitato e viziato in prigione da tutti i membri
della comunità, da bambini e vedove, dagli anziani della chiesa, fino a non paterne più.
- Per le condizioni nelle prigioni antiche cf. anche B. Rapske, The Book of Acts and Pau/
in Roman Custody, Grand Rapids 1994, spec. 209-219. 370-3 92.
La teorizzazione rabbinica successiva classificò tutte queste opere buo
ne sotto il nome di opere d'amore (gemilut /:Jiisadim), per distinguerle dal
le elemosine (�edaqa) . Erano considerate «opere d'amore» quelle opere
che non richiedevano soltanto donazioni di denaro, bensì l'impegno di
tutta la persona. Opere d'amore ed elemosine rientravano insieme, per i
rabbi, tra le « opere buone» (ma'iisim tobim), che non possono essere de
finite dalla torà in maniera precisa, come avveniva, invece, per i coman
damenti. 1 Per i giudei le opere d'amore erano molto importanti; � lo di
vennero ancor più dopo la distruzione del tempio. Secondo i testi giu
daici, fare o trascurare le opere d'amore avrà un peso determinante nel
giudizio finale.3 Per i giudei il dialogo suona quindi familiare. Suona, in
vece, insolito che il celeste figlio dell'uomo re dica: «Avete dato da man
giare a me, ecc. » . La formulazione è studiatamente enigmatica e la con
trodomanda successiva è comprensibile. La prolissa ripetizione in for
ma interrogativa di tutte le opere d'amore (vv. 3 7- 3 9 ) ha un effetto ral
lentante e fa aumentare la tensione: il giudice universale re come risolve
rà l'enigma che ha posto ai salvati ?
I giudicati non sanno di avere, in realtà, reso le loro opere d'amore a Cristo
stesso. Nella storia dell'interpretazione questo motivo della inconsapevo
lezza si dimostrò rilevante: si tratta, forse, del bene che viene fatto di per sé,
come intendono Kant e la teologia liberale? Si deve dunque pensare che 7tav
'ttx -.à. HJvYl indichi i non cristiani, come sostengono l'interpretazione «esdu
I Bill., IV, 5 59 s.
� Secondo Abot 1,2 il mondo poggia su tre pilastri: la torà, il culto e le opere d'amore.
Per altre testimonianze rabbiniche cf. Bill., IV, 562-565, e Friedricha, 1 70 s.
3 Midr. Sal. 1 1 8 § 17 (Bill., IV, 1 2 1 2) (le opere d'amore sono la porta dell'eternità); Sanh.
I03b (Bill., IV, s 67) (l'ospitalità fa partecipare al mondo futuro); Ned. 40a (Bill., IV, 577)
(visitare i malati salva dalla Geenna). Un testo non giudaico che rientra in questa tema
tica si ha nel Libro dei morti egiziano, cap. 1 2 5 (AOT l a , 1 2): il defunto ha nutrito gli
affamati, dato acqua agli assetati e veste ai nudi.
4 Cf. ad es. Jeremias, Gleichnisse, 207; Haufea, 490; Friedricha, 276 (per la tradizione
postpasquale). 5 Di costoro, infatti, si tratta: cf. sotto, pp. 659-66 1 .
IL GIUDIZIO UNIVERSALE
ché non era proprio più possibile che dopo la sua morte lo incontrassero
personalmente.
Ma probabilmente non è assolutamente lecito trasferire il motivo dell'in
consapevolezza dal mondo del testo al mondo reale, bensì lo si deve inter
pretare come motivo letterario. I Questo espediente ha lo scopo di rendere
possibile l'affermazione cristologica saliente della narrazione del v. 40. Se
le persone nei gruppi a destra e a sinistra avessero saputo, già durante la
loro vita terrena, che il giudice universale del testo si identifica con i fratelli
più insignificanti, questi non avrebbe più dovuto dirlo ai giudicati - e, di con
seguenza, neanche agli ascoltatori e ai lettori. Il motivo dell'inconsapevo
lezza rende possibile, letterariamente, la formulazione del punto saliente
che risulta, così, estremamente efficace e memorabile perché gli ascoltatori
e lettori condividono la sorpresa dei giudicati. Oltre all'effetto sorpresa, il
motivo dell'inconsapevolezza illustra la concezione di ricompensa implicita
nel testo: i giusti non hanno •calcolato» una ricompensa né hanno voluto
meritarsela con il loro amore. Mi sembra, quindi, che il motivo non voglia
affatto indurre a cercare nel mondo fuori del testo persone che non sanno
niente di Cristo, come se il testo parlasse soltanto di loro. In Mt. 25,3 1-46
non si tratta, dunque, di una via particolare che porta a Dio senza sapere
niente di Cristo e senza una confessione di appartenenza a Cristo. 1
rappresenta per noi ( ! ), in modo chiaro, che quanto gli uomini si fanno l'un l'altro ri
guarda Cristo stesso.
2. C'è un'altra considerazione che rafforza questa lettura. Chi ha letto o ascoltato questa
storia sa, una volta per tutte, che il giudice universale è presente nei suoi fratelli più in
significanti. La storia fa piazza pulita dell'innocenza dei suoi ascoltatori e lettori (cf.
Viaa, 99). Essa mira, però, ad aprire i loro occhi sui fratelli più insignificanti e non a di
struggere, per così dire, con le proprie mani, la possibilità di salvezza che essa racconta.
In questo caso si dovrebbe proibire a tutti di leggere il nostro testo.
3 iMx,a-roç va probabilmente considerato un superlativo assoluto fossilizzato con signi
ficato dativo: «piccolo, del tutto insignificante• . Cf. BDR, S 6o,2.
4 Mc. 3,34 s.; Gv. 20,17; cf. anche Rom. 8,29 ed Ebr. 2,1 1-18.
so precisa di riferirsi ai discepoli ( 1 2,49 s. ) . Egli userà ancora una volta
l'espressione « miei fratelli» nella storia di pasqua, riferendosi ai disce
poli ( 28,Io). Ciò si adatta bene all'idea cristiana che un giorno i membri
della comunità giudicheranno il mondo a fianco del giudice universale
(cf. I Cor. 6,2; Mt. I9,28). I
Questi « fratelli del tutto insignificanti » 1 costituiscono forse un grup
po particolare all'interno della comunità cristiana ? Nel testo «piccolo,
insignificante » è in contrasto con il « grande» re celeste e giudice univer
sale; il superlativo sottolinea retoricamente il gigantesco abisso che sepa
ra i miseri sofferenti dal giudice universale e mette efficacemente in ri
salto il sorprendente miracolo della sua identificazione con loro.3 Non si
dovrebbe, pertanto, costruire il senso di èì..ti.xta-roc; partendo da fuori
del testo, per esempio, da (J.txpoi come una possibile designazione dei cri
stiani, comunque potesse essere intesa. 4 È possibile scoprire a chi i let
tori potrebbero aver soprattutto pensato soltanto esaminando a fondo
il contenuto dei vv. 3 5-39.
Da molti testi protocristiani prematteani risulta che in questo caso è ai ca
rismatici itineranti del primo cristianesimo, dunque ai missionari di Gesù,
che ci si riferisce in modo particolare. Dal discorso missionario di Q IO
sappiamo che gli inviati di Gesù erano poveri (Q I0,4). Quando erano in
viaggio, ed erano dunque �vot, essi dipendevano da altri per cibo e bevan
de (Q IO,? s.; cf. Mt. I0,42). Possedevano una sola veste (Mc. 6,9 ); se si
strappava, restavano yU(J.voLs Rischiavano la vita (Q I2,4-7) e dovevano
giustificarsi davanti alle autorità (Q 1 2,8 s. I I s.; cf. Mc. I 3 ,9 -I 3 ), che po
tevano metterli in carcere (cf. Q 1 2, I I s.). Anche i cataloghi paolini delle
peristasi missionarie parlano di fame, sete, prigioni, freddo e abbigliamen
to insufficiente ( I Cor. 4,n s.; 2 Cor. 6,4 s.; 1 1 ,23-27). Non mancano
I Cf. sopra, p. 1 70 n. S ·
2. Che i n questo testo non s i parli d i «sorelle»
è doloroso. Naturalmente l'evangelista, no
nostante una mentalità del tutto patriarcale, con • fratelli» intende donne e uomini cri
stiani; dato il suo ambiente culturale non gli è neanche venuto in mente che fosse necessa
rio specificarlo.
3 Ha una funzione retorica simile Num. r. 1 4,4 (Freedman-Simon n, 5 8 1 s.): se si ascolta
un'interpretazione della torà fatta dalla « persona più insignificante in Israele », essa de
v'essere presa in considerazione come se provenisse dal più sapiente in Israele, anzi, da
Dio stesso.
4 Al riguardo cf. sopra, a 1 8,6. I sostenitori di un'interpretazione di tipo «universalistico»
fanno notare, a mio parere a ragione, che (J-txpO.; non può essere semplicemente equipara
to a ÉÀcX'X,tCTto<; (così, ad es., Schweizer, 3 1 3 ) . Matteo avrebbe potuto dire benissimo 't'wv
li&cì-.cp<ii v fJ-OU 't'wv (1-txpwv, se solo avesse voluto dire questo. D..ci'X,tCTtoç è stato dunque scelto
per costruire un chiaro contrasto con il « re» celeste e non per la sua vicinanza a (1-txpol.
s rU!I-vO.; può significare anche • scarsamente vestito, seminudo» (LSJ, s.v. , s).
660 IL GIUDIZIO UNIVERSALE
con la sua teologia della croce (2 Cor. 4,1o); Luca racconta che il Signore
glorificato disse a Paolo, che perseguitava i cristiani: «Perché mi perseguiti? »
(Atti 9,4; 22,7; 26, 14); nella comunità della Didachè, infine, vigeva ancora
la regola che si dovesse accogliere un maestro venuto da fuori «come il Si
gnore», ammesso che fosse un vero maestro (Did. 1 1 ,2; cf. 4,1 ).
Così i lettori del vangelo di Matteo hanno alle spalle una ricca e vasta
esperienza e un'ampia conoscenza della tradizione che li portano a pensa
re, per prima cosa, che «i fratelli del tutto insignificanti» di Gesù si riferi
scano proprio ai predicatori itineranti. Dietro al nostro testo, a livello del
testo prematteano, dovrebbe esserci proprio il rapporto tra carismatici se
dentari e carismatici itineranti. Tuttavia, certamente anche nella tradizione
prematteana il problema non era, in primo luogo, quello di dare conforto
ai predicatori itineranti nelle difficoltà della loro missione) Non penso che
il nostro testo abbia mai funzionato in modo che potessero diventare figure
d'identificazione per i suoi destinatari quei «fratelli del tutto insignificanti••
che in esso non appaiono direttamente; la sua funzione è stata piuttosto sol
tanto quella di far riflettere i membri delle comunità sedentarie sul loro com
portamento verso i carismatici itineranti. A mio giudizio il testo agì sin dal
l'inizio in senso parenetico e non funse mai da conferma per missionari cri
stiani angustiati. È quindi soltanto indirettamente che in esso appare vaga
mente una pretesa di assolutezza, che era già caratteristica della proclama
zione di Gesù (cf. ad es. Q n,3 1 s.; 1 2,8 s.) e caratterizzò poi anche la predi
cazione dei suoi messaggeri dopo pasqua (cf. ad es. Q x o, x o- 1 2; 1 2,1o).4
Sulla scorta anche della loro lettura del vangelo di Matteo, i lettori
avranno pensato, in primo luogo, ai missionari itineranti. Essi si saran-
r Cf. anche in Act. Thom. 145 come l'apostolo Tommaso si definisca con le parole di
3 Come pensano, ad es., Zahn, 674; lngelaere", 6o; Stanton, Gospel, 222. Cf. anche l'in
terpretazione «esclusivistica », sopra, pp. 648-650.
4 A mio parere non si può proprio dire che Mt. 25,3 1-46 mostri un' «insopportabile alte
rigia cristiana » e «fanatismo» (J. Weiss, 3 8 8), perché il testo non serviva all'autolegitti
mazione. Cionondimeno la pretesa che Gesù e i carismatici itineranti protocristiani avan
zavano per sé suona singolarmente estranea in una società pluralistica come l'odierna.
66I
no ricordati il discorso ai discepoli del cap. Io, dove si era parlato della
vita itinerante e della estraneità dei discepoli ( I 0, 5 s.; cf. 28,I9), della
loro povertà ( I o,9 s.), della loro dipendenza dall'ospitalità altrui ( I o, I I
I 5 ) e dei pericoli che avrebbero corso a causa di un ambiente ostile, di
processi e di minacce mortali ( I0, 1 7-23 .28 s.; cf. 24,9 ). Ma sarà venuta
loro in mente soprattutto la conclusione del discorso ai discepoli, dove
essi stessi sono esortati ad accogliere ospitalmente i fratelli itineranti ( I o,
40-42). In quel passo Matteo, influenzato da Mc. 9,3 7, aveva formulato
il logion antico di Q r o, I 6 in una maniera che corrisponde esattamente
al nostro testo: « Chi accoglie voi, accoglie me » (Mt. I o,4o). Mt. I o,4o-
42 è, dunque, il parallelo più vicino al nostro v. 40.
Andando oltre i missionari itineranti, sarà lecito pensare anche al
l'identificazione di Gesù con altri cristiani «che stanno in basso» e «pic
coli » ? Considerando I 8, 5 non è assolutamente vietato. 1 Tuttavia, non si
tratta, come sostiene l'interpretazione universalistica, dell'identificazio
ne di Gesù con le persone più povere in genere né dell'idea comune del
l'immagine e somiglianza di Dio 2. e neanche dell' «abbassamento del Pre
esistente e della sua presenza come 'fratello' nella sfera della miseria
umana tipizzata » . 3 Non si tratta della concezione paolina del corpo di
Cristo 4 e certamente neanche di un figlio dell'uomo inteso come figura
collettiva s (che non è mai esistito) . Piuttosto, anche in Matteo c'è sullo
sfondo il diritto giudaico cristiano del messaggero, dunque il concetto
giudaico e protocristiano dello sa/Uih o t:ÌTCOO''tOÀo�, nel quale il figlio del
l'uomo celeste diventa manifesto. 6
La posizione dei destinatari del nostro testo è la medesima che in Io,
40-4 2: sono loro gli interpellati e non coloro le cui pretese adesso vengo
no finalmente confermate. Essi si ricorderanno che nella loro stessa co-
1 Anche secondo il discorso ai discepoli del cap. 10 i predicatori itineranti non erano un
gruppo ben delimitato, ma gli stessi discepoli, il cui mandato e autorità di giudicare ( 10,
1 1-1 5 ) vengono descritti nel discorso, erano sottoposti al giudizio e venivano interrogati
criticamente sul loro comportamento verso i messaggeri: cf. specialmente 10,3 2 s.34-39.
40-42, e vol. n, spec. pp. 108 s. 20 1-204.
2. Cf. Christian4, 40 s. Per l'accostamento tra Gen. 1 ,26 s. e Mt. 25,3 5-40 nella chiesa an
tica d. Puzicha4, 109-1 1 3 .
3 Brandenburger4, 8 3 . Egli interpreta nell'ottica della concezione paolina dell'incarna
zione, legittimando così la sua comprensione universalistica dei « fratelli• .
4 Come sostiene sovente l'interpretazione ecclesiastica, a d es. Giovanni Crisostomo (cf.
Brandle4, 286-288), Agostino (cf. Puzicha4, 1 28-1 3 6; Frahier, L 'interprétation4, 75· 79-
S I ). Lutero, Evangelien-Auslegung n, 8 5 7 (predica del 1 5 37) fa dire a Cristo: «Questi
poveri sono i miei piedi e i miei arti » . 5 Manson, Sayings, 249 s.
6 Pertanto non è semplicemente sbagliato che alcuni interpreti pensino agli apostoli: ad
es. Meyer, 4 1 7; Bornhauser4, 77-8 1 ; in modo acuto Michaelsa, 3D-37·
662 IL GIUDIZIO UNIVERSALE
provvedere ai poveri sia diretta specificamente ai capi della comunità. Non sono «tutti i
popoli » a essere giudicati, bensì soltanto «essi» , cioè i responsabili della comunità. La di
stinzione tra 1tlivta 'ttX É-BvYj e aÙ'to� (v. p.) è talmente sottile che prima di Maddox non
l'ha ancora notata nessun altro lettore del vangelo.
:z. Ciò è in linea con la posizione dei missionari itineranti nella comunità matteana, dove
essi non formano un gruppo specifico stabile, distinto dagli altri discepoli. Vero è, inve
ce, che tutti sono chiamati alla perfezione del radicalismo itinerante e tutti sono, perciò,
•potenziali predicatori radicali itineranti » . Cf. vol. n, p. 109.
3 Chrys. In Mt. 79,2. (PG 58, 719 s.): non è il Padre che li rende maledetti, bensì le loro
proprie opere.
maledetti, poiché Dio « non ha creato gli uomini per la distruzione » !
Matteo h a abbreviato u n po' l a parte successiva del dialogo, ma non po
teva ometterla del tutto perché la condanna nel giudizio resta per lui una
possibilità reale e minacciosa. Il dialogo fa capire con efficace chiarezza
che il rapporto con Gesù non può essere disgiunto dai rapporti con le
persone concrete, nel nostro caso i membri della comunità, che lo rap
presentano. Venerare Gesù non significa altro che fare ciò che egli ha co
mandato, anzitutto prendere sul serio il comandamento dell'amore. Al
v. 44 i condannati - in perfetto stile matteano - riassumono le opere
d'amore col verbo ÒttxxovÉw: così come si era comportato il figlio dell'uo
mo, altrettanto avrebbero dovuto fare anche loro (cf. 20,26. 28; 23 , n ).
Non si potrà « universalizzare » neanche questa parte del testo, sebbene
al v. 4 5 non appaia più à:ò&À<poL Il termine è rimasto vittima della ten
denza riduttiva riscontrata nella seconda parte del dialogo; ma i lettori,
naturalmente, leggeranno il v. 4 5 adeguandolo automaticamente al v.
40. Che Matteo abbia omesso proprio quel termine à:Ò&À<pol, la cui in
terpretazione è diventata oggi tanto controversa, mostra soltanto che per
lui il suo senso era evidentemente chiaro e non aveva bisogno di ulte
riori spiegazioni.
46. Il testo si chiude con estrema brevità. Il versetto conclusivo (v. 46)
mostra che l'accento principale non cade sul futuro eterno di salvati e
perduti; i punti salienti della pericope si trovano ai vv. 40 e 4 5 e sono i
due detti introdotti con << amen» . La vita eterna e la punizione eterna
sono la conseguenza della sentenza del giudice universale. Qui è chiaro,
una volta ancora, che Matteo sostiene un duplice esito della storia del
mondo; non si parla minimamente di una riconciliazione universale. Qui
l'evangelista ha potuto rinunciare a una particolare descrizione degli
orrori dell'inferno (cf. 24, 5 1 ; 2 5 , 3 0 ) : il tempo degli avvertimenti è ormai
passato, il giudizio finale è qui: il giudice universale ha parlato, non c'è
più niente da fare.
mitandolo alla comunità, come pensa, ad es., Friedrich", 302 s. (per la comunità postpa
squale e per Matteo).
1 Cf. Todt, Menschensohn, 62: •l criteri usati da questo figlio dell'uomo giudice re sono
lo specchio della missione messianica di Gesù sulla terra, come la descrive Matteo» .
66 5
zio finale, il figlio dell'uomo si identifica con i suoi fratelli poveri, essi
ripenseranno anche alla sua vita sulla terra. Il nostro testo lascia così
apparire anche una parte di tutto il cammino che il figlio dell'uomo ha
percorso, I dell'identità tra il Gesù terreno e quello glorificato e della pre
senza di Dio «con noi » , che è fondamentale nell'Emmanuele matteano.:�.
Perciò il nostro testo fa immaginare alla comunità anche qualcosa del
fondamento che la sostiene, anche nel giudizio, ma senza, per questo, ri
sparmiarle il giudizio.
I Cf. vol. n, pp. 622-624, per la concezione matteana del « figlio dell'uomo » .
:1. Cf. Luz, Skizze, 2 2 2 s., e vol. IV, a Mt. 28,20.
3 Cf. sopra, pp. 63 9-64 5 . 4 Cf. Luz,
Matthew, 8 2-9 1.
s Formulazione felice di Watson", 72, che poi (72-80) incoraggia a una «nuova rivela
zione», fondata cristologicamente, che sia conforme all'orientamento del testo.
666 IL GIUDIZIO UNIVERSALE
I Nel caso di questo testo in particolare, si farebbe tuttavia bene a non richiamarsi a un si
Non ha senso riepilogare il discorso sul giudizio finale (Mt. 24-2 5 ) da solo.
Dato che non è soltanto un discorso di Gesù su un tema preciso, bensì rac
coglie e lega insieme ciò cui tendevano tutti gli altri discorsi, è possibile ri
capitolarlo unicamente delineando l'intera concezione matteana del giudi
zio. Per tale ragione nei paragrafi seguenti si troveranno unite la ricapitola
zione di Mt. 24 s. e un'esposizione della concezione del giudizio in Matteo.
1 . Il giudizio finale nel macrotesto del vangelo di Matteo. Nel primo
vangelo il giudizio finale svolge una funzione importantissima. Già il
Battista lo annuncia in 3 ,7- 1 2 e poi tutti i discorsi nel vangelo termina
no con annunci del giudizio per la comunità: il discorso della montagna
(7, 1 3 -27); il discorso delle parabole ( 1 3 , 3 7-43 ·47-50); il discorso sulla
comunità ( 1 8,23-3 5 ) e anche, ma qui è molto meno chiaro, il discorso
ai discepoli ( 10,3 2 s.3 9-42).' Inoltre si parla anche in altri passi, all'in-
4
1 P. Althaus, Die letzten Dinge, Giitersloh 1 9 3 3 , 1 9 3 , dice che « il giudizio svelerà nella
sua rilevanza agli occhi di Dio ciò che non è appariscente e ciò che è ovvio» . Per scopri
re questa verità serve il giudizio di Dio o un testo che ne parli.
:z. Così anche Watson°, 79: «Il Gesù crocifisso non offre semplicemente una spiegazione
terno dei discorsi stessi e altrove nel vangelo, di giudizio finale o della
ricompensa ovvero della vita eterna, di punizione o dell'inferno. Ciò va
le per la prima parte del vangelo ( 5 , 3 - 1 2.22. 25 s.29 s.; 6,2.4. 1 8; 7,1 s.;
8,n s.; 9,3 8; IO, I 4 s.28), ma soprattutto per i due «capitoli della sepa
razione» (capitoli 1 1 e 1 2), dove il termine guida è xplat<; ( n ,6.20-24;
1 2,20. 27· 3 3 -37·4 1 s.; cf. 3 1 s.), poi per la parte centrale, che riguarda
la comunità ( 1 6,25 -27; 1 8 ,8 s.; 1 9 , 1 6.24. 27-3 0; 20, 1 1 - 1 6) e per i capi
toli che raccontano l'attività di Gesù a Gerusalemme ( 2 1 , 1 8-20; 22, n -
1 4 ; 23,3 3 ; cf. 23,3 4-24,2). La proclamazione del giudizio fatta da Gio
vanni Battista all'inizio del vangelo è indubbiamente il testo che più tar
di sarà ripreso più frequentemente. 1 Così l'ultimo discorso che Gesù tie
ne ai discepoli sul Monte degli Ulivi e che, in una cornice apocalittica
( 24,3-3 1 ; cf. 25,3 1-46), lancia gli ultimi avvertimenti alla comunità pri
ma del minaccioso giudizio incombente ( 24,3 2-25 ,3 0), non è altro che il
culmine di qualcosa che è stato già sempre canto fermo, motivo tema
tico e fine della proclamazione di Gesù secondo Matteo.
La natura di «motivo tematico ricorrente» della proclamazione del giudizio
si manifesta in maniera incisiva 1 nel linguaggio formulare di Matteo e nel
la ripetizione di logia. Molti dei logia che Matteo ripete in toto o in parte
trattano del giudizio e lo imprimono nella mente del lettore: 3 , 1 0b = 7, 1 9;
7,22 S. = 25,1 1 S.; 1 0, 1 5 = 1 1 ,22.24; 10,39 = 1 6,25; 1 3 , 1 2 = 2 5,29; 1 3 ,42
= 1 3 ,50; 1 9,28 = 25,3 1 ; 19,30 = 20, 1 6; 24,42 = 2 5 , 1 3 . Molte di queste ri
petizioni e molti di questi richiami sono dovuti alla redazione matteana. Ai
logia suddetti si aggiungono poi i frequenti e, in parte, stilizzati logia sul
la venuta del figlio dell'uomo ( 1 0,23; 1 3,4 1 ; 1 6,27; 19,28; 24,27.30 S-3 7·39·
44; 25,J I ). Particolarmente incisiva e memorabile è l'espressione ricorrente
«là sarà pianto e stridore di denti >>, che Matteo ripete ben sei volte (8, 1 2;
1 3 ,42.50; 22, 1 3 ; 24,5 1 ; 25,30). Non sono tuttavia da dimenticare anche al
tre espressioni e altri termini importanti appartenenti al vocabolario del
giudizio, ad esempio, yÉevva. -rou 1tup<)ç ( 5,22; x 8,9; cf. 5,29 s.), �tlì..ì..w e:l<; -rò
axo't'o<; 't'Ò èçwnpov ( 8, 1 2; 22, 1 3 ; 25,30) e, sul versante positivo, e:laépxea.Sa.t
el<; "�" �a.atì..da.v 't'wv oùpa.vwv ( 5,20; 7,21 ; x 8,3; 1 9,23 s.; cf. 23 , 1 3 ). In questo
modo, nel vangelo di Matteo il giudizio finale è costantemente presente, im
primendosi nelle teste e negli animi dei suoi lettori.
2. Matteo e la fonte Q. L' « onnipresenza >> del giudizio non è però una
invenzione di Matteo. Anche per questo aspetto l'evangelista, notoria-
1 Per 3,7 cf. 1 2.,34; 2.3,3 3; per 3,8.10 cf. 7,1 6-1 9; 1 2.,2.3 ; per 3 , 1 1 cf. 1 1 ,3; per 3 , 1 2. cf.
I 3,30.40.42.• 50•
1 Anderson, Narrative Web, 44, che concentra la sua analisi soprattutto sulla funzione
delle ripetizioni nella narrazione, dice che esse hanno, tra l'altro, lo scopo «di mettere in
luce o attirare l'attenzione, . . . di imprimersi durevolmente nella mente del lettore impli
cito, di sottolineare l'importanza . . . , di costruire modelli di associazioni» .
LA CONCEZIONE DEL GIUDIZIO IN MATIEO 669
mente ligio alla tradizione, attinge ai materiali delle sue fonti o, più preci
samente, ai materiali di Q, la fonte dei logia. I Mentre nel vangelo di
Marco il giudizio finale non ha una funzione importante, in Q le cose
sono diverse: la proclamazione del giudizio apre (Q 3 ,7-9 ) e chiude (Q
1 7,23-27) il documento. Già in Q numerosi blocchi di tradizione termi
nano con un annuncio di giudizio 1 che costituisce l' « orizzonte teologico
comune » 3 della fonte.
Prescindendo da alcuni materiali della sua fonte propria e dai testi re
dazionali, dunque, Matteo deve in larga misura alla fonte Q i suoi lo
gia di giudizio. Ciò non deve, però, creare l'illusione che tra i materiali
di Q e il vangelo di Matteo sia avvenuta una rielaborazione teologica
profonda e determinante. La rielaborazione si manifesta soprattutto nel
l'organizzazione della composizione e, in relazione con essa, nella deter
minazione dei destinatari dei logia. Nella fonte Q molti logia di giudi
zio sono legati alla proclamazione a Israele (Q 3 ,7-9; 7,3 3-3 5 ; 10, 1 3 - 1 5;
I I ,29-3 2. 3 7- 5 2; 1 2, 8 - I o [cf. 1 2, 1 1 s.]; 1 3 , 25-3 5 e, probabilmente, 17,
2 3 - 3 7 ) .4 Il sostanziale fallimento della missione a Israele degli inviati di
Gesù dopo la sua morte è rispecchiato dal gran numero di minacce di
giudizio e dal rilievo dato loro nella fonte Q. In confronto ai tempi di
Gesù, evidentemente la situazione si è fatta molto più critica. La pro
clamazione del giudizio con la quale Gesù, il giudeo di Galilea, chiama
va tutto il popolo al ravvedimento, era diventata l'annuncio del giudi
zio fatto da una piccola minoranza emarginata alla grande maggioran
za del popolo, ostile a Gesù e niente affatto disposta a ravvedersi.
In Matteo qualche cosa di tutto ciò è rimasto ancora, poiché mediante
lo specchio della sua storia di Gesù egli riguarda indietro alle esperien
ze che la sua comunità ha fatto con un Israele che rifiutava Gesù. Tutta
via, alcune cose sono diverse già per il semplice fatto che la predicazio
ne del giudizio, che in Q era rivolta direttamente a un Israele ostile, pas
sa in una storia di Gesù che serve, in primo luogo, alla comunità per de
terminare la propria posizione. Soprattutto, però, Matteo ha inserito
gran parte della predicazione del giudizio fatta da Gesù nei suoi cinque
grandi discorsi. I discorsi interrompono il tessuto narrativo del suo van
gelo; di regola sono discorsi rivolti dal proscenio direttamente al pub-
blico dei lettori del vangelo, cioè alla comunità. 1 Con questo espedien
te i logia di giudizio che sono inseriti nei discorsi diventano logia di giu
dizio diretti alla comunità: essa deve ora prepararsi ad affrontare il giu
dizio; essa dovrà rispondere del proprio operato davanti al figlio dell'uo
mo. Ciò è particolarmente chiaro in 1 3 ,3 6- 5 2 e nei capp. 24 s., dove la
predicazione del giudizio segue a un cambiamento di destinatari, dal po
polo ai discepoli. Il contributo teologico di Matteo consiste quindi nel
l'aver reso la comunità il destinatario principale dell'annuncio del giudi
zio fatto da Gesù. L'accusa rivolta ad altri si è trasformata così in esame
critico della propria comunità, divenuta stanca e indifferente."'
3. Le rappresentazioni del giudizio prossimo nel vangelo di Matteo.
Nel complesso si può dire che il vangelo di Matteo presenta una visione
coerente dell'evento: giudice sarà il figlio dell'uomo Gesù, quando ap
parirà sulle nuvole del cielo con i suoi angeli. Non si parla mai di parte
cipazione di Dio al giudizio. Prima del giudizio finale le strutture cosmi
che crolleranno; la venuta «come un lampo » del figlio dell'uomo aboli
rà le limitazioni spaziali. Il giudizio sarà universale e riguarderà tutti gli
uomini. Non ci sarà quindi un giudizio separato della comunità.3 La sto
ria del mondo finisce con un grandioso contrappunto: la «vita eterna » e
il «fuoco inestinguibile » . Nulla di più di questo si dice.
Scendendo nei particolari, invece, rimangono alcune incongruenze, che non
sono però rilevanti. Secondo 1 9,28 è Israele che viene giudicato, secondo
25,3 1-46, invece, «tutti i popoli » . In 1 9,28 a fianco del giudice universale
ci sono i dodici apostoli, in 25,3 1-46 i «fratelli del tutto insignificanti » .
Sebbene in 25,3 1-46 si richiami a 19,28, Matteo non ha alcun interesse a
risolvere tale contraddizione. Secondo 24,40 s. i giusti verranno portati via
dal mondo, secondo 1 3 ,4 1 s. saranno, invece, gli iniqui che saranno allon
tanati dal mondo. Secondo 1 3 ,4 1 gli ingiusti saranno radunati dagli angeli
del figlio dell'uomo e portati via; secondo 24,3 1 gli angeli radunano, inve
ce, gli eletti, mentre secondo 25,3 1 s. è il figlio dell'uomo che procede per
sonalmente alla separazione. Secondo 8,1 1 s.; 1 1 ,20-24; 1 2,4 1 s.; 19,28;
23,3 6 vengono condannate collettività, cioè Israele o alcune delle sue città;
la maggior parte degli altri testi presuppone, invece, che vengano giudicati
individui. Le contraddizioni non riguardano mai il punto centrale delle rap
presentazioni matteane del giudizio; esse originano dalla diversità del mate
riale delle fonti utilizzate dall'evangelista.
Molto più importante è che Matteo sviluppi con studiata parsimonia
rappresentazioni di tipo apocalittico. Egli calca e illustra rappresentazio-
1 Per Mt. 10 ciò è vero solo in larga parte (cf. vol. 11, pp. 108 s.).
:z.
Cf. vol. 1, pp. 1 14 s.
3 Per il problema di un giudizio particolare per la sola comunità cf. sopra, a 2 5 ,40.
LA CONCEZIONE DEL GIUDIZIO IN MATIEO 67 1
lizza il linguaggio biblico; cf. vol. n, pp. 6I4 s., e v. sopra, inrr. a 24,3-3 I, nr. 2, e intr.
a 25,3 1-46, nr. 2.
2. Mohrlang, Matthew, so: Matteo parla dell'inferno « in modo molto vivido» .
3 Per Simb, 1 3 3 . I 3 8, i l «fuoco» del giudizio segnala un radicamento particolarmente
chiaro di Matteo nel pensiero apocalittico giudaico, non cristiano. Mi pare che esageri.
Ovviamente il fuoco è importante già in testi dell'A.T. e giudaici che parlano del giudi
zio (F. Lang, 7tUp x'tÀ., in ThWNT VI, 93 5,43 ss.; 937, 1 6 ss. p ss.; 938,38 ss. ), ma la sua
frequenza in Matteo è dovuta più al linguaggio tipizzato che all'eredità apocalittica.
4 Ciò dimostra anche che Matteo non subisce l'influenza della religiosità della compen
sazione. Non si tratta di descrivere quanto sarà bella la vita futura di quelli che adesso
sono oppressi e perseguitati o quanto sprofonderanno in basso gli attuali persecutori.
5 Cf. in proposito Volz, Eschatologie, 272-3 3 I. 3 8 1 -407. Perciò non posso condividere
RIEPILOGO ED EXCURSUS
3 La sintesi della proclamazione del giudizio di Gesù fatta da Reiser", l-93-3 14, rende
evidente la vicinanza a Matteo. 4 Cf. sopra, a l.4,:Z.9-3 1 .
5 Le cose stanno diversamente, a d es., i n Hen. aeth. 9 1 , 1 7 e Apoc. 21, 1-22,5.
LA CONCEZIONE DEL GIUDIZIO IN MATIEO 673
Nel pensiero apocalittico neanche la trascendenza divina, che l'apoca
littico sperimenta come assenza di Dio nel presente e speranza della sua
presenza nel futuro, trascende il tempo. Perciò il vangelo di Matteo - e
con esso altri scritti neotestamentari - pone noi, uomini di oggi, davan
ti al problema se possiamo e dobbiamo ancora riprendere la concezione
apocalittica del tempo.
L'interpretazione di 24,29.3 2-34 ha reso verisimile l'ipotesi che Mat
teo considerasse prossima l'ora della parusia e che altre affermazioni pre
cedenti del suo vangelo, le quali facevano pensare a un'attesa imminen
te (3 ,2; 4, 1 7; 1 0,7. 23; 1 6,28; 24,22), non siano la riesumazione di una
tradizione, ma debbano essere prese in seria considerazione. • D'altra
parte, bisogna pur dire che per Matteo l'attesa imminente non è la cate
goria determinante. Per la parenesi l'elemento determinante è invece la
non conoscenza dell'ora della parusia, che può scoccare in qualsiasi mo
mento e non può essere prevista ( 24,3 6.42.50; 2 5 , 1 3 ; cf. 24,23-28; 25,
6). L'importante per quanto riguarda l'ora della parusia è che questa può
avvenire in qualsiasi momento, così che i discepoli devono esser sempre
provvisti di olio e vegliare. Dire che la parusia è temporalmente vicina
ha l'effetto di intensificare questa «attesa costante » e, inoltre, la funzio
ne di confortare la comunità che vive oppressa e perseguitata. 1
5 · L'escatologia al servizio dell'etica. Come per Gesù, così anche per
Matteo ciò che importa non sono tanto le informazioni circa il futuro,
quanto l'opera dei membri della comunità. Il giudizio a venire costitui
sce l'orizzonte nel quale i lettori del vangelo di Matteo dovrebbero col
locare il loro comportamento; esso indica che cosa sia in gioco, in ulti
ma analisi, nella predicazione etica: l'alternativa tra vita e morte, tra re
gno dei cieli e fiamme dell'inferno. Il giudizio a venire chiarisce quale
sia il vero significato delle azioni umane; mostra sotto quale promessa
«sovradimensionata » si collochino le opere buone apparentemente non
importanti compiute dagli uomini, come l'osservanza di un comanda
mento minimo ( 5,19), un sorso d'acqua offerto a un «piccolo» ( 10,42),
il farsi basso come un bambino ( 1 8,4) o l'ospitalità offerta a un fratello
« forestiero » (25,3 5 ): il contenuto della promessa è il regno dei cieli, la
ricompensa celeste, l'accesso alla gioia del cielo o la comunione con Cri
sto stesso. Il giudizio mostra anche sotto quale mortale minaccia « sovra
dimensionata » si collochino peccati umani apparentemente insignifican
ti e l'omissione della giustizia: per esempio, percorrere la strada larga e
senza strettoie per la quale molti si avviano (7, 1 3 ), rifiutarsi di perdona-
t Cf. sopra, intr. a 24,3-25,46, nr. 1. 2. Cf. vol. n, pp. 469 s. 3 Cf. vol. n, pp. 467 s.
4 Già Gesù voleva, con molte delle sue parabole, impegnare emotivamente i suoi ascol
tatori, guidarli a parteggiare pro o contro i personaggi della storia e aiutarli ad applica
re alla propria vita le reazioni avute e le decisioni prese ascoltando la storia. Le parabo
le vogliono essere applicate (e non solo interpretate). Cf. vol. n, pp. 467 s.
IL SENSO DEL D ISCORSO SUL GIUDIZIO OGGI 67 5
con concrete realtà della vita. 1 M a anche passi precedenti del vangelo
fanno riferimento alle opere: Matteo ha parlato dei «frutti » ( 3 ,8-10; 7,
1 5-20; 1 3 ,8.22 s. 26; 2 1 , 19·34·4 1 .43 ) e, in negativo, della << anomia » (7,
23; 1 3 ,4 1 ); ha sottolineato il « fare» ( 7,2 1 . 24.26; 1 3 ,4 1 ; 1 6,27).1 Per
ciò anche metafore come l' «abito da nozze » o l' <<olio» fanno pensare so
prattutto alle opere.J Nel giudizio, dunque, il fattore determinante non
è la qualità dell'albero, bensì i suoi frutti (7,1 5 -20); non l'ascolto delle
parole, bensì il fare ( 7,24-27); non le lampade, bensì l'olio ( 2 5 , 1 - 1 3 ); non
il capitale iniziale, bensì il guadagno ottenuto con i talenti affidati ( 2 5 ,
1 4 - 3 0 ) . Viceversa, Matteo non parla mai della fede nel contesto del giu
dizio. Per lui invocare il Signore e implorarne l'aiuto è importante in que
sta vita (cf. ad es. 14,28-J I ; 1 7, 1 5 ; 20,30 s.), ma un giorno, nel giudi
zio, dire semplicemente « Signore, Signore» , non servirà a niente (7,21 s.;
2 5 , 1 1; cf. 23,39; 2 5 ,44). L'unico rapporto con il Signore che nel giudi
zio ha un peso è, invece, l'ubbidienza ai comandamenti che l'unico mae
stro ha dato ( 2 3 , 8 ) . Non è perciò conforme a Matteo unire con una «e»
la professione di fede in Cristo e le opere e insistere che in giudizio en
trambi gli elementi sono necessari. 4 Invece, il punto che la teologia di
Matteo vuole ribadire è che una genuina confessione di appartenenza a
Cristo non può consistere in altro che nell'ubbidienza ai suoi comanda
menti. Se le opere di una persona non sono in ordine, secondo Matteo
niente è in ordine. Allora per noi oggi si pone, in tutta la sua durezza, il
seguente interrogativo teologico: il giudizio secondo le opere sostenuto
da Matteo non riduce forse il dono della grazia a un'assistenza provvi
soria, che aiuta semplicemente i discepoli a prepararsi in questa vita nel
modo giusto per affrontare il giudizio secondo le opere? anzi, il dono del
la grazia non viene, in ultima analisi, privato totalmente di ogni valore?
Se le cose stessero veramente così, allora sì che il pensiero del giudizio fa
rebbe realmente paura.
IL SENSO
DEL DISCORSO SUL GIUDIZIO OGGI
1 . Giudizio e grazia. La teologia matteana del giudizio distrugge, forse,
l'annuncio della grazia ? Visto che, alla fine del vangelo, Gesù si rivela
un giudice universale neutrale fino alla spietatezza, il quale destina quel
li alla sua destra alla gioia eterna, quelli alla sua sinistra all'eterno pian-
1 Cf. :Z.4,4 5·49 (ubbidienza o gozzoviglie, percosse date ai conservi); :z.s,:z.o-:z.3 (profitto);
te che Matteo abbia tramandato gli accenni alla crudeltà del giudizio senza attenuarli
(cf. ad es. 5,16; 1 8,34; 2.4,5 1 ).
3 Testo con traduzione secondo P. Klopsch (ed.), Lateinische Lyrik des Mittelalters, Stutt
gart 1985, 43 6-439.
IL SENSO DEL DI SCORSO SUL GIUDIZIO OGGI 677
Ancor oggi la pietà cristiana non è esente dalla paura del giudizio. In un testo
divenuto ormai famoso, lo psicanalista Tilman Moser guarda in retrospet
tiva alla propria biografia religiosa e formula le sue preghiere del passato ser
vendosi delle parole di Mt. 25: «Ti ho pregato e implorato di accogliermi
sul lato delle 'pecore', perché sapevo che il mio posto era tra i 'capri'. Da
bambino . . . mi sembrava ovvio che il mondo . . . fosse fatto di salvati e di re-
probi; la cosa spaventosa era solo che io . . . stavo sempre sospeso sopra
l'abisso della dannazione e non sapevo mai quanto avrebbe retto quella
passerella stretta che mi sosteneva>> . Il giudice divino, costantemente pre
sente «con la sua faccia da 'grande fratello' sempre sopra di noi, che ci con
trolla eternamente» , dice Moser, rende l'uomo malato, minacciandolo sem
pre di negargli l'amore e di interrompere il rapporto con lui. L'idea del giu
dizio rende forse l'uomo «una cavia assillata dalla paura in un esperimento
senza via di uscita >> ? r Oppure, viceversa, essa rende, nell'intimo, l'uomo re
ligioso un trionfatore disumano che assolutizza se stesso, un vincitore che sa
che Cristo << mi ha tolto di dosso ogni maledizione . . . ha gettato nella perdi
zione eterna tutti i suoi e miei nemici, ma accoglie me presso di sé, nella
gioia e nella gloria del cielo» ? 1 Tra la Scilla della propria paura e la Ca
riddi del rafforzamento del proprio potere mediante un Dio che incute pau
ra esiste una via del vero timore di Dio?
Di fronte a un simile Dio che incute paura e condiziona l'uomo, l'illumi
nismo ribadì il diritto della ragione autonoma. Anche questa posizione può
essere confermata da una reazione (critica) al classico testo del giudizio di
Mt. 25,3 1 -46:
Capri, a sinistra! così ordinerà il giudice:
e voi pecorelle starete in pace alla mia destra!
Bene! Ma ancora una cosa si spera che allora dica:
voi, uomini ragionevoli, venitemi proprio davanti)
Al giudice universale che innalza in cielo e precipita nell'inferno, il nostro se
colo ha reagito detronizzando questo Dio che rende l'uomo schiavo.4 Op-
x T. Moser, Gottesvergiftung (st 5 3 3 ), 1976, 19. 14. 2.9.
:1.
Heidelberger Katechismus 52. (BSKORK\ 1 6 1 ). Naturalmente, sarebbe facile fornire
la prova di questo tipo di religiosità adducendo testi di movimenti settari. Citando, inve
ce, un testo centrale della chiesa riformata (avrei potuto anche optare per un testo catto
lico, luterano o ortodosso, ma, essendo io un riformato, non lo faccio), desidero mostra
re come anche la nostra pietà ecclesiastica rechi l'impronta di questo tipo di radici - che
in una società pluralistica vengono spesso pudicamente taciute o «dimenticate».
3 J.W. von Goethe, Epigramme, Venezia 1 790, nr. 48, in Id., Werke I, Miinchen 1987,
3 2.0 (rist. dell'edizione di Weimar, 1 8 87) (tr. it. M.T. Giannelli).
4 Questa reazione è descritta efficacemente nel racconto Wie Gott Maior seinen Thron
verlor, di Leszek Kolakowski: i beati, che hanno osservato il comandamento di Dio, si
rivoltano in cielo perché si ricordano dei loro parenti e amici condannati all'inferno e
vogliono stare insieme a loro. A questo Dio non resta altro che abdicare (in Idem, Der
Himmelsschliissel, Miinchen 1963, 1 57· 165 ).
67 8 IL SENSO DEL DISCORSO SUL GIUDIZIO OGGI
pure lo ha gettato nel fiume dell'oblio: nella visione del mondo della mag
gior parte degli uomini di questa nostra società occidentale individualistica
è semplicemente scomparsa del tutto l'immagine di un giudice universale o
di un giudizio universale.
In questa situazione, l'annuncio di giudizio di Matteo che cosa ha da
dire? Mi sembrano importanti le seguenti riflessioni:
a) L'annuncio di giudizio di Matteo non porta assolutamente a una
chiesa che assolutizza se stessa, perché esso mette la comunità sotto il
giudizio del figlio dell'uomo insieme al resto dell'umanità. Qui si è da
vanti a un punto centrale dell'annuncio matteano del giudizio e alla sua
peculiarità rispetto all'annuncio del giudizio in Q. Nella prospettiva di
questo annuncio di giudizio si situa un nuovo atteggiamento verso le
proprie opere, che rende inutile qualsiasi autogiustificazione, poiché il
giudizio su di noi è lasciato a Dio soltanto. 1 Nella prospettiva di que
sto annuncio di giudizio si colloca anche la rinuncia di uomini e chiese
a rivendicare per sé il diritto di giudicare gli altri uomini, un diritto di
vino che spetta soltanto al figlio dell'uomo (cf. Mt. 7, 1 s.).1 Nella pro
spettiva di questo annuncio di giudizio potrebbe situarsi anche (( la soli
darietà con quelli che non . . . sono sulla via della salvezza » ,3 per esem
pio, con gli appartenenti ad altre chiese e religioni o con gli atei, poiché
tutti dovranno un giorno stare al cospetto del giudice universale e di
pendono tutti, in egual misura dalla sua magnanimità. In Matteo, tut
tavia, queste prospettive sono visibili solo in parte: l'annuncio di giudi
zio nel suo vangelo ha certamente portato a una solidarietà interna alla
comunità: i membri della comunità devono astenersi dal giudicarsi gli
uni gli altri (7, 1 -6); essi devono farsi piccoli e servirsi a vicenda, cercare
i perduti e perdonare i peccatori (cf. 1 8 , 1 -22). L'annuncio di giudizio
ha reso possibile che la chiesa si considerasse un corpus permixtum e non
la schiera degli eletti. In Matteo esso non ha, però, portato, ad esempio, a
una nuova solidarietà con Israele che, un giorno, verrà giudicato an
ch'esso - come la chiesa - dal giudice universale.
b) L'annuncio matteano del giudizio celebrato dal figlio dell'uomo
non può essere letto unicamente in un'ottica individualistica. In questo
1 G. Ebeling, Dogmatik des christlichen Glaubens m, Tiibingen 1979, 470: «Il giudizio
I Per il rapporto complementare tra Matteo e Paolo cf. Luz, Erfullung, 4 3 1 -4 3 5 , e Id.,
]esusgeschichte, I6J-I70. Il particolare cammino di Paolo gli insegnò, tra l'altro, a rico
noscere la profondità del peccato e - in un isolamento estremo al cospetto di Dio - a
provare la profondità della sua grazia. Ma quel cammino non fu e non è il percorso di
tutti i cristiani, nonostante esso si sia dimostrato particolarmente produttivo per l'epoca
moderna con la sua individualizzazione spinta.
2. Senza poter entrare qui in particolari, desidero almeno far notare che anche per Paolo
- in Cristo - la parusia e il giudizio secondo le opere ( ! ) non significa niente di ter
rificante, bensì la fine della notte (Rom. I J , I I-J 4), un «giorno•, dunque, che lo fa vola
re e verso il quale si avvia fiducioso. Per questo aspetto, la situazione di Lutero è del tut
to diversa.
3 Cf. Jungel", 2 3 5 : «Che Dio si rivolgerà, da giudice, ancora una volta alla vita che ab
biamo vissuta mostra che non gli siamo indifferenti. Venendo giudicato, l'uomo sarà
considerato seriamente come persona» .
682 I L SENSO DEL D ISCORSO SUL GIUDIZIO OGGI
1 Secondo Charette4, 1 66, Matteo pensa nelle categorie tradizionali del «nomismo del
3 Cf. sopra, excursus «La concezione del giudizio nel vangelo di Matteo» , S 4, e a 14,
19 · 3 1 ; pp. 546 · 5 5 1 - 5 54 • 5 5 8.
4 Cf. !'«interpretazione all'interno della storia ,. della parusia nella storia dell'interpreta·
zione di 14,3-3 1 (v. sopra, pp. 5 1 1·5 1 6). Come esempio di interpretazione del giudizio
all'interno della storia cf. P. Althaus, Die letzen Dinge, Giitersloh • 1 9 3 3 , 1 66: «L'effetto
è il giudizio di Dio». Il discorso che Althaus (pp. 1 89-100) sviluppa sul tema ricorda il
nesso tra l'agire e le sue conseguenze neli'A.T. Ma questo schema si riferisce al giudizio
della storia e al potere del peccato, non al giudizio escatologico di Dio.
5 M. Davies, 1 76.
I L SENSO DEL D I SCORSO SUL GIUDIZIO OGGI 68 3
potremmo immaginarci una fine del tempo e dello spazio in sé, ma, indub
biamente, la fine di coloro che - dopo Kant - possono pensare soltanto in ca
tegorie dello spazio e del tempo. Oggi noi possiamo pensare una fine del
l'umanità e, quindi, una fine di spazio e tempo quali fondamentali categorie
immaginative umane. Ma anche con tutto ciò non ci siamo avvicinati ne
anche di un millimetro al nucleo del pensiero apocalittico. La difficoltà più
grande davanti alla quale il pensiero apocalittico ci pone oggi è, piuttosto,
questa: esso non è più in grado di mantenere la sua pretesa teologica di un
tempo di rendere pensabile ed esprimibile il nascondimento di Dio sulla ba
se del presupposto di un mondo diventato alienato da Dio e ateo. Dietro a
quella fine del mondo e dell'umanità che è diventata nuovamente pensabile,
non ci apparirà Dio, bensì il nulla.
In questa situazione, di quale aiuto può essere l'escatologia apocalitti
ca di Matteo ? Mi sia concesso esprimere tre considerazioni molto fram
mentarie:
a) Matteo fa capire in maniera esemplare come il pensiero apocalitti
co possa rendere possibile la vita qui e ora. Si può cogliere a prima vi
sta quanto Matteo sia restio a precisare elementi relativi alla visione del
mondo e alle rappresentazioni. In ciò egli segue Gesù che ha sì usato nei
suoi logia idee apocalittiche, senza mai, però, svilupparle. Egli stesso ha
modificato, mediante l'inserimento della parte centrale, l'unico suo testo
apocalittico di una certa dimensione (capp. 24 e 2 5 ), basato sullo sche
ma di un compendio apocalittico della storia dal presente fino alla pa
rusia (Mc. 13 ), e lo ha modificato in maniera tale che il testo, per così
dire, è traboccato fuori dallo schema rovesciandosi nella vita. Ciò che
gli premeva ottenere con questo schema apocalittico era aiutare gli uo
mini ad arrivare a prendere la loro propria decisione fondamentale, qui
e ora. La vicinanza di Matteo al principio dell'escatologia di Karl Rah
ner è talmente vistosa da indurmi a citare Rahner per esteso:
L'escatologia cristiana non è un reportage che anticipa avvenimenti che si
verificheranno «più tardi,. (questo è l'intento primario della falsa apocalit
tica . . . ), bensì la previsione necessaria all'uomo nella sua decisione spiritua
le di libertà, previsione che nasce dalla sua collocazione nella storia della
salvezza determinata dall'evento di Cristo . . . uno sguardo gettato verso il
compimento definitivo . . . per rendere possibile la sua propria decisione illu
minata di percorrere fino in fondo quel tunnel oscuro. 1
con altre parole: •Questa realtà futura che può essere evocata in immagini, ma non pre
sentata già adesso in un reportage, viene detta all'uomo perché egli può superare il suo
presente soltanto se sa di essere in movimento verso il suo futuro, che è il Dio inaffer
rabile nella sua vita» (Id., Eschatologie, in SM I, 1967, 1 1 8 8).
684 IL SENSO DEL DISCORSO SUL GIUDIZIO OGGI
gio che vi sta parlando. Perciò i veggenti hanno visioni, perciò compaiono le figure del
l'angelo interprete e dell'angelo rivelatore; perciò è così importante che Gesù, l'Emma
nuele, istruisca i discepoli sul Monte degli Ulivi.
3 A questo punto la morte dell'uomo, che incombe su ognuno, è un analogon del lin
guaggio apocalittico, come ha mostrato continuamente la storia degli effetti e dell'inter
pretazione dei testi matteani (cf. ad es. sopra, pp. 565 s. 590 s.). Questo analogon è im
portante perché la propria morte è per ognuno un'esperienza ineludibile e, in termini di
storia del pensiero, insuperabile. Si tratta tuttavia di un analogon comunque limitato,
poiché pone un limite soltanto al singolo uomo, ma non al mondo né all'umanità.
4 Cf. W.A. Meeks, Social Functions of Apocalyptic l.Anguage in Pauline Christianity, in
IL SENSO DEL DISCORSO SUL GIUDIZIO OGGI 68 5
Matteo l'idea del giudizio che sarà pronunciato anche sulla comunità po
ne nuovamente in dubbio quella consolazione e quella conferma della
identità . Essa non rimuove quel dubbio, ma lo fa continuare. L'idea del
giudizio non lascia che la comunità riposi in se stessa e si consoli, ma la
mette in movimento. All'interno dello schema di pensiero apocalittico
l'idea matteana di giudizio, che è altrettanto apocalittica, ha per così di
re una funzione sovversiva rispetto alla consueta funzione principale del
genere apocalittico. Sta qui la caratteristica specifica del pensiero apoca
littico di Matteo.
b) L'escatologia apocalittica matteana risulta utile perché essa stessa
cozza continuamente contro i limiti della propria conoscenza e mostra
la propria fragilità. Le scarne informazioni circa la visione, le strutture
e il futuro del nuovo mondo rende particolarmente vistosi tali limiti. Un
momento di tale rottura è l'incompiutezza della concezione matteana
del tempo: le affermazioni del vangelo circa la vicinanza cronologica del
futuro di Dio vogliono intensificare e non certo relativizzare I l'assoluta
ignoranza umana circa il tempo e l'ora della parusia. L'affermazione che
si legge in 24,3 6 è di grande portata: non soltanto gli uomini, ma anche
gli angeli e persino il Figlio non sanno esattamente come dove e quando
verrà la fine. Mt. 24,3 6 segnala così una chiara differenza rispetto alla
maggior parte dei testi apocalittici giudaici, nei quali l'angelo interpre
te conosce ogni cosa. In quanto l'apocalittica matteana mostra soltanto
tracce dei limiti della concezione lineare del tempo, la rottura delle cate
gorie spaziali diventa più chiaramente visibile. Espressione di tale rottu
ra non è soltanto la « ubiquità» della parusia, che proviene dalla tradizio
ne di Gesù ( 24,23 -28), bensì anche il crollo del cosmo al momento della
parusia ( 24,29), dissoluzione che è conforme alla tradizione apocalitti
ca. Diversamente da quanto si legge in alcuni testi apocalittici, nel van
gelo di Matteo la rovina cosmica comporta un silenzio circa un eventua
le « nuovo mondo >> : il mondo spazio-temporale presente forma, allo stes
so tempo, il limite ultimo di ogni possibilità di ulteriori enunciati.� Infi
ne, desidero già adesso 3 far notare che lo schema apocalittico totale che
si trova in Matteo non è, allo stesso tempo, lo schema sistematico nel
D. Hellholm (ed.), Apoca/ypticism in the Mediterranean World and the Near East, Tii
bingen ' 1 9 8 9 , 687-70 5 .
I Nel senso di una ignoranza relativa: l'ora della parusia è certamente sconosciuta a tut
ti, meno che al Padre, ma il Figlio sa almeno che l'ora non è lontana.
2. Nel suo utile saggio Lohfinka, 6o, fa notare che nella sua storia la teologia cristiana