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non indurrebbe gli uomini a inserire questo amore nel calcolo dei pro
pri conti, non prendendo più sul serio la santità di Dio. 1 Che è proprio
quello che le vergini stolte hanno fatto."" ·
14 Poiché (è) come un uomo che, preparandosi a partire per un viaggio, chia
mò i suoi schiavi e affidò loro i propri beni. 1 5 E a uno diede cinque talen
ti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e poi
partì. Subito 3 1 6 quello che aveva ricevuto i cinque talenti si mise in mo-
r Cf. sotto, pp. 678 s.
2 Nella sacra rappresentazione delle Dieci Vergini di Eisenach (v. sopra, p. 593 n. 2),
versione A, 93-9 5 , la seconda vergine stolta dice: «Divertiamoci ancora per trent'anni, l
poi facciamoci tagliare i capelli l e ritiriamoci in un monastero ".
3 Nella tradizione testuale occidentale ( Vulgata compresa ) e in 'lJl tÙ19€ox; è riferito a
6o6 LA PARABOLA DEI TALENTI
to, trafficò con essi e guadagnò altri cinque (talenti) . ' 17 Parimenti anche 1
quello con i due ne guadagnò altri due. 1 8 Ma quello che ne aveva ricevuto
uno, uscì, scavò la terra e nascose il denaro del suo padrone.
19 Dopo molto tempo arriva, però, il padrone di quegli schiavi e regola
i conti con loro. 20 E si fece avanti quello che aveva ricevuto i cinque talen
ti, portò altri cinque talenti e disse: 'Padrone, mi hai affidato cinque talen
ti: guarda, ho guadagnato altri cinque talenti !'. 21 Il suo padrone gli disse:
'Ben fatto, schiavo bravo e fidato! Ti sei dimostrato fidato in poca cosa, ti af
fiderò responsabilità su molto! Entra nella gioia del tuo padrone!'.
22 Allora si fece avanti, però,3 anche quello con i due talenti e disse: 'Pa
drone, due talenti mi hai affidato: guarda, ne ho guadagnati altri due!'. 23 Il
padrone gli disse: 'Ben fatto, schiavo bravo e fidato! Ti sei dimostrato fida
to nel poco, ti affiderò responsabilità su molto! Entra nella gioia del tuo pa
drone!'.
24 Allora si fece avanti anche quello che aveva un talento e disse: 'Padro
ne, io ho capito che sei un uomo duro, mieti dove non hai seminato e rac
cogli dove 4 non hai sparso. 2 5 Perciò sono uscito pieno di paura e ho na
scosto il tuo talento nella terra: guarda, eccoti qua il tuo!'. 2.6 Ma il suo
padrone rispose e gli disse: 'Schiavo cattivo e pusillanime! Sapevi che mie
to dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso? s 27 Ma allora
avresti dovuto versare il mio denaro ai banchieri 6 e al mio ritorno avrei ri
cevuto il mio con gli interessi'. 28 Toglietegli, dunque, il talento e datelo a
quello che ha i dieci talenti !
29 Poiché a chi ha verrà dato e ne avrà in sovrabbondanza.
Ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha!
30 E scaraventate nelle tenebre di fuori quello schiavo inutile: lì sarà pianto
e stridore di denti.
r. Struttura. Mediante wa7tefl la nuova parabola si collega all'avvertimento
del v. 1 3 senza soluzione di continuità. Per le sue formulazioni essa ricorda
àm��(.l.lJaEV. Data la mancanza di segni d'interpunzione, nella maggior parte dei mano
scritti greci la questione non è risolvibile. A favore del punto fermo dopo e:Ù<8Éble;, pun
teggiatura sostenuta talora (ad es. da Fritzsche, 737) sin dal 1 800 e poi accettata total
mente dalle edizioni critiche moderne del N.T., si adduce: 1 . che altrove Matteo pone
EÙ<8Éwç sempre prima del verbo; 2.. che solo così l'avverbio ha un senso: il primo schiavo
ubbidisce senza por tempo in mezw.
1 'raì..ana manca nell'edizione Nestle-Aland16, ma è ben attestato da �. D, W, f'·'', ']l e
45-5I (termini in comune: ma't'Ò<; òouÀoc;, xtX.Sta't'lJI'L €1tl, o xt)pwc; 't'ou òouÀou
Èxetvou, ÈxEi Éa't'tXt o xÀtX�Òc; XtXt o �puyj!Òc; 't'wv òòov't'wv). Per l'interpretazio
ne della nostra parabola i lettori utilizzeranno automaticamente l'ultima sto
ria, letta o ascoltata da non molto. Anche nei due versetti finali del nostro
testo i lettori coglieranno espressioni già note (v. 29: cf. I 3 , I 2; v. 30: cf. 8,
12; 22,I3; 24,p).
La parabola stessa è formata da una breve esposizione, con la scena del
l'affidamento delle varie somme ai vari schiavi compiuto dal padrone pri
ma di intraprendere il viaggio (vv. I4 s.), alla quale seguono una rapida de
scrizione degli avvenimenti nel periodo compreso tra la partenza e il ritor
no del padrone (vv. I6-I8) e, infine, la lunga scena finale con la resa dei conti
fra il padrone e i tre schiavi (vv. I9-30). In questa scena salta agli occhi la
diversa lunghezza del tempo dedicato ai tre schiavi: dopo i due brevi dialo
ghi del padrone con i primi due (vv. 20 s.22 s.), lo spazio maggiore è occu
pato dal dialogo del padrone con il terzo (vv. 24-30): in pratica circa due
quinti dell'intera parabola. Come in altre parabole, 1 anche nella nostra la
conclusione è tutta un lunghissimo discorso del padrone (vv. 26-30). L'inte
resse principale riguarda quindi il terzo schiavo e ciò che il padrone gli dice.
La narrazione è decisamente stereotipata e contiene numerose ripetizioni
e corrispondenze. Così le due scene dei conti fatti con i due schiavi «pro
duttivi» (vv. 20 s.22 s.) sono identiche quasi alla lettera. Che essi abbiano ot
tenuto un profitto rispettivamente di cinque e due talenti viene ripetuto pro
lissamente nei dialoghi col padrone (vv. I 6 s.20.22). Lo stesso dicasi del ta
lento sepolto sotto terra dal terzo schiavo (vv. I8.2 5 ). Nel dialogo tra padro
ne e terzo schiavo la caratterizzazione di tipo proverbiale .SEp t"'wv o1tou oùx
E0'1tELptXc; XIXt auvaywv o.SEv où ÒtEaxOp1ttO'tX<; viene ripetuta dal padrone ( vv. 24.
26). Le ripetizioni sono conformi allo stile narrativo popolare e allo stile
matteano. 1 Il narratore le inserisce sempre con grande abilità stilistica, co
me si può notare soprattutto nella scena intermedia (vv. I 6-I8): qui i letto
ri si accorgono che tutto dipende dal profitto; qui fanno attenzione al terzo
schiavo, il cui comportamento è diverso da quello degli altri due e non pro
duce alcun guadagno. Arrivati al v. I 8 essi sono già in grado di porre la
domanda decisiva per la parabola: ma il padrone, come giudicherà tale com
portamento? 3 Segue ora il racconto, prolisso e ripetitivo, dei conti fatti con i
primi due servi (vv. 20-23 ), la cui funzione stilistica è quella di ritardare
l'azione, facendo così crescere l'attesa dei lettori: che il padrone lodi i due
schiavi produttivi non è una sorpresa; i lettori vogliono, invece, sapere che
fine farà il terzo schiavo. Allo stesso tempo queste due scene svolgono una
1 Cf. 1 3 ,2.9 s.; 2.0, 1 3 - 1 5 ; Le. 14,2.3 s.; 1 6,8- 1 3 .
:tS'incontrano ripetizioni simili i n 1 8,2.3-3 5 ; 2.0,1-1 5 e 2.5,3 1-46.
3 j.D. Crossan, In Parables, New York et al. 1 973, 101.
6o8 LA PARABOLA DEI TALEN TI
funzione importante perché attirano, per la prima volta, l'attenzione dei let
tori sulla dimensione metaforica della parabola: «Entra nella gioia del tuo
padrone» . Dal v. 24 inizia il punto saliente della parabola. Qui i lettori co
glieranno immediatamente la caratterizzazione del padrone: un elemento
che certo non avevano previsto. Dato che il padrone la ripeterà puntigliosa
mente (v. 26), essa resterà loro impressa nella mente. A questo punto i letto
ri avranno cominciato a elaborare la propria interpretazione.
227-258; Sato, Q, 22 s.; Agbanoub , 1 57-167; Riniker", 277; Jacobson, Gospel, 244; di
parere diverso, ad es., Liihrmann, Redaktion, 7 1 ; Schulz, Q, :z.88-2.93 .
1 Ad esempio la diversa successione negli elementi della risposta dello schiavo pusillani
me ai vv. 2.4 s./ Le. 19,20 s.; i due hapax òxvTjp(x;./a.Ùtrn)p(x;. al v. 26/ Le. 19,21 s.; la va
riazione auv!iyw &8e:v où Òte:axop7ttaa. e a.ipwv o oùx �-871xa. diversamente collocati ai vv. 24.
:z.6/ Le. 19,21 s.
3 A differenza di Mc. 4,2.5 parr. il logion inizia con un dativo introduttivo +participio e
7ta.v-.L È redazione matteana xa.lmptaae:u-8�ana.t (come 1 3 , 1 2.).
4 Secondo vol. 1, introduzione, 4.2., sono chiari matteismi: al v . 14: W0"7tf:P y!ip, iòtoç; al
v. I J: 11-Év, ÒÉ (circa 1 9x correlativo a 1-'Év, in Marco circa 2x), a:Ù19Éw.;; al v. 16: 7tope:u&tç,
Àa.pwv; al v. 17: waa.!Ytw.; (cf. :z.o,5; 2I,JO.J 6); al v. IB: ÒÉ, Àa.pwv, IÌ7tEÀ-8wv; al v. 19:
Èxe:ivo.; (cf. spec. 1 8,2.7; 2.4,50), auva.ipw Myov IlE"!% (cf. 1 8,:z.3 ); al v. 20: 71:poae:À-8wv, Àa.
[3cdv, 71:poaq!Épw, ÀÉywv; al v. 21:: q!Tjllt + dativo +soggetto; ai vv. 22 s. : cf. vv. :z.o s.; al v.
24: 71:poae:À-8wv ÒÉ; al v. 25: àmÀ-8wv; al v. 26: IÌ"ll:oxpt.Se:l.; ÒÉ +soggetto; al v. 27: o�v, ap
ytipta. (pl.); al v. 28: o�v; al v. 29: y!ip, xa.l "li:Eptaae:u-8�ana.t (cf. 1 3 , 1 2.); per il v. 30 cf. 8,
n; 2.2, 1 3 . Potrebbero essere redazione matteana: al v. 1:4: IÌ7toÒTji-'Éw (cf. 2.1,33 e Mc.
13,34), "ll:a.pa.ò(òwllt, -.!i im!ipxona. (cf. 19,2.1; 2.4,47); al v. IJ: -.aÀa.v-.ov (cf. 1 8,:z.4), éxli
O"'t(jl XrJ.'ttX (cf. 1 6,2.7); al V. I6: 'ttXÀa.nov, ÈpyaJ:O!la.l, liÀÀoç +cifra (cf. 4,2 1 ); al V. 1:7: aÀ
Àoç +cifra; al v. 1:8: xpu"ll:-.w, xtiptoç con genitivo possessivo (Matteo 1 9x, Marco 4x, Lu
ca 8x, SOprattuttO nelle parabole); al V. 20: aÀÀoç +cifra, TtXÀrJ.VTOV, 7ta.pa.ÒtÒW!lt; al V. 21:
xtip10ç con genitivo possessivo, daipxolla.t (cf. i detti della (haiÀELa.), mo--.6.; (cf. 24,45),
xa.-8tO""Tj!ll È"ll:t (cf. 2.4,4 5·47); ai VV. 22 S.: cf. VV. 2.0 s.; al V. 24: TtXÀa.VTOV, auvayw/axoprct
J:w (cf. 1 2.,30); al v. 25: cpofXolla.t, xpu"ll:-.w, TtXÀa.nov; al v. 27: É&:t dell'irrealtà (cf. 1 8,33);
formemente in tutto il testo, suggeriscono, con la formulazione attentamen
te studiata e unitaria, che Matteo sia stato il primo a mettere per iscritto que
sta parabola. In pratica si lascia isolare come sicuramente redazionale sol
tanto il versetto conclusivo (v. 30). Le coincidenze, relativamente numerose,
con Le. 19,1 2-27 nei dialoghi mostrano però che già nella tradizione orale il
testo della storia era relativamente stabile.
da Zerwicka, la cui parabola viene poi a somigliare quasi esattamente all'allegoria del
padrone che parte per un viaggio. Risulta, però, impossibile ricostruire una parabola in
dipendente di un pretendente al trono. Perciò è più corretto parlare con Weder, Gleich
nisse, 194 s., di «elementi legati all'immagine di un pretendente al trono�.
3 Ios. Ant. 1 7,300-3 16. 4 Anche in Luca si parla poi solo di tre schiavi.
5 In Luca il terzo schiavo è colpevole di disubbidienza all'ordine esplicito del padrone
(v. 1 3 ). Perciò quanto dice al suo padrone suona ironico e irrispettoso: il fazzoletto non
va d'accordo con la paura di un padrone tanto severo. Un argomento contro questa tesi
è che un talento è troppo grande e pesante (26-3 5 kg) per poterlo custodire in un fazzo
letto. Perciò quando Matteo è passato dalle mine ai talenti ha dovuto necessariamente
omettere il fazzoletto (ragionano così, ad es., Sc:hmid, 349; Gnilka, II, 3 5 8).
6 Ev. Naz. fr. 1 8, testo in Schneemelcher, s1, 1 3 5 .
6IO LA PARABOLA D E I TALENTI
nato da Dio deve aver agito immoralmente. Anche l'ordine esplicito dato dal
padrone agli schiavi di far fruttare il denaro (Le. 19,13) è probabilmente
secondario. Non c'è nessuna ragione, infatti, perché Matteo, che dà tanta
importanza all'attività degli schiavi, avrebbe dovuto ometterlo. Infine, è pro
babilmente secondario anche Le. 1 9,25, che sicuramente è stato inserito co
me versetto di raccordo dopo l'aggiunta del logion di Mt. 2 5,29 (cf. sotto).
Molto più probabilmente secondaria è la sostituzione in Matteo delle mi
ne con i talenti. Matteo ha una passione per somme di denaro così alte 1 e
si rimane un poco interdetti quando poi si dice che gli schiavi si sarebbero
dimostrati fidati •con così poco» (vv. 2 1 e 33). Viceversa le mine di Luca
dovrebbero appartenere alla tradizione antica perché non sono più adatte
alle possibilità finanziarie di un pretendente al trono ... Parimenti seconda
rie sono le due promesse escatologiche (vv. 2 1 e 23) fatte ai due schiavi più
abili di «entrare nella gioia del loro padrone» . Queste promesse raddop
piano il premio e sono conformi alla natura escatologica del v. 30. Come
questo versetto, possono essere benissimo redazionali anche quelle promes
se. Infine è probabilmente secondario il particolare che gli schiavi ricevano
capitali iniziali diversi: tale diversità corrisponde alla loro lòlcx òuvcxtJ.tc; (v.
1 5 ) ed è, presumibilmente, un riferimento allegorico alla diversità dei talenti
umani.3 Resta, invece, del tutto incerta la decisione relativa alla «scena in
termedia •• di Matteo (vv. 16-18). Nella storia essa ha una funzione impor
tante,4 ma non si riesce a spiegarne la mancanza in Luca. Spesso l'espressio
ne matteana fJ.E'tl17toÌ..Ùv "JPOVOV (v. 19) viene interpretata come riferimento
al ritardo della parusia e, perciò, ritenuta secondaria. Non è affatto certo,
poiché i due schiavi che durante l'assenza del padrone riescono, secondo Lu
ca, a moltiplicare uno per dieci e l'altro per cinque il capitale iniziale (Le. 19,
16.18), in realtà hanno bisogno di «molto tempo» . S Inoltre resta molto in
certo l'ordine di successione degli elementi del dialogo nella risposta del ter
zo schiavo (Mt. 25,24 s./ Le. 19,20 s.).
1 Cf. I 8,24. I talento corrisponde a 6o mine; I mina a Ioo denari; I denaro alla paga
giornaliera di un lavoratore. La sostituzione delle mine con i talenti può essere opera re
dazionale, ma non lo è necessariamente.
2. Cf. la descrizione quasi grottesca della scena dei vv. 24 s., dove lo schiavo che è diven
tato governatore di una decapoli riceve in dono ancora una mina con gli astanti che re
clamano: �Ma ha già dieci mine ! » . Come se al confronto di dieci città questa fosse una
gran donazione.
3 Controtesi in Lambrecht, Treasure, 225 s.: Luca avrebbe una predilezione per il nume
ro dieci. Oppure anche Luca ha pensato in chiave allegorica che le persone sfruttano i
propri doni in misura diversa (cf. Mc. 4,20 parr.)? Non liquet.
4 Cf. sopra, intr. a 25,I4-30, nr. 1 .
s Anche nella parabola giudaica del re che affida i propri beni a quelli d i casa sua (Pesiq.
[K] 14,5 [Thoma-Lauer, Gleichnisse I, 2 I 7] ), il re sta via �un po' di tempo» . Nella para
bola della donna che aspetta restando fedele (Pesiq. [K] I9,4 [Thoma-Lauer, op. cit.,
24 5 ]) il re sta lontano dal paese «molti anni» . Nella parabola dei due ministri Ualqut
Shim'oni 267a [Erlemanna, 216]) il re è assente • molto tempo» dal suo regno.
611
Inoltre è parere della maggioranza degli esegeti che il logion conclusivo
(Mt. 25,29 / Le. I9,26), tramandato quasi identico in Matteo e Luca, sia se
condario. La ragione principale di questa supposizione, a mio parere pro
babile, è che il logion viene tramandato più volte come logion isolato. • Si
tratta di un logion di commento che spiega perché lo schiavo pusillanime
venga punito, senza però schiudere veramente il senso della parabola.� In
fatti il punto saliente della parabola non è che viene tolto il suo a chi poco
ha, bensì a chi poco fa. La parabola originaria ha quindi incluso il nucleo
fondamentale di Mt. 25,14-28.3
La parabola può benissimo risalire a Gesù: 4 lo rendono probabile i nu
merosi paralleli giudaici. Infatti, nella tradizione giudaica sono molto fre
quenti le parabole con un re o un padrone che, prima di un viaggio, affida
ai suoi servitori o schiavi propri beni.s Molto affini alla nostra sono la pa
rabola dei due ministri 6 e la parabola del re che dona ai suoi amici grano
e lana; 7 inoltre si possono ricordare anche tutte le numerose parabole che
parlano di un deposito di denaro che si deve custodire fedelmente. 8 Nella
storia di Gesù, però, le cose stanno diversamente: gli schiavi devono mette
re a profitto il capitale affidato loro e non custodirlo gelosamente. Potrebbe
r Mt. 1 3 , 1 2. =Mc. 4,2.5; Ev. Thom. log. 4 1 .
�Così, a ragione, Riniker", 2.75, contro Foerster", 50; Agbanouh, 165, e Weder, Gleich
nisse, 2.00 s., che considerano il logion l'applicazione originaria della parabola.
3 Il v. 2.8 non è secondario (come pensa Kamlaha, 33 s.): per contrasto con il conferimento
di una responsabilità maggiore agli schiavi che hanno avuto successo, la storia deve con
cludersi per lo schiavo pavido con la sottrazione del capitale che gli era stato affidato.
4 Pensano, invece, a una creazione della comunità Schulz, Q, 2.93 s. 2.98; con dubbi Gras
ser, Problem, 1 14 (a morivo del ritardo della parusia); più convinto Fiedlera, 2.71 s. (per
ché non trova per la parabola alcun contesto convincente nella vita di Gesù).
5 Oltre a Pesiq. (K) 14,5 (v. sopra, p. 610 n. 5 ), cf. anche la parabola dei due governa
tori in Mek. Ba�odesh 5 (tr. Winter-Wiinsche, 2.08) (un re istituisce un sovrintendente
alla sua paglia e uno al suo oro. Il primo si appropria indebitamente della paglia e non
può quindi diventare sovrintendente all'oro) e Semahot 3,3 (Fiusser, Gleichnisse, 2.4) (un
re affida alla sua servitù oro e argento perché commercino con esso. Il seguito della storia
è però diverso; cf. sopra, p. 569 n. 3 a 2.4,4 5-p).
6 Jalqut Shim'oni 2.67a (Erlemanna, 2.1 6): un re parte per un viaggio all'estero; uno dei
suoi ministri lo ama, l'altro lo teme: lo dimentica durante la sua assenza e trascura i pro
pri doveri. Al ritorno il re gli chiederà conto del suo operato.
7 Tana debe Elia 5 3 (Erlemanna, 2.16 s.): prima di partire un padrone dona a due suoi
amici grano e lana. Il primo li usa per fare un pane e uno scialle, il secondo li conserva
così. Al ritorno il padrone loda il primo amico.
8 Tra le parabole di questo tipo ci sono Lev. r. 1 8 ( 1 17d) (Bill., I, 2.05 s. ) (il sacerdote
�aber consegna a un 'am hii'are� un pane puro- s'intende l'anima); Ab. R.N. 14 (Bill.,
I, 971 ) (il deposito del re- s'intende il figlio di Johanan ben Zakkai); Shab. 1 5 2.b (Bill.,
tv, 104 5 ) (il re distribuisce vesti - s'intende l'anima); Pesiq. (K) 19,4 (Thoma-Lauer,
Gleichnisse I, 2.4 5 ) (il re assente lascia alla sua amata promesse e atto di matrimonio
s'intende che Dio lascia a Israele la torà).
612 LA PARABOLA DEI TALENTI
adattarsi a Gesù anche la natura immorale del soggetto della storia: il capi
talista e i suoi schiavi che fanno affari col suo capitale. Infatti, anche nella
parabola dell'amministratore astuto (Le. 1 6, 1 - 8 ) Gesù giudica positivamen
te un tipo scaltro che, trovandosi in una situazione scabrosa, riesce, andan
do oltre la legalità, a fare ciò che è buono per sé. Anche nella parabola del
giudice ingiusto (Le. 1 8,2.-8a) il cadì gentile, che rappresenta Dio, non è cer
to un personaggio simpatico.' Anche nella parabola del tesoro sepolto nel
campo (Mt. 1 3 ,34) lo scopritore agisce con accortezza, ma con dubbia le
galità e moralità. 2.
Storia degli effetti. Oggi la parabola dei talenti solleva una duplice
protesta: una per la storia in sé, una perché essa viene applicata a Dio.
Giustifica forse lo sfruttamento e il profitto collegandovi anche Dio?
Nella parte finale del Romanzo da tre soldi Bertolt Brecht racconta di
una predica funebre tenuta da un vescovo dopo l'affondamento di una
nave da guerra. La nave era affondata con persone e cose, perché i suoi
proprietari, che pensavano solo al profitto, avevano fatto varare la na
ve prima che fosse in grado di reggere il mare. Il testo della predica era
Mt. 2.5, 1 4-30. Il succo del sermone era, in poche parole, il seguente: « Sì,
amici miei, . . . Dio è un padrone severo e pretende i suoi interessi. Ma,
amici miei, è anche un padrone giusto: non reclama da ogni schiavo gli
stessi interessi . . . Egli prende ciò che gli danno. Egli non accetta solo il
nulla assoluto del terzo schiavo, di quel servo pigro, pignolo e inaffidabi
le . . . Il senso profondo di questa parabola . . . consiste nel principio sor
prendente: a ciascuno secondo le sue capacità » ) Assistono alla funzio
ne, indisturbati, i proprietari della nave che hanno ottenuto il proprio
profitto «ciascuno secondo le sue capacità » . Il conto del profitto lo ave
vano pagato i marinai annegati. La parabola diventa qui la giustificazio
ne di qualsiasi tipo di profitto e sfruttamento.4 La protesta di Brecht con
tro questa lettura della parabola 5 è comprensibile. Se l'avidità di pro-
r Un esempio giudaico paragonabile è la parabola dei briganti in carcere di Pesiq. (K)
app. IIIB (Thoma-Lauer, Gleichnisse 1, 3 26 s.) (il re giudica positivamente la fuga dei
briganti evasi dal carcere). 2. Cf. vol. n, pp. 443 s.
3 B. Brecht, Dreigroschenroman, in Id., Gesammelte Werke XIII, Frankfurt 1967, 1 1 42 s.
4 Da qui la protesta di Rohrbaugha, 3 5 , contro la parabola che porterebbe a considerare
questo padrone onorevole, e sostiene •una lettura contadina » (titolo del suo articolo) del
la parabola. Esegeticamente la sua impresa risulta un fallimento.
5 Cf. anche la sua Ballata del talento nelle Canzoni infantili del 1934, in B. Brecht, Ge
sammelte Werken IX, Frankfurt 1967, 507: « Quando nostro Signore sulla terra l si di·
lungava in proverbi, l ci ordinava di non sottovalutare Ilo strozzino. Il Egli consigliava a
tutti i visitatori, che riceveva presso di sé, l di ricavare profitto dal proprio capitale l cia
scuno più che poteva. . . . Qui in terra non si vede forse ogni ora l e in ogni luogo l che
Dio non perdona l chi non pratica sistematicamente l'usura ? Il Ma che possono fare, al-
613
fitto di un capitalista e i metodi, presumibilmente poco piacevoli, dei
suoi agenti per ottenere un profitto del soo% o del 1 ooo% diventano
una similitudine adatta al regno di Dio, la logica conseguenza non può
che essere che questi metodi e l'idea del profitto che li genera vengano
minimizzati e giustificati visto che, tutto sommato, essi non sono che
un'immagine del modo di operare di Dio. In questo modo Dio diventa
un Dio dei ricchi e dei capaci poiché egli agisce proprio come loro.
Di seguito alla scena della funzione funebre, Brecht narra un sogno
del povero soldato Fewcoombey, che, giudice supremo, celebra il proces
so al piccolo borghese Gesù di Nazaret, imputandogli di «aver inventa
to una parabola che da duemila anni era stata utilizzata da pulpiti di ogni
colore » e che, ai suoi occhi, «rappresentava un particolare crimine >> .
Egli celebra questo processo in veste di avvocato dei poveri, che con i
loro talenti non possono produrre profitto perché non hanno capitali e
perché non sono dei furfanti. La domanda di fondo che il soldato giu
dice pone all'imputato Gesù è questa: perché alcuni moltiplicano i pro
pri talenti e altri solo la propria miseria ? Egli accusa Gesù di aver diffu
so il falso. « L'imputato (Gesù) contesta agitato una tale accusa: è assolu
tamente possibile trarre da un talento cinque o dieci talenti; basta darsi
molto da fare e avere un'adeguata gestione. Alla domanda: ma quale ge
stione ? l'imputato sa solo ripetersi e risponde: 'Una gestione adeguata,
un'amministrazione normale'. Incalzato dal giudice supremo alla fine
confessa di non avere il minimo interesse in questioni economiche spe
cifiche>> . La conclusione che Fewcoombey trae dal processo è questa: in
realtà «l'uomo è il talento dell'uomo. Chi non ha un altro da sfruttare,
sfrutta se stesso >> . Condanna poi l'imputato Gesù per complicità: «Poi
ché hai dato in mano alla tua gente questa parabola, che è anch'essa un
talento: con il quale si ottiene un profitto » . 1
In primo luogo si dovrà esaminare la parabola, poi la sua applicazio
ne; infine si potrà emettere un giudizio. Il primo passo è accertare il si
gnificato originario della parabola quando è stata raccontata da Gesù.
x Derrett4, 1 87-190, legge il testo alla luce dell'istituto della 'isqii' (affare, ossia parteci
pazione commerciale); in merito si confronti come testo principale B.M. 104b; inoltre
Klingenberg4, 87-98.
2. Contro la tesi di Derrett4 depone anche il fatto che la parabola non parla mai di un gua
dagno dei 8ouÀot, ma solo di una loro maggiore responsabilità. Anche il v. 28 non dice
che il primo schiavo riceva per sé le mine dell'ultimo.
3 Qidd. 23b: lo schiavo guadagna solo per il suo padrone, non per sé. Ulteriori testimo
nianze giudaiche in Bill., 1, 971 .
4 Cf. M . Finley, Die Sklaverei in der Antike, Miinchen 198 1 , 1 22 s . Inoltre, nel diritto ro
mano anche il peculium restava sempre parte del patrimonio padronale, anche se lo schia
vo poteva disporne in larga misura (M. Kaser, Das romische Privatrecht [HAW x/3,1]1,
'1971, 287 s.).
5 Le informazioni che si leggono solitamente nei commenti sono diverse. Cf. però la do
cumentazione in M. Finley, Die antike Wirtschaft, Miinchen 1 977, 1 3 7 (1v sec. a.C.:
u%); 54 (al tempo di Cicerone: 6%); 140 (inizi del H sec. d.C.: 9%). Cicerone fa scen
dere al 1 2% il giovane Bruto che a Cipro pretendeva interessi del 48% (op. cit., 5 5 ). Il
2.0% di cui si parla in Muraba'at, nr. 18 (DJD 11, 1 0 1 ) non riguarda interessi normali, ma
interessi di mora. I tassi d'interesse si alzano solo nel m secolo a causa dell'inflazione. Se
condo Kaser (v. nota precedente), 497, dalla fine della repubblica in poi il tasso d'inte
resse massimo si stabilizzò sul 1 2%. Tassi maggiori sono documentati per l'Egitto (Mit
teis-Wilcken, Grundziige 11, 1 9 1 2, 1 1 8), ma anche qui non si tratta del tasso normale.
6 R. McMullen, Roman Social Relations, New Haven 1974, 48-5 2.
(v. 18). Il terzo schiavo si comporta diversamente. Egli considera la
somma di denaro un deposito congelato che gli è stato affidato. ' Lo cu
stodisce accuratamente: nelle fonti rabbiniche seppellire il denaro è espli
citamente vantato quale sistema accurato di custodia, al contrario del
sistema rozzo di custodire il denaro in un panno. 1 Gli ascoltatori sono
ora ansiosi di sapere che cosa succederà a questo schiavo che ha eviden
temente interpretato il compito affidatogli in maniera diversa dagli altri
due conservi. Come lo giudicherà il padrone ?
(vv. 19-2.3). Il padrone degli schiavi ritorna dopo lungo tempo e rego
la i conti con i suoi schiavi. Loda i due che hanno concluso con succes
so i loro affari e affida loro responsabilità maggiori. Probabilmente affi
da loro somme maggiori con cui trafficare, visto che hanno superato la
prova. Che essi si siano dimostrati affidabili «in poca cosa » potrebbe
richiamare alla mente degli ascoltatori gli esempi di Mosè e David, ai
quali Dio aveva affidato mandrie prima di assegnare loro mansioni mag
giori.3 Ma, giunta qui, la narrazione non aggiunge altri particolari, af
frettandosi, invece, a trattare il rendiconto del terzo schiavo.
(vv. 2.4-2.8). Questi si avvicina e restituisce al padrone le sue mine. Il
breve discorso con il quale egli accompagna la restituzione del deposito
fa tendere l'orecchio agli ascoltatori: egli definisce il proprio padrone
«duro » 4 o «severo » (Luca) . Le affermazioni metaforiche proverbiali
«mieti dove non hai seminato » e « raccogli dove non hai sparso» pote
vano essere senz'altro riferite dagli ascoltatori (almeno nella formula
zione greca del testo) ad affari finanziari.s Il padrone appartiene, dun
que, a quel tipo di persone che fanno profitti ingiustificati. Perciò lo si
r In B.M. 3,II i rabbi distinguono il denaro affidato che è •annodato• (�nir), cioè un
cire il denaro affidato che il custode portava in spalla dentro un telo, facendolo pendere
sulla schiena oppure che non teneva fuori della portata dei bambini.
3 Cf. le attestazioni in Bill., I, 972..
4 axì.l)p<).; richiama le seguenti associazioni: spietato (cf. I Sam. 2.5,3 LXX), despota in
sensibile (cf. Is. 14,3; 19,4); empio (/s. 48,4; in greco: y1vroaxw iyw o�1 axÀlJ{IÒ.; e:l).
s Agg. 1,6: ane:lpw per esborsi di denaro; Plut. Mor. 2.,182.a: -8Epi'Cw indica il saccheggio
di una provincia; Giob. 2.0,15: auvayw usato a proposito di denaro; 2 Cor. 9,9 = Sal.
I I I ,9 LXX: axopni'Cw «distribuire denaro» . Per sentenze metaforiche proverbiali con la
coppia di opposti «seminare - mietere, raccogliere» cf. Bauer, Wb6, s.v. ane:lpw, r .b, e s.v.
8e:pi'Cw, 2.; LSJ, s.v. anelpw, I. I . Inoltre Gv. 4,37; Mt. 13,3-9·2.4-30. Un proverbio greco
analogo recita: ii !I.'ÌJ xa�Éo/Jou, !I.'ÌJ civÉÀlJ (documentazione in Derretta, 191 n. 30).
616 LA PARABO LA DEI TALENT I
Didiera, 255; Hill, 3 29, e altri che seguono la tradizione esegetica occidentale influenza
ta dalla traduzione latina di oxvljpOç con piger), bensì «titubante», «pauroso» . Cf. Poli.
1 Gleichnisreden n, 4 8 I . Per Jiilicher l'idea del giudizio passa in secondo piano, senza pe
cessa da Dio, dalla realtà del genuino culto di Dio, dal rischio del rapporto col prossi
mo. Rendendo la torà . . . il tesoro di una religiosità meticolosa che dev'essere custodito
rigorosamente, voi soffocate dò che vi è stato affidato . . . In questo modo diventate voi
stessi sterili» (Dietzfelbingera, 2.30 s.).
x Grundmann, 52.1. 2 Così, a ragione, Puig y Tàrrecha, 1 82.-1 8 8.
1 Secondo Didiera, 269, Gesù vuole esortare i discepoli all'attività in vista della passione
che si avvicina. Puig y Tàrrecha, r83-I93, collega il «guadagno con rischio» alla rinun
cia a ogni sicurezza richiesta dalla sequela di Gesù. Per Riniker", 286, si tratta di supe
rare le difficoltà del discepolato cui si allude, ad es., in Le. 14,28-3 2 o Mc. ro,1 7-22.
1 Duponta, 759·
621
quel punto della parabola che li riguardava. Se si prende invece la para
bola in sé, essa risulta ambigua. Resta dunque in sospeso se Dio non sia
davvero il giudice «duro » . 1
suo capitale, ma gli andò male e fallì. Il padrone lo avrebbe invitato a «entrare nella sua
gioia »? Speriamo di sì.
2. Per semplicità non tratto la tradizione prematteana della comunità. L'analisi redazio
nale ha mostrato come Matteo si sia basato in larga misura su quella tradizione e, pre
sumibilmente, si sia limitato ad accentuarla in modo più chiaro, senza modificarla radi
calmente.
3 In tedesco il termine Talent («talento, dote naturale, inclinazione » ) non proviene diret
tamente dalla parabola. Presumibilmente per influenza della Vulgata che traduce -raÀ.ctv
-rov con talentum, il termine è entrato dapprima nelle lingue romanze e solo nel xn seco
lo è passato dal francese in tedesco. Cf. T. Zahn, Bibelwort im Volksmund, Niirnberg
1 893, 3 5, e DWb XI/I / I ( 1 93 5 ) 96 s. Lutero e Zwingli traducono con Centner. In inglese
talent è usato sin dal XVI secolo nell'accezione di «talento, dono naturale» (The Oxford
English Dictionary xvii, '1 989, 5 80). 4 Cf. sotto, p. 627 e n. 2.
622 LA PARABOLA DEI TALEN T I
se già e meglio indicate dalla frase xa'tà ""�" lò(av òuvap.tv. Forse la para
bola vuole indirizzare i pensieri in direzione dei diversi carismi nel sen
so di I Cor. 1 2, così da far pensare ai doni di guarigione, profezia, inse
gnamento, ecc. Si adatta bene alla visione paolina anche l'inquadramen
to dei talenti nel rapporto << padrone - schiavo » : essi non sono proprietà
degli schiavi stessi, ma sono doni prestati o, meglio, « incarichi concessi
in prestito» dal Signore, che la comunità ha ricevuto (cf. I Cor. 4,7 ) . La
grande unità monetaria << talento » indica che i membri della comunità
hanno ricevuto da Cristo qualcosa di molto grande. I lettori avranno in
teso la frase «a ciascuno secondo le sue capacità » I come riferimento al
la misericordia del loro maestro: egli li manda per il lungo cammino
della giustizia, ma non sovraccaricherà nessuno poiché il suo «carico è
leggero » ( n ,3 o).1 Ciò che qui conta non è, come in Brecht, il fatto che
nel giudizio il padrone severo ricompenserà « ciascuno secondo le sue ca
pacità »,3 bensì la maniera in cui il misericordioso Signore della comu
nità distribuisce i compiti ai suoi discepoli.
2.o-2.3 . Arrivati alla « resa dei conti » i lettori pensano al giudizio uni
versale (cf. r 8 ,2.3 s.). Gli schiavi che hanno lavorato compaiono davan
ti al giudice Cristo, loro Signore. Gli presentano i frutti del loro lavoro,
dunque le opere buone. I Come lo schiavo affidabile di 2.4,4 5-4 7 e nel
senso di un logion cristiano che più tardi sarebbe diventato molto diffu
so (cf. Le. r 6, r o; 2 Clem. 8 , 5 s.), essi si sono dimostrati «fidati in poca
cosa » e vengono ricompensati. Per entrambi gli schiavi la promessa è la
medesima e non dipende dall'ammontare della somma che sono riusciti
a guadagnare. A questo punto i lettori pensano alla medesima paga di
19,2.8-2.0, 1 6. La «gioia » ha forse richiamato alla loro mente, soprattut
to dopo 2. 5 , 1 0, un convito festoso ... Il verbo daÉp'X.t:a-8a.& li induce a pen
sare al regno dei cieli nel quale anche loro « entreranno» . Su questo pun
to Matteo è avaro di particolari: le gioie celesti o il potere celeste dei giu
sti quale compensazione delle sofferenze terrene non vengono descritti;
le parole «molto » e «gioia » devono bastare. Non sarà così con il desti
no del condannato: la parabola ne parlerà subito dopo.
2.4-2.7. Ora è la volta del terzo schiavo che si avvicina e depone ai pie
di del padrone il suo talento inutilizzato. Ai lettori delle comunità mat
teane il discorso che egli rivolge al padrone suona arrogante e ingiusto.
Essi sanno già, per propria esperienza di fede, che il loro Signore non è
un «padrone severo» interessato solo al proprio profitto,3 bensì è «gen
tile» , il suo «giogo è soave» ( r r , 2.9 s.) ed egli, il loro Emmanuele, li sal
va quando stanno per affogare ( r 4,2.8-3 r ) . Per loro, con il suo discorso
blasfemo lo schiavo dimostra di essere un ipocrita.4 Per la comprensio-
I L'idea dei successi missionari (cf. Luck, 2.7 1 ) non è certo l'aspetto principale, anche se
non la si può escludere, poiché per Matteo la missione si fa anche e soprattutto con le
opere ( 5 , 1 6; 1o,8 s.).
:1. iim�ii può significare «festa» ; cf. Dalman, Worte, 96; Bill., 1, 972. s.
z Matteo è capace di riportare con un senso diverso logia affatto uguali o simili: cf. ad es.
7,1 5-1 7 e 1 2,33-3 5; 10,17-22 e 24,9 - 14; per i racconti cf. 1 4, 1 3 -21 e 1 5,32-39.
2. Cf. 10,42: un compenso celeste per un solo bicchiere d'acqua! 3 Cf. vol. n, p. 32·
Matteo ha reinterpretato la parabola tradizionale utilizzando lo stru
mento ermeneutico dell'allegoria. ' In questo caso, rispetto alla parabola
originaria di Gesù l'allegorizzazione comporta una reale innovazione:
essa ha cambiato la più importante delle sue metafore, quella del padro
ne, riferendola non più a Dio, ma a Gesù. Soltanto Gesù, il narratore e
«commento » originario alla parabola, il quale ora era assente, poteva
proteggerla dall'equivoco di parlare di un Dio «duro » che pretende «pro
duttività » . L'allegorizzazione cristologica fece dunque qualcosa che, con
siderando la parabola originaria di Gesù, era assolutamente necessario.,.
L'allegorizzazione matteana mette in evidenza tre dimensioni di signi
ficato della parabola. La più importante è la sua dimensione cristologi
ca. Mediante questa lettura l'evangelista evita che le affermazioni della
parabola assumano un valore generale riguardo a Dio e agli uomini:
adesso esse sono vere soltanto in Cristo. Essa evita che il padrone degli
schiavi della parabola sia un affarista spietato e privo di scrupoli e ap
paia, invece, un Signore degno di fiducia.3 La parabola parla del totus
Christus che fu presente (v. q), che è assente (vv. 1 6- 1 8 ) e che ritorne
rà (vv. 19-30), e incoraggia a leggere tutto in questa prospettiva. La se
conda dimensione fondamentale è la dimensione escatologica. La fede e
la prassi della comunità si collocano nell'orizzonte del giudizio univer
sale celebrato dal figlio dell'uomo Gesù, giudizio nel quale esse devono
dare buona prova di sé. Se il riferimento al giudizio, che anche la comu
nità dovrà affrontare, risulterà un incoraggiamento a « lavorare» e non
avrà un effetto paralizzante dovuto alla paura, dipenderà da ciò che l'in
tero vangelo di Matteo dice circa il « Signore » Gesù. I lettori interpreta
no la parabola secondo l'analogia dell'amore che essi stessi, nella loro fe
de, hanno imparato da Cristo. Se, invece, la parabola viene letta come te
sto isolato, staccato da quella esperienza e dal macrotesto del vangelo,
allora essa «non funziona » . Infine è importante riconoscere che in que
sta parabola tutto quanto è narrato in funzione della sua dimensione pa
renetica. Nel discorso sul giudizio futuro si parla del presente. Il presen
te «non è il periodo vuoto segnato dall'assenza del Signore» 4 bensì l'op
portunità di mettere il lume sullo staio e far risplendere le opere a lode
del Padre ( 5 , 1 5 s.); significa l'occasione per rischiare non solo i propri be
ni (cf. 1 9 , 1 6-27 ), ma persino la propria vita (cf. 10,3 9; 1 6,25 ). Ma tut-
to ciò non può certo cancellare il fatto che la parabola parli del giudi
zio venturo e termini con una nota fosca. Cristo non è soltanto un Signo
re fedele e degno di fiducia, ma è anche un minaccioso giudice univer
sale. L'orizzonte escatologico della parabola non dona alla comunità
soltanto il coraggio di rischiare, ma le incute, forse, anche paura. Se i let
tori cominciano a « lavorare» può essere anche per il pungolo della pau
ra che incute loro il «pianto e stridore di denti » . Il finale che Matteo ha
dato alla parabola (v. 30) non mette a tacere il dubbio che il Signore pos
sa effettivamente essere un « uomo duro » e che la paura del terzo schia
vo possa non essere del tutto infondata. In questa parabola matteana ri
mane un fondo di ambiguità che si ritrova anche, in generale, nella con
cezione matteana del giudizio. I
la comunità e farà ritorno soltanto dopo lungo tempo, alla parusia. Ma an
che per la chiesa che verrà Cristo non è soltanto assente. Ciò che Matteo
ha espresso con la sua cristologia dell'Emmanuele, senza però collegarlo
direttamente con questa parabola, gli interpreti successivi lo hanno detto,
seguendo Origene, ricorrendo alla dottrina delle due nature: Cristo è lonta
no soltanto secondo la sua natura umana, «ma secondo la natura della di
vinità » è «ovunque» . .. Anche se il Signore è assente, la comunità non vive
nell'oscurità della lontananza di Dio.
2. Gli schiavi sono gli apostoli, i maestri, i dottori o i dignitari della chie
sa, cioè vescovi, sacerdoti, diaconi, prelati, predicatori, ecc.J Perlopiù si fa
I Cf. sotto, pp. 678-686. :. Orig. In Mt. ser. 65 (GCS 1 1 , 1 5 2. s.; cit. a 1 5 3 ) .
3 Hier. In Mt. 2 3 9 e l a tradizione d a lui dipendente pensano agli apostoli. Chrys. In Mt.
78,3 (PG 58, 714); Eutimio Zigabeno, 63 3 e altri pensano ai responsabili della parola e
della dotttina; Teofilatto, 425, pensa a vescovi, preti e diaconi. Dionigi il Certosino, 273,
ai prelati in quanto successori degli apostoli. Bullinger, 219B, e Melantone, 205, ai pre
dicatori. I banchieri del v. 27 sono o i maestri o tutti i cristiani; cf. la storia dell'interpre
tazione in Bogaert".
una distinzione tra la parabola dei talenti e quella precedente delle vergini
che si riferiva a tutti i cristiani. È interessante notare come proprio le in
terpretazioni figlie della Riforma si siano spesso attenute a questa lettura,
mentre nell'esegesi cattolica del XVI e xvn secolo si può notare una tenden
za maggiore a vedere negli schiavi tutti i cristiani. La giustificazione esege
tica per tale lettura è che anche allora, nel momento in cui Gesù aveva rac
contato la parabola, tutti l'avevano ascoltata. Il principio esegetico appli
cato suonava: «Senza argomenti cogenti non si può limitare il senso della
Scrittura » . 1 Qui abbiamo, quindi, esegeti cattolici che sottolineano il sa
cerdozio universale!
3· I talenti vennero interpretati nelle maniere più svariate. L'interpretazio
ne più antica li riferiva alla parola di Dio.1 Per Origene i cinque, i due e l'uni
co talento rappresentano i vari gradi di comprensione della Scrittura: a co
loro che hanno cinque talenti è data una comprensione spirituale della Scrit
tura, quelli con due talenti si sono elevati un po' al di sopra del senso lette
rale della Bibbia, quelli con un solo talento sono quanti sono rimasti fermi
alla lettera che hanno ricevuto all'inizio) Già nella chiesa antica i talenti
vengono letti alla luce di I Cor. I l., I l. ss. e riferiti ai carismi ovvero, nella ter
minologia scolastica, alla gratia gratis data. 4 Per Gerolamo e i suoi discepo
li i due talenti sono l'intelligenza e le opere, l'unico talento del terzo schiavo
la ragione.S Il numero cinque dei talenti del primo schiavo suggerì di rife
rirli ai cinque sensi naturali.6 Questa lettura aprì la porta anche a conside
rare tra i talenti anche le doti naturali che una persona possiede per natu
ra. 7 Infine, vennero annoverati fra i talenti anche beni esteriori: posizione
sociale, ricchezza, influenza, ecc. 8 Un bel pensiero è quello che s'incontra
in Bengel: il tempo che si ha va considerato un talento donato.9 Dopo il
medioevo, nell'esegesi predomina la tendenza a vedere nei talenti tutto ciò
che l'uomo è e ha, poiché, tutto sommato, non esiste nulla che l'uomo non
abbia ricevuto da Dio. 10 Ma, a questo punto, risultava difficile tracciare una
1 Maldonado, 494: �Non est sine necessariis argumentis Scripturae sententia restringen
da » . Cf. Lapide, 4 5 8 .
1 Clem. Al . Strom. I ,:Z.,I -4,2 (BKV n/I ?, 1 2 s.; Ps.-Ciem. Hom. 3 , 6 1 ; Orig. In Mt. ser. 66
(GCS I I , 1 54 s.) (la Bibbia ); Tenullian. Praescr. Haer. 26,1 (BKV r/24, 3 3 3 ), ecc.
3 Orig. In Mt. ser. 66 (GCS I I , 1 54); fr. 506 (GCS 1 2, 208 s.).
4 Così, ad es., Cyr. Al. In Mt. fr. 283 (Reuss, 2 5 3 ) (X�ICrJJ- a 7tVEUflo1X'tlxov); Hier. In Mt.
239 (diversae gratiae); Dionigi il Certosino, 274; Faber Stapulensis, 105.
s Hier. In Mt. 239.
6 Hier. In Mt. 2.39 s.; anche Ambr. In Le. 8,92 (BKV r/2. 1 , 5 1 5 ); Greg. Magn. In Evang.
9, 1 (PL 76, 1 106); nel medioevo quasi tutta l'esegesi occidentale.
7 Così, ad es., Dionigi il Certosino, 274. La maggioranza degli interpreti considera i bo
na naturalia tra le virtutes che l'uomo già possiede e in proporzione alle quali riceve poi
i talenti; cf. Tommaso, Lectura, nr. 2040.
8 Lapide, 4 5 8 ; Brenz, 7 3 3 · 9 Bengel, 149 (al v. 14).
1 0 Maldonado, 494 ( �naturalis ratio, offida ecclesiastica, sensus, verbum Dei » ); Lapide,
628 LA PARABOLA DEI TALEN TI
458 ( «quaelibet dona Dei » , cioè <<gratia gratum faciens, gratiae gratis datae [i carismi],
bona externa [come, ad esempio, le cariche, gli onori secolari ed ecclesiastici] »).
I Maldonado, 4 9 5 . Egli propone di considerare questa espressione non parte del signifi
pretendere dagli uomini opera meritoria che non potrebbero produrre e x naturalibus.
I I Bullinger, :z.:z.rA.
differente numero dei talenti che, secondo Matteo, i tre schiavi hanno rice
vuto. Forse proprio la circostanza che lo schiavo che ha ricevuto di meno di
venti la figura negativa spiega perché gli interpreti si preoccupino tanto dei
«piccoli >> . «Anche con un solo talento puoi fare del bene», dice Giovanni
Crisostomo; <<tu non sei certamente più povero di quella vedova [di Mc. 1 2,
41-44] né meno istruito di Pietro e Giovanni >> . 1 Nelle prediche si ripete co
stantemente che Dio non premia la grandezza dell'opera, bensì la buona vo
lontà: perciò il primo e il secondo schiavo ricevono la medesima ricompen
sa e perciò un diacono non è migliore di un laico zelante.� Con la sua fede
Paolo ha ammaestrato pubblicamente l'intera chiesa; un piccolo contadino
guida, tra le sue quattro mura, la famiglia alla pietà: la ricompensa è la me
desima e ognuno deve essere contento della sua vocazione) Nessuno ha
tutti i doni, ma anche nessuno ne è completamente privo. La povertà può
essere un dono più grande della ricchezza, la malattia uno più grande della
salute. Paolo o Francesco d'Assisi possono aiutare a capire perché.4
7. Solo nel caso di certe interpretazioni in chiave di storia della salvezza
non parlerei tanto di sviluppo di significati potenziali del testo, quanto piut
tosto di loro alterazione. L'esempio migliore lo offre Ilario, a detta del qua
le lo schiavo con i cinque talenti rappresenta quegli israeliti che adempiono
i comandamenti dei cinque libri di Mosè alla luce dell'evangelo, per la gra
zia della giustificazione. Lo schiavo con i due talenti rappresenta i gentili
che hanno soltanto la fede e la confessione di fede e le fanno fruttare. Infine,
lo schiavo con un solo talento rappresenta i giudei che ritengono sufficien
te la legge di Mosè e nascondono la gloria dell'evangelo.s Questa interpre
tazione basata sullo schema della storia della salvezza è stata adottata solo
sporadicamente. 6 Essa è molto lontana dalla direttrice del testo matteano in
quanto con essa la chiesa proietta su Israele quel giudizio che Dio le ha riser
vato come possibilità.
Quanto alle interpretazioni della parabola prodotte dalla Riforma, è
in Calvino che si trova, nella forma più chiara, un nuovo accento che di
venne importante per il futuro. Secondo Calvino i talenti (Zentner) ven
nero distribuiti affinché, per loro tramite, venisse promosso «il traffico
reciproco tra gli uomini » e «l'utile comune >> . Noi produciamo «per Dio
stesso frutto e profitto . . . se risultiamo utili il più possibile ai nostri fra
telli>> .7 Il luogo dove ciò avviene è lo stato cristiano, per esempio la Re
pubblica di Ginevra. « Calvino libera quindi l'illimitata molteplicità dei
doni . . . da ogni subordinazione delle opere secolari a quelle spirituali,
dei laici al clero >> . 8 Anche lo sguardo di altri riformatori va oltre le mu-
I Chrys. In Mt. 78,J (PG 58, 714).
� Così, ad es., Opus Imperfectum 5 3 (PL 5 6, 936).
3 Brenz, 73 5 s. 4 Lapide, 4 5 8 . 5 Hil. Pict. In Mt. 2.7,7-10 (SC 2.58, 2.10-2. 1 5 ).
6 Ad es. da Pascasio Radberto, 8 5 1 s. 8 5 6. 7 Calvino, n, 1 68. 8 Mieggea, 1 1 1.
LA PARABO LA DEI TALENT I
ra della chiesa: non solo i servitori della parola, ma anche «gli altri mor
tali nei doveri della vita che essi devono adempiere » I possono essere pa
ragonati agli schiavi che hanno ricevuto i talenti. Nell'ottica della con
cezione protestante del mondo quale luogo in cui lodare Dio, questa
posizione è assolutamente coerente. 1 Probabilmente sono state gettate
qui le basi di uno sviluppo moderno, che avrebbe sciolto gradualmente
il legame della parabola con Cristo, con il compito che egli aveva dato
ai suoi discepoli e con la chiesa quale luogo della sua attuazione.
Non è questa la sede per illustrare nei particolari questo sviluppo che proce·
de di pari passo con la crescente laicizzazione, individualizzazione, privatiz
zazione e, infine, secolarizzazione della società. Bastino un paio di esempi
presi dal XIX secolo. In questo secolo la parabola diventa il paradigma per
l'impegno personale del cittadino cristiano nel mondo. Per Ewald nel giu
dizio universale la posta in gioco è questa: «Che ognuno con la sua capacità
. . . faccia qualcosa di utile nel mondo, ne tragga un profitto corrispondente,
del quale poi, alla fine, renda conto» ) Per Jiilicher la parabola dice: «Co
lui che fa qualcosa viene stimato grandemente, ma chi, non importa quali
siano le scuse che adduce, lascia passare inutilmente un lungo lasso di tem
po, deve pagare per questa sua pigrizia e stoltezza » .4 Applicato al rappor
to con Dio ciò significa «che l'uomo deve essere fedele e attivo . . . che deve
riuscire a combinare qualcosa . . . che deve usare, nel modo voluto da Dio, i
beni affidatigli, la vita e la salute, il talento e l'opportunità. Ma chi, per pi
grizia, non svolge il compito affidatogli, sicuramente non acquisirà la sod
disfazione divina » . s In Inghilterra ci si esprimerà così: « La parabola predi
ca il dovere della fedeltà e dell'opera attiva in favore della società . . . Perché
ciò che aiuta la società rende anche colui che aiuta migliore e più ricco».6
Oppure in termini ancora più individualistici e privi di criteri etici: « L'ina
zione significa perdita. Chi non va avanti va indietro » . 7 A chi ha iniziativa
(e pochi scrupoli) il successo sorride. In questa veste individualistica e seco·
larizzata la parabola dei talenti permette di essere applicata a tutto. Il mondo
degli affari può entrare nel mondo delle parabole. Ma quale sarà il suo re·
ferente? In un'ottica di storia della lingua si può leggere questo sviluppo pro
prio nelle due espressioni comuni «sfruttare il proprio talento» e «seppellì·
re il proprio talento» : chi impiega capacità, possibilità e strumenti di pote
re e con essi si afferma «sfrutta » il proprio talento; chi invece rimane nel·
l'anonimato e non sfrutta le proprie capacità «sotterra » il proprio talento.
I Bullinger, 2.19B. Brenz, 733, parla dei «denari• differenti di re, principi, contadini, ar
tigiani.
2. MieggeQ, 12.6, parla giustamente, riferendosi a Calvino, di un passo in direzione della
secolarizzazione, fatto, però, per ragioni teologiche.
3 Ewald, 339· 4 jiilicher, Gleichnisreden n, 483. 480.
s J. Weiss, 3 8 5 . 6 Montefiore, n, 3 1 9· 7 Montefiore, loc. cit.
Che cosa si faccia in un caso o non si faccia nell'altro è assolutamente irri
levante. La parabola dei talenti permette di essere usata quale autolegitti
mazione spirituale da furfanti e affaristi - proprio come pensa B. Brecht.
L'esegesi e la storia degli effetti hanno chiarito dove si trovi la radice
di tale abuso della parabola: la parabola in sé è equivoca. Se Gesù, con
tutto il suo messaggio e il suo Dio, diventa il segno che precede e la pa
rentesi che racchiude il contenuto della parabola, tale abuso non può ve
rificarsi. Dove Gesù non era tutto questo, l'abuso fu inevitabile. La pa
rabola dei talenti è vera, in senso teologico, solo quando parla del Dio
di Gesù Cristo, che ama tanto gli uomini al punto che essi gli devono ogni
cosa, ciò che sono e ciò che possono fare. Essa è vera in senso teologico
soltanto se parla del suo incarico di amare e dei doni che vengono impie
gati a tale scopo e non per qualsivoglia altra attività umana . Essa è ve
ra in senso teologico soltanto se viene riferita alla comunione dell'amo
re che Gesù voleva. Se essa non parla in questa maniera, allora è diven
tata e diventa un mero contenitore linguistico, con il quale qualsiasi at
tività umana può essere legittimata.