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Con il volume 13.2 dei Collectanea grammatica Latina prende avvio, a distanza

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di più di un secolo e mezzo dalla precedente edizione di Martin Hertz nei
Grammatici Latini (II-III 377), l’attesa nuova edizione critica della monumentale !"!#"$%&'()
Ars di Prisciano di Cesarea, la più estesa e complessa opera grammaticale
trasmessa dall’antichità greco-latina, trascritta a Costantinopoli nel 526-527 da *'"+,)--")-)
un allievo del grammatico quando il testo, specie nelle ultime parti, si trovava in
uno stato di elaborazione ancora provvisorio. Per i motivi illustrati da Michela
Rosellini nella Premessa e nell’Introduzione al tomo I, la pubblicazione ha preso COLLECTANEA GRAMMATICA LATINA, 13.2.2
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osservazioni sintattiche redatte in forma di lessico greco-latino (GL III 278-377).
Il tomo 13.2.1 (2015), contenente il testo critico con apparato dei loci similes e
indici a cura di M. Rosellini, si completa ora con il tomo 13.2.2, a cura di Elena
PRISCIANI CAESARIENSIS ARS
!"#$%#&%'$ )"#%*+ ,-% ./'% 0#" %*"0'1%#2% 1#2'.3041.#% "55% 6.#21 % "5 !'.,%**. LIBER XVIII

COLLECTANEA GRAMMATICA LATINA · 13.2.2


di rielaborazione operato da Prisciano, cui segue un ampio commento critico,
dottrinale e linguistico; particolare attenzione è rivolta all’analisi testuale e Pars altera
formale delle numerosissime citazioni da auctores greci e latini che caratterizzano
la compilazione. 2
*
Der Band 13.2 der Collectanea grammatica Latina %'7/#%2+ 8%-' "5* "#3%'2-"5&
Commento
Jahrunderte nach der Ausgabe von Martin Hertz in den Grammatici Latini (II- a cura di Elena Spangenberg Yanes
III 377), die seit langem erwartete neue kritische Edition der monumentalen
Ars Priscians aus dem mauretanischen Cäsarea, des umfangreichsten und
vielschichtigsten grammatikalischen Werks, das aus der griechisch-römischen
Antike überliefert ist. Es wurde in den Jahren 526-527 in Konstantinopel von
einem Schüler des Grammatikers abgeschrieben, bevor der Text, insbesondere
dessen letzte Teile, in endgültiger Form ausgearbeitet war. Aus den von Michela
Rosellini im Vorwort und in der Einleitung zum Band 13.2.1 erläuterten
Gründen, hat die Publikation mit dem Schluss des Werks begonnen, einem sehr
reichhaltigen Anhang syntaktischer Beobachtungen, die in Form eines griechisch-
lateinischen Lexikons abgefasst sind (GL III 278-377). Den von Michela
Rosellini herausgegebenen Band 13.2.1 (2015), der den kritischen Text sowie
den Apparat der loci similes und die Sachregister einschließt, vervollständigt jetzt
der von Elena Spangenberg Yanes herausgegebene Band 13.2.2. Dieser bietet
eine erschöpfende Einführung zu den Quellen und deren Bearbeitungsprozess
vonseiten Priscians, auf die ein umfangreicher kritischer, theoretischer und
sprachlicher Kommentar folgt; besondere Aufmerksamkeit wird der Text-
und Formanalyse der zahlreichen Zitate griechischer und lateinischer Autoren
gewidmet.

ISBN 978-3-615-00432-8
WEIDMANN
VI
COLLECTANEA GRAMMATICA LATINA
(CGL)

Diretti da Giuseppe Morelli (†) e Mario De Nonno

13.2

Prisciani Ars
Liber XVIII

Weidmann
PRISCIANI CAESARIENSIS ARS
LIBER XVIII
Pars altera
2

Commento
a cura di
Elena Spangenberg Yanes

Weidmann
Volume pubblicato col contributo del Dipartimento
di ‘Scienze dell’Antichità’ della «Sapienza» Università di Roma
e del Dipartimento di ‘Studi Umanistici’ dell’Università Roma Tre

*
Das Werk ist urheberrechtlich geschützt.
Jede Verwertung außerhalb der engen Grenzen
des Urheberrechtsgesetzes ist ohne Zustimmung
des Verlages unzulässig.
Das gilt insbesondere für Vervielfältigungen,
Übersetzungen, Mikroverfilmungen
und die Einspeicherung und Verarbeitung
in elektronischen Systemen.

*
Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation
in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten
sind im Internet über http://dnb.d-nb.de abrufbar.

© Weidmannsche Verlagsbuchhandlung, Hildesheim 2017


www.olms.de
E-Book
Alle Rechte vorbehalten
ISBN 978-3-615-40108-0
PREMESSA

I libri XVII-XVIII dell’Ars di Prisciano contengono la


prima trattazione sistematica della sintassi in ambito latino,
che si conclude, nella seconda metà del libro XVIII, con un
lessico sintattico greco-latino (dal grammatico stesso indica-
to come Atticismi in GL III 229, 18). Questa sorta di appen-
dice finale, di notevole ampiezza, che pure Prisciano aveva
concepito come parte integrante dell’esposizione della sin-
tassi (GL III 278, 7-12; cfr. infra, § 2), si giustifica come
oggetto di uno studio a sé stante per più d’una ragione. In
primo luogo per la sua impostazione, lessicografica appunto,
diversa dall’esposizione discorsiva del resto dell’Ars; poi per
le particolari condizioni della sua tradizione manoscritta,
circoscritta a un numero di testimoni assai più ridotto del
resto dell’Ars e anche dei libri XVII-XVIII; infine, per il
cambio della fonte principale seguita da Prisciano, che è
ancora Apollonio Discolo sino alla fine del capitolo del
libro XVIII sulle costruzioni verbali (GL III 267-278), ma
che da questo punto in poi è, invece, un lessico atticista di
orientamento sintattico (di seguito anche Lexicon syntacticum
Prisciani). Con questo ricco complemento di informazione
linguistica il grammatico mira a mettere in luce le somi-
glianze tra le strutture sintattiche del greco e del latino, a
beneficio di quanti desiderino acquisire una più piena pa-
dronanza delle due lingue (GL III 278, 11-12 quorum exem-
plis gaudeant confidentiusque utantur, qui laudibus utriusque glo-
riari student doctrinae). Nel § 1 della seguente Nota introdut-
tiva si riassumono le principali caratteristiche del lessico
VI PREMESSA

fonte di Prisciano e le modalità della sua rielaborazione da


parte del grammatico latino, quali si lasciano ricostruire
dagli studi finora condotti e dal commento continuo al te-
sto. Per la storia della tradizione della seconda metà del
libro XVIII e la costituzione del testo rimando all’introdu-
zione di Michela Rosellini alla parte I di questo volume
13.2 dei Collectanea grammatica Latina, da lei curata.
Il commento che qui si presenta è frutto del mio lavoro
di tesi di dottorato presso il Dipartimento di Scienze
dell’Antichità della Sapienza Università di Roma. Nella
revisione per la pubblicazione si è scelto di privilegiare gli
aspetti del commento più direttamente pertinenti alla forma
data da Prisciano agli Atticismi, cioè il trattamento dei lemmi
latini, l’utilizzo della corrispondente esemplificazione lette-
raria e i problemi testuali connessi alla ricostruzione del
testo priscianeo. Le indicazioni relative ai materiali greci
provenienti dal lessico fonte sono circoscritte all’osservazio-
ne di fenomeni linguistici particolari e dell’eventuale condi-
visione di citazioni letterarie con altre fonti antiche e bizan-
tine. Il confronto tra la fonte di Prisciano e la restante lessi-
cografia atticista di età imperiale e bizantina nel trattamento
dei singoli lemmi è rimandato al commento dell’edizione
dei frammenti del Lexicon syntacticum Prisciani, già program-
mata a cura di chi scrive.
Nel momento in cui consegno alle stampe questo volume,
il mio primo ringraziamento è rivolto a Michela Rosellini,
che mi ha introdotta allo studio di Prisciano e guidata in
questo e ogni altro lavoro sin dalla tesi di laurea triennale:
poter scrivere il commento al lessico priscianeo sotto la su-
pervisione della sua editrice critica è stato fonte inesauribile
di apprendimento e stimolo alla ricerca. Alla cortese generosità
con cui Michela Rosellini ha condiviso con me la sua dottrina
e molto del suo tempo va la mia più profonda gratitudine.
Desidero poi ringraziare Mario De Nonno per l’accogli-
mento di questo volume nella collana e per i preziosi sugge-
rimenti che mi ha gentilmente offerto in più occasioni.
PREMESSA VII

Per l’attenzione con cui hanno letto una prima stesura del
mio lavoro sono grata a Paolo De Paolis, Marina Passalacqua,
Giorgio Piras e Renzo Tosi.
Sono molto riconoscente al Generalredaktor Michael
Hillen e a tutti i redattori e collaboratori del Thesaurus
Linguae Latinae per l’amichevole ospitalità nei miei due
soggiorni di studio a Monaco di Baviera (ottobre 2014 –
febbraio 2015; marzo – aprile 2016); in particolare ringrazio
per gli interessanti scambi di opinioni John Blundell, Ro-
berta Marchionni, Marijke Ottink, Paolo Pieroni, Stefano
Rocchi e Josine Schrickx.
Di molti altri consigli e del frequente aiuto nella ricerca
bibliografica sono debitrice agli amici Ilaria Andolfi, Anna
Gioffreda, Michele Napolitano e Martina Piperno. Per gli
stessi motivi e per le innumerevoli amicali conversazioni
di contenuto grammaticale sono sinceramente grata a
Claudio Giammona.

Roma, giugno 2017


ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

Aalto 1949
P. Aalto, Untersuchungen über das lateinische Gerundium und Gerundivum,
Helsinki 1949.
Adams 2003
J. N. Adams, Bilingualism and the Latin Language, Cambridge 2003.
Allen 1910
T. W. Allen, The Text of the Odyssey, «PBSR» 5, 1910, pp. 3-85.
Alpers 2004
K. Alpers, Die griechischen Orthographien aus Spätantike und
byzantinischer Zeit, «ByzZ» 97, 2004, pp. 1-50.
Asperti – Passalacqua 2014
S. Asperti – M. Passalacqua (edd.), Appendix Probi (GL IV 193-204),
Firenze 2014.
Austin 1971
R. Austin (ed.), P. Vergili Maronis Aeneidos liber primus, Oxford 1971.
Bagordo 2001
A. Bagordo, Beobachtungen zur Sprache des Terenz, Göttingen 2001.
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D. Baldi (ed.), Etymologicum Symeonis Γ-Ε, Turnhout 2013.
Ballaira 1989
G. Ballaira, Prisciano e i suoi amici, Torino 1989.
Bandini 2000-11
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M. Baratin, La naissance de la syntaxe à Rome, Paris 1989.
X ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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Barsby 1999
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E. Berti, M. Annaei Lucani Bellum civile. Liber X, Firenze 2000.
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D. Bianconi, Alle origini dei Graeca di Prisciano. Il contesto culturale e
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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE XI

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G. Bonnet (ed.), Dosithée. Grammaire latine, Paris 2005.
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Brenous 1895
J. Brenous, Études sur les hellénismes dans la syntaxe latine, Paris 1895.
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Cameron 1966
A. Cameron, The Date and Identity of Macrobius, «JRS» 56, 1966,
pp. 25-38.
Cavajoni 1979
G. A. Cavajoni (ed.), Supplementum adnotationum super Lucanum. I.
Libri I-V, Milano 1979.
XII ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque, Paris 1968.
Charpin 1965
F. Charpin, Coniunctiones causales et rationales, «REL» 43, 1965, pp.
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C. Ciancaglini, s. v. grecismi, in Enciclopedia Oraziana, II, Roma 1997,
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Cima 1897
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C. G. Cobet, Observationes criticae in Platonis comici reliquias,
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Cobet 1858b
C. G. Cobet, Variae lectiones, «Mnemosyne» 7, 1858, pp. 125-196.
Cobet 1873
C. G. Cobet, Variae lectiones quibus continentur observationes criticae,
Lugduni Batavorum 1873.
ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE XIII

Cobet 1877
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Coleman 1977
R. Coleman (ed.), Virgil. Eclogues, Cambridge 1977.
Collart 1978
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Colombat 2007
B. Colombat, La construction, la manipulation de l’exemple et ses effets sur
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Conington – Nettleship 1884
J. Conington – H. Nettleship (edd.), The Works of Virgil, London 1884.
Conti Bizzarro 1994
F. Conti Bizzarro, Prisciano fra Oriente e Occidente, «FAM» 7, 1994,
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Cooper 1998
G. L. Cooper, Attic Greek Prose Syntax, I-II, Ann Arbor (Michigan) 1998.
Costas Rodriguez 1977
J. Costas Rodriguez, Reflexiones sobre transitividad voz y causatividad a
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Cotton 1820
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Courcelle 1948
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XIV ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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Courtney 1980
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De Nonno 1988
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De Nonno 1990a
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De Nonno 1992
M. De Nonno, Un esempio di dispersione della tradizione grammaticale
latina: gli inediti Excerpta Andecavensia, «AION(filol)» 14, 1992, pp.
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De Nonno 1998
M. De Nonno, s. v. grammatici latini, in Enciclopedia Oraziana, III,
Roma 1998, pp. 31-39.
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M. De Nonno, L’Appendix Probi e il suo manoscritto: contributi tipologici
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(edd.), L’Appendix Probi. Nuove ricerche, Firenze 2007, pp. 3-26.
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et al. (edd.), Libri e testi. Lavori in corso a Cassino. Atti del seminario
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De Paolis 1990b
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De Paolis 2000
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XVI ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

De Paolis 2013
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De Paolis 2014
P. De Paolis, Sordidi sermonis viri: Velio Longo, Flavio Capro e la lingua
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De Paolis 2015
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De Robertis 2015
F. De Robertis, Per la storia del testo di Demostene: i papiri delle
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Sorb. inv. 2069 (verso), «ZPE» 175, 2010, pp. 177-187.
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A. Di Stefano (ed.), Arusiani Messi Exempla elocutionum, Hildesheim 2011.
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M. R. Dilts (ed.), Demosthenis orationes, I-IV, Oxonii 2002- 09.
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Ernout – Meillet
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Esposito 2011
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Fanetti 1981
D. Fanetti, Esame statistico e interpretazione del tricolon in Sallustio,
«AFLS» 2, 1981, pp. 1-19.
Fanetti 1983
D. Fanetti, Esame statistico e interpretazione del tricolon in Tacito, «AFLS»
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Fassino 2014
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Fedeli 1994
P. Fedeli (ed.), Q. Orazio Flacco. Le opere, II.1-2 Le satire, trad. it. C.
Carena, Roma 1994.
Fedeli 1997
P. Fedeli (ed.), Q. Orazio Flacco. Le opere, II.4 Le epistole. L’Arte
poetica, trad. it. C. Carena, Roma 1997.
Ferri 2014
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Ferri – Zago 2016
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Flobert 2009
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Friedländer 1895
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Fröhde 1895
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Garcea – Giavatto 2007
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N. Gaul, The Twitching Shroud: Collective Construction of Paideia in the
Circle of Thomas Magistros, «S&T» 5, 2007, pp. 263-340.
Gaul 2008
N. Gaul, Moschopulos, Lopadiotes, Phrankopulos (?), Magistros,
Staphidakes: Prosopographisches und Paläographisches zur Lexikographie des
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Gemoll – Peters 1968
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Gerlach 2008
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XX ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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Syntaxe, I, Paris 2010.
Groupe Ars Grammatica 2013
Groupe Ars Grammatica (ed.), Priscien. Grammaire. Livres XIV – XV –
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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE XXI

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in Persii satiris emendandis, Progr. Marburg 1842.
Hermann 1846
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Hermann 1847
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Horsfall 2003
N. Horsfall, Virgil. Aeneid 11. A Commentary, Leiden-Boston 2003.
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N. Horsfall, Virgil. Aeneid 2. A Commentary, Leiden-Boston 2008.
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L. Jeep, Priscianus, Beiträge zur Überlieferungsgeschichte der römischen
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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE XXIII

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L. Jeep, Priscianus, Beiträge zur Überlieferungsgeschichte der römischen
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Klotz 1882
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Koestermann 1971
E. Koestermann (ed.), C. Sallustius Crispus. Bellum Iugurthinum,
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R. Kühner – B. Gerth, Ausführliche Grammatik der griechischen Sprache.
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R. Kühner – C. Stegmann, Ausführliche Grammatik der lateinischen
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Kurfess 1957
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Lindsay 1907
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Lobeck 1809
C. A. Lobeck (ed.), Sophoclis Aiax Graece, cum scholiis et commentario
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Löfstedt 1956
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A. Luhtala, On the Concept of Transitivity in Greek and Latin Grammars,
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Luhtala 2005
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XXVI ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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A. Luscher, De Prisciani studiis Graecis, Vratislaviae 1912.
Madvig 1846
J. N. Madvig, Emendationes per saturam, «Philologus» 1, 1846, pp. 670-677.
Manuwald 2007
G. Manuwald (ed.), Cicero. Philippics 3-9, I-II, Berlin 2007.
Marchant 1910
E. C. Marchant (ed.), Xenophontis opera omnia, IV, Oxonii 1910.
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Martorelli 2011
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Martorelli 2014
L. Martorelli (ed.), Greco antico nell’Occidente carolingio. Frammenti di
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Maslowski 2003
T. Maslowski (ed.), M. Tulli Ciceronis orationes in L. Catilinam quattuor,
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T. Matthias, Zu alten Grammatikern, «Jahrbücher für classische
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Maurenbrecher 1899
B. Maurenbrecher, Hiatus und Verschleifung im alten Latein, Leipzig 1899.
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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE XXVII

Mazzotti 2014
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McGushin 1977
P. McGuschin, C. Sallustius Crispus. Bellum Catilinae. A Commentary,
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Menchelli 2014
M. Menchelli, Platone e Prisciano. Le pericopi platoniche nel libro XVIII
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Menge – Burkard – Schauer 2000
H. Menge – T. Burkard – M. Schauer, Lehrbuch der lateinischen Syntax
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Monda 2015
S. Monda, Terence Quotations in Latin Grammarians: Shared and
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F. Montanari et al. (edd.), Brill’s Companion to Ancient Greek
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C. F. W. Müller 1869
C. F. W. Müller, Plautinische Prosodie, Berlin 1869.
C. F. W. Müller 1908
C. F. W. Müller, Syntax des Nominativs und Akkusativs im Lateinischen,
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E. Müller 1911
E. Müller, De auctoritate et origine exemplorum orationis solutae Graecorum
quae Priscianus contulit capita selecta, Regimonti 1911.
P. Müller 1926
P. J. H. Müller, De veterum grammaticorum in Terentio studiis criticis,
Monasterii-Aquisgrani 1926.
Murgia 1988
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XXVIII ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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F. Murru, Alcune questioni filologico-linguistiche a proposito dell’octavus
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Murru 1979
F. Murru, Due ulteriori definizioni dell’octavus casus nei grammatici latini,
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Murru 1980
F. Murru, A propos du septimus casus, «Eos» 68, 1980, pp. 151-154.
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H. Neumann, De Plinii dubii sermonis libris Charisii et Prisciani fontibus,
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Nitzschner 1884
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I. G. Orelli – I. G. Baiter (edd.), Quintus Horatius Flaccus, I-II,
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E. Paratore (ed.), Virgilio. Eneide, I. Libri I-II, trad. it. L. Canali,
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E. Paratore (ed.), Virgilio. Eneide, V. Libri IX-X, trad. it. L. Canali,
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Passalacqua 1987
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Passalacqua 1988
M. Passalacqua, Un manuscrit “cultivé” de Saint-Amand: le Par. lat.
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Pecere 2015
O. Pecere, Modalità compositive e circolazione privata del libro nel
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A. Pellizzari, Servio. Storia, cultura e istituzioni nell’opera di un grammatico
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A. Pennacini, I procedimenti stilistici nella I satira di Persio, «AAT» 104,
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G. Perl, Die Zuverlässigkeit der Buchangabe in den Zitaten Priscians,
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Piras 2014
G. Piras (ed.), Labor in studiis. Scritti di filologia in onore di Piergiorgio
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S. Pirrotta, Plato comicus: Die fragmentarische Komödien. Ein Kommentar,
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Scholarship and Grammar. Archetypes, Concepts and Contexts, Berlin-
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NOTA INTRODUTTIVA

1. LESSICO ATTICISTA

Come si è detto, la fonte principale della seconda metà del


libro XVIII è un lessico atticista, la cui compilazione è collocata
dagli studi più recenti tra il I e il II secolo d. C.1. Esso fu impie-
gato da Prisciano, in misura minore, anche nel libro XVII (so-
prattutto nell’excursus sulla variatio sintattica, GL II 172~195) e
nella prima metà del XVIII2. Il confronto con queste precedenti
sezioni dell’Ars, necessario anche sul versante della dottrina
grammaticale latina, consente pertanto di ricostruire in modo
più completo l’articolazione di alcune voci del lessico atticista,
di cui il grammatico si servì.
L’importanza del lessico greco usato da Prisciano quale fonte
di tradizione indiretta per innumerevoli passi di autori attici (sia
frammenti sia citazioni da opere tràdite anche per via diretta) fu
già intuita da Giuseppe Giusto Scaligero, che proprio a quest’ul-

1 Vd. Hertz 1855-59, II, pp. VII-VIII; Luscher 1912, p. 35; Courcelle
1948, p. 308; Rosellini 2010, pp. 77-78; 2012a, p. 197; cfr. infra, pp. LVI.
Non condivisibili, a questo riguardo, le riflessioni di Baratin 2014, pp.
45- 46, il quale ritiene si debba lasciare aperta la possibilità che fonte di
Prisciano fosse un repertorio di lemmi e citazioni già bilingue o, ancora,
che esso sia stato assemblato ex novo dal grammatico latino.
2 Vd. Matthias 1887, pp. 605- 607; Luscher 1912, pp. 35-37; Span-

genberg Yanes 2017a, pp. 658- 663. Sull’importante novità rappresenta-


ta in ambito latino dalla trattazione priscianea della sintassi vd. Jeep
1893, p. 89; Collart 1978, p. 204; Kaster 1987, p. 158; Baratin 1989, pp.
367-371; Swiggers – Wouters 2003, p. 27; Groupe Ars Grammatica
2010, pp. 11-12.
XLIV NOTA INTRODUTTIVA

tima sezione dell’Ars Prisciani dedicò uno studio filologico3, e si


lascia ora meglio valutare alla luce della più sicura costituzione
del testo stabilita da Michela Rosellini (2015a). Anche di alcuni
loci di opere tràdite per via diretta la testimonianza priscianea
consente di ridiscutere specifiche questioni ecdotiche4.
Il valore della fonte greca di Prisciano non risiede tuttavia
solamente nella trasmissione di citazioni della letteratura di età
classica ma anche nell’ulteriore testimonianza che essa aggiunge al
panorama finora noto della lessicografia atticista di età imperiale
(cfr. infra § 1.3) e nella possibilità di documentare già nel dialetto
attico di V-IV secolo a. C. alcuni usi linguistici, altrimenti noti
solamente in epoca tarda (vd. ad es. il commento a 68, 13-14).

1.1 Struttura e formulazione dei lemmi

Il lessico segue un ordinamento alfabetico basato sulle prime


due lettere di ciascun lemma, dalla α alla χ. Mancano le lettere
ζ, ρ, ψ, ω: in particolare l’assenza delle ultime due lettere
dell’alfabeto ha destato in passato il sospetto che il testo dell’Ars,
quale ci è conservato, sia mutilo della fine, ma la ψ e l’ω pote-
vano essersi già perdute nel corso della tradizione della fonte
atticista di Prisciano o non esservi state affatto schedate (vd.
infra, § 2). Alcune alterazioni della sequenza alfabetica devono
probabilmente esser fatte risalire alla rielaborazione della fonte
greca da parte di Prisciano e alla prima trascrizione dell’opera di
quest’ultimo (vd. infra, § 2.1). Altre irregolarità sono imputabili
alla prassi di lemmatizzare alcuni verbi a partire da forme della
loro flessione con aumento (in ε- o η-: 24, 6; 38, 3; 39, 6; 48,
15; 50, 7) o raddoppiamento (in η-: 50, 16)5 o ancora di collo-
care dei costrutti nella serie alfabetica a partire dal termine che
ne esprime la reggenza (ad es. 82, 1 πεποιηκὼς δείξω) o

3 Sul quale vd. Rosellini 2015a, pp. CXXXVI-CXXXVIII; Spangenberg

Yanes 2016.
4 Vd. ad es. il commento a 12, 3-5; 12, 13-15; 13, 7- 8; 19, 2-3; 20,

6-9; 23, 13-15; 33, 5- 8; 65, 15- 66, 3; 68, 13-14; 73, 16-74, 8; 92, 3; 95,
7- 8; 114, 11-13. Cfr. anche infra, § 4.1.
5 Vd. De Nonno 2009; Id. apud Rosellini 2010, p. 81 n. 2.
LESSICO ATTICISTA XLV

dall’articolo (ad es. 100, 3 τῇ ὑ‹σ›τεραίᾳ) o da un attributo (ad


es. 64, 13 ὀλίγας ἡμέρας; 78, 6 πάντα τὸν χρόνον; 85, 4;
99, 16; 105, 8; 106, 3). In qualche altra voce ancora, l’apparente
violazione dell’ordine alfabetico sembra potersi spiegare con
l’omissione, nel corso della tradizione del lessico fonte, del lem-
ma principale o parte di esso (15, 8; 30, 8; 40, 15; 100, 16: vd.
infra, commento ad locc.).
Da un punto di vista formale l’espressione dei lemmi è estre-
mamente variabile: nel caso di verbi, essi possono essere ricon-
dotti alla prima (9, 5 ἄρχω σοί; 9, 15; 10, 3; 11, 12; 13, 6; 14,
11 ecc.) o terza (17, 10 ἐξέρχεται τοῦδε; 29, 6 ἀνήκει πρὸς
τόδε; 68, 13 ecc.)6 persona singolare del presente indicativo
ovvero alla prima persona singolare dell’indicativo, conservando
però il tempo della citazione protolemmatica (ad es. 10, 13
ἀπήλαυσα τούτου; 18, 9 ἐξέστην τόδε), o ancora all’infinito
(49, 11 ἡγεῖσθαι τῆς πόλεως; 53, 6 καθέζεσθαι ἐν τῷδε; 58,
5 ecc.). I participi sono talora riportati al nominativo singolare
(ad es. 11, 7 = 30, 12 ἀποστερούμενος), talatra all’indicativo
(ad es. 47, 1 ἐπιλέλησμαι). Sostantivi, pronomi e aggettivi
sono in genere ricondotti al nominativo, a meno che non se ne
intenda mettere in luce una particolare funzione logica espressa
da un caso diverso.
In una serie di voci, invece, il lemma riproduce fedelmente
il vocabolo (con l’adeguamento a una forma più ‘astratta’ dei
termini che ne esprimono la reggenza: ad es. 24, 6-7 ‘ἔδοξεν
αὐτῷ τόδε πράξαντι τόδ᾽ ἐπεξεργάσασθαι’, et rursus
‘ἔδοξεν αὐτῷ τόδε πράξαντα τόδ᾽ἐπεξεργάσασθαι’; 34, 5
‘εἰσῆλθέν με τόδε τι’ καὶ ‘εἰσῆλθέν μοι’; 45, 5 ‘ἐξέστησαν
τόδε’ καὶ ‘τοῦδε’ καὶ ‘τῷδε’; 50, 7 ‘ἠράμην πόλεμον πρὸς
τοῦτον’ καὶ ‘τούτῳ’; 54, 3 ‘καταφρονήσας τούτου’ καὶ
‘τοῦτον’ ecc.) o l’intero sintagma oggetto di attenzione all’interno
della citazione protolemmatica dalla quale è ricavato (12, 6 = 32, 6
‘ἀπέδρα με’ καὶ ‘ἀπέδρα μου’; 23, 13 ‘ἐγχειρητικώτερος
6 Cfr. inoltre le locuzioni impersonali, che di per sé prevedono la
terza persona singolare e sono comunque riportate nel lemma
all’indicativo presente: 13, 15 βουλομένοις ἐστὶν ἡμῖν; 18, 1
ἐξαρκεῖ αὐτοῖς τόδε πεποιηκόσιν.
XLVI NOTA INTRODUTTIVA

ἀρετῆς’; 45, 14 ‘ἐπιστατήσει ὑμῶν’ καὶ ‘ὑμῖν’; 51, 1; 52, 1;


52, 5; 64, 13; 65, 1; 66, 7; 70, 12 ecc.). Quest’ultima circostan-
za, che si osserva facilmente nel caso in cui si sia conservata
anche l’esemplificazione che quel lemma accompagnava, ha
consentito il riconoscimento – talora corroborato dal confronto
con altri lessici greci – del locus classicus di riferimento di alcuni
lemmi nei quali esso si era col tempo perduto. Oltre ai loci classi-
ci già segnalati negli studi pregressi7, diversi altri si sono potuti
individuare nel corso del commento, al quale rimando per la
discussione dei singoli passi.
Per quanto attiene alle espressioni usate per indicare la reg-
genza dei termini lemmatizzati, è degna di nota la loro varietà,
pari a quella documentata nella flessione dei vocaboli-lemmi
(pronomi personali o dimostrativi o indefiniti, sostantivi e verbi
‘generici’ come πρᾶγμα, πράξις, τόπος e ποιέω, πράσσω,
ἐπεργάζομαι, pronomi e sostantivi desunti dalla citazione
protolemmatica), insieme alla frequente inosservanza, da parte
del lessicografo, della distinzione tra oggetti animati e inanimati
(in voci relative a costrutti verbali). Su un totale di 45 voci per
le quali è possibile confrontare il lemma con gli esempi letterari
che lo corredano, si verificano 9 casi di totale divergenza tra il
tipo di oggetto (persona o cosa) previsto nella formulazione
adottata dal lessicografo e quello illustrato dalle citazioni che
seguono e 4 di divergenza parziale (quando cioè solo parte degli
esempi riflettono l’uso enunciato nel lemma)8. Nei casi in cui
Prisciano ha conservato la citazione protolemmatica o essa è
comunque identificabile sembra che il compilatore del lessico
fonte si sia limitato ad assumere nel lemma il tipo di oggetto
attestato in quella e che abbia aggiunto ulteriori esempi badan-

7 E. Müller 1911, p. 2; Valente 2012; Ferri 2014, pp. 107-109 e n.


46; Fassino 2014; Menchelli 2014; Rosellini 2015a passim.
8 Si sono esclusi da questa analisi i lemmi non enunciati in astratto o

sprovvisti di esempi, quelli la cui formulazione non consente di stabilire


se il lessicografo avesse in mente un oggetto maschile o neutro (es. 12, 6
‘βαρύνομαι τοῦτου’ καὶ ‘ὑπὸ τούτου’ καὶ ‘τούτῳ’) e quelli in cui il
caso retto dal verbo è espresso per mezzo di uno specifico sostantivo
ricavato dalla citazione protolemmatica (es. 12, 9 ἀπελθεῖν τὴν ὁδόν).
LESSICO ATTICISTA XLVII

do esclusivamente al caso retto dal verbo (45, 14-46, 2); questo


potrebbe essere avvenuto anche per alcuni lemmi dei quali non
si può stabilire con certezza la citazione protolemmatica (10, 3;
13, 11; 43, 18; 53, 6; 61, 11; 87, 6; 94, 1; 108, 12; 109, 5).
Rimane tuttavia difficile spiegare i motivi delle formulazioni
adottate in 54, 3 Attici ‘καταφρονήσας τούτου’ καὶ ‘τοῦτον’,
certamente ricavato dal passo riportato di seguito (Herod. 1, 59
καταφρονήσας τὴν τυραννίδα), il quale contiene però un
nome femminile di cosa, che avrebbe potuto essere rappresenta-
to nel lemma da un pronome femminile o neutro, ma non da
un maschile; 89, 11 Attici ‘προσέρχονται αὐτῷ’ καὶ ‘αὐτὸν’
καὶ ‘πρὸς αὐτόν’, desunto dalla prima delle tre citazioni con-
servate da Prisciano, Demosth. 19, 2 πρὸς τὰ κοινά …
προσέρχονται, che reca un neutro plurale (gli altri due esempi
hanno, invece, oggetti animati: Thuc. 4, 121, 1 προσήρχοντο
ὡς ἀθλητήν; Aristom. fr. 4 K.-A. τοὺς πρυτάνεις προσήλ-
θομεν); 92, 12 Attici ‘προσέχετε τὸν νοῦν τούτῳ’ καὶ ‘πρὸς
τοῦτον’, formulato a partire dal locus classicus che lo accompa-
gna, Demosth. 24, 19 προσέχετε οὖν τὸν νοῦν … τοῖς νό-
μοις, il quale contiene un nome, sì, maschile, ma di cosa. Que-
sti tre luoghi in particolare sembrano provare la totale disatten-
zione del lessicografo atticista per la distinzione tra oggetti ani-
mati e inanimati, che sembra essere stata, invece, uno degli
obiettivi di Prisciano nella rielaborazione della sua fonte greca
(vd. infra, § 2.2).
Lo sporadico impiego, nella formulazione dei lemmi, di
vocaboli non in uso prima dell’età imperiale (22, 1 ἔγγιστα;
24, 6- 8 ἐπεργάζομαι; cfr. commento ad locc.) è coerente con
la cronologia della compilazione del lessico fonte proposta
negli studi più recenti (vd. anche § 1.3).
Relativamente frequente è il ricorso ad esempi contenenti dei
corradicali del lemma di una voce piuttosto che forme di quest’ul-
timo (ad es. 26, 9-12; 28, 5-7; 44, 4-11), talvolta anche in viola-
zione del criterio alfabetico: questo aspetto, notato nel commento
ai singoli luoghi, è presente anche in altri lessici greci antichi.
XLVIII NOTA INTRODUTTIVA

1.2 Peculiarità ortografiche e dialettali9

I tratti ortografici più evidenti della fonte atticista di Priscia-


no, facilmente verificabili nel confronto dei luoghi letterari
citati con la tradizione diretta degli stessi, sono la predilezione
per la scriptio plena in luogo dell’elisione (cfr. Rosellini 2015a, p.
CXLIII) e l’aggiunta del -ν efelcistico. A titolo di esempio, si dà
di seguito l’elenco delle varianti ortografiche di questo tipo
testimoniate da Prisciano nelle sole citazioni demosteniche:
Prisc. 9, 1 e 28, 13 = Demosth. 19, 27 ὅτ’] ὅτε; Prisc. 13, 12 =
Demosth. 18, 189 ἡνίκ’] ἡνίκα; Prisc. 20, 9 = Demosth. 18, 19
συνέκρουε] συνέκρουεν; Prisc. 26, 5 = Demosth. 6, 12 οὐδ’]
οὔτε1 ; Prisc. 40, 6 = Demosth. 41, 6 ἔπειθ’] ἔπειτα; Prisc. 45, 7 =
Demosth. 20, 10 πάνθ’] πάντα; Prisc. 63, 13 = Demosth. 18, 197
οὐδ’] οὐδέ2 ; Prisc. 95, 18 = Demosth. 37, 53 μήτ’] μήτε2 ; Prisc.
109, 6 = Demosth. 24, 9 τοσοῦθ’] τοσοῦτον.

La grande frequenza con la quale soprattutto la scriptio plena è


attestata nelle citazioni greche degli Atticismi priscianei e insie-
me il fatto che la tradizione manoscritta di questi si sia svolta,
già a partire da epoca piuttosto alta, in area occidentale, dove i
Graeca in essa contenuti per lo più non venivano compresi dai
copisti che li trascrivevano10, fanno di questo testo un docu-
mento degli usi grafici almeno tardoantichi (cioè dello stesso

9 Le osservazioni qui formulate sono basate esclusivamente sulle

pericopi di testo che possono essere assegnate con certezza al lessico


fonte; una valutazione dei tratti linguistici e ortografici propri dello stesso
Prisciano nell’uso del greco potrà, infatti, essere condotta solamente in
un’analisi estesa alle pericopi di testo greco formulate dallo stesso
grammatico (exempla ficta, glosse-traduzioni) nell’intera Ars e nei suoi
scritti minori. Sull’assenza di aspirazione nei casi di elisione davanti a parole
inizianti con spirito aspro, un tratto ortografico più probabilmente dovuto
allo stesso Prisciano che della sua fonte atticista, vd. Rosellini 2015a, pp.
CXLII-CXLIV. Sull’ortografia tardoantica del greco vd. Alpers 2004.
10 Su questi aspetti della tradizione manoscritta degli Atticismi e in

generale dell’Ars Prisciani vd. Bianconi 2014, pp. 319-321; Rosellini 2012a,
p. 196; 2014a, p. 357; 2015a, pp. XXV-XXVI; XXXV-XXXVI; CXLIII.; cfr.
Rollo 2012; 2016; Spangenberg Yanes ics. [b].
LESSICO ATTICISTA XLIX

Prisciano e di Flavio Teodoro, se non addirittura della fonte


atticista del grammatico, più antica) più attendibile delle tradi-
zioni dirette medievali degli autori greci. È comunque opportu-
na particolare cautela nella valutazione di ciascuno degli esempi
letterari negli Atticismi interessati da fenomeni come l’elisione e
il -ν efelcistico, giacché sono molto oscillanti a questo riguardo
le scelte degli editori moderni degli autori greci, che non sem-
pre rendono conto in apparato della situazione della tradizione
manoscritta per queste piccole varianti grafiche e fonetiche,
rendendo così difficile condurre un confronto su solide basi11.
Un altro aspetto caratteristico degli usi ortografici del lessi-
co atticista è la preferenza per le desinenze -εις e -ει rispetto a
-ης/-ῃς e -η/-ῃ rispettivamente nella seconda persona singola-
re attiva e media di alcuni modi e tempi verbali:
25, 1 = 33, 17 (Xenoph. Oec. 18, 1): φανῇς] ΦαΝεΙCC/ΦαΝεΙC α,
congiuntivo aoristo attivo/indicativo futuro attivo; 44, 4-5 (Plat. Crit.
52c8-9): αἰσχύνῃ] αΙCΧΥΝεΙ α, indicativo presente mediopassivo;
ἐντρέπῃ] εΝΤΡεΠεΙ α, indicativo presente mediopassivo; 67, 14 (Plat.
Charm. 175d6-e1): ὀνήσῃ] ΟΝΗCεΙ α, indicativo futuro medio; 79, 12-
13 (Xenoph. Mem. 2, 2, 14): σωφρονήσῃς] CωΦΡΟΝΗCεΙC α, congiun-
tivo aoristo attivo; παραιτήσῃ] ΠαΡαΙΤΗCεΙ α, indicativo futuro medio;
96, 10 (Isocr. Phil. 79): συνειδῇς] CΥΝεΙΔεΙC α, congiuntivo aoristo
attivo; 99, 3 (Ar. Pax 31-32): λάθῃς] ΔΙαΛαΘεΙC α, congiuntivo aoristo
attivo; 112, 5 (Aeschn. Socr. fr. 28 Dittmar): ΦαΙΝεΙ α, indicativo presente
mediopassivo12.

La desinenza mediopassiva -ει, alternativa a -ῃ, è considerata


un’innovazione propria del dialetto attico di IV secolo, sebbene
sia difficile ricostruire quale fosse l’uso dei singoli autori a causa
dell’ovvia incostanza e incertezza delle tradizioni manoscritte a
11 Vd. ad es. Dilts 2002-09, I, pp. XVII-XVIII, dove egli stesso ammette di
non aver riportato in apparato le «variants related to scriptio plena».
12 Su quest’ultimo passo, la cui interpretazione sintattica non è del

tutto sicura, vd. commento ad loc. Solo una volta si trova, invece, -ης per
-εἰς, ma in questo caso è più probabile che si tratti di un semplice errore
fonetico: Prisc. Att. 28, 6 (Eup. fr. 125 K.-A. = Phot. lex. α 3145;
Synag.B α 2383): ἀτυχήσεις] αΤΥΧΗCΗC α, indicativo futuro attivo, che
Rosellini corregge.
L NOTA INTRODUTTIVA

questo riguardo13. La terminazione -εις in luogo di -ῃς nel


congiuntivo attivo è nota, invece, a Schwyzer I, p. 661, sola-
mente in epigrafi in ionico e dorico e dunque più difficilmente
attribuibile all’uso degli autori attici citati da Prisciano o a quel-
lo del compilatore del lessico fonte. La questione è peraltro
connessa al problema della pronuncia itacistica del greco, che ha
determinato numerose corruttele nei Graeca priscianei in diversi
stadi della tradizione dell’Ars, sia a livello dell’archetipo (o pri-
ma di esso) sia di singoli codici14. Per questo motivo la testimo-
nianza di Prisciano in relazione a tali desinenze non è necessa-
riamente più autorevole di quella della tradizione diretta dei
vari autori attici citati dal grammatico. È comunque ragionevo-
le supporre che almeno le forme in -ει – le quali trovano ri-
scontro nella documentazione epigrafica e papiracea, oltre che
talora in parte dei testimoni medievali delle diverse opere – non
si debbano a errori di itacismo né nella tradizione dell’Ars pri-
scianea né in quella del lessico atticista, bensì a una variante
grafica antica e tipicamente attica nel testo delle opere citate.
Opportunamente Rosellini accoglie a testo le desinenze -εις/-ει
per l’indicativo presente e futuro medio (25, 1 = 33, 7; 44, 4-5;
67, 14; 79, 13), mentre ripristina -ῃς per il congiuntivo attivo
(79, 12; 96, 10; 99, 3)15.
Un aspetto più chiaramente connesso alla natura dialettale
della fonte lessicografica di Prisciano consiste nella parziale nor-
malizzazione in senso attico delle citazioni erodotee conservate

13 Vd. Kühner – Gerth I.2, pp. 60- 61; Schwyzer I, p. 668.


14 Non si può d’altra parte escludere del tutto che almeno alcuni di
questi errori di natura fonetica fossero già nella fonte di Prisciano o si
siano prodotti nella sua rielaborazione da parte del grammatico o, ancora,
nella prima trascrizione dell’Ars a opera di Flavio Teodoro.
15 Del resto, come l’editrice suggerisce in apparato a 79, 12, non si

può del tutto escludere che anche per questa forma della flessione la
terminazione -εις, documentata dai manoscritti dell’Ars, rifletta la grafia
già presente nella fonte greca di Prisciano. Inoltre, almeno nella citazione
di Xenoph. Oec. 18, 1 in Att. 25, 1 = 33, 17, la lezione ΦαΝεΙC(C) dei
codici priscianei non sembra essere una mera variante grafica di φανῇς
della tradizione diretta, bensì implica l’uso di un modo verbale diverso da
quello attestato dai manoscritti di Senofonte (vd. infra, ad locc.).
LESSICO ATTICISTA LI

nel lessico. In 24, 9 (Herod. 1, 19) la forma ionica ἐπειρέσθαι,


propria della tradizione diretta, è sostituita dalla variante attica
ἐπερέσθαι. In 25, 2 = 34, 1 (Herod. 1, 14) la forma ionica
psilotica προκατίζων è atticizzata in προκαθίζων (e si tratta
certamente di un’alterazione non imputabile alla tradizione
manoscritta dell’Ars priscianea, nella quale è spesso attestato, ma
comunque sempre al di sotto dell’archetipo, il passaggio oppo-
sto θ > τ)16. Ulteriori varianti di questo tipo si trovano in 38, 9
(Herod. 1, 22) τὸ ἔσχατον > τοὔσχατον; 89, 19 (Herod. 1,
60) προσεύχοντο > προσηύχοντο; 93, 1 (Herod. 1, 2)
βασιλέος > βασιλέως; 94, 3 (Herod. 9, 108) ἀδελφέον >
ἀδελφόν; ἐωυτοῦ οἰκηιοτάτων > ἑαυτοῦ οἰκειοτάτων.
L’atticizzazione dei passi erodotei non è comunque condotta in
modo sistematico: si conservano, ad esempio, in 14, 14 (Herod.
1, 6) il genitivo ionico Ἀλυάττεω, in 38, 8 (Herod. 1, 22)
l’accusativo ἰσχυρήν.
Riguardo ancora all’uso del dialetto attico si osserva l’impie-
go prevalente di -ττ- sia nelle citazioni sia nei lemmi (20, 10
ἐτάραττεν; 22, 5 τετταράκοντα; 23, 14 ἧττον; 38, 11 ἐλατ-
τοῦμαι; 39, 11 ἔλαττον; 40, 6 ἔλαττον; 70, 7 ἀναπλάττον-
τας; 71, 2 ἐλάττους; 71, 6 πράττειν; 72, 17 πράττοντες; 73,
9 ἧττον; 73, 12 ἧττον; 78, 7 πράττει; 104, 13 κρείττων; 107,
5 ἔπραττον; 114, 1 προστάττουσιν; GL III 194, 23 πράτ-
τειν; 242, 11 πράττοιτο)17 rispetto a -σσ- (54, 18 ἡσσώμενον;
81, 13 τεσσαράκοντα; 95, 12 θαλάσσῃ, in una citazione di
Omero; GL III 187, 8 ἅσσα)18. Nei composti con συν- preva-
le, invece, questa forma rispetto all’attico ξυν- (ma vd. 13, 9
ξυντυχία; GL III 187, 4 ξυνῄει; 187, 6 ξυμφῦναι; 194, 24
ξυνέσῃ). Della coppia ἐς/εἰς è attestata quasi solamente la se-
conda variante, sia nei lemmi sia negli esempi letterari, con l’ec-
cezione di 38, 8 (in una citazione di Herod. 1, 22). Altri fenome-
ni sono trattati in modo meno costante (vd. ad es. 53, 18 ἤμελ-
λον / 60, 1 ἔμελλεν; 11, 12 ἀπογινώσκω / 11, 14 ἀπεγί-
νωσκε / 92, 13 ἀναγινωσκόμενος). Non è pertanto possibile
16 Vd. Rosellini 2014a, pp. 357 e 359; 2015a, pp. XXXVII-XXXVIII.
17 Cfr. 39, 13 ἥττων in una pericope di testo formulata da Prisciano.
18 In 33, 12 προστάσσω è, invece, un’aggiunta del grammatico.
LII NOTA INTRODUTTIVA

trarre conclusioni sicure sulle oscillazioni appena descritte, che


riflettono una varietà di usi già presente nella letteratura attica
classica (talora anche all’interno della lingua di uno stesso auto-
re) e nella documentazione epigrafica e papiracea19, e che pos-
sono in parte dipendere anche da alterazioni intervenute nel
corso della tradizione lessicografica atticista.

1.3 Rapporti con altri lessici atticisti di età imperiale e bizantina

Un inquadramento della fonte di Prisciano nel panorama


della lessicografia atticista di età imperiale è stato già delineato
da Valente (2014) e Sonnino (2014), i quali hanno messo in
luce la vicinanza del lessico priscianeo ai rappresentanti di un
atticismo più moderato, in particolare Polluce e l’Antiatticista.
Procedendo nel tempo verso un’epoca e un contesto geo-
grafico-culturale prossimi a quelli di Prisciano, un termine di
confronto particolarmente vicino, per canone di autori e per
convidisione di alcuni lemmi e citazioni, è Oro20.
All’interno poi della produzione bizantina21, il lessico più
vicino alla fonte di Prisciano è l’Etymologicum Symeonis, per
condivisione sia di citazioni letterarie sia di dottrine linguisti-
che22 e occasionalmente anche di alcune varianti nel dettato dei
loci classici citati (vd. commento a 10, 10-11, 6; 28, 8-11). Il
confronto con l’Etymologicum Symeonis è tuttavia possibile sola-
mente per le prime due lettere dell’alfabeto, giacché nelle suc-
cessive – almeno nella redazione in cui l’Etymologicum ci è con-
servato – non vi è più traccia di lemmi di tipo sintattico-attici-

Vd. Rosenkranz 1930, pp. 143-149; Willi 2014, pp. 57-58; LSJ s. v. εἰς.
19
20
Vd. Rosellini 2012a, p. 197; Menchelli 2014, pp. 208; 232 n. 82;
238-239; Valente 2014, pp. 72-74; Spangenberg Yanes ics. [a].
21 Per un panorama della lessicografia bizantina vd. Cohn 1900, pp.

592-599; Tolkiehn 1925, coll. 2469, 41-2479, 10; Robins 1993, pp.
20-22; Degani 1995, pp. 523-527; Pontani 2015, pp. 338-339; 354-
355; 400; 416- 419; 422. In generale sui grammatici bizantini vd.
Wilson 1996. In particolare su Tommaso Magistro, considerato il più
fedele epigono della lessicografia atticista di età imperiale, vd. Ritschl
1832; Gaul 2007; 2008, pp. 183-190.
22 Vd. Ferri 2014, pp. 98-105.
STRUTTURA DEL TESTO LIII

sta23. Ancora tra le opere di età bizantina, un numero maggiore


di costrutti comuni a Prisciano è registrato, invece, dal Lexicon
Coislinianum, che può essere confrontato con gli Atticismi per
l’intero alfabeto24. Notevole è poi una serie di contatti contenu-
tistici che, nel panorama dei testi grammaticali e dei lessici greci
esaminati, legano gli Atticismi priscianei esclusivamente agli
Epimerismi di Giorgio Lacapeno, uno scritto di forma ibrida tra
quella grammaticale e quella lessicografica, ma nel quale certa-
mente sono confluiti molti materiali tratti da lessici atticisti25.
Meno frequenti le sovrapposizioni con la Suda, il lessico di Fo-
zio, la Synagoge, alcuni lessici e trattatelli sintattici bizantini di
minore entità (Synt. Laur., Synt. Par., Synt. Vindob., An. Ox. IV
275, 1-310, 20 Cramer; An. Gr. II 289, 1-310, 3 Bachmann) e
con il poemetto didascalico di argomento grammaticale attribuito
a Niceta di Eraclea (An. Gr. II 340-393 Boissonade)26.
Le frequenti affinità tra i lessici di età imperiale e bizantina e
quello priscianeo si spiegheranno nella maggior parte dei casi
con la comune derivazione da fonti più antiche (lessici e tradi-
zione scoliografica), della prima età imperiale27.

2. STRUTTURA DEL TESTO NELLA RIELABORAZIONE PRISCIANEA

Il disegno finale di Prisciano sembra essere stato quello di


costituire, a partire dalla sua fonte atticista, un repertorio di usi
sintattici latini e attici, coi relativi exempla, di tutte le parti del
discorso (GL III 278, 10-11 necessarium esse duximus, multos et

23 Vd. Ferri 2014, p. 104 n. 35; cfr. Baldi 2013.


24 Vd. Rosellini 2010, pp. 78-83; Ucciardello 2014, p. 43. Sul lessico
coisliniano, edito in Petrova 2006, vd. anche Valente 2008.
25 Vd. Voltz 1893; Lindstam 1924; Pontani 2015, pp. 418- 419.
26 Sugli Στίχοι περὶ γραμματικῆς e il loro rapporto con alcuni

lessici sintattici vd. Petrova 2006, pp. LXXII-LXXIII; sulla loro attribuzione
a Niceta (XI sec.) vd. Browning 1963; Tovar 1969.
27 I rapporti con i lessici citati in questo paragrafo e con la tradizione

scoliografica saranno discussi più approfonditamente nell’introduzione


all’edizione dei frammenti del lessico fonte di Prisciano.
LIV NOTA INTRODUTTIVA

diversos usus ab auctoribus utriusque linguae colligere omnium orationis


partium)28, ponendo in evidenza all’inizio di ciascuna voce il
lemma latino piuttosto che quello greco, che poteva anche
essere del tutto tralasciato (come effettivamente avviene in di-
verse voci), e oscurando dunque progressivamente l’originario
ordinamento alfabetico29. Questo progetto fu tuttavia realizzato
solo per i primi lemmi degli Atticismi (7, 1-11, 5, con l’eccezio-
ne di 9, 15-10, 2). Con il mancato completamento, in questo
senso, del lessico, e cioè con la disomogeneità dei livelli di
avanzamento redazionale cui le diverse voci furono portate
prima dell’interruzione del lavoro, si spiega la varietà delle tipo-
logie di voce realizzate quanto alle loro componenti costitutive
(lemma greco, citazioni greche, lemma latino, citazioni latine,
eventuali altre osservazioni) – non sempre tutte presenti – e alla
loro successione30. I diversi gradi di rielaborazione del lessico

28
Vd. Rosellini 2010, pp. 88-92; Ferri 2014, pp. 90 e 95-97; De
Paolis 2015, pp. 622- 623; cfr. Desbordes 1988, pp. 18-21. A proposito
della destinazione dell’Ars Prisciani a un pubblico di ellenofoni vd.
Luscher 1912, p. 116; Glück 1967, pp. 55- 60 e 161-162; Conti Bizzarro
1994, pp. 40- 41; González-Luis 1997, pp. 29 e 33-34; Biville 2008;
2009; Groupe Ars Grammatica 2010, pp. 38- 41; 2013, pp. 37-41; Baratin
2014, pp. 37-38; Rochette 2014, pp. 8-11; 2015, pp. 633- 635. Questo
aspetto appare tuttavia più evidente in precedenti sezioni dell’opera, nelle
quali il grammatico usa glossare in greco vocaboli o locuzioni latine per
chiarirne meglio il significato o alcuni tratti morfologici. In generale
sull’insegnamento del latino a ellenofoni vd. Adams 2003; Schöpsdau
1992; Rochette 1997, pp. 165-210; 2007; Stoppie – Swiggers – Wouters
2007; Swiggers – Wouters 2007; Schenkeveld 2007; Dickey 2015; 2016.
29 Punto di riferimento per la comprensione della struttura e

composizione del lessico priscianeo sono gli studi di Rosellini 2010, pp.
76-92; 2012a; 2012b; su ulteriori aspetti mi sono soffermata in
Spangenberg Yanes 2014; ics. [a]. A questi contributi rimando per
discussioni più approfondite di singole questioni; in questa sede ne
riepilogo in breve i contenuti, integrandoli con i risultati ricavati dal
commento al testo. Sul carattere ‘fluido’, aperto a progressive
rielaborazioni, di tutta la letteratura ‘strumentale’ vd. Tosi 2013; cfr.
anche Garzya 1981; Gerlach 2008, pp. 79-81 e 111-113.
30 Qualche considerazione a questo riguardo anche in Baratin 2014,

pp. 43- 45.


STRUTTURA DEL TESTO LV

fonte osservabili nel testo che ci è pervenuto vanno dalla mera


traduzione ad verbum del lemma greco31, che può produrre
anche costrutti non altrimenti attestati in latino, sino a riflessioni
di contenuto sintattico che conservano solo un legame alla lon-
tana con il lemma di partenza. Spesse volte, infatti, il grammati-
co è intervenuto sul lessico atticista con notevole libertà, ag-
giungendovi ulteriori citazioni greche32, sviluppando la tratta-
zione di fenomeni linguistici in cui egli si imbatteva nei loci
classici, già presenti nella sua fonte ma riferiti a un altro uso,
ampliando il discorso dalla costruzione di un singolo vocabolo a
questioni di portata più generale o deviandolo su nuovi argo-
menti, che gli erano suggeriti dagli stessi esempi latini da lui
citati o da un meccanismo di associazione di idee.
Accanto alle disomogeneità redazionali caratteristiche degli
Atticismi in quanto testo elaborato a partire da un lessico greco,
si osservano, in questa sezione finale dell’Ars, ulteriori segni
della mancanza di una revisione d’autore, che sono presenti
anche in altre parti dell’opera. Si tratta in primo luogo dell’in-
completezza dell’indicazione di provenienza di alcune citazioni
da opere in più libri, per le quali il grammatico ha dato sola-
mente il nome dell’autore (ed eventualmente il titolo dell’ope-
ra) seguito dalla preposizione in senza precisare il numero del
libro (vd. Rosellini 2015a, pp. XCVII-XCVIII). Occasionali son-
daggi della tradizione manoscritta nel libro XVII e nella prima
metà del XVIII rivelano che questo fenomeno, in genere
oscurato dalle correzioni di Hertz, si verifica anche almeno
nella trattazione della sintassi che precede gli Atticismi (e nulla
si può ancora dire dei libri I-XVI).
Similmente, le frequenti ripetizioni e la presenza di ‘schede
integrative’, che introducono digressioni in appendice all’argo-
mento principale di ciascuna voce del lessico, sono tratti carat-
teristici dello stile espositivo priscianeo anche nel resto dell’Ars
e sembrerebbero – almeno in alcuni casi – poter essere anch’essi
collegati al generale disordine compositivo dell’opera. In parti-
31 Vd. Rosellini 2012a, pp. 201 e 204 e 206; Spangenberg Yanes
2014, pp. 123-140.
32 Oltre agli studi sopra citati vd. Spangenberg Yanes 2017a, pp. 674-675.
LVI NOTA INTRODUTTIVA

colare, la collocazione variabile, nei manoscritti, di alcune peri-


copi di testo corrispondenti a ‘schede’ integrative conforta
l’ipotesi di un originale teodoriano con marginalia33.
Da ultimo, occorre ricordare la questione, ancora aperta,
della possibile mutilazione finale dell’Ars34, suggerita dalla
«mancanza alla fine di una subscriptio, o almeno di un explicit di
qualche rilievo: il che può dimostrare che la nostra tradizione
non ha come plus-proche-commun-ancêtre l’originale di Flavio
Teodoro» (De Nonno 2009, p. 271 n. 69). L’assenza dagli Atti-
cismi di lemmi per le ultime due lettere dell’alfabeto non costi-
tuisce, invece, un indizio in tal senso, giacché essa poteva già
caratterizzare la fonte greca di Prisciano (che è priva di voci
anche per altre lettere dell’alfabeto: vd. supra, p. XLIV). Si tratte-
rebbe in ogni caso di un guasto della tradizione manoscritta
piuttosto che di un ulteriore esito della conclusione affrettata
dell’opera da parte del grammatico.
Come si è detto, incalzato dalla mancanza di tempo35 e forse
soverchiato dalla mole del materiale, Prisciano desistette dal suo
progetto iniziale. Quando? È probabilmente impossibile stabili-
re una cronologia relativa della composizione delle varie parti
dei due libri De constructione, giacché il parziale uso e riuso già
nel libro XVII e nella prima metà del XVIII (vd. supra, p. XLIII)
di materiali provenienti dalla fonte atticista suggerisce una com-
posizione sincronica o stratificata dei due libri di argomento
sintattico piuttosto che lineare. Neanche il rimando agli Atti-
cismi nella prima parte del libro XVIII (GL III 229, 18-19 de
quibus in Atticismis, quibus Romani quoque utuntur, post ostendetur)
implica necessariamente che, quando esso fu scritto, il progetto
di ‘riconversione’ del lessico finale in un’appendice o un sup-
plemento di materiale al capitolo sulle costruzioni verbali fosse

33
Vd. Hertz 1855-59, I, p. XXVIIII; Wessner 1919, pp. 73 e 112; De
Nonno 2009, pp. 273-274; Rosellini 2015a, pp. CXX-CXXX; cfr. Jeep 1893,
pp. 89-90; Ballaira 1989, p. 66; Cavallo 2013, pp. 380-384; Pecere 2015.
34 Vd. Christ 1862, p. 155; Wischnewski 1909, p. 101; Glück 1967,

pp. 61- 62.


35 GL II 2, 16-20 festinantius quam volui; cfr. De Nonno 2009,

pp. 270-271.
STRUTTURA DEL TESTO LVII

già abortito. Prisciano, infatti, avrebbe forse potuto applicare la


dicitura Atticismi anche al repertorio di costrutti paralleli nelle
due lingue, ordinati in base a un criterio sintattico-grammaticale
invece che alfabetico, quale egli sembra aver avuto in mente
sino a un certo momento.

2.1 Ordinamento alfabetico

Oltre alle sporadiche irregolarità nell’ordinamento alfabetico


degli Atticismi, che si possono spiegare con particolari modalità
di formulazione dei lemmi da parte del lessicografo greco (vd.
supra, § 1.1), il testo contiene diversi elementi di disordine, che
devono essersi prodotti, invece, nel corso del lavoro di Priscia-
no sulla sua fonte e della redazione della prima copia dell’Ars.
Un’alterazione macroscopica è la presenza di due serie di
lemmi in α-, la seconda trascritta a metà dei lemmi in ε-, pre-
ceduta e seguita da due diverse versioni del lemma εἰς36. La
prima sequenza, più breve (17 lemmi), appare più disordinata e
in particolare sembra potersi suddividere in due spezzoni, cia-
scuno dei quali al suo interno correttamente disposto secondo la
sequenza alfabetica (8, 1-9, 15: αἰσθάνομαι; ἀκούω; ἀνέχο-
μαι; ἀναμιμνήσκομαι; ἄρχω; ἀφαιρεόμαι; ἄχθομαι; 10, 3-
12, 12 ἀκροῶμαι; ἀπήλαυσα; ἀποστερούμενος; ἀπογι-
νώσκω; ἀφίστημι; ἀπέδρα; ἀπελθεῖν; ἀρτίως). La seconda
serie, più estesa (25 lemmi), rispetta approssimativamente l’ordi-
ne basato sulle prime due lettere di ciascun lemma (su singole
voci fuori posto vd. commento). Riguardo ai 13 lemmi ripetuti
in entrambe le sequenze, non sempre emerge una netta distin-

36 Anche un più circoscritto gruppo di lemmi in εξ- è collocato, fuori

posto, all’inizio della epsilon (16, 13-18, 14). In questo caso però è più
difficile valutare se la violazione dell’ordine alfabetico (limitata alla
seconda lettera dei lemmi) si sia verificata nel corso della redazione degli
Atticismi ad opera di Prisciano o se, invece, già caratterizzasse la sua fonte
greca. Particolarmente problematico è, infatti, un lemma greco, che si
ripete sia in questa serie sia nella posizione normalmente attesa, ma con
due diverse formulazioni (18, 9 ἐξέστην; 45, 5 ἐξέστησαν: vd.
commento ad locc.).
LVIII NOTA INTRODUTTIVA

zione delle due versioni, tale da poter individuare univocamen-


te una delle due redazioni come seriore: alle volte, infatti, alcu-
ni aspetti di più progredita elaborazione si trovano in una ver-
sione, altri nell’altra (i singoli elementi sono messi in luce nel
commento ai passi), sicché sembra di poter concludere con
Rosellini che «ciascuna voce fosse ricavata con criteri diversi da
una scheda in cui erano raccolti materiali sovrabbondanti e forse
in disordine»37. Ad esempio, la posizione dei lemmi e delle
citazioni latine all’interno di ciascuna voce – quando varia nelle
due redazioni della stessa – è più ‘aggiornata’ nella prima serie
in α- (cfr. supra, p. LVII). All’opposto, i nomi degli autori e
delle opere greche citati sono in genere parzialmente traslitte-
rati o tradotti in latino nella seconda sequenza di lemmi in α-
(25, 10-33, 13) rispetto alla prima (7, 1-13, 5): ad es. 24, 12-
25, 3 / 33, 14-18 Aristophanes σφιγξίν > Aristophanes sphinxin;
Θουκυδίδης πρώτῃ > Thucydides πρώτῃ; Ξενοφῶν[ο]
οἰκονομικῷ > Xenophon oeconomico; καὶ Ἡρόδοτος > et Hero-
dotus. In un caso poi si osserva la progressiva riduzione, da una
redazione all’altra di una stessa voce, dell’estensione delle cita-
zioni ivi contenute: Lucan. 5, 574-575 compare con un taglio
più ampio in 32, 1-2; nella prima versione della medesima voce
(12, 2) la citazione è, invece, ridotta alla sola espressione despera-
re viam. Tuttavia, a proposito degli altri due esempi per i quali è
documentato lo stesso fenomeno, diversamente che per questo,
la forma più ampia della citazione è quella attestata nella prima
serie in α- (Lucan. 1, 278-279 in 8, 9-10 = 27, 3; Verg. Aen. 1,
172 in 10, 12-13 = 28, 3- 4).
Altre violazioni della sequenza alfabetica, che interessano
singole voci, sono dovute allo spostamento di voci del lessico
fonte (7, 1- 8, 8 = 27, 6-13; 31, 13; 37, 7), da parte di Prisciano,
o alla loro duplicazione extra ordinem (56, 3; 63, 14) o ancora
all’inserimento di nuovi materiali greci (31, 6; 86, 8), sempre
allo scopo di espandere la trattazione di certi fenomeni linguisti-
ci e di istituire confronti tra diversi lemmi o costrutti.

37 Rosellini 2010, p. 92; cfr. 2012a, pp. 203-204.


STRUTTURA DEL TESTO LIX

2.2 Formulazione dei lemmi latini

I lemmi latini hanno un’espressione solitamente più regolare


di quella dei lemmi greci: i verbi sono coniugati alla prima o
terza persona dell’indicativo presente, i sostantivi, aggettivi e
participi al nominativo singolare. In un certo numero di voci
essi sono tuttavia rimasti allo stadio di traduzioni letterali del
lemma greco di partenza, del quale riproducono le forme, nella
flessione sia del vocabolo-lemma sia dei termini che ne indica-
no la reggenza (ad es. 18, 1-2; 51, 3; 90, 5- 6; 91, 16)38. Occa-
sionalmente il lemma può essere, invece, sostituito da enunciati
più discorsivi (ad es. 28, 3-5; 33, 8-9).
La reggenza dei vari vocaboli è di norma espressa per mezzo
di pronomi personali e dimostrativi, questi ultimi talora in nesso
con il sostantivo res. L’alternanza, che si osserva, tra i pronomi
personali e ille/iste da un lato, illa/haec res dall’altro potrebbe
suggerire che Prisciano intendesse distinguere in questo modo i
verbi con oggetto animato da quelli con oggetto inanimato o
sia animato sia inanimato, secondo una ripartizione alla quale
egli fa più volte riferimento nel capitolo De significatione del
libro VIII (GL II 374, 15; 375, 14 e 21; 378, 4) e soprattutto
nel capitolo del libro XVIII sulle costruzioni verbali (GL III
267, 13 quae et transitiva sunt in homines; 267, 20 cum transitione in
quodcumque; 269, 3-4; 271, 10 e 15 e 30; 277, 20)39. In particola-
re, il trattamento dei lemmi ἀπολαύω/potior e ἀπογινώσκω/
despero, di ciascuno dei quali possediamo due redazioni rispetti-
vamente nella prima e seconda serie in α-, sembrerebbe co-

38 Sporadicamente sopravvivono inoltre, nel testo rielaborato da

Prisciano, dei ‘relitti’ delle espressioni (ἀντί, ἐν τοῖς ἐξῆς et sim.) impiegate
dal lessicografo atticista per articolare lemmi, citazioni e interpretamenta: vd.
De Nonno apud Rosellini 2010, p. 78 n. 1; Rosellini 2012a, p. 198.
39 Così Rosellini 2010, p. 92. In generale sulla questione della

transitività nei libri XVII-XVIII dell’Ars Prisciani vd. Baratin 1989, pp.
470-475; Luhtala 1990, pp. 36-55, la quale trascura il fatto che Prisciano
preveda anche delle costruzioni transitive con oggetti inanimati (p. 36:
«his analysis does not extend beyond human complements»); Groupe Ars
Grammatica 2010, pp. 29-31, con indicazione di ulteriore bibliografia.
LX NOTA INTRODUTTIVA

munque provare che il disegno di Prisciano fosse proprio quello


di adeguare progressivamente i lemmi latini, dal punto di vista
dell’espressione della reggenza, al tipo di oggetto attestato negli
esempi che egli aveva reperito.
Il lemma latino di 27, 14 ‘Potior illius’ et ‘illum’ et ‘illo’ è espresso
diversamente che nella prima occorrenza della voce in 10, 10, ‘Potior illius
rei’ et ‘illam rem’ et ‘illa re’ (la cui formulazione è ripetuta anche in 67, 17-
68, 1 sotto il lemma ὄνασθαι). Se si considera che negli esempi latini
citati l’azione del verbo si esercita sempre su cose piuttosto che persone
(Cic. Catil. 2, 19 rerum; Ter. Ad. 871 patria … commoda; Verg. Aen. 1,
172 optata … harena) e che l’ordinamento interno della prima redazione
della voce, con l’anticipazione non solo del lemma (come in 27, 14) ma
anche delle citazioni latine rispetto a lemma e citazioni greci, segna un
ulteriore passo – rispetto alla seconda occorrenza del lemma – nella riela-
borazione della fonte greca, si può ipotizzare che la sostituzione di illius
rei a illius (et sim.) dipenda dall’intento di raccordare il lemma ai loci classici
citati e che sia pertanto un ulteriore tratto di seriorità di 10, 10 rispetto a
27, 14. Allo stesso modo potrebbe spiegarsi anche la divergenza tra 12, 1
despero illam rem e 32, 1 despero illum, dove il lemma nella prima occorren-
za della voce sembrerebbe essere il frutto di un adeguamento secondario
alla successiva citazione latina di Lucan. 5, 574 desperare viam. In questo
caso tuttavia nessuna delle due voci rappresenta complessivamente uno
stadio redazionale più avanzato dell’altra: se in 11, 12-12, 2 si osservano,
infatti, un lemma latino più aggiornato e una citazione abbreviata (desperare
viam) rispetto alla seconda versione della voce (desperare viam et vetitos conver-
tere cursus / sola salus), in questa la collocazione di lemma e citazioni latine
prima di quelli greci è certamente posteriore a quella inversa attestata nella
prima redazione. Il caso di ἀπογινώσκω/despero risulta pertanto esempli-
ficativo della frequente mescolanza, già notata, di elementi di maggiore e
minore rifinitezza nelle due versioni di un dato lemma in α-.

L’intento, che si è fin qui cercato di documentare, non fu


comunque sviluppato in modo coerente né in tutta l’estensione
del lessico né all’interno delle singole voci: emerge, infatti, un
elevato numero di casi, nei quali un lemma espresso con ille o
con un pronome personale è illustrato da citazioni letterarie
nelle quali il verbo è costruito con oggetti inanimati (8, 5; 9, 5;
9, 8; 10, 3; 18, 12; 27, 9; 27, 14; 30, 1; 32, 1; 32, 7; 46, 2; 51,
15; 54, 8; 58, 13; 107, 17) e, viceversa, un costrutto formulato
FONTI LATINE LXI

con illa res è seguito da esempi nei quali figurano oggetti anima-
ti (8, 13 = 28, 12; 29, 6; cfr. GL III 267, 24-25 ‘dedisco illam
rem’. Lucanus in I: ‘dedidicit iam pace ducem’).

3. FONTI LATINE

Nella trattazione della sintassi, per la quale diverse delle fonti


latine adoperate da Prisciano nei libri I-XVI dell’Ars non dove-
vano più risultare utili, a partire da Flavio Capro40, i principali
termini di confronto, almeno per i fenomeni di sintassi della
frase, consistono negli Exempla elocutionum di Arusiano Messio e
nelle raccolte di idiomata casuum di vari grammatici41. La tratta-
zione delle questioni, invece, di sintassi del periodo, imposta a
Prisciano dalla sua fonte atticista, risulta più ‘pionieristica’, come
si evince, oltre che dalla mancanza di una riflessione linguistica
preesistente su questi temi in ambito latino, anche dalle evidenti
difficoltà che il grammatico ha incontrato nella ricerca di paral-
leli latini per gli usi sintattici greci: spesso egli, infatti, si è limita-
to a produrre una traduzione ad verbum dei lemmi della sua fonte,
accostandovi citazioni e osservazioni relative a costruzioni latine
solo in senso lato paragonabili a quella greca di partenza42.
Prima di passare in rassegna le principali fonti latine, alle quali
Prisciano sembra aver attinto negli Atticismi, occorre infine ricor-
dare che nella ricerca di corrispettivi latini dei lemmi greci egli
potrebbe essersi servito anche, almeno in un primo momento, di
un sussidio glossografico: sono numerosi, infatti, i punti di con-
tatto lessicali tra le traduzioni letterali dei lemmi greci proposte
dal nostro grammatico e i glossari bilingui antichi e medievali43.

40 Vd. G. Keil 1889, pp. 65- 66; Wessner 1910. Cfr. anche Neumann
1881, pp. 36-55; Fröhde 1895, pp. 283-288.
41 Vd. Baratin 1989, pp. 323-342.
42 Vd. Rosellini 2012a, p. 206; Spangenberg Yanes 2014, pp. 123-

140; 2017b, pp. 302-305.


43 Vd. Rochette 2014, pp. 9-11; 2015, pp. 634-635; Spangenberg

Yanes 2014, pp. 131-140; ics. [a].


LXII NOTA INTRODUTTIVA

3.1 Ur-Arusianus

Il rapporto di Prisciano con Arusiano, verificabile nella con-


divisione di un centinaio di esempi letterari, è stato già da tem-
po spiegato nei termini della dipendenza da una fonte comune
(Ur-Arusianus), che doveva consistere in un repertorio alfabetico
di usi sintattici corredati da citazioni letterarie44. Questo testo, il
cui utilizzo traspare anche in altre parti dei libri XVII e XVIII,
sembra essere stato la principale fonte latina di Prisciano nella
composizione del lessico. Non di rado tuttavia egli ha ampliato
la documentazione linguistica offertagli dall’Ur-Arusianus con
esempi tratti da autori che non erano evidentemente stati sche-
dati dal compilatore di quel repertorio, in primo luogo gli iunio-
res Lucano, Stazio, Persio e Giovenale45.
In un certo numero di casi si verifica poi una condivisione
di esempi, raccolti attorno a determinati lemmi, non soltanto
con Arusiano ma anche con Nonio, che tuttavia li impiega per
illustrare le diverse sfumature di significato di un vocabolo
invece che i suoi usi sintattici. Questa circostanza suggerisce
che in uno stadio ancora anteriore (rispetto all’anello comune
ad Arusiano e Prisciano) della tradizione dell’Ur-Arusianus, al
quale risalirebbe anche la fonte adoperata da Nonio, tale lessico
latino fosse, sì, già organizzato per lemmi alfabeticamente
ordinati, ma che non fosse ancora orientato in senso sintattico
(né semantico, giacché tale aspetto è per lo più ignorato da
Arusiano e Prisciano), bensì raccogliesse degli esempi attorno a
dei lemmi senza ulteriori indicazioni46.

44 Vd. Karbaum 1889, pp. 9 e 13-18; Goetz 1891, p. 157; Jeep 1893,

pp. 95-96; Wischnewski 1909, pp. 305-306 (che a torto identifica la


fonte comune ai due grammatici in Flavio Capro); Wessner in Teuffel
1913, p. 294; Della Casa 1977, p. 31; De Paolis 2000, p. 59; Rosellini
2011, pp. 185-187; Spangenberg Yanes ics. [a].
45 Sulla selezione di autori latini citati negli Atticismi vd. Rosellini 2011;

in generale nei libri XVII-XVIII vd. Rosellini – Spangenberg ics.


46 Cfr. Spangenberg Yanes ics. [a]. Sui rapporti tra Prisciano e Nonio,

che in altri libri dell’Ars è fonte diretta del nostro grammatico, vd. inoltre
Jeep 1908, pp. 45- 46; Bertini 1975; 2009; Keller 2009; Gatti 2011, p. 50.
FONTI LATINE LXIII

Limitatamente ai sintagmi verbali e nominali, si registrano


anche frequenti paralleli, per i lemmi latini trattati da Prisciano,
nelle raccolte di idiomata casuum47. Almeno parte di questi punti
di contatto potrebbe tuttavia spiegarsi ancora con la comune
dipendenza dall’Ur-Arusianus: un discreto numero di lemmi
formulati in varie liste di idiomata sono, infatti, ricavati da loci
classici citati da Arusiano, alcuni dei quali sono impiegati, per
illustrare le medesime costruzioni, anche da Prisciano. Si può
dunque supporre che alcuni materiali del repertorio di exempla,
di impostazione sintattica, alla base degli Exempla elocutionum,
siano confluiti, attraverso una serie di passaggi (per lo più con
perdita delle citazioni letterarie) nelle raccolte di idiomata48.
Non è, invece, dimostrabile l’utilizzo diretto, da parte del no-
stro grammatico, di nessuno di questi testi.

3.2 Letteratura esegetica

L’unico commentatore antico citato negli Atticismi è Dona-


to, di cui Prisciano fa il nome a proposito dell’interpretazione di
un luogo terenziano (10, 7-9; 52, 16-17)49. Oltre alle menzioni
esplicite, gli scolî donatiani a Terenzio possono essere confron-
tati con l’uso che Prisciano fa del commediografo latino anche
altrove50: anche a proposito di altri passi terenziani, infatti, l’at-
tenzione dei due grammatici si appunta su uno stesso fenomeno
sintattico, sebbene non sempre essi ne diano una identica spie-
gazione. Se, infatti, l’intento di Prisciano è mettere in luce pa-
ralleli linguistici tra il greco e il latino, forse implicitamente
qualificando come grecismi o atticismi le locuzioni latine via via
registrate, più spesso Donato parla di ἀρχαισμός.

47 Cfr. De Nonno 2009, p. 259; Groupe Ars Grammatica 2010, p. 17.


48 Vd. Spangenberg Yanes 2017d, pp. 66-76.
49 Vd. commento ad loc. Donato è citato inoltre come modello, lui

stesso, di lingua in 13, 4-5, con riferimento però ad un passo dell’Ars


maior; cfr. De Nonno 1990a, p. 492; Rosellini 2011, p. 184 e n. 4.
50 Sulla dipendenza di Prisciano sia dalle Artes sia dai commenti di

Donato vd. Jeep 1908, pp. 18 e 26-31.


LXIV NOTA INTRODUTTIVA

È molto frequente anche la possibilità di confronti con Servio


e con il Servio danielino perché sono molto numerosi i luoghi
virgiliani, citati negli Atticismi, a proposito dei quali negli scolî si
rilevano grecismi o figurae51. Il commentatore virgiliano condivide
inoltre con Arusiano Messio o Nonio un certo numero di citazio-
ni di altri autori e ulteriori esempi, riferiti a lemmi trattati anche
da Prisciano e da lui illustrati per mezzo di differenti citazioni lette-
rarie (anch’esse talora coincidenti con quelle proposte da Arusiano
o Nonio). La questione dei rapporti tra il commento serviano e
l’Ur-Arusianus attende tuttavia ancora una indagine compiuta52.
Altri punti di contatto infine, nell’impiego di singoli esempi,
si danno con l’esegesi antica di Orazio53.

3.3 Trattazioni grammaticali e retoriche delle figurae

Alcuni usi sintattici sono descritti da Prisciano, sia negli Atti-


cismi sia in altre sezioni dei libri De constructione, come figurae o
figurate dicta, con una terminologia presente anche in altri autori
e che suggerisce una possibilità di confronto, in qualche caso,
anche con la manualistica retorica54. Non è un caso che il posto

51 In generale Kirchner 1883, p. 37, e Karbaum 1889, pp. 8-9,

considerano Capro probabile fonte comune al commento virgiliano di


Servio e a Prisciano, per i passi paralleli nei due autori. Fröhde 1895, pp.
284 e 288, ritiene, invece, che Servio sia stato anche utilizzato
direttamente da Prisciano. Jeep 1908, pp. 43- 45, propende a seconda dei
casi per la dipendenza di Prisciano da una fonte comune a Servio o per la
lettura diretta di quest’ultimo (i commenti di Servio a Virgilio sono
esplicitamente citati in GL II 106, 1; 233, 14; 242, 5; 256, 14-15; 259,
22-23; 515, 22-23; 532, 22).
52 In generale sull’eventualità che certi luoghi letterari, richiamati

come esempi da un grammatico, fossero stati in un primo momento


messi in luce e in connessione con un dato fenomento linguistico dai
commentatori vd. Colombat 2007, p. 76.
53 Vd. ad es. commento a 31, 6-7; cfr. De Nonno apud Spangenberg

Yanes 2017a, p. 675 n. 129.


54 Sul rapporto con la trattazione De figuris vd. Baratin 1989, pp. 261-

291 e 439- 457; 2011; Colombat 2007, p. 76; Ferri 2014, pp. 87- 89;
cfr. Schenkeveld 1991. Sul commento virgiliano di Servio vd. Uhl 1998.
FONTI LATINE LXV

riservato in altre Artes grammaticae alla trattazione dei vitia e virtutes


orationis – nella quale appunto trovavano spazio anche le figurae –
sia occupato, in quella priscianea, dall’esposizione della sintassi.
Limitatamente agli Atticismi, non sembra possibile rilevare casi di
vicinanza di Prisciano a un altro artigrafo in particolare tra quanti
si soffermano, sotto l’etichetta di figurae o talvolta di soloecismi,
sulle stesse costruzioni registrate dal grammatico di Cesarea. Al-
meno allo stadio attuale delle ricerche, si può dunque solamente
notare la probabile conoscenza, da parte di Prisciano, in generale
di questa tradizione di riflessioni su particolari usi sintattici, che
egli talora esemplifica anche con gli stessi loci letterari richiamati
da altri grammatici e retori (vd. ad es. 34, 13-14; 50, 7-10; 85,
13-15, con commento ad locc.).
Dagli ulteriori contatti con singoli testi grammaticali o
gruppi di essi o in generale con la tradizione artigrafica prece-
dente nel trattamento di determinati fenomeni, che sono via
via messi in luce nel commento, non emerge una particolare
adesione all’uno o all’altro predecessore.

3.4 Prisciano fonte di Prisciano

Negli Atticismi confluiscono anche molti materiali – sia conte-


nuti teorici sia esempi letterari – provenienti da precedenti libri
dell’Ars e in almeno un caso anche da un altro scritto dello stesso
Prisciano (fig. num. 11, 23-12, 7 Passalacqua in 43, 6-10). Consi-
derato l’elevato numero di voci degli Atticismi dedicate alla sintas-
si verbale, particolarmente evidente è il rapporto tra queste e i
capitoli De significatione (GL II 373, 9-404, 20) e Quae genera vel
significationes verborum quibus casibus construuntur (GL III 267, 6-
278, 6) rispettivamente del libro VIII55 e del XVIII. Proprio al
libro VIII si riferisce l’unico esplicito rimando interno negli Atti-
cismi: 77, 7-10 Loco enim genetivi vel dativi vel ablativi et accusativi
cum praepositione gerundiis vel supinis utimur, de quibus de verbo trac-

55 Vd. Flobert 2009, il quale evidenzia la notevole attenzione dedicata


dal grammatico alla trattazione della diatesi (connessa alla sintassi) in
questo libro; cfr. Baratin 1989, p. 480.
LXVI NOTA INTRODUTTIVA

tantes sufficienter docuimus (cfr. GL II 409, 5-413, 20)56. Molte


sovrapposizioni si osservano poi rispetto all’esposizione di una
serie di sintagmi nominali ancora nel libro XVIII (GL III 215,
29-222, 18), dove Prisciano si è servito della medesima fonte
latina, l’Ur-Arusianus, impiegata negli Atticismi, e rispetto ad alcu-
ne sezioni del libro XVII (soprattutto GL III 171, 11-173, 8;
186, 14-196, 22), nelle quali il grammatico ha messo a frutto la
stessa fonte greca del lessico finale. Numerosi sono inoltre i ri-
scontri offerti dai libri XIV, XV e XVI, nei lemmi che concer-
nono preposizioni, avverbi e congiunzioni. Com’è naturale, si
individuano, invece, pochissimi paralleli nella trattazione della
fonetica e della morfologia nei libri I-XIII (con l’eccezione del
già citato capitolo De significatione nel libro VIII).
È notevole infine il riutilizzo, nel lessico, della maggior parte
delle osservazioni e citazioni raccolti nell’additamentum tra-
smesso all’inizio del libro XVII, intitolato Proprietates Latinorum
(18, 2-7 / GL III 107, 9-11; 56, 13-57, 2 / GL III 107, 5- 8;
70, 2-4 / GL III 107, 12-14; 20, 10-13 / GL III 107, 20-21)57.
Molto frequente è anche la riproposizione degli stessi materia-
li in più voci degli Atticismi, talora richiesta dall’adeguamento al
lessico fonte, nel quale uno stesso fenomeno linguistico può esse-
re trattato sotto più lemmi (ad es. il complemento di età in 48,
11-14; 105, 8-11), talaltra motivata dalla scelta di Prisciano di
confrontare vari lemmi greci sempre con il medesimo uso latino
(ad es. in 28, 8-11; 41, 6-8; 87, 6-11; 109, 8-11 diversi composti
di βλέπω e ὁράω sono tutti accostati a prospicio, per lo più illu-
strato in tutte le voci con gli stessi esempi). Non manca qualche
caso di parziale contraddizione interna o di diverso trattamento
di uno stesso fenomeno (ad es. 42, 15- 43, 4 e 103, 3-13).

56 Cfr. De Nonno 2009, p. 271 n. 70. Gli unici altri due rinvii interni
nel lessico finale sono, invece, generici (19, 5-6 ‘si’, quod tam pro ‘ἐάν’ quam
pro ‘εἰ’ Graecis coniunctionibus, ut dictum est, accipitur; 40, 14 Romani quoque
‘impedio illum’, ut iam ostendimus), sicché è difficile stabilire se si riferiscano a
precedenti voci degli Atticismi (forse rispettivamente 18, 15-16 e 7, 5-8 =
27, 9) o ad altri luoghi dell’Ars (ad es. GL III 242, 15-17 e 267, 18).
57 In generale sugli additamenta trasmessi alla fine o all’inizio di alcuni

libri dell’Ars vd. De Nonno 2009, pp. 276-278.


USO DELLE CITAZIONI LXVII

4. USO DELLE CITAZIONI

4.1 Esempi greci

Uno dei principali segni dell’antichità della fonte di Priscia-


no è la selezione dei Musterautoren: a differenza di altri lessici
greci, essa contemplava, infatti, solamente gli autori attici di V-
IV secolo a. C. e non anche gli atticisti di età imperiale58. Inol-
tre comprendeva excerpta dai non attici Omero ed Erodoto59 e
da scrittori considerati meno autorevoli da un punto di vista
linguistico, quali Senofonte e soprattutto Menandro60.
Il lessico fonte recava citazioni di norma accompagnate sia dal
nome dell’autore sia dal titolo dell’opera (quando questi mancano
si deve probabilmente supporre un’omissione in qualche fase
della tradizione lessicografica greca), secondo una Zitierweise del
tutto congruente con quella dello stesso Prisciano (cfr. infra, §
4.2). L’estensione degli escerti è variabile: raramente si conserva-
no dei periodi completi, sebbene in genere sia rispettata l’integri-
tà almeno delle singole proposizioni. Come già notato da E.
Müller61, il compilatore del lessico fonte omette di frequente,
nelle citazioni, elementi non essenziali all’esemplificazione del
fenomeno linguistico in esame (soprattutto avverbi e attributi).
Si dà qualche caso di riuso degli stessi esempi sotto più lem-
mi, per illustrare più costrutti (ad es. 77, 11-13 / 95, 7- 8) op-
pure lo stesso fenomeno è lemmatizzato sotto due vocaboli
differenti (ad es. 24, 13-14 = 33, 16 / 53, 7- 8; 42, 15-18 /
103, 3-5; 72, 4- 6 / 103, 20-104 2). In questi casi, le citazioni

58 Vd. Rosellini 2010, pp. 79- 80 e p. 80 n. 2; 2012a, p. 197;

Ucciardello 2014, pp. 34-35.


59 Sul valore di questi due autori come modelli linguistici presso

alcuni esponenti dell’atticismo vd. Swain 1996, pp. 55-56; Wilson 2007,
pp. 55-57; Pontani 2011; Pagani 2015, pp. 829- 830; Tribulato 2016; cfr.
Steinthal 1890-91, II, pp. 68-70.
60 Vd. Sonnino 2014; Tribulato 2014.
61 E. Müller 1911 passim. Si tratta di un fenomeno del tutto comune

nelle tradizioni lessicografiche e scoliografiche: vd. Tosi 1988, pp. 78-80;


159-160; 189-192.
LXVIII NOTA INTRODUTTIVA

possono presentare un taglio e talora anche delle lezioni diver-


se tra un’occorrenza e l’altra.
Per quanto concerne il confronto con le rispettive tradizio-
ni dirette o altre fonti di tradizione indiretta, per gli autori
citati negli Atticismi in misura più consistente si dispone, ac-
canto al già citato E. Müller 1911, dei recenti contributi di
Menchelli 2014, Fassino 2014, Sonnino 2014, Visconti 2014:
da questi studi e dall’analisi condotta nel commento non
emerge per alcuno degli autori citati una sicura relazione della
fonte di Prisciano con un ramo in particolare delle rispettive
tradizioni dirette62.
Oltre agli esempi letterari certamente provenienti dal lessico
fonte, gli Atticismi contengono anche alcune citazioni di Omero
(9, 3; 9, 11-13; 16, 13; 17, 1; 29, 2; 31, 7; 45, 3)63 e in un caso
di Platone (71, 4) che, in quanto costituiscono delle digressioni
rispetto al lemma di partenza delle voci in cui si trovano o per-
ché già occorrono in precedenti luoghi dell’Ars che non sono
in rapporto con la fonte atticista di Prisciano o ancora per il
modo in cui sono introdotte, si suppone siano state aggiunte
dallo stesso grammatico latino, per conoscenza del testo dei due
autori greci o diretta o mediata da qualche altra fonte gramma-
ticale. In particolare di alcune citazioni omeriche è possibile
ipotizzare la derivazione da Apollonio Discolo64.

62 A integrazione dei contributi appena ricordati, si fornirà nel

commento all’edizione dei frammenti del Lexicon syntactium Prisciani una


disamina della trasmissione di Demostene nel lessico priscianeo, che non
è stata finora oggetto di studi specifici.
63 Più incerta la valutazione della provenienza degli esempi omerici in

14, 4; 27, 4; 65, 13; 84, 6, sui quali vd. commento ad locc.
64 Sulla dipendenza da Apollonio, occasionalmente richiamata nel

commento agli Atticismi nella misura in cui Prisciano accenna a usi sintattici
già trattati, sulla scorta del grammatico alessandrino, in precedenti sezioni
dei due libri De constructione, vd. Buttmann 1877, pp. XXII-XXXII; Matthias
1887, pp. 593-609; Fröhde 1895, pp. 279-282; Luscher 1912, pp. 2-23 e
188-200; Luhtala 2005, pp. 79-137; Garcea 2009; Schmidhauser 2009;
Groupe Ars Grammatica 2010, pp. 15 e 18-38. Sulla sintassi in Apollonio vd.
Donnet 1967, con indicazione di ulteriore bibliografia.
USO DELLE CITAZIONI LXIX

4.2 Esempi latini

La selezione degli autori latini citati negli Atticismi è assai più


ristretta di quella attestata nel resto dell’Ars (ma una notevole
riduzione in questo senso si verifica già a partire dal libro XVII):
essa consiste nella quadriga Messii (Virgilio65, Terenzio, Cicerone
e Sallustio66) con l’aggiunta di Livio67, Orazio e degli iuniores68 –
Lucano, Persio, Stazio e Giovenale – e di due singolari menzioni
di Donato (13, 4) e Solino (17, 11 = 45, 12)69. Il modo di intro-
durre gli esempi latini nel lessico finale corrisponde alla scrupolo-
sa Zitierweise dispiegata da Prisciano in tutta la sua opera70.
Come già si è notato, sono frequenti il riuso di citazioni già
impiegate in altre parti dell’Ars e la ripetizione degli stessi esem-
pi in più voci del lessico. In questi casi l’estensione e il testo
delle citazioni possono variare tra un’occorrenza e l’altra, sia in
relazione all’esigenza di illustrare con uno stesso passo fenomeni
differenti sia per le naturali imprecisioni delle citazioni mnemo-

65 In generale sulla tradizione indiretta di Virgilio in Prisciano vd.

Dierschke 1913, pp. 9- 67; Zetzel 1981, pp. 202-204; Timpanaro 1986,
pp. 175-176; 2001, pp. 141-142; De Nonno 1988.
66 Un esame complessivo della tradizione indiretta di Sallustio in

Prisciano è offerto da Nitzschner 1884, pp. 94-103; cfr. Rosellini 2011,


pp. 192-193.
67 Sulle citazioni di Livio nel lessico priscianeo vd. Rosellini 2011, pp.

184-185; in generale sulla conoscenza dello storico latino da parte di


Prisciano vd. Wessner 1919; De Nonno 2009, p. 260 n. 40.
68 Sulla fortuna di Lucano, Persio, Stazio e Giovenale nei grammatici

latini e sul ruolo – oggetto di dibattito – di Servio nella promozione degli


iuniores a modelli linguistici (idonei auctores) vd. Klotz 1882; Wessner in
RE s. v. Servius, II.A (1921), 1842, 41-65; Thomson 1928; Wessner
1929; Cameron 1964, pp. 368-372; 1966, p. 30 n. 43; Kaster 1978;
Vinchiesi 1979; 1981a, p. 62; 1981b, p. 73; De Nonno 1990b, pp. 636-
640; 644-645; Pellizzari 2003, pp. 219-222 e 240-245; De Paolis 2013,
pp. 483- 487; 2014. In particolare sull’utilizzo di questi autori negli
Atticismi priscianei vd. Rosellini 2011, pp. 184-185.
69 Vd. Jeep 1908, pp. 48-50; Rosellini 2011; Rosellini – Spangenberg

ics. In generale sugli autori latini citati da Prisciano, anche in relazione alle
diverse fonti intermedie di cui egli si servì, vd. Jeep 1908; 1909; 1912.
70 Vd. De Nonno 1988; 1990b, p. 642. Cfr. Perl 1967.
LXX NOTA INTRODUTTIVA

niche. In particolare le alterazioni nel dettato degli esempi


tratti da Terenzio, sia rispetto alla tradizione diretta sia nelle
diverse attestazioni degli stessi passi all’interno dell’Ars, soven-
te destano dubbi sulla reale sensibilità ‘a orecchio’ di Prisciano
per metri diversi dall’esametro71.
Anche per gli autori latini, come per quelli greci, almeno
limitatamente al campione di citazioni offerto dagli Atticismi,
non si osservano significativi punti di contatto con singoli rami
delle rispettive tradizioni dirette medievali.

5. CRITERI DEL COMMENTO

Il commento continuo al testo è articolato per voci e all’inter-


no di ciascuna di esse per rubriche (struttura della voce, lemma
greco, citazioni greche, lemma latino, citazioni latine, problemi
testuali), alcune delle quali possono essere talvolta omesse qualora
gli elementi cui si riferiscono manchino dalle singole voci o non
siano interessati da particolari questioni linguistiche, ecdotiche o
storico-letterarie. Per quanto concerne i materiali greci (lemmi e
citazioni) che Prisciano traeva dalla sua fonte atticista ci si limita
in questa sede a segnalare i fenomeni linguistici non altrimenti
attestati (o non attestati nella letteratura attica di V-IV secolo a.
C.) e l’eventuale condivisione di esempi letterari con altri lessici
o opere grammaticali in lingua greca. Un’analisi più completa è
rimandata all’edizione dei frammenti del lessico fonte (vd. supra,
p. VI). Maggiore spazio è dedicato, invece, in questo commento
71 Vd. Umpfenbach 1870, pp. LIX-LXII; P. Müller 1926; Craig 1930,
pp. 66- 69; De Nonno 1990a, pp. 476- 479; Groupe Ars Grammatica 2010,
p. 33; Rosellini 2011, pp. 190-191; 2015a, pp. XCIX-C; Velaza 2007, pp.
69 e 111; Victor 2013, pp. 347-348; Monda 2015, pp. 121-135; Lattocco
2015. In generale sulla tradizione del testo di Terenzio nell’antichità vd.
anche Jachmann 1924; Pasquali 1952, p. 361. Prisciano mostra del resto
qualche disattenzione anche in citazioni esametriche: ad esempio in Att.
69, 14-15 egli cita Verg. Aen. 1, 697 venit quale esempio di uso del
perfetto con valore di presente, sebbene la quantità breve di vĕ- sia
garantita dal metro (vd. infra, ad loc.); cfr. De Nonno 1990a, p. 474, a
proposito di Pers. 1, 28 in GL III 226, 10 e Att. 77, 5- 6.
CRITERI DEL COMMENTO LXXI

ai materiali latini (e occasionalmente greci) con cui Prisciano ha


integrato la sua fonte. Sotto il profilo linguistico sono discussi sia
gli usi non altrimenti noti sia quelli attestati nella lingua letteraria
ma rari; delle citazioni di autori latini si osservano non solo i casi
di condivisione con altri grammatici ma anche quelli in cui un
dato esempio non è utilizzato da altri, poiché anche questi con-
tribuiscono all’inquadramento di Prisciano nel panorama della
tradizione grammaticale tardoantica. I problemi ecdotici che
interessano la ricostruzione del testo priscianeo e dei loci classici
citati al suo interno sono trattati in eguale misura sia per le parti
latine sia per quelle greche del lessico bilingue.
I manoscritti priscianei utilizzati da Rosellini 2015a sono
indicati con i sigla di questa edizione; ulteriori testimoni citati
nel commento, in riferimento a sezioni dell’Ars precedenti agli
Atticismi, sono Vat. lat. 3313 (Z), Par. lat. 7505 (p), St. Gallen,
Stiftsbibliothek, 903 (g) e 904 (G), Karlsruhe, Badische Landes-
bibliothek, Aug. perg. 132 (K), da me consultati in riprodu-
zione fotografica digitale72. Degli errori di itacismo, molto
comuni e per lo più risalenti a uno stadio alto della tradizione
(quasi sempre sono già presenti in α), non si è data notizia nel
commento: il lettore ne comprenderà facilmente la natura
scorrendo l’apparato di Rosellini.
Le correzioni di Giuseppe Giusto Scaligero agli Atticismi
sono citate secondo il numero di pagina dell’edizione di Basilea
del 1545 (Prisciani Grammatici Caesariensis libri omnes. [...] Cum
indice copiosissimo. Basileae apud Nicolaum Bryling. Anno M. D.
XLV), su un esemplare della quale l’umanista annotò le sue
congetture. La copia in questione, oggi Oxford, Bodleian
Library, Auct. S.4.17, è stata da me consultata direttamente.
Nell’uso delle abbreviazioni, per gli autori latini si fa riferi-
mento all’Index del ThlL, dal quale ci si discosta solamente
nell’impiego del compendio GL in luogo di gramm. per le ope-
re edite nei Grammatici Latini; inoltre, per i testi grammaticali
riediti dopo la silloge di Keil si utilizzano numeri di pagina e

72 Sull’apporto del codice italomeridionale Z alla tradizione di

Prisciano vd. De Nonno 1977; 1979.


LXXII NOTA INTRODUTTIVA

rigo delle nuove edizioni anche quando non siano ancora state
registrate negli aggiornamenti dell’Index del ThlL, esplicitando
in quest’ultimo caso il nome dell’editore. Nelle citazioni dagli
Atticismi e dagli altri testi grammaticali editi nei Collectanea
Grammatica Latina si sono riprodotti l’interpunzione e i segni
diacritici adottati dagli editori, in quelle dalle sezioni precedenti
dell’Ars Prisciani e dalle opere di altri grammatici si sono posti i
loci classici tra apici; eventuali interventi di maggior peso sono di
volta in volta segnalati. Nei frequenti confronti con le raccolte
di idiomata casuum si è citata per esteso – salvo specifiche ne-
cessità – solamente quella inedita del ms. Oxford, Bodleian
Library, Add. C 144, ff. 78v- 80r73.
Nel titolo corrente delle pagine dispari del commento sono
richiamate le pagine di riferimento nell’edizione di Rosellini
(2015a) allo scopo di facilitare l’individuazione delle osservazio-
ni relative ai singoli passi. All’interno del testo, ove necessario
per disambiguare rispetto a precedenti sezioni dell’Ars Prisciani,
citate secondo l’edizione di Hertz (1855-59), l’indicazione di
pagina e rigo degli Atticismi è preceduta dall’abbreviazione Att.

73 Sulla quale vd. De Nonno 1992, pp. 237-238 n. 56; 2007, pp. 11-
12 e n. 34; 2013, pp. 96-97; Spangenberg Yanes 2017d, p. 61 n. 6 e pp.
77- 81. Ho consultato il codice in riproduzione fotografica digitale.
COMMENTO

7, 1- 4 curo con accusativo: φροντίζω con accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma latino – citazione latina
(Verg. georg. 1, 504) – citazione greca (Xenoph. Mem. 1, 1, 11
φροντίζοντας). Sull’assenza di un lemma greco esplicitamente
formulato nel primo gruppo di voci in α- vd. Rosellini 2012b, p.
204. La voce appartiene alla sezione iniziale del lessico (7, 1-11,
6), in cui la parte di ciascuna voce relativa al lemma latino prece-
de quella relativa al lemma greco (con l’eccezione di 7, 5-8 e 9,
15-10, 2). Un suo doppione è in 27, 6-8: cfr. supra, pp. LVII-LVIII.
LEMMA GRECO. Il lemma greco ricavabile dalla citazione di
Senofonte e dal confronto con il latino curo, φροντίζω, è extra
ordinem nella sequenza alfabetica del lessico, così come nella sua
seconda occorrenza (27, 6). Rosellini 2010, p. 89, spiega la
posizione «vagante» di questo lemma e del successivo,
ἐμποδίζω (7, 5-8), con l’intenzione originale di Prisciano di
ricavare dalla sua fonte atticista un elenco di costruzioni verbali
in entrambe le lingue a complemento del precedente capitolo
(GL III 267, 6-278, 6), a prescindere dall’ordinamento alfabeti-
co. In questo caso la collocazione di φροντίζω e ἐμποδίζω
all’inizio del lessico si spiega col fatto che i loro corrispettivi
latini, curo e impedio, sono nel primo gruppo di verbi citati in
GL III 267, 14-19 (vd. anche supra, pp. LIII-LIV).
Prisciano registra in questa voce il solo uso transitivo di
φροντίζω, come si ricava dalla citazione di Xenoph. Mem. 1,
1, 11 τὰ τοιαῦτα φροντίζοντας. Anche altrove riceve mag-
giore attenzione la costruzione del verbo con l’accusativo
rispetto alle altre possibili (27, 6- 8; 113, 11-13, dove è lem-
matizzato anche il nesso con il genitivo semplice e con περί e
2 COMMENTO

il genitivo, ma è comunque esemplificato solo quello con


l’accusativo).
CITAZIONI GRECHE. La citazione di Xenoph. Mem. 1, 1, 11
ricorre in 27, 6-7.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di φροντίζω e
curo è attestata anche nei glossari medievali (CGL II 120, 1; 473,
18; III 7, 5; 80, 43; 444, 60; cfr. Idiom. cas. GL IV 568, 11).
Mentre nella voce in esame (e nel suo doppione in 27, 6- 8)
Prisciano fa corrispondere la costruzione di curo con l’accusativo
a quella identica di φροντίζω, altrove presuppone per il verbo
greco anche la reggenza del genitivo e avverte della differenza
tra le due lingue a questo proposito: 25, 18-26, 3 Nec licet aliter
Latinis nisi accusativo supra dicta verba coniungere […], quomodo et
‘curo, patior, impetro, impedio’, quae Graeci etiam genetivis solent socia-
re vel dativo (cfr. ad loc.). La reggenza dell’accusativo da parte di
curo e altri verbi latini è spiegata, su base sintattico-morfologica,
nel capitolo sulle costruzioni verbali: GL III 267, 13-14 Sciendum
itaque, quod omnia activa apud Latinos, quae faciunt a se passiva, quae
et transitiva sunt in homines, sine dubio accusativo adiunguntur; sim.
276, 23-277, 1 (cfr. GL II 373, 15-16; 374, 13-16). Oltre che
negli elenchi di verba activa costruiti con l’accusativo forniti a
corredo di questi due passi (GL III 267, 15; 277, 5), curo compa-
re in liste di verbi che reggono l’accusativo anche in Char. 384,
2; 471, 19; Diom. GL I 314, 18; Idiom. cas. GL IV 568, 11.
CITAZIONI LATINE. Verg. georg. 1, 504 non è citato altrove da
Prisciano né da altri grammatici.
PROBLEMI TESTUALI. Le parole introduttive della citazione di
Verg. georg. 1, 504 sono in I geor(gicon) in δE, georgicon I nel
resto della tradizione. Nelle indicazioni di provenienza di una
citazione la sequenza di titolo e numero di libro, che in questo
caso appare essere stata quella presente nell’archetipo, è assai più
rara, nell’uso di Prisciano, di quella inversa (per le citazioni
delle Georgiche il rapporto è di 20 contro 99). La lezione di δE
potrebbe pertanto derivare da un tentativo di adeguamento
della Zitierweise di questo passo alla più comune prassi priscia-
nea. Cfr. De Nonno 1988, p. 280, che però non si occupa
specificamente dell’aspetto qui in esame.
7, 5-8 3

La lezione ἐπεδείκνυε(ν), testimoniata da Prisciano in Xe-


noph. Mem. 1, 1, 11, si trova anche in un gruppo di codici
senofontei (Φ) e nelle citazioni di questo passo in Stobeo (2, 1,
30) e Isidoro Pelusio (epist. 5, 202), mentre il resto della tradi-
zione diretta si divide tra ἀπεδείκνυεν e ἀπεδείκνυ. E. Mül-
ler 1911, pp. 49-50, ritiene superiore la variante ἐπεδείκνυε(ν)
proprio sulla base dell’accordo di Prisciano e Stobeo. Sulla tra-
dizione indiretta dei Memorabilia in Prisciano vd. anche Perrson
1915, p. 154; Bandini 2000-11, I, pp. CCLXXIV-CCLXXVII.
L’omissione di -ν- in ἀπομ‹ν›ημονευμάτων può essere
stata favorita dalla somiglianza, in maiuscola, alla seguente Η.

7, 5- 8 ἐμποδίζω con accusativo: impedio con accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Xenoph. Mem. 1,
2, 4 ἐμποδίζειν) – citazione latina (Lucan. 4, 446- 447). La
stessa voce è ripetuta, con alcune variazioni, in 27, 9-13 e 40,
11-14. Pur trovandosi nella sezione iniziale del lessico (7, 1-11,
6), in cui i corrispettivi latini individuati da Prisciano precedo-
no, all’interno delle singole voci, il lemma greco, questa prima
redazione del lemma ἐμποδίζω si apre con una citazione greca,
seguita da una latina. Tale inversione rispetto all’ordine proget-
tato dal grammatico si spiega con il contesto: il passo con cui si
esemplifica l’uso di ἐμποδίζω proviene, infatti, dalla stessa
opera, il primo libro dei Memorabilia di Senofonte, da cui è
tratto l’esempio della voce precedente, φροντίζω, nella quale il
greco segue il latino. Anche il modo in cui è introdotta la cita-
zione greca, ἐν τῷ αὐτῷ, è indice di continuità rispetto alla
voce precedente. Prisciano utilizza spesso espressioni come in
eodem o idem per coordinare tra loro più citazioni di uno stesso
autore. Il fatto che sia φροντίζω che ἐμποδίζω sopravvivano
nel lessico priscianeo anche come lemmi correttamente inseriti
nell’ordine alfabetico (rispettivamente in 113, 11-13 e 40, 11-
14), che certamente ricalca quello della fonte greca, prova che
le due citazioni dai Memorabilia non si presentavano in succes-
sione già nella fonte atticista di Prisciano. L’espressione di rac-
cordo ἐν τῷ αὐτῷ, benché in greco, deve essere stata dunque
inserita dal grammatico latino allo scopo di collegare tra loro i
4 COMMENTO

lemmi φροντίζω ed ἐμποδίζω, che egli aveva isolato dall’or-


dine alfabetico e messo in relazione su base esclusivamente sin-
tattica (la reggenza dell’accusativo). In 27, 9 essa è poi tradotta
in latino (in eodem) per un successivo intervento redazionale,
non necessariamente compiuto dallo stesso grammatico. Nella
prospettiva del progetto priscianeo di rielaborazione e riordina-
mento del lessico per costruzioni verbali (vd. supra, pp. LIII-LIV),
si deve concludere che almeno per φροντίζω ed ἐμποδίζω la
divisione in lemmi fosse ormai, nella concezione del grammati-
co, del tutto superata, al punto che egli poteva utilizzare cita-
zioni riferite alla reggenza di due verbi diversi come esempi di
un medesimo fenomeno linguistico. In nessun luogo dell’Ars,
infatti, tranne che in questo e nel suo doppione in 27, 9,
l’espressione in eodem/ἐν τῷ αὐτῷ è impiegata per connettere
due citazioni di uno stesso autore riferite a due lemmi/fenome-
ni differenti. In generale Prisciano utilizza ἐν τῷ αὐτῷ solo in
questo passo; in eodem, a raccordare citazioni greche, solamente
in 27, 9 (dove è traduzione di ἐν τῷ αὐτῷ) e in 71, 4 Πλάτων
Χαρμίδῃ … Πλάτων in eodem (vd. ad loc.). In GL III 173, 1 le
parole καὶ ἐν τῷ αὐτῷ, che coordinano due citazioni dalla
Contro Policle di Demostene (§ 66 e § 63), sono un’integrazione
di Spengel 1826, p. 645, probabilmente non necessaria.
La voce in 7, 5- 8 risulta anomala rispetto a quelle a essa
vicine non solo per la successione interna di citazioni greche e
latine, ma anche per l’assenza di un lemma latino esplicitato,
che nel primo blocco di lemmi in α- (7, 1-11, 6) è quasi sem-
pre posto in evidenza all’inizio della voce (l’unica altra eccezio-
ne è rappresentata dal lemma in 9, 15-10, 2). Una struttura della
voce più vicina a quella qui attesa si trova nel suo doppione in
27, 9-13 (vd. commento ad loc.). Cfr. Rosellini 2010, p. 92;
2012b, pp. 203-204; inoltre supra, pp. LIV e LVIII.
LEMMA GRECO. La voce è extra ordinem, così come in 27, 9-13,
dove questo lemma e il precedente, φροντίζω, si ripetono
nella medesima successione (cfr. supra, p. 1).
CITAZIONI GRECHE. Xenoph. Mem. 1, 2, 4 ricorre in 27, 9-11.
LEMMA LATINO. Impedio corrisponde a ἐμποδίζω anche nei
glossari bilingui (CGL II 84, 45- 46; 296, 41).
7, 5-8 5

La costruzione di impedio con il solo accusativo è osservata


da Prisciano anche in GL III 267, 18; 274, 15; 277, 5; Att. 26,
2. In tutti questi passi (tranne GL III 274, 15) impedio si trova
nello stesso elenco in cui è anche curo, il lemma latino della
voce precedente, al quale è stato avvicinato da Prisciano su base
esclusivamente sintattica (vd. supra, p. 1). L’uso transitivo di
impedio è registrato anche in Arus. 57, 4 Di Stefano; Char. 383,
27; Diom. GL I 315, 8; Dosith. 87, 11 Tolkiehn; Idiom. cas.
GL IV 568, 14; Serv. Aen. 9, 383.
CITAZIONI LATINE. Lucan. 4, 446- 447 è citato anche in 27, 11.
PROBLEMI TESTUALI. La forma ὑγιήν (ΥΓΙΗΝ), tràdita dai ma-
noscritti sia in questa prima occorrenza della citazione di Xe-
noph. Mem. 1, 2, 4 sia in 27, 10, corrisponde a ὑγιεινήν della
tradizione diretta. La variante testimoniata da Prisciano pone
delle difficoltà di tipo morfologico: essa sembra sottintendere,
infatti, l’esistenza di un non altrimenti attestato aggettivo
*ὑγιός, il cui accusativo femminile in attico sarebbe comunque
*ὑγιάν piuttosto che ὑγιήν. I precedenti editori priscianei
emendavano in entrambi i luoghi la citazione ripristinando
l’atteso ὑγιεινήν. D’altra parte almeno l’accusativo femminile
ὑγιήν (accentato anche come ὑγιῆν) conosce qualche circola-
zione nella documentazione papiracea proveniente dall’Egitto e
dalla Mesopotamia a partire dal I secolo a. C. (SB XVI 12469, l.
12; PSI VIII 921 R, l. 23; SB XXIV 16171, ll. 16-17; SB
XXIV 16170, ll. 16-17; inoltre come accusativo maschile in
BGU I 13, l. 8; Did. Psalm. III 198, 35-36 Gronewald. In tutti
questi passi gli editori espungono la -ν finale). Sulla base di
questa documentazione si può ipotizzare che nei primi secoli
dell’età imperiale, cioè all’epoca in cui si suppone sia stato com-
pilato il lessico fonte di Prisciano, abbia goduto di qualche dif-
fusione la forma impropria di accusativo, maschile e femminile,
ὑγιήν/ὑγιῆν, ricavata con un metaplasmo di declinazione
dall’aggettivo della seconda classe a due terminazioni, ὑγιής, -ές,
in uso sin da Erodoto e dalla letturatura attica di età classica (vd.
LSJ s. v.; cfr. Schol. Il. 12, 157; Od. 12, 313). La forma ὑγιήν
nella citazione di Xenoph. Mem. 1, 2, 4 deve esservi stata intro-
dotta dal lessicografo per una svista o doveva già trovarsi nel
6 COMMENTO

testo senofonteo di cui quello disponeva; vd. più dettagliata-


mente Spangenberg Yanes 2017c.
La presenza in 7, 5 delle lettere ΗΝ all’interno di ἱκανῶς
(ΥΓΙΗΝ Τε ιΗΝΚαΝωC; ma cfr. 27, 10 ΥΓΙΗΝ Τε ΚαΝωC), che
ha consentito a Rosellini (in apparato ad loc.) di ipotizzare che
esse fossero in origine vergate nell’interlineo e poi in una copia
successiva mal collocate all’interno del testo, dovrà essere consi-
derata l’esito di un tentativo di correzione in ὑγιηνήν (=
ὑγιεινήν nella pronuncia itacistica) da parte di qualche copista a
monte della tradizione (forse lo stesso Flavio Teodoro). Se,
invece, si attribuisse questo intervento correttorio allo stesso
Prisciano (o addirittura già all’esemplare del lessico atticista in
suo possesso), si dovrebbe mettere a testo ὑγιεινήν in 7, 5,
conservando ὑγιήν in 27, 10. Questa ipotesi è tuttavia resa
poco plausibile dagli elementi di maggiore avanzamento reda-
zionale della seconda versione della voce ἐμποδίζω rispetto alla
prima (vd. supra).
L’integrazione di quarto, proposta da Spengel 1826, p. 651,
nell’indicazione di provenienza della citazione di Lucan. 4, 446-
447, ricondurrebbe anche questo passo alla norma osservata da
Prisciano nell’introdurre gli esempi di autori classici, con precisa-
zione del numero del libro nel caso di opere in più libri (vd. De
Nonno 1988; 1990b, p. 644). Tuttavia la totale assenza del nu-
merale dai testimoni manoscritti e la presenza, invece, negli Atti-
cismi, di innumerevoli simili casi di citazioni la cui indicazione di
provenienza si arresta al nome dell’autore citato e alla preposizio-
ne in, suggerisce che Prisciano stesso abbia lasciato in sospeso
queste indicazioni e non abbia più avuto il tempo o la possibilità
di integrarle nel testo (vd. Rosellini 2015a, pp. XCVII-XCVIII e
CXL-CXLI). L’incertezza di Prisciano riguardo alla provenienza
del passo lucaneo è ulteriormente provata dalla sua seconda oc-
correnza negli Atticismi, dove l’indicazione del libro è presente
ma erronea (27, 11 in VIII). In un primo momento Prisciano ha
lasciato in sospeso l’indicazione numerica del libro (7, 6 Lucanus
in...); in una fase più avanzata dell’elaborazione di questa voce
l’ha supplita, cadendo in errore (27, 11 Lucanus in VIII).
8, 1-4 7

8, 1- 4 sentio con accusativo: αἰσθάνομαι con accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma latino – citazione latina
(Verg. Aen. 10, 534) – citazione greca (Isocr. Ad Dem. 34
αἰσθήσει). La voce si ripete con delle variazioni in 25, 10-14.
CITAZIONI GRECHE. La citazione di Isocr. Ad Dem. 34 ricorre
in 25, 11-13.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di sentio e
αἰσθάνομαι è istituita anche in CGL II 220, 52; III 279, 27 e
43; Idiom. cas. GL IV 568, 23.
La costruzione di sentio con l’accusativo è richiamata anche
in GL III 267, 17; 277, 3; Att. 26, 1; 97, 1-2. Essa è inoltre
registrata da Arus. 95, 14 Di Stefano e in alcune liste di idiomata
(Char. 383, 30; Diom. GL I 315, 7; Idiom. cas. GL IV 568, 23).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 10, 534 non è citato altrove in
ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. La specificazione del titolo del poema
davanti alla citazione di Verg. Aen. 10, 534, assente dal resto
della tradizione, è propria del codice Q (in X aeneid), caratteriz-
zato da una particolare cura dotta del testo (vd. Rosellini 2014a,
p. 356; Passalacqua 1988), e di O (in ae X), l’altro testimone del
medesimo ramo. Questi due manoscritti recano per lo più il
titolo dell’Eneide anche quando gli altri lo omettono (vd. Ro-
sellini 2015a, apparato a 13, 10). Il loro antecedente comune
(δ) sembra aver dunque integrato il titolo del poema virgiliano
anche laddove Prisciano non lo aveva ritenuto necessario, e
cioè in primo luogo per i libri V-XII, per i quali non si dà pos-
sibilità di confusione con le Georgiche, ma spesso anche per i libri
I-IV (cfr. De Nonno 1988, p. 280). Nell’intera Ars sono, infatti,
solo quattro i casi in cui il titolo del poema virgiliano è menzio-
nato accanto all’indicazione di uno dei libri V-XII. In due di
questi (GL II 64, 15; III 188, 12) l’esplicitazione del titolo si
spiega col fatto che la citazione segue immediatamente a una
tratta dalle Georgiche, e dunque con l’esigenza di non creare
equivoci, segnalando il passaggio da un’opera virgiliana all’altra
(idem in VI dopo Virgilius in II georgicon oppure idem in VIIII
dopo Virgilius georgicon III sarebbero apparse indicazioni errate).
In GL III 78, 7 Virgilius in V Aeneidos, V è in realtà la lezione
8 COMMENTO

dell’editio Aldina (1527), messa a testo anche da Hertz, mentre i


manoscritti hanno II. La corruttela di V in II si può spiegare su
base paleografica (vd. Havet 1911, p. 163), ma è altrettanto possi-
bile che Prisciano avesse citato il passo con un’errata indicazio-
ne del libro; in questo caso la menzione del titolo del poema
sarebbe coerente con l’uso del grammatico di indicarlo solo per
i primi quattro libri. L’unico caso sicuro di menzione ‘gratuita’
del titolo dell’Eneide è GL II 350, 7 Virgilius in XII Aeneidos.
Nella citazione di Isocr. Ad. Dem. 34 Prisciano testimonia
διάνοιαν in luogo di γνῶσιν (poziore secondo B. Keil 1885, p.
23 n. 3) o γνώμην, lezioni rispettivamente della prima e della
seconda famiglia dei codici isocratei (vd. Fassino 2014, p. 277).
Prisciano si accorda poi nella forma σαυτόν con i codici ‘uma-
nistici’ della seconda famiglia (e con il papiro p7 ante correctionem)
contro la restante tradizione medievale e papiracea di Isocrate,
latrice di σεαυτόν, che Fassino 2014, p. 281, ritiene lezione supe-
riore. Il grammatico attesta infine la forma corretta, αἰσθήσει,
invece del congiuntivo αἰσθήσῃ della tradizione diretta.

8, 5- 8 audio con accusativo: ἀκούω con accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma latino – espressione sostitu-
tiva del lemma greco – citazione latina (Verg. Aen. 12, 200) –
citazione greca (Demosth. 3, 1). L’espressione sic etiam illi com-
pensa l’assenza del lemma greco. La voce è replicata in 25, 15-
26, 3; qui si trova nel primo gruppo di lemmi in α-, in cui la
parte latina di ogni voce precede quella greca.
CITAZIONI GRECHE. La citazione di Demosth. 3, 1 ricorre in
25, 15. Il passo è attribuito alle Filippiche sia qui (Φιλιππικῶν
Γ) sia in 25, 15 (Philippicorum III), perché con questo titolo
collettivo erano sovente indicate nell’antichità le orazioni 1-11
del corpus demostenico (cfr. Fassino 2014, p. 264 n. 55).
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di audio con
ἀκούω è attestata anche in Idiom. cas. GL IV 568, 27 e nei
glossari bilingui (CGL II 25, 53-54; 26, 12; 223, 30; III 4, 58;
5, 73; 73, 8-14; 123, 6-14; 337, 24-32; 398, 5-11; 440, 1;
Gloss. biling. II 8, 13; P. Sorb. inv. 2069 ll. 95-100, edito in
Dickey – Ferri 2010, pp. 177-187).
8, 9-12 9

Prisciano nota l’uso transitivo di audio anche in GL III 267,


15; 277, 2; Att. 26, 1-2; 52, 13. Assegnano al verbo la reggenza
dell’accusativo anche Char. 384, 1; Diom. GL I 315, 8; Idiom.
cas. GL IV 568, 27-28; Iul. Tol. 189, 58; Beda orth. 8, 35 Jones.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 12, 200 è citato anche in 25, 18.
PROBLEMI TESTUALI. Il codice Q integra il titolo del poema (in
XII aeneidos), assente dal resto della tradizione, come già in 8, 1
(vd. supra, ad loc.). L’altro testimone della famiglia δ (O) lascia
uno spazio bianco tra in e XII.
Nella citazione di Demosth. 3, 1 Prisciano reca qui δὲ πρός
in luogo di τ’ εἰς della tradizione diretta; in 25, 16 εἰς τούς per
πρὸς τούς dei codici di Demostene. Viene cioè appianata la
variatio del passo demostenico nell’uso delle preposizioni, nor-
malizzando una volta in πρός e un’altra in εἰς (cfr. Lucian. 29,
26; Syr. In Hermog. id. p. 27, 11-12 Rabe; Schol. Hermog. RhG
VII 70, 18-20). Poiché si tratta di due redazioni della stessa
voce e non del riuso di una stessa citazione come esempio di
più lemmi diversi, si può escludere che le due varianti risalgano
alla fonte greca di Prisciano: le due voci del lessico priscianeo
corrispondono, infatti, a un unico lemma del lessico fonte. L’as-
similazione prima in un senso e poi nell’altro deve essere avve-
nuta, forse per una duplice svista, proprio nel corso dell’elabo-
razione priscianea della fonte (non necessariamente ad opera del
grammatico, ma anche, ad esempio, di Flavio Teodoro). È
piuttosto improbabile, invece, che si tratti di due indipendenti
errori di tradizione.

8, 9-12 patior con accusativo: ἀνέχομαι con accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma latino – citazione latina
(Lucan. 1, 278-9) – citazione greca (Demosth. 18, 10 ἀνάσ-
χησθε). Un doppione della voce è in 26, 16-27, 5.
LEMMA LATINO. La corrispondenza di patior con ἀνέχομαι è
stabilita anche in Char. 467, 15; 467, 32; Idiom. cas. GL IV 568,
36; 569, 34; CGL II 142, 48; 226, 40; 325, 17; III 152, 2.
Prisciano accenna alla costruzione di patior con l’accusativo
anche in GL III 217, 1~11; Att. 25, 18-26, 3. L’uso transitivo
del verbo è inoltre rilevato in Idiom. cas. GL IV 568, 36.
10 COMMENTO

CITAZIONI LATINE. Lucan. 1, 278-9 è citato, in forma più


breve, anche in 27, 3.
PROBLEMI TESTUALI. La corruttela di ἴστε in εΙCΤε, dovuta alla
pronuncia itacistica (cfr. Rosellini 2014a, p. 352), è anche nell’al-
tra redazione di questa voce (27, 1), ma si tratterà di un errore
poligenetico. Nella citazione di Demosth. 18, 10 il grammatico
attesta inoltre, rispetto alla tradizione diretta e a Ps. Aristid.
RhG II 487, 19-26 Spengel, l’aggiunta di ὄντα dopo τοιοῦτον
e l’omissione di που dopo ἄλλοθι. L’inserzione del participio
potrebbe essere segno di un uso scolastico del testo demosteni-
co da cui furono tratte le citazioni del lessico priscianeo; E.
Müller 1911, p. 8, lo ritiene, infatti, aggiunto a scopo esplicati-
vo. L’assenza, invece, di elementi poco significativi in relazione
al lemma, come in questo caso που, è piuttosto frequente nelle
citazioni di autori greci negli Atticismi e risale verosimilmente ai
tagli operati dalla fonte nella selezione del materiale.

8, 13-9, 4 memini con accusativo o genitivo: ἀναμιμνήσ-


κομαι con accusativo o genitivo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma latino – citazioni latine
(Verg. ecl. 9, 45; Aen. 4, 335) – citazioni greche (Demosth. 19,
27 ἀναμνησθέντες; Hom. Il. 24, 486 μνῆσαι). Un doppione
di questa voce si trova in 28, 12-29, 5.
CITAZIONI GRECHE. Demosth. 19, 27 è citato anche in 28, 12-
29, 2. Il passo dell’oratore attico, certamente proveniente dal
lessico fonte, illustra la costruzione di ἀναμιμνήσκομαι con
l’accusativo (vd. LSJ s. v.), più rara, mentre quella più comune
con il genitivo è esemplificata da un verso omerico (Hom. Il.
24, 486). Quest’ultimo occorre anche in 61, 11-12, sotto il
lemma μνησθῆναι (cfr. Mazzotti 2014, p. 155 n. 31) e contie-
ne un’attestazione del verbo semplice (μνῆσαι) piuttosto che
del composto. Sebbene sia frequente nella prassi dei lessicografi e
grammatici antichi il ricorso a occorrenze di un verbo semplice
per illustrare un suo composto e viceversa (negli Atticismi cfr. ad
es. 44, 4-11), è possibile che la ripetizione dell’esempio omeri-
co sotto i lemmi ἀναμιμνήσκομαι e μνησθῆναι non fosse già
nel lessico fonte di Prisciano bensì che si debba a un intervento
8, 13-9, 4 11

del grammatico latino. Hom. Il. 24, 486 è citato in moltissime


fonti grammaticali (vd. infra) e Prisciano poteva conoscerlo indi-
pendentemente dalla fonte atticista (vd. Rosellini 2015a, p.
XCVIII n. 109; cfr. Spangenberg Yanes 2017a, pp. 664- 675).
LEMMA LATINO. Oltre che qui e nel doppione di questa voce
(28, 12-29, 5), memini è indicato come equivalente latino di
(ἀνα)μιμνήσκομαι anche in 61, 11-15 (vd. infra, ad loc.). Nei
glossari medievali è confrontato con memini solo il semplice
μέμνημαι (CGL II 128, 44; 367, 35; III 77, 30).
Altri grammatici rilevano di volta in volta l’uso di memini
con il genitivo (negli idiomata di Char. 382, 9; App. Prob. 2, 34
Asperti-Passalacqua; Explan. in Don. GL IV 553, 11; 556, 8-10;
Oxford, Bodl. Libr., Add. C 144, f. 78v memini tui memini malo-
rum; cfr. Prob. cath. GL IV 25, 11-12) o con l’accusativo (Char.
384, 1; Idiom. cas. GL IV 569, 6). Più spesso, come negli Atticis-
mi priscianei, memini è descritto come verbo con doppia costru-
zione (Arus. 64, 13 Di Stefano; 64, 15; 65, 7- 8; Char. 385, 24-
25; Diom. GL I 315, 9; 319, 7-9; Dosith. 88, 16-17 Tolkiehn;
Serv. Aen. 1, 203; 4, 335; ecl. 7, 69; Consent. GL V 385, 11-
14; Mart. Cap. 3, 324; Beda orth. 34, 661 Jones). Nonio riferi-
sce che la reggenza dell’accusativo era considerata meno comu-
ne di quella del genitivo (524, 12 memini illam rem difficilius dictu
putant plurimi), ma la sua osservazione non risulta verificata.
CITAZIONI LATINE. Gli esempi latini presenti in questa voce si
ritrovano nella sua altra redazione (29, 3-5) e illustrano la sintas-
si di memini anche in 26, 6- 8; 61, 14-15. Verg. ecl. 9, 45 è citato
inoltre da Serv. Aen. 4, 335; ecl. 7, 69; Non. 524, 12; cfr. Con-
sent. GL V 385, 11-14. L’unico altro autore ad accostare Verg.
Aen. 4, 335 e ecl. 9, 45 è dunque Servio, nel commento al primo
dei due versi. Forse Prisciano poteva avere in mente proprio il
passo serviano nella selezione degli esempi latini per questa voce
del lessico. Sul rapporto tra i due grammatici vd. supra, p. XLIV.
La corrispondenza tra Prisciano e Nonio nell’uso degli
esempi virgiliani relativi a memini è considerata casuale da
Bertini 1975, pp. 72-74; il discreto numero di coincidenze,
nell’uso di esempi letterari, tra questi due grammatici e tra l’uno
e/o l’altro e Arusiano o Servio suggerisce tuttavia che esse,
12 COMMENTO

piuttosto che essere fortuite, si debbano all’impiego di una fonte


comune (vd. supra, pp. LXII-LXIV).
PROBLEMI TESTUALI. L’indicazione del libro dell’Iliade, che
Hertz (GL III 280, 8) integra con Ω, è assente dalla tradizione
manoscritta. La forma al genitivo con cui è dato il titolo del
poema, Iliados, suggerisce che Prisciano avesse intenzione di
fornire l’indicazione numerica del libro ma non sia riuscito a
reperirla e la abbia lasciata in sospeso, come avviene anche per
altre citazioni dai poemi omerici e da testi latini (vd. supra, p. LV).
Negli Atticismi le citazioni omeriche sono introdotte quasi sem-
pre dal solo nome del poeta; il titolo del poema è dato, oltre che
nei tre luoghi appena ricordati, solamente in 29, 2 Homerus Ilia-
dos I, che è l’unico caso in cui sia anche trasmessa l’indicazione
del libro di provenienza del verso. Nel resto dell’Ars Omero è
citato con precisazione del titolo del poema e del libro soltanto
tre volte (su 38 citazioni fuori dal lessico: GL II 93, 1; 239, 22;
III 193, 23); vd. Spangenberg Yanes 2017a, pp. 675- 679.
In Hom. Il. 24, 486 Prisciano testimonia la variante σεῖο per
σοῖο, recata pressoché concordemente dalla tradizione diretta.
La lezione σεῖο si trova, spesso attribuita a Zenodoto, anche in
innumerevoli fonti antiche, tra le quali Apoll. Dysc. GG II.1
108, 10-16; II.2 223, 12-17; Lex. Vindob. 286, 19; Aristonic.
sign. Od. 1, 413 = Schol. Od. 1, 413d; Eust. Il. IV 937, 25-26;
Hesych. σ 326; Schol. Il. 22, 420; 24, 371; 24, 486b. Σοῖο è,
invece, in Ammon. diff. 167; 445; Apoll. lex. Hom. 140, 34-35;
143, 30; Her. Phil. ε 69; σ 166; cfr. Schol. Il. 24, 486a.
Ancora nella citazione omerica, Prisciano attesta μνῆσαι in
9, 3, μνήσεο in 61, 11. La variante μνήσεο è recata anche da
Ammon. diff. 445 (ma cfr. 167 μνῆσαι; cfr. la lezione ametrica
μνήσαιο in Apoll. lex. Hom. 140, 35; 143, 30). La forma
μνήσεο, più rara e presente negli Atticismi sotto il lemma
μνησθῆναι, poteva effettivamente essere quella con cui il verso
era noto al dotto compilatore del lessico atticista. Non a caso la
variante più banale μνῆσαι si trova, invece, sotto il lemma
ἀναμιμνήσκομαι, dove la citazione omerica è probabilmente
un’aggiunta dello stesso Prisciano alla sua fonte atticista (vd.
Cassio apud Rosellini 2015a, p. XCVIII n. 109).
9, 5-7 13

9, 5-7 impero con dativo: ἄρχω con dativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma latino – lemma greco – cita-
zione latina (Verg. georg. 1, 99) – citazione greca o lemma greco
secondario. La voce è ripetuta, in forma ampliata, in 33, 5-13.
CITAZIONI GRECHE. L’espressione ἦρχεν Ἀθηναίοις, intro-
dotta dal generico Attici, potrebbe essere desunta, secondo Ferri
2014, pp. 91-92, da Thuc. 1, 93, 3 Ἀθηναίοις ἦρξε, ma non
se ne può escludere la provenienza da un testo non conservato.
Si può, invece, certamente respingere la proposta di E. Müller
1911, p. 2, che ἦρχεν Ἀθηναίοις derivi da Herod. 1, 59 ἦρχε
Ἀθηναίων. Il dativo Ἀθηναίοις, infatti, è concordemente
tràdito dai manoscritti e in questa voce del lessico Prisciano
prende in esame la sola costruzione di ἄρχω con il dativo. La
forma stessa di questa citazione adespota, circoscritta alla costru-
zione lemmatizzata e introdotta dalla dicitura Attici, suggerisce
comunque che già nella fonte di Prisciano essa fosse presentata
in modo simile a un lemma.
LEMMA LATINO. La corrispondenza di ἄρχω e impero è attestata
anche nello Ps. Cirillo (CGL II 247, 4).
Della costruzione di impero con il dativo Prisciano tratta
anche nel libro VIII (GL II 374, 13~20 Haec autem verba proprie
activa vel recta vocantur, quae in o desinentia et assumpta r facientia ex
se passiva, confestim cum dicuntur, possunt transire in quem fit actus et
coniunguntur vel genetivo vel dativo vel accusativo casui, ut […] ‘impe-
ro tibi’). La medesima posizione è espressa da Carisio (332, 15-
333,1) e Diomede (GL I 399, 13-21), i quali tuttavia precisano
che impero e gli altri verbi che reggono il dativo non possono
formare il passivo se non impersonale. Prisciano, al contrario,
postula senza difficoltà la formazione del passivo personale di
impero e degli altri verbi costruiti all’attivo con il dativo (GL II
374, 22-23). Nella prima metà del libro XVIII il nostro gramma-
tico include poi impero nella categoria sintattico-semantica dei
supereminentia, che esprimono un comando e reggono il dativo
(GL III 273, 24-25). Impero si trova inoltre, all’interno della
trattazione dell’infinito, tra i verba praeceptiva costruibili alternati-
vamente con il dativo o con l’accusativo e l’infinito o con il
congiuntivo (GL III 227, 13-20; sulla definizione di praeceptiva,
14 COMMENTO

usata solamente in questo passo, vd. Schad 2007, pp. 310-311;


ThlL s. v. praeceptivus [Massaro], X.2 422, 76- 80).
CITAZIONI LATINE. Verg. georg. 1, 99 è citato anche nel dop-
pione della voce in esame (33, 5-13) e, ancora per la costruzio-
ne di impero con il dativo, in GL III 273, 24-26.
PROBLEMI TESTUALI. Nell’espressione del lemma greco di que-
sta voce i manoscritti oscillano tra le lezioni CΟΙ (θYQ) e CΟΥ
(βζηLOJ, Y post corr.). Sebbene da un punto di vista stemmatico
CΟΥ appaia essere la lezione dell’archetipo (Rosellini apud Ferri
2014, p. 95 n. 28), essa può comunque essere considerata cor-
rotta, data la facilità del passaggio da CΟΙ a CΟΥ sia come errore
grafico o fonetico che come banalizzazione sintattica. L’opzione
dell’editrice per la forma del pronome al dativo è confortata dal
confronto con la citazione anonima ἦρχεν Ἀθηναίοις e con il
lemma latino impero tibi.

9, 8-14 aufero con dativo o a/ab e ablativo: ἀφαιρέομαι


con dativo o accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma latino – lemmi latini secon-
dari – citazioni latine (Ter. Phorm. 223; Lucan. 5, 354-355;
Verg. Aen. 2, 289) – citazioni greche (Hom. Od. 1, 9
ἀφείλετο; Il. 1, 275 ἀποαίρεο), con osservazione aggiuntiva.
CITAZIONI GRECHE. Nelle citazioni di Hom. Od. 1, 9 e Il. 1,
275 la presenza del titolo del poema e l’omissione del numero
del libro (vd. infra) suggeriscono che o si tratti di esempi ag-
giunti da Prisciano rispetto al lessico fonte o che egli abbia ten-
tato di precisare l’indicazione di provenienza delle citazioni che
vi trovava (cfr. Spangenberg Yanes 2017a, pp. 675- 679). L’er-
rore nell’identificazione dell’opera da cui è tratta la prima cita-
zione – che proviene dal primo libro dell’Odissea e non dall’Ilia-
de – potrebbe essere dovuto a un lapsus di memoria dello stesso
Prisciano. D’altra parte non si può escludere definitivamente un
guasto meccanico di tradizione, giacché il verso appartiene al
proemio dell’Odissea e forse, anche in una citazione a memoria,
Prisciano non lo avrebbe potuto attribuire erroneamente all’Ilia-
de. Si può considerare indizio per ascrivere la corruttela alla
tradizione manoscritta dell’Ars anche il fatto che il titolo del
9, 8-14 15

poema è ripetuto due volte (in Iliadis, in Iliadis). Nella Zitierweise


priscianea, infatti, di due citazioni consecutive dalla stessa opera
la seconda è di norma introdotta da (idem) in eodem. Hom. Il. 1,
275 illustra la costruzione di ἀφαιρέομαι con l’accusativo della
persona anche in Lesbon. fig. 11b (cfr. infra).
LEMMA LATINO. L’equivalenza semantica di aufero e ἀφαιρέω
è postulata anche in Char. 345, 1; Beda orth. 10, 81 Jones (che
colloca anche adimo tra i corrispettivi latini di ἀφαιρέομαι).
Allo stesso verbo greco corrisponde adimo, affiancato in questa
voce del lessico ad aufero, anche in Prisc. GL III 262, 23-24
‘[...] adimas tu ei [...]’ ἀφέλοιο ἄρα (cfr. Idiom. cas. GL IV 567,
11; Beda orth. 10, 81; vd. anche Ferri 2014, p. 93).
Delle due costruzioni di aufero descritte da Prisciano solo
quella con il dativo costituisce un puntuale parallelo per uno
degli usi di ἀφαιρέομαι. La stessa reggenza è registrata anche
negli idiomata di Char. 382, 20; Diom. GL I 312, 28; Idiom. cas.
GL IV 567, 9-10. La costruzione con a/ab e ablativo non è,
invece, esplicitamente notata da alcun altro grammatico, forse
in parte perché i costrutti preposizionali esulano dall’interesse
dei compilatori degli elenchi di idiomata, ma anche per la ovvie-
tà ‘etimologica’ della reggenza dell’ablativo da parte di aufero
(vd. Explan. in Don. GL IV 544, 14 ablativus ab auferendo dictus,
‘aufer ab eo’; sim. Pomp. GL V 183, 9-10).
Prisciano accosta aufero, che egli propone come primo corri-
spettivo latino di ἀφαιρέω, a una serie di sinonimi introdotti
da similiter: eripio, adimo, amolior e amoveo (per la loro sinonimia
cfr. Char. 401, 23-25; 414, 14; Beda orth. 10, 81- 82 Jones;
CGL II 252, 20-21; IV 9, 10; 302, 29; 304, 3-4; 336, 49; V
530, 29). Un esame degli usi sintattici di questi verbi, sebbene
per alcuni di essi una delle due costruzioni attribuite al primo
lemma latino, di volta in volta quella con dativo o quella con ab
e ablativo, sia meno solidamente attestata, consente di conclu-
dere che il grammatico intendeva affiancare eripio, adimo, amolior
ed eripio ad aufero non soltanto su base semantica ma anche sin-
tattica (vd. Spangenberg Yanes 2014, pp. 116 e 120). Eripio e
adimo si trovano in liste di idiomata del dativo in Char. 382, 14;
383, 2; Diom. GL I 313, 1; Idiom. cas. GL IV 567, 11; Beda
16 COMMENTO

orth. 23, 391. Nessun altro grammatico, invece, registra la


costruzione di adimo ed eripio con a/ab e l’ablativo (per il pri-
mo dei due verbi estremamente rara: vd. ThlL s. v. adimo
[Oertel], I 679, 72- 680, 13 e 685, 22-29). La sintassi di amoveo
è trattata dallo stesso Prisciano anche nella prima metà del libro
XVIII: GL III 277, 6- 8 Separativa sive discretiva cum accusativo
etiam ablativo coniunguntur, ut ‘averto illum hac re’ et ‘ab hac re’.
similiter [...] ‘amoveo’. Negli Atticismi, invece della costruzione
con l’ablativo semplice, il grammatico attribuisce ad aufero e ai
suoi sinonimi, tra cui amoveo, quella con il dativo, che costitui-
sce un più puntuale termine di confronto per il greco
ἀφαιρέομαι. Amolior, invece, non è menzionato altrove nella
tradizione grammaticale; è, infatti, un verbo poco comune (vd.
ThlL s. v. amolior [Hey], I 1965, 47-1966, 37).
CITAZIONI LATINE. Sebbene riconosca ad aufero e ai suoi sino-
nimi sia la costruzione con il dativo che con a/ab e l’ablativo,
Prisciano porta esempi solo della prima, l’unica sovrapponibile a
una delle reggenze del greco ἀφαιρέομαι.
In Ter. Phorm. 223 l’uso di aufero con il dativo è considerato
da Donato un atticismo (cfr. ThlL s. v. aufero [von Mess-Ihm],
II 1329, 21-25: «accedit dat. commodi»): ad loc. AVFER MIHI
OPORTET ‘mihi’ τῷ ἀττικισμῷ addidit: et sine hoc enim sententia
plena est. Il commentatore rileva lo stesso fenomeno, definendo-
lo ancora «atticismo», anche in Ad. 272, 1; 476, 5; Hec. 504, 3;
Eun. 45; 284, 1. In tutti i passi si tratta di dativi etici o di van-
taggio, considerati elementi pleonastici (et sine hoc enim sententia
plena est; ex abundanti; abundat), con la funzione di enfatizzare il
senso della frase (ad indignationem relatum est; significatu adiuvat
pronuntiationem). Non pare esservi però un rapporto tra l’attici-
smo rilevato da Donato in Phorm. 223 e la selezione di questo
esempio da parte di Prisciano, data la differente prospettiva dei
due grammatici, che si concentrano rispettivamente sul dativo
etico e sulla sintassi di aufero.
Verg. Aen. 2, 289 è citato anche in GL III 74, 10, tra gli
esempi delle interiezioni in ‘hoe, au, heu, ei, oh, ah’ terminantia
(cfr. Cledon. GL V 79, 11), dove è incluso anche il primo emi-
stichio, omesso negli Atticismi. Dal luogo virgiliano è inoltre
9, 15-10, 2 17

ricavato il lemma relativo alla costruzione di eripio con il dativo in


Char. 383, 2; Beda orth. 23, 391 Jones (eripio flammae hominem).
PROBLEMI TESTUALI. Nelle espressioni introduttive di entram-
be le citazioni omeriche, accanto al genitivo del titolo del poe-
ma, è omesso il numero del libro (Homerus in Iliadis...; idem in
Iliadis...; cfr. 9, 3 Ὅμηρος in Iliados). Piuttosto che di un gua-
sto della tradizione, sembra trattarsi di un ulteriore aspetto di
incompiutezza di quest’ultima parte dell’Ars (vd. supra, pp. LIV-
LVI). Il grammatico avrebbe cioè inteso integrare l’indicazione
del libro, coerentemente con la sua prassi nelle citazioni (vd. De
Nonno 1988, p. 280; 1990b, p. 644), ma non avrebbe poi più
avuto modo di tornare sulla rifinitura di questa voce.
Hom. Il. 1, 275 è citato con il taglio della parte centrale del
verso (ἀγαθός περ ἐών), inessenziale in relazione al lemma
ἀφαιρέω. L’omissione poteva caratterizzare già il lessico fonte,
se da quello Prisciano ha tratto l’esempio. Lo stesso taglio si
osserva nella citazione del verso in Lesbon. fig. 11b.

9, 15-10, 2 ἄχθομαι con accusativo o dativo: doleo con


accusativo o ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino –
lemma latino secondario – citazioni latine (Sall. Catil. 40, 2;
Verg. Aen. 2, 93; 1, 669).
LEMMA LATINO. Per la corrispondenza di doleo con ἄχθομαι
cfr. CGL II 254, 24 dolesco ἄχθομαι.
Prisciano tratta della duplice reggenza di doleo anche in 39,
1-2. Inoltre in GL III 233, 10 doleo è utilizzato come esempio
di verbo che regge l’ablativo. In GL III 268, 7 il grammatico
propone, invece, il sintagma doleo pedem tra gli esempi del
fatto che etiam neutra vel deponentia actum significantia cum transi-
tione in quodcumque accusativum sequuntur (GL III 267, 19-20). I
due usi sintattici di doleo sono registrati anche in Arus. 26, 19-
27, 1 Di Stefano. Altri grammatici si soffermano sul nesso doleo
vicem tuam/tui, nel quale però il fenomeno oggetto dell’atten-
zione del grammatico è l’alternanza tra aggettivo possessivo,
tuam, e pronome personale al genitivo, tui (Char. 382, 1; 385,
23; Diom. GL I 311, 19; Dosith. 86, 9 Tolkiehn; Beda orth.
18 COMMENTO

22, 370 Jones; cfr. Arus. 26, 21 Di Stefano; Prisc. Att. 114, 4-
6, con commento ad loc.).
Di indignor, che Prisciano accosta a doleo mediante l’avverbio
similiter, si conosce solamente la costruzione con l’accusativo
(vd. ThlL s. v. indignor [Bulhart], VII.1 1184, 5-21 e 1186, 72-
79), non quella con l’ablativo semplice, che renderebbe piena-
mente giustificato il confronto tra i due verbi. Il grammatico
potrebbe essere stato tratto in inganno, a questo riguardo, dal
comune uso dell’aggettivo corradicale indignus con l’ablativo
(vd. ThlL s. v. indignus [Lausberg], VII.1 1188, 14-28 e 1190,
60-1191, 81) oppure dalla reggenza del dativo da parte di indig-
nor (vd. ThlL s. v. indignor, VII.1 1184, 21-28, ma è un uso raro
e attestato, dopo Apul. met. 9, 39; 10, 7 e Ulp. dig. 48, 5, 1, 3,
solamente in autori cristiani da Tertulliano in poi). La costru-
zione di indignor con il dativo è registrata anche in Char. 383,
17; quella con l’accusativo in Arus. 53, 8-9 Di Stefano. Nessun
grammatico attribuisce a questo verbo la reggenza dell’ablativo,
che Prisciano potrebbe implicitamente assegnargli mediante il
confronto con doleo.
CITAZIONI LATINE. Sall. Catil. 40, 2 illustra l’uso transitivo di
doleo anche in 39, 4-5 (cfr. infra, ad loc.). Questo passo e Verg.
Aen. 1, 669 esemplificano la costruzione di doleo rispettivamente
con l’accusativo e l’ablativo anche in Arus. 26, 19-20 Di Stefa-
no. Verg. Aen. 2, 93 casum … indignabar, che non è citato altro-
ve, può essere venuto alla mente di Prisciano per analogia ri-
spetto alla citazione sallustiana, dolens … casum.
PROBLEMI TESTUALI. Nell’escerto sallustiano l’antecedente
comune a RTV (β) doveva recare la lezione causum (per casum);
l’ulteriore corruttela in causam testimoniata da TV si spiega con
la confusione tra u e a tipica di alcune minuscole altomedievali.

10, 3-9 ausculto con dativo o accusativo: ἀκροάομαι con


genitivo o accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma latino – lemma greco
(ἀκροῶμαι) – citazione greca (Aeschn. 3, 192) – citazioni
latine (Ter. Andr. 209; 536) – osservazione aggiuntiva.
LEMMA LATINO. La corrispondenza di ausculto e ἀκροάομαι è
10, 3-9 19

attestata anche nei glossari bilingui (CGL II 27, 20; cfr. CGL II
27, 21; 305, 26; 341, 38).
La costruzione di ausculto con il dativo è trattata anche da
Arus. 16, 18 Di Stefano e in alcune liste di idiomata casuum
(Char. 382, 20; Diom. GL I 313, 4; Idiom. cas. GL IV 567, 18;
Dosith. 86, 18 Tolkiehn). Soltanto Beda orth. 8, 34 Jones cono-
sce oltre a questa reggenza quella dell’accusativo.
CITAZIONI LATINE. Le due citazioni dall’Andria di Terenzio
(209; 536) presenti in questa voce illustrano la costruzione di
ausculto rispettivamente con il dativo e con l’accusativo anche in
52, 14-16 (vd. ad loc.). Ter. Andr. 209 esemplifica inoltre il
costrutto con il dativo in 108, 2-3.
Il commento di Donato a Ter. Andr. 536 (AVSCVLTA PAV-
CIS et ‘paucis’ et ‘pauca’ legitur) sembra fare riferimento a varianti
testuali piuttosto che alla doppia reggenza del verbo, ricono-
sciuta anche da Prisciano. Pauca è lezione, nella tradizione diret-
ta, del solo correttore del codice p (Par. lat. 10304, X sec.),
mentre il resto dei manoscritti reca paucis (si ricordi che i vv. 1-
888 dell’Andria mancano nel Bembino); tuttavia le due varianti
devono essersi affiancate in epoca piuttosto alta, come risulta
dallo scolio di Donato. L’osservazione di Prisciano nec enim aliter
… approbat si deve leggere in riferimento alla lezione pauca – in
virtù della quale il grammatico ha selezionato questo verso per
illustrare la costruzione di ausculto con l’accusativo – e sembra
sottintendere l’esistenza della variante paucis, del resto già nota a
Donato. Prisciano forse poteva disporre di un testo diverso del
commento di Donato, nel quale questi avrebbe espresso la sua
preferenza per la lezione pauca. Nella forma in cui il commento
ci è giunto, tuttavia, le due varianti sono semplicemente regi-
strate l’una accanto all’altra e, anzi, paucis è la lezione lemmatiz-
zata. D’altra parte lo stesso luogo del commento di Donato è
richiamato in modo più neutro in Att. 52, 16-17, dove di nuo-
vo esso segue alla citazione di Ter. Andr. 536: sic enim habent
antiqui codices teste Donato commentatore eius. O Prisciano ha ‘for-
zato’ a proprio vantaggio il dettato del commento, che non sa-
rebbe stato dissimile da quello pervenutoci (vd. Wessner 1902-
08, I, p. XLV; De Nonno 1990a, pp. 493-494; cfr. Velaza 2007,
20 COMMENTO

p. 31), oppure Donato avrebbe espresso la sua preferenza per la


variante pauca, argomentandola con la sua presenza in codici
antichi (vd. Leo 1883, p. 328; Sabbadini 1894, p. 22 n. e p. 73;
Jakobi 1996, pp. 39- 40). Purtroppo questi sono gli unici due
riferimenti al commento di Donato a Terenzio da parte di Pri-
sciano ed è difficile trarre da essi delle conclusioni sicure sullo
stato del testo donatiano che egli leggeva. Una ulteriore possibi-
lità, rispetto alle due tesi finora avanzate, è che con l’espressione
quod etiam Donati commentum approbat il nostro grammatico inten-
desse semplicemente che il commento di Donato attestava la
variante pauca; la nota sic enim habent antiqui codices teste Donato
commentatore eius di 52, 16-17 sarebbe dovuta a un’inferenza di
Prisciano a partire da un testo del commento terenziano che
non è necessario supporre diverso da quello giunto sino a noi
(così ritiene già De Nonno 1990a, p. 494 e n. 107).
L’osservazione di contenuto metrico formulata da Prisciano,
nec enim aliter stat iambus qui est quaternarius, è del tutto corretta
perché la lezione paucis renderebbe il verso ipermetro. Spengel
1875, infatti, per poter accogliere paucis a testo dovette espun-
gere l’et immediatamente successivo. Osservazioni analoghe
sono formulate da Prisciano in GL II 486, 7; 531, 6; 192, 29.
Su questi e altri passi che dimostrano la non comune compe-
tenza e sensibilità metrica di Prisciano (nel panorama artigrafico
tardoantico) vd. De Nonno 1990a, pp. 483- 489; su GL II 192,
29 vd. anche Spangenberg Yanes 2017a, pp. 651- 654.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Aeschn. 3, 192 Priscia-
no attesta ἢ ἄλλο τι ἀλλότριον per ἢ ἀλλότριόν τι della tradi-
zione diretta. La variante risulta poco appropriata al senso del
contesto di provenienza della citazione, dove si rileva la disatten-
zione dei giudici contemporanei rispetto a quelli attivi al tempo
della giovinezza del padre di Eschine, affermando che essi ascol-
tano la lettura dei capi di imputazione “come un incantesimo o
qualcosa di estraneo” (ὁ μὲν γὰρ γραμματεὺς ἀναγιγνώσκει
τὸ παράνομον, οἱ δὲ δικασταὶ ὥσπερ ἐπῳδὴν ἢ
ἀλλότριόν τι πρᾶγμα ἀκροώμενοι πρὸς ἑτέρῳ τινὶ τὴν
γνώμην ἔχουσιν). Diversamente, se si accogliesse nel testo
anche ἄλλο, testimoniato da Prisciano, si dovrebbe intendere
10, 10-11, 6 21

“come un incantesimo o qualcos’altro di estraneo”, includendo


anche gli incantesimi tra le cose estranee all’interesse dei giudi-
ci. Dunque è superiore la lezione della tradizione diretta, in base
alla quale Eschine individua due diverse forme della distrazione
dei giudici: essi possono ascoltare i capi di imputazione come
incantati, ipnotizzati, cioè assenti, oppure non prestarvi atten-
zione perché ritengono che il reato non li tocchi direttamente.

10, 10-11, 6 potior con genitivo o accusativo o ablativo:


ἀπολαύω con genitivo o ἀπό e genitivo o accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma latino – citazioni latine (Cic.
Catil. 2, 19; Ter. Ad. 871; Verg. Aen. 1, 172) – lemma greco
(ἀπήλαυσα) – citazioni greche (Isocr. De pace 34; 81; Plat. Apol.
31b5-6). La voce è ripetuta, con delle variazioni, in 27, 14-28, 4.
CITAZIONI GRECHE. Isocr. De pace 81 è citato, a proposito
della sintassi di ἀπολαύω, anche in Etym. Sym. II 100, 34-37,
dove sono omessi il verbo reggente δέδοικα e le parole
πειρώμενος … αὐτός. Lo stesso passo è richiamato in Synag.
α 1878; Phot. lex. α 2535; Sud. α 3377; Ps. Zon. lex. 265, 3.
Queste fonti condividono con Etym. Sym. l’omissione di
πειρώμενος … αὐτός e in luogo di ἀπολαύσω τι φλαῦρον
hanno τι κακὸν ἀπολαύσαιμι (vd. Fassino 2014, p. 282).
Anche Plat. Apol. 31b5- 6 è citato nella voce dell’Etymologi-
cum Symeonis, con l’omissione del καί iniziale. Ferri 2014, p.
97, ritiene questo passo non del tutto pertinente al lemma pri-
scianeo, ἀπήλαυσα … ἀπὸ τούτου, giacché «in realtà il verbo
regge l’indefinito τι». Tuttavia il pronome indefinito, che Hertz
(GL III 282, 2) integra sulla base del confronto con la tradizio-
ne diretta di Platone, è assente dai manoscritti (vd. infra).
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di potior e
ἀπολαύω è postulata anche in Idiom. cas. GL IV 569, 30-31;
571, 2-3; Beda orth. 45, 937-938 Jones; CGL II 154, 56; 155, 2
e 6; 238, 21. Lo stesso Prisciano impiega ἀπολαύω per tradur-
re potior anche in GL III 178, 14-15 ‘iste e ille invicem se potiun-
tur’, ἀλλήλων ἀπολαύουσιν.
Della sintassi di potior Prisciano si occupa già in precedenti
sezioni dell’Ars, menzionandone ora la costruzione con il geni-
22 COMMENTO

tivo (GL II 555, 5; III 17, 12-13), ora quella con l’ablativo (GL
III 159, 19; 159, 23-24), ora tutte le tre reggenze (GL III 223,
13-15; 233, 5- 6). Negli Atticismi la triplice costruzione di potior
è richiamata ancora nel doppione della voce in esame (28, 2- 4)
e in 67, 17- 68, 1. La costruzione di potior con l’ablativo e quel-
la con il genitivo sono elencate anche nella maggior parte delle
raccolte di idiomata casuum (Char. 384, 22; 386, 2-3; Diom. GL
I 316, 21; 319, 25-27; Idiom. cas. GL IV 569, 30-31; 571, 2-3;
Dosith. 86, 11-12 Tolkiehn; 88, 8-9; App. Prob. 2, 101 Asperti-
Passalacqua; Explan. in Don. GL IV 556, 26-27). Altri gramma-
tici qualificano il nesso del verbo con l’ablativo come reggenza
del settimo caso, giacché circoscrivono la definizione di ‘ablati-
vo’ ai sintagmi preposizionali con a/ab (Don. mai. 639, 1;
Pomp. GL V 238, 27; Consent. GL V 385, 8-10; cfr. anche
Serv. Aen. 3, 278, citato più avanti; sulla distinzione tra ablativus
e septimus vd. Schad 2007, pp. 276 e 358; Murru 1978; 1979;
1980). La reggenza dell’accusativo è registrata senza ulteriori
osservazioni da Diomede (GL I 315, 17) e Arusiano Messio (75,
16 Di Stefano), che lemmatizza anche la costruzione di potior
con il genitivo (75, 14). Dositeo (89, 1-2 Tolkiehn potior fructus
et fructu, apud antiquos potior hanc rem) e forse Carisio (386, 2-3)
– se si accoglie l’integrazione di apud antiquos potior hanc rem
proposta da Barwick sulla base del confronto con Dositeo e
Beda orth. 40, 826 Jones – rilevano la desuetudine dell’uso tran-
sitivo del verbo. Servio osserva che l’unica costruzione di potior
propria dell’uso corrente sarebbe quella con l’ablativo semplice:
Aen. 3, 278 ‘potior’ et ‘illa re’ dicimus et ‘illius rei’: sed per septimum
casum in usu est, per genetivum figurate ponitur […]. legimus et per
accusativum, sed uti non possumus. Similmente Donato indica nel
nesso del verbo con l’ablativo il corrispettivo, nella lingua a lui
coeva, della reggenza dell’accusativo attestata in Terenzio (Don.
Ter. Ad. 871 PATRIA POTITVR COMMODA accusativo casu extulit,
quod nos septimo casu dicimus, id est patrio potitur commodo. Cfr.
Jakobi 1996, pp. 84- 85). Forse anche Nonio considerava più
comune la costruzione con l’ablativo rispetto alle altre due
(481, 23 sic potior illam rem, pro illa re potior; 498, 18 Genetivus pro
ablativo). In effetti a partire dall’età di Cicerone e Cesare la reg-
10, 10-11, 6 23

genza di gran lunga più comune è quella dell’ablativo, mentre


quelle dell’accusativo e del genitivo contano solo sporadiche
occorrenze (vd. ThlL s. v. potior [Gatti], X.2 334, 17- 46). La
costruzione con l’accusativo è prediletta dagli autori arcaici.
CITAZIONI LATINE. Le tre citazioni latine che corredano questa
voce illustrano gli usi sintattici di potior anche in 28, 2- 4; 68, 1-
6. Cic. Catil. 2, 19 occorre allo stesso proposito in Diom. GL I
319, 26; Arus. 75, 14 Di Stefano. Lo stesso passo ricorre inoltre
nel libro X dell’Ars Prisciani, dove esemplifica l’infinito depo-
nente della quarta coniugazione (GL II 503, 2). Verg. Aen. 1,
172 illustra l’uso di potior con l’ablativo anche in Idiom. cas. GL
IV 571, 2-3. Ter. Ad. 871 è citato, quale esempio di reggenza
dell’accusativo, anche in Arus. 75, 16-17 Di Stefano; Serv. Aen.
3, 278. Una nota sull’uso transitivo di potior si trova inoltre nel
già ricordato commento ad loc. di Donato.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Isocr. De pace 34 Pri-
sciano testimonia la variante inferiore ἀπολαύωσιν per
ἀπολαύοντας della tradizione diretta (cfr. Fassino 2014, p.
278): l’errore potrebbe essersi prodotto per assimilazione a
λάβωσιν, che conclude la proposizione successiva, già nella
tradizione del lessico fonte di Prisciano o in uno stadio ancora
anteriore, nel testo stesso di Isocrate.
Nell’estratto da Isocr. De pace 81 ἀ[υ]πολαύσω sembra
essere un errore di assimilazione al precedente αὐτός. In questo
caso, poiché la corruttela produce una vox nihili che è inverosi-
mile Prisciano potesse accogliere, è necessario pensare che essa
si sia verificata nel corso della trasmissione manoscritta dell’Ars.
Nell’esempio tratto da Plat. Apol. 31b5- 6 Prisciano condivi-
de con l’Etymologicum Symeonis la variante grafica ἀπήλαυον,
mentre la tradizione diretta reca ἀπέλαυον. Il solo grammatico
latino testimonia, invece, la variante μέντοι (μέντοι τι BT; μέν
τι W, Etym. Sym.). L’omissione di τι dopo μέντοι, in quanto
errore meccanico di aplografia favorito dalla somiglianza grafica
di -τοι e τι, si sarebbe certamente potuta verificare nel corso
della tradizione manoscritta dell’Ars, ma potrebbe anche essere
imputabile già alla sua fonte; anzi, l’assenza del pronome indefi-
nito, se già attestata in uno stadio di tradizione anteriore a Pri-
24 COMMENTO

sciano, potrebbe aver favorito l’accostamento di questa citazio-


ne al lemma ἀπήλαυσα ἀπὸ τούτου (cfr. supra). D’altra parte
la voce parallela in Etym. Sym. II 100, 34-37 reca la lezione μέν
τι, sicché non si può stabilire con certezza quale fosse il testo
della citazione platonica nell’antecedente comune a ‘Simeone’ e
alla fonte di Prisciano (per l’ipotesi di una fonte comune ai due
lessici vd. supra, p. LII). Per questo motivo Menchelli 2014, pp.
219-220, considera l’omissione dell’indefinito un errore singo-
lare di Prisciano. In ogni caso l’eventuale presenza di τι all’al-
tezza cronologica in cui il passo platonico fu selezionato per
illustrare la costruzione di ἀπολαύω con ἀπό e genitivo non
pone particolari problemi, giacché imprecisioni quale quella
qui rilevata da Ferri 2014, p. 97, sono del tutto comuni nella
lessicografia antica.

11, 7-11 ἀποστερέομαι con accusativo o genitivo: pascor


con accusativo o ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἀποστερούμενος) –
lemma latino – citazioni latine (Verg. Aen. 2, 215; georg. 3, 314;
3, 231). Un doppione di questa voce si trova in 30, 12-31, 5.
LEMMA LATINO. Pascor è accostato da Prisciano ad ἀποστε-
ρέομαι su base esclusivamente sintattica, coerentemente con
l’uso dell’espressione huic simile (vd. Spangenberg Yanes 2014,
pp. 117-118). Le due costruzioni qui assegnate al verbo latino
sono descritte anche nella seconda redazione di questa voce (30,
12-31, 5). Il grammatico tratta inoltre del nesso di pascor con
l’accusativo (di relazione) nel libro VIII (GL II 391, 20-25 Inve-
niuntur etiam quaedam passiva, ut supra dictum est, quae figurate
accusativo coniunguntur, cum videantur agere ipsi, ad quos passivum
refertur verbum – ut Virgilius in II Aeneidos: ‘Inplicat et miseros ...
artus’, hic enim dracones agunt in filios Laocoontis, et ‘doceor rhetori-
cam’, ‘instituor grammaticam’, ‘moneor iustitiam’; sim. 375, 1- 8) e
nel capitolo del libro XVIII sulle costruzioni verbali (GL III
269, 27-270, 4 licet tamen etiam accusativum addere his, quibus per
diversas res fieri solet passio, ut ‘doceor a te literas, pascor carnem,
vituperor insipientiam’ […]. et docemur enim et pascimur et vitupera-
mur et accingimur diversis rebus). La doppia reggenza di pascor è
11, 7-11 25

registrata anche da Arusiano Messio, che formula due coppie di


lemmi, PASTUS ILLA RE / ILLAM REM e PASCITUR IN ILLO /
ILLUM LOCUM (75, 5-11 Di Stefano). Solo la prima coppia trova
corrispondenza in Prisciano (‘pascor hanc rem’ et ‘hac re’), il quale
non tiene conto, per la costruzione di pascor con l’accusativo,
della distinzione tracciata da Arusiano tra un accusativo che
esprime l’alimento e uno che esprime, invece, il luogo del pa-
scolo (cfr. Spangenberg Yanes ics. [a]). Egli, infatti, esemplifica
il costrutto con l’accusativo anche con una citazione (Verg.
georg. 3, 314) impiegata da Arusiano per il quarto lemma, PAS-
CITUR ILLUM LOCUM. Anche Servio nota l’uso transitivo di
pascor (georg. 3, 314 PASCVNTVR SILVAS et ‘pasco’ et ‘pascor illam
rem’ dicimus; 3, 458; cfr. Aen. 1, 194), di cui osserva la rarità
presso gli autori antichi (Aen. 2, 471 MALA GRAMINA PASTVS
[…]: sed sciendum est, quia, licet hoc in usu sit, rarum tamen est apud
antiquos. ‘pastus’ autem pro ‘qui pascebatur’, quia [...] in hoc Latini-
tatis deficit; cfr. Uhl 1998, p. 47). La costruzione di pascor con
l’accusativo è inoltre incidentalmente notata da Pompeo a pro-
posito dei verbi che possono avere forma sia attiva che passiva
(GL V 233, 1~21 Sunt aliqua verba, quae verba secundum potesta-
tem et voluntatem nostram possunt habere vel activam vel passivam
significationem […]. ‘pasco illum’ et ‘pascor illum’, et ‘pasco illas
herbas’ et ‘pascor illas herbas’).
CITAZIONI LATINE. Le tre citazioni virgiliane utilizzate in que-
sta voce del lessico occorrono anche nel suo doppione in 30,
12-31, 5; le prime due (Verg. Aen. 2, 215; georg. 3, 314) sono
poi impiegate, ancora in riferimento a pascor, in 115, 5-10 (vd.
infra, ad loc.). Verg. Aen. 2, 215 e georg. 3, 314 sono inoltre
citati nel libro VIII, dove si tratta di verbi che reggono l’accusa-
tivo di relazione (rispettivamente in GL II 391, 20-392, 5 e
375, 7- 8). Verg. georg. 3, 231 ricorre in GL II 164, 20-22, dove
però illustra il genere femminile di carex. Prisciano condivide
poi la citazione di Verg. georg. 3, 231 e 3, 314 con Arus. 75, 5- 6
e 10-11 Di Stefano (sul quale vd. anche supra). L’uso sintattico
di pascor in Verg. georg. 3, 314 è discusso anche da Serv. Aen. 1,
194 (insieme a ecl. 1, 54, che Prisciano cita in 31, 3-5); 2, 471.
PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Verg. georg. 3, 231 è qui
26 COMMENTO

erroneamente introdotta dalle parole Idem in bucolico, mentre la


sua indicazione di provenienza è corretta in 31, 2 Idem in eodem
(dove parimenti questo passo è preceduto da georg. 3, 314). Nel
doppione della voce però, segue a questo secondo esempio
tratto dalle Georgiche la citazione di ecl. 1, 53-54, introdotta da
Idem in bucolico (31, 3). Sembra dunque probabile che l’erronea
attribuzione di georg. 3, 231 alle Bucoliche non sia stata commessa
da Prisciano ‘a memoria’ ma si debba a una svista nella redazio-
ne della ‘scheda’ del lessico relativa a ἀποστερέομαι/pascor.
L’errore, che potrebbe spiegarsi come un saut du même au même
da idem a idem, tuttavia deve essere stato complicato anche da
una trasposizione delle citazioni all’interno della voce per cui
georg. 3, 231 è venuto a trovarsi dopo le parole idem in bucolico.
Hertz (in apparato a GL III 282, 9) giudicava, invece, in bucolico
un’interpolazione medievale.

11, 12-12, 2 ἀπογινώσκω con genitivo: despero con


accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca
(Demosth. 6, 16) – lemma latino – citazione latina (Lucan. 5,
574). La stessa voce è ripetuta, con delle variazioni, in 32, 1-5.
LEMMA GRECO. Mentre il lemma della voce registra la costru-
zione del verbo con il genitivo (τούτων), l’esempio che lo
accompagna attesta il costrutto con l’accusativo (Θηβαίους). È
possibile che la fonte di Prisciano descrivesse entrambi gli usi
(cfr. Lex. Coisl. α 6; α 49; Synt. Laur. α 156; α 191; Lex. Vin-
dob. κ 53; Etym. Sym. I 18, 6-7; Sud. α 3268; An. Gr. II 304,
25 Bachmann; vd. anche infra); l’interesse del grammatico latino
è comunque rivolto esclusivamente alla costruzione di ἀπογι-
νώσκω con l’accusativo, che offre un corrispettivo greco per la
reggenza dell’accusativo da parte di despero.
CITAZIONI GRECHE. Demosth. 6, 16 è citato anche nella se-
conda redazione di questa voce (32, 3-5). L’indicazione dell’o-
pera di provenienza è data però solamente nella voce in esame
(Φιλιππικοῖς). In 32, 3 si trova, infatti, il solo nome dell’auto-
re, nella forma latina Demosthenes, che sostituisce Δημοσθένης
di 10, 12. Sulla frequente traslitterazione dei nomi greci in lati-
11, 12-12, 2 27

no nei doppioni delle voci in α- posti tra quelli in ε- vd. supra,


pp. LVII-LVIII.
LEMMA LATINO. L’uso di despero con l’accusativo è registrato
anche in Arus. 31, 9 Di Stefano.
CITAZIONI LATINE. Lucan. 5, 574 è citato, in forma più estesa,
nel doppione di questa voce in 32, 1-2 (vd. infra, ad loc.).
PROBLEMI TESTUALI. L’incoerenza tra la reggenza espressa nel
lemma greco della voce (τούτων) e quella attestata dall’esempio
successivo (Θηβαίους) può destare dei dubbi sulla correttezza
di τούτων, che si potrebbe emendare in τοῦτον, come già
proposto da Krehl (vd. anche Rosellini 2010, p. 85 n. 1). Poi-
ché però il passaggio da ο a ω è documentato, nella tradizione
degli Atticismi, solo come errore individuale di alcuni mano-
scritti tardocarolingi (vd. Rosellini 2014a, pp. 354-355; 2015a,
p. XXXVII), e mai a livello dell’archetipo α, è opportuno con-
servare il tràdito τούτων. Un’ipotesi alternativa, prospettata da
Hertz in apparato (GL III 282, 11), è l’integrazione di ταῦτα et
davanti a τούτων. Tuttavia potrebbe essere più appropriato
integrare τούτους καί (o et), dal momento che l’esempio pro-
posto per la reggenza dell’accusativo ha per oggetto un nome di
persona, Θηβαίους, non di cosa. D’altra parte un’integrazione
sarebbe eventualmente necessaria solo nell’edizione dei fram-
menti del lessico atticista, giacché non è possibile escludere che
Prisciano ricevesse dalla sua fonte il testo nella stessa forma in
cui ce lo ha trasmesso.
Nell’esempio tratto da Demosth. 6, 16 Prisciano omette οὐκ
ἄν davanti a ἡγοῦμαι, in accordo con il codice B della tradi-
zione diretta. E. Müller 1911, p. 5, ritiene οὐκ ἄν un’aggiunta
estranea al testo originale e probabilmente vergata supra lineam
nell’archetipo della tradizione demostenica, come sarebbe pro-
vato dalla sua posizione variabile nei manoscritti conservati
(οὐδ᾽ ἂν ἡγοῦμαι SAFγρ; ἡγοῦμαι οὐκ ἂν F). Prisciano, in-
sieme al codice B, offrirebbe dunque un testo superiore. Il sen-
so del passo resta invariato con l’omissione di οὐκ ἄν giacché si
tratterebbe comunque di un esempio di doppia negazione.
Poiché quest’ultima era sovente censurata nell’insegnamento
grammaticale antico, forse si dovrà considerare difficilior la lezione
28 COMMENTO

dei codici SAF, che la conservano. Sulla doppia negazione cfr.


71, 14-72, 2; 73, 16-75, 3; 75, 10-76, 16, con commento ad locc.
Ancora nella citazione demostenica, da tutti i rami di tradi-
zione che per questa porzione di testo conservano il greco si
può ricavare un originario ἐναντιουσθ- (per la confusione, di
natura grafica, tra Θ e ε vd. Rosellini 2014a, p. 359; 2015a, p.
XCVI). Il dittongo finale -αι sembra, invece, essere andato com-
pletamente perduto in γ e sostituito da una ζ/ξ in β. Quest’ul-
timo errore potrebbe spiegarsi ipotizzando un passaggio del testo,
almeno per il ramo β, in una minuscola altomedievale in cui -αι
finale, assimilato ad -ai, avesse la forma di una a aperta, ruotata
di 90°, e posta in alto sul rigo, dalla quale discendesse la i in
forma di un prolungamento verso il basso. Legature di questo
tipo si trovano, ad esempio, in alcune minuscole dell’Italia set-
tentrionale e in visigotica. Il verbo è in ogni caso correttamente
trasmesso nella seconda occorrenza di questa voce del lessico
(32, 5) e in tale forma Prisciano doveva leggerlo nella sua fonte.

12, 3-5 ἀφίστημι con accusativo di tempo continuato:


absum con accusativo di tempo continuato
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Eur. fr. 1006 Kan-
nicht ἀφεστήκασιν) – lemma latino. Una seconda redazione di
questo lemma è in 31, 8-12.
LEMMA GRECO. La costruzione di ἀφίσταμαι documentata nel
fr. 1006 Kannicht di Euripide, con l’accusativo (τούτους), è
estremamente rara e conta solo qualche altra occorrenza in au-
tori attici di V-IV secolo a. C. (LSJ s. v. ἀφίστημι, B). L’atten-
zione di Prisciano è stata tuttavia attratta piuttosto dall’accusati-
vo di tempo continuato (vd. Rosellini 2010, p. 86 n. 1), ἡμέ-
ραν τρίτην, come si ricava sia dalla parziale traduzione del
lemma greco che egli fornisce in questo passo, relativa appunto
esclusivamente al verbo e al complemento di tempo (absum
tertium diem), sia dalla digressione che segue al doppione di que-
sta voce in 31, 9-12 (vd. infra, ad loc.; cfr. Ferri 2014, p. 102).
CITAZIONI GRECHE. Eur. fr. 1006 Kannicht è citato a proposi-
to di ἀφίσταμαι anche in Etym. Sym. II 100, 12-14 ἀπέστη
τούτων καὶ ἀπέστη τούτους καὶ ἀπέστη ἀπὸ τούτων,
12, 3-5 29

οἷον· ‘ἀπέστη Μεσήνη ἀπὸ Ἀθηνῶν’ καὶ ‘ἀπέστη Εὔβοια


Ἀθηναίους’ καὶ ‘μεσημβρίας τούτου[ς] ἀφεστήκασιν’, ma
adespoto e in una forma più ridotta. Gli editori dell’Etymologi-
cum correggono all’interno della citazione τούτους in τούτου
per ottenere un esempio relativo al costrutto con il genitivo,
previsto dal lemma (ἀπέστη τούτων) e non altrimenti illustra-
to, mentre la reggenza dell’accusativo (come quella di ἀπό con
il genitivo) è già attestata in una delle due citazioni precedenti.
La presenza della lezione τούτους anche in Prisciano consente
tuttavia di stabilire che essa doveva già caratterizzare la fonte
comune ai due lessici (sulla quale vd. supra, p. LII).
LEMMA LATINO. Per l’uso di absum con l’accusativo di tempo
vd. ThlL s. v. absum (Klotz), I 206, 84-207, 4, dove l’occorren-
za in Prisciano è l’unica con un numerale ordinale (numerale
cardinale, invece, in Ter. Haut. 118 mensis tris abest). Sebbene
Hofmann – Szantyr, pp. 41-42, descrivano un accusativo di
tempo con numerale ordinale soltanto per le espressioni del tipo
quartum Kalendas Febr. e l’accusativo di tempo continuato sia
più comunemente espresso con un numerale cardinale e il so-
stantivo concordato al plurale, comunque si conoscono alcune
attestazioni di tertium diem col valore di ‘per il terzo giorno’,
cioè ‘da tre giorni’ (per questa espressione dell’accusativo di
tempo in greco, in cui è del tutto comune, vd. Kühner – Gerth
II.1, p. 314). In tutti i casi tali locuzioni sono però accompa-
gnate dall’avverbio iam (vd. ad es. tertium diem iam in Cic. rep. 6,
8; Liv. 3, 27, 7; iam tertium diem in Nep. Eum. 11, 3). Sembra
dunque più probabile che Prisciano, piuttosto che avere in
mente questo raro uso dell’accusativo di tempo con un nume-
rale cardinale, si sia limitato a tradurre ad verbum il complemen-
to presente nel lemma greco, ἡμέραν τρίτην, producendo
un’espressione che non rispetta del tutto la proprietà linguistica
del latino (vd. Spangenberg Yanes 2014, p. 126 n. 21). Sulle
traduzioni letterali di lemmi greci, linguisticamente improprie
in latino, negli Atticismi vd. Spangenberg Yanes 2014, pp. 123-
130; 2017b, p. 303-305; Rosellini 2016, pp. 350-353.
PROBLEMI TESTUALI. Il primo trimetro del fr. 1006 Kannicht di
Euripide, nella forma in cui è tràdito dai codici priscianei, pre-
30 COMMENTO

senta delle difficoltà metriche e testuali. La forma φασίν, che lo


rende ipermetro, è elisa da Krehl e Hertz (GL III 283, 1; 300,
21), oltre che Kannicht, in φασ’. La lezione potrebbe comunque
non dover essere considerata una vera e propria corruttela, bensì
una semplice variante ortografica, riconducibile alla generale
predilezione del lessico fonte per la scriptio plena (cfr. supra, p.
XLVIII); Prisciano stesso del resto non avrebbe avuto difficoltà
ad accogliere un verso ametrico (cfr. supra, p. LXX e n. 71).
Il sostantivo σάτυροι, trasmesso nei manoscritti alla fine
della citazione euripidea solo nella sua prima occorrenza, è
ritenuto da Hertz (in apparato a GL III 283, 1) un’erronea anti-
cipazione, anche se con una diversa terminazione, del Σάτυρος
della voce successiva nel lessico (12, 6-7). La corruttela si sareb-
be generata, in tal caso, in una fase della tradizione posteriore
alla duplicazione di un gruppo di schede in α- tra quelle in ε-
(avvenuta in sede ancora redazionale del testo, vd. supra, pp.
LVII-LVIII). Nel doppione di questa voce (31, 8-9), infatti,
σάτυροι è assente e in quel contesto Eur. fr. 1006 e Plat. Prot.
310c3 sono posti a una distanza molto maggiore (12 ll. ed. Ro-
sellini invece che 2 ll.). D’altra parte σάτυροι potrebbe anche
essere una lezione genuina, da interpretare come soggetto di
ἀφεστήκασιν, giacché potrebbe costituire il primo anapesto
del trimetro successivo. Questa ipotesi non è però presa in con-
siderazione dagli editori dei frammenti di Euripide. L’assenza
del sostantivo dalla seconda occorrenza del frammento euripi-
deo negli Atticismi e dalla voce parallela dell’Etymologicum Sy-
meonis potrebbe dipendere dall’intenzione di circoscrivere mag-
giormente la citazione al fenomeno sintattico in esame (questo
è certamente evidente in Etym. Sym., sul quale vd. supra).
In generale, al di là dei problemi che concernono singole
lezioni, restano piuttosto incerti l’interpretazione sintattica e il
senso dell’intero frammento, in relazione non solo alla rara
costruzione di ἀφίσταμαι con l’accusativo ma anche ai com-
plementi ἑσπέρας e μεσημβρίας, che possono essere intesi sia
come accusativi plurali sia – forse più probabilmente – come
genitivi singolari (“non solo di sera ma anche al meriggio li
evitano da due giorni”).
12, 6-8 31

12, 6- 8 ἀποδιδράσκω con accusativo o genitivo: fugio


con accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἀπέδρα) – citazione
greca (Plat. Prot. 310c3) – citazione latina (Lucan. 2, 575). Un
doppione di questa voce si trova in 32, 6-10.
CITAZIONI GRECHE. Plat. Prot. 310c3 è citato anche nel lessico
atticista di Oro, in una voce però di contenuto morfologico
invece che sintattico: fr. A 11a [= Lex. Vindob. α 173; Ps. Zon.
lex. 274, 2-5] ἀπέδραν καὶ ἀπέδρα χρὴ λέγειν, οὐχὶ
ἀπέδρασα καὶ ἀπέδρασεν· [...] Πλάτων· ‘ὁ γὰρ τοι παῖς
με ὁ Σάτυρος ἀπέδρα’. Sui rapporti tra Oro e la fonte di
Prisciano vd. supra, p. LII.
LEMMA LATINO. Prisciano registra l’uso transitivo di fugio anche
nel capitolo del libro XVIII sulle costruzioni verbali (GL III 276,
3-5; cfr. Costas Rodriguez 1977). L’interesse del grammatico per
questa reggenza del verbo è congruente con l’articolazione delle
due voci del lessico dedicate al confronto di ἀποδιδράσκω e
fugio. Nella prima, infatti, si contempla solamente la costruzione
del verbo latino con l’accusativo; nella seconda (32, 6-10) è
lemmatizzata pure la costruzione con ab e ablativo, ma solo
quella con accusativo viene anche illustrata da esempi. Gli usi
sintattici di fugio non sono trattati da altri grammatici.

12, 9-11 ἀπέρχομαι con accusativo o dativo: eo con ac-


cusativo o ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἀπελθεῖν) – lemma
latino – citazioni latine (Cic. Mur. 26; Verg. Aen. 4, 467- 468).
Un doppione di questa voce si trova in 32, 16-33, 2.
LEMMA GRECO. Il DGE e LSJ (s. v. ἀπέρχομαι) non conosco-
no l’uso del verbo con l’accusativo interno o il dativo di stato in
luogo (ma per la prima delle due costruzioni cfr. LSJ s. v. ὁδός:
«II. as acc. cogn. with Verb of motion»). Nell’espressione presa
in esame da Prisciano l’accusativo non esprime la meta del mo-
vimento bensì lo spazio lungo il quale esso si esplica (cfr. Küh-
ner – Gerth II.1, p. 312; sul dativo con funzione di locativo vd.
ibid., p. 441). L’espressione ὁδὸν ἀπελθεῖν/ἀπέρχεσθαι è
però piuttosto rara: in età classica si trova solamente in Lys. 3,
32 COMMENTO

36 ἑτέραν ἀπελθὼν ὁδόν e Demosth. 23, 72 ἀπελθεῖν


τακτὴν ὁδόν, che potrebbe essere stata la citazione protolem-
matica per questa voce del lessico fonte di Prisciano.
LEMMA LATINO. La corrispondenza di eo e ἀπέρχομαι è am-
piamente attestata nei glossari medievali (CGL II 57, 35 e 37-
38 e 40 e 42; 62, 3; 75, 51; 76, 2-5 e 58; 234, 26 e 29 e 46).
Prisciano tratta dell’accusativo interno in dipendenza da
verbi di movimento nella prima metà del libro XVIII, nel con-
testo di una più generale osservazione sui verbi intransitivi co-
struiti con l’accusativo: GL III 267, 19-21 similiter etiam neutra
vel deponentia actum significantia cum transitione in quodcumque accu-
sativum sequuntur, ut ‘facio domum, eo iter, navigo Pontum, ardeo
uxorem’ (qui si dovrà leggere facio doctum: vd. Rosellini 2010, p.
70 n. 2). La duplice reggenza di eo, dell’ablativo e dell’accusati-
vo, è registrata anche in Arus. 51, 5- 8 Di Stefano. La costruzio-
ne di eo con l’accusativo interno nella locuzione ire viam è inol-
tre confrontata in Serv. Aen. 5, 862 con il virgiliano currit iter.
L’espressione è impropriamente indicata come un arcaismo nel
Servio danielino (Aen. 4, 468 IRE VIAM veteri more iuxta ius, ut
‘ite viam, redite viam’, et alibi ‘primus et ire viam’). La costruzione
di eo con l’ablativo di stato in luogo è, infatti, comune a partire
da Plauto (vd. ThlL s. v. eo [Rubenbauer], V.2 637, 73-638, 10),
mentre quella con l’accusativo di moto per luogo o accusativo
interno è in uso solo dal I secolo a. C. (vd. ibid., 638, 10-29).
CITAZIONI LATINE. I due esempi latini utilizzati in questa voce
occorrono anche nel suo doppione in 33, 1-2. Cic. Mur. 26 è
inoltre citato, a proposito dell’espressione ire viam, in Serv. Aen.
5, 862 (cfr. Serv. auct. Aen. 4, 468); Arus. 51, 7- 8 Di Stefano. Il
diverso taglio del passo in questi due grammatici rispetto a Pri-
sciano (ite viam, redite viam) non esclude necessariamente la deri-
vazione da una fonte comune (il contesto completo è ‘Suis
utrisque superstitibus praesentibus istam viam dico; ite viam.’ Praesto
aderat sapiens ille qui inire viam doceret. ‘Redite viam’).
PROBLEMI TESTUALI. La tradizione diretta di Cic. Mur. 26 reca
la lezione istam, in luogo della quale Prisciano testimonia hanc.
Potrebbe trattarsi di un errore di memoria del grammatico (o
della sua fonte comune ad Arusiano) favorito dalla maggiore
12, 12-13, 5 33

diffusione del nesso haec via – che compare, negli scritti di Cice-
rone, anche in off. 2, 43; Att. 1, 20, 36; Sest. 103 – rispetto a
ista via (altrove solo in Q. Cic. petit. 55).

12, 12-13, 5 ἀρτίως e ἄρτι per il presente e il passato


recente: modo per il presente e il passato recente
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazioni greche
(Eur. Hipp. 907-908; Men. Epitr. 515-516) – lemma latino –
citazioni latine (Ter. Phorm. 198; Eun. 714; Don. mai. 614, 5).
LEMMA GRECO. Prisciano non sembra ripartire i due significati,
praeteritum paulo ante e praesens, tra ἄρτι e ἀρτίως, bensì rico-
nosce un duplice valore a entrambi gli avverbi, come prova
anche il confronto con il latino modo, introdotto dalle parole
Romani quoque adverbium ‘modo’ in eadem utriusque temporis signifi-
catione ponunt. Questa prospettiva è confermata dalla lessicografia
moderna (LSJ s. vv. ἄρτι, 1-2; ἄρτιος, III.1-2; DGE s. vv.
ἄρτι, 1-2; ἄρτιος, III.3). L’avverbio ἄρτι è menzionato anche,
ma con un interesse sintattico, in una successiva voce degli
Atticismi (62, 5-7).
LEMMA LATINO. L’equivalenza semantica di modo e di ἀρτίως
si trova anche in CGL II 130, 15; 246, 9; di modo e ἄρτι in
CGL II 246, 7; III 7, 45; Gloss. biling. II 8, 8.
L’espressione in eadem … significatione, con cui Prisciano
descrive l’identità semantica di modo e ἄρτι/ἀρτίως, si incontra
anche altre volte nella lingua del grammatico (GL III 99, 28;
115, 13; part. 112, 6 Passalacqua). Significatio, più spesso impie-
gato da Prisciano per designare la diatesi verbale, qui indica il
valore semantico di un dato termine (cfr. Schad 2007, p. 361).
Per il nesso significatio temporis cfr. Char. 273, 14; Serv. GL IV
437, 4; Explan. in Don. GL IV 508, 28; Consent. GL V 378,
23-25; vd. anche Schad 2007, p. 363. In generale sugli usi di
significatio in ambito grammaticale vd. Flobert 1981; Hovdhau-
gen 1987, pp. 134-142; Luhtala 1990, pp. 33-35.
I due valori assegnati da Prisciano a modo sono riconosciuti
anche dalla lessicografia moderna (vd. ThlL s. v. modus [Pfigers-
dorffer], VIII 1305, 6-30; 1308, 22-38). Prisciano ne discute
anche nel libro XV, dove afferma che alcuni avverbi significano
34 COMMENTO

et praesens et non multo ante praeteritum perfectum, ut ‘modo’ e pre-


cisa che accipitur et pro infinito, quomodo et ‘nunc’ (GL III 81, 2-
19). Gli altri grammatici che si occupano della semantica di
modo assegnano all’avverbio per lo più l’uso riferito al passato
recente (Serv. Aen. 5, 493 QVEM MODO id est nuper [...]. Urba-
nus vero dicit ‘modo’ propemodum, paene; 11, 141; Serv. auct. Aen.
11, 141 alii ‘modo’ paulo ante accipiunt [...]: alii ‘modo’ paene acci-
piunt). Quando si ammette anche l’applicazione dell’avverbio al
presente, essa è comunque connotata come una rarità (Don.
Ter. Hec. 458, 1 ADVENIS MODO difficile invenitur praesentis tem-
poris ‘modo’; Ps. Caper GL VII 96, 15-17 Modo praeteriti est tem-
poris [...]; quamvis quidam veteres et praesentis putaverint).
CITAZIONI LATINE. Ter. Eun. 714 esemplifica l’uso di modo col
valore di nunc anche in GL III 81, 16-17; Phorm. 198 non è,
invece, citato altrove dal nostro né da altri grammatici.
È notevole in questa voce l’impiego di Donato non come
fonte dottrinale bensì come modello linguistico: vd. De Nonno
1990a, p. 492; Rosellini 2011, p. 184; Rosellini – Spangenberg
Yanes ics.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Eur. Hipp. 907-908
Prisciano si accorda con l’intera tradizione diretta, con gli scolî
ad loc. e con Chr. Pat. 861 nella lezione χρόνον παλαιόν,
emendata da Lehrs in χρόνος παλαιός e così messa a testo da
Barrett e Diggle; Murray conserva, invece, il tràdito accusativo.
Nella citazione di Men. Epitr. 515-516, rispetto al P. Cair.
43227 Prisciano documenta al v. 515 la variante ἐκείνην per
ἐκεῖνον e l’omissione di λέγ’ ὅ davanti a λέγεις, che potrebbe
essere dovuta a un guasto meccanico di tradizione (saut du même
au même) piuttosto che a un taglio intenzionale del passo.
Nella citazione di Ter. Phorm. 198 è attestata la variante
forum per portum della tradizione diretta: è probabile che il
grammatico abbia confuso questo verso con Andr. 254 praete-
riens modo mi apud forum, che egli cita, sempre a proposito degli
usi di modo, in GL III 81, 9. Altre occorrenze di apud forum e
modo a breve distanza si trovano in Ter. Andr. 302 apud forum
modo e Davo audivi; Phorm. 859 ut modo argentum tibi dedimus
apud forum (cfr. Craig 1930, p. 69).
13, 6-10 35

L’omissione di pro … negat2 in O si spiega come saut du mê-


me au même da negat a negat.

13, 6-10 βαρύνομαι con genitivo o con ὑπό e genitivo o


con dativo: gravor con accusativo o ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazioni greche
(Soph. fr. 697 Radt; Crat. fr. 171, 5 K.–A.) – lemma latino –
citazione latina (Verg. Aen. 10, 628-629).
LEMMA GRECO. Delle tre costruzioni di βαρύνομαι descritte
nel lessico priscianeo, LSJ (s. v. βαρύνω) conoscono quella con
il dativo e quella con ὑπό e il genitivo (sulle quali vd. anche
Kühner – Gerth II.1, p. 422), ma non quella con il genitivo
semplice. Quest’ultima è, invece, registrata nel DGE, ma solo
in relazione a Soph. fr. 697 Radt (s. v. βαρύνω, B.2; cfr. TLG
s. v. βαρύνω, 144c), e potrebbe forse essere accostata alla reg-
genza del genitivo da parte dei verbi che esprimono pienezza,
riempimento (vd. Kühner – Gerth II.1, p. 354, i quali però non
annoverano in questa categoria βαρύνω).
CITAZIONI GRECHE. Il fr. 171 K.-A. di Cratino è tràdito an-
che, con un contesto assai più esteso e con la variante
ξυντυχίαισι per ξυντυχίᾳ, nel PSI XI 1212 (datato all’inizio
del II secolo d. C.); cfr. Sonnino 2014, p. 190.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di βαρύνω e
gravo è documentata anche nei glossari medievali (CGL II 34,
42; III 73, 46; 129, 50-54; 450, 8).
Entrambi gli usi sintattici di gravor descritti da Prisciano sono
attestati nella lingua letteraria latina a partire dal I secolo a. C.
(vd. ThlL s. v. gravo [Bräuninger], VI 2310, 67-2311, 10; 2312,
53-2313, 5; 2314, 17- 47). Nessun altro grammatico si occupa
della sintassi di questo verbo.
CITAZIONI LATINE. Nell’apparato relativo a Soph. fr. 697,
Radt osserva che la citazione di Verg. Aen. 10, 628- 629 non è
pertinente al lemma latino proposto da Prisciano, giacché «abla-
tivi non a gravaris pendent!» (TrGF IV, p. 483). Effettivamente
nel verso virgiliano voce è un ablativo strumentale e gravaris è
usato con valore mediopassivo se non deponente: da esso di-
pende, infatti, il complemento oggetto quae (vd. ThlL s. v. gravo
36 COMMENTO

[Bräuninger], VI 2310, 30-35). Il confronto con il commento


ad loc. di Servio consente però di stabilire che Prisciano non
considerava Aen. 10, 628- 629 un esempio di costruzione di
gravor con l’ablativo bensì proprio con l’accusativo di relazione:
‘gravaris’ autem negas, graviter fers. et hac elocutione non nisi per
accusativum utimur, ut si dicas ‘gravor adventum tuum’, id est graviter
fero, gravor praesentiam tuam: nam et ipse sic dixit ‘quae gravaris’.
aliter non dicimus in hac significatione. Il nostro grammatico non ha
dunque frainteso la sintassi del passo virgiliano, la cui citazione è
del tutto pertinente al lemma latino proposto e coerente con
l’interesse particolare per l’uso dell’accusativo (spesso di relazio-
ne) in alternativa ad altri casi, di cui Prisciano dà prova negli
Atticismi e nel capitolo del libro XVIII sulle costruzioni verbali
(cfr. ad es. 30, 9-11; 31, 6-7; 34, 13-14; 86, 16-18).
PROBLEMI TESTUALI. La correzione τούτῳ, messa a testo da
Cotton 1820, che la attribuisce a una «collatio anonymi penes
me», ripristina la corrispondenza tra lemma greco e citazioni. Se
si accogliesse la forma ΤΟΥΤΟ (τοῦτο) dei manoscritti, il fr.
171, 5 K.-A. di Cratino, che attesta la costruzione di
βαρύνομαι con il dativo (ξυντυχίᾳ), resterebbe privo di un
lemma di riferimento. L’unico altro caso in cui si verifica una
situazione simile nel lessico di Prisciano è anch’esso sospettato
di un guasto testuale (11, 12-12, 2: vd. ad loc.; cfr. inoltre 22, 1-
16). Scaligero corregge, invece, il lemma integrando ὑπό dopo
βαρύνομαι, e ricavando così dal testo dell’edizione di Basilea
del 1545 βαρύνομαι ὑπὸ τούτου καὶ τούτῳ καὶ τοῦτο.
Diversamente dalla maggior parte degli interventi dell’umanista
francese, questo non sembra ricavato da un testimone mano-
scritto bensì congetturato ope ingenii; nessuno dei codici conser-
vati da lui impiegati reca, infatti, il lemma greco in questa forma
(sulla collazione del lessico priscianeo compiuta da Scaligero vd.
supra, pp. XLIII-XLIV e n. 3). La possibilità di emendare la prima
parte del lemma (ad esempio τούτου1 > τούτῳ) per conservare
l’accusativo nella terza parte è attraente, giacché la costruzione
di βαρύνομαι con l’accusativo di relazione offrirebbe una più
puntuale corrispondenza con il lemma latino gravor hanc rem ed
è nota alla lessicografia moderna (vd. LSJ s. v. βαρύνω) mentre
13, 6-10 37

non lo è quella con il genitivo semplice. D’altra parte quest’ul-


tima è garantita dalla successiva citazione di Soph. fr. 697 Radt
ὀσμῆς … μὴ βαρυνθήσεσθέ μου, chiosata con ἀντὶ τοῦ
‘ὑπὸ τῆς ὀσμῆς’, sicché per intervenire su τούτου1 nel lemma
occorrerebbe anche correggere il testo del frammento sofocleo,
un intervento però assai poco economico. Non resta dunque che
emendare τοῦτο in τούτῳ, dal momento che l’inclusione della
reggenza del dativo nel lemma è resa necessaria dalla citazione
di Crat. fr. 171, 5 K.-A. A livello dell’archetipo l’alterazione di
ωΙ in Ο è documentata anche in 44, 8 Κολωνῷ (CΟΛΟΝΟ α).
Il fr. 697 Radt di Sofocle conservato da Prisciano è interes-
sato da una fitta serie di proposte di emendazione, motivate in
primo luogo da necessità metriche. A partire da μόνον ὡς
dell’edizione di van Putschen (che aveva a sua volta fatto pro-
pria la correzione di Scaligero, p. 704), Porson 1820, p. 183 ad
Ar. Av. 1238, ha suggerito di emendare μου ὅπως dei mano-
scritti in μόνον ὅπως. La proposta è accolta da Spengel 1826,
pp. 614- 615, e Radt. Porson correggeva inoltre ὀσμῆς in ὀσμῇ
(contra Spengel 1826, p. 615). Tale congettura è sostenuta dall’uso
linguistico di Sofocle, che impiega l’espressione ὀσμῇ βαρύνεσ-
θαι nell’unica altra occorrenza del nesso di βαρύνομαι e ὀσμή
nella letteratura greca classica (Phil. 890- 891 μὴ βαρυνθῶσιν
κακῇ / ὀσμῇ). Poiché però difficilmente il passaggio da -ΗΙ a -
ΗC si spiega su base paleografica, si dovrebbe ricorrere all’ipote-
si, non molto persuasiva, di un’assimilazione regressiva della
forma del sostantivo nella citazione, ὀσμῇ, a quella nella glossa,
ὀσμῆς. Se anche si accogliesse ὀσμῇ nel testo del frammento,
sarebbe comunque assai improbabile che la corruttela si sia pro-
dotta nel corso della tradizione manoscritta dell’Ars Prisciani o
del lessico fonte, giacché la lezione ὀσμῆς è qui garantita dal
lemma βαρύνομαι τούτου; la correzione ὀσμῇ potrebbe dun-
que essere presa in considerazione nella prospettiva di restituire
il dettato originale di Sofocle ma non per il testo del frammento
quale veniva letto da Prisciano e dal lessicografo atticista.
La posizione variabile del lemma latino di questa voce, gravor
hanc rem et hac re, nei manoscritti sembra indicare che esso fosse
stato tralasciato nella prima stesura dell’Ars e inserito in seguito
38 COMMENTO

nel margine, dove sarebbe rimasto a lungo nel corso della tradi-
zione. Sulla presenza di materiali marginali nella tradizione
dell’Ars, da connettere con alcuni aspetti di incompletezza o
mancata rifinitura osservabili nel testo, vd. supra, pp. LV-LVI.
Anche in questa voce del lessico si osserva la tendenza tipica
del ramo δ a integrare il titolo del poema virgiliano per le cita-
zioni tratte dai libri V-XII (in ae X O; in X aeneid Q), per le
quali Prisciano non avvertiva l’esigenza di disambiguazione
rispetto alle Georgiche (cfr. supra, pp. 7-8).
L’alterazione di si (δDU) in sit (βγ) nella citazione di Verg.
Aen. 10, 628- 629 si spiega a partire da un’erronea ripetizione
del segno I e sarà stata favorita dalla presenza del pronome inter-
rogativo quid, dopo il quale ci si poteva facilmente aspettare una
forma del verbo “essere”. La corruttela gravares di βMY per gra-
varis nello stesso verso virgiliano può essersi prodotta per assimila-
zione al successivo dares oppure per lo scambio fonetico di i ed e.

13, 11-14 βασκαίνω con accusativo: fascino con accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (βασκαίνει) – citazio-
ne greca (Demosth. 18, 189) – citazione latina (Verg. ecl. 3, 103).
CITAZIONI GRECHE. Demosth. 18, 189 è citato sotto il lemma
βασκαίνω anche in Ammon. diff. 98 e Or. fr. A 17 (= Ps.
Zon. lex. 379, 6-9), dove l’escerto è più ridotto e inizia con ἄν
τι. Sul rapporto tra la fonte di Prisciano e Oro vd. supra, p. LII.
LEMMA LATINO. La corrispondenza tra fascino e βασκαίνω è
ampiamente attestata nei glossari bilingui (CGL II 256, 29; III
129, 44- 46; 238, 27; 448, 20). Fascino (sul quale vd. ThlL s. v.
fascino [Bannier], VI 300, 14: «invidere, nimium laudando vel
sim. nocere, fascino ligare»; cfr. Serv. auct. ecl. 7, 27 quicquid
[…] ultra meritum laudatur, dicitur fascinari) non corrisponde però
al significato di βασκαίνω, “calunniare, accusare”, che Ammo-
nio e Oro illustrano per mezzo di Demosth. 18, 189, bensì a un
valore del verbo greco, “stregare”, registrato altrove solamente
in Ps. Herodian. Philet. 143 (ἐξαπατᾶν). O la fonte di Priscia-
no, come il trattato pseudo-erodianeo, attribuiva alla costruzio-
ne di βασκαίνω con l’accusativo sia il significato di “calunnia-
re” che quello di “stregare”, oppure, in assenza di indicazioni di
13, 15-14, 2 39

carattere semantico nella sua fonte greca, il nostro grammatico


si può essere appoggiato, nella scelta del lemma latino corri-
spondente a quello greco, a un altro strumento, forse un glossa-
rio bilingue, prescindendo dal valore del verbo greco attestato
dall’esempio demostenico presente nel lessico atticista. Gellio
(16, 12, 4), citando i Libri verborum a Graecis tractorum di Cloazio
Vero, postula non solo un’equivalenza semantica tra fascino e
βασκαίνω, ma anche un rapporto etimologico tra i due verbi
(questa idea è condivisa da Ernout – Meillet s. v. fascinus; Walde
– Hofmann s. v. fascinum; contra Chantraine s. v. βάσκανος): se
il nesso tra i due verbi era presente alla sensibilità linguistica
degli antichi, esso poteva del resto essere avvertito dallo stesso
Prisciano anche senza il ricorso a un sussidio glossografico.
CITAZIONI LATINE. La sintassi di fascino in Verg. ecl. 3, 103 non
è oggetto dell’attenzione di altri grammatici oltre a Prisciano.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Demosth. 18, 189
Prisciano si accorda con Oro e la tradizione diretta nella lezione
βασκαίνει contro la variante βασκαίνουσιν di Ammonio; con
quest’ultimo e i codici demostenici condivide, invece, la forma
ἄν, in luogo della quale Oro reca ἐάν.

13, 15-14, 2 sostantivo o pronome concordato con il


participio presente al dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (βουλομένοις ἐστὶν
ἡμῖν) – citazione greca (Demosth. 18, 11) – citazione latina
(Sall. Iug. 84, 3).
CITAZIONI GRECHE. Demosth. 18, 11 è richiamato anche in
Ammon. 397, in relazione però al sostantivo πομπή/πομπεία,
e in Synag.B α 1343, dove illustra il lemma di tipo semantico
ἀνέδην· ἀνειμένως (vd. anche infra).
LEMMA LATINO. La corrispondenza di volo e βούλομαι, più
volte richiamata nell’Ars Prisciani (GL II 403, 11; 414, 1; 455,
7- 8; III 232, 10), è presente anche nei glossari bilingui (per il
participio vd. CGL II 205, 35; 211, 19 e 22; 259, 27; III 73,
42; 129, 24; 437, 43).
In latino l’espressione mihi volenti/libenti est è considerata un
grecismo ricalcato sul sintagma βουλομένῳ μοί ἐστιν, che
40 COMMENTO

costituisce anche il lemma greco di questa voce del lessico pri-


scianeo (vd. Kühner – Gerth II.1, pp. 425- 426; LSJ s. v.
βούλομαι, II.4; Brenous 1895, pp. 189-191; Hofmann – Szan-
tyr, p. 100 n. b; p. 765; Tabacco 2000, pp. 217-218). Tale
locuzione è attestata sin da Sallustio (Iug. 100, 4) e conosce una
crescente diffusione in epoca imperiale (sino a Itin. Alex. 42,
95; 47, 106; cfr. Iul. Val. 2, 4 l. 284). Un fenomeno sintattico
in parte analogo a quello qui lemmatizzato – cioè la costruzione
di un verbo che regge un participio attivo al dativo – è oggetto
di un’altra voce degli Atticismi in 18, 1- 8 (vd. ad loc.).
PROBLEMI TESTUALI. In Demosth. 18, 11 ἀναίδην è lezione,
oltre che di Prisciano, anche dei codici ASF della tradizione
diretta, mentre gli altri testimoni diretti e Synag.B α 1343 re-
cano la variante ἀνέδην, messa a testo sia da Butcher che da
Dilts. Gli scolî ad locum del codice A (München, Bayerische
Staatsbibliothek, gr. 485) distinguono le due forme su base
semantica: 18, 41b Dilts ἐὰν μὲν διὰ τῆς διφθόγγου
γράφηται, ‘τῆς ἀναισχύντου’, ἐὰν δὲ διὰ τοῦ ‘ε’, ὅπερ καὶ
βέλτιον, ‘τῆς πολλῆς’ ἀπὸ τῆς ἀνέσεως. Simili osservazioni
sulle due grafie si trovano anche in Ps. Zon. lex. 225, 7-12 e
Etym. Gud. 138, 22-24. Sembra che la distinzione semantica tra
ἀναίδην, “senza pudore”, e ἀνέδην, “senza sosta, senza fre-
no”, tracciata dagli scolî e dai lessici sia una forzatura dovuta
anche all’esigenza di legittimare le molteplici (para)etimologie
proposte in antichità per le due forme dell’avverbio, che do-
vranno essere considerate solamente varianti grafiche.
Ancora nell’escerto demostenico γεγενημένης potrebbe
essere stato intenzionalmente tralasciato dal lessicografo dopo
ἀνέδην; come osserva E. Müller 1911, pp. 7- 8, la fonte di
Prisciano omette spesso i participi nelle citazioni (cfr. gli
estratti di Plat. Charm. 157d7- 8 in 37, 5 e di Isocr. Plat. 5 in
73, 17-74, 4). Nella citazione di Demosth. 18, 11 γεγενη-
μένης è omesso anche da Ammonio, che taglia pure τῆς
ἀνέδην. Ancora E. Müller 1911, p. 7, ritiene che l’infinito
ἀκούειν, tràdito nei codici SAFγρ dopo βουλομένοις e in Yc
dopo τουτοισί, sia un’interpolazione (infatti Butcher e Dilts
lo espungono). L’infinito potrebbe effettivamente essere stato
14, 3-10 41

aggiunto (forse nell’utilizzo scolastico del testo) allo scopo di


rendere più chiari la sintassi e il senso del passo. Il testo di
Demostene seguito da Prisciano in questo caso è accostabile a
quello di F e Y, nei quali ἀκούειν è presente solo come cor-
rezione secondaria.
Nella citazione di Demostene infine la variante priscianea
ταυτησί per ταύτης della tradizione diretta e della Synagoge
potrebbe essersi prodotta, probabilmente già nella fonte del
grammatico, per assimilazione al successivo τουτοισί.
L’oscillazione tra nominativo (militia) e accusativo (militiã
TRX, e corr. Y) nella citazione di Sall. Iug. 84, 3, trova riscontro
nella tradizione diretta (militia ANKF; militiam rell. Vd. Rey-
nolds ad loc.; le indicazioni di Kurfess sono lievemente diverse;
cfr. Zimmermann 1929, p. 120). L’accusativo è la lezione pro-
pria della famiglia dei codici mutili (caratterizzati dalla lacuna di
Iug. 103, 2-112, 3), il nominativo del ramo recante il testo inte-
gro (sulla tradizione manoscritta di Sallustio vd. Kurfess 1957,
pp. III-V; Reynolds 1983, pp. 341-347; 1991, pp. VI-XVII). Nel
contesto di Sallustio è certamente poziore militia, mentre mili-
tiam sembra essere una banalizzazione sintattica. Nei codici
TRXY di Prisciano, che spesso condividono aggiunte al testo e
interventi correttorî (vd. Rosellini 2015a, pp. CXX-CXXXII), o
in una fonte comune cui essi attingono, la lezione militiam po-
trebbe derivare dalla conoscenza diretta del testo sallustiano,
nella cui tradizione, come si è visto, tale lezione gode di più
ampia circolazione di quella superiore, militia.

14, 3-10 γάρ: nam, enim


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazioni greche
(Hom. Il. 15, 737 e 739-740, con osservazione aggiuntiva;
Plat. Com. fr. 165 K.-A.) – citazioni latine (Verg. Aen. 5, 13;
Ter. Ad. 168).
CITAZIONI GRECHE. L’incertezza tra Platone e Cantaro circa la
paternità della Συμμαχία, espressa nella voce in esame, è atte-
stata anche in Harp. 225, 17; Athen. 2, 68b; 7, 314a; epit. 2.1,
143, sempre con la formula Πλάτων ἢ Κάνθαρος (vd. Sonni-
no 2014, pp. 174-180 e 193). Il verso comico sembra comun-
42 COMMENTO

que appartenere a un contesto di paratragedia: ἢν φράσω è,


infatti, espressione utilizzata esclusivamente in tragedia (Soph.
Tr. 673; OT 1159) e anche l’unica attestazione di ἐγὼ γὰρ
ὑμῖν in poesia è tragica (Aesch. Eum. 804).
LEMMA LATINO. Γάρ è reso con enim e nam anche nei glossari
medievali (con entrambi gli avverbi in CGL II 261, 39; solo
con enim in II 61, 24; III 405, 78; con nam in CGL II 132, 15).
La riflessione sui diversi valori dei corrispettivi latini di γάρ,
presentata in modo sintetico in questa voce del lessico, in cui il
lemma latino non è esplicitato (quomodo et apud nos) e si deve
ricavare dai loci classici addotti (quianam; enimvero), è esposta in
forma più distesa nel libro XVI, dove Prisciano esamina alcuni
casi di congiunzioni che possono essere usate con diverse fun-
zioni e rientrare in species diverse a seconda del contesto. In
particolare, enim e nam possono essere causales o affirmativae o
completivae (GL III 103, 23-28 ‘enim’ quoque, cum sit causalis, τὸ
‘γάρ’ significat […]. invenitur tamen etiam completiva, quando ‘δή’
significat Graecam coniunctionem […]. invenitur eadem etiam pro
affirmativa; 104, 5- 6 similiter ‘nam’ est quando ‘γάρ’, est quando
‘δή’ Graecam coniunctionem completivam vel affirmativam significat).
Nel libro XVI il grammatico glossa con γάρ la sola funzione
causale di enim e nam; nel lessico finale, invece, sembra proporre
una più piena corrispondenza tra queste e γάρ, giacché tutte
condividono la medesima polisemia. La suddivisione delle con-
giunzioni in species e potestates è presente in tutta la tradizione
grammaticale latina ma solo Prisciano rileva i casi di impiego di
una stessa congiunzione con più funzioni.
Nel descrivere le due tipologie di congiunzioni evocate
anche nella voce in esame Prisciano usa come sinonimi rispetti-
vamente i termini completivae, expletivae, repletivae e approbativae,
affirmativae, confirmativae. Le tre forme impiegate per ciascuna
delle due classi non implicano – diversamente da quanto ipotiz-
za Schad 2007 passim – alcuna ulteriore distinzione in sottocate-
gorie. I termini completivus, approbativus e affirmativus riferiti a
congiunzioni si trovano esclusivamente in Prisciano. Gli altri
grammatici impiegano per il primo gruppo in prevalenza exple-
tivus (repletivus è altrove solo in Char. 291, 23; Dosith. 74, 19
14, 3-10 43

Tolkiehn; 75, 10), per il secondo confirmativus (vd. anche Grou-


pe Ars Grammatica 2013, p. 59).
CITAZIONI LATINE. Il confronto con i passi paralleli del libro
XVI, in cui occorrono i medesimi esempi proposti in questa
voce del lessico finale, aiuta a chiarire a quale species di congiun-
zione si debba ricondurre, in quest’ultimo, ciascuna citazione.
Certamente Ter. Ad. 168 costituisce, secondo Prisciano, un’at-
testazione di enim come affirmativa/confirmativa (cfr. GL III 104,
3 et maxime praepositiva hanc habet significationem [scil. affirmati-
vam], ut idem in adelphis). Meno chiaro è, invece, se in Verg.
Aen. 5, 13 si debba intendere (quia)nam come repletiva o confir-
mativa: in GL III 104, 5-13, infatti, Prisciano illustra con tre
esempi gli usi di nam, facendo seguire però solo a due delle tre
citazioni anche una chiosa che spieghi a quale uso ciascuna si
riferisce. Verg. georg. 4, 445 è commentato con hic repletivae vim
habet, Aen. 1, 65 con hic causalis est coniunctio; ma Aen. 5, 13, che
si pone in mezzo agli altri due esempi, non è accompagnato da
ulteriori osservazioni. L’enunciato negli Atticismi, 14, 3- 4 ‘Γάρ’
coniunctio causalis invenitur etiam repletiva vel confirmativa apud
Graecos, quomodo et apud nos, induce però ad aspettarsi che nella
voce siano esemplificati entrambi i valori aggiuntivi delle con-
giunzioni latine corrispondenti a γάρ; in questo caso, se è certo
che Ter. Ad. 168 si riferisca alla funzione confirmativa della con-
giunzione, Verg. Aen. 5, 13 dovrebbe illustrarne quella repletiva
sia qui sia in GL III 104, 9-10. In GL III 95, 11-12, invece, il
verso virgiliano è richiamato per il valore causale di quianam. Lo
stesso passo è infine citato anche nel libro XVII (GL III 138, 7-
8), in relazione però al valore interrogativo di quia (cfr. Char.
249, 7; Explan. in Don. GL IV 559, 5- 6).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Ter. Ad. 168 Prisciano
attesta la variante enimvero, che viola il metro, in luogo di enim
della tradizione diretta. In GL III 104, 4-5 il passo è tuttavia
correttamente riportato con la lezione enim (vd. anche Craig
1930, p. 66). Enimvero potrebbe doversi alla confusione tra que-
sto verso e Ter. Andr. 206 enimvero, Dave, nihil loci est segnitiae
neque socordiae, citato insieme a Ad. 168 in GL III 103, 28-104,
4, sempre a proposito di enim.
44 COMMENTO

14, 11-12 γελωτοποιέω con accusativo: ludificor con


accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (γελωτοποιῶ) –
citazione latina (Ter. Eun. 645).
LEMMA GRECO. Γελοτοποιέω, che conosce pochissime atte-
stazioni, non si trova mai con un oggetto personale, che pure
sembrerebbe implicato dalla forma τόνδε nel lemma greco di
Prisciano (cfr. LSJ s. v. γελωτοποιέω; DGE s. v.).
LEMMA LATINO. L’uso transitivo di ludificor è registrato anche in
Arus. 64, 3 Di Stefano; Idiom. cas. GL IV 568, 17-18; Dosith.
87, 11-12 Tolkiehn.
CITAZIONI LATINE. Ter. Eun. 645 è citato anche in GL II 401,
24- 402, 2, dove illustra i composti deponenti di facio.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Ter. Eun. 645, sia nel
lessico che nel libro VIII, è omesso etiam dopo quin (cfr. Craig
1930, p. 68). In generale sulla sommarietà delle citazioni teren-
ziane in Prisciano vd. supra, pp. LXIX-LXX.

14, 13-15, 3 complemento di limitazione in accusativo o


dativo: complemento di limitazione in accusativo o
ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (γένει, γένος) –
citazioni greche (Herod. 1, 6; Demosth. 20, 30) – citazioni
latine (Verg. Aen. 5, 285; 8, 114; Sall. Catil. 25, 2).
LEMMA LATINO. L’equivalenza semantica di γένος e genus è
attestata anche nei glossari bilingui (CGL II 33, 16; 262, 39; III
274, 45; 328, 34; 376, 2; 469, 38; 495, 59; 512, 39).
Delle due costruzioni latine individuate da Prisciano, è più
comune quella con l’ablativo (vd. ThlL s. v. genus [Hey], VI
1888, 33-51); quella con l’accusativo è circoscritta a sporadiche
occorrenze (ibid. 1888, 51-59), per lo più nella lingua poetica di
età augustea (grecismo). Il complemento di limitazione genus o
genere è trattato anche da Arusiano (43, 23 Di Stefano), col qua-
le il nostro grammatico condivide la selezione di esempi d’auto-
re per questo costrutto (vd. infra). Prisciano si occupa in genera-
le dell’accusativo di relazione nella prima metà del libro XVIII,
dove tale struttura sintattica è definita ‘figurata’ (GL III 220,
14, 13-15, 3 45

11-221, 5; sull’uso del termine figura e dei suoi derivati per


descrivere particolari usi sintattici vd. infra, pp. 127-128), ma
accenna alla questione anche nel libro VII, dove cita Verg. Aen.
1, 320 (GL II 362, 19-21 accusativum iunxit nominativo). Su
Verg. Aen. 1, 320 e sulla trattazione priscianea dell’accusativo di
relazione vd. anche commento a 30, 8-11; 31, 6-7; 34, 13-14;
86, 16-18. L’ablativo di limitazione è discusso nella già ricorda-
ta sezione del libro XVIII, di seguito all’accusativo di relazione
(GL III 221, 6-24; 222, 4-16). Anche qui il grammatico accen-
na al confronto con il greco: GL III 221, 6-10 Ablativus etiam
coniungitur nominativo, quando per eum aliquid evenire demonstratur
illi, qui per nominativum profertur […]. in hoc sensu Graeci quidem
dativo, nos vero ablativo utimur.
CITAZIONI LATINE. Le due citazioni virgiliane qui utilizzate da
Prisciano occorrono anche in Arus. 43, 23-24 Di Stefano sotto il
lemma GENUS ITALUS. Nel commento a Verg. Aen. 5, 285 Ser-
vio qualifica l’espressione Cressa genus come grecismo sintattico
e la confronta con Aen. 8, 114 (parimenti citato da Prisciano):
CRESSA GENVS [...] hoc est figura Graeca, ut ‘qui genus? unde do-
mo?’. Questo scolio appare particolarmente significativo nel con-
fronto con il lessico priscianeo, il cui scopo sarebbe, secondo
Ferri 2014, pp. 86-97, quello di fornire una rassegna di greci-
smi, o più propriamente atticismi, sintattici in latino. In genera-
le l’accusativo di relazione è uno dei fenomeni linguistici a cui
più spesso Servio riserva l’etichetta di Graeca figura o elocutio
(Aen. 1, 320; 1, 589; 3, 594; 5, 285; 5, 720; 11, 471; 12, 25). In
riferimento a Verg. Aen. 8, 114 il Servius auctus utilizza, invece,
l’espressione bona elocutio, meno frequente nei commenti virgilia-
ni e applicata più spesso a scelte stilistiche (Serv. Aen. 2, 135; 4,
494 e Serv. auct. Aen. 9, 166) che a fenomeni sintattici (Serv.
Aen. 8, 509 e 9, 60); vd. Uhl 1998, p. 255 n. 111.
La seconda parte della citazione di Sall. Catil. 25, 2, viro …
fuit, ricorre in Arus. 39, 16, ma sotto il lemma FORTUNATUS
ILLA RE, sicché non è sicuro che questo grammatico e Prisciano
l’abbiano ricavata da una fonte comune.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Verg. Aen. 5, 285
Prisciano si accorda con i tre più autorevoli testimoni della
46 COMMENTO

tradizione diretta (MPR) nella lezione ubera. I codici priscianei


del ramo δ, caratterizzati da una singolare cura nei riguardi delle
citazioni virgiliane, attestano la variante ubere, che potrebbe
essere ricavata dal confronto con la tradizione diretta di Virgilio
(cioè con un suo esemplare recante un testo diverso da MPR).
Erroneamente gli ultimi editori critici dell’Eneide, Geymonat e
Conte, in apparato assegnano a Prisciano la lezione ubere, messa
a testo da Hertz (GL III 286, 2). Sulla tradizione indiretta di
Virgilio in Prisciano cfr. supra, p. LXIX n. 65.
In Sall. Catil. 25, 2 Prisciano reca la lezione viro atque liberis
in accordo con la maggior parte dei testimoni di tradizione
diretta: come osservato da Nitzschner 1884, pp. 99-100, l’inser-
zione di atque sarà stata dunque già presente nel testo sallustiano
utilizzato dal grammatico (vd. anche ibid. pp. 15; 86). A questa
lezione tuttavia gli editori di Sallustio preferiscono quella del
solo codice A (Par. lat. 16025, X sec.), viro liberis, probabilmen-
te perché è anche attestata dal maggior numero di fonti di tradi-
zione indiretta (Fronto 100, 23; Arus. 39, 16 Di Stefano; Eu-
graph. Ter. Andr. 97). Si noti però che Sallustio impiega la strut-
tura … atque …, praeterea … atque … anche in Catil. 52, 20 quip-
pe sociorum atque civium, praeterea armorum atque equorum maior copia
nobis quam illis est, dove gli editori non hanno ritenuto di dover
espungere il secondo atque. Nell’uso sallustiano praeterea congiun-
ge più spesso due serie di complementi al loro interno coordinati
per asindeto; in nessun altro caso si trova, invece, … atque …,
praeterea seguito da asindeto, mentre una sola volta si verifica la
situazione inversa (Catil. 58, 8 memineritis vos divitias, decus,
gloriam, praeterea libertatem atque patriam in dextris vostris portare).
L’uso linguistico dell’autore sembra dunque sostenere, in Catil.
25, 2, la lezione della tradizione diretta e di Prisciano piuttosto
che la variante del codice A e degli altri testimoni indiretti.

15, 4- 6 γε: at, vel, aut


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con glosse semanti-
che – lemma latino, con glosse semantiche.
LEMMA GRECO. La voce del lessico priscianeo è priva di esempi
di autori greci, ma è possibile che uno di quelli che in origine la
15, 4- 6 47

corredavano (Soph. El. 411) sia stato riutilizzato da Prisciano in


un passo del libro XVII (GL III 196, 19-20, sul quale vd. infra).
LEMMA LATINO. La corrispondenza di γοῦν e saltem è, tra
quelle postulate in questa voce del lessico, l’unica per cui si
trovi un riscontro nei glossari bilingui (CGL II 178, 2; 264, 45;
338, 23). Nei glossari latini saltem è utilizzato come sinonimo di
vel e aut in CGL IV 166, 2; 388, 25; V 146, 11; 330, 30, men-
tre non è mai accostato ad at.
Prisciano non descrive nel lessico una piena corrispondenza
semantica tra il lemma greco, γε con valore di γάρ o γοῦν, e
quello latino, at o aut o vel con valore di et o saltem. Se, infatti,
γε è sovrapponibile a tutte le tre congiunzioni latine nel signifi-
cato di saltem, “almeno” (DGE s. v. γε, C; LSJ s. v. γε, I), non
lo è in quello di et, “e”. A partire dunque dall’equivalenza tra
γε e at/aut/vel per uno solo dei loro diversi significati, “alme-
no” (γοῦν; saltem), che certamente sarà alla base dell’individua-
zione delle tre congiunzioni latine come corrispettivi della par-
ticella greca, il grammatico sembra aver esteso il discorso alla
più generale questione della polisemia di congiunzioni, avverbi
e particelle nelle due lingue, già toccata a proposito di γάρ,
nam/enim (14, 3-10). I rilievi di Prisciano circa il significato di
at risultano confermati anche dagli studi lessicografici moderni
(vd. ThlL s. v. at [Ihm], II 1004, 26-30; 1005, 10). Per aut Voll-
mer osserva che il suo uso copulativo sarebbe proprio del latino
tardo dei cristiani (ThlL s. v. aut, II 1575, 34 e 72); d’altra parte
si ricordi che aut coordinato a congiunzioni copulative quali et
e -que si trova già nel latino classico, almeno nella lingua poetica
(ibid. 1571, 21-23; 1572, 24). Nell’assegnare anche ad aut il
valore di et, Prisciano aveva probabilmente in mente questo
impiego della congiunzione. L’unico esempio che egli cita in
relazione alla funzione copulativa di aut, Verg. Aen. 4, 62 (GL
III 115, 4-5, su cui vd. infra), attesta, infatti, la particolare arti-
colazione sintattica già in uso nel latino classico: nel luogo vir-
giliano la proposizione introdotta da aut è coordinata ad altre
due proposizioni per mezzo dell’enclitica -que (aut ante ora deum
pinguis spatiatur ad aras, / instauratque diem donis, pecudumque
reclusis / pectoribus inhians spirantia consulit exta).
48 COMMENTO

È notevole che l’uso copulativo di aut sia preso in considera-


zione anche in un editto giustinianeo del 531, sebbene l’ap-
proccio del grammatico sia descrittivo, quello del legislatore,
invece, prescrittivo: Cod. Iust. 6, 38, 4 Cum quidam sic vel insti-
tutionem vel legatum vel fideicommissum vel libertatem vel tutelam
scripsisset: [...] ‘illi aut illi do lego’ vel ‘dari volo’, vel ‘illum aut illum
liberum’ vel ‘tutorem esse volo’ vel ‘iubeo’, dubitabatur, utrumne utilis
sit huiusmodi institutio et legatum et fideicommissum et libertas et
tutoris datio, an occupantis melior condicio sit […]. Melius itaque nobis
visum est huiusmodi verbositate explosa coniunctionem ‘aut’ pro ‘et’
accipi, ut videatur copulativo modo esse prolata et magis sit
παραδιάζευξις […]. Quemadmodum enim verbi gratia in interdic-
to quod vi aut clam ‘aut’ coniunctio pro ‘et’ apertissime posita est, ita
et in omnibus huiusmodi casibus (cfr. ThlL s. v. aut [Vollmer], II,
1575, 82-1576, 9). È del resto possibile che anche a questo
servisse l’opera di Prisciano: a comprendere la lingua delle leggi
e dirimerne le ambiguità (cfr. De Nonno 2009, pp. 262-268).
La questione della polisemia di at (di norma inclusa tra le
copulativae, vd. GL III 93, 18-19), vel e aut (di norma definite
disiunctivae, vd. GL III 97, 17-19) è affrontata da Prisciano an-
che altrove. Nel libro XVI il grammatico riconosce all’intero
gruppo delle congiunzioni subdisiunctivae – tra cui vel – una
parziale identità di significato con le copulativae (GL III 98, 3-9).
In questo caso però, diversamente che negli Atticismi, la funzio-
ne copulativa di vel viene glossata con etiam invece che con et.
Poco oltre, trattando delle adversativae, Prisciano aggiunge che
‘at’ quoque pro ‘saltem’ et ‘vel’ et ‘aut’ invenitur. Virgilius in VI: ‘Si
te nulla movet tantae pietatis imago, / at ramum hunc ... agnoscas [6,
405- 407], et ‘si non vis ediscere, vel intellege’ pro ‘saltem intellege’;
similiter ‘si non factis debitum reddis, aut verbis age gratias’ pro ‘saltem
verbis’ (GL III 99, 21-27). Sebbene l’enunciato iniziale del passo
sembri voler dire che at può significare saltem o vel o aut, dagli
esempi addotti si ricava che Prisciano intende piuttosto che at,
vel e aut possono rivestire il valore di saltem (etichettata, invece,
come adversativa in GL III 99, 12); cfr. Groupe Ars Grammatica
2013, p. 243. La dottrina espressa in questo luogo è dunque del
tutto sovrapponibile a quella che verrà poi ribadita nel lessico.
15, 7-10 49

Nel libro XVII, invece, la riflessione sui molteplici valori di


queste congiunzioni si inserisce in una più generica suddivisio-
ne delle parti del discorso in quelle che da sole hanno un signi-
ficato e quelle che esprimono senso solo se unite a un’altra parte
del discorso (preposizioni e congiunzioni), sicché assumono
valori diversi a seconda della parola cui si accompagnano (GL
III 114, 22-115, 6). Qui Prisciano sembra riprendere l’argo-
mentazione di GL III 98, 3-9, affiancando però aut a vel nel
novero delle congiunzioni disgiuntive che possono avere valore
copulativo (entrambe vengono glossate con et, come nel lessi-
co). La questione è affrontata ancora in GL III 196, 16-22 Aliae
[scil. coniunctiones] pro aliis accipiuntur […]. Euripides ‹... Sopho-
cles›: ‘Ὦ θεοὶ πατρῷοι, συγγένεσθέ γ’ ἀλλὰ νῦν’, ‘at’ dixit
pro ‘saltem’. et nostri. Terentius in eunucho: ‘si nequeas †paulo, at
quanti queas (riproduco il testo di Hertz, aggiungendovi le pa-
rentesi uncinate. Sul problema testuale che interessa questo
passo vd. Spengel 1826, p. 613; Porson 1830, p. 4; Garcea –
Giavatto 2007, p. 86; Groupe Ars Grammatica 2010, p. 269 n.
354). Come ho argomentato altrove (Spangenberg Yanes 2017a,
pp. 660-662), la citazione di Soph. El. 411 in questo secondo
luogo del libro XVII è verosimilmente tratta dalla stessa fonte
atticista del lessico finale; in essa il verso sofocleo poteva illustra-
re il lemma γε, attualmente privo di esempi.
Infine l’ulteriore significato assegnato da Prisciano nel lessico
al solo vel, cioè quello di valde, “assai, molto” trova riscontro
nel libro XV, dove una volta vel è comunque indicato come
congiunzione (GL III 74, 20-21 ‘vel’ etiam coniunctio pro ‘valde’
frequenter invenitur), un’altra è incluso tra gli avverbi (GL III 89,
19-20 ‘per’ [...] adverbium est quando affirmationem significat, sicut
etiam ‘vel’ cum pro ‘valde’ ponitur).
L’unico uso descritto negli Atticismi, privo di paralleli in altri
luoghi dell’Ars, è quello di at con valore di et.

15, 7-10 φίλος con genitivo o dativo: similis con geniti-


vo o dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemmi greci secon-
dari – lemma latino – lemmi latini secondari.
50 COMMENTO

LEMMA GRECO. La voce è apparentemente extra ordinem, giac-


ché si trova tra quelle in γ- senza che il suo lemma greco con-
tenga alcun termine iniziante per questa lettera. Rosellini
2012a, p. 208, ha ipotizzato che il lemma originario fosse qui
γείτων, che può corrispondere per significato al primo degli
equivalenti latini proposti da Prisciano, similis. Φίλος sarà stato
affiancato a γείτων e lo avrà poi forse soppiantato in una fase
anteriore a Prisciano o nel corso della sua rielaborazione del
lessico fonte. A sostegno di tale ipotesi si può osservare che
γείτων è un lemma dell’Ecloga atticista di Tommaso Magistro
in cui, come nel lessico priscianeo, è rilevata la costruzione del
sostantivo/aggettivo con il genitivo o dativo: ecl. 76, 15-77, 4
Γείτων εἰμὶ τοῦ δεῖνος καὶ γείτων εἰμὶ τῷ δεῖνι.
LEMMA LATINO. Prisciano mette qui insieme degli aggettivi o
sostantivi che reggono per propria natura il dativo e il genitivo
(similis, adfinis) con altri vocaboli, che semplicemente si possono
costruire con un genitivo o dativo di possesso (cognatus, hospes,
necessarius, frater, fratruelis). La sintassi dei termini latini elencati
in questa voce del lessico è richiamata già nella prima metà del
libro XVIII, sia a proposito dell’alternativa tra genitivo e dativo
di possesso sia della duplice reggenza di similis e altri aggettivi
(GL III 213, 13-18; 218, 15-18; 219, 22-27), due fenomeni
distinti in termini moderni, ma che il grammatico tardoantico
considera sempre in modo unitario. All’incirca gli stessi vocabo-
li sono menzionati, allo stesso proposito, anche in Att. 88, 5-7.
Tra i diversi sostantivi o aggettivi latini lemmatizzati in questa
voce spicca fratruelis (sulla cui morfologia cfr. GL II 131, 12-15;
Ars Bern. GL Suppl. 67, 25-27; Wackernagel 1916, p. 5) in
quanto vocabolo raro e attestato esclusivamente in epoca tar-
doantica, in testi grammaticali oppure nella letteratura cristiana,
mentre non se ne conosce alcuna occorrenza negli autori classici,
ai quali solitamente fa riferimento la riflessione linguistica di Pri-
sciano (vd. ThlL s. v. fratruelis [Vollmer], VI 1260, 76-1261, 11).
Probabilmente però nella sua menzione da parte del grammatico
non si deve scorgere un’occasionale allusione al latino a lui coe-
vo, bensì un semplice calco dal greco ἀδελφιδοῦς, presente
anche nello Ps. Cirillo (CGL II 218, 21). Del resto anche l’uso di
15, 11-14 51

questo aggettivo da parte di autori cristiani si spiega sovente co-


me un grecismo (vd. ThlL s. v. fratruelis, VI 1260, 81- 82).

15, 11-14 δεῦρο con funzione di verbo o di avverbio:


age, agite
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con osservazione
aggiuntiva – lemma latino – citazioni latine (Verg. Aen. 8, 273;
4, 569-570) – citazione latina per il lemma latino secondario
sottinteso (Ter. Andr. 184).
LEMMA LATINO. La corrispondenza tra δεῦρο e age è attestata
anche nello Ps. Cirillo (CGL II 268, 54).
L’uso di age descritto da Prisciano come avverbiale è più
propriamente considerato dalla lessicografia moderna con fun-
zione di interiezione (ThlL s. v. ago [Hey], I 1403, 66). Oltre
che da Prisciano (GL III 86, 17-18 hortativa ‘heia, age’. et notan-
dum, quod videtur hoc adverbium etiam plurale habere ‘agite’; sim. 89,
21-22; 238, 1-2), age è considerato un avverbio hortandi, e acco-
stato per questa funzione a heia, anche da Char. 234, 6; 244, 22;
248, 23; Diom. GL I 405, 28-29. Carisio e Diomede condivi-
dono inoltre con Prisciano l’osservazione della natura ibrida, a
metà tra verbale e avverbiale, di age (Char. 234, 6-7 quamvis age
et agite vim obtineant verbi activi imperativi modi; Diom. GL I 405,
28-29 Sunt adverbia aut cum nominibus communia […]; aut cum
verbis, ut age pone; cfr. Frg. Bob. nom. 62, 51 Mariotti age adver-
bium est, plerumque verbum). La questione è affrontata anche da
Servio (Aen. 2, 707 ‘age’ autem non est modo verbum imperantis,
sed hortantis adverbium, adeo ut plerumque ‘age facite’ dicamus et
singularem numerum copulemus plurali).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 8, 273 è citato da Prisciano a
proposito di agite anche in GL III 86, 18-19, dove il verso è
riportato per intero. Verg. Aen. 4, 569-570 occorre già nel libro
XVII (GL III 197, 24-27) per heia, e nella prima metà del XVIII
(GL III 238, 2-5) per esemplificare l’uso di heia e age seguiti da
una forma verbale (vd. supra). Il passo virgiliano, circoscritto al
primo dei due versi e spesso al suo solo primo emistichio (heia
… moras), compare anche presso altri grammatici nella trattazio-
ne delle interiezioni o degli avverbi, ma per lo più in riferimen-
52 COMMENTO

to a heia piuttosto che ad age (Sacerd. GL VI 442, 26; 447, 11;


Ad Caelest. GL IV 256, 9-10; Cledon. GL V 66, 19 Explan. in
Don. GL IV 559, 1-3); solo Char. 248, 25 lo impiega per illu-
strare l’uso di age accompagnato da una forma verbale.
L’estratto di Terenzio identificato in questa voce (Andr. 184)
è privo dell’indicazione non solo del titolo della commedia, ma
anche del nome dell’autore; tale mancanza si dovrà probabil-
mente a una citazione a memoria. Il verso non conosce ulteriori
occorrenze in Prisciano né presso altri grammatici. La scelta di
questo terzo esempio, sebbene non pertinente al fenomeno
linguistico lemmatizzato, e cioè all’uso di forme verbali con
funzione avverbiale e viceversa, si spiega però forse con la cor-
rispondenza di δεῦρο e ehodum, attestata anche in Ps. Cirillo
(CGL II 268, 55). Un valore esortativo o imperativo simile a
quello di δεῦρο e di age è assegnato a eho(dum) da Donato nel
commento a Terenzio (Andr. 500, 2 EHO AN TUTE ‘eho’ nunc
interiectio est admirantis, alias ad se vocantis, ut ‘ehodum ad me’): è
possibile che proprio da qui Prisciano lo abbia notato.
PROBLEMI TESTUALI. Nella formulazione del lemma le parole
et loco verbi … apud nos sono tràdite solo in alcuni testimoni e
per lo più come aggiunta marginale (RTQYW; nel testo in
ODM); è possibile che la loro omissione nell’archetipo sia avve-
nuta per un saut du même au même da apud illos a apud nos.

15, 15-16, 2 δεκαπέντε, πεντεκαίδεκα: quindecim, decem


et quinque
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino –
citazioni latine (Liv. 24, 49, 1 vel 25, 5, 8; 24, 15, 2) con osser-
vazione aggiuntiva.
LEMMA LATINO. Prisciano rileva qui al contempo un paralleli-
smo tra le due lingue, entrambe le quali ammettono sia la forma
del numerale con congiunzione che quella senza, e un’opposi-
zione (contra) nella formazione dei numerali cardinali. In greco,
infatti, le decine costituiscono il primo membro del composto
privo di congiunzione, il secondo in quello con la congiunzio-
ne (cfr. Kühner – Gerth I.1, p. 626 n. 1), mentre in latino si
verifica la situazione inversa. D’altra parte in latino la situazione
15, 15-16, 2 53

è assai più fluida e le forme del numerale cardinale sono molte-


plici, come lo stesso grammatico nota (cfr. Leumann, p. 487).
Prisciano tratta della flessione dei numerali cardinali anche
nel De figuris numerorum, dove propone per i numeri compresi
tra 11 e 19 la serie undecim, duodecim, tredecim, quattuordecim,
quindecim, sedecim, decem et septem, decem et octo, decem et novem
(6, 23-25 Passalacqua) e osserva: 6, 26-7, 3 sic deinceps omnibus
cardinalibus numeris minores usque ad novem adduntur, quamvis con-
trarium [ante decem] fiat usque ad sedecim; licet tamen et praepostere,
maxime coniunctione interposita, haec proferre: decem et unum, decem
et duo. Egli considera dunque normale la forma analitica (con o
senza congiunzione), in cui le decine precedono le unità (cfr.
Char. 91, 25-27, il quale ritiene che la forma del numerale
cardinale in cui l’unità precede la decina sia un arcaismo). Pri-
sciano rileva però un’eccezione per i numeri 11-16, che di
regola sono in forma univerbata ma che possono trovarsi anche
in quella analitica. Proprio uno di questi numeri (15) è oggetto,
negli Atticismi, della voce in esame.
CITAZIONI LATINE. L’individuazione dei passi di riferimento
delle citazioni liviane in questa voce, septem decem (Liv. 24, 49,
1 vel 25, 5, 8) e decem septem (24, 15, 2), è complicata anche
dall’oscillazione degli editori di Livio tra la diverse forme del
numerale cardinale, talora in assenza di indicazioni in apparato
critico circa le scelte operate.
L’espressione con cui è qui introdotta la citazione delle due
forme di numerale attestate dallo storico latino, Livius tamen
frequenter etiam sine coniunctione, è estranea alla Zitierweise di
Prisciano, che tende a precisare il libro di provenienza
dell’esempio nel caso di opere in più libri (vd. De Nonno
1990b, p. 644). Tuttavia proprio nel lessico sintattico altre due
delle cinque citazioni di Livio sono precedute da indicazioni
approssimative simili a questa (56, 1 Livius frequenter; 102, 5- 6
quod apud Livium in multis locis legimus); in entrambi i casi si
tratta, come nella voce in esame, di attestare l’uso, da parte
dello storico, di singoli vocaboli o sintagmi piuttosto che di
fornirne citazioni compiute. Citazioni di passi specifici
dell’opera liviana si trovano, invece, in 23, 10-11; 79, 14-16.
54 COMMENTO

Per rimandi bibliografici sulla tradizione indiretta di Livio in


Prisciano vd. supra, p. LXIX n. 67.

16, 3-12 δή: vero, autem


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con osservazione
aggiuntiva – citazione greca (Thuc. 1, 1, 2) – lemma latino –
citazioni latine (Sall. Catil. 2, 9; Ter. Ad. 578; Cic. progn. fr. 2,
1) – lemma latino secondario, con osservazioni aggiuntive.
CITAZIONI GRECHE. Il passo tucidideo (1, 1, 2) citato negli
Atticismi compare anche in Alex. RhG III 32, 20-26 Spengel, a
proposito dell’uso ‘ridondante’ di δή, del tutto identificabile con
quello definito completivus da Prisciano (cfr. Kühner – Gerth
II.2, pp. 123-130; Schwyzer II, pp. 562-563; Denniston 1950,
pp. 203-240). La frase tucididea illustra inoltre il pleonasmo di
δή in Schol. vet. Ar. Ach. 1b. Il confronto con queste altre fonti
di tradizione indiretta consente di stabilire che anche nel lessico
priscianeo Thuc. 1, 1, 2 è riferito all’uso completivus di δή, men-
tre quello confirmativus è privo di esemplificazione.
LEMMA LATINO. Due dei vocaboli latini qui affiancati a δή, autem
e enim, si trovano come suoi corrispettivi semantici anche nei
glossari medievali (rispettivamente in CGL II 269, 4 e II 61, 24).
La prima delle due funzioni assegnate a vero e autem sotto il
lemma δή è trattata da Prisciano già nel libro XVI, nella sezione
dedicata alle congiunzioni completivae (GL III 102, 12). Nello
stesso luogo si accenna anche alla funzione approbativa di vero,
detta confirmativa nel lessico. Sulla classificazione delle congiun-
zioni da parte di Prisciano nel libro XVI e in particolare sulle
categorie delle completivae e confirmativae vd. supra, pp. 42- 43.
Due dei lemmi latini secondari della voce in esame, nam e
enim, accostati a vero e autem tramite l’avverbio similiter (sul qua-
le cfr. Spangenberg Yanes 2014, pp. 116-120), sono già discussi
in 14, 8-10, dove sono confrontati con il greco γάρ (vd. ad
loc.). Ivi, accanto alla funzione confirmativa e a quella repleti-
va/completiva delle due congiunzioni, veniva menzionata sola-
mente quella causalis. Nella voce in esame, invece, l’espressione
causales vel rationales si spiega col fatto che Prisciano ha accostato
a nam e enim anche ergo, che nel libro De coniunctione è incluso
16, 3-12 55

nella categoria delle collectivae vel rationales (GL III 100, 15; ma
cfr. GL III 47, 8-9 ‘ergo’ causalis et rationalis coniunctio). L’uso
repletivus di ergo è trattato anche in 71, 10-13 (cfr. ad loc.).
L’accostamento di enim e nam a δή è già proposto nel libro
XVI; ivi tuttavia la congiunzione greca serve a glossare un solo
significato di quelle latine (GL III 103, 24-25 [scil. ‘enim’] inve-
nitur tamen etiam completiva, quando δή significat Graecam coniunc-
tionem; 104, 5- 6 similiter ‘nam’ […] est quando δή Graecam con-
iunctionem completivam vel affirmativam significat), mentre nel lessi-
co Prisciano propone una più completa corrispondenza tra le
due lingue, riconoscendo a δή la medesima polisemia già postu-
lata per enim e nam. L’equivalenza di δή ed ergo non è, invece,
postulata altrove dal grammatico e del resto è anche possibile
che egli abbia menziato ergo in questa voce degli Atticismi solo
in quanto ulteriore esempio di congiunzione che può assumere
diversi valori piuttosto che per una sua puntuale corrispondenza
semantica al lemma greco.
Anche il tema dell’ordo verborum richiesto da nam, enim ed
ergo è già affrontato nel libro XVI, dove parimenti si osserva che
esse possono essere sia prepositive sia pospositive: GL III 104,
24-105, 4 aliae paene omnes indifferenter et praeponi et supponi pos-
sunt, ut […] ‘nam, enim […], ergo’.
CITAZIONI LATINE. Sall. Catil. 2, 9 è citato, in riferimento ai
due valori di vero individuati nel lessico, anche in GL III 102,
20-23; 236, 7- 8 (inoltre in GL III 158, 1-2, dove esemplifica
uno degli usi del pronome is). In quelle due occorrenze la cita-
zione sallustiana è riferita a due diverse funzioni di vero, quella
completiva nel libro XVI, quella affirmativa nel XVIII. Dunque il
confronto con gli altri luoghi in cui compare la medesima cita-
zione non aiuta a chiarire se nella voce degli Atticismi – dove la
triplice serie di esempi latini è genericamente introdotta dalla
dicitura ‘Δή’ coniunctio tam completiva quam confirmativa invenitur
apud illos […], quomodo apud nos ‘vero’ et ‘autem’ – il passo sallu-
stiano illustri il primo o il secondo valore assegnato a vero. Del
resto è possibile che lo stesso Prisciano non fosse in grado di
indicare con sicurezza la funzione di vero in questa citazione,
come si potrebbe ricavare dal libro XVI, dove egli introduce il
56 COMMENTO

passo per esemplificare il valore completivus di vero (GL III 102,


20 completivam esse, etiam Sallustius ostendit in Catilinario) ma
soggiunge che potrebbe anche essere approbativa (GL III 102,
22-23 hic enim ornatus causa ‘vero’ adiuncta est, quamvis possit etiam
approbativa esse). Quest’ultima (quamvis … esse) tuttavia potrebbe
anche essere solamente un’osservazione di carattere generale
sull’altro valore noto dell’avverbio, non legata alla sua particola-
re attestazione in Sallustio.
Ter. Ad. 578 è utilizzato anche in GL II 262, 18-20, a pro-
posito del genere di angiportus/-um; per lo stesso interesse mor-
fologico la citazione occorre anche in Non. 190, 11-12.
Cic. progn. fr. 2, 1 illustra la successione di due congiunzioni
una dopo l’altra già nel libro XVI: GL III 105, 6-9 hoc quoque
non est praetermittendum, quod coniunctiones sibi praepositae inve-
niuntur, tam eiusdem potestatis cum sint, quam alterius.
PROBLEMI TESTUALI. Nella tradizione diretta di Thuc. 1, 1, 2
αὕτη δὴ μεγίστη è la lezione del solo codice F (München,
Bayerische Staatsbibliothek, gr. 430, stemmaticamente non
superiore agli altri) della seconda delle due famiglie, di cui si
compone la tradizione tucididea, e di una mano recenziore che
integra la lacuna dei primi 14 capitoli dell’opera nel manoscritto
C (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 69, 2) della
prima famiglia. Il resto della tradizione indiretta si divide tra le
due lezioni: oltre a Prisciano, testimoniano la sequenza αὕτη
μεγίστη δή anche Dion. Hal. comp. 164; Alex. RhG III 32, 33
Spengel; Choric. 29, 7, 79; si trova, invece, αὕτη δὴ μεγίστη
in Dion. Hal. Thuc. 20; Schol. vet. Ar. Ach. 1b.
La citazione di Sallustio è trasmessa con la forma atque, in
accordo con la tradizione diretta, negli Atticismi e in GL III 158,
1-2; in GL III 102, 20-22 si trova, invece, la variante et, in GL
III 236, 7-8 ac. Entrambe queste lezioni si dovranno probabil-
mente a sviste del grammatico (cfr. Nitzschner 1884, pp. 95-96).
Nel lessico Prisciano cita Ter. Ad. 578 con la variante hoc
autem in luogo di id quidem, lezione concordemente tràdita dai
codici terenziani. La prima occorrenza della citazione (GL II
262, 18-20) contiene, invece, la stessa lezione della tradizione
diretta. In questo caso la variante testimoniata da Prisciano, che
16, 13-17, 2 57

può, come talora accade, derivare da una svista, è proprio l’ele-


mento del verso terenziano che ne motiva la citazione in questa
voce del lessico, nella quale esso è riferito all’uso di autem. Craig
1930, p. 66, basa, invece, sulla variante hoc autem l’ipotesi che vi
sia una lacuna nel testo di Prisciano, nella quale «he must have
said that quidem means autem»; una simile conclusione si può
però del tutto escludere perché, come si è osservato, il grammati-
co intendeva certamente citare Ad. 578 in quanto attestazione di
autem, che è uno dei lemmi latini in questa voce degli Atticismi.

16, 13-17, 2 forme dei pronomi personali in -θεν: ablativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐξ ἐμέθεν) – cita-
zioni greche (Hom. Il. 5, 653 + Od. 1, 33; Od. 8, 20) – osser-
vazione teorica – lemma latino – osservazione teorica – citazio-
ne greca (Hom. Il. 1, 114) – osservazione teorica. La voce apre
una serie di lemmi in ἐξ- posti all’inizio della lettera epsilon del
lessico (16, 13-18, 14), del quale violano l’ordinamento alfabe-
tico basato sulle prime due lettere di ogni lemma. Esso riprende
regolarmente da 18, 15. È possibile che l’anticipazione di questa
sequenza di lemmi in ἐξ- si debba allo spostamento di un grup-
po di ‘schede’, affine a quello che ha interessato un ben più
consistente nucleo di lemmi in α- (vd. supra, pp. LVII-LVIII).
Anche in questo caso non si è verificata solo una trasposizione,
ma per uno dei lemmi interessati anche una duplicazione
(ἐξίστημι in 18, 9-14; 45, 5-13: vd. ad locc.).
LEMMA GRECO. Il lemma nella fonte di Prisciano doveva ri-
guardare l’uso pleonastico della preposizione ἐκ/ἐξ davanti a
sostantivi composti in -θεν, come si ricava dal confronto con
Antiatt. ε 30 ἔκποθεν ἐμοὶ γέγονεν· Ὅμηρος· ‘σειρὴν χρυ-
σείην ἐξ οὐρανόθεν κρεμάσαντες’. καθόλου περιττὰς προσ-
λαμβάνειν προθέσεις οὐκ ἦν ἄηθες τοῖς ἀρχαίοις. Lo stes-
so uso sintattico, riferito ai pronomi personali col suffisso -θεν,
non si trova, invece, nei lessici greci ma è a più riprese trattato
da Apollonio Discolo (GG II.1 66, 20-67, 18; 184, 32-186, 24).
Giacché la costruzione di queste forme dei pronomi personali
con la preposizione ἐκ/ἐξ è trattata dallo stesso Prisciano nel
libro V dell’Ars (GL II 187, 7-14), si può concludere che il lessi-
58 COMMENTO

co utilizzato dal grammatico contenesse solamente un lemma


analogo a quello dell’Antiatticista e che Prisciano lo abbia am-
pliato con la trattazione dei pronomi suffissati in -θεν, che egli
doveva desumere, invece, da una fonte di tipo grammaticale. Vd.
più dettagliatamente Spangenberg Yanes 2017a, pp. 642-648.
CITAZIONI GRECHE. La prima citazione della voce, ἐξ ἐμέθεν
γάρ φασι κά‹κ’ ἔμμεναι...›, che occorre anche in GL II 187,
14, non corrisponde ad alcun luogo dei poemi omerici e sem-
bra risultare piuttosto dalla confusione di Hom. Od. 1, 33 ἐξ
ἡμέων γάρ φασι κάκ᾽ ἔμμεναι e un verso nel quale ἐξ
ἐμέθεν occupasse la sede iniziale (Il. 5, 653 o 9, 456 o 21, 217).
Come ho tentato di argomentare in altra sede (Spangenberg
Yanes 2017a, pp. 642-648), questo primo esempio omerico era
probabilmente assente dalla fonte atticista di Prisciano ed è stato
inserito qui dal grammatico latino. Od. 8, 20, citato anche in
Antiatt. ε 30, doveva, invece, corredare già il lessico fonte.
Hom. Il. 1, 115, che non si incontra mai nella tradizione
lessicografica greca, occorre, invece, in Apoll. Dysc. GG II.1
76, 25; Herodian. GG III.1 557, 14; III.2 39, 30, in tutti i tre
luoghi con riferimento all’accentazione di ἕθεν, che può essere
ortotonico o enclitico. Sia per questo motivo che per il fatto
che quest’ultimo esempio greco non è in rapporto con il lemma
primario della voce, ma è introdotto solo per un ulteriore am-
pliamento del confronto tra i composti in -θεν e gli usi
dell’ablativo latino, anche questa citazione deve essere stata
aggiunta alla voce in esame dallo stesso Prisciano.
LEMMA LATINO. La derivazione dell’ablativo latino dai suffis-
sati greci in -θεν è discussa da Prisciano già nel libro V
dell’Ars (GL II 187, 9-12) e in metr. Ter. 20, 2-7 Passalacqua;
vd. Spangenberg Yanes 2017a, pp. 642- 646.
L’osservazione che chiude la voce, Praepositiones enim per
compositionem antecedunt adverbia, non fa riferimento al fenomeno
trattato nelle frasi precedenti, cioè l’impiego dell’ablativo per
esprimere il secondo termine di paragone in corrispondenza
dell’analogo uso in greco dei suffissati in -θεν, bensì costituisce
un corollario alla prima delle due spiegazioni date da Prisciano
del parallelismo tra composti in -θεν e ablativi, quia praepositio
17, 3- 4 59

separata adverbiis non praeponitur (16, 16-17). Il grammatico parla


di adverbia alludendo alle forme greche composte con -θεν, il
cui statuto oscilla, nella trattazione di Apollonio Discolo, tra
quello di avverbi e di genitivi (GG II.1 66, 20-67, 6 αὐτή τε ἡ
διὰ τοῦ θεν παραγωγὴ ὁτὲ μὲν ἐπιρρηματικῶς τὸ ἐκ
τόπου σημαίνει […], ὁτὲ δὲ ταὐτὸ σημαίνει τῷ πρωτο-
τύπῳ). L’impossibilità di realizzare in latino dei costrutti prepo-
sizionali con gli avverbi, che possono solamente essere composti
con le preposizioni, è rilevata anche nel libro XIV (GL III 28,
11-16; cfr. GL III 73, 8).
PROBLEMI TESTUALI. L’omissione in βζO delle parole ἐκ
σέθεν … ἐξ ἐμέθεν2, supplite marginalmente nei codici RTV,
è dovuta a un saut du même au même. È meno chiara, invece,
l’origine della lacuna, presente già nell’archetipo (ΚαΚΡεΜα-
CαΝΤεC), nella quale sono andati perduti la fine della prima
citazione omerica e l’inizio della seconda, ma non è inverosimi-
le che l’errore sia stato favorito, in maiuscola, da una vaga somi-
glianza grafica tra (ΚΑ)ΚΕΜΜ-ΕΝΑΙ e ΚΡΕΜΑ-CΑΝΤΕC, e che
si tratti dunque ancora di una sorta di saut du même au même.
La lezione separata di δζ e del correttore di T, accolta da
Rosellini, è sostenuta dall’uso linguistico di Prisciano, che spes-
so impiega questo participio con funzione di predicativo del
soggetto (GL II 56, 26; 410, 4; III 32, 10; 41, 25; 49, 22; 73, 8;
83, 27; 175, 10). Hertz metteva, invece, a testo separate (GL III
287, 15), trasmesso da JM e dai correttori dei codici ERY.

17, 3- 4 ἐξόν: licet


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con glossa sintattica
– citazione latina (Lucan. 7, 855), con glossa sintattica. La voce
si trova nella serie di lemmi in ἐξ- (16, 13-18, 14) all’inizio
della lettera epsilon del lessico (cfr. supra, p. LVII n. 36 e p. 57).
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di licet e ἔξεστι è
attestata anche in Char. 331, 8-9; Idiom. cas. GL IV 567, 20-21;
CGL II 123, 2 e 10 (licitum ἐξόν); 302, 43; 303, 7; 303, 24; III
141, 31-35; 454, 49.
Nella tradizione grammaticale latina il valore concessivo di
licet è oggetto di innumerevoli trattazioni, nelle quali tale forma
60 COMMENTO

verbale è considerata piuttosto un avverbio (Char. 249, 16) o


una congiunzione (Don. min. 599, 21; mai. 647, 5; Char. 292,
4- 6; 294, 16; Diom. GL I 393, 28-30; 416, 13 e 21; Dosith.
75, 20 Tolkiehn; 76, 2; 79, 11-12), come anche in Prisc. GL
III 96, 14-16 invenitur tamen etiam verbum pro adversativa coniunc-
tione cum adverbio [...], quomodo et ‘licet’ et ‘licebit’ (vd. Groupe Ars
Grammatica 2013, p. 235 n. 28).
CITAZIONI LATINE. Lucan. 7, 855 esemplifica l’uso concessivo
di licet anche in GL III 96, 18-22, dove la citazione include
anche i tre versi successivi (7, 855- 858).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Lucano la maggior parte
dei codici reca la leziona ametrica omnium in luogo di omnia della
tradizione diretta (con l’eccezione TE post correctionem, e di XUQ,
dove omnia può essere una correzione, cioè innovazione, piutto-
sto che lezione ereditata). Il confronto con l’altra occorrenza del
medesimo esempio in GL III 96, 18-22, dove il verso è corret-
tamente tramandato, suggerisce che omnium, nel lessico, non si
debba a una svista del grammatico ma a un guasto di tradizione,
forse favorito dalla vicinanza di maiorum.

17, 5-9 pleonasmo della preposizione ἐξ/ἐκ: pleonasmo


di ad ed e/ex
STRUTTURA DELLA VOCE. Osservazione teorica – citazioni
greche (Isocr. Aegin. 23 ἐκ … τῆς πατρίδος ἐκπεπτωκυῖαν;
Aeschn. 3, 209 ἐξορμήσας ἐκ τῆς πόλεως) – citazioni latine
(Ter. Andr. 315; Cic. Cat. 1, 20 + 1, 13). La voce si trova tra i
lemmi in ἐξ- all’inizio della lettera epsilon del lessico.
LEMMA GRECO. L’uso pleonastico della preposizione ἐξ/ἐκ
insieme a un verbo composto con il medesimo preverbio è con-
siderato negli studi linguistici moderni quello normale, mentre
l’omissione della preposizione dopo un verbo composto con la
stessa sarebbe peculiare della lingua poetica (vd. Kühner – Gerth
II.1, p. 552; Schwyzer II, p. 431). Sul fenomeno della ridondan-
za di preverbio e preposizione cfr. GL III 194, 7-8; 194, 20-195,
10; Att. 95, 6-14, con le osservazioni di Ferri 2014, p. 87 n. 9.
LEMMA LATINO. Prisciano tratta del pleonasmo della preposi-
zione anche in una sezione del libro XVII nella quale utilizza
17, 5-9 61

materiali provenienti dal lessico atticista (vd. supra, p. XLIII): GL


III 194, 5-9 Praepositiones est quando abundant, est quando defi-
ciunt, est quando aliae pro aliis ponuntur, tam apud Graecos quam
apud nos […]. nostri quoque frequenter hac utuntur abundantia prae-
positionis (cfr. GL III 155, 25-16). In questo passo però – a dif-
ferenza che nel lessico finale – il grammatico individua esempi
latini solamente per la ridondanza di ad (GL III 194, 9-19: Ter.
Andr. 123; Eun. 791; 578; Andr. 315; 319).
Il pleonasmo della preposizione è notato anche da Don. Ter.
Andr. 315, 1 ADEON AD EVM consuetudine magis quam ratione
dicitur; unum enim abundat (cfr. Jakobi 1996, p. 90). Arusiano
Messio ha, invece, semplicemente registrato quella con ad e
accusativo (11, 15-16 Di Stefano ADIT AD ILLUM) tra le varie
possibili costruzioni di adeo; egli, infatti, tratta di seguito anche
del nesso del verbo con l’accusativo semplice (11, 17 ADII IL-
LUM) e con in e l’accusativo (11, 18-19 ADII IN ILLUM).
CITAZIONI LATINE. Ter. Andr. 315 è citato quale esempio di
uso ridondante della preposizione anche in GL III 194, 16-17;
Att. 89, 14. Sull’individuazione del verso citato da Prisciano
sussiste qualche incertezza giacché la stessa espressione si trova
anche al v. 639 dell’Andria, dove però la tradizione diretta si
divide tra adeone (D1Lp) e adeamne (Πb cett.). Questa seconda
forma del verbo è attestata inoltre da Donato nel lemma del
commento ad loc. (dove tuttavia i codici TC recano la variante
adeone), e da Arusiano (11, 15-16 Di Stefano), sotto il lemma
ADIT AD ILLUM. Dal momento negli Exempla elocutionis Andr.
639 è citato con la variante adeamne, se anche Prisciano si rife-
risse al v. 639 (come ritengono Kauer – Lindsay – Skutsch ad
loc.), dovrebbe averlo tratto da una fonte diversa da quella co-
mune ad Arusiano. In favore dell’ipotesi che il nostro gram-
matico abbia in mente, invece, Andr. 315, si può ricordare che
nel commento di Donato ad loc. è rilevata la ridondanza di
preposizione e preverbio, cioè lo stesso fenomeno sintattico che
motiva la citazione presso Prisciano. Questi peraltro potrebbe
aver individuato Andr. 315 come esempio di pleonasmo della
preposizione proprio a partire dall’osservazione di Donato (cfr.
supra, p. LXIII).
62 COMMENTO

La seconda citazione latina della voce in esame, introdotta


dalle parole Cicero in I invectivarum, non corrisponde puntual-
mente ad alcun passo ciceroniano, bensì sembra derivare dalla
confusione di Catil. 1, 13 egredere ex urbe, Catilina e 1, 20 exire
ex urbe iubet consul hostem.
PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Isocr. Aegin. 23 contiene le
varianti ἑαυτοῦ ed ἐκπεπτωκυῖαν per ἐμαυτοῦ ed ἐκπεπ-
τωκυίας della tradizione diretta: vd. Fassino 2014, p. 278.
Nell’estratto di Aeschn. 3, 209 Prisciano si discosta dalla
tradizione diretta (ἐξορμεῖς) per la lezione ἐξορμήσας.

17, 10-12 ἐξέρχομαι con genitivo o accusativo: exeo con


ablativo o accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐξέρχεται) – cita-
zioni latine (Verg. Aen. 11, 750; Lucan. 8, 493- 494; Sol. 1, 21).
La voce si trova nel gruppo di lemmi in ἐξ- collocati all’inizio
della lettera epsilon del lessico (vd. supra, p. LVII n. 36 e p. 57).
LEMMA GRECO. L’uso del verbo con l’accusativo è raro, men-
tre la costruzione con il genitivo semplice è del tutto comune a
partire dai poemi omerici (vd. LSJ, s. v. ἐξέρχομαι).
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di ἐξέρχομαι ed
exeo è attestata anche nei glossari medievali (CGL II 65, 18;
302, 53; 303, 6; III 141, 17-18; 405, 59- 67; 516, 25).
I due usi sintattici di exeo, descritti anche in 45, 11-13, sono
inoltre registrati in Arus. 34, 12-13 e 16-17 Di Stefano.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 11, 750 illustra l’uso transitivo di
exeo anche in Arus. 34, 17 Di Stefano; il passo è citato inoltre in
Non. 296, 25-27 sotto il lemma di tipo semantico exire, prohibere.
La presenza di un passo di Solino nella voce in esame è del
tutto eterogenea rispetto alla selezione di autori latini impiega-
ti negli Atticismi (vd. supra, p. LXIX). In generale sull’introdu-
zione nell’Ars di citazioni da un autore tardo quale Solino vd.
De Nonno 1990a, p. 492. Sul particolare uso di exeo con l’ac-
cusativo attestato nel passo di Solino e altrove solo in Apul.
met. 3, 25 vd. ThlL s. v. exeo (Leumann), V.2 1367, 39- 44:
«significantius: i. q. quasi exeundo formam exuere». Sol. 1, 21
è richiamato da Prisciano in relazione a questa stessa struttura
17, 10-12 63

sintattica anche in 45, 11-12, dove la citazione è più ridotta


(Tatius hominem exivit) ma è presente anche il titolo dell’opera
di provenienza, in memorabilibus, qui assente. Lo stesso passo
compare, in forma molto più ampia, in GL II 22, 9-12 e 539,
16-19, dove esemplifica la forma exivi del perfetto di exeo ed è
rispettivamente introdotto dal titolo in collectaneis vel polyhistore
e in collectaneis. Per tutti gli altri esempi tratti da Solino nell’Ars
si adotta il titolo utilizzato nel lessico, in memorabilibus (GL II
80, 23; 151, 6; 270, 17; in GL II 233, 17 si trova, invece,
solo il nome dell’autore).
PROBLEMI TESTUALI. Nell’indicazione di provenienza della
citazione lucanea (8, 493- 494) i manoscritti oscillano tra Luca-
nus in (βM), Lucanus in I (γ, I s. l. JR), Lucanus (δ), Lucanus III
(Y). Anche in questo caso sembra che Prisciano abbia omesso il
numerale dopo in, forse con l’intenzione di integrarlo in un
secondo momento (cfr. ad es. supra, pp. LV; 6; 12).
La citazione di Solino si presenta sia qui che in 45, 11-12
in forma compendiata rispetto al testo originale (citato inte-
gralmente, invece, in GL II 22, 9-12; 539, 16-19): Tatius in
arce [scil. habitavit], ubi nunc aedes est Iunonis Monetae: qui anno
quinto quam ingressus urbem fuerat a Laurentibus interemptus est.
septima et vicesima olympiade hominem exivit. Oltre all’omissione
delle parole in arce … olympiade, nella sola voce in esame Pri-
sciano aggiunge postquam davanti a Tatius. La congiunzione,
che è assente dal contesto originale del passo e ne presume
un’alterazione sintattica (cioè exivit non sarebbe verbo della
proposizione principale bensì di una subordinata), potrebbe
forse spiegarsi con la trasposizione di postquam, variante di
quam anche nella tradizione diretta, dove è la lezione della
seconda delle tre classi di manoscritti identificate da Momm-
sen. Tuttavia nei due luoghi in cui Prisciano riporta il passo
per intero è attestata la lezione quam invece che postquam,
sicché la presenza di questa seconda forma nelle due citazioni
nel lessico si dovrà forse ricondurre piuttosto a un lapsus memo-
riae del grammatico che all’impiego di un testo dei Collectanea
latore della variante postquam per quam.
64 COMMENTO

17, 13-14 ἐξαιτέομαι con accusativo o genitivo: expostulo


con accusativo e cum e ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐξαιτούμενος) –
citazione latina (Ter. Andr. 639). La voce è tra i lemmi in ἐξ-
all’inizio della lettera epsilon (vd. supra, p. LVII n. 36 e p. 57).
LEMMA GRECO. Le due reggenze qui lemmatizzate interessano
il caso in cui si esprime la persona cui si chiede qualcosa, non la
cosa richiesta (vd. Kühner – Gerth II.1, p. 320; Schwyzer II,
pp. 81-82; LSJ s. v. ἐξαιτέω).
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di expostulo con
ἐξαιτέω è attestata anche nello Ps. Cirillo (CGL II 301, 37).
L’uso transitivo di expostulo è piuttosto raro nel latino classi-
co, per lo più circoscritto alla lingua di Terenzio (ThlL s. v.
expostulo [Meyer], V.2 1777, 49-56), mentre conosce maggiore
diffusione nella letteratura cristiana tardoantica (ibid. 1777, 73-
1778, 49). La costruzione con cum e l’ablativo, è, invece, del
tutto usuale nell’uso giudiziario del verbo, a partire da Cicerone
(ibid. 1777, 31-41). La sintassi di expostulo è trattata anche da
Arusiano Messio (38, 3 Di Stefano EXPOSTULO CUM EO) e negli
idiomata ablativi casus di Diomede (GL I 315, 26 expostulo tecum).
Tuttavia il confronto con il lemma greco suggerisce che a Pri-
sciano interessasse non tanto la costruzione di expostulo con cum
e l’ablativo quanto quella con l’accusativo, parimenti attestata in
Ter. Andr. 639. È poco rilevante a questo riguardo che il lem-
ma greco preveda la reggenza dell’accusativo della persona
(ἐξαιτούμενος τόνδε), mentre nel passo terenziano l’accusati-
vo rappresenta l’oggetto inanimato (hanc iniuriam expostulem).
Negli Atticismi si verificano, infatti, anche altri casi di imprecisa
corrispondenza tra la costruzione con oggetto animato in una
lingua e inanimato nell’altra (vd. supra, pp. LIX-LXI).
CITAZIONI LATINE. Ter. Andr. 639 è citato anche da Arus. 38,
3- 4, ma riguardo al nesso di expostulo con cum e l’ablativo.
PROBLEMI TESTUALI. Arus. 38, 3- 4, in accordo con la tradizio-
ne diretta di Ter. Andr. 639, attesta la sequenza iniuriam hanc,
mentre Prisciano reca hanc iniuriam. Sembra dunque che l’inver-
sione nel testo della citazione si sia verificata in uno stadio di
tradizione posteriore alla fonte comune ai due grammatici.
18, 1-8 65

18, 1- 8 ἐξαρκέω con participio o infinito: sufficio con


participio o infinito
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐξαρκεῖ) – lemma
latino – lemma latino secondario – osservazione teorica – citazio-
ne latina (Sall. Catil. 1, 6) – osservazione teorica. La voce appar-
tiene a una serie di lemmi in ἐξ- che viola parzialmente l’ordina-
mento alfabetico del lessico (vd. supra, p. LVII n. 36 e p. 57).
LEMMA LATINO. L’equivalenza semantica di ἐξαρκέω e sufficio
è attestata anche nei glossari bilingui (CGL II 191, 53; 302, 7).
Delle due costruzioni di sufficio descritte dal primo lemma
latino della voce solo la seconda, con il dativo e l’infinito, è
realmente attestata nel latino letterario, mentre quella con il
dativo e il participio non si incontra altrove (vd. Forcellini s. v.
sufficio). Il grammatico intendeva certamente presentare nella
prima parte del lemma la struttura participiale, parallela a quella
greca, ma l’uso di pransis esse (invece di pransis) rende il costrut-
to ancora più bizzaro e ‘sbagliato’. L’intero lemma latino così
formulato sembra essere solamente la traduzione ad verbum del
lemma greco, il cui effettivo corrispettivo sintattico è individua-
to poco oltre in ‘fieri opus est’ et ‘facto opus est’ (et sim.), introdot-
to da huic consimile, come è proprio dell’uso priscianeo nel caso
di confronti solamente sintattici tra le due lingue (vd. Spangen-
berg Yanes 2014, p. 127). La scelta di prandeo in luogo di facio
per rendere ποιέω si dovrà probabilmente – come ha rilevato
Rosellini 2011, p. 188 – alla necessità di proporre un participio
perfetto con valore attivo, che in latino si poteva avere avere
solo con un verbo intransitivo (o deponente). La particolarità
morfologica di prandeo, che, pur essendo verbo intransitivo,
forma anche il participio perfetto, è esplicitamente osservata da
Prisciano nei libri VIII e XI (GL III 483, 22-25 quamvis neutrum
sit, habet participium praeteriti ‘pransus’ […]. et multa praeterea a
vetustissimis similiter sunt prolata participia praeteriti a neutralibus
verbis; 565, 25-27; 573, 20-21). Il problema della resa latina dei
participi greci si pone più volte negli Atticismi (13, 15-14, 2; 24,
6-11; 46, 11-15; 56, 13-57, 2; 58, 1- 4; 63, 3-6; 78, 9-11; 94,
11-15; 96, 8-13; 96, 14-16; 110, 7-9; 112, 4-9). La stessa osser-
vazione posta al termine della voce in esame, riferita alla costru-
66 COMMENTO

zione di opus est con il participio perfetto (18, 7-8 Haec autem
elocutio ad passivae significationis pertinet participia sive absolutae),
potrebbe alludere alla differenza tra il greco, che conosce una
struttura participiale con participi attivi, e il latino, che la am-
mette solo con i participi perfetti, cioè passivi o intransitivi. Sul
confronto tra usi participiali greci e latini nell’Ars Prisciani vd.
anche Spangenberg Yanes 2017b.
Prisciano tratta della costruzione di opus est con l’ablativo del
participio perfetto anche nella prima metà del libro XVIII, dove
discute in generale del participio predicativo, che egli descrive
come equivalente dell’infinito: GL III 225, 19-226, 5 participio-
rum autem accusativi frequenter pro infinitis verbis ponuntur […];
ablativi quoque eorum pro infinitis, ut in Catilinario: ‘nam et prius-
quam … facto opus est’ pro ‘consulere’ et ‘facere’. La stessa spiega-
zione è riproposta negli Atticismi, nella voce in esame (18, 5
participia pro infinitis verbis ponuntur). In generale l’uso del partici-
pio predicativo con valore di infinito è trattato anche in altri
due passi del lessico finale (94, 12-13; 112, 7-8: vd. ad locc.).
Nella prima metà del libro XVIII Prisciano istituisce inoltre un
confronto tra questo tipo di costrutto participiale e il gerundio:
GL III 226, 5- 6 Graeco similiter more infinita pro gerundii genetivo
proferuntur. Questa osservazione sembra essere in rapporto con
l’additamentum di impianto lessicografico all’inizio del libro
XVII, introdotto dall’intestazione Proprietates Latinorum. Ivi il
participio retto da opus est è, infatti, glossato con un gerundio in
genitivo: GL III 107, 9 ‘Opus est consulto’ pro ‘consulendi’ (sugli
additamenta collocati in più punti dell’Ars Prisciani vd. De Non-
no 2009, pp. 276-278). Il nesso di opus est con il genitivo del
gerundio, considerato da Prisciano equivalente a quello con il
participio in ablativo, è in vero assai inusuale e noto solamente
in autori tardi (ThlL s. v. opus [Lumpe – Ehlers], IX 858, 5-37
passim, con esempi in Priscill. tract. 5, 104; Avell. 232, 4).
La costruzione di opus est con il participio in ablativo è regi-
strata anche nel Fragmentum Bobiense de nomine, dove pure è
menzionato il gerundio, sebbene il participio sia qui glossato
con una proposizione completiva al congiuntivo: 62, 47 Ma-
riotti Opus est consulto: opus est ut consulas, et sunt omnia gerundi
18, 9-14 67

modi (si tratta di un lemma della cosiddetta pars glossographica del


frammento: vd. Mariotti 1984, pp. 41- 44).
CITAZIONI LATINE. Sall. Catil. 1, 6 illustra la costruzione di
opus est con il participio in ablativo anche in GL III 107, 9-11;
226, 3-5. Allo stesso proposito il passo è riportato, in forma
anonima e più breve, in Frg. Bob. nom. 62, 47 Mariotti; inoltre
in Char. 409, 1-2, ma con un interesse semantico.

18, 9-14 ἐξίστημι con accusativo o genitivo o dativo:


propugno con dativo o accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐξέστην) – citazioni
greche (Demosth. 20, 10; Ar. Ran. 354) – lemma latino – cita-
zione latina (Stat. Theb. 2, 584). La voce viola l’ordinamento
alfabetico del lessico rispetto alla seconda lettera del lemma (vd.
supra, p. 57). Essa è ripetuta, in una redazione differente, in 45,
5-13. Questa prima versione sembra rappresentarne uno stadio
di elaborazione più avanzato della seconda: qui, infatti, il lemma
greco è espresso alla prima persona singolare (ἐξέστην), con un
maggior grado di astrazione rispetto alla citazione protolemma-
tica (Demosth. 20, 10 ἐξέστησαν), fedelmente ricalcata in 45,
5. Gli esempi greci che corredano le due voci sono inoltre più
brevi nella prima che nella seconda e dunque sembra che Pri-
sciano abbia voluto circoscrivere le due citazioni ai soli sintagmi
lemmatizzati. Nella prima voce si è inoltre individuato un cor-
rispettivo latino di ἐξίσταμαι su base esclusivamente sintattica
(propugno), nella seconda su base semantica e sintattica insieme
(exeo); cfr. Spangenberg Yanes 2014, pp. 116-119.
CITAZIONI GRECHE. Ar. Ran. 354-355 è citato sotto il lemma
ἐξίσταμαι anche in Sud. ε 1772, con un taglio più ampio,
uguale a quello della seconda occorrenza della citazione in Pri-
sciano (45, 9-11). Anche Demosth. 20, 10 è ripetuto in 45, 5-
11 in forma più estesa (cfr. ad loc.); vd. Ucciardello 2014, p. 38.
LEMMA LATINO. Le due costruzioni di propugno, introdotte da
huic simile est, sono individuate da Prisciano come equivalente
solo sintattico del lemma greco. Propugno è attestato per lo più
con uso assoluto e solo raramente con dei complementi: en-
trambe le reggenze assegnategli dal nostro grammatico conosco-
68 COMMENTO

no pochissime occorrenze e non sono attestate prima della se-


conda metà del I secolo d. C. In particolare la costruzione con
il dativo si incontra per la prima volta in Apul. met. 9, 37 e poi
solo nel latino tardo (vd. ThlL s. v. propugno [Wick], X.2 2140,
24-30); un poco più frequente è l’uso transitivo del verbo, atte-
stato a partire da Val. Max. 3, 2, 1 (vd. ibid. 2141, 16-34; For-
cellini s. v. propugno). Non si può escludere che in questo caso il
grammatico abbia eccezionalmente formulato il lemma latino
della voce a partire dall’osservazione dell’uso linguistico a lui
contemporaneo piuttosto che della lingua degli auctores. Priscia-
no tratta della sintassi di propugno anche nel capitolo del libro
XVIII sulle costruzioni verbali, dove inserisce il verbo tra gli
acquisitiva, di cui è tipica la reggenza del dativo: GL III 272, 17-
273, 1 alia acquisitiva vel supereminentia vel subiecta vel aequiperati-
va, quae dativo adiunguntur, cuiuscumque sint generis vel significatio-
nis verborum, ut […] ‘propugno’. La costruzione con l’accusativo
è, invece, ricordata solo negli Atticismi.
CITAZIONI LATINE. Stat. Theb. 2, 584 non è citato altrove in
ambito grammaticale. Sull’uso di Stazio e in generale degli iu-
niores da parte dei grammatici vd. supra, p. LXIX n. 68.
PROBLEMI TESTUALI. I manoscritti tramandano in questa prima
versione della voce il lemma greco in forma decurtata rispetto a
45, 5. Qui, infatti, essi recano solamente l’indicazione della
reggenza dell’accusativo e genitivo (‘τόδε’ καὶ ‘τοῦδε’), men-
tre nel doppione della voce è contemplata anche la costruzione
con il dativo (‘τόδε’ καὶ ‘τοῦδε’ καὶ ‘τῷδε’). Tuttavia una
delle due citazioni greche presenti in questa voce (Ar. Ran.
354) illustra la reggenza del dativo, dunque è inverosimile che
Prisciano abbia voluto eliminare dal lemma proprio il riferi-
mento a questa costruzione. Hertz emenda ΤΟΥΔΕ dei mano-
scritti in τῴδε (GL III 288, 21): sebbene Prisciano abbia opera-
to alcuni tagli nelle citazioni greche in questa voce rispetto a
quella in 45, 5-13 (vd. supra), è però poco probabile che egli
abbia anche avvertito la necessità di abbreviare il lemma greco.
Sono assai frequenti, infatti, negli Atticismi i lemmi greci che
contemplano più costruzioni di quelle effettivamente esemplifi-
cate. Poiché comunque un intervento di correzione è necessa-
18, 15-19 69

rio, risulta preferibile la scelta di Krehl di integrare καὶ τῴδε,


data comunque la somiglianza grafica di ΤΟΥΔΕ e ΤωΙΔΕ (forse
ΤΟΙΔΕ), che può aver favorito un saut du même au même.
Nella citazione del v. 354 delle Rane di Aristofane l’accordo
di Prisciano (45, 10) con Sud. ε 1772 e con la tradizione diretta
nella lezione χρή prova che con questa forma il grammatico
leggeva la citazione nella sua fonte e che la variante δεῖ in 18,
11 si deve a una svista nella redazione degli Atticismi. Anche
questo elemento sostiene la datazione relativa delle due versioni
del lemma ἐξίστημι, per cui la prima rappresenterebbe uno sta-
dio di rielaborazione posteriore alla seconda (cfr. supra).

18, 15-19 ἐάν: si


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con osservazione
aggiuntiva – lemma latino, con osservazioni aggiuntive – cita-
zioni latine (Verg. georg. 2, 483; 1, 432 e 459).
LEMMA GRECO. L’uso di partitio in questo contesto non è con-
frontabile con quello che Prisciano ne fa altrove (GL III 140, 5
con significato generico; 148, 23 in partitione dictionum, cioè nella
ripartizione delle parole tra le diverse parti del discorso; cfr.
Schad 2007, p. 291). Il sostantivo potrebbe qui avere un valore
affine a quello tecnico retorico e indicare, cioè, l’enumerazione
di diverse alternative. È questo anche il parere di van Leije-
nhorst (ThlL s. v. partitio, X.1 529, 18-20 e 45-50; per que-
st’uso cfr. Quint. inst. 6, 3, 65- 66). La formulazione adottata nel
lemma greco vuole dunque dire che, nell’opposizione di più
alternative, a una prima introdotta da ἐάν se ne può contrap-
porre sia un’altra introdotta simmetricamente da ἐάν che una
introdotta da εἰ (ad es., nell’articolazione ἐὰν μὲν … εἰ δέ).
LEMMA LATINO. Nessun altro grammatico, oltre a Prisciano, si
sofferma sulla correlazione o il parallelismo di si e sin. Redditio è
utilizzato in ambito grammaticale solo da Prisciano (oltre al
passo in esame vd. GL III 130, 1; cfr. Schad 2007, p. 343).
Come si ricava dall’esame dei due contesti virgiliani da cui sono
tratti gli esempi addotti in questa voce del lessico (Verg. georg.
1, 423~435; 2, 475~487 si vero … si … at si … sin...), in en-
trambi i quali sin introduce una possibilità opposta a quella de-
70 COMMENTO

scritta in un primo momento (per mezzo di proposizioni ipote-


tiche o di altro tipo), Prisciano utilizza il termine con significato
affine a quello tecnico retorico (sul quale vd. Ernesti 1797, s. v.
Redditio, p. 326: «altera pars est absolutae comparationis, quae
particulis ita, sic significatur»; Forcellini s. v. redditio; Schad
2007, p. 343), ma più lato, a indicare solo genericamente la
seconda parte, avversativa, di un periodo bi- o pluripartito. In
questo senso redditio può essere confrontato con il greco
ἀνταπόδοσις, che indica nel linguaggio tecnico retorico e
grammaticale il secondo membro di una similitudine ma anche
più genericamente l’opposizione di una proposizione a un’altra
all’interno di un periodo (vd. LSJ s. v. ἀνταπόδοσις; DGE s.
v., I.3). Per la resa in latino di ἀνταπόδοσις con redditio cfr.
Quint. inst. 8, 3, 77; Dosith. 70, 35 Tolkiehn.
CITAZIONI LATINE. Verg. georg. 2, 483 è citato anche da Sa-
cerd. GL VI 445, 21 per esemplificare l’uso di sin, nell’esposi-
zione delle congiunzioni causales (GL VI 445, 9- 446, 6).
La seconda citazione di questa voce consta dell’accostamento
di due versi, georg. 1, 432 e 459, in realtà piuttosto distanti l’uno
dall’altro nel contesto di origine. È possibile che il grammatico
li abbia erroneamente avvicinati per l’apparente connessione tra
ortu quarto e lucidus orbis erit.
PROBLEMI TESTUALI. La lettura ei in luogo di εἰ, proposta da
Christ 1862, p. 146, è fondata sul fatto che nei manoscritti la
mescolanza di caratteri greci e latini nella scrittura dei termini
greci impedisce di stabilire con sicurezza in quale alfabeto gli
scribi intendessero vergare questa parola. L’articolazione sintatti-
ca che risulta da questa congettura, con il determinativo is come
aggettivo in posizione predicativa (cioè a seguire invece che
precedere il sostantivo con cui concorda), seguito da una propo-
sizione relativa (coniunctioni ei quae), è attestata anche in GL II 53,
29 orationis eius, quae est; III 145, 23 persona ea, quae … intellegitur;
220, 17 equi eius, qui est; inoltre con is in posizione attributiva in
GL II 308, 2 in eis nominibus, quae … significant; 500, 13 eius verbi,
quod nascitur; III 117, 8 eam partem, quae … accipitur.
Nella citazione di Verg. georg. 2, 483 Prisciano attesta sin has
naturae non possim accedere partes, mentre i codici virgiliani recano
19, 1-11 71

sin has ne possim naturae accedere partis. Sacerdote presenta l’ulte-


riore variante sin has non possim naturae acquirere partes (GL VI
445, 21), sicché è probabile che i due grammatici siano ricorsi
indipendentemente a questo esempio. L’elisione (possim accede-
re), che sarebbe necessario presumere nel verso nella forma in
cui esso è citato da Prisciano, è rarissima (cfr. ad es. Val. Fl. 1,
118 velim Herculis) e prova ulteriormente lo scarso ‘orecchio’ del
grammatico per la metrica (vd. Maurenbrecher 1899, pp. 68-
69; cfr. supra, p. LXX n. 71).

19, 1-11 εἰ, ἐάν con ottativo: si con ottativo o congiuntivo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemmi greci secon-
dari – citazioni greche (Plat. Gorg. 458d3-4; Hom. Od. 13, 389;
Il. 8, 287) – lemma latino – lemmi latini secondari – citazioni
latine (Verg. Aen. 6, 187-188; 1, 5; Ter. Phorm. 123).
LEMMA GRECO. In questa voce Prisciano rileva per le congiun-
zioni εἰ, ἐάν, ἵνα e ὅπως la sola reggenza dell’ottativo, più
avanti tuttavia tratta anche dell’uso di εἰ con il congiuntivo (35,
1-5). In un passo della prima metà del libro XVIII, in cui pro-
babilmente riutilizza materiali tratti dalla fonte atticista (vd.
supra, p. XLIII), egli rileva inoltre per εἰ anche la reggenza
dell’indicativo: GL III 241, 27-242, 2 invenitur autem ea coniunc-
tio apud Graecos [id est εἰ] non solum indicativo, sed etiam optativo et
maxime apud Atticos et subiunctivo sociata.
La reggenza modale di εἰ viene paragonata a quella di ἵνα e
ὅπως anche nel capitolo De subiunctivis del libro XVIII: GL III
266, 1- 4 nota, non solum εἰ, sed et ἵνα et ὅπως etiam optativo
coniungi Atticis, cum apud nos tam ‘ut’ causalis coniunctio quam ‘ne’,
quando ἵνα μή significat, subiunctivo sociantur, qui tamen similis est,
ut saepe diximus, optativo. Anche lì Prisciano rileva solamente la
costruzione delle congiunzioni in questione con l’ottativo, e
non anche con altri modi. Manca, invece, in GL III 265, 17-
266, 8 qualsiasi accenno a ἐάν.
CITAZIONI GRECHE. Tutti gli esempi greci che corredano que-
sta voce del lessico occorrono anche in GL III 266, 4- 8,
nell’esposizione dei modi verbali retti da εἰ (GL III 265, 17-
266, 8). Per una discussione più approfondita di questo caso di
72 COMMENTO

ricorrenza vd. Mazzotti 2014, pp. 148-149; inoltre Ferri 2014,


p. 87 n. 9; Menchelli 2014, p. 208 n. 13.
Hom. Od. 13, 389 e Il. 8, 287, pur provenendo da due poe-
mi diversi, sia negli Atticismi sia in GL III 266, 6- 8 sono acco-
stati senza soluzione di continuità. I due versi potevano essere
citati in questo modo già nella fonte atticista di Prisciano, che
non si sarebbe accorto della loro diversa origine. Sembra, infat-
ti, più probabile che i due esempi omerici provengano dal lessi-
co fonte piuttosto che Prisciano li abbia tratti da un’opera
grammaticale o dalla conoscenza diretta del testo di Omero,
anche perché essi presuppongono l’equivalenza di ἐάν e αἴ
κε(ν). Essa è sovente rilevata nell’esegesi omerica (Eust. Il. III
220, 16; 223, 8; IV 784, 15; Epim. Hom. Il. 1, 128; 1, 207; 1,
408; Schol. Hom. Il. 4, 98; 4, 353; 9, 140b; 16, 725; Od. 2, 144;
Apoll. Soph. lex. Hom. 18, 10) e, più raramente, anche nella
produzione grammaticale e lessicografica (Herodian. Epim. 29,
15; Hesych. α 1909; 1911-1915; Sud. α 164; 166; Etym. Gud.
243, 57; add. p. 44, 24; Etym. M. 294, 15; Ps. Zon. lex. 97, 19;
Schol. vet. Ar. Eq. 201a; 210a), ma forse Prisciano da solo non
sarebbe stato in grado di individuare delle attestazioni di αἴ
κε(ν) con l’ottativo come altrettanti esempi di ἐάν con ottativo.
LEMMA LATINO. La corrispondenza di si con ἐάν ed εἰ è postu-
lata anche nel libro XVI e nella prima metà del XVIII, dove
Prisciano specifica che εἰ corrisponde ad alcuni usi di si, ἐάν ad
altri, cioè, in termini moderni, a diversi tipi di periodo ipoteti-
co (GL III 94, 13-14 Continuativae sunt […], ut ‘si’, cum εἰ
Graecam significat; quando enim ἐάν, causalis est; 241, 17-25 fre-
quentissime tamen ‘si’ coniunctio dubitationem significans ei [scil.
subiunctivo] sociatur, id est pro ἐάν Graeca coniunctione posita […].
cum vero εἰ coniunctionem Graecam significat, quae apud illos
συναπτικός nominatur, id est coniunctiva […], indicativo coniun-
gitur; sim. 242, 15-245, 24; 247, 16-21; vd. Rosellini 2017,
pp. 116-120). Nel lessico questa distinzione e la corrispondente
ripartizione della reggenza modale di si vengono meno (18, 16;
19, 5- 6; 35, 4-5).
L’equivalenza di ut finale (causalis) e ἵνα è discussa già in
precedenti sezioni dell’Ars anche nel libro XV e nella prima
19, 1-11 73

metà del XVIII (GL III 255, 9-10 ‘Ut’ causalis coniunctio omnibus
temporibus et quaecumque pro ea ponuntur causali, id est ἵνα signifi-
canti, subiunctivo adiunguntur; 266, 1- 4, citato sopra; cfr. Att. 87,
16-25; part. 102, 15-16 Passalacqua). L’uso ottativo di ut (e si),
descritto negli Atticismi come reggenza del modo ottativo, è
osservato anche in GL III 86, 1-3; 240, 8-9; part. 102, 16-17;
124, 15-17. Delle due costruzioni di dum ricordate nella voce in
esame Prisciano menziona altrove solo quella con il congiunti-
vo (GL III 95, 15-16; part. 111, 16-20).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 6, 187-188 è richiamato a pro-
posito della funzione ottativa di si anche in GL III 86, 6-8 e 240,
11-13, del valore ottativo del congiuntivo latino in GL III 243,
8-10). Verg. Aen. 1, 5 è citato anche da Char. 293, 28; Diom.
GL I 393, 12; Dosith. 78, 14 Tolkiehn e dallo stesso Prisciano in
GL III 95, 19-20. Lo stesso verso è inoltre utilizzato da Priscia-
no per esemplificare l’uso di quoque in GL III 103, 20; 196, 10;
part. 97, 6 Passalacqua. Ter. Phorm. 123 illustra la funzione otta-
tiva di ut anche in part. 102, 16-17; 124, 16-17.
PROBLEMI TESTUALI. Tra tam ed ἐάν Rosellini integra ‹εἰ
quam›, che risolve la difficoltà sintattica della correlazione tra
tam e quomodo e al contempo rende conto della presenza di tre
esempi greci tutti riferiti solo a εἰ, altrimenti assente dal lemma.
Per una simile articolazione sintattica cfr. GL III 179, 9-10 tam
relativa quam interrogativa possunt esse, quomodo et primitiva. Si
potrebbe proporre anche una diversa collocazione dell’integra-
zione, tam ‘ἐάν’ ‹quam ‘εἰ’›, ipotizzando che l’omissione del
secondo membro della correlazione sia avvenuta per un saut du
même au même favorito non dall’omeoteleuto di tam e quam,
bensì dall’omeoarco di quam e quomodo (cfr. GL III 242, 16-17
tam pro ‘ἐάν’ Graeca coniunctione […] quam pro ‘εἰ’). Questa solu-
zione consentirebbe di conservare ἐάν al primo posto tra le
quattro congiunzioni greche menzionate nella voce del lessico,
della quale ἐάν doveva essere il lemma principale. D’altra parte,
sebbene l’ordinamento alfabetico richieda che il lemma prima-
rio di questa voce fosse ἐάν nel lessico fonte, non necessaria-
mente questa considerazione vale anche per Prisciano. Questi,
trovando nella sua fonte, sotto questo lemma, solo esempi rela-
74 COMMENTO

tivi all’uso di εἰ (Plat. Gorg. 458d3- 4; Hom. Od. 13, 389; Il. 8,
287), potrebbe aver posto questa congiunzione in evidenza
all’inizio della voce al momento di riformulare in latino il lem-
ma greco di partenza. Mancano dunque elementi sufficienti per
esprimere una sicura preferenza per l’una (tam ‹‘εἰ’ quam› ‘ἐάν’)
o l’altra soluzione (tam ‘ἐάν’ ‹quam ‘εἰ’›).
La citazione di Plat. Gorg. 458d3- 4 presenta sia qui sia in
GL III 266, 5- 6 le varianti ἔμοιγε per εἴ μοι della tradizione
diretta, κἄν per καί ed ἐθέλοιτε (in accordo con i codici
BTWP di Platone) per ἐθέλητε (F), che interessano la so-
stanza sintattica stessa del brano. Nella forma in cui è riportato
da Prisciano, esso costituisce un esempio di uso di εἰ con l’ot-
tativo, mentre la tradizione diretta ha κἄν con il congiuntivo.
Il grammatico si accorda inoltre con il codice B di Platone
nella lezione deteriore χαριεῖσθαι per χαριεῖσθε degli altri
testimoni diretti.
Nella citazione di Hom. Il. 8, 287 è omessa la congiunzione
τ᾽ davanti ad αἰγίοχος, la cui perdita può essere stata favorita, già
nella fonte di Prisciano, dalla sua irrilevanza sul piano metrico.
Nella formulazione del lemma latino occorre interpungere
dopo Romani per evitare che il nominativo resti sintatticamente
‘appeso’: dal complemento predicativo iuncta si ricava, infatti,
che soggetto del verbo principale (inveniuntur) sono ‘si’ … et
‘dum’ et ‘ut’. Hertz, invece, non pone alcun segno di punteggia-
tura dopo Romani, mentre colloca il punto dopo accipitur (GL
III 289, 15-16), spezzando impropriamente il periodo e alteran-
do anche il senso dell’osservazione di Prisciano: se si seguisse la
sua interpunzione, risulterebbe, infatti, che il grammatico si
limiti a osservare che si ricopre gli ambiti di applicazione sia di
εἰ che di ἐάν, senza soffermarsi sulla reggenza modale della
congiunzione latina.
Nella citazione di Terenzio Prisciano attesta ut illum di deae-
que omnes perduint, mentre in Phorm. 123 i testimoni diretti
recano concordemente qui illum di omnes perduint! L’espressione
di deaeque perduint/-ant, eventualmente accompagnata dall’attri-
buto omnes, è piuttosto frequente nella lingua del teatro comico
(per limitarsi alle attestazioni della forma perduint, cfr. Plaut.
19, 12-20, 5 75

Curc. 720; Merc. 793; Ter. Haut. 810- 811; Hec. 134). I due
luoghi che maggiormente sembrano però aver condizionato la
memoria di Prisciano in questo punto sono Ter. Eun. 302 ut
illum di deaeque senium perdant qui me hodie remoratus est; Phorm.
687- 688 ut te quidem omnes di deaeque – superi inferi – / malis
exemplis perdant! I due passi sono già confusi in GL III 240, 14-
16 ut illum di deaeque omnes, superi inferi, / malis exemplis perdant,
dove però l’esempio è attribuito all’Eunuchus invece che al Phor-
mio. Si noti che il valore desiderativo di ut in questi due luoghi
è osservato rispettivamente da Donato (Eun. 302, 1 UT ILLUM
‘ut’ pro ‘utinam’) e Carisio (287, 12 ubi Arruntius Celsus ‘pro
utinam’). Negli Atticismi è necessario supporre che al ricordo,
già incerto, di Eun. 302 (da cui ut illum) e di Phorm. 687 (da cui
omnes), si sia sovrapposto anche quello di Phorm. 123, unica
attestazione di perduint nel Phormio, che Prisciano indica come
fonte dell’esempio. Phorm. 123 è comunque la più vicina, tra le
poche occorrenze di perduint in Terenzio (le altre sono Haut.
811; Hec. 134; 441), alla formulazione della citazione in Priscia-
no, per la presenza di illum e omnes. In part. 102, 16-17; 124,
16-17 il verso occorre nella stessa forma attestata negli Atticismi
ed è parimenti attribuito al Phormio.
Ancora nell’esempio tratto da Terenzio, perdu‹i›nt è lezione
dei soli correttori di FI, mentre quasi tutti i codici hanno per-
dunt. Anche nelle Partitiones la maggior parte dei manoscritti
reca perdunt (102, 17 perdant L: perdunt VBTA; 124, 17 perdunt
VBCD): sebbene Passalacqua abbia messo a testo in entrambi i
passi perdant (l’alterazione di a in u si spiega facilmente in una
scrittura minuscola altomedievale in cui la a fosse di forma aper-
ta come una i e una c accostate), il confronto con Att. 19, 11,
dove l’esempio è seguito dalla glossa pro ‘perdant’, potrebbe
sostenere, anche nello scritto minore di Prisciano, l’emendazio-
ne di perdunt in perduint.

19, 12-20, 5 ἑαυτοῦ per la prima e la seconda persona:


ipse per la prima e la seconda persona
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἑαυτόν), con osser-
vazione aggiuntiva – citazione greca (Men. fr. 632 K.-A.), con
76 COMMENTO

glossa grammaticale – lemma latino, con osservazione teorica


aggiuntiva – citazione latina (Verg. Aen. 2, 5).
LEMMA GRECO. Per ciò che attiene alla sintassi del pronome
greco, una dottrina opposta a quella sottostante a questa voce
del lessico è enunciata nel libro XVII (la contraddizione tra i
due passi è già stata rilevata da Luscher 1912, p. 185): GL III
180, 17-20 Graeci quoque primitivam tertiam personam et ex ea
compositam, id est ἑαυτοῦ, ἑαυτῷ, ἑαυτόν, primae et secundae
personae non apponunt, quomodo nec nos ‘sui’. Probabile fonte di
questo passo per le osservazioni attinenti alla lingua greca è
Apollonio Discolo, il quale considera un esempio di ἀκα-
ταλληλία o solecismo l’uso di ἑαυτοῦ per la prima e seconda
persona singolare (GG II.2 269, 3-12). Per la prima e seconda
persona plurale tale impiego è, invece, ammesso dal grammatico
greco (GG II.2 269, 9-13; 270, 8-271, 4), seguito anche in
questo da Prisciano (GL III 180, 20-24).
LEMMA LATINO. Con l’accostamento, apparentemene impro-
prio, di ipse a ἑαυτοῦ Prisciano ovvia a una divergenza sostan-
ziale tra le due lingue su questo punto (20, 2 Romani autem; per
simili rilievi sulla diversità tra il latino e il greco cfr. ad es. 18,
7- 8; 18, 16; 77, 4-5; 105, 17-106, 1). Il grammatico è consape-
vole del fatto che ipse corrisponde piuttosto ad αὐτός, da lui
stesso menzionato in questa voce del lessico (20, 3 quomodo et
illi τὸ ‘αὐτός’), e che l’equivalente latino di ἑαυτοῦ è sui (cfr.
GL II 577, 10; 584, 2-3; III 14, 18-21; 15, 6-7; 16, 13-14; 18,
15-16; 177, 1- 4), ma avverte che quest’ultimo non condivide
col pronome greco la possibilità di essere applicato anche a
prime e seconde persone (20, 4 ‘sui’ vero numquam nisi tertia
invenitur; cfr. GL III 180, 18-19). Per questo motivo Prisciano
sposta l’attenzione su un fenomeno affine, cioè l’impiego di un
altro pronome di terza persona, ipse/αὐτός, applicato alla prima
e alla seconda. La menzione di αὐτός nella voce degli Atticismi
costituisce, infatti, certamente un’aggiunta ad opera del gram-
matico latino rispetto al lessico fonte. La possibilità di concorda-
re ipse, sia se accompagnato da un pronome personale sia da
solo, con tutte le tre persone verbali è ampiamente trattata nel
libro XII (GL II 579, 5~30; 580, 11-15) e nel XVII (GL III 179,
19, 12-20, 5 77

25-180, 12; 191, 14-29; 207, 1-5; cfr. Groupe Ars Grammatica
2010, p. 229 n. 277). Alcuni grammatici più antichi – secondo
la testimonianza dello stesso Prisciano – avrebbero descritto ipse,
in quanto riferibile a tutte le tre persone verbali, come pronomen
commune (vd. Schad 2007, 69-70), etichetta però respinta dal
nostro autore, il quale obietta che l’uso del pronome con la pri-
ma e seconda persona non è quello suo proprio, ma una forzatura
della sintassi: GL II 579, 27-30 hoc idem pronomen, hoc est ‘ipse’,
quidam commune existimaverunt, quia tribus adiungitur personis: ‘ego
ipse’, ‘tu ipse’, ‘ille ipse’; non est tamen verum; figurate enim vel
discretionis vel significantiae causa primae et secundae adiungitur.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 2, 5 illustra l’uso di ipse applica-
to alla prima e seconda persona anche in GL II 579, 11-12; III
191, 25-27 (dove la citazione include anche parte del verso
successivo); 207, 2-3. Lo stesso luogo è inoltre richiamato in
part. 108, 24-28 Passalacqua a proposito della funzione discretiva
del pronome, sulla quale vd. infra, p. 80.
PROBLEMI TESTUALI. Il confronto con i lemmi paralleli a quel-
lo di questa voce degli Atticismi in altri lessici greci (Synag.B α
2478 = Phot. lex. α 3249 αὑτόν; Antiatt. α 6 αὑτῷ; Sud. ε 15
= Phot. lex. ε 7 ἑαυτῷ; Tim. lex. Plat. ε 1 ἑαυτῷ; Antiatt. α 5
αὑτοῦ) prova che non è necessario correggere ἑαυτόν dei
manoscritti per ripristinare nel lemma, in luogo dell’accusativo,
la prima forma della flessione del pronome, ἑαυτοῦ, come
faceva Hertz (GL III 290, 3).
Nelle altre occorrenze di Verg. Aen. 2, 5 nell’Ars e nelle
Partitiones (vd. supra) è sempre attestata uniformemente la lezio-
ne ipse, in accordo con la tradizione diretta, ad eccezione di GL
II 579, 12, dove Hertz riporta la variante ipsa di R e di B post
correctionem. Ipsa, presente anche negli Atticismi come lezione di
prima mano di VX e come correzione in RF, sembra essere una
banalizzazione, favorita dalla vicinanza di miserrima, che poteva
essere inteso come predicativo del soggetto piuttosto che attri-
buto del complemento oggetto quae. Si tratta in ogni caso cer-
tamente di un errore di tradizione, come prova la collocazione
delle due lezioni nello stemma.
78 COMMENTO

20, 6-14 ἑαυτούς: inter se


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazioni greche
(Thuc. 3, 59, 2; Demosth. 18, 19) – lemma latino – citazioni lati-
ne (Verg. Aen. 1, 455-456; Ter. Ad. 827-828; Cic. Catil. 1, 33).
LEMMA LATINO. La corrispondenza tra ἑαυτῶν e inter se è
posta già nel libro XIV (GL III 43, 1-5 [scil. ‘inter’] significat
autem modo τὸ ‘διά’ […]; modo τὸ ‘ἐν’, ut Virgilius in XI: ‘con-
versique oculos inter se atque ora tenebant’, ‘inter se’ ἐν ἑαυτοῖς),
dove però non si fa menzione dell’uso del pronome riflessivo
con valore di pronome reciproco. L’equivalenza del costrutto
preposizionale inter se e del pronome reciproco greco è, invece,
postulata nell’additamentum all’inizio del libro XVII: GL III 107,
20-21 ‘Amare inter se’, φιλεῖν ἀλλήλους (sugli additamenta tra-
smessi da parte dei manoscritti all’inizio di alcuni libri vd. supra,
p. LXVI e n. 57). La presenza del sintagma amare inter se tra le
Proprietates Latinorum è coerente con un’osservazione formulata
più avanti nel libro XVII circa la diversità dell’uso sintattico
greco e latino: in greco, infatti, si utilizza l’accusativo semplice
(ἀλλήλους φιλοῦσιν), laddove il latino richiede l’accusativo
preceduto dalla preposizione inter: GL III 177, 19-25 nostri vero
frequenter pro accusativo huiuscemodi constructionis accusativis utuntur,
antecedente ‘inter’, omnium personarum pluralibus. Negli Atticismi,
invece, l’attenzione di Prisciano si appunta su un tratto comune
alle due lingue (cfr. Ferri 2014, pp. 91-97), cioè la possibilità di
impiegare il pronome riflessivo in luogo di quello reciproco – il
lemma greco in questo caso non è ἀλλήλους bensì ἑαυτούς
(cfr. Schwyzer II, p. 197; Kühner – Gerth II.1, pp. 571-572).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 455 è citato anche in GL II
354, 23-24; 361, 6-8, con riferimento però alla flessione di
artifex. Il passo è inoltre utilizzato da Non. 347, 17-20 per
esemplificare uno dei significati di miror.
Ter. Ad. 827-28 illustra il costrutto inter se in corrispon-
denza del greco ἀλλήλους anche in GL III 107, 20-21; 177,
25-178, 1. In questi due passi, come nella voce in esame, la
citazione ha una forma abbreviata, con il taglio centrale, dopo
video, delle parole [eos] sapere intellegere, in loco / vereri e l’inver-
sione amare inter se rispetto a inter se amare della tradizione diret-
20, 6-14 79

ta. Nelle sue altre tre occorrenze nell’Ars (GL III 225, 2-5; Att.
63, 5- 6; 112, 8-9) la citazione è riferita, invece, all’uso dell’infi-
nito latino corrispondente al participio predicativo greco: nelle
prime due il testo è completo ed è rispettata la sequenza inter se
amare, mentre in 112, 8-9 il brano è nuovamente abbreviato (in
modo diverso), e si verifica ancora l’inversione amare inter se.
L’omissione di eos in questi tre passi, condivisa con il Bembino,
risale probabilmente al testo terenziano di cui disponeva Priscia-
no e non a un taglio intenzionale suo o di una fonte intermedia
(cfr. commento a 63, 5- 6). Il diverso ordo verborum dell’escerto
in 112, 8-9 si spiega, invece, probabilmente con una citazione a
memoria (vd. anche Rosellini 2011, p. 191). Il valore di reci-
procità del nesso inter se è rilevato nel passo terenziano anche da
Donato: Ad. 828 INTER SE AMARE cito dixit ‘inter se’, quod est:
cum alter alterum invicem amat.
PROBLEMI TESTUALI. Il testo della citazione di Thuc. 3, 59, 2
presenta alcune varianti rispetto alla tradizione diretta: τ’ ὑπο-
μιμνήσκομεν in luogo di τε ἀναμιμνήσκομεν, l’aggiunta
della preposizione ἐν davanti al pronome ᾗ e infine μεθ’
ἑαυτῶν in alternativa alle lezioni μετ’ αὐτῶν (G1M2) e μεθ’
αὑτῶν (cett. codd. et Π10), tra le quali si divide la tradizione diret-
ta. Per una discussione dettagliata vd. Spangenberg Yanes 2018.
La confusione di c/t/a in Ctesiphonte (c(a)esiphonte α) potreb-
be spiegarsi su base paleografica ipotizzando un passaggio della
tradizione del testo in una scrittura altomedievale nella quale la t
bassa sul rigo e occhiellata poteva facilmente essere scambiata
con una a: vd. Rosellini 2014a, p. 351 n. 34; 2015a, p. XCV.
In Demosth. 18, 19 Prisciano attesta la variante grafica
ἑαυτούς per αὑτούς dei codici BF dell’oratore greco (A reca
invece la banalizzazione, ἀλλήλους). Il grammatico si accorda
inoltre con il resto dei testimoni diretti di Demostene nella
forma πάντας, contro la lezione inferiore πάντα di A.
Nella citazione di Verg. Aen. 1, 456 la variante mirantur per
miratur della tradizione diretta e di Nonio (347, 20) è deteriore
– il soggetto della proposizione è, infatti, Aeneas (v. 451).
La citazione di Cic. Catil. 1, 33 differisce sensibilmente dalla
tradizione diretta, che reca scelerum foedere inter se ac nefaria socie-
80 COMMENTO

tate coniunctos. La forma rimaneggiata del passo si può spiegare


con una citazione mnemonica, forse influenzata dalla grande
frequenza del nesso tipicamente ciceroniano nefarium scelus (Cic.
S. Rosc. 65; Verr. 1, 1, 36; 2, 1, 9; 2, 1, 68; 2, 1, 76; 2, 2, 111;
2, 4, 72; 2, 4, 77; 2, 5, 124; 2, 5, 184; Catil. 2, 27; 2, 29; 2, 47;
Rab. perd. 11; 27; har. resp. 49; Cael. 55; Mil. 85; Mur. 61; dom.
82; Phil. 2, 5; 14, 6; de orat. 1, 220; 3, 8; nat. deor. 3, 71; fam. 1,
9, 1; 6, 6, 11).

20, 15-21, 6 pronome di prima persona singolare espres-


so a scopo enfatico
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco e latino (Ego), con
osservazione aggiuntiva – citazione greca (Demosth. 22, 2) –
citazioni latine (Verg. Aen. 4, 333-335; 5, 846).
CITAZIONI GRECHE. Il valore enfatico del pronome personale
in Demosth. 22, 2 è notato anche in Schol. Hermog. RhG IV
132, 27-29 τὸ γὰρ ἐγὼ ἐπιεικείας ἔμφασιν ἔχει.
LEMMA LATINO. Prisciano osserva il carattere facoltativo ed
enfatico dell’uso dei pronomi di prima e seconda persona (cfr.
Hofmann – Szantyr, p. 173) anche nel libro XVII: GL III 157,
21-22 et prima quidem vel secunda persona verborum, nisi discretionis
vel significationis causa, non egent pronominibus; sim. 118, 16-18.
L’uso di ipse concordato con un pronome personale viene a
più riprese discusso nell’Ars (GL III 14, 12-14; 179, 25-180, 1;
206, 18-21; Att. 20, 2-5, su cui vd. ad loc.). La funzione raffor-
zativa (indicata nella voce in esame dal termine significantiam) e
antitetica (discretionem) del pronome, è rilevata anche in GL II
579, 29-30 figurate enim vel discretionis vel significantiae causa primae
et secundae [scil. personae] adiungitur; sim. III 203, 12-13; 207, 11-
13; part. 108, 22-27 Passalacqua. Significantia è sostantivo molto
raro nel latino classico (solo in Quint. inst. 10, 1, 121) e poco
frequentato anche in ambito grammaticale (Non. 6, 18; 283, 7;
313, 27; 320, 35; 360, 18; Char. 390, 16); conosce una certa
diffusione solamente nella letteratura cristiana (Tert. resurr. 21 p.
54, 1; adv. Val. 6 p. 183, 1; adv. Marc. 2, 19 p. 361, 1; 5, 6 p.
588, 15; Iren. 2, 24, 3; Novatian. trin. 4, 38; 6, 46; 21, 64; Ps.
Orig. tract. 3, 26, 11; 5, 44, 6; 6, 68, 1; 6, 74; 17; 13, 141, 22;
20, 15-21, 6 81

Arnob. nat. 3, 8; 4, 3; 4, 12; 7, 24; Lact. inst. 4, 26, 17; 4, 28,


11; Mar. Victorin. in Gal. 4, 17; defin. p. 17, 13; gen. div. verb.
29; Hier. in Gal. 5, 26; 5, 33; in Hab. 2, 3 p. 659; evang. p. 379,
5; adv. Iovin. 1, 12; Rufin. Basil. hom. 2, 1; apol. Orig. 3; Orig.
in cant. prol. p. 66c; p. 74d; Aug. serm. 7, 2; 8, 1), ma vd. anche
Iul. Val. 3, 17 ll. 572 e 583 (traggo queste informazioni dalla
consultazione diretta dell’archivio del Thesaurus linguae Latinae;
cfr. Forcellini s. v. significantia; OLD s. v. significantia; Schad
2007, p. 361). Il sostantivo ha sempre il valore di “significato”,
tranne che presso Prisciano (oltre ai passi sopra citati vd. rhet.
47, 4 Passalacqua) e in Don. Ter. Phorm. 121, dove assume
piuttosto la sfumatura di “espressività, enfasi”.
CITAZIONI LATINE. Prisciano cita Verg. Aen. 4, 333-335 anche
in GL III 148, 26-149, 2 (in forma più breve, ego te … enume-
rare vales), ma solamente come un generico esempio di uso dei
pronomi di prima e seconda persona. La funzione enfatica di
ego nel luogo virgiliano è, invece, notata in Don. Ter. Andr.
582, 1 semper gravis orationis inceptio est, quae exordium sumit a
pronomine ‘ego’, ut ‘ego te quae p. f. e. u.’ ‹et› ‘ego postquam te e.’.
Verg. Aen. 5, 846 occorre già in GL II 579, 6-7; III 203, 11-
15, in entrambi i casi in relazione all’uso di ipse accanto a un
pronome personale.
PROBLEMI TESTUALI. La correzione del tràdito verbo in verbi,
messa a testo dagli editori priscianei sino a Hertz (GL III 291,
1), non è necessaria giacché nel resto dell’Ars, quando il gram-
matico descrive la concordanza di pronomi o sostantivi con
determinate persone verbali usa indifferentemente l’espressione
prima (et sim.) persona verbi (cfr. GL II 553, 8 ut adiungi primae et
secundae verbi personae possit; III 147, 18 secundis adiungitur verbo-
rum personis; 157, 26 adiunguntur tertiis verbi personis; sim. GL II
448, 15; III 154, 3; 160, 26; 202, 14) oppure primae (et sim.)
personae verbum (cfr. GL III 151, 14 verbis primae vel secundae
personae coniungentes nomina; 207, 2 verbis primae et secundae perso-
nae non possumus copulare; sim. GL II 448, 11 e 17; 579, 13; III
12, 12 e 28; 19, 10 e 14; 118, 13; 144, 12). Nello specifico
passo in questione il mantenimento della forma tràdita è inoltre
sostenuto dall’ordo verborum: conservando il dativo verbo, infatti,
82 COMMENTO

primae personae dev’essere interpretato come genitivo e si trova


in posizione attributiva; al contrario, correggendo verbo in verbi
e interpretando primae personae come dativo dipendente da
adiungitur, il genitivo verbi verrebbe a trovarsi in una meno ap-
propriata posizione predicativa.

21, 7-13 ἐγγύτατα con genitivo o dativo: iuxta e prope


con accusativo o dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma latino – citazioni greche
(Plat. Leg. 944e2-3 ἐγγύτατα; Lys. or. 55 fr. 41 Thalheim = or.
63 fr. 126 Carey ἐγγύτατα; Plat. Leg. 866a2-3 vel 866a7-b1
ἐγγύτατος) – citazioni latine (Verg. Aen. 8, 597; 8, 556-557;
Cic. Mil. 59). Rosellini 2012b, p. 461, ritiene che questa voce e
la successiva (22, 1-16) derivino «dall’accostamento di tre lem-
mi greci corradicali, in origine però distinti» (p. 461), vale a dire
ἐγγύτατα, ἔγγιστα ed ἐγγύς. Ciò sarebbe provato in partico-
lare dall’incoerenza tra lemma e citazioni nella seconda delle
due voci, nella quale il lemma ἔγγιστα è seguito da esempi
contenenti solo il grado positivo dell’avverbio (ἐγγὺς …
μυρίων; ἐγγὺς τετταράκοντα; ἐγγὺς τρεῖς). Prisciano appare
in ogni caso indifferente alla distinzione tra ἔγγιστα ed
ἐγγύτατα, in quanto introduce esempi relativi a uno stesso uso
sintattico latino, cioè la costruzione di prope con il dativo o l’ac-
cusativo, sotto entrambi i lemmi. Sulla problematica struttura di
queste due voci vd. più dettagliatamente Rosellini 2012b, pp.
461- 465. Per una discussione più estesa circa le ipotesi di rico-
struzione dell’assetto dei due lemmi nella fonte atticista del gram-
matico rimando al commento al Lexicon syntacticum Prisciani.
LEMMA GRECO. Menchelli 2014, pp. 240-241, ha notato nelle
due voci che si susseguono in 21, 7-22, 16 «una giustapposizione
e/o sovrapposizione, all’intento normativo di tipo grammaticale-
morfologico sulle forme del superlativo, di un intento normati-
vo di tipo grammaticale-sintattico sui casi retti dall’avverbio». Si
osserva inoltre una differenziazione semantica negli esempi posti
sotto ciascun lemma, relativi nella prima voce al valore locale
dell’avverbio (sia pure figurato: vd. LSJ s. v. ἐγγύς, I), nella
seconda a quello quantitativo (“quasi”: vd. ibid., III).
21, 7-13 83

Sebbene le parole genetivo et dativo iungitur descrivano proba-


bilmente, secondo la ricostruzione di Rosellini 2012b, pp. 463-
465 (sul problema testuale relativo all’inizio di questa voce vd.
infra), la reggenza del lemma greco perduto, che dovrà essere
stato ἐγγύς o ἐγγύτατα, i tre esempi che seguono costituisco-
no altrettante attestazioni della sola costruzione dell’avverbio
con il genitivo (τούτων ἐγγύτατα; ἐγγύτατα γένους; τοῦ
τελευτήσαντος … ἐγγύτατα). Si deve pertanto ipotizzare o
che la voce del lessico greco (probabilmente in uno stadio del
testo anteriore a quello in cui esso pervenne a Prisciano) conte-
nesse ulteriori esempi, relativi alla costruzione di ἐγγύτατα
con il dativo oppure che Prisciano abbia formulato il lemma
genetivo et dativo iungitur per un fraintendimento di Plat. Leg.
866a2-3 (ma non si può escludere che già nella tradizione lessi-
cografica greca il passo platonico fosse impropriamente consi-
derato un esempio di costruzione di ἐγγύτατα con il dativo).
CITAZIONI GRECHE. Il sintagma ὁ τοῦ τελευτήσαντος γένει
ἐγγύτατα occorre due volte a breve distanza nel libro IX delle
Leggi di Platone (866a2-3; 866a7-b 1), ma il taglio breve della
citazione impedisce di identificarla in modo sicuro con l’uno o
l’altro passo. Sulle due citazioni dalle Leggi vd. anche Menchelli
2014, pp. 208; 210 n. 18.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di ἐγγύς,
ἐγγύτερον ed ἐγγύτατα con i due avverbi latini lemmatizzati
da Prisciano, iuxta e prope (propius, proxime), è attestata anche nei
glossari bilingui (per iuxta vd. CGL II 283, 31; per prope, propius
e proxime vd. CGL II 162, 3; 163, 48 e 50; 283, 31-33; III 141,
58; 376, 6; 461, 27; cfr. inoltre Dosith. 67, 17-18 Tolkiehn).
Nonostante l’assenza di citazioni relative a iuxta, è possibile
che il grammatico postulasse, nella parte perduta della formula-
zione del lemma latino, la costruzione sia di prope sia di iuxta
con il dativo e l’accusativo (per il nesso di iuxta nella sua fun-
zione avverbiale con il dativo, non molto frequente, vd. ThlL s.
v. iuxta [von Kamptz], VII.2 748, 75-76). L’esclusione di iuxta
dall’esemplificazione nel lessico può essere stata dovuta al fatto
che prope, disponendo anche di un comparativo e di un superla-
tivo, offriva un più puntuale corrispettivo di ἐγγύς anche sul
84 COMMENTO

piano morfologico, oltre che sintattico e semantico (sulla for-


mazione del comparativo e superlativo di prope cfr. GL II 85,
12; 90, 10-11; 97, 14-15; III 63, 10-11; inoltre Diom. GL I
408, 5; Char. 148, 6-8).
Prisciano non accenna mai, fuori dagli Atticismi, all’uso di
iuxta e prope con il dativo; nel libro XIV menziona queste, in-
vece, tra le preposizioni che reggono l’accusativo (GL III 36,
22; 40, 10). Entrambe le reggenze di prope sono lemmatizzate,
per il suo grado comparativo e superlativo, anche in Arus. 76,
8-9 e 12-15; 81, 1-3 Di Stefano. Iuxta e prope sono inoltre elen-
cati tra le preposizioni che reggono l’accusativo in Char. 298,
21-23; 309, 8-18; Diom. GL I 410, 5-6 (quest’ultimo conosce
per prope anche la costruzione con il dativo: GL I 410, 6-13).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 8, 597 è citato anche in una
lista di esempi di uso preposizionale e avverbiale di alcune pre-
posizioni desunta da Censorino (GL III 45, 25-47, 4) e in GL
II 134, 5-7, dove però illustra la quantità breve della i in Caeri-
tis. Verg. Aen. 8, 556-557 non conosce altre citazioni in ambito
grammaticale, tuttavia la costruzione della preposizione col
dativo attestata in questo passo è discussa da Servio ad loc. e in
georg. 4, 47. Il commentatore accosta, da un punto di vista sin-
tattico, questo passo a georg. 1, 355 e 4, 47, che lo stesso Priscia-
no utilizza nella voce successiva del lessico (22, 9-10) quali
ulteriori esempi dello stesso costrutto (vd. anche infra, ad loc.).
Cic. Mil. 59 esemplifica la costruzione di proxime con l’accusati-
vo anche in Arus. 76, 14-15 Di Stefano.
In questa voce i due esempi relativi alla costruzione di pro-
pius e proxime con l’accusativo (Verg. Aen. 8, 597; Cic. Mil. 59)
sono separati tra loro per mezzo della citazione di Verg. Aen. 8,
556-557, che attesta il sintagma con il dativo. Come osserva
Rosellini 2012b, p. 461, il criterio secondo cui sono disposte le
tre citazioni latine è morfologico piuttosto che sintattico: esse
«illustrano al grado positivo, comparativo e superlativo l’uso
dell’avverbio/preposizione prope».
PROBLEMI TESTUALI. È necessario supporre una lacuna dopo
‘iuxta’ et ‘prope’ per rendere conto, non solo dell’assenza di un
lemma greco (che avrebbe potuto essere ‘riassunto’ da Prisciano
21, 7-13 85

nel lemma latino, come nella voce precedente, in 20, 15) ma


soprattutto dell’incongruenza rispetto alle parole seguenti geneti-
vo et dativo iungitur, giacché le due preposizioni non reggono il
genitivo: vd. Rosellini 2012b, pp. 463- 465. Hertz espungeva,
invece, l’intera frase ‘Iuxta’ … iungitur (GL III 291, 11).
La correzione accusativo, che nei rami γ e δ della tradizione è
giunta a soppiantare quasi del tutto l’originario genetivo, sembra
dovuta all’intento di ripristinare una coerenza tra i due lemmi
latini, iuxta e prope, e la costruzione enunciata da Prisciano. Si
suppone dunque che questo intervento sia posteriore all’omis-
sione del lemma greco davanti a genetivo et dativo iungitur, a se-
guito della quale queste parole si sono trovate accostate al lem-
ma latino, ‘iuxta’ et ‘prope’ (Rosellini 2012b, p. 461). Similmen-
te la forma plurale del verbo, iunguntur, recata da alcuni codici
(XUMQ, TF e corr.), sarà l’esito di un tentativo di connettere
‘iuxta’ et ‘prope’ con il verbo seguente, che apparentemente ne
descriveva la reggenza (vd. Rosellini 2012b, pp. 463-464).
Nella citazione di Plat. Leg. 944e2-3 Prisciano attesta la le-
zione δέ in luogo di δ’ ὅ dei codici platonici; in Plat. Leg.
866a2-3 (o 866a7-b1) ἐγγύτατος per ἐγγύτατα: vd. Menchel-
li 2014, pp. 218-219 n. 40.
È piuttosto difficile spiegare su base paleografica o fonetica il
passaggio da Ἡγησάνδρου, ripristinato da Taylor, ad αΓΗ-
CαΝδΡΟΥ dei codici priscianei, tuttavia la testimonianza di
Arpocrazione (κ 12) e dello stesso Prisciano (60, 1 εΙΓΗ-
CαΝδΡΟΥ, con un errore dovuto alla pronuncia itacistica),
garantiscono che il titolo del discorso di Lisia, noto solo dalle
loro citazioni, fosse περὶ τοῦ Ἡγησάνδρου κλήρου.
In Verg. Aen. 8, 557 Prisciano attesta metus, mentre la tradi-
zione diretta testimonia in modo uniforme timor. Lo scambio,
reso possibile dall’equivalenza prosodica dei due sostantivi e
forse favorito dalla presenza dell’ablativo metu nel primo emisti-
chio di Aen. 8, 556 (non citato da Prisciano), si deve probabil-
mente a un lapsus di memoria del grammatico.
Cic. Mil. 59 è citato da Prisciano con la sequenza accessit
Clodius (messa a testo da A. Klotz e Boulanger) in accordo con
parte della tradizione diretta (T), mentre gli altri testimoni
86 COMMENTO

dell’orazione recano Clodius accessit (HVE, così stampa Clark). È


impossibile trarre conclusioni sicure dal confronto con l’occor-
renza del medesimo esempio in Arus. 76, 14-15 Di Stefano,
dove esso ha un taglio più breve (proxime deos accessit). Si po-
trebbe, infatti, dedurre che Clodius si collocasse dopo accessit
nella fonte comune a Prisciano e Arusiano, il quale avrebbe
interrotto la propria citazione subito prima del nome proprio;
d’altra parte quest’ultimo avrebbe anche potuto essere omesso
da Arusiano pur trovandosi prima di accessit. Sulla tradizione indi-
retta di Cicerone in Arusiano e Prisciano vd. Karbaum 1883, pp.
2-30; 1889, pp. 4-18. Sulla tradizione manoscritta della Pro
Milone vd. Rouse – Reeve in Reynolds 1983, pp. 79- 83.

22, 1-16 ἔγγιστα con genitivo o dativo o con funzione


avverbiale: propius con accusativo o dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazioni greche
(Xenoph. Ages. 7, 5; Hipparch. 1, 19; Alc. Com. fr. 10 K.–A.) –
citazioni latine (Sall. Catil. 11, 1; Iug. 18, 9; Verg. georg. 1, 355;
4, 57; 3, 58) – osservazione aggiuntiva – lemma latino seconda-
rio – citazioni latine (Verg. Aen. 3, 427; georg. 3, 53). Sulla
struttura di questa voce e della precedente vd. supra, p. 82.
LEMMA GRECO. Sugli usi sintattici descritti nella voce in esame
vd. supra, pp. 82- 83. Per l’impiego di τόσος nella formulazione
del lemma greco cfr. 105, 8-11, dove parimenti l’aggettivo
corrisponde nel lemma ai numerali delle citazioni che seguono.
CITAZIONI GRECHE. Rispetto all’ipotesi di Rosellini 2012b,
pp. 461- 465 (vd. supra, p. 82-83), che gli esempi greci ora col-
locati sotto il lemma ἔγγιστα facessero in origine parte di una
terza voce del lessico con lemma ἐγγύς, si deve osservare che
essi, costituendo altrettante attestazioni di uso di ἐγγύς col
valore quantitativo di “quasi, circa”, sono comunque appropria-
ti da un punto di vista semantico al lemma ‘ἔγγιστα τόσων’
καὶ ‘τόσοις’ καὶ ‘τόσοι’. Più incerta è la valutazione della loro
pertinenza al lemma sotto il profilo sintattico. Xenoph. Ages. 7,
5 ἐγγύς … μυρίων corrisponderebbe, infatti, al primo costrut-
to lemmatizzato, ἔγγιστα τόσων, mentre in Xenoph. Hipparch.
1, 19 e Alc. Com. fr. 10 K.–A. ἐγγύς si trova con un accusati-
22, 1-16 87

vo (ἐγγὺς τετταράκοντα τάλαντα; μῆνας ἐγγὺς τρεῖς


ὅλους), cioè una ‘costruzione’ non descritta nel lemma. D’altra
parte anche questi due esempi potevano essere connessi in qual-
che modo dal compilatore del lessico al lemma della voce: co-
me osserva Rosellini 2012b, p. 462 n. 29, nei due passi, infatti,
l’accusativo non dipende da ἐγγύς e quest’ultimo vocabolo ha
piuttosto funzione di avverbio. Queste due citazioni potrebbero
dunque essere state collegate al terzo ‘costrutto’ previsto dal
lemma, ἔγγιστα … τόσοι, dove il nominativo potrebbere
rappresentare semplicemente un caso ‘libero’, cioè la possibilità
di riferire l’avverbio a qualsiasi elemento della frase. In realtà,
dal punto di vista della linguistica moderna, ἐγγύς ha funzione
avverbiale in tutti i suoi usi con valore di “quasi”, dunque non
solo in Xenoph. Hipparch. 1, 19 e Alc. Com. fr. 10 K.–A. ma
anche in Xenoph. Ages. 7, 5.
LEMMA LATINO. Sulla corrispondenza tra ἐγγύς e prope e i
rispettivi gradi di comparazione vd. supra, p. 83. Sul trattamento
delle due reggenze di tenus, dell’ablativo e del genitivo, nella
produzione grammaticale latina, dove esse sono sempre associa-
te a Verg. Aen. 3, 427 e georg. 3, 53, vd. infra.
CITAZIONI LATINE. Sall. Catil. 11, 1 e Iug. 18, 9 esemplificano
la costruzione di propius con l’accusativo anche in Arus. 81, 1-2
Di Stefano, così come Verg. georg. 1, 355; 3, 58; 4, 47 illustrano
il nesso di propius e propior con il dativo in Arus. 81, 3- 6. La
citazione di georg. 4, 47 in Arusiano è più estesa (ne propius tectis
taxum sine) che in Prisciano (neu propius tectis; sulle lezioni
neu/ne vd. infra). Sulla condivisione di esempi per questo lemma
tra i due grammatici vd. Karbaum 1883, pp. 78-79; 1889, p.
14; Spangenberg Yanes ics. [a]. Verg. georg. 1, 355 è inoltre
citato in Diom. GL I 410, 12-13 e discusso in Serv. Aen. 8,
556; georg. 4, 47 (sui due scolî serviani cfr. supra, p. 84).
Anche le due citazioni portate da Prisciano per la costruzio-
ne di tenus con l’ablativo e il genitivo, Verg. Aen. 3, 427 e georg.
3, 53, si ritrovano in Arus. 96, 12-15. Il primo dei due versi,
che il nostro grammatico cita per intero, negli Exempla elocutio-
num è ridotto al sintagma pube tenus. Entrambi i loci sono richia-
mati in riferimento alla reggenza di tenus anche da Nonio (377,
88 COMMENTO

40- 44), presso il quale – diversamente che in Prisciano e negli


altri grammatici che citano Aen. 3, 427 riportandone o il verso
completo o il solo nesso pube tenus – la citazione comprende
parte del verso precedente (426) e le sole prime due parole del
v. 427, pube tenus, così da includere una pericope di testo di
senso compiuto. Verg. Aen. 3, 427 è poi ancora citato dallo
stesso Prisciano in Att. 78, 16-17; 90, 16-17 (cfr. ad locc.). Il
solo nesso pube tenus è inoltre menzionato, per la costruzione
della preposizione con l’ablativo, in Don. min. 601, 5; mai. 650,
2; Explan. in Don. GL IV 561, 30; Pomp. GL V 278, 11; Ps.
Asper GL Suppl. 59, 3-4. La reggenza di tenus è anche discussa da
Serv. ad loc. (‘tenus’ praepositio ablativa quidem est, sed figurate etiam
genetivo cohaeret, ut ‘et crurum … pendent’), che cita pure georg. 3,
53, parimenti riportato nella voce in esame degli Atticismi.
Prisciano richiama a più riprese Verg. georg. 3, 53, qualifi-
cando quasi sempre la costruzione di tenus con il genitivo come
un grecismo sintattico (GL III 32, 10-15 ἑλλενισμῷ … secun-
dum Graecos; 53, 8-11 more Graeco; 188, 10-12; Att. 78, 17-19
secundum Graecos; 90, 13-18 secundum Graecos). La maggior parte
degli altri grammatici che citano questo verso (per intero o
limitatamente al sintagma crurum tenus) parlano, invece, di arcai-
smo (Diom. GL I 409, 15-17; Don. mai. 651, 9) o di figura
(Serv. Aen. 3, 427, sul quale vd. supra) o di elocutio (Cledon. GL
V 78, 13-15; Pomp. GL 272, 28-33; 278, 6-11; cfr. Ad Caelest.
GL IV 255, 24-25; Audax GL VII 354, 15-17). Nello scolio ad
loc., infine, Servio osserva che l’uso di tenus con il genitivo è
avverbiale (georg. 3, 53 et modo ‘tenus’ adverbium est: nam si esset
praepositio, ablativo cohaeret; cfr. Sacerd. GL VI 428, 35- 429, 4).
PROBLEMI TESTUALI. Il passaggio da η ad ε (αΓεCΙΛαωι) è
piuttosto frequente nella tradizione dei Graeca priscianei: vd.
Rosellini 2014a, pp. 353-354; 2015a, p. XXXVIII.
Nella citazione di Xenoph. Ages. 7, 5 Prisciano attesta ἐν2,
omesso nella tradizione diretta e integrato dagli editori proprio
sulla base dell’autorità del grammatico. Ancora nel passo
dell’Agesilao egli testimonia le varianti μυρίων per μύριοι e
τεθνᾶσι per τεθναῖεν, oltre che il genitivo τῶν πολεμίων,
assente dalla tradizione diretta e ancora una volta supplito dagli
23, 1-5 89

editori a partire dalla citazione priscianea (e dal confronto con


Hell. 4, 4, 1; Plut. Ages. 16). Che Prisciano leggesse il passo con
la lezione μυρίων è garantito dal fatto che, nella seconda metà
della voce, egli si sofferma proprio sulla costruzione dell’avver-
bio con il genitivo (22, 11-13).
In Xenoph. Hipparch. 1, 19 δέ è assente dalla tradizione
diretta; al contrario, nella citazione del passo in Prisciano è
omesso εἰς τὸ ἱππικόν dopo δαπανῶσα, probabilmente per-
ché il compilatore del lessico fonte lo riteneva inessenziale ri-
spetto al lemma. Nello stesso esempio la genesi della corruttela
ΦΡΟΥΡα, emendata da Cotton 1820 in φρουρῶ, si spiega su
base paleografica in quanto una ω di forma minuscola poteva
facilmente essere equivocata da uno scriba occidentale per una a
minuscola ‘aperta’ in forma di due c accostate, propria di alcune
scritture altomedievali.
In Sall. Iug. 18, 9 Prisciano attesta, in accordo con la tradi-
zione diretta, la lezione agitabant, certamente corretta giacché la
frase è in una narrazione condotta con i tempi storici dell’indi-
cativo. L’archetipo di Arusiano (Napoli, Biblioteca Nazionale
Vittorio Emanuele III, IV A 11) reca, invece, agitabunt, messo a
testo da Di Stefano (81, 2), ma forse da correggere in agitabant
(supponendo una banale confusione grafica in minuscola altome-
dievale). È più difficile, invece, stabilire se la corruttela ne per neu
(correttamente tràdito da Prisciano) nella citazione di Verg. georg.
4, 47 negli Exempla elocutionis (81, 4) si debba ancora a un errore
della tradizione di quest’opera o se potesse già essersi prodotta nel
passaggio dalla fonte condivisa con Prisciano ad Arusiano.
Nella citazione di Verg. georg. 1, 355 la corruttela di tenerent
(ripristinato dai correttori di RQ) in teneret si può imputare a un
lapsus memoriae di Prisciano, ma non si può neanche escludere
un guasto di tradizione, giacché l’omissione del segno abbrevia-
tivo di una nasale è un errore molto banale.

23, 1-5 ἐγκώμιον con κατά e genitivo: laus con in e


accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greche (De-
mosth. 6, 9) – lemma latino – citazione latina (Pers. 1, 67- 68).
90 COMMENTO

LEMMA LATINO. L’espressione proposta da Prisciano come corri-


spettivo latino del lemma greco, laudem dico in te, non è altri-
menti attestata nel latino letterario, come non lo è, in generale, il
sintagma laus in aliquem (vd. anche ThlL s. v. laus [von Kamptz],
VII.2 1062, 68-1067, 54). Non a caso il grammatico è dovuto
ricorrere a un esempio d’autore, Pers. 1, 67- 68, non direttamente
pertinente al costrutto lemmatizzato, ma a uno affine, cioè dicere
in aliquem/aliquid (sul quale vd. ThlL s. v. dico [Lommatzsch],
V.1 987, 47- 60). Il lemma latino è d’altra parte confrontabile con
le osservazioni di Ps. Probo circa la funzione di in: inst. GL IV
148, 19-23 item de ‘in’ praepositione hoc monemus, ut, quando contra
aliquem aliquid significamus et ‘in’ praepositionem opponimus, accusa-
tivo casui respondeamus, ut puta ‘facio laudes in amicos’, ‘vituperatio-
nem dico in inimicos’, ‘nihil dixi in vos’. sic et in aliis nominibus vel
pronominibus et participiis (cfr. Audax GL VII 352, 30-353, 1).
CITAZIONE LATINA. L’individuazione di Pers. 1, 67-68 quale
esempio latino da porre sotto il lemma ἐγκώμιον κατὰ
τούτου, potrebbe essere stata guidata non solamente dall’osser-
vazione di un’analogia sintattica con l’espressione laudem dico in
te, ma anche da considerazioni di tipo contenutistico. Secondo
alcuni commentatori moderni, infatti, i due versi di Persio fa-
rebbero riferimento alla produzione letteraria di encomi (Kor-
zeniewski 1970, pp. 409- 410; Pennacini 1970, pp. 455- 456). Al
contrario Kissel 1990, pp. 196-197 e n. 291, ritiene che l’allu-
sione sia qui al genere satirico e rileva un fraintendimento dei
due versi di Persio da parte di Prisciano, suggerendo che il
grammatico sia stato influenzato dall’esegesi del passo documen-
tata negli scolî (Schol. Pers. 1, 67 in mores id est in comoedia; in
luxum id est in satira; in prandia regum, id est in tragoedia). Sulla
presenza di Persio negli Atticismi vd. supra, p. LXIX e n. 68.
PROBLEMI TESTUALI. Prisciano cita Demosth. 6, 9 con la varian-
te ἡμῶν in luogo di ὑμῶν della tradizione diretta e omette ὦ
davanti ad ἄνδρες. La lezione ἡμῶν, la cui genesi si spieghereb-
be assai difficilmente all’interno della tradizione dell’Ars, certa-
mente caratterizzava già la fonte atticista del grammatico.
Nella citazione di Pers. 1, 67-68 Prisciano si accorda con
uno dei due rami della tradizione diretta (Ξ) e con gli scolî ad
23, 6-12 91

loc. nella lezione in prandia, mentre l’altra famiglia di codici di


Persio (Γ) reca et prandia. Da uno spoglio complessivo di tutte
le citazioni del poeta satirico nell’Ars non risulta però che il
testo utilizzato da Prisciano sia in generale più vicino all’una o
all’altra famiglia. Sulla tradizione manoscritta di Persio vd. Kissel
2007, pp. V-XXVII; Marshall in Reynolds 1983, pp. 293-295;
sul commento a Persio trasmesso sotto il nome di Anneo Cor-
nuto vd. Hermann 1842; 1846; Clausen – Zetzel 2004, pp. V-
IX; Zetzel 2005.
I codici QU e i correttori di TY, che nel secondo verso di
Persio sono latori della lezione genuina regum in accordo con la
tradizione diretta, contro la corruttela regnum degli altri testimo-
ni priscianei, potrebbero aver emendato la citazione per cono-
scenza diretta dell’opera del poeta latino.

23, 6-12 ἐγκύκλια con valore positivo o dispregiativo: in


ordinem, extra ordinem
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca
(Dinarch. or. 1 fr. 2 Conomis) – lemma latino, con glossa se-
mantica – citazione latina (Liv. 25, 3, 19 vel 25, 4, 4), con glossa
semantica – lemma latino secondario, con glossa semantica.
CITAZIONI GRECHE. Mentre il valore dispregiativo di ἐγ-
κύκλιος è esemplificato da un frammento di Dinarco, l’assenza
di citazioni relative al suo valore positivo rende difficile precisa-
re cosa intendesse Prisciano per uso di ἐγκύκλιος de probabili-
bus. Peraltro gli aggettivi probabilis e vilissimus non sono usati
altrove dal grammatico.
LEMMA LATINO. Connumero, con cui Prisciano glossa redigo
nell’enunciazione del primo lemma latino della voce, conta una
decina di occorrenze nell’Ars (GL II 54, 10-14; 154, 12; III 53,
8; 56, 15; 73, 15; 237, 18; vd. inoltre connumeratio in GL II 449,
29; III 237, 4), mentre non è attestato nella precedente tradizio-
ne grammaticale. In generale connumero è un termine proprio
del linguaggio giuridico (Gaius inst. 1, 3; Ulp. dig. 23, 2, 43, 4;
25, 3, 1, 1; Florent. dig. 1, 5, 4 praef.; Mod. dig. 4, 6, 33, 1;
Paul. dig. 5, 1, 55 praef.; 23, 2, 44, 6; Hermog. dig. 35, 2, 38,
1-3; Inst. Iust. 1, 2, 4; 2, 7, 1; 3, 1, 2a, 3, 9, 3 e 8; 3, 10, 1; 4, 6,
92 COMMENTO

24 e 28; il verbo è inoltre frequente nel latino dei cristiani a


partire da Agostino e Girolamo: vd. OLD s. v. connumero; ThlL
s. v. connumero [Lommatzsch], IV 345, 33-346, 7).
Le parole introduttive del secondo lemma latino, hinc etiam
‘extra ordinem’ (sul quale vd. ThlL s. v. extra [Hiltbrunner], V.2
2056, 68- 84), sembrano riferirsi, più che alla citazione di Livio
immediatamente precedente, ancora al lemma greco, con
un’anafora rispetto al primo lemma latino, Hinc Romani ‘in ordi-
nem redactus est’ (sul quale vd. OLD s. v. ordo, 6; ThlL s. v. ordo
[Keudel], IX.2 955, 57- 66). Prisciano intende dire che sia il
greco ἐγκύκλιος sia il latino ordo possono avere valore positivo o
negativo. Il significato del sostantivo latino tuttavia varia a secon-
da della preposizione da cui esso è preceduto; perciò a un unico
lemma greco unico ne corrispondono due latini. Nessun altro
grammatico si occupa del significato di queste due locuzioni.
CITAZIONI LATINE. La citazione attribuita da Prisciano a Livio
non corrisponde puntualmente ad alcun passo non solo del
libro XXV ma dell’intera opera storica liviana, nella misura in
cui ci è conservata. È probabile che il grammatico abbia citato a
memoria in modo inesatto Liv. 25, 3, 19 Fulvius consul tribunis
‘Nonne videtis’ inquit ‘vos in ordinem coactos esse […], ni propere
dimittitis plebis concilium?’ oppure 25, 4, 4 Postumium Pyrgensem
[…] tribunos in ordinem coegisse. Diversamente occorrerebbe ipo-
tizzare che abbia assegnato per errore al libro XXV una perico-
pe di testo tratta da un libro successivo, non conservato per
tradizione diretta. Questa seconda ipotesi è resa però meno
verosimile dalla verifica dell’usus linguistico di Livio, che non
impiega mai il nesso in ordinem redigere, mentre utilizza con una
certa frequenza in ordinem cogere (vd. anche 3, 35, 6; 3, 51, 13;
6, 38, 11; 21, 47, 1; 36, 43, 13; 37, 29, 8; 43, 16, 9-10).
Anche per l’espressione extra ordinem, citata senza l’attribuzio-
ne a un autore in particolare, Prisciano sembra fare riferimento
all’opera storica di Livio, nella quale essa occorre una ventina di
volte. In particolare, dei passi in cui il sintagma ha un valore
affine a quello indicato dal grammatico (pro ‘egregii’) si può ipo-
tizzare che egli avesse in mente 7, 7, 5 extra ordinem etiam in acie
locati quo conspectior virtus esset; meno probabile appare, invece, il
23, 13-24, 5 93

confronto con 23, 47, 1 liceretne extra ordinem in provocantem


hostem pugnare; 25, 18, 11 permitteretne sibi extra ordinem in provo-
cantem hostem pugnare (cfr. 8, 6, 16 ne quis extra ordinem in hostem
pugnaret); 41, 5, 4 dilectus extra ordinem non in urbe tantum, sed in
tota Italia indicti, dove però extra ordinem non ha il significato di
“straordinario, eccellente” riferito a persone, che Prisciano gli
assegna. In 23, 47, 1 e 25, 18, 11 extra ordinem si trova peraltro
in una proposizione infinitiva e dunque fa riferimento a un sog-
getto espresso all’accusativo, mentre la glossa del grammatico, pro
egregii, sembrerebbe presupporre un soggetto in nominativo.
PROBLEMI TESTUALI. La corruttela contemptissimis, che risale
all’archetipo, è dovuta a un fraintendimento della sintassi del
passo, in cui pro introduce una glossa in discorso diretto, come è
frequente nell’uso linguistico di Prisciano, invece che un co-
strutto preposizionale con l’ablativo.

23, 13-24, 5 ἐγχειρητικώτερος con genitivo oggettivo:


experiens con genitivo oggettivo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca (Xe-
noph. Hell. 4, 8, 22) – citazione latina (Verg. Aen. 10, 752-753)
– lemma latino – osservazione aggiuntiva – lemmi latini seconda-
ri – citazioni latine (Ter. Phorm. 623; Verg. Aen. 9, 607).
LEMMA GRECO. Ἐγχειρητικώτερος è uno hapax; nella lette-
ratura greca conservataci non si incontra mai il grado positivo
dell’aggettivo *ἐγχειρητικός.
CITAZIONI GRECHE. Xenoph. Hell. 4, 8, 22 è citato anche in
Poll. 2, 154, con un interesse semantico (vd. infra).
LEMMA LATINO. Gli usi sintattici di experiens non sono trattati
altrove da Prisciano né da altri grammatici. La sintassi degli altri
aggettivi e participi latini menzionati in questa voce è esposta,
invece, in forma più estesa, in due precedenti brani dei libri
XVII-XVIII dedicati alla sintassi del participio (GL III 159, 13-
160, 6) e degli aggettivi e sostantivi deverbativi (GL III 215,
29-217, 27). Ivi Prisciano traccia, a proposito dei participi pre-
senti di verbi transitivi, una distinzione tra la funzione verbale
del participio, che prevede la stessa reggenza del resto della
flessione del verbo, e quella nominale, che richiede il genitivo
94 COMMENTO

oggettivo. Lo stesso argomento è trattato in Att. 59, 11-13; 89,


1- 6 (cfr. commento ad locc.). Sotto il lemma ἐγχειρητικώτερος
il grammatico si interessa, invece, solamente dell’uso nominale
del participio con il genitivo.
La costruzione di expers con il genitivo, attestata nella prima
citazione latina della voce (Verg. Aen. 10, 752-753) è registrata
anche in Arus. 35, 5 Di Stefano e nelle principali liste di idioma-
ta casuum (Char. 385, 27-28; App. Prob. 2, 26 Asperti-Passalac-
qua; Dosith. 88, 18-19 Tolkiehn; Explan. in Don. GL IV 553,
13; 556, 11). La maggior parte di queste fonti conoscono anche
la costruzione di expers con l’ablativo, della quale però Prisciano
qui non si occupa. Il sintagma fugitans litium, ricavato da Ter.
Phorm. 623, occorre anche in part. 116, 11 Passalacqua; inoltre,
sempre a proposito della duplice funzione e costruzione del
participio, in alcune raccolte di idiomata (Diom. GL I 311, 28-
31; Dosith. 89, 10 Tolkiehn) e ancora in Char. 126, 23-25;
Prob. inst. GL IV 142, 18; Cledon. GL V 72, 12. Il nesso di
fidens con il genitivo oggettivo è presente anche in Arus. 39, 7-
8 e in diversi elenchi di idiomata casuum (Char. 379, 23 e 30;
Idiom. cas. GL IV 570, 32; Dosith. 88, 16 Tolkiehn; cfr. Beda
orth. 25, 450 Jones). In altre voci degli Atticismi Prisciano si
occupa, invece, della costruzione di fido e fidens con il dativo e
l’ablativo (51, 10-13; 63, 14-64, 2: vd. ad locc.).
CITAZIONI LATINE. Sebbene expers, il lemma ricavabile da
Verg. Aen. 10, 752-753, significhi “privo” e abbia dunque un
valore quasi opposto a ἐγχειρητικώτερος, Prisciano propone
un esempio in cui l’aggettivo è utilizzato in una litote, sicché il
sintagma haud expers … virtutis costituisce un corrispettivo latino
semantico e sintattico piuttosto preciso del lemma greco (cfr. pp.
115; 299). Il luogo virgiliano non è citato da altri grammatici.
Ter. Phorm. 623 occorre, nella trattazione della sintassi del
participio, anche in GL III 217, 20-22. Il verso è citato per
intero, per illustrare la costruzione di fugitans con il genitivo, già
in Arus. 41, 16-17; gli altri grammatici ricordati sopra (tranne
Carisio) ne riportano il solo sintagma fugitans litium. Lo stesso
uso sintattico è osservato da Donato ad loc., dove è proposta una
distinzione tra uso verbale e nominale del participio analoga a
24, 6-11 95

quella formulata da Prisciano: FUGITANS LITIUM casu genetivo


iunctum vim nominis habet ‘fugitans’, accusativo vim participii.
Nella citazione relativa alla costruzione di patiens con il geni-
tivo oggettivo Prisciano sembra aver confuso due loci virgiliani
tra loro molto simili: attribuisce, infatti, l’esempio al secondo
libro delle Georgiche, probabilmente pensando al v. 472 et patiens
operum exiguoque adsueta iuventus, ma lo sovrappone in parte a
Aen. 9, 607 at patiens operum parvoque adsueta iuventus.
PROBLEMI TESTUALI. Prisciano cita Xenoph. Hell. 4, 8, 22 con
le varianti οὐδὲν ἧττον e μᾶλλον δέ per οὐχ ἧττον e μᾶλλόν
τε, e ancora ἐγχειρητικώτερος ἀρετῆς per ἐγχειρητικώτερος
στρατηγός. Quest’ultima è particolarmente degna di attenzio-
ne in quanto interessa la sostanza sintattica di questa voce degli
Atticismi. Ἀρετῆς è garantito dal lemma della voce in esame e
dal confronto con Poll. 2, 154 (vd. apparato ad loc.). È possibile
che στρατηγός sia subentrato ad ἀρετῆς nella tradizione diret-
ta per l’introduzione di una glossa nel testo; in questo caso la
variante documentata da Prisciano e Polluce dovrebbe ritenersi
poziore. Nello stesso passo il nostro grammatico documenta
ancora la lezione συντεταγμένος (LSJ s. v. συντάσσω: «reso-
lute»), in accordo con la totalità dei codici di Senofonte, che
Dobree (seguito da Hude, mentre Marchant accoglie il testo
tràdito) ha emendato in συντεταμένος (LSJ s. v. συντείνω:
«Pass. […] of mental tension or anxiety»). Per una discussione
più approfondita vd. Spangenberg Yanes 2017c.

24, 6-11 δοκεῖ con participio in dativo e infinito o con


accusativo e infinito: placet con participio in dativo e
infinito o con accusativo e infinito
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἔδοξεν) – citazione
greca (Herod. 1, 19) – lemma latino. La voce è alfabetizzata a
partire da una forma del verbo con aumento sillabico (cfr.
supra, p. XLIV).
LEMMA GRECO. Il primo dei due costrutti descritti, con il parti-
cipio in dativo, è piuttosto raro e negli studi linguistici moderni
viene considerato una forma di attrazione sintattica (vd. Kühner
– Gerth II.2, p. 50; cfr. Schwyzer II, pp. 395-396).
96 COMMENTO

LEMMA LATINO. Non si conoscono attestazioni della costru-


zione di placeo descritta da Prisciano in questa voce, cioè
dell’uso impersonale del verbo, da cui dipenderebbe un dativo
seguito dall’infinito e da un participio congiunto o in dativo o
in accusativo (vd. ThlL s. v. placeo [Reineke], X.1 2265, 32-
36). Le due espressioni latine formulate dal grammatico sem-
brano dunque essere dei calchi sintattici dei corrispondenti
lemmi greci.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Herod. 1, 19, l’emen-
dazione del tràdito πέμψαι in πέμψαντι è resa necessaria dal
confronto con i lemmi greci della voce, che richiedono la pre-
senza di un participio nella citazione protolemmatica tratta da
Erodoto. A partire da questa correzione è possibile osservare
che il lessico fonte si accordava nella lezione πέμψαντι con la
maggior parte dei manoscritti erodotei contro il codice A (della
famiglia romana), che reca πέμψαντα (messo a testo da Hude,
mentre Rosén stampa il dativo). Nello stesso passo, Prisciano
attesta, rispetto ai codici erodotei, l’aggiunta del complemento
di luogo εἰς Δελφούς (forse ricavato da una precedente propo-
sizione del medesimo periodo, πέμπει ἐς Δελφοὺς θεοπρό-
πους; cfr. Herod. 1, 67; 4, 15; 7, 169; 8, 122) e la variante
attica ἐπερέσθαι per ἐπειρέσθαι della tradizione diretta, che è
la forma propria, invece, del dialetto ionico (vd. LSJ s. v.
ἐπείρομαι). Sugli altri casi di atticizzazione dei passi erodotei
nel lessico priscianeo vd. supra, pp. L-LI.

24, 12-25, 9 εἰς con accusativo per lo stato in luogo: in


con accusativo per lo stato in luogo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazioni greche
(Ar. Vesp. 123; Thuc. 1, 24, 7; Xenoph. Oec. 18, 1; Herod. 1,
14) – lemma latino, con osservazioni aggiuntive – citazioni
latine (Ter. Eun. 948; Ad. 269; Cic. Catil. 1, 22), con glosse
sintattiche. La voce precede immediatamente la serie di lemmi
in α- introdotti tra quelli in ε- ed è ripetuta alla fine della stessa,
con lievi variazioni (33, 14-34, 4).
CITAZIONI GRECHE. Le tre citazioni greche presenti in questa
voce occorrono anche nel suo doppione (33, 14-34, 4). Thuc.
24, 12-25, 9 97

1, 24, 7 è inoltre citato in 53, 7- 8, dove illustra la costruzione


di καθέζεσθαι con εἰς e l’accusativo. Sulle citazioni degli sto-
rici greci in questa voce del lessico vd. anche Visconti 2014, p.
297; Mazzotti 2014, p. 155 e n. 31.
Prisciano cita le Vespe di Aristofane sia qui che nella seconda
redazione della voce con un titolo improprio, Sfingi (σφιγξίν,
sphinxin), che i precedenti editori priscianei, a partire dall’edi-
zione Aldina e sino a Hertz, emendavano in entrambi i luoghi
(GL III 294, 5 Aristophanes σφηξίν; 302, 25-26 Aristophanes
σφηξίν). Sembra però poco probabile che si sia prodotta, nella
tradizione manoscritta dell’Ars, una identica corruttela indipen-
dentemente in entrambi i passi, nei quali peraltro il titolo della
commedia è dato in due forme diverse, la prima volta in greco,
la seconda traslitterato in latino. Più probabilmente l’errore sarà
stato già presente nella fonte atticista di Prisciano, a partire dalla
quale questi o Flavio Teodoro lo hanno ulteriormente traslitte-
rato in latino nella seconda redazione della voce. Un ulteriore
sostegno a questa ipotesi e dunque alla scelta di Rosellini di
mettere a testo i tràditi σφιγξίν e sphinxin, proviene dal con-
fronto con la restante tradizione lessicografica greca, nella quale
anche altre volte le Vespe sono citate con il titolo corrotto
σφιγξί(ν), anche se gli editori lo hanno sovente corretto in
σφηξί(ν) (Synag.B α 2025; 2347; Phot. lex. κ 1270; σ 68; 559;
Sud. α 2378; 3646; 4353; ε 45; 1074; cfr. apparato a Poll. 2,
199; 7, 59; 7, 105; 7, 176; 7, 181; 9, 89). Non pone problemi il
fatto che Prisciano, il quale poteva non avere accesso diretto al
testo di Aristofane, recepisse senza esitazione il titolo σφιγξίν
(vd. Rosellini 2015a, p. CXLII). Per una discussione più estesa
vd. Spangenberg Yanes 2018.
LEMMA LATINO. La corrispondenza della preposizione latina in
con quelle greche εἰς ed ἐν è registrata anche in Dosith. 68, 22
Tolkiehn ἐν ἀγρῷ in agro, εἰς ἀγρόν in agrum e nei glossari
medievali (CGL II 75, 22; 286, 41; 297, 11).
Nella formulazione del lemma latino è notevole l’uso
dell’espressione Frequenter et Romani … hoc imitantur (ripetuta
anche in 34, 1-2): secondo Ferri 2014, pp. 88-91, si tratta di
uno dei casi, non molto numerosi nel lessico priscianeo, in cui
98 COMMENTO

è esplicitamente postulata la derivazione di strutture della lingua


latina dall’imitazione degli autori greci.
Lo scambio di ablativo e accusativo in dipendenza da in ha
una certa diffusione nella poesia arcaica (vd. ThlL s. v. in [Bul-
hart – J. B. Hofmann], VII.1 794, 80-799, 11; i redattori della
voce del ThlL non si occupano, invece, dei passi di Virgilio,
Cicerone e Terenzio discussi a questo riguardo dai grammatici
latini. Vd. anche Kühner – Stegmann, pp. 588-595; Hofmann –
Szantyr, pp. 276-278). Il nesso di in con l’accusativo per espri-
mere lo stato in luogo non è, invece, rilevato negli studi lingui-
stici moderni. Dei tre esempi individuati da Prisciano, Ter.
Eun. 948 e Ad. 269 sembrano attestare piuttosto l’uso di in col
valore «de derectione i. q. versus, contra» (ThlL s. v. in, VII
745, 24; cfr. Kühner – Stegmann, p. 566; Hofmann – Szantyr,
p. 274); Cic. Catil. 1, 22, invece, un complemento di tempo
continuato con in e l’accusativo.
L’unica altra occorrenza di in os (Ter. Ad. 269) nel latino
classico, nota a Teßmer (ThlL s. v. os, IX.2 1086, 84-1087, 5),
è Ov. Pont. 4, 6, 18 vestra procul positus carmen in ora dedi (più
tardi vd. Ambr. myst. 1, 2, 7; Heges. 1, 41, 10; Aug. epist. 166,
9; Alc. Avit. carm. 1, 179; su Don. Ter. Eun. 1068, 2 si in os
praesens a Gnathone laudetur vd. apparato ad loc.). Assai più co-
mune è il sintagma all’ablativo, in ore (ThlL s. v. os, IX.2 1087,
6-18): è dunque appropriata la glossa sintattica priscianea, pro ‘in
ore’, che implica la maggiore frequenza di questa seconda
espressione. Peraltro in ore è impiegato due volte dallo stesso
Prisciano col valore di “alla vista, alla presenza” e di “chiara-
mente, esplicitamente” (GL II 423, 2-5; III 123, 1-2; cfr. Char.
428, 35; 429, 25; Arus. 60, 9 Di Stefano). Si può confrontare
anche Serv. auct. Aen. 4, 195 IN ORA palam, ut antequam audiant
loquantur. et proprie ‘ora’. Terentius ‘in ore esse omni populo’, con
l’avvertenza però che nel verso virgiliano in ora dipende pro-
priamente da diffundit (haec passim dea foeda virum diffundit in ora).
L’espressione exemplum in aliquem (Ter. Eun. 948) gode di
qualche circolazione a partire dal teatro arcaico (vd. ThlL s. v.
exemplum [Kapp – Meyer], V.2 1340, 15-28; 1341, 63-64). Più
specificamente però exemplum in aliquem facere è attestato solo in
24, 12-25, 9 99

Plaut. Most. 1116 exempla edepol faciam ego in te (vd. anche ThlL
s. v. facio [Hey], VI 92, 48- 49) e Ter. Eun. 948 in quem exempla
fient?. La più ricorrente formula di significato identico, ma pro-
pria – come sembra – di un registro più elevato, è exemplum in
aliquem edere (Ter. Eun. 1022; Caes. Gall. 1, 31, 12; Liv. 21, 57,
14; 29, 9, 12; 29, 27, 2~4; 38, 43, 4~6; vd. anche ThlL s. v. edo
[Kapp – Meyer], V.2 92, 84-93, 8; cfr. esse in Ter. Eun. 946;
statuere in Ter. Haut. 51; Cic. Verr. 2, 2, 111; 2, 3, 210; Iust.
14, 1, 12). Tutte queste espressioni hanno il valore “dare una
lezione, una punizione esemplare a qualcuno” (cfr. Don. Ter.
Eun. 946, 1; 1022, 1; ThlL s. v. exemplum, V.2 1342, 6-14).
Risulta piuttosto bizzarra la glossa sintattica, pro ‘in quo’ accosta-
ta da Prisciano a Ter. Eun. 948, giacché una sola delle attesta-
zioni di exemplum in … facere/edere/statuere si trova con in e
l’ablativo invece che l’accusativo (Cic. Verr. 2, 2, 111 in quo
homine tu statueris exemplum eiusmodi; cfr. ThlL s. v. exemplum,
V.2 1340, 27 e 40- 41; in Plaut. Most. 1116; Ter. Eun. 1022;
Haut. 51; Liv. 38, 43, 6; Iust. 14, 1, 12 in regge i pronomi
personali me/te/se sicché non è possibile stabilire se il costrutto
sia con l’accusativo o l’ablativo). D’altra parte non si può del
tutto escludere che Prisciano avesse in mente proprio il partico-
lare passo della Verrina 2, 2, con il cui testo aveva straordinaria
familiarità e della quale fa un uso esteso in diverse sezioni dei
libri De constructione (soprattutto GL III 258, 1-264, 15; vd.
Rosellini 2017, p. 126).
Come si accennava, nel terzo esempio latino addotto da
Prisciano in questa voce degli Atticismi (Cic. Catil. 1, 22) i due
nessi preposizionali in praesens tempus e in posteritatem devono
essere interpretati come complementi di tempo (vd. ThlL s. v.
in, VII.1 751, 59- 60 e 752, 15) e non essere fraintesi come
complementi di moto a luogo figurato dipendenti da impendeat,
come potrebbe indurre a credere il taglio della citazione.
Nell’originario contesto ciceroniano, infatti, impendeo è costrui-
to, in modo del tutto abituale, con il dativo (Catil. 1, 22 quanta
tempestas invidiae nobis, si minus in praesens tempus recenti memoria
scelerum tuorum, at in posteritatem impendeat). Nonostante il taglio
della citazione, mi sembra però necessario che lo stesso Priscia-
100 COMMENTO

no leggesse correttamente in praesens tempus e in posteritatem


come complementi di tempo e che, anzi, proprio questo lo
abbia indotto a raccogliere il passo ciceroniano tra gli esempi di
uso di in con accusativo in luogo dell’atteso ablativo. Non si
conosce, infatti, una costruzione di impendeo con in e l’ablativo
alla quale egli avrebbe potuto pensare come più comune alter-
nativa a quella con in e l’accusativo (essa stessa piuttosto rara:
vd. ThlL s. v. impendeo [Cavallin], VII.1 542, 65- 69), qualora
avesse inteso i due sintagmi preposizionali come dipendenti dal
verbo della frase. Vale a dire che secondo il grammatico l’uso
linguistico ‘normale’ avrebbe richiesto nel passo ciceroniano dei
complementi di tempo determinato espressi con in e l’ablativo
(cfr. ThlL s. v. in, VII.1 778, 46-779, 52; Kühner – Stegmann,
pp. 565-566; Hofmann – Szantyr, p. 274). È possibile che que-
sto ragionamento gli sia stato suggerito anche dalla frequenza
dell’espressione in praesenti tempore e altre simili (con riferimento
naturalmente ai tempi verbali) nella trattatistica grammaticale
(nei soli scritti priscianei vd. GL II 439, 5; 464, 18; 556, 1; inst.
26, 19 Passalacqua; part. 61, 11 Passalacqua).
Della doppia reggenza di in Prisciano tratta già nel libro
XIV, dove glossa le due funzioni della preposizione latina, di
moto a luogo e stato in luogo, con le due corrispondenti pre-
posizioni greche, come spesso fa quando deve differenziare i
diversi significati di una parola latina: GL III 53, 14-22 ‘In’
quando εἰς vel κατά significat, id est si ‘ad locum’ vel ‘contra’ de-
monstrat, accusativo iungitur, ut ‘in urbem vado’ vel ‘in adulterum
dico’ […]. quando vero pro ἐν Graeca praepositione accipitur apud
nos, ablativo servit, ut ‘in Italia, in urbe, in tempore’. La distinzione
delle due reggenze di in sulla base della funzione logica che
esprimono (stato in luogo/moto a luogo) è condivisa da tutta la
tradizione grammaticale latina (Diom. GL 410, 18-21; Dosith.
68, 21-22 Tolkiehn; Ps. Prob. inst. GL IV 147, 25-148, 16;
Don. min. 601, 6-9; mai. 650, 4- 8; Serv. GL IV 419, 27- 420,
4; Explan. in Don. GL IV 517, 33-518, 6; Cledon. GL V 25,
21-33; 77, 15-17 e 21-26; Pomp. GL V 275, 17-276, 28; Ps.
Palaem. reg. 66, 11-15 Rosellini; Ps. Aug. reg. 133, 4-135, 17
Martorelli; Mar. Victorin. GL VI 204, 9-12; Audax GL VII
24, 12-25, 9 101

352, 14-30). Alcuni grammatici osservano a questo riguardo un


utilizzo indiscriminato delle due reggenze della preposizione da
parte dei veteres o maiores, un concetto assai vicino a quello sot-
teso alla voce del lessico priscianeo: Serv. GL IV 419, 28-35 sed
apud maiores nostros indifferenter ponebantur [scil. in sub super et
subter], id est nulla lege servata; sim. Explan. in Don. GL IV 518,
16-20; Pomp. GL V 275, 19-24. Servio parla dell’arbitrio degli
antichi nell’uso delle due costruzioni di in anche nel commento
virgiliano: Aen. 1, 176 RAPUITQUE IN FOMITE FLAMMAM paene
soloecophanes est; nam cum mutationem verbum significet, ablativo
usus est: sed hoc solvit aut antiqua circa communes praepositiones licen-
tia (cfr. Aen. 2, 401; sul termine soloecophanes vd. Uhl 1998, pp.
257-264; sull’uso di licentia e licenter vd. ibid., pp. 248-249).
Diomede, che non accenna alla questione nel capitolo dedicato
alle preposizioni, ne discute, invece, nella trattazione del soleci-
smo (una nozione evocata, come si è visto, anche da Servio),
senza però fare riferimento al criterio cronologico enunciato dai
commentatori di Donato: GL I 455, 1-5 decimus modus fit per
praepositiones, ut ‘rapuitque in fomite flammam’; ablativum enim
casum pro accusativo posuit, cum debuerit in fomitem, quasi rapuit ad
fomitem. Infine, alla libertà degli auctores nell’uso della preposi-
zione in sembra fare riferimento anche una delle poche osserva-
zioni discorsive formulate negli Exempla elocutionum di Arusia-
no: 55, 16-17 Di Stefano IN praepositio communis interdum aliud
significans, interdum licenter posita invenitur.
CITAZIONI LATINE. Ter. Eun. 948 è citato anche in Arus. 52,
5- 6 Di Stefano, sotto il lemma IN ILLUM EXEMPLA FACIO, con
un taglio della citazione lievemente più ampio che in Prisciano,
a includere anche l’interrogativa quid ais?. Arusiano cita anche
Ter. Ad. 269, per illustrare il lemma IN OS LAUDARE, idest ‘prae-
sentem laudare’ (52, 10-11; cfr. Don. Ter. Ad. 269, 3 ‘coram’
laudat, qui non tacet apud alios et hoc agit non per epistulam sed ipse
praesens; ‘in os’, qui apud ipsum loquitur quem collaudat). Entrambi
gli esempi terenziani occorrono inoltre nella seconda versione
di questa voce del lessico priscianeo (34, 14), dove nella citazio-
ne di Ter. Ad. 269 è inclusa l’interiezione a, omessa in 25, 7 e
da Arusiano. La discrepanza tra le due occorrenze della citazio-
102 COMMENTO

ne in Prisciano può essere spiegata come esito di una citazione a


memoria nella seconda redazione del lemma, mentre nella pri-
ma il grammatico avrebbe semplicemente trascritto il passo
quale si trovava nella fonte comune ad Arusiano.
Cic. Catil. 1, 22 non è citato altrove in ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Thuc. 1, 24, 7, oltre al
taglio degli elementi inessenziali a illustrare il sintagma lemma-
tizzato, e cioè il verbo reggente e il suo complemento oggetto,
si osserva lo spostamento di ἱκέται dopo il complemento di
moto a luogo, mentre nel testo conservato per via diretta il
sostantivo si trova davanti al participio καθεζόμενοι.
Prisciano cita Xenoph. Oec. 18, 1 con un testo, εἰ μή γε
φανεῖς (ΦαΝειCC α), difforme da quello della tradizione diret-
ta, ἢν μὴ γε φανῇς (così Thalheim; Marchant mette, invece, a
testo ἄν). Krehl ripristinava il congiuntivo φανῇς, che nella
citazione priscianea si trova però in dipendenza da εἰ invece che
da ἤν, sicché si avrebbe un’occorrenza del particolare uso di εἰ
con il congiuntivo (sul quale cfr. commento a 35, 1-5). Hertz
evitava questo ulteriore problema sintattico correggendo, inve-
ce, nell’ottativo φανείης (GL III 294, 8). È assai più economico
concludere che Prisciano (e la sua fonte atticista) leggesse nel
passo di Senofonte εἰ con l’indicativo futuro. La stessa variante si
trova nella seconda redazione della voce (34, 16-18), dove i ma-
noscritti trasmettono la lezione ΦαΝειC (ΦΝαειC γ), che Roselli-
ni mette a testo senza correzioni (φανεῖς), mentre gli editori
precedenti, van Putschen, Krehl ed Hertz (GL III 303, 3), adot-
tavano in questo punto le stesse emendazioni introdotte nel
primo passo. In 25, 1 la dittografia di C (ΦαΝειCC) potrebbe
essere stata favorita dal fatto che la parola seguente, ἔφη, inizia
per ε-, che nei manoscritti priscianei è spesso vergata in forma
di e minuscola latina, a sua volta facilmente confondibile con
una c/C. Poiché la ripetizione della citazione non si deve a un
suo effettivo doppio utilizzo nella fonte atticista di Prisciano bensì
all’erronea duplicazione di un gruppo di voci, che deve essere
avvenuta nel corso della rielaborazione del lessico ad opera del
grammatico (vd. supra, pp. LVII-LVIII), ci si deve aspettare che la
citazione contenga le stesse forme nelle sue due occorrenze.
24, 12-25, 9 103

Ancora nell’escerto senofonteo i codici di Prisciano recano


la corruttela ΤαΥΤΟΤα, che Hertz correggeva in τοῦτο ταὐτά
(GL III 294, 8-9) sulla base della tradizione diretta dello storico
greco. Nella seconda redazione della voce (33, 17-18) i mano-
scritti hanno, invece, ΤαΥΤΟ Τα ΑΥΤα, che Hertz stampa co-
munque come τοῦτο ταὐτά (GL III 303, 3- 4). Poiché la grafia
ΤαΥΤΟ è presente in entrambe le occorrenze della citazione,
non sembra sicuro né che essa derivi da un’assimilazione alla
forma con crasi ταὐτά né che quest’ultima abbia favorito l’aplo-
grafia nel primo dei due luoghi. L’errore, infatti, si può spiegare
come saut du même au même anche a partire dalla lezione senza
contrazione, ΤαΥΤΟ ‹Τα αΥ›Τα, oltre che da quella contratta,
ΤαΥΤΟ ‹ΤαΥ›Τα, oppure come semplice omissione di un’intera
parola, ΤαυΤΟ Τα ‹αΥΤα›. Poiché le due occorrenze della cita-
zione senofontea appartengono a due versioni di una stessa voce
del lessico, erroneamente duplicata nel corso della redazione
degli Atticismi o nella loro prima trascrizione ad opera di Flavio
Teodoro, e dunque esse dipendono da un’unica originaria occor-
renza nella fonte atticista di Prisciano, eventuali varianti nelle
due attestazioni di Xenoph. Oec. 18, 1 devono essere giustifica-
bili con interventi o errori del grammatico, altrimenti occorre
aspettarsi che la citazione si presenti in forma identica nei due
passi. In assenza di elementi del contesto che possano motiva-
re, da parte di Prisciano o del suo allievo, l’alterazione di
ταὐτά in τὰ αὐτά nel passaggio dalla prima alla seconda reda-
zione della voce, appare più prudente integrare il testo lacuno-
so di 25, 1, ΤαΥΤΟΤα, sulla base della lezione attestata in 33,
17-18, ΤαΥΤΟ Τα ΑΥΤα, piuttosto che della tradizione diretta
di Senofonte. È dunque opportuna la scelta di Rosellini di
mettere a testo in entrambi i passi la forma con iato τὰ αὐτά.
Ancora nella citazione senofontea, la lezione ΤαΥΤΟ, tràdita
unanimemente dai codici priscianei, è emendata dagli editori
sino a Hertz, in τοῦτο. Poiché ΤαΥΤΟ è presente in entrambe
le redazioni della voce ‘εἰς’ pro ‘ἐν’ negli Atticismi, è però vero-
simile che questa lezione fosse già nella fonte del grammatico.
Si tratterebbe certamente di una variante deteriore, giacché
τοῦτο è garantito nel passo di Senofonte dal periodo preceden-
104 COMMENTO

te a quello qui citato, pronunciato da un altro interlocutore del


dialogo per stimolare il passaggio alla trattazione di un nuovo
argomento: δίδασκε οὖν εἴ τι ἔχεις με καὶ εἰς τοῦτο; nondi-
meno le ragioni appena esposte inducono a credere che Priscia-
no leggesse nella sua fonte εἰς ταὐτὸ τὰ αὐτά. L’espressione,
un po’ difettosa soprattutto perché preceduta da un καί con
valore di “anche”, avrebbe potuto essere accettata senza diffi-
coltà dal grammatico, giacché egli non disponeva del contesto e
comunque era interessato solamente alla sintassi del passo.
Nella citazione di Herod. 1, 14 l’aggettivo βασιλήϊον può
essere stato tralasciato nella citazione perché non necessario
all’esemplificazione del costrutto lemmatizzato. La variante
προκαθίζων per προκατίζων è un caso di atticizzazione del
testo erodoteo (cfr. supra, pp. L-LI).
Sia in questa voce degli Atticismi che nel suo doppione Pri-
sciano omette coram tra vereor e in os nella citazione di Ter. Ad.
269. La stessa omissione è testimoniata anche da Arus. 52, 10-
11 Di Stefano e doveva dunque caratterizzare la fonte comune
ai due grammatici (vd. Rosellini 2011, p. 191).
Nel citare Cic. Catil. 1, 22 Prisciano avrà deliberatamente
tralasciato le parole recenti … tuorum tra tempus e at perché non
essenziali a illustrare l’uso sintattico oggetto di questa voce.

25, 10-14 αἰσθάνομαι con accusativo: sentio con accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Citazioni greche (Thuc. 1, 107, 3
αἰσθάνοιντο; Isocr. Ad Dem. 34 αἰσθήσει) – citazioni latine
(Lucan. 4, 277; Verg. Aen. 4, 105). È la prima voce del blocco
di schede in α- ripetute tra quelle in ε-; una sua altra redazione
è correttamente collocata secondo l’ordine alfabetico in 8, 1-4.
CITAZIONI GRECHE. Isocr. Ad Dem. 34 occorre anche nel
doppione di questa voce (8, 2- 4).
LEMMA LATINO. Sul trattamento della sintassi di sentio presso i
grammatici antichi vd. supra, p. 7.
CITAZIONI LATINE. Nessuno dei due esempi latini qui forniti è
utilizzato altrove da Prisciano né da altri grammatici.
PROBLEMI TESTUALI. Thuc. 1, 107, 3 è riportato con la varian-
te αἰσθάνοιντο per ᾐσθάνοντο della tradizione diretta.
25, 15-26, 3 105

L’omissione di -λύσειν. Ἰσοκράτης παραινέσειν οὕτω


γὰρ τὴν ἐκείνω-, integrato da Hertz in base al confronto con
8, 2-4, potrebbe forse spiegarsi come salto di un intero rigo di
scrittura: vd. Bianconi 2014, pp. 330-332, sulle dimensioni e la
mise en page che poteva avere l’esemplare dell’Ars allestito da
Flavio Teodoro. Il nome di Isocrate è supplito da Hertz (GL III
295, 4), così come il titolo dell’opera, nella forma greca (con la
quale egli li stampava in GL III 279, 3). Più opportunamente
Rosellini – che in 8, 2 mette a testo Isocrates παραινέσειν –
adotta il latino Isocrates anche nell’integrazione in 25, 11. Sulla
frequente traslitterazione in latino dei nomi degli autori greci
nella seconda serie di lemmi in α-, vd. supra, p. LVIII.
In questa seconda occorrenza della citazione isocratea è inol-
tre omesso τε davanti a διάνοιαν, che in 8, 3 è invece corretta-
mente trasmesso (tranne che nel codice L, che lo omette anche
lì). La congiunzione doveva dunque essere ancora presente nel
testo della fonte di Prisciano, ma non è per questo necessario
integrarla nella seconda voce αἰσθάνομαι: la sua omissione,
condivisa in 8, 3 da tutti i rami di tradizione, potrebbe, infatti,
essere avvenuta già nel corso della redazione degli Atticismi,
quando la scheda relativa ad αἰσθάνομαι fu sdoppiata. Sulle
altre divergenze del testo offerto da Prisciano rispetto alla tradi-
zione diretta di Isocrate per questo passo vd. supra, p. 8.

25, 15-26, 3 ἀκούω con accusativo: audio con accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Demosth. 3, 1) –
citazioni latine (Verg. ecl. 3, 50; Aen. 12, 200) – osservazione
aggiuntiva, nella quale viene recuperato il lemma latino, altri-
menti non enunciato in questa seconda versione della voce
ἀκούω/audio. La voce si trova tra i lemmi in α- ripetuti nella
lettera epsilon del lessico e corrisponde a quella correttamente
collocata in 8, 5- 8.
CITAZIONI GRECHE. La citazione di Demosth. 3, 1 occorre
anche nel doppione di questa voce (8, 6-8; vd. ad loc.).
LEMMA LATINO. Sul trattamento della sintassi di audio presso i
grammatici latini vd. supra, pp. 8-9. In appendice alla voce in
esame Prisciano osserva in generale che audio e altri verbi latini,
106 COMMENTO

corrispondenti ad altrettanti lemmi in α-, ammettono la sola


costruzione con l’accusativo mentre i loro equivalenti greci
possono reggere anche il genitivo o il dativo (includo in questo
gruppo anche φροντίζω ed ἐμποδίζω, che ‘viaggiano’ nel
lessico insieme ai lemmi in α-; vd. supra, p. 1): sentio (8, 1- 4;
25, 10-14), che immediatamente precede la voce ἀκούω/audio
in entrambi i contesti; curo (7, 1- 4; 27, 6- 8); patior (8, 9-12; 26,
16-27, 5); impetro (28, 5-7); impedio (7, 5-8; 27, 9-13). Con
questa nota il grammatico connette i lemmi interessati al capito-
lo sulle costruzioni verbali che precede il lessico (GL III 267, 6-
278, 9: soprattutto 276, 23-277, 5, su cui vd. supra, p. 2).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 12, 200 illustra l’uso transitivo
di audio anche in 8, 5; Verg. ecl. 3, 50 non conosce, invece,
altre citazioni in ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Demosth. 3, 1 è intro-
dotta dal titolo philippicarum in U e R post correctionem (seguito,
come di consueto, da Hertz), philippicorum negli altri mano-
scritti, di cui Rosellini adotta la lezione. Le Filippiche di De-
mostene sono citate da Prisciano solo negli Atticismi, sempre al
maschile/neutro (25, 15; 77, 16; 108, 8; trovandosi il titolo
sempre declinato in casi obliqui non è possibile distinguere tra
i due generi), mai al femminile, col quale sono introdotte,
invece, sia nel lessico che nel resto dell’Ars, le citazioni dalle
Filippiche di Cicerone (in riferimento a queste ultime la forma
femminile del titolo è l’unica che circoli anche fuori dall’Ars
Prisciani: vd. Quint. inst. 3, 8, 46; Serv. Aen. 2, 407; 4, 348;
Char. 269, 2; Explan. in Don. GL IV 499, 35; Prisc. GL II 93,
6; 345, 5; 395, 3; 491, 17; III 70, 10; 277, 10; Att. 102, 13;
cfr. Ramsey 2003, pp. 16-17; Manuwald 2007, I, pp. 47-54).
In ambito latino anche le Filippiche demosteniche, al di fuori
dell’opera di Prisciano, sono menzionate con il titolo al fem-
minile (Cic. orat. 111; Att. 2, 1, 3; Quint. inst. 3, 8, 46). L’uso
del maschile da parte del grammatico riproduce probabilmente
il genere della forma greca corrispondente, Φιλιππικοὶ
(λόγοι), che talora è conservata nel lessico (11, 12; 23, 1; 60,
15; 61, 12; 72, 5). Sul titolo delle Filippiche demosteniche nella
restante tradizione indiretta vd. De Robertis 2015, pp. 5-9.
26, 4- 8 107

Per i problemi testuali relativi alla citazione di Demosth. 3, 1


vd. supra, p. 9.

26, 4- 8 ἀμνημονέω con genitivo o accusativo: memini


con genitivo o accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazioni greche (Isocr. Paneg. 144
ἀμνημονῶν; Demosth. 6, 12 ἀμνημονεῖ) – citazioni latine
(Verg. Aen. 4, 335; ecl. 9, 45). La voce si trova nella serie di
lemmi in α- inseriti tra quelli in ε-.
CITAZIONI GRECHE. Demosth. 6, 12 esemplifica la costruzione
di ἀμνημονέω con l’accusativo anche in Lex. Coisl. α 7 ed
Etym. Sym. I 362, 1-2. Lo stesso esempio è inoltre impiegato in
Lex. Coisl. τ 2 (s. v. τυγχάνω) e a esso sembrano alludere i
versi di contenuto grammaticale di An. Gr. II 352, 221-222
Boissonade Ἀμνημονῶ πρὸς γενικὴν ἀπέδωκεν ὁ Δίων· /
Ὁ ῥήτωρ δ᾽ οὔτως εἴρηκεν· ἀμνημονῶ τοὺς λόγους.
LEMMA LATINO. Memini, qui individuato come corrispettivo
latino di ἀμνημονέω, è affiancato anche ad ἀναμιμνήσκομαι
(8, 13; 28, 12) e μιμνήσκομαι (61, 13-15). Nella voce in esa-
me il verbo greco ha però un significato, “non ricordare, di-
menticare”, opposto a quello latino. L’opzione di Prisciano per
memini potrebbe essere stata favorita, oltre che certamente dalla
corradicalità dei due verbi, anche dal particolare contesto dei
loci greci presenti nella sua fonte, in entrambi i quali
ἀμνημονέω è accompagnato da negazioni, sicché esprime in
realtà il senso di “ricordare”. Un caso simile si presenta nella
voce ἀτυχέω/impetro (28, 5-7; vd. ad loc.). Sul trattamento della
sintassi di memini presso i grammatici latini vd. supra, p. 11.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 4, 335 e ecl. 9, 45 occorrono,
quali esempi degli usi sintattici di memini, anche in 8, 13-14; 29,
3-5; 61, 14-15. Sull’utilizzo di questi passi da parte di altri
grammatici vd. supra, pp. 11-12.
PROBLEMI TESTUALI. L’escerto di Isocrate reca la variante οὔτε
ἐκείνων mentre la tradizione diretta si divide tra οὐδ’ ἐκείνων
(ΓΘΠNS) e οὐδὲ ἐκείνων (Λ): vd. Fassino 2014, p. 278.
Nella successiva citazione demostenica il grammatico attesta
οὔτε … οὔτε, opponendosi sia alla tradizione diretta e all’Ety-
108 COMMENTO

mologicum Symeonis (οὐδ’ … οὐδέ), sia al Lexicon Coislinianum


(οὐδ’ … καί in α 7; τ 2). Nello stesso passo l’aplografia
αΜΝΗΜει (ἀμνημονεῖ) è, invece, un errore imputabile alla
tradizione dell’Ars.

26, 9-15 ἀντικαταλλάσσομαι con ἀντί e genitivo: muto


con pro e ablativo o con ablativo semplice
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazioni greche (Isocr. Archid. 109
ἀντικαταλλάξασθαι; Demosth. epist. 2, 6 ἐνηλλαξάμην) –
citazioni latine (Sall. Iug. 53, 8; Hor. carm. 1, 17, 1-2) con glos-
se sintattiche. La voce appartiene alla serie di lemmi in α- col-
locati tra quelli in ε-.
CITAZIONI GRECHE. Demosth. epist. 2, 6 costituisce un’attesta-
zione del corradicale ἐναλλάσσομαι piuttosto che del lemma
primario della voce, secondo un uso comune nei lessici antichi
(negli Atticismi cfr. 28, 5-7; 44, 4-17; 45, 14-46, 5).
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di ἀντικαταλ-
λάσσω/-ομαι e muto, istituita da Prisciano, non trova riscontro
nella glossografia bilingue, nella quale è tuttavia attestata l’equiva-
lenza del verbo latino con ἐναλλάσσω (CGL II 297, 23) – pre-
sente all’interno della voce priscianea nella citazione di Demosth.
epist. 2, 6 (ἐνηλλαξάμην) – e con il semplice ἀλλάσσω (CGL
II 131, 63; III 70, 75; 124, 20-23; 410, 5-13; 457, 17; 638, 5).
Nessun altro grammatico tratta della sintassi di muto.
CITAZIONI LATINE. Sall. Iug. 53, 8 non è citato altrove in am-
bito grammaticale. La costruzione attestata in Hor. carm. 1, 17,
1-2, con la cosa da sostituire in ablativo e quella che le viene
sostituita in accusativo, è piuttosto rara (vd. ThlL s. v. muto
[Teßmer], VIII 1726, 60- 66) ed è rilevata come una particolari-
tà sintattica anche dai commentatori oraziani: Porph. ad loc. Ea
figura hoc dictum est, qua illud apud Vergilium: ‘Chaoniam pingui
glandem mutavit arista’. Sensus est alter: relicto Lycaeo monte Faunus
in Lucretilem venit; Schol. Hor. carm. 1, 17, 1-2 magis ille ordo esse
debuit: ‘Lucretili Lycaeum mutat’; sed est ypallage figura; cfr. Porph.
Hor. carm. 1, 29, 16.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Demosth. epist. 2, 6 la
lezione εΝΧΛΛαξαΜΗΝ (εΝΧαΛΛαξαΜΗΝ vel. sim. TO) dei
26, 16-27, 5 109

manoscritti priscianei presuppone, oltre che una variante nel


preverbio rispetto alla tradizione diretta (ἐν-/ἀντ-), anche la
corruttela Η > Χ, piuttosto insolita e difficilmente giustificabile
sia su base fonetica che grafica. Si noti che peraltro la forma
ἐνηλλαξάμην è uno hapax. Più facilmente si spiegherebbe la
confusione di natura grafica, in maiuscola, Α > (Λ) > Χ, se si
mettesse a testo ἐναλλαξάμην, ma neanche la forma priva di
aumento è mai attestata. Dunque, sebbene Demostene utilizzi
talora forme di indicativo dei tempi storici senza aumento (ad
es. 18, 30 καθῆντο), è più prudente mettere a testo la forma
attesa, tanto più che la lezione corrispondente nella tradizione
diretta presenta l’aumento (ἀντηλλαξάμην).
In Sall. Iug. 53, 8 la variante priscianea mutatur per exortum
dei codici sallustianni appare una lectio difficilior ed è sostenuta
dal confronto con Iug. 83, 1 incerta pro certis mutare (vd. Koester-
mann 1971, p. 213). Ernout, Kurfess e Reynolds mettono a
testo mutatur. Nitzschner 1884, pp. 96-97, ritiene, invece, che
si tratti di un errore di memoria del grammatico.

26, 16-27, 5 ἀνέχομαι con genitivo o accusativo: patior


con accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazioni greche (Demosth. 19, 16
ἀνέξεσθε; 18, 10 ἀνάσχησθε) – citazione latina (Lucan. 1,
278-279) – osservazione aggiuntiva – citazione greca (Hom.
Od. 22, 423 ἀνέχεσθαι). La voce appartiene al gruppo di lem-
mi in α- ripetuti tra quelli in ε-, e costituisce una diversa reda-
zione di quella già presente in 8, 9-12.
CITAZIONI GRECHE. Demosth. 18, 10 è già citato nella voce
parallela a questa (8, 10-12).
La citazione di Hom. Od. 22, 423 è collocata in modo ano-
malo rispetto all’usuale ordine interno alle voci del lessico, che
prevede una ripartizione tra citazioni di autori greci e latini, a
prescindere da quale dei due gruppi preceda l’altro; questo
aspetto potrebbe essere indizio di un’origine della citazione
eterogenea rispetto al lessico atticista da cui Prisciano ha certa-
mente tratto gli altri esempi che corredano questo lemma (cfr.
supra, p. LXVIII). Sulle diverse possibilità di disposizione di lem-
110 COMMENTO

mi e citazioni in entrambe le lingue realizzate negli Atticismi vd.


Rosellini 2010, pp. 83- 84; inoltre supra, pp. LIV-LV.
LEMMA LATINO. Sul trattamento della sintassi di patior nella
tradizione grammaticale tardoantica, vd. supra, p. 9.
CITAZIONI LATINE. La citazione di Lucan. 1, 278-279, impie-
gata anche nella prima redazione di questa voce (8, 9-10), è qui
più puntualmente circoscritta all’espressione pertinente al lem-
ma latino (patior con accusativo), mentre l’emistichio preceden-
te (pellimur e patriis laribus) è stato tagliato (cfr. commento a 10,
12-13; 28, 3-4). Difficilmente però si potrà concludere che la
forma della voce in 26, 9-15 sia nel complesso più definitiva di
quella in 8, 9-12, in cui il lemma latino è espresso e la parte
latina della voce precede quella greca. Piuttosto sembra che in
questo caso si sia verificata in ciascuna nelle due versioni della
voce una mescolanza di tratti di maggiore e minore avanzamen-
to redazionale, mentre più spesso si osserva una più compiuta
elaborazione della prima voce in α- rispetto al suo doppione
(vd. supra, pp. LVII-LVIII).
Con l’osservazione nec aliter dicunt Latini, che segue alla cita-
zione lucanea, si deve intendere che patior ammette soltanto la
reggenza dell’accusativo.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Demosth. 18, 10 μηδέ
è corrotto in tutti i codici priscianei in ΜΗΤε, ma poiché in 8,
12 la congiunzione è correttamente trasmessa, si deve trattare di
un’alterazione intervenuta nella tradizione dell’Ars (o nel corso
della rielaborazione priscianea del lessico fonte) piuttosto che di
una variante (μήτε) già presente nella fonte greca. Sul luogo
demostenico vd. anche supra, p. 10.
In Demosth. 19, 16 Prisciano testimonia la lezione inferiore
ἀνέξεσθε per ἀνέχεσθαι della tradizione diretta. La corruttela
potrebbe spiegarsi come un’assimilazione alla successiva citazio-
ne da Demosth. 18, 10, terminante con ἀνάσχησθε. In alter-
nativa, la forma ἀνέξεσθε potrebbe essere considerata l’unico
relitto di una seconda citazione demostenica, Demosth. 18, 161
ὑμεῖς δὲ μηδὲ τοὺς λόγους αὐτῶν ἀνέξεσθε. Il passo è citato
per illustrare l’uso transitivo di ἀνέχομαι in Etym. Sym. II 7, 13-
15 e Lex. Coisl. α 21, e avrebbe potuto essere presente, se non
27, 6- 8 111

nel lessico greco utilizzato da Prisciano, almeno in una fase ante-


riore della sua tradizione. Potrebbe poi essere stato omesso per
un saut du même au même da (λεγόν)των ἀνέχεσθαι a (αὐ)τῶν
ἀνέξεσθε. In ogni caso non vi è motivo di dubitare che Priscia-
no disponesse solamente del breve escerto di Demosth. 19, 16,
sicché opportunamente Hertz e Rosellini mettono a testo
ἀνέξεσθε senza correzioni. È improbabile, infatti, che ἀνέξεσθε
sia un errore della tradizione dell’Ars. In quest’ultima il passaggio
da -χ- a -ξ- a partire da un’errata lettura della lettera χ come x
latina è documentato solo come errore singolare nei codici
altomedievali, non invece al livello dell’archetipo (vd. Rosellini
2014a, p. 357; 2015a, p. XXXVIII; sulla confusione di αι/ε,
connessa alla pronuncia itacistica e da collocare, invece, in una
fase alta della tradizione, vd. Rosellini 2014a, p. 352).
Hom. Od. 22, 423 è citato da Prisciano con la lezione
δουλοσύνην, che viene messa a testo dagli editori (Ludwich,
Allen, von der Muehll, van Thiel), i quali però registrano la
variante δουλοσύνης oltre che in parte della tradizione diretta,
anche in Sext. Emp. hyp. 1, 157; Eust. Od. II 288, 43-46; 289,
16-17 (Eustazio conosce entrambe le forme). Il verso omerico è
inoltre tràdito dai manoscritti priscianei con la corruttela
ξείνειν in luogo di ξαίνειν (ripristinato a partire da van Put-
schen). Lo stesso errore è attestato anche in parte della tradizio-
ne diretta dell’Odissea (vd. Allen ad loc.). La tradizione dell’Odis-
sea tuttavia consta di testimoni molto tardi (vd. Allen 1910, in
particolare pp. 29-35 e 48-53), che possono essere latori di un
guasto prodottosi indipendemente e in un’epoca posteriore a
Prisciano; non vi sono dunque elementi sufficienti per conclu-
dere che ξείνειν fosse già presente nella fonte del grammatico.

27, 6- 8 φροντίζω con accusativo: curo con accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Xenoph. Mem. 1, 1,
11 φροντίζοντας) – citazione latina (Verg. ecl. 10, 28) – osser-
vazione aggiuntiva. La voce si trova tra i lemmi in α- inseriti
nella epsilon e occorre già, in una diversa redazione, in 7, 1- 4.
LEMMA GRECO. Il lemma φροντίζω, posto qui, come in 7, 1,
tra le voci in α-, viola l’ordinamento alfabetico: vd. supra, p. 1.
112 COMMENTO

CITAZIONI GRECHE. Xenoph. Mem. 1, 1, 11 è citato anche


nella voce parallela in 7, 1- 4: vd. supra, ad loc.
LEMMA LATINO. Il lemma latino, non esplicitato in astratto, si
ricava dal locus classicus citato; con l’osservazione nec aliter dicimus
Prisciano intende che curo ammette la sola reggenza dell’accusa-
tivo (cfr. 113, 13 sic nos ad accusativum, ancora a proposito del
confronto tra curo e φροντίζω). Sull’uso transitivo di curo e il
trattamento del verbo presso altri grammatici vd. supra, p. 2.
CITAZIONI LATINE. Verg. ecl. 10, 28 non occorre altrove in
ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. Il titolo dell’opera greca citata è qui tra-
slitterato in caratteri latini, apomnemoneumaton, mentre in 7, 2 è
in greco, ἀπομ‹ν›ημονευμάτων. Sulla questione cfr. supra, p.
LVIII. Sulle varianti testimoniate da Prisciano in Xenoph. Mem.
1, 1, 11 rispetto alla tradizione diretta, vd. supra, pp. 5- 6.

27, 9-13 impedio con accusativo: ἐμποδίζω con accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma latino – citazione greca
(Xenoph. Mem. 1, 2, 4 ἐμποδίζειν) – citazione latina (Lucan.
4, 446-7) – osservazione aggiuntiva. Il lemma si trova nel grup-
po di voci in α- introdotte tra quelle in ε-. La voce inizia con il
lemma latino, anche se poi nelle citazioni quella greca precede
la latina, in questo mantenendo inalterata la sequenza dell’altra
redazione dello stesso lemma (7, 5- 8).
LEMMA GRECO. All’interno delle voci in α- questo lemma
risulta extra ordinem (vd. supra, pp. 1; 4).
CITAZIONI GRECHE. Xenoph. Mem. 1, 2, 4 occorre anche nella
prima versione della voce (7, 5- 6): vd. ad loc.
LEMMA LATINO. Sugli usi sintattici di impedio vd. supra, p. 5.
CITAZIONI LATINE. Lucan. 4, 446-7 esemplifica l’uso transitivo
di impedio anche in 7, 6- 8 (cfr. ad loc.); qui la chiosa sic omnes
auctores allude probabilmente al fatto che impedio ammette la sola
costruzione con l’accusativo.
PROBLEMI TESTUALI. L’esempio tratto da Xenoph. Mem. 1, 2,
4 è qui sfigurato dalla medesima corruttela (ΥΓΙΗΝ per
ὑγιεινήν) presente anche nell’altra occorrenza della citazione
(7, 5): vd. ad loc. L’avverbio ἱκανῶς è ivi, invece, correttamen-
27, 14-28, 4 113

te tramandato, sicché l’aplografia in questo punto (ΚαΝωC) si


deve essere prodotta nella trasmissione manoscritta di Prisciano,
che nella sua fonte leggeva la lezione genuina.

27, 14-28, 4 potior con genitivo o accusativo o ablativo:


ἀπολαύω con accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma latino – citazioni greche
(Aeschn. Socr. fr. 46 Dittmar ἀπολαυσώμεθα; fr. 47 ἀπο-
λαύομεν) – citazioni latine (Ter. Ad. 871; Cic. Catil. 2, 19;
Verg. Aen. 1, 172). La voce appartiene al gruppo di lemmi in
α- introdotti tra quelli in ε- e ripete, con delle variazioni, quel-
la disposta nella prima serie in α- (10, 10-11, 6).
CITAZIONI GRECHE. In questa voce, priva di un lemma greco
esplicitato, è presa in considerazione la sola costruzione del
verbo con l’accusativo, come si ricava dalle due citazioni di
Eschine Socratico. In 10, 10-11, 6 sono descritte ed esemplifi-
cate, invece, anche la costruzione con il genitivo e quella con
ἀπό e il genitivo.
LEMMA LATINO. Sulle tre reggenze di potior vd. supra, pp. 21-23.
CITAZIONI LATINE. I tre esempi latini di questa voce sono ado-
perati per illustrare gli usi sintattici di potior anche in 10, 10-13;
68, 1- 6 (vd. supra, p. 23). Rispetto alle sue altre due occorrenze
negli Atticismi, Verg. Aen. 1, 172 è citato qui in una forma più
breve, con l’omissione di egressi all’inizio del verso, probabil-
mente perché superfluo in relazione alla costruzione di potior.
Per un caso simile cfr. commento a 8, 9; 27, 3.
PROBLEMI TESTUALI. In Ter. Ad. 871 solo il ramo δ e alcuni
altri codici post correctionem (TREF) sono latori della lezione
corretta patria, mentre il resto dei testimoni priscianei recano la
corruttela paria. L’errore, forse favorito dalla presenza di ille alter
nella citazione (“quell’altro si procura senza fatica pari beni”,
sottinteso “a quelli del primo”), deve essere attribuito alla tradi-
zione manoscritta dell’Ars – in una fase alta, giacché doveva già
essere presente nell’archetipo – piuttosto che al grammatico
stesso o a una sua eventuale fonte. Infatti, in 10, 11-12 la stessa
citazione, riferita al medesimo lemma, è trasmessa correttamen-
te. La presenza della forma genuina in δ e presso i correttori di
114 COMMENTO

TREF potrebbe doversi alla lettura diretta del testo terenziano o


al confronto con la prima occorrenza della citazione nel lessico
(in 68, 2, è, invece, nuovamente presente la corruttela paria).

28, 5-7 impetro con accusativo: ἀτυχέω con accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma latino – sicut et Attici – cita-
zioni greche (Eup. fr. 125 K.-A. ἀτυχήσεις; fr. 265 K.-A.
τυχών). La voce si trova nella serie di lemmi in α- introdotti
tra quelli in ε-, all’interno della quale però viola l’ordinamento
alfabetico basato sulle prime due lettere dei lemmi, dal momen-
to che il verbo, in ἀτ-, è collocato tra i vocaboli in ἀπ-. La
collocazione del lemma latino in posizione iniziale e la soppres-
sione del lemma greco, sostituito dalla locuzione sicut et Attici,
accostano questa voce, per struttura, piuttosto alla prima serie in
α- che alla seconda: cfr. supra, pp. LVII-LVIII; 3- 4.
CITAZIONI GRECHE. Il fr. 125 K.-A. di Eupoli è citato sotto il
lemma ἀτυχέω anche in Synag.B α 2383 = Phot. lex. α 3145,
in voci di taglio però semantico invece che sintattico. Il secon-
do esempio greco nella voce in esame, Eup. fr. 265 K.-A., co-
stituisce in vero un’attestazione di τυγχάνω, ma è del tutto
comune nella lessicografia antica che un dato lemma sia illustra-
to anche da occorrenze di suoi corradicali (cfr. supra, p. 108).
LEMMA LATINO. Giacché ἀτυχέω significa “non ottengo,
manco”, impetro è dal punto di vista semantico il suo contrario.
L’opzione di Prisciano per questo verbo latino si può spiegare
in primo luogo con la corrispondenza semantica tra impetro e
τυγχάνω, corradicale di ἀτυχέω e contenuto nella seconda
citazione greca della voce (Eup. fr. 265 K.-A.). Inoltre, nel locus
classicus citato per ἀτυχέω il verbo si trova in una litote (Eup.
fr. 125 K.-A. οὐδὲν ἀτυχήσεις), sicché nel contesto viene
comunque ad assumere il valore di “ottenere” (per un caso
simile cfr. commento a 26, 4- 8).
Prisciano si occupa della sintassi di impetro, cui assegna sem-
pre la reggenza dell’accusativo, anche nel capitolo del libro
XVIII sulle costruzioni verbali (GL III 267, 16; 277, 4). Impetro
è menzionato inoltre tra i verbi latini costruiti con l’accusativo
in corrispondenza di una costruzione greca con il genitivo o il
28, 8-11 115

dativo in Att. 25, 18-26, 3 (cfr. ad loc.). Ἀτυχέω può reggere,


infatti, oltre che l’accusativo, anche il genitivo e il dativo (vd.
LSJ s. v.). La costruzione di impetro con l’accusativo è registrata
anche negli idiomata casuum di Char. 383, 23-24; Diom. GL I
314, 20; e in Beda orth. 38, 784 Jones.
PROBLEMI TESTUALI. In Eup. fr. 125 K.-A. i codici priscianei
sono latori della lezione ΤΟΥ, mentre Fozio e la Synagoge atte-
stano ὅτου. Nello stesso frammento di Eupoli la lezione pri-
scianea καὶ οὐδέν è quella messa a testo da Kassel – Austin, che
adottano la grafia con crasi κοὐδέν (con lo iato il frammento
risulterebbe ametrico), contro la variante testimoniata da Fozio
e dalla Synagoge, οὐ γάρ, equivalente da un punto di vista me-
trico. Infine la grafia αΤΥΧΗCΗC (ἀτυχήσεις Phot., Synag.) si
può spiegare come un errore dovuto alla pronuncia itacistica
del greco (cfr. Rosellini 2014a, p. 352), in cui ει ed η venivano
letti allo stesso modo; è improbabile che αΤΥΧΗCΗC debba,
invece, essere interpretato come un congiuntivo, ἀτυχήσης, la
cui presenza nel contesto citato non si giustificherebbe da un
punto di vista sintattico. Cfr. supra, pp. XLIX-L, sull’alternanza
tra le desinenze -εις/-ης e -ει/-ῃ/-η di una serie di forme
verbali nella tradizione priscianea.

28, 8-11 prospicio e provideo con dativo o accusativo:


ἀντιβλέπω con accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma latino – citazione greca
(Aeschn. 3, 151 ἀντιβλέψας) – citazioni latine (Verg. ?; Aen.
1, 126-127; Ter. Haut. 961). La voce si trova nel gruppo di
lemmi in α- inseriti tra quelli in ε-.
CITAZIONI GRECHE. Aeschn. 3, 151 esemplifica la costruzione di
ἀντιβλέπω con l’accusativo anche in Etym. Sym. II 11, 21-22.
LEMMA LATINO. Nel lessico priscianeo prospicio è utilizzato
anche come corrispettivo latino di ἐμβλέπω (41, 6- 8); sia pros-
picio che provideo sono inoltre proposti come equivalenti di
προμηθοῦμαι (94, 1-5); il solo prospicio anche di ὑποβλέπω
(109, 8-11): vd. ad locc.
Prisciano tratta della sintassi di prospicio e provideo anche nella
prima metà del libro XVIII, dove tuttavia menziona solamente
116 COMMENTO

la costruzione dei due verbi con il dativo (GL III 273, 23-28
supereminentia vel subiecta sunt, ut […] provideo tibi, prospicio tibi).
Questa reggenza è assegnata a provideo anche da Carisio (332,
15~24; 382, 23; 383, 11) e Diomede (GL I 313, 4-5; 399,
13~19). In alcune raccolte di idiomata, tra cui quella di Carisio, i
due verbi occorrono inoltre nella categoria di quelli che posso-
no reggere sia il dativo che l’accusativo (Char. 386, 10-11;
Oxford, Bodl. Libr., Add. C 144, f. 79v haec tamen datiuo et
accusatiuo seruiunt […] prospicio quod est prouideo et caueo; Idiom.
cas. GL IV 571, 21-22 prospicio te προβλέπω σε, προορῶ * ,
provideo te προβλέπω σε, provideo tibi, dove nella lacuna segna-
lata da Keil con deve essere andato perduto un esempio di co-
struzione di prospicio con il dativo. Cfr. Beda orth. 16, 220-221
Jones; 41, 854- 855).
CITAZIONI LATINE. Il primo esempio proposto nella voce,
introdotto con le parole Vergilius in..., non trova riscontro in
alcuna opera di Virgilio, e potrebbe essere una reminiscenza
confusa di Verg. Aen. 11, 908-909 ac simul Aeneas fumantis pul-
vere campos / prospexit longe Laurentiaque agmina vidit e 7, 288-
289 et laetum Aenean classemque ex aethere longe / Dardaniam Sicu-
lo prospexit ab usque Pachyno (vd. anche 6, 357 prospexi Italiam
summa sublimis ab unda, citato da Prisciano in Att. 87, 8-9; 6,
385-386 navita quos iam inde ut Stygia prospexit ab unda / per
tacitum nemus ire pedemque advertere ripae; Lucan. 8, 47-48 prospi-
ciens fluctus nutantia longe / semper prima vides venientis vela cari-
nae). Lo stesso Prisciano probabilmente aveva difficoltà a preci-
sare la provenienza di tale citazione mnemonica, se ha lasciato
in sospeso l’indicazione del libro cui apparterrebbe il verso.
Sulla questione vd. anche Dierschke 1913, p. 47.
Verg. Aen. 1, 126-127 e Ter. Phorm. 961 sono riportati co-
me esempi della costruzione di prospicio con il dativo anche in
41, 7- 8; 87, 8-11. Il primo dei due passi è citato inoltre, per lo
stesso motivo, in 109, 10-11, in forma più estesa (vd. ad loc.).
Ter. Phorm. 961 è riportato anche nel libro XIV a proposito di
pro- con valore temporale (GL III 49, 9-10), con un taglio più
ampio (tibi … stultitiae tuae) che in Att. 28, 11 e 41, 8, mentre
in 87, 10-11 ha una misura ancor più estesa (quicquid … stulti-
28, 8-11 117

tiae tuae). In tutte le altre occorrenze della citazione l’indica-


zione di provenienza è corretta, mentre in 28, 11 il verso è
erroneamente assegnato all’Hecyra. Ciò ha indotto Hertz a ipo-
tizzare in apparato (GL III 298, 7) l’omissione di una citazione
da quest’altra commedia davanti a quella di Haut. 961. Provideo
non occorre mai nell’Hecyra. Le uniche due attestazioni di pro-
spicio in questa commedia sono ai vv. 549 (tun prospicere aut
iudicare nostram in rem quod sit potes?) e 561 (aderam quoius consilio
fuerat ea par prospici) e non contengono elementi sufficienti a
spiegare l’eventuale omissione nel contesto priscianeo. Un verso
dell’Hecyra che, invece, avrebbe potuto essere citato e poi
facilmente omesso negli Atticismi è il v. 363 partim quae perspexi
hisce oculis, partim quae accepi auribus, per il quale però doveva
circolare già nella tarda antichità la variante prospexi, attestata
nel commento ad loc. di Donato (sia nel lemma che nell’inter-
pretamentum): 363, 1 PARTIM QVAE PROSPEXI HIS OCVLIS ‘his’
quasi miseris vult intellegi: quibus prospexi vel audivi mala. La pre-
senza della forma prospexi potrebbe spiegare un’eventuale omis-
sione del verso per saut du même au même (ipotizzando che la
citazione escludesse il secondo emistichio) meglio di quanto sia
possibile fare per i vv. 549 o 561 della medesima commedia.
D’altra parte, se si accogliesse l’ipotesi di Hertz che un verso
dell’Hecyra sia stato omesso in Att. 28, 10, si sarebbe trattato
dell’unica citazione da questa commedia non solo nel lessico
finale ma nell’intera trattazione della sintassi nell’Ars: le 12 cita-
zioni dall’Hecyra, infatti, si arrestano al libro X (cfr. Rosellini –
Spangenberg Yanes ics.).
PROBLEMI TESTUALI. Nell’esempio tratto da Eschine è attestata
la forma μηδεπώποτε per οὐδεπώποτ’ della tradizione diretta.
Nella stessa citazione Prisciano condivide con Etym. Sym. l’ag-
giunta di una seconda negazione assente dalla tradizione diretta
(μηδεπώποτε μήτε Prisc.; μηδέποτε μηδέ Etym. Sym.), l’accu-
sativo τοὺς πολεμίους in luogo del dativo τοῖς πολεμίοις e lo
spostamento di questo complemento (collocato prima di οὐδε-
πώποτ’ nei codici di Eschine) davanti ad ἀντιβλέψας.
L’assenza dell’indicazione numerica del libro virgiliano per la
prima citazione latina della voce è riconducibile alla difficoltà
118 COMMENTO

per il grammatico stesso di determinare il libro di provenienza


di una citazione mnemonica imprecisa (vd. supra). Il numerale
VI introdotto dal codice ‘dotto’ Q (vd. supra, p. 7) potrebbe far
riferimento a Verg. Aen. 6, 357 o 385-386.

28, 12-29, 5 memini con genitivo o accusativo: ἀναμιμ-


νήσκομαι con accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma latino – citazioni greche
(Demosth. 19, 27 ἀναμνησθέντες; Hom. Il. 9, 527 μέμνημαι)
– citazioni latine (Verg. Aen. 4, 335; ecl. 9, 45). La voce si trova
nella serie di schede in α- inserite tra quelle in ε- e replica quel-
la correttamente collocata in 8, 13-9, 4.
LEMMA GRECO. Mentre nella prima redazione della voce è
descritta la costruzione del verbo greco sia con il genitivo che
con l’accusativo, in questa si trovano solo esempi relativi alla
seconda reggenza.
CITAZIONI GRECHE. Demosth. 19, 27 è citato anche nella prima
redazione della voce (8, 15-9, 3). Hom. Il. 9, 527 (come Il. 24,
486, citato in 9, 3-4) costituisce un’attestazione di μίμνησκομαι
invece che del lemma primario della voce, ἀναμιμνήσκομαι.
Non è raro che nei lessici antichi un verbo composto sia illustra-
to anche con attestazioni del verbo semplice e viceversa (cfr.
supra, pp. 10; 108). Alcuni altri aspetti della citazione omerica in
questo passo suggeriscono tuttavia che essa possa essere stata inse-
rita qui dallo stesso Prisciano piuttosto che aver corredato già il
lemma ἀναμιμνήσκομαι nel lessico fonte (vd. infra).
LEMMA LATINO. Sulla sintassi di memini e il suo trattamento
presso i grammatici tardoantichi vd. supra, p. 11.
CITAZIONI LATINE. Gli esempi latini di questa voce illustrano
gli usi sintattici di memini anche in 8, 13-15; 61, 14-15.
PROBLEMI TESTUALI. Il secondo emistichio di Hom. Il. 9, 527
è citato da Prisciano in una forma diversa, νέον, οὔτι πάρος
γε, da quella attestata nei manoscritti dell’Iliade e nella restante
tradizione indiretta del verso (Ps. Herodian. RhG III 104, 14
Spengel; Aristonic. sign. Il. 9, 527; Tryphon. II trop. 1, 2; The-
mist. or. p. 191b Harduin; Eust. Il. II 782, 8-13), πάλαι, οὔ τι
νέον γε. Οὔτι πάρος γε è, invece, il secondo emistichio di
29, 6-9 119

Hom. Od. 4, 810; 18, 164. Questo non sarebbe l’unico caso di
probabile ‘conflazione’ di più versi nelle citazioni omeriche di
Prisciano, che – almeno in questa voce degli Atticismi – può
dipendere da un errore di memoria. Si spiegherebbe così anche
la sostituzione di νέον a πάλαι, che risponde alla necessità, in
una citazione ‘a senso’, di mantenere una contrapposizione tra
le nozioni di vecchio e nuovo nel verso (πάλαι, οὔτι πάρος
non avrebbe del resto dato senso). L’esempio omerico, che è
anche l’unico negli Atticismi a essere introdotto dall’indicazione
sia del titolo del poema che del libro di provenienza, può costi-
tuire un’aggiunta di Prisciano rispetto alla sua fonte lessicografi-
ca greca (cfr. Spangenberg Yanes 2017a, pp. 674-675).

29, 6-9 attineo con ad e accusativo: ἀνήκω con πρός e


accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma latino – lemma greco
(ἀνήκει) – citazione greca (Lys. fr. 65 Thalheim = fr. 234 Ca-
rey) – citazione latina (Ter. Eun. 744-745). La voce si trova
nella serie di lemmi in α- introdotti a metà della lettera epsilon.
CITAZIONI GRECHE. Il fr. 65 Thalheim di Lisia esemplifica la
costruzione di ἀνήκω con πρός e l’accusativo anche in Etym.
Sym. II 7, 16, dove è citato in forma anepigrafa.
LEMMA LATINO. La corrispondenza di ἀνήκω e attineo è docu-
mentata anche nei glossari medievali (CGL II 23, 4; 227, 6).
La costruzione di attineo con ad e l’accusativo della persona o
della cosa è menzionata da Prisciano anche in due altre voci del
lessico (88, 16- 89, 2: vd. ad locc.). Nessun altro grammatico si
occupa di questo costrutto.
CITAZIONI LATINE. Ter. Eun. 744-745 esemplifica il nesso di
attineo con ad e l’accusativo anche in 88, 16-17, dove la citazio-
ne è circoscritta alle sole parole pertinenti al costrutto da illu-
strare (et adeo … omnem rem).
PROBLEMI TESTUALI. Nel fr. 65 Thalheim di Lisia Prisciano
attesta καί (Κ nei manoscritti) dove l’Etymologicum Symeonis ha
τά; una delle due parole potrebbe essersi corrotta nell’altra,
oppure una fonte potrebbe aver omesso l’articolo, l’altra la con-
giunzione. Ancora nel frammento di Lisia, Prisciano si accorda
120 COMMENTO

col codice C di Etym. Sym. (sulla tradizione di questo lessico


vd. Lasserre – Livadaras 1976, pp. XII-XVII; XXV-XXVI; Baldi
2013) nel dare la lezione ἑτέρας αἰτίας, contro gli altri testi-
moni dell’Etymologicum, che recano l’accusativo singolare. Infine
il grammatico latino è latore della variante παραλελείψεται
(una forma assai più rara) per παραλείψωμεν di ‘Simeone’.
Nella citazione di Ter. Eun. 744 la lezione attinere è condivi-
sa da Prisciano con i codici della recensio Calliopiana, mentre il
Bembino reca pertinere (cfr. Craig 1930, p. 71).

29, 10-13 ἄξιος con infinito: dignus con infinito o con


proposizione relativa impropria
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Hyperid. or. 42 fr.
135 Jensen ἄξιοι) – lemma latino – citazione latina (Verg. Aen.
7, 653-654). Sulla struttura di questa voce vd. anche Rosellini
2012b, p. 201. Il lemma si trova nella seconda serie in α-, inse-
rita nella lettera epsilon del lessico.
LEMMA GRECO. LSJ (s. v. μισέω) non conoscono la costruzio-
ne del verbo, al passivo, con il dativo, attestata nel passo di Ipe-
ride. Ivi τῇ πόλει dovrà probabilmente essere interpretato co-
me un dativo d’agente o essere letto in dipendenza da ἄξιοι
così come l’infinito, sebbene tale costruzione sia registrata nei
lessici moderni solo per il sintagma impersonale ἄξιον εἶναι
(LSJ s. v. ἄξιος, II. 3. c.; DGE s. v., IV).
CITAZIONI GRECHE. Per l’insolita collocazione dell’indicazione
di provenienza del passo dopo lo stesso, dovuta all’utilizzo
dell’esempio anche come lemma, cfr. 112, 10.
LEMMA LATINO. La corrispondenza di ἄξιος e dignus è ampia-
mente documentata nei glossari bilingui (CGL II 49, 39; 231, 53;
535, 21; III 124, 44), così come quella dei rispettivi corradicali.
Le costruzioni di dignus con la proposizione relativa al con-
giuntivo e con l’infinito sono registrate anche in Arus. 26, 4- 6
Di Stefano. Nessun altro grammatico prende, invece, in consi-
derazione l’espressione odio alicui esse.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 7, 653-654 è richiamato anche
in 79, 5- 6, a proposito in generale delle proposizioni relative
improprie (vd. ad loc.).
29, 14-16 121

PROBLEMI TESTUALI. Anche in questa voce si osserva la tenden-


za propria del codice ‘dotto’ Q (sul quale vd. supra, p. 7) a inte-
grare l’indicazione del libro di provenienza delle citazioni virgilia-
ne, quando Prisciano l’ha lasciata in sospeso (cfr. ad es. 28, 10).

29, 14-16 ἀπαγγέλλω con πρός e accusativo o con dati-


vo: nuntio con dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἀπήγγειλα) – cita-
zione latina (Cic. Verr. 1, 19). La voce appartiene alla seconda
serie di lemmi in α- introdotti tra quelli in ε-.
LEMMA LATINO. Nessun altro grammatico latino si occupa della
sintassi di nuntio.
PROBLEMI TESTUALI. L’escerto di Cic. Verr. 1, 19 diverge dalla
tradizione diretta sia per la sostituzione di nuntio a renuntio sia per
l’ordo verborum (Renuntio, inquit, tibi te hodiernis comitiis esse absolu-
tum nei codici ciceroniani). Non necessariamente si tratta di va-
rianti antiche del testo ciceroniano, giacché tali discrepanze pos-
sono anche essere dovute a una citazione mnemonica imprecisa.

30, 1-7 ἀπέχομαι con genitivo o accusativo: abstineo con


genitivo o accusativo o ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino –
citazioni greche (Plat. Resp. 354b8-9; 360b7) – citazioni latine
(Ter. Ad. 781; Hor. carm. 3, 27, 69-70; Verg. Aen. 7, 618- 619).
Sulla struttura di questa voce cfr. Spangenberg Yanes 2014, p.
120. Il lemma si trova tra quelli in α- inseriti nella epsilon.
CITAZIONI GRECHE. Plat. Resp. 354b8-9 è citato a proposito
della sintassi di ἀπέχομαι anche in Etym. Sym. II 100, 32-33;
Lex. Vindob. α 79.
LEMMA LATINO. Abstineo è indicato come equivalente di ἀπέ-
χομαι anche in Idiom. cas. GL IV 570, 2 e nei glossari medievali
(CGL II 5, 24 e 28 e 46; 235, 4; 252, 47; 554, 59 e 61; 555, 1).
Mentre l’uso transitivo (non riflessivo) di abstineo (soprattut-
to con oggetto manum) e quello intransitivo con l’ablativo sono
correnti nella lingua letteraria di ogni epoca (vd. ThlL s. v. absti-
neo [Klotz], I 193, 30-194, 24; 195, 10-196, 72), la costruzione
del verbo con il genitivo è molto rara, attestata, oltre che in
122 COMMENTO

Hor. carm. 3, 27, 69, solamente in Apul. apol. 10 e Sidon. carm.


23, 225 (vd. ThlL, I 197, 23-25; sugli usi sintattici di abstineo
vd. anche Weinhold 1889, pp. 509-527). La costruzione di
abstineo con l’ablativo della cosa (talora accompagnato dall’accu-
sativo del pronome personale, con valore riflessivo) è registrata
anche in Arus. 16, 19-20 Di Stefano e in diverse liste di idiomata
(Char. 384, 21; 385, 10; Diom. GL I 315, 28-29; Idiom. cas.
GL IV 570, 2; App. Prob. 2, 107 Asperti-Passalacqua; Explan. in
Don. GL IV 553, 25; 556, 28; cfr. Beda orth. 9, 51 Jones). Nella
raccolta inedita del ms. Oxford, Bodl. Libr., Add. C 144 è pari-
menti descritta la costruzione di abstineo con l’ablativo (e l’accu-
sativo), che viene però illustrata da un exemplum fictum dove
l’ablativo è preceduto da de: f. 80r Verba accusatiuum primo deinde
ablatiuum casum regunt haec orbo abstineo fraudo defrudo afficio mune-
ror dignor dicimus enim [...] abstineo illum de hereditate (tutti gli altri
verbi della categoria sono però illustrati da locuzioni con l’accu-
sativo e l’ablativo semplice, sicché de potrebbe essere qui da
espungere). Nessun grammatico oltre a Prisciano si sofferma,
invece, sulla reggenza del genitivo e dell’accusativo.
CITAZIONI LATINE. Hor. carm. 3, 27, 69-70 illustra la costru-
zione dei verba activa con il genitivo anche in GL II 374, 16-19.
Ferri 2014, p. 88, confronta la scelta di questo esempio negli
Atticismi con Porph. Hor. carm. 2, 9, 17 desine mollium querella-
rum. desine querellarum Graeca locutione figuratum est, dove la co-
struzione di un altro verbo latino con il genitivo è qualificata
come grecismo sintattico, per sostenere la tesi che Prisciano
intenda proporre nel lessico finale esempi di costruzioni latine
ricavate da quelle greche o comunque a esse del tutto sovrappo-
nibili (secondo un orientamento opposto a quello del genere
degli idiomata). Verg. Aen. 7, 618-619 è citato anche da Arus.
87, 7-8 Di Stefano, ma con un interesse diverso, sotto il lemma
REFUGIT ILLAM REM.
PROBLEMI TESTUALI. Nel testo del primo esempio platonico
(Resp. 354b 8) Prisciano reca la variante διὰ τούτων, mentre la
tradizione diretta ha ἐπὶ τοῦτο (ADF) e gli altri due lessici in
cui è citato il passo, Etym. Sym. e Lex. Vindob., διὰ τοῦτον:
vd. Menchelli 2014, pp. 221 e n. 49; 228. Prisciano si accorda
30, 8-11 123

inoltre con ‘Simeone’ nella lezione οὐ contro οὐκ dei codici


platonici, mentre il Lexicon Vindobonense omette la negazione.
Il libro di provenienza della citazione di Plat. Resp. 360b7,
tratta dal libro II dell’opera, è erroneamente indicato nei mano-
scritti come XII. Poiché difficilmente si spiega il passaggio II >
XII, si può ipotizzare che il numerale fosse già corrotto prima di
essere traslitterato in cifre romane, giacché appare più semplice
la ripetizione di un segno Ι davanti al numerale greco Β (prece-
duto forse nella fonte di Prisciano da ΕΝ o ΕΝ ΤωΙ). L’errore
sarebbe stato quindi già nel lessico fonte, giacché il passaggio dai
numerali greci a quelli latini nell’indicazione di provenienza
delle citazioni greche si deve certamente a un intervento di
Prisciano (o di Flavio Teodoro) e non alla tradizione manoscrit-
ta dell’Ars. Sembra dunque opportuna la scelta di Rosellini di
conservare il tràdito XII piuttosto che emendare in II come
faceva Hertz (GL III 299, 11).
Nella citazione di Plat. Resp. 360b7 Prisciano si accorda con
il codice platonico F nella lezione θέλοι contro τολμήσειεν
del resto della tradizione diretta: vd. Menchelli 2014, p. 229.
La variante libro III di δ per tertio nelle parole introduttive
della citazione di Orazio potrebbe essere stata indotta dal con-
fronto con GL II 374, 16-19, dove la medesima citazione ora-
ziana è preceduta dalla dicitura Horatius carminum libro III, oltre
che dalla tendenza tipica dei codici di questo ramo a completare
le indicazioni di provenienza degli esempi latini.

30, 8-11 δέος con accusativo: verbi intransitivi con


accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (τεθνάναι τῷ δέει:
cfr. Demosth. 19, 81 vel 4, 45) – citazioni latine (Verg. Aen. 11,
453; ecl. 2, 1 = 5, 86). Sebbene non contenga alcun vocabolo
iniziante per α-, la voce si trova tra i lemmi in α- inseriti nella
lettera epsilon del lessico.
LEMMA GRECO. Giacché Prisciano confronta il sintagma greco
τεθνάναι τῷ δέει, seguito dall’accusativo invece che dal geni-
tivo, con degli esempi di verbi intransitivi latini costruiti con
l’accusativo, questo è senz’altro il costrutto che ha attratto la sua
124 COMMENTO

attenzione all’interno dei materiali offerti dalla sua fonte in que-


sta voce (vd. Rosellini 2010, p. 87 n. 1; cfr. 2012a, pp. 201-
202; 207 n. 28). Questo, infatti, non impedisce di ipotizzare
che essa contenesse in origine un lemma in α-, forse anche in
απ-, che renderebbe conto della sua collocazione tra i lemmi
ἀπέχομαι (30, 1-7) e ἀποστερέομαι (30, 12-31, 5), e che
esso si sia perduto o già nella tradizione lessicografica anteriore a
Prisciano o per intervento del grammatico stesso.
Oltre a quelle qui discusse, l’unica altra occorrenza nota di
θνῄσκω con il dativo δέει o φόβῳ seguito dall’accusativo della
persona temuta è Arr. Anab. 7, 9, 4 Θεσσαλῶν δὲ ἄρχοντας,
οὓς πάλαι ἐτεθνήκειτε τῷ δέει, ἀπέφηνε.
CITAZIONI GRECHE. La citazione attribuita da Prisciano a De-
mostene non corrisponde a nessun luogo del corpus dell’oratore
attico. Hertz congettura in apparato (GL III 299, 20) che la
voce fosse corredata in origine da Demosth. 4, 45 οἱ δὲ
σύμμαχοι τεθνᾶσι τῷ δέει τοὺς τοιούτους ἀποστόλους
ovvero 19, 81 ὥστε […] δουλεύειν καὶ τεθνάναι τῷ φόβῳ
Θηβαίους καὶ τοὺς Φιλίππου ξένους, seguito da un passo di
un altro oratore, Iperide (adversus Aristogitonem) o Licurgo (adver-
sus Lysiclem), e che siano caduti nel corso della tradizione il testo
della citazione demostenica e il nome dell’autore delle parole καὶ
περιῆν … τὸν Φίλιππον. Non sembra tuttavia necessario sup-
porre una lacuna nel testo dell’Ars, giacché Prisciano non
avrebbe certamente avuto difficoltà ad accogliere il passo con
l’attribuzione a Demostene ed esso è sufficiente a motivare gli
esempi latini citati di seguito dal grammatico. L’omissione, se si
accogliesse la congettura di Hertz, rimonterebbe dunque in ogni
caso al lessico fonte. In alternativa si può pensare a una deforma-
zione di Demosth. 19, 81 (già proposta da Taylor ad Demosth. or.
9, 287 Reiske) o 4, 45. In particolare questo secondo passo è
citato per la sua struttura sintattica in Schol. Ael. Aristid. III p.
526, 157, 14 Dindorf (σχῆμα ἐλλειπτικόν) e Phot. bibl. 248,
426a, 23-26 (Δημοσθενικὸν τὸ σχῆμα). Allo stato attuale
sembra comunque opportuno lasciare aperta la questione.
LEMMA LATINO. Il confronto istituito da Prisciano tra le due
lingue nella voce in esame è esclusivamente sintattico – come
30, 8-11 125

segnala la locuzione huic simile est – e fondato sulla presenza, sia


in greco sia in latino, di sintagmi con l’accusativo di relazione.
La costruzione di ardeo con l’accusativo è estremamente rara,
attestata esclusivamente nel verso virgiliano (ecl. 2, 1) citato da
Prisciano e in Hor. carm. 4, 9, 13; Mart. 8, 63, 1; Gell. 6, 8, 3
(vd. ThlL s. v. ardeo [Weynand], II 486, 74-79). Il nostro gram-
matico discute di questo costrutto anche nel libro VIII, a pro-
posito di alcuni verbi neutri, cioè intransitivi, il cui uso è nor-
malmente assoluto, ma che nella lingua letteraria possono talora
costruirsi figurate con diversi casi: GL II 378, 14-18 huiuscemodi
verba non egent casu, quamvis auctores haec quoque inveniantur more
activo vel passivo diversis casibus adiungentes, sed figurate, ut Virgilius
in bucolico: ‘ardebat Alexin’, pro ‘amabat’. Similmente, nel capitolo
del libro XVIII sulle costruzioni verbali afferma che i verbi neutri
(o deponenti) che esprimono un’azione che transita su un qual-
siasi oggetto reggono l’accusativo; a questo proposito menziona
ardeo: GL III 267, 19-21 similiter etiam neutra vel deponentia actum
significantia cum transitione in quodcumque accusativum sequuntur, ut
[…] ‘ardeo uxorem’, quando pro ‘amo’ accipitur; sim. 277, 14-18. Il
nesso di ardeo con l’accusativo è registrato, accanto alla più co-
mune costruzione con l’ablativo (cfr. ThlL s. v. ardeo, II 486, 2-
46 e 486, 83- 487, 1), anche in Arus. 5, 13- 6, 1 Di Stefano; Por-
ph. Hor. epod. 14, 9 adtende per ablativum dictum arsisse Bathyllo,
cum et hic saepe et Vergilium per accusativum dixerit ‘formonsum …
Alexin’; Serv. Aen. 1, 515 ardeo autem et accusativum regit et ablati-
vum. Anche la costruzione di fremo con l’accusativo, nel valore di
“fremere di desiderio per qualcosa” è molto rara (vd. ThlL s. v.
fremo [Fr. Müller], VI 1284, 5-14). Le sue sporadiche attestazioni
sono per lo più dovute all’imitazione di Verg. Aen. 7, 460 e 11,
453 (citato da Prisciano). Non è discussa da altri grammatici.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 11, 453 non è citato altrove in
ambito grammaticale. Verg. ecl. 2, 1 (= 5, 86) è richiamato a
proposito della costruzione dei verba neutra con l’accusativo di
relazione anche in GL II 378, 13-18; III 267, 19-23; 277, 14-
18. Lo stesso luogo è inoltre riportato nella trattazione della
sintassi di ardeo in Porph. Hor. epod. 14, 9; Schol. Hor. carm. 4, 9,
13; epod. 14, 9; Serv. Aen. 1, 515; Arus. 6, 1-2 Di Stefano.
126 COMMENTO

30, 12-31, 5 ἀποστερέομαι con accusativo o genitivo:


pascor con accusativo o ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἀποστερούμενος)
– lemma latino – citazioni latine (Verg. Aen. 2, 215; georg. 3,
314; 3, 231; ecl. 1, 53-54). La voce, collocata nella serie di lem-
mi in α- all’interno della lettera epsilon del lessico, costituisce
una redazione alternativa di quella in 11, 7-11. Le due citazioni
che la seguono (31, 6-7), una latina (Hor. carm. 3, 9, 9-10) e
una greca (Hom. Il. 4, 310), impaginate da Hertz (GL III 300,
15-19) come parte integrante della voce in esame, costituiscono
piuttosto una sorta di appendice, aggiunta in forza di una somi-
glianza esclusivamente sintattica, che pertanto è opportunamen-
te isolata nell’edizione di Rosellini 2015a (cfr. infra, ad loc.).
LEMMA LATINO. Sulla sintassi di pasco/-or e il suo trattamento
nella tradizione grammaticale latina vd. supra, pp. 24-25.
CITAZIONI LATINE. I primi tre esempi qui riportati occorrono
già nella prima versione di questa voce (11, 8-11; vd. ad loc.).
Verg. ecl. 1, 53-54 è citato anche in Serv. Aen. 1, 194, ma con
un interesse morfologico, a proposito dell’alternativa tra forma
attiva e deponente di pasco(r).
PROBLEMI TESTUALI. L’integrità della citazione di Verg. georg.
3, 314, ridotta in δ ai soli termini pertinenti al lemma (sono
cioè omesse le parole vero e summa Lycaei), è ripristinata dal
correttore di Q (sul quale vd. supra, p. 7), sulla base o del con-
fronto con un altro testimone priscianeo o della conoscenza
diretta del testo di Virgilio.

31, 6-7 doctus con accusativo, sciens con genitivo: εἰδώς


con genitivo
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione latina (Hor. carm. 3, 9, 9-
10) – citazione greca (Hom. Il. 4, 310 εἰδώς). Questa coppia di
citazioni, non immediatamente riconducibili né al lemma greco
né a quello latino della voce precedente, risulta extra ordinem
nella serie di lemmi in α- ripetuti tra quelli in ε-. La citazione
di Orazio è motivata dal sintagma docta modos, con una forma
verbale passiva e un accusativo di relazione, che è il modo in
cui il grammatico interpreta il lemma pascor illam rem nella voce
31, 6-7 127

precedente (vd. supra, p. 24). Doceor è uno dei verbi più spesso
menzionati nell’Ars Prisciani per illustrare questo tipo di costru-
zione, e talvolta esso è accostato, a questo riguardo, proprio a
pascor (GL II 391, 20-25 Inveniuntur etiam quaedam passiva [...],
quae figurate accusativo coniunguntur, cum videantur agere ipsi, ad
quos passivum refertur verbum – ut Virgilius in II Aeneidos: ‘... depas-
citur artus’ […], et ‘doceor rhetoricam’; III 269, 27-29 licet tamen
etiam accusativum addere his, quibus per diversas res fieri solet passio,
ut ‘doceor a te literas, pascor carnem’). L’esempio oraziano ha al
contempo dato adito alla successiva citazione di Hom. Il. 4,
310: il secondo emistichio di Hor. carm. 3, 9, 10, citharas sciens
(vd. infra per la lezione citharas) trova, infatti, un equivalente
sintattico greco nell’espressione πολέμων εὖ εἰδώς. Si deve
concludere che il verso omerico non fosse presente nella fonte
di Prisciano e che sia stato autonomamente individuato dal
grammatico quale esempio della costruzione del participio atti-
vo dei verbi transitivi con il genitivo oggettivo. Il lemma
ἀποστερέομαι risulta dunque seguito da una sorta di appendi-
ce articolata in due ‘livelli’: docta modos rappresenta un amplia-
mento del discorso sull’accusativo di relazione unito a verbi
passivi; a partire da un altro fenomeno sintattico, casualmente
attestato in Hor. carm. 3, 9, 10 ma non più pertinente in alcun
modo al lemma latino pascor né al greco ἀποστερέομαι, la
citazione di Hom. Il. 4, 310 costituisce un’ulteriore digressione.
Sulla questione vd. anche Spangenberg Yanes ics. [a].
CITAZIONI GRECHE. Hom. Il. 4, 310 esemplifica la costruzione
del participio con il genitivo oggettivo, considerato alternativo
all’accusativo, anche in Eust. Il. III 534, 12-117.
LEMMA LATINO. Il nesso di doctus con l’accusativo è trattato
anche da Arusiano Messio (27, 11-12 Di Stefano) e Consenzio,
il quale considera questa particolare costruzione ‘figurata’, cioè
artificiosa (GL V 353, 3-9 sunt nomina quae certos casus secum
coniunctorum nominum trahunt. trahunt autem […] accusativum sic,
sed figurate, doctus sermonem), come fa Prisciano in GL II 391, 20
(citato supra). Sull’uso del termine figura e dei suoi derivati in
ambito grammaticale per connotare particolari usi sintattici vd.
Schad 2007, pp. 166 e 168; ThlL s. v. figura (Vetter), VI 731, 2-
128 COMMENTO

26; s. v. figuro (Bauer), VI 745, 72-746, 19; Uhl 1998, pp. 77-
84; 254-256; 301-304; Ferri 2014, pp. 85- 89.
Nella prima metà del libro XVIII Prisciano menziona anche
la costruzione alternativa di doctus con il genitivo (GL III 217,
16-19 similiter si dicam ‘doctus grammaticam’, participium est, ‘do-
ceor’ enim ‘grammaticam’ dicimus [...]. ‘doctus grammaticae’ nomen
est; cfr. Arus. 27, 8-9). L’osservazione si iscrive in una più am-
pia riflessione sulla costruzione dei participi di verbi transitivi,
che reggono l’accusativo quando hanno funzione verbale, il
genitivo oggettivo quando hanno funzione nominale. Su questo
tema il grammatico torna a più riprese anche negli Atticismi (24,
1-3; 50, 1-6; 89, 3- 6; vd. ad locc.). In particolare di sciens, il
secondo participio della citazione oraziana nella voce in esame,
egli si occupa ancora in 59, 11-13 (vd. ad loc.; cfr. Char. 379,
20-380, 1; Consent. GL V 353, 9; Arus. 93, 12-13 Di Stefano).
CITAZIONI LATINE. Hor. carm. 3, 9, 9-10 non conosce ulteriori
citazioni né in Prisciano né presso altri grammatici.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione oraziana la lezione rico-
struibile per l’archetipo degli Atticismi priscianei è, invece, citha-
ras, sebbene alcuni dei manoscritti conservati rechino traccia del
tentativo di ripristinare il genitivo in -ae (la correzione è messa
a testo da Hertz, GL III 300, 17), che è anche l’unica forma
conservata dalla tradizione diretta. Prisciano avrebbe potuto
certamente leggere e accogliere come corretto il testo con la
variante citharas, purché la interpretasse come una forma greca di
genitivo; che il grammatico leggesse nel verso un genitivo ogget-
tivo è, infatti, garantito dal confronto con la successiva citazione
dall’Iliade (vd. supra). La forma in -as rappresenta comunque
probabilmente una lezione inferiore rispetto a citharae della tra-
dizione diretta, giacché è estranea all’usus linguistico di Orazio
(vd. Ciancaglini 1997, p. 854). In generale sulla tradizione indi-
retta di Orazio in Prisciano vd. De Nonno 1998, pp. 37-38.
In Hor. carm. 3, 9, 9 Prisciano si accorda con il ramo Ξ della
tradizione diretta nella lezione regit, mentre il ramo Ψ attesta la
variante inferiore riget. Stok 1996, pp. 78- 81, conclude cauta-
mente da questo e altri casi che Prisciano potesse servirsi, alme-
no per carmina ed epodi, della redazione Ξ del testo oraziano.
31, 8-12 129

31, 8-12 ἀφίσταμαι con accusativo: insto con accusativo


o dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Eur. fr. 1006 Kan-
nicht ἀφεστήκασιν) – citazione latina (Verg. Aen. 8, 433-434)
– citazione latina (Verg. Aen. 1, 504), con osservazione aggiun-
tiva. La voce è collocata nella serie di lemmi in α- all’interno
della lettera epsilon del lessico; una sua redazione alternativa si
trova nella prima serie in α- (12, 3-5).
LEMMA GRECO. Sull’uso sintattico di ἀφίσταμαι qui preso in
considerazione vd. supra, p. 28.
CITAZIONI GRECHE. Su Eur. fr. 1006 Kannicht, citato anche in
12, 3- 4, vd. supra, pp. 28-29.
LEMMA LATINO. La costruzione di insto, come verbo intransiti-
vo, con il dativo è del tutto comune nel latino letterario (ThlL
s. v. insto [Kröner], VII.1 2001, 19-35; 2002, 77-2003, 11);
l’uso transitivo del verbo è, invece, assai raro e per lo più circo-
scritto alla lingua dei comici arcaici e al latino tardo (vd. ibid.,
VII.1 2004, 6-28). L’unica occorrenza testualmente sicura di
questa costruzione nel latino classico è Verg. Aen. 8, 433- 434,
citato da Prisciano. L’eccezionalità di tale uso sintattico è rileva-
ta anche nel commento ad loc. del Servio danielino, che lo qua-
lifica come nova elocutio (vd. Uhl 1998, p. 255 n. 111; cfr. Serv.
auct. Aen. 3, 572; 11, 358). Le due reggenze di insto sono inol-
tre registrate in Arus. 53, 1-7 Di Stefano. La sola costruzione di
insto con il dativo è inclusa negli idiomata casuum del ms. Ox-
ford, Bodl. Libr., Add. C 144, f. 79r insto studiis insto causę.
CITAZIONI LATINE. Le citazioni latine utilizzate in questa voce
del lessico illustrano le due reggenze di insto anche in 46, 2-5
(vd. ad loc.). Verg. Aen. 8, 433-434 è citato inoltre in Arus. 53,
4-5 Di Stefano, sempre a proposito dell’uso del verbo con l’ac-
cusativo, che è anche discusso nel commento ad loc. del Servio
danielino (vd. supra).
PROBLEMI TESTUALI. L’equivalenza di insto con ἐφίσταμαι,
attestata dallo stesso Prisciano sotto il lemma ἐπιστατέω (45,
14- 46, 5, dove ἐφίσταμαι viene introdotto secondariamente
tra le citazioni di autori greci, con Crat. fr. 79 K.-A.) e presente
anche nello Ps. Filosseno (CGL II 87, 55-56), ha indotto in un
130 COMMENTO

primo momento Rosellini 2010, p. 87 n. 2, a ipotizzare che il


nostro grammatico leggesse la citazione di Euripide con la le-
zione ἐφεστήκασιν invece che ἀφεστήκασιν. Quest’ultima
forma è però garantita, oltre che dalla corrispondenza con absum
nella prima occorrenza della voce (12, 4), anche dal confronto
con Etym. Sym. II 100, 14 (vd. supra, p. 29). Inoltre, nella voce
in esame il confronto tra il frammento euripideo e la costruzio-
ne di insto con l’accusativo è introdotto da huic simile est, che
indica un parallelismo sintattico ‘in senso lato’; in 46, 2 invece
si fa corrispondere insto a ἐπιστατέω (e ἐφίσταμαι) mediante
la locuzione Romani, che solitamente descrive una stretta somi-
glianza sia semantica che sintattica (vd. Spangenberg Yanes
2014, pp. 116-117). In 31, 9-12 Prisciano cita dapprima un
esempio di insto con l’accusativo (Verg. Aen. 8, 433-434) e poi
aggiunge che il verbo può reggere anche il dativo (idem etiam
dativo adiunxit in I Aeneidos): il primo interesse del grammatico
era qui la costruzione di insto con l’accusativo, latamente avvici-
nabile all’euripideo τούτους ἀφεστήκασιν, mentre quella con
il dativo è menzionata solo per completezza. Egli dunque non
intende proporre insto come pieno equivalente semantico e
sintattico del verbo greco, ma solamente rilevare che per en-
trambi i verbi si conosce una insolita costruzione con l’accusati-
vo. Si può pertanto considerare corretta la forma ἀφέστηκασιν
negli Atticismi priscianei.
La citazione di Verg. Aen. 8, 433 è trasmessa in questa voce
con la corruttela Martis, ma occorre con la lezione corretta
Marti sia in 46, 5 che in Arus. 53, 5 Di Stefano, sicché la fonte
da cui Prisciano ha tratto l’esempio doveva recare la lezione
Marti; la sua alterazione in Martis in questo punto si deve impu-
tare alla tradizione manoscritta dell’Ars.

31, 13-15 accusativo di tempo continuato


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐκαθῆντο) – cita-
zioni latine (Verg. Aen. 1, 47- 48; 9, 609). La voce si trova nella
serie di lemmi in α- ripetuti tra quelli in ε- (25, 10-33, 13), ma
non contiene alcun vocabolo in α- nella citazione adespota
(Demosth. 18, 30) che funge da lemma. Piuttosto che di una
31, 13-15 131

voce a sé stante, potrebbe trattarsi di un’appendice di quella


precedente, consistente in una digressione sul tema dell’accusa-
tivo di tempo continuato, che certamente aveva attratto l’atten-
zione di Prisciano nel fr. 1006 di Euripide, come prova la par-
ziale traduzione latina absum tertium diem che egli ne dà in 12,
4-5. Difficilmente il nostro grammatico avrebbe potuto cono-
scere il passo demostenico indipendentemente dalla sua fonte
lessicografica greca; egli poteva però trovarlo in un altro punto
del lessico atticista (ad es. nella lettera epsilon o kappa) e lo
avrebbe trascritto qui in virtù dell’interesse sintattico che rive-
stiva nel discorso sull’accusativo di tempo, tralasciando poi –
deliberatamente o per errore – di ripeterlo nella sua sede origi-
naria. Cfr. commento a 51, 10 e 63, 14; 56, 4 e 68, 7; vd. inol-
tre supra, pp. XLIV; LIV, con indicazioni bibliografiche.
LEMMA GRECO. Il lemma greco di questa voce è ricavato da
Demosth. 18, 30 καθῆντο ἐν Μακεδονίᾳ τρεῖς ὅλους
μῆνας, già individuato da Spengel 1826, p. 638.
LEMMA LATINO. Prisciano si occupa del complemento di tem-
po continuato in diverse altre voci degli Atticismi, dove sovente
riutilizza gli stessi esempi virgiliani addotti in questa voce: cfr.
48, 5-10; 61, 2-5; 64, 15-18; 78, 7- 8; 85, 6-12; 99, 18-20.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 47- 48 è richiamato a propo-
sito dell’accusativo di tempo continuato anche in 48, 9-10; 61,
4-5; 64, 15; inoltre in 85, 15 per la costruzione del verbo con
cum e l’ablativo; Verg. Aen. 9, 609 in 78, 7- 8. Il primo passo è
inoltre citato, ancora in riferimento al complemento di tempo,
in Porph. Hor. Sat. 1, 3, 17; Schol. Hor. Sat. 1, 3, 17 Noctes
vigilabat] Accusativum posuit, ut iugem ostenderet vigiliam quomodo
‘tot annos / bella gero’. Lo stesso luogo è utilizzato in Ps. Iul.
Ruf. schem. lex. 39 p. 57, 29, tra gli esempi di figura per adverbio-
rum qualitatem. Pur trattandosi di una fonte di contenuto retori-
co e non grammaticale mette conto registrare anche questa
occorrenza della citazione, giacché frequentemente Prisciano
(come altri grammatici) definisce ‘figurati’ gli usi sintattici latini
di cui si occupa nei libri XVII-XVIII.
PROBLEMI TESTUALI. Il testo di Demosth. 18, 30 riportato da
Prisciano in forma anonima diverge da quello della tradizione
132 COMMENTO

diretta per l’aggiunta dell’aumento al verbo (ἐκαθῆντο) e l’in-


versione, nell’ordo verborum, dei complementi di tempo e di
stato in luogo.

32, 1-5 despero con accusativo: ἀπογινώσκω con accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma latino – citazione latina
(Lucan. 5, 574-575) – citazione greca (Demosth. 6, 16 ἀπεγίγ-
νωσκε). Un’altra redazione di questo lemma si trova in 11, 12-
12, 2. La collocazione del lemma latino in evidenza all’inizio
della voce e l’omissione del lemma greco caratterizzano in genere
la prima serie di voci in α- piuttosto che i loro doppioni ripetu-
ti tra quelli in ε- (cfr. 7, 5-8; 27, 9-13, e commento ad locc.).
LEMMA GRECO. Sul trattamento priscianeo della sintassi di
ἀπογινώσκω vd. supra, p. 26.
CITAZIONI GRECHE. La citazione demostenica qui adoperata si
trova anche nella prima occorrenza del lemma (11, 12-12, 1).
LEMMA LATINO. Sul trattamento di despero nella tradizione
grammaticale latina vd. supra, p. 27.
CITAZIONI LATINE. Lucan. 5, 574-575 occorre anche nella
prima versione della voce (12, 2), dove però la citazione è ri-
dotta alla sola espressione desperare viam; si tratta di un ulteriore
segno del più avanzato stadio di elaborazione di quella redazio-
ne della voce rispetto a questa (cfr. supra, p. LX).
PROBLEMI TESTUALI. Sulle varianti testimoniate da Prisciano in
Demosth. 6, 16 vd. supra, pp. 27-28.

32, 6-10 ἀποδιδράσκω con accusativo o genitivo: fugio


con accusativo o ab e ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἀπέδρα) – citazione
greca (Plat. Prot. 310c3) – lemma latino – citazioni latine (Lu-
can. 2, 575; Verg. Aen. 3, 272). La voce, posta nella serie di
lemmi in α- inseriti tra quelli in ε-, ripete in forma ampliata
quella già presente in 12, 6- 8. Il lemma latino è esplicitamente
formulato solo nella seconda redazione, dove è stato inoltre
ampliato il ventaglio di costruzioni latine prese in esame (fugio
con ab e l’ablativo oltre che con l’accusativo) ed è stata sia tra-
dotta in latino la congiunzione che articola il lemma greco (καί
32, 11-15 133

> et) sia traslitterata l’indicazione di provenienza dell’esempio


greco (Πλάτων ἐν Πρωταγόρᾳ > Platon in Protagora): tutti
questi elementi consentono di riconoscere nella voce in esame
un più avanzato stadio di elaborazione del lessico fonte da parte
di Prisciano rispetto a quello attestato in 12, 6- 8.
LEMMA LATINO. Sul trattamento della sintassi di fugio nell’Ars
Prisciani vd. supra, p. 31.
CITAZIONI LATINE. Lucan. 2, 575 illustra l’uso transitivo di
fugio già in 12, 7- 8 (cfr. ad loc.). Verg. Aen. 3, 272 costituisce in
vero un’attestazione di effugio, ma è del tutto comune che i
grammatici antichi esemplifichino l’uso di un verbo semplice
con un suo composto e viceversa. Il verso è citato altrove sola-
mente in Porph. Hor. carm. 1, 3, 2, che lo utilizza come esem-
pio di apposizione, lo stesso elemento rilevato da Serv. ad loc.

32, 11-15 ἄπιστος con genitivo o πρός e accusativo:


perfidus, infidus, fidus con dativo o ad e accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino –
citazioni latine (Lucan. 7, 685- 686; Verg. Aen. 9, 647- 648). Si
tratta di una delle voci in α- collocate tra quelle in ε-.
LEMMA GRECO. Come ha rilevato Ferri 2014, pp. 107-108, il
lemma greco di questa voce è desunto con ogni probabilità
almeno in parte da Demosth. 19, 27, già citato negli Atticismi a
proposito di ἀναμιμνήσκομαι (8, 15-9, 3; 28, 12-29, 2; vd.
supra, ad locc.). Il passo demostenico offre, infatti, anche un’atte-
stazione della seconda delle due costruzioni qui lemmatizzate
(ἄπιστος ἦν πρὸς τὸν Φίλιππον).
LEMMA LATINO. La corrispondenza di ἄπιστος e perfidus o
infidus trova riscontro nei glossari medievali (CGL II 146, 49;
235, 12; III 333, 60- 61), così come quella di fidus e πιστός
(CGL II 72, 1; 408, 20-21).
Prisciano tratta di fidus anche nella prima metà del libro
XVIII: lì dapprima attribuisce all’aggettivo la reggenza del geni-
tivo (GL III 216, 16-18 ‘fidus illius’ – Virgilius in XII: ‘... tui
fidissima ...’), che non è affatto menzionata nel lessico finale;
poco oltre presenta, invece, come costruzione normale di fidus
quella con il dativo (GL III 219, 1- 8 Huiuscemodi autem con-
134 COMMENTO

structiones, id est quae dativo adiunguntur tam nominum quam verbo-


rum, adquisitivas Graeci vocaverunt, id est περιποιητικάς, quae
nobis aliquid boni malive adquirunt. Quorum pleraque a verbis deri-
vantur vel generant verba suntque adiectiva, ut [...] ‘fidus’ , cuius
tamen superlativum etiam genetivo adiunxit Virgilius in XII […]),
descritta anche negli Atticismi. Il secondo uso di fidus e dei suoi
composti registrato nella voce in esame, con ad e l’accusativo,
non è, invece, ricordato altrove nell’Ars. Si tratta di una struttu-
ra sintattica estremamente rara e ammessa solo per indicare la
cosa in cui si confida o di cui si diffida, non la persona (ThlL s.
v. fidus [Bauer], VI 706, 55-63; s. v. infidus [Schmeck], VII.1
1418, 49-50). Per perfidus questa costruzione non è altrimenti
attestata (vd. ThlL s. v. perfidus [Oshiba], X.1 1389, 27-33). Li-
mitatamente al costrutto con con ad e l’accusativo il lemma fidus
… ad istum al maschile (come il greco ἄπιστος … πρὸς
τοῦτον) risulta improprio (sulla distinzione tra oggetti animati e
inanimati negli Atticismi vd. supra, pp. LIX-LXI). Nessun altro
grammatico tratta degli usi sintattici assegnati in questa voce a
fidus, infidus e perfidus.
CITAZIONI LATINE. Lucan. 7, 685- 686 non è citato altrove in
ambito grammaticale.
In Verg. Aen. 9, 648, che Prisciano considera un’attestazione
di fidus con ad e l’accusativo, ad limina è da considerarsi piutto-
sto connesso a custos (vd. Forbiger 1836-39, III, p. 370; Dingel
1997, pp. 241-242; nessuna osservazione al riguardo, invece, in
Heyne – Wagner 1830-33, III; Henry 1873- 89, III; Paratore
1982; Hardie 1994). Lo stesso fraintendimento, in cui è caduto
il nostro grammatico, potrebbe soggiacere anche allo scolio ad
loc. del Servius auctus, che rileva nel verso una particolarità
sintattica (Aen. 9, 645 ‘ad limina’ sane figuratum; ma cfr. Serv.
Aen. 1, 726 qui honoratiores erant liminum custodes adhibebantur, ut
‘qui … ad limina custos’, dove l’attenzione del commentatore è
rivolta al nesso di custos con ad e l’accusativo; 4, 133 AD LIMINA
ante, vel apud, dove si nota la funzione di stato in luogo del
sintagma costruito con ad). Sull’impiego del termine figura in
riferimento a usi sintattici inconsueti vd. supra, pp. 127-128.
PROBLEMI TESTUALI. L’indicazione errata del libro di prove-
32, 16-33, 2 135

nienza della citazione di Lucano (VIII invece che VII) si spiega


facilmente con una dittografia.
L’integrazione di que dopo fidus è necessaria solo se si ritiene
che Prisciano non potesse accogliere un esametro lievemente
zoppo come quello che risulta dall’omissione dell’enclitica. Il
correttore di T può aver ripristinato la congiunzione sulla base
della conoscenza diretta del testo virgiliano.

32, 16-33, 2 ἀπέρχομαι con accusativo o dativo: eo con


accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἀπελθεῖν) – sic etiam
Latini – citazioni latine (Cic. Mur. 26; Verg. Aen. 4, 467- 468).
La voce si trova nel gruppo di lemmi in α- inseriti tra quelli in
ε-; una sua redazione alternativa si trova in 12, 9-11.
LEMMA GRECO. Sulla sintassi di ἀπέρχομαι vd. supra, p. 31.
LEMMA LATINO. Sull’uso di eo con l’ablativo o l’accusativo
interno vd. supra, p. 32. Diversamente che nella prima redazio-
ne della voce, qui il lemma latino non viene esplicitato ma è
sostituito dall’indicazione Sic etiam Latini (vd. Spangenberg
Yanes 2014, pp. 119 e 122).
CITAZIONI LATINE. I due esempi latini impiegati in questa voce
si trovano anche nella sua prima versione (12, 10-11; vd. ad loc.).
PROBLEMI TESTUALI. L’omissione di pro nel titolo dell’orazione
ciceroniana deve essere un guasto intervenuto nella tradizione
manoscritta dell’Ars, giacché nell’altra occorrenza della medesi-
ma citazione (12, 10) il titolo è correttamente trasmesso.

33, 3- 4 ἀρέσκω con accusativo, ἀρέσκομαι con dativo:


placo con accusativo, placor con ab e ablativo o con
dativo, placeo con dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino. La
voce si trova nella serie di lemmi in α- collocati tra quelli in ε-.
LEMMA GRECO. Ἀρέσκω regge l’accusativo o il dativo sia
all’attivo che al mediopassivo (vd. LSJ s. v. ἀρέσκω, I.2-3; II;
III), mentre dalla formulazione del lemma priscianeo sembra di
dover ricavare che le due reggenze siano ripartite tra le due
diatesi del verbo (vd. anche infra).
136 COMMENTO

LEMMA LATINO. Ἀρέσκω corrisponde a placeo anche in Macr.


verb. 141, 8-11 De Paolis e nei glossari medievali (CGL II 151,
32; 244, 20-21; III 126, 38-40; 414, 9-14); l’equivalenza del
verbo greco e di placo(-r) non è, invece, attestata altrove. Essa
appare comunque legittima, giacché ἀρέσκω può rivestire,
accanto al valore di «please, satisfy» (LSJ s. v. ἀρέσκω, I.3 e II),
anche quello di «appease, conciliate» (ibid. I.1 e 2). Prisciano ren-
derebbe dunque con due differenti verbi latini, però corradicali,
i due usi sintattici e valori semantici del lemma greco.
La sintassi di placo non è discussa da altri grammatici.
Dell’uso personale di placeo Prisciano tratta anche in precedenti
sezioni dei libri De constructione, assegnando al verbo in questa
forma, come in quella impersonale, la reggenza del dativo: GL
III 158, 22-31 [scil. impersonalia verba] passivam quidem vocem
habentia ablativo vel dativo more passivorum coniunguntur […];
activam vero, si sint a perfectis verbis, eorum constructionem servant,
ut […] ‘placet mihi, quia placeo tibi’; sim. 230, 10-12 (cfr. GL II
187, 1). La costruzione con il dativo si ricava inoltre dal passo
di Macrobio in cui è spiegata la distinzione tra uso personale e
impersonale di placeo: verb. 141, 8~11 De Paolis ‘Placet mihi
lectio’ verbum est, ‘placet mihi legere’ impersonale est; ita et apud
Graecos ἀρέσκει μοι ἡ ἀνάγνωσις ad personam relatum est,
ἀρέσκει μοι ἀναγιγνώσκειν impersonale est.

33, 5-13 ἄρχω con genitivo o accusativo: incipio e coepio


con accusativo, impero con dativo o con dativo e accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – glossa semantica –
citazione greca (Soph. fr. 368 Radt) – primo lemma latino con
osservazione aggiuntiva – citazione latina (Verg. ecl. 8, 21 e 25
ecc.) – secondo lemma latino con osservazioni aggiuntive – cita-
zione latina (Verg. georg. 1, 99). La voce si trova tra i lemmi in
α- inseriti nella epsilon; una sua versione alternativa è in 9, 5-7.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di ἄρχω con
incipio e coepi è ampiamente attestata nei glossari bilingui (per
incipio CGL II 247, 2; III 72, 3 e 5- 6; 122, 64; 123, 2-5; 337,
13 e 17 e 19 e 21 e 23; 407, 53 e 56 e 58- 61; 408, 44; 451, 24;
508, 53 e 56 e 74; Gloss. biling. II 10, 7; per coepi CGL II 247,
33, 5-13 137

2; 325, 43; 102, 34). Ad eccezione della seconda persona singo-


lare dell’imperativo e della seconda persona plurale, di forma
attiva (CGL III 72, 4; 123, 1; 337, 7; 337, 15; 407, 55; 407, 57),
incipio corrisponde nei glossari sempre al medio ἄρχομαι invece
che all’attivo ἄρχω; la medesima equivalenza è attestata anche
in Macr. verb. 83, 8 De Paolis; Idiom. cas. GL IV 568, 4; Beda
orth. 39, 794-795 Jones. Inoltre κατάρχω, con cui in questa
voce è chiosato ἄρχω, corrisponde a incipio e coepio (oltre che
inchoo e ineo) in Prisc. Att. 52, 5- 8 (vd. infra, ad loc.). Su impero e
ἄρχω nella glossografia bilingue vd. supra, p. 13. Impero equivale
a προστάσσω, con cui Prisciano glossa qui una delle due sfu-
mature di significato, anche in CGL II 78, 14-15; 423, 6.
L’espressione nos quoque soli accusativo ‘incipio’ et ‘coepio’ verba
coniungimus, nella quale sono indicati gli equivalenti latini di
ἄρχω nel significato di ‘iniziare’, è in parziale contraddizione
con il lemma greco cui fa seguito, Attici ‘ἄρχω τοῦδε’ καὶ
‘τόδε’. Il verbo greco prevede, infatti, due reggenze alternative,
mentre quello latino ne ammette una sola, sicché appare impro-
prio l’uso dell’avverbio quoque. Casi simili di incoerenza si os-
servano anche in 30, 1; 40, 16; 68, 14; 93, 8 (cfr. ad locc.), e in
nessuno di essi si spiegano diversamente che con l’utilizzo
‘meccanico’, irriflesso, dell’espressione nos (et sim.) quoque.
Incipio e coepio, come correttamente osserva Prisciano, sono
usati solo transitivamente (vd. ThlL s. v. coepio [Spelthahn], III
1427, 83-1428, 42; s. v. incipio [J. B. Hofmann], VII.1, 915, 71-
916, 84). La costruzione di incipio con l’accusativo è descritta
anche in 52, 7- 8; lo stesso verbo è inoltre elencato tra gli activa
e transitiva in homines in GL III 267, 18. L’uso transitivo di inci-
pio è anche registrato in alcune raccolte di idiomata casuum
(Char. 383, 20; Diom. GL I 314, 35; Idiom. cas. GL IV 568, 4-
5; Dosith. 87, 9 Tolkiehn).
CITAZIONI LATINE. Verg. ecl. 8, 21 illustra la costruzione di
incipio con l’accusativo anche in 52, 8-9 (cfr. ad loc.). Verg.
georg. 1, 99 è già individuato come esempio del nesso di impero
con il dativo in 9, 5- 6 (vd. ad loc.).
PROBLEMI TESTUALI. La corruttela di et (coepio) in ex(coepio β;
cipio γδ), presente in tutti i tre rami di tradizione conservati per
138 COMMENTO

questa sezione del testo, è un probabile errore di natura grafica,


da annoverare tra le prove di un passaggio del testo in minuscola
già prima dell’archetipo α (vd. Rosellini 2015a, pp. XCV-XCVI).
In Soph. fr. 368 Radt la lezione ξΥΝαΙΝεCõΤα dei codici
priscianei è stata emendata da Madvig 1846, pp. 671- 672, e
Nauck (fr. 339, 3) in ξυναινέσονται (συν- Madvig) per ripri-
stinare una sintassi dotata di senso. La caduta di -ι davanti a τ-
(ταῦτα) si spiega facilmente con la somiglianza grafica delle due
lettere in maiuscola. La congettura ξυναινῶ di Scaligero, pro-
babilmente basata sulla lezione ξΙΝαΙΝCΟΤα di O (la confusio-
ne tra CΟ e ω è piuttosto comune), è inaccettabile sia per il
metro che per la sintassi. Riguardo al lavoro filologico condotto
da Scaligero sugli Atticismi vd. supra, pp. XLIII-XLIV e n. 3.

33, 14-34, 4 εἰς con accusativo per lo stato in luogo: in


con accusativo per lo stato in luogo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazioni greche
(Ar. Vesp. 123; Thuc. 1, 24, 7; Xenoph. Oec. 18, 1; Herod. 1,
14) – lemma latino, con osservazione aggiuntiva – citazioni
latine (Ter. Eun. 948; Ad. 269). Questa è la seconda redazione
di una voce già presente in 24, 12-25, 9. Rispetto a quel passo,
qui è aggiunto l’avverbio frequenter nella formulazione del lem-
ma greco. Tale notazione è altrimenti applicata da Prisciano
quasi esclusivamente alla lingua latina; essa si trova nell’espres-
sione dei lemmi greci solo altre tre volte (35, 1; 84, 6; 95, 6) ed
è verosimile che nella voce in esame costituisca un’aggiunta del
grammatico latino rispetto alla sua fonte atticista.
I nomi degli autori e delle opere greche citate sono qui par-
zialmente traslitterati o tradotti in latino, come è tipico della
seconda serie di lemmi in α-, che immediatamente precede que-
sta voce (vd. supra, p. LVIII). Rispetto alla prima redazione del
lemma manca inoltre la precisazione che in corrisponde a εἰς o
ἐν a seconda che il caso retto sia l’accusativo o l’ablativo (25, 3-4).
CITAZIONI GRECHE. I tre esempi utilizzati in questa voce si
trovano già nella sua prima versione (24, 12-25, 9: vd. ad loc.).
LEMMA LATINO. Sul trattamento delle due reggenze di in presso
i grammatici tardoantichi vd. supra, pp. 98-101.
34, 5-12 139

CITAZIONI LATINE. I due passi qui citati si trovano anche nella


prima redazione del lemma (24, 12-25, 9): vd. supra, ad loc.
PROBLEMI TESTUALI. Sulle varianti testimoniate da Prisciano
rispetto alla tradizione diretta dei loci classici greci e latini citati
sotto questo lemma vd. supra, pp. 102-104.

34, 5-12 εἰσέρχομαι con accusativo o dativo: intro con


accusativo, subeo con accusativo o dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (εἰσῆλθεν) – citazio-
ni greche (Isocr. De pace 110; Plat. Resp. 330d6) – citazioni
latine (Lucan. 10, 355; Verg. Aen. 10, 798-799; 9, 371; 6, 13).
LEMMA GRECO. Sebbene il lemma descriva sia la costruzione di
εἰσέρχομαι con l’accusativo che quella con il dativo, viene
esemplificata solo quest’ultima. Prisciano era comunque sicura-
mente interessato a entrambe le reggenze del verbo greco, come
provano gli esempi latini addotti di seguito, relativi alla costru-
zione di subeo (e intro) sia con l’accusativo sia con il dativo.
LEMMA LATINO. L’equivalenza di εἰσέρχομαι con subeo e intro
è testimoniata anche, rispettivamente, nello Ps. Cirillo (CGL II
463, 44) e nello Ps. Filosseno (CGL II 90, 57).
Intro, proposto da Prisciano come primo corrispettivo latino
del lemma greco, non rappresentava però una soluzione piena-
mente soddisfacente. Il suo uso transitivo, illustrato anche me-
diante la citazione di Lucan. 10, 355, è, infatti, del tutto co-
mune (vd. ThlL s. v. 2. intro [Frei], VII.2 57, 55-83; 58, 4-57),
mentre la costruzione con il dativo è più rara e non attestata
prima dell’età flavia (vd. ibid. 58, 58-70). Proprio l’impossibilità,
di conseguenza, di reperirne esempi negli autori della quadriga
Messii potrebbe aver indotto il nostro grammatico, anche qua-
lora egli avesse presente la possibilità di costruire intro con il
dativo, a cercare un secondo lemma latino, del quale si trovas-
sero occorrenze sia con il dativo sia con l’accusativo nei quat-
tro auctores tipicamente utilizzati negli Atticismi. Subeo corri-
sponde a εἰσέρχομαι sul piano sia sintattico sia semantico (i
due verbi condividono sia il significato materiale di “entrare”
che quello figurato di “venire in mente”: vd. LSJ s. v. εἰσέρ-
χομαι; OLD s. v. subeo).
140 COMMENTO

Le due reggenze di subeo sono registrate anche in Arus. 89,


12-17 Di Stefano; solo quella del dativo inoltre in Diom. GL I
312, 29. La costruzione del verbo con il dativo è qualificata dal
Servio danielino come un arcaismo sintattico (Aen. 4, 598 sane
hic ‘subisse’ iuxta praesentem usum accusativo iunxit, cum alibi anti-
que dativo usus sit, ut ‘subeunt luco’ et ‘muroque subibant’; 8, 125;
8, 363; 10, 797). Da uno spoglio sistematico delle occorrenze di
subeo nell’archivio del Thesaurus linguae Latinae risulta in effetti
che l’uso del verbo con il dativo è pressoché esclusivo della
poesia latina di età augustea (Verg., Prop., Ov.), dopo la quale
viene meno. Servio parla, invece, di impiego ‘figurato’ del ver-
bo nel commento a Virgilio (Aen. 7, 161 MUROQUE SUBIBANT
alibi per accusativum, ut ‘Aeneae … sustinuit’. et hoc secundum natu-
ram est, nam ‘it sub mucronem’ dicimus: per dativum enim figuratum
est; sull’uso di figura in ambito grammaticale vd. supra, pp. 127-
128), mentre in quello a Donato descrive il dativo di moto a
luogo, in dipendenza da verbi tra i quali subeo, come un caso a
sé stante (GL IV 433, 23-26 non nulli adiungunt octavum casum,
qui fit, cum quid per accusativum cum praepositione possumus dicere et
dicimus per dativum sine praepositione, ut ‘it clamor in caelum’ et ‘it
clamor caelo’ vel ‘subeunt ad murum’ et ‘subeunt muro’; vd. Murgia
1988, p. 494 n. 1). Una discussione più articolata della questio-
ne si trova in Pompeo, il quale spiega che questi particolari usi
del dativo possono essere intesi o come octavus casus o come
elocutiones: GL V 183, 32-184, 11 Legimus in quibusdam artibus
non quidem frequentatis etiam octavum esse casum [...], ut ‘it clamor
caelo’, ‘subeunt muro’. multi dicunt octavum esse casum, multi genus
esse elocutionis […]. ergo haec est elocutio, quae potest iungi accusativo
cum praepositione, si iungatur dativo sine praepositione. Certamente
diversa da quella di Servio e Pompeo è la prospettiva di Priscia-
no, che a proposito di subeo pone un’alternativa tra la reggenza
del dativo e dell’accusativo semplice piuttosto che tra il dativo e
un costrutto preposizionale.
CITAZIONI LATINE. La costruzione di subeo con l’accusativo in
Verg. Aen. 10, 798-799 è rilevata anche dal Servius auctus ad
loc. e in Aen. 8, 125. Il passo virgiliano è inoltre citato in Non.
403, 36-38, ma con un interesse semantico, sotto il lemma
34, 5-12 141

Subire, subdi, subponi. Gli altri esempi addotti da Prisciano in


questa voce non conoscono ulteriori occorrenze nella tradizio-
ne grammaticale latina, tuttavia per Verg. Aen. 9, 371, in parte
confondibile con Aen. 7, 161, vd. infra.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Isocr. De pace 110
Prisciano testimonia λογισμὸς αὐτοῖς in accordo con la secon-
da famiglia della tradizione isocratea (ΛΠΝ) e con P. Laur. inv.
III/983. Gli editori (Mathieu – Brémond, Mandilaras) optano,
invece, per la sequenza attestata nella prima famiglia, αὐτοῖς
λογισμός; cfr. E. Müller 1911, p. 26; Fassino 2014, p. 280.
Ancora nell’esempio isocrateo, come ha ricostruito Fassino
2014, p. 250 n. 7 e p. 280, la lezione αΥΤωι δεωC ΗΛΘεΝ per
αὐτοῖς εἰσῆλθεν è dovuta all’anticipazione di αΥΤωι δεωC
della successiva citazione platonica (che, infatti, contiene la
corruttela ΔεωC per δέος).
Lucan. 10, 355 è citato con la lezione intravit, inferiore a
invasit della tradizione diretta in quanto banalizza la metafora
bellica realizzata da invasit … domum (sulla quale vd. Haskins
1887, p. 379; Berti 2000, pp. 261-262). In Lucano invasit si trova
nella stessa sede metrica, a inizio di verso, anche in 9, 410; intravit
(e in generale forme di intro derivate dal tema del perfetto) non è,
invece, mai attestato nel Bellum civile. Intravit a inizio di esame-
tro occorre una sola volta in Virgilio (Aen. 8, 390), ma è piutto-
sto comune nella poesia, non solo epica, di età flavia (Stat. Theb.
2, 293; 11, 640; silv. 2, 2, 141; 3, 3, 86; 4, 8, 23; 5, 1, 146; Iuv.
6, 121; Sil. 1, 124; 5, 447; 9, 289; 13, 12; 13, 814). È possibile
che, insieme alla banalizzazione semantica, l’errore da parte di
Prisciano sia stato favorito anche dal ricordo di qualcuno di que-
sti versi – anch’essi di poeti iuniores come Lucano (ad es. Iuv. 6,
121 è citato in GL II 339, 17-19 per l’ablativo veteri). Sull’uso
degli iuniores in ambito grammaticale vd. supra, p. LXIX n. 68.
La corruttela del numerale VIIII in VIII nell’indicazione di
provenienza di Verg. Aen. 9, 371 si spiega facilmente come
aplografia di I seguita da un’altra I in iamque (cfr. Rosellini
2015a, pp. CXLIV-CXLV).
Il dativo muroque, attestato in questa citazione virgiliana (ma
corretto in murosque nei codici XUQ), potrebbe doversi a una
142 COMMENTO

confusione con Aen. 7, 161 muroque subibant (richiamato a pro-


posito della costruzione di subeo con il dativo in Arus. 89, 15;
cfr. Serv. auct. Aen. 7, 161). Il dativo singolare è però presente
anche in parte della tradizione diretta di Verg. Aen. 9, 371
(MRgjn, murosque in PVωγ; simili oscillazioni si danno anche
per altre occorrenze di subeo nel poema) ed è testimoniato nel
lemma di Serv. Aen. 9, 369 MURO Troianorum (MUROSQUE
SUBIBANT Troianorum, invece, nel Servius auctus, sul quale vd.
Murgia 1988, p. 494 n. 1; Spangenberg Yanes ics. [a]). Il sin-
tagma virgiliano è inoltre riportato con il dativo in Serv. auct.
Aen. 4, 598; 10, 797, dove è però difficile stabilire se lo scoliasta
si riferisca ad Aen. 7, 161 o 9, 371. Prisciano dunque potrebbe
non aver sovrapposto per errore Aen. 7, 161 e 9, 371, bensì
aver citato il secondo dei due versi con la variante muroque,
condivisa da alcuni testimoni di tradizione diretta e indiretta.
Nella stessa citazione, la variante portis per castris si deve,
invece, verosimilmente a un errore di memoria del grammati-
co, che potrebbe aver sovrapposto Aen. 9, 371 a Aen. 11, 621
iamque propinquabant portis. Anche due codici virgiliani di epoca
carolingia (b = Bern, Bürgerbibliothek, 165; r = Par. lat. 7926)
attestano portis in Aen. 9, 371, ma non è necessario supporre un
rapporto con il testo dell’Eneide utilizzato da Prisciano.

34, 13-14 ἐκκόπτομαι con accusativo di relazione: accu-


sativo di relazione
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐκκέκοπται) – cita-
zione latina (Verg. Aen. 1, 320).
LEMMA LATINO. Manca qui un corrispettivo semantico latino
di ἐκκόπτω/-ομαι, al quale Prisciano affianca direttamente
l’equivalente sintattico del costrutto greco, cioè l’accusativo di
relazione. Quest’uso è trattato anche in altre voci degli Atticismi
(14, 15-15, 2; 30, 9-31, 7; 86, 17-18: vd. ad locc.) e nella prima
metà del libro XVIII (GL III 220, 11~21 Accusativo quoque no-
minativi adiunguntur figurate, quando, quod parti accidit, hoc toti
redditur. et totum quidem per nominativum, pars autem per accusati-
vum profertur […]. et in omnibus subaudiendum ‘qui est’, etiam si
obliquentur […]. nam quicumque casus nominativo adiunguntur, etiam
35, 1-5 143

declinato construi possunt; cfr. GL II 362, 19-21). La nozione di


figura, evocata da Prisciano in riferimento a questa struttura
sintattica, le è applicata in tutta la tradizione grammaticale ed
esegetica latina (oltre ai passi citati di seguito vd. Porph. Hor.
carm. 1, 21, 12; sat. 1, 1, 5; Schol. Hor. carm. 4, 1, 5; Fortunat.
rhet. 3, 10; Ps. Iul. Ruf. schem. lex. 30 p. 55, 21-27; Schol. Pers. 1,
18, 7; Claud. Don. Aen. 1, 320 p. 68, 27-28; 3, 590 p. 340, 18-
19; cfr. Diederich 1999, pp. 175-194; Kalinina 2007, pp. 84-91;
Noske 1969, p. 249). In particolare Servio (Graeca figura: Aen. 1,
320; 1, 589; 3, 594; 5, 285; 5, 720; 11, 471; 12, 25; cfr. Uhl
1998, pp. 69 e 77-84) e Diomede descrivono l’accusativo di
relazione come grecismo sintattico, il secondo addirittura come
‘atticismo’: GL I 440, 16-23 Atthis, quae brevitati studet, admittit
soloecismos, quos cum docti fecerint, non soloecismi sed schemata logu
appellantur, ut est ‘nuda genu’ […]. ibi enim nudum genu habens
debuit dicere […]. sed serviens schemati quod appellatur hellenismos
tres partes orationis redegit in duas usus per Atticismon. Altrove, in-
vece, lo stesso Servio considera l’accusativo di relazione tipico
della lingua poetica (Aen. 1, 132 poetarum propria [scil. figura] est).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 320 è citato a proposito
dell’accusativo di relazione anche in GL III 220, 21-22; Att. 86,
17-18; inoltre in GL II 362, 17-19, per dimostrare che genu ha
la -u lunga anche nei casi diretti. Lo stesso uso sintattico è di-
scusso ad loc. da Servio e Claudio Donato (p. 68, 27-28). Il
verso è citato anche in Ps. Iul. Ruf. schem. lex. 30 p. 55, 22-23,
tra gli esempi di figura per accusativum; inoltre il solo sintagma
nuda genu è ricordato come esempio di figura in Diom. GL I
440, 18; Fortunat. rhet. 3, 10; Serv. Aen. 2, 132; Serv. auct.
Aen. 2, 273; Claud. Don. Aen. 3, 590 p. 340, 18-19; Schol.
Pers. 1, 18, 7; Schol. Hor. carm. 4, 11, 5.

35, 1-5 εἰ con congiuntivo: si


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazioni greche (Hom.
Il. 12, 239; 1, 136-137), con glosse sintattiche – lemma latino.
LEMMA GRECO. La particolare costruzione di εἰ con il con-
giuntivo (vd. Kühner – Gerth II.2, p. 474) è discussa da Priscia-
no anche nella prima metà del libro XVIII, certamente sulla
144 COMMENTO

scorta della stessa fonte atticista del lessico finale, come prova il
fatto che tale uso sintattico è ivi considerato tipico del dialetto
attico: GL III 241, 27-242, 2 invenitur autem ea coniunctio apud
Graecos [id est εἰ] non solum indicativo, sed etiam optativo et maxime
apud Atticos et subiunctivo sociata. In 19, 1-11 Prisciano tratta,
invece, dell’uso di εἰ con altri modi verbali: vd. supra, ad loc.
CITAZIONI GRECHE. Hom. Il. 1, 136-137 è citato in riferimen-
to alla costruzione di εἰ con il congiuntivo anche in GL III 242,
2- 4. Sia lì sia nella voce in esame l’uso di εἰ con il congiuntivo
è considerato equivalente a quello di ἐάν e con questo viene
glossato: GL III 242, 7 pro ‘ἐὰν μὴ δῶσιν’; Att. 35, 4 id est
‘ἐὰν μὴ δῶσιν’. Hom. Il. 12, 239 illustra la reggenza modale di
εἰ anche in Lex. Coisl. ε 76 (con la corruttela ἴσωσιν per ἴωσι).
LEMMA LATINO. Mentre il lemma greco concerne la costruzio-
ne peculiare di εἰ con il congiuntivo, sul versante latino Priscia-
no si limita a notare che si corrisponde sia a εἰ che a ἐάν, pre-
scindendo dalla reggenza modale della congiunzione. Il con-
fronto tra le due lingue viene sviluppato in modo più disteso nel
passo della prima metà del libro XVIII parallelo a questa voce
degli Atticismi: lì, infatti, il grammatico osserva che da si può
dipendere sia l’ottativo che il congiuntivo: GL III 242, 15-243,
2 nihil mirum igitur, ‘si’ coniunctionem apud nos, quae tam pro ‘ἐάν’
Graeca coniunctione […] quam pro ‘εἰ’ […] ponitur, utriusque con-
structionem, quam habent apud Graecos supra dictae coniunctiones, ad
verba servare, ut et indicativo et optativo et subiunctivo possit adiungi.
Nello stesso luogo sono inoltre addotti alcuni esempi latini di uso
di si con tutti i tre modi (GL III 243, 2-12), assenti dal lessico. La
mancanza di citazioni latine in quest’ultimo potrebbe doversi
all’intenzione del grammatico di non ripetere la trattazione già
proposta in precedenza e forse anche alla difficoltà oggettiva di
individuare in latino un fenomeno (e i relativi esempi) paragona-
bile all’alternanza del congiuntivo e dell’ottativo in greco.

35, 6- 8 concordanza di predicati verbali al plurale con


soggetti al singolare
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (εἰπέ μοι) – citazioni
latine (Ter. Ad. 634; Eun. 649).
35, 6- 8 145

LEMMA LATINO. Come segnala l’uso dell’espressione huic simile


(cfr. Spangenberg Yanes 2014, pp. 116-118), Prisciano indivi-
dua qui degli equivalenti solamente sintattici del lemma greco.
La concordanza di un soggetto plurale con un verbo singolare e
viceversa è un fenomeno attestato nel latino letterario sin
dall’epoca arcaica e molto diversificato al suo interno (vd. Ho-
fmann – Szantyr, pp. 430- 445); i due tipi esemplificati da Pri-
sciano (aperite aliquis; absente nobis) sembrano essere caratteristici
della lingua del teatro arcaico (ma cfr. Rhet. Her. 4, 11 praesente
multis): vd. Hofmann – Szantyr, pp. 430; 438; 445; per aperite
aliquis vd. anche ThlL s. v. aliquis (Vollmer), I 1615, 15ss.
Alla concordanza di parti del discorso (soprattutto soggetti e
predicati) di numero diverso è dedicata una delle rubriche
dell’excursus sulla variatio sintattica nel libro XVII (GL III 184,
6-185, 4 Construuntur igitur diversi numeri), dove tale costruzione
è definita ad sensum (GL III 184, 8; l’espressione non è registrata
nel lessico di Schad 2007). Prisciano torna sulla questione in un
successivo passo dello stesso libro, dove introduce inoltre il
concetto di figura (GL III 201, 20-23 diversi quoque numeri hoc
modo figurati reperiuntur […]. plurale singulari non ad dictionem, sed
ad sensum retulit). La stessa struttura sintattica è definita figura in
Don. Ter. Andr. 52, 2; Serv. auct. Aen. 1, 212; Porph. Hor.
carm. 4, 2, 50-51; epod. 16, 35-36 (su cui vd. Diederich 1999, p.
188 e n. 1009; Kalinina 2007, p. 87); Schol. Hor. epod. 16, 35.
Altri grammatici considerano, invece, simili costruzioni soleci-
smi per numerum/-os (Sacerd. GL VI 450, 2-3; Diom. GL I 454,
12-15; Char. 352, 7-9; Don. mai. 656, 12; Serv. GL IV 446,
37- 447, 1; Pomp. GL V 291, 20-21; Explan. in Don. GL IV
563, 25-27; Victorin. barb. 34, 22-35, 1 Niedermann). Proprio
riguardo alla concordanza a senso di soggetti e predicati di nu-
mero diverso, Servio (GL IV 447, 2-12) e Pompeo (GL V 292,
15-17; 296, 17-20) notano che un medesimo fenomeno poteva
essere di volta in volta qualificato come solecismo o figura/sche-
ma. Donato, invece, descrive la costruzione di Eun. 649 come
arcaismo oppure vi ipotizza l’ellissi di me o che absente abbia
valore di preposizione (“in assenza di” oppure “senza”): Ter.
Eun. 649, 1 aut subdistinguendum et subaudiendum ‘me’, aut
146 COMMENTO

ἀρχαισμός est figura ‘absente nobis’ pro ‘absentibus nobis’; 649, 2


‘Absente nobis’ cum dicit, pro praepositione ponit ‘absente’, ut si dice-
ret ‘coram amicis’ (cfr. Non. 154, 13 praesente, coram vel praesenti-
bus; vd. anche Jakobi 1996, pp. 82- 84). La classificazione come
arcaismo è proposta anche in Don. Ter. Ad. 634, 2 proprie enim
veteres et quis et aliquis et quisquam non observabant quo genere aut
quo numero declinarent. est ergo figura ἀρχαισμός. È meno signifi-
cativo, invece, e ha l’aria di essere un autoschediasma, il primo
scolio donatiano a questo verso: vim pluralem habet ‘aliquis’,
quamvis singulare videatur; non est enim aliquis nisi de multis. recte
ergo ‘aperite aliquis’; cfr. Non. 76, 15-16 APSENTE NOBIS et
PRAESENTE NOBIS, pro praesentibus et absentibus nobis.
CITAZIONI LATINE. Ter. Ad. 634 illustra la concordanza di un
predicato verbale plurale con un soggetto singolare anche in
GL III 184, 19-20; Att. 102, 8. Nella voce in esame la citazione
è impropriamente attribuita all’Eunuchus (Terentius in eunucho).
In GL III 184, 18 l’indicazione di provenienza è, invece, lascia-
ta in sospeso (cfr. Rosellini 2015a, pp. XCVII-XCVIII), come si
ricava da una nuova collazione dei testimoni altomedievali (quo-
modo idem in RTMWL, in s. l. add. I; quomodo idem FXOQIp
[ubi ras. sequitur], e corr. W; quomo idem E | eadem s. l. add. RT,
in eadem s. l. add. FX, in ipsa fabula in mg. add. p | 184, 19 quo-
modo – 185, 4 κενοί om. Z). Impropriamente Hertz stampa
quomodo idem, espungendo in, così da far sembrare che anche
nel libro XVII Prisciano attribuisca la citazione di Ter. Ad. 634
all’Eunuchus, i cui vv. 1-3 sono citati subito prima (GL III 184,
15-19). La provenienza del verso è indicata correttamente solo
in Att. 102, 8 (Terentius in adelphis), dove esso è oltretutto ripor-
tato in forma più estesa che nei due luoghi precedenti (aperite
aliquis actutum ostium). La discrepanza tra la terza occorrenza
della citazione e le prime due si può spiegare con delle oscilla-
zioni della facoltà mnemonica di Prisciano o con un controllo
diretto del testo di Terenzio (o di una fonte intermedia). Su
Don. Ad. 634 vd. supra; il commentatore riporta inoltre questo
passo, quale esempio di figurata locutio, nello scolio ad Andr. 55,
dove è richiamato anche Eun. 1-3, sicché non è impossibile che
Prisciano proprio da qui abbia derivato i due passi, citati in
35, 9-10 147

sequenza nel libro XVII. Ter. Eun. 649 è citato anche da Arus.
13, 1-2 Di Stefano, sotto il lemma ABSENTE plurali numero.
PROBLEMI TESTUALI. Prisciano cita Ter. Eun. 649 con l’omissio-
ne di profecto e l’aggiunta di aliquid, che non sono condivise da
Arusiano (13, 1-2): se il passo proviene ai due grammatici da una
fonte comune, il suo dettato deve essersi alterato in uno stadio
della tradizione del repertorio originario posteriore all’utilizzo
dello stesso da parte di Arusiano. Altrimenti si può concludere
che essi lo abbiano citato indipendentemente l’uno dall’altro.

35, 9-10 εἰς con genitivo (e accusativo sottinteso): ad


con genitivo (e accusativo sottinteso)
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione latina
(Ter. Ad. 582).
LEMMA GRECO. Il sintagma εἰς Διονύσου non è attestato in
nessuna opera conservata. Il confronto, istituito da Prisciano,
con il latino ad Dianae conferma comunque che egli leggesse
già nel lemma greco un nome di divinità e dunque la correttez-
za della paradosi su questo punto.
LEMMA LATINO. Sia Donato (Ter. Ad. 582, 2 UBI AD DIANAE
VENERIS sic absolute dicebant non addito ‘templum’. Sallustius ‘ad
Iovis mane veni’) sia i commentatori di Orazio (Porph. Hor. sat.
1, 9, 35 VENTUM ERAT AD VESTAE. Subaudiendum: ‘aedem’, aut
quid tale. ‹Conv›eniunt nescio quomodo τῆ‹ι› ἐλλ‹ε›ίψει [rei latione
sui] loca sacra […]. Sic denique nos hodie ‘in Claudi’ vel ‘in Telluris’
dicimus, nec addimus ‘aedem’ aut ‘templum’; sim. Schol. Hor. sat. 1,
9, 35) spiegano i nessi di in e ad con il genitivo di nomi propri
di divinità sottintendendo il sostantivo “tempio” in accusativo
(vd. ThlL s. v. ad [von Mess], I 473, 39- 42; 486, 31-35; 522,
46-54). La stessa interpretazione è proposta da Arus. 12, 15 Di
Stefano AD ILLIUS QUAERO, ut subaudiatur ‘templum’ sive ‘fa-
num’. Poiché la voce in esame consta della sola giustapposizione
del lemma greco e della citazione latina, non è possibile stabilire
se anche Prisciano accogliesse questo tipo di spiegazione.
CITAZIONI LATINE. Ter. Ad. 582 è citato per illustrare la co-
struzione di ad con il genitivo di un nome di divinità anche in
Porph. Hor. sat. 1, 9, 35; Schol. Hor. sat. 1, 9, 35.
148 COMMENTO

PROBLEMI TESTUALI. In Ter. Ad. 582 Prisciano testimonia


perveneris invece di veneris della tradizione diretta; la variante è
frutto o di un errore di memoria del grammatico o di una cor-
ruttela già presente in un repertorio di elocutiones, se questa cita-
zione proviene da a una fonte intermedia.

35, 11-14 εἷς ἕκαστος: unusquisque


STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Plat. Resp. 394e3-
4) – citazioni latine (Sall. Catil. 21, 4; Cic. Catil. 4, 12).
LEMMA GRECO. Ἕκαστος, da solo, è lemma anche di un’altra
voce del lessico (37, 15-38, 2; vd. ad loc.).
LEMMA LATINO. La corrispondenza di εἷς ἕκαστος e unusqui-
sque è attestata anche nei glossari bilingui (CGL III 466, 59;
516, 41); la scelta lessicale di Prisciano in questa voce degli
Atticismi è del tutto coerente con quella compiuta in 37, 15-38,
2, dove ἕκαστος è reso in latino con quisque.
CITAZIONI LATINE. Sall. Catil. 21, 4 e Cic. Catil. 4, 12 non
conoscono altre citazioni nella tradizione grammaticale latina.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione Plat. Resp. 394e3- 4 è
omesso ἄν davanti a ἐπιτήδευμα; l’aplografia potrebbe aver
caratterizzato già un’antica recensione del testo di Platone ovvero
essersi verificata nella tradizione del lessico fonte di Prisciano.
In Cic. Catil. 4, 10 Prisciano omette nostrum dopo unumquem-
que forse perché inessenziale a illustrare il lemma unusquisque.
Alcune delle prime edizioni a stampa di Prisciano, quella
milanese del 1476 (forse a cura di Benedetto Brugnoli) e quella
veneziana, del 1492, a cura di Filippo Pinzi, introducono in
questo passo una citazione di Xenoph. Hell. 1, 7, 23, che non
poteva essere tratta da alcuna edizione a stampa dell’opera greca,
all’epoca ancora inedita (l’editio princeps è del 1503): τούτων
ὁποτέρῳ βούλεσθε, ὦ ἄνδρες Ἀθηναῖοι, τῷ νόμῳ κρι-
νέσθων οἱ ἄνδρες κατὰ ἕνα ἕκαστον. Spengel 1826, p. 610,
ritiene che l’integrazione sia genuina e non una delle tante in-
terpolazioni presenti nelle edizioni umanistiche di Prisciano;
considerazioni più caute si leggono in Hertz 1855-59, II, p. VIIII;
Rosellini 2015a, pp. CXXXIV-CXXXV e n. 158. Un caso analogo
si verifica con l’aggiunta di Tucidide in 38, 7-10 (vd. ad loc.).
36, 1-14 149

36, 1-14 participi in luogo di verbi di modo finito


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco e latino insieme (Par-
ticipia pro verbis) – citazioni greche (Xenoph. Hier. 7, 1
ὀρεγόμενοι; Phryn. Com. fr. 80 Kock = Phryn. Trag. 3 F 20
Snell ἀτιμάσας), con glosse sintattiche – citazione latina (Ter.
Andr. 621), con glossa sintattica – ulteriori osservazioni di carat-
tere teorico – citazioni latine (Verg. Aen. 1, 234-237; Cic. Lig.
9), con glosse sintattiche.
LEMMA GRECO. L’individuazione stessa dell’originario lemma
greco di questa voce è problematica. Esso, infatti, non è esplici-
tato e non è neanche ricavabile dalle due citazioni greche che
seguono, nessuna delle quali contiene un vocabolo iniziante per
ε- che potesse essere il lemma di una voce riguardante l’uso dei
participi in luogo dei verbi di modo finito. Le glosse sintattiche
apposte ai due esempi e il confronto, sviluppato da Prisciano,
con l’ellissi di sum nel passivo dei tempi derivati dal tema del
perfetto sostengono tuttavia l’ipotesi – avanzata da Rosellini
2015a, pp. 121 e 130 – che il fenomeno cui era dedicata questa
voce nel lessico fonte fosse l’ellissi di εἰμί accanto a un partici-
pio (cfr. Kühner – Gerth II.2, pp. 98-101); si spiegherebbe così
anche la collocazione del lemma tra quelli in ει-.
CITAZIONI GRECHE. Il trimetro giambico trasmesso da Priscia-
no sotto il nome di Phroenicus, attribuito da Meineke e Kock al
commediografo, è stato, invece, edito da Snell tra i frammenti
di Frinico tragico ed è pertanto escluso dai frammenti
dell’omonimo poeta comico da Kassel – Austin, che non lo
registrano neanche tra i dubia. E. Müller 1911, p. 2, si pronun-
cia per l’attribuzione al commediografo, senza però portare
alcun argomento a sostegno di questa ipotesi. Più recentemente
Sonnino 2014, pp. 185-187, ha rilevato a questo riguardo lo
scarso ricorso, nella lessicografia atticista, a esempi tratti dalla
tragedia, rispetto all’uso massiccio della commedia attica, e il
fatto che l’unica altra citazione attribuita a un Phroenicus nell’Ars
Prisciani è certamente tratta da una commedia, come indica il
titolo dell’opera di provenienza (GL III 173, 4 Phroenicus
Ποαστρίαις = fr. 41 K.-A.; sull’impiego, in questo brano del
libro XVII, di materiali desunti dal lessico atticista cfr. pp. XLIII;
150 COMMENTO

234). Il frammento di Frinico citato in Att. 36, 4-5 contiene


alcuni elementi che appartengono effettivamente al registro
tragico. In generale l’aoristo di ἀτιμάζω (Aesch. Suppl. 171;
378; Prom. 207; 783; Sept. 1018; Eum. 712; Soph. Ant. 22; 77;
544; OC 286; 1273; Eur. Alc. 373; Med. 33; 1354; Heraclid.
227; Hipp. 611; 1040; Suppl. 230; 302; Herc. 556; 608) e in
particolare l’esortazione formulata con μή μ’ e una forma del
congiuntivo aoristo di ἀτιμάζω (Aesch. fr. 255 Radt; Soph.
OC 49; 1409) appaiono esclusivi della lingua tragica. L’invoca-
zione ὦ φίλτατ’ ἀνδρῶν si trova anche in Aesch. Sept. 677;
Ag. 1654; Eur. Hec. 953; Herc. 531; Hel. 625; Ba. 1316; Soph.
Tr. 232; El. 23; ma non manca qualche occorrenza in comme-
dia (Ar. Eq. 611; 1335; Plut. 788). Se dunque appare più proba-
bile, in base alla selezione di autori propria della fonte di Pri-
sciano e in generale alla predilezione della lessicografia atticista
per la commedia rispetto alla tragedia, che la citazione in 36, 4-
5 appartenga a Frinico comico, alcune peculiarità linguistiche al
suo interno consentono di ipotizzare che il trimetro facesse
parte di un contesto paratragico.
LEMMA LATINO. La formulazione del lemma è certamente elabo-
rata da Prisciano in autonomia rispetto alla sua fonte atticista,
come prova la sua piena congruità con il frasario del grammatico
latino (cfr. ad es. 94, 13 participia pro infinitis; 112, 7- 8 infinita
verba pro participiis). L’uso dell’espressione verbum substantivum (o
substantivum verbum) per designare il verbo sum è esclusivamente
priscianeo (cfr. GL II 419, 21; 550, 8; 565, 1; 580, 11; 582, 11;
588, 24; III 12, 25; 69, 18; 129, 8; 152, 24; 153, 18 e 28; 154, 10
e 13; 166, 13; 203, 5; 210, 13; 212, 8; 213, 14; 215, 9; 226, 19;
239, 3; Att. 60, 3) e corrisponde all’impiego dell’aggettivo ὑπαρ-
κτικός da parte di Apollonio Discolo (GG II.2 61, 24; 89, 15;
90, 1; 207, 14; 235, 14; 304, 4; 309, 3; cfr. Schad 2007, p. 386).
Nessun altro grammatico tratta dell’omissione del verbo sum
nelle forme passive dei tempi derivati dal tema del perfetto né in
generale dell’uso del participio in luogo di verbi di modo finito.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 234-237 occorre anche in
GL II 424, 22; III 153, 22; 257, 23; Att. 69, 11; in tutti i quat-
tro luoghi, diversamente che nella voce in esame, illustra un
36, 1-14 151

particolare uso del congiuntivo (tenerent). Ter. Andr. 621 è cita-


to anche in Serv. Aen. 1, 519 (ma non per un motivo sintatti-
co). Cic. Lig. 9 non è attestato altrove in ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. In Xenoph. Hier. 7, 1 ἐπειδή è una va-
riante adiafora testimoniata da Prisciano per ἐπεὶ δέ della tradi-
zione diretta. Nella medesima citazione αὐτοῦ dopo ταῦτα
potrebbe essere stato deliberatamente omesso dal compilatore
del lessico fonte perché inessenziale a illustrare il costrutto lem-
matizzato; d’altra parte il fatto che l’intera proposizione ἐπεὶ …
εἶπεν sia poco pertinente al lemma – e che dunque il lessico-
grafo antico non si sia molto curato di tagliare opportunamente
la citazione – potrebbe suggerire che il pronome fosse, invece,
assente già dal testo senofonteo di cui egli si servì. Ancora, la
variante τῷ ἔργῳ in luogo di ἔφη, ὦ Ἱέρων potrebbe essere
stata già presente nel testo di Senofonte da cui fu tolta la citazio-
ne. Non si può però escludere completamente che si tratti di una
corruttela prodottasi nella tradizione manoscritta dell’Ars: se,
come è del tutto comune nella prassi del compilatore del lessico
fonte, l’incidentale ἔφη era stato tagliato dall’esempio, la cor-
ruttela di ὦ Ἱέρων (ωΙΕΡωΝ) in τῷ ἔργῳ (ΤωΙΕΡΓωΙ) potreb-
be spiegarsi con la somiglianza grafica delle due lezioni. In ogni
caso τῷ ἔργῳ è certamente una variante inferiore, giacché Seno-
fonte non impiega mai questo dativo semplice con il significato
di “di fatto, nei fatti”, che dovrebbe rivestire nel passo.
La lacuna alla fine della citazione di Senofonte (-αι ἡ τιμή,
ἧς ὀρεγόμενοι οἱ ἄνθρωποι suppl. Ald.), che non si giustifica
in base al contesto, cioè non sembra essersi prodotta per saut du
même au même, potrebbe doversi all’omissione di un intero rigo
di scrittura. La porzione di testo omessa contiene 29 caratteri,
una cifra assai vicina a quella stimata da Bianconi 2014, pp. 331-
332, per l’esemplare dell’Ars vergato da Flavio Teodoro (28 ca-
ratteri per rigo), sulla base del confronto con le ‘Pandette Fio-
rentine’. L’integrazione è necessaria a rendere conto della perti-
nenza della citazione al fenomeno sintattico oggetto della voce.
In Ter. Andr. 621 Prisciano sottintende es accanto al partici-
pio meritus; gli editori moderni ritengono, infatti, che in questo,
come in altri casi, si verifichi una prodelisione di es preceduto
152 COMMENTO

da -us (meritu’s). Nei manoscritti della tradizione diretta prevale,


invece, in genere la scriptio plena nei casi di prodelisione (vd.
Kauer – Lindsay – Skutsch, praef.; cfr. Leumann, p. 123; Que-
sta 1967, p. 24). Gli studi moderni rilevano concordemente la
molto maggiore rarità della prodelisione di es rispetto a quella di
est e la difficoltà di individuarla, sia perché sempre identica nelle
iscrizioni e nei manoscritti alla forma con la semplice omissione
del verbo sia perché per lo più non distinguibile da quest’ultima
neanche sotto il profilo metrico (vd. Leumann, pp. 123-124;
220; Ritschl 1848, I, p. CIX; C. F. W. Müller 1869, p. 50; Leo
1912, pp. 283-284; Laidlaw 1938, pp. 30-32; Pezzini 2015, pp.
36; 90-93; 96. Olsen 1884 e Hofmann – Szantyr, p. 422, solle-
vano dei dubbi sull’arbitrarietà degli editori nell’opzione per la
prodelisione o per l’ellissi del verbo sum). Nel caso specifico del
passo citato da Prisciano, Ter. Andr. 621, dove meritu’s sarebbe
metricamente equivalente a meritus perché seguito da consonan-
te (crucem), occorre comunque notare che, se non si ammettesse
la prodelisione, il semplice participio meritus finirebbe per essere
collegato a un soggetto, cioè all’interlocutore dello schiavo,
diverso da quello richiesto dal senso del contesto.
Lo stesso problema potrebbe porsi anche per Verg. Aen. 1,
237, dove Ribbeck opta per la grafia pollicitu’s (cfr. Ribbeck
1866, pp. 153-154; Weidner 1869, pp. 135-136; Leumann, p.
124). La sua congettura non è però stata accolta da alcuno degli
editori successivi, che mettono tutti a testo la forma pollicitus dei
codici (Sabbadini, Goelzer, Mynors, Paratore, Perret, Geymo-
nat, Conte; cfr. Conington – Nettleship 1884, p. 30), secondo
un’interpretazione del passo analoga a quella datane da Priscia-
no. Sebbene nella glossa deest ‘es[t]’ la tradizione si divida tra le
lezioni es (δXJ, W p. c.) e est (βγ, TE p. c.; inoltre est vel es D),
è piuttosto improbabile che Prisciano non avesse presente il
fatto che nel contesto virgiliano da cui è tratta la citazione polli-
citus è concordato con un soggetto di seconda persona singolare.
La corruttela di es in est si sarebbe potuta produrre per assimila-
zione al seguente deest e sarebbe stata favorita dall’assenza di
elementi, nella citazione virgiliana, che chiariscano se pollicitus si
riferisca a una seconda o terza persona.
36, 15-16 153

Le difformità rispetto alla tradizione diretta nell’escerto di


Cic. Lig. 9 (queritur se prohibitum invece di prohibitum se a Liga-
rio queritur) si spiegano probabilmente con una citazione mne-
monica oltre che forse con l’intenzionale omissione del com-
plemento d’agente.

36, 15-16 εἰς ὀρθὸν φρονέω: in hunc modum


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (εἰς ὀρθὸν φρονῶ)
– citazione latina (Sall. hist. fr. 1, 76), con glossa sintattica.
LEMMA GRECO. L’unica altra attestazione del primo nesso lem-
matizzato da Prisciano, εἰς ὀρθὸν φρονῶ, è in Soph. fr. 612
Radt (= Antiatt. α 10). La seconda parte del lemma, εἰς
ταύτην πρόθεσιν, che non trova alcun riscontro nella lettera-
tura greca conservata, nella quale non occorre mai il nesso pre-
posizionale εἰς … πρόθεσιν, è stata sospettata da Ferri 2014, p.
110, di essere esito di un fraintedimento o di un guasto testuale
della fonte di Prisciano (cfr. Valente 2014, pp. 70-71). Lo stu-
dioso osserva che πρόθεσις è termine tecnico grammaticale,
sicché in un precedente stadio della tradizione lessicografica
avrebbe potuto far parte dell’interpretamentum piuttosto che del
lemma. In ogni caso la locuzione latina scelta da Prisciano come
equivalente del lemma greco, in hunc modum, sembra rispondere
soprattutto al secondo membro del lemma greco, come prova la
presenza dell’aggettivo dimostrativo in entrambe le espressioni.
Il grammatico doveva pertanto intendere εἰς ταύτην πρόθεσιν
(che poteva interpretare come “in questa disposizione, in que-
sto modo”) come parte effettiva del lemma, nonostante egli
avesse certamente familiarità con πρόθεσις quale vocabolo
proprio della terminologia grammaticale.
CITAZIONI LATINE. La citazione sallustiana inserita da Prisciano
in questo passo non corrisponde a nessun luogo delle opere
conservate per via diretta ed è inclusa da Kritz e Maurenbrecher
tra i frammenti del libro I delle Historiae. Più prudentemente,
invece, La Penna – Funari hanno escluso l’escerto, che il gram-
matico riporta senza indicare il titolo né il numero del libro
dell’opera di provenienza, almeno dai frammenti del primo
libro. Sallustio impiega la stessa espressione, ma all’ablativo sem-
154 COMMENTO

plice, in Iug. 84, 5 hoc modo disseruit (citato in Explan. in Don.


GL IV 542, 27-28 per il perfetto disseruit) e hist. fr. 2, 47 hoc
modo in contione populi disseru‹it›: è pertanto possibile che Priscia-
no avesse in mente uno di questi due passi, più probabilmente il
primo, e ne conoscesse un testo diverso da quello della tradizio-
ne diretta, con la variante in hunc modum, oppure abbia erronea-
mente sostituito quest’ultima al genuino hoc modo citando il
passo a memoria. Per una discussione più dettagliata vd. Rosel-
lini 2011, pp. 192-193. Si noti inoltre che la locuzione in hunc
modum disseruit citata da Prisciano occorre tre volte in Tacito
(hist. 2, 96; 4, 57; ann. 14, 42) e che in generale l’uso di in hunc
modum insieme a verba dicendi per introdurre un discorso diretto
è una modalità espressiva tipica della prosa storiografica a partire
da Livio (31, 13, 10; 37, 45, 11; vd. anche Val. Max. 2, 7, 15;
2, 9, 15; 5, 7, 2; 6, 2, 11; Tac. Agr. 29, 4; hist. 1, 15; 1, 29; 4,
64- 65; ann. 1, 58; 2, 71; 3, 50; 12, 10; 12, 36; cfr. ThlL s. v. hic
[Schmid], VI.3 2745, 28-36; s. v. in [J. B. Hofmann], VII.1
757, 47-56; s. v. modus [Lumpe], VIII 1280, 5-12). Essa non è
inoltre sconosciuta alla lingua dei grammatici tardoantichi, alcu-
ni dei quali, pur condividendo con gli altri autori latini coevi e
precedenti una netta predilezione per il sintagma all’ablativo
(semplice o preceduto da in), adottano talvolta anche la locuzio-
ne in hunc modum (Char. 291, 7 e 16; Diom. GL I 324, 34; 364,
16; 367, 30; 416, 16 e 28; 521, 9; Explan. in Don. GL IV 550,
17; Bass. metr. 148, 461 Mazzarino; Mall. Theod. metr. 45, 9
Romanini). L’espressione in hunc modum è inoltre utilizzata per
introdurre discorsi diretti o esposizioni dettagliate di alcune
norme legali nei testi giuridici (ad es. Scaev. dig. 12, 6, 67, 3;
Mod. dig. 31, 1, 34, 6; Paul. dig. 32, 1, 97 praef.; 48, 18, 8
praef.; Iulian. dig. 45, 3, 1, 6). Sebbene Prisciano non impieghi
mai egli stesso in hunc modum, non è comunque impossibile che
questa locuzione gli fosse nota dalla lettura non solo degli autori
antichi ma anche dei testi tecnici, grammaticali e giuridici, di
epoca tardoimperiale. La familiarità con questi ultimi oppure la
consapevolezza che in hunc modum seguito da un verbum dicendi
costituisce un’espressione tipica della lingua degli storici latini
potrebbero aver indotto il grammatico in errore, portandolo a
37, 1-2 155

citare Sall. Iug. 84, 5 con la variante in hunc modum per hoc modo.
Può essere utile ricordare, in questa prospettiva, che l’unica altra
citazione di Sallustio negli Atticismi che sia priva dell’indicazione
del titolo dell’opera (61, 16) risulta dall’impropria sovrapposi-
zione di due passi (Iug. 95, 2 e Catil. 5, 9; vd. infra, ad loc.).

37, 1-2 ellissi di εἰς: accusativo semplice di moto a luogo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (μυστήρια), con
glossa sintattica – citazione latina (Verg. Aen. 1, 2), con glossa
sintattica. La voce è solo apparentemente collocata extra ordinem,
giacché il lemma greco sottinteso è εἰς, di cui si tratta l’ellissi.
LEMMA GRECO. L’espressione greca lemmatizzata non si trova
in nessun testo letterario conservatoci e probabilmente è stata
ricavata da un’opera perduta. Rosellini 2015a ad loc. ipotizza
che si tratti di un frammento comico: in effetti il lemma nella
forma tràdita potrebbe essere parte di un trimetro giambico.
LEMMA LATINO. Prisciano e la maggior parte degli altri gram-
matici latini annoverano l’accusativo semplice di moto a luogo
dei nomi di città tra gli usi avverbiali del caso (GL III 64,
11~65, 4 sed nomina vel pronomina esse dicimus loco adverbiorum
posita per diversos casus: […] per accusativum, ut ‘Romam, Athenas’;
66, 4-7; cfr. Char. 241, 11-12; 243, 23-26; Diom. GL I 404,
33- 405, 3; Don. mai. 643, 9-10; Cledon. GL V 22, 3-5; Pomp.
GL V 252, 8-253, 3). Tuttavia quest’uso è considerato normal-
mente circoscritto ai nomi di città e non anche di province o
regioni (Diom. GL I 405, 13-16; Don. mai. 643, 10-12 ; 657,
9-10; Cledon. GL V 21, 23-24; Pomp. GL V 291, 30-292, 3;
cfr. Explan. in Don. GL IV 564, 9-12; Prisc. GL III 134, 8-9). I
rilievi dei grammatici antichi a questo proposito sono tra l’altro
confermati dagli studi linguistici moderni (vd. Hofmann –
Szantyr, p. 50). Dunque è con riferimento al peculiare uso
dell’accusativo semplice di un nome di provincia invece che di
città, e non per il generico uso dell’accusativo semplice di moto
a luogo, che Prisciano e alcuni altri grammatici rilevano la par-
ticolarità sintattica dell’ellissi della preposizione davanti a Italiam
in Verg. Aen. 1, 2 (Explan. in Don. GL IV 511, 32-34 sed et
provinciarum nominibus quamquam dixerimus arte praepositiones iungi
156 COMMENTO

[non posse], contrarium tamen usurpavit auctoritas, ‘Italiam … litora’;


Cledon. GL V 65, 3- 6 antiqui autem alia consuetudine utebantur: et
civitatibus praepositiones iungebant et provinciis detrahebant versa vice,
ut Vergilius ‘Italiam … profugus’ pro ad Italiam, quod rectius nos
civitatibus demimus, provinciis applicamus).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 2 esemplifica l’omissione
della preposizione anche in GL III 156, 10-11 (deest ‘ad’ praepo-
sitio); Att. 114, 7 (pro ‘in Italiam’). Nel libro VIII lo stesso passo
è citato, con un taglio più ampio (Aen. 1, 1-3), in riferimento
all’uso del perfetto per esprimere anteriorità nel passato in luogo
del piuccheperfetto (GL II 416, 9-11). Il luogo virgiliano è
trattato come esempio di ellissi della preposizione anche in
Diom. GL I 450, 23-24; Explan. in Don. GL IV 511, 32-34;
Cledon. GL V 65, 3- 6. L’omissione della preposizione in que-
sto verso è inoltre notata da Serv. auct. Aen. 1, 52.

37, 3- 4 εἰς ἕν: in unum


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con glossa semantica
– lemma latino, con glossa semantica – citazione latina (Sall.
Catil. 17, 2).
LEMMA LATINO. Nessun altro grammatico si occupa specifica-
mente dell’espressione in unum.
CITAZIONI LATINE. Sall. Catil. 17, 2 non è citato altre volte in
ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Sall. Catil. 17, 2 Pri-
sciano omette omnis dopo in unum, forse perché inessenziale
all’illustrazione del sintagma cui è dedicata questa voce del lessi-
co, come riteneva già Nitzschner 1884, p. 94.

37, 5- 6 εἰς ὅσον ἡλικίας e οὐδενὸς χείρων: hoc aetatis e


nihilo minus
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino. Il
fatto che Prisciano abbia formulato, a partire da questo, un
lemma latino diviso «in due tronconi» non pare indizio suffi-
ciente a concludere che il grammatico leggesse nella sua fonte
‘εἰς ὅσον ἡλικίας’ καὶ ‘οὐδενὸς χείρων’ e che la congiunzio-
ne sia stata omessa nel corso della tradizione dell’Ars, come
37, 5-6 157

vorrebbe Hertz, che la integra (GL III 305, 23), e come dubita-
tivamente suggerisce Ferri 2014, p. 110 n. 47. Un’ipotesi più
economica è che Prisciano abbia frainteso la sua fonte e reso in
latino con il polisindeto (‘hoc aetatis’ et ‘nihilo minus’) l’asindeto
di quelle che egli considerava due parti distinte del lemma
greco (‘εἰς ὅσον ἡλικίας ἥκει, οὐδενὸς χείρων’). Il lemma
greco sarebbe corretto nella forma tràdita e riprodurrebbe fedel-
mente – come in altri casi – la citazione protolemmatica (Plat.
Charm. 157d7-8: vd. infra), inclusa una pericope, οὐδενὸς
χείρων, che non era pertinente al costrutto da lemmatizzare
(εἰς ὅσον con il genitivo partitivo).
Ancora riguardo al rapporto tra lemma greco e latino in
questa voce, non sembra necessario dedurre da minus – come fa
Ferri 2014, p. 110 – che Prisciano leggesse nella sua fonte la
variante χεῖρον per χείρων della tradizione diretta platonica.
Questo implicherebbe una poco economica sequenza di altera-
zioni del testo annullatesi a vicenda (χείρων > χεῖρον >
χείρων). Piuttosto, data l’estrema rarità dell’espressione nihilo
minor (Caes. civ. 2, 17, 2; Catull. 28, 12; Liv. 3, 51, 5; 26, 20, 5;
Gell. 1, 19, 8) e considerato che Prisciano non traduce ad ver-
bum neanche la prima parte del lemma greco (vd. infra), non
appare strano che egli abbia individuato un corrispettivo latino
del lemma greco in un’espressione a esso sovrapponibile per
semantica e sintassi ma non per il genere (cfr. 39, 11-12, dove
ἔλαττον è reso con minor).
LEMMA GRECO. Come già indicato da E. Müller 1911, p. 2, e
più recentemente da Ferri 2014, p. 110, il lemma di questa
voce è certamente desunto da Plat. Charm. 157d7- 8 εἰς ὅσον
ἡλικίας ἥκει, οὐδενὸς χείρων ὤν.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di aetas e ἡλικία
è ampiamente documentata nei glossari medievali (CGL II 12,
32; 324, 5; 517, 30; III 11, 36; 84, 74; 180, 10; 249, 20; 328,
52; 348, 56; 400, 32; 494, 18; 562, 16).
Hoc aetatis è espressione tipicamente plautina (Bacch. 343;
1100; Trin. 787), che conosce solo sporadiche occorrenze in
epoca posteriore (Sen. clem. 1, 9, 1; Apul. met. 5, 29; cfr. Sall.
Iug. 85, 7 ad hoc aetatis; Plin. paneg. 4, 7; vd. anche ThlL s. v.
158 COMMENTO

aetas [Kempf], I 1125, 61-79). Poiché in questo caso Prisciano


non ha tradotto alla lettera il lemma greco, del quale hoc aetatis
rispecchia solo in parte la sintassi, si può supporre che egli abbia
individuato tale espressione latina come equivalente del lemma
greco di partenza a partire dalla conoscenza diretta di qualche
attestazione di hoc aetatis, sebbene abbia poi lasciato questa voce
priva di esempi per l’impossibilità di reperirne tra gli autori della
quadriga Messii e gli iuniores da lui più frequentati.
PROBLEMI TESTUALI. Le lezioni ΧεΤΡΟΝ (Q) e CειΡΟΝ (θ) per
χείρων sono esiti della banale alterazione di ω in ο; la loro
collocazione nello stemma impedisce di citarle a sostegno della
congettura di Ferri, χεῖρον (sulla quale vd. supra).

37, 7-8 ὅτι μάλιστα: cum maxime


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione latina (Ter. ?).
LEMMA GRECO. Il lemma greco di questa voce viola l’ordina-
mento alfabetico del lessico, giacché inizia per ο- e si trova tra
quelli in ε-. Lo stesso lemma è ripetuto in 71, 1-9, correttamente
collocato nella sequenza alfabetica (vd. infra, ad loc.). Giacché
nessun elemento del contesto motiva la sua presenza extra ordi-
nem in questo punto, sembra di poter escludere che Prisciano lo
abbia deliberatamente trascritto qui; piuttosto occorrerà o sup-
porre un’alterazione dell’ordine alfabetico già nella sua fonte
(nella quale non si danno però altri casi simili) oppure che ὅτι
μάλιστα sia stato aggiunto dal grammatico a un altro lemma in
ει- o εκ- e che, nel corso della redazione dell’Ars o della sua
trasmissione medievale, lo abbia per qualche ragione oscurato.
LEMMA LATINO. La corrispondenza di (ὅτι) μάλιστα e (cum)
maxime è attestata anche in Dosith. 61, 5 Tolkiehn e nei glossari
bilingui (CGL II 128, 15; 251, 34; 315, 26; 364, 35). Prisciano
confronta ὅτι μάλιστα con cum maxime anche in 71, 1-9.
CITAZIONI LATINE. La citazione attribuita a Terenzio, che non
corrisponde ad alcun passo delle sue commedie, sembra derivare
dalla conflazione di Phorm. 204 atqui opus est nunc quom maxume
ut sis, Antipho ed Eun. 698 quicum? Cum Parmenone, già citato in
GL III 9, 11-12 a proposito di quicum. In questo caso, come in
altri, l’inesattezza del dettato della citazione si accompagna
37, 9-10 159

all’incompletezza della sua indicazione di provenienza (Terentio


in..., variamente corrotto nei codici). Cfr. Craig 1930, p. 68, che
considera però il passo una deformazione del solo Phorm. 204.

37, 9-10 ἑκάτεροι: ambo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco con osservazione
aggiuntiva – citazione latina (Verg. Aen. 1, 458).
LEMMA GRECO. Il sostantivo plebs, presente nella glossa del
lemma greco in latino, non è utilizzato altrove da Prisciano né
da altri grammatici. Anche l’occorrenza di duplex in questo
luogo non sembra corrispondere a nessuno degli usi tipici
dell’aggettivo nel lessico tecnico grammaticale, in cui indica
suoni e parole composti oppure è riferito a verbi e sostantivi
che in una determinata forma della loro flessione possono pre-
sentare due diverse terminazioni (vd. ThlL s. v. duplex [Lamber-
tz], V.1 2260, 75-2261, 27; 2264, 74-2265, 18). È verosimile
che con la locuzione de plebe duplici Prisciano traduca in modo
letterale un’indicazione già presente nella sua fonte greca, che
avrebbe potuto essere ἐπὶ διττοῦ πλήθους, come suggerisce
Ferri 2014, p. 105, sulla base del confronto con Etym. Sym. I
364, 23 ἀμφότεροι, τοῦτο οὐκ ἐπὶ δυοῖν μόνων λέγεται
ἀνδρῶν ἢ τόπων ἢ χρόνων, ἀλλὰ καὶ ἐπὶ διττοῦ πλήθους.
De plebe duplici si può interpretare dunque come “in riferimento
a una doppia/bipartita moltitudine di persone”, cioè, in termini
moderni, “in riferimento a due entità plurali” o “in riferimento
a un’entità plurale divisa in due”. Questa espressione implica
che ciascuno dei due oggetti cui è riferito ἑκάτεροι è un so-
stantivo (o pronome) plurale (o collettivo). Altrove, infatti,
Prisciano nota che plebs è un singolare collettivo (GL II 61, 21-
22 Collectivum est, quod singulari numero multitudinem significat, ut
‘populus’, ‘plebs’; 376, 17 -18 ‘populus’, ‘plebs’ voce singularia sunt,
significatione pluralia; cfr. Don. mai. 623, 7- 8; Explan. in Don.
GL IV 492, 30-31; Pomp. GL V 158, 10-12). Egli e la sua
fonte avranno pertanto preso in considerazione in particolare
l’uso del pronome greco al plurale, nella forma in cui esso effet-
tivamente è lemmatizzato (ἑκάτεροι).
LEMMA LATINO. L’accostamento di ἑκάτεροι ad ambo è pre-
160 COMMENTO

sente anche nella glossografia bilingue, nella quale il pronome


latino corrisponde sempre a forme plurali greche (CGL II 288,
45 Εκατεροι ambo; 288, 47 Εκατεραι ambe; cfr. II 16, 12;
212, 25; 212, 32), mentre uterque (al singolare) equivale solo a
forme singolari della flessione di ἑκάτερος (CGL II 212, 17;
288, 41-44; 288, 46). Il confronto con i glossari bilingui offre
dunque un ulteriore sostegno all’ipotesi che con l’espressione de
plebe duplici Prisciano intenda specificamente le forme plurali del
pronome ἑκάτερος e cioè il fatto che esse sono usate in riferi-
mento a due gruppi di persone o cose e non a due individui.
Sul significato di ambo Prisciano non si sofferma mai, tuttavia
in un passo del libro XIII lo accosta a uterque (GL III 23, 1-9;
cfr. Don. mai. 632, 2). Nessuna osservazione sull’uso di ambo in
riferimento a due entità individuali o plurali si trova in ThlL s.v.
(Gudeman), I 1863, 33-1866, 32.
CITAZIONI LATINE. L’interpretazione di Verg. Aen. 1, 458 è
problematica in quanto ambobus sembra riferito a tre persone
piuttosto che due, cioè Atridas Priamumque, menzionati nella
prima metà del verso, che Prisciano non cita. Gli esegeti mo-
derni hanno spiegato questa apparente incongruenza con il fatto
che Agamennone e Menelao rappresenterebbero un’unità, sic-
ché ambobus indicherebbe Priamo e gli Atridi (Heyne – Wagner
1830-33, II, pp. 157-158; Conington – Nettleship 1884, II, p.
54; Austin 1971, p. 156; Williams 1972, I, pp. 195-196; Parato-
re 1978, p. 196); altrimenti il riferimento potrebbe essere ai due
eserciti, acheo e troiano (vd. la traduzione di Canali in Paratore
1978, p. 39). Il problema era già posto nel commento ad loc. di
Servio (saevum ambobus Achillem atqui tres dixit, sed Atridas pro uno
accipe, quos unius partis constat fuisse), dove il Servio danielino ag-
giunge: an ‘ambobus’ Agamemnoni tantum et Priamo? an ambobus
exercitibus? Graecis propter suam de Briseide iuniriam, Troianis propter
Helenam, et ‘ambobus’ pro utrisque †arte hunc. Considerata l’indica-
zione de plebe duplici, “riguardo a due entità plurali”, che segue
il lemma ἑκάτεροι negli Atticismi, si può ipotizzare che anche
Prisciano ritenesse ambobus riferito a due oggetti plurali o collet-
tivi, cioè i due schieramenti contrapposti piuttosto che gli Atri-
di e Priamo. È notevole che nel Servio danielino proprio questa
37, 11-12 161

interpretazione sia legata alla glossa pro utrisque, che si trova anche
in Arus. 14, 14 Di Stefano AMBOBUS pro ‘utrisque’, dove pari-
menti è citato Verg. Aen. 1, 458. La glossa pro utrisque implica
che anche per questi grammatici ambobus indica due gruppi di
persone piuttosto che due individui (altrimenti essi avrebbero
usato pro utroque; cfr. Ps. Aug. reg. 63, 9-18 Martorelli Sed hoc
interest, quia ‘uterque’, licet duo significet, tamen solos duo; ‘utrique’
autem duo significat, sed ut in singulis multi sint: si dicam ‘utrique
exercitus’, duo significo, sed in singulis turbam intellegi volo; Agroec.
orth. 33 Pugliarello Uterque de duobus dicimus, utrique de binis aut
pluribus ex utraque parte positis; vd. Martorelli 2011, pp. 230-231).
PROBLEMI TESTUALI. Prisciano cita il verso virgiliano, in accor-
do con la tradizione diretta, con la lezione Achillen, mentre Aru-
siano reca la variante Ulixem (vd. anche Di Stefano 2011, p. 109).
Poiché è poco probabile che la coincidenza tra i due grammati-
ci nel ricorso a questo esempio sia casuale, la sostituzione della
forma corretta Achillen/-m con Ulixem deve essere avvenuta in
un passaggio intermedio tra la fonte comune ai due grammatici
e Arusiano ovvero ad opera di quest’ultimo o ancora nel corso
della tradizione manoscritta degli Exempla elocutionum.

37, 11-12 ἐκ παντὸς τρόπου, παντὸς τρόπου, πάντα


τρόπον, κατὰ πάντα τρόπον: omnimodo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino.
LEMMA GRECO. Diversamente dalle altre espressioni lemmatiz-
zate, tutte discretamente diffuse nella letteratura attica di V-IV
secolo a. C. (cfr. LSJ s. v. τρόπος), il sintagma al genitivo sem-
plice, παντὸς τρόπου, è attestato soltanto, come genitivo di
pertinenza, nella Lettera di Aristea a Filocrate (§ 170) e molto
sporadicamente nella tarda età imperiale e in epoca bizantina
(Cyranid. 1, 21; Euseb. Praep. evang. 8, 9, 37; Elias in Porph.
Isagog. p. 41, 30 Busse; Hist. Alex. Magn. Rec. ε 16, 4). Occorre
pertanto supporre o che il lessicografo atticista ne conoscesse una
o più occorrenze, oggi perdute, nella letteratura attica classica
oppure che il lemma abbia subito un’alterazione nel corso della
tradizione del lessico (prima che esso giungesse a Prisciano).
LEMMA LATINO. Omnimodo, che offre un equivalente semantico
162 COMMENTO

ma non anche sintattico dei lemmi greci cui è accostato, è mol-


to usato dallo stesso Prisciano, unico tra i grammatici latini (GL
II 38, 20; 53, 15; 101, 6; 120, 17; 337, 7; 369, 5; 413, 22; 596,
4; III 13, 29; 19, 26; 93, 7; 94, 18-20quinquies; 154, 22; 155, 10;
161, 11; 175, 23; 201, 2; 241, 5 e 26; 259, 7; metr. Ter. 19, 9
Passalacqua; rhet. 36, 7 Passalacqua; part. 105, 14 Passalacqua).
L’avverbio occorre con singolare frequenza nella lingua dei
Digesta (oltre 100 attestazioni; cfr. ThlL s. v. omnis [Oomes –
Ehlers], IX.2 622, 50- 623, 2), con la quale si osservano anche
altre convergenze da parte di Prisciano (cfr. pp. 48; 91-92; 155;
175; 265; 351; 447).

37, 13-38, 2 ἕκαστος: quisque


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con osservazione
aggiuntiva – lemma latino – citazione greca (Hom. Il. 24, 1-2;
9, 656- 657).
CITAZIONI GRECHE. L’inusuale collocazione delle due citazioni
omeriche all’interno della voce, cioè al termine della stessa,
dopo il lemma latino, potrebbe essere spia del fatto che esse siano
un’aggiunta di Prisciano al lessico fonte (cfr. supra, p. LXVIII).
LEMMA LATINO. La corrispondenza di ἕκαστος e quisque è
attestata anche in Dosith. 51, 8-9 e 13 Tolkiehn (sul quale vd.
infra) e nei glossari medievali (CGL II 118, 34; 165, 61; 166,
55; 167, 41 e 49; 252, 43; 288, 24-39; 469, 7- 8).
L’osservazione di Prisciano riguardo all’uso di quisque, che
non potrebbe essere applicato a gruppi di persone o cose divisi
in sole due unità ma in tre o più o di esse, non è verificata (vd.
Forcellini s. v. quisque: «III. Quisque ponitur etiam, si de duobus
sit sermo, pro uterque», con esempi in Ov. fast. 2, 715; epist. 19,
169; Liv. 2, 7, 1; 2, 44, 9; Suet. Aug. 26, 3. Nessuna osservazio-
ne in OLD s. v. quisque; Hofmann – Szantyr, pp. 199-200). La
questione è affrontatata anche nel libro II (GL II 61, 23-25 Divi-
duum est, quod a duobus vel amplioribus ad singulos habet relationem
vel plures in numeros pares distributos, ut ‘uterque’, ‘alteruter’, ‘quis-
que’, ‘singuli’, ‘bini’, ‘terni’, ‘centeni’), dove non è chiaro però se
le parole a duobus vel amplioribus si applichino a tutti i pronomi
ivi elencati, o se si debba intere che alcuni di essi esprimano una
38, 3-6 163

relatio a duobus, altri ab amplioribus. La possibilità che quisque si


riferisca sia a due soli individui o gruppi di persone (o cose) sia a
una loro pluralità è implicita in Dosith. 51, 8-9 Tolkiehn ἕκασ-
τος ἑκάστη ἕκαστον καὶ ἑκάτερον quisque quaeque quodque,
dove Bonnet 2005, p. 146, ritiene che «L’ajout de ἑκάτερον [...]
prétend rendre compte des emplois, toujours restés rares, de
quisque pour uterque à partir de la littérature augustéenne».

38, 3-6 καθίζω intransitivo e transitivo: ruo, moror, pro-


pinquo transitivi e intransitivi
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐκάθισεν), con
glosse sintattiche e osservazione aggiuntiva – lemma latino, con
osservazioni aggiuntive. Καθίζω è lemmatizzato a partire da
una forma aumentata della coniugazione, secondo una modalità
attestata anche in altre voci degli Atticismi (vd. supra, p. XLIV).
LEMMA GRECO. Le due uniche occorrenze dell’aoristo sigmatico
di καθίζω con aumento sillabico in età classica sono in Xenoph.
Anab. 3, 5, 17 e Cyr. 6, 1, 23, dal quale sembra essere stato
ricavato il lemma in esame. La norma a questa altezza cronolo-
gica (V-IV secolo a. C.) è, infatti, che si usino le forme καθεῖσα
o καθῖσα (vd. LSJ s. v. καθίζω; Cobet 1858b, p. 184).
LEMMA LATINO. Nella formulazione delle note relative rispetti-
vamente al lemma greco e ai lemmi latini della voce Prisciano
mostra una certa incoerenza, almeno a livello terminologico: a
ἐκάθισεν assegna, infatti, una significatio (in questo caso ‘valore’
piuttosto che ‘diatesi, forma’: vd. Schad 2007, p. 362) passiva
(ἐκαθέσθη) o activa (καθίσαι ἐποίησεν), mentre a ruo, moror e
propinquo ne riconosce una absoluta e una activa. In vero in en-
trambi i casi si tratta di verbi che possono essere sia transitivi
(“colloco, metto (a sedere)”, “faccio rotolare”, “ritardo”, “avvi-
cino”) sia intransitivi (“mi siedo”, “rotolo”, “indugio”, “mi
avvicino”) ed è pertanto più appropriata la terminologia adotta-
ta dal grammatico in relazione ai tre verbi latini (per absolutus
col significato di “intransitivo” vd. Schad 2007, p. 5). L’impie-
go di passiva invece che absoluta per la prima delle due significa-
tiones di ἐκάθισεν potrebbe dipendere da un fraintendimento
della spiegazione pro ‘ἐκαθέσθη’, certamente desunta dalla fonte
164 COMMENTO

atticista (così come la successiva ‹καὶ ‘καθίσ›αι ἐποίησεν’), che


glossa l’uso intransitivo del lemma con una forma verbale passiva.
La stessa incoerenza, osservabile all’interno della voce in
esame tra la formulazione del lemma greco e quella del lemma
latino, si riscontra anche rispetto alla trattazione di ruo, moror e
propinquo in altri luoghi dell’Ars. Si parla di significatio activa et
absoluta in GL II 395, 9-10 (propinquo); Att. 98, 2-12 (ruo e
moror); activa et passiva in Att. 56, 10-12 (ruo, moror e propinquo).
Inoltre nel libro VIII, a proposito di ruo e moror, Prisciano po-
stula non due ma tre significationes: GL II 389, 16-26 ‘moror’
commune est et absolutum; modo enim activam, modo passivam habet
significationem, modo absolutam: activam, quando accusativo adiungi-
tur, ut ‘moror te’ […], passivam vero, quando ablativo, ‘moror a te’,
absolutam, quando per se profertur; 393, 22-23 Sunt alia, quae cum
sint activa, in passiva quoque et absoluta significatione inveniuntur, ut
‘ruo’). In entrambi i casi è chiaro che passiva significatio corri-
sponde in termini moderni a “diatesi passiva” (per ruo vd.
l’esempio proposto in GL II 393, 26-394, 2 idem eius [composi-
tum] passivum in XI dixit: ‘nec … post eruta …/ Pergama’) piutto-
sto che a “uso intransitivo” come negli Atticismi. L’ulteriore
osservazione che l’uso intransitivo e assoluto di ruo rappresenta
una sorta di passivo (GL II 394, 5-7 tamen absolute quoque prolata
reciprocam passionem (id est ἰδιοπάθειαν) significant, cum ipsam
personam non extrinsecus, sed per se pati demonstrat, ut ‘ruo’ pro
‘cado’) potrebbe spiegare perché nel lessico (38, 3- 4; 56, 10-12)
Prisciano applichi talora la definizione di significatio passiva
all’uso intransitivo di alcuni verbi di forma attiva.
La sintassi di ruo è discussa anche in Ps. Aug. reg. 83, 25-27
Martorelli Sub hac forma sunt neutralia, quae non accipiunt ‘r’ littera,
ut [...] ‘ruo’ (neque enim dicimus ‘ruor’), dove si prende in consi-
derazione il solo uso intransitivo del verbo. Moror figura presso
altri grammatici per lo più in elenchi di verbi deponenti o co-
muni in assenza di ulteriori indicazioni che chiariscano a quale
delle due categorie esso appartenga (Char. 465, 19; Eutych. GL
V 482, 12; Dosith. 97, 17 Tolkiehn; App. Prob. 8, 2 Asperti-
Passalacqua; è, invece, certamente un verbum commune in Cledon.
GL V 56, 24; Ps. Aug. reg. 89, 2 Martorelli). Diomede osserva,
38, 3-6 165

invece, che moror poteva avere presso i veteres anche forma attiva
(GL I 400, 18 moro, quod crebro moror dicimus), ma si tratta di
un’indicazione di contenuto morfologico e non sintattico. Nes-
sun grammatico, oltre a Prisciano, si occupa, invece, di propinquo.
PROBLEMI TESTUALI. La formulazione del lemma greco in
questa voce è stata sospettata di essere lacunosa già da Hertz,
che proponeva in apparato l’integrazione ‹καὶ ‘καθίσ›αι ἐποί-
ησεν’, suggerita dal confronto con Poll. 3, 89 Ξενοφῶν δὲ τὸ
ἐκάθισεν ἐπὶ τοῦ καθίσαι ἐποίησεν, oppure ‹καὶ ‘καθῆσθ›αι’.
Hertz tuttavia stampava senza correggere ‘Ἐκάθισεν’ pro ‘ἐκα-
θέσθη’ καὶ ‘ἐποίησεν’ (GL III 306, 15), e del resto la possibi-
lità che la lacuna si sia prodotta in uno stadio di trasmissione del
lessico greco anteriore al suo impiego da parte di Prisciano è
stata recentemente ammessa anche da Valente 2014, p. 72. Il
confronto istituito da Prisciano con tre verbi latini che possono
essere sia intransitivi sia transitivi suggerisce però che egli fosse
in grado di comprendere che il lemma greco riguardava il du-
plice uso, intransitivo e transitivo, di καθίζω e che dunque
dovesse ancora leggerne un testo integro; è dunque necessario
emendare il passo. A questo riguardo può sussistere qualche
incertezza circa la forma di infinito da integrare davanti a
ἐποίησεν: delle due possibilità già ventilate da Hertz, καθίσαι
è sostenuta dal confronto con Poll. 3, 89 (contra Cobet 1858b,
p. 184: «novo indicio est quam nihil sit illis Grammaticis tri-
buendum. Attici omnes eo sensu [scil. causativo] verbo καθί-
ζειν utuntur». Lo stesso studioso ammette però poco oltre, pp.
184-185, che «Καθίζειν, quamquam minus saepe, etiam intran-
sitive ponitur»; cfr. LSJ s. v. καθίζω, II). Non c’è dunque moti-
vo di dubitare della correttezza della lezione καθίσαι in Polluce
e dell’opportunità di integrare questa forma verbale in Prisciano.
I codici priscianei recano per lo più una seconda Ν dopo
quella corrispondente alla -Η finale di ἐκαθέσθη (εΚαΘε-
CεΝΝαι β; εΚαΘεCΘεΝΝαι O; εΚαΘεCΘΗΝαι E; εΚαΝεCΟΝ
Ναι WD; ΕκαΘΕCΕΝ ΝαΙ X. F ha addirittura due Ν in questo
punto: εKαΘεΟΘεΝ Ναι. M è latore di una lezione ancora più
corrotta, εKεεCεΗΝα). Si deve supporre o una dittografia (Η >
Ν > ΝΝ) oppure una parziale assimilazione alla desinenza della
166 COMMENTO

forma verbale precedente (ἐκάθισεν). Non è, invece, accetta-


bile la proposta di lettura di Scaligero, p. 717, ἐκάθισεν pro
ἐκαθήσθην, καὶ ἐποίησαν, in base alla quale un verbo coniu-
gato alla terza persona singolare sarebbe glossato con una prima
persona singolare e una terza persona plurale.
Nella spiegazione degli usi dei tre verbi latini il tràdito habent
non dà senso: una soluzione testuale alternativa alla correzione
in habent‹ia› – prospettatami da Michela Rosellini, che ringrazio
anche qui – sarebbe stata integrare davanti a tam il pronome quae,
la cui omissione dopo propinquo, soprattutto se abbreviato in
forma di q con un tratto verticale sovrascritto, si spiegherebbe
facilmente come errore di natura paleografica. Tuttavia il con-
fronto con 56, 10-11 tam activam quam passivam habentia significa-
tionem, dove nuovamente Prisciano tratta dei verbi ruo, moror e
propinquo, consente di emendare il passo difettoso in un modo
probabilmente più fedele all’uso linguistico del grammatico.

38, 7-10 ἐλπίζω vox media: spero vox media


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con osservazione
aggiuntiva – citazione greca (Herod. 1, 22) – citazione latina
(Verg. Aen. 4, 419).
LEMMA LATINO. Spero corrisponde a ἐλπίζω anche nei glossari
bilingui (CGL II 186, 55; 295, 40; III 138, 35- 40).
L’uso di spero in riferimento all’attesa di eventi negativi oltre
che positivi, piuttosto raro e per lo più poetico (Verg., Stat., Val.
Fl.; vd. Forcellini s. v. spero, III), non è notato da altri grammatici.
CITAZIONI LATINE. Il significato di spero in Verg. Aen. 4, 419,
per lo più glossato con timeo (oltre ai passi citati di seguito vd.
Serv. Aen. 11, 275; Serv. auct. ecl. 8, 26), è discusso già da
Quintiliano (inst. 8, 2, 4 Id apud nos inproprium, ἄκυρον apud
Graecos vocatur, quale est ‘tantum sperare dolorem’) e in seguito in
diverse fonti grammaticali ed esegetiche tardoantiche, in tutte le
quali l’uso di spero per descrivere l’attesa di eventi negativi è
considerato linguisticamente improprio (Serv. Aen. 1, 543 AT
SPERATE DEOS abusive ‘timete’, ut alibi ‘hunc … dolorem’, cum
speremus bona, timeamus adversa; 4, 419 SPERARE DOLOREM pro
timere: et est acyrologia; Don. mai. 658, 7-10 Acyrologia est inpro-
38, 7-10 167

pria dictio, ut ‘hunc … dolorem’, sperare dixit pro timere; sim. Char.
356, 21-24; Diom. GL I 449, 12-17; Pomp. GL V 293, 9-11;
Sacerd. GL VI 453, 12-15; vd. inoltre apparato a Explan. in
Don. GL IV 564, 24). Anche in questo caso, come in altri,
l’approccio di Prisciano è meno rigidamente normativo di quel-
lo dei grammatici di IV e V secolo.
PROBLEMI TESTUALI. Dalla citazione di Herod. 1, 22 sono
omesse le parole γὰρ ὁ Ἀλυάττης dopo ἐλπίζων ed ἐν τῇ
Μιλήτῳ dopo ἰσχυρήν, probabilmente perché non necessarie
a illustrare il lemma in questione. La forma contratta τοὔσ-
χατον per τὸ ἔσχατον è esito di un adeguamento del testo
della citazione alle norme fonetiche attiche (cfr. supra, pp. L-LI).
Thuc. 1, 1, 1 ἐλπίσας τε μέγα ἔσεσθαι καὶ ἀξιολογώτατον,
che è il locus classicus alla base del lemma ἐλπίζω in Sud. ε 912
(cfr. Schol. Thuc. 1, 1), è aggiunto alla voce in esame nell’edi-
zione veneziana del 1472 dell’Ars Prisciani (ISTC ip00961000),
mentre la precedente edizione veneziana (1470, la princeps,
ISTC ip00960000), che omette il greco in questo punto, reca
Herod. G. Thucydides Vergil., con uno spazio bianco dopo Thu-
cydides. Si tratta di un caso piuttosto interessante perché l’opera
di Tucidide non era ancora edita a stampa a quell’epoca (l’editio
princeps delle Storie, per i tipi di Aldo Manuzio, è del 1502), né
lo erano gli scolî ad essa relativi (l’editio princeps, ancora un’aldi-
na, risale al 1503; vd. Pade 2015, p. 33) e la Suda (la cui prin-
ceps, a cura di Demetrio Calcondila, data al 1499). L’aggiunta
della citazione di Tucidide al lessico di Prisciano deve dunque
essere stata compiuta da qualche umanista, che disponeva di un
manoscritto dello storico greco, forse anche corredato dallo
scolio relativo al significato di ἐλπίζω in Thuc. 1, 1, 1, o della
Suda. Spengel 1826, pp. 607- 608, ritiene, invece, genuina l’in-
tegrazione in considerazione della forma in cui il passo del lessi-
co priscianeo è stampato nella princeps dell’Ars: «si nulla codi-
cum uterentur auctoritate, neque scriptoris nomen, nedum
lacunam posuissent, sed ut aliis in locis verba ipsa sive addito
sive omisso auctoris nomine dedissent». Opportunamente però
Rosellini 2015a, pp. CXXXIV-CXXXV, suggerisce maggiore
cautela nel valutare la testimonianza delle edizioni a stampa di
168 COMMENTO

Prisciano. Non si può, infatti, escludere l’ipotesi che il curatore


delle due stampe veneziane abbia in un primo momento inter-
polato il solo nome di Tucidide e nella seconda edizione suppli-
to anche il testo della citazione (vd. anche Visconti 2014, p.
298 n. 52). Per un caso simile cfr. supra, pp. 148-149.

38, 11-39, 5 ἐλαττόομαι con dativo o accusativo: doleo,


gaudeo e laetor con ablativo o accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐλαττοῦμαι) – lem-
ma latino – citazioni latine (Sall. Catil. 51, 29; Verg. ecl. 3, 88;
Sall. Catil. 40, 2).
LEMMA LATINO. Entrambe le reggenze qui assegnate a laetor
sono postulate anche da Arus. 63, 7-9 Di Stefano. Nelle raccol-
te di idiomata casuum è, invece, presa in considerazione la sola
reggenza dell’ablativo (Char. 385, 2; Diom. GL I 316, 7; Ex-
plan. in Don. GL IV 553, 25-26; Idiom. cas. GL IV 570, 6bis). Lo
stesso Prisciano tratta della sintassi di laetor anche nel libro VIII,
osservandone però solo l’uso assoluto (GL II 389, 8-10). Anche
i due usi sintattici assegnati dal nostro grammatico a gaudeo sono
parimenti registrati in Arus. 42, 8-10. La costruzione del verbo
con l’ablativo è inoltre ricordata in diverse liste di idiomata
(Char. 384, 29; Diom. GL I 316, 11; Idiom. cas. GL IV 569, 36;
570, 18; Dosith. 88, 6 Tolkiehn) e in precedenti luoghi dei libri
XVII-XVIII dell’Ars Prisciani (GL III 147, 16-17; 233, 7-11). La
sintassi di doleo è descritta anche in 9, 15-10, 2: vd. supra, ad loc.
CITAZIONI LATINE. Sall. Catil. 51, 29 esemplifica la costruzione
di laetor con l’accusativo anche in 94, 16-17 e Arus. 63, 7- 8. La
sintassi di Verg. ecl. 3, 88 è discussa anche nel commento ad loc.
di Servio (QUO TE QUOQUE GAUDET subaudis venisse), che evi-
dentemente interpreta te come un accusativo (cfr. Heyne –
Wagner 1830-33, I, p. 117: «Quod primum occurrit, est, ut
suppleas, pervenisse»; Coleman 1977, p. 122: «sc. venisse»; Cuc-
chiarelli 2012, p. 230: «Lett. “giunga dove gioisce che anche tu
(sia giunto)”»). Così potrebbe intendere anche Prisciano, il
quale, pur lemmatizzando la costruzione di doleo, gaudeo e laetor
sia con l’ablativo sia con l’accusativo (‘his’ et ‘haec’), sembrereb-
be addurre esempi solo per per la seconda delle due reggenze
39, 6-10 169

(ea … laetari e dolens … casum nelle due citazioni sallustiane). Su


Sall. Catil. 40, 2, che occorre già, a proposito di doleo con l’ac-
cusativo, in 9, 16, vd. supra, ad loc.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Sall. Catil. 51, 29 la
lezione esatta ea è ripristinata dai correttori di QREY, mentre α
reca la corruttela et, che si può spiegare come errore di natura
paleografica generatosi a partire dal fraintendimento di una -t
occhiellata propria di alcune scritture minuscole altomedievali
(vd. Rosellini 2015a, pp. XCV-XCVI; cfr. Havet 1911, p. 166). I
codici QREY possono essere stati emendati sulla base della tradi-
zione diretta di Sallustio, mentre la lezione hec, introdotta supra
lineam in TXF, sembra piuttosto una correzione ope ingenii, fon-
data sulla formulazione del lemma (‘laetor his’ et ‘haec’). La corrut-
tela di et in ea è presente anche nella seconda occorrenza della
citazione (94, 17), ma si deve essere prodotta indipendentemen-
te nei due luoghi, giacché Prisciano doveva leggere ea nel passo
per poterlo associare alla costruzione di laetor con l’accusativo.
Il medesimo passo sallustiano è riportato in Arus. 63, 7-8 con
l’aggettivo Romanus dopo populus, assente sia dalla tradizione
diretta che dalle due occorrenze della citazione in Prisciano: è
possibile che l’interpolazione di Romanus si debba a un interven-
to dello stesso Arusiano (o a uno stadio intermedio tra questo e la
fonte comune a Prisciano). Romanus, che Della Casa e Di Stefano
mettono a testo, era, invece, espunto da Keil (GL VII 490, 6).

39, 6-10 λαμβάνω δίκην: poenas recipio o sumo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἔλαβε δίκην), con
osservazione aggiuntiva – citazioni latine (Verg. Aen. 4, 656;
12, 948-949; 2, 103). Sulla struttura di questa voce vd. anche
Spangenberg Yanes 2014, p. 122. Il verbo è alfabetizzato a parti-
re da una forma della flessione con aumento (cfr. supra, p. XLIV).
LEMMA GRECO. La spiegazione che correda il lemma greco,
tam de accusatore quam de reo dicunt, sembra tradurre in latino una
chiosa già presente nella fonte greca di Prisciano, come suggeri-
sce il confronto con 48, 15 Attici ‘ἔτυχε τιμωρίας’ ὁ διώκων
καὶ ὁ φεύγων (vd. Spangenberg Yanes 2014, p. 130). Sia in
greco sia in latino si tratta di locuzioni proprie della terminolo-
170 COMMENTO

gia giuridica, nel significato sia di “vendicarsi” sia di “scontare


una pena” (cfr. LSJ s. v. δίκην, IV. 3), che tuttavia per la lingua
greca sono prive di esemplificazione – almeno nella forma del
lessico conservataci da Prisciano – e per il latino sono illustrate
con passi del tutto estranei a quel campo semantico (vd. infra).
LEMMA LATINO. L’equivalenza semantica di poena e δίκη è
attestata anche nei glossari (CGL II 152, 41; III 276, 49).
Prisciano è l’unico grammatico latino a trattare delle locu-
zioni poenas recipere e sumere. Per poenam/-as recipere Ottink
(ThlL s. v. poena, X.1 2507, 52-53) cita, oltre a Verg. Aen. 4,
656, solamente esempi molto più tardi (Paul. Nol. carm. 31,
492; Petr. Chrys. serm. 35, 2); poenam/-as sumere gode, invece,
di una discreta circolazione, soprattutto in poesia, a partire da
Cic. inv. 2, 82 e Verg. Aen. 2, 103 (ibid. 2507, 64- 65). La re-
dattrice della voce del ThlL rubrica tuttavia entrambi i sintagmi
solo tra le iuncturae verbales con poena all’accusativo e per sogget-
to «qui punit» (ibid. 2507, 50), non anche tra le locuzioni in cui
è soggetto «qui punitur» (ibid. 2506, 68- 69; cfr. Forcellini s. vv.
poena; sumo, 8. Il nesso recipere poenam non è, invece, trattato da
Forcellini). L’affermazione di Prisciano, che le due espressioni
latine, così come il lemma greco di partenza, possano valere tam
de accusatore quam de reo risulta pertanto ingiustificata. Lo stesso
grammatico del resto non sembra essere stato in grado di rin-
tracciare esempi di poenas sumere con soggetto «qui punitur»,
giacché tutte le citazioni latine addotte in questa voce fanno
riferimento all’uso de accusatore.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 4, 656 occorre anche in 48,
16, in relazione allo stesso uso semantico trattato nella voce in
esame, e in 101, 14, a proposito di ulciscor (vd. commento ad
loc.). Verg. Aen. 2, 103 è già impiegato nel libro XV (GL III
82, 10-11) per esemplificare l’uso di dudum e per lo stesso
motivo ricorre in part. 76, 26-77, 1 Passalacqua (cfr. Serv.
Aen. 1, 580; 2, 103). Verg. Aen. 12, 948-949 non è citato in
altri testi grammaticali.
PROBLEMI TESTUALI. La corruttela di reo (conservato solo come
variante interlineare in Q) in ore per una metatesi ha dato adito
nei vari rami della tradizione a una serie di ulteriori alterazioni
39, 11- 40, 6 171

dovute ad altrettanti tentativi di ripristinare un’espressione dota-


ta di senso in base al contesto (oratore, ultore, defensore).
Le varianti poenas e inimico per poenam e scelerato, testimoniate
da Prisciano nella citazione di Verg. Aen. 12, 949, potrebbero
dipendere da una confusione con Aen. 11, 720 congreditur poenas-
que inimico ex sanguine sumit o con la precedente citazione virgi-
liana all’interno del lessico, Aen. 2, 103, nella quale poenas inimi-
co occupa la stessa sede metrica di poenam scelerato in Aen. 12, 949.

39, 11- 40, 6 ἔλαττον con genitivo o dativo: minor con


accusativo o genitivo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino, con
osservazione aggiuntiva, glossa sintattica e traduzione della glos-
sa in greco – citazioni latine (Hor. carm. 4, 14, 13-14; epist. 2, 2,
183; Lucan. 4, 102-103; 1, 446), con glosse sintattiche – cita-
zione greca (Demosth. 41, 6).
LEMMA GRECO. Prisciano sembra aver frainteso il sintagma
ἔλαττον τόσων, interpretandolo come un comparativo seguito
dal secondo termine di paragone espresso in genitivo. Con il
primo lemma latino della voce, minor tot annos, egli poteva ef-
fettivamente voler esprimere l’omissione di quam (anche se
manca il secondo nominativo natus); di seguito però si occupa
di genitivi che in latino esprimono apparentemente il secondo
termine di paragone e che devono, invece, essere interpretati
come genitivi partitivi (minor fratrum) o accanto ai quali si deve
sottintendere un ablativo (minor triginta annorum; maior Neronum;
fortior Oceani; mitior … Dianae). L’espressione del secondo ter-
mine di paragone in greco e latino è oggetto anche di una suc-
cessiva voce del lessico (83, 8- 84, 2; vd. ad loc.).
CITAZIONI GRECHE. L’inconsueta collocazione della citazione
di Demostene al termine della voce, separata dal lemma greco
per mezzo del lemma e degli esempi latini, potrebbe spiegarsi
col fatto che l’attenzione di Prisciano si sia appuntata subito
sulla costruzione del lemma con il genitivo, alla quale è dedicata
tutta la sezione latina della voce: le osservazioni sull’uso di minor
con il genitivo sarebbero state pertanto annotate immediata-
mente di seguito al lemma greco, perché fosse più chiaro il
172 COMMENTO

parallelo istituito tra le due lingue, e l’esempio greco relativo


alla costruzione con il dativo sarebbe stato trascritto, isolato e
‘in ritardo’, alla fine della voce.
LEMMA LATINO. Minor occorre come equivalente latino di
ἐλάττων, al maschile, anche nello Ps. Cirillo (CGL II 294, 23;
cfr. per il neutro CGL II 129, 53; 294, 18). Anche l’equivalen-
za di minor ed ἥττων, utilizzato dallo stesso Prisciano in una
glossa in greco del primo costrutto latino menzionato, trova
riscontro nella glossografia bilingue (CGL II 326, 1; cfr. per il
neutro II 129, 53; 325, 66; III 471, 1; 494, 51).
La questione discussa da Prisciano nella voce in esame, e
cioè dei ‘falsi’ genitivi esprimenti il secondo termine di parago-
ne in latino, è già affrontata nel libro XVII, dove si osserva che
l’assenza dell’articolo determina in latino, rispetto al greco, delle
espressioni sintatticamente poco chiare (GL III 174, 27 quo
deficiente saepe Latini auctores faciunt quaestiones), esemplificate con
Lucan. 4, 102-103 fortior Oceani e 1, 446 mitior … Dianae, che
vengono glossati in greco rispettivamente con τῶν τοῦ
ὠκεανοῦ e τοῦ τῆς Ἀρτέμιδος (GL III 175, 3-5). Anche lì,
cioè, Prisciano sottintende un ablativo accanto al genitivo di
possesso. Il grammatico accosta l’omissione dell’ablativo espri-
mente il secondo termine di paragone davanti al genitivo di
possesso che da esso dipende (GL III 175, 5- 6 similiter dicimus
‘minor viginti annorum’ ἥττων τοῦ τῶν εἴκοσι ἐτῶν) alla duplex
possessio, probabilmente perché entrambi i sintagmi sono espres-
si in greco con una sequenza di due genitivi, il primo dei quali
è solamente un articolo con sostantivo sottinteso (GL III 174,
20-25 ipsorum possessivorum genetivus cum omni casu secundae pos-
sessionis, id est quae possessione possidetur, ponitur, ut si uxor loquens
de agro mariti sui vel de alia re dicat ‘iste ager mei est’, τοῦ ἐμοῦ
[…]. nec aliter potest duplex possessio construi sine genetivo possessivi).
CITAZIONI LATINE. L’esegesi dei due luoghi oraziani (carm. 4,
14, 13-14; epist. 2, 2, 183) proposta nella voce in esame è rie-
cheggiata in Quaest. gramm. GL Suppl. 172, 1-3 Illud quod Hora-
tius ait ‘maior Neronum’, nullatenus est subaudiendum ‘aetate’, et
‘minor fratrum’ non ita debet exponi pro ‘unus fratrum qui minor est’;
si tratta certamente di un testo posteriore, forse di epoca caro-
40, 7-10 173

lingia (Hagen 1870, pp. CV-CVI), di cui Prisciano è fonte di-


chiarata. È comunque notevole che il compilatore di quest’ope-
ra prenda inopinatamente le distanze dal nostro grammatico.
Lucan. 1, 446 e 4, 102-103 è citato anche in GL III 174,
28-175, 5. Una spiegazione sintattica dei due passi analoga a
quella datane da Prisciano si trova in Schol. Lucan. 1, 446 ET
TARANIS ETC. ordo est: Taranis ara non mitior ara Scythicae Dia-
nae, quia humano sanguine placabatur; 4, 103 FORTIOR OCEANI
scilicet aestibus. Nessuno dei testimoni di questa raccolta di scolî
è anteriore al X secolo e si tratta, almeno in parte, di materiali
posteriori a Prisciano, giacché contengono numerose citazioni
di Isidoro di Siviglia (vd. Cavajoni 1979, pp. XXVII-XXVIII;
Esposito 2011); nondimeno è possibile che vi siano confluiti
anche dei lacerti di una esegesi più antica (vd. Esposito 2004, p.
13). Sulla complicata questione dell’eventuale dipendenza di
Prisciano da commenti tardoantichi a Lucano in parte conserva-
ti negli scolî medievali o, viceversa, del ricorso degli scoliasti
all’Ars Prisciani vd. anche Porro 1986, p. 197.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Hor. epist. 2, 2, 183
Prisciano testimonia, forse per un errore di memoria, la variante
minor fratrum per alter fratrum della tradizione diretta (che è ga-
rantita nel contesto oraziano dalla correlazione alter … alter...).
È in ogni caso proprio la lezione minor a motivare l’inserimento
del passo nella voce del lessico.
Negli Atticismi Lucan. 4, 102 è citato con la lezione et, in
accordo con la tradizione diretta; in GL III 175, 1, invece, con
la variante ac, probabilmente per un lapsus memoriae.
Prisciano riporta Demosth. 41, 6 con la lezione ταῖς χιλίαις
in accordo con i codici demostenici AFQ, mentre i restanti testi-
moni diretti (SFγρ.Qγρ.) recano la forma deteriore, τὰς χιλίας.

40, 7-10 ἐμποδών: ante pedes


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con glossa semantica
in latino – citazione greca (Thuc. ?) – citazione latina (Ter. Ad.
386-388).
CITAZIONI GRECHE. L’esempio greco citato nella voce in esa-
me e attribuito al libro VIII di Tucidide non è rintracciabile in
174 COMMENTO

alcun luogo dell’opera dello storico greco. Esso occorre, sempre


sotto il nome di Tucidide, anche nella maggior parte degli altri
lessici che contengono il lemma ἐμποδών: con un più ampio
taglio della citazione (τὰς ... ἐπισκοπεῖν, πορρωτέρω δὲ
μηδὲν ἐπορέγεσθαι ταῖς διανοίαις), in Synag. ε 349; Sud. ε
1032; Phot. lex. ε 758; Lex. Sabb. 58, 8-10; in forma decurtata
(τὰς ἐμποδὼν … ἐπισκοπεῖν) in Ps. Zon. lex. 713, 2-3. Co-
me osserva Rosellini 2012a, p. 203, l’errata attribuzione doveva
dunque certamente essere già nella fonte greca di Prisciano. Vd.
anche Spengel 1826, p. 649; Luscher 1912, pp. 186-187; Cun-
ningham 2003 ad loc.; Visconti 2014, p. 306.
LEMMA LATINO. La locuzione in praesenti, con la quale Prisciano
glossa il significato del lemma greco (cfr. Spangenberg Yanes
2014, pp. 116-117), è pressoché assente dal latino letterario di età
classica (prima occorrenza in Scrib. Larg. praef. 12), mentre gode
di qualche diffusione in età tardoimperiale, soprattutto presso auto-
ri cristiani (vd. ThlL s. v. praesens [Ramminger], X.2 841, 43-56).
Potrebbe essere utile a chiarire la scelta lessicale di Prisciano, il
quale raramente adotta espressioni proprie del solo latino tardo,
osservare che in praesenti conosce alcune attestazioni nella lingua
giuridica (con valore temporale in Scaev. dig. 3, 5, 34, 2; Pom-
pon. dig. 8, 2, 23 praef.; Marcian. dig. 37, 10, 2 praef.; locale in
Ulp. dig. 21, 1, 17, 11; Arcad. et Char. dig. 22, 5, 21, 1) e occor-
re una volta nel commento virgiliano di Servio (Aen. 9, 358).
Del nesso ante pedes, individuato da Prisciano come equiva-
lente semantico e in un certo senso ‘etimologico’ di ἐμποδών,
si occupa anche Donato, che però si limita a indicarne l’origine
in Enn. trag. 244: Ter. Ad. 386 NON QUOD ANTE PEDES MODO
EST VIDERE hoc sumpsit poeta de illo in physicum pervulgato ancillae
dicto ‘quod ante pedes est, non vident: caeli scrutantur plagas’. Una
glossa simile a quella affiancata da Prisciano al lemma greco
della voce, in praesenti, è riferita alla locuzione terenziana in
Schol. Bemb. Ter. Ad. 386 QUOD ANTE PEDES: q‹uod› pr‹a›esens est.
PROBLEMI TESTUALI. Il passo di Terenzio è citato con la va-
riante istud per istuc della tradizione diretta: potrebbe trattarsi di
una banalizzazione morfologica operata dallo stesso Prisciano
nel riferire il brano a memoria.
40, 11-14 175

40, 11-14 ἐμποδίζω con accusativo o dativo: impedio con


accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐμποδίζειν) – cita-
zione greca (Isocr. epist. 4, 11) – lemma latino – osservazione
aggiuntiva. Il lemma ἐμποδίζω, qui correttamente inserito
nell’ordine alfabetico, occorre anche extra ordinem in 7, 5- 8; 27,
9-13 (vd. supra, ad locc.). Solo nella voce in esame il lemma è
esplicitato, mentre nelle sue altre due redazioni esso si ricava
dalla citazione di Xenoph. Mem. 1, 2, 4.
LEMMA GRECO. In 7, 5- 8 e 27, 9-13 si assegna a ἐμποδίζω
soltanto la reggenza dell’accusativo; qui, invece, è prevista sia la
costruzione con l’accusativo sia con il dativo, sebbene solamen-
te la prima sia esemplificata.
CITAZIONI GRECHE. Isocr. epist. 4, 11 illustra l’uso transitivo di
ἐμποδίζω anche in Lex. Coisl. ε 69.
LEMMA LATINO. Sull’uso transitivo di impedio, vd. supra, p. 5.
L’espressione ut iam ostendimus potrerebbe far riferimento sia alle
menzioni di impedio nel capitolo del libro XVIII sulle costruzio-
ni verbali (GL III 267, 18; 274, 15; 277, 5) sia alla voce ἐμπο-
δίζω collocata tra i lemmi in α- (7, 5- 8; 27, 9-13). In alternati-
va è possibile che l’indicazione si riferisca, più che al trattamen-
to della sintassi di impedio, alla relativa esemplificazione, assente
dalla voce in esame ma presente nelle altre due redazioni del
lemma: come mi suggerisce Michela Rosellini, anche il primo
copista, Flavio Teodoro, nel trascrivere questa scheda potrebbe
essersi reso conto della ripetizione degli esempi latini già citati e
averli tralasciati, aggiungendo il rimando ut iam ostendimus.
PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Isocr. epist. 4, 11 contiene
due varianti rispetto alla tradizione diretta, l’omissione di οὐκ
davanti a εὐκρινές e αΝαCΤαCΙΝΗ per ἄττα σίνη, entrambe
giudicate inferiori da Fassino 2014, p. 278. In particolare lo
studioso spiega la corruttela αΝαCΤαCΙΝΗ come «un errore
meccanico generatosi, a causa di un’errata divisio verborum, a parti-
re dalla lezione corretta ἄττα σίνη» (ibid., p. 251 n. 8). L’errore
di divisione delle parole è stato probabilmente favorito dalla
rarità del sostantivo σίνος (usato quasi esclusivamente in scritti
di medicina, vd. LSJ s. v. σίνος). La corruttela, ἀνάστασιν (ἤ),
176 COMMENTO

potrebbe dunque spiegarsi anche come alterazione di un’espres-


sione poco comune in una più familiare allo scriba (tanto più se
cristiano, giacché ἀνάστασις è il termine tipicamente impiega-
to nei testi cristiani in greco per “resurrezione”; vd. LSJ s. v.
ἀνάστασις). La -η finale, residuo dell’originaria lezione ἄττα
σίνη, può essere stata interpretata come ἤ disgiuntivo (così
intende Fassino 2014, p. 251) o essersi conservata per inerzia.
Almeno l’errore di divisione delle parole, αΤΤαCΙΝ Η, sembra
aver caratterizzato già la fonte atticista di Prisciano, come sug-
gerisce il confronto con Lex. Coisl. ε 69 Ἰσοκράτης· ‘†ἢ
νομίζων† ἐμποδιεῖν αὐτὸν πρὸς πολλὰ τῶν πραγμάτων’,
dove parimenti si osserva la presenza dell’incongruo ἤ davanti a
νομίζων (νομίζειν in Prisciano). Purtroppo il taglio della cita-
zione nel coisliniano non consente di stabilire se anche l’ulte-
riore corruttela di ἄττα σίν- in ἀνάστασιν potesse leggersi già
nel lessico usato da Prisciano. Sulla dipendenza di questo e del
lessico coisliniano da una fonte comune vd. supra, p. LIII.
Un’errata divisione in parole sembra sottostare anche alla cor-
ruttela πρόφασιν ἥν testimoniata dal codice Φ (Vat. gr. 64,
che da solo rappresenta un subarchetipo della prima delle due
famiglie della tradizione isocratea) e dal correttore del codice Δ
(Vat. gr. 936, descritto da Γ) della tradizione diretta. La lezione
νομίζειν rappresenta, invece, un caso di accordo in lezione
superiore di Prisciano con la tradizione diretta isocratea contro
il lessico coisliniano, che reca νομίζων.

40, 15-41, 2 δίκαιος col significato di “vero” e viceversa:


iustus col significato di “vero”, verus con quello di “giusto”
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco e latino insieme –
citazione greca (Soph. fr. 1119 Radt), con glossa semantica –
lemma latino ripetuto – citazione latina (Verg. Aen. 12, 694-
695), con glossa semantica. La voce viola l’ordinamento alfabe-
tico del lessico, giacché si trova tra i lemmi in ε-.
CITAZIONI GRECHE. Il fr. 1119 Radt di Sofocle, attribuito da
Prisciano all’Aiace, non corrisponde ad alcun luogo della trage-
dia nella forma in cui essa ci è conservata per via diretta. Lo-
beck 1809, p. 304, Hermann apud Krehl 1819-20, II, p. 90
40, 15- 41, 2 177

adn., e Mazzotti 2014, pp. 153-154, pensano a una citazione


inesatta di Soph. Aj. 547 εἴπερ δικαίως ἔστ’ ἐμός.
L’espressione δίκαιος γόνος è riportata, a proposito dell’uso
di δίκαιος con il significato di “vero”, anche nel libro XVII
(GL III 193, 18-19), dove la citazione è introdotta dalle parole
Euripides ‹. . . . . . . . Sophocles› Αἴαντι (le parentesi uncinate,
assenti dal testo di Hertz, sono una mia aggiunta; il nome So-
phocles è integrato dall’editore sulla base di una proposta di
Spengel 1826, p. 613; cfr. Garcea – Giavatto 2007, p. 86 n. 14).
Come si ricava dal controllo diretto dei manoscritti utilizzati da
Rosellini per l’edizione degli Atticismi, del Par. lat. 7505 (p) e
del Vat. lat. 3313 (Z), la lezione concordemente trasmessa da
quasi tutti i codici in GL III 193, 18 e ricostruibile per l’arche-
tipo è in realtà Αἴαντος (cfr. Groupe Ars Grammatica 2010, pp.
262; 263 n. 348), tacitamente corretto da Hertz in Αἴαντι. È
possibile che, invece, si debba lì conservare il genitivo suppo-
nendo una lacuna per saut du même au même o nel libro XVII
(GL III 193, 18 Euripides: ‘Αἴαντος ‹…’… Sophocles Αἴαντι›
‘δίκαιος γόνος’) o nel lessico finale (40, 16 Sophocles Αἴαντι:
‹‘εἴπερ δικαίως ἔστ’ ἐμὸς τὰ πατρόθεν’ …… Euripides:
‘Αἴαντος› δίκαιος γόνος’); la paternità sofoclea delle parole
δίκαιος γόνος è dunque incerta. Sulla questione vd. più diffu-
samente Spangenberg Yanes 2018.
LEMMA LATINO. Nessuna osservazione semantica paragonabile
a quella di Prisciano si trova in ThlL s. v. iustus (Baer), VII 718,
67-727, 11, mentre la possibilità di usare verus col significato di
“giusto” è ammessa da Forcellini (s. v. verus, II).
Al lemma espresso all’inizio della voce e valido sia per il
greco sia per il latino (40, 15-16 ‘Iustum’ pro ‘vero’ et ‘verum’ pro
‘iusto’ frequenter tam nos quam Attici ponimus) segue una seconda
indicazione di identico contenuto, circoscritta alla lingua latina
(40, 17-18 Nostri quoque ‘verum’ pro ‘iusto’ et ‘iustum’ pro ‘vero’
frequenter ponunt). Tale ridondanza si deve considerare un altro
segno della mancata rifinitura di questa parte finale dell’Ars:
Prisciano ha dapprima formulato la sola osservazione relativa al
latino per fornire un corrispettivo del lemma greco in questa
lingua; in un secondo momento ha riassunto le indicazioni
178 COMMENTO

relative a entrambe le lingue in un’unica frase (cfr. ad es. 20, 15,


36, 1), eliminando di conseguenza il lemma greco ma trala-
sciando di sopprimere anche l’osservazione concernente l’uso
latino, ormai superflua (cfr. Rosellini 2015a, apparato ad loc.).
CITAZIONI LATINE. L’uso di verius col valore di “più giusto” in
Verg. Aen. 12, 694- 695 è rilevato anche da Serv. ad loc. (‘verius’
iustius), dove il Servius auctus aggiunge che tale uso lessicale
sarebbe un arcaismo (alii veteri more dictum accipiunt: ‘verum’ enim
quod rectum et bonum esset, appellabant), e da Porph. Hor. sat. 2, 3,
312 Te quoque verum est. Verum est pro: aequum est. Et Vergilius:
‘Me verius … foedus l. e. ‹d.› f.’.
PROBLEMI TESTUALI. L’espunzione delle parole Nostri … po-
nunt, compiuta da Hertz (GL III 309, 1-2), non appare necessa-
ria sia perché esse sono del tutto coerenti col frasario priscianeo
sia perché la loro presenza, ridondante, è giustificabile sulla base
della generale incompiutezza degli Atticismi (vd. supra).

41, 3-5 ἐμμένω e ἐμπλέκομαι con dativo o ἐν e dativo:


permaneo e implicor con ablativo o in e ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐμμένω, ἐμπέπλεγ-
μαι) – lemma latino. Vd. anche Spangenberg Yanes 2014, p. 126.
LEMMA LATINO. La corrispondenza di permaneo ed ἐμμένω è
attestata anche in CGL II 296, 8; quella di implico ed ἐμπλέκω
in CGL II 85, 18; 296, 34.
Sia per implico sia per permaneo è spesso difficile distinguere
tra la costruzione con il dativo e con l’ablativo semplice (vd.
ThlL s. v. implico [Rehm], VII.1 644, 40- 45 e 50-53; s. v. per-
maneo [Wild], X.1 1528, 1-5; 1531, 13-20). Questo si verifica
anche nel passo di Prisciano, dove però il confronto con il lem-
ma greco suggerisce che il grammatico si riferisca all’alternativa,
anche in latino, tra la costruzione con un caso semplice
(τούτοις/his) o con lo stesso preceduto da preposizione (ἐν
τούτοις/in his), e cioè che anche his sia ablativo come nel nesso
preposizionale in his. Della costruzione di implico Prisciano tratta
anche nel capitolo del libro XVIII sulle costruzioni verbali,
includendolo tra i verba per obtinentiam, id est κατὰ ἐπικράτειαν
(GL III 274, 13-15), che egli menziona però per la sola reggen-
41, 6- 8 179

za dell’accusativo. Nessun altro grammatico si occupa della


sintassi di implico e permaneo.
PROBLEMI TESTUALI. ᾽Εμπέπλεγμαι, corrotto in εΜΠΛεΓΜαι
(β) o εΜΠΛεΓΜοι (γ) o εΜΠΑεΓΜα (O) per effetto di un’aplo-
grafia, è stato ripristinato per congettura da Scaligero (p. 718).

41, 6- 8 ἐμβλέπω con dativo o accusativo o εἰς e accusa-


tivo: aspicio con dativo o accusativo o in e accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino –
citazioni latine (Verg. Aen. 1, 126-127; Ter. Haut. 981).
LEMMA LATINO. Sulla sintassi di prospicio, già descritta in 28, 8-
11, vd. supra, ad loc. Delle tre reggenze di aspicio postulate da
Prisciano solo quella dell’accusativo è realmente corrente nel
latino letterario. Essa è oggetto anche di una successiva voce del
lessico (91, 17-92, 2: vd. ad loc.; cfr. GL III 170, 21). La costru-
zione di aspicio con in e l’accusativo è registrata da Ihm (ThlL s.
v. aspicio, II.1 830, 43-44; 832, 75-79) tra gli usi sintattici più
rari del verbo (essa è attestata in Lact. opif. 1, 4; Is. 5, 30; Vulg.
Hebr. 11, 26; 12, 2; Hier. epist. 117, 9; cfr. Vulg. Matth. 14, 19;
act. 1, 11) e forse deve essere intesa come grecismo sintattico.
La reggenza del dativo non è, invece, mai attestata al di fuori
del lessico priscianeo. Nessun altro grammatico tratta degli usi
sintattici di questo verbo.
CITAZIONI LATINE. I due esempi latini che corredano questa
voce illustrano il nesso di prospicio con il dativo anche in 28, 10-
11; 87, 8-11 (cfr. supra, pp. 116-117). Verg. Aen. 1, 126-127 è
citato inoltre, per lo stesso motivo, in 109, 10-11; Ter. Haut.
981 in GL III 49, 9-10 a proposito del valore ‘temporale’ di pro.
PROBLEMI TESTUALI. Alta, lezione della maggior parte dei
codici (alto WDFY, e corr. TRQ) nella citazione di Verg. Aen.
1, 126-127, è certamente una corruttela prodottasi nella tradi-
zione manoscritta dell’Ars, forse per fraintendimento di un mo-
dello in minuscola o semionciale (Rosellini 2014a, p. 351 n.
34). La correzione in alto è necessaria perché il passo è citato da
Prisciano per esemplificare la costruzione di prospicio con il dati-
vo e perché con questa lezione esso occorre in Att. 8, 10-11;
87, 8-11; 109, 10-11.
180 COMMENTO

41, 9-11 ἐννεύω con infinito e accusativo o dativo: ad-


nuo con infinito e accusativo o dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Ar. fr. 77 K.-A.
ἐννεύει) – lemma latino – lemma latino e greco insieme.
LEMMA GRECO. Ἐννεύω è attestato, oltre che nel frammento
di Aristofane citato da Prisciano, due sole volte (Lucian. Dial.
Meretr. 12, 1; Ev. Luc. 1, 62; cfr. LSJ s. v. ἐννεύω), in nessuna
delle quali regge l’infinito.
LEMMA LATINO. La costruzione di adnuo con l’accusativo e
l’infinito o il dativo e l’infinito è sporadicamente attestata, per
lo più nel latino arcaico e tardo (vd. ThlL s. v. adnuo [Oertel],
I.1 791, 40- 46 e 792, 30- 41). Sebbene Prisciano non potesse
reperire alcun esempio di tale costrutto negli autori della quadri-
ga Messii, non è da escludere che egli lo considerasse comunque
possibile in latino, e che pertanto i due lemmi latini formulati
nella voce in esame, adnuit me fugere domum e adnuit mihi facere,
non fossero dal suo punto di vista delle mere ‘traduzioni di
servizio’ dal greco. Della sintassi di adnuo il nostro grammatico
si occupa già nel capitolo del libro XVIII sulle costruzioni ver-
bali, dove il verbo è inserito in una lista di verba acquisitiva, che
reggono il dativo (GL III 273, 2). La sua costruzione con l’infi-
nito non è, invece, menzionata altrove.

41, 12-16 ἔνδον per il moto a luogo, ἔνδοθεν per lo


stato in luogo: avverbi di stato in luogo con valore di
moto a luogo e viceversa
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con glosse sintattiche
e osservazione aggiuntiva – lemma latino – citazione latina
(Verg. Aen. 4, 373-374), con glossa sintattica.
LEMMA GRECO. Diversamente dall’impiego di εἴσω e ἔνδοθεν
per lo stato in luogo, piuttosto comune nella poesia greca a
partire da Omero (vd. LSJ s. vv. εἴσω; ἔνδοθεν, II), quello di
ἔνδον per il moto a luogo è raro e non classico (vd. LSJ s. v.
ἔνδον, I.5; Schwyzer II, pp. 546-547). In questo caso la testi-
monianza priscianea, ancorché priva di esempi letterari, potreb-
be consentire di retrodatare di alcuni secoli un uso linguistico
documentato solo in età ellenistica e imperiale. La fonte atticista
41, 12-16 181

del grammatico fa riferimento esclusivamente alla lingua degli


autori attici di V-IV secolo a. C. (vd. supra, p. LXVII).
LEMMA LATINO. In questa voce Prisciano propone un corri-
spettivo latino dello scambio in greco tra diversi avverbi di
luogo solo sul piano sintattico, cioè l’uso dell’ablativo semplice
col valore di moto a luogo. A quest’uso, tipicamente poetico e
attestato a partire dall’età augustea (vd. Hofmann – Szantyr, p.
146), egli accenna anche in 47, 13-15; 115, 1-3.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 4, 373-374 è citato a proposito
del medesimo fenomeno linguistico trattato nella voce in esa-
me, anche in 47, 14-15; 115, 3. In quest’ultimo luogo il v. 374
è riportato per intero (litore … locavi) e il grammatico propone
anche un’interpretazione sintattica alternativa del passo virgili-
no, basata su una diversa interpunzione (vd. infra, ad loc.).
PROBLEMI TESTUALI. In Verg. Aen. 4, 374 Prisciano attesta la
variante suscepi per excepi della tradizione diretta, testimoniato
anche da Sen. benef. 7, 25, 2 e Serv. Aen. 4, 374. La lezione
tràdita da Prisciano è probabilmente inferiore in quanto estranea
all’uso linguistico di Virgilio, che non adopera mai il perfetto di
suscipio (né altri tempi derivati dal tema del perfetto).
L’aggiunta presente nei manoscritti RFY, et prima quod ad
Troiam pro apud Troiam accusativi ad locum ablativi in loco significa-
vit, che richiama Verg. Aen. 1, 24, pare inautentica e potrebbe
essere stata desunta da Att. 94, 10 (vd. Rosellini 2015a, p. CXXX
e ad loc.; cfr. commento ad loc.). Verg. Aen. 1, 24 gode di una
discreta circolazione in ambito grammaticale (Serv. GL IV 419,
8; Explan. in Don. GL IV 517, 21; Pomp. GL V 573, 19; Arus.
9, 1-2 Di Stefano; Remig. Don. min. p. 80, 15; cfr. Serv. ad loc.),
che ne avrebbe potuto favorire la reminiscenza anche da parte
di un lettore medievale dell’Ars. Il frasario dell’aggiunta margi-
nale non è del tutto coerente con l’usus di Prisciano, che non
adopera mai significo per spiegare un esempio; inoltre il modo in
cui RFYQ introducono il passo virgiliano è estraneo alla Zitier-
weise priscianea (sulla quale vd. supra, p. LXIX). Una versione
ulteriormente corrotta della stessa aggiunta si trova nel codice Q,
nel quale l’integrazione basata su Att. 94, 10 sembrerebbe essere
stata alterata allo scopo di renderla pertinente alla seconda parte
182 COMMENTO

del lemma greco (ἔνδοθεν pro ἔνδον): et prima a quia a Troia


p(ro) in Troian a(m) Accusativi ad locu(m) ablativi in loco significat.

41, 17- 42, 3 ἐγκατασκήπτω con εἰς e accusativo o ἐν e


dativo o dativo semplice o περί e accusativo: adsto con
accusativo o ablativo o dativo o circa e accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐγκατέσκηψεν) –
lemma latino – citazione latina (Verg. Aen. 5, 10). In questa
voce un composto di ἐν- con un tema iniziante per consonante
velare è alfabetizzato tra i lemmi in ἐν-, mentre tutti gli altri
lemmi di questo tipo sono collocati tra quelli in ἐγ- (23, 1-24,
5 ἐγκώμιον, ἐγκύκλια, ἐγχειρητικώτερος).
LEMMA GRECO. La prima attestazione nota del nesso di
ἐγκατασκήπτω con εἰς e l’accusativo è Diod. 2, 70, 5 (poi in
Elio Aristide e Cassio Dione; vd. LSJ s. v.). È possibile che il
compilatore del lessico fonte conoscesse delle occorrenze di
questo costrutto in una o più opere della letteratura attica di V-
IV secolo a. C., oggi perdute.
Spengel 1826, p. 605, ha ipotizzato che Prisciano citasse per
il lemma in esame Thuc. 2, 47, 3 ἐγκατασκῆψαι καὶ περὶ
Λῆμνον καὶ ἐν ἄλλοις χωρίοις, il quale sarebbe stato adatto a
illustrare sia la costruzione postulata con ἐν e dativo sia quella
con περί e accusativo; l’esempio sarebbe poi stato omesso nel
corso della tradizione manoscritta dell’Ars (vd. anche Garcea –
Giavatto 2007, p. 74; Visconti 2014, p. 298 n. 52). È più vero-
simile che il grammatico ricevesse il lemma privo di esempi già
dalla sua fonte, sebbene resti possibile che il passo tucidideo
corredasse il lemma ἐγκατασκήπτω in qualche stadio della
tradizione lessicografica atticista.
LEMMA LATINO. Delle quattro costruzioni di adsto qui descritte
sono attestate nel latino letterario quelle con l’accusativo e con
il dativo, mentre non si conoscono esempi di uso del verbo con
l’ablativo semplice e con circa e l’accusativo (vd. ThlL s. v. adsto
[Münscher], II.1 953, 20-22). Si tratta dunque in parte di sem-
plici calchi dal lemma greco piuttosto che di costrutti ritenuti
da Prisciano effettivamente in uso. Nessun altro grammatico si
occupa della sintassi di adsto.
42, 4-7 183

CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 5, 10 è citato anche in GL III


46, 16-17 a proposito dell’uso preposizionale di supra. Fonte
dichiarata di questo e altri esempi nel libro XIV è Censorino
(GL III 45, 25-26; 46, 7- 8): in questo caso Prisciano sembra
dunque aver riadattato a illustrare la costruzione di adsto negli
Atticismi una citazione che nella sua fonte era riferita a un altro
aspetto della lingua.

42, 4-7 ἐν ταῖς αὐλητρίσιν: inter falcarios


STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Isocr. Areop. 48),
con glossa semantica e sintattica – citazione latina (Cic. Catil. 1,
8), con glossa sintattica.
LEMMA LATINO. Prisciano propone dapprima una traduzione-
parafrasi latina del sintagma isocrateo e quindi vi accosta, me-
diante huic simile, che tipicamente descrive delle affinità solo
sintattiche, un esempio latino dello stesso tipo di metonimia.
Tibicina, utilizzato nella glossa latina del lemma greco, corri-
sponde ad αὐλητρίς anche in CGL II 250, 55 (cfr. per il ma-
schile CGL II 198, 20; 250, 54; 501, 68).
CITAZIONI LATINE. Cic. Catil. 1, 8 è citato anche da Servio, il
quale rileva che inter falcarios ha funzione di moto a luogo (Aen.
12, 437 id est ad falcarios). Non è sicuro che vi sia un rapporto
tra la sua citazione e quella in Prisciano, giacché sono riferite a
fenomeni linguistici differenti; tuttavia che inter falcarios esprima
il moto a luogo è implicito anche nella parafrasi di Prisciano, in
locum ubi sunt falcarii.
PROBLEMI TESTUALI. La correzione proposta da Ferri 2014, p.
110 n. 48, di tibicines in tibicinae renderebbe la traduzione-glossa
priscianea più coerente con le scelte lessicali attestate anche nei
glossari bilingui (vd. supra); tuttavia tibicen «è possibile anche per
il femminile», come lo stesso Ferri ammette e come anche Pri-
sciano prescrive (GL II 142, 24-27 communia in easdem literas
desinunt, quas et masculina, ut ‘hic’ et ‘haec advena’, ‘homo’, ‘vigil’,
‘tibicen’, ‘fidicen’ – ut quibusdam placet, nam usus eorum feminina in
a terminat, ‘fidicina’ et ‘tibicina’ – ‘hic’ et ‘haec pauper’, ‘civis’,
‘dux’; ma cfr. GL II 148, 19-21 In ‘en’ correptam a canendo com-
posita masculina sunt, ut [...] ‘tibicen’, quorum feminina quae sunt in
184 COMMENTO

usu a genetivo figurantur mutata ‘is’ in ‘a’: [...] ‘tibicinis tibicina’;


contra Forcellini s. v. tibicen; OLD s. v.). Perciò è preferibile
conservare il tràdito tibicines. Il doppio genere, maschile e fem-
minile (e talora anche neutro), di tibicen è ammesso dalla mag-
gior parte dei grammatici latini (Ps. Prob. cath. GL IV 9, 8-9;
93, 16-18; Ps. Palaem. reg. 29, 3-4 Rosellini; Ps. Aug. reg. 11,
14-15 Martorelli; Sacerd. GL VI 474, 10-12; Consent. GL V
362, 1- 4 e 16-18). Solo Char. 109, 23-110, 10 circoscrive tibi-
cen al genere maschile, raccomandando l’uso di tibicina per il
femminile (cfr. Phoc. 35, 19 Casaceli; Ps. Caper GL VII 94, 3).

42, 8-10 φέρω col significato di “ho”: refero col signi-


ficato di “ho”
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐνεγκὼν ὄνομα),
con glossa semantica – citazione latina (Verg. Aen. 4, 93-94)
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 4, 93-94 è citato, ma come
esempio di ironia, anche in Don. mai. 672, 3-5; Pomp. GL V
310, 31-38; Sacerd. GL VI 461, 15-16.
PROBLEMI TESTUALI. Lo scambio di natura grafica tra e e C, qui
alla base della corruttela di ἔχων in CΧωΝ, è piuttosto comune
nella tradizione dei Graeca priscianei (vd. Rosellini 2014a, p. 352).

42, 11-13 ἐννοέομαι con accusativo: cogito


STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Crat. fr. 200 K.-A.
ἐννοοῦμαι) – lemma latino.
LEMMA LATINO. L’espressione introdotta da Prisciano con le
parole similiter nos presenta una sintassi difficoltosa, con l’espan-
sione del complemento oggetto in una proposizione relativa
con assorbimento del dimostrativo: è poco probabile che il
grammatico ritenesse possibile questa struttura nella lingua lette-
raria classica, si tratta piuttosto di una traduzione ad verbum della
citazione greca.
L’equivalenza semantica di cogito ed ἐννοέομαι è attestata
anche nello Ps. Cirillo (CGL II 299, 46). La resa di τὰς
μοχθηρίας, che nel contesto di origine aveva probabilmente
un valore morale, con difficultates è inappropriata e forse si può
spiegare con l’utilizzo ‘meccanico’ di qualche glossario bilingue
42, 14 185

(vd. Spangenberg Yanes 2014, p. 132). La traduzione di ἠλιθι-


ότης con stoliditas è confrontabile con CGL II 324, 3 ηλιθιος
stolidus brutus. Il sostantivo latino astratto è piuttosto raro e non
classico: esclusa un’occorrenza in Plin. nat. 10, 2, esso è in uso
solo a partire dal II secolo d. C. (Flor. epit. 1, 38, 12; 4, 12, 6;
Gell. 18, 4, 6; Apul. flor. 12) e conosce maggiore diffusione solo
in epoca tarda, in particolare nella letteratura cristiana (Arnob.,
Ambr., Hier., Rufin., Aug., Salv., Sidon.; traggo queste infor-
mazioni dalla consultazione diretta dell’archivio del Thesaurus
linguae Latinae). L’opzione di Prisciano per stoliditas potrebbe
dunque essere stata favorita anche dall’uso lessicale a lui con-
temporaneo.
PROBLEMI TESTUALI. Davanti a μοχθηρίας la correzione del
tràdito ΤΗC in τάς (proposta da Runkel 1829, p. 191) è neces-
saria non solo nel testo di Cratino ma anche in quello di Pri-
sciano: la traduzione di μοχθηρίας con difficultates prova, infat-
ti, che il grammatico intendeva il sostantivo greco come un
accusativo plurale. Il secondo verso del frammento, certamente
sfigurato da qualche corruttela giacché metricamente scorretto,
doveva, invece, presentarsi in questa forma già nella fonte di
Prisciano, come prova la traduzione latina che egli ne propone.

42, 14 ἔνιοί τινες: certi quidam


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino.
LEMMA GRECO. Al nominativo plurale, l’espressione lemmatiz-
zata si incontra, nella letteratura attica di età classica, solamente
in Isocrate (Archid. 72; 87; Antid. 258; 283) e Lisia (31, 9). Il
confronto con alcuni lessici greci, che postulano, invece, la
sinonimia di ἔνιοι e τινές (Hesych. ε 3112 ἔνιοι· τινές ἢ
φανεροί; 3143; Lex. Gramm. 426, 14 Bachmann; Phot. lex. ε
954; 967) suggerisce che anche nella fonte di Prisciano il lemma
greco fosse così inteso (ἔνιοι· τινές). Il grammatico latino ne
avrebbe dunque travisato il senso, come risulta dal lemma latino
che gli accosta (certi quidam).
LEMMA LATINO. Il nesso certus quidam, sia al singolare che al
plurale, è quasi esclusivo della lingua di Cicerone (inv. 1, 47; 2,
146; 2, 174; de orat. 1, 183; 1, 254; 2, 345; orat. 198; ac. 1, 17;
186 COMMENTO

nat. deor. 1, 17; fin. 3, 24; Tusc. 2, 5; 4, 34; Att. 8, 3, 6; fam. 2,


17, 2), con solo sporadiche occorrenze in epoca posteriore (Vitr.
10, 3, 7; Cels. 1 praef. 68; Quint. inst. 4, 2, 28; 5, 10, 2 e 5; 8
praef. 2 e 12; 9, 4, 8; 11, 2, 28; Plin. epist. 3, 11, 3; Gell. 14, 1,
20; 17, 13, 10; Ulp. dig. 7, 1, 27, 5); al suo interno quidam ha
più spesso valore di aggettivo che di pronome (il sintagma è
cioè seguito da un sostantivo), ma non manca anche qualche
occorrenza con quidam pronominale (Cic. inv. 1, 31; 1, 66).

42, 15- 43, 4 ellissi di ἕνεκα: ellissi di causa accanto al


genitivo di gerundio e gerundivo con valore finale
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca
(Thuc. 1, 23, 5) – lemma latino, con spiegazione aggiuntiva –
citazione latina (Sall. Iug. 88, 4).
LEMMA GRECO. L’ellissi della preposizione nella proposizione
finale costruita con ἕνεκα e l’infinito sostantivato in genitivo è
trattata anche in 103, 3-13, dove il costrutto viene presentato
come se l’articolo assumesse il valore di ἕνεκα (‘Τοῦ’ ἀντὶ τοῦ
‘ἕνεκα’; vd. anche Valente 2014, p. 78 n. 96) piuttosto che
come se questa fosse omessa. L’uso finale del genitivo dell’infi-
nito sostantivato non è considerato un caso di ellissi di ἕνεκα o
χάριν neanche negli studi moderni (vd. Kühner – Gerth II.2,
pp. 40- 41; Schwyzer II, p. 372).
CITAZIONI GRECHE. Thuc. 1, 23, 5 esemplifica l’uso finale
dell’infinito sostantivato in genitivo anche in 103, 3. L’ellissi della
preposizione è inoltre rilevata nello scolio ad loc.: τοῦ μή τινα
ζητῆσαι· λείπει τὸ ἕνεκεν. La dicitura in principio, che introdu-
ce qui la citazione, corrisponde in 103, 3 al greco ἐν τῷ προ-
οιμίῳ (cfr. ad es. Lex. Coisl. κ 18; Harp. 12, 7) e dunque tradu-
ce una locuzione già presente nella fonte atticista di Prisciano.
LEMMA LATINO. I termini supina (altrimenti applicato ai supini
propriamente detti: GL II 412, 16; 429, 11-574, 3; inst. 33, 12
Passalacqua; part. 63, 12 Passalacqua; 64, 18; 82, 22; 93, 9) e
participialia vel supina sono applicati da Prisciano ai gerundi an-
che in GL II 411, 10; 425, 20; 426, 1 e 5 e 22; III 233, 7; 235,
7; 278, 2; inst. 34, 1; part. 114, 13 Passalacqua; 120, 6 (cfr.
Schad 2007, pp. 188 e 390-391). Altrove le due definizioni si
42, 15- 43, 4 187

trovano affiancate nella formula gerundia vel supina, sempre rela-


tiva ai gerundi (o a essi e ai supini propriamente detti insieme),
a riprova del fatto che il nostro grammatico considerava i due
termini sinonimi (GL II 410, 13; Att. 57, 12; 77, 8-9; inst. 122,
7). I gerundi sono definiti supina anche da Sacerd. GL VI 436,
31; 438, 25; Char. 216, 19; Diom. GL I 358, 15; 359, 30.
Praetermissio si incontra, nella tradizione grammaticale latina,
solo un’altra volta, in Martyr. GL VII 179, 1 (= Cassiod. orth.
6, 1 Stoppacci). Spoth considera comunque il suo uso da parte
di Prisciano una sorta di tecnicismo grammaticale (ThlL s. v.
praetermissio, X.2 1030, 45-48: «fere technice in gramm. de
figura q. d. ἔλλειψις»). Il vocabolo è in generale assai raro,
attestato nel latino letterario di età classica solamente in Cic.
top. 31; off. 2, 58 (vd. ThlL s. v. praetermissio, X.2 1030, 20-55).
Il verbo praetermitto occorre, invece, anche in altri luoghi
dell’Ars (GL II 52, 12; 190, 2; III 105, 7), ma sempre con valo-
re generico, nella formula illud quoque non est praetermittendum
(inoltre al participio perfetto in GL II 2, 13; 238, 5).
CITAZIONI LATINE. Sall. Iug. 88, 4 non è citato in altre fonti
grammaticali.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Tucidide, sia nella
voce in esame che in 103, 3, si osservano, rispetto alla tradizio-
ne diretta, l’aggiunta di καί davanti a τὰς αἰτίας e l’omissione
di καὶ τὰς διαφορὰς dopo πρῶτον, che può essere stata in-
tenzionalmente compiuta dal compilatore del lessico greco,
giacché le tre parole omesse non erano necessarie a illustrare il
lemma. Nello stesso passo tucidideo sono inoltre attestate le
varianti προσέγραψα (42, 16) e συνέγραψα (103, 4) per
προύγραψα della tradizione diretta. Considerata la frequenza
di uso di ξυγγράφω da parte di Tucidide, συνέγραψα sembra
essere una banalizzazione, oltre che una forma normalizzata dal
punto di vista fonetico. Προσγράφω non è, invece, mai utiliz-
zato dallo storico greco e potrebbe anche derivare da un errore
di tradizione nel lessico fonte oppure nella stessa Ars Prisciani
(considerata la somiglianza di C/ε/e). Infine il passaggio da τ,
soprattutto se di forma minuscola, a C in ὅσου (corretto in
ὅτου nell’edizione aldina) si potrebbe spiegare come alterazione
188 COMMENTO

di natura grafica; ma forse non si può del tutto escludere che


ὅσου fosse già nella fonte di Prisciano. Si tratterebbe di una
variante inferiore, ma sintatticamente non impossibile, dal signi-
ficato di “da quanto tempo” invece che “per quale motivo, da
quale fatto”. Né la correzione in 42, 17 è necessaria per adegua-
re il dettato del passo tucidideo a quello di 103, 4 (ὅτου), giac-
ché la citazione ricorre sotto due lemmi diversi.
Nell’estratto di Iug. 88, 4 Prisciano si accorda con il ramo X
della tradizione dei codices mutili di Sallustio nella lezione belli
patrandi cognovit, mentre l’altro ramo (Y), aggiunge copiam prima
(γ) o dopo (δ) cognovit. Sia Kurfess sia Reynolds scelgono di
non mettere a testo copiam, che probabilmente è un’interpola-
zione intesa a semplificare la sintassi del passo.

43, 5-10 ἑνός insieme a un numerale, in qualsiasi caso,


concordato con il participio δέων: undeviginti (et sim.)
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Thuc. 4, 102, 3
ἑνός δέοντι) – lemma greco secondario – lemma latino – cita-
zione latina (Hor. sat. 2, 3, 117-118), con glossa sintattica.
LEMMA GRECO. Dall’esempio tucidideo e dalla glossa seguente
si ricava che viene qui presentata come tipicamente attica la
costruzione nella quale da δέον, concordato con un sostantivo
(ἔτος) e un numerale ordinale, dipende un numerale cardinale
in genitivo (ἑνός oppure δυοῖν: cfr. Thuc. 2, 2, 1; 5, 16, 3; 8,
6, 5; Herod. 1, 16; 1, 214; Demosth. 9, 23; 36, 19). La struttura
alternativa, in cui δέον è concordato, al genitivo, con il nume-
rale sottratto, sarebbe quella di κοινή o non connotata in senso
dialettale (ad es. Hipp. 26, 6; vd. Kühner – Gerth I.1, p. 630;
Schwyzer I, p. 594). Proprio per questo motivo è improbabile
che il successivo Et ‘δυοῖν δεόντοιν’ dicunt esprima una secon-
da metà del lemma già presente nella fonte atticista di Prisciano:
è inusuale, infatti, che il costrutto con cui un membro del lem-
ma viene glossato costituisca esso stesso un altro membro del
lemma. Più probabilmente il grammatico avrà aggiunto questa
espressione per precisare che esiste una forma sottrattiva non
solo del numerale 19 (et sim.) ma anche del 18 (et sim.). Nel
formulare questa ulteriore indicazione Prisciano ha adottato la
43, 5-10 189

struttura sintattica della glossa pro ‘ἑνὸς δέοντος’ perché imme-


diatamente precedente e forse perché più facile, dal suo punto di
vista, della locuzione attestata in Thuc. 4, 102, 3. Il modo, adot-
tato nella voce in esame, di ampliare il lemma con un ulteriore
costrutto può essere confrontato con 48, 10 Et ‘tot annis’ dicitur.
Prisciano discute dei numerali sottrattivi, undeviginti e duode-
viginti (et sim.), anche in fig. num. 11, 23-12, 7 Passalacqua, dove
ricorre anche il medesimo esempio oraziano citato negli Atti-
cismi (sat. 2, 3, 117-118): Illud quoque sciendum, quod undeviginti
dicimus pro decem et novem, id est unde unum deest viginti […].
Horatius in II Sermonum […], ‘unde octoginta’ dixit, id est septua-
ginta novem annos habens aetatis, hoc est octoginta unde unum. Etiam
duodeviginti dicunt pro decem et octo, quod Attici δυοῖν δεόντων
dicunt. Idem invenitur in ceteris cardinalibus numeris; id est triginta et
quadraginta et reliquis: duodetriginta pro viginti octo et similia. Come
ho dimostrato altrove (Spangenberg Yanes ics. [a]), in questo
passo la forma δεόντων (che Passalacqua mette a testo senza
segnalare varianti in apparato) deve essere considerata corruttela
di δεόντοιν. Già nell’operetta dedicata a Simmaco Prisciano
trattava dunque della forma di numerale sottrattivo in greco,
nella quale il participio di δέω concorda in genitivo con il nu-
merale cardinale. Se si considera poi che negli Atticismi δυοῖν
δεόντοιν non è direttamente pertinente al lemma primario,
ἑνός δέοντι, bensì alla sua glossa, pro ἑνὸς δεόντος, si può
proporre che Prisciano avesse compiuto da sé, senza l’ausilio di
una fonte greca, il collegamento tra le forme undeviginti, duodevi-
ginti et sim. e δυοῖν δεόντοιν nel De figuris numerorum e che se
ne sia ricordato al momento della rielaborazione del lemma ἑ-
νὸς δέοντι nel lessico e ve la abbia aggiunta, insieme al corredo
di riflessioni sul latino undeoctoginta che egli aveva già formulato.
CITAZIONI GRECHE. La citazione introdotta dall’indicazione
Thucydides I appartiene in realtà al quarto libro delle Storie: come
spiega Rosellini in apparato, l’errore può essere ricondotto allo
scambio grafico del numerale Δ con Α nella precedente tradi-
zione del lessico atticista. La resa in latino con il numerale I prova
che Prisciano leggeva già nella sua fonte la cifra corrotta Α.
LEMMA LATINO. Nessun altro grammatico latino si occupa delle
190 COMMENTO

forme sottrattive dei numerali 18, 19 et sim. (sulle quali vd.


Hofmann – Szantyr, p. 487).
CITAZIONI LATINE. Hor. sat. 2, 3, 117-118 è citato, a proposi-
to del numerale sottrattivo, anche in fig. num. 11, 26-12, 2
Passalacqua (vd. supra). La forma particolare del numerale è
notata anche in Schol. ad loc.: Unde octog.] Pro ‘uno minus octogin-
ta’ LXXVIIII apud veteres sic dicebatur.
PROBLEMI TESTUALI. L’integrazione di -τι in δέον‹τι› (così nella
tradizione diretta di Tucidide) è necessaria, giacché il testo ri-
sulta altrimenti scorretto da un punto di vista sintattico e forse
Prisciano non lo avrebbe potuto accogliere in questa forma. Il
tràdito ἑνὸς δέον, che Hertz mette a testo (GL III 310, 21), si
trova altrove solo in Thuc. 8, 6, 5 ἑνὸς δέον εἰκοστὸν ἔτος,
dove l’accusativo δέον è però giustificato dalla concordanza con
ἔτος, mentre nel passo citato da Prisciano si ha il dativo ἔτει.

43, 11-12 ἐναντίον con genitivo: adversum con accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con glossa semantica
in latino – citazione latina (Ter. Andr. 42).
LEMMA LATINO. La corrispondenza di ἐναντίον e adversum è
attestata anche nello Ps. Cirillo (CGL II 297, 27; cfr. Dosith.
67, 14-15 Tolkiehn κατέναντι contra adversum; Prisc. GL III
26, 20-26, dove si istituisce un’equivalenza semantica tra adver-
sum ed ἐναντίως). L’opzione di Prisciano per adversum rispetto
ad adversus dipende probabilmente dal parallelismo anche mor-
fologico che la prima forma offriva per il greco ἐναντίον (cfr.
inoltre ThlL s. v. adversus [von Mess], I.1 850, 58-78, dove si
osserva che adversum sarebbe stato per lo più sostituito da adver-
sus a partire dal I secolo a. C., ma che «aetate recente denuo
increbrescere coepit»).
Di adversum Prisciano si era già occupato nel libro XIV,
includendolo tra le preposizioni che possono essere anche av-
verbi (GL III 25, 28-26, 3; 26, 20-26; 28, 25-27; 36, 5-7; cfr.
part. 127, 7- 8 Passalacqua), senza però soffermarsi sulla sua reg-
genza. Adversum/-us è elencato tra le preposizioni che reggono
l’accusativo dalla maggior parte degli altri grammatici latini
(Char. 298, 14; 309, 1-2 e 16; Diom. GL I 409, 31-32; Ps.
43, 13-17 191

Prob. inst. GL IV 147, 9; Don. min. 600, 11 e 14; mai. 649, 5 e


8; Explan. in Don. GL IV 562, 1 e 4; Cledon. GL V 76, 22-23;
Pomp. GL V 272, 37; Ps. Aug. reg. 129, 16 Martorelli; Mar.
Victorin. GL VI 203, 21; Sacerd. GL VI 429, 7; Audax GL VII
352, 5; Dosith. 67, 15 Tolkiehn; Arus. 8, 19 Di Stefano).
CITAZIONI LATINE. Ter. Andr. 42 è citato anche in GL III 26,
22, dove esemplifica l’uso preposizionale di adversum. Altri
grammatici considerano lo stesso passo un’attestazione di adver-
sum col valore di apud (Explan. in Don. GL IV 561, 10-12 ad-
versum te [...] pro ‘apud te’, ut Terentius ‘et id ... gratiam’; Arus. 8,
19-20 Di Stefano ADVERSUM TE pro ‘apud te’. Ter. Andria ‘Et id
... gratiam’, ma cfr. 43, 1-2 GRATUM ADVERSUM TE pro ‘tibi’.
Ter. And. ‘Id gratum fuisse adversum te’; Don. Ter. Andr. 42, 1~3
ET ID GRATUM FUISSE A. T. id est apud te, penes te […]. Ergo
‘adversum te’ dixit pro apud te).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Ter. Andr. 42 la va-
riante idque per et id della tradizione diretta è attestata nella voce
in esame e in GL III 26, 22 (dove si osserva anche un diverso
ordo verborum: adversum te gratum fuisse). Arusiano, in entrambe le
attestazioni della citazione (8, 19-20; 43, 1-2), e le Explanationes
in Donatum si accordano invece con la tradizione diretta. Im-
precisioni riconducibili a citazioni mnemoniche, soprattutto
negli esempi tratti da Terenzio, sono frequenti nell’Ars Prisciani;
in questo caso occorre chiedersi se la variante idque per et id sia
conciliabile con l’ipotesi di una derivazione di Ter. Andr. 42
dalla fonte comune ad Arusiano Messio o se, invece, Prisciano
abbia reperito autonomamente il verso e la coincidenza tra i
due grammatici sia qui casuale.

43, 13-17 ἐξηγέομαι: verbis praeeo, iuro in verba alicuius


STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Demosth. 19, 70
ἐξηγεῖτο), con glossa semantica – lemma latino, con glossa
semantica – citazione latina (Hor. epod. 15, 4-5). La voce viola
l’ordine alfabetico del lessico per la seconda lettera del lemma,
giacché esso, iniziante per εξ-, si trova tra quelli in εν- (41, 9-
45, 4). Non sembra esservi stato alcun motivo per cui Prisciano
spostasse in questo punto il lemma ἐξηγέομαι, sicché si deve
192 COMMENTO

probabilmente ipotizzare una lieve imprecisione dell’ordina-


mento alfabetico già nel lessico fonte.
LEMMA GRECO. Il nesso τὸν νόμον ἐξηγεῖσθαι e in generale
l’uso del verbo col significato di “dettare, prescrivere (una for-
mula verbale)” è noto solamente tramite il passo demostenico
citato anche da Prisciano (vd. LSJ s. v. ἐξηγέομαι, II).
LEMMA LATINO. Come osserva Rochette 2014, pp. 10-11, la
glossa che Prisciano fa seguire al lemma latino corrisponde se-
manticamente alla glossa del lemma greco, in base a una equiva-
lenza posta anche nei glossari bilingui (CGL II 48, 49 e 51; 463,
5; III 80, 16); cfr. Spangenberg Yanes 2014, pp. 116 e 120.
Praeeo è frequentemente impiegato nel significato di “detta-
re, prescrivere” una determinata espressione verbale (vd. ThlL s.
v. praeeo [van Leijenhorst], X.2 595, 41- 44), tuttavia il lemma
espresso da Prisciano, verbis praeire, costituisce l’unica attestazio-
ne nota del verbo in questo senso con l’ablativo di mezzo (vd.
ibid. 595, 65-76). È però possibile che il grammatico intendesse
non che praeeo regga l’ablativo o addirittura l’ablativo verbis, in
modo analogo al secondo lemma, iurare in verba illius (su cui vd.
ThlL s. v. iuro [Teßmer], VII.2 676, 48-59), ma solamente un
complemento di mezzo, “prescrivo a parole”.
CITAZIONI LATINE. Il significato dell’espressione in alicuius verba
iurare nel luogo oraziano citato da Prisciano viene spiegato, in
modo non dissimile, anche in Porph. Hor. epod. 15, 4: In verba
iurabas mea, hoc est: [mea] per eum verba concepta iu‹ri›s iurandi;
Schol. Hor. epod. 15, 4 In verba iurabas mea] Sicut ego ostendebam
tibi iurare, ita iurabas, et secundum verba, quae proponebam, iurabas.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Demosth. 19, 70 è
omesso τοῦτον davanti a νόμον, probabilmente per un taglio
intenzionale della citazione ad opera del compilatore del lessico,
giacché il dimostrativo era inessenziale a illustrare il lemma della
voce (cfr. E. Müller 1911, p. 8)

43, 18-19 ἐντρέπομαι con accusativo o genitivo: pudet


con accusativo e genitivo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino. La
voce prosegue in 44, 4-17, dove si trovano gli esempi greci e
43, 18-19 193

latini relativi ai due lemmi qui formulati, insieme a ulteriori


osservazioni di Prisciano. Le due sezioni sono separate dall’in-
terposizione del lemma ἐλεέομαι/misereor (44, 1-3). Rosellini
ad loc. ritiene che la citazione di Andocide (1, 67 ‹ἐ›λεηθείην) e
il lemma latino che la accompagna potessero essere state anno-
tate, nel corso della preparazione del lessico priscianeo, come
rimando sulla ‘scheda’ relativa a ἐντρέπομαι a causa della rela-
zione tra i due lemmi latini corrispondenti, pudet e misereor.
Entrambi i verbi latini reggono, infatti, il genitivo; inoltre pudet
e miseret sono tipicamente associati, nella tradizione grammati-
cale latina, in liste di impersonali costruiti con l’accusativo della
persona e il genitivo della cosa (vd. Char. 331, 12; Ars Bob. 48,
13-15 De Nonno; Don. mai. 633, 3-4; Explan. in Don. GL IV
554, 13-14; Pomp. GL V 241, 8-9; Ps. Aug. reg. 95, 5 e 17-19
Martorelli; Frg. Bob. verb. 22, 5 Passalacqua; 27, 6-7; 44, 15-20;
47, 21-25; 48, 10-12; Phoc. 64, 10-12 Casaceli). L’opzione di
Prisciano, in 44, 1-3, per misereor invece del corrispondente
impersonale si spiega con il fatto che quello si prestava meglio a
rendere in latino il passivo greco ἐλεηθείην (vd. anche ad loc.).
Nella prima trascrizione del testo a opera di Flavio Teodoro
il materiali relativi a ἐλεεόμαι sarebbero quindi stati erronea-
mente posti extra ordinem. Nonostante la maldestra collocazione
della voce ἐλεέομαι a separare il lemma ἐντρέπομαι dalle cita-
zioni che lo illustrano, si ha certamente a che fare con un altro
esempio della relativa libertà con cui Prisciano ha trattato la sua
fonte atticista, spostandone (sia pure forse in questo caso in modo
non intenzionalmente definitivo) materiali da una voce all’altra
del lessico (o addirittura dal lessico ad altre sezioni dell’Ars) in
violazione dell’ordine alfabetico e dello stesso criterio ‘lessicale’,
in nome di affinità solamente sintattiche.
LEMMA LATINO. L’uso impersonale di pudet con l’accusativo e il
genitivo è ricordato anche in 63, 8-10, dove questo verbo è
accostato agli altri ‘assolutamente impersonali’ (piget, taedet,
paenitet e miseret), e viene spiegato in termini più dettagliati nella
prima metà del libro XVIII (GL III 232, 23-26 hoc quoque scien-
dum, quod impersonalia, quae accusativo simul casui et genetivo copu-
lantur, ut ‘pudet me tui’, similiter ‘paenitet, taedet, miseret’, accusativo
194 COMMENTO

quidem significant personam, in qua fit passio, genetivo vero illam, ex


qua fit; cfr. GL III 148, 3-5 e 14; 158, 30-31; 230, 6- 8 e 24-25;
vd. inoltre ThlL s. v. pudeo [Grossardt], X.2 2474, 17-2475, 41).
Questa costruzione del verbo è registrata da altri grammatici in
liste di idiomata del solo genitivo (si dà cioè per scontata la reg-
genza dell’accusativo della persona, che è comunque sovente
espresso negli exempla): Char. 382, 2-3 pudet me amoris; sim.
Diom. GL I 311, 18; Idiom. cas. GL IV 566, 3-4; Dosith. 86, 4-
5 Tolkiehn; Beda orth. 40, 821 Jones; Explan. in Don. GL IV
556, 9 pudet facti (cfr. 553, 20-21); sim. App. Prob. 2, 19 Asperti-
Passalacqua; Aug. ars 103 Bonnet; Exc. Andec. § VI De Nonno;
Consent. GL V 385, 2; cfr. Arus. 79, 7- 8 Di Stefano PUDET
ILLIUS. Solo nella raccolta del ms. Oxford, Bodl. Libr., Add. C
144 pudet e gli altri verbi ‘assolutamente impersonali’ sono elen-
cati nella categoria di quelli che reggono insieme il genitivo e
l’accusativo: f. 79v Item uerba defectiua siue inpersonalia uel inchoatiua
accusatiuum primo deinde genitiuum regunt Pudet piget poenitet decet
tedet miseret miserescit pertesum est Dicimus enim pudet me foeditatis.
A proposito di ἐντρέπομαι/pudet si misura la distanza ideo-
logica di Prisciano dalla tradizione latina degli idiomata (cfr. p.
123): la costruzione di pudet, menzionata all’inizio della sezione
delle Artes di Carisio e Diomede dedicata agli idiomata casuum, è
ivi considerata tipica del latino giacché il corrispondente verbo
greco (non esplicitato) reggerebbe il dativo: Char. 380, 21-29
(sim. Diom. GL I 311, 3- 8) cum ab omni sermone Graeco Latina
lingua pendere videatur, quaedam inveniuntur vel licentia ab antiquis
vel proprietate linguae Latinae dicta praeter consuetudinem Graecorum,
quae idiomata appellantur. adgnoscuntur autem ex casibus. nam inve-
nimus […] quae Graeci per dativum, haec a Romanis per genetivum
prolata, ut pudet me amoris (cfr. Frg. Bob. verb. 44, 15-20 Passalac-
qua, dove la flessione di taedet piget pudet licet miseret, introdotta
con Illa iam propria Latinorum, segue alla trattazione parallela di
alcuni impersonali latini e greci). Il verbo greco cui alludono
Carisio e Diomede senza menzionarlo è probabilmente
(ἐπ)αἰσχύνομαι con il dativo di causa (cfr. CGL II 164, 16
Pudet me amoris επαισχυνομαι τωι ερωτι; inoltre CGL II 221,
15; III 128, 50). Prisciano, al contrario, cerca dei costrutti paral-
44, 1-3 195

leli nelle due lingue e confronta pudet con ἐντρέπομαι, che,


come il verbo latino, può reggere il genitivo della cosa o perso-
na verso la quale o a causa della quale si prova pudore.
Accanto alla costruzione con l’accusativo e il genitivo Pri-
sciano conosce per pudet anche l’uso impersonale con l’accusati-
vo e l’infinito (GL III 230, 25-27 infinitis quoque tamen haec
eadem coniuncta accusativum solum assumunt, ut ‘pudet me discere’;
vd. ThlL ibid. 2477, 50- 63) e quello personale con l’accusativo
(sul quale vd. infra, commento a 63, 10-12).

44, 1-3 ἐλεέομαι con genitivo: misereor con genitivo


STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (And. 1, 67
ἐλεηθείην) – lemma latino. Sulla collocazione impropria di
ἐλεέομαι all’interno di una serie omogenea di lemmi in εν-
(41, 9-45, 4) vd. supra, p. 193.
LEMMA GRECO. La citazione di And. 1 67 contiene una forma
passiva del verbo (‹ἐ›λεηθείην, con complemento d’agente ὑφ’
ὑμῶν), cioè ne attesta l’uso transitivo; tuttavia l’attenzione del
nostro grammatico – se non già della sua fonte – si è appuntata
sulla reggenza del genitivo della cosa (τῆς … τύχης) piuttosto
che su quella dell’accusativo della persona, come si ricava dal
confronto con il lemma latino, misereor tui.
LEMMA LATINO. Prisciano postula la corrispondenza semantica
di misereor e ἐλεέω anche in GL III 178, 12-13 ‘ego et tu nostri
invicem miseremur’, ἀλλήλους ἐλεοῦμεν, dove tuttavia il verbo
greco è in forma attiva e regge l’accusativo della persona invece
che il genitivo della cosa. La stessa equivalenza (con ἐλεέω
sempre all’attivo) è attestata anche in Char. 465, 13 e nei glossa-
ri bilingui (CGL II 294, 47; III 140, 44- 45; 341, 24-25; 456,
42; 494, 23; cfr. II 295, 14). Il parallelismo istituito da Prisciano
tra τῆς … τύχης … ‹ἐ›λεηθείην e misereor tui è solo in parte
appropriato: una forma passiva greca costruita con il genitivo
della cosa per la quale si è commiserati viene, infatti, confronta-
ta con un deponente latino che regge il genitivo della persona
per la quale si prova compassione (il genitivo retto da misereor
può tuttavia esprimere sia la persona che la cosa commiserate:
vd. ThlL s. v. misereo [Wieland], VIII 1118, 67-73). Inoltre in
196 COMMENTO

And. 1, 67 ἐλεέω è al contempo usato transitivamente (al passi-


vo) e regge il genitivo di causa, mentre per misereor la costruzio-
ne con l’accusativo è alternativa a quella con il genitivo. Priscia-
no potrebbe dunque o aver trascurato il fatto che ‹ἐ›λεηθείην è
una forma realmente passiva oppure aver confuso la costruzione
di misereor con quella dell’impersonale miseret, che regge l’accu-
sativo della persona e il genitivo della cosa.
La reggenza del genitivo da parte di misereor è ricordata an-
che nei libri VIII (GL II 388, 15-17 quae [scil. deponentia] vim
activam habent, genetivum [...] casum assumunt, ut ‘misereor tui’) e
XI (GL II 550, 12-17; 552, 26-27; 555, 14-18; cfr. part. 89, 23-
26 Passalacqua). Prisciano menziona inoltre misereor come verbo
che regge tipicamente il genitivo nella trattazione di una serie di
fenomeni sintattici, legati in particolare all’uso dei pronomi, nei
libri XVII-XVIII (GL III 147, 15; 154, 23; 159, 18; 162, 9;
163, 26; 164, 3 e 24-26; 167, 1 e 9; 168, 10 e 24; 169, 4; 170,
8 e 21-23; 174, 13-16; 175, 20; 176, 2-6; 178, 12-13; 183, 13-
14; 223, 12 e 22; 224, 3- 4; 233, 3-4 e 7-10; 234, 11-15; 275,
2-3). La costruzione di misereor con il genitivo della cosa o per-
sona per la quale si prova pietà è registrata anche in Arus. 65, 9-
10 Di Stefano, nelle raccolte di idiomata (Char. 382, 1; Diom.
GL I 311, 17; App. Prob. 2, 18 Asperti-Passalacqua; Explan. in
Don. GL IV 553, 12; 556, 9 e 35; Idiom. cas. GL IV 566, 9-10;
Aug. ars 103 Bonnet; Exc. Andec. § VI De Nonno; Consent.
GL V 385, 2; Oxford, Bodl. Libr., Add. C 144, f. 78v misereor
infantis misereor puerorum), nello Ps. Cirillo (CGL II 294, 47
Ελεησον με miserere mei) e in Don. mai. 638, 13-14; Pomp.
GL V 238, 10-12; 238, 28.
PROBLEMI TESTUALI. La variante ὑφ’ ὑμῶν per ὑπὸ πάντων
della tradizione diretta in And. 1, 67 potrebbe doversi, già nella
fonte di Prisciano, alla confusione con una delle uniche altre due
occorrenze note della forma ἐλεηθείην, entrambe con formula-
zioni assai simili a quella di Andocide: Isocr. Big. 48 Δικαίως δ’
ἂν ὑφ’ ὑμῶν ἐξ αὐτῶν τῶν ἔργων ἐλεηθείην; Lys. 3, 48
ὥστε δικαίως ἂν ὑφ’ ὑμῶν καὶ ὑπὸ τῶν ἄλλων ἐλεηθείην.
44, 4-17 197

44, 4-17 ἐντρέπω con genitivo o accusativo: pudet con


accusativo e genitivo
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazioni greche (Plat. Crit. 52c8-9
ἐντρέπει; Phaedr. 254a ἐντρέπεται; Eur. fr. 83 Kannicht ἐντρέ-
πῃ; Soph. OC 299-300 ἐντροπήν; OT 1056 παρεντραπῇς;
Alex. fr. 71 K.-A. ἐντρέπεται) – citazioni latine (Ter. Phorm.
525-526; Ad. 391-392; Phorm. 644) – osservazione aggiuntiva.
LEMMA GRECO. Il lemma cui fanno riferimento le citazioni qui
raccolte è espresso in 43, 18-19; vd. supra, ad loc.
CITAZIONI GRECHE. Soph. OT 1056 e OC 299-300 sono
attestazioni di corradicali del lemma primario, secondo una
prassi comune nei lessici antichi.
LEMMA LATINO. Sulla costruzione impersonale di pudet con il
genitivo e l’accusativo vd. supra, pp. 194-195. Oltre a questa,
Prisciano esemplifica qui anche l’uso personale del verbo (Ter.
Phorm. 644). Come risulta dalla sua trattazione più esplicita in
63, 10-12 Inveniuntur tamen etiam accusativis solis coniuncta. Teren-
tius in adelphis: ‘ei mihi! / Non te haec pudent?’ Idem: ‘ut nihil
pudet!’, il grammatico considera questa una costruzione con
l’accusativo della cosa. Lo stesso costrutto è qualificato nella
prima metà del libro XVIII come un grecismo (GL III 230, 27-
231, 5 Terentius tamen novo more in adelphis secundum Graecos
dixit: ‘quem neque pudet / quicquam’. idem in eodem: ‘ei mihi, / non
te haec pudent?’; vd. ThlL s. v. pudeo [Grossardt], X.2 2475, 71-
2476, 26). Sia Prisciano sia Arusiano (79, 9 Di Stefano PUDET
ILLUD. Ter. adel. ‘Non te haec pudent?’) sembrano notare in Ter.
Ad. 753-754 l’espressione dell’oggetto inanimato in accusativo
(invece che genitivo), non accorgendosi che il verbo ha qui,
invece, una costruzione personale, della quale haec è il soggetto.
Simili incertezze nella distinzione tra costruzione personale e
impersonale di un dato verbo si riscontrano anche in altri luo-
ghi dell’Ars (cfr. ad es. GL III 225, 10-19, su cui vd. infra, pp.
261-262). Gli altri grammatici, anche quando menzionano la
costruzione di pudet e altri verbi “assolutamente impersonali”
con l’accusativo, si riferiscono, invece, alla reggenza dell’accusati-
vo della persona nell’uso impersonale (Char. 210, 7-8; 212, 29-
30; 331, 12-18; 333, 18-334, 2; 384, 9; 476, 16; Diom. GL I
198 COMMENTO

314, 23; 342, 2; 397, 12-14; Dosith. 58, 9-10 Tolkiehn; App.
Prob. 2, 80- 81 Asperti-Passalacqua; Explan. in Don. GL IV 550,
23-24; 551, 6-7; 554, 13-14 e 19-32; Aug. ars 103 Bonnet; Exc.
Andec. § VI De Nonno; Don. mai. 633, 2-4; 635, 13-14; Ars
Bob. 48, 13-18 De Nonno; Ps. Prob. inst. GL IV 186, 28-30;
Serv. GL IV 437, 8-12; Cledon. GL V 61, 15-16; Pomp. GL V
230, 19-22; 237, 27-29; 238, 3; Consent. GL V 372, 3-5; Ps.
Aug. reg. 95, 3-7 e 17 Martorelli; Phoc. 64, 10-11 Casaceli; Frg.
Bob. verb. 22, 5 Passalacqua; 27, 6-7; 47, 21-25; Mar. Victorin.
GL VI 200, 9-12; Sacerd. GL VI 429, 24-25; 431, 25-26. Cfr.
anche Prisc. GL II 432, 12-13; part. 87, 9-11 Passalacqua).
CITAZIONI LATINE. Ter. Phorm. 644 è citato anche in 63, 12
(vd. supra; cfr. ad loc.).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Plat. Crit. 52c8-9 il
terzo οὔτε dopo ἡμῶν (assente dalla tradizione diretta) può
essere stato aggiunto in qualche fase della trasmissione del lessi-
co fonte di Prisciano a seguito di un fraintendimento favorito
dall’impossibilità di recuperare il contesto della citazione e di
comprendere che a parlare qui in prima persona sono le leggi (si
tratta della celebre prosopopea nel finale del Critone). Ancora
nella citazione platonica le lezioni αἰσχύνει e ἐντρέπει
(αἰσχύνῃ ed ἐντρέπῃ nella tradizione diretta) devono comun-
que essere intese come seconde persone mediopassive, giacché
tutte le altre citazioni che corredano la voce, come il lemma
stesso, contengono forme mediopassive del verbo ed esso può
reggere il genitivo solo in tale diatesi (vd. LSJ s. v. ἐντρέπω,
II.2). Sull’uso delle desinenze -εις/-ης e -ει/-ῃ/-η negli Atti-
cismi vd. supra, pp. XLIX-L.
Nella citazione di Soph. OT 1056 la lezione μήτε per
μηδέν della tradizione diretta è riconducibile alla propensione
della fonte di Prisciano per le forme οὔτε e μήτε rispetto a
οὐδέ e μηδέ (cfr. supra, pp. 107-108; 110; 117). La variante
παρεντραπῇς per ἐντραπῇς è uno hapax.
Il fr. 71 K.-A. di Alessi è riportato in forma ametrica, che si
può spiegare con la caduta di una o due parole, corrispondenti a
un cretico, dopo πολιάν. Sulle diverse proposte di integrazione
finora avanzate vd. Kassel – Austin ad loc. La lacuna doveva
44, 18- 45, 4 199

comunque verosimilmente aver già avuto luogo prima che il


lessico atticista giungesse nella mani di Prisciano.
Dopo la citazione di Ter. Phorm. 644 i correttori dei codici
TRYQ aggiungono Idem in adelphis quem neque pudet quicquam
(Ter. Ad. 84-85). Il passo è già richiamato da Prisciano nella
prima metà del libro XVIII (GL III 230, 27-231, 2), dove è
accostato ad Ad. 753-754, che in Att. 63, 11-12 illustra la co-
struzione di pudet con l’accusativo della cosa insieme a Phorm.
644, cioè l’esempio riferito allo stesso uso sintattico in 44, 11-
12. Non sarebbe dunque inverosimile che il grammatico acco-
stasse tra loro anche Ter. Ad. 84- 85 e Phorm. 644; d’altra parte
un lettore accorto sarebbe forse stato in grado di individuare il
collegamento tra i due luoghi terenziani, nonostante essi non
siano mai citati insieme in altri passi dell’Ars, e di introdurre
Ad. 84- 85 in 44, 13.

44, 18- 45, 4 ἐνδέξια e ἐνάριστερα: dextra e sinistra con


accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino –
citazione latina (Sall. Iug. 11, 3) – citazione greca (Hom. Il. 6,
331 = 9, 247), con glossa – citazione latina (Verg. Aen. 3, 489),
con glossa.
LEMMA GRECO. L’uso avverbiale del neutro plurale ἐνδέξια,
ampiamente attestato già in Omero (vd. LSJ s. v. ἐνδέξιος), è
oggetto di numerose discussioni nella tradizione grammaticale
greca (Herodian. GG III.1 488, 7-9; III.2 58, 35 ἐνδέξια·
ὅταν ἀντὶ ἐπιρρήματος ᾖ τοῦ ἐπιδεξίως τὸ ἐνδέξια, τρίτη
ἀπὸ τέλους ἡ ὀξεῖα; sim. 65, 6-9; 161, 18; 506, 29; Etym.
Gud. 503, 4; Etym. M. 338, 41; 358, 50) e nell’esegesi omerica
(Schol. Il. 1, 597; 2, 353b; 7, 184a; 9, 236b; Od. 17, 365; Eust.
Il. I 246, 19; 359, 8; II 439, 31; III 383, 17; Od. II 150, 43; cfr.
Schol. Eur. Hipp. 1360). Il confronto con questi testi conferma
che l’indicazione data da Prisciano, antepaenultimo acuto adverbia-
liter proferunt, serviva a distinguere queste due forme da quelle
perispomene ἐν δεξιᾷ ed ἐν ἀριστερᾷ, che nell’uso antico
della scriptio continua e della frequente omissione dello iota
ascritto potevano risultare omografe a ἐνδέξια e ἐναρίστερα.
200 COMMENTO

Non si conoscono occorrenze letterarie di ἐναρίστερα né


dell’aggettivo da cui esso dovrebbe derivare, ἐναρίστερος,
tuttavia entrambi sono attestati in un papiro di III secolo a. C.
(P. Col. IV 81, ll. 15 e 17) e in alcune iscrizioni di II secolo a.
C. (ID 1441.A.1.71; 1439Abc.1.55; 1426B.2.40; 1417B.2.74;
vd. DGE s. v. ἐναρίστερος).
CITAZIONI GRECHE. Hom. Il. 6, 331 (= 9, 247) è utilizzato da
Prisciano già nel libro XIV, dove discute dell’accento delle
preposizioni latine e greche in caso di ellissi del verbo: GL III
33, 7- 8 et hoc ad similitudinem Graecorum. Homerus: ‘ἀλλ’ ἄνα’.
Il fatto che il legame tra questa citazione e il lemma della voce
sia di natura solamente grammaticale e non lessicale (lo sposta-
mento dell’accento concomitante al cambio di funzione di una
parola) e la presenza della medesima espressione omerica anche
in trattazioni dello stesso fenomeno in Apollonio Discolo (GG
II.1 136, 18-27; 200, 11-12; 232, 9~233, 20; II.2 6, 11-7, 3) ed
Erodiano (GG III.1 480, 16; III.2 207, 16) consentono di con-
cludere che essa non si trovava nel lessico atticista e che vi è
stata aggiunta da Prisciano, il quale l’avrà tratta piuttosto da una
fonte di tipo grammaticale. Vd. più diffusamente Mazzotti
2014, pp. 140-150; Spangenberg Yanes 2017a, pp. 638- 642.
LEMMA LATINO. Gli avverbi dextra e sinistra sono menzionati da
Prisciano, e spiegati come ablativi con funzione avverbiale,
anche in part. 115, 14-15 Passalacqua Frequenter enim simplices
ablativi pro adverbiis accipiuntur, ut una qua qui dextra sinistra.
CITAZIONI LATINE. Sall. Iug. 11, 3 è citato anche da Arusiano,
il quale intende però l’accusativo Adherbalem retto dal verbo
piuttosto che da dextra: 10, 3- 4 Di Stefano ADSIDET ILLUM IN
ILLA PARTE. Sal. Iug. ‘Dextra Adherbalem adsedit’ (si noti qui
inoltre l’estensione più ridotta della citazione). È comunque
possibile che l’esempio provenga ai due grammatici da una
fonte comune e che Prisciano se ne sia servito con maggiore
libertà di Arusiano.
Verg. Aen. 3, 489 ricorre in relazione all’uso della preposi-
zione super invece del composto di questa con sum in GL III
31, 14-15; 33, 1- 4; 110, 27-111, 2. Per lo stesso fenomeno il
passo è citato in Diom. GL I 414, 1- 4 [scil. super praepositio] pro
45, 5-13 201

superest, ut […] ‘o mihi … imago’; Dosith. 72, 19-21 Tolkiehn


[scil. super praepositio] pro superest, ut […] ‘o mihi … imago’. La
medesima esegesi del luogo virgiliano è condivisa da Serv. auct.
ad loc. SUPER [et] deest ‘est’, ut sit quae superest, id est restat (Serv.
ad loc., invece, intende diversamente la preposizione: MEI SUPER
ASTYANACTIS IMAGO ‘super’ id est valde, vehementer, expresse, hoc
est valde mihi es imago Astyanactis (cfr. Non. 169, 19-24). Lo
scoliasta, come Diomede e Dositeo, sottintende accanto a super
la terza persona singolare del verbo “essere” (superest), mentre
Prisciano pensa alla seconda persona singolare (superes), accor-
dandosi in questo piuttosto con Servio (valde mihi es).
PROBLEMI TESTUALI. Il ramo β e il codice W trasmettono il
numerale IIII invece di III, che è però lezione superiore da un
punto di vista stemmatico, essendo condivisa da γ e δ; la pre-
senza di IIII sia in β sia in W si deve probabilmente intendere
come un errore poligenetico. L’indicazione numerica del libro
è corrotta in IIII, nel solo codice R, anche in GL III 33, 2,
mentre è correttamente tràdita in GL III 31, 13; 110, 28.

45, 5-13 ἐξίσταμαι con accusativo o genitivo o dativo:


exeo con accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐξέστησαν) – cita-
zioni greche (Demosth. 20, 10; Ar. Ran. 354-355) – citazioni
latine (Sol. 1, 21; Verg. Aen. 5, 438). La voce costituisce una
redazione alternativa di quella in 18, 9-14 (vd. ad loc.).
LEMMA LATINO. La sintassi di exeo è trattata anche in 17, 10-12:
vd. supra, ad loc.
CITAZIONI LATINE. Sol. 1, 21 esemplifica l’uso transitivo di
exeo anche in 17, 11-12 (vd. ad loc.). Verg. Aen. 5, 438 illustra
lo stesso uso sintattico anche in Arus. 34, 16-17 Di Stefano,
mentre è citato con un interesse semantico, per l’impiego di
exeo con il significato di vito, in Non. 296, 20-21; Macr. Sat. 6,
6, 5; Serv. Aen. 11, 750; Schol. Stat. Theb. 4, 599 (il taglio della
citazione in Servio e Lattanzio Placido esclude peraltro l’accusa-
tivo richiesto da Prisciano).
202 COMMENTO

45, 14- 46, 5 ἐπιστατέω con genitivo o dativo: insto con


dativo o accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐπιστατήσει) –
citazioni greche (Theop. Com. fr. 57 K.-A.; Plat. Leg. 949a3;
Crat. fr. 79 K.-A.) – lemma latino – citazioni latine (Verg. Aen.
1, 504; 8, 537; 8, 433- 434).
CITAZIONI GRECHE. La citazione di esempi relativi a corradica-
li del lemma (qui Plat. Leg. 949a3 per ἐπιστάτης e Crat. fr. 79
K.-A. per ἐφίσταμαι) è piuttosto comune nella lessicografia
greca. Il passo platonico (sul quale vd. anche Menchelli 2014, p.
219 n. 40) è riportato, con un taglio diverso (ἐπιστάτας καὶ
βραβέας), anche in altri lessici (Poll. 3, 145; Or. fr. A 21 = Ps.
Zon. lex. 403, 28), ma a proposito di βραβεύς.
Il fr. 79 K.-A. di Cratino presenta delle difficoltà interpreta-
tive a causa della costruzione del verbo, del quale non si cono-
scono altre occorrenze con l’accusativo (vd. LSJ s. v.
ἐφίστημι). Il lemma stesso della voce peraltro non contempla la
reggenza dell’accusativo, ma solo del genitivo e dativo, que-
st’ultima priva di esempi. D’altra parte occorre anche ricordare
che il frammento di Cratino contiene un’attestazione non del
verbo lemmatizzato, bensì di un suo corradicale, e potrebbe
pertanto non essere strettamente vincolato a illustrare una delle
due reggenze descritte nel lemma principale. È verosimile che
comunque Prisciano interpretasse il fr. 79 come un esempio di
ἐφίσταμαι con l’accusativo, come suggerisce il confronto con
il seguente lemma latino (Romani ‘insto illi’ et ‘illum’).
LEMMA LATINO. Sulla corrispondenza semantica, di ἐφίσταμαι
e insto nei glossari bilingui vd. supra, pp. 129-130. La sintassi di
insto è trattata anche in 31, 9-12 (vd. ad loc.).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 504 e 8, 433-434 illustrano
le due reggenze di insto già in 31, 9-12. Verg. Aen. 8, 537 non
conosce, invece, altre attestazioni nella tradizione grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. Nel fr. 57 di Teopompo Kassel – Austin
integrano δ’ davanti a ὑμῶν – accogliendo una proposta di
Porson – allo scopo di evitare lo iato in Θρασυμάχου ὑμῶν.
Se l’integrazione è corretta, si dovrà comunque ipotizzare che
l’omissione della particella abbia avuto luogo in uno stadio di
46, 6-7 203

tradizione anteriore a Prisciano, il quale non avrebbe avuto


difficoltà ad accogliere il verso nella forma tràdita.
La variante in eodem recata dal ramo δ in luogo del secondo
in VIII è iscrivibile nel quadro della tendenza dei codici QO a
correggere o completare le indicazioni di provenienza della
citazioni latine, soprattutto virgiliane (cfr. supra, pp. 7; 9).

46, 6-7 ἐπιτροπεύω con accusativo e genitivo: tutor con


accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐπιτροπεύειν) –
lemma latino – citazione latina (Verg. Aen. 5, 343).
LEMMA LATINO. La resa lessicale di ἐπιτροπεύω in latino pro-
posta da Prisciano è confrontabile con la corrispondenza dei
sostantivi ἐπίτροπος e tutor nei glossari (CGL II 203, 37; 312,
29; III 53, 43; 54, 23; 55, 17; 106, 6 e 48; 304, 27; 517, 60).
Nessun altro grammatico antico tratta della sintassi di tutor.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 5, 343 non è citato altrove nella
tradizione grammaticale latina.

46, 8-10 ἐπιβάλλομαι con dativo o accusativo: conor con


accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐπεβάλοντο) –
lemma latino – citazione latina (Verg. Aen. 9, 398).
LEMMA GRECO. Delle due costruzioni di ἐπιβάλλομαι descrit-
te nel lemma priscianeo, quella con il dativo è attestata solo a
partire da Pol. 5, 81, 1; Dion. Hal. Ant. Rom. 5, 25. La testi-
monianza della fonte di Prisciano, che si fonda abitualmente
sull’uso linguistico dei soli autori attici di V-IV secolo, potrebbe
consentire di retrodatare di alcuni secoli l’entrata in uso di que-
sto costrutto, sebbene il lemma non sia corredato da citazioni.
LEMMA LATINO. La costruzione di conor con l’accusativo è regi-
strata anche in alcune liste di idiomata casuum (Char. 384, 10;
Diom. GL I 315, 11; Idiom. cas. GL IV 569, 1).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 9, 398 non è citato in altri testi
grammaticali.
204 COMMENTO

46, 11-15 ἐπιδείκνυμι con participio predicativo o infi-


nito: ostendo con participio predicativo o infinito
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐπιδείξεις) – lemma
latino – citazioni latine (Verg. Aen. 2, 377; Stat. Theb. 7, 791-
792), con glosse sintattiche.
LEMMA GRECO. L’uso di ἐπιδείκνυμι all’attivo con un participio
predicativo in nominativo, descritto nel lemma priscianeo come
alternativo a quello con l’infinito, è ignoto a LSJ (s. v.). In ge-
nerale però le grammatiche moderne prevedono la reggenza del
participio in nominativo in alcune categorie di verbi (verba affec-
tuum, alcuni verbi di percezione, verbi che esprimono inizio o
fine di un’azione) anche quando questi sono coniugati all’attivo
(vd. Schwyzer II, pp. 392-393; Kühner – Gerth II.2, pp. 48- 49).
LEMMA LATINO. La corrispondenza lessicale qui istituita tra osten-
do ed ἐπιδείκνυμι è confrontabile con quella del verbo latino
con ἐπιδεικνύω nello Ps. Cirillo (CGL II 297, 54; 307, 45).
Nelle rare attestazioni della costruzione di ostendo all’attivo
con il predicativo del soggetto Teßmer ritiene che il verbo
abbia un uso riflessivo con il pronome sottinteso (ThlL s. v.
ostendo, IX.2 1130, 71-78). Questa situazione è presente solo in
Iord. Get. 151 nunc … quod aliquando portus fuerit, spatiosissimus
ortus ostendit e Greg. M. epist. 9, 123 ut … quasi egentium amator
… ostendas, entrambi peraltro testualmente incerti (in Iord. Get.
151 la sintassi è appianata sia nel codice A, che reca ostenditur,
sia nel codice B, latore della variante spatiosissimos hortos; vd.
anche Giunta – Grillone ad loc.; Kalén 1939, pp. 83- 84. In
Greg. M. epist. 9, 123 Mommsen ha proposto di emendare
ostendas in ostendaris). Nei due passi il predicativo è comunque
rappresentato da un aggettivo o un sostantivo, mentre il partici-
pio è solo in Prisciano. Ostendo regge inoltre abitualmente l’ac-
cusativo con l’infinito, l’infinito semplice, invece, solo nel lati-
no tardo (spesso con ipotesto greco) e con significato affatto
diverso da quello attribuitogli dal grammatico (ThlL s. v. osten-
do, IX.2 1132, 38- 46: «fere cum vi docendi, praecipiendi»). Per tutte
queste ragioni è probabile che il lemma latino formulato da
Prisciano costituisca solamente una traduzione letterale del lem-
ma greco (vd. anche Spangenberg Yanes 2017b, pp. 305-306).
46, 11-15 205

Il reale corrispettivo sintattico del lemma greco è stato, inve-


ce, individuato dal grammatico nella costruzione di sentio e scio
all’attivo con participio in nominativo, non enunciata in astrat-
to, ma direttamente illustrata mediante Verg. Aen. 2, 377 e Stat.
Theb. 7, 791-792 (cfr. Spangenberg Yanes 2014, p. 128).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 2, 377 è richiamato quale
esempio di participio predicativo anche in 56, 15-16; 58, 2-3;
82, 2-3; 96, 13. Il verso è inoltre citato in Char. 355, 1- 4 a
proposito dello scambio di casi nell’uso del participio (pro sensit
se dilapsum). Il particolare uso sintattico del participio nel luogo
virgiliano è notato anche dal Servio danielino, che accanto a
delapsus sottintende esse (Aen. 2, 377 ordo autem est ‘sensit in
medios hostes se esse delapsum’. ergo ‘delapsus’ nominativum pro
accusativo posuit; cfr. Asper Verg. p. 534, 14-15). Stat. Theb. 7,
791-792 non è citato altre volte in ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. In tutte le citazioni di Verg. Aen. 2, 377,
negli Atticismi Prisciano attesta la variante illapsus per delapsus dei
codici virgiliani e della restante tradizione indiretta. Illapsus, così
come le altre forme di illabor, non è mai impiegato da Virgilio,
mentre occorre, nella stessa sede metrica, in Germ. 276 Cycnus
vel Ledae thalamis qui illapsus adulter; Stat. Theb. 1, 294 aera per
liquidum regnisque inlapsus opacis (cfr. 10, 278; Sil. 11, 400; 14,
428; 15, 95). È dunque possibile che la sostituzione di illapsus a
delapsus nelle citazioni di Verg. Aen. 2, 377 presso Prisciano si
debba a un errore di memoria del grammatico piuttosto che a
una variante antica nel testo virgiliano da lui usato. Nessuna
osservazione su delapsus/illapsus in Timpanaro 2001; Horsfall
2008. In generale sulle varianti al testo di Virgilio testimoniate
da Prisciano vd. De Nonno 1988, p. 281.
La citazione di Stat. Theb. 7, 791-792 si conserva solo come
aggiunta marginale nei codici TRQ, ma deve essere considerata
genuina, giacché è inserita nella voce in esame in virtù di un
accostamento esclusivamente sintattico e non anche lessicale,
che difficilmente avrebbe potuto essere compiuto da altri che
dal grammatico stesso. L’indicazione del libro di provenienza, in
VIII, è erronea, ma Rosellini non ritiene opportuno correggere
ripristinando in VII (come faceva Hertz, GL III 314, 14), consi-
206 COMMENTO

derata la particolare modalità di inserimento, tardivo e margina-


le, di questa citazione e in generale le frequenti imprecisioni di
Prisciano nell’indicare la provenienza delle citazioni letterarie,
soprattutto in questa sezione finale dell’Ars (vd. supra, p. LV).

46, 16-17 ἐπιδικάζομαι con genitivo: damnor con genitivo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐπιδεδίκασται) –
lemma latino.
LEMMA LATINO. Ἐπιδικάζω e damno, pur essendo entrambi
attinenti alla sfera giuridica, non sono in realtà del tutto sovrap-
ponibili per significato (vd. LSJ s. v. ἐπιδικάζω: «adjudge pro-
perty in dispute to one, of the judge […]. II. Med., of the clai-
mant, go to law to establish one’s claim»; OLD s. v. damno: «To
pass judgement against (in a civil or criminal case), condemn»).
La costruzione di damno con il genitivo di colpa è ricordata
da Prisciano anche in 66, 5 (vd. ad loc.); essa è inoltre registrata
da Arusiano Messio, in alternativa a quella con de e l’ablativo
(33, 4 Di Stefano DAMNATUS DE CAEDE et DAMNATUS CAE-
DIS), e negli idiomata del ms. Oxford, Bodl. Libr., Add. C 144
(f. 79v uerba accusatiuum primo deinde genetiuum casum regunt haec
[…] damno illum peccati).

47, 1- 6 ἐπιλανθάνομαι con genitivo o accusativo: obli-


viscor con accusativo o genitivo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐπιλέλησμαι) –
citazioni greche (Hom. Il. 22, 387; Xenoph. Cyr. 6, 3, 1; Men.
fr. 222 K.-A.) – citazioni latine (Verg. Aen. 2, 148; 3, 629).
CITAZIONI GRECHE. Il sintagma οὐκ ἐπιλήσομαι di Hom. Il.
22, 387 è utilizzato come lemma in Hesych. ο 1696, in una
voce di contenuto però solo morfologico (l’interpretamentum è
οὐκ ἐπιλαθήσομαι).
Il fr. 222 K.-A. di Menandro, verosimilmente addotto dal
compilatore del lessico fonte quale ulteriore esempio di costru-
zione di ἐπιλανθάνομαι con l’accusativo (αὑτόν), ne attesta
in realtà un uso differente, nel quale il complemento oggetto
esprime non la cosa o persona dimenticata, bensì la persona che
dimentica e la cosa dimenticata è espressa da una proposizione
47, 1- 6 207

interrogativa indiretta (questo impiego del verbo è ignoto a LSJ


s. v. ἐπιλήθω; cfr. s. v. λανθάνω).
LEMMA LATINO. Obliviscor corrisponde a ἐπιλανθάνομαι an-
che in Dosith. 99, 24 Tolkiehn; CGL II 309, 19; III 141, 14-16.
Prisciano accenna alla duplice reggenza di obliviscor anche nel
libro VIII (GL II 389, 11-14). I due usi sintattici di obliviscor sono
descritti inoltre in Arus. 71, 17-72, 2 Di Stefano e in molte rac-
colte di idiomata, che assegnano al verbo ora la reggenza dell’ac-
cusativo (Char. 384, 2; Idiom. cas. GL IV 569, 7; App. Prob. 2, 15
Asperti-Passalacqua), ora quella del genitivo (Diom. GL I 311,
17; App. Prob. 2, 78; Explan. in Don. GL IV 553, 11; 556, 8;
Aug. ars 103 Bonnet; Exc. Andec. § VI De Nonno; Oxford,
Bodl. Libr., Add. C 144, f. 78v obliuiscor doloris obliuiscor iniuriae),
ora entrambe (Char. 285, 26; Diom. GL I 315, 14; 319, 10-11;
Consent. GL V 385, 13; Dosith. 86, 13 Tolkiehn; 88, 18). Ps.
Caper GL VII 92, 11 e Beda orth. 39, 799 Jones conoscono en-
trambe le costruzioni, ma raccomandano quella con il genitivo,
mentre qualificano l’uso transitivo come un arcaismo. In effetti la
costruzione con l’accusativo «inter Cic. et Apul. in prosa praeter
Petron. [...] et Plin. nat. [...] non occurrit nisi c. neutr. vel per
attractionem» (ThlL s. v. obliviscor [Lumpe], IX 110, 72-74).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 2, 148 è citato quale esempio
della costruzione di obliviscor con l’accusativo, con un taglio più
breve (obliviscere Graios), anche in Arus. 71, 17 Di Stefano; Idiom.
cas. GL IV 569, 7. La diversa estensione della citazione in Aru-
siano e Prisciano si può spiegare con una riduzione dell’esempio
al solo sintagma di interesse negli Exempla elocutionum.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Hom. Il. 22, 387 Ro-
sellini e Hertz (GL III 314, 21) stampano τοῦδε, apparente-
mente riflesso nel lemma ἐπιλέλησμαι τοῦδε; nella tradizione
diretta si trova, invece, τοῦ δ’. Si tratta di una variante deterio-
re rispetto a τοῦ δ(έ), giacché il deittico risulta poco appropria-
to al contesto della citazione, nel quale il pronome si riferisce a
una persona lontana da chi parla (22, 386-388 κεῖται πὰρ
νήεσσι νέκυς ἄκλαυτος ἄθαπτος / Πάτροκλος· τοῦ δ᾽ οὐκ
ἐπιλήσομαι, ὄφρ᾽ ἂν ἔγωγε / ζωοῖσιν μετέω καί μοι φίλα
γούνατ’ ὀρώρῃ). La scelta della grafia τοῦδε (il greco nei
208 COMMENTO

codici priscianei è in scriptio continua) non è però del tutto sicu-


ra, in quanto il lemma ‘ἐπιλέλησμαι τοῦδε’ καὶ ‘τόδε’, rica-
vato più probabilmente da Xenoph. Cyr. 6, 3, 1 (ἐπιλελησ-
μένος), si attaglierebbe dal punto di vista sintattico anche a una
diversa divisione in parole, τοῦ δὲ οὐκ ἐπιλήσομαι, dove si
osserverebbe soltanto la consueta predilezione della fonte di
Prisciano per la scriptio plena (vd. supra, pp. XLVIII-XLIX).
Nella citazione senofontea si osserva l’inversione εἴη ἐπιλε-
λησμένος rispetto alla tradizione diretta (ἐπιλελησμένος εἴη).

47, 7- 8 ἐπέξειμι con dativo o accusativo: exsequor con


accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐπεξιέναι) – lemma
latino. Vd. anche Spangenberg Yanes 2014, p. 125.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di exsequor e
ἐπέξειμι è attestata anche in CGL II 66, 22 e 64, 37; 306, 44.
Nessun altro grammatico si occupa della sintassi di exsequor.

47, 9-16 ἐπιχωριάζω con εἰς e accusativo o ἐν e dativo:


habito con accusativo o stato in luogo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἐπιχωριάζει) –
lemma latino – citazioni latine (Verg. Aen. 8, 351-352; 3, 109-
110) – lemma latino secondario – citazioni latine (Verg. Aen. 4,
373-374; 9, 418).
LEMMA GRECO. E. Müller 1911, p. 2, e Menchelli 2014, p.
211 n. 19, ipotizzano che citazione protolemmatica di questa
voce fosse Plat. Phaed. 57a8-b1 καὶ γὰρ οὔτε [τῶν πολιτῶν]
Φλειασίων οὐδεὶς πάνυ τι ἐπιχωριάζει τὰ νῦν Ἀθήναζε,
οὔτε τις ξένος ἀφῖκται χρόνου συχνοῦ ἐκεῖθεν. Il passo
occorre anche sotto il lemma πολλοῦ χρόνου degli Atticismi
priscianei (85, 5- 6 οὔτε τις … ἐκεῖθεν) ed è citato, sotto il
lemma Ἀθήναζε, in Phot. lex. α 473 (καὶ γάρ … Ἀθήναζε);
Synag.B α 474 (καὶ γάρ … Ἀθήναζε); cfr. Herodian. GG III.2
869, 28-29 τὸ δὲ ἐπιχώριος καὶ ἐπιχωριάζειν ἐν τῷ περὶ
ψυχῆς φησι Πλάτων. Il fatto che nel lemma priscianeo si
legga εἰς Ἀθήνας invece che Ἀθήναζε si spiega o con una
banalizzazione operata dal compilatore del lessico nel formulare
47, 9-16 209

il lemma oppure con una variante (deteriore) nel testo platonico


del quale egli si sarebbe servito.
LEMMA LATINO. Il confronto con il lemma greco suggerisce
che Prisciano intendesse esprimere con il lemma ‘habitat Ro-
mam’ et ‘Romae’ piuttosto che l’alternativa tra il complemento
oggetto (vd. ThlL s. v. habito [Brandt], VI 2478, 51-2480, 8) e il
complemento di stato in luogo (ibid. 2473, 50-2474, 14; 2480,
9-14), quella tra il complemento di moto a luogo (non attestato
in dipendenza da habito nel latino classico; per le sporadiche e
tardive occorrenze di habito con in e l’accusativo, talora con un
ipotesto greco con εἰς e l’accusativo, vd. ibid., VI 2480, 10-11)
e di stato in luogo. Avendo scelto di formulare il lemma con un
nome proprio di città, ancora una volta sul modello della sua
fonte greca (εἰς Ἀθήνας; ἐν Ἀθήναις), ha necessariamente
espresso il moto a luogo con un accusativo semplice. L’ambiva-
lenza sintattica dell’espressione habitat Romam doveva essere
presente allo stesso Prisciano (o lo ha fuorviato), giacché egli
propone come esempio della costruzione del verbo con l’accu-
sativo Verg. Aen. 8, 351-352, dove hoc nemus, hunc … collem
sono certamente complementi oggetti di habitat deus piuttosto
che complementi di luogo. Al centro dell’attenzione del gram-
matico era comunque la possibilità di esprimere in casi diversi il
complemento di luogo in dipendenza da uno stesso verbo,
come prova il lemma latino secondario Simile est huic ‘eicitur in
litus’ et ‘litore’ et ‘litori’.
La costruzione di habito con l’accusativo e con il comple-
mento di stato in luogo (in ablativo semplice o preceduto da in)
è descritta anche da Arus. 44, 4-5 e 9-10 Di Stefano; cfr. Span-
genberg Yanes ics. [a].
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 3, 110 esemplifica la costruzio-
ne di habito con il complemento di stato in luogo anche in
Arus. 44, 5 Di Stefano, dove la citazione è ridotta al solo emi-
stichio habitabant vallibus imis. Verg. Aen. 4, 373-374 è utilizzato
da Prisciano anche in 41, 15 e 115, 1-3 (cfr. supra, p. 181).
Verg. Aen. 9, 418 è richiamato a proposito dell’uso del dativo
invece di in e l’accusativo anche in GL III 188, 12-14; Att. 50, 9
(il passo occorre inoltre in Char. 37, 19, ma per il nesso tempus
210 COMMENTO

utrumque). Verg. Aen. 8, 351-352 è citato anche da Sacerd. GL


VI 469, 32-35, ma a proposito dell’inciso quis deus incertum est.
PROBLEMI TESTUALI. Le parole Simile est huic, trasmesse solo
come aggiunta interlineare nei codici TRYQ, sono del tutto
conformi all’usus priscianeo: introducono, infatti, un lemma
latino secondario accostato a quello principale per un’analogia
solamente sintattica e non anche semantica. Anche il terzo ele-
mento del lemma secondario, et ‘litori’, si conserva come margi-
nale in TRFY e nel testo principale solamente in Q; la sua pre-
senza è necessaria ad anticipare la costruzione illustrata da Verg.
Aen. 9, 418, dove si trova il dativo di termine invece del com-
plemento di moto a luogo (cfr. Rosellini 2015a, p. CXXIX).
Tutte le occorrenze di Verg. Aen. 9, 418 nell’Ars recano la
variante volat per it della tradizione diretta e di Char. 37, 19.
Volat, che rispetta il metro, non è mai usato da Virgilio in questa
sede dell’esametro. Il nesso volat hasta si trova, invece, nella stessa
sede metrica, in Stat. Theb. 5, 570 subveheres. volat hasta tremens et
hiantia monstri: proprio la reminiscenza di questo verso potrebbe
aver interferito con la citazione priscianea di Verg. Aen. 9, 418.

47, 17- 48, 2 ἐπί con genitivo o con dativo: ablativo in


luogo del locativo o dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino con
osservazioni teoriche aggiuntive.
LEMMA LATINO. Mentre il lemma greco fa riferimento alla
possibilità che ἐπί regga, con identico valore, il genitivo o il
dativo, Prisciano trasferisce il discorso, in ambito latino, all’al-
ternativa tra l’uso di casi semplici (locativo e dativo) o di un
costrutto preposizionale (in e l’ablativo) per esprimere il com-
plemento di stato in luogo (anche figurato). Le tre coppie di
esempi proposte a questo riguardo, ‘in Tyro’ pro ‘Tyri’ et ‘in
Taurominio’ pro ‘Taurominii’ et ‘in sorte’ pro ‘sorti’, relative le
prime due al locativo e la terza al dativo, richiamano un passo
del libro XV nel quale Tyri, Taurominii e sorti sono menzionati a
breve distanza quali esempi di sostantivi con funzione avverbia-
le: GL III 72, 2-5 alia vero nomina sunt loco adverbii posita, per
genetivum pleraque, ut ‘domi, Taurominii, Lampsaci, Tyri, Ephesi,
48, 3-10 211

belli’ […]; inveniuntur etiam per dativum ‘vesperi’ et ‘sorti’ (cfr. GL


III 64, 11-21; Att. 86, 9-11, su cui vd. ad loc.). Anche il parti-
colare uso linguistico degli storici latini era già stato indicato nel
libro XV come un’eccezione alla regola dell’uso del locativo e
dell’accusativo e ablativo semplici per esprimere i complementi
di luogo con nomi di città: GL III 66, 4-13 Et sciendum, quod
propria civitatium nomina, si primae vel secundae sint declinationis,
genetivo quidem casu pro adverbio in loco accipiuntur, ut ‘Romae sum’
vel ‘Tarenti’ […]. inveniuntur tamen et cum praepositionibus nomina
civitatium saepe prolata, et maxime apud historicos. Nessuno degli
esempi proposti in quel passo si riferisce tuttavia all’uso di in e
ablativo invece del locativo (sul quale vd. Hofmann – Szantyr,
p. 146). La menzione degli historici nella voce del lessico potreb-
be perciò dipendere da un riecheggiamento ‘meccanico’ del
luogo del libro XV, nel quale più genericamente Prisciano
aveva parlato di uso di sintagmi preposizionali in alternativa al
locativo e all’accusativo e ablativo semplici, mentre negli Atti-
cismi egli oppone più puntualmente il locativo a in e l’ablativo.
PROBLEMI TESTUALI. L’aplografia di τοῦ nel lemma si spiega
piuttosto facilmente in una sequenza di tre sillabe identiche.

48, 3-10 complemento di tempo in genitivo o dativo:


complemento di tempo in accusativo o ablativo o genitivo
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Isocr. De pace 92)
– lemma greco (ἐτῶν, ἔτεσιν) – lemma latino – citazioni
latine (Cic. Catil. 1, 7; Verg. Aen. 1, 47- 48), con osservazioni
aggiuntive.
LEMMA GRECO. Il genitivo e il dativo di tempo sono oggetto
anche di altre voci del lessico (85, 4-12; 99, 16-20; 106, 3-9;
cfr. inoltre per il genitivo 50, 11-15, per il dativo 78, 6- 8; 100,
1- 6; 107, 5-13): vd. commento ad locc.
LEMMA LATINO. In generale l’uso del genitivo di specificazione
nelle indicazioni temporali è piuttosto diffuso a partire da Cice-
rone e Cesare (vd. Hofmann – Szantyr, p. 64), ma il tipo parti-
colare di locuzione trattato da Prisciano risulta quasi del tutto
assente dal latino classico (vd. ThlL s. v. kalendae [Buchwald],
VII.2 758, 43- 44; cfr. ThlL s. v. idus [Brandt], VII.1 243, 27-
212 COMMENTO

36), con l’eccezione di Cic. Catil. 1, 7, citato anche dal nostro


grammatico. Non si conosce poi nessuna occorrenza del nesso
kalendarum (o iduum) … ante, con il quale Prisciano glossa il
passo ciceroniano in 107, 12. Dell’uso del genitivo kalendarum
(e nonarum e iduum) egli tratta anche in una successiva voce del
lessico, dove tuttavia oggetto della sua attenzione è l’ablativo o
accusativo del numerale ordinale senza preposizione (107, 6-8
Hinc Romani ‘tertio’ et ‘tertium kalendas’ vel ‘nonas’ vel ‘idus’ vel
‘kalendarum, nonarum, iduum’ pro ‘in tertio ante kalendas’ vel ‘no-
nas’ vel ‘idus’; vd. ad loc.).
Anche Carisio rileva la particolarità dell’uso dell’accusativo
semplice nelle indicazioni delle date, ma spiega le forme in -as
come antichi genitivi: 153, 26-29 Augustas. cur pridie Kal. Au-
gustas et non Augustarum dicimus? ubi Plinius Secundus eodem libro
VI ‘a finita nomina singulari nominativo veteres casu genetivo as sylla-
ba declinabant, ut Maia Maias’.
CITAZIONI LATINE. La citazione di Cic. Catil. 1, 7 occorre
anche in 107, 8-12, in forma più ampia (meministine … Novem-
brium). Il riferimento ai commentatorum probatissimi di Cicerone
non trova riscontro in nessuno degli esigui scolî conservati alla
prima Catilinaria. Non è neanche del tutto sicuro a quale pro-
posito Prisciano abbia menzionato tali commentatori antichi,
giacché il nesso relativo cuius potrebbe riferirsi a ‘kalendarum’ pro
‘ante kalendas’ - e cioè all’equivalenza del genitivo con il co-
strutto preposizionale all’accusativo – oppure a inveniuntur tamen
et genetivo usi – e dunque alla possibilità di esprimere un com-
plemento di tempo al genitivo – o ancora a qualche particolare
lezione della citazione ciceroniana (kalendarum Novembrium per
kalendas Novembris?). L’ultima ipotesi potrebbe essere quella più
accreditata, giacché la stessa tradizione diretta del passo cicero-
niano è incerta a questo riguardo (vd. infra).
Verg. Aen. 1, 47- 48 è uno degli esempi latini più spesso
utilizzati negli Atticismi per l’accusativo di tempo continuato
(31, 13-14; 61, 4; 64, 15; 85, 11); vd. supra, p. 131.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Isocr. De pace 92 Pri-
sciano attesta la variante τὴν ἀρχὴν αὑτῶν per τὴν αὑτῶν
della tradizione diretta e di Ps. Aristid. RhG II 484, 1-3 Spengel
48, 11-14 213

(τὴν ἑαυτῶν), dove è sottinteso il sostantivo χώραν, che si


ricava dalla prima parte del periodo, esclusa dal taglio della cita-
zione negli Atticismi (ἀντὶ δὲ τοῦ γεωργεῖν τὰς χώρας τὰς ἀλ-
λοτρίας). Verosimilmente ἀρχήν è stato interpolato nella tradi-
zione lessicografica greca quando il passo era già stato escerpito e
non era più possibile attingere il suo contesto originale. Nel testo
dello stesso esempio l’integrazione di πολλῶν ἐτῶν sulla base
della tradizione diretta isocratea è necessaria a rendere la citazione
pertinente al lemma che segue (vd. Fassino 2014, pp. 266-267).
In entrambe le occorrenze (48, 6- 8; 107, 8-12) della citazio-
ne di Cic. Catil. 1, 7 Prisciano attesta la lezione kalendarum
Novembrium, mentre la tradizione diretta si divide tra il genitivo
e dei compendi in cui il primo sostantivo è abbreviato per tron-
camento e l’indicazione del mese, Novembris, quando non è
anch’essa abbreviata, può essere intesa sia come un genitivo
singolare sia come un accusativo plurale. Le scelte stesse degli
editori sono di conseguenza diversificate: C. F. W. Müller, Clark
e Bornecque mettono a testo ante diem XII Kalendas Novembris e
ante diem VI Kal. Novembris; Maslowski a. d. XII Kal. Nov. e a. d.
VI. Kal. Nov.; Dyck ante diem XII Kalendas Novembres e ante diem
VI Kalendas Novembres. È notevole l’accordo di Prisciano con il
papiro di Barcellona (P. Monts. Roca inv. 128-178, IV-V sec.)
nell’attestare il genitivo kalendarum per la seconda data (la prima
non è conservata nel frustulo papiraceo). Sul papiro barcino-
nense vd. Roca-Puig 1969; 1974; 1977 (pp. 77 e 97 per il passo
in questione); Maslowski 2003, pp. XIII-XIV e XLVII-XLIX.
Prisciano attesta inoltre, anche questa volta in accordo con
parte della tradizione diretta (αt), il numerale corretto VI nella
seconda data, mentre gli altri testimoni recano le corruttele III o
VIII o VIIII. Ulteriori varianti sono presenti solo nella seconda
occorrenza dell’esempio ciceroniano (107, 8-12: vd. ad loc.).

48, 11-14 complemento di età in accusativo o genitivo:


complemento di età in accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἔτη, ἐτῶν) – citazio-
ne greca (Lys. or. 35 fr. 30 Thalheim = 86 Carey) – citazione
latina (Ter. Eun. 693).
214 COMMENTO

LEMMA LATINO. Prisciano accenna al costrutto di natus con


l’accusativo annos e un numerale per indicare l’età anche in 84,
1-2; 105, 10-11; 114, 7- 8 (dove lo interpreta come un caso di
ellissi di ante): vd. ad locc. Hofmann – Szantyr, p. 42, accostano,
invece, l’espressione annos natus all’accusativo di relazione con
aggettivi qualitativi.
CITAZIONI LATINE. Ter. Eun. 693 esemplifica il complemento
di età in accusativo semplice anche in 105, 10 e 114, 7- 8.
PROBLEMI TESTUALI. L’aggiunta di ad nos a Ter. Eun. 693, che
viola il metro e non è supportata dalla tradizione diretta, potreb-
be destare il sospetto che si tratti della congettura di un copista
semidoctus a partire da una dittografia, giacché il complemento si
colloca davanti ad annos. Tuttavia in 105, 10, dove parimenti il
verso è citato con l’aggiunta di ad nos (assente da 114, 7- 8), il
complemento di moto a luogo si trova davanti a venit. Si tratta
dunque piuttosto di un errore di memoria di Prisciano, forse
favorito dalla presenza di ad nos nel verso immediatamente prece-
dente nel contesto terenziano di origine: Eun. 692-693 venisti
hodie ad nos? negat. / at ille alter venit annos natu’ sedecim.
L’autenticità della glossa deest enim praepositio ante, presente
come aggiunta solo nei codici TRY, è dubbia dal momento che
essa avrebbe potuto essere inserita da un lettore dotto in base al
confronto con 114, 8-10, come ipotizza Rosellini.

48, 15-17 τυγχάνω τιμωρίας: poenas recipio


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἔτυχε), con osserva-
zione aggiuntiva – lemma latino – citazione latina (Verg. Aen.
4, 656). Il lemma greco è alfabetizzato a partire da una forma
aumentata del verbo (cfr. supra, p. XLIV).
LEMMA GRECO. Il sintagma lemmatizzato ha più comunemente
il significato di “scontare una pena” ma sporadicamente è atte-
stato anche nel valore opposto di “infliggere una punizione,
vendicarsi” (LSJ s. v. τιμωρία). L’espressione ὁ διώκων καὶ ὁ
φεύγων, che descrive i due valori semantici del nesso
τιμωρίας τυγχάνειν, è uno dei rari ‘relitti’ delle spiegazioni in
greco che corredavano la fonte atticista di Prisciano e che più
spesso questi ha tradotto in latino (cfr. 39, 6 Attici ‘ἔλαβε
48, 18- 49, 2 215

δίκην’ tam de accusatore quam de reo dicunt); vd. Spangenberg


Yanes 2014, pp. 130-131.
LEMMA LATINO. Sul sintagma poenam/-as recipere, già registrato
in 39, 6-11, vd. supra, ad loc.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 4, 656 è citato per esemplificare
l’uso di poenas recipio col significato di “infliggo una punizione”
anche in 39, 7 (cfr. supra, ad loc.).

48, 18- 49, 2 εὐδαιμονίζω con genitivo della persona e


accusativo della cosa o con accusativo della persona e
genitivo della cosa: miror con genitivo, genitivo di stima
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – osservazione teorica
– citazioni latine (Verg. Aen. 11, 126; Iuv. 14, 119).
LEMMA GRECO. Liddell-Scott (s. v. εὐδαιμονίζω) conoscono
solamente la costruzione del verbo con l’accusativo della perso-
na e il genitivo della cosa. Il primo membro del lemma priscia-
neo, εὐδαιμονίζω σοῦ τόδε, può fare riferimento al normale
uso transitivo del verbo in un’occorrenza in cui il complemento
oggetto fosse accompagnato da un genitivo di possesso (cfr. 96,
14-15 con commento ad loc.).
LEMMA LATINO. Dei due costrutti latini confrontati da Priscia-
no con εὐδαιμονίζω, il secondo (animi felices credit) offre anche
un corrispettivo semantico del lemma greco, mentre il primo
(mirer … laborum) gli è accostato solamente su base sintattica, per
la reggenza del genitivo. Della costruzione di miror con il geni-
tivo (oltre che con l’accusativo e l’ablativo) Prisciano tratta
anche in 51, 14-15. Essa è attestata soltanto nel luogo virgiliano
citato nella voce in esame (Aen. 11, 126; vd. ThlL s. v. miror
[Bulhart], VIII 1075, 70-73). Considerata la rarità del costrutto,
come rileva Mayer 1999, p. 169, appare singolare che Prisciano
la descriva come molto comune (saepissime). Tuttavia l’indica-
zione Nostri quoque auctores hanc saepissime imitati sunt figuram non
è riferita a una costruzione in particolare, bensì in generale
all’uso del genitivo di causa in dipendenza non solo da verbi ma
anche da aggettivi o sostantivi, come risulta dagli esempi addotti
di seguito (mirer … laborum; animi felices). Anche la costruzione
di felix con il genitivo è piuttosto rara, ma conosce qualche altra
216 COMMENTO

attestazione nel latino letterario di epoca classica oltre a Iuv. 14,


119, citato dal nostro grammatico (vd. ThlL s. v. felix [Am-
mann], VI.1 445, 61- 68).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 11, 126 esemplifica la costru-
zione di miror con il genitivo anche in 51, 16-17; 59, 9-10. Il
passo è inoltre discusso nel libro XVII per la variatio in iustitiane
… belline (GL III 163, 1-3, su cui vd. infra) ed è citato in GL III
101, 14-15 a proposito della particella -ne. Servio considera la
costruzione di miror con il genitivo in questo verso un grecismo
sintattico e la confronta con l’analogo uso di regno (Aen. 11, 126
figura Graeca ‘miror illius rei’ et ‘regno illius rei’, ut ‘Τενέδοιό τε
ἶφι ἀνάσσεις’; vd. Mayer 1999, p. 169; Ferri 2014, p. 88). Il
Servio danielino aggiunge ad loc. che la costruzione normale del
verbo sarebbe con l’ablativo e che in ogni caso, sia con il geni-
tivo iustitiae che con l’ablativo iustitia occorre sottintendere un
altro termine che sarebbe quello realmente retto da miror: ita et
hic ‘iustitiae’ ‘laborum’ genetivum pro ablativo posuit. si autem ‘iusti-
tiae’ legeris, subaudiendum ‘iustitiae laudibus’; si ‘iustitia’, subaudien-
dum ‘praeditum’. Anche negli studi moderni prevale l’ipotesi del
grecismo sintattico (Brenous 1895, p. 112; Löfstedt 1956, II, p.
417; Mayer 1999, p. 169; Horsfall 2003, p. 119. Hofmann –
Szantyr, p. 83, e Görler 1985, p. 266, chiamano, invece, il con-
fronto di Aen. 11, 280 dove memini regge il genitivo).
Iuv. 14, 119 non è citato altrove nella produzione gramma-
ticale latina. È notevole che nel contesto di origine il verso
immediatamente successivo a quello qui riportato da Prisciano
contenga un’attestazione di miror (con l’accusativo: Iuv. 14, 120
qui miratur opes), cioè il verbo esemplificato dalla prima citazio-
ne latina nella voce in esame.
PROBLEMI TESTUALI. La variante iustitiaene in Verg. Aen. 11,
126, testimoniata da Prisciano nel libro XVII e ivi da lui qualifi-
cata come superiore (GL III 163, 2- 4 sed invenitur etiam: ‘iusti-
tiaene prius mirer’, quod est aptius), non occorre in nessuna delle
altre citazioni di questo verso nell’Ars. Il genitivo è attestato,
invece, nel lemma del commento serviano ad loc. Il Servio da-
nielino, come Prisciano, conosce entrambe le varianti (vd. su-
pra). Anche i codici virgiliani si dividono tra le due forme: iusti-
49, 3-7 217

tiaene è la lezione di Pωγ, iustitiane di MRa. Gli editori (Heyne


– Wagner, Ribbeck, Sabbadini, Goelzer, Mynors, Geymonat,
Perret, Paratore, Conte) mettono tutti a testo il genitivo. Anco-
ra in Aen. 11, 126 Prisciano attesta, in questo caso in tutte le
occorrenze della citazione nell’Ars, la lezione laborum in accordo
con il Mediceo di Virgilio, mentre P(corr. in ras. P1)Rakrγ1 reca-
no laborem. Gli editori adottano senza eccezioni laborum.
Nella citazione di Iuv. 14, 119 il nostro grammatico si ac-
corda nella lezione felices con la maggior parte dei testimoni
diretti, a eccezione dei codici TU (Cambridge, Trinity College,
1241; Vat. Urb. lat. 661), latori della variante inferiore felicis
(presente forse, ante correctionem, anche in P = Montpellier, Fa-
culté de Médècine, H 125). Sulla tradizione manoscritta di
Giovenale vd. Courtney 1967; Tarrant in Reynolds 1983, pp.
200-203; Willis 1997, pp. XLIII-L.
Sui motivi per i quali si ritiene inautentica l’integrazione
marginale di licet autem et accusativo et ablativo adiungere et dicere
animum felices et animo felices, trasmessa nei codici TRYQ al ter-
mine della voce, vd. Rosellini 2015a, p. CXXXI.

49, 3-7 εὔχομαι con dativo o πρός e accusativo, προσεύ-


χομαι con accusativo: supplico con accusativo o dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino –
citazione latina (Ter. Andr. 312) – lemmi latini secondari.
LEMMA GRECO. A προσεύχομαι, presente nella voce in esame
in violazione dell’ordine alfabetico del lessico, è dedicata anche
una voce autonoma, correttamente collocata tra i lemmi in π-
(89, 18-21), dove è assegnata al verbo la reggenza sia dell’accu-
sativo sia del dativo, ma è esemplificata solo la prima (vd. ad
loc.). Considerata la frequenza dei riferimenti a corradicali e
composti del lemma principale nelle voci degli Atticismi priscia-
nei (e nei lessici greci in generale), è possibile che la menzione
di προσεύχομαι nella voce in esame fosse già presente nella
fonte di Prisciano e che non sia stato quest’ultimo ad aggiun-
gervela come ‘rimando’ al successivo lemma in 89, 18-21.
LEMMA LATINO. Precor è indicato come equivalente di εὔχομαι
anche nello Ps. Filosseno (CGL II 158, 47).
218 COMMENTO

La costruzione più comune del lemma primario, supplico, è


quella con il dativo (vd. OLD s. v. supplico, 3; Forcellini s. v.
supplico, II), la sola che Prisciano assegni al verbo in 103, 16.
Essa è inclusa anche in diverse raccolte di idiomata casuum (Char.
382, 27; Diom. GL I 313, 7; Idiom. cas. GL IV 567, 18; Dosith.
86, 18 Tolkiehn; Beda orth. 50, 1074 Jones). La reggenza
dell’accusativo, che Prisciano le affianca nella voce in esame, è,
invece, altrimenti nota solo da Fest. p. 190; Paul. dig. 28, 5, 93
(92); Amm. 30, 8, 10 e non è menzionata da alcun altro gram-
matico. Il nostro autore ne tratta però anche nella prima metà
del libro XVIII, dove supplico occorre, insieme ai lemmi latini
secondari della voce in esame, tra i precativa verba, una delle
categorie semantiche in cui il grammatico suddivide la vasta
classe dei verbi che reggono l’accusativo (GL III 276, 16-17).
All’interno di questo gruppo egli rileva la particolarità sintattica
di supplico, che ammette anche la reggenza del dativo e per
questo motivo è parzialmente assimilabile ai verba subiectiva (cioè
i subiecta di GL III 272, 26-27; 273, 24; 274, 2-3): GL III 276,
17-20 hoc non solum accusativo, sed etiam dativo coniungitur [...], est
enim subiectivum plus aliis omnibus, quae sunt eiusdem speciei.
Dell’uso transitivo di precor Prisciano tratta anche nel libro
VIII (GL II 389, 7). La stessa costruzione è postulata in alcuni
elenchi di idiomata dell’accusativo (Idiom. cas. GL IV 569, 8) o
dell’accusativo e ablativo, cioè in alternativa alla costruzione
con ab e l’ablativo (Char. 384, 8 precor deos et a diis; 384, 28;
386, 24-25; Diom. GL I 319, 32; Idiom. cas. GL IV 572, 10).
Oro è incluso da Prisciano tra i verba activa che reggono l’accusa-
tivo anche in GL II 374, 13-30; III 267, 12-14 (cfr. GL II 550,
12-15). La reggenza dell’accusativo è prevista per questo verbo
anche da Char. 381, 6; Arus. 72, 9 Di Stefano. Lo stesso uso
sintattico è assegnato da Prisciano a quaeso anche in 103, 14-16.
Della sintassi di obsecro e quaeso non si occupano altri grammatici.
CITAZIONI LATINE. Ter. Andr. 312 esemplifica la costruzione
di supplico con il dativo anche in GL III 276, 17-18; Att. 89,
20-21; 103, 16-17.
PROBLEMI TESTUALI. Dopo la citazione di Terenzio i codici
TRY recano in margine l’integrazione Actius elatis manibus Pria-
49, 8-10 219

mus supplicabat achillem, che Rosellini ha dimostrato essere spuria


(2011, pp. 193-197; vd. anche 2015a, p. CXXXI).

49, 8-10 στρέφω con εἰς e accusativo: verto con in e


accusativo o con avverbio
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (εἰς καλὸν ἔσ-
τρεψεν) – citazioni latine (Verg. georg. 3, 365; ecl. 9, 6). La
voce è collocata erroneamente nell’ordine alfabetico sia che essa
rappresentasse, nelle intenzioni del lessicografo atticista, un
lemma in ει- (εἰς καλόν), sia che, invece, fosse considerata un
lemma in ἐσ- (ἔστρεψεν, e in questo caso si sarebbe trattato di
un altro esempio di lemmatizzazione di un verbo a partire da
una forma aumentata della sua flessione: vd. supra, p. XLIV). La
presenza del lemma εἰς καλόν (senza verbo) in altri lessici (con
un interesse però semantico e non sintattico: Sud. ει 278; Phot.
lex. ε 305-306; Ps. Zon. lex. 637, 11) potrebbe sostenere la
prima delle due ipotesi. La forma particolare in cui la voce in
esame è trasmessa dai manoscritti, come marginale in TRQY (vd.
infra), lascia aperta la possibilità che essa non si trovasse in que-
sto punto già nella fonte di Prisciano.
LEMMA GRECO. L’espressione εἰς/ἐς καλὸν στρέφειν non è
mai attestata nella letteratura greca conservata.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di στρέφω e
verto è postulata anche in Dosith. 90, 12 Tolkiehn; CGL II 207,
26; 438, 58; III 158, 54.
L’uso intransitivo di verto con avverbi di modo o in e accusa-
tivo nel senso, rispettivamente, di “riuscire (bene/male)” e
“volgersi in” non è discusso da altri grammatici.
CITAZIONI LATINE. Verg. georg. 3, 365 non occorre in altri testi
grammaticali. Verg. ecl. 9, 6 è citato, a proposito dell’uso di
verto con l’avverbio di modo, anche in Don. Ter. Phorm. 678
Vergilius ‘hos illi – quod nec bene vertat – mittimus haedos’. Lo stes-
so verso è discusso quale espressione di malaugurio in Serv.
Aen. 4, 647; ecl. 9, 6. In Non. 348, 24-25 il passo illustra, inve-
ce, l’uso di mittere col significato di remittere. Queste ultime tre
attestazioni non sembrano dunque in rapporto con l’utilizzo del
luogo virgiliano da parte di Prisciano.
220 COMMENTO

PROBLEMI TESTUALI. L’intera voce in esame si conserva sola-


mente come aggiunta marginale nei codici TRQY (gli ultimi
due dei quali omettono il greco). Poiché è del tutto improbabi-
le che un lettore medievale di Prisciano fosse in grado di conia-
re ex novo un lemma greco e completarlo con i suoi corrispettivi
latini, non vi è dubbio che tale integrazione sia autentica (vd.
Rosellini 2011, p. 195; 2015a, pp. CXXIV-CXXV).
In Verg. georg. 3, 65 la tradizione si divide tra la sequenza
vertat bene, testimoniata da tutti i codici più antichi (MP e l’apo-
grafo a di R, che in questo punto ha perduto delle carte; inoltre
bcdelrΛγ1), e bene vertat, attestata da altri codici virgiliani
(P2Φενγ) e da tutte le fonti di tradizione indiretta (oltre a Priscia-
no, Serv. ecl. 9, 6; Aen. 4, 647; Don. Ter. Phorm. 678; Non. 348,
25). Entrambe le varianti sono metricamente corrette. Tutti gli
editori mettono a testo vertat bene. Se questa scelta è corretta, è
possibile che l’inversione in bene vertat sia stata favorita (eventual-
mente anche come errore poligenetico) dall’influsso dell’espres-
sione augurale dii bene vertant (vd. Plaut. Aul. 175; 257; Don. Ter.
Ad. 728; Serv. ecl. 9, 6). Il solo Prisciano documenta inoltre la
variante non per nec, una probabile banalizzazione, giacché nec ha
in questo verso proprio il valore di non (vd. Geymonat ad loc.).

49, 11-50, 6 ἡγέομαι con genitivo o dativo: praeficio con


dativo, praefectus con dativo o genitivo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἡγεῖσθαι) – citazio-
ne greca (Plat. Men. 99b5-7) – lemma latino – osservazioni
teoriche aggiuntive.
LEMMA LATINO. La costruzione di praeficio con il dativo è ricor-
data da Prisciano anche in GL III 268, 12-19; è inoltre registra-
ta negli idiomata casuum di Char. 383, 6; Diom. GL I 313, 7- 8.
Praeficio, che non regge il genitivo, non rappresentava tutta-
via un corrispettivo semantico del lemma greco del tutto soddi-
sfacente anche sul piano sintattico. Per questo motivo Prisciano
ha dovuto estendere il confronto tra le due lingue al participio
del verbo latino. Il duplice statuto, di verbo e sostantivo, di
praefectus e le sue costruzioni alternative sono discussi anche in
precedenti sezioni dei libri De constructione: GL III 160, 1- 6 est
49, 11-50, 6 221

tamen quando in nominum vim transeunt participia et genetivo coniun-


guntur relicta verborum ordinatione, ut […] ‘praefectus urbi’ partici-
pium, quia et ‘praeficior urbi’, ‘praefectus urbis’ nomen; sim. 217, 23.
Lo stesso fenomeno (con l’alternativa tra genitivo e ablativo
invece che dativo) è trattato in relazione a natus, menzionato
anche in questa voce degli Atticismi, in part. 53, 21-24 Passalac-
qua Sed nomen genitivo, participium autem ablativo coniungitur secun-
dum verbi iuncturam, ut ‘natus et ipse dea’ ὁ τεχθεὶς ἐκ θεᾶς;
natus autem deae ὁ υἱὸς θεᾶς dicitur. In generale, la diversa co-
struzione del participio a seconda che abbia funzione di predi-
cato verbale o di sostantivo è un argomento spesse volte toccato
nell’Ars (vd. supra, pp. 93-94).
Anche altri grammatici si occupano degli usi sintattici di
praefectus, condividendo con Prisciano la distinzione tra la fun-
zione nominale e verbale del participio, alle quali assegnano
rispettivamente la reggenza del genitivo e del dativo (così Char.
380, 14-19; Cledon. GL V 12, 13-16; 13, 35-36; 43, 24-28).
Carisio considera inoltre la costruzione con il genitivo un arcai-
smo (99, 20-23 Praefectus fabrum ut dici possit ex antiquitate dura-
vit, sicut tribunus ‹militum› et praefectus urbis. dicimus quidem et [tri-
bunus et praefectus urbis et] praefectus fabris participialiter, sed elegan-
tius est ab antiquis usurpatum), forse perché sovrappone indebita-
mente la questione della reggenza di praefectus a quella della
desinenza arcaica di genitivo -um in fabrum (cfr. Char. 164, 10-
13; Prisc. GL II 307, 17). Ps. Probo ammette, invece, la reg-
genza del dativo solo in praefectus praetorio (inst. GL IV 120, 36-
38), Cledonio la nega anche per questa espressione (GL V 12,
13-14 e 26). Sia Cledonio sia Servio qualificano il nesso di prae-
fectus con il dativo come elocutio, “locuzione, giro di parole”
(cfr. Schad 2007, pp. 148-149; ThlL s. v. elocutio [Kapp –
Meyer], V.2 400, 77- 403, 67), mentre quello con il genitivo è
considerato quasi univerbato (Serv. GL IV 433, 6-9 praefectus
vigilum si sic dicatur, quem ad modum tribunus militum, id est si pro
uno nomine accipitur uterque sermo, priore parte tantum modo declinatur.
si autem voluerimus elocutionem facere, dicimus praefectus vigilibus; sim.
Cledon. GL V 43, 24-28; cfr. Cledon. GL V 13, 35-36; Ps.
Aug. reg. 55, 7-13 Martorelli). Le due reggenze di praefectus
222 COMMENTO

sono inoltre registrate senza ulteriori osservazioni in Arus. 77,


6-9 Di Stefano, solo quella del genitivo in Diom. GL I 312, 12.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Plat. Men. 99b5-7
Prisciano attesta le varianti οὔτε per οὐδέ (cfr. supra, pp. 198-
199) e οὗτοι per οἱ τοιοῦτοι.
Nel lemma latino praeficio è la forma tràdita dai rami γδ della
tradizione (e dal correttore di T), mentre β (e M) reca la varian-
te deteriore praecipio (messa a testo da Hertz, GL III 316, 10).
RFWY correggono in praeficior, presente inoltre come variante
interlineare in DX. Negli altri due luoghi dell’Ars, in cui Pri-
sciano tratta della sintassi di praeficio e praefectus, il verbo è una
volta attivo, un’altra passivo: GL III 160, 5 praeficior urbi; 217,
24 praeficio tibi. È possibile che negli Atticismi, come in GL III
217, 24 (praeficio DFIMORTWZ: proficio E; praeficior LX, e
corr. FR; uel praeficior s. l. scr. OW), la correzione o variante
interlineare praeficior presente in alcuni manoscritti si debba alla
volontà di qualche lettore dotto di uniformare anche questi due
luoghi alla prima menzione di praeficio in GL III 160, 5, dove
tutti i testimoni tranne X (praeficio) recano la forma deponente.

50, 7-10 αἴρομαι πόλεμον con πρός e accusativo o con


dativo: volo con dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἠράμην) – citazione
greca (Plat. Com. fr. 115 K.-A.) – citazione latina (Verg. Aen.
9, 418), con glossa sintattica. Il lemma è collocato tra quelli in
η- a partire da una forma aumentata della flessione del verbo. Il
fenomeno, più volte osservato per le forme verbali con aumen-
to sillabico (vd. supra, p. XLIV), si verifica per un verbo con au-
mento quantitativo solo in questa voce (ma cfr. 50, 16).
LEMMA LATINO. Prisciano rinuncia qui del tutto a proporre un
equivalente latino sintattico e semantico del lemma greco, del
quale fornisce direttamente un parallelo solo sintattico, indivi-
duato nell’alternativa tra il dativo di direzione e in con l’accusa-
tivo (vd. anche Rosellini 2011, p. 189). Il confronto del lemma
greco con Verg. Aen. 9, 418 è introdotto dall’espressione tale est
(cfr. GL II 94, 19), che ha valore affine alla più comune locu-
zione simile (est) huic, la quale indica abitualmente negli Atticismi
50, 11-15 223

un’affinità solamente sintattica o comunque in senso lato (cfr.


Spangenberg Yanes 2014, pp. 116-119).
Come si è visto (supra, pp. 209-210; cfr. anche p. 391), Pri-
sciano iscrive l’uso del dativo di direzione in luogo di sintagmi
preposizionali, rappresentato da Verg. Aen. 9, 418, nella più
ampia categoria della variatio sintattica (GL III 188, 12-14). Su
Ps. Iul. Ruf. schem. lex. 32 p. 56, 9-12, richiamato da Ferri a
proposito di questa voce del lessico, vd. commento a 85, 13-15.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 9, 418 esemplifica l’uso del
dativo di termine invece del complemento di moto a luogo
anche in GL III 188, 12-14; Att. 47, 15 (vd. supra, p. 210).
PROBLEMI TESTUALI. Il titolo della commedia di Platone è
stato restituito nel passo di Prisciano da Porson 1824, IV, pp.
35-36, che proponeva di emendare il περὶ λάγιος stampato da
van Putschen e dagli editori precedenti in Περιαλγεῖ· ὃς. La
correzione ha trovato conferma nelle successive indagini sulla
tradizione manoscritta del lessico prisicianeo, dalle quali risulta
che lezione dell’archetipo era ΠεΡΙαΛΓΙ (con un errore di itaci-
smo). Hertz metteva a testo la congettura di Porson (GL III
317, 17), mentre Rosellini adotta l’accentazione seguita anche
da Kassel – Austin, περιάλγει. Il titolo della commedia è og-
getto, infatti, sin dall’epoca bizantina, di un dibattito circa la sua
accentazione, legato all’interpretazione di Phot. lex. π 631
περιαλγής· †ὁ σπενήρης† τῷ τόνῳ· καὶ τοῦ δράματος τοῦ
Πλατωνικοῦ (vd. Cobet 1840, pp. 166-167; Theodoridis ad
loc.; Pirrotta 2009, p. 238).

50, 11-15 complemento di tempo in genitivo semplice:


triduo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἡμερῶν) – citazione
greca (Demosth. 18, 35) – citazione latina (Cic. Catil. 2, 15),
con glossa sintattica.
LEMMA GRECO. Sull’espressione del complemento di tempo del
tipo “entro due giorni” con il genitivo semplice vd. Kühner –
Gerth II.1, pp. 386-387; in generale l’impiego del genitivo
semplice nei complementi di tempo è oggetto anche di altre
voci degli Atticismi (48, 3-10; 99, 16-20; 106, 3-9).
224 COMMENTO

CITAZIONI GRECHE. L’errata indicazione di provenienza


dell’esempio tratto da Demosth. 18, 35, κατὰ Αἰσχίνου, po-
trebbe doversi a una svista del lessicografo atticista. In alternati-
va si può ipotizzare che in un precedente stadio della tradizione
lessicografica questa voce fosse corredata anche da un esempio
tratto dall’orazione Sulla falsa ambasceria (forse § 20 ἐκ τῶν
αὑτῷ πεπρεσβευμένων δυοῖν ἢ τριῶν ἡμερῶν).
LEMMA LATINO. La resa di τριῶν ἡμερῶν con triduo è parago-
nabile a CGL III 295, 67 τρισὶν ἡμέραις triduo (cfr. anche
CGL III 295, 66 τρισήμεραι triduum), dove tuttavia l’ablativo
latino è accostato al dativo greco invece che al genitivo.
L’ellissi cui accenna Prisciano nell’introdurre l’esempio cice-
roniano di triduo non sarà quella della preposizione intra, usata
per glossare la citazione e che però regge l’accusativo, bensì di
in, che si può considerare sottinteso accanto all’ablativo triduo.
CITAZIONI LATINE. Cic. Catil. 2, 15 non conosce altre citazio-
ni nella tradizione grammaticale ed erudita antica.
PROBLEMI TESTUALI. La corruttela di γεγενημένον in
ΓεΓεΝΗΜεΡωΝ nei manoscritti priscianei sembra dovuta all’as-
similazione al precedente ἡμερῶν, favorita dalla presenza di
un’identica sequenza di lettere, ΗΜΕ, in entrambe le parole.
᾽Εχθρόν può essere stato consapevolmente tralasciato dal
lessicografo atticista alla fine dell’escerto demostenico, giacché
era necessario all’illustrazione del lemma di questa voce né alla
comprensione del passo citato; vd. anche E. Müller 1911, p. 4.

50, 16-21 ἐσθέομαι con accusativo o dativo: indutus con


accusativo o ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἤσθηται) – lemma
latino – citazioni latine (Verg. Aen. 7, 666-668; 11, 76-77; Ter.
Eun. 708). Il verbo è posto tra i lemmi in η- a partire da una
forma con raddoppiamento del suo perfetto indicativo. In que-
sto caso l’adozione di questa particolare forma della flessione nel
lemma sembra riflettere il reale uso del verbo, che è attestato
quasi esclusivamente al perfetto (vd. LSJ s. v. ἐσθέω).
LEMMA LATINO. Prisciano registra la sola costruzione di induo al
passivo con l’accusativo di relazione già nel libro VIII (GL II
50, 16-21 225

391, 20-392, 1); in modo più completo tratta, invece, della


sintassi di questo verbo in altre due voci degli Atticismi (82, 15-
18; 95, 1-5). In 82, 15-18 rileva un’alternanza di casi sia
nell’espressione della cosa di cui si veste (in accusativo o ablati-
vo), sia della persona che si veste (in dativo o accusativo); per
porre in evidenza questo secondo aspetto dell’uso sintattico di
induo egli formula il lemma all’attivo e vi fa seguire degli esempi
nei quali il verbo è coniugato in tale diatesi (Verg. Aen. 11, 76-
77 unam iuveni … induit; 10, 681-682 sese mucrone … induat).
Nella voce in esame e in 95, 1-5 prende, invece, in considera-
zione solo il caso in cui è espressa la cosa di cui ci si veste. Pur
impiegando nella formulazione del lemma delle forme passive
del verbo, vi fa seguire anche delle attestazioni di induo all’attivo
(Verg. Aen. 7, 417-418 induit albos … crines; 10, 681- 682 sese
mucrone … induat; 11, 76-77 unam iuveni … induit; Ter. Eun.
702 meam … induit). Il ricorso a Verg. Aen. 7, 417- 418 e 11,
76-77, attestazioni più propriamente dell’uso transitivo del ver-
bo nel quale il complemento oggetto è rappresentato dalla cosa
indossata piuttosto che dalla persona che si veste, suggerisce
che il grammatico confondesse quest’uso dell’accusativo in
dipendenza da induo con l’accusativo di relazione retto da in-
duor, in quanto entrambi esprimono l’oggetto inanimato. La
stessa sovrapposizione di piano semantico e sintattico si osserva
in Serv. Aen. 11, 76 sane figurate dixit ‘vestem induit’ […] cum in
usu sit ‘induit illa re’, il quale fa riferimento a forme sia attive
(Aen. 11, 76-77 unam iuveni … induit) sia passive (2, 275 exuvias
indutus) del verbo costruito con un accusativo che, a seconda
dei contesti assume una diversa funzione logica (altrove il
commentatore virgiliano si sofferma, invece, solamente sul
passivo: Aen. 2, 275 ‘indutus’ autem accusativo iungitur, ut hoc loco,
et, ut magis in usu est, septimo, quo nunc utimur; 7, 640 LORICAM
INDUITUR dicimus et ‘induor illa re’ et ‘illam rem’). Servio e Pri-
sciano non giungono comunque mai a descrivere una costru-
zione di induo all’attivo con il doppio accusativo, come fa, inve-
ce, Char. 386, 25-26 induo puerum rubricam et rubrica, registrando
un uso rarissimo e tardo (vd. ThlL s. v. induo [J. B. Hofmann],
VII.1 1266, 57-76).
226 COMMENTO

L’alternativa tra l’accusativo di relazione e l’ablativo nella


reggenza di induor è registrata inoltre in Arus. 47, 12-16 Di
Stefano e in alcune raccolte di idiomata (Diom. GL I 319, 32;
Idiom. cas. GL IV 572, 2; vd. inoltre Char. 385, 2-3 per il solo
ablativo). Delle due costruzioni di induo all’attivo descritte da
Prisciano in 82, 15, solo la prima, con l’accusativo della persona
e l’ablativo della cosa, è inclusa da altri grammatici tra gli idio-
mata dell’ablativo (Char. 385, 2-3; Diom. GL I 316, 4; Idiom.
cas. GL IV 569, 33; Dosith. 88, 9 Tolkiehn). Questa costruzio-
ne del verbo è assimilata da Prisciano all’uso riflessivo di induo
con l’ablativo della cosa (in 82, 15-18 induo te veste è, infatti,
illustrato con Verg. Aen. 10, 681-682 an sese mucrone … induat;
cfr. Serv. Aen. 10, 681; Arus. 48, 1-2 Di Stefano). La seconda
costruzione postulata in 82, 15, con il dativo della persona e
l’accusativo della cosa in dipendenza da forme attive di induo,
non è descritta in questi termini da nessun altro grammatico
antico. Servio, che pure si sofferma (ad loc.) sul passo virgiliano
riferito da Prisciano a questo lemma (Aen. 11, 76-77 unam iuve-
ni … induit), vi rileva solamente l’accusativo della cosa.
CITAZIONI LATINE. In Verg. Aen. 7, 666-668 la costruzione di
induor con l’accusativo della cosa indossata (tegimen) e il dativo
della persona o parte del corpo che viene coperta (capiti) è con-
siderata dagli interpreti moderni un grecismo sintattico (Heyne
– Wagner 1830-33, III, pp. 99-100; Horsfall 2000, p. 437;
nessun accenno a una derivazione del costrutto dal greco, inve-
ce, in ThlL s. v. induo, VII.1 1267, 1-1268, 26). Il luogo virgi-
liano occorre anche in Arus. 47, 17, presso il quale la citazione
è circoscritta al v. 668 e illustra il nesso di induor con il dativo
(che esprime la parte del corpo che viene coperta). Prisciano,
invece, doveva considerare il passo un esempio della costruzio-
ne con l’accusativo dell’indumento (tegimen); cfr. Spangenberg
Yanes ics. [a]. Sulla sintassi di Verg. Aen. 11, 76-77 si sofferma
anche Servio ad loc., connotando come ‘figurata’ la costruzione
del verbo con l’accusativo (vd. supra).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Ter. Eun. 708 è atte-
stata la variante et ea est rispetto a et eam est della recensio Callio-
piana di Terenzio; il Bembino è, invece, latore della corruttela
51, 1-5 227

etast. Il passaggio dall’accusativo all’ablativo si spiegherebbe


facilmente con l’omissione del compendio della nasale su ea. La
lezione priscianea è però garantita dal lemma latino della voce,
al quale mancherebbe altrimenti un esempio relativo alla costru-
zione di induor con l’ablativo. Umpfenbach, Kauer – Lindsay –
Skutsch e Prete mettono a testo et east, anteponendo l’autorità
del grammatico alla tradizione diretta. Marouzeau, Tromaras e
Brothers stampano, invece, et eam est; similmente Barsby et eamst.

51, 1-5 comparativo seguito da ἢ ὡς κάλλιον: compara-


tivo seguito da quam ut melius
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἢ ὡς κάλλιον
αὐτοῖς) – citazione greca (Plat. Resp. 410d4-5), con glossa
semantica – lemma latino – citazione latina (Sall. Iug. 87, 4).
Sulla struttura di questa voce cfr. Rosellini 2012a, pp. 206-207.
LEMMA LATINO. Il lemma latino introdotto da similiter nos è una
mera traduzione letterale dell’esempio platonico precedente,
sintatticamente impropria in latino. Il secondo termine di para-
gone può, infatti, essere espresso in latino per mezzo di una
proposizione subordinata al congiuntivo introdotta da quam ut,
ma ha in questo caso un valore consecutivo o finale (“troppo …
per...”, cioè con un comparativo assoluto) che non corrisponde a
quello di ἢ ὡς in greco (sul quale vd. Kühner – Gerth II.2, pp.
314-315) né a quello richiesto dal contesto nella frase molliores
… illis (“divengono più molli di quanto sia bene per essi”); cfr.
Hofmann – Szantyr, p. 594. Il reale corrispettivo sintattico in
latino del lemma greco è, invece, individuato da Prisciano nei
due comparativi assoluti laxius licentiusque di Sall. Iug. 87, 4. Il
grammatico sembra cioè intendere che il comparativo assoluto
sia equivalente a un normale comparativo seguito da una locu-
zione analoga a quella del lemma greco (“troppo...” ovvero “più
… di quanto sia bene”). Per una discussione più dettagliata vd.
Spangenberg Yanes 2014, p. 121.
CITAZIONI LATINE. Sall. Iug. 87, 4 non conosce altre occorren-
ze nella tradizione grammaticale latina.
228 COMMENTO

51, 6-9 θαρρέω con accusativo: confido con accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Demosth. 3, 7
ἐθάρρει) – citazione latina (Stat. Theb. 2, 572-573).
LEMMA GRECO. Θαρρέω, di cui qui si prende in considerazio-
ne la sola costruzione con l’accusativo, è anche il lemma della
voce successiva (51, 10-13), nella quale è contemplata anche la
reggenza del dativo. Il verbo si trova inoltre extra ordinem tra i
lemmi in ο- (63, 14- 64, 2). Quest’ultima versione potrebbe
rappresentare, almeno per certi aspetti, uno stadio di elabora-
zione del lemma anteriore a quello testimoniato dalle due voci
separate in 51, 6-13. Il lemma greco di 63, 14, ‘θαρρῶ
αὐτούς’ et ‘αὐτοῖς’, che prevede un oggetto animato, riflette,
infatti, l’unico esempio conservato negli Atticismi per questo
verbo (Demosth. 3, 7 ἐθάρρει τούτους) più da vicino del
lemma di 51, 10 ‘Θαρρῶ τοῦτο’ καὶ ‘τούτῳ’. Inoltre, in 63,
14- 64, 2 sono contemplate tutte le tre possibili reggenze di
(con)fido, dell’accusativo, del dativo e dell’ablativo; tra i lemmi
in θ-, invece, la costruzione di confido con l’accusativo della
persona è posta nella prima voce (51, 6-9), in corrispondenza
dell’uso di θαρρέω con l’accusativo della persona (LSJ s. v.
θαρσέω, I.4), mentre la reggenza di fido del dativo o
dell’ablativo (della cosa) è affiancata nella seconda voce (51,
10-13) a quella di θαρρέω con l’accusativo o il dativo della
cosa (LSJ s. v. θαρσέω, I.2 e I.4). Il confronto tra le due lingue
risulta dunque più puntualmente organizzato in 51, 6-13, dove
oltre al criterio del caso retto dal verbo greco e da quello latino
si segue anche quello della distinzione tra oggetti animati e
inanimati. Prisciano, trovando nella sua fonte un lemma relativo
alla costruzione di θαρρέω con l’accusativo o il dativo, illu-
strato per mezzo di un passo nel quale il verbo regge un og-
getto animato (Demosth. 3, 7), potrebbe aver dapprima sem-
plicemente accostato al lemma greco dei suoi corrispettivi latini
semantici e sintattici, cioè confido con l’accusativo e fido con il
dativo o l’ablativo. In un secondo momento, forse osservando
che negli esempi latini individuati per illustrare i tre costrutti
l’accusativo retto da confido rappresentava un oggetto animato,
i dativi e ablativi retti da fido un oggetto inanimato, egli
51, 6-9 229

avrebbe predisposto due voci separate (θαρρέω/confido e


θαρρέω/fido; cfr. supra, pp. LIX-LXI). Nel compiere questa
operazione il grammatico avrebbe anche riformulato il lemma
greco, da ‘θαρρῶ αὐτούς’ et ‘αὐτοῖς’ a ‘θαρρῶ τοῦτο’ καὶ
‘τούτῳ’, che corrisponde più puntualmente al latino ‘fido huic
rei’ et ‘hac re’. Il fatto che la congiunzione che coordina le due
metà del lemma greco sia in latino in 63, 14 e in greco in 51,
10 non ostacola la ricostruzione fin qui proposta: anche in pre-
cedenti libri dell’Ars Prisciano utilizza occasionalmente singole
parole (in particolare congiunzioni e articoli) o brevi pericopi di
testo in greco per introdurre o articolare tra loro lemmi e
citazioni greche. Egli potrebbe pertanto aver dapprima tradotto
in latino, con et, la congiunzione greca che leggeva nella sua
fonte, ma poi aver adoperato esclusivamente il greco nel nuo-
vo lemma da lui coniato. L’ipotesi alternativa, che già nel lessi-
co fonte la costruzione di θαρρέω con oggetti animati fosse
separata da quella con oggetti inanimati è assai improbabile, dal
momento che il lessicografo atticista non sembra in generale
aver prestato molta attenzione a questo tipo di distinzione (vd.
supra, p. XLVII).
CITAZIONI GRECHE. Demosth. 3, 7 illustra la costruzione di
θαρρέω con l’accusativo anche in Lex. Coisl. θ 1, dove l’esten-
sione della citazione è più breve che in Prisciano (οὔτε …
Φίλιππον). Lo stesso uso sintattico è inoltre rilevato come una
particolarità in Schol. Demosth. 3, 50 ἐθάρρει] ἢ σχῆμά ἐστι
κατὰ ἀντίπτωσιν ἀντὶ τοῦ ‘ἐθάρρει τούτοις’, ἢ λείπει τῷ
νοήματι τὸ ‘ἀδικεῖν’, οἷον ‘οὐκ ἐθάρρει τούτους ἀδικεῖν’,
dove se ne propongono le due spiegazioni alternative dello
scambio di caso (accusativo in luogo del dativo) o dell’ellissi
dell’infinito. Il solo sintagma ἐθάρρει τούτους è poi riportato
in forma anonima nella trattazione dello scambio di casi in Cass.
Longin. RhG I 307, 30-308, 4 Spengel.
In Lex. Coisl. θ 1 l’indicazione di provenienza del passo è
τρίτῳ Ὀλυνθιακῷ; negli Atticismi si legge, invece, Φιλιππι-
κῶν III, perché il lessico fonte di Prisciano segue una numera-
zione unica per le prime 11 orazioni del corpus demostenico,
collettivamente indicate come Filippiche (vd. anche supra, p. 8).
230 COMMENTO

LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di θαρρέω e


confido è attestata anche nello Ps. Cirillo (CGL II 326, 33-34).
La costruzione di confido con l’accusativo è rarissima, attestata
con sostantivi solamente nel luogo staziano citato da Prisciano
(Theb. 2, 573), con pronomi neutri qualche altra volta in età
arcaica e nella letteratura cristiana (vd. ThlL s. v. confido [Meis-
ter], IV 208, 19-24). Meister ritiene che questo costrutto in
Stazio sia un grecismo sintattico (ibid. 208, 22).
CITAZIONI LATINE. Stat. Theb. 2, 572-573 esemplifica l’uso di
confido con l’accusativo anche in 63, 14-15.
PROBLEMI TESTUALI. L’omissione delle parole καὶ διέκειθ’
οὕτω τὰ πράγματα dopo κεκτημένοι in Demosth. 3, 7 si
dovrà a un intenzionale abbreviamento della citazione a opera
del compilatore del lessico fonte piuttosto che a un guasto nella
tradizione dell’Ars (come, invece, credeva Hertz, che ha posto
un segno di lacuna in GL III 318, 22)

51, 10-13 θαρρέω con accusativo o dativo: fido con


dativo o ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (θαρρῶ) – lemma
latino – citazioni latine (Verg. Aen. 11, 350-351; 7, 290).
LEMMA GRECO. La sintassi di θαρρέω è oggetto anche delle
voci in 51, 6-9; 63, 14- 64, 2: vd. commento ad locc.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di θαρρέω e fido
è attestata anche nello Ps. Cirillo (CGL II 326, 33) e in Idiom.
cas. GL IV 570, 32-33 fidens sum animi et animo θαρρῶ τῇ ψυχῇ
μου, dove si assegna al verbo greco la sola reggenza del dativo.
La costruzione di fido con il dativo è menzionata da Priscia-
no anche nella prima metà del libro XVIII (GL III 216, 1-3
transitiva autem participia sunt, quae a transitivis verbis nascuntur, ut
‘[...] fido illi, fidens illi [...]’, dove fiaens, messo a testo da Hertz, è
certamente un errore di stampa). La reggenza del dativo da
parte di fido è registrata anche in Arus. 39, 11 Di Stefano e in
alcune raccolte di idiomata (App. Prob. 2, 58 Asperti-Passalacqua;
Oxford, Bodl. Libr., Add. C 144, f. 79r fido glorię fido pedibus;
cfr. Ps. Caper GL VII 93, 15), nelle quali, quando il lemma è il
participio fidens, le si affianca quella del genitivo (Dosith. 88, 16
51, 10-13 231

Tolkiehn; Idiom. cas. GL IV 570, 32-33; Beda orth. 25, 450 Jo-
nes; cfr. Char. 385, 21-22; Prisc. GL III 216, 5-6). Nessun altro
grammatico si occupa, invece, dell’uso del verbo con l’ablativo.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 11, 350-351 ricorre nel dop-
pione della voce θαρρέω/confido in 64, 1-2. Verg. Aen. 11,
351 e 7, 290 sono inoltre citati, rispettivamente, in Arus. 39, 7-
8 e 11 Di Stefano. Arusiano adopera Verg. Aen. 7, 290 come
esempio della costruzione di fido con il dativo (39, 11 FIDO
HUIC REI), mentre Prisciano, che attesta la variante terra per
terrae, considera il passo un’attestazione di fido con l’ablativo (vd.
infra). La costruzione del verbo con il dativo nei due luoghi
virgiliani è considerata l’unica possibile in Serv. auct. Aen. 7,
290 IAM FIDERE TERRAE per dativum iungendum, aliter non proce-
dit, ut ‘et fidere nocti’ (Aen. 9, 378, citato anche da Prisciano in
64, 2), mentre Servio la nota come una particolarità sintattica,
alternativa a quella con l’ablativo (Aen. 11, 351 FUGAE FIDENS
[…] ‘fugae’ autem figurate dixit pro ‘fuga fidens’).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Verg. Aen. 7, 290
Prisciano attesta la variante terra per terrae dei codici virgiliani e
delle altre fonti di tradizione indiretta (Servio nel lemma ad loc.
e Arusiano). Si può escludere una corruttela nel testo priscia-
neo, giacché il lemma latino della voce prevede, accanto alla
costruzione di fido con il dativo, illustrata mediante Aen. 11,
350-351, anche quella con l’ablativo, che sarebbe altrimenti
priva di esempi. Il nostro grammatico può aver derivato la cita-
zione di Aen. 7, 290 dal repertorio lessicografico che è fonte
comune ad Arusiano, in uno stadio del testo posteriore a quello
impiegato dall’autore degli Exempla elocutionis, nel quale si era
prodotta l’alterazione di terrae in terra. Quest’ultima lezione
sarebbe dunque esito di una corruttela all’interno della tradizio-
ne lessicografica latina (vd. anche Spangenberg Yanes ics. [a]).
Al termine della voce i codici TRYQ aggiungono in margine
o nell’interlineo Iuvenalis ‘fidimus eloquio’, che Rosellini 2015a,
p. CXXX, ipotizza sia stato trascritto qui da un lettore dotto in
base al confronto con 63, 15-16, dove Iuv. 7, 139-140 occorre,
in forma più ampia, ancora una volta sotto il lemma fido.
232 COMMENTO

51, 14-17 θαυμάζω con accusativo o genitivo o dativo:


miror con accusativo o genitivo o ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (θαυμάζειν) – lem-
ma latino – citazioni latine (Verg. Aen. 2, 32; 11, 126).
LEMMA LATINO. Miror è accostato a θαυμάζω/-ομαι anche in
Dosith. 97, 14 Tolkiehn e nei glossari (CGL II 326, 43- 44; III
4, 73; 75, 24; 145, 7; 338, 41; 410, 52-55; 456, 38).
Delle tre costruzioni di miror descritte da Prisciano quella con
l’ablativo è assai rara (ThlL s. v. miror [Bulhart], VIII 1065, 75-82)
e quella con il genitivo occorre solamente in Verg. Aen. 11, 126
(ibid. 1065, 70-73), citato anche da Prisciano. Su quest’ultima
reggenza, già ricordata dal grammatico in 49, 1, vd. ad loc. Pri-
sciano ammette la possibilità che miror regga l’ablativo, in alter-
nativa al genitivo, anche nel libro XVII (GL III 163, 21 utrum-
que bene dicitur et ‘miror te iustitia’ et ‘iustitiae’; cfr. supra, p. 216),
mentre nel capitolo del libro XVIII sulle costruzioni verbali egli
prende in considerazione solamente l’uso transitivo del verbo
(GL III 277, 19-21 Neutra et deponentia, quod superius dictum est,
si actum significent et habeant transitionem ab homine in hominem,
accusativo coniunguntur, ut ‘[...] miror [...]’; cfr. Rosellini 2010,
pp. 76-77 e 88-92).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 11, 126 esemplifica la costruzio-
ne di miror con il genitivo anche in GL III 162, 24-163, 5; Att.
49, 1; 59, 9-10 (vd. supra, p. 216). È possibile che nella voce in
esame, diversamente che nelle sue altre occorrenze, la citazione
virgiliana fosse messa in relazione da Prisciano sia con la costru-
zione di miror con il genitivo (laborum) sia con quella con l’ablati-
vo (iustitiane), giacché entrambe sono contemplate nel lemma.
PROBLEMI TESTUALI. Sulle varianti iustitiae/-a in Verg. Aen. 11,
126 vd. supra, pp. 216-217.

52, 1-4 ἴδιος αὑτοῦ: suus sibi


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ἰδίοις αὑτῶν) – cita-
zione greca (Isocr. Paneg. 168) – citazione latina (Ter. Ad. 958).
LEMMA GRECO. Il nesso di ἴδιος con il genitivo (o dativo) di
possesso del pronome riflessivo è trattato da Prisciano anche nel
libro XVII (GL III 172, 6- 8 Quod autem genetivo vel dativo, qui
52, 1- 4 233

loco sit genetivi possessoris, bene additur etiam possessivum, ut supra


diximus, non solum nostrorum, sed etiam Atticorum usus approbat), in
un contesto nel quale la presenza di diverse citazioni di autori
attici prova l’impiego, da parte del grammatico, della medesima
fonte lessicografica alla base degli Atticismi (vd. supra, p. XLIII).
All’interno del lessico fonte in particolare la citazione di Plat.
Tim. 18b2 κτῆμα αὑτῶν ἴδιον poteva essere collocata sotto il
lemma ἰδίοις αὑτῶν ἀγαθοῖς, dove ora si conserva solamente
l’esempio protolemmatico, Isocr. Paneg. 168.
LEMMA LATINO. Nel nesso pleonastico suus sibi, proprio del
latino arcaico e colloquiale, il pronome personale è da conside-
rarsi un dativo di simpatia (vd. Landgraf 1893, pp. 43-44; Lind-
say 1907, p. 41; Hofmann – Szantyr, p. 94). Il costrutto, spora-
dicamente attestato anche in epoca classica e nella tarda età
imperiale, sarebbe comunque tipico, a tutte le altezza cronolo-
giche, di un registro popolare (Hofmann – Szantyr, pp. 94 e
178). Il fenomeno sintattico dell’accostamento di aggettivo
possessivo e pronome riflessivo o personale in genitivo o dativo
di possesso è trattato da Prisciano già nel libro XVII (GL III
172, 6-12), dove l’uso linguistico latino è confrontato con quel-
lo attico di ἴδιος, come negli Atticismi (vd. supra).
CITAZIONI LATINE. Ter. Ad. 958 illustra l’accostamento
dell’aggettivo possessivo e del dativo di possesso del pronome
riflessivo anche in GL III 172, 11-2.
PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Isocr. Paneg. 168 è trasmes-
sa nei codici priscianei con la lezione αΛΛοι (αΛΛαωι EM,
αΜαοι I, che si spiegano con la dittografia di -Λ- > -Α- > -α-
nel subarchetipo η) in luogo di ἀλλήλων (Γ ΛΠNS) o τῶν
ἄλλων (Θ) della tradizione medievale isocratea. B. Keil 1885, p.
41 n. 2, ha ipotizzato che la forma originaria, nel testo priscianeo,
fosse ἄλλων (già congetturato da Cobet 1873, p. 519, ma in
riferimento al solo testo di Isocrate); il grammatico si accorde-
rebbe dunque parzialmente con il ramo Θ della tradizione di-
retta. Come osserva Fassino 2014, p. 251 n. 10 e p. 278, tutta-
via le sole forme che si lasciano ricostruire dalle lezioni dei ma-
noscritti priscianei sono ἄλλου, ἄλλῳ o ἄλλοι. Nonostante
l’incertezza nell’individuazione di quale lezione Prisciano tro-
234 COMMENTO

vasse nella sua fonte, si può comunque concludere che essa


verosimilmente rappresentava la banalizzazione di ἀλλήλων in
una forma della flessione di ἄλλος, la quale doveva apparire più
appropriata all’antitesi con τοῖς αὑτῶν ἰδίοις ἀγαθοῖς, una
volta che il passo era stato estrapolato dal contesto di origine.
Ancora nella citazione isocratea si osserva l’accordo (rubrica-
to da Fassino 2014, p. 281, tra quelli «in lezione superiore o
adiafora») di Prisciano con ΓΘ nella sequenza αὑτῶν ἰδίοις
(ἰδίοις αὑτῶν in ΛΠNS).
Nella voce in esame Ter. Ad. 958 è riportato in forma iden-
tica a quella attestata dalla tradizione diretta; in GL III 172, 12,
invece, con l’inversione di gladio hunc in hunc gladio (cfr. Craig
1930, p. 66); in generale sulle frequenti alterazioni nel dettato
degli esempi tratti da Terenzio vd. supra, p. LXX.

52, 5-10 κατάρχω con genitivo o accusativo: incipio,


coepio, inchoo, ineo con accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (κατῆρχε) – citazio-
ne greca (Plat. Euthyd. 283b1-2) – lemmi latini – citazioni lati-
ne (Verg. ecl. 8, 21; Aen. 6, 372; 6, 252).
LEMMA LATINO. Inchoo corrisponde a κατάρχομαι anche nello
Ps. Cirillo (CGL II 343, 38).
Incipio e coepio sono menzionati anche in 33, 8-9, come
equivalenti del semplice ἄρχω. Ivi si osserva, come nella voce
in esame, che i due verbi latini reggono solo l’accusativo men-
tre il lemma greco prevede la costruzione sia con l’accusativo sia
con il genitivo. Prisciano intende così porre l’accento sull’omo-
geneità sintattica dei verbi latini e di quello greco. L’uso transi-
tivo di incipio e inchoo è ricordato anche all’inizio del capitolo
del libro XVIII sulle costruzioni verbali (GL III 267, 18; cfr.
Rosellini 2010, pp. 88-92). La reggenza dell’accusativo da parte
di inchoo è inoltre registrata da altri grammatici in alcune liste di
idiomata (Char. 384, 11; Diom. GL I 314, 20; Idiom. cas. GL IV
568, 5- 6). Nessun altro grammatico tratta, invece, dell’uso transi-
tivo di ineo. Si noti che nella voce in esame Prisciano menziona
coepio, mentre in GL II 500, 12 osserva che ‘coepio’, quod in usu
non est, ‘coepi’ facit praeteritum: l’incoerenza si spiega probabilmen-
52, 5-10 235

te con l’abbandono, nei libri sintattici, delle principali fonti


latine per l’esposizione della morfologia nei libri I-XVI (vd.
Rosellini 2011, pp. 184-187; Rosellini – Spangenberg ics.).
Sulla sintassi di incipio e coepio/-i vd. anche supra, p. 137.
CITAZIONI LATINE. Verg. ecl. 8, 21 esemplifica la costruzione
di incipio con l’accusativo anche in 33, 9-10 (vd. ad loc.). Verg.
Aen. 6, 252 e 372 non sono citati altrove nella produzione
grammaticale latina.
PROBLEMI TESTUALI. Qualche considerazione merita la grafia
di incoho/inchoo nel lemma latino della voce e nella citazione di
Verg. Aen. 6, 252. La forma incohat è adottata in Aen. 6, 252 da
quasi tutti gli editori virgiliani (tranne Heyne – Wagner) ed è
anche quella ritenuta più corretta dal ThlL perché giustificata
dall’etimologia (in + cohum: vd. ThlL s. v. incoho [J. B. Hof-
mann], VII.1 966, 52-77). Incho- è, invece, la grafia seguita da
Rosellini nella voce in esame e da Hertz in questa (GL III 319,
20-320, 3) e nelle altre occorrenze del verbo nell’Ars (GL II 8,
17-18; 447, 16; III 267, 18; 319, 20; cfr. metr. Ter. 26, 11 Pas-
salacqua). L’unica eccezione è rappresentata da GL III 52, 25,
dove Hertz opta, in una citazione di Verg. georg. 3, 42, per
incohat, del solo codice D, perché in accordo con i codici MP di
Virgilio (inchoat R). Altri grammatici affrontano direttamente il
problema della grafia di incoho/inchoo e indicano quale delle due
forme ritengono più corretta (inchoo: Scaur. orth. 9, 9-11 Bid-
dau; Eutych. GL V 449, 23; incoho: Gell. 2, 3, 3; Diom. GL I
365, 16; Ps. Prob. cath. GL IV 38, 27; Sacerd. GL VI 490, 30;
entrambe le forme sono ammesse da Serv. georg. 3, 223). Pri-
sciano non si sofferma esplicitamente sulla questione; tuttavia
nel libro VIII include inchoo tra i temi verbali in -o (GL II 447,
14-17 inveniuntur tamen etiam primae et tertiae coniugationis, non
solum e vel i antecedentibus, sed et aliis vocalibus, ut ‘inchoo inchoas’,
‘mutuo mutuas’, ‘meo meas’, ‘hio hias’), osservando che, diversa-
mente che nei verbi appena elencati, nei temi verbali della terza
coniugazione in -a ed -e la vocale è seguita da un’aspirata (GL
III 447, 17-18 tertia tamen a vel e ante aspirationem invenitur habere
paenultimas, ut ‘traho traxi’, ‘veho vexi’). Se ne deduce che egli
aveva in mente la grafia inchoo. È pertanto opportuno mettere a
236 COMMENTO

testo incho- non solo nelle occorrenze del verbo nelle parole dello
stesso Prisciano, ma anche in tutti i passi virgiliani che egli cita.

52, 11-17 κατακροάομαι con genitivo o accusativo: au-


dio con accusativo, ausculto con dativo o accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (κατακροᾶσθαι) –
citazione greca (Eup. fr. 263 K.-A.) – lemmi latini – citazioni
latine (Ter. Andr. 209; 536), con osservazione aggiuntiva.
LEMMA GRECO. La costruzione di κατακροάομαι – un verbo
in generale molto raro – con l’accusativo è nota solamente tra-
mite il lessico priscianeo (cfr. LSJ s. v.).
CITAZIONI GRECHE. Il fr. 263 K.-A. di Eupoli è l’unica attesta-
zione nota di κατακροάομαι con il genitivo (della cosa) e
l’accusativo (della persona).
LEMMA LATINO. La reggenza dell’accusativo è la sola ammessa
da Prisciano per audio anche in 8, 5-8; 25, 15-26, 3 (vd. supra,
p. 9). Nella voce in esame questo aspetto distingue il lemma
latino da quello greco, il quale prevede, invece, la costruzione
con due casi diversi, l’accusativo o il genitivo. Un più puntuale
equivalente di κατακροάομαι sul piano sintattico viene indivi-
duato in ausculto (già affiancato ad ἀκροάομαι in 10, 3-9; vd.
ad loc.). L’equivalenza semantica di κατακροάομαι e ausculto è
attestata anche nello Ps. Cirillo (CGL II 341, 38).
CITAZIONI LATINE. Ter. Andr. 209 e 536 illustrano la costruzione
di ausculto rispettivamente con il dativo e con l’accusativo anche
in 10, 5-9. Anche lì si richiama l’autorità di Donato a sostegno
della lezione pauca (invece di paucis) in Andr. 536 (vd. ad loc.).
PROBLEMI TESTUALI. Nel fr. 263 K.-A. di Eupoli i codici pri-
scianei si dividono tra la lezione ΚαΤαΚΡΟαCΘαι di β e γ (in
quest’ultimo nella corruttela ΚαΤαΚΡΟαCεαι) e ΚαΤαΚΡΟα-
Ται di O (vd. Rosellini 2014b, p. 551). Κατακροᾶται, messo
a testo da van Putschen e Krehl, è una proposta da Scaligero (p.
724), il quale verosimilmente la traeva a sua volta dalla lezione
di O (vd. Rosellini 2015a, pp. CXXVI-CXXXVIII; Spangenberg
Yanes 2016, pp. 351-353 e 355-357). La forma accolta, invece,
da Hertz (GL III 320, 4) e Rosellini nel testo di Prisciano e da
Kassel – Austin nel frammento di Eupoli, κατακροᾶσθε, è una
53, 1-5 237

emendazione di Cotton 1820. La corruttela di κατακροᾶσθε


in κατακροᾶσθαι si può spiegare come un errore fonetico o
come assimilazione della citazione al lemma che la precede. In
quest’ultimo, infatti, l’infinito non riproduce necessariamente la
forma propria della citazione protolemmatica, bensì può rappre-
sentarne un maggior grado di astrazione (cfr. supra, p. XLV).

53, 1-5 καταχράομαι con dativo o accusativo: abutor con


ablativo o accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (κατακέχρη[ν]σαι)
– citazioni latine (Cic. Catil. 1, 1; Sall. Catil. 13, 2), con glossa
sintattica.
LEMMA LATINO. Prisciano fa corrispondere per significato abu-
tor e καταχράομαι anche in GL II 381, 10-11, dove glossa il
fr. 45 Malcovati di Ortensio, abusis iam omnibus locis, con ‘abusis’
καταχρησθέντων. I due verbi sono inoltre accostati nello Ps.
Cirillo (CGL II 341, 10; 345, 13).
Le due reggenze attribuite da Prisciano ad abutor sono regi-
strate anche in Arus. 8, 1-3 Di Stefano e in alcune raccolte di
idiomata (Char. 386, 20; Diom. GL I 316, 12-17; cfr. Idiom. cas.
GL IV 572, 2, con ulteriori osservazioni in Spangenberg Yanes
2017d, pp. 63-64 n. 12; Pelosi 2017, pp. 94-95). La costruzione
di abutor con l’ablativo, prevalente in età augustea e imperiale
rispetto a quella con l’accusativo, tipica del latino di epoca
repubblicana (vd. ThlL s. v. abutor [Bannier], I.1 240, 21-22;
Wölfflin 1892, pp. 425-434), è inoltre ricordata in Char. 384,
17; Idiom. cas. GL IV 569, 25; Oxford, Bodl. Libr., Add. C 144,
f. 79r abutor studiis abutor patientia.
CITAZIONI LATINE. Cic. Catil. 1, 1 è citato da Prisciano anche
nel libro XV, ma riguardo all’uso di tandem come coniunctio
repletiva (GL III 88, 27- 89, 2), e nel libro XVII, a proposito del
valore interrogativo di quousque (GL III 139, 9-10). Sia questo
passo (con un taglio più breve: abutere … nostra) sia Sall. Catil.
13, 2 (in forma più estesa: quibus mihi … properabant) illustrano
le due reggenze di abutor anche in Arus. 8, 1-5 Di Stefano.
PROBLEMI TESTUALI. Il lemma greco è trasmesso nei codici
con la vox nihili ΚαΤαΚεΧΡΗΝCαι (ΚαΤαΚεΧΡΗCαι T), che
238 COMMENTO

viene emendata in κατακέχρησαι. La genesi della corruttela si


potrebbe spiegare, considerata la somiglianza di Η e Ν in maiu-
scola, con la dittografia di Η, poi ulteriormente corrotta in Ν.

53, 6-14 καθέζομαι con ἐν e dativo o εἰς e accusativo o


ἐπί e genitivo o ἐπί e dativo: sedeo con in e ablativo o in
e accusativo o ablativo semplice o accusativo semplice
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (καθέζεσθαι) –
citazioni greche (Thuc. 1, 24, 7; Aeschn. Socr. fr. 55 Dittmar)
– lemma latino – citazioni latine (Verg. Aen. 7, 192-193; 5,
180; Sall. Iug. 49, 1).
CITAZIONI GRECHE. Thuc. 1, 24, 7 ricorre in 24, 13-14 e 33,
16 per esemplificare l’uso di εἰς con l’accusativo invece di ἐν con
il dativo. Per lo stesso motivo il passo illustra il solecismo περὶ
τὰς προθέσεις in Ps. Herodian. soloec. 308, 4-5; Anon. soloec.
292, 7- 8 Nauck. Nella voce in esame il luogo tucidideo è, inve-
ce, riferito a uno dei nessi preposizionali di καθέζομαι senza che
questo sia presentato come una deviazione dalla norma sintattica.
Il fr. 55 Dittmar di Eschine Socratico citato da Prisciano
sembra corrispondere a una pericope di testo conservata anche
su papiro: CPF 8 fr. 2 ll. 4- 6 Rossetti ἐκα└θή┘/μεθα δὲ ἐν τῇ
σ└το┘/ᾷ (= P. Oxy. 2889).
LEMMA LATINO. Καθέζομαι corrisponde a sedeo anche nei
glossari bilingui (CGL II 334, 55; III 148, 4 e 6-7).
Il lemma di questa voce, che prevede l’uso di sedeo anche
con l’accusativo, è in contrasto con la collocazione del verbo tra
i neutra, cioè tra gli intransitivi, sostenuta altrove dallo stesso
Prisciano (GL II 375, 9-11; 398, 23; 399, 11; 411, 8-11; 435,
12; cfr. GL III 223, 7-9) e da altri grammatici (Char. 210, 4;
Diom. GL I 337, 10-12; Ars Bob. 47, 23-25 De Nonno; Ps.
Prob. inst. GL IV 139, 9; Cledon. GL V 55, 20-22; Ps. Aug.
reg. 77, 16-19 Martorelli; 93, 1-3; Mar. Victorin. GL VI 198,
8-10; Sacerd. GL VI 430, 7-9 e 16-17; 442, 5; Phoc. 68, 26
Casaceli; Audax GL VII 346, 9-11 e 16-17). Quest’uso sintatti-
co è ignoto ai lessici moderni (vd. Forcellini s. v. sedeo, Nota I;
cfr. OLD s. v. sedeo). L’indicazione di un uso transitivo di sedeo,
data da Prisciano negli Atticismi, non si può giustificare con un
53, 6-14 239

calco del lemma greco, nel quale non è contemplata la costru-


zione di καθέζομαι con l’accusativo. Piuttosto il grammatico
può aver postulato la costruzione del verbo con l’accusativo
semplice perché intendeva sovrapporre al discorso sull’alternati-
va tra il complemento di stato in luogo e di moto a luogo, de-
scritta nella prima metà del lemma latino (‘sedeo in monte’ et ‘in
montem’), un’osservazione circa la possibilità di esprimere i
complementi di luogo con il caso semplice invece che retto da
preposizione (et ‘monte’ et ‘montem’ sine praepositionibus). Pertan-
to sedeo … montem era forse inteso da Prisciano come costruzio-
ne del verbo con l’accusativo semplice di moto a luogo (co-
munque non altrimenti nota) piuttosto che con il complemento
oggetto. Il grammatico potrebbe essere stato influenzato, in
questo, anche dalla costruzione del composto insido (montem
insedit nella citazione sallustiana). Un simile uso sintattico di
sedeo è ammesso altrove solamente in Beda orth. 23, 401- 402
Jones equo sedeo dativo casu et ablativo sine praepositione dicendum;
et equum sedeo accusativo, et in equo et super equum similiter.
La possibilità di far dipendere da sedeo, per il complemento
di stato in luogo, l’ablativo semplice invece che preceduto da in
è prospettata anche, ma respinta, in Explan. in Don. GL IV 511,
23-25 sic et nominibus locorum additur praepositio, [...] ‘sedeo in
theatro’, non ‘sedeo theatro’. Altri grammatici conoscono per que-
sto e altri verbi di stato la sola costruzione con l’ablativo prece-
duto da in o sub (Serv. GL IV 419, 36- 420, 4; Pomp. GL V
276, 16-22; Ps. Aug. reg. 141, 1-5 Martorelli).
CITAZIONI LATINE. Del verbo semplice sedeo, adoperato nel
lemma, Prisciano fornisce un solo esempio, relativo al nesso con
l’ablativo semplice (Verg. Aen. 7, 192-193 sede sedens), mentre
per gli altri costrutti ricorre ai composti resido (Verg. Aen. 5,
180 in rupe resedit) e insido (Sall. Iug. 49, 1 montem insedit). Delle
quattro costruzioni descritte nel lemma resta priva di esempi
quella con in e l’accusativo. Verg. Aen. 5, 180 è citato anche da
Arus. 88, 7 Di Stefano sotto il lemma RESEDIT IN ILLA RE.
PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Thuc. 1, 24, 7 (καθεζό-
μενοι δὲ ἱκέται εἰς τὸ Ἥραιον ἐδέοντο) ha forma diversa,
nella voce in esame, rispetto alle sue prime due occorrenze (24,
240 COMMENTO

13-14 = 33, 16 καθεζόμενοι εἰς τὸ Ἥραιον ἱκέται). In en-


trambe le versioni il dettato del passo citato differisce inoltre
dalla tradizione diretta (ταῦτα δὲ ἱκέται καθεζόμενοι ἐς τὸ
Ἥραιον ἐδέοντο). Poiché le prime due occorrenze della cita-
zione e la terza si trovano sotto due lemmi diversi (rispettiva-
mente ‘εἰς’ pro ‘ἐν’ e καθέζομαι), è verosimile che le differen-
ze nel loro testo risalgano alla fonte stessa di Prisciano. Ancora
più distante dal testo della tradizione diretta è la citazione dello
stesso passo in Ps. Herodian. soloec. 308, 4-5 e Anon. soloec.
292, 7- 8 Nauck (εἰς τὸ Ἡραῖον ἐκαθέζοντο). In questo caso,
come per le occorrenze di Thuc. 1, 24, 7 negli Atticismi priscia-
nei, si dovrà pensare ad alterazioni subite dal passo nel corso
della sua tradizione in ambito grammaticale-lessicografico piut-
tosto che a varianti antiche nel testo tucidideo.
La citazione di Sall. Iug. 49, 1 differisce significativamente
dalla tradizione diretta (Igitur in eo colle, quem transvorso itinere
porrectum docuimus, Iugurtha extenuata suorum acie consedit). È pos-
sibile che Prisciano abbia confuso il passo del Bellum Iugurthinum
con un luogo delle Historiae (fr. 1, 11) citato in Arus. 48, 22-49,
1 Di Stefano per la costruzione di insido con l’accusativo (Sall.
hist. fr. 1, 11 Armata montem sacrum atque Aventinum insedit; cfr.
Serv. auct. Aen. 8, 479 ‘insedit’ autem secundum Sallustium ‘mon-
tem sacrum atque Aventinum insedit’; il frammento è tràdito inol-
tre, in forma assai più ampia, in Aug. civ. 2, 18; 3, 17). La svista
di Prisciano può essere stata favorita dalla presenza degli accusa-
tivi montem sacrum atque Aventinum in hist. fr. 1, 11, sovrapposti
a in eo colle di Iug. 49, 1 (il termine montem occorre peraltro, nel
medesimo paragrafo, a breve distanza dal periodo citato da Pri-
sciano: ipse propior montem cum omni equitatu et peditibus delectis
suos conlocat). Vd. anche Nitzschner 1884, pp. 97-98.

53, 15-18 κατηγορέω con genitivo della persona e accu-


sativo o genitivo della cosa: accuso con accusativo della
persona e genitivo della cosa o con genitivo della perso-
na e accusativo della cosa
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (κατηγορῶ) – lem-
ma latino – citazione greca (Demosth. 21, 5).
53, 15-18 241

LEMMA GRECO. Delle due costruzioni di κατηγορέω descritte


nel lemma quella con il doppio genitivo è nota a LSJ s. v., I.2,
solo dal passo di Demostene (21, 5) citato negli Atticismi.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di κατηγορέω e
accuso è attestata anche nei glossari bilingui (CGL II 13, 26 e 28;
346, 7; III 3, 50-52; 149, 55-58 e 61- 63) e in Dosith. 102, 17
Tolkiehn; Beda orth. 9, 59 Jones.
Nella seconda metà del lemma latino formulato da Prisciano
l’espressione della persona in genitivo è in realtà solamente un
complemento di specificazione (accuso tui furta). La possibilità di
esprimere la persona accusata in genitivo è nettamente respinta
da Pompeo, che la considera un improprio grecismo sintattico
(GL V 238, 19-30 accuso accusativum regit tantum modo, accuso
illum; non possumus dicere accuso illius [...]. sed timuit vim Graecam.
Graeci enim accuso illius dicunt, κατηγορῶ ἐκείνου). Tuttavia il
costrutto da lui descritto non corrisponde del tutto al lemma di
Prisciano, giacché questi prevede che il genitivo della persona
accusata si usi solo insieme all’accusativo della cosa (il che gli
consente di descrivere un sintagma realmente in uso, mentre la
costruzione di accuso con il solo genitivo della persona, retto
direttamente dal verbo e non dal complemento oggetto, non è
altrimenti nota). Prisciano richiama l’uso transitivo di accuso
anche in altri luoghi dell’Ars, nei quali prende tuttavia in consi-
derazione solo la costruzione con l’accusativo della persona,
non della colpa commessa (ad es. GL II 374, 21 accuso te; sim.
555, 18; III 233, 4-5; 267, 15; vd. anche GL III 272, 20, tra i
laudativa vel vituperativa). Similmente, gli altri grammatici che
registrano il verbo tra gli idiomata dell’accusativo gli assegnano
sempre un oggetto animato (Diom. GL I 314, 17 accuso adulte-
rum; Idiom. cas. GL IV 568, 37 accuso te; Explan. in Don. GL IV
556, 37 accuso te illum; Pomp. GL V 238, 29 accuso illum; Con-
sent. GL V 385, 5 accuso inimicos; Beda orth. 9, 59 Jones Accuso
sacrilegum; cfr. Don. mai. 638, 14).
Il nesso di accuso con il genitivo della colpa è trattato da Pri-
sciano anche in 59, 10-11, senza però riferimenti all’accusativo
della persona (cfr. ad loc.). La costruzione con l’accusativo della
persona e il genitivo della colpa è, invece, registrata negli idio-
242 COMMENTO

mata casuum di Diom. GL I 311, 21; Oxford, Bodl. Libr., Add.


C 144, f. 79v accuso illum iniuriae. Lo stesso uso sintattico di un
altro verbo latino corrispondente a κατηγορέω, cioè arguo, è
considerato da Servio un grecismo: Aen. 11, 383 ‘arguo’ autem
genetivum regit, ut ‘arguo te caedis, insidiarum’. Et est de Graeco:
nam ita dicunt κατηγορῶ σε φόνου.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Demosth. 21, 5 la
lezione Η per εἰ della tradizione diretta è una corruttela dovuta
alla pronuncia itacistica.

54, 1-2 κατάγνυμαι con genitivo o dativo: frangor con


genitivo o dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (κατέαγε) – lemma
latino.
LEMMA GRECO. E. Müller 1911, p. 2, e Ferri 2014, p. 108,
ritengono che la citazione protolemmatica di questa voce degli
Atticismi fosse Demosth. 18, 67 ἑώρων δ’ αὐτὸν τὸν Φίλιπ-
πον [...] τὸν ὀφθαλμὸν ἐκκεκομμένον, τὴν κλεῖν κατεα-
γότα, τὴν χεῖρα, τὸ σκέλος πεπηρωμένον (il medesimo con-
testo sembra essere alla base anche del lemma di 34, 23; vd. ad
loc.). L’identificazione è tuttavia resa meno sicura dal fatto che il
lemma priscianeo prevede la costruzione del perfetto attivo con
valore intransitivo, κατέαγε, con la parte del corpo lesionata
come soggetto, ἡ κλεῖς, e un genitivo o dativo esprimente la
persona che subisce il danno fisico (LSJ s. v. κατάγνυμι: «II.
Pass. with pf. Act., to be broken»). Nel luogo demostenico, inve-
ce, soggetto del verbo è la persona colpita (τὸν Φίλιππον …
κατεαγότα), l’arto offeso è espresso come un accusativo di
relazione (τὴν κλεῖν) e manca il genitivo o dativo. Ferri 2014,
p. 108 n. 43, ritiene che non si debba attribuire troppa impor-
tanza alla diversa costruzione del lemma priscianeo e del brano
di Demostene, e ricorda l’ampia circolazione di quest’ultimo in
ambito lessicografico e scoliastico. Tuttavia Demosth. 18, 67
non è mai citato nei lessici e negli scolî a proposito della sintassi
di κατέαγα, bensì della morfologia di κλεῖς (Ps. Herodian.
Philet. 116; Etym. Gud. 327, 27; Etym. M. 518, 26; Schol. Il. 5,
146b). Poiché in età classica è attestato anche l’uso di κατέαγα
54, 3-7 243

con la parte del corpo come soggetto, il lemma priscianeo deri-


va più probabilmente da un altro luogo classico, oggi perduto.
LEMMA LATINO. Pur rendendo κατέαγε con il passivo fractum
(est) per poter conservare il sostantivo “gamba” (ἡ κλεῖς, crus)
come soggetto, Prisciano non ha individuato un verbo latino
del tutto sovrapponibile, per sintassi, a quello greco: κατέαγα
è, infatti, intransitivo e ha per soggetto l’arto danneggiato, men-
tre frango è transitivo e si costruisce con l’accusativo della parte
del corpo. Da un punto di vista lessicale, l’uso di frango in riferi-
mento a danni fisici a singole parti del corpo non è molto co-
mune (vd. ThlL s. v. frango [Bacherler], VI.1 1246, 6-18). In
esso l’essere animato colpito può comunque essere espresso sia
in genitivo (ad es. Ov. Pont. 1, 4, 12 taurorum corpora frangat;
Val. Fl. 6, 358 bovis exuvias multo … frangit) sia in dativo (Carm.
epigr. 947, 1 Veneri volo frangere costas).
Prisciano si occupa della sintassi di frango anche nel libro
VIII, dove però rileva solo che la parte del corpo lesa può essere
espressa per mezzo di un accusativo di relazione in dipendenza
da forme passive del verbo (GL II 375, 1-3 accusativo quoque
inveniuntur passiva coniungi, sed figurate, ut […] ‘frangitur pedem’).
Negli Atticismi il grammatico si interessa, invece, dal caso in cui
è espressa la persona cui si è lesionato un arto. I due costrutti da
lui descritti a questo proposito sono registrati anche in alcune
raccolte di idiomata (Char. 385, 19 frango servi et servo caput; sim.
Idiom. cas. GL IV 570, 28-29; Dosith. 88, 12 Tolkiehn). Diom.
GL I 313, 2 conosce, invece, solo la costruzione con il dativo.

54, 3-7 καταφρονέω con genitivo o accusativo: temno,


sperno, despicio con accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (καταφρονήσας) –
citazione greca (Herod. 1, 59) – lemma latino, con osservazione
teorica aggiuntiva – citazione latina (Verg. ecl. 8, 32).
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di καταφρονέω
e dei tre lemmi latini della voce in esame è variamente attestata
anche nei glossari bilingui (CGL II 45, 31; 187, 1; 196, 25;
345, 2-3; 346, 2) e in altre fonti (Idiom. cas. GL IV 568, 13-14;
569, 1-2 sperno aspernor te ὑπερηφανῶ καταφρονῶ σου; Beda
244 COMMENTO

orth. 16, 220 Jones), dove tuttavia compare più spesso contemno
di temno, coerentemente con la tendenza propria di questi testi a
rendere verbi semplici con verbi semplici e composti con com-
posti. Si noti che gli Idiomata casuum del Par. lat. 7530 assegnano
a καταφρονέω la costruzione con il genitivo, diversa da quella
dei latini contemno e sperno; Prisciano, invece, pur conoscendo
anche questa, mette in risalto quella con l’accusativo proprio
perché idonea a mostrare il parallelismo sintattico nelle due
lingue (cfr. supra, pp. 122; 194-195).
L’uso transitivo di despicio e sperno è trattato anche in 80, 15-
16, dove invece di temno si trova contemno. Ancora la costruzio-
ne di despicio, e dei composti contemno e aspernor, con l’accusati-
vo è descritta in 109, 6-7. Despicio e temno figurano inoltre
nell’elenco di activa che reggono l’accusativo all’inizio del capito-
lo del libro XVIII sulle costruzioni verbali (GL III 267, 16-17).
La reggenza dell’accusativo da parte di despicio e sperno è registrata
nelle principali raccolte di idiomata casuum (Diom. GL I 315, 4-
5; Idiom. cas. GL IV 568, 13-14; 569, 1-2; Beda orth. 16, 220
Jones; per il solo despicio vd. Char. 384, 7; Dosith. 87, 11 Tol-
kiehn). Nessun altro grammatico si occupa della sintassi di temno.
CITAZIONI LATINE. Verg. ecl. 8, 32 non conosce altre citazioni
in ambito grammaticale.

54, 8-15 κατὰ μνήμην, κατὰ σῶμα: pro viribus


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con glossa sintattica
– lemma latino, con glossa sintattica – citazioni latine (Sall.
Catil. 35, 3; Verg. Aen. 5, 500-501), con glossa sintattica –
lemma latino secondario, con osservazione teorica aggiuntiva.
LEMMA GRECO. L’espressione κατὰ μνήμην si incontra in età
classica soltanto in Plat. Alc. I 106e5- 6 ἔμαθες γὰρ δὴ σύ γε
κατὰ μνήμην τὴν ἐμὴν γράμματα καὶ κιθαρίζειν καὶ
παλαίειν, che E. Müller 1911, p. 2, ha ipotizzato fosse la cita-
zione protolemmatica di questa voce degli Atticismi. L’Alcibiade
I era certamente uno dei dialoghi attribuiti a Platone utilizzati
dal compilatore del lessico, che lo cita esplicitamente in 70, 5- 8.
Sonnino (apud Rosellini ad loc.) suggerisce che il sintagma
κατὰ σῶμα εἰργασμένην, che non occorre in alcuna opera
54, 16-20 245

conservata della letteratura greca, sia un frammento comico.


Una locuzione simile, con il dativo in luogo di κατά e l’accu-
sativo, si trova in Ps. Demosth. 59, 108 ποῦ γὰρ αὕτη οὐκ
εἴργασται τῷ σώματι, ἢ ποῖ οὐκ ἐλήλυθεν ἐπὶ τῷ καθ’
ἡμέραν μισθῷ. Ivi ἐργάζομαι ha uso assoluto ed è riferito
all’attività di una meretrice (cfr. LSJ s. v., II.6). Se si dà credito
all’ipotesi di Sonnino, è possibile che la stessa espressione de-
scrivesse l’attività di una prostituta anche in una commedia.
LEMMA LATINO. Il sintagma pro viribus è richiamato da Priscia-
no anche nella trattazione dei diversi significati di pro nel libro
XIV: GL III 49, 15-18 loco etiam ‘e’ vel ‘super’ accipitur […], et
‘ad’, ut ‘pro viribus suis’, hoc est ‘ad vires suas’. La stessa locuzione
occorre in un elenco dei valori della preposizione nell’Ars di
Carisio, che pure ne confronta quest’uso con quello di κατά in
greco: 305, 24-306, 2 item quod apud Graecos κατά dicitur, quasi
pro meis viribus κατὰ τὴν ἐμὴν δύναμιν.
Prout, menzionato da Prisciano solo nella voce in esame, è
incluso da altri grammatici tra gli adverbia similitudinis (Char.
244, 15-16; Diom. GL I 404, 14; Dosith. 63, 15 Tolkiehn).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 5, 500-501 ricorre anche in
GL III 49, 18-20, dove esemplifica l’uso di pro col valore di ad
(cfr. Alcuin. orth. 25, 310 Bruni). Il solo v. 501 è inoltre citato
in GL III 91, 15-16, dove genericamente illustra l’uso di pro
con funzione di preposizione. Il luogo virgiliano è richiamato
da Servio a proposito della stessa espressione presa in conside-
razione da Prisciano negli Atticismi: Aen. 12, 552 PRO SE QUIS-
QUE VIRI pro qualitate virium suarum: sic in quinto ‘pro se quisque
viri ... pharetris’.

54, 16-20 καταμελέω con genitivo o accusativo: neglego


con accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (καταμελεῖν) – cita-
zione greca (Antiph. Soph. fr. 87 B 76 Diels) – lemma latino –
citazione latina (Ter. Ad. 216).
CITAZIONI GRECHE. Per l’attribuzione dell’opera intitolata
Πολιτικός ad Antifonte Sofista vd. Blass 1892, p. 138; Diels –
Kranz II, pp. 334 e 366-367. Wilamowitz 1876, pp. 295-298, e
246 COMMENTO

1931-32, II, p. 218 n. 1, si pronuncia, invece, per l’attribuzione


ad Antifonte oratore (di Ramnunte); cfr. Luria 1926, p. 345.
LEMMA LATINO. L’uso transitivo di neglego (sul quale vd. For-
cellini s. v.) è osservato da Prisciano anche nel capitolo del libro
XVIII sulle costruzioni verbali (GL III 267, 17; 277, 3-5). La
costruzione di neglego con l’accusativo è inoltre implicitamente
postulata in Att. 59, 11-13 (vd. commento ad loc.). La reggenza
dell’accusativo per questo verbo è prevista anche in alcune rac-
colte di idiomata casuum (Char. 383, 25; Diom. GL I 315, 4;
Idiom. cas. GL IV 568, 12-13; cfr. Char. 332, 12-15).

55, 1-3 καρτερέω con accusativo o con ἐπί e dativo:


patior con accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (καρτερεῖν) – lemma
latino – citazione latina (Verg. Aen. 3, 628).
LEMMA GRECO. La citazione protolemmatica di questa voce
sembra essere stata Isocr. Archid. 48 ἀλλὰ δεῖ καρτερεῖν ἐπὶ
τοῖς παροῦσι καὶ θαρρεῖν περὶ τῶν μελλόντων. B. Keil
1885, p. 30, chiamava, invece, il confronto di Isocr. Ad Nic. 32
καρτερεῖ [...] ἐν τοῖς ἐπιτηδεύμασιν (citato sotto il lemma
καρτερῶ in Lex. Coisl. κ 34), che opportunamente Fassino
2014, p. 250 n. 4, respinge per la sua scarsa pertinenza al lemma
priscianeo dal punto di vista sintattico.
LEMMA LATINO. Prisciano tratta dell’uso transitivo di patior
anche in 8, 9: vd. supra, ad loc.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 3, 628 illustra la costruzione
con l’accusativo di patior/passus anche in GL III 217, 1~12.
Virgilius in III Aeneidis: ‘haut … Ulixes’. Il verso non è citato da
altri grammatici.

55, 4-5 καταράομαι con dativo: precor con dativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (καταρᾶται) – cita-
zione latina (Hor. sat. 2, 7, 36).
LEMMA LATINO. Prisciano tratta di precor anche in 49, 6-7,
dove gli assegna la reggenza dell’accusativo (vd. supra, ad loc.).
Nella voce in esame, invece, cita un’attestazione del verbo con
il dativo, anche in parziale contraddizione con GL III 276, 16-
55, 6-7 247

18, dove prevede per i precativa solo l’uso con l’accusativo. Il


nesso di precor con il dativo, piuttosto raro (vd. ThlL s. v. precor
[Reijgwart], X.2 1158, 64-74), è discusso anche da Servio, che
lo considera un arcaismo o un grecismo sintattico: Aen. 8, 127
‘cui me precari’ antiquum est; nam modo ‘quem precari’ dicimus […].
et est Graecum, ut εὔχεο Ἀπόλλωνι. Sebbene il verbo greco
individuato da Servio come modello per la costruzione di precor
con il dativo sia diverso dal lemma della voce priscianea in esa-
me, la prospettiva dottrinale dei due grammatici è la stessa (cfr.
Ferri 2014, p. 89). La spiegazione semantica dell’uso di precor
con il dativo fornita dal Servio danielino (ibid. sane veteres et
‘precor illi’ pro ‘precor pro illo’ dicebant) contrasta, invece, con il
significato implicitamente assegnato al verbo latino da Prisciano,
“augurare (il male) a qualcuno”.
CITAZIONI LATINE. Hor. sat. 2, 7, 36 non è citato da altri gram-
matici. Alcuni interpreti moderni ritengono che nel passo (Mul-
vius et scurrae tibi non referenda precati / discedunt) tibi dipenda da
referenda piuttosto che da precati (vd. Villeneuve 1951, p. 202; De
Vecchi 2013, p. 183). Orelli – Baiter 1892, II, p. 268, sembrano,
invece, considerare tibi retto ἀπὸ κοινοῦ da referenda e precati;
altri, invece, come già Prisciano, connettono il dativo a precati
(vd. Muecke 1993, p. 85; Carena in Fedeli 1994, II.1, p. 253).
PROBLEMI TESTUALI. La citazione oraziana è priva dell’indica-
zione del libro di provenienza, che i codici TXYR aggiungono
in margine o nell’interlineo, F nel testo. L’incompletezza del
dato deve risalire allo stesso Prisciano (cfr. supra, p. LV).

55, 6-7 κατεύχομαι con accusativo: imprecor, execror con


accusativo e dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (κατεύχεσθαι) –
lemma latino.
LEMMA GRECO. Κατεύχομαι regge normalmente l’accusativo
della cosa che si augura (in senso negativo) e il genitivo della
persona alla quale la si augura (vd. LSJ s. v. κατεύχομαι, II.1);
il lemma degli Atticismi potrebbe, invece, fare riferimento a un
oggetto animato (τοῦτον, che tuttavia può rappresentare qual-
siasi sostantivo maschile della citazione protolemmatica) e certa-
248 COMMENTO

mente in questo senso è stato interpretato da Prisciano. L’alter-


nativa che egli pone tra l’accusativo e il dativo, nella reggenza
di imprecor ed execror, riguarda, infatti, certamente il caso in cui è
espressa la persona cui è diretto l’augurio.
LEMMA LATINO. L’equivalenza semantica di imprecor e
κατεύχομαι è attestata anche in Idiom. cas. GL IV 567, 16-17 e
nei glossari bilingui (CGL II 85, 41; 345, 52).
Oellacher non conosce alcuna attestazione di exsecro(r) con il
dativo (ThlL s. v. exsecro, V.2 1837, 76-1840, 7), ma solo con
l’accusativo della persona o della cosa. Al contrario, la costru-
zione di imprecor con il dativo della persona è di uso comune
(ThlL s. v. imprecor [O. Prinz], VII.1 675, 42- 62), anche insieme
all’accusativo della cosa, mentre il verbo regge l’accusativo della
persona solo sporadicamente e in epoca tarda (ibid., 676, 6-12).
Nonostante queste difficoltà sintattiche, poiché il lemma greco
prevede la costruzione con il solo accusativo, la duplice reggen-
za assegnata da Prisciano ai verbi latini non può derivare da una
traduzione letterale di quello greco. Almeno per imprecor è possi-
bile che il gramatico avesse presente l’uso del verbo con l’accusa-
tivo nel latino a lui coevo. Altri grammatici, coerentemente con i
dati in nostro possesso circa la diffusione degli usi sintattici dei
due verbi nel latino letterario, conoscono di imprecor la sola reg-
genza del dativo (Char. 382, 24; Diom. GL I 313, 22-23; Idiom.
cas. GL IV 567, 16-17; Dosith. 86, 19 Tolkiehn), di exsecror
quella dell’accusativo (Diom. GL I 315, 11; cfr. Char. 383, 21).
PROBLEMI TESTUALI. L’intera voce, omessa dalla maggior parte
dei manoscritti, si conserva solamente come marginale nei codici
RTYF (Y omette il greco). Poiché si può escludere che un
lettore medievale di Prisciano fosse in grado di aggiungere ex
novo un lemma greco al lessico e di trovare per esso degli appro-
priati equivalenti latini, l’autenticità dell’integrazione di RTYF è
indubbia (vd. Rosellini 2011, p. 195; 2015a, p. CXXV). Un caso
simile si verifica in 49, 8-10 (vd. supra, ad loc.). Per κατεύχομαι
è probabile che TRYF, più che conservare un lemma presente
solo come marginale già nel primo esemplare dell’Ars, supplisca-
no un saut du même au même verificatosi in uno stadio alto della
tradizione. Nel marginale sono, infatti, comprese le parole
55, 8-11 249

κατεύχεσθαι … et ‘illi’. Illi, cioè sino al pronome che introdu-


ce il lemma successivo (55, 8 Illi ‘καταγελᾷς … ἡμῖν’).

55, 8-11 καταγελάω con genitivo o dativo: (ad-/in-)rideo


con accusativo o dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (καταγελᾷς) – cita-
zioni latine (Ter. Ad. 548; Eun. 424-425; 249-250).
LEMMA LATINO. Καταγελάω è accostato a inrideo anche nei
glossari bilingui (CGL II 86, 26-28 e 30), nei quali, invece,
adrideo viene piuttosto confrontato con προσγελάω (CGL II
420, 39) – e rideo con γελάω (CGL II 262, 8; III 74, 4- 6; 131,
9-12 e 14-16; 340, 46; 416, 3-9; 462, 45; 495, 28), secondo la
tendenza tipica di questi testi a rendere verbi semplici con sem-
plici e composti con composti.
L’uso transitivo di inrideo è del tutto comune sin dall’età
arcaica (vd. ThlL s. v. irrideo [Centlivres], VII.2 414, 42); si
conosce in vero anche un impiego raro e tardo del verbo con il
dativo (ibid. 416, 4-9, con esempi in Serv. Aen. 10, 20; Cassiod.
hist. 11, 13, 3; Pallad. hist. mon. I 24 p. 308D), che Prisciano
doveva tuttavia ignorare, giacché egli illustra questa seconda
costruzione per mezzo di adrideo. La reggenza più comune di
adrideo è, infatti, quella del dativo (ThlL s. v. arrideo [Klotz], II.1
637, 42), sebbene si conosca qualche attestazione del verbo con
l’accusativo (ibid. 637, 67-71), un uso che il nostro grammatico
non mostra di conoscere. Prisciano tratta della costruzione di
rideo, inrideo e adrideo, anche in altre voci degli Atticismi (87, 1-5;
91, 5-10), assegnando sempre la reggenza dell’accusativo a rideo
e inrideo, quella del dativo ad adrideo. Il verbo semplice è inoltre
incluso nella prima metà del libro XVIII tra i transitivi che pos-
sono avere anche uso assoluto (GL III 270, 23~271, 7; cfr.
Forcellini s. v. rideo). L’uso transitivo di rideo è registrato anche
in Consent. GL V 385, 6; Aug. ars 103 Bonnet; Exc. Andec. §
VI De Nonno; la costruzione di adrideo con il dativo nel ms.
Oxford, Bodl. Libr., Add. C 144, f. 79r adrideo parenti adrideo
infantibus. I restanti usi sintattici descritti nella voce in esame
non hanno riscontro presso altri grammatici.
CITAZIONI LATINE. Le tre citazioni presenti in questa voce
250 COMMENTO

occorrono anche in 91, 7-10 (Ter. Eun. 424- 425 con un taglio
più ridotto: coepit … inridere); solo le ultime due in 87, 2-5
(Ter. Eun. 249-250 limitatamente al secondo verso, sed … adri-
deo). Ter. Eun. 424 è citato anche in Arus. 16, 14 Di Stefano,
ma a proposito di adludo, sicché non è sicuro che i due gram-
matici traessero anche questo esempio da una fonte comune.
PROBLEMI TESTUALI. In Ter. Eun. 250 Prisciano attesta la va-
riante his per eis della tradizione diretta; la stessa lezione è testi-
moniata anche nel lemma e nell’interpretamentum del commento
di Donato ad loc. e questo suggerisce che avesse qualche circola-
zione in epoca tardoantica anche al di fuori dell’Ars Prisciani.

55, 12-14 κατακράζομαι con accusativo, καταβοάομαι


con accusativo o genitivo: increpo con accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (κατακράζομαι;
καταβοήσομαι) – citazione greca (Ar. Eq. 287) – lemma latino.
CITAZIONI GRECHE. Il verso dei Cavalieri di Aristofane prece-
dente a quello citato nella voce in esame (286 καταβοήσομαι
βοῶν σε) contiene un’attestazione di καταβοάω dalla quale
deve essere stato desunto il secondo lemma della voce. È proba-
bile che anche il v. 286 fosse citato in questa voce in uno stadio
della tradizione del lessico atticista più antico di quello di cui
dispose Prisciano (cfr. Hertz in apparato a GL III 322, 20).
LEMMA LATINO. Increpo è registrato tra i verbi che reggono
l’accusativo anche in alcune raccolte di idiomata (Char. 383, 24;
Diom. GL I 314, 20; cfr. Oxford, Bodl. Libr., Add. C 144, f.
79v increpo illum segnitiae).

55, 15-56, 4 καθ’ ἡμέραν, καθ’ ἑκάστην τὴν ἡμέραν: in


dies, per singulos dies
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino –
citazioni latine (Liv. ?; Verg. Aen. 5, 61- 62), con glossa sintatti-
ca – lemma greco secondario – lemma latino secondario. Il
lemma aggiunto al termine della voce, ὁσημέραι (con i suoi
corrispettivi latini cotidie e quotannis), si collega a καθ’ ἡμέραν
da un punto di vista semantico piuttosto che sintattico. Esso
compare negli Atticismi anche come lemma a sé stante, corretta-
55, 15-56, 4 251

mente disposto nella serie alfabetica (68, 7), e potrebbe essere


stato inserito in 56, 4 da Prisciano come un richiamo.
LEMMA LATINO. A partire dal lemma καθ’ ἡμέραν Prisciano
allarga la discussione in generale ai modi di esprimere il com-
plemento distributivo in latino, con in e l’accusativo o per e
l’accusativo concordato con l’aggettivo singuli. La funzione
distributiva di in con l’accusativo (sulla quale vd. ThlL s. v. in [J.
B. Hofmann], VII.1 753, 39- 69) è discussa anche in Diom. GL
I 412, 8-11 ponitur et pro qualitate ordinativa, ut cum dicimus ‘opus
in dies crescit’, ut Vergilius ‘inque dies avidum caput altius effert’, et
apud Tullium ‘crescit in dies singulos’; sim. Dosith. 70, 13-15 Tol-
kiehn. La locuzione in dies è anche lemmatizzata da Arus. 59,
10-11 Di Stefano, che la glossa con quotidie.
CITAZIONI LATINE. L’espressione in milites, che secondo Pri-
sciano sarebbe frequenter usata da Livio, occorre una sola volta
nella porzione superstite dell’opera dello storico latino, dove
peraltro non ha il significato di in singulos milites: 26, 3, 1 Reus
ab se culpam in milites transferebat. Weissenborn (apud Hertz in
apparato a GL III 323, 1) chiama il confronto di Liv. 34, 52, 11
in pedites; 35, 9, 8 in equites; 39, 7, 2 in equites; 45, 34, 5 in
equitem, ai quali Rosellini (ad loc.) aggiunge 40, 59, 2 in singu-
los milites. Non si può escludere che qualche attestazione di in
milites si trovasse in libri perduti di Livio, ai quali il grammatico
poteva ancora attingere, ma sembra più probabile che Priscia-
no, che doveva conoscere direttamente Livio (vd. De Nonno
2009, p. 260 n. 40), avesse presenti uno o più dei passi sopra
elencati ma li ricordasse in modo impreciso. Egli del resto non
indica un puntuale luogo dell’opera liviana ma si riferisce ge-
nericamente a una pluralità di occorrenze (frequenter; cfr. 16, 1
Livius tamen frequenter; 102, 6 apud Livium in multis locis, con
commento ad locc.).
Il particolare valore di in nel sintagma virgiliano in naves (Aen.
5, 62) è rilevato anche da Serv. ad loc. IN NAVES per naves.
PROBLEMI TESTUALI. La variante pro per et, recata da βEIJQ
davanti a per singulas horas, potrebbe essere un errore di assimila-
zione al successivo ‘in milites’ pro ‘in singulos milites’; il confronto
con le due precedenti coppie di lemmi latini, ‘in dies’ et ‘per
252 COMMENTO

singulos dies’ e ‘in annos’ et ‘per singulos annos’, garantisce la cor-


rettezza della lezione et (ζθMO, Y in mg., s. l. Q, e corr. TI).
L’oscillazione dei codici tra pro e per nell’espressione pro ‘in
singulos milites’ si deve alla facilità con cui le due preposizioni
venivano confuse, soprattutto in caso di errato scioglimento dei
compendi che le abbreviano (vd. Havet 1911, p. 182).

56, 5- 6 κατάγομαι, καταλύω, ὁρμίζομαι con comple-


mento di moto a luogo o stato in luogo: deverto con
locativo o accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino. L’ul-
timo dei tre lemmi greci presenti nella voce in esame,
ὁρμίζομαι, viola l’ordinamento alfabetico del lessico. Mentre
l’accostamento di κατάγομαι e καταλύω si comprende alla
luce del confronto (su base dialettale o semantica) istituito tra
questi due verbi in altri lessici greci (Antiatt. κ 46; Poll. 1, 73;
Moer. κ 65; Ps. Did. lex. Plat. 75; Hesych. κ 1029; 1042; Phot.
lex. κ 238; 322; Th. Mag. ecl. 199, 9-10; Gloss. Herod. 1, 181),
è più difficile stabilire se ὁρμίζομαι facesse parte della voce già
nella fonte di Prisciano o se vi sia stato aggiunto dal grammatico
latino. In assenza tuttavia di qualsiasi elemento che possa aver
motivato l’inserzione di ὁρμίζομαι da parte di Prisciano, sarà
più prudente ritenere che questo lemma si trovasse in questa
voce già nel lessico atticista (vd. anche infra).
LEMMA GRECO. Κατάγομαι e καταλύω potevano essere
collegati nella fonte di Prisciano su base semantica (oltre che
sintattica), con riferimento all’uso particolare di entrambi nel
significato di “prendere alloggio, alloggiare” (LSJ s. v. κατάγω,
4.b; s. v. καταλύω, II.2, per entrambi i quali sono citati esempi
sia con complementi di stato in luogo che di moto a luogo).
Ὁρμίζομαι avrebbe potuto, invece, essere unito alla voce così
costituita perché sovrapponibile a un altro uso di κατάγομαι,
quello di “approdare” con riferimento a navi e marinai (LSJ s.
v. κατάγω, 4; s. v. ὁρμίζω, II, anche in questo caso sia con lo
stato in luogo che con il moto a luogo).
LEMMA LATINO. L’interpretazione semantica dei lemmi
κατάγομαι e καταλύω proposta sopra riceve conferma
56, 7-9 253

dall’opzione di Prisciano per deverto quale loro equivalente lati-


no: vd. ThlL s. v. deverto [Pflugbeil], V.1 855, 35- 43: «i. q. de-
flectere de via, saepissime hospitii quaerendi causa i. q. deversari
(additur quo: huc, in hospitium, in tabernam, domum, in domum,
apud hospitem, ad amicos sim. ubi: in hortis, in domo sim. [...])».
Pflugbeil non cita alcun esempio di deverto(r) con il locativo
domi al di fuori del passo priscianeo. L’equivalenza semantica di
deverto e dei due verbi greci si incontra anche nei glossari bilin-
gui (CGL II 47, 38; 342, 5; III 151, 8; cfr. Char. 464, 27).
La sintassi di deverto è trattata anche da Arusiano Messio,
che però non distingue tra l’uso del verbo con il complemento
di stato in luogo e con il moto a luogo, bensì tra il nesso con
l’accusativo semplice (non proprio un complemento oggetto,
giacché si tratta di domum) e con in e l’accusativo: 30, 9-11 Di
Stefano DEVERTIT DOMUM. Cic. pro Deiot. ‘Et domum regis
hospitis tui devertisses’. DEVERTIT IN DOMUM. Idem pro Milo.
‘Devertit in villam Pompei’. Non si può comunque escludere
che Prisciano, il quale propone il lemma ‘deverto domi’ et ‘do-
mum’ senza corredarlo di esempi, lo traesse da una fonte co-
mune ad Arusiano; ivi la citazione protolemmatica poteva
essere proprio Cic. Deiot. 17 domum … devertisses, dalla quale
erano ricavati dei lemmi relativi anche alle altre costruzioni
del verbo. Le uniche altre attestazioni note di domum devertere
sono Cic. Pis. 83; Nep. Pel. 2, 5.

56, 7-9 κόπτω τὰ ῥήματα: sermones caedo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (κόπτειν τὰ ῥήμα-
τα), con glossa semantica in latino – citazione latina (Ter.
Haut. 242-243).
LEMMA GRECO. L’espressione κόπτειν τὰ ῥήματα non si
incontra in nessuna opera conservata. Rosellini 2012b, pp. 465-
468, ipotizza, sulla base del confronto istituito dallo stesso Pri-
sciano con Ter. Haut. 242-243, che la locuzione lemmatizzata
potesse trovarsi nell’Heautontimoroumenos di Menandro.
LEMMA LATINO. Il nesso sermones caedere non conosce altre
attestazioni in latino al di fuori del passo di Terenzio citato da
Prisciano. Come osserva Rosellini 2012b, p. 468, è verosimile
254 COMMENTO

che si tratti di un calco terenziano dalla stessa espressione greca


che costituisce il lemma della voce in esame, κόπτειν τὰ ῥή-
ματα. Il confronto con il sintagma greco è suggerito anche da
Hoppe (ThlL s. v. caedo, III.1 58, 17-25), il quale congettura che
il conio dell’espressione sermones caedere sia stato favorito dall’uso
del verbo, attestato in Plauto e Lucilio, col valore di “mastica-
re” (ma questo significato non è documentato per κόπτω).
CITAZIONI LATINE. Il particolare uso lessicale di Ter. Haut. 242
è rilevato anche da Eugrafio nel commento ad locum: DUM SER-
MONES CAEDIMUS caedere sermones dicitur, qui frequenter et plurima
loquitur, dove Rosellini 2012b, p. 466, ritiene che la spiegazione
fornita dallo scoliasta sia un autoschediasma.

56, 10-12 κοπιάω con accusativo: propinquo, ruo, moror


transitivi o intransitivi
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (κοπιᾷς), con glossa
– lemma latino, con osservazione aggiuntiva.
LEMMA GRECO. L’uso transitivo di κοπιάω postulato dal lem-
ma priscianeo non è altrimenti noto (cfr. LSJ s. v.).
LEMMA LATINO. Propinquo, ruo e moror sono accostati da Priscia-
no a κοπιάω su base solo sintattica, come segnala anche l’uso
dell’espressione huic similia sunt (cfr. Spangenberg Yanes 2014,
pp. 116-118), in quanto anch’essi possono essere usati sia transi-
tivamente sia intransitivamente. I tre verbi sono menzionati per
lo stesso motivo anche in 38, 3- 6; solo moror e ruo in 97, 15-98,
12; vd. supra, pp. 163-165.
PROBLEMI TESTUALI. Dopo moror i codici TRQY nell’interli-
neo e F nel testo principale recano un quarto lemma latino,
vergo. Come Rosellini suggerisce in apparato, un lettore colto
può aver aggiunto il riferimento a questo ulteriore verbo sulla
base del confronto con GL II 394, 16 similiter ‘vergo’ absolutum
et activum, dove vergo figura in una lista di verbi che hanno uso
sia transitivo sia intransitivo (GL II 393, 22-395, 24 Sunt alia
quae, cum sint activa, in passiva quoque et absoluta significatione inve-
niuntur), tra i quali si trovano anche ruo (GL II 393, 23-394, 9)
e propinquo (GL II 395, 9-16). Vd. anche Rosellini 2015a, p.
CXXXI; sui passi del libro VIII vd. supra, p. 164.
56, 13-57, 2 255

56, 13-57, 2 κωλύω con participio predicativo o infinito:


prohibeo con participio predicativo o infinito
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (κωλύει) – lemma
latino – citazioni latine (Verg. Aen. 2, 377; Sall. Iug. 110, 2),
con glosse sintattiche – lemmi latini secondari.
LEMMA GRECO. La formulazione del lemma, con il participio
preceduto dall’articolo, τὸν ἀδικούμενον, potrebbe in vero
suggerire che il compilatore del lessico avesse in mente la co-
struzione di κωλύω con un participio sostantivato (o un sostan-
tivo seguito da participio attributivo) in accusativo (cfr. LSJ s. v.
κωλύω, 4. c) piuttosto che con il participio predicativo (LSJ s.
v., 1.b). D’altra parte il confronto con altre voci degli Atticismi
(46, 11; 58, 1; 63, 3- 4), nelle quali la costruzione di un verbo
con l’infinito è sempre presentata come alternativa a quella con
il participio predicativo, induce a credere che il lessicografo
considerasse anche τὸν ἀδικούμενον un participio predicativo.
Si potrebbe esprimere a questo riguardo qualche dubbio sulla
correttezza di τόν, che potrebbe risultare dall’aplografia di un
precedente τοῦτον, parallelo a quello che si trova nella seconda
metà del lemma (τοῦτον ἀδικεῖσθαι). Prisciano intendeva
comunque ἀδικούμενον come un participio predicativo, giac-
ché lo confronta con un simile uso sintattico in latino (Verg.
Aen. 2, 377 sensit … delapsus).
La seconda parte del lemma può essere confrontata con Is. or.
13 fr. 5, 1 Thalheim Ὅσοι τοὺς ἀδικοῦντας κολάζουσιν οὗ-
τοι τοὺς ἄλλους ἀδικεῖσθαι κωλύουσιν, senza però necessa-
riamente ipotizzare che il lemma sia desunto da questo passo,
dato il diverso numero del verbo reggente e dell’accusativo.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di prohibeo e
κωλύω è attestata anche nei glossari bilingui (CGL II 161, 7;
357, 34). La scelta di Prisciano di rendere in latino ἀδικέομαι
con periclitor potrebbe essere motivata dal significato tecnico
giuridico che questo verbo può assumere (ThlL s. v. periclitor
[Delhey], X.1 1448, 30: «qui accusantur, causam dicunt»). Ma la
sovrapposizione di periclitor e ἀδικέω con riferimento all’impu-
tato di un processo è possibile solo per la diatesi attiva del verbo
greco (LSJ s. v. ἀδικέω, I: «in legal phrase, do wrong in the eye of
256 COMMENTO

the law»; II: «Pass., to be wronged, injured»). Quindi è più probabile


che Prisciano abbia accostato questi due verbi per una ragione
morfologica, cioè per conservare anche in latino un participio
di tempo presente, mentre se fosse ricorso a un participio passivo,
come nel lemma greco, inevitabilmente avrebbe dovuto optare
per un perfetto (cfr. Spangenberg Yanes 2017b, pp. 302-303).
Il primo lemma latino della voce (prohibet1 … periclitari) sem-
brerebbe, a una prima verifica, sintatticamente corretto: si co-
noscono, infatti, occorrenze di prohibeo seguito da una proposi-
zione infinitiva sin da Plauto (vd. ThlL s. v. prohibeo [Kruse],
X.2 1788, 49-62) e l’uso del verbo con l’accusativo e un parti-
cipio concordato è meno comune, ma comunque attestato dal I
secolo a. C. Tuttavia si tratta in questi casi di un participio attri-
butivo piuttosto che predicativo, che cioè non dipenderebbe da
prohibeo e non esprimerebbe (almeno da un punto di vista gram-
maticale) l’azione impedita dal soggetto della proposizione reg-
gente (vd. ibid., 1790, 38- 44, con esempi in Lucr. 1, 437- 439;
Caes. Gall. 1, 47, 6; Cic. Pis. 15; Nep. Them. 6, 2). Prisciano
poteva dunque non avere presente l’uso di prohibeo con il com-
plemento oggetto e il participio attributivo e aver semplice-
mente prodotto un calco sintattico in latino della prima parte
del lemma greco (cfr. Spangenberg Yanes 2017b, p. 305). L’as-
senza dalla voce degli Atticismi di citazioni relative a prohibeo
sostiene ulteriormente questa ipotesi.
Nel libro VIII e nella prima metà del XVIII dell’Ars Prisciani
(GL II 375, 1; III 274, 13-15) e presso gli altri grammatici che
si occupano della sintassi di prohibeo (Diom. GL I 315, 28;
Idiom. cas. GL IV 567, 30) è assegnata a questo verbo la reggenza
dell’accusativo e dell’ablativo di separazione; la sua costruzione
con proposizioni subordinate è menzionata solo nella voce in
esame. Nella parte finale di quest’ultima Prisciano passa dalla
trattazione del participio predicativo a quella di alcuni costrutti
nominali, per lo più accompagnati da un participio, che posso-
no sostituire intere proposizioni subordinate temporali. I primi
due di questi, ante te cognitum e ab urbe condita, figurano, insieme
alla citazione di Sall. Iug. 110, 2, anche nell’addendum trasmesso
in alcuni manoscritti all’inizio del libro XVII sotto il titolo Pro-
56, 13-57, 2 257

prietates Latinorum (sul quale vd. De Nonno 2009, pp. 276-278),


in GL III 107, 5- 8. Il taglio più ridotto della citazione sallustia-
na nell’addendum e la diversa parafrasi del sintagma ante te cogni-
tum (GL III 107, 5 antequam tu cognoscaris; Att. 57, 1 antequam te
cognoscerem) si spiegano probabilmente col fatto che Prisciano non
ha riprodotto pedissequamente nel lessico gli ‘appunti’ di GL
III 107, bensì forse li ha citati a memoria, formulando ex novo la
spiegazione del brano di Sallustio. Per altri casi di utilizzo, nel
lessico, di materiali presenti in GL III 107, vd. supra, p. LXVI.
Una struttura sintattica affine a quella di Sall. Iug. 110, 2 è
spiegata, in modo simile a Prisciano, come sostitutiva di una
proposizione temporale introdotta da antequam, da Arus. 18, 3-4
Di Stefano ANTE EXSPECTATUM pro ‘antequam exspectatus’. Virg.
geor. III ‘Ante exspectatum … castris’; Serv. georg. 3, 348 ANTE
EXPECTATUM dicto citius, antequam eius expectetur adventus […]. et
aliter: id est ante expectationem, et priusquam expectetur et antequam
putetur venire potuisse. Il terzo costrutto nominale citato nella voce
in esame, post hominum memoriam, è discusso anche, ma da un
punto di vista semantico più che sintattico, in Ps. Ascon. Verr.
2, 1, 114 ‘Posteaquam ‹ius› praetorium constitit’. Ex quo ius praeto-
rium stabilitum est. Sic hoc dixit quasi diceret ‘post conditam urbem
Romam’ aut ‘post hominum memoriam, ex quo est ius praetorium’.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 2, 377 è citato, sempre in rela-
zione all’uso predicativo del participio, anche in 46, 12-13; 58,
2-3; 82, 2-3; 96, 13 (vd. supra, p. 205). Sall. Iug. 110, 2 ricorre in
GL III 107, 5-8. I due passi non sono citati da altri grammatici.
PROBLEMI TESTUALI. La sezione finale della voce (pro ... memo-
riam) si conserva soltanto come aggiunta marginale in TRQ (pro
… cognoscerem in Y). L’autenticità di questa integrazione è ga-
rantita non solo dalla sua parziale corrispondenza con materiali
contenuti nell’addendum di GL III 107 ma anche perché il col-
legamento in essa istituito tra l’espressione ante te cognitum e ab
urbe condita, post hominum memoriam riposa su un’analogia esclu-
sivamente sintattica ed è del tutto coerente con il modo di ra-
gionare di Prisciano (vd. Rosellini 2015a, pp. CXXIX-CXXX).
Sall. Iug. 110, 2 è citato da Prisciano, in accordo con la mag-
gior parte della tradizione diretta, con la lezione indigui per
258 COMMENTO

indigus, di cui sono latori dei codici non superiori agli altri da
un punto di vista stemmatico e il Florilegium Vaticanum (V =
Vat. lat. 3864). Kurfess opta per la congettura indiguus di Klotz,
mentre Ernout, I. Mariotti e Reynolds accolgono indigus. Nitz-
schner 1884, pp. 102-103, ritiene superiore la variante indigui,
sia per la conferma che essa riceve da Prisciano sia per la neces-
sità di un parallelismo sintattico nell’antitesi tra aliis … opem tuli
e la proposizione successiva, nullius indigui. Ma a sostegno della
lezione indigus si potrebbe obiettare che è cifra caratteristica
dello stile sallustiano la variatio sintattica. Ancora Nitzschner
osserva che, a metà tra Iug. 110, 1 numquam ego ratus sum fore,
uti rex maxumus … privato homini gratiam deberem e 110, 3 fuerit
mihi eguisse aliquando tuae amicitiae, «summam sententiae eam
esse oportere, ut Bocchus sese ante Sullam cognitum nullius
indiguisse cum quadam gravitate confirmet». Neanche questo
argomento appare decisivo, giacché la proposizione in questio-
ne esprimerebbe il medesimo concetto anche se fosse formulata
come una frase nominale con indigus. L’elemento più significa-
tivo a sostegno di indigui è dunque la sua presenza anche nella
tradizione indiretta, rappresentata da Prisciano. Anche qualora si
continui a ritenere poziore la lezione indigus, la testimonianza di
Prisciano consentirebbe comunque di far risalire almeno all’ini-
zio del VI secolo la corruttela indigui presente nei codici di X-
XII secolo di Sallustio. Come mi fa notare Michela Rosellini,
non si può comunque escludere una coincidenza in errore di
Prisciano e parte della tradizione diretta, determinata dal paral-
lelismo con opem tuli.
Nella citazione sallustiana negli Atticismi Prisciano attesta
inoltre la variante hercule per mehercule (messo a testo da tutti gli
editori più recenti: Ernout, Kurfess, I. Mariotti, Reynolds). Il
testo della citazione in GL III 107, 5-7 si accorda, invece, nella
lezione mehercule con VTQ della tradizione diretta. Se, come è
lecito supporre per altri motivi, l’additamentum all’inizio del
libro XVII riflette più da vicino la struttura di una fonte lessico-
grafica latina di cui Prisciano doveva disporre (cfr. supra, p.
LXVI), sorprende non tanto la variante hercule per mehercule, che
potrebbe dipendere da un lapsus memoriae, quanto il diverso
57, 3- 4 259

taglio della citazione, più ampio negli Atticismi che in quella che
si suppone una raccolta di materiali preparatorî. È possibile che
Prisciano trovasse in una sua fonte lessicografica il passo nella
forma più breve, et mehercule … tuli, e che lo abbia poi comple-
tato a memoria (o per lettura diretta dell’opera di Sallustio).

57, 3- 4 λαγχάνω con genitivo, διαλαγχάνω con accusa-


tivo: sortior con accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (λαχεῖν, διαλαχεῖν)
– lemma latino – citazione latina (Verg. Aen. 12, 920).
LEMMA GRECO. Diversamente da quanto prevede il lemma
priscianeo, che ripartisce la reggenza del genitivo e dell’accusati-
vo tra λαγχάνω e il suo composto, dal verbo semplice possono
dipendere sia l’accusativo sia il genitivo (LSJ s. v. λαγχάνω, I-
II); è, invece, verificato che διαλαγχάνω regge solo l’accusativo
(LSJ s. v.; vd. ad es. Eur. Ph. 68; Xenoph. Anab. 4, 5, 23).
L’espressione λαχεῖν πατρῴων è confrontabile con Eur. Tr.
1192 πατρῴων οὐ λαχών. L’identificazione della citazione pro-
tolemmatica di questa voce nel passo euripideo non è però sicura
a causa del diverso modo verbale nelle due espressioni e della
complessiva rarità di riferimenti ai poeti tragici negli Atticismi.
LEMMA LATINO. L’osservazione di Prisciano sulla costruzione di
sortior con l’accusativo è corretta: il verbo non regge casi diversi
dall’accusativo (vd. Forcellini s. v. sortior). L’uso transitivo di
sortior è registrato anche in App. Prob. 2, 84 Asperti-Passalacqua.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 12, 920 non è citato altre volte
nella tradizione grammaticale latina.

57, 5- 6 λέγω con ὡς e indicativo o ὡς e infinito: dico


con ut e congiuntivo o con infinito
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (λέγουσιν) – lemma
latino.
LEMMA GRECO. L’uso di ὡς con l’infinito in dipendenza da verba
dicendi o sentiendi non è documentato se non in alcuni passi, che
vengono per lo più spiegati col fatto che il discorso è spezzato,
tra ὡς (o ὅτι) e l’infinito, dall’inserimento di una o più proposi-
zioni (vd. LSJ s. v. ὡς, B.I; Kühner – Gerth II.2, p. 357; Schwy-
260 COMMENTO

zer II, p. 664). È possibile che il compilatore del lessico fonte di


Prisciano facesse riferimento a un caso di questo tipo quale
esempio di proposizione infinitiva introdotta da ὡς. Diversamen-
te occorrerebbe ipotizzare che nella precedente tradizione lessi-
cografica greca o, ancora, nella trasmissione manoscritta dell’Ars
si sia ripetuto ὡς dopo il secondo λέγουσιν per errore, cioè
per assimilazione alla prima metà del lemma. La traduzione che
Prisciano ne dà, con una semplice proposizione infinitiva, non
può comunque essere considerata un indizio a sostegno di questa
ipotesi: anche se egli avesse letto ὡς davanti a τόδε γεγονέναι,
la proposizione infinitiva sarebbe stata la resa latina più a portata.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di dico e λέγω è
molto comune nei glossari (CGL II 50, 21-23; 314, 63; 359, 6-7;
III 5, 29; 338, 76; 404, 47- 49 e 51 e 57; 445, 58; 498, 79; 516,
58), come quella di fio e γίγνομαι (CGL II 72, 3; 263, 20; III 74,
17-19; 132, 27-30; 340, 60; 406, 28 e 30 e 32-34; 448, 48 e 51).
L’uso di ut con il congiuntivo per esprimere una proposizio-
ne dichiarativa (che non sia epesegetica di un pronome dimo-
strativo della reggente: questa è, infatti, in uso sin dall’età arcai-
ca) è un tratto linguistico tardo (Hofmann – Szantyr, pp. 632;
645; Svennung 1934, pp. 183-186). Sebbene la sintassi del lem-
ma latino formulato da Prisciano ricalchi in larga misura quella
del lemma greco di partenza, è possibile che in questo caso il
grammatico sia stato influenzato anche dall’uso a lui coevo,
come suggerirebbe anche lo scarto nel modo verbale rispetto al
lemma greco (indicativo in questo, congiuntivo in latino).

57, 7-9 λέγεται con costruzione personale o impersona-


le: apparet con construzione impersonale
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – osservazione teorica
– citazione latina (Ter. Eun. 486).
LEMMA GRECO. La costruzione personale e impersonale di
λέγεται è già discussa nel libro XVII, dove l’uso impersonale
del verbo è presentato come un esempio di accusativus pro nomi-
nativo e illustrato per mezzo di un brano senofonteo (Mem. 1, 2,
40), che Prisciano traeva verosimilmente dalla stessa fonte attici-
sta utilizzata per il lessico finale (vd. supra, p. XLIII): GL III 189,
57, 7-9 261

23-190, 3 Ξενοφῶν ἀπομνημονευμάτων α´: ‘λέγεται γὰρ


Ἀλκιβιάδην [...] τοιαῦτα διαλεχθῆναι περὶ νόμων’, ‘λέγε-
ται Ἀλκιβιάδην’ ἀντὶ τοῦ ‘Ἀλκιβιάδης’ (sulle varianti te-
stuali testimoniate dal grammatico in questo passo rispetto alla
tradizione diretta vd. Spangenberg Yanes 2017c).
LEMMA LATINO. Il tema della costruzione personale e imperso-
nale dei verba dicendi e sentiendi (sulla quale vd. Hofmann –
Szantyr, pp. 356-357; 363-365) è accennato (o intuito) da Pri-
sciano, non senza molte ambiguità espositive, anche nella prima
metà del libro XVIII (GL III 225, 10-19, su cui vd. infra).
CITAZIONI LATINE. Ter. Eun. 486 è confrontato con la costru-
zione impersonale di λέγεται anche nel libro XVII (GL III
190, 3-6 et hostri hac figura saepe sunt usi, ut Terentius in eunucho:
‘apparet … miserique’, su cui vd. anche infra. Cfr. Groupe Ars
Grammatica 2010, p. 255 n. 336). È meno chiara, invece, l’in-
terpretazione del luogo terenziano data da Prisciano in un passo
del libro XVIII, dove egli osserva che l’infinito può dipendere
non solo da un nominativo (cioè non essere retto solo da un
verbo di modo finito) ma anche dall’accusativo e dall’ablativo.
Qui propone degli exempla ficta con participi in accusativo o
ablativo che reggono degli infiniti, poi tre esempi letterari, gli
ultimi due dei quali relativi ad ablativi assoluti da cui dipende
un infinito, il primo, invece, rappresentato da Ter. Eun. 486,
che risulta meno pertinente ai costrutti appena descritti: GL III
225, 10-19 nec solum nominativis, sed et accusativis et ablativis casi-
bus ad imitationem Graecorum auctores adiungunt infinita verba, ut
‘cognitus est posse dicere’ et ‘cognitum hunc posse dicere’ et ‘cognito
posse dicere’. Terentius in eunucho: ‘apparet ... pauperis’. Sallustius
historiarum V: ‘at Lucullus audito, Q. Marcium regem ... ad Ciliciam
tendere’. in eodem: ‘legiones Valerianae comperto, ... Bithyniam et
Pontum consuli datam esse, missos esse’ (su questo brano, incluso in
una più ampia pericope di testo, GL III 225, 10-226, 6, tra-
smessa solo come marginale in alcuni manoscritti, vd. anche
Rosellini – Spangenberg Yanes ics.). La citazione di Terenzio
doveva evidentemente illustrare, nelle intenzioni di Prisciano,
un esempio di infinito dipendente da un accusativo, tuttavia esse
non è retto, come nell’exemplum fictum ‘cognitum hunc posse dice-
262 COMMENTO

re’, da un participio in accusativo, bensì da un verbo impersona-


le. Una possibilità è che il grammatico abbia reinterpretato
cognitum hunc posse dicere – nel quale il pronome hunc deve essere
stato espresso, in un primo momento, proprio per chiarire che
cognitum era in accusativo (non era necessario, invece, specifica-
re il caso di cognitus e cognito) – come cognitum (est) hunc posse
dicere e cioè come la costruzione impersonale di un verbum sen-
tiendi, e che in questa prospettiva la abbia accostata a Ter. Eun.
486. Anche nei due successivi esempi relativi alla costruzione
dell’ablativo (Sall. hist. frr. 5, 14; 5, 13) con l’infinito, l’ablativo
rappresenta una forma impersonale dalla quale dipende una
proposizione infinitiva soggettiva; dunque neanche queste due
citazioni riflettono pienamente il lemma cognito posse dicere, che
in base al confronto con cognitus est posse dicere e cognitum hunc
posse dicere si dovrebbe interpretare come (aliquo) cognito posse
dicere. In altre parole, Prisciano, dopo aver descritto la possibilità
di costruire personalmente un verbo passivo (ad es. cognosco)
non solo quando è coniugato in modo finito (cognitus est) ma
anche in una proposizione infinitiva (cognitum [scil. esse] hunc) o
in un ablativo assoluto (cognito [scil. hoc]), propone, invece, dei
loci classici che attestano costruzioni impersonali.
PROBLEMI TESTUALI. Ter. Eun. 486 è citato negli Atticismi con
l’inversione hunc servum per servum hunc della tradizione diretta e
miseri et pauperis per pauperis / miserique. Queste varianti non si
osservano, invece, nella citazione in GL III 190, 4- 6; mentre in
GL III 225, 10-19 il passo è riportato in modo più sommario,
con l’omissione di servum e miserique.
Al termine della voce i codici TRY aggiungono in margine
Virgilius apparent rari nantes in gurgite vasto (Verg. Aen. 1, 118). Il
verso ricorre in Sacerd. GL VI 448, 2-3; Consent. barb. 5, 5- 6
Niedermann; Iul. Tol. 188, 47, ma come esempio di sincope
(nantes per natantes), sicché non sembra esservi un rapporto tra
queste attestazioni della citazione e gli Atticismi priscianei. Il
luogo virgiliano potrebbe completare la voce del lessico offren-
do un parallelo latino anche per la costruzione personale di
λέγομαι, descritta nella prima metà del lemma greco. Il fatto
che in Verg. Aen. 1, 118 appareo regge il participio invece che
57, 10-17 263

l’infinito, richiesto dal lemma greco e attestato nel primo esem-


pio latino della voce, non costituisce un significativo ostacolo al
riconoscimento della sua autenticità. Lo stesso Prisciano, infatti,
si sofferma a più riprese sull’affinità tra usi sintattici dell’infinito e
del participio (cfr. infra, p. 295). Tuttavia, la presenza in Ter.
Eun. 486 e Verg. Aen. 1, 118 dello stesso verbo, appareo, fa sì che
forse un copista dotto avrebbe potuto accostarli anche su base
solamente lessicale, sicché non si può considerare sicura l’auten-
ticità di questo marginale (cfr. Rosellini 2015a, p. CXXVIII).

57, 10-17 aggettivi verbali in -τέος: gerundio e supino


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (λεκτέον), con glossa
sintattica in latino – citazione greca (Plat. Resp. 394c7- 8) –
lemma latino – osservazione teorica aggiuntiva.
LEMMA GRECO. Il lemma della fonte di Prisciano non riguarda-
va genericamente l’aggettivo verbale λεκτέον, ma doveva ver-
tere sulla costruzione dell’aggettivo neutro in -τέον (con verbo
εἰμί espresso o sottinteso) con l’accusativo, cioè sulla perifrastica
passiva impersonale con complemento oggetto. Questo partico-
lare costrutto, attestato nella citazione platonica che correda la
voce (Resp. 294c7- 8 ἃ μὲν λεκτέον), è piuttosto diffuso nel
greco letterario di età classica (vd. Kühner – Gerth II.1, pp.
447- 448; Schwyzer II, pp. 409- 410). La glossa pro ‘oportet dicere’
potrebbe dunque non tradurre in latino una spiegazione già
presente nel lessico atticista (ad es. ἀντὶ τοῦ ‘δεῖ λέγειν’) bensì
essere un’aggiunta autonoma di Prisciano (cfr. inst. 34, 13-14
Passalacqua ‘ποιητέον’ ‘faciendum’, pro ‘oportet facere’).
LEMMA LATINO. Già nel libro VIII e nella prima metà del
XVIII Prisciano osserva che il gerundio può reggere sostantivi
declinati in casi, generi e numeri differenti dai suoi (cioè, in
termini moderni, non è un aggettivo, diversamente dal gerun-
divo): GL II 410, 14-21 quando vero gerundia sunt, id est loco infiniti
cum articulo iuncti apud Graecos accipiuntur, nec genera discernunt nec
numeros, quod suum est infinitorum verborum, et illum sequuntur
casum, quem et verba, ex quibus nascuntur; sim. 425, 28- 426, 8; III
233, 27-234, 9 gerundia vero [...] et genera diversa et casus verbo suo
congruos tantum et utrosque numeros sibi coniungunt, ut ‘legendi Virgi-
264 COMMENTO

lium’ et ‘Musam’ et ‘Musas’; similiter ‘legendo Virgilium, legendo


Musas’; et ‘legendum est mihi Virgilium’ et ‘Musas’. In quest’ultimo
passo Prisciano accosta agli exempla ficta relativi alla costruzione
del genitivo e dativo/ablativo del gerundio un esempio di peri-
frastica passiva impersonale, che egli pare confondere con l’ac-
cusativo del gerundio. Lo stesso si verifica negli Atticismi, dove
l’enunciazione della flessione del gerundio e del supino (dicenti
… dictu) è seguita da un’osservazione relativa alla perifrastica
passiva impersonale (Proprie autem … carmen), mentre non si
propongono affatto esempi della costruzione del genitivo e
dativo/ablativo del gerundio. Qui l’ulteriore nota che il gerundio
si costruisce con qualsiasi persona e tempo fa chiaramente riferi-
mento alla perifrastica passiva (e cioè in realtà a un uso del ge-
rundivo piuttosto che del gerundio, sebbene nell’uso impersonale
vi sia coincidenza delle sue forme), che può costruirsi con qual-
siasi tempo del verbo sum (est, fuit, erit) e con il dativo di agente
di qualsiasi pronome personale (mihi, tibi, illi, nobis, vobis, illis).
Nella seconda serie di exempla ficta che conclude la voce la
forma impersonale legendum est (et sim.) regge gli accusativi poe-
tam, orationem, carmen. Quest’uso sintattico della perifrastica
passiva è proprio solamente del latino arcaico e in misura più
ridotta di quello tardo, ma si noti la sua diffusione nella lingua
dei giuristi di età imperiale, con la quale è probabile che Priscia-
no avesse familiarità (vd. Aalto 1949, pp. 92-97; Harling 1960,
p. 432 n. 15; Strunk 1962, pp. 453- 454; Drexler 1962, p. 438;
Menge – Burkard – Schauer 2000, p. 733). Hofmann – Szantyr,
pp. 372-373, lo considerano un grecismo sintattico (sul costrut-
to parallelo in greco vd. supra). Prisciano avrà formulato l’exem-
plum fictum ‘legendum erit poetam, orationem, carmen’ proprio per-
ché coglieva questa particolarità sintattica nella citazione plato-
nica contenuta nella sua fonte (Resp. 394c7- 8 ἃ μὲν λεκτέον) e
intendeva riprodurla in latino. In questo senso si spiega anche il
riferimento (quod omni … adiungi) alla varietà dei generi oltre
che delle persone e dei tempi verbali che possono essere con-
nessi a legendum. Non a caso la triade poetam, orationem, carmen
consente di illustrare l’uso di legendum est con un complemento
oggetto in ciascuno dei tre generi della flessione nominale.
57, 10-17 265

Una trattazione simile a quella svolta da Prisciano nella voce


in esame si trova in Frg. Bob. verb. 46, 14-21 Passalacqua Sed et
illa ‘nec visu facilis nec dictu effabilis ulli’ verba sunt ad eandem for-
mam pertinentia, quae Latinitati non solum praestant ornatum sed et
illud quoque, ut aliquid habere videatur, quod Graeci iure desiderent,
quamvis et ipsi partem eorum aliquam, licet inter adverbia positam,
habere tamen existimentur, ut est ποιητέον γραπτέον λεκτέον;
haec enim illis similia sunt ‘aut pacem Troiano a rege petendum’
(Verg. Aen. 11, 230, dove la tradizione diretta e indiretta si
divide tra le varianti petendum e petendam: vd. Conte ad loc.).
Nella parallela sezione De usurpativa negli excerpta del De verbo-
rum Graeci et Latini differentiis vel societatibus di Macrobio manca
qualsiasi accenno al confronto del gerundio con gli aggettivi
verbali greci in -τέον e alla costruzione della perifrastica passiva
impersonale con il complemento oggetto (sui rapporti tra il
Fragmentum Bobiense de verbo e il De differentiis di Macrobio vd.
Passalacqua 1984, pp. XIII-XIV; De Paolis 1990a, pp. 267-285;
1990b, pp. XI-XIV). Non sembra possibile, allo stato attuale delle
ricerche, addurre argomenti decisivi a sostegno di nessuna delle
due ipotesi formulate da De Paolis 1990b, pp. XIX-XXVIII e
XXXVIII-XL, che l’opera grammaticale di Macrobio sia stata tra le
fonti di Prisciano proprio per una serie di confronti tra greco e
latino (sicché, nello specifico caso in esame, a essa risalirebbe
l’accostamento del gerundio all’aggettivo verbale in -τέον, non
conservato negli excerpta di Giovanni Scoto ma solo nel De verbo)
e che, d’altra parte, il De verbo sia stato elaborato in area orientale,
nella cerchia di Prisciano (e dunque possa riflettere un suo inse-
gnamento originale riguardo al gerundio e all’aggettivo verbale).
La particolare costruzione del gerundio descritta da Prisciano
e nel frammento bobbiese è discussa anche da Servio, che la
accosta all’uso dell’accusativo di relazione con i verbi passivi:
Aen. 10, 628 QUAE VOCE GRAVARIS […]. similiter etiam accusativo
casu utimur, cum volumus absolutam facere elocutionem et per gerundi
modum aliquid dicere, ut ‘petendum mihi est equum, codicem, byrrum’
– hinc Vergilius ‘aut pacem … petendum’, sic Sallustius ‘castra sine
vulnere introitum’ (Verg. Aen. 10, 628 è citato, per il nesso di
gravor con l’accusativo, anche da Prisciano in Att. 13, 10); sim.
266 COMMENTO

11, 230 (cfr. Ps. Iul. Ruf. schem. lex. 37 p. 57, 18-21, che defi-
nisce il costrutto attestato in Verg. Aen. 11, 230 Figura per verbo-
rum qualitatem. Sul luogo virgiliano vd. Unterharnscheidt 1911,
p. 16; Timpanaro 2001, p. 127; Horsfall 2003, p. 166).
L’uso del termine adverbium (57, 14 in ‘-dum’ terminatio Atti-
cum significat adverbium) per designare gerundi o gerundivi è
riscontrato da Jeep 1893, pp. 238-239, e Schad 2007, p. 188, in
Char. 216, 19; 217, 28; 221, 6; 225, 16-21; 242, 19-22 (solo
per i supini in Sacerd. GL VI 442, 29; Dosith. 66, 7-9 Tol-
kiehn). L’uso lessicale di Prisciano nella voce in esame è legger-
mente diverso, in quanto egli non definisce ‘avverbio’ diretta-
mente il gerundio, ma osserva che esso corrisponde a un ‘avver-
bio’ attico. In questo fa probabilmente riferimento piuttosto alla
terminologia grammaticale greca, nella quale l’aggettivo verbale
neutro in -τέον è definito θετικὸν ἐπίρρημα (Synag. π 519 [=
Sud. π 1883; Phot. lex. π 1015]; Sud. φ 238; Schol. Dion. Thr.
GG I.3 583, 24-25; Schol. anon. rec. Ar. Nub. 760b; Schol. Soph.
Aj. 853; cfr. Etym. M. 479, 30; Eust. Il. IV 7, 1). In generale
sulla terminologia, varia e incostante, utilizzata dai grammatici
latini per riferirsi a gerundi, gerundivi e supini vd. Weisweiler
1890a, p. 13; 1890b, pp. 1- 4; Steinthal 1890-91, II, pp. 291-
292; Jeep 1893, pp. 234-239; Hofmann – Szantyr, p. 368;
Wackernagel 1928, I, pp. 276-277; Aalto 1949, pp. 9-20;
Schad 2007, pp. 186-189.
PROBLEMI TESTUALI. L’integrazione di ἐστίν nel lemma, com-
piuta dagli editori sino a Hertz (GL III 324, 5) sulla base della
successiva citazione di Platone (ὡς δὲ λεκτέον ἐστίν), non è
necessaria. L’escerto platonico contiene, infatti, anche un’occor-
renza dello stesso aggettivo verbale con ἐστί sottinteso (ἃ μὲν
λεκτέον) ed è proprio questa ad aver attratto l’attenzione del
compilatore del lessico fonte e più tardi di Prisciano (vd. supra).
Nella citazione di Plat. Resp. 394c7- 8 i codici priscianei
recano la variante, probabilmente inferiore, ἐπισκεπτέον per
ἔτι σκεπτέον della tradizione diretta. Come nota Menchelli
2014, pp. 228 e 230, la confusione di Τ e Π è tipica delle scrit-
ture maiuscole (cfr. Rosellini 2014a, p. 352; 2015a, p. XCVI).
58, 1- 4 267

58, 1- 4 λογίζομαι con participio predicativo del soggetto:


confiteor con participio predicativo del soggetto
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (λογίζεται) – lemma
latino – citazioni latine (Verg. Aen. 2, 377; Stat. Theb. 12, 218-
219), con glosse sintattiche.
LEMMA GRECO. La costruzione di λογίζομαι con il participio
predicativo in nominativo non è altrimenti documentata, men-
tre si conoscono esempi del nesso del verbo con il participio
predicativo dell’oggetto in accusativo (vd. LSJ s. v. λογίζομαι,
II.2) o con l’infinito, con o senza accusativo (ibid., I.2 e II.2-3).
In entrambi i casi λογίζομαι ha il significato di «reckon or calcu-
late that», «reckon, consider that». Non si può escludere che nel
luogo classico, non identificabile, dal quale è stata tratta la cita-
zione, ἐκτετικώς fosse un participio congiunto piuttosto che
predicativo (“conta trenta mine dopo aver pagato per noi”
oppure “conta dopo aver pagato trenta mine per noi” o ancora
“conta trenta mine per noi dopo aver pagato” invece che “con-
sidera di aver pagato trenta mine per noi”). Cfr. Ar. Plut. 380-
381 Καὶ μὴν φίλως γ’ ἄν μοι δοκεῖς νὴ τοὺς θεοὺς / τρεῖς
μνᾶς ἀναλώσας λογίσασθαι δώδεκα (peraltro citato in Lex.
Vindob. λ 20 e Lacap. Epim. 84, 4-5 per illustrare l’uso di
λογίζομαι con il significato di λογαριάζω, “conto”).
LEMMA LATINO. Al di fuori del lemma formulato da Prisciano,
non si conoscono altre attestazioni di confiteor con il participio
predicativo, meno che mai in nominativo. Burger inserisce il
passo priscianeo tra gli esempi di costruzione del verbo con
l’accusativo e l’infinitivo, nei quali il soggetto dell’infinito è
sottinteso perché identico a quello del verbo reggente, con
l’avvertenza però che si tratta di un caso eccezionale (ThlL s. v.
confiteor, IV 229, 23-230, 18) e senza chiarire perché i due parti-
cipi che seguono confitetur siano in nominativo invece che accu-
sativo. Come in altri casi simili (cfr. ad es. 18, 1- 8; 42, 11-13;
46, 11-15; 51, 1-5), l’improprietà del lemma latino si deve
spiegare con un calco sintattico del lemma greco corrisponden-
te, anche se in questo caso la traduzione latina prodotta da Pri-
sciano non è letterale dal punto di vista lessicale. Nessuno dei
termini che vi compaiono corrisponde, infatti, per significato al
268 COMMENTO

vocabolo parallelo nel lemma greco. La scelta di confiteor potreb-


be dipendere dall’intento di far corrispondere a λογίζομαι un
verbo di forma passiva e significato attivo, cioè un deponente,
anche in latino. L’intenzione di conservare in latino il tempo
del participio presente nel lemma greco potrebbe, invece, giu-
stificare lo scarto lessicale tra i due lemmi per quanto riguarda i
participi (ἐκτετικώς/osculatus, criminatus). Infatti, se Prisciano
avesse reso ἐκτετικώς con un verbo di significato analogo (ad
es. expendo, pendo, solvo) sarebbe dovuto ricorrere, per una for-
ma attiva, al participio presente o, altrimenti, gli si sarebbe po-
sto il problema di un participio perfetto passivo in latino. L’op-
zione per dei participi di verbi deponenti gli consente, invece,
di conservare sia il tempo passato che l’uso transitivo (cfr. 18, 1-
8; 96, 13-14, con commento ad locc.; vd. anche Rosellini 2011,
p. 188; Spangenberg Yanes 2014, p. 140; 2017b, pp. 302-303).
Che poi il grammatico si sovvenisse contemporaneamente di
osculor e criminor è piuttosto naturale, se si considera che i due
verbi occorrono sistematicamente in coppia, nella tradizione
grammaticale latina, quali esempi di verba communia (Char. 210,
28; Diom. GL I 337, 18; Don. min. 593, 2-3; Explan. in Don.
GL IV 507, 16; Prisc. GL II 378, 20-21; 558, 2 e 12; part. 88, 9
Passalacqua; Ps. Aug. reg. 85, 12-19 Martorelli).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 2, 377 è addotto da Prisciano
nel confronto con il participio predicativo greco anche in 46,
12; 56, 15; 82, 2; 96, 13 (vd. supra, p. 205). La seconda citazio-
ne latina nella voce, Stat. Theb. 12, 218-219, non utilizzata da
altri grammatici, è meno pertinente al lemma greco di partenza,
giacché in essa un verbo deponente regge un participio in accu-
sativo (hortaris euntem) invece che nominativo. L’uso di hortor
con il participio predicativo per esprimere l’azione che si esorta
l’oggetto a compiere non è ammesso da Ehlers (ThlL s. v. hortor,
VI 3007, 7-3013, 42), il quale ritiene impropria la glossa appo-
sta da Prisciano al luogo staziano (ibid. 3007, 73; vd. anche
Imhof 1885, p. 298 n. 1) e accosta, invece, quest’ultimo ad
alcuni passi di altri autori, nei quali il participio in accusativo
retto da hortor è piuttosto sostantivato o attributivo. Hortaris
euntem in Stazio non significherebbe dunque “mi esorti ad anda-
58, 5-10 269

re” bensì “esorti una che (già) va” (così intendono anche Schön-
berger 1998, p. 206; Shackleton Bailey 2003, p. 267). Questa
interpretazione sintattica è anche lievemente più appropriata al
senso stesso del passo, di tono ironico, giacché Ornito aveva,
invece, in precedenza (Theb. 12, 149-166) tentato di dissuadere
Argia (che pronuncia le parole citate da Prisciano) dallo scontro
con Creonte. Alcuni interpreti moderni della Tebaide intendono
tuttavia il participio euntem allo stesso modo di Prisciano, ren-
dendolo per lo più come un infinito o comunque come se esso
esprimesse l’azione alla quale l’oggetto sottinteso di hortaris, me,
viene spinto (vd. Pollmann 2004, p. 142; Lesueur 1994, p. 119;
Ritchie – Hall – Edwards 2007-08, III, p. 245).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Stazio il vocativo Or-
nyte è vergato nei manoscritti a caratteri greci, per lo più con
l’alterazione di -r- in -Γ- (δθTVFXEM) o -Τ- (U); per questo
motivo esso veniva espunto da Herz, che lo considerava una
glossa (vd. apparato a GL III 324, 17). Ornyte si trova tuttavia,
senza varianti, anche nel testo della Tebaide tràdito per via diret-
ta e non vi è motivo di dubitare della sua genuinità all’interno
della citazione introdotta da Prisciano; opportunamente dunque
Rosellini lo mette a testo. La scrittura erronea di parole latine,
soprattutto nomi propri di origine greca, a caratteri greci è piut-
tosto comune nella tradizione manoscritta dell’Ars.

58, 5-10 λοιδορέομαι con dativo o accusativo: maledico


con accusativo o dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (λοιδορεῖσθαι) –
citazione greca (Hyperid. or. I p. 24 Jensen) – lemma latino –
citazione latina (Cic. Deiot. 33).
LEMMA GRECO. All’uso di λοιδορῶ (e di λυμαίνομαι, il lemma
successivo negli Atticismi) con il dativo Prisciano accenna anche
nel capitolo del libro XVIII sulle costruzioni verbali, dove egli
descrive come un grecismo sintattico la costruzione parallela di
alcuni verbi latini (GL III 271, 18-27 ‘noceo’ quoque et ‘maledico,
benedico, invideo’ […] ad imitationem Graecorum dativis adiungun-
tur; nam illi λυμαίνομαί σοι et λοιδορῶ σοι), e fa ancora evi-
dentemente riferimento alla sua fonte atticista. Nel brano appe-
270 COMMENTO

na riportato è menzionata una forma attiva di λοιδορέω, la cui


reggenza del dativo è però altrimenti nota solo per la diatesi
mediopassiva (vd. LSJ s. v. λοιδορέω, II). È dunque più cor-
retta la formulazione del lemma negli Atticismi, che probabil-
mente riflette più da vicino quella della fonte greca di Prisciano.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di λοιδορέω e
maledico è attestata anche nei glossari bilingui (CGL III 5, 31;
112, 19; 114, 46 e 60; 410, 65-75; 455, 43; 499, 35; 641, 16;
643, 24) e negli Idiomata casuum del Par. lat. 7530, che, come
Prisciano, assegnano al verbo greco la reggenza sia del dativo sia
dell’accusativo, ma la ripartiscono tra le sue due diatesi (GL IV
567, 17-18 maledico tibi λοιδοροῦμαί σοι, λοιδορῶ σε; cfr.
Spangenberg Yanes 2017d, pp. 62; 64- 65 n. 13; 68).
Prisciano tratta della sintassi di maledico anche nel libro VIII e
nel capitolo del libro XVIII sulle costruzioni verbali, dove però
assegna al verbo la sola reggenza del dativo: GL II 374, 13-20
Haec autem verba proprie activa vel recta vocantur, quae […] possunt
transire in quem fit actus et coniunguntur vel genetivo vel dativo vel
accusativo casui, ut [...] ‘maledico tibi’; III 268, 20-21 Pauca sunt,
quae activa voce transitive soli dativo adiunguntur, ut ‘[...] maledico’;
sim. 273, 19. Negli Atticismi l’ammissione anche di una costru-
zione con l’accusativo, sostenuta dalla necessità di adeguamento
al lemma greco (‘λοιδορεῖσθαι αὐτοῖς’ καὶ ‘αὐτούς’), riflette
un tratto linguistico postclassico (vd. ThlL s. v. maledico [Tietze],
VIII 164, 24-26). Probabilmente non è dunque casuale che Pri-
sciano sia stato in grado di reperire, nel canone di autori latini
usato negli Atticismi, un esempio relativo alla costruzione di male-
dico con il dativo ma non con l’accusativo. Altri grammatici asse-
gnano a maledico la sola reggenza del dativo (Char. 382, 17;
Diom. GL I 312, 26; 399, 15; App. Prob. 2, 59 Asperti-Passalac-
qua; Explan. in Don. GL IV 553, 23; 556, 16; Idiom. cas. GL IV
567, 17-18; Aug. ars 103 Bonnet; Exc. Andec. § VI De Nonno;
Don. mai. 638, 14; Serv. GL IV 437, 33-34; Consent. GL V
385, 3; Pomp. GL V 238, 17-19; Frg. Bob. verb. 45, 8 Passalacqua).
CITAZIONE LATINA. Cic. Deiot. 33 illustra la costruzione di
maledico con il dativo anche in GL III 273, 19-21, dove il taglio
della citazione è lievemente più ridotto (eius … tibi).
58, 11-15 271

PROBLEMI TESTUALI. Nella lezione nomine optimi viri Prisciano si


accorda con Ha della tradizione diretta ciceroniana, mentre il
resto dei codici della Pro Deiotaro reca le lezioni, considerate de-
teriori, hominis nomine opt. Viri (CAV) e nomine optimi hominis (β).

58, 11-15 λυμαίνομαι con dativo o accusativo: laedo con


accusativo, noceo con dativo o accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (λυμαίνεται) – cita-
zione greca (Herod. 1, 214; 3, 16?) – lemma latino – citazione
latina (Lucan. 3, 626), con osservazione aggiuntiva.
LEMMA GRECO. L’uso di λυμαίνομαι con il dativo è descritto
anche in GL III 271, 16-27 (vd. supra, pp. 269-270).
CITAZIONI GRECHE. Herod. 1, 214 è citato quale esempio di
λυμαίνομαι con il dativo anche in GL III 271, 27-28 λυμαι-
νομένη τῷ νεκρῷ. Ivi il taglio più ridotto della citazione e
l’omissione della particella δέ dopo λυμαινομένη si spiegano
probabilmente col fatto che Prisciano ha richiamato l’esempio
erodoteo a memoria dalla sua fonte atticista e limitandosi al sin-
tagma che lo interessava (vd. anche Mazzotti 2014, pp. 147-148).
Il secondo esempio della voce, la cui provenienza è indicata
nel libro III di Erodoto, non corrisponde ad alcun passo delle
Storie, né è identificabile in altre opere conservate. Hertz (in
apparato a GL III 325, 4) suggerisce che si tratti di una citazione
imprecisa di Herod. 3, 16 οὐκ Ἄμασις ἦν ὁ ταῦτα παθών,
ἀλλὰ ἄλλος τις τῶν Αἰγυπτίων ἔχων τὴν αὐτὴν ἡλικίην
Ἀμάσι, ᾧ λυμαινόμενοι Πέρσαι ἐδόκεον Ἀμάσι λυμαίνεσ-
θαι, e in particolare della seconda occorrenza del verbo in questo
passo. Egli leggeva tuttavia il testo erodoteo con la lezione Ἄμα-
σιν, variante di D2 e per questo motivo riteneva di dover correg-
gere αὐτῷ dei codici priscianei in αὐτόν; MD1R recano, inve-
ce, il dativo Ἀμάσι (accolto da Hude e Rosén). La questione
testuale relativa ad Ἀμάσι/Ἄμασιν potrebbe comunque non
interessare l’imprecisa citazione in Prisciano, che può essere ri-
condotta anche alla prima occorrenza di λυμαίνομαι nel mede-
simo luogo erodoteo, ᾧ λυμαινόμενοι, nella quale il dativo è
fuor di dubbio. Non pone alcuna difficoltà il fatto che un lem-
ma relativo a due diverse costruzioni di un verbo sia seguito da
272 COMMENTO

esempi relativi a solo una di queste, giacché tale fenomeno si


verifica anche in altre voci degli Atticismi. La correzione appor-
tata al testo da Hertz non è dunque necessaria.
LEMMA LATINO. La sintassi di laedo non è trattata da altri gram-
matici. La costruzione di noceo con il dativo è, invece, più volte
menzionata in precedenti sezioni dell’Ars Prisciani (GL II 426,
8-9; III 159, 15-19; 233, 3-12; 268, 20-21 e 29-30; 271, 18-28;
274, 23-275, 3; sui passi del libro XVIII, nei quali noceo compa-
re sempre insieme a maledico, il lemma latino della precedente
voce degli Atticismi, vd. supra, p. 270) ed è registrata in diverse
liste di idiomata casuum (Char. 382, 18; Diom. GL I 313, 1;
App. Prob. 2, 67 Asperti-Passalacqua; Idiom. cas. GL IV 566, 23-
24; Dosith. 86, 14 Tolkiehn; Oxford, Bodl. Libr, Add. C 144,
f. 79r noceo inimicis noceo hostibus; inoltre in Diom. GL I 399, 16;
Consent. GL V 385, 4; Frg. Bob. verb. 45, 8 Passalacqua; Beda
orth. 36, 736 Jones). Né Prisciano in altri luoghi dei suoi scritti
né altri grammatici trattano, invece, dell’uso transitivo di noceo.
La voce presenta, oltre al confronto tra il lemma greco e dei
verbi latini individuati come suoi equivalenti (noceo, laedo), an-
che uno sviluppo secondario relativo all’ellissi della preposizione
in o, in altri termini, alla possibilità che da insilio dipendano in e
l’accusativo o l’accusativo semplice. Prisciano esemplifica, infat-
ti, la reggenza dell’accusativo da parte di noceo con Lucan. 3,
626, dove però puppim dipende ἀπὸ κοινοῦ da insiluit e da
nociturus (vd. Ehlers 1973, p. 131; Braund 1992, p. 58; Viansino
1995, I, p. 261. Hunink 1992, p. 234, osserva solo l’uso di
insiluit «with accusative», forse ritenendo che nociturus abbia in
questo passo un uso assoluto). Prisciano ha dunque reinterpreta-
to il passo come esempio della costruzione di insilio con l’accu-
sativo semplice invece che preceduto da in. Come suggerisce
l’impiego dell’espressione sed magis, spesso usata per rettificare o
precisare delle affermazioni appena enunciate (cfr. GL II 42, 17;
79, 9; 136, 11; 160, 6; 184, 21; 403, 3; 425, 17; 428, 13; III 52,
13; 134, 20; 213, 20; 274, 9; Att. 81, 10; part. 63, 18 Passalac-
qua), Prisciano potrebbe aver considerato questa seconda inter-
pretazione migliore della prima. Questa osservazione secondaria
non ha più alcun legame con il lemma greco di partenza.
58, 16-59, 6 273

CITAZIONI LATINE. Lucan. 3, 626 è citato anche in GL II 541,


1-2, a proposito però della forma insiluit del perfetto.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Herod. 1, 214 si trova
τοιάδε in luogo di τάδε della tradizione diretta. Nelle Storie il
pronome τοιάδε è usato 18 volte in nesso con una forma di
λέγω o di un suo composto per introdurre un discorso diretto,
τάδε 138 volte. Da una parte la variante documentata da Pri-
sciano potrebbe dunque essere una lectio difficilior, dall’altra però
risulta meno coerente con l’usus linguistico erodoteo.
Nella citazione di Lucan. 3, 626, sia negli Atticismi sia nel
libro X, Prisciano attesta la variante puppim per puppem della
tradizione diretta. Un fenomeno simile si verifica anche per un
altro verso lucaneo citato dal grammatico, 3, 545, dove i mano-
scritti del Bellum civile si dividono però tra la forma in -im (ΩC)
e quella in -em (PV) e lo stesso Prisciano cita ora in un modo
(GL III 53, 19-21 in puppim) ora nell’altro (GL II 330, 1-3
quorundam tamen ex eis etiam in ‘em’ invenitur accusativus, ut
Lucanus in III: ‘in puppem ...’). Nel libro VII, trattando della
coesistenza delle forme puppim e puppem (GL II 336, 6-7 quae
vero et in ‘im’ et in ‘em’, haec tam in i quam in e: ‘hanc puppim’ et
‘puppem, ab hac puppi’ et ‘puppe’), il grammatico testimonia,
invece, la lezione puppem in Lucan. 4, 132 (GL II 336, 13-15),
in accordo con la tradizione diretta. Le attestazioni presso Pri-
sciano della forma puppim in passi di Lucano (3, 626 in GL II
541, 2 e Att. 58, 14; 3, 545 in GL III 53, 20) per i quali i
testimoni diretti (o parte di essi) recano puppem potrebbero
spiegarsi o con delle banalizzazioni morfologiche nella tradi-
zione del poeta latino oppure come una sorta di ipercorrettismo
del grammatico antico che, considerando più difficile la forma
in -im, avrebbe teso a estenderla alla maggior parte delle oc-
correnze del sostantivo che gli capitava di citare da autori classi-
ci (cfr. Verg. Aen. 1, 114-115 in GL II 329, 12-14; Verg. Aen.
6, 410 in Att. 93, 4-5).

58, 16-59, 6 comparativo con μᾶλλον: multo magis, multo


maxime
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Isocr. Aegin. 46
274 COMMENTO

ἥδιον … μᾶλλον), con glossa – lemma latino – citazione latina


(Verg. Aen. 1, 347) – osservazione aggiuntiva.
LEMMA GRECO. La spiegazione che segue la citazione greca
con funzione di lemma è articolata in modo piuttosto inconsue-
to, con l’asindeto tra le prime due glosse (πολὺ μᾶλλον,
μάλιστα) e il polisindeto tra la seconda e la terza (μάλιστα καὶ
πολὺ μάλιστα). Nelle parti in greco degli Atticismi è, infatti,
normalmente adottato il polisindeto almeno per le serie di due
e tre elementi, ma spesso anche di quattro (37, 11-12; 41, 17-
42, 1; 53, 6-7; 67, 9-10; 85, 4-5; 99, 16-18; 106, 3-5; 111, 3; si
ha l’asindeto, invece, nei lunghi elenchi di 15, 8-9 e 106, 10-
11, oltre che in 16, 3, dove il lemma però non risale alla fonte
atticista di Prisciano bensì è stato riformulato dal grammatico).
Non solo nei lemmi, ma anche nei più rari casi di glosse molte-
plici di uno stesso lemma o citazione è attestato sempre il poli-
sindeto (38, 3; 103, 5- 6). Si potrebbe dunque dubitare del fatto
che nella voce in esame le espressioni ‘πολὺ μᾶλλον, μάλιστα’
καὶ ‘πολὺ μάλιστα’ siano tutte glosse di μᾶλλον [πολύ]. L’ar-
ticolazione della parte greca della voce appare, invece, simile a
quella di 43, 5- 6 Thucydides I: ‘καὶ αὖθις ἑνὸς δέον‹τι›
τριακοστῷ ἔτει’ pro ‘ἑνὸς δέοντος’. Et ‘δυοῖν δεόντοιν’,
dove Et ‘δυοῖν δεόντοιν’ non è una seconda glossa di ἑνὸς
δέον‹τι› ma un lemma secondario aggiunto alla voce da Priscia-
no (vd. ad loc.). In modo analogo, πολὺ μάλιστα nella voce in
esame potrebbe essere un’integrazione del grammatico alla sua
fonte atticista, ispirata dalla glossa che egli vi leggeva riferita al
vero lemma di partenza (ἥδιον … μᾶλλον … pro ‘πολὺ
μᾶλλον’). Il lemma aggiuntivo così ottenuto non avrebbe alcu-
na attinenza, da un punto di vista sintattico, al lemma greco di
partenza (ἥδιον … μᾶλλον/πολὺ μάλιστα).
CITAZIONI GRECHE. È difficile individuare il luogo omerico
che Prisciano aveva in mente nella stesura di questa voce e ha
omesso di citare per esteso. Né il nostro grammatico in altri
passi delle sue opere né lessicografi e grammatici greci citano
mai, infatti, esempi omerici di uso del comparativo in luogo del
superlativo (per il fenomeno opposto, cioè l’uso del superlativo
con funzione di comparativo, cfr. Ps. Herodian. soloec. 300, 17;
58, 16-59, 6 275

Ps. Theodos. dial. Att. 15; Schol. Hermog. RhG IV 59, 10; Schol.
Dion. Thr. GG I.3 464, 29; Tzetz. Schol. Ar. Nub. 429a; Ran.
1251; Schol. Eur. Hipp. 1466; Th. Mag. ecl. 405, 6-15). Roselli-
ni 2015a, p. CXXV n. 135, cita, a titolo di esempio, Hom. Od.
7, 156 ὃς δὴ Φαιήκων ἀνδρῶν προγενέστερος ἦεν.
LEMMA LATINO. Prisciano enuncia in primo luogo le espressio-
ni multo magis e multo maxime, poi presenta un esempio di ag-
gettivo (non avverbio) al grado comparativo affiancato a
un’espressione rafforzativa (ante alios) diversa dall’avverbio multo.
Fassino 2014, pp. 269-270, ritiene che i lemmi multo magis e
multo maxime rappresentino in generale la possibilità di rafforzare
un comparativo o un superlativo con avverbi o altre espressioni
(cfr. 84, 9-11 con commento ad loc.). Questa ipotesi è sostenuta
anche dal fatto che la successiva citazione virgiliana (Aen. 1,
347) viene introdotta, immediatamente dopo i due lemmi latini,
dalla congiunzione ut, come se illustrasse effettivamente uno di
essi. In alternativa si può intendere che Prisciano abbia proposto
dapprima dei lemmi corrispondenti alle glosse del lemma greco
piuttosto che a questo stesso (‘πολὺ μᾶλλον, μάλιστα’ καὶ
‘πολὺ μάλιστα’/‘multo magis’ et ‘multo maxime’) e quindi una
citazione, che offre un equivalente sintattico del vero lemma
greco della voce (ἥδιον … μᾶλλον/ante alios immanior omnes).
CITAZIONI LATINE. Prisciano cita Verg. Aen. 1, 347 anche nei
libri III e XVII, nei quali motiva l’espressione ante alios immanior
rispettivamente con la necessità di istituire un paragone con una
pluralità di oggetti ma non a livello così universale da ricorrere
al superlativo relativo (GL II 86, 8-10 quid autem, quod accidit
inter tres vel quattuor vel plures, non tamen ad totum genus fieri com-
parationem et necesse est uti plurali suorum? ut si dicam ‘fortissimi
fuerunt Graecorum Aiax, Diomedes, Agamemno, Ulixes, omnibus
tamen his fortior fuit Achilles’. Virgilius in I: ‘Pygmalion … omnes’,
ad omnes sceleratos conferens Pygmalionem comparativo est usus; cfr.
92, 17-18) e come una sorta di rafforzativo (GL III 155, 29 poeti-
ca est licentia, quomodo et praepositiones solent addere et minuere […];
‘ante’ enim cum comparativo positum auctionem auctioni addit). La
possibilità di rafforzare il comparativo e il superlativo per mezzo
di ante alios è rilevata, a proposito di Verg. Aen. 1, 347 e altri
276 COMMENTO

passi virgiliani, anche in Serv. auct. Aen. 3, 321 ‘ante alias’ […]
iungitur tamen et conparativo, ut ‘scelere … inmanior’, et superlativo,
ut ‘ipse ante alios pulcherrimus omnes’.
PROBLEMI TESTUALI. La variante ἴδιον per ἥδιον, di natura
fonetica, si trova anche nel codice Λ di Isocrate, ma deve trat-
tarsi di un errore poligenetico, perché la presenza di un aggetti-
vo di grado comparativo nella citazione trasmessa da Prisciano è
garantita dalle successive osservazioni di quest’ultimo e dal con-
fronto con Verg. Aen. 1, 347 (vd. Fassino 2014, p. 270 e n. 68).
Oltre all’omissione di κατὰ τοὺς νόμους εἰσποιηθέντα
dopo αὑτῷ, dovuta probabilmente a un taglio intenzionale da
parte del compilatore del lessico (contra B. Keil 1885, p. 140), il
testo della citazione isocratea presenta, rispetto alla tradizione
diretta, le varianti τοίας (ποίας) e υἱὸν εἶδεν (εἶδεν υἱόν), in
accordo con Λ. Nella citazione è inoltre aggiunto ἄλλον davanti
a ἥδιον: Fassino 2014, pp. 271-272 e n. 71, che ammette dubi-
tativamente l’appropriatezza di questo aggettivo al contesto, ipo-
tizza in alternativa che αΛΛΟΝ si debba correggere in ἄλλων.
Il genitivo avrebbe espresso il secondo termine di paragone e
sarebbe stato già presente nel lessico fonte. Poiché tuttavia Pri-
sciano non si occupa in questa voce del secondo termine di
paragone e considera ante alios in Verg. Aen. 1, 347 piuttosto un
rafforzativo del comparativo, mancano elementi sufficienti a
sostegno della congettura ἄλλων. Potrebbe meritare, invece,
maggiore attenzione l’ipotesi di Tosi (apud Fassino 2014, p. 271
n. 71), che αΛΛΟΝ sia corruttela di μᾶλλον (per una facile aplo-
grafia nella sequenza di lettere simili ΜΑΛΛ-ΟΝ). Fassino obietta
che sarebbe «difficile conciliare la presenza di questo eventuale
μᾶλλον con quello che, sia in Prisciano sia nella tradizione
diretta, compare dopo αὑτῷ». Tuttavia nella tradizione diretta
il μᾶλλον che segue αὑτῷ si trova a una certa distanza dal
pronome, separato da esso per mezzo di alcune parole omesse
nella citazione in Prisciano (vd. supra). Il ‹μ›ᾶλλον congetturato
da Tosi potrebbe corrispondere proprio a quello della tradizio-
ne diretta, che il compilatore del lessico avrebbe potuto spostare
accanto a ἥδιον per rendere più chiara la sintassi del passo e per
abbreviare la citazione. Il μᾶλλον presente in Prisciano subito
59, 7-13 277

dopo αὑτῷ potrebbe ripetere, invece, il lemma individuato


nella citazione, allo scopo di metterlo in rilievo prima della
glossa a esso riferita. Tuttavia non si può forse fugare del tutto
l’impressione che vi sia qualcosa di troppo nel testo.
Soprattutto resta da spiegare la presenza di πολύ dopo
αὑτῷ μᾶλλον. Fassino ritiene che si tratti di un’interpolazione
compiuta da qualche copista e che debba essere espunto. Non
tanto l’assenza di πολύ dalla tradizione diretta di Isocrate, quan-
to la sua non pertinenza al fenomeno linguistico oggetto della
voce sconsigliano di credere che Prisciano leggesse l’avverbio in
questo punto nella sua fonte greca o che egli stesso ve lo possa
aver aggiunto. È arbitraria e non condivisibile l’emendazione
proposta da B. Keil 1885, pp. 138-139: πολὺ μᾶλλον pro
πολλῷ μᾶλλον καὶ πολὺ μάλιστα καὶ πολλῷ μάλιστα.
Al termine della voce i codici TRQY in margine e F nel
testo principale presentano l’aggiunta delle parole pro immanissi-
mus … Iliados, che Rosellini 2015a, pp. CXXV-CXXVI, ritiene
autentica. Nell’integrazione i codici RYQ recano la lezione fecit,
messa a testo da Rosellini. TF hanno, invece, fecerit, che deve
probabilmente essere ritenuta una banalizzazione sintattica, forse
favorita dall’uso linguistico dispiegato da Prisciano nelle poche
altre occorrenze di espressioni simili nell’Ars. In due su tre di
queste, infatti, la spiegazione che segue a non mireris (et sim.) è
espressa in una proposizione causale con cum e il congiuntivo:
GL III 210, 7-9 ergo minime mireris, si eadem exempla constructio-
num repetantur, cum ... sint; 278, 7-9 Non mireris tamen, omnia
activa […] Romanos accusativo coniungere, cum ... servent (in GL II
457, 18-21 la spiegazione del fenomeno introdotto da nec mireris
è, invece, espressa in una proposizione indipendente con enim).

59, 7-13 μανθάνω con accusativo o genitivo: reviso con


genitivo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazioni latine (Ter.
Eun. 923; Verg. Aen. 11, 126) – osservazioni teoriche aggiuntive.
LEMMA GRECO. La seconda delle due reggenze qui assegnate a
μανθάνω, del genitivo, non è altrimenti attestata (cfr. LSJ s. v.).
LEMMA LATINO. L’attenzione di Prisciano si concentra sulla
278 COMMENTO

costruzione di μανθάνω con il genitivo, alla quale affianca una


serie di costrutti latini solo latamente paragonabili al lemma
greco, in quanto anch’essi prevedono il nesso di un verbo con il
genitivo (si noti l’uso dell’espressione per introdurre huic simile,
sulla quale vd. Spangenberg Yanes 2014, pp. 117-118). Il gram-
matico propone dapprima un esempio di genitivo partitivo con
un pronome neutro (Ter. Eun. 923 quidnam … rerum gerat, nel
quale il genitivo non dipende dunque propriamente dal verbo;
cfr. Hofmann – Szantyr, p. 52) e uno di miror con il genitivo
(Verg. Aen. 11, 126); quindi passa a trattare del genitivo di
colpa in dipendenza da insimulo e accuso (cfr. Hofmann – Szan-
tyr, pp. 75-76); infine si sofferma sulla possibilità di costruire il
participio presente di verbi transitivi con l’accusativo o con il
genitivo oggettivo a seconda che esso abbia funzione verbale o
nominale. Il riconoscimento del carattere di questa voce del
lessico quale piccola summa degli usi sintattici del genitivo con-
sente di cogliere la pertinenza al lemma iniziale anche della
sezione conclusiva sul participio, che Hertz stampava, invece,
tra parentesi tonde (GL III 326, 6- 8) a indicare la disomogenei-
tà di questo passaggio rispetto al contesto. Le costruzioni di
miror e accuso con il genitivo sono oggetto anche di precedenti
voci degli Atticismi (rispettivamente 49, 1; 51, 14 e 53, 15). La
duplice funzione sintattica dei participi presenti di verbi transiti-
vi è discussa più volte nell’Ars (GL III 159, 13-160, 6; 215, 29-
217, 27; Att. 24, 1-5; 50, 1- 6; 89, 3-6; cfr. 81, 8-11). L’uso di
insimulo con il genitivo di colpa non è, invece, menzionato
altrove; nel capitolo del libro XVIII sulle costruzioni verbali se
ne prevede, infatti, solo la reggenza dell’accusativo (GL III 272,
19-20. La stessa discrepanza si verifica per accuso: vd. supra, p.
241). Anche nelle raccolte di idiomata è registrata solo la costru-
zione di insimulo con l’accusativo (Char. 384, 11; Diom. GL I
314, 17; Idiom. cas. GL IV 568, 37; Dosith. 87, 16 Tolkiehn).
CITAZIONI LATINE. Ter. Eun. 923 non occorre in altri testi
grammaticali. Verg. Aen. 11, 126 è citato a proposito della co-
struzione di miror con il genitivo anche in 49, 1; 51, 16-17; GL
III 163, 1 (vd. supra, p. 216).
PROBLEMI TESTUALI. L’aggiunta di vel dopo furti nel testo prin-
59, 14-16 279

cipale di ζJ e nell’interlineo di TR risponde a un’esigenza di


simmetria rispetto al precedente polisindeto, pecuniarum repetun-
darum vel furti. Hertz (GL III 326, 5) metteva a testo anche il
secondo vel, mentre Rosellini 2015a, p. CXIX, osserva che,
poiché l’integrazione avrebbe potuto facilmente essere compiu-
ta da un lettore medievale, non vi sono elementi sufficienti a
garantirne l’autenticità.

59, 14-16 μετά con genitivo: cum con ablativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (μετ’ ἐμοῦ) – citazio-
ne latina (Cic. Verr. 2, 1, 104).
LEMMA GRECO. Un’espressione simile a quella lemmatizzata in
Prisciano si trova in Ar. Ach. 661-662 (= Eur. fr. 918, 3- 4 Kan-
nicht) τὸ γὰρ εὖ μετ᾽ ἐμοῦ καὶ τὸ δίκαιον / ξύμμαχον ἔσται.
Anche in questo passo, infatti, μετ᾽ ἐμοῦ ha il valore di “dalla
mia parte” (cfr. LSJ s. v. μετά, A.II). Tuttavia τὸ δίκαιον, oltre
a essere singolare invece che plurale, non è sintatticamente in
rapporto con μετ᾽ ἐμοῦ, che si lega solo a τὸ … εὖ; non sem-
bra dunque possibile identificare la citazione protolemmatica di
questa voce nei due versi di Aristofane.
LEMMA LATINO. Prisciano confronta il lemma greco con il
particolare uso assoluto di facio in latino con cum e l’ablativo a
indicare la persona che beneficia dell’azione espressa dal verbo
(vd. ThlL s. v. cum [Hey], IV 1351, 1; s. v. facio [Hey], VI 123,
33-34). Nessun altro grammatico tratta di questo uso linguistico.
CITAZIONI LATINE. Cic. Verr. 2, 1, 104 non è citato altrove in
ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione delle Verrinae è attestata la
variante banalizzante puella rispetto a pupilla della tradizione diret-
ta. Inoltre Prisciano testimonia leges in luogo di legis dei codici
ciceroniani. A. Klotz mette a testo la variante priscianea, consi-
derando leges un nominativo plurale coordinato per asindeto a
aequitas, voluntas patris, edicta praetorum. Peterson accoglie, inve-
ce, la lezione della tradizione diretta, facendo di legis un geniti-
vo dipendente da aequitas: si avrebbe in questo caso un chiasmo
iniziale in legis aequitas, voluntas patris, mentre gli altri elementi
dell’enumerazione conserverebbero sempre la sequenza di nomi-
280 COMMENTO

nativo e genitivo (voluntas patris, edicta praetorum, consuetudo iuris).


Nell’uso di Cicerone è però assai più frequente la coordinazione
di leges e aequitas, sia in coppia sia in elenchi più lunghi (Verr. 2,
1, 151; 2, 3, 42; 2, 3, 205; 2, 3, 220; Cluent. 159; leg. agr. 2, 102;
Mil. 77; Phil. 9, 10; de orat. 1, 86; top. 31), che il nesso del geniti-
vo legis o legum con aequitas (Vatin. 28; rep. 2, 61). L’Arpinate,
infatti, distingue spesso il concetto di lex in quanto ‘lettera’ da
quello di aequitas come ‘senso generale di giustizia, del diritto’.
Appare dunque superiore la variante conservata da Prisciano.
Ancora nel brano ciceroniano solo M tra i codici priscianei
reca la lezione genuina praetorum, mentre gli altri testimoni sono
latori di corruttele variamente riconducibili alla forma procorum,
che M può aver emendato per congettura. Il passaggio da praeto-
rum a procorum si spiega con l’errato scioglimento del compen-
dio per prae- e la confusione di t e c da un modello in minuscola
(vd. Havet 1911, p. 164). Per l’ipotesi che non solo l’archetipo
degli Atticismi ma anche almeno il suo antigrafo fosse in minu-
scola vd. Rosellini 2015a, pp. XCV-XVI.

59, 17- 60, 6 μέλλω con infinito presente o aoristo: parti-


cipio futuro con verbo sum
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca
(Lys. or. 55 fr. 40 Thalheim = fr. 125 Carey) – lemma latino,
con glosse greche.
LEMMA GRECO. Il lemma greco di questa voce, che prevede la
costruzione di μέλλω con l’infinito presente o aoristo ed è però
esemplificato da un’occorrenza di μέλλω con l’infinito presente
e futuro (Lys. or. 55 fr. 40 Thalheim ἔμελλεν … εἶναι καὶ …
ποιήσειν), è stato sospettato di corruttela. Christ 1862, p. 149,
ha proposto di integrare καὶ ‘γράψειν’ (così anche Krehl
1819-20, II, p. 221, il quale tuttavia sostituisce le varie forme di
γράφω nel lemma con ποιεῖν καὶ ποιῆσαι καὶ ποιήσειν
perché ποιέω è il verbo attestato nella citazione di Lisia) o
correggere γράψαι in γράψειν (cfr. Rosellini 2015a, ad loc.).
Sebbene questa seconda congettura produca un lemma più
calzante all’esempio che lo accompagna, potrebbe essere prefe-
ribile integrare un terzo membro del lemma. È opportuno,
60, 7 281

infatti, conservare il riferimento alla costruzione di μέλλω con


l’infinito aoristo, sia perché questo uso sintattico, benché più
raro di quello con l’infinito presente o futuro, è comunque
documentato (LSJ s. v. μέλλω, I-II) sia perché altri lessici attici-
sti contemplano questo costrutto accanto a quelli più comuni
con l’infinito presente e il futuro (Phryn. ecl. 313; 347; Th.
Mag. ecl. 228, 10; cfr. Lacap. Epim. 32, 11-13 Lindstam).
CITAZIONI GRECHE. La citazione di Lys. or. 55 fr. 40 Thalheim
contiene la forma ἔμελλεν mentre la glossa greca, aggiunta da
Prisciano a uno degli exempla ficta da lui proposti per la perifrasti-
ca attiva latina, reca ἤμελλον. L’aumento ἠ- davanti a consonan-
te, attestato solo per alcuni verbi (oltre a μέλλω per lo più βού-
λομαι e δύναμαι), è proprio dell’uso postclassico (vd. Schwyzer
I, p. 654; Threatte 1996, II, p. 474. Cfr. Mayser 1906, pp. 93-
94). È coerente con questo dato il fatto che la fonte atticista di
Prisciano conservasse la forma aumentata più antica, in ἐ-,
mentre il grammatico tardoantico, trovandosi a dover coniugare
il verbo ex novo, ha optato per la variante seriore.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di ἀναγινώσκω
e lego, sottesa alle parafrasi in greco degli esempi latini di peri-
frastica attiva alla fine della voce, è postulata da Prisciano anche
altrove, sempre in glosse greche di espressioni latine (GL II 563,
6; III 232, 10; part. 52, 3-4 Passalacqua; 53, 1-2). L’equivalenza
tra i due verbi è attestata anche nei glossari bilingui (CGL II
122, 7; III 108, 41; 327, 64; 409, 81; 508, 3; 514, 57; 639, 1).
Nessun altro grammatico si occupa della perifrastica attiva.

60, 7 μέλει con dativo della persona e nominativo o


genitivo della cosa: curo con accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino.
LEMMA GRECO. Le due costruzioni descritte nel lemma corri-
spondono, in termini moderni, all’uso personale di μέλω (μέλει
μοι ταῦτα) e impersonale, con il genitivo dell’oggetto inani-
mato (μέλει μοι … τούτων).
LEMMA LATINO. La costruzione di curo con l’accusativo è trattata
anche in 7, 1; 27, 7- 8; 113, 13 (vd. supra, p. 2). In questo caso
l’accostamento tra il lemma greco e quello latino è su base se-
282 COMMENTO

mantica piuttosto che sintattica, a meno che Prisciano non in-


tendesse impropriamente, nella prima parte del lemma greco,
ταῦτα come complemento oggetto di μέλει invece che soggetto.

60, 8 μέχρι ἕως: usque dum


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino.
LEMMA GRECO. L’accostamento di μέχρι e ἕως, non spiegabile
in base agli usi noti per i due vocaboli (vd. LSJ s. vv. ἕως;
μέχρι), non è attestato al di fuori degli Atticismi. È possibile che
Prisciano abbia travisato la sua fonte, considerando parte del
lemma anche quello che in origine doveva esserne l’interpreta-
mentum, come suggerisce il confronto con Hesych. μ 1133
μέχρι· ἕως. τινός (cfr. 42, 14 con commento ad loc.).
LEMMA LATINO. La corrispondenza di usque e μέχρι è attestata
anche nei glossari bilingui (CGL II 370, 28), nei quali usque
equivale anche a ἕως (GL II 321, 50) e dum sia a μέχρι (CGL
II 370, 28) sia a ἕως (CGL II 57, 23; 321, 50 e 53).
Nessun altro grammatico si occupa dell’espressione usque
dum (vd. OLD s. v. usque, 4a-b; Forcellini s. v. usque).

60, 9-16 μέμφομαι con dativo o accusativo: queror con


dativo o accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (μέμφεται) – lemma
latino – citazioni latine (Iuv. 2, 130-131; Verg. ecl. 8, 19-20) –
citazioni greche (Xenoph. Cyr. 7, 5, 42; Men. fr. 633 K.-A.;
Demosth. 3, 36).
LEMMA GRECO. Sebbene la formulazione della prima parte del
lemma sembri riguardare la costruzione con il solo dativo (LSJ
s. v. μέμφομαι, 3), gli esempi addotti per illustrarla (Men. fr.
633 K.-A. μέμφομαί σοι τοῦθ’; Xenoph. Cyr. 7, 5, 42 τοῖς
δὲ θεοῖς οὐδὲν … μέμψασθαι, dove in vero οὐδέν è piutto-
sto un neutro avverbiale e l’accusativo retto da μέμφομαι, τὸ
μὴ … καταπεπραχέναι, si trova al di fuori della pericope di
testo selezionata dall’escertore) fanno piuttosto riferimento
all’uso del verbo con il dativo della persona e l’accusativo della
cosa (ibid., 2). La menzione del solo pronome personale σοι nel
lemma si deve probabilmente a un’esigenza di simmetria rispet-
60, 9-16 283

to alla costruzione del verbo con l’accusativo della persona, che


non prevede ulteriori complementi (vd. LSJ s. v. μέμφομαι, 1).
CITAZIONI GRECHE. Demosth. 3, 36 illustra l’uso transitivo di
μέμφομαι anche in Lex. Coisl. μ 1.
LEMMA LATINO. Queror corrisponde a μέμφομαι anche nei
glossari bilingui (CGL II 166, 60 e 62-63; 367, 41; III 77, 25) e
in Idiom. cas. GL IV 569, 15-16; Dosith. 100, 3 Tolkiehn.
Prisciano discute della duplice reggenza di queror anche nel
capitolo del libro XVIII sulle costruzioni verbali, dove osserva
che rispetto agli altri funebria verba, che reggono solo l’accusati-
vo, queror rappresenta un’eccezione in quanto può costruirsi
anche con il dativo: GL III 275, 18-19 funebria quoque verba ad
accusativum feruntur, ut […] ‘queror te’ et ‘tibi’ pro ‘apud te’. Aru-
siano Messio, che pure conosce un uso transitivo di queror, si
riferisce tuttavia all’accusativo della cosa e non della persona:
85, 3-5 Di Stefano QUEROR ILLAM REM. Virg. Aen. I ‘Nec plura
querentem [...]’. Sal. hist. I ‘[...] dominationem queri [...]’. Gli altri
grammatici che si occupano della costruzione di queror con og-
getto animato prevedono che questo sia espresso solamente in
dativo (Char. 384, 18-19; Idiom. cas. GL IV 569, 15-16; Beda
orth. 46, 966 Jones). La reggenza dell’accusativo della persona,
ricordata solo da Prisciano, è ignota agli studi lessicografici mo-
derni (OLD s. v. queror, 1b e 3; Forcellini s. v. queror, 3). Nella
voce in esame la citazione di Verg. ecl. 8, 19-20 dum queror et
divos garantisce comunque che il grammatico fosse convinto
della possibilità di usare transitivamente queror anche con oggetti
animati (sul fraintendimento del luogo virgiliano vd. infra) e
non stesse solamente traducendo alla lettera il lemma greco.
CITAZIONI LATINE. I due esempi latini addotti in questa voce
illustrano la costruzione di queror rispettivamente con l’accusativo
(Verg. ecl. 8, 19-20) e il dativo (Iuv. 2, 130-131) anche in GL III
275, 19-276, 1. L’impiego di Verg. ecl. 8, 19-20 come esempio
di queror con l’accusativo della persona (vd. supra) è frutto di un
fraintendimento della sintassi del brano virgiliano, nel cui con-
testo di origine deos è in vero il complemento oggetto di adlo-
quor (dum queror et divos, quamquam nil testibus illis / profeci, extrema
moriens tamen adloquor hora; vd. Cucchiarelli 2012, p. 417).
284 COMMENTO

PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Xenoph. Cyr. 7, 5, 42


contiene la variante τοῖς δέ per τοῖς μέν della tradizione diretta.
In Demosth. 3, 36 Prisciano si accorda con i restanti testi-
moni medievali demostenici nella lezione ὑπὲρ ὑμῶν contro
ὑπὲρ ἡμῶν del codice Y e di Lex. Coisl. μ 1.
Sia nella voce in esame sia in GL III 275, 23-24, Iuv. 2,
130-131 è riportato in modo difforme dalla tradizione diretta
(nec quereris patri nec terram cuspide quassas in luogo di nec galeam
quassas nec terram cuspide pulsas / nec quereris patri), benché metri-
camente corretto. Non è possibile stabilire se si tratti di un er-
rore di memoria dello stesso Prisciano o se egli traesse la cita-
zione, già in questa forma, da un testo di Giovenale diverso da
quello pervenutoci per tradizione medievale.

60, 17- 61, 5 μεθ’ ἡμέραν, ἡμέραν, νύκτωρ καὶ ἡμέραν:


noctu et die, interdiu et nocte
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con osservazione
aggiuntiva – citazione greca (Ar. fr. 665 K.-A.) – lemma latino
– citazioni latine (Verg. Aen. 1, 683- 684; 1, 47-48).
LEMMA GRECO. Prisciano nota – probabilmente traducendo la
sua fonte greca – che μεθ’ ἡμέραν e ἡμέραν possono essere
usati da soli (Attici … ponunt per se) e che però l’accusativo sem-
plice si troverebbe anche coordinato a νύκτωρ, come attesta il
successivo esempio aristofaneo (fr. 665 K.-A.). In effetti μεθ’
ἡμέραν (sul particolare valore temporale di μετά in questa locu-
zione vd. LSJ s. v. μετά, C.II.2: «of Time, after, next to […]: but
μετ’ ἡμέρην by day») è spesso utilizzato da solo, così come l’ac-
cusativo semplice ἡμέραν; tuttavia è piuttosto diffuso anche l’uso
del sintagma preposizionale coordinato a νύκτωρ (vd. Eur. Ba.
485; Demosth. 24, 113; Aeschn. 2, 125; 2, 151; 3, 77; 5, 44;
Xenoph. Anab. 4, 6, 12; 7, 3, 37; Plat. Alc. I 106e9; Resp. 516a9;
Leg. 674b5; 779a2; 854a7; Lys. 3, 34; Men. fr. 660 K.-A.; trag.
adesp. fr. 34a Snell; cfr. LSJ s. v. μετά, C.II.2: «μεθ’ ἡμέραν,
opp. νύκτωρ»), che Prisciano sembrerebbe, invece, escludere o
che comunque non prende in considerazione. Al contrario,
l’impiego del semplice ἡμέραν coordinato a νύκτωρ è attesta-
to, oltre che in Ar. fr. 665 K.-A., solo in Iulian. epist. 89b.
61, 6-8 285

LEMMA LATINO. Prisciano individua dapprima nelle espressioni


noctu et die, interdiu et nocte un corrispettivo latino per l’ultima
parte del lemma greco, νύκτωρ καὶ ἡμέραν; di seguito adduce
degli esempi relativi, invece, all’accusativo di tempo continuato
e dunque connessi piuttosto al solo ἡμέραν. Degli avverbi
interdiu e noctu tratta anche nel libro XV, ma con un interesse
morfologico (GL III 73, 3- 4; 80, 22-23). Nessun altro gramma-
tico si occupa dell’accostamento di noctu e die o interdiu e nocte o
di altre combinazioni di questi e simili avverbi di tempo.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 683-684 e 1, 47- 48 sono
citati altre volte negli Atticismi, sempre quali esempi di accusati-
vo di tempo continuato (per il primo passo vd. 64, 16, in forma
più ampia, tu faciem … falle dolo; 83, 17; 99, 19; per il secondo
vd. 31, 14; 48, 9; 64, 15; 85, 11). Verg. Aen. 1, 683-684 è ri-
portato, con un taglio più breve, anche in Dosith. 90, 15-17
Tolkiehn οὐ πλέον μιᾶς νυκτός non amplius una nocte, Vergi-
lius contra ‘noctem … unam’, dove l’espressione all’accusativo è
presentata come alternativa a quella normalmente attesa all’abla-
tivo. Sull’impiego di Verg. Aen. 1, 47- 48 da parte di Prisciano e
altri grammatici vd. supra, p. 131.
PROBLEMI TESTUALI. La variante nocte(m) per nocte, recata da FJ
e come correzione da TR, si deve probabilmente all’assimilazio-
ne al successivo noctem non amplius unam, per errore o per un
deliberato tentativo di adeguamento del lemma alla citazione.

61, 6- 8 ἔχω con avverbio: bene se habere


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma latino – citazione greca
(Demosth. 19, 212 μηδενὶ … εὐσεβῶς ἔχειν) – citazione
latina (Ter. Phorm. 429).
LEMMA GRECO. Il vocabolo che all’interno della citazione di
Demosth. 19, 212 motiva la collocazione della voce in questo
punto della sequenza alfabetica del lessico doveva essere μηδενί;
l’attenzione di Prisciano si concentra tuttavia sul nesso di ἔχω
con l’avverbio (vd. LSJ s. v. ἔχω, B.II.2). Cfr. 89, 7-10.
LEMMA LATINO. Habeo col significato di sum è diffuso, al passi-
vo, a partire dal I secolo a. C. (vd. ThlL s. v. habeo [Bulhart], VI
2458, 83-2461, 27), mentre molto più raro e circoscritto al lati-
286 COMMENTO

no tardo è quest’uso delle forme riflessive e attive del verbo,


come nel lemma formulato da Prisciano (ibid. 2461, 28-55).
Quest’ultimo è però probabilmente solo un calco sintattico dal
greco. Da quel particolare impiego del verbo si distingue co-
munque quello riflessivo e intransitivo di «aliquo modo (se)
habere» (ibid. 2449, 68-2452, 63), molto più comune e attestato
anche nel passo di Terenzio citato dal nostro grammatico (Phorm.
429, con o senza se; sulla questione testuale vd. infra).
CITAZIONI LATINE. Il testo della citazione dal Phormio non
corrisponde puntualmente a nessun verso di questa né di altre
commedie di Terenzio, ma è confrontabile con Phorm. 429 bene
habent tibi principia (se habent p) e 479 sic habent principia sese ut
dico. Craig 1930, pp. 66- 67, ritiene che il passo citato sia Phorm.
429 e che il se aggiunto davanti a habent possa essere stato inter-
polato da qualche scriba nel corso della tradizione manoscritta
dell’Ars, giacché la sua presenza rende la citazione meno ade-
rente al lemma ‘Habere’ pro ‘esse’. Lo studioso non tiene conto
però del fatto che spesso i lemmi latini enunciati in astratto
negli Atticisimi divergono in varia misura dalle citazioni che li
accompagnano perché essi sono sovente plasmati sul lemma
greco di partenza piuttosto che ricavati empiricamente dai loci
classici addotti di seguito. Lo scarto tra il lemma ‘Habere’ pro
‘esse’ e la citazione terenziana nella forma bene tibi se habent prin-
cipia può rientrare nelle approssimazioni che è normale che un
grammatico tardoantico compisse. È dunque probabile l’ipotesi
di una citazione mnemonica imprecisa da parte di Prisciano,
forse influenzato dalla reminiscenza di Phorm. 479.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Demosth. 19, 22 Pri-
sciano omette νῦν dopo μηδενί come il codice A della tradizio-
ne diretta. L’avverbio poteva mancare già dal lessico fonte, ma
potrebbe anche essere caduto nella tradizione dell’Ars (per aplo-
grafia nella sequenza di lettere simili, ΜΗΔΕΝΙΝΥΝΥΜωΝ).

61, 9-10 μικρὸν ἢ μέγα: plus minusve


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino –
citazione latina (Ter. Andr. 213-214).
LEMMA GRECO. L’espressione μικρὸν ἢ μέγα, piuttosto comu-
61, 9-10 287

ne nel greco di età ellenistica e imperiale, occorre una sola vol-


ta, invece, nella letteratura attica di età classica, con la forma
σμικρόν: Plat. Pol. 287d1-3 ὅσαι γὰρ σμικρὸν ἢ μέγα τι
δημιουργοῦσι κατὰ πόλιν ὄργανον; cfr. inoltre Apol. 19d4-
5 φράζετε οὖν ἀλλήλοις εἰ πώποτε ἢ μικρὸν ἢ μέγα
ἤκουσέ τις ὑμῶν ἐμοῦ. Tuttavia né nel passo platonico né in
epoca posteriore la locuzione (σ)μικρὸν ἢ μέγα assume mai il
valore avverbiale di “più o meno” (plus minusve in latino): man-
tiene, infatti, il significato letterale di “(qualcosa di) piccolo o
grande” ed è per lo più affiancata da pronomi neutri (τι, αὐτό,
οὐδέν, μηδέν); lo stesso si osserva per la sequenza inversa μέγα
ἢ μικρόν. È dunque possibile che l’interpretazione semantica
del lemma greco sia un fraintendimento di Prisciano e che nella
sua fonte la locuzione venisse registrata per un altro motivo.
LEMMA LATINO. L’espressione plus minusve, sporadicamente
attestata a partire da Plaut. Capt. 995 e Ter. Phorm. 554 (vd.
ThlL s. v. multus [Buchwald], VIII 1615, 6-15), conosce una
maggiore diffusione nel latino tardo, soprattutto dei grammatici
(Sacerd. GL VI 468, 1; Char. 361, 16; Diom. GL I 459, 22; Ps.
Prob. inst. GL IV 154, 31; Don. mai. 669, 11; Ter. Andr. 69, 4;
Serv. Aen. 3, 445; GL IV 457, 4; Cledon. GL V 66, 25; Ps.
Mar. Victorin. GL VI 206, 6; Audax GL Suppl. 331, 16; Iul.
Tol. 207, 149; 208, 147; Beda orth. 156, 86 Jones). Prisciano
dunque potrebbe sia avere avuto in mente qualcuna delle rare
occorrenze di plus minusve nel latino letterario di età classica, sia
aver coniato questo lemma sulla base di un uso lessicale comune
in ambito grammaticale.
CITAZIONI LATINE. Ter. Andr. 214 non è citato altrove dal
nostro né da altri grammatici. La citazione, introdotta da huic
simile, è solo latamente pertinente al lemma di partenza in quan-
to, come in μικρὸν ἢ μέγα e plus minusve, anche in quo iure
quaque iniuria si susseguono due espressioni di significato oppo-
sto coordinate per polisindeto.
PROBLEMI TESTUALI. Christ 1862, p. 149, ritiene che si debba
correggere, nel lemma greco, il «solöken μέγαν» in μέγα. Effet-
tivamente l’espressione, pur contando su un numero complessivo
di attestazioni piuttosto esiguo, occorre comunque molto più
288 COMMENTO

spesso al neutro che al maschile (μικρὸν ἢ μέγαν solo in Etym.


M. 759, 34; Orig. fr. in Psalm. 39, 3; cfr. μέγαν ἢ μικρόν in
Galen. VIII p. 864, 17; 876, 8; XVIIIa p. 16, 12). Meno rile-
vante è, invece, che Prisciano abbia reso il lemma greco con il
neutro plus minusve, giacché un simile slittamento di genere e
significato nel passaggio da una lingua all’altra si verifica anche
in 37, 5- 6 (vd. supra, ad loc.). Il -ν alla fine di μέγα potrebbe
essere stato aggiunto per assimilazione al precedente μικρόν.

61, 11- 62, 2 μιμνήσκομαι con genitivo o accusativo:


memini con genitivo o accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (μνησθῆναι) – citazioni
greche (Hom. Il. 24, 486; Demosth. 6, 30) – citazioni latine
(Verg. Aen. 4, 335; ecl. 9, 45) – lemma latino secondario – citazio-
ni latine (Sall. Iug. 95, 2 + Catil. 5, 9; Verg. Aen. 10, 586-587).
CITAZIONI GRECHE. Hom. Il. 24, 486 è riportato anche in 9,
3: vd. supra, pp. 10-11. Demosth. 23, 202 è citato anche in Lex.
Coisl. μ 2, ma per l’uso transitivo di μνημονεύω. Questa oc-
correnza dell’esempio e quella negli Atticismi priscianei non
sembrano pertanto in relazione.
LEMMA LATINO. La sintassi di memini è trattata già in 8, 13; 26,
4; 28, 12 (vd. supra, p. 11). La corrispondenza di questo verbo
con μέμνημαι è attestata anche nei glossari bilingui (CGL II
128, 44; 367, 35; III 77, 30).
Il secondo lemma latino della voce, admoneo, è incluso anche
in diverse liste di idiomata casuum per la reggenza dell’accusativo
(Char. 384, 5-6 admoneo illum hanc rem; sim. Diom. GL I 314,
23; Idiom. cas. GL IV 568, 21-22) o del genitivo (App. Prob. 2,
36 Asperti-Passalacqua a‹dmo›neor amicorum; Explan. in Don. GL
IV 553, 13 admoneor beneficii; Oxford, Bodl. Library, Add. C
144, f. 78v admoneor beneficii admoneor gloriae) o dell’accusativo e
genitivo (Char. 385, 25-26 admoneo illum caedis et caedem; sim.
Diom. GL I 319, 8; Dosith. 88, 17 Tolkiehn; Beda orth. 9, 54
Jones). Come risulta dai passi citati, in questi testi, come in
Prisciano, l’alternativa che viene posta tra genitivo e accusativo
riguarda il caso in cui è espresso l’oggetto inanimato retto dal
verbo, mentre per l’oggetto animato è previsto solamente l’ac-
61, 11- 62, 2 289

cusativo. La costruzione con il genitivo della cosa è inoltre


registrata in Arus. 15, 2 Di Stefano.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 4, 335 e ecl. 9, 45 esemplificano
gli usi sintattici di memini anche in 8, 13-15; 26, 6- 8; 29, 3- 6:
vd. supra, pp. 11-12.
Il passo di Sallustio citato da Prisciano, che significativamen-
te ne ha lasciato incompleta l’indicazione di provenienza (Sal-
lustius in..., dove i codici TXEFIJQ suppliscono iugurthino), non
corrisponde precisamente ad alcun luogo delle opere dello sto-
rico latino, bensì sembrerebbe risultare dal ricordo confuso di
Iug. 95, 2 Sed quoniam nos tanti viri res admonuit e Catil. 5, 9
quoniam de moribus civitatis tempus admonuit.
Verg. Aen. 10, 586-587, che Prisciano considera evidente-
mente un esempio riferito al secondo costrutto lemmatizzato di
admoneo, con il doppio accusativo, costituisce in vero un’attesta-
zione del verbo con il solo accusativo della cosa, biiugos. Il passo
virgiliano è citato anche in Arus. 51, 21-22 Di Stefano, ma
sotto il lemma IN VERBERA PENDENT e con delle varianti ri-
spetto a Prisciano (vd. Di Stefano 2011, p. 142); non sembrano
dunque esservi elementi sufficienti per stabilire un rapporto tra
il nostro grammatico e Arusiano nell’utilizzo di questo esempio.
Più significativa è la sua presenza in Non. 242, 3-5, sotto il
lemma di taglio semantico Admonere, percutere.
PROBLEMI TESTUALI. La banalizzazione di Lucagus in Lucanus
in βO (emendata in TRO) deve essere stata compiuta da uno
o più copisti a causa della loro maggiore familiarità con il no-
me del poeta Lucano.
Nella citazione di Verg. Aen. 10, 586-587 la corruttela sibi
iugos di βM (sibi iugus in Y) potrebbe doversi all’intervento di
un copista semidoctus che, non comprendendo il termine biiugos
o erroneamente distinguendolo in due parole ha tentato di
correggere la vox nihili bi- in sibi.
Sulla variante μνήσεο per μνῆσαι, testimoniata da Prisciano
nella citazione di Hom. Il. 24, 486 nella voce in esame ma non
in 9, 3, vd. supra, p. 12.
290 COMMENTO

62, 3- 4 μονονουχί: modo non


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione latina
(Ter. Phorm. 67- 68).
LEMMA LATINO. L’espressione modo non è attestata col significato
di “quasi” (lett. “per poco non”), oltre che nel passo terenziano
citato da Prisciano, una sola volta in Virgilio (Aen. 9, 139) e
quindi, più frequentemente, in Valerio Massimo e Ammiano
(vd. ThlL s. v. modus [Pfligersdorffer], VIII 1303, 80-1304, 7).
CITAZIONE LATINA. Ter. Phorm. 68 è citato anche nel libro X
dell’Ars, ma a proposito del perfetto pellexi (GL II 497, 6-8). Il
luogo terenziano è confrontato con il greco μονονουχί anche
da Donato, che cita a questo riguardo Demosth. 1, 2 (è l’unica
menzione esplicita dell’oratore attico nel commento a Terenzio):
Ter. Phorm. 68, 2 MODO NON MONTES AURI P. proverbialis ὑπερ-
βολή facta per exceptionem aut per superlationem aut aequam collatio-
nem. eiusmodi est illud Demosthenis ‘μόνον οὐχὶ λέγει φωνὴν
ἀφιείς’. Se Prisciano aveva presente questo passo del commen-
to donatiano potrebbe essersene servito per individuare il corri-
spettivo latino del lemma presente nella sua fonte atticista.
PROBLEMI TESTUALI. Nella voce in esame Ter. Phorm. 68 è
riportato con la variante epistolam in luogo di epistulas della tra-
dizione diretta e di epistolas di GL II 497, 6- 8. È probabile che
si tratti di un errore di memoria del grammatico nel richiamare
l’esempio già utilizzato nel libro X (cfr. Craig 1930, pp. 65-66).
La variante ortografica epistolas è testimoniata anche da Donato
nel commento a Phorm. 67, 2, sia nel lemma sia nell’interpreta-
mentum (SENEM PER EPISTOLAS PELLEXIT ‘epistolas’ dicendo osten-
dit non semel scripsisse). Prisciano cita inoltre il luogo terenziano
con l’accusativo plurale in -es, montes, in luogo di montis, messo
a testo dagli editori terenziani.

62, 5-11 ellissi o pleonasmo di diverse parti del discorso


STRUTTURA DELLA VOCE. Osservazione teorica – citazione
greca (Pherecr. fr. 156, 6 K.-A. νῦν δὲ ἄρτι) – lemma latino –
citazione greca (Demosth. 19, 197 ξαίνει … πολλάς), con
glossa sintattica – citazioni latine (Ter. Eun. 270-271; 65), con
glossa sintattica. La voce risulta dall’unione di due lemmi del
62, 5-11 291

lessico fonte, νῦν ἄρτι e ξαίνω, ad opera di Prisciano sotto la


rubrica dell’ellissi o pleonasmo di parti del discorso. Del primo
lemma, che rappresenta un caso di pleonasmo, il grammatico
propone un corrispettivo latino semantico e sintattico insieme,
nunc nuper; al secondo lemma, che costituisce un esempio di
ellissi (‘Ξαίνει … πολλάς’, deest ‘πληγάς’), affianca, invece, dei
passi latini in base a un’affinità solamente sintattica.
LEMMA GRECO. Il secondo dei due lemmi qui raccolti costitui-
sce una citazione anepigrafa di Demosth. 19, 197, che è anche
citato a proposito dell’espressione πολλὰ κατὰ τινὸς ξαίνειν
(senza la specifica osservazione dell’ellissi) in Th. Mag. ecl. 128,
7-9, e sotto il lemma ξαίνω in Lex. Coisl. ξ 1 (in forma più
ampia: περριῤῥήξας … πολλάς); Th. Mag. ecl. 252, 17-19;
Schol. vet. Ar. Ach. 320a.
CITAZIONI GRECHE. Il fr. 156 K.-A. di Ferecrate è trasmesso in
forma più estesa in Stob. 4, 50b, 46.
LEMMA LATINO. Una trattazione complessiva del pleonasmo si
trova all’inizio del libro XVII (GL III 109, 17-110, 9); il feno-
meno è poi affrontato, in relazione a singole parti del discorso,
in successivi passi dello stesso libro (GL III 170, 26; 194, 5-9;
196, 8-9) e degli Atticismi (76, 4; 112, 2). Il termine pleonasmos
è tuttavia attestato, negli scritti di Prisciano, solo nella voce in
esame, mentre altrove il grammatico ricorre al latino abundantia
e ai suoi corradicali (vd. Schad 2007, pp. 6-7). Pleonasmos/-us è
usato, invece, da altri grammatici nell’esposizione dei vitia ora-
tionis (Char. 356, 32-357, 2; Diom. GL I 449, 18-21; Sacerd.
GL VI 454, 1-2; Don. mai. 658, 13-14; Pomp. GL V 294, 1-7).
Anche all’ellissi, fenomeno speculare al pleonasmo (GL III
110, 10-11 Contrariae similiter passiones per defectionem fiunt literae
et syllabae et dictionis et orationis), è dedicata una delle rubriche
introduttive del libro XVII (GL III 110, 20-111, 8). In generale
sull’ellissi di varie parti del discorso, designata anche come defec-
tio (vd. Schad 2007, pp. 112-113), Prisciano si sofferma anche
in libri precedenti a quelli di argomento sintattico (GL II 475,
23-24; 579, 9-13; 594, 11-14; III 33, 1; 62, 20-27; 84, 1- 4;
128, 8-129, 5; 148, 5; 174, 9-17; 207, 27-29; 212, 5-15; 228,
8-15; 230, 8-10; 239, 9-11; 247, 5-16; 253, 13-14). Negli Atti-
292 COMMENTO

cismi, una voce è interamente dedicata all’ellissi del verbo sum


(36, 1-14) e sotto altri lemmi si accenna all’ellissi di alcune pre-
posizioni (50, 13-15; 58, 13-15; 107, 12-13; vd. ad locc.). A
differenza di Prisciano, che anche in questo caso ha un approccio
descrittivo piuttosto che prescrittivo (cfr. Rosellini 2016, pp.
348-349), gli altri grammatici latini che trattano di questo feno-
meno linguistico lo collocano, come il pleonasmo, tra i vitia
orationis (Char. 357, 3-7; Diom. GL I 450, 19-24; Sacerd. GL
VI 454, 12-14; Don. mai. 659, 6-7; Pomp. GL V 294, 25-26).
CITAZIONI LATINE. Ter. Eun. 270-271 occorre anche nel libro
VIII (GL II 400, 7-9), a proposito della diatesi di impertio/-or.
Lo stesso esempio è impiegato per illustrare la costruzione di
impertio con l’accusativo della persona e l’ablativo della cosa in
Arus. 50, 1-3 Di Stefano Idem eun. ‘Plurima salute Parmenonem
summum impertit Gnato’. L’espressione è richiamata inoltre da
Donato forse per osservare, benché in termini diversi, lo stesso
uso sintattico rilevato nel passo da Prisciano: Don. Ter. Ad. 352,
2 SIMULO FUIT SUMMUS ‘summus’ an ad cognatum an ad amicum
refertur? an absolute, ut in Eunucho ‘plurima … Gnatho’?.
La citazione di Ter. Eun. 65, parimenti relativa all’ellissi, è
impiegata anche nel libro XVII, dove Prisciano ne fornisce una
parafrasi: GL III 111, 7- 8 deest enim unicuique constructio plenae
orationis: ‘egone illam digner adventu meo, quae illum praeposuit mihi,
quae me non suscepit heri?’. L’ellissi nel passo terenziano è rilevata
anche nei commenti di Donato ed Eugrafio (Don. Ter. Eun.
65, 1-2 EGONE ILLAM QUAE ILLUM familiaris ἔλλειψις irascenti-
bus; nam singula sic explentur: ‘egone illam’ non ulciscar, ‘quae illum’
recepit, ‘quae me’ exclusit, ‘quae non’ admisit. etenim ‹nec› necesse
habet nec potest complere orationem, qui et secum loquitur et dolore
vexatur. Nam amat ἀποσιωπήσεις nimia indignatio, su cui vd.
Jakobi 1996, pp. 114-117; Andr. 285, 1 figurae propriae Terentia-
nae, ἀσύνδετον et ἔλλειψις […]; ut est illud ‘egone illam q. i. q.
m.’; sim. Andr. 271, 1; Eugraph. Ter. Eun. 65). Lo stesso passo
viene infine citato con un interesse stilistico da Carisio, che vi
osserva un modo di esprimersi praecise (315, 7-10).
PROBLEMI TESTUALI. Arus. 50, 2-3 Di Stefano cita Ter. Eun.
270-271 con l’omissione di suum (non segnalata da Di Stefano
62, 12- 63, 2 293

2011; ma vd. Della Casa 1977, p. 159). Poiché Prisciano riporta


il passo terenziano in riferimento a un fenomeno linguistico (l’el-
lissi) diverso da quello cui lo connette Arusiano (la sintassi di
impertio), non è necessario trarre conclusioni circa la cronologia
relativa della genesi dell’errore in Arusiano o nella fonte comune
a questo e al nostro grammatico (cfr. supra, pp. LXII-LXIII).

62, 12- 63, 2 ὄζω con accusativo: oleo con accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Pherecr. fr. 97 K.-
A. ὄζει) – citazioni latine (Ter. Ad. 117; Iuv. 5, 87- 88).
LEMMA GRECO. In assenza di un lemma formulato in astratto e
a causa della corruttela, per ora insanabile, che sfigura la citazio-
ne di Ferecrate, non è possibile stabilire se questa voce del lessi-
co fonte vertesse sull’uso personale o impersonale di ὄζω, che
in entrambi i casi può costruirsi con il genitivo della cosa di cui
si odora e/o il neutro avverbiale (vd. LSJ s. v.).
CITAZIONI GRECHE. La forma e l’accentazione del titolo della
commedia di Ferecrate qui citata oscillano nelle fonti di tradi-
zione indiretta (Κραπάταλλοι; Κραπαταλλοί; Κραπάταλοι;
Κραπαταλοί). Kassel – Austin adottano la grafia Κραπάτα-
λοι; tuttavia Herodian. GG III.1 158, 16-24, l’unica fonte anti-
ca che tratti della forma di questo sostantivo, ne dà per scontata
la grafia con due λ (concordemente attestata anche dai codici
priscianei: vd. Rosellini 2014b, p. 563) e ne prescrive l’ossitonia.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di ὄζω e oleo è
attestata anche nei glossari bilingui (CGL II 138, 21; 379, 37 e
44) e in Idiom. cas. GL IV 572, 7- 8 oleo unguentum et unguento
ὄζω μύρου, πνέω μύρου, dove la costruzione di oleo con
l’accusativo è affiancata a quella di ὄζω con il genitivo, a rileva-
re la diversa sintassi del verbo latino rispetto a quello greco,
mentre Prisciano accosta il costrutto latino a quello analogo in
greco, ὄζει con il neutro avverbiale. La costruzione di oleo con
l’accusativo e, in alternativa, con l’ablativo è registrata anche in
altre raccolte di idiomata (Char. 383, 26; 386, 23; Diom. GL I
319, 11-15 oleo unguentum […], Ovidius autem vitiose hac re oleo,
con riferimento a Ov. met. 5, 405). La sola reggenza di oleo
solidamente documentata dall’età arcaica sino all’epoca tardoanti-
294 COMMENTO

ca è effettivamente quella dell’accusativo, mentre la costruzione


con l’ablativo conta solo sporadiche occorrenze a partire dall’età
augustea (vd. ThlL s. v. oleo [Kuhlmann], IX.2 543, 43-84).
CITAZIONI LATINE. Ter. Ad. 117 è citato, ma a proposito della
distinzione tra olo e oleo, anche in GL II 444, 21-23; 480, 9-10.
Lo stesso esempio illustra la costruzione di oleo con l’accusativo
anche in Diom. GL I 319, 13-14.
PROBLEMI TESTUALI. La corruttela ΤΑΝΑΜΗΔΥΝ in Pherecr.
fr. 97 K.-A. è oggetto di diverse proposte di emendazione, nes-
suna delle quali è accolta da Kassel – Austin né, nel testo di Pri-
sciano, da Hertz e Rosellini, che stampano la vox nihili dei ma-
noscritti tra cruces. Van Putschen e Krehl mettevano, invece, a
testo la congettura τἀμά· μή τί γ’ di Scaligero (p. 730). Rispetto
a quest’ultima e alle proposte alternative di Dobree (θαἰμάτιά
γ’) e Toeppel (τἀμά. :: μὰ Δί’), si può forse suggerire, se non
una nuova lettura dell’intera sequenza di lettere, almeno l’ipote-
si che -ΗΔΥ- rappresenti un ἡδύ in qualche modo coordinato
al successivo γλυκύ. Il nesso di ἡδύ e ὄζω è attestato con di-
screta frequenza (in commedia vd. Ar. Thesm. 254; Plut. 1020).
Nell’incipit del verso sia gli editori priscianei sia Kassel – Aus-
tin accolgono ωC ΤΟΙ dei manoscritti (ωC ΤΟΥ T; ΟC ΤΟΥ W).
Ὥς τοι si trova però, sia a inizio di verso che in posizione inter-
na, solo in poesia esametrica (a partire da Hom. Il. 4, 314; 4, 360;
7, 407; 16, 83; Od. 12, 38; 15, 112; 17, 76). Si potrebbe dunque
rivalutare la congettura ὥστ’ οὐ di Dobree (in Porson 1820, p.
128) e Cobet 1877, p. 174; questo nesso occorre, infatti, in com-
media, in sede iniziale sia di trimetro giambico (Ar. Eccl. 388;
Diphil. fr. 55, 3 K.-A.; cfr. Ar. Eccl. 650; Com. Adesp. fr. 859, 6
K.-A.) sia di tetrametro trocaico (Ar. Vesp. 384; cfr. fr. 581, 7
K.-A.) e ben si accorderebbe, nel frammento di Ferecrate, con la
presenza dell’avversativa ἀλλά nella seconda metà del verso.

63, 3-6 οἶδα con participio predicativo presente o aori-


sto o con accusativo e infinito presente o perfetto: video
con infinito
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca
(Xenoph. Mem. 4, 6, 6) – citazione latina (Ter. Ad. 827- 828).
63, 7-13 295

LEMMA LATINO. Il confronto tra il latino e l’uso greco dei verba


dicendi e sentiendi con l’infinito o il participio predicativo è tentato
sotto diversi lemmi degli Atticismi e con diversi esiti (per il par-
ticipio in accusativo cfr. 24, 6-11; 56, 13-47, 2; 78, 9-11; 94,
11-15; 96, 8-13; 110, 7-9; in nominativo 46, 11-15; 58, 1- 4; 82,
1-3; 112, 4-9; inoltre 18, 1- 8; 77, 1-10; 79, 1- 6; per l’infinito
semplice o l’accusativo e l’infinito cfr. 57, 5-9). Nella voce in
esame Prisciano propone un corrispettivo latino, video sapere ecc.,
soltanto della seconda parte del lemma greco (οἶδα con l’infini-
to), mentre tralascia la costruzione alternativa con il participio.
CITAZIONI LATINE. Ter. Ad. 827-828 è richiamato a proposito
della costruzione di video con l’infinito anche in GL III 225, 1-
5; Att. 112, 8-9. Altre volte, invece, lo stesso passo serve a illu-
strare l’espressione inter se (GL III 107, 20-21; 177, 19-178, 1;
Att. 20, 12). Sulle diverse forme assunte da questa citazione
nelle sue varie occorrenze nell’Ars vd. supra, pp. 78-79.
PROBLEMI TESTUALI. Xenoph. Mem. 4, 6, 6 è citato con la
variante ποιεῖν per ποιοῦντας, tuttavia il participio si trova
nella prima parte del lemma, del quale il passo senofonteo è
certamente la citazione protolemmatica. È possibile che in qual-
che fase della tradizione del lessico fonte il testo della citazione
sia stato erroneamente assimilato alla parte del lemma che più
da vicino lo precedeva, ‘οἶδά τινας ποιεῖν’ ἢ ‘πεποιηκέναι
τόδε’. D’altra parte la variante ποιεῖν è testimoniata anche da
Stob. 4, 4, 16 e dunque potrebbe essere stata anticamente pre-
sente già in alcune recensioni del testo di Senofonte.
Ancora nel passo dei Memorabilia Prisciano reca la congiunzio-
ne ἢ davanti a ἃ οἴονται, omessa nella tradizione diretta (Stobeo
ha εἰ οἴονται ποιεῖν ἐθέλοντας δεῖν), confermando così una
congettura di Sebastiano Castalio nell’edizione di Basilea 1548.

63, 7-13 ὀκνέω con accusativo: piget con accusativo e


genitivo
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Xenoph. Hell. 4,
4, 16 ὤκνουν) – lemma latino – lemmi latini secondari, con
osservazione aggiuntiva – citazioni latine (Ter. Ad. 753-754;
Phorm. 644) – citazione greca (Demosth. 18, 197).
296 COMMENTO

LEMMA GRECO. L’uso di ὀκνέω ricavabile dai due esempi greci


di questa voce, con il solo accusativo, è ignota a LSJ (s. v. ὀκ-
νέω), che conoscono soltanto il nesso con l’accusativo e l’infinito.
CITAZIONI GRECHE. Il secondo esempio greco della voce,
Demosth. 18, 197, è citato in forma anonima e collocato in
modo inusuale al termine della voce, separato dalla prima cita-
zione greca per mezzo del lemma latino e degli esempi a esso
relativi. La citazione demostenica è comunque del tutto perti-
nente al lemma di partenza e soprattutto è tratta da un testo che
certamente Prisciano non conosceva per via diretta, sicché è
indubbio che provenga anch’essa dal lessico atticista (per un
caso simile cfr. 39, 11- 40, 6, con commento ad loc.).
LEMMA LATINO. L’equivalenza semantica di piget e ὀκνέω è
postulata anche nei glossari bilingui, nei quali è sempre espresso
accanto al verbo impersonale latino l’accusativo della persona
corrispondente alla forma coniugata del verbo greco (CGL II
150, 32 e 34 e 50; cfr. II 381, 37). I due verbi sono inoltre
accostati in Idiom. cas. GL IV 566, 6-7 piget me profectionis ὀκνῶ
τὴν ἀποδημίαν, ὀκνῶ ἀποδημῆσαι, dove a ὀκνέω si assegna
la reggenza dell’accusativo semplice, come negli Atticismi; Pri-
sciano però, oltre a descrivere la costruzione di piget con l’accu-
sativo e il genitivo, ne richiama anche quella con il solo accusa-
tivo (neutro; si tratta in vero di un nominativo, cioè, in termini
moderni, dell’uso personale del verbo), individuando così un
punto di contatto sintattico tra le due lingue.
Prisciano tratta della sintassi dei verbi cosiddetti assolutamen-
te impersonali anche in 43, 17-18; 44, 4-17, e in precedenti
sezioni dell’Ars. Sull’uso impersonale di pudet e le discussioni
complessive dei cinque verbi assolutamente impersonali vd.
supra, pp. 194-197. La costruzione di piget con il genitivo e
l’accusativo è descritta in Prisc. GL III 158, 30-31; 230, 24-25;
Char. 382, 2 e 8; Diom. GL I 311, 18; Explan. in Don. GL IV
553, 21-22; Idiom. cas. GL IV 566, 6-7; Dosith. 86, 5 Tolkiehn;
Oxford, Bodl. Libr., Add. C 144, f. 79v piget me laboris; con il
solo accusativo della persona in Char. 331, 13; 334, 3; Diom.
GL I 314, 24; App. Prob. 2, 81 Asperti-Passalacqua; Explan. in
Don. GL IV 556, 23; Cledon. GL V 61, 14-15; Mar. Victorin.
63, 7-13 297

GL VI 200, 9-12; Phoc. 64, 10-11 Casaceli; con il solo geniti-


vo della cosa in App. Prob. 2, 20 Asperti-Passalacqua; Explan. in
Don. GL IV 556, 10; Consent. GL V 385, 2; Arus. 80, 11 Di
Stefano. Piget è inoltre incluso in liste di verbi impersonali, di
cui non si esplicita la reggenza, in Prisc. GL II 432, 12; part. 87,
10 Passalacqua, dove si ammette anche l’esistenza del verbo
personale pigeo; Char. 476, 15; Ps. Prob. inst. GL IV 186, 30;
Explan. in Don. GL IV 554, 14; Sacerd. GL VI 429, 23-25; Ars
Bob. 48, 13-15 De Nonno; Frg. Bob. verb. 44, 15-20 Passalac-
qua; 47, 21-25; Consent. GL V 372, 3-5. La costruzione di
piget con l’accusativo della cosa (neutro), cioè l’uso personale
del verbo, è postulato altrove solo in Arus. 80, 12 Di Stefano
PIGET ILLUD. Quest’uso del verbo risulta effettivamente molto
raro e per lo più circoscritto ad alcune occorrenze nel teatro
arcaico con un pronome neutro come soggetto (vd. ThlL s. v.
piget [Erwin], X.1 2113, 70-2114, 3) e, con sostantivi o prono-
mi maschili o femminili come soggetti, nel latino tardo (ibid.
2114, 3-34, dove spesso si ha un ipotesto greco con ὀκνέω).
All’uso impersonale di miseret Prisciano accenna anche in
GL III 148, 3-5 e 14; 158, 30-31; 230, 6-10 e 24-25; 232,
23-233, 3; Att. 63, 9-10. La costruzione di miseret con l’accu-
sativo e il genitivo è registrata anche in Arus. 65, 15-16 Di
Stefano; Char. 382, 1; Diom. GL I 311, 18; Dosith. 86, 6
Tolkiehn; Oxford. Bodl. Libr., Add. C 144, ff. 79v- 80r miseret
me illius; Beda orth. 33, 656 Jones.
La costruzione di pudet con l’accusativo è ricordata da Pri-
sciano anche in GL III 230, 27-231, 5 Terentius tamen novo more
in adelphis secundum Graecos dixit: ‘quem neque pudet / quicquam’.
idem in eodem: ‘ei mihi, / non te haec pudent?’ (vd. ThlL s. v. pudet
[Grossardt], X.2 2475, 71-2476, 26). Nella voce in esame, dove
questo costrutto è descritto come accusativis solis, il grammatico
sembra trascurare che almeno nella prima delle due citazioni,
Ter. Ad. 753-754, il verbo ha certamente una costruzione per-
sonale (haec pudent) e dunque non regge due accusativi. Simili
imprecisioni nella distinzione tra costruzione personale e imper-
sonale di un verbo si riscontrano anche in altri luoghi dell’Ars
(ad es. GL III 225, 10-19; vd. pp. LIX-LXI; 261-262).
298 COMMENTO

CITAZIONI LATINE. Ter. Phorm. 644 è citato, a proposito della


sintassi di pudet, anche in 44, 13. Ter. Ad. 753-754 occorre an-
che in GL III 231, 3-5 e, in forma più breve (non … pudent?), in
Arus. 79, 9 Di Stefano PUDET ILLUD. Vd. anche supra, p. 197.
PROBLEMI TESTUALI. In Xenoph. Hell. 4, 4, 16 Prisciano atte-
sta le varianti μὲν per μέντοι e ὤκνουν per ἐδεδίεσαν della
tradizione diretta. La seconda, poiché proprio la forma ὤκνουν
motiva la presenza della citazione in questa voce, doveva essere
già nel testo senofonteo cui attinse l’estensore del lessico fonte
ed è pertanto certamente una lezione di grande antichità.
Demosth. 18, 197 è citato con la variante ‹ἴ›διον οὐδὲ ὀκνή-
σα[σα]ς per ὀκνήσας ἴδιον della tradizione diretta e di Schol.
Hermog. RhG IV 633, 10-11; RhG VII 520, 6-7. L’aggiunta di
οὐδέ dopo ἴδιον farebbe del passo demostenico un esempio di
doppia negazione (οὐδένα κίνδυνον … οὐδὲ ὀκνήσα[σα]ς),
un fenomeno al quale sono specificamente dedicate alcune voci
degli Atticismi (71, 14-72, 2; 73, 16-75, 3; 75, 7-76, 16).

63, 14-64, 2 θαρρέω con accusativo o dativo: (con)fido


con accusativo o dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (θαρρῶ) – Similiter
nostri – citazioni latine (Stat. Theb. 2, 573; Iuv. 7, 139-140;
Verg. Aen. 11, 350-351; 9, 378). La voce rappresenta una ver-
sione alternativa, extra ordinem perché si trova tra i lemmi in ο-,
delle due correttamente collocate nella sequenza alfabetica in
51, 6-13 (vd. supra, pp. 228-229). Il motivo per il quale è stata
qui trascritta potrebbe essere che θαρρέω è il contrario, per
significato, di ὀκνέω, lemma della voce precedente e corri-
sponde a ὀκνέω preceduto da negazione, quale si trova nel
passo citato in forma anonima (= Demosth. 18, 197 οὐδὲ
ὀκνήσα[σα]ς) alla fine di quella voce (63, 12-13). L’attenzio-
ne di Prisciano per la litote si osserva anche nella resa latina
dei lemmi greci anche in di altre voci degli Atticismi (26, 4- 8;
28, 5-7: vd. ad locc.).
LEMMA LATINO. L’uso dell’espressione similiter nostri nel con-
fronto tra le due lingue sembrerebbe implicare che il lemma
latino abbia delle reggenze identiche a quelle di θαρρέω e in
63, 14- 64, 2 299

effetti si presentano degli esempi di confido con l’accusativo e


fido con il dativo. Non si può però escludere che Prisciano
avesse in mente anche la costruzione di fido con l’ablativo (già
trattata in 51, 10-14): egli riporta, infatti, un esempio certamen-
te relativo alla reggenza dell’accusativo (Stat. Theb. 2, 573 confi-
sus avos), quindi Iuv. 7, 139-140 (fidimus eloquio) e infine due
passi virgiliani (Aen. 11, 350-351 fugae fidens; 9, 378 fidere nocti).
Gli ultimi tre esempi sono tutti apparentemente riferiti alla
costruzione con il dativo, tuttavia le due citazioni dell’Eneide
sono introdotte dalle parole Vergilius etiam dativo coniunxit, che
sembrano escludere la reggenza del dativo nel passo di Giove-
nale immediatamente precedente (così intende anche Bauer in
ThlL s. v. fido, VI.1 696, 55-56; sulla frequente impossibilità di
stabilire se il sostantivo o pronome retto da fido sia in dativo o
ablativo vd. ibid. 696, 28-59). A sostegno di questa ipotesi si
confronti 31, 11 Idem etiam dativo adiunxit in I Aeneidos, dove
questa frase segna il passaggio dagli esempi relativi all’uso di
insto con l’accusativo a quelli con il dativo e dove è indubbio
che etiam si debba connettere a dativo e non al soggetto della
frase (cfr. anche GL III 219, 5- 6 ‘fidus’, cuius tamen superlativum
etiam genetivo adiunxit Vergilius in XII). Se, come sembra oppor-
tuno, si interpreta in modo analogo Vergilius etiam dativo coniun-
xit in 63, 17, si può concludere che Iuv. 7, 139-140 fosse inteso
da Prisciano come esempio di costruzione di fido con l’ablativo.
La voce in esame raccoglierebbe pertanto tutte le tre reggenze
di (con)fido distribuite in due voci separate in 51, 6-13. Sulla
sintassi di (con)fido e il suo trattamento nella tradizione gramma-
ticale latina vd. supra, pp. 230-231.
CITAZIONI LATINE. Stat. Theb. 2, 573 e Verg. Aen. 11, 350-
351 occorrono rispettivamente anche in 51, 8 e 10-12, ancora a
proposito delle diverse costruzioni di (con)fido (vd. supra, ad
locc.). La reggenza del dativo in Verg. Aen. 9, 378 è notata an-
che da Serv. Aen. 1, 452 CONFIDERE (et) fido et confido dativum
regit, ut ‘et fidere nocti’; sim. 7, 290.
PROBLEMI TESTUALI. Stat. Theb. 2, 573, correttamente intro-
dotto in 51, 8 con Statius in II Thebaidos, nella voce in esame è
privo, invece, dell’indicazione del libro di provenienza: Statius
300 COMMENTO

in … Thebaidos (il numerale II è supplito dal solo codice J).


L’assenza del numerale nella voce in esame potrebbe costituire
un ulteriore elemento a sostegno dell’ipotesi che essa rappre-
senti un meno avanzato stadio di elaborazione del lemma
θαρρέω da parte di Prisciano rispetto alle due voci in 51, 6-13
(vd. pp. 228-229). La mancanza del numerale in questo luogo
del lessico si può spiegare, infatti, come la ‘fotografia’ di una
fase provvisoria di elaborazione di questo lemma, per il quale
Prisciano sarebbe poi riuscito a integrare il numero del libro
della Tebaide, indicato nella versione definitiva (o comunque
più progredita) della voce, che fu trascritta secondo l’ordine
alfabetico tra i lemmi in θ-. La maggiore estensione della cita-
zione in 51, 8-9 (Martisque e semine Theron / terrigenas confisus
avos) rispetto a 63, 15 (terrigenas confisus avos) non si deve a un
ulteriore taglio del passo nella sua seconda occorrenza, bensì al
suo ampliamento nella prima (ma seconda in ordine cronolo-
gico), compiuto una volta che Prisciano fu in grado di recupe-
rare il contesto di origine del sintagma staziano, che egli poteva
aver in un primo momento citato solo a memoria. Sull’omis-
sione del numerale nelle indicazioni di provenienza delle cita-
zioni vd. supra, p. LV.

64, 3-12 ὀλίγον o ὀλίγῳ πρότερον: ante paulum o paulo ante


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino – lem-
ma latino secondario – citazioni greche (Plat. Men. 79a3- 4; Isocr.
Paneg. 66) – citazione latina (Cic. Catil. 1, 21) – lemma greco
secondario – citazione greca (Plat. Euthyd. 272e4-5) – citazione
latina (Hor. sat. 1, 2, 120). L’articolazione della voce, con un
primo lemma greco e latino, seguito da esempi, e un lemma
greco secondario, anch’esso seguito da esempi greci e latini,
suggerisce che nella fonte di Prisciano non necessariamente le
due coppie ὀλίγον/ὀλίγῳ πρότερον e ὀλίγῳ/ὀλίγον ὕστερον
facessero parte di un unico lemma, bensì che potessero essere
presentate come due lemmi consecutivi, che il nostro gramma-
tico ha accostato in una sola voce per mezzo dell’avverbio simi-
liter pur senza troppo alterarne la disposizione originaria. Giac-
ché anche il secondo lemma è corredato dalla citazione di un
64, 13-18 301

autore attico (Plat. Euthyd. 272e4-5), si può, invece, escludere


che esso sia stato formulato ex novo dallo stesso Prisciano.
LEMMA LATINO. Il nesso paulo ante è registrato anche da Cari-
sio, che lo considera l’alternativa a paulo prius propria dell’uso
corrente (278, 3- 4 Paulo prius Afranius in Emancipato [...]. nos
paulo ante dicimus). Le ulteriori tre espressioni latine lemmatizza-
te da Prisciano, ante paulum, post paulum e paulo post, non sono
discusse da altri grammatici. Ante paulum e post paulum, nelle
quali l’aggettivo neutro ha funzione di sostantivo, sono assai più
rari nel latino letterario di paulo ante e paulo post (comunemente
in uso a partire dall’età arcaica), nei quali l’ablativo ha funzione
avverbiale (vd. ThlL s. v. paulus [Reineke], X.1 832, 58- 833,
23; 834, 41-52). In particolare ante paulum è attestato solo nel
passo priscianeo in esame e in CGL III 426, 15.
CITAZIONI LATINE. Nessuno dei due esempi latini di questa
voce conosce altre occorrenze in ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. In Isocr. Paneg. 66 Prisciano si accorda in
lezione superiore con i testimoni p84Γθ della tradizione contro
ΘΛΠNSλ, che aggiungono διῆλθον dopo πρότερον, semplifi-
cando la sintassi del passo (vd. Fassino 2014, p. 279). Il grammati-
co attesta inoltre, in accordo con ΓΛθλ, la lezione ἐπὶ δέ, rite-
nuta dagli editori di Isocrate superiore a περὶ δέ di p84ΘΠNS.
Prisciano riporta Hor. sat. 1, 2, 120 con le lezioni paulum
per paulo e multo per pluris. È possibile che le due varianti si
debbano a una citazione mnemonica imprecisa, come suggeri-
rebbe anche l’assenza del titolo dell’opera di provenienza (cfr.
De Nonno 1998, p. 37). Vollmer 1907, p. 283 n. 42, ipotizza la
contaminazione di due diversi passi oraziani, ma non precisa
quale sarebbe il secondo.

64, 13-18 accusativo di tempo continuato


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ὀλίγας ἡμέρας),
con glossa sintattica – citazione greca (Ar. fr. 133 K.-A.) – cita-
zioni latine (Verg. Aen. 1, 47-48; 1, 683- 684; 3, 203-204).
LEMMA GRECO. Il senso del lemma non è del tutto chiaro: la
glossa pro ‘ἐν ὀλίγαις ἡμέραις’ sembrerebbe indicare che l’ac-
cusativo ὀλίγας ἡμέρας può fungere da complemento di tem-
302 COMMENTO

po determinato, ma è difficile verificare questa ipotesi giacché


un guasto testuale impedisce la piena comprensione della cita-
zione protolemmatica, Ar. fr. 133 K.-A. (vd. infra). In generale
l’uso dell’accusativo semplice nell’espressione del complemento
di tempo in alternativa ad altri casi o a sintagmi preposizionali è
oggetto anche di altre voci del lessico (31, 13; 60, 17; 78, 6; 85,
4; 99, 16; 106, 3; vd. ad locc.); nella maggior parte dei casi, co-
me nella voce in esame, Prisciano confronta quest’uso sintattico
greco con l’accusativo di tempo continuato in latino.
LEMMA LATINO. Per la trattazione dell’accusativo di tempo in
Prisciano e altri grammatici vd. supra, p. 131.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 47- 48 e 1, 683- 684 sono
anche citati, in relazione all’accusativo di tempo continuato,
rispettivamente in 31, 14 e 61, 3; vd. supra, ad locc. Verg. Aen.
3, 203-204 occorre anche in GL II 359, 9-11, ma riguardo
all’accusativo in -is (con la variante tris per tres), e in Frg. Bob.
nom. 8, 6 Passalaqua, a proposito della flessione di sol. Più inte-
ressante è il confronto con Non. 502, 15-17, dove lo stesso
passo funge da esempio di Accusativus pro dativo (sebbene attesti
più propriamente l’uso dell’accusativo invece dell’ablativo).
PROBLEMI TESTUALI. Il fr. 133 di Aristofane è stampato da
Kassel – Austin con le congetture ἕπηι μοι di Hanow 1830, p.
40, e νὴ Δί’ di Scaligero (p. 731) per il tràdito ΗΓΗΙΜΟΥΗΔΗ.
Sia la correzione di Hanow sia quella alternativa proposta da
Hermann 1829, p. 1216, ἐγήμω, presuppongono uno scambio
Ε > Η, che è molto raro a livello dell’archetipo α (vd. Rosellini
2014a, p. 353; 2015a, pp. XXXVII e XCVI). D’altra parte qualsia-
si tentativo di correzione del testo deve necessariamente ripristi-
nare una sillaba breve dopo οὐκ, quale è richiesta dal metro.

65, 1-3 ὀλίγου εἰς χιλίους: paulo minus mille


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con glossa sintattica
– lemma latino – citazione greca (Thuc. 4, 124, 1).
LEMMA GRECO. L’espressione greca cui è dedicata questa voce
costituisce in vero un’attestazione del lemma successivo, relati-
vo alla locuzione ὀλίγου δεῖ(ν) con verbo espresso o sottinteso
(vd. LSJ s. v. ὀλίγος, IV.1). Oltre al passo tucidideo citato negli
65, 4- 6 303

Atticismi non si conoscono altre occorrenze del nesso ὀλίγου


εἰς col significato di “quasi”, mentre è frequente l’uso di εἰς
con un numerale per indicare approssimazione (“fino a”, “pres-
sappoco”, “circa”; vd. LSJ s. v. εἰς, III.2).
LEMMA LATINO. L’espressione paulo minus mille è notevole da
un punto di vista sintattico per la giustapposizione del secondo
termine di paragone mille al comparativo senza quam, attestata
quasi esclusivamente nel latino tardo dei cristiani, per lo più con
un ipotesto greco in cui paulo minus corrisponde a ὀλίγου/μι-
κροῦ δεῖν, παρ’ ὀλίγον/μικρόν (vd. ThlL s. v. parvus [Gatti],
X.1 579, 82-580, 16; cfr. CGL II 371, 44 Μικρουδειν paulus
minus). In modo del tutto analogo Prisciano ha tradotto il lem-
ma greco della voce in esame. Il medesimo uso sintattico è atte-
stato anche in un altro lemma del lessico: 83, 8-10 Attici ‘πλείω
ἡμέρας τρεῖς’ […]. Nos quoque ‘plus tres dies’ (vd. ad loc.).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Thuc. 4, 124, 1 la
sostituzione di σύν a ξύν e di εἰς a ἐς è un tratto di aggiorna-
mento linguistico. Prisciano attesta inoltre, in accordo con il
solo terzo correttore del codice Pi della tradizione diretta (Par.
gr. 1638, XV sec.), la variante ὀλίγου, ritenuta dagli editori di
Tucidide (Hude, Stuart Jones – Powell, Alberti) superiore a
ὀλίγῳ dei restanti testimoni diretti. Il genitivo, infatti, che in
Prisciano è garantito perché si trova anche nel lemma della
voce, sta per ὀλίγου δεῖ o δεῖν (vd. supra), sicché la variante
ὀλίγῳ è inaccettabile per la sintassi.

65, 4- 6 ὀλίγου δεῖ o δεῖν o ὀλίγου: paucis


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con glosse sintattiche
– citazione latina (Ter. Andr. 28-29).
LEMMA GRECO. Il luogo classico dal quale più probabilmente
può essere stata desunta la seconda parte del lemma greco di
questa voce (ὀλίγου ἐπελαθόμην ... εἰπεῖν) è Plat. Resp. 563-
b7-9 ἐν γυναιξὶ δὲ πρὸς ἄνδρας καὶ ἀνδράσι πρὸς γυναῖ-
κας ὅση ἡ ἰσονομία καὶ ἐλευθερία γίγνεται, ὀλίγου ἐπελα-
θόμεθ’ εἰπεῖν. Nel passaggio dalla citazione al lemma il verbo
principale avrebbe potuto facilmente essere ricondotto dalla pri-
ma persona plurale a quella singolare, secondo un procedimento
304 COMMENTO

che si osserva anche in altre voci del lessico (vd. supra, p. XLV), e
la proposizione interrogativa indiretta ἐν γυναιξὶ … γίγνεται
avrebbe potuto essere riassunta in ὃ ἐβουλόμην εἰπεῖν, con
una lieve alterazione della sintassi rispetto al passo originale, nel
quale εἰπεῖν dipende invece da ἐπελαθόμεθ’. Menchelli 2014,
pp. 209-210 e n. 18 e p. 228, chiama il confronto anche di altre
occorrenze in Platone dell’aoristo medio di λανθάνω (non atte-
stato in altri autori) in nesso con ὀλίγου (Apol. 17a2-3 ὀλίγου
ἐμαυτοῦ ἐπελαθόμην; Theaet. 180d7-9 ὀλίγου δὲ ἐπελαθό-
μην [...] ὅτι ἄλλοι [...] ἀπεφήναντο). Si può, invece, esclude-
re un collegamento tra la voce degli Atticismi e il quarto passo
addotto dalla studiosa, Prot. 310c4-5 ὑπό τινος ἄλλου ἐπελα-
θόμην, dal cui contesto è assente proprio il lemma ὀλίγου.
Una struttura sintattica identica a quella della voce in esame
è lemmatizzata in 86, 5 Πολλοῦ γε δεῖ (vd. ad loc.).
LEMMA LATINO. Ὀλίγου δεῖ(ν) significa “quasi” (vd. LSJ s. v.
ὀλίγος, IV.1); il lemma latino che Prisciano gli affianca, l’abla-
tivo neutro plurale paucis col valore di “in breve”, “in poche
parole” (vd. ThlL s. v. paucus [Gatti], X.1 802, 10-44), gli corri-
sponde dunque solamente in quanto si tratta ancora dell’uso
quasi avverbiale di una forma della flessione dell’aggettivo “po-
co” (per l’equivalenza semantica di ὀλίγος e paucus cfr. CGL II
143, 50; 381, 52; III 415, 18).
CITAZIONI LATINE. Ter. Andr. 28-29 è riportato anche in GL
III 119, 5-7, a proposito della giustapposizione di un pronome
dimostrativo e uno di prima o seconda persona (vos istaec) e con
un diverso taglio della citazione (vos ... adesdum); part. 111, 20-
22 Passalacqua, per illustrare il valore di coniunctio repletiva di
dum (cfr. metr. Ter. 24, 23 Passalacqua). Il particolare uso di
paucis nel passo terenziano è rilevato anche da Don. ad loc. § 2
PAUCIS deest ‘colloqui’ aut ‘verbis’. et figura σύλλημψις.

65, 7-9 νικάω con accusativo di relazione o dativo di limi-


tazione: accusativo di relazione o ablativo di limitazione
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (Ὀλύμπια, Ὀλυμπίοις)
– citazioni latine (Iuv. 6, 388; Ter. Eun. 133; Hor. ars 414-415).
LEMMA GRECO. L’espressione lemmatizzata non si trova in que-
65, 7-9 305

sta forma in alcun testo conservato; si potrebbe però confrontare


con Thuc. 5, 49, 1 Ὀλύμπια δ’ ἐγένετο τοῦ θέρους τούτου,
οἷς Ἀνδροσθένης Ἀρκὰς παγκράτιον τὸ πρῶτον ἐνίκα.
LEMMA LATINO. In assenza di più esplicite indicazioni, risulta
piuttosto difficile dedurre dai soli esempi proposti in questa
voce, quale fenomeno sintattico latino il grammatico volesse
affiancare al lemma greco. Rosellini 2015a, p. CXXVII n. 138 e
in apparato a 65, 9, suggerisce che il tratto unificante che Pri-
sciano scorgeva nei tre passi latini (Iuv. 6, 388; Ter. Eun. 133;
Hor. ars 414- 415) fosse una certa brachilogia della costruzione
(“vincere le Olimpiadi” per “vincere una gara alle Olimpiadi”).
Questa interpretazione sarebbe sostenuta, per quanto riguarda
Ter. Eun. 133, dal confronto con Don. ad loc. § 1 (vd. infra).
Tale spiegazione implica tuttavia che Prisciano ritenesse in
qualche misura ellittica anche la costruzione attestata nel lemma
greco, ma non è chiaro quale elemento della frase dovesse es-
servi sottinteso dal suo punto di vista. Un’altra ipotesi è che egli
abbia cercato degli equivalenti latini dell’alternativa, descritta
nel lemma greco, tra accusativo (complemento oggetto) e dati-
vo (di limitazione) individuandoli in tre espressioni, costruite
con verbi diversi ma che comunque veicolano una nozione di
eccellenza o competenza in una data attività: le prime due con-
tengono una forma interpretabile come ablativo di limitazione
(fidibus), corrispondente al greco Ὀλυμπίοις, la terza un accu-
sativo di relazione (Pythia), da accostare a Ὀλύμπια. Per l’ac-
cusativo il confronto tra le due locuzioni poteva essere favorito
dal fatto che entrambe sono riferite ad agoni (sportivi nel lem-
ma greco, poetici in Hor. ars 414-415).
CITAZIONI LATINE. L’interpretazione sintattica dei passi latini
citati da Prisciano da parte degli esegeti moderni non è univoca.
L’uso di promitto con l’ablativo non è altrimenti noto (cfr. ThlL
s. v. promitto [Delhey], X.2 1867, 12; 1870, 63-1871, 37). Molti
interpreti ritengono che in Iuv. 6, 338 promittere abbia lo stesso
complemento oggetto del verbo precedente (6, 386-388 et farre
et vino Ianum Vestamque rogabat, / an Capitolinam deberet Pollio
quercum / sperare et fidibus promittere); in questo caso fidibus sareb-
be un dativo di termine (così Duff 1970, p. 233; Courtney
306 COMMENTO

1980, p. 312). L’ipotesi alternativa è che fidibus sia un ablativo,


di mezzo o di limitazione, a indicare lo strumento con il quale
il citaredo Pollione dovrebbe promettere di aggiudicarsi la co-
rona capitolina (vd. Friedländer 1895, p. 329; nessuna osserva-
zione sulla sintassi del passo in Nadeau 2011).
Ter. Eun. 133 è citato anche in Arus. 93, 16-17 Di Stefano
SCIT HIS REBUS. Ter. eun. ‘Videt honestam virginem et fidibus scire’,
dove si oppone l’uso di scio con l’ablativo a quello con l’accusa-
tivo (93, 14-15). Donato osserva, invece, nel passo un’espres-
sione ellittica: ad loc. § 1 ET FIDIBUS SCIRE vetusta ἔλλειψις (cfr.
Jakobi 1996, p. 115). L’idea del commentatore antico, che però
non spiega quale parte del discorso fosse omessa accanto a fidi-
bus scire, è seguita dalla maggior parte degli interpreti moderni
(vd. Brothers 2000, p. 167; Barsby 1999, p. 110; Di Stefano
2011, p. 166). Il luogo dell’Eunuchus costituisce anche l’unica
attestazione di scio con l’ablativo di limitazione nota a Forcellini,
il quale parimenti la intende come un esempio di ellissi (s. v.
scio, 7: «Scire fidibus (subaudi canere) est; saper sonare»). Klee (ThlL
s. v. 2. fides, VI 693, 16-27) si limita, invece, a osservare il fre-
quente nesso dell’ablativo (strumentale) fidibus sia con cano e
suoi composti o sinonimi sia con altri verbi, tra i quali scio (Ter.
Eun. 133; Sol. 9, 14 plurimos qui fidibus sciebant, dum vivit, in
usum oblectamenti donis tenuit liberalibus). Se Prisciano aderiva a
un’interpretazione affine a quella di Donato, avrebbe potuto
sottintendere accanto a scire un verbo che reggesse fidibus (ad es.
uti o canere); lo stesso potrebbe aver pensato per fidibus promittere
di Giovenale. Nell’ipotesi alternativa che Prisciano (come Arusia-
no) considerasse Ter. Eun. 133 un’attestazione di scio con l’ablati-
vo (di limitazione?) si potrebbero, invece, confrontare le espres-
sioni fidibus discere (Cic. Cato 26), docere (Cic. fam. 9, 22, 3) e
callere (Apul. flor. 17, 14). L’idea che fidibus dipenda direttamente
da scire sembra accolta anche da Eugrafio, la cui spiegazione del
passo ha tuttavia l’aria di essere un autoschediasma: Ter. Eun.
127 virginem venumdederit et speciosam ac peritam artis, quod fidibus
sciret (cfr. 457 FIDICINA quae fidibus scit, hoc est citharam novit).
In Hor. ars 414- 415 Pythia può essere il complemento og-
getto di cantat (vd. Rudd 1989, p. 218; ThlL s. v. canto [Pö-
65, 10- 66, 6 307

schel], III 289, 77-78), come già indicato in Schol. Hor. ars 414
Qui Pythia c.] Carmen in Pythonem draconem conpositum ab Apolli-
ne, oppure un accusativo di relazione, riferito non ai canti bensì
alle gare pitiche (vd. Rostagni 1930, p. 119; Brink 1971, p.
398; Fedeli 1997, II.4, p. 1597). Questa seconda spiegazione
pone tuttavia qualche difficoltà sintattica, giacché canto non è
altrimenti attestato con l’accusativo di relazione (in alternativa
Brink ha congetturato l’emendazione di cantat in certat, accolta
da Shackleton Bailey). Fedeli 1997, II.4, p. 1597, chiama il
confronto di Hor. epist. 1, 1, 50 magna coronari … Olympia e di
Enn. ann. 374 vicit Olympia, calco del greco (τὰ) Ὀλύμπια
νικᾶν (proprio il lemma di partenza della voce priscianea! Vd.
anche Brink 1971, pp. 398-399). Il luogo delle epistulae di Ora-
zio è peraltro citato dallo stesso Prisciano in 95, 2-3, a proposito
di coronor (vd. ad loc.). Il frammento di Ennio, invece, difficil-
mente sarà stato noto al grammatico (vd. Rosellini 2015a, p.
CXXVII n. 38; 2015b). Sul calco enniano vd. Hofmann – Szan-
tyr, pp. 39- 40; in generale sull’«Akkusativ des Inhalts» vd. C. F.
W. Müller 1908, pp. 4-55; Löfstedt 1956, I, pp. 259-260.
PROBLEMI TESTUALI. Le parole Horatius … tibicen si conservano
nel testo principale del solo codice F e in margine a TRQ. Seb-
bene non sia del tutto chiaro in riferimento a quale fenomeno
sia qui citato Hor. ars 414- 415, il fatto che il passo non conten-
ga alcun lemma identico ai due esempi precedenti e che non
occorra altrove nella tradizione grammaticale latina sconsiglia di
credere che possa essere stato aggiunto in questo punto da altri
che da Prisciano. Il luogo oraziano è riportato con la variante
cantabat per cantat: è probabile che si tratti di un errore di me-
moria del grammatico. Un giudizio generalmente negativo sulla
qualità delle varianti testimoniate da Prisciano al testo di Orazio
è espresso da De Nonno 1998, p. 38; cfr. Vollmer 1907.

65, 10- 66, 6 ὄμνυμι con accusativo: iuro con accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazioni latine (Verg.
Aen. 6, 324; 6, 351) – nota aggiuntiva – citazione latina (Lucan.
5, 396) – citazioni greche (Hom. Il. 14, 271 e 275; Men. fr. 96
K.-A.; fr. 239) – citazioni latine (Ter. Phorm. 329; Lucan. 6, 508).
308 COMMENTO

LEMMA GRECO. Il lemma priscianeo contiene una forma della


flessione atematica del verbo, tuttavia nelle citazioni che lo
accompagnano si trovano forme di entrambe le coniugazioni; è
notevole in particolare che entrambe siano attestate in uno
stesso autore, cioè Menandro (fr. 96 K.-A. ὀμνύω; fr. 239
ὄμνυμι; cfr. LSJ s. v. ὄμνυμι).
Demosth. 18, 217 οὐκ ἄριστα … τοὺς ὀμωμοκότας τοὺς
θεούς, che potrebbe essere stato la citazione protolemmatica
nella fonte di Prisciano, è citato anche in Lex. Coisl. ο 6 quale
esempio della costruzione di ὄμνυμι con l’accusativo della divi-
nità in nome della quale si pronuncia un giuramento.
CITAZIONI GRECHE. La citazione di Hom. Il. 14, 271.275
presenta alcune caratteristiche – il taglio centrale di tre versi
(272-274), imprecisioni nel dettato (vd. infra) e l’assenza dell’in-
dicazione del libro di provenienza e del titolo del poema – che
la accomunano ad altri esempi omerici nel lessico e nel resto
dell’Ars e inducono a credere che essa non si trovasse nella fon-
te atticista di Prisciano, ma sia stata introdotta sotto il lemma
ὄμνυμι dal grammatico (cfr. Spangenberg Yanes ics. [a]). Que-
sta ipotesi è inoltre sostenuta dal fatto che anche il primo esem-
pio latino della voce descrive, come quello omerico, un giura-
mento in nome dello Stige: Verg. Aen. 6, 323-324 Cocyti stagna
alta vides Stygiamque paludem, / di cuius iurare timent et fallere nu-
men (Prisciano riporta solo il secondo dei due versi). Il gramma-
tico, una volta individuato Verg. Aen. 6, 323-324 come esem-
pio del lemma latino corrispondente a quello greco, può essersi
sovvenuto di Hom. Il. 14, 271.275.
Sul fr. 96 K.-A. di Menandro, non preceduto dal titolo della
commedia di provenienza, grava un problema di attribuzione:
Kassel – Austin VI.2, test. 20, 158-159 e ad loc., lo considerano
il solo di un dramma intitolato Γλυκέρα. Sonnino 2014, pp.
187-189, ritiene, invece, con Krehl 1819-20, II, p. 277, che
anche questa citazione provenga, come quella immediatamente
successiva (fr. 239), dal Μισογύνης. A questa commedia Pri-
sciano assegna esplicitamente i frr. 240-241 (trasmessi in 68, 11-
12; 113, 12), nel primo dei quali, come nel fr. 96, è menziona-
to un personaggio di nome Γλυκέρα. Se l’attribuzione del fr.
65, 10- 66, 6 309

96 al Μισογύνης sulla base del criterio interno della presenza


del nome Γλυκέρα nel fr. 96 appare ragionevole, occorre co-
munque precisare che Prisciano non sembra essere stato consa-
pevole di una simile provenienza del frammento. Egli introdu-
ce, infatti, la successiva citazione del fr. 239, con l’espressione
Idem in mysogino, che esclude dal suo punto di vista la derivazio-
ne dei due passi da uno stesso dramma (si avrebbe altrimenti,
secondo la Zitierweise priscianea, idem in eodem). Sulla questione
vd. più diffusamente Spangenberg Yanes 2018.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di iuro e ὄμνυμι/
ὀμνύω è attestata anche nei glossari bilingui (CGL II 94, 22 e 33-
34 e 36-42 e 46-49; 383, 9 e 35; 482, 12; III 7, 50 e 59; 78, 25;
81, 37 e 46; 166, 4-7; 343, 36; 408, 28-36; 453, 44-45; 501, 24).
Prisciano affronta qui due fenomeni sintattici distinti: l’uso
transitivo di iuro, con l’accusativo della cosa o divinità in nome
della quale si giura, corrisponde al lemma greco ὄμνυμι θεούς,
mentre il cenno sul genitivo di colpa, al quale si riferisce la
seconda coppia di citazioni latine della voce (Ter. Phorm. 329;
Lucan. 6, 508), è motivato dal confronto con l’espressione
γραφὴν κακώσεως, che il grammatico trovava nell’ultima
citazione greca della sua fonte (Men. fr. 239 K.-A.); vd. anche
Rosellini 2012a, p. 206. La costruzione di iuro con l’accusativo
della divinità (vel sim.) è indicata da Servio come un arcaismo
proprio di un registro stilistico elevato: Aen. 12, 197 TERRAM
MARE SIDERA IURO et ornatior elocutio et crebra apud maiores, quam
si velis addere praepositionem, ut dicas ‘iuro per maria, per terras’.
L’alternativa, nella reggenza di iuro, tra l’accusativo semplice e
preceduto da per è prevista anche da Arus. 48, 16-18 Di Stefa-
no. Più propriamente si tratta, secondo Teßmer, di un grecismo
sintattico (ThlL s. v. iuro, VII.2 675, 46- 676, 7) in uso in prosa a
partire da Cicerone e in poesia dall’età augustea (vd. anche Nor-
den 1957, p. 226; Brenous 1895, p. 215). La costruzione di dam-
no con il genitivo di colpa, attestata in Lucan. 6, 508 (damnarat
nimiae pietatis), è registrata anche in Arus. 33, 4- 6 Di Stefano. In
generale sul genitivo di colpa vd. Hofmann – Szantyr, pp. 75-76.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 6, 324 è citato anche in Serv.
Aen. 6, 134 e Schol. Stat. Theb. 3, 247, ma genericamente a
310 COMMENTO

proposito dell’uso di giurare in nome di una divinità, senza uno


specifico interesse sintattico. Verg. Aen. 6, 351 illustra il nesso
di iuro con l’accusativo anche in Arus. 48, 18 Di Stefano. L’uso
del caso semplice in luogo del costrutto preposizionale con per è
considerato un grecismo sintattico da Ps. Iul. Ruf. schem. lex. 32
p. 56, 10-14 Figura Graeca […]. Aut praepositione detracta, ut
‘maria aspera iuro’. Quest’ultima era probabilmente anche la
posizione di Prisciano, il quale confronta la costruzione latina
con quella parallela di ὄμνυμι in greco (cfr. Ferri 2014, p. 89).
Lucan. 5, 396 occorre già nel libro XI dell’Ars, dove illustra
la diatesi passiva di iuro (GL II 566, 2-4). Anche negli Atticismi
l’attenzione di Prisciano si appunta sul valore passivo di iurantur,
che è considerato prova ulteriore della possibilità di un uso
transitivo di iuro: nec mirum, cum etiam passivum habeat.
L’ultimo esempio latino della voce, Ter. Phorm. 329, non è
citato a proposito del lemma principale, ὄμνυμι/iuro, bensì viene
accostato, in virtù del nesso iniuriarum … dicam, all’espressione
γραφὴν κακώσεως di Men. fr. 239 K.-A. Il genitivo di colpa
iniuriarum nel luogo terenziano non è rilevato da altre fonti
grammaticali antiche. Sul raro grecismo dica utilizzato dal poeta
latino vd. Don. Ter. Phorm. 329, 3 DICAM δίκη Graece causa est,
quae fit Latine dica; ThlL s. v. dica (Gudeman), V.1 957, 37- 48.
PROBLEMI TESTUALI. Hom. Il. 14, 271 è citato in forma diver-
sa dalla tradizione diretta (ἄγρει νῦν μοι ὄμοσσον ἀάατον
Στυγὸς ὕδωρ). La presenza di ἄγρει μάν all’inizio del verso
potrebbe doversi a una confusione con Il. 5, 765 o 7, 459, che
iniziano con queste due parole; l’aggiunta di μάν, che rende-
rebbe il verso ipermetro, è compensata da alcune ulteriori alte-
razioni (ὄμοσον per ὄμοσσον, ἄατον per ἀάατον). Sebbene
sovrapposizioni di più versi e altre imprecisioni caratterizzino
anche altre citazioni omeriche nell’Ars Prisciani, la serie di va-
rianti, che fa del verso citato dal nostro grammatico un esame-
tro altrettanto corretto che quello tràdito per via diretta, po-
trebbe anche non dipendere da un errore di memoria di Pri-
sciano bensì risalire a un testo omerico con lezioni differenti da
quelle della tradizione medievale. La forma contratta ἄατος è
attestata due volte nella tradizione diretta dei poemi omerici (Il.
66, 7-12 311

22, 218; Od. 13, 293), contro le tre occorrenze di ἀάατος (Il.
14, 271; Od. 21, 91; 22, 5). Dell’aoristo di ὄμνυμι è all’incirca
equivalente il numero di attestazioni, metricamente garantite,
con -σσ- (15 occorrenze: Il. 1, 76; 3, 279; 10, 321; 10, 328; 14,
271; 19, 108; 19, 260; 19, 265; 20, 313; 23, 42; Od. 5, 278; 10,
299; 10, 343; 12, 298; 18, 55) e con -σ- (14 occorrenze: Il. 14,
280; 15, 40; 19, 113; 19, 127; 19, 187; Od. 2, 373; 2, 378; 4,
253; 10, 346; 12, 304; 14, 331; 14, 392; 15, 439; 18, 59). Il
taglio di tre versi nella citazione omerica (Il. 14, 272-274) può
sia essere stato intenzionale, allo scopo di avvicinare ὄμοσον
alla proposizione subordinata da esso dipendente (δώσειν), sia
essere stato favorito dal confronto con Men. fr. 239 K.-A., che
Prisciano leggeva nella sua fonte atticista e nel quale ὄμνυμι è
immediatamente seguito da ἀποίσειν. Si noti che sia in Il. 14,
275 sia in Men. fr. 239, 2 l’infinito futuro retto da ὄμνυμι è
preceduto da ἦ μέν/μήν (cfr. LSJ s. v. ὄμνυμι, II.2).
In Lucan. 6, 508 Prisciano si accorda con ΩC nella lezione
corretta nimiae contro la corruttela minimae di PV.

66, 7-12 ὅμοιος con dativo o genitivo: similis con dativo


o genitivo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ὅμοια) – citazione
greca (Thuc. 7, 29, 4) – citazioni latine (Verg. ecl. 1, 19-20;
Ter. Eun. 496).
LEMMA LATINO. Similis corrisponde a ὅμοιος anche nei glossari
(CGL II 184, 10-12; 383, 20; 557, 51; III 342, 66; 463, 71).
La doppia costruzione di similis, con il genitivo o il dativo,
già ricordata da Prisciano in 15, 8-10 (vd. ad loc.), è descritta
anche da Arus. 89, 8-11 Di Stefano e in diverse raccolte di idio-
mata (Char. 138, 18; 382, 2; 385, 17-18; Diom. GL I 311, 24;
313, 5; 318, 24; Dosith. 86, 9 Tolkiehn; 88, 11; Idiom. cas. GL
IV 570, 22-23; App. Prob. 2, 10 Asperti-Passalacqua; 2, 57; inol-
tre con il solo genitivo in Explan. in Don. GL IV 553, 19; Ox-
ford, Bodl. Libr., Add. C 144, f. 79r similis forme similis patris).
CITAZIONI LATINE. Verg. ecl. 1, 19 non è citato in altri testi
grammaticali. Ter. Eun. 496 occorre anche in GL III 220, 1-2,
tra gli esempi di uso di similis con il genitivo, nella trattazione
312 COMMENTO

dei sostantivi e aggettivi aequiperantia, che possono costruirsi sia


con il genitivo sia con il dativo (GL III 219, 19-220, 10).
PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Thuc. 7, 29, 4 diverge
dalla tradizione diretta per le lezioni τὸ δὲ γένος in luogo di τὸ
γὰρ γένος e θαρσῇ (ΘαΡCΗΙ) invece di θαρσήσῃ. Hertz, pur
approvando la seconda variante in apparato, ha ripristinato nel
testo (GL III 332, 15) la lezione dei codici tucididei, θαρσήσῃ.
Non vi è però motivo di emendare il congiuntivo presente in
un aoristo: anche il verbo della proposizione reggente è coniu-
gato al presente (ἐστιν), sicché Prisciano non avrebbe avuto
difficoltà ad accogliere come corretta la citazione nella forma
tràdita dai manoscritti (e dalla sua fonte).
In GL III 220, 1-2 Ter. Eun. 496 è citato con la variante
plura per multa, attestato nella tradizione diretta e dallo stesso
Prisciano nella voce in esame. È probabile che si tratti, come
spesso accade nelle citazioni terenziane nell’Ars, di un lapsus
memoriae del grammatico. La variante est per es testimoniata dai
codici priscianei negli Atticismi si deve, invece, più verosimil-
mente a un errore di tradizione: difficilmente, infatti, Prisciano
avrebbe potuto credere che la frase in questione, preceduta
dall’interrogativa quid ego tibi … dicam?, avesse un soggetto di
terza invece che seconda persona singolare.

66, 13- 67, 8 ὅμοιος καὶ πρότερον: ante malorum


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con glossa sintattica
– citazione greca (Plat. Crit. 48b2- 4) – citazione latina (Verg.
Aen. 1, 198), con glossa sintattica – osservazione teorica aggiun-
tiva con lemma latino secondario – citazioni latine (Verg. Aen.
3, 236; Ter. Andr. 148-149, con glossa sintattica) – lemma lati-
no secondario, con glossa sintattica.
LEMMA GRECO. Il lemma del lessico atticista potrebbe essere
stato ὅμοιος … ἀντὶ οἷος, cioè avrebbe registrato lo scambio
tra i due aggettivi di analoga costruzione, come suggerisce il
collocamento della voce tra i lemmi in ο-. Prisciano sembra
dunque aver ravvisato un elemento di interesse nel valore com-
parativo di καί (sul quale vd. LSJ s. vv. καί, A.III; ὅμοιος, B.6)
indipendentemente dalla sua fonte.
66, 13- 67, 8 313

La parafrasi del lemma (ἀντὶ τοῦ ‘οἷος καὶ πρότερον’) è


differente da quella che segue l’esempio platonico (Crit. 48b2-
4) da cui lo stesso lemma è ricavato (ἀντὶ τοῦ ‘οἷος
πρότερον’). Manca cioè un καί nella seconda glossa o ne è
stato aggiunto per errore uno nella prima. La proprietà lingui-
stica di entrambe le espressioni è comunque verificata (LSJ s. v.
οἷος, II.1), sicché non è necessario ipotizzare un guasto nella
tradizione manoscritta di Prisciano o della sua fonte.
LEMMA LATINO. L’uso comparativo di ac e atque (sul quale vd.
Hofmann – Szantyr, pp. 478-479; ThlL s. v. atque, II.1 1080,
10-1084, 37) è trattato da Prisciano anche nei libri XVI-XVII
(GL III 94, 2 ‘ac’ non solum pro ‘et’, sed etiam pro ‘quam’ accipitur;
115, 15-16 ‘atque’ et ‘ac’ quoque, si adverbio ‘aliter’ vel ‘secus’ vel
similibus subiungantur, vim adverbii obtinent) e nelle Partitiones
(107, 22-23 Passalacqua). Questo particolare valore della con-
giunzione non è, invece, rilevato da altri grammatici latini.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 198 è accostato al lemma
greco della voce in virtù di una generica affinità sintattica e
semantica, poiché anch’esso contiene un’espressione brachilogi-
ca con l’avverbio “prima”, rilevata anche da Servio ad loc.: AN-
TE MALORUM ὑφέν est, id est antiquorum malorum. Prisciano
propone un più soddisfacente corrispettivo sia semantico sia
sintattico del lemma greco, nel quale coesistano l’uso compara-
tivo di atque e una costruzione brachilogica con ante, solo al
termine della voce in forma di lemma latino o exemplum fictum
piuttosto che in un esempio d’autore: ‘Facio atque ante feci’ pro
‘sicut ante feci’. A seguito della citazione di Verg. Aen. 1, 198 il
grammatico passa, invece, a trattare dell’uso comparativo di
ac/atque e cita Verg. Aen. 3, 236, impiegato come esempio di
secus con ac comparativo anche in GL III 94, 2-4 (dove la cita-
zione comprende anche il secondo emistichio del verso, tectos-
que per herbam); 115, 16-18; Att. 73, 10; part. 108, 1 Passalacqua
(cfr. Remig. Don. min. p. 72, 11-12). Lo stesso passo illustra
inoltre il valore di adverbium separandi di secus in Ps. Prob. cath.
GL IV 21, 3-4. Nell’esegesi virgiliana antica è dibattuta l’inter-
pretazione di iussi, che poteva essere la prima persona singolare
di un perfetto indicativo oppure il nominativo plurale di un
314 COMMENTO

participio perfetto (con sunt sottinteso): Serv. auct. Aen. 3, 236


AC IUSSI hic ‘iussi’ utrum verbum an participium sit, id est utrum illi
iussi sint, an ego iussi?; Claud. Don. Aen. 2, 720 p. 245, 5-7
HAUT SECUS AC IUSSI FACIUNT: illi, inquit, non aliter fecerunt ac
iussi. iussi verbum est, non participium. Non è possibile evincere
dalle occorrenze di questa citazione in Prisciano come egli in-
terpretasse la forma verbale in questione.
La terza citazione della voce, Ter. Andr. 148-149, è nuova-
mente esempio di una costruzione genericamente brachilogica,
in questo caso l’omissione dell’antecedente del pronome relativo
qui. Il passo è citato per lo stesso motivo in GL III 128, 8-12;
190, 9-11 e nell’addendum a GL III 128, 19, tràdito solo come
marginale in alcuni codici (vd. Hertz in apparato ad loc.). L’ellissi
è notata anche in Don. Ter. Andr. 148, 2 UT QUI SE FILIAM
NEGET DATURUM ut ab eo disceditur, qui se filiam neget daturum.
PROBLEMI TESTUALI. Il passo di Terenzio è citato negli Atticis-
mi con le varianti tunc e negat filiam per tum e filiam neget della
tradizione diretta e di Donato. Nelle tre occorrenze della cita-
zione nel libro XVII si ha tuttavia tum; filiam neget si trova, in-
vece, solo in GL III 128, 8-12 e 190, 9-11, mentre nell’adden-
dum a GL III 128, 19 è attestata l’ulteriore variante neget filiam.
Tutte queste oscillazioni dovranno probabilmente essere impu-
tate a errori di memoria del grammatico; al contrario Craig
1930, p. 66, considera tunc «a scribal corruption».

67, 9-10 ὅν τρόπον o ᾧ τρόπῳ o ἐξ οὗ τρόπου o καθ’ ὃν


τρόπον: quem ad modum o quomodo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino.
LEMMA GRECO. Delle quattro locuzioni lemmatizzate καθ᾽ ὃν
τρόπον è attestata solo a partire dall’età ellenistica: è possibile
però che il compilatore del lessico fonte ne conoscesse delle
occorrenze anche nella letteratura attica di V-IV secolo a. C.
LEMMA LATINO. L’equivalenza di quem ad modum e ὅν τρόπον
si trova anche nello Ps. Filosseno (CGL II 184, 30; cfr. II 166, 51).
67, 11- 68, 6 315

67, 11-68, 6 ὀνίναμαι con genitivo o accusativo o ἀπό e


genitivo: fruor con ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ὄνασθαι) – citazio-
ne greca (Plat. Charm. 175d6-e1) – citazioni latine (Verg. Aen.
7, 90-91; Iuv. 1, 49-50) – lemma latino secondario – citazioni
latine (Cic. Catil. 2, 19; Ter. Ad. 871; 876; Sall. Iug. 25, 10;
Verg. Aen. 1, 172).
CITAZIONI GRECHE. Plat. Charm. 175d6-e1 illustra al contem-
po la costruzione di ὀνίναμαι con l’accusativo (μηδέν) e con
ἀπό e il genitivo.
LEMMA LATINO. Dopo aver proposto soli esempi del nesso di
fruor con l’ablativo, che poteva corrispondere a quello di
ὀνινάμαι con il genitivo sia semplice sia preceduto da ἀπό,
Prisciano passa a trattare di potior, che ammette tre diverse reg-
genze all’incirca equiparabili a quelle del lemma greco e co-
munque gli corrisponde anche per significato. Il grammatico
sembra dunque ignorare la rara costruzione di fruor con l’accu-
sativo, alternativa a quella con l’ablativo (vd. ThlL s. v. fruor
[Vollmer], VI 1423, 65-1424, 3). Anche altrove egli mostra di
conoscere di fruor soltanto la reggenza dell’ablativo (GL II 555,
16; III 234, 11). La costruzione di fruor con l’ablativo è registra-
ta anche nelle principali raccolte di idiomata (Char. 384, 16;
Diom. GL I 316, 20; App. Prob. 2, 100 Asperti-Passalacqua;
Explan. in Don. GL IV 553, 24; Idiom. cas. GL IV 569, 32-33;
570, 19-20; Oxford, Bodl. Libr., Add. C 144, f. 79r fruor paren-
tibus fruor pręceptoribus) ed è menzionata tra gli usi del ‘settimo
caso’ (cioè dell’ablativo non di separazione) in Don. mai. 639,
1; Pomp. GL V 238, 27; 238, 30; Consent. GL V 385, 8-9.
Arusiano postula, invece, anche la costruzione alternativa del
verbo con l’accusativo (40, 1-3 Di Stefano). Sul trattamento di
potior nella produzione grammaticale latina vd. supra, pp. 21-23.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 7, 90-91 e Iuv. 1, 49-50 non
sono citati altrove nella tradizione grammaticale latina. Su Cic.
Catil. 2, 19; Ter. Ad. 871; Verg. Aen. 1, 172, già utilizzati in
10, 11-12 e 28, 1- 4, vd. supra, ad locc. Nella voce in esame Pri-
sciano aggiunge, ancora in riferimento a potior, Ter. Ad. 876,
per la costruzione del verbo con l’accusativo, e Sall. Iug. 25, 10,
316 COMMENTO

per quella con il genitivo: i due passi ricorrono in Arus. 75, 14-
15 e 17-18 Di Stefano. Sall. Iug. 25, 10 è inoltre richiamato, a
proposito dell’uso di potior con il genitivo, in Serv. Aen. 3, 278;
Non. 498, 29-30. Infine Ter. Ad. 876 sarebbe riecheggiato,
secondo Lindsay, nella citazione, non altrimenti riconoscibile,
in Non. 481, 23-24: Sic potior illam rem, pro illa re potior. Teren-
tius Adelphis: ‘mille potior gaudia’.
PROBLEMI TESTUALI. In Plat. Charm. 175d6-e1 Prisciano atte-
sta la variante ortografica ὀνήσει per ὀνήσῃ della tradizione
diretta. Sulla desinenza -ει alternativa ad -ῃ vd. supra, pp. XLIX-L.
Nella citazione di Iuv. 1, 49-50 i codici priscianei attestano
vivit in luogo di bibit (ripristinato in Y). Prisciano cita il passo
per il secondo emistichio del v. 49, fruitur dis, e potrebbe non
aver prestato attenzione all’eventuale corruttela vivit nel testo di
Giovenale cui attingeva. Tuttavia è più verosimile che la forma
vivit sia una corruttela intervenuta nella tradizione dell’Ars; il
senso del passo con questa lezione appare, infatti, non del tutto
soddisfacente (“Mario, in esilio, vive dall’ottava ora”) e anche
l’esametro risulterebbe gravemente violato dalla diversa proso-
dia di vīvit rispetto a bĭbit.
Se le lezioni inferiori convenire e poteretur, attestate da Arusia-
no nella citazione di Sall. Iug. 25, 10 in luogo di conveniret e
poteretur dei codici sallustiani e degli altri testimoni indiretti,
incluso Prisciano, dipendono da errori della sua fonte, questa
comunque in un precedente stadio di tradizione doveva recare
il testo genuino riprodotto da Prisciano, Nonio e Servio.
Nella citazione di Ter. Ad. 876 Prisciano e Arusiano si accor-
dano con i codici della recensio Calliopiana e con Gioviale nella
lezione gaudia, mentre il Bembino reca commoda, probabilmente
dovuto alla confusione con il vicino v. 871, potitur commoda.

68, 7-10 ὁσημέραι o ὅσαι ἡμέραι: cotidie, quotidie o quotannis


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca (Hy-
perid. or. 13 fr. 68 Jensen) – lemma latino, con glosse sintattiche.
LEMMA GRECO. Ὁσημέραι è accostato da Prisciano a καθ’
ἡμέραν anche in 56, 4: vd. commento ad loc.
LEMMA LATINO. Le forme univerbate cotidie e ὁσημέραι sono
68, 11-12 317

accostate anche nello Ps. Cirillo (CGL II 388, 6). L’osservazio-


ne di Prisciano su cotidie/quotidie e quot dies può essere confron-
tata con le discussioni di contenuto ortografico di alcuni gram-
matici, che giustificano la grafia quotidie con la derivazione da
quot dies: Mar. Victorin. 76, 18-21 Mariotti per q potius quam per
c haec scribenda. nam concussus quamvis a quatio habeat originem et
[…] cotidie a quoto die […], attamen per c quam per q scribuntur;
sim. Cassiod. orth. 1, 29 Stoppacci (di cui è fonte Anneo Cor-
nuto). Altri ortografi respingono, invece, la derivazione di coti-
die da quot dies e si pronunciano in favore della grafia con co-
(Vel. orth. 79, 20-24 Di Napoli existimo […] illos vitiose et dicere
et scribere, qui potius per quo quotidie dicunt, quam per co cotidie […].
non enim est a quoto die quotidie dictum, sed a continenti die cotidie
tractum; sim. Cassiod. orth. 4, 5, in una sezione dell’opera tratta
da Papiriano; cfr. Alcuin. orth. 27, 331 Bruni).

68, 11-12 ὅσῳ χρόνῳ: longo tempore


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca
(Men. fr. 240 K.-A.) – lemma latino.
LEMMA GRECO. Come charisce la citazione di Men. fr. 240 K.-
A., il lemma greco verte sull’uso del dativo di tempo, non pre-
ceduto da preposizione, col particolare valore di “dopo un cer-
to intervallo di tempo” (vd. Kühner – Gerth II.1, p. 446;
Schwyzer II, pp. 158-159). Ὅσῳ χρόνῳ non preceduto da ἐν
non è altrimenti attestato. Nel lemma priscianeo ὅσῳ potrebbe
essere stato usato per sostituire con un indefinito l’aggettivo
quantitativo presente nella citazione protolemmatica, in modo
analogo alle voci, nelle quali il numerale della citazione proto-
lemmatica è reso nel lemma con τόσος (22, 1; 39, 11; 50, 11;
81, 12; 105, 8).
LEMMA LATINO. L’impiego dell’ablativo semplice per esprimere
anche un intervallo di tempo oltre che un preciso momento è
attestato a partire dall’età arcaica (vd. Hofmann – Szantyr, p.
148). Non si conosce altrimenti, invece, l’uso dell’ablativo sem-
plice col significato di “dopo molto tempo”, che sembra richie-
sto nel lemma longo tempore dalla corrispondenza con πολλοσ-
τῷ χρόνῳ. D’altra parte Prisciano può aver semplicemente
318 COMMENTO

inteso affermare una generica equivalenza del dativo greco con


l’ablativo latino nell’espressione del complemento di tempo.
PROBLEMI TESTUALI. In Men. fr. 240 K.-A. Kassel – Austin
stampano l’emendazione ὦ χαῖρε, proposta di Porson 1815, p.
250-251, per necessità metriche. È possibile che l’inversione,
nella fonte di Prisciano o in uno stadio della tradizione di Me-
nandro a essa anteriore, sia stata favorita dalla maggiore frequen-
za di χαῖρ’ ὦ a inizio di trimetro in commedia (Ar. Eq. 1333;
Nub. 358; Lys. 6; 1108; Thesm. 1056; Ran. 184; Crat. frr. 359,
1 K.-A.; 360, 1; Men. fr. 1, 1 K.-A.) rispetto a ὦ χαῖρ(ε) (Ar.
Pax 523; Men. Georg. 41; Nicom. fr. 4 K.-A.). Non vi è co-
munque motivo di dubitare che Prisciano leggesse il passo, nella
sua fonte, con questa lezione.
Ancora nel frammento menandreo Kassel-Austin correggo-
no il tràdito πολλοστῷ in πόλλ’ ὅσῳ, congetturato da Her-
mann 1847, p. 614, che riteneva necessario adeguare il testo
della citazione al lemma, ὅσῳ χρόνῳ. Come argomenta Rosel-
lini apud Sonnino 2014, p. 188 n. 66, Prisciano leggeva però
certamente πολλοστῷ nella sua fonte, giacché il lemma-tradu-
zione latino è longo tempore. Πολλοστῷ χρόνῳ ricorre, nella
stessa sede metrica, in Ar. Pax 559 (cfr. Crat. iun. fr. 9, 1-2 K.-
A. πολλοστῷ δ’ ἔτει).

68, 13- 69, 2 ὀσφράομαι con genitivo o accusativo: olfa-


cio con accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ὀσφρᾶται) – citazio-
ne greca (Eup. fr. 7 K.-A.) – citazione latina (Ter. Ad. 397-397)
– lemma latino secondario – citazione latina (Lucan. 7, 827).
LEMMA GRECO. Il riferimento alla costruzione di ὀσφραί-
νομαι con l’accusativo negli Atticismi è notevole, dal momento
che secondo LSJ (s. v.) il verbo reggerebbe in età classica solo il
genitivo e la costruzione con l’accusativo sarebbe documentata
solamente in autori tardi. La presenza, nel lessico priscianeo, del
fr. 7 K.-A. di Eupoli, in cui è attestato il costrutto con l’accusa-
tivo (ὀσφραίνεσθαι τὸ σόν), consente in questo caso di retro-
datare di diversi secoli, sino al V a. C., un uso linguistico altri-
menti noto solo in epoca imperiale (a proposito di Ar. Plut. 896
68, 13- 69, 2 319

ὀσφραίνει τι vd. LSJ s. v. ὀσφραίνομαι, 1: «τι is adverbial, at


all»). Il lemma priscianeo si segnala anche da un punto di vista
morfologico, in quanto la forma di presente ὀσφρᾶται sarebbe
propria esclusivamente del greco di età imperiale (LSJ s. v.
ὀσφραίνομαι); ma vd. infra, per la possibilità di ricostruire due
attestazioni di ὀσφράομαι già in età classica.
LEMMA LATINO. Anche nei glossari ὀσφραίνομαι corrisponde
a olfacio (CGL II 388, 33; III 78, 18) e odoro (CGL II 388, 33).
Nessun altro grammatico si occupa della sintassi di olfacio.
CITAZIONI LATINE. Ter. Ad. 396-397 è citato anche in GL II
500, 12-16, però per il congiuntivo imperfetto di coepio, coeperet.
PROBLEMI TESTUALI. La correzione di ὀσφραίνεσθαι in ὀσ-
φρέσθαι nel fr. 7 K.-A. di Eupoli, proposta da Elmsley (ad Ar.
Ach. 179) per necessità metriche, è accolta da Kassel – Austin.
Considerato che il frammento è posto, negli Atticismi, sotto il
lemma ὀσφρᾶται e in base al confronto con Antiphan. fr. 145, 6
K.-A., dove il tràdito ὀσφρᾶσθαι (la fonte del frammento è
Athen. 7, 299e) è parimenti corretto da Elmsley in ὀσφέσθαι, si
può ipotizzare che la lezione da restituire in Eup. fr. 7 sia
ὀσφρᾶσθαι piuttosto che ὀσφρέσθαι. È comunque indubbio
che Prisciano leggesse ὀσφραίνεσθαι nella sua fonte – difficil-
mente, infatti, il passaggio da ὀσφρέσθαι/ὀσφρᾶσθαι a
ὀσφραίνεσθαι avrebbe avuto luogo nel corso della tradizione
manoscritta dell’Ars Prisciani, che si svolse prevalentemente in
Occidente a opera di copisti quasi del tutto ignari del greco. Per
una discussione più approfondita vd. Spangenberg Yanes 2018.
Sia nel lessico sia in GL II 500, 15-16 Prisciano cita Ter. Ad.
396-397 con la lezione ac, opponendosi all’intera tradizione di-
retta di Terenzio (aut). Solo negli Atticismi inoltre egli attesta la
variante coeperit, in accordo con i codici ACPD1LEF1v2 di Te-
renzio e con Donato (Ad. 397, 1, sia nel lemma che nell’interpre-
tamentum), mentre nel libro X reca coeperet (che Kauer – Lindsay
– Skutsch mettono a testo) come i restanti testimoni diretti.
320 COMMENTO

69, 3-70, 4 ὅταν con il congiuntivo riferito al futuro o al


passato: imperfetto e perfetto congiuntivo o indicativo
riferito al presente o futuro
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, prima parte – cita-
zione greca (Is. fr. 34 Thalheim) – lemma greco, seconda parte
– citazione greca (Lys. or. 35 fr. 29 Thalheim) – lemma latino –
citazioni latine (Verg. Aen. 1, 234-237, con glossa sintattica in
greco; 1, 697- 698; Cic. div. in Caec. 23; Ter. Eun. 103, con
glossa sintattica; Andr. 504-505, con glossa sintattica) – lemma
latino secondario, con glossa sintattica.
LEMMA GRECO. Il lemma distingue un uso attico più antico
(esemplificato da Lisia), nel quale l’anteriorità si sarebbe espressa
con ὅτε e l’ottativo (cfr. LSJ s. vv. ὁπότε, I.2; ὅτε, A.I.2), da
uno più recente (ma comunque di età classica, rappresentato da
Iseo), nel quale la nozione di anteriorità è estesa a ὅταν con il
congiuntivo, normalmente impiegato solo per la posteriorità
(cfr. LSJ s. v. ὅταν). Una simile distinzione, tra autori di V e IV
secolo a. C., difficilmente può essere stata tracciata da Prisciano,
il quale avrà tradotto con Antiquiores tamen un’indicazione che
trovava già nella sua fonte atticista.
LEMMA LATINO. L’impiego di tempi storici per esprimere con-
temporaneità o posteriorità nel passato è discusso da Prisciano
anche nel capitolo De subiunctivis del libro XVIII: GL III 257,
18-258, 1 et notandum, quod Latini, quando de rebus transacto tem-
pore promissis vel cogitatis loquuntur, pro futuro vel praesenti Graeco
praeterito imperfecto subiunctivi utuntur, quomodo in supra dictis [=
Cic. Verr. 2, 1, 141]: ‘quid ageret, cogitare coepit’, ‘τί πράξειεν’ ἢ
‘πράξοι’. similiter Virgilius in I Aeneidos: ‘[...] tenerent, pollicitus’,
‘κρατήσοιεν ἄν’.
Il lemma secondario, utor illo, fa riferimento a un particolare
uso semantico del verbo (vd. Forcellini s. v. utor, I.2: «Uti aliquo
significat a) Consuetudinem habere, familiarem esse», con
esempi in Cic. fam. 1, 3, 1; Att. 16, 5, 3; Cluent. 16bis; 46; Hor.
epist. 1, 17, 1; 1, 17, 14), sul quale non si sofferma nessun’altra
fonte grammaticale antica.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 234-237, già utilizzato per
illustrare l’omissione di est accanto a pollicitus in 36, 10-13 (cfr.
69, 3-70, 4 321

GL III 153, 21-25; vd. supra, p. 151), nella voce in esame è


citato, invece, a cagione del congiuntivo tenerent. Per questo
motivo il passo è riportato anche in GL III 257, 22-258, 1.
Ancora riguardo al congiuntivo, ma per il suo uso confirmative,
la citazione virgiliana ricorre in GL II 424, 21- 425, 3.
Verg. Aen. 1, 697-698 è citato, in relazione alla proposizio-
ne temporale cum venit, anche in Char. 292, 15-22 (= Diom.
GL I 392, 6-11; Dosith. 76, 10-14 Tolkiehn) [scil. cum] finitivis
enim iungitur, quotiens ad id tempus quo agebam refertur, ‹velut› ‘cum
declamo venit’, id est ipso tempore quo declamo […], ut apud Vergi-
lium ‘cum venit … sponda’, id est tempore ipso quo venit. Come
risulta dalle osservazioni di questi altri grammatici, con maggio-
re chiarezza che dal contesto della citazione in Prisciano, Aen.
1, 697-698 era considerato un esempio dell’uso di cum con
l’indicativo per esprimere contemporaneità nel passato. Priscia-
no tuttavia tratta dell’impiego del perfetto pro praesentibus, sicché
deve aver scambiato il presente venit del passo virgiliano per un
perfetto, non accorgendosi del fatto che il metro richiede la
forma vĕnit (la distinzione prosodica tra vĕnit e vēnit era certa-
mente chiara a Prisciano, che ne tratta in GL III 466, 27- 467,
1). Né si può pensare che egli avesse spostato la sua attenzione
dalla proposizione subordinata cum venit alla principale composuit;
in tutti gli altri loci classici latini citati in questa voce, infatti, la
forma verbale oggetto dell’interesse del grammatico è quella di
una proposizione subordinata (qui … tenerent; cum … contendi;
quae … audivi; siquid … occepi).
Ter. Eun. 103 è impiegato anche in GL III 191, 6- 8, a pro-
posito dello scambio di diversa tempora; 244, 4- 8, dove illustra la
dipendenza di una subordinata con un tempo storico da una
reggente con un tempo principale (qui la citazione include
anche i vv. 104-105). Negli stessi due contesti dei libri XVII e
XVIII ricorre anche Ter. Andr. 504-505, l’esempio successivo
nella voce in esame. In GL III 191, 3- 6 il passo dell’Andria è
introdotto sempre a proposito dello scambio di tempi verbali; in
GL III 243, 24-26 è richiamato in un primo momento per la
costruzione di si con l’indicativo, ma poi il grammatico vi os-
serva anche l’impiego del tempo storico (coepi) in una subordi-
322 COMMENTO

nata dipendente da una reggente con un tempo principale (cen-


ses): GL III 243, 27-244, 1 et est hoc loco etiam illud attendendum,
quod praeteritum indicativi cum praesenti solent coniungere, quando
perfectionem rei res sequitur alterius altera. et in illius quidem, quae
prior perficitur, significatione perfecto utuntur, praesenti vero in conse-
quentis demonstratione. La stessa citazione si trova infine, in forma
più breve (sed si … occepi), nell’additamentum all’inizio del libro
XVII (GL III 107, 12-14). Nel libro XVII il grammatico postu-
la l’equivalenza di audivi e occepi con i presenti o futuri indicativi
corrispondenti (GL III 107, 12-14 ‘occepi’ pro ‘occipiam’; 191, 3-
8 ‘audivi’ pro ‘audio’ vel ‘audiam’ [...] ‘occepi’ pro ‘occipio’ vel ‘occi-
piam’), coerentemente con la teoria esposta anche negli Atticismi
(69, 9-11 Romani solent non solum praeteritis imperfectis sed etiam
perfectis uti pro praesentibus vel futuris tam subiunctivis quam indicati-
vis). Qui però, nonostante questa premessa, audivi e occepi sono
considerati equivalenti a un futuro indicativo o perfetto con-
giuntivo (‘audivi’ pro ‘audiam’ vel ‘audiverim’; ‘occepi’ pro ‘occi-
piam’ vel ‘occeperim’). Sembrerebbe pertanto che il grammatico
abbia confuso in questa voce il discorso relativo allo scambio di
tempi verbali (perfetto per il futuro o presente) con quello sullo
scambio di modi (indicativo per il congiuntivo). Le lezioni
audivero e occepero, recate rispettivamente da XI e XFI, TR p. c. e
messe a testo da Hertz (GL III 336, 1- 4), erano facilmente con-
getturabili da un copista dotto sulla base della precedente spie-
gazione fornita dallo stesso Prisciano.
Cic. div. in Caec. 23 non è citato in altri testi grammaticali.
PROBLEMI TESTUALI. La forma διαιτᾶτο, tràdita dai codici
priscianei in Lys. or. 35 fr. 29 Thalheim, è corretta da van Put-
schen in διῃτᾶτο, messo a testo anche da Thalheim e Carey (fr.
85) in Lisia. L’imperfetto medio διαιτώμην è, infatti, tipico del
dialetto ionico (vd. LSJ s. v. διαιτάω). Non è tuttavia necessa-
rio emendare la forma verbale – come fanno van Putschen e
Hertz (GL III 335, 8) – anche nel testo di Prisciano, il quale
non avrebbe avuto alcuna difficoltà ad accogliere la forma
διαιτᾶτο in un oratore attico.
La citazione di Ter. Andr. 504-505 in GL III 191, 4-5, di-
versamente che nelle sue altre occorrenze nell’Ars, presenta
70, 5-11 323

l’omissione di tibi dopo quid. In GL III 243, 25-26 e 244, 2-3,


invece, Prisciano cita lo stesso passo con la variante coepi per
occepi. In entrambi i casi queste piccole alterazioni nel dettato
della citazione si dovranno a errori di memoria del grammatico,
piuttosto frequenti negli esempi terenziani nell’Ars.
Il lemma latino secondario et ‘utor … illius’ è trasmesso sola-
mente nel codice F e, come aggiunta interlineare o marginale, in
TRQ. Come Rosellini nota in apparato ad loc., esso sembra fare
riferimento all’espressione Διογένει … ἐχρώμεθα, contenuta
nell’ultima citazione greca (Lys. or. 35 fr. 29 Thalheim); utor illo
non ha dunque alcun rapporto con il lemma greco di partenza.
L’aggiunta si ritiene autentica perché è improbabile che altri che
Prisciano fossero in grado di compiere un simile collegamento.

70, 5-11 ὅτι con superlativo: quod poteris


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con glossa sintattica
– citazione greca (Plat. Alc. I 121d5-7) – citazione latina (Ter.
Eun. 214-215), con glossa sintattica.
LEMMA LATINO. L’espressione quod poteris su cui Prisciano si
sofferma in questa voce può essere ricondotta all’uso di quod
con il congiuntivo nel significato di “per quanto, in quanto”
(vd. Hofmann – Szantyr, p. 573). Il rapporto con il lemma
greco di partenza è fondato su un’analogia solo generica: non si
propone un corrispettivo latino del rafforzamento del superlati-
vo per mezzo di ὅτι (o ὡς), “quanto più bello è possibile”,
bensì un’espressione dal significato di “come potrai, come ti
sarà possibile”, senza più alcun legame sintattico con un super-
lativo dell’aggettivo o dell’avverbio. È possibile che il confronto
tra il lemma greco e la locuzione latina sia stato favorito dalla
sovrapposizione di ὅτι/quod e ὡς/ut in altri loro usi sintattici
(cfr. 72, 14-73, 4, con commento ad loc.). Un puntuale equiva-
lente latino del superlativo greco rafforzato da ὅτι si trova, in-
vece, in 37, 7- 8; 71, 1- 4 (vd. ad locc.)
CITAZIONI LATINE. Ter. Eun. 214-215 è citato anche da Carisio,
il quale riporta il solo v. 214 e ne riferisce l’esegesi data da Elenio
Acrone: 279, 17-19 ubi Helenius Acron ‘pro in quantum poteris’.
PROBLEMI TESTUALI. La variante ὅπως καὶ ὅτι, di cui è latore
324 COMMENTO

Prisciano nella citazione di Plat. Alc. I 121d5-7 (ὅπως ὅτι nella


tradizione diretta), altera la sintassi del passo, rendendola com-
prensibile solo a condizione che si assegni al secondo καί il
valore rafforzativo di “anche”. Non si può escludere in qualche
stadio della tradizione del lessico fonte (o forse dell’Ars) la ditto-
grafia di καί, che potrebbe essere stata favorita dalla somiglian-
za, soprattutto in maiuscola, di ΟΠ(-ωC) e ΟΤΙ.
La corruttela di nostrum in nostrorum nella citazione di Ter.
Eun. 214-215 si spiega con l’errato scioglimento di un’abbrevia-
zione (il pronome è ancora notato per mezzo di un compendio
nei codici TF). Il senso del passo non risulterebbe alterato dalla
presenza del genitivo plurale nostrorum in luogo dell’accusativo
neutro nostrum; tuttavia, considerata la facilità con cui poteva
avvenire il passaggio da una forma all’altra, non è necessario, in
questo caso, attribuire nostrorum a una svista di Prisciano.

70, 12-14 ellissi di εἰς: ellissi di in


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ὁτιή), con glossa
sintattica – citazione greca (Aristom. fr. 3 K.-A.) – citazione
latina (Ter. Andr. 709 = Haut. 715), con glossa sintattica.
LEMMA GRECO. La voce, lemmatizzata a partire da ὁτιή, verte
tuttavia sull’ellissi di εἰς, trattata anche tra i lemmi in ε- (37, 1;
vd. ad loc.). Sebbene incongruità di questo tipo siano attestate
anche in altre voci degli Atticismi (cfr. supra, pp. XLIV-XLV) e
possano risalire all’estensore del lessico fonte, nello specifico
caso in esame non si può del tutto escludere l’eventualità che il
lemma originario concernesse effettivamente qualche aspetto
dell’uso di ὁτιή (cfr. Schol. rec. Ar. Plut. 48d ὁτιή· ὅτι, διότι·
Ἀττικόν; Tzetz. Gloss. Ar. Plut. 324 ὁτιὴ] Ἀττικόν, ὡς καὶ
τὸ ‘δηλονοτιή’; Eust. Il. I 184, 12 οἱ δὲ Ἀττικοὶ ὀξυτόνως
λέγουσι τιή καὶ ὁτιή) e che Prisciano abbia rifunzionalizzato i
materiali del repertorio atticista, aggiungendovi la glossa pro ‘εἰς
ἐμέ’, allo scopo di trattare dell’ellissi della preposizione.
CITAZIONI GRECHE. Tre (frr. 2-4 K.-A.) dei quattro frammenti
superstiti dei Βοηθοί di Aristomene sono conservati da Priscia-
no (rispettivamente in GL III 194, 21-24 e Att. 70, 12-13; 89,
16-17). Nei frr. 2-3 i codici priscianei recano però il nome
70, 12-14 325

Ἀριστοφάνης/Aristophanes invece di Ἀριστομένης/Aristome-


nes, che Hertz ripristina in entrambi i luoghi (GL III 194, 21;
336, 13) in base al confronto con 89, 16 (= GL III 353, 22),
dove si trova accanto al titolo Βοηθοί il nome Aristomenes
(l’emendazione è approvata da Garcea – Giavatto 2007, pp. 82-
87). La banalizzazione del nome “Aristomene” in “Aristofane”
si verifica anche presso altre fonti di tradizione indiretta (vd.
apparato a Poll. 3, 150; 7, 211; Phryn. praep. 39, 16; cfr. Kassel
– Austin II, p. 563). Anche nel caso dei frammenti conservati
da Prisciano il nome del poeta più celebre può dunque essersi
sostituito a quello di Aristomene già in ambito lessicografico
greco piuttosto che nella tradizione medievale dell’Ars. È dun-
que opportuno conservare Aristophanes in 70, 12, come fa Ro-
sellini, e mettere a testo in GL III 194, 21 Ἀριστοφάνης inve-
ce che la correzione Ἀριστομένης.
LEMMA LATINO. Nella sezione del libro XVII sullo scambio di
diversi casus, si trova una serie di citazioni (GL III 189, 3- 8: Ter.
Andr. 614; 709?; Eun. 837; Cic. Verr. 2, 1, 90) che attestano il
medesimo uso di facio (e fio), nel significato di “fare qualcosa a
qualcuno”, che è trattato anche nella voce in esame. Esse si
iscrivono in una più estesa sequenza di esempi relativi all’uso
dell’ablativo in luogo del dativo (GL III 189, 5-13), che include
anche Verg. Aen. 1, 257; georg. 1, 208. La diversa interpretazio-
ne del brano data da Groupe Ars Grammatica 2010, p. 255 n. 333
(«Mei génetif complément de quid vs. me, accusatif de relation»),
si fonda sull’accoglimento, nella citazione di Ter. Andr. 614, della
lezione mei dei codici di area centrale, messa a testo da Hertz. È
però certamente poziore la variante me dei codici italomeridio-
nali, Z e Roma, Biblioteca Vallicelliana, C 9 (su cui vd. De
Nonno 1979, p. 135), che è condivisa dalla tradizione diretta e
sostenuta dal confronto con Don. Ter. Andr. 614, 1 NEC QUID
NUNC ME FACIAM s. nos quid faciam, veteres autem ‘me’ addebant.
Et nota ‘faciam’ ‹cum› ablativo casu; cfr. Don. Ter. Hec. 668, 1 SED
QUID FACIEMUS PUERO et ‘quid me fiet’ et ‘quid mihi fiet’ dicitur).
CITAZIONI LATINE. Ter. Andr. 709 (= Haut. 715) sembrerebbe
essere stato citato da Prisciano, sia pure senza una precisa indi-
cazione di provenienza, anche in GL III 189, 5. Ivi la frase quid
326 COMMENTO

me fiat (quid fiat L; quid mei fiat p; quid me faciat Z) è stampata da


Hertz come se fosse la glossa della precedente citazione di Ter.
Andr. 614 quid me faciam (sulla quale vd. supra), secondo un’in-
terpretazione del passo già diffusa in epoca carolingia (pro è
aggiunto davanti a quid me fiat nel testo di DF, in margine o
nell’interlineo di RTWX). Più probabilmente si tratta di un’ul-
teriore citazione terenziana, che De Nonno 1979, p. 135 n. 4,
individua in Haut. 715, ipotizzando che l’indicazione di prove-
nienza di questo secondo esempio sia caduta nel corso della
tradizione dell’Ars (lo studioso propone di integrare il brano
come segue: Terentius in Andria: ‘quid me faciam’ ‹pro ‘mihi’.
Similiter in heautontimoroumeno:› ‘quid me fiat’). Il confronto con
Att. 70, 13-14, dove Prisciano cita le stesse parole attribuendole
all’Andria (v. 709), consente ora di suggerire che la citazione
anepigrafa del libro XVII provenga da questa commedia piutto-
sto che dallo Heautimoroumenos (si potrebbe dunque integrare
GL III 189, 3-5 in questo modo: Terentius in Andria: ‘quid me
faciam’. ‹Idem in eadem:› ‘quid me fiat’). Ter. Andr. 709 ricorre
inoltre in Quaest. gramm. GL Suppl. 173, 13-18, di cui Prisciano
è fonte dichiarata.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Ter. Andr. 709 Priscia-
no attesta, sia negli Atticismi sia in GL III 189, 5, la variante fiat
rispetto a fiet della tradizione diretta e di Donato (Andr. 709, 2 e
4, sia nel lemma sia nel commento; cfr. Don. Ter. Hec. 668, 1).

71, 1-9 ὅτι μάλιστα: cum maxime


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca
(Plat. Charm. 160c2- 4) – lemma latino – citazione greca (Plat.
Charm. 160c4-6) – citazione latina (Verg. Aen. 1, 15-16). La
seconda parte della voce sembra vertere su un fenomeno lingui-
stico diverso da quello lemmatizzato, cioè sull’uso di un avver-
bio comparativo in nesso con un verbo invece che con un ag-
gettivo o un avverbio. Questo costrutto è attestato sia nella
seconda citazione greca (ἂν εἴη μᾶλλον), che costituisce, nel
contesto di origine, il prosieguo del primo passo citato (Plat.
Charm. 160c2- 4 e 4- 6), sia nell’unico esempio latino addotto da
Prisciano (Verg. Aen. 1, 15-16 fertur magis … coluisse). Lo spo-
71, 1-9 327

stamento di interesse sintattico rispetto alla prima citazione


greca rende verosimile che il secondo passo del Carmide sia stato
inserito qui dallo stesso Prisciano. Anche il modo di articolare
tra loro le due citazioni greche, con la seconda introdotta
dall’espressione Πλάτων in eodem, risulta più coerente con la
Zitierweise priscianea che con quella del lessicografo atticista (cfr.
supra, pp. LXIX; 4). La modalità di citazione del tipo di
Πλάτων in eodem è attestata per autori greci, negli Atticismi,
solamente nelle due redazioni della coppia di lemmi consecutivi
φροντίζω – ἐμποδίζω, nella quale più avanzata è la rielabora-
zione priscianea del lessico fonte: 7, 5 ἐν τῷ αὐτῷ; 27, 9 Xeno-
phon in eodem (vd. ad locc.). Un lungo passo del Carmide è citato
anche nella prima metà del libro XVIII (GL III 253, 15-254, 3
= Plat. Charm. 155e2- 8), nella trattazione degli usi greci del
congiuntivo e dell’ottativo, che Prisciano illustra con una serie
di ampi estratti dalla IV e V tetralogia tratti direttamente dal
testo platonico o da una fonte intermedia diversa dal lessico
atticista. Più dettagliatamente sulla questione vd. Menchelli
2014, pp. 237-238; Spangenberg Yanes ics. [a].
LEMMA GRECO. Il lemma ὅτι μάλιστα si trova anche, extra
ordinem, in 37, 5- 6 (vd. ad loc.).
LEMMA LATINO. L’espressione cum maxime è accostata da Pri-
sciano a ὅτι μάλιστα anche in 37, 5- 6 (vd. supra, pp. 158-159).
La possibilità di connettere un avverbio comparativo a un
verbo invece che a un aggettivo o avverbio è asserita già nel
libro XVII: GL III 160, 7- 6 [scil. verbum] comparatione penitus
caret, quantum in sua voce: nam adiectione adverbii possunt comparari.
Nel contesto cui appartiene questa osservazione si distingue
l’uso nominale del participio, nel quale esso può formare il
comparativo, da quello verbale, nel quale la comparazione si
può esprimere solo per mezzo di un avverbio (GL III 160, 6-11
participium autem comparationem habere non potest, cum loco verbi
fungatur […]; similiter participio additur, ‘magis hunc colens quam
illum’). La stessa dottrina è esposta da Cledon. GL V 72, 10-14
Amans sapiens et cetera quando conparantur et adverbia faciunt et
genetivo casui coniunguntur, [quia] nomina sunt [...], quoniam partici-
pia nec conparantur nec adverbia faciunt et accusativo, non genetivo
328 COMMENTO

iunguntur (cfr. Prisc. GL III 217, 14-22; sulla costruzione dei


participi di verbi transitivi con il genitivo oggettivo o l’accusati-
vo vd. supra, pp. 93-94).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 15-16 è citato anche in GL
III 160, 9-11, per illustrare l’uso del comparativo con un verbo
invece che un aggettivo (magis … coluisse). Il passo ricorre inol-
tre in Att. 80, 6-7, più probabilmente a cagione del nesso magis
omnibus (vd. ad loc.).
PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Plat. Charm. 160c4- 6
contiene le varianti ἢ τὸ e οὔτε … οὔτε per ἢ τοῦ e οὐ τὸ …
οὐ τὸ di BT(W). Le lezioni testimoniate da Prisciano sono accol-
te come superiori dagli editori di Platone (vd. Menchelli 2014,
pp. 216-217). Più difficile è esprimere una valutazione sulla va-
riante σωφροσύνης per σωφροσύνη, che altera la sintassi fa-
cendo di τὸ ἡσυχῇ πράττειν il soggetto di εἴη invece che la
parte nominale, in quanto σωφροσύνη da soggetto della frase
diviene genitivo di pertinenza (il senso del passo muta da “nean-
che in questo la saggezza consiste più nell’agire con calma che
con veemenza e rapidità” in “neanche in questo è più proprio
della saggezza l’agire con calma che con veemenza e rapidità”).

71, 10-13 οὖν: ergo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca (Plat.
Tim. 21c2-3) – lemma latino – citazione latina (Ter. Andr. 850).
LEMMA GRECO. Altre congiunzioni greche appartenenti alla
categoria delle repletivae (παραπληρωματικοί) sono lemmatiz-
zate in 14, 3-10; 16, 3-12: vd. commento ad locc.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di οὖν ed ergo è
attestata anche in Dosith. 75, 5 Tolkiehn e nello Ps. Cirillo
(CGL II 389, 50).
Prisciano osserva il valore ‘riempitivo’ di ergo già nel libro
XVI: GL III 100, 21 invenitur tamen etiam pro expletiva. Come egli
nota poco oltre, quasi qualsiasi congiunzione, propriamente ap-
partenente a un’altra categoria, può rientrare anche in quella delle
completivae: GL III 102, 13-14 et fere quaecumque coniunctiones orna-
tus causa vel metri nulla significationis necessitate ponuntur, hoc nomine
nuncupantur. Sulle congiunzioni repletivae o expletivae o completivae
71, 14-72, 2 329

vd. supra, pp. 42- 43. Altrimenti il grammatico include ergo tra le
collectivae vel rationales (GL III 100, 15-17) che possono essere
definite anche illativae (GL III 101, 6- 8; cfr. Schad 2007, p. 199).
Questa classificazione di ergo coincide con quella stabilita da Ca-
risio, Diomede e Dositeo, che pongono la congiunzione tra le
ratiocinativae (Char. 291, 3- 4; Diom. GL I 416, 9-14; Dosith.
75, 6-10 Tolkiehn), secondo una dottrina che sembra risalire a
Palemone (Char. 290, 12 Palaemon autem ita definit; Diom. GL I
415, 16 Palaemon eam ita definit). Carisio tuttavia include ergo
anche in altre categorie di congiuzioni, tra le rationales (290, 9-
11, un passo derivato da Cominiano) e tra le causales (290, 27-
28, la cui fonte potrebbe essere ancora Palemone). Quest’ultima
classificazione è seguita anche da Dosith. 75, 3- 6 Tolkiehn.
CITAZIONI LATINE. Ter. Andr. 850 figura come esempio del-
l’uso repletivus di ergo anche in GL III 100, 21-22.

71, 14-72, 2 doppia negazione (οὐδὲ … οὐκ)


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (οὐδὲ / οὐδὲ …
οὐκ), con osservazione aggiuntiva – citazioni latine (Ter.
Phorm. 303; Lucan. 1, 642- 643; Ter. Eun. 435 = 535).
LEMMA GRECO. L’uso pleonastico delle negazioni è oggetto di
numerose voci degli Atticismi (73, 16-75, 3; 75, 6-76, 16: vd. ad
locc.). Il tipo di doppia negazione descritto nella seconda metà
del lemma in esame, nel quale una negazione composta precede
una semplice (οὐδὲ … οὐκ), è quello in cui le due negazioni si
dovrebbero di norma annullare vicenda, tranne che nel dialetto
attico di età classica in cui spesso risultano invece rafforzate (vd.
Kühner – Gerth II.2, pp. 204-205; Schwyzer II, pp. 597-598;
Cooper 1998, II, p. 1121).
LEMMA LATINO. Sia nella voce in esame che nelle altre in cui è
trattato il tema del pleonasmo della negazione Prisciano non
riesce mai a individuare effettivi corrispettivi latini della doppia
negazione greca. Egli propone pertanto esempi latini relativi
all’anadiplosi della negazione a scopo enfatico (71, 16 non, non)
o alla semplice coordinazione di due negazioni (76, 7 non …
nec), o ancora all’uso – da lui ritenuto ridondante – della nega-
zione con pronomi indefiniti (75, 2 nemo quisquam), con il
330 COMMENTO

comparativo di minoranza (72, 2 nihil minus; 75, 9 nihilominus) e


con costrutti verbali o preposizionali che implicano una nozio-
ne negativa (72, 1 nulla sine lege; 75, 9 recuso ne faciam). I lemmi
greci corrispondenti concernono, invece, più propriamente l’uso
rafforzativo di due negazioni in una stessa proposizione (71, 14
οὐδὲ τόδε οὐκ ἐποίησεν; 75, 7 οὔ τι μή … πέμπετε; 73, 16
= 75, 10 οὐχ ὅπως τόδε οὐκ ἐγένετο; 74, 9 οὐδὲ … οὐκ
ἀποστερεῖ) o della negazione con pronomi negativi (74, 11 οὐ
… οὐδὲν εἰπεῖν; 74, 12 οὐδεὶς ὅστις οὔ). La difficoltà del
grammatico a reperire degli esempi latini di doppia negazione
con funzione rafforzativa potrebbe dipendere dal fatto che que-
sto uso sintattico è diffuso soprattutto nel latino arcaico e tardo
(vd. Löfstedt 1956, II, pp. 209-213; Hofmann – Szantyr, pp.
803- 805, che comunque indicano sporadiche occorrenze anche
in Terenzio, Cicerone, Livio e Orazio) e che dunque egli pote-
va non trovarne attestazioni nella selezione di Musterautoren alla
quale si attiene nei libri XVII-XVIII, più ristretta di quella delle
precedenti sezioni dell’Ars (vd. supra, p. LXIX).
Altri grammatici si occupano della doppia negazione latina
in senso più proprio, classificandola come un genere di soleci-
smo: Sacerd. GL VI 21-22 per geminationem abnuendi, ‘nulla
neque ... amnem libavit quadrupes’ (Verg. ecl. 5, 25-26); Diom.
GL I 455, 11-13 per geminationem abnuendi, ut si dicas ‘numquam
nihil peccavi’, cum debeat dici ‘numquam peccavi’, quoniam duae
abnutivae unam confirmativam faciunt. Sebbene gli esempi indivi-
duati da Sacerdote e Diomede non coincidano con quelli di
abundans abnegatio proposti da Prisciano, nondimeno si nota, nel
trattamento di questo fenomeno sintattico, la medesima distanza
tra l’approccio descrittivo di quest’ultimo e quello normativo di
altri grammatici, già osservata riguardo ad altri lemmi degli
Atticismi (vd. supra, pp. 166-167; 292).
Il termine abnegatio è quasi esclusivo del lessico tecnico
grammaticale di Prisciano (cfr. GL II 552, 16; 22, 21 e 25; 23,
10; 35, 23; 38, 14; 96, 7; 157, 4; 236, 8; Att. 74, 11; 75, 8; 76,
4; altrove solo in Don. Ter. Phorm. 303, 2, citato infra; vd. ThlL
s. v. abnegatio [Vollmer], I 110, 56-65; questo lemma non è, in-
vece, registrato da Schad 2007). Anche l’uso dell’aggettivo abne-
72, 3-13 331

gativus è caratteristico di Prisciano (GL III 13, 30; 57, 13; 61, 14;
84, 23; 93, 15; 100, 5; 119, 21 e 24; 136, 6 e 9; 236, 4; altrove
solo in Schol. Hor. carm. 1, 1, 20). Gli altri grammatici impiegano
negatio (Char. 233, 9; 245, 1 e 3; Diom. GL I 404, 6 e 16) o più
spesso i genitivi negandi e negantis (vd. Schad 2007, pp. 261-262).
CITAZIONI LATINE. La doppia negazione in Ter. Phorm. 303 è
osservata anche da Don. ad loc. § 2 NON NON SIC FUTURUM EST
NON POTEST moralis abnegatio frequenti repetitione firmata. Lucan.
1, 642-643 e Ter. Eun. 435 (= 535) non sono citati altrove in
ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. Lucan. 1, 642 è riportato con la variante
sine lege, in accordo con i codici PGUCZ2A2 della tradizione
diretta; i codici ZMV di Lucano recano, invece, la lezione cum
lege, messa a testo da Shackleton Bailey. Il solo codice A di Luca-
no è latore della corruttela sine cum, che probabilmente si deve
alla trascrizione consecutiva di una lezione e della sua variante
interlineare. Löfstedt 1956, II, p. 211 n. 1, richiama l’attenzione
sull’antichità della variante sine, testimoniata oltre che da Pri-
sciano anche dagli Scholia Bernensia (ad loc., nel lemma), e sug-
gerisce che si tratti di una lectio difficilior. In generale il nesso sine
nullo (et sim.) è proprio del latino volgare e tardo (Hofmann –
Szantyr, p. 806); l’uso di questa preposizione con nullus è del
tutto ignoto a Forcellini s. v. sine. Sulla tradizione manoscritta
di Lucano, molto contaminata già nei più antichi testimoni di
epoca carolingia, vd. Tarrant in Reynolds 1983, pp. 215-218.

72, 3-13 οὕτως, τὸν αὐτὸν τρόπον: quo pacto, quam ob rem
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazioni greche
(Plat. Euthyd. 290c9-10; Demosth. 1, 15, con glossa sintattica) –
citazioni latine (Ter. Andr. 804- 805; Eun. 144-145) – osserva-
zione aggiuntiva – citazione latina (Verg. Aen. 1, 1 e 6).
LEMMA GRECO. Non è del tutto chiaro a quale fenomeno sin-
tattico facesse riferimento in origine il lemma greco della voce
in esame: così come lo riferisce Prisciano, esso descrive la sino-
nimia delle espressioni οὕτως e τὸν αὐτὸν τρόπον, tuttavia le
due citazioni che lo corredano e che, nella forma in cui si pre-
sentano negli Atticismi, sembrano illustrare solamente il nesso
332 COMMENTO

τὸν αὐτὸν τρόπον, nei loro contesti di origine costituiscono


altrettante attestazioni della correlazione dell’avverbio οὕτω(ς)
e dell’accusativo τὸν αὐτὸν τρόπον (in Plat. Euthyd. 290c9-d1
dopo ἔφη si trova οὕτω, omesso da Prisciano; in Demosth. 1,
15 l’avverbio richiama la locuzione τὸν αὐτὸν τρόπον dopo la
proposizione comparativa introdotta da ὥσπερ). In particolare
il passo demostenico è citato in forma più ampia, comprensiva
anche di οὕτως, in 103, 20-104, 2, dove oggetto dell’attenzio-
ne di Prisciano è certamente l’accostamento di τὸν αὐτὸν
τρόπον e οὕτως, come si ricava dal lemma latino che egli vi
accosta (quem ad modum dicis, sic facio) e dal fatto che la citazione
contiene la variante ὅνπερ per ὥσπερ. È possibile che in un
precedente stadio della tradizione lessicografica greca anche il
lemma di 72, 3 vertesse su questo fenomeno sintattico. Prisciano
sembra comunque aver considerato come un fenomeno unico la
correlazione di οὕτως e τὸν αὐτὸν τρόπον e l’accostamento
di quest’ultimo sintagma a ὥσπερ, giacché propone degli equi-
valenti latini per entrambe le strutture sintattiche (per la prima
Ter. Andr. 804- 805 quo pacto … sic; per la seconda Ter. Eun.
144-145 causae quam ob rem; Verg. Aen. 1, 6 genus unde), che
egli rubrica complessivamente sotto il fenomeno della redditio di
costrutti nominali tramite avverbi (Frequentissimae … redduntur).
CITAZIONI GRECHE. Demosth. 1, 15 è citato anche in 103, 20-
104, 2, con un taglio più esteso (μὴ τὸν αὐτὸν …
ἐρρᾳθυμηκότες) e con alcune varianti rispetto alla tradizione
diretta (vd. infra e commento ad loc.).
LEMMA LATINO. La correlazione di sintagmi nominali e avverbi
è trattata da Prisciano anche nel libro XVII (GL III 193, 13-
15), dove però è descritta in termini diversi, come un caso di
adverbium pro nomine, piuttosto che di redditio dell’avverbio per
mezzo di un sostantivo (vd. anche infra).
Il nesso del verbo sum con un nominativo che descrive un
fenomeno linguistico e una forma della flessione di frequens con
funzione di parte nominale (frequentissimae … sunt huiuscemodi
figurae nella voce in esame) è piuttosto raro nel frasario priscia-
neo, nel quale si incontrano più spesso locuzioni contenenti
l’avverbio frequenter; esso ricorre soltanto in GL III 242, 9 optati-
72, 3-13 333

vum protulit, qui mos Atticis est frequentissimus; Att. 72, 19-20 talis
iunctura frequens est apud nos; 114, 9 frequentissima est haec figura
apud auctores in qua praepositio deficit.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 6 illustra l’uso dell’avverbio
in sostituzione di un sintagma nominale anche in GL III 193,
14-15; la citazione occorre inoltre in GL III 62, 25-26, per
l’ellissi di est; 83, 18-20, a proposito dell’accentazione di unde
(cfr. Audax GL VII 360, 8-12). L’esegesi grammaticale del
passo più vicina a quella datane da Prisciano nella voce in esame
e nel libro XVII si trova in Serv. Aen. 5, 489 QUO in quam: nam
ponit adverbia pro nominibus, ut ‘genus unde Latinum’; ecl. 1, 20 QUO
id est ad quam: nam adverbium posuit pro nomine, ut ‘genus unde
Latinum’, id est a quo (cfr. anche Serv. Aen. 6, 766; Porph. Hor.
carm. 1, 12, 17; Schol. Hor. sat. 1, 2, 78; 1, 6, 12; Don. Ter. Eun.
11, 1; 115, 1). Il Servio danielino descrive lo stesso fenomeno in
modo lievemente differente, osservando che, nell’uso dei veteres,
unde non era solo un avverbio locale ma poteva essere riferito –
in sostituzione del pronome relativo, noi diremmo – anche a
persone (Serv. auct. Aen. 1, 6; 8, 71). Ter. Andr. 804-805 ed
Eun. 144-145 non è citato altrove in ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. Sull’omissione di οὕτω nella citazione di
Plat. Euthyd. 290c9-d1 vd. Menchelli 2014, pp. 218-219 n. 40.
La seconda occorrenza della citazione di Demosth. 1, 15
(103, 20-104, 2), contiene la lezione ὅνπερ, in accordo con il
codice A della tradizione diretta e con RhG XIV 213, 5, men-
tre gli altri manoscritti demostenici e lo stesso Prisciano in 72, 5
recano ὥσπερ. Le due tipologie di correlazione occorrono in
Demostene con pari frequenza (οὕτως … ὅνπερ in 8, 18; 20,
2; 20, 61; 23, 129; 36, 48; 39, 7; 51, 2; exord. 55, 2; cfr. Ps.
Demosth. 11, 4; οὕτως … ὥσπερ in 4, 22; 4, 39; 9, 30; 9, 33;
25, 21; 57, 66; cfr. Ps. Demosth. 10, 43), sicché non è possibile
esprimere una preferenza per l’una o l’altra lezione sulla base
dell’usus dell’oratore. Il fatto che nel lessico priscianeo siano
attestate entrambe le lezioni, ὥσπερ e ὅνπερ, non pone parti-
colari problemi: la citazione di Demosth. 1, 15 è ripetuta, infat-
ti, sotto due lemmi diversi, sicché doveva essere presente due
volte già nella fonte di Prisciano, alla quale risaliranno la diversa
334 COMMENTO

estensione delle due citazioni e le varianti ὥσπερ/ὅνπερ. Sulle


altre varianti, attestate nella seconda occorrenza di questo esem-
pio vd. infra, pp. 484- 485.
Prisciano cita Ter. Eun. 144-145 con la variante cupiam, in
accordo con la maggior parte dei codici di Terenzio; Kauer –
Lindsay – Skutsch mettono tuttavia a testo cupio, lezione di A2E
e di Donato (Eun. 145, nel lemma; 144, 2, nell’interpretamen-
tum). La lezione cupiam potrebbe essersi prodotta per assimila-
zione al precedente eam; d’altra parte è anche possibile che la
variante cupio si debba all’influenza dei vv. 147-149 habeo hic
neminem / neque amicum neque cognatum: quam ob rem, Phaedria, /
cupio aliquos parere amicos beneficio meo, dove quam ob rem è un
nesso relativo e pertanto è necessario l’indicativo cupio. In
espressioni simili Terenzio utilizza, in dipendenza da quam ob
rem, per lo più il congiuntivo (Andr. 381-382; Eun. 1000-1001;
Hec. 382; 452- 453; 695-696), con la sola eccezione di Andr.
837 ubi ea causa quam ob rem haec faciunt erit adempta his, desinent.
La citazione di Verg. Aen. 1, 6 è introdotta dal solo nome
del poeta, in modo contrario alla Zitierweise di Prisciano e sor-
prendente, giacché si tratta del proemio dell’Eneide (Aen. 1, 1 e
6), che il grammatico non doveva avere difficoltà a collocare
nel libro I del poema. Anche in questo caso, come in altri già
esaminati (cfr. pp. 7-9; 38), i due codici del ramo δ integrano
l’indicazione monca di provenienza di una citazione, che Pri-
sciano deve aver ‘appuntato’ in forma approssimativa (si noti
anche l’ampio taglio centrale dei vv. 2-5) in una prima fase
della redazione del lessico e che non ha più avuto occasione di
completare (vd. Rosellini 2015a, pp. XCVII-XCVIII). Del resto,
in questo caso l’indicazione poteva anche apparirgli superflua.

72, 14-73, 4 ὥστε con indicativo o infinito: ut con con-


giuntivo perfetto, presente o futuro, ut dichiarativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (οὐχ οὕτως …
ὥστε) – citazione greca (Lys. Agorat. 18), con glossa latina –
lemma latino con osservazioni aggiuntive – citazione latina
(Cic. Verr. 2, 5, 57). La voce è inclusa tra i lemmi in ο- a parti-
re dalla negazione οὐχ, presente nella citazione protolemmatica
72, 14-73, 4 335

e impropriamente ripetuta nel lemma, che verte tuttavia sulla


sintassi di ὥστε.
LEMMA LATINO. Prisciano tratta della costruzione di ut ‘causale’
con il congiuntivo anche nella prima metà del libro XVIII,
sebbene la sua attenzione sia ivi rivolta soprattutto al modo
retto dalla congiunzione ed egli non si soffermi con altrettata
precisione sui tempi verbali dipendenti da ut: GL III 255, 9-18
‘Ut’ causalis coniunctio omnibus temporibus et quaecumque pro ea
ponuntur causali, id est ἵνα significanti, subiunctivo adiunguntur. licet
autem et indicativa et subiunctiva eis anteponere vel subiungere, ut
‘doces ut proficias’ et ‘doceas ut proficias’ […]. sed indicativis utimur
rem quae fit indicantes, subiunctivis vero quod debuit fieri ostendentes
magis suasorie; sim. 259, 18; 266, 2-3. In questi passi l’equivalen-
te greco di ut è individuato in ἵνα; nei libri XV-XVI, invece, il
confronto è (anche) con ὅτι, come nel lessico finale: GL III 87,
16-18 Similitudinis, ut ‘[...] ut, uti’. haec etiam coniunctionum vim
habent causalium, quando ἵνα vel ὅτι significant Graecas coniunctio-
nes; 95, 6 est autem quando ‘ut’ etiam pro ὅτι Graeca ponitur (cfr.
part. 102, 15-16 Passalacqua; 124, 9-10). La corrispondenza
istituita con ἵνα e ὅτι sembrerebbe presupporre il riconosci-
mento del duplice valore, finale e dichiarativo, di ut; tuttavia
con causalis il grammatico sembra riferirsi piuttosto al valore
finale o consecutivo o, al limite, completivo della congiunzio-
ne, come si ricava dagli esempi reali e fittizi addotti in GL III
87, 16-25; 95, 6-9; 255, 9-18; 266, 1- 4 (cfr. part. 124, 3-4
Quando autem significat ἵνα Graecam coniunctionem loco coniunctio-
nis accipitur causalis. Nessuna osservazione sulla corrispondenza di
causalis con le categorie sintattiche moderne in Schad 2007, pp.
59- 60; qualche accenno in Charpin 1965, p. 398). Prisciano
non propone mai, infatti, sotto l’etichetta di ut ‘causalis’ attesta-
zioni dell’uso dichiarativo della congiunzione, che renderebbe-
ro ragione del confronto a più riprese stabilito con ὅτι. Forse è
possibile che egli sia stato indotto in un primo momento ad
accostare ut ‘causalis’, oltre che a ἵνα, anche a ὅτι perché en-
trambe le congiunzioni figurano, nella trattatistica grammaticale
greca, tra gli αἰτιολογικοὶ σύνδεσμοι (Apoll. Dysc. GG II.1
235, 7; 244, 26; Herodian. GG III.1 516, 8). Al valore dichia-
336 COMMENTO

rativo/causale (in senso moderno) di ut Prisciano allude soltan-


to, e in modo molto sintetico, negli Atticismi, in relazione alla
citazione di Cic. Verr. 2, 5, 57 (vd. infra). Qui, infatti, l’abituale
confronto di ut con ὅτι sembra aver portato il grammatico, per
mezzo della glossa di ὅτι con quod (per la quale cfr. CGL II
388, 44), a spostare l’attenzione dalla funzione finale e consecu-
tiva della congiunzione latina a quella dichiarativa, come risulta
dal passo ciceroniano che egli cita al termine della voce.
CITAZIONI LATINE. Cic. Verr. 2, 5, 57 non conosce altre cita-
zioni in ambito grammaticale. La comprensione della sintassi
nel passo delle Verrinae ha posto delle difficoltà anche agli inter-
preti moderni, per lo più non risolte, se si considera che la solu-
zione spesso adottata dagli editori è l’espunzione di ut (così C.
F. W. Müller, Peterson, A. Klotz; Halm, Thomas, Bornecque e
Piacente conservano, invece, ut). Le ipotesi avanzate a sostegno
dell’autenticità di ut sono quella di un anacoluto (Halm, Tho-
mas: ut in iudiciis introdurrebbe la prima parte di una similitudi-
ne, la cui seconda metà sarebbe espressa dal periodo successivo,
tot in Sicilia civitates sunt...; cfr. A. Klotz ad loc.: «vide ne mem-
brum comparativum exciderit») oppure dell’ut esclamativo
(proposta da Cima 1897, che chiama il confronto di Hor. carm.
1, 11, 3 ut melius, quiquid erit, pati, e accennata in apparato da
Piacente). In Cicerone ut e il comparativo sono però troppo
distanti perché si possa accogliere questa seconda spiegazione. È
comunque poco probabile che anche Prisciano, che nella voce
in esame tratta di ut finale o consecutivo (causalis) e dichiarativo
(vd. supra), potesse assegnare a ut in Cic. Verr. 2, 5, 57 un valore
comparativo o esclamativo. Il grammatico, che certamente
conosceva il contesto più allargato della Verrina, giacché di
un’altra orazione dello stesso gruppo fa un uso estensivo nella
prima metà del libro XVIII (GL III 258, 1-264, 15; vd. Rosel-
lini 2017, p. 126), doveva avvertire il valore predicativo di ho-
nestius (ei) sebbene est fosse sottinteso. Di conseguenza doveva
anche interpretare quell’ut come dichiarativo/causale (“che, in
quanto che”), epesegetico di multa … volnera (§§ 57-58 Hic mihi
etiam audebit mentionem facere Mamertinae laudationis! in qua quam
multa sint volnera, quis est vestrum iudices quin intellegat? primum ut
72, 14-73, 4 337

… explere. tot in Sicilia civitates sunt quibus tu per triennum prae-


fuisti; arguunt ceterae, paucae et parvae et metu repressae silent, una
laudat […]. deinde [...], quae est ista tandem laudatio, quoius lauda-
tionis legati et principes et publice tibi navem aedificatam et privatim se
ipsos abs te spoliatos expilatosque esse dixerunt? postremo quid aliud
isti faciunt, cum te soli ex Sicilia laudant, nisi testimonio nobis sunt
omnia te sibi esse largitum, quae tu de re publica nostra detraxeris?). Il
luogo ciceroniano sarebbe dunque stato collegato all’interpreta-
zione di ut come ὅτι, id est ‘quod’, indipendentemente dal mo-
do verbale collegato e forse anche dalla classificazione della
congiunzione come causalis. La citazione risponde soltanto al
richiamo secondario di ut come ὅτι, id est ‘quod’ e non al lem-
ma di partenza della voce, οὐχ οὕτως … ὥστε, né al suo pri-
mo equivalente latino individuato nell’uso consecutivo o finale
di ut con il congiuntivo.
PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Lys. Agorat. 18 attesta,
rispetto alla tradizione diretta, l’inversione di ἐκεῖνοι οὕτως in
οὕτως ἐκεῖνοι e l’omissione di ἄν dopo τηλικούτων. Di que-
st’ultima non si può del tutto escludere che, piuttosto che essere
ereditata dal lessico fonte, sia avvenuta nella tradizione dell’Ars,
nella quale avrebbe potuto essere favorita dalla somiglianza di ω
(τηλικούτ-ων) con una a minuscola di forma aperta (ἄν). Sullo
scambio di alcune lettere greche con quelle latine corrisponden-
ti vd. Rosellini 2014a, p. 359; 2015a, p. XXXVII.
Nella citazione di Cic. Verr. 2, 5, 57 Prisciano attesta ut in
accordo con la totalità della tradizione diretta; la congiunzione
è espunta da molti editori ciceroniani (vd. supra); dai testimoni
diretti egli, invece, si distacca per l’omissione di est dopo hones-
tius. La copula è aggiunta nell’interlineo nel codice R e nel testo
principale in Q, per congettura o per conoscenza diretta
dell’orazione di Cicerone. L’integrazione, accolta da Hertz (GL
III 338, 19), non è necessaria a rendere conto del ricorso a que-
sto passo da parte di Prisciano per illustrare l’uso di ut come
‘ὅτι’, id est ‘quod’. Assolutamente da respingere è poi la corre-
zione di dare ed explere rispettivamente in daret ed expleret, pre-
sente nell’editio Aldina e in van Putschen, che ricondurrebbe, in
modo inappropriato, l’esempio ciceroniano al primo argomento
338 COMMENTO

grammaticale toccato da Prisciano nella voce in esame, cioè


l’uso consecutivo o finale di ut con il congiuntivo.

73, 5-6 οὐχ ἥκιστα: non minus, non parum, nihilo minus
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino.
LEMMA LATINO. Diversamente che nella prima voce dedicata
alla doppia negazione (71, 14-72, 2), in questa e nelle due se-
guenti (73, 7-14) Prisciano tratta, sulla scia della sua fonte attici-
sta, di una serie di espressioni nelle quali le due negazioni si
annullano a vicenda (litote) invece che rafforzarsi.

73, 7- 8 οὐκ ἀδυνατώτατος: non inertissimum


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione latina
(Cic. div. in Caec. 67).
LEMMA GRECO. La citazione protolemmatica di questa voce era
probabilmente Thuc. 1, 5, 1 ἐτράποντο πρὸς λῃστείαν,
ἡγουμένων ἀνδρῶν οὐ τῶν ἀδυνατωτάτων κέρδους τοῦ
σφετέρου αὐτῶν ἕνεκα καὶ τοῖς ἀσθενέσι τροφῆς, come
suggerisce il confronto con Schol. Thuc. 1, 5, 1 οὐ τῶν ἀδυνα-
τωτάτων· ἀλλὰ τῶν δυνατωτάτων ἀντιλέγει, ἐπειδὴ εἶπεν
τοὺς ἐνδοξοτάτους λῃστεύοντας, da cui si ricava anche che
nella fonte atticista di Prisciano la seconda parte del lemma,
ἀλλὰ δυνατώτατος, doveva essere in origine piuttosto l’inter-
pretamentum di οὐκ ἀδυνατώτατος. In assenza di elementi utili
a chiarire se Prisciano cogliesse ancora la funzione di glossa di
ἀλλὰ δυνατώτατος, sembra più prudente indicare l’espressio-
ne greca come un tutt’uno, sia perché il grammatico non dispo-
neva della citazione protolemmatica sia perché non sono altri-
menti attestate nel frasario del lessico fonte delle glosse formula-
te in questo modo. L’eventualità che Prisciano abbia considera-
to parte di un lemma greco anche il suo interpretamentum si veri-
fica anche in 36, 15; 42, 14: vd. ad locc.
LEMMA LATINO. Alla litote sono dedicate anche le voci in 73,
5-6; 73, 9-14 (cfr. commento ad locc.).
CITAZIONI LATINE. Cic. div. in Caec. 67 non è citato altrove in
ambito grammaticale.
73, 9-14 339

73, 9-14 οὐχ ἧττον: non minus, non secus


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con glosse semanti-
che latine – lemma latino – citazioni latine (Verg. Aen. 3, 236;
4, 149, con glossa semantica) – citazione greca (Thuc. 1, 8, 1),
con glossa semantica – citazione latina (Ter. Eun. 226-227), con
glossa semantica.
CITAZIONI GRECHE. La litote in Thuc. 1, 8, 1 è rilevata anche
nello scolio ad loc.: οὐχ ἧσσον· ἀντὶ τοῦ λίαν. Il passo è inol-
tre citato sotto il lemma φέρειν in Sud. φ 222, dove se ne pro-
pone una glossa semantica che include anche lo scioglimento
della litote (ἀντὶ τοῦ λίαν ἐλῄστευον, ἔβλαπτον).
LEMMA LATINO. Il fenomeno linguistico oggetto di questa voce
è discusso da Prisciano anche nei libri III e XV: GL II 93, 17-
94, 5 ‘minus’ autem adverbium est quando cum positivo iunctum
contrariae significationis comparativum demonstrat, ut ‘minus stultus’
pro ‘prudentior’; GL III 88, 1-3 hoc cum adversa qualitate coniunc-
tum contrariae qualitatis comparativum significat, ut ‘minus prudens’
pro ‘stultior’ et ‘minus stultus’ pro ‘prudentior’. In questi due passi
minus stultus/ineptus è glossato con la forma sintetica del compa-
rativo di prudens, nel lessico con quella analitica (magis prudens).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 3, 236 ricorre in GL III 94, 4;
115, 17; Att. 67, 5; part. 108, 1 Passalacqua, in tutti i casi a
proposito dell’uso comparativo di ac (vd. supra, pp. 313-314);
solo nella voce in esame il luogo virgiliano è trattato come
esempio di litote. Ter. Eun. 226-227 è richiamato anche in GL
II 93, 17-94, 5. Per la citazione del luogo terenziano Prisciano
è la fonte dichiarata di Ars Bern. GL Suppl. 79, 24-28.
PROBLEMI TESTUALI. La tradizione diretta reca in Verg. Aen. 4,
149 haud illo segnior: è probabile che Prisciano, che cita dal
quarto libro dell’Eneide il nesso non segnior, abbia confuso questo
passo con le innumerevoli occorrenze di tale espressione nella
poesia esametrica di età augustea e imperiale. In particolare il
grammatico potrebbe aver avuto in mente Lucan. 4, 581-582
non segnior illo / Marte fuit, che si trova parimenti nel quarto
libro di un poema e il cui contesto, con la presenza del secondo
termine di paragone illo, è molto simile a quello di Verg. Aen.
4, 149-150 haud illo segnior ibat / Aeneas (cfr. anche Verg. georg.
340 COMMENTO

2, 275; Ov. met. 7, 769; Lucan. 4, 581; 6, 180; Stat. Theb. 2,


595; 9, 566; silv. 5, 3, 24; Sil. 6, 466).

74, 15 οὐδαμοῦ: nusquam


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di οὐδαμοῦ e
nusquam è affermata anche in Dosith. 62, 3 Tolkiehn; CGL II
135, 29; 388, 56; III 152, 40.
Prisciano nota il valore locale e negativo di nusquam anche in
GL III 136, 9 ‘nusquam’ omnium locorum est abnegativum.

73, 16-74, 8 οὐχ ὅπως … ἀλλά con o senza un’ulteriore


negazione
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazioni greche
(Isocr. Plat. 5; 27). Questa è la versione primitiva di una voce
più completa che occorre poco oltre (75, 10-76, 16); deve per-
tanto risalire alla fase della redazione e prima trascrizione degli
Atticismi piuttosto che a un’erronea ‘meccanica’ duplicazione di
questa pericope di testo nella tradizione medievale dell’Ars (vd.
Rosellini 2012b, pp. 456- 458). Il più progredito stadio di ela-
borazione del lemma da parte di Prisciano nella sua seconda
occorrenza è provato in primo luogo dalla presenza di un com-
mento latino (76, 4-5) e di una nutrita serie di esempi latini a
illustrazione del medesimo fenomeno osservato nel lemma gre-
co (76, 5-16), elementi assenti dalla prima redazione della voce,
del tutto priva di lemmi e citazioni latini. Si osservano inoltre,
nella seconda redazione, la traduzione di Ἐν δὲ τοῖς ἑξῆς (74,
4) in In sequentibus vero (75, 16) e la traslitterazione di
Ἰσ‹ο›κράτη‹ς› (73, 17) in Isocrates (75, 11; cfr. supra, p. LVIII).
Nel lessico fonte il lemma doveva concernere la possibilità di
esprimere o omettere la negazione nella proposizione coordina-
ta a quella con οὐχ ὅπως, introdotta da ἀλλά (cfr. De Nonno
apud Rosellini 2012b, p. 459 n. 21): solo la seconda proposizio-
ne varia, infatti, nelle due parti del lemma (ἀλλ’ οὐδὲ τόδε /
ἀλλὰ τόδε καὶ τόδε). In questa prospettiva la ripetizione della
doppia negazione, nella prima proposizione, in entrambi i mem-
bri del lemma (οὐχ ὅπως τόδε οὐκ ἐγένετο / οὐχ ὅπως τόδε
73, 16-74, 8 341

οὐκ ἐγένετο) non pone particolari problemi (l’incoerenza è


rilevata in Rosellini 2012b, pp. 460- 461), sebbene tale doppia
negazione sia attestata solo nel primo passo isocrateo, posto a
illustrazione del primo costrutto lemmatizzato (οὐχ ὅπως τόδε
οὐκ ἐγένετο, ἀλλ’ οὐδὲ τόδε / Plat. 5 οὐκ ὅπως τῆς κοινῆς
ἐλευθερίας οὐ μετέχομεν, ἀλλ’ οὐδὲ δουλείας μετρίας
τυχεῖν ἠξιώθημεν), e non anche nel secondo, relativo al secon-
do costrutto lemmatizzato (οὐχ ὅπως τόδε οὐκ ἐγένετο, ἀλλὰ
τόδε καὶ τόδε / Plat. 27 οὐκ ὅπως τούτων χάριν ἀπέδοσαν,
ἀλλ’ … εἰς τὴν Λακεδαιμονίων συμμαχίαν εἰσῆλθον). È,
infatti, tipico dell’estensore del lessico fonte l’uso di ricavare un
lemma da una singola citazione protolemmatica, conservandone
la struttura anche nei membri del lemma relativi a costruzioni
alternative e illustrati da esempi differenti (vd. pp. XLV-XLVII).
Rosellini 2012b, pp. 459- 460, ha ipotizzato che dalle due
citazioni isocratee, presenti nella sua fonte sotto il lemma οὐχ
ὅπως, Prisciano intendesse inizialmente ricavare due voci di-
stinte con lemma rispettivamente οὐχ ὅπως … ἀλλ’ οὐδὲ
τόδε e οὐχ ὅπως … ἀλλὰ τόδε καὶ τόδε. Questa ricostruzio-
ne rende conto sia della presenza di due redazioni della stessa
voce (73, 16-74, 8; 75, 10-76, 16) sia dell’assenza del primo
membro del lemma (οὐχ ὅπως … ἀλλ’ οὐδὲ τόδε) in 73, 16
e dell’omissione del secondo (et rursus οὐχ ὅπως … ἀλλὰ τόδε
καὶ τόδε) in 75, 10-11. Quest’ultimo sarebbe poi stato ivi ri-
sarcito in margine al momento in cui il grammatico decise di
unificare le due voci ed erroneamente trascritto, nel corso della
tradizione, nel testo principale dopo 76, 12 contrario. Altrimenti
occorrerebbe spiegare, come fa De Nonno apud Rosellini
2012b, p. 459, l’assenza di οὐχ ὅπως … ἀλλ’ οὐδὲ τόδε da
73, 16 e di et rursus οὐχ ὅπως … ἀλλὰ τόδε καὶ τόδε (poi
supplito) da 75, 10 con due diversi sauts du même au même, ma è
forse un’ipotesi meno persuasiva. I due lemmi, οὐχ ὅπως τόδε
οὐκ ἐγένετο, ἀλλ’ οὐδὲ τόδε e οὐχ ὅπως τόδε οὐκ ἐγένε-
το, ἀλλὰ τόδε καὶ τόδε, con il mantenimento in entrambi di
una identica struttura e il ricorso al pronome dimostrativo e al
verbo γίγνομαι per rappresentare soggetto e predicato verbale
della citazione protolemmatica, risultano del tutto coerenti con
342 COMMENTO

la prassi e il frasario altrove dispiegati dal compilatore del lessico


fonte, molto meno, invece, con le modalità espressive degli
interventi di aggiunta o riformulazione di lemmi e parti di lem-
mi certamente ascrivibili a Prisciano. Come suggerisce De
Nonno apud Rosellini 2012b, p. 459, la duplice articolazione
sintattica οὐχ ὅπως … ἀλλ’ οὐδὲ τόδε e οὐχ ὅπως … ἀλλὰ
τόδε καὶ τόδε doveva dunque essere già trattata in un’unica
voce nella fonte di Prisciano. Questi non avrebbe formulato
autonomamente, infatti, le due versioni del lemma attestate
nelle due diverse redazioni della voce, bensì avrebbe separato le
formule già esistenti nella sua fonte, tratte dai due passi isocratei.
In ogni caso una due redazioni della voce è necessariamente
fuori posto rispetto alla sequenza originaria del lessico fonte, che
doveva contenere un’unico lemma οὐχ ὅπως, ma mancano
elementi utili a stabilire quale delle due voci sia quella introdot-
ta fuori posto, giacché l’ordine alfabetico degli Atticismi, fondato
sulle prime due lettere di ciascun lemma, è comunque rispettato.
LEMMA GRECO. È notevole la presenza di una doppia negazio-
ne sia nella formulazione del lemma (οὐχ ὅπως τόδε οὐκ
ἐγένετο) sia nel primo esempio addotto (Isocr. Plat. 5 οὐκ
ὅπως τῆς ἐλευθερίας οὐ μετέχομεν), sebbene non sembri
aver attratto né l’attenzione del compilatore del lessico fonte né
dello stesso Prisciano (il fenomeno è comunque ben presente a
entrambi: vd. 71, 14-72, 2; 74, 9-12; 74, 13-75, 3, 75, 6-9).
Cooper 1998, II, p. 1131, osserva che in una frase introdotta da
ἀλλά dopo οὐχ ὅπως la negazione può essere sia espressa sia
omessa, mentre non conosce un’articolazione del periodo con
una seconda negazione dopo οὐχ ὅπως. Secondo la schematiz-
zazione delineata dallo studioso οὐχ ὅπως può significare sia
“non solo” sia “non solo non”; la fonte di Prisciano sembrereb-
be, invece, richiedere per questo secondo significato una secon-
da negazione nella frase con οὐχ ὅπως. Al di fuori del passo di
Isocrate conservato negli Atticismi (sul quale vd. infra), questo
tipo di doppia negazione è attestato solo dall’età imperiale (vd.
Fassino 2014, p. 274). Una sola altra occorrenza in un autore
classico sarebbe in Theop. FGrHist 115 F 252 (testimoniato da
Athen. 6, 230e-f) ὁ πρότερον οὐχ ὅπως ἐξ ἀργυρωμάτων
73, 16-74, 8 343

[οὐκ] ἔχων πίνειν ἀλλ’ οὐδὲ χαλκῶν, ἀλλ’ ἐκ κεραμέων


καὶ τούτων ἐνίοτε κολοβῶν (l’espunzione di οὐκ, proposta
da Cobet 1858b, p. 127, è accolta sia da Jacoby sia da Kaibel).
Anche nel secondo passo isocrateo, Plat. 27 οὐχ ὅπως
τούτων χάριν ἀπέδοσαν, il senso di οὐχ ὅπως è “non solo
non”, ma questa volta in assenza di una seconda negazione nella
prima frase. Rosellini 2012b, pp. 460-461, ha avanzato l’ipotesi
che la parte del lemma corrispondente a questo secondo esem-
pio da Isocrate potesse essere in origine priva della doppia nega-
zione nella prima proposizione (οὐχ ὅπως τόδε ἐγένετο,
ἀλλὰ τόδε καὶ τόδε). Sebbene non sia difficile supporre l’erro-
nea ripetizione di οὐκ anche nel secondo membro del lemma
per confusione con il primo, non si può però nemmeno esclu-
dere che il mantenimento della doppia negazione nella parte del
lemma connessa a un locus classicus che ne era privo si debba
solamente alla prassi del lessicografo antico di conservare la stessa
struttura sintattica della citazione protolemmatica nell’espressione
di tutte le costruzioni alternative di uno stesso lemma.
PROBLEMI TESTUALI. Sull’assenza della prima parte del lemma,
οὐχ ὅπως … ἀλλ’ οὐδὲ τόδε, presente, invece, in 75, 10, vd.
supra. L’altra omissione, di minore estensione, che caratterizza
questa prima redazione della voce οὐχ ὅπως rispetto alla se-
conda (74, 7 πόλ‹εμον ἀπολ›είποντες; cfr. 76, 2-3), è dovuta
a un saut du même au même.
Altre corruttele o varianti di minor conto si presentano solo
in questa prima voce (73, 16 ΟΠΟC; 73, 17 ΠΟΛΛΟΙ; 74, 4 Κα;
74, 5 CΤΡαΤεΥCαΤωΝ; omissione di δὲ dopo δι’ ὑμᾶς) oppure
solamente nella seconda (75, 11 ΥΚ; ΤΟΔ; 75, 12 αξΙΟΥCΟαΙ;
75, 15 ΤΥΧΗΝ; 76, 1 CωΘεΝΤωΝ; ΟΥΚ; 76, 3 ΓΗΝ). Tra que-
ste potrebbe essere meritevole di maggiore attenzione la lezione
ΠΟΛΛΟΙ nella prima citazione di Isocr. Plat. 5 (73, 17), in luo-
go di πολύ di 75, 12 e della tradizione diretta: secondo Fassino
2014, p. 273 n. 2, essa potrebbe adombrare un πολλῷ sostitui-
to per errore a πολύ nella prima trascrizione della voce.
Altri errori si ripetono, invece, identici in entrambe le reda-
zioni: si tratta di due corruttele dovute alla pronuncia itacistica
(74, 3 = 75, 15 ΔΟΥΛιαC; 74, 6 = 76, 2 ΔιεΛΥεCΘαι) e del più
344 COMMENTO

grave guasto testuale ΟΥΤωΝ ΔΕΟΜΕΝωΝ (74, 1 = 75, 12-13),


che non consente di risalire con certezza alla forma corretta pre-
sente nella fonte di Prisciano. Quest’ultima corruttela potrebbe
aver sfigurato già il lessico fonte, ma occorre chiedersi se Pri-
sciano potesse accogliere la sequenza ΟΥΤωΝ ΔΕΟΜΕΝωΝ e
come potesse eventualmente interpretarla in una proposizione
introdotta da ὅτι e rimasta priva di un verbo di modo finito.
Nella citazione di Isocr. Plat. 5 la lezione οὐ μετέχομεν,
presente in entrambe le occorrenze dell’esempio negli Atticismi,
potrebbe essere condivisa dal codice Γ della tradizione diretta
ante correctionem. Questo testimone, che da solo rappresenta un
ramo di tradizione (vd. Fassino 2014, pp. 256-257), presenta,
infatti, la rasura di due lettere davanti a μετέχομεν (vd. Roselli-
ni 2012b, p. 454 n. 6; Fassino 2014, p. 274). Sulla doppia nega-
zione determinata nel passo da questa variante vd. supra.

74, 9-12 doppia negazione


STRUTTURA DELLA VOCE. Citazioni greche (Lys. or. 76 fr. 55
Thalheim = 200 Carey οὐδὲ … οὐκ, con osservazione aggiunti-
va; Demosth. 18, 3 οὐ ... οὐδέν). È possibile che Prisciano
abbia riunito in questa voce, sotto la comune etichetta della
doppia negazione, due esempi greci (il secondo citato in forma
anonima) collocati in origine sotto lemmi differenti.
LEMMA GRECO. Sul trattamento della doppia negazione negli
Atticismi vd. supra, pp. 329-330.
CITAZIONI GRECHE. Il fr. 200 Carey di Lisia, che funge da
lemma-citazione di questa voce del lessico, presenta una se-
quenza di due negazioni (οὐδὲ … οὐκ) corrispondente a quella
di un precedente lemma degli Atticismi, 71, 14 οὐδὲ τόδε οὐκ
ἐποίησεν. Mancano tuttavia elementi che consentano di ipo-
tizzare la provenienza dell’esempio da quella voce del lessico
fonte e spiegare perché sia stato trascritto in questo punto.
L’espressione greca introdotta da Similiter si identifica in
Demosth. 18, 3 οὐ βούλομαι δυσχερὲς εἰπεῖν οὐδέν.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione anepigrafa di Demosth. 18,
3 il pronome οὐδέν si trova dopo δυσχερές, come nella tradi-
zione diretta e presso la maggior parte dei testimoni indiretti
74, 13-75, 3 345

(Ps. Herodian. RhG III 95, 12 Spengel; Hermog. id. p. 361, 14


Rabe; Ps. Hermog. meth. p. 420, 7-8 Rabe; Demetr. eloc. 253;
Syr. Hermog. id. p. 39, 10-11 Rabe; Schol. Ael. Aristid. 117, 15
Jebb; Schol. Demosth. 1, 14c), mentre Schol. Demosth. 18, 12a e
Schol. Hermog. RhG VII 962, 13 omettono il pronome. Prisciano
si accorda inoltre con quasi tutte le fonti di tradizione indiretta
(tranne Tib. fig. Demosth. 10) e parte dei codici demostenici
nell’attestare la sequenza οὐδὲν εἰπεῖν (A, Π11906) invece di
εἰπεῖν οὐδέν e nell’aggiunta di δέ dopo βούλομαι (ScAFY,
Π11906; il solo testimone diretto che ometta il δέ è S a. c.). Si
noti in particolare il pieno accordo del grammatico con P. Be-
rol. 11906 (II sec.). Gli editori di Demostene espungono la
particella perché nel periodo considerato nella sua interezza
ἀλλ’ ἐμοὶ μέν è in antitesi rispetto a οὗτος δὲ ἐκ περιουσίας
μου κατηγορεῖ, non ad ἀλλ᾽ ἐμοὶ μέν.

74, 13-75, 3 οὐδεὶς ὅστις οὐ: nemo quisquam


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca
(Plat. Hipp. Ma. 299a1-2) – citazione latina (Ter. Eun. 1032).
CITAZIONI GRECHE. L’impropria indicazione Πλάτων ἐν
προτέρῳ Ἱππαρχικῷ è necessariamente connessa, come
Πλάτων Ἱππίᾳ, alla successiva citazione dell’Ippia maggiore;
l’espressione οὐδεὶς ὅστις οὔ non occorre mai, infatti, nell’Ip-
parco. Sul problema testuale, vd. infra.
LEMMA LATINO. L’uso di nemo con quisquam, considerato da
Hofmann – Szantyr, pp. 801-802, arcaico o tardo, non è tratta-
to da altri grammatici latini.
CITAZIONI LATINE. Ter. Eun. 1032 non è citato altrove in ambi-
to grammaticale; il carattere pleonastico di quisquam concordato
con nemo è però rilevato nel passo anche da Don. ad loc. § 2 NE-
MO HERCLE Q. παρέλκον tertium (cfr. Andr. 90, 2; Hec. 67, 1).
PROBLEMI TESTUALI. Rosellini 2012b, p. 453 n. 4, ritiene che
Πλάτων … Ἱππαρχικῷ sia l’errata trascrizione di una prece-
dente indicazione di provenienza dell’esempio greco presente in
questa voce, Plat. Hipp. Ma. 299a1-2, «rettificato da Prisciano o
da un suo collaboratore sulla scheda di lavoro in base al testo
della fonte». Hertz (in apparato a GL III 340, 6) pensa, invece,
346 COMMENTO

che Πλάτων … Ἱππαρχικῷ e il successivo οὐδ[ε]εὶς ὅστις


οὔ, siano un impreciso richiamo marginale del contenuto della
voce («scioli glossema»), erroneamente trascritto nel testo prin-
cipale. È tuttavia assai improbabile che un lettore dell’Ars, per
quanto sciolus, sia stato in grado di intervenire – sia pure impro-
priamente – sull’indicazione di provenienza di una citazione di
autore attico. Le parole in questione devono dunque risalire o
alla fonte di Prisciano o al più tardi alla rielaborazione e prima
trascrizione degli Atticismi a opera dello stesso e del suo allievo
Flavio Teodoro. Un chiarimento in questo senso proviene
dall’analisi linguistica di ἐν προτέρῳ Ἱππαρχικῷ. In testi greci
di qualsiasi genere (non solo grammaticale), infatti, non si trova
mai l’indicazione ἐν προτέρῳ (vel sim.) per designare il primo
dei (due) libri che compongono un’opera o il primo di due libri
con lo stesso titolo; nel caso specifico, i due dialoghi platonici
intitolati Ippia sono di norma indicati con il semplice (ἐν)
Ἱππίᾳ (eccezionali Ps. Did. lex. Plat. 72 ἐν Ἱππίᾳ τῷ μείζονι;
Themist. 345c7 ἐν τῷ βραχυτέρῳ Ἱππίᾳ; Moer. ω 9 ἐν
Ἱππίᾳ β´). Si può, invece, chiamare il confronto di Prisc. GL
III 264, 20 Platon in Alcibiade priore (ma cfr. 266, 9-10 Plato in
I Alcibiade), un’espressione certamente formulata dallo stesso
grammatico e non derivata da una fonte intermedia, giacché
l’uso estensivo che egli fa dell’Alcibiade I in quella sezione del
libro XVIII è indizio di una conoscenza diretta del testo plato-
nico. È molto probabile dunque che l’indicazione ἐν προτέρῳ
nella voce in esame non risalga al lessicografo atticista ma si
debba a un intervento del grammatico sulla sua fonte: egli
poteva leggervi semplicemente (ἐν) Ἱππίᾳ (cfr. Moer. δ 36) e
aver inteso precisare che si trattava del ‘primo’ dialogo con
questo titolo. La corruttela di Ἱππίᾳ in Ἱππαρχικῷ avrebbe
avuto luogo, forse a partire dall’errato scioglimento di un’ab-
breviazione, nei materiali di lavoro dello stesso Prisciano. Nel
correggerla, questi avrebbe quindi inteso ripristinare ἐν
προτέρῳ Ἱππίᾳ ma per una svista questa seconda indicazione,
annotata in un primo momento in margine, invece che sosti-
tuire l’indicazione più antica sarebbe stata incorporata nel testo
principale davanti al lemma e, contemporaneamente o in un
75, 4-5 347

momento successivo, avrebbe dato origine allo scambio di


Ἱππαρχικῷ e Ἱππίᾳ, dal quale deriverebbe la configurazione
del testo quale è tràdito dai manoscritti. Se, come sembra, la
presenza di una doppia indicazione di provenienza di Hipp. Ma.
299a1-2 si deve a un intervento di Prisciano, essa potrebbe
essere indizio della conoscenza diretta, da parte del grammatico,
di almeno un dialogo appartenente a una tetralogia diversa
dalla quarta e dalla quinta (dalle quali provengono tutte le cita-
zioni, nella prima metà del libro XVIII e in Att. 71, 4-7, per le
quali si può supporre con ragionevolezza l’uso diretto del testo
platonico. Cfr. supra, p. 327).
Sulle varianti, considerate inferiori, che Prisciano reca nella
citazione di Plat. Hipp. Ma. 299a1-2 rispetto alla tradizione
diretta o a parte di essa vd. Menchelli 2014, pp. 225-226.

75, 4-5 οὐδέποτε: numquam


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con osservazione
aggiuntiva – lemma latino.
LEMMA GRECO. L’indicazione di Prisciano che οὐδέποτε si
può impiegare in riferimento sia a eventi passati che futuri con-
trasta con i dati raccolti da LSJ, che osservano nel dialetto attico
una ripartizione tra gli usi di οὐδέποτε, per il presente e futuro,
e οὐδεπώποτε, per il passato (s. vv. οὐδέποτε; οὐδεπώποτε).
LEMMA LATINO. Numquam corrisponde a οὐδέποτε anche nei
glossari medievali (CGL II 389, 11; III 5, 66).
La possibilità di adoperare numquam in nesso con diversi
tempi verbali è prevista da Prisciano anche nel libro XVII, dove
il grammatico parla di omnia tempora (GL III 136, 4-10 similiter
‘usquam’ ad omnia loca refertur et ‘umquam’ ad omnia tempora. […]
similiter ‘nusquam’ omnium locorum est abnegativum, et ‘numquam’
omnium temporum), mentre nella voce in esame menziona sola-
mente il preterito e il futuro, forse recependo passivamente
un’indicazione già contenuta nella sua fonte atticista.

75, 6-9 doppia negazione


STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Ar. Eccl. 756-757 οὔ τι
μή) – osservazione aggiuntiva – lemma latino, con glosse sintattiche.
348 COMMENTO

LEMMA GRECO. Sul trattamento della doppia negazione negli


Atticismi vd. supra, pp. 329-330.
LEMMA LATINO. Nihilominus, che qui Prisciano propone come
esempio di doppia negazione con funzione rafforzativa, che
cioè conserva il suo valore negativo, in 73, 5 è affiancato, inve-
ce, ad alcuni esempi di litote (οὐχ ἥκιστα, non minus, non pa-
rum, nihilo minus). Il diverso significato assegnato a questa
espressione nelle due voci sostiene l’adozione di grafie differen-
ti, analitica in 73, 5, univerbata in 75, 9. Su nihilo minus cfr.
anche 37, 6, con commento ad loc.
Nessun altro grammatico tratta degli usi sintattici di recuso
(sui quali vd. Forcellini s. v. recuso, I.1.c-d).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Ar. Eccl. 756-757 Pri-
sciano attesta la negazione μή in accordo con la totalità dei
codici di Aristofane; Ussher ha proposto di correggere la secon-
da negazione in μήν (messo a testo da Wilson). Οὔ τι μή oc-
corre comunque anche in Aesch. Sept. 38; 199; Eum. 225; So-
ph. OC 450; fr. 208, 9 Radt; Plat. Symp. 189b6; con οὔτι uni-
verbato, in Eur. Cycl. 666; Hec. 1039; Rhes. 115; Aesch. Ag.
1640; Choe. 895. L’ulteriore variante τί δή ποτε testimoniata
dal grammatico contro τί δῆτ’ della tradizione diretta aristofa-
nea è una lezione inferiore giacché viola il metro.

75, 10-76, 16 οὐχ ὅπως … ἀλλά con o senza un’ulteriore


negazione: presenza o assenza di una seconda negazio-
ne nella coordinazione di più proposizioni o elementi di
una stessa frase
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (οὐχ ὅπως … οὐκ)
– citazioni greche (Isocr. Plat. 5; 27) – osservazione aggiuntiva
– citazioni latine (Verg. Aen. 3, 42-43; 9, 602; Lucan. 4, 750-
753), con glosse – osservazione aggiuntiva – citazione latina
(Lucan. 4, 785-786), con glossa.
Una prima redazione di questa voce, priva degli equivalenti
latini, è stata trascritta in 73, 16-74, 8: vd. supra, ad loc.
LEMMA GRECO. Sulle due strutture sintattiche descritte nel
lemma di questa voce vd. supra, pp. 342-343.
CITAZIONI GRECHE. Le due citazioni di Isocrate presenti nella
76, 17-19 349

voce in esame occorrono anche nella sua prima redazione in 73,


16-74, 8: vd. supra, ad loc.
LEMMA LATINO. Sul trattamento del pleonasmo della negazione
da parte di Prisciano vd. supra, pp. 329-330.
CITAZIONI LATINE. Nessuno degli esempi latini presenti in
questa voce occorre altrove in ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Verg. Aen. 9, 602 è intro-
dotta dalle sole parole Idem in, senza il numero del libro, suppli-
to in parte dei codici (in VIIII δθ; in eodem ζI, TR e corr.).
Sebbene anche in altri casi Prisciano lasci in sospeso l’indicazio-
ne di provenienza di un passo (vd. supra, p. LV), qui non si può
del tutto escludere un guasto meccanico di tradizione, giacché il
numerale mancante è VIIII/nono e la parola seguente è non.

76, 17-19 μηδέν con genitivo partitivo: nihil con geniti-


vo partitivo
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Demosth. 19, 178)
– citazione latina (Sall. Catil. 11, 7).
LEMMA GRECO. La voce, apparentemente extra ordinem perché
relativa al nesso di μηδέν con il genitivo partitivo ma posta tra i
lemmi in ο-, poteva contenere in origine anche delle citazioni
(e forse un lemma formulato in astratto) relative al medesimo
uso sintattico di οὐδέν, che ne motivassero la collocazione in
questo punto della serie alfabetica.
LEMMA LATINO. Prisciano, che tratta altrove del genitivo parti-
tivo retto dal superlativo (GL II 94, 12-13; III 215, 18-22), solo
qui si sofferma sul genitivo partitivo con pronomi neutri.
CITAZIONI LATINE. Sall. Catil. 11, 7 non è citato altrove da
Prisciano né da altri grammatici.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Demosth. 19, 178
Prisciano attesta μηδὲν λελοιπότα in luogo di οὐδὲν
ἐλλελοιπότα della tradizione diretta e di Syr. Hermog. stas. p.
90, 11 Rabe. La collocazione del lemma tra quelli in ου- po-
trebbe suggerire che almeno la lezione μηδέν non si trovasse in
origine nel testo demostenico adoperato dal compilatore del
lessico atticista: questi poteva leggervi ancora οὐδέν, che sareb-
be stato sostituito da μηδέν in un successivo stadio della tradi-
350 COMMENTO

zione lessicografica. D’altra parte non si può escludere, invece,


una variante antica già nel testo demostenico, poiché il passo
avrebbe potuto essere collocato sotto il lemma οὐδέν anche
qualora costituisse un’attestazione di μηδέν (cfr. supra). Riguar-
do al participio si può osservare che forme del perfetto di
λείπω sono molto più frequenti nel corpus demostenico (21,
110; 21, 120bis; 21, 193; 22, 77; 23, 48; 24, 185; 27, 25 e 64;
30, 8; 51, 8; 57, 18) di quelle di ἐλλείπω (22, 65; 24, 172);
pertanto la variante testimoniata da Prisciano potrebbe essere
facilior rispetto alla forma tràdita dai codici di Demostene.

77, 1-10 ὀφείλω con accusativo e dativo o con infinito:


debeo con accusativo e dativo o con infinito
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ὀφείλει) – lemma
latino – osservazione aggiuntiva – citazioni latine (Pers. 1, 28;
Lucan. 4, 519-520) – osservazione aggiuntiva.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di ὀφείλω e
debeo è documentata anche nella glossografia bilingue (CGL II
390, 46; 482, 59; III 5, 67; 78, 37; 165, 52), così come quella di
τόκος e usura (CGL II 211, 62; 456, 57; 494, 33; 521, 9; 541,
62; III 160, 6; 277, 21; 336, 64- 66; 466, 74; 474, 41; 486, 34).
L’espressione usuram/-as debere è esclusiva del linguaggio tec-
nico giuridico, nel quale occorre con grande frequenza (Gaius
inst. 2, 280; Epit. Gai 2, 7, 8; Marcell. dig. 36, 1, 46, 1; Scaev.
dig. 16, 3, 28 praef.; 22, 7, 58, 4; 32, 1, 35 praef.; 33, 8, 26
praef.; 45, 1, 122, 5; 45, 1, 135 praef.; 49, 1, 24 praef.; Pompon.
dig. 13, 7, 6, 1; Papin. dig. 33, 2, 24 praef.; 46, 2, 27 praef.; Ulp.
dig. 5, 3, 20, 11; 26, 7, 7, 15; 22, 7, 9, 5; 40, 5, 4, 11; 42, 8, 10,
22; 46, 3, 5, 2; 50, 10, 5 praef.; Paul. dig. 12, 1, 40 praef.; 13, 5,
11, 1; 22, 1, 11, 1; 22, 1, 17, 4; 22, 1, 30 praef.; 27, 9, 13, 1;
Marcian. dig. 22, 1, 32, 2; Mod. dig. 22, 1, 41, 1; 39, 5, 22
praef.); il suo impiego da parte di Prisciano può essere annove-
rato tra gli indizi della sua familiarità con la lingua del diritto.
Nessun altro grammatico tratta degli usi sintattici di debeo.
CITAZIONI LATINE. Pers. 1, 28 è citato anche nella prima metà
del libro XVIII, a proposito dello stesso uso sintattico trattato
nella voce in esame, che lì è però descritto in termini diversi,
77, 11-14 351

come il nesso dell’infinito con sum e un aggettivo neutro con


funzione di parte nominale: GL III 226, 6-18 [infinitum scil.]
frequenter et nominibus adiunguntur et aliis casualibus more nominum,
ut Persius: ‘sed … hic est’ […], et ‘bonum est legere; utile est currere;
aptum est scribere; optimum est philosophari’. Nel lessico, invece, si
pone l’accento sul fatto che l’infinito può essere usato come
soggetto o complemento oggetto.
PROBLEMI TESTUALI. La seconda citazione di Persio (1, 49),
che in GL II 552, 9 (dove occorre in forma anonima) e Att.
106, 12-13 (vd. ad loc.) illustra l’uso di un avverbio come so-
stantivo in nesso con un attributo, non è pertinente ai fenomeni
sintattici trattati nella voce in esame e per questo motivo De
Nonno, seguito da Rosellini, ne propone l’espunzione. Lucan.
4, 519-520 non è citato altrove nella produzione grammaticale
latina. I codici di Prisciano recano nella citazione di Pers. 1, 49
la variante velle per belle della tradizione diretta. Rosellini osser-
va in apparato che tale lezione, benché deteriore, potrebbe
spiegare la presenza di questo esempio, altrimenti riferito dal
grammatico all’uso nominale degli avverbi, in una trattazione
dell’uso nominale degli infiniti. Non si può tuttavia escludere
anche la spiegazione opposta, e cioè che la corruttela di belle in
velle si sia prodotta dopo che il passo era stato impropriamente
collocato in questo punto, allo scopo di armonizzarlo con il
contesto. È comunque poco probabile che l’introduzione di
questo esempio nella voce in esame sia stata compiuta dallo stesso
Prisciano, che nella citazione dello stesso passo in GL II 552, 9 e
Att. 106, 12 presuppone l’avverbio belle e non l’infinito velle.

77, 11-14 παραβάλλομαι con dativo o πρός e accusativo:


comparo con dativo o cum e ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca (De-
mosth. 18, 324) – lemma latino – citazione latina (Cic. Deiot. 31).
CITAZIONI GRECHE. Demosth. 18, 324 è citato, con un taglio
più ampio (καὶ πρὸς ἐκείνους … μεθ’ ὑμῶν), anche in 95, 7-
8, sotto il lemma σύν (vd. infra, ad loc.).
LEMMA LATINO. La costruzione di comparo con il dativo è regi-
strata anche negli idiomata casuum di Explan. in Don. GL IV
352 COMMENTO

556, 36; quella con cum e l’ablativo in Diom. GL I 315, 26-27.


La sintassi di confero, il verbo cui fa riferimento la citazione di
Cic. Deiot. 31, è trattata anche da Arus. 24, 3-5 Di Stefano, che
registra entrambe le costruzioni postulate da Prisciano per com-
paro; cfr. ThlL s. v. confero [Lommatzsch], IV 177, 257-178, 52).
Il nesso di confero con cum e l’ablativo è inoltre descritto in
Diom. GL I 316, 2-3.
CITAZIONI LATINE. Cic. Deiot. 31 non conosce altre occorren-
ze in ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione ciceroniana i manoscritti
di Prisciano recano concordemente confero in accordo con parte
dei testimoni diretti (Cαa). I restanti codici ciceroniani sono
latori della variante comparo (βσ) che Krehl, seguito da Hertz
(GL III 342, 17), mette a testo anche in Prisciano, sulla base sia
del confronto con questa parte della tradizione diretta sia del
lemma latino immediatamente precedente (comparo … tecum). I
sigla α (= AHV) e β (BDEL) indicano due delle tre famiglie in
cui si divide la tradizione delle orazioni cesariane; Caσ sono
codici, invece, del terzo ramo (γ), che risulta così diviso tra le
due varianti confero e comparo (vd. Rouse – Reeve in Reynolds
1983, pp. 65- 67). Di norma, quando negli Atticismi vi è una
discrepanza tra il lemma latino enunciato in astratto e quello
attestato nelle citazioni che lo accompagnano, questa è segnalata
per mezzo di qualche espressione del tipo similiter, huic simile a
seconda del diverso grado di affinità (semantica e sintattica o
solo sintattica) tra il lemma esplicitato e il costrutto illustrato
dagli esempi. In un certo numero di voci tuttavia manca questa
espressione di raccordo e le citazioni latine, pur contenendo un
lemma diverso da quello enunciato, lo seguono direttamente: si
tratta o di corradicali (41, 6- 8 aspicio/prospicio; 79, 7-10 conce-
do/cedo; 115, 8-10 satior/satur) o di costrutti accomunati solo da
una generica somiglianza sintattica (46, 11-15 ostendes fa-
ciens/sensit … illapsus; scit peritura; 56, 15-57, 1 prohibet … pericli-
tantem/sensit … illapsus; ante te cognitum; 58, 1- 4 confitetur oscula-
tus/sensit … illapsus; hortaris euntem; 82, 4-9 trepidus … facere/bo-
ni … inflare). Il rapporto tra confero e comparo non rientra pro-
priamente in nessuna di questa due tipologie, sebbene sia forse
77, 15-78, 5 353

più vicino alla prima. Nondimeno il confronto con i passi citati


sostiene la correttezza della forma tràdita dai manoscritti in 77,
14: il fatto che il lemma latino della voce riguardi comparo, men-
tre l’unico esempio è relativo a confero, non è, infatti, sufficiente
a far sospettare confero (né comparo) di corruttela. La forma compa-
ro, adottata come correzione da Krehl e Hertz a partire dalla
variante di parte della tradizione diretta, è stata paradossalmente
considerata dagli editori di Cicerone un sostegno ad accogliere
la lezione comparo di βσ contro confero di Cαa. La rivalutazione
della lezione confero dei manoscritti priscianei consente adesso di
rilevare – diversamente da quanto creduto finora dagli editori
ciceroniani – l’accordo di Prisciano con Cαa piuttosto che βσ e
di conseguenza di ipotizzare che la variante superiore nel testo
dello stesso Cicerone sia confero, sostenuta anche dalla tradizione
indiretta, piuttosto che comparo.

77, 15-78, 5 πανταχῇ, πανταχοῖ: omnifariam, ubique,


undique, quoque
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con osservazione
semantica – citazione greca (Demosth. 4, 9) – lemma greco
secondario – citazioni greche (Demosth. 4, 24; 10, 4, con glos-
sa) – lemmi latini, con osservazioni aggiuntive.
LEMMA LATINO. Alcune delle corrispondenze istituite da Pri-
sciano tra avverbi latini e greci nella voce in esame trovano
riscontro anche nella glossografia bilingue (CGL II 205, 10
Ubique πανταχη και πανταχου; 393, 38 Πανταχοθεν undi-
que; 393, 39 Πανταχου ubiqueusquequaquepassim).
Dell’avverbio omnifariam Prisciano tratta già nel libro XV,
con un interesse sia morfologico (GL III 74, 29-30) sia semanti-
co (GL III 79, 22-23 ab omni […] ‘omnifariam’ in omnem partem
vel ex omni parte; cfr. 87, 14-15). L’attenzione del grammatico
per questo termine, attestato solo a partire da Gellio e Apuleio
(vd. ThlL s. v. omnifariam [Baer], IX.2 589, 25-27), può essere
annoverata tra gli indizi di un suo occasionale interesse anche
per usi linguistici postclassici.
Di ubique e undique Prisciano si occupa, ma da un punto di
vista prevalentemente morfologico, anche nei libri V e XIV
354 COMMENTO

(GL II 181, 20-182, 1; 182, 14-183, 1; III 25, 11-22; 48, 25-
27; 52, 26-53, 3; cfr. part. 91, 3 Passalacqua; sul solo undique vd.
anche Dosith. 62, 7 Tolkiehn). Nel libro V il grammatico atte-
sta anche la corrispondenza semantica di ubique con uno dei
lemmi greci della voce in esame: GL II 182, 19-20 ‘ubi’ ‘ποῦ’
ἢ ‘ὅπου’, ‘ubique’, ‘πανταχοῦ’. Questo passo, nel quale Pri-
sciano si sofferma sul diverso significato dell’avverbio a seconda
che esso sia composto con -que o meno, fornisce indirettamente
anche una prova della correttezza della lezione quoque in Att.
78, 5. Questa forma è indicata come equivalente latino di
πανταχοῖ, che parimenti esprime il moto a luogo. Se si con-
fronta il luogo del libro V, dove si istituisce un parallelismo tra
ποῦ – πανταχοῦ e ubi – ubique con Att. 86, 7 Illi ‘ποῖ’ ad
locum. Et nos ‘quo’, risulta del tutto logico che Prisciano abbia
indicato in quoque il corrispettivo di πανταχοῖ. Nel libro XVII
inoltre egli prospetta la possibilità di usare quoque in luogo di
quocumque, cioè come avverbio di moto a luogo: GL III 138,
16-17 similiter adverbia ‘quoque’ pro ‘quocumque’, ‘quaque’ pro
‘quacumque’, ‘quandoque’ pro ‘quandocumque’. In questo caso
dunque il grammatico si affida interamente al principio dell’ana-
logia e non sembra dare alcuna importanza alla mancanza di
attestazioni di quoque nel valore locale che gli assegna.
PROBLEMI TESTUALI. In Demosth. 4, 9 Prisciano attesta un
secondo καί dopo κύκλῳ in accordo con il correttore del co-
dice demostenico F e con Greg. Cor. VII 1207, 12. La ditto-
grafia di καί è un errore piuttosto facile da commettere, tuttavia
in questo caso occorre osservare che la presenza del secondo
καί non inficia la sintassi e il senso del passo.
La citazione di Demosth. 10, 4 differisce dalla tradizione
diretta e da Stob. 4, 1, 6 per le lezioni ἐκείνων e ἐπιχει-
ροῦντες in luogo di ἐκείνου e ἐπιθυμοῦντες. Il passaggio dal
genitivo singolare a quello plurale potrebbe essere avvenuto per
assimilazione ai successivi τυραννίδων e δυναστειῶν; si tratta
in ogni caso certamente di una lezione deteriore, giacché
ἐκείνου si riferisce nel contesto di origine al dominatore stra-
niero, cioè Filippo (cfr. 10, 5 καὶ κεκρατήκασιν οἱ δι’
ἐκείνου τὰς πολιτείας ποιούμενοι). Riguardo alla variante
78, 6- 8 355

ἐπιχειροῦντες si può, invece, solamente notare che ἐπιθυμέω


occorre già una volta nel contesto immediatamente precedente
il passo citato in Prisciano (τῶν δ’ εἰς τὸ ἄρχειν μὲν τῶν
πολιτῶν ἐπιθυμεῖν, ἑτέρῳ δ’ ὑπακούειν).
Le lezioni quo (XFU, e corr. RWD) e quoquo (FJ, TXY post
corr.) recate da alcuni manoscritti in luogo di quoque sono delle
banalizzazioni di quoque, sulla cui correttezza vd. supra.

78, 6- 8 complemento di tempo in accusativo semplice


o dativo semplice o ἐν e dativo: accusativo di tempo
continuato
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (πάντα τὸν χρόνον)
– citazione latina (Verg. Aen. 9, 609).
LEMMA GRECO. I complementi di tempo sono oggetto di di-
versi lemmi degli Atticismi (31, 13; 48, 3-5; 50, 10-13; 55, 15;
60, 17-61, 1; 64, 13-14; 85, 4-6; 99, 16-18; 106, 3-5; 107, 5):
cfr. supra, p. 131.
LEMMA LATINO. Il complemento di tempo continuato espresso
in accusativo semplice è descritto anche in 31, 13-15; 48, 5-10;
61, 2-5; 64, 15-18; 83, 15-18; 85, 6-12; 99, 19-20: cfr. ad locc.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 9, 609 illustra l’accusativo di
tempo continuato anche in 31, 14-15 (vd. supra, ad loc.).

78, 9-11 παύω con participio predicativo o infinito:


compesco con participio predicativo o infinito o ne e
congiuntivo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino.
LEMMA GRECO. Nella formulazione del lemma il terzo costrut-
to, con μή e l’infinito, è curiosamente espresso mediante un
verbo, ποιέω, diverso da quello usato per indicare le prime due
reggenze del lemma, λυπέομαι. Giacché Prisciano non conser-
va alcuna citazione greca in questa voce del lessico, non è possi-
bile stabilire se il passaggio da λυπέομαι a ποιέω nella terza
parte del lemma si debba all’intenzione di adeguare quest’ulti-
mo a un secondo esempio protolemmatico o a un altro motivo.
La simmetria così alterata nel lemma greco è ripristinata da Pri-
sciano in quello latino (insanientem … insanire … insaniat).
356 COMMENTO

La citazione protolemmatica di questa voce può verosimil-


mente essere identificata, secondo un’ipotesi di Ferri 2014, p.
109 n. 46, in Isocr. Panath. 23 τούτους οἰηθείην ὁμοίως
διαλεχθεὶς ὥσπερ πρότερον παύσειν ἐπὶ τοῖς λεγομένοις
λυπουμένους, dove παύω regge il participio predicativo pre-
sente mediopassivo di λυπέω, come nel primo costrutto lem-
matizzato negli Atticismi priscianei (παύω τὸνδε λυπούμενον).
LEMMA LATINO. Delle tre costruzioni assegnate da Prisciano a
compesco solo le ultime due, con l’accusativo e l’infinito e con ne
e il congiutivo, conoscono rarissime occorrenze al di fuori
dell’Ars Prisciani, tutte in epoca tarda (rispettivamente in Novell.
Iust. 73, 9; Ildef. vir. ill. 3; e Priscill. tract. 6 p. 77; vd. ThlL s. v.
1. compesco [Bannier], III 2062, 15-16; 2063, 43- 61). La scarsa
documentazione letteraria di questi due costrutti e la totale
mancanza di attestazioni per l’uso di compesco con il participio
predicativo suggeriscono che, come in altri casi, Prisciano si sia
limitato a tradurre alla lettera il lemma greco della sua fonte e
che non presumesse una reale circolazione di questi usi sintattici
nel latino letterario. Il terzo membro del lemma latino, compesco
illum … ne insaniat, non riproduce in effetti ad verbum la sintassi
del corrispondente costrutto greco, παύω … μή ποιεῖν τόδε,
ma è possibile che il grammatico sia stato fuorviato dalla fre-
quente equivalenza di μή e ne e che dopo aver stabilito la corri-
spondenza tra le due congiunzioni abbia di necessità proseguito
la proposizione latina con un congiuntivo, richiesto da ne. Vd.
anche Spangenberg Yanes 2014, pp. 129-130.

78, 12-19 παρά con genitivo o dativo o accusativo: praeter


con accusativo o ablativo, tenus con ablativo o genitivo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con osservazione
aggiuntiva – lemma latino, con osservazione aggiuntiva – cita-
zione latina (Sall. Catil. 36, 2) – lemma latino, con osservazione
secondaria – exemplum fictum latino – citazioni latine (Verg.
Aen. 3, 427; georg. 3, 53, con osservazione aggiuntiva).
LEMMA LATINO. Prisciano individua praeter come uno dei corri-
spettivi latini di παρά anche nel libro XIV: GL III 28, 23
παρά pro ‘apud’ et ‘prope’ et ‘praeter’ et ‘propter’. Nello stesso
78, 12-19 357

libro il grammatico richiama anche il normale uso della preposi-


zione con l’accusativo (GL III 40, 8-11 Bisyllabae sunt praeposi-
tiones, quae accusativo iunguntur, secundum plerosque artium scriptores
haec: ‘[...] praeter [...]’), ricordato negli Atticismi sia nella voce in
esame sia in 90, 13. Praeter è inoltre annoverata tra le preposi-
zioni che reggono l’accusativo dalla maggior parte degli altri
grammatici (Char. 298, 22; 300, 14; 309, 9 e 18; Diom. GL I
410, 4; Ps. Prob. inst. GL IV 147, 12-13; Don. min. 600, 13 e
17; mai. 649, 7 e 12; Explan. in Don. GL IV 562, 3 e 8; Pomp.
GL V 278, 16-17; Ps. Aug. reg. 129, 18 Martorelli; Ps. Asper
GL V 553, 39; Audax GL VII 352, 9; Dosith. 67, 19 Tolkiehn;
68, 15; Sacerd. GL VI 429, 9; Arus. 77, 19 Di Stefano; Iul. Tol.
105, 54). La seconda reggenza di praeter, dell’ablativo, è postula-
ta da Prisciano e altri grammatici sempre in relazione a Sall.
Catil. 36, 2, su cui vd. infra. Accanto alla presunta attestazione
sallustiana di praeter con l’ablativo, dovuta a un fraintendimento,
Breimeier (ThlL s. v. praeter, X.2 1000, 22- 40) cita alcune reali
occorrenze del nesso della preposizione con l’ablativo in testi
cristiani (con l’avvertenza tuttavia che in molti di essi la paradosi
è incerta tra l’accusativo e l’ablativo). Sugli usi sintattici di tenus,
trattati anche in 22, 11-16; 90, 13-22, vd. supra, pp. 87- 88.
CITAZIONI LATINE. Sall. Catil. 36, 2 è citato da Prisciano a
proposito dello scambio di ablativo e accusativo in dipendenza
da praeter anche in GL III 188, 14-15; Att. 90, 12-13. In que-
st’ultima voce del lessico, come in quella in esame (pro ‘sine con-
demnatis’), si assegna a praeter nel luogo sallustiano il valore di sine
(90, 11-12 ‘Praeter’ autem, quando loco ‘sine’ accipitur, ablativo con-
iungitur). Allo stesso proposito il passo viene riportato, con identi-
co taglio della citazione, da Cledonio (GL V 76, 14-15; 78, 15-
18) e Pompeo (GL V 278, 18-279, 1), entrambi i quali ascrivono
inoltre a praeter in questo uso sintattico il valore di sine. Una più
corretta esegesi grammaticale del passo è data da Ps. Probo, che
riconosce a praeter in questa occorrenza la funzione di avverbio
invece che preposizione: inst. GL IV 149, 8-9 (= Audax GL VII
354, 2-3) praeter significat et adverbium, ut apud Sallustium ‘praeter
… condemnatis’ (condemnatis è un dativo retto da liceret, cfr. ThlL s.
v. praeter [Breimeier], X.2 1002, 44-51). Ancora diverso è, inve-
358 COMMENTO

ce, l’impiego che del luogo sallustiano fa Arusiano, che lo riporta


in forma più ampia (78, 1-2 Di Stefano PRAETER ILLI‹S›. Sal.
Catil. ‘Caeterae [sic] multitudini idem statuit praeter rerum capitalium
condemnatis’) e formula il lemma in modo tale che non è possibile
stabilire se egli considerasse impropriamente condemnatis un abla-
tivo, come fanno Cledonio, Pompeo e Prisciano, o un dativo,
quale è in effetti. Tuttavia condemnatis nel contesto di origine
dipende da liceret, che è omesso anche da Arusiano (vd. McGu-
shin 1977, p. 200; Vretska 1976, II, p. 420; contra Groupe Ars
Grammatica 2010, p. 253 n. 330: «ablatif absolu incluant l’adverbe
praeter»). Sull’opportunità dell’integrazione di -s nel lemma di
Arusiano, necessaria se gli si attribuisce l’interpretazione di con-
demnatis come ablativo e sostenuta dal confronto con il lemma
parallelo PRAETER ILLOS (77, 19), vd. Di Stefano 2011, p. 158.
Verg. Aen. 3, 427 e georg. 3, 53 illustrano la costruzione di
tenus rispettivamente con l’ablativo e con il genitivo anche in
22, 14-16; 90, 16-18: vd. supra, pp. 87- 88.

79, 1-6 παρασκευάζομαι con ὡς e participio futuro o


con infinito: assorbimento del dimostrativo nel relativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (παρεσκευάζοντο)
– citazioni latine (Sall. Catil. 57, 4; Verg. Aen. 7, 653- 654).
LEMMA LATINO. Sulla costruzione di dignus con la proposizione
relativa impropria, già trattata in 29, 11-13, vd. supra, commen-
to ad loc. L’uso di utpote qui con il congiuntivo non è preso in
esame da altri grammatici latini.
CITAZIONI LATINE. Sall. Catil. 57, 4, che non conosce altre
occorrenze in ambito grammaticale, è stato probabilmente cita-
to da Prisciano in questa voce a cagione della proposizione
utpote qui … sequeretur, nella quale il grammatico doveva ravvi-
sare una costruzione brachilogica e con sfumatura finale o con-
secutiva paragonabile a ὡς ποιήσοντες del lemma greco.
Verg. Aen. 7, 653- 654 illustra il nesso di dignus con la propo-
sizione relativa al congiuntivo anche in 29, 12-13 (vd. ad loc.).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Sall. Catil. 57, 4 Pri-
sciano reca, in accordo con la tradizione diretta, la lezione expe-
ditos (messa a testo da Reynolds). La maggior parte degli editori
79, 1- 6 359

(Ornstein, Kurfess, Ernout) preferiscono la correzione expeditus,


che impropriamente considerano una variante attestata da Pri-
sciano, perché fuorviati dalle edizioni di Krehl e Hertz (GL III
343, 22), i quali correggono expeditos in expeditus. I due editori
priscianei a loro volta attribuiscono expeditus a una parte dei
codici sallustiani, la cui rilevanza stemmatica è però negata da
tutti i più recenti editori dello storico latino, che assegnano
all’archetipo della tradizione di Sallustio la lezione expeditos.
Nitzschner 1884, pp. 101-102, ritiene poziore expeditus, che
egli connette a locis aequioribus, da intendere come ablativo di
causa. In particolare osserva che «qui magno exercitu quamvis
locis aequioribus eos, qui expediti fugiant, sequatur, si non
procul absit, miraculi instar est. Deinde Catilinarii „per montes
asperos“ (§. 1) proficiscientes „expediti in fuga“ vocari non
possunt» (p. 101). Sallustio però descrive quella dei catilinari
come una fuga a marce forzate (§ 1 relicuos Catilina per montis
asperos magnis itineribus in agrum Pistoriensem abducit), che sarebbe
coerente con l’indicazione di rapidità insita in expeditos. Anche
la difficoltà rappresentata dall’apparente contraddizione tra l’in-
dicazione locis aequioribus e il fatto che i catilinari stessero proce-
dendo sui monti (57, 1 per montis asperos; cfr. 56, 4 Sed postquam
Antonius cum exercitu adventabat, Catilina per montis iter facere)
potrebbe essere ridimensionata, nell’ipotesi che con questa
espressione Sallustio intenda dire che l’esercito di Antonio se-
guiva un percorso parallelo a quello dei congiurati ma in pianu-
ra (aequioribus sarebbe cioè un vero comparativo piuttosto che
un comparativo assoluto). McGushin 1977, p. 279, e Vretska
1976, II, pp. 653- 654, ritengono opportuno conservare il tràdi-
to expeditos anche per evitare la durezza sintattica del nesso di
sequeretur con in fuga senza un accusativo (Nitzschner considera,
invece, in fuga una glossa da espungere). Vretska (ibid. p. 654)
avanza inoltre l’ipotesi che la proposizione utpote qui … sequere-
tur non sia una causale esprimente la ragione per la quale Anto-
nio era vicino, bensì abbia un valore consecutivo-finale, cioè
indichi a quale scopo Antonio si fosse accampato a breve di-
stanza. Sebbene l’interpretazione causale della frase risulti co-
munque possibile anche qualora si conservi il tràdito expeditos
360 COMMENTO

invece di correggere in expeditus concordato con Antonius, è


interessante osservare che la medesima esegesi sintattica del
passo suggerita da Vretska è presupposta anche da Prisciano, il
quale – come si è visto – cita il luogo sallustiano proprio in
relazione al valore consecutivo-finale di utpote qui … sequeretur.
Sul problema testuale in questo passo vd. anche Zimmermann
1929, p. 79; Sumner 1963, p. 218.
L’indicazione di provenienza di Verg. Aen. 7, 653- 654, che
nella voce in esame è introdotto da un generico Hinc videtur etiam
illud, in contrasto con la Zitierweise priscianea, non viene fornita
da Prisciano in modo completo neanche in 29, 12 (Virgilius in...);
cfr. supra, pp. LV; 121; vd. Rosellini 2015a, pp. XCVII-XCVIII. Il
nome Vergilius, collocato in 79, 6 dopo l’esempio invece che
davanti a esso, può essere una precisazione annotata in margine
da Prisciano (o da Flavio Teodoro) e non più integrata nella
sintassi del passo, dove peraltro la citazione è introdotta da un
pronome neutro (illud) invece che maschile. Occorre d’altra
parte notare che i codici FTRY aggiungono dopo Vergilius oltre
che un’indicazione di libro (in III FR; in t(er)tio T), presente
pure in altri testimoni (in VII eneid(os) E; in VII Q; II XI), an-
che una seconda citazione, multaque parantem dicere (Verg. Aen.
4, 390-391 et multa parantem dicere). Come provano anche i
diversi numeri di libro recati dai vari manoscritti, QE integrano
per congettura un’indicazione riferita all’esempio immediata-
mente precedente (Verg. Aen. 7, 653- 654), mentre FRT intro-
ducono un nuovo esempio, Verg. Aen. 4, 390-391 (la corrutte-
la di IIII in III è piuttosto banale). Il secondo luogo virgiliano,
che non contiene alcun elemento comune ai due esempi latini
precedenti, sembra essere stato accostato direttamente al lemma
greco iniziale, con l’intento di fornire un equivalente latino
anche del secondo costrutto lemmatizzato, παρασκευάζοντο
[…] ποιῆσαι τόδε. Diversamente da Sall. Catil. 57, 4 e Verg.
Aen. 7, 653- 654, questo terzo passo latino offrirebbe in parantem
un corrispettivo anche semantico del lemma greco (cfr. CGL II
396, 20). A causa della scorrettezza metrica del verso citato
(multaque per et multa) e dell’errore nell’indicazione numerica del
libro (III per IIII) Rosellini 2015a, pp. CXXVII-CXXVIII, ritiene
79, 7-10 361

tuttavia che non lo si possa considerare con certezza un’aggiun-


ta priscianea, sebbene esso presupponga la piena comprensione
del lemma greco. Si noti infine che Prisciano (se di lui si tratta)
o l’interpolatore che ha introdotto questa citazione si accorda
con i testimoni Pp2P5 ωγ1 della tradizione diretta e con il codi-
ce N di Servio (Aen. 4, 288; inoltre i codici LH recano i com-
pendi p. e ͠ p) nella lezione parantem, mentre i restanti manoscrit-
ti di Virgilio (Mcq) e Servio (F) sono latori della variante volen-
tem, considerata inferiore dagli editori (Geymonat, Conte).

79, 7-10 παραχωρέω con dativo della persona e genitivo


o accusativo della cosa: concedo con dativo della persona
e genitivo o accusativo della cosa
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (παραχωρῶ) – lem-
ma latino – citazione latina (Lucan. 1, 50-52).
LEMMA LATINO. L’equivalenza semantica di παραχωρέω e
concedo è attestata anche nei glossari bilingui medievali (CGL II
106, 25; 397, 25), nei quali il verbo greco viene anche accosta-
to al semplice cedo, di cui Prisciano propone un’occorrenza
nell’unica citazione latina della voce in esame (Lucan. 1, 50-52
cedetur; vd. CGL II 98, 53; 100, 13; 397, 25; 561, 39; 562, 39).
Delle due costruzioni assegnate da Prisciano a concedo quella
con il dativo e il genitivo non è attestata al di fuori di questa
voce degli Atticismi e di Quaest. gramm. GL Suppl. 173, 10 ‘con-
cedo tibi illius rei’ et ‘illam rem’, la cui fonte dichiarata è proprio
Prisciano (vd. ThlL s. v. concedo [Hey], IV 11, 3- 6). Anche per
cedo, di cui il grammatico cita un esempio relativo alla costru-
zione con accusativo della cosa e dativo della persona (Lucan. 1,
50-52), non è nota la reggenza del genitivo (vd. ThlL s. v. cedo
[Bannier], III 720, 52-54; 725, 4-5). Il lemma latino della voce
in esame è dunque almeno in parte una mera traduzione ad
verbum del lemma greco. Sebbene il grammatico impieghi in
questo caso l’espressione Latinorum … auctores, quest’ultima non
deve essere considerata indizio dell’esistenza di una documenta-
zione letteraria anche del primo costrutto lemmatizzato, bensì
un semplice sinonimo delle più comuni espressioni Latini, nos,
nostri, Romani. La costruzione di concedo con il dativo della per-
362 COMMENTO

sona e l’accusativo della cosa è registrata negli idiomata accusativi


casus in Char. 384, 5; Diom. GL I 315, 6; con il solo accusativo
della cosa in Diom. GL I 319, 21-22; Explan. in Don. GL IV
556, 24. Di cedo i grammatici conoscono la costruzione sia con
il dativo e l’accusativo (Char. 386, 25; Diom. GL I 319, 21;
Dosith. 87, 21 Tolkiehn) sia con il dativo e l’ablativo di limita-
zione (Char. 384, 16; Diom. GL I 316, 3; Explan. in Don. GL
IV 553, 28; Consent. GL V 385, 10; Oxford, Bodl. Libr, Add.
C 144, f. 79v cedo tibi foro). Altre volte infine il verbo è ricorda-
to solamente per la reggenza del dativo della persona (Diom.
GL I 312, 26; App. Prob. 2, 62 Asperti-Passalacqua; Explan. in
Don. GL IV 556, 16).
CITAZIONI LATINE. Lucan. 1, 50-52 non è citato altrove in
ambito grammaticale.

79, 11-16 παραιτέομαι συγγνώμην: excuso con accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (παραιτεῖσθαι
συγγνώμην) – citazione greca (Xenoph. Mem. 2, 2, 14) – cita-
zione latina (Liv. fr. 15 Jal).
LEMMA GRECO. Il sintagma παραιτεῖσθαι συγγνώμην è atte-
stato, nella letteratura greca conservataci, solamente in Synes.
epist. 129; 159; Eust. Od. I 208, 41, mentre di norma da
παραιτέομαι dipende l’infinito ἔχειν (vel sim.), di cui συγ-
γνώμην è complemento oggetto (Herod. 6, 86; Demosth. 45,
83; Men. fr. 463 K.-A.). Se il lemma priscianeo non deriva dal
fraintendimento di un luogo classico nel quale παραιτέομαι
reggeva l’infinitiva συγγνώμην ἔχειν, esso documenterebbe
indirettamente l’impiego del sintagma συγγνώμην παραιτέ-
ομαι anche in epoca molto anteriore al IV sec. d. C. (Sinesio),
giacché gli autori al cui usus linguistico fa riferimento il compi-
latore del lessico fonte si collocano tutti nel V-IV sec. a. C. A
prescindere dallo specifico nesso con il sostantivo συγγνώμη,
l’uso transitivo di παραιτέομαι con l’accusativo della persona
o della cosa o con l’infinito è comunque noto sin dal V secolo
a. C. (vd. LSJ s. v. παραιτέομαι, I.1).
CITAZIONI GRECHE. Xenoph. Mem. 2, 2, 14 è citato sotto il
lemma παραιτοῦμαι anche in Or. fr. A 71 (= Ps. Zon. lex.
79, 11-16 363

1520, 10-11), dove il taglio dell’esempio è assai più ridotto


(τοὺς μὲν … εἶναι). La citazione non è del tutto pertinente al
costrutto lemmatizzato da Prisciano,
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di παραιτέομαι
ed excuso è attestata anche nei glossari bilingui medievali (CGL
II 394, 51; III 113, 47; 156, 38; 642, 21).
Il particolare uso di excuso con l’accusativo nel significato di
“mettere avanti qualcosa come pretesto, giustificazione” (vd.
ThlL s. v. excuso [Burckhardt], V.2 1305, 72-1306, 10), attestato
nel frammento liviano (15 Jal) citato da Prisciano, non è trattato
da altri grammatici. La costruzione del verbo con l’accusativo
registrata in alcune liste di idiomata prevede, infatti, che il com-
plemento oggetto sia la persona scusata: Char. 384, 1 excuso te;
Diom. GL I 314, 18 excuso innocentem; Idiom. cas. GL IV 569, 1
excuso insontem (cfr. ThlL s. v. excuso, V.2 1302, 23- 48).
PROBLEMI TESTUALI. Il titolo dell’opera di Senofonte, trasmes-
so dai manoscritti nella corruttela apomnemoumaton, è stato cor-
retto da van Putschen in ἀπομνημονευμάτων, messo a testo
anche da Hertz (GL III 344, 3). Certamente occorre integrare
le lettere -ne-, ma non è necessario ricondurre il titolo alla for-
ma greca (attestata dai codici in 7, 3; 63, 4), giacché la traslitte-
razione apomnemoneumaton, insieme al nome latinizzato dell’au-
tore, si trova anche in GL III 171, 23; 172, 3; 242, 10; Att. 27,
6 (nei primi tre passi parimenti Hertz ripristina la forma greca).
Nella citazione di Senofonte la corruttela di σύ in CΟΙ è
dovuta alla pronuncia itacistica del greco. Le desinenze -ει/-εις,
attestate nelle forme CωΦΡΟΝΗCεΙC e ΠαΡαΙΤΗCεΙ rispettiva-
mente per il congiuntivo aoristo attivo e per il futuro indicativo
medio, occorrono anche altrove, negli Atticismi, in luogo di -ῃ/
-ῃς (vd. supra, pp. XLIX-L). In questo passo in particolare si può
pensare, in alternativa alla variante grafica, a una confusione con
l’indicativo futuro. Stob. 4, 25, 54 si accorda con la tradizione
diretta di Xenoph. Mem. 2, 2, 14 contro Prisciano nell’omissio-
ne di μέν dopo σύ e nell’attestare ἂν σωφρονῇς (ἐάν) invece
di σωφρονήσῃς.
364 COMMENTO

80, 1-3 παρά con accusativo: apud con accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con glossa – lemma
latino – citazione greca (Ar. fr. 466, 4-5 K.-A.).
CITAZIONI GRECHE. Il fr. 466 K.-A. di Aristofane è tràdito
anche, in forma più estesa sebbene fortemente lacunosa, da un
testimone diretto papiraceo (P. Turner 4). Tuttavia solamente la
citazione conservata da Prisciano consente di attribuire il passo
alla commedia intitolata Ποίησις.
LEMMA LATINO. Il riferimento è probabilmente all’uso di apud
con l’accusativo con funzione di stato in luogo, trattato anche
in 94, 8-10 (vd. commento ad loc.). Il confronto della preposi-
zione latina con παρά a proposito dell’espressione dello stato in
luogo è già istituito in GL III 40, 12-14 ‘Apud’ unam habet
significationem in loco, ut ‘apud Numantiam’ [...] et significat παρά
Graecam, quando locum apud illos demonstrat. La corrispondenza
semantica delle due preposizioni si trova anche nei glossari bi-
lingui (CGL II 20, 5; 394, 5), dove però il nesso con apud e
l’accusativo è confrontato con quello di παρά con il dativo
piuttosto che con l’accusativo (CGL II 18, 25 e 27 e 39- 41).
PROBLEMI TESTUALI. Sulla corruttela di Aristophanes in c(h)risto-
phanes, una banalizzazione in senso cristiano che avrebbe potuto
essere favorita anche dalla confusione di natura grafica della a
con una c ‘crestata’, vd. Rosellini 2015a, pp. XCV-XCVI.

80, 4-7 παντὸς μᾶλλον: magis omnibus


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca
(Plat. Pol. 306c3-5) – citazione latina (Verg. Aen. 1, 15-16).
LEMMA LATINO. La locuzione magis omnibus non è trattata da
altri grammatici.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 15-16 occorre anche in 71,
8, dove illustra l’uso dell’avverbio comparativo magis con un
verbo (coluisse) invece che un aggettivo o altro avverbio, come
già in GL III 160, 7-11 (vd. anche supra, p. 328). Nella voce in
esame è, invece, più probabile che la citazione sia motivata dal
nesso magis omnibus, che costituirebbe un parallelo latino del
lemma greco παντὸς μᾶλλον.
PROBLEMI TESTUALI. Plat. Pol. 306c3-5 è citato con l’omissio-
80, 8-14 365

ne delle parole οὕτως ἁπλοῦν ἐστὶ τοῦτο ἤ dopo π[ρ]ότε-


ρον, che sarà dovuta a un intenzionale taglio da parte del com-
pilatore del lessico fonte. La corruttela ΠΡΟΤεΡΟΝ, recata dai
manoscritti in luogo di πότερον, potrebbe essersi prodotta per
la confusione di Π con la P latina, che, invece di sostituire il
carattere greco, gli sarebbe stata scritta accanto. L’errore potreb-
be tuttavia essere anche una più antica banalizzazione facilitata
dall’assenza di ἤ dal contesto.

80, 8-14 περί prepositiva e pospositiva: anastrofe di de,


prae, pro
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con osservazioni
aggiuntive – lemma latino – citazione greca (Herod. 1, 36) –
citazione latina (Verg. Aen. 4, 320-321) – lemma latino secon-
dario – citazione latina (Ter. Andr. 171).
LEMMA GRECO. La polisemia di περί, che Prisciano osserva
nella voce in esame, viene rilevata anche nel libro XIV, dove in
generale la possibilità di assumere diversi valori è considerata
una caratteristica delle preposizioni greche rispetto a quelle
latine: GL III 28, 19-22 apud illos enim cum sint decem et octo
praepositiones, diversas singulae habent significationes, quae complent
multarum apud nos demonstrationem, ut περί pro ‘circum’ et ‘circa’ et
‘erga’ et ‘de’ et ‘super’. Appare dunque probabile che anche nel
lessico la nota et diversas habet significationes non traduca in latino
una chiosa già presente nella fonte greca di Prisciano bensì sia
stata introdotta da quest’ultimo.
LEMMA LATINO. De è individuato anche nei glossari bilingui
medievali come equivalente semantico di περί (CGL II 37, 47;
402, 4). La stessa corrispondenza è istituita da Prisciano già nei
libri XIV e XVI (GL III 48, 28- 49, 1 ‘De’ non solum τὸ ‘ἀπό’
significat, sed etiam τὸ ‘περί’ memorativum, ut ‘de partibus oratio-
nis’; cfr. GL III 84, 6-9; Att. 108, 7- 8; Char. 305, 2-3 ‘de’ ad id
quod Graeci περί dicunt).
L’anastrofe delle preposizioni è discussa anche nel libro XII
(GL II 594, 15-19 ‘Mecum’ […] per anastrophen cum pronomine
praepositio est […]; quomodo igitur, si dicam ‘propter te’ et ‘te prop-
ter’, idem significo et ‘cum quibus’ et ‘quibuscum’, sic ‘cum me’ et
366 COMMENTO

‘mecum’) e nel XIV, dove si osserva la rarità di questo fenomeno


soprattutto in prosa: GL III 24, 15-17 Est autem quando per appo-
sitionem prolatae praepositiones praepostere ponuntur, poetica plerum-
que auctoritate; nam sine metris scribentes rarissime hoc invenies facere;
sim. 29, 15-19 (cfr. 36, 27-29). Similmente Pompeo ritiene che
l’anastrofe di preposizioni diverse da tenus e cum si spieghi pre-
valentemente con esigenze metriche: GL V 270, 10-18 postpo-
nuntur etiam aliae; sed cum postpositae fuerint, vide ne hysterologia sit,
aut ne elocutio sit […]. ne te decipiat, quoniam in versibus invenimus
plerumque praepositiones esse postpositas; sed ideo postpositae sunt,
non quod ita in elocutionem cadunt, sed quod aliter versus stare non
possunt (cfr. 270, 21-271, 19; 279, 16-36). Ancora nel libro XIV
Prisciano descrive il nesso qua de re, che nella voce in esame è
trattato insieme agli esempi di inversione, in termini diversi,
come la collocazione della preposizione a metà tra attributo e
sostantivo: GL III 29, 22-23 mediae quoque ponuntur, ut ‘qua de re,
quam ob rem, quas ob res, qua in parte’. La stessa dottrina è presente
anche in Char. 304, 29-30 Item ex et de praepositiones non num-
quam mediae inveniuntur, cum dicimus fac tua ex re, qua de re agitur.
Altri grammatici ritengono che, quando la preposizione è
posposta al sostantivo che essa regge, allora abbia piuttosto valo-
re di avverbio, tranne tenus e cum nelle forme mecum ecc. (Sa-
cerd. GL VI 428, 29-33; Cledon. GL V 24, 29-25, 1; 75, 18-
19; Serv. GL IV 420, 8-10; 443, 4-5).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 4, 320-321 occorre anche in
GL III 31, 21-26, dove esemplifica il valore causale di propter.
Allo stesso proposito il luogo virgiliano è citato anche, insieme
a un esempio di uso ‘causale’ di ob (Verg. Aen. 11, 347), in
un’aggiunta presente in alcuni manoscritti dopo GL III 28, 17-
18 (vd. apparato ad loc.). A questo riguardo il passo è citato
anche in Arus. 82, 6-7 Di Stefano; Non. 367, 16-18. Il Servio
danielino vi osserva, invece, l’anastrofe della preposizione (Aen.
4, 320 TE PROPTER hoc est ‘propter te’). Ter. Andr. 171 illustra
l’inversione della preposizione anche in GL III 29, 17-18. Lo
stesso fenomeno è rilevato nel commento di Donato ad loc.: § 2
I PRAE figura ἀναστροφή, quod nos praei dicimus; cfr. Ad. 167, 1
‘abi prae’ prior abi, praei, ut ‘i prae, sequor’.
80, 15-16 367

PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Herod. 1, 36 Prisciano


attesta la variante μνησθήσεσθαι per μνησθῆτε (ἔτι) della
tradizione diretta.
Negli Atticismi Ter. Andr. 171 è riportato con la lezione
sequar, in accordo con i codici PEvη della tradizione diretta e
con gli scolî del codice G; nel libro XIV (GL III 29, 18) si
trova, invece, la variante sequor, condivisa dai restanti mano-
scritti di Terenzio (cioè CG per questo luogo dell’Andria) e da
Donato (Ad. 167, 1, su cui vd. Craig 1930, p. 66). È probabile
che l’una o l’altra delle due lezioni attestate nell’Ars dipenda da
un errore di memoria del grammatico e che pertanto la coinci-
denza con parte della tradizione diretta sia casuale.
L’imperativo i all’inizio della citazione dell’Andria è stato
frainteso da alcuni copisti come parte dell’indicazione di prove-
nienza dell’esempio; si osserva, infatti, in diversi codici il tenta-
tivo di rendere tale indicazione più esplicita mediante l’inseri-
mento di altre parole, più o meno coerenti con la Zitierweise
priscianea (idem in i ηVQ, T a. c., fort. et R a. c.; idem in primo i
W; idem in I X a. c.; idem i FYJ, T p. c.). Delle incertezze testuali
in parte simili a queste si verificano anche per la prima occorren-
za del medesimo esempio nel libro XIV (GL III 29, 17-18 in
andria BDEFGgIKLMpRTWXYZ | i BEFIgMRWX, e corr.
Y: om. DGKLZ; primo a. c. Y, p sed eras. | post andria add. pri-
mo s. l. D, in i s. l. Z; ut dictum est in t. GKL, s. l. W, in mg. p).

80, 15-16 περιοράω con accusativo e genitivo: despicio,


contemno, sperno con accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (περιορᾶν) – lemma
latino.
LEMMA LATINO. Despicio è attestato come corrispettivo di
περιοράω anche nello Ps. Cirillo (CGL II 403, 42).
Despicio e contemno sono confrontati, per la reggenza dell’ac-
cusativo, con un altro composto di ὁράω, ὑπεροράω, in 109,
5-7 (vd. infra, ad loc.); ancora l’uso transitivo di despicio e sperno è
descritto in 54, 3-7. Sul trattamento di questi due verbi nella
produzione grammaticale latina vd. supra, p. 244. La reggenza
dell’accusativo da parte di contemno è registrata anche in alcune
368 COMMENTO

raccolte di idiomata casuum (Char. 383, 26; Diom. GL I 315, 4;


Idiom. cas. GL IV 568, 13).

81, 1-2 πιστεύομαι con dativo o ὑπό e genitivo: credor


con dativo o ab e ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (πεπίστευμαι) –
citazione greca (Men. fr. 135 K.-A.) – lemma latino.
LEMMA GRECO. Il lessico priscianeo contiene anche un lemma
relativo agli usi sintattici di πιστεύω nella diatesi attiva (83, 1-
7; vd. infra, ad loc.).
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di credo e
πιστεύω è documentata anche nei glossari medievali (CGL II
117, 43 e 49; 408, 18; III 153, 42-45; 339, 60; 444, 33).
La costruzione di credor con il dativo di termine è del tutto
comune sin dall’età arcaica (vd. ThlL s. v. credo, IV [Lambertz]),
1143, 22-1144, 37); l’uso del verbo con un oggetto animato,
senza ulteriori complementi, descritto implicitamente nella
seconda parte del lemma (credor a te) è, invece, piuttosto raro
(vd. ibid. 1143, 11-21). Si trova comunque qualche occorrenza
di credor con il complemento d’agente nel latino classico (ad es.
Cic. Catil. 3, 22; Liv. 25, 28, 3). Nessun altro grammatico tratta
della reggenza del dativo da parte del passivo credor.

81, 3-11 πειράω con accusativo o genitivo: tempto con


accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (πειρᾶσαι) – citazioni
greche (Thuc. 4, 70, 2; Ar. Eq. 517) – lemma latino – citazione
latina (Verg. Aen. 2, 38) – lemma latino secondario – citazione
latina (Verg. Aen. 10, 172-173), con osservazione aggiuntiva.
CITAZIONI GRECHE. Ar. Eq. 517 è citato anche in Sud. χ 119
(ὀλίγοις χαρίσασθαι), ma sotto il lemma χαρίσασθαι (cfr.
Schol. vet. Ar. Eq. 517c; Schol. vet. Pind. Pyth. 2, 78a).
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di πειράω e
tempto è attestata, per i tempi storici, anche nei glossari bilingui
(CGL III 156, 65 e 67- 68; 419, 29 e 33-34 e 36), nei quali
l’equivalente greco di tempto al presente e all’imperfetto è, inve-
ce, πειράζω (CGL II 196, 26; 400, 38; III 6, 4; 153, 14; 156,
81, 3-11 369

62- 64; 419, 30-32 e 35; 465, 26). Anche expertus, il secondo
lemma latino della voce in esame, è confrontato nei glossari con
alcuni participi di πειράω (CGL II 65, 51 πειράσας; II 65, 39
πειραθείς; II 401, 30 πεπειραμένος).
La duplice reggenza di expertus, a seconda che abbia funzione
nominale o verbale, viene osservata anche in Char. 380, 8-13
(= Diom. GL I 312, 13-16) sed haec nomina quae ex praeterito
tempore participiorum fiunt non habent casus, nisi secundae declinatio-
nis ‹sint, et sunt› pauca, ex quibus quaedam genetivum recipiunt, velut
[…] expertus belli. expertus enim bellum per incusativum fit partici-
pium (è probabile che questo exemplum fictum sia ricavato da
Verg. Aen. 10, 173 expertos belli, citato a questo riguardo sia da
Prisciano sia da Arusiano: vd. infra). Inoltre la sola costruzione
con il genitivo è inclusa tra gli idiomata casuum in Char. 382, 13.
I due usi sintattici del participio sono registrati anche in Arus.
33, 15-17 Di Stefano. Cfr. inoltre Ps. Prob. nom. 70, 22-24
Passalacqua; apparato a Explan. in Don. GL IV 543, 6-7. Nes-
sun altro grammatico tratta della sintassi di tempto.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 2, (37-)38 è citato anche in
Pomp. GL V 268, 16-20; Dosith. 83, 17 Tolkiehn, ma a pro-
posito dell’uso delle congiunzioni disgiuntive. Verg. Aen. 10,
172-173 occorre anche in Arus. 33, 17 Di Stefano, dove la
citazione è limitata al sintagma di interesse (expertos belli iuvenes).
PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Thuc. 4, 70, 2 attesta
l’inversione τῷ μὲν per μὲν τῷ della tradizione diretta e l’indi-
cativo δύναται in luogo dell’ottativo δύναιτο.
Nel riportare Ar. Eq. 517 Prisciano si accorda con i codici
RM nella lezione superiore δή contro ἤδη della restante tradi-
zione manoscritta aristofanea. In accordo con M e Sud. χ 119
attesta inoltre il solo ὀλίγοις in luogo degli ametrici ὀλίγοις
πάνυ (R) e ὀλίγοις ἤδη (vΦ).
Le parole quando genetivo coniungitur sono presenti come parte
del testo principale solo in alcuni codici (XFUEI), come aggiunta
interlineare o marginale in altri (TRWDY), del tutto omesse,
invece, in MJ. Esse sono necessarie al completamento della pro-
posizione precedente e coerenti con il frasario priscianeo e non è
pertanto condivisibile la scelta di Hertz di non metterle a testo
370 COMMENTO

(GL III 346, 2; vd. Rosellini 2015a, p. CXXIX). L’ulteriore ag-


giunta di nam participium expertus bellum dicitur al termine della
voce, recata solamente in margine dai codici TRY, presenta,
invece, una sintassi un poco farraginosa (participium dovrebbe
essere inteso come predicativo del soggetto rappresentato
dall’esempio expertus bellum, cioè si dovrebbe interpretare “exper-
tus bellum è detto participio/come participio”): sia per questo
motivo sia perché facilmente poteva essere elaborata da un copi-
sta, l’aggiunta è ritenuta inautentica da Rosellini 2015a, p. CXXXII.

81, 12-15 περί con numerale in accusativo o dativo:


complemento di distanza in accusativo o ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazioni greche
(Theop. fr. 79 Grenfell-Hunt = FGrHist 115 F 79; Lyc. fr. VI 5
Conomis) – lemma latino.
LEMMA GRECO. Agli studi linguistici moderni è noto solamente
il primo dei due usi di περί col valore di “circa” lemmatizzati
da Prisciano, insieme a numerali espressi in accusativo (Kühner
– Gerth II.1, p. 494; Schwyzer II, p. 505; LSJ s. v. περί,
C.II.2). La costruzione alternativa con il dativo non è altrimenti
conosciuta e l’espressione περὶ εἴκοσιν ἀνθρώποις, ascritta da
Prisciano a Licurgo, potrebbe attestare in vero un uso avverbia-
le della preposizione.
CITAZIONI GRECHE. Il FGrHist 115 F 79 delle Storie Filippiche di
Teopompo si potrebbe dover riconoscere in un luogo della Varia
Historia di Eliano, di cui si ritiene che sia fonte lo stesso Teo-
pompo (anche questo passo è incluso da Jacoby tra i frammenti
dello storico greco, FGrHist 115 F 80) e dove è attestata la va-
riante ἐπί per περί: 3, 1 καὶ μέσον δέχεται χωρίον, οὗ τὸ
μὲν μῆκος ἐπὶ τετταράκοντα διήκει σταδίους (vd. Shrimp-
ton 1991, p. 110; Flower 1994, p. 162; Visconti 2014, p. 295 e
n. 40. Il passo di Eliano non è, invece, incluso da Grenfell –
Hunt tra i frammenti di Teopompo). Se l’identificazione è cor-
retta, ci si potrà interrogare sulla maggiore appropriatezza della
lezione περί, testimoniata da Prisciano e garantita dal lemma
sotto cui l’esempio è collocato, o della variante ἐπί presente nella
parafrasi di Eliano. Meno significativa è, invece, l’alternativa tra
81, 16-17 371

le forme τεσσαράκοντα e τετταράκοντα e l’assenza di διήκει


dalla citazione priscianea, che potrebbe essere dovuta a un’in-
tenzionale omissione da parte del compilatore del lessico fonte.
LEMMA LATINO. Mentre il lemma greco verte sulla possibilità
di costruire περί, col significato di “circa”, sia con il dativo sia
con l’accusativo, Prisciano tratta in latino dell’espressione del
complemento di distanza in ablativo o accusativo. I sintagmi
viginti passus e viginti passibus non sono altrove attestati nella
letteratura latina, ma è naturalmente molto comune l’uso di
passus e passibus con altri numerali. La forma aberat in nesso con
passus, all’accusativo, si incontra con discreta frequenza nella
prosa storiografica del I secolo a. C. - I d. C. (Caes. Gall. 1, 49,
3; 7, 46, 1; civ. 3, 67, 1; Liv. 27, 46, 4; 31, 35, 2; 44, 33, 1); la
terza persona singolare dell’imperfetto non occorre, invece, con
l’ablativo in nessun altro luogo della letteratura latina conserva-
ta. Hofmann – Szantyr, p. 40, considerano l’uso dell’ablativo
invece dell’accusativo con absum e altri verbi esprimenti separa-
zione o distanza proprio del latino postclassico.

81, 16-17 complemento di stima con περί e genitivo:


genitivo di stima
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione latina
(Ter. Andr. 292).
LEMMA LATINO. L’equivalenza del genitivo di stima latino con
περί e il genitivo in greco è postulata anche nei glossari bilingui
(CGL II 195, 28 tanti περὶ πολλοῦ; per la costruzione di
ἡγέομαι con il complemento di stima, espresso però in geniti-
vo semplice, vd. CGL II 145, 30 pendo magni te ἡγοῦμαί σε
πολλοῦ). L’uso di facio e altri verbi con il genitivo di stima non
è trattato da altri grammatici oltre a Prisciano.
CITAZIONI LATINE. Ter. Andr. 292 occorre anche in GL III
244, 9-12, dove sono inclusi nella citazione anche i vv. 291 e
293 e l’esempio è riferito all’uso dei tempi storici dell’indicativo
in proposizioni subordinate introdotte da si.
372 COMMENTO

82, 1-3 δείκνυμι con participio predicativo in nominati-


vo: sentio con participio predicativo in nominativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (πεποιηκὼς δείξω),
con glossa sintattica – citazione latina (Verg. Aen. 2, 377), con
glossa sintattica. La collocazione della voce nell’ordine alfabeti-
co è eccezionalmente motivata dal termine che esprime la reg-
genza di un vocabolo invece che da quest’ultimo.
LEMMA GRECO. La stessa costruzione assegnata in questa voce a
δείκνυμι è descritta a proposito del composto ἐπιδείκνυμι in
46, 11 (vd. commento ad loc.). Il locus classicus a partire dal quale
è stato formulato il lemma in esame è stato individuato da Ferri
2014, p. 109 n. 46, in Demosth. 19, 177 Συλλογίσασθαι δὴ
βούλομαι τὰ κατηγορημέν’ ἀπ’ ἀρχῆς, ἵν’ ὅσ’ ὑμῖν
ὑπεσχόμην ἀρχόμενος τοῦ λόγου δείξω πεποιηκώς.
LEMMA LATINO. Sul trattamento del participio predicativo da
parte di Prisciano cfr. commento a 46, 11-15; 58, 1- 4; 94, 11-
15; 96, 8-13.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 2, 377 è l’esempio latino tipica-
mente citato negli Atticismi in corrispondenza di lemmi greci
relativi al participio predicativo: oltre che nella voce in esame,
esso occorre in 46, 12; 56, 15; 58, 2; 96, 13 (vd. supra, p. 205).

82, 4-9 περίφοβος con πρός e infinito sostantivato o con


infinito semplice: trepidus con ad e gerundio o con infinito
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca
(Din. or. 88 fr. 139 Conomis) – lemma latino – citazione latina
(Verg. ecl. 5, 1-2), con glossa sintattica.
LEMMA GRECO. L’unica occorrenza nota di περίφοβος con
l’infinito semplice è il frammento di Dinarco (or. 88 fr. p. 139
Conomis) conservato da Prisciano; non si conosce, invece,
alcuna attestazione dell’altro costrutto lemmatizzato, con πρός
e l’infinito sostantivato (ma per la costruzione dell’aggettivo con
πρός e l’accusativo vd. LSJ s. v. περίφοβος).
LEMMA LATINO. Il lemma latino è formulato da Prisciano come
traduzione letterale del lemma greco di partenza, giacché nessu-
na della delle due costruzioni assegnate a trepidus è altrimenti
attestata nel latino letterario (vd. Forcellini s. v. trepidus).
82, 10-18 373

Prisciano tratta della costruzione di alcuni aggettivi con l’in-


finito anche nella prima metà del libro XVIII: GL III 227, 7-12
Nominativis quoque adiectivorum et obliquis eorum pulcherrima figura
coniungitur infinitum, ut ‘fortis bellare, prudens intellegere, sapiens
providere, peritus docere’ et similia; sim. 235, 10-11. Nel primo dei
due passi cita Hor. carm. 1, 15, 18-19 et celerem sequi / Aiacem con
la glossa id est ‘celerem ad sequendum’ (sim. Schol. ad loc.), affine,
per sintassi, a quelle che accompagnano la citazione di Verg. ecl.
5, 1-2 nel lessico (pro ‘boni ad calamos inflandos’ et ‘ad dicendos
versus’). In entrambi i casi, infatti, si istituisce un’equivalenza tra
la costruzione con l’infinito e quella con ad e il gerundio o
gerundivo. La corrispondenza tra alcuni usi sintattici dell’infinito
e determinate costruzioni con il gerundio o il gerundivo è os-
servata anche in GL III 226, 5-6 Graeco similiter more infinita pro
gerundii genetivo proferuntur, dove tuttavia mancano degli esempi
che chiariscano quali costrutti avesse in mente il grammatico.
CITAZIONI LATINE. Verg. ecl. 5, 1-2 esemplifica la costruzione
di un aggettivo con l’infinito anche in GL III 235, 12-14. In
GL III 181, 22-24 lo stesso luogo illustra l’apposizione di due
nominativi singolari (tu..., ego...) a uno plurale (boni … ambo).
La costruzione dell’aggettivo con l’infinito nel passo di Virgilio
è rilevata anche in Serv. ecl. 5, 1 et figurate ait ‘boni ambo, tu
calamos inflare leves, ego dicere versus’; Serv. auct. ecl. 5, 2 ‘boni
dicere’ autem Graecum est ἱκανὸς λέγειν. Significativamente il
Servio danielino qualifica come grecismo il costrutto che Pri-
sciano confronta con un sintagma greco (cfr. Ferri 2014, p. 89).

82, 10-18 περιβάλλω con accusativo della persona e dati-


vo della cosa o con dativo della persona e accusativo della
cosa: circumdo con accusativo della persona e dativo della
cosa o con dativo della persona e accusativo della cosa
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (περιβαλεῖν) – lem-
ma latino – lemma latino secondario – citazioni latine (Verg.
Aen. 1, 9; 1, 593) – lemma latino secondario – citazioni latine
(Verg. Aen. 11, 76-77; 10, 681- 682).
LEMMA GRECO. La citazione protolemmatica della voce in
esame è stata riconosciuta da E. Müller 1911, p. 2, in Demosth.
374 COMMENTO

19, 240 ὃς γὰρ ᾠήθης χρῆναι τὸν φανερόν τι ποιῆσαι


βουληθέντα τῶν σοὶ πεπρεσβευμένων τηλικαύτῃ καὶ
τοιαύτῃ συμφορᾷ περιβαλεῖν, nel quale il numero singolare
del dativo – assai più spesso al plurale, συμφοραῖς, in nesso
con περιβάλλω – e la forma del verbo, all’infinito aoristo,
coincidono con quelli attestati nel lemma priscianeo.
LEMMA LATINO. La costruzione di volvo al passivo con l’ablativo
è considerata da Forcellini un grecismo sintattico (s. v. volvo,
I.1.c). Sulla sintassi di induo, il terzo lemma latino della voce, già
trattata in 50, 16-21, vd. commento ad loc.
CITAZIONI LATINE. La struttura sintattica di Verg. Aen. 1, 9 è
discussa anche nel commento ad loc. di Servio, che stabilisce
un’equivalenza tra le stesse due costruzioni di volvo lemmatizza-
te da Prisciano: VOLVERE CASVS id est casibus volvi. et est figura
hypallage, quae fit quotienscumque per contrarium verba intelleguntur.
Il commentatore considera una ipallage sia la costruzione di
volvo con l’accusativo della cosa sia quella di induo con l’accusa-
tivo dell’indumento, anch’essa discussa dal nostro grammatico
nella voce in esame (vd. infra).
Verg. Aen. 1, 593 è citato anche da Arusiano Messio (21, 5-
6), sotto il lemma CIRCUMDAT HAEC RES ILLAM REM, che risul-
ta non pertinente alla costruzione attestata nel luogo virgiliano.
Questa incongruenza ha indotto Keil a sospettare di corruttela il
lemma, correggendolo in CIRCUNDATUR HAEC RES ILLA RE
(GL VII 460, 7); il testo tràdito è, invece, considerato genuino
da Di Stefano 2011 (di cui vd. la discussione a pp. 116-117).
Verg. Aen. 11, 76-77 illustra la costruzione di induo con
l’accusativo della cosa e il dativo della persona anche in 59, 19-
20 (vd. ad loc.). Verg. Aen. 10, 681- 682 è citato anche in 95, 4-
5, ancora come esempio dell’uso di induo con l’accusativo della
persona e l’ablativo della cosa. La costruzione di induo in questo
passo con l’ablativo della cosa è considerata da Servio un’ipalla-
ge, così come quella di volvo con l’accusativo in Aen. 1, 9 (vd.
supra): Aen. 681 mucrone induat aut καταχρηστικῶς dixit ‘in-
duat’ pro ‘feriat’: aut hypallage est pro ‘mucronem suo induat corpore’.
si enim ‘induere’ est vestire, non mucrone corpus induitur, sed induitur
mucro corpore, id est tegitur et vestitur.
82, 19-20 375

PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Verg. Aen. 1, 593


Prisciano si accorda nella lezione Pariusve con la maggior parte
dei testimoni diretti e indiretti (Serv. ad loc.; Ps. Prob. inst. GL
IV 145, 13; Sacerd. GL VI 464, 8; Arus. 21, 5-6 Di Stefano),
contro i soli Pγ (e Schol. Hor. carm. 1, 19, 6), latori della varian-
te inferiore Pariusque.
In Verg. Aen. 10, 681 il nostro grammatico attesta l’ablativo
mucrone in accordo con parte della tradizione diretta (MP1?ωγ) e
con la totalità della restante tradizione indiretta (Serv. Aen. 10,
681; Claud. Don. Aen. 10, 680 p. 379, 5), mentre i codici PR di
Virgilio recano la lezione mucroni, messa a testo da Conte (Gey-
monat accoglie, invece, mucrone). La variante priscianea, presente
anche nella citazione del passo in 95, 4, è garantita dal lemma
della voce in esame (induo te veste), che richiede l’ablativo.

82, 19-20 πη avverbio indefinito e πῆ avverbio interro-


gativo: qua e quo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con osservazione
aggiuntiva – lemma latino.
LEMMA GRECO. Il diverso accento di πη a seconda che sia
avverbio interrogativo o indefinito è trattato anche da Erodiano
(GG III.1 491, 14-15 τὰ πυσματικὰ περισπᾶται, πῇ, ποῦ,
πῶς. ταῦτα δὲ ἀοριστούμενα ἐγκλίνεται; sim. 492, 11-16).
Mentre il grammatico greco prevede un’alternativa tra l’accento
circonflesso per l’uso interrogativo dell’avverbio e l’assenza di
accento (ἐγκλίνεται) per quello indefinito (cfr. LSJ s. vv. πη;
πῃ), Prisciano considera alternativo all’accento circonflesso (cir-
cumflectitur) quello grave (gravatur). Se nel lessico fonte del nostro
grammatico si trovava un’indicazione sull’accentazione di πη
analoga a quella fornita da Erodiano (o se ve l’ha aggiunta lo
stesso Prisciano traendola da una fonte greca di tipo grammatica-
le), si può spiegare la sua scelta di rendere ἐκγλίνεται (vel sim.)
con gravatur con un fraintendimento del verbo greco, che può,
a seconda dei contesti, significare sia «pronounce as an enclitic»
sia «pronounce with the grave accent» (LSJ s. v. ἐγκλίνω, I.6)
ovvero con la sovrapposizione, da parte del grammatico latino, di
categorie proprie della lingua latina (l’opposizione grave/acuto o
376 COMMENTO

grave/circonflesso) ad altre proprie di quella greca (l’opposizione


enclisi/accento circonflesso). In particolare l’alternanza differentiae
causa di accento grave e circonflesso in alcuni monosillabi latini,
di cui in base all’accentazione si distinguerebbero diversi signifi-
cati o funzioni logiche, è trattata anche in GL III 9, 20-21 (qui);
49, 23-25 (pro); part. 76, 18-23 Passalacqua (iam, ne, sic); 84, 24-
85, 4 (sic); 109, 14-15 (qui); cfr. Schad 2007, pp. 61 e 192.
LEMMA LATINO. Prisciano osserva la polisemia di quo e qua anche
nei libri XV e XVII, dove egli ammette accanto al valore inde-
finito e interrogativo dei due avverbi, anche quello relativo: GL
III 88, 23-26 Quomodo autem sunt nomina homonyma et polyony-
ma, sic inveniuntur adverbia vel in una significatione multas habentia
voces vel in una voce multas habentia significationes, ut ‘ubi’ ‘ποῦ’
καὶ ‘ὅπου’. similiter ‘quo’, ‘qua’, ‘quando’ et infinita sunt et interro-
gativa et relativa; sim. 136, 20-21 (in GL III 132, 20-133, 2 sono
menzionati, invece, solo il valore interrogativo e quello relativo
dei due avverbi; in GL III 123, 18-19; 134, 11-14 solo quello
interrogativo). La questione dell’accento di questi avverbi, ac-
cennata nel lessico, è trattata più distesamente nel libro XVII,
dove si osserva che alcuni pronomi e avverbi, se interrogativi,
seguono le normali regole dell’accentazione, se relativi, hanno
accento acuto sull’ultima sillaba, a meno che non siano seguiti
nella frase da un’altra parola; in quest’ultimo caso, infatti, l’ac-
cento è grave (GL III 132, 10~25).

83, 1-7 πιστεύω con accusativo o con dativo: credo con


accusativo e dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca
(Demosth. 19, 23) – osservazione aggiuntiva – lemma latino –
citazioni latine (Ter. Ad. 329-330; Andr. 497).
CITAZIONI GRECHE. Demosth. 19, 23 è citato sotto il lemma
πιστεύω anche in Lex. Coisl. π 12 ( in forma più ampia: καὶ
οὔτε ἀκούειν ἠθέλετε, οὔτε πιστεύειν ἐβούλεσθε ἄλλα
πλὴν ἃ οὗτος ἀπηγγέλκει). In questo caso eccezionalmente
Prisciano prende le distanze dalla sua fonte riguardo all’interpre-
tazione sintattica dell’esempio demostenico proposto, evidente-
mente riferito dal lessicografo atticista alla costruzione del lem-
83, 1-7 377

ma con l’accusativo: il grammatico latino osserva, infatti, che


l’accusativo ἅ non è retto da πιστεύειν ma più propriamente
dal successivo ἀπήγγελλεν (ad verbum enim sequens accusativo
usus est). Questa nota consente di stabilire con certezza che il
complemento oggetto ἄλλα, questo, sì, dipendente da
πιστεύειν nel contesto di origine (e presso il lessico coislinia-
no), doveva essere già stato omesso allo stadio di tradizione in
cui il lessico fonte pervenne nelle mani di Prisciano.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di πιστεύω e
credo viene postulata anche in 81, 1-2 (vd. supra, ad loc.).
La sintassi di credo è trattata anche da Char. 332, 14, che ne
registra solamente l’uso transitivo.
Prisciano menziona la συνέμπτωσις anche nel libro XVII,
tra le diverse figurae in cui si può realizzare la variatio sintattica,
limitandosi però a glossare il termine greco in latino (GL III
183, 23 concidentiam, quam συνέμπτωσιν Graeci vocant), senza
fornirne una definizione (concidentia è uno hapax priscianeo: vd.
ThlL s. v. concidentia [Hey], IV 30, 83- 84; Groupe Ars Grammati-
ca 2010, p. 243 nn. 304 e 306; il termine non è, invece, regi-
strato da Schad 2007). Di συνέμπτωσις come confusione o,
meglio, casuale identità di diversi casi nella flessione di uno
stesso sostantivo si tratta anche nel Fragmentum Bobiense de nomi-
ne et pronomine a proposito del genitivo plurale in -um della
seconda declinazione, non ammesso per i sostantivi neutri per
evitare confusioni con il nominativo singolare: 5, 26- 6, 1 Passa-
lacqua neque feminini generis neque neutri nomina placuit hoc modo
enuntiari per genitivum pluralem, ac maxime neutra, ne et hic fieret
συνέμπτωσις nominativi singularis […], ut puta pro templorum
templum, quod est nominativi et accusativi et vocativi. In questo sen-
so anche Prisciano utilizza altrove concido (GL III 4, 17; 145, 22;
159, 3; cfr. Schad 2007, p. 80), il verbo corradicale dell’equiva-
lente latino, concidentia, di συνέμπτωσις, e così questo sostanti-
vo è adoperato dai grammatici greci (Apoll. Dysc. GG II.1 52,
5; 120, 15; 155, 13 e 22; 159, 23; 196, 17; 202, 5; II.2 45, 5; 72,
6 e 10; 73, 3; 203, 17; 223, 12; 295, 2; 296, 2; 297, 18; 298, 5;
300, 4; 302, 3; 314, 1-12; 315, 13; 328, 3; Herodian. GG
III.1417, 3; 418, 10; 480, 14; III.2 33, 20; 335, 25; 693, 27;
378 COMMENTO

815, 47; 818, 9; vd. LSJ s. v. συνέμπτωσις). Solo nella voce in


esame Prisciano usa, invece, synemptosis non a proposito della
confusione tra due forme omografe della flessione di uno stesso
vocabolo o di due vocaboli differenti, bensì per indicare che un
verbo è riferito a un caso retto in realtà da un altro verbo.
CITAZIONI LATINE. I due esempi riferiti da Prisciano all’uso di
credo dativo … et accusativo simul attestano in vero due diverse
strutture sintattiche, solo la seconda delle quali (Ter. Andr. 497
credon tibi hoc) è realmente pertinente alla costruzione descritta
dal grammatico. In Ad. 330, infatti, l’accusativo quid e il dativo
cui dipendono da due diverse forme verbali, tra loro coordinate,
e non da una stessa insieme. Ter. Ad. 330 è citato anche in
Serv. Aen. 4, 373 e discusso nel commento ad loc. di Donato
con un interesse però non linguistico (vd. infra).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Demosth. 19, 23 Pri-
sciano si distingue dalla tradizione diretta e dal Lexicon Coislinia-
num per l’omissione di ἄλλα davanti a πλήν e per la variante
ἀπήγγελλεν per ἀπηγγέλκει (cfr. Petrova 2006, p. XLVI). E.
Müller 1911, p. 9, nota che l’interpolazione di ἄλλα è frequen-
te in Demostene dopo una negazione e che pertanto sarebbe
superiore il testo preservato da Prisciano. Inoltre il grammatico
e il lessico coisliniano si accordano con A della tradizione diret-
ta nella lezione ἐβούλεσθε, mentre i restanti testimoni recano
la forma seriore ἠβούλεσθε (cfr. E. Müller 1911, p. 10).
Ter. Ad. 330 è citato con l’omissione di iam tra quid e credas
(l’avverbio è posto dopo credas nel Bembino); il verso degli
Adelphoe è riferito con la medesima omissione anche da Servio
(Aen. 4, 373 NUSQUAM TUTA FIDES hoc est nec apud rem, nec apud
hominem: Terentius ‘quid credas, aut cui credas?’) e così occorre nel
lemma di Don. ad loc. (§ 2 QUID CREDAS AUT CUI CREDAS [...]
hic ergo mire dixit iam fidem nullam esse: et in persona et in re. quod
etiam Vergilius transtulit breviusque dixit: ‘nusquam tuta fides’), che
presenta peraltro significativi punti di contatti con il passo del
commentatore virgiliano. D’altra parte la presenza di iam (iam
fidem nullam esse) nell’interpretamentum suggerisce che lo scoliasta
avesse davanti a sé un testo terenziano comprensivo dell’avver-
bio. Il primo lemma di Donato riferito allo stesso verso coinci-
83, 8-84, 2 379

de, invece, con il testo della tradizione diretta (§ 1 ME MISERAM


QUID IAM CREDAS). È possibile che circolasse in ambito gram-
maticale una forma alternativa del verso degli Adelphoe con
l’omissione di iam e che a questa tradizione indiretta abbia fatto
riferimento anche Prisciano; in alternativa si dovrebbe ritenere
casuale la coincidenza in errore di Prisciano con Servio e Dona-
to (questi, sì, verosimilmente tra loro connessi). In quest’ultimo
caso l’omissione di iam da parte del nostro grammatico potrebbe
essere stata favorita dalla confusione con Andr. 499 quid credas?,
quasi contiguo al v. 497 della stessa commedia, riportato subito
dopo Ad. 330 nel contesto priscianeo.

83, 8-84, 2 πλείω con accusativo o con ἤ e il caso del


primo termine di paragone o con il genitivo: plus con
accusativo o con quam e il caso del primo termine di
paragone o con ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino –
citazione greca (Plat. Menex. 235b8-c1) – lemma greco secon-
dario – citazioni greche (Aeschn. 3, 38; Demosth. 57, 10) –
osservazione teorica – citazioni latine (Ter. Eun. 184; Verg.
Aen. 1, 683-684; Lucan. 7, 639-640; Cic. Verr. 2, 3, 77; S.
Rosc. 39). La presenza di due lemmi greci, ciascuno dei quali
corredato di esemplificazione, potrebbe suggerire che Priscia-
no abbia trattato come un insieme unitario due voci in origine
distinte nella sua fonte (cfr. 62, 5-11; 92, 12-93, 5 con com-
mento ad locc.).
LEMMA LATINO. Nei precedenti luoghi dell’Ars, nei quali tratta
del comparativo, Prisciano prevede solamente l’espressione del
secondo termine di paragone per mezzo dell’ablativo semplice o
di quam e del caso del primo termine: GL II 94, 10-12 Et com-
parativus quidem gradus ablativo casui adiungitur utriusque numeri,
interdum tamen etiam nominativo, quando ‘quam’ adverbium sequitur.
Il primo costrutto lemmatizzato nella voce in esame, nel quale
il comparativo sarebbe direttamente seguito dal secondo termi-
ne di paragone nello stesso caso del primo (plus tres dies; vd.
Hofmann – Szantyr, p. 110; ThlL s. v. multus [Buchwald], IX
1615, 24-39), non è trattato altrove.
380 COMMENTO

CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 683-684, citato a causa


dell’accusativo di tempo continuato in 61, 3- 4; 64, 16; 99, 19,
viene qui riadattato a illustrare un diverso fenomeno linguistico.
Il ricorso a Cic. Verr. 2, 3, 77 per esemplificare la costruzio-
ne del comparativo con l’ablativo è frutto di un fraintendimen-
to della sintassi del passo ciceroniano: in esso, infatti, dimidio
non costituisce il secondo termine di paragone, che è invece
introdotto da quam (addicitur medimnum IƆƆ CIƆ CIƆ CIƆ C,
dimidio fere pluris quam superiore anno), bensì un complemento di
limitazione (cfr. Cic. Tull. 14; Verr. 2, 3, 117). Prisciano sem-
bra, invece, interpretare correttamente l’espressione dimidio plus
in 109, 1, dove egli cita Iuv. 14, 201 pluris dimidio e affianca il
lemma dimidio superat a Plat. Phaed. 96e3- 4 καὶ τὸ δίπηχυ τοῦ
πηχυιαίου μεῖζον εἶναι δ‹ι›ὰ τὸ ἥμισυ αὐτοῦ ὑπερέχειν
(vd. infra, ad loc.). Cic. Verr. 2, 3, 77 occorre anche in Arus. 28,
1-7 Di Stefano, dove però il passo è introdotto dall’inusuale
indicazione Cic. Comment. e riportato in forma di un riassunto
dei §§ 75-77 dell’orazione (De decumis … superiore anno). Keil
(in apparato a GL VII 465), Della Casa 1977, pp. 370-371, e Di
Stefano 2011, pp. 122-123, ritengono che si tratti dei commenta-
rii redatti dallo stesso Cicerone come materiale preparatorio per
l’actio dei suoi discorsi. Rosellini 2011, p. 187 n. 1, chiama,
invece, il confronto delle menzioni di commentatores Ciceronis in
Prisc. Att. 48, 8-9 e suggerisce che il brano citato da Arusiano
provenga piuttosto da qualche epitome del testo ciceroniano
che poteva circolare in ambito scolastico. A questo riguardo si
può inoltre osservare che la citazione conservata negli Exempla
elocutionum è ricavata da un passo dell’Actio secunda in Verrem,
che non fu mai pronunciata in tribunale ed ebbe una diffusione
solamente in forma scritta, sicché l’ipotesi che ancora in epoca
tarda potessero circolare dei materiali preparatori delle diverse
orazioni raccolte sotto questo titolo appare ancor meno persua-
siva che se si trattasse di un discorso realmente pronunciato da
Cicerone. Arusiano, che colloca questo esempio, insieme a Cic.
Flacc. 47 dimidio … stultiores, sotto il lemma DIMIDIO PLURIS,
idest ‘duplo’, mostra un interesse semantico per questa espressio-
ne, mentre Prisciano sembra averla richiamata come esempio di
83, 8-84, 2 381

plus con l’ablativo; in questo caso è dunque verosimile che i


due grammatici non abbiano tratto il passo da una fonte comu-
ne. Se questa conclusione è corretta, Arusiano e Prisciano non
condividerebbero alcuna citazione delle Verrinae, che potrebbe-
ro non essere state affatto utilizzate nel repertorio di exempla
latini utilizzato dai due grammatici, sebbene entrambi facciano
ampio ricorso a quel gruppo di orazioni.
La serie di citazioni è conclusa da Cic. S. Rosc. 39 annos
natus maior ‹quadraginta›, che Prisciano connetteva probabilmen-
te al primo costrutto descritto nel lemma greco, πλείω con
l’accusativo (in termini moderni, πλείω seguito da un numerale
espresso in qualsiasi caso, con l’omissione di ἤ), e che sotto
alcuni aspetti costituisce un esempio un poco eterogeneo rispet-
to ai precedenti: in tutte le altre citazioni latine della voce il
comparativo è, infatti, un avverbio o un neutro, mai un ma-
schile. Inoltre la disposizione degli esempi precedenti non è
casuale, bensì rispecchia la sequenza dei tre membri del lemma
greco e di quello latino (Ter. Eun. 184 e Verg. Aen. 1, 683-684
con accusativo; Lucan. 7, 639- 640 con ἤ/quam; Cic. Verr. 2, 3,
77 con genitivo/ablativo) e risulta alterata dalla collocazione,
alla fine della voce, di una ulteriore citazione relativa alla costru-
zione con l’accusativo. Cic. S. Rosc. 39 occorre, per un interesse
analogo a quello che guida la citazione in Prisciano, anche in
Arus. 71, 11-12 Di Stefano NATUS ANNOS TOT MAIOR, id est
‘supra tot annos’. Cic. pro Roscio ‘Annos natus maior LX’.
PROBLEMI TESTUALI. La congettura πλείω ἡ‹μερῶν› τριῶν
proposta da Scaligero (p. 738) a partire dalle lezioni dei mano-
scritti variamente riconducibili alla forma ΠΛιω Η ΤΡιωΝ e
messa a testo da van Putschen e Rosellini (Hertz stampa, inve-
ce, in GL III 347, 16-17 πλείω τριῶν), è sostenuta dal con-
fronto con il terzo membro del lemma latino, plus tribus diebus,
che presuppone nella parte corrispondente del lemma greco il
costrutto con il genitivo, piuttosto che con ἤ, e la presenza sia
del sostantivo che del numerale con esso concordato.
La citazione di Plat. Menex. 235b8-c1 è caratterizzata, rispet-
to alla tradizione diretta, dall’aggiunta di ἔτι davanti a μοι e
dall’omissione di ἢ dopo πλείω. Che quest’ultima non si debba
382 COMMENTO

a un errore di tradizione, bensì dovesse già caratterizzare il testo


platonico escerpito dal lessicografo atticista, è garantito dal lem-
ma premesso alla citazione, il cui primo membro è proprio
πλείω ἡμέρας τρεῖς, chiaramente formulato a partire dal passo
del Menesseno. L’aggiunta iniziale di ἔτι (μοι) è frutto di una
congettura di Spengel 1826, p. 657, a partire dalla forma tràdita
dalla famiglia γ (εΓΜΟΙ XM; εΤΜΟΙ EW; ἐμοί β). Hertz, che
stampa ἐμοί (GL III 347, 18), avanza l’ipotesi, in apparato, che
la lezione εΤΜΟΙ di alcuni codici derivi da un εΤ/et, traduzione
interlineare di καί, poi entrata nel testo principale. In questo
caso ἐμοί della famiglia β sarebbe un’ulteriore corruttela pro-
dottasi a partire da εΤΜΟΙ e occorrerebbe mettere a testo il
semplice μοι in accordo con la tradizione diretta. Questo sareb-
be però l’unico caso di glossa interlineare latina di un termine
greco entrata nel testo già a livello dell’archetipo α degli Atti-
cismi (a questa conclusione sarebbe necessario giungere per ren-
dere conto della presenza di ε- sia in β sia in γ). Appare però
più economica la correzione di Spengel, giacché, almeno da un
punto di vista paleografico l’omissione di -Ι dopo -Τ- si spiega
assai più facilmente dell’inserzione di Τ/Γ in ἐμοί.
Come osserva Menchelli 2014, pp. 226-227, riguardo alla
forma πλείω nella citazione dal Menesseno «la testimonianza di
Prisciano viene in aiuto del testo della tradizione medievale di
Platone», sospettata in questo punto di corruttela a causa
dell’accostamento del neutro plurale πλείω all’accusativo fem-
minile ἡμέρας (Hirschig ha proposto di correggere in πλεῖον,
Cobet in πλεῖν, ma Burnet e Tsitsiridis conservano il testo
tràdito). L’uso avverbiale del plurale πλείω invece di πλεῖον è
del resto attestato anche altrove nella prosa attica di età classica
(vd. LSJ s. v. πλείων, II.2.d; Tsitsiridis 1998, pp. 154-155).
Nella citazione di Aeschn. 3, 38 la tradizione diretta reca
πλείους ἑνὸς mentre Prisciano attesta πλείους … εἷς, a partire
dal quale Usener proponeva di mettere a testo, nell’oratore
attico, πλείους … ἢ εἷς. L’omissione di ἢ sembra confermata
dal lemma premesso alla citazione, che prevede solamente la
costruzione del comparativo con il genitivo o direttamente con
il caso del primo termine di paragone, senza congiunzione
83, 8-84, 2 383

(‘πλείους ἑνὸς’ καὶ ‘πλείους εἷς’). D’altra parte occorre nota-


re che questo lemma riflette solamente la costruzione del primo
esempio che lo accompagna, Aeschn. 3, 38 πλείους … εἷς; la
citazione successiva attesta, infatti, la costruzione del comparati-
vo con ἢ e il caso del primo termine di paragone (Demosth. 57,
10 πλείους ἢ λ´), non descritta nel lemma. La parziale incoe-
renza tra lemma ed esempi, non un unicum negli Atticismi, po-
trebbe risultare in questo caso più problematica che in altri
perché il membro del lemma enunciato per primo e rimasto
privo di esemplificazione, πλείους ἑνὸς, attesta il costrutto
presente nella tradizione diretta di Aeschn. 3, 38, dalla quale
Prisciano si distacca. Riguardo alla mancata corrispondenza tra
il lemma e la citazione di Demosth. 57, 10, Spengel 1826, p.
638, seguito da Hertz (vd. apparato a GL III 347, 20), ipotizza-
va l’omissione della terza parte del lemma, καὶ ‘πλείους ἢ εἷς’,
facilmente spiegabile con un saut du même au même. L’integra-
zione di queste parole, che potrebbe essere opportuna nella
ricostruzione del testo del lessico fonte, non sembra tuttavia
necessaria in Prisciano, il quale poteva non avvertire l’esigenza
di una perfetta aderenza dei lemmi agli esempi successivi.
Ter. Eun. 184 è citato da Prisciano con la variante triduum
per biduom dei codici terenziani (biduum nel lemma di Don. ad
loc.). Non plus triduum si trova altrimenti in Caecil. com. 52 (tra-
smesso da Non. 511, 34 sotto il lemma aliquantisper), ma non
sembra esservi alcun rapporto tra questo passo e il luogo priscia-
neo, nel quale la lezione triduum si dovrà a una svista del gram-
matico, eventualmente favorita dal lemma latino precedente,
‘plus tres dies’ et ‘plus quam tres dies’ et ‘plus tribus diebus’.
In Lucan. 7, 640 Prisciano testimonia la variante periit per
perit della tradizione diretta: la lezione priscianea deve essere
considerata inferiore, sia perché inaccettabile da un punto di
vista metrico sia perché nel contesto prevalgono i presenti,
anche storici (cfr. v. 634 per populos hic Roma perit).
Cic. Verr. 2, 3, 77 dimidio fere pluris, citato correttamente in
Arus. 28, 7, occorre, invece, in Prisciano nella forma pluris dimi-
dio: il grammatico potrebbe aver confuso il luogo ciceroniano
con Iuv. 14, 201, citato in 109, 1 sotto il lemma dimidio superat.
384 COMMENTO

L’ultimo esempio della voce, Cic. S. Rosc. 39, si conserva


solamente come marginale in TRY, forse perché aggiunto a
questo passo dal grammatico solo in un secondo momento,
come suggerirebbe anche il fatto che esso rappresenta un’ulte-
riore attestazione della giustapposizione del comparativo al se-
condo termine di paragone, quando già tutti i tre costrutti latini
lemmatizzati erano stati esemplificati (vd. supra; inoltre Roselli-
ni 2015a, p. CXXVII). La citazione è mutila alla fine di almeno
una parola, integrata da Rosellini, annos natus maior ‹quadraginta›.
Arusiano, col quale Prisciano condivide questa citazione, reca,
invece, la variante LX (71, 12), forse indotta dalla presenza del
medesimo numerale nell’esempio riportato sotto il lemma pre-
cedente: 71, 10 NATUS TOT ANNOS. Ter. heau. ‘Annos LX natus
es’ (ma non si può escludere che l’errore si sia prodotto più
tardi, nella tradizione manoscritta degli Exempla elocutionis; cfr.
Di Stefano 2011, p. 155).

84, 3-5 πλήν con tutti i casi tranne il vocativo: nisi,


dumtaxat con tutti i casi tranne il vocativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con osservazione
aggiuntiva – lemma latino – exempla ficta latini.
LEMMA GRECO. La funzione di avverbio o congiunzione di un
vocabolo è espressa per mezzo dell’indicazione che esso può
essere costruito con tutti i casi della flessione nominale, e segna-
tamente con il nominativo, anche nel lemma greco di 22, 1
(ἔγγιστα [...] τόσοι; cfr. supra, ad loc.).
LEMMA LATINO. Dumtaxat è elencato tra gli avverbi, senza
ulteriori indicazioni, in GL III 78, 25-26; inoltre in Diom. GL
I 404, 4-5 (cfr. Arus. 32, 13 Di Stefano).
L’indicazione relativa a nisi, fornita da Prisciano in questa
voce, dipende da un’analisi erronea – dal punto di vista moder-
no – degli exempla ficta che la seguono, nei quali le diverse for-
me della flessione di ille non sono ‘rette’ da nisi bensì richieste
dalla sintassi di verbi, sostantivi e avverbi che le accompagnano.
Sulla imprecisa distinzione, nella dottrina priscianea, tra con-
giunzioni, avverbi e preposizioni vd. Groupe Ars Grammatica
2013, pp. 15-16 e 22-25.
84, 6-8 385

84, 6- 8 ποῖ per il moto a luogo, ποῦ per lo stato in luo-


go: quo per il moto a luogo, ubi per lo stato in luogo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con osservazioni
aggiuntive – citazione greca (Hom. Il. 20, 83) – lemma latino.
LEMMA GRECO. Ποῖ è lemma anche della voce in 86, 7, nella
quale si tratta soltanto di questo avverbio e non anche di ποῦ.
CITAZIONI GRECHE. Il secondo emistichio di Hom. Il. 20, 83
corrisponde a Il. 13, 219, un luogo citato due volte negli scolî a
Dionisio Trace per esemplificare il valore eccezionale di moto a
luogo talora assunto da ποῦ (GG I.3 99, 14-17 ὅσα δὲ εἰς ου,
τὴν ἐν τόπῳ σχέσιν δηλοῖ [...]· μόνον τὸ ποῦ καὶ τὴν εἰς
τόπον εὑρέθη δηλοῦν, ‘ποῦ τοι ἀπειλαὶ / οἴχονται’; sim.
431, 33; cfr. Schol. Il. 13, 219), allo stesso modo in cui Il. 20, 83
è impiegato da Prisciano. La coincidenza con una fonte di tipo
grammaticale, insieme al fatto che la citazione è introdotta da
sed tamen allo scopo di illustrare una deroga rispetto all’uso lin-
guistico descritto dal lemma greco, consente di ipotizzare che
essa non si trovasse nel lessico atticista e vi sia stata aggiunta da
Prisciano (contra Valente 2014, pp. 63-64 e n. 15).
LEMMA LATINO. La corrispondenza di ποῦ e ubi, posta dallo
stesso Prisciano in altri libri dell’Ars (GL II 182, 19-20 ‘ubi’,
‘ποῦ’ ἢ ‘ὅπου’; III 88, 25 ‘ubi’ ‘ποῦ’ καὶ ‘ὅπου’), è attestata
anche in Dosith. 61, 19 e 23 Tolkiehn e nei glossari (CGL II
414, 55-56; cfr. per ὅπου CGL II 205, 6; 385, 63). Ποῖ, col
quale altrove Prisciano traduce quorsum piuttosto che il semplice
quo (GL III 250, 16-17 quorsum evadas, ποῖ ἄρα ἀποβῇς),
corrisponde a quorsum anche nello Ps. Cirillo (CGL II 411, 4 e
39). L’equivalenza di ποῖ e quo istituita negli Atticismi priscianei
(qui e in 86, 7) è, invece, postulata anche in Dosith. 61, 18-19.
Le due funzioni logiche di ubi e quo sono distinte anche nei
libri XV e XVII dell’Ars, nei quali, come nella voce in esame, si
assegna a ubi l’espressione dello stato in luogo, a quo del moto a
luogo (GL III 83, 11 ad locum, ut […] ‘quo’; in loco, ut […] ‘ubi’;
123, 18-19; 132, 23; 134, 11-13). La medesima ripartizione è
presente anche a Carisio (243, 12-14 Loci adverbia sunt sic, pri-
mum in loco, ubi […]; in locum, velut quo) ed è richiamata da altri
grammatici nella trattazione delle preposizioni che reggono sia
386 COMMENTO

l’ablativo sia l’accusativo e degli avverbi con forma diversa a


seconda che esprimano il moto a luogo o lo stato in luogo: la
corrispondenza a un’interrogativa formulata con ubi o quo è
proposta, infatti, come criterio utile a individuare volta per
volta il caso richiesto dalla preposizione o la forma più opportu-
na dell’avverbio (Cledon. GL V 25, 29-34 sed regulariter scire
debemus quod interrogatio praepositiones facit esse perspicuas. nam si
convenit ‘quo’ dicere, respondendum est per itineralem praepositionem,
ut […] ‘in publicum’; si interrogo ‘ubi’, respondendum in loco, […]
‘in campo’; 67, 30- 68, 3; Ps. Aug. reg. 139, 6- 8 Martorelli; cfr.
Ps. Palaem. reg. 67, 16-20 Rosellini; Audax GL VII 352, 16-23;
Ps. Prob. inst. GL IV 147, 26-37; 155, 19-26); vd. anche Ro-
sellini 2001, p. 162; Martorelli 2011, pp. 327-328.

84, 9-13 πολὺ e πολλῷ μᾶλλον e μάλιστα: multo magis e


multo maxime
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino –
citazione greca (Plat. Resp. 397d7) – citazione latina (Sall.
Catil. 36, 4).
LEMMA GRECO. Il sintagma πολὺ μᾶλλον è già discusso, insie-
me a πολύ μάλιστα, in 59, 1-2 (vd. supra, ad loc.).
CITAZIONI GRECHE. La citazione di Plat. Resp. 397d7 (πολὺ
… ἥδιστος) prova che il lemma era inteso dall’estensore del
lessico non in senso restrittivo, riferito solamente alle espressioni
lemmatizzate, ma più genericamente in relazione all’uso dei
rafforzativi πολύ e πολλῷ con comparativi e superlativi. Su
questo più vasto argomento, oggetto di una precedente voce
del lessico (58, 16-59, 6), vd. supra, ad loc.
LEMMA LATINO. Sui nessi multo magis e multo maxime, già pro-
posti come corrispettivi latini di πολὺ μᾶλλον e μάλιστα in
59, 2, vd. supra, ad loc. Mentre ivi a partire da questi lemmi
Prisciano estendeva lo sguardo in generale all’uso di rafforzare i
comparativi e superlativi con varie espressioni (la citazione lati-
na lì proposta è Verg. Aen. 1, 347 ante alios immanior omnes), nel
passo in esame egli tratta esclusivamente delle due locuzioni
lemmatizzate, come risulta dall’esempio proposto, Sall. Catil.
36, 4 multo maxime miserabile visum est.
84, 14- 85, 3 387

CITAZIONI LATINE. Sall. Catil. 36, 4 non conosce altre citazioni


in ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Plat. Resp. 397d7 reca la
lezione deteriore παῖς in luogo di παισί della tradizione diretta
(πολὺ δὲ ἥδιστος παισί τε καὶ παιδαγωγοῖς). L’aplografia di
-ι potrebbe essere avvenuta sia nella tradizione lessicografica
anteriore a Prisciano sia in quella dell’Ars; poiché però, oltre che
per un’omissione meccanica, essa si sarebbe potuta verificare –
ancora in una fase di trasmissione in area ellenofona – come ba-
nalizzazione del senso del passo citato, non più pienamente com-
prensibile una volta estrapolato dal contesto, e poiché in ogni
caso il grammatico latino avrebbe potuto accogliere παῖς senza
difficoltà, non è necessario integrare -ι nel testo priscianeo.

84, 14- 85, 3 πολεμέω e στρατεύω con accusativo inter-


no: servio con accusativo interno
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (πολεμήσαντες) –
citazione greca (Thuc. 1, 112, 5) – lemma greco secondario –
lemma latino – citazione latina (Ter. Phorm. 495).
LEMMA GRECO. La citazione da cui è stato tratto il primo lem-
ma della voce, πολεμήσαντες τὸν πόλεμον, è stata identifica-
ta da E. Müller 1911, p. 2, in Plat. Menex. 242d4-5 τούτους
δὴ ἄξιον ἐπαινέσαι τοὺς ἄνδρας, οἳ τοῦτον τὸν πόλεμον
πολεμήσαντες ἐνθάδε κεῖνται. Questo confronto consente di
spiegare il ricorso, nella formulazione del lemma, al participio
aoristo, poi conservato anche nella seconda parte del lemma,
relativa al costrutto illustrato da Thuc. 1, 112, 5.
Il lemma secondario della voce, μάχην ἐμάχοντο, introdot-
to da Similiter, corrisponde a un sintagma omerico (Il. 12, 175;
15, 414; 15, 673; cfr. ἐμάχοντο μάχην in Il. 18, 533; Od. 9,
54). Non è facile stabilire se il richiamo a Omero fosse già pre-
sente nel lessico fonte o vi sia stato aggiunto da Prisciano, come
avviene altrove. La locuzione μάχην ἐμάχοντο è discussa,
infatti, come esempio di figura etimologica in alcuni lessici che
altre volte presentano delle affinità con la fonte atticista del
nostro grammatico (Etym. Sym. II 96, 8-13; Ps. Zon. lex. 231,
6-10; cfr. Schol. Il. 15, 673), ed è specificamente connotata
388 COMMENTO

come attica da Eustazio (Il. III 750, 6-7; 783, 20-21). Questi
dati, insieme al fatto che la citazione omerica è in forma anoni-
ma, contrariamente alla Zitierweise priscianea, potrebbero indur-
re a ritenere μάχην ἐμάχοντο un lemma secondario già pro-
prio della fonte di Prisciano.
CITAZIONI GRECHE. La dicitura Thucydides in prima è un ‘relit-
to’ del lessico fonte, che doveva usare il femminile per il nume-
ro del libro sottintendendo πραγματείᾳ (vd. De Nonno apud
Rosellini 2010, p. 78 n. 1). L’indicazione in greco al femminile
si conserva in 24, 13 Θουκυδίδης πρώτῃ; 33, 16 Thucydides
πρώτῃ; 107, 3 Θουκυδίδης δευτέρᾳ.
LEMMA LATINO. Il nesso servitutem servire sporadicamente atte-
stato anche in epoca tardorepubblicana e imperiale (Cic. top.
29; Mur. 61; Liv. 40, 18, 7; 45, 15; 5; Gell. 1, 12, 5; 2, 18 cap.
et § 8; Fronto p. 58, 19; Frg. Vat. 307), occorre con notevole
frequenza in Plauto (Aul. 592; Capt. 334; 544; Mil. 95; 482;
745; Pers. 7; 34a; Rud. 747; Trin. 302; 304; cfr. Forcellini s. v.
servio, B.2). In particolare, l’espressione servitutem serviunt ricor-
data da Prisciano si trova in Plaut. Curc. 40. Il sintagma è consi-
derato un arcaismo già in Quint. inst. 7, 3, 26 ‘servus est, qui est
iure in servitute’ [...] aut, ut antiqui dixerunt, ‘qui servitutem servit’;
poi in Porph. carm. 3, 29, 50 Veteribus usitatum elocutionis genus;
Serv. Aen. 12, 680 figura antiqua (cfr. Arus. 40, 22-23 Di Stefa-
no). Questa e altre figure etimologiche sono inoltre discusse in
Schol Hor. epod. 1, 23-24 Nove et eloquenter dixit ‘militabitur bel-
lum’ ut ‘pugnam pugno’, ‘servitutem servio’, da cui è assente la
prospettiva diacronica degli altri autori appena citati.
CITAZIONI LATINE. Ter. Phorm. 495 non è citato altrove in
ambito grammaticale. Sull’incompletezza delle indicazioni di
provenienza di alcune citazioni, per lo più latine, nel lessico di
Prisciano vd. supra, p. LV.

85, 4-12 complemento di tempo in genitivo o dativo o


accusativo o nominativo: complemento di tempo in
accusativo o ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (πολλοῦ χρόνου) –
citazione greca (Plat. Phaed. 57a8) – lemma latino – citazioni
85, 4-12 389

latine (Verg. Aen. 6, 408- 409; Ter. Eun. 331-332; Verg. Aen.
1, 46- 48).
LEMMA GRECO. La possibilità di esprimere il complemento di
tempo in diversi casi, con o senza preposizione, è oggetto di
numerose altre voci degli Atticismi (12, 3-5; 31, 13; 48, 3-5; 50,
11-13; 60, 17; 64, 13; 68, 11-12; 78, 6-7; 99, 16-18; 100, 3;
106, 3-5; 107, 5). Solamente il lemma in esame prevede però
anche l’uso del nominativo con εἰμί sottinteso (ma cfr. supra, p.
34, riguardo alla citazione di Eur. Hipp. 907-908 in 12, 13-15).
Nelle attestazioni letterarie di questa costruzione la seconda
proposizione – nel lemma priscianeo τόδε οὐκ ἐγένετο – non
è semplicemente giustapposta a χρόνος, bensì introdotta da un
pronome relativo (ἐξ οὗ, ἀφ’ οὗ: vd. LSJ s. v. χρόνος, 3.a).
La maggiore brachilogia del lemma degli Atticismi, che produce
un vero e proprio anacoluto, potrebbe non tanto riflettere un
particolare uso sintattico non più documentabile quanto dipen-
dere dall’esigenza del lessicografo atticista di adottare un’espres-
sione valida anche per i primi tre membri del lemma (‘πολλοῦ
χρόνου’ καὶ ‘χρόνῳ πολλῷ’ καὶ ‘χρόνον πολύν’), che non
rappresentavano da soli delle proposizioni indipendenti ma
solamente dei complementi di tempo.
LEMMA LATINO. Prisciano affronta a più riprese negli Atticismi
l’uso dell’accusativo e dell’ablativo per esprimere i complementi
di tempo (cfr. 31, 13-15; 48, 5-10; 61, 2-5; 64, 15-18; 78, 7- 8;
99, 19-20; con commento ad locc.).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 6, 408-409 è già citato, con un
taglio più ridotto (ille ... visum) in GL III 38, 23-25; 54, 27-29,
dove esemplifica il nesso di post con l’ablativo, considerato ‘fi-
gurato’ (GL III 54, 25-27 ‘Super’ et ‘subter’ […] tam accusativo
quam ablativo coniungitur; quibusdam tamen videtur ablativo figurate
adiungi, quomodo ‘post’) poiché post avrebbe in questo caso fun-
zione di avverbio invece che di preposizione (GL III 38, 21-26
loco etiam adverbii ponitur […]. nam quando praepositio est, ablativo
iungi non potest). L’esempio virgiliano occorre allo stesso propo-
sito anche in Arus. 74, 19-75, 1 Di Stefano POST praepositionem
accusativi casus asserunt quidam interpositam fieri casus alterius. Virg.
Aen. VI ‘Longo … visum’. La maggior parte degli altri gramma-
390 COMMENTO

tici esemplificano, invece, l’uso di post con l’ablativo – che


anch’essi ritengono avverbiale – mediante Verg. ecl. 1, 29 longo
post tempore (Diom. GL I 455, 23-24; Serv. GL IV 420, 9-12;
443, 5-6; Cledon. GL V 24, 31-32; 75, 18-19; Pomp. GL V
279, 25-28; Audax GL VII 354, 3-4; cfr. Serv. ecl. 1, 29; Schol.
Hor. sat. 1, 6, 61); lo stesso esempio occorre inoltre in Pomp.
GL V 270, 25-271, 13, dove si ribadisce, invece, la funzione
preposizionale di post anche in longo post tempore.
Verg. Aen. 1, 46-48 si trova anche in 31, 14; 48, 9; 61, 4;
64, 15, sempre nella forma più breve una cum … gero. Ter. Eun.
331-332 non è citato altrove in ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. L’integrazione dell’aggettivo συχνοῦ
concordato con χρόνου nella citazione di Plat. Phaed. 57a8 è
necessaria sia al senso del passo sia alla coerenza dell’esempio
rispetto al lemma.

85, 13-15 πολεμέω con dativo o πρός e accusativo:


pugno con dativo o ad e accusativo o cum e ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (πολεμεῖ) – lemma
latino – lemma latino secondario – citazione latina (Verg. Aen.
1, 47- 48).
LEMMA LATINO. Pugno è indicato come equivalente di πολε-
μέω anche nei glossari bilingui (CGL II 411, 62; III 461, 46).
Delle tre costruzioni qui assegnate a pugno quella con ad e
l’accusativo è assai rara (vd. Forcellini s. v. pugno; ThlL s. v. pugno
[Baraz], X.2 2557, 1-28 e 45-59, con una sola attestazione nel
latino classico, in Prop. 2, 24b, 25). L’enunciazione dello stesso
uso sintattico è problematica anche per certo: in questo caso, in-
fatti, si conosce un piccolo gruppo di occorrenze del verbo con
ad e l’accusativo (vd. ThlL s. v. certo [Burger], III 896, 42-50), ma
negli esempi, addotti da Burger, in autori classici, ad introduce
un complemento di fine (Planc. Cic. fam. 10, 8, 6 provinciam …
summa contentione ad officia certantem; Sen. epist. 82, 16 certatum est
ad augendam eius infamiam; Sil. 6, 591 ad munera belli certatur; Tac.
ann. 1, 71 ad supplenda exercitus damna certavere; hist. 2, 97 certaturi
ad obsequium; cfr. Manil. 3, 264 ad ardentis pugnarunt sidera Cancri).
Solamente nel latino tardo ad e l’accusativo, se retto da certo,
85, 16-17 391

esprime la persona o la cosa contro la quale si combatte (Tert.


nat. 1, 2 non ad negationem certare; apol. 25 nulla Capitolia certantia
ad caelum; Hil. c. Const. 9 tu … ad patrem deum certas). Sembra
dunque che nel lemma formulato da Prisciano pugnat ad me sia
solo la traduzione letterale del greco πολεμεῖ πρός με, mentre
un costrutto preposizionale realmente in uso in latino è indivi-
duato dal terzo membro del lemma, aggiunto alla fine della voce:
mecum. Quest’ultima costruzione di pugno è descritta anche in
alcune liste di idiomata casuum (Char. 385, 5-6; Diom. GL I 315,
27; Idiom. cas. GL IV 570, 9). Arusiano Messio conosce, invece,
di pugno solamente la costruzione con in e l’accusativo (83, 10 Di
Stefano). La reggenza del dativo da parte di certo viene ricordata
dallo stesso Prisciano nel capitolo del libro XVIII sulle costruzio-
ni verbali, dove egli include questo verbo in un elenco di aequi-
perantia (GL III 274, 3). La doppia costruzione di certo con il
dativo o cum e l’ablativo è inoltre registrata in Arus. 19, 9-13 Di
Stefano e negli idiomata di Char. 386, 17; Diom. GL I 315, 27.
Il lemma latino di questa voce può essere confrontato con
Ps. Iul. Ruf. schem. lex. 32 p. 56, 9-12 Figura Graeca: aut casu
varietas, ut: ‘Montibus in nostris solus tibi certet Amyntas’. Et: ‘placi-
done etiam pugnabis amori?’ pro ‘tecum certet’ et ‘cum amore pugna-
bis’, dove la costruzione di certo e pugno con il dativo di direzio-
ne invece di cum e ablativo è definita un grecismo sintattico o
scambio di casi, a riprova della frequente identificazione di
questi due concetti (cfr. Serv. ecl. 5, 8; Porph. Hor. epod. 11, 18;
Arus. 19, 11 Di Stefano; vd. Ferri 2014, pp. 89-90; inoltre su-
pra, commento a 50, 7-10).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 47-48, impiegato in altri luo-
ghi degli Atticismi (31, 13-14; 48, 9-10; 61, 4-5; 81, 11-12) per
illustrare il complemento di tempo continuato in accusativo, qui
esemplifica, invece, il nesso di bellum gero con cum e l’ablativo.

85, 16-17 ποιέομαι πρόνοιαν con genitivo o περί e geni-


tivo: facio curam con genitivo o super e ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ποιήσασ‹θ›αι) –
lemma latino.
LEMMA GRECO. Il lemma, alfabetizzato a partire dal verbo
392 COMMENTO

ποιήσασ‹θ›αι, concerne in vero le due costruzioni alternative


di πρόνοια, con il genitivo semplice o retto da περί.
La citazione protolemmatica di questa voce è da identificare
in Isocr. Plat. 1 ἡγούμεθα μάλισθ’ ὑμῖν προσήκειν περὶ τῆς
ἡμετέρας πόλεως ποιήσασθαι πρόνοιαν.
LEMMA LATINO. I due usi sintattici di cura descritti da Prisciano,
con il genitivo oggettivo e con de e l’ablativo, sono comune-
mente attestati sin dal I secolo a. C. (vd. ThlL s. v. cura [Gude-
man], IV, 1452, 68-1453, 52; 1455, 62-70; 1457, 9-18). Non si
conoscono però altre occorrenze di curam facere, un sintagma di
per sé piuttosto raro (vd. ibid. 1459, 69-74), con il complemen-
to di argomento, ma solo con il genitivo (Plaut. Poen. 351; Liv.
27, 1, 7; Plin. nat. 19, 1).
PROBLEMI TESTUALI. L’identificazione della citazione proto-
lemmatica in Isocr. Plat. 1 ποιήσασθαι πρόνοιαν consente di
stabilire che certamente la formulazione adottata dal compilato-
re del lessico doveva comprendere l’infinito ποιήσασθαι e non
il participio ποιήσασαι e conferma pertanto l’integrazione di -
θ- compiuta dagli editori. Tuttavia non si può del tutto esclu-
dere che l’omissione di -θ- sia avvenuta, piuttosto che nella
trasmissione manoscritta dell’Ars, in uno stadio di tradizione
anteriore a quello in cui il lessico atticista pervenne a Prisciano,
il quale potrebbe aver già letto ποιήσασαι nella sua fonte gre-
ca. Come rileva Rosellini in apparato ad loc., la presenza di un
participio, sia pure plurale e femminile, nel lemma greco po-
trebbe rendere conto dell’adozione di faciens da parte del gram-
matico nel lemma latino corrispondente.

86, 1- 4 πορεύομαι con πρός o εἰς e accusativo: eo con


ad o in e accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino –
citazioni latine (Verg. Aen. 2, 342-343; ecl. 9, 1).
LEMMA GRECO. Il luogo classico dal quale è stato tratto il lem-
ma degli Atticismi può essere riconosciuto – secondo una pro-
posta di Menchelli 2014, pp. 211-212 – in Plat. Phaedr. 227a3
πορεύομαι δὲ πρὸς περίπατον ἔξω τείχους. La studiosa
suggerisce dubitativamente anche il confronto con Ps. Plat. Ax.
86, 1- 4 393

372a15 κἀγὼ δὲ ἐπάνειμι ἐς Κυνόσαργες, ἐς περίπατον,


che tuttavia non contiene il lemma della voce in esame, πορεύ-
ομαι, sicché non sembrano esservi elementi sufficienti per sup-
porre la conoscenza anche di questo passo da parte dell’estenso-
re del lessico fonte. Il mantenimento del sostantivo περίπατος
anche nella formulazione relativa alla seconda costruzione del
verbo, con εἰς, si spiega con la prassi del lessicografo antico di
continuare a riprodurre vocaboli propri della citazione proto-
lemmatica anche quando egli passa a descrivere costrutti alter-
nativi a quello che essa illustra (cfr. supra, pp. XLV-XLVII; 343).
LEMMA LATINO. Πορεύομαι corrisponde a eo anche nei glos-
sari medievali (CGL II 75, 11 e 13-14 e 22-23; 76, 56; 77, 42;
78, 39; 91, 9; 92, 27; 413, 41). La corrispondenza di ad e πρός,
data per scontata da Prisciano in numerose altre voci degli Atti-
cismi (29, 6; 32, 11-12; 82, 4- 6; 89, 11-17; 90, 5- 6; 93, 8-9; cfr.
inst. 34, 13 Passalacqua), è postulata anche da altri grammatici
(Dosith. 68, 6 Tolkiehn; 90, 2; Idiom. cas. GL IV 568, 28; Serv.
GL IV 426, 8) ed è ben documentata nei glossari medievali
(CGL II 6, 7 e 16-18 e 23-24 e 26 e 31 e 39 e 46 e 52; 7, 11 e
16 e 31; 8, 32 e 41; 10, 26; 420, 15; 423, 2 e 12 e 15).
Sull’equivalenza di εἰς e in, alla base di altre due voci del lessico
(24, 12-25, 9; 33, 14-34, 4), vd. supra, ad locc.
Sebbene il lemma latino della voce in esame contenga il
verbo eo, gli esempi addotti di seguito recano, invece, venio e
duco e provano che l’interesse di Prisciano è più genericamente
rivolto alla possibilità di esprimere il complemento di moto a
luogo con ad o in. Lo stesso argomento è toccato anche nel
libro XIV, dove il grammatico formula degli exempla ficta col
sostantivo urbs, impiegato anche nel lemma della voce in esame:
GL III 36, 9-10 et invicem pro se ponuntur praepositiones, ut ‘in
urbem venio’ pro ‘ad urbem’. In un secondo passo del medesimo
libro Prisciano accenna a una differenza di significato tra in con
l’accusativo e ad, senza però chiarire meglio questo aspetto: GL
III 53, 14-16 ‘In’ quando εἰς vel κατά significat, id est ‘ad locum’
vel ‘contra’ demonstrat, accusativo iungitur, ut ‘in urbem vado’ vel ‘in
adulterum dico’. invenitur tamen etiam pro ‘ad’, cum huic casui prae-
ponitur. Il motivo di questa distinzione potrebbe risiedere nel
394 COMMENTO

valore di proximitas assegnato altrove a ad (GL III 37, 7-10); a


esso Prisciano sembra fare riferimento anche in Att. 94, 8-10,
dove osserva che questa preposizione può esprimere lo stato in
luogo oltre che il moto a luogo. Il diverso significato di ad e in
è spiegato in termini più chiari da Diom. GL I 415, 8-9 non
unum idemque significant, quia in forum ire est in ipsum forum intrare,
ad forum autem ire, in locum foro proximum.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 2, 342-343 e ecl. 9, 1 non co-
noscono altre occorrenze in ambito grammaticale.

86, 5- 6 δέω con genitivo: egeo con genitivo o ablativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (πολλοῦ γε δεῖ) –
lemma latino.
LEMMA LATINO. Egeo corrisponde a δέομαι o a suoi composti
anche in una successiva voce degli Atticismi (103, 14-16) e in
altri testi bilingui (Idiom. cas. GL IV 571, 5-6 egeo victus et victu
πεινῶ, χρῄζω δέομαι τροφῆς; CGL II 268, 19; 298, 2; 307,
50); non è, invece, accostato altrove all’attivo δέω.
Prisciano discute ancora dell’uso di egeo con il genitivo o
l’ablativo in 103, 15-16, dove egli menziona una terza costru-
zione con l’accusativo (vd. infra, ad loc.). La sola reggenza del
genitivo è inoltre ricordata in GL III 212, 27-28; 234, 10-11.
La costruzione di egeo con il genitivo e con l’ablativo è registrata
da Arus. 33, 18-21 Di Stefano e in numerose raccolte di idiomata
casuum (con il genitivo in Char. 380, 1; Idiom. cas. GL IV 566,
14; App. Prob. 2, 52 Asperti-Passalacqua; con l’ablativo in Char.
384, 24; Diom. GL I 315, 29; Explan. in Don. GL IV 553, 26-
28; App. Prob. 2, 105; con entrambi i casi in Char. 386, 2; Diom.
GL I 311, 20; 319, 28; Idiom. cas. GL IV 571, 5; Consent. GL
V 385, 14; Dosith. 86, 8 Tolkiehn; 89, 1; Oxford, Bodl. Libr.,
Add. C 144, f. 79r egeo pecunia egeo facundia; cfr. anche Char.
381, 14; Diom. GL I 311, 33; Beda orth. 23, 290 Jones).

86, 7 ποῖ per il moto a luogo: quo per il moto a luogo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino.
LEMMA GRECO. L’avverbio ποῖ è lemmatizzato anche in 84, 6-
8, dove parimenti gli viene assegnata la funzione logica del
86, 8-11 395

moto a luogo. La ripetizione di tale lemma potrebbe aver carat-


terizzato già la fonte di Prisciano; mancano, infatti, nel contesto
di entrambe le voci, elementi che possano aver indotto il richia-
mo del lemma ποῖ ad opera del grammatico latino.
LEMMA LATINO. Quo è individuato come equivalente latino di
ποῖ già in 84, 6-8: vd. supra, ad loc.

86, 8-11 avverbi di stato in luogo in -οι: locativi o abla-


tivi semplici di stato in luogo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (Πυθοῖ) – osserva-
zione teorica sul latino – lemmi latini.
LEMMA GRECO. Serie di avverbi di luogo in -οι, in parte so-
vrapponibili a quella fornita da Prisciano, non si trovano in altri
lessici, mentre sono attestate con discreta frequenza nella tradi-
zione grammaticale, soprattutto in relazione a questioni di ac-
centazione: Herodian. GG III.1 502, 3-17 Τὰ εἰς οι ἐπιρ-
ρήματα, ὅτε δηλοῖ τὴν ἐν τόπῳ ἢ τὴν εἰς τόπον σχέσιν,
ὑπὲρ δύο συλλαβὰς ὄντα, περισπᾶται, Μεγαροῖ, Πυθοῖ,
Φρεαροῖ, Παιανοῖ, Ἁθμονοῖ, οὐδαμοῖ, μηδαμοῖ, παντα-
χοῖ, ἑκασταχοῖ, ἐνταυθοῖ […]. τὰ δὲ δισύλλαβα τῶν εἰς οι
βαρύνεται καὶ περισπᾶται· […] παρὰ τὸ σφίγξ σφιγγοῖ,
ἰσθμός ἰσθμοῖ, βυθός βυθοῖ, τὸ ἁρμοῖ συμπερισπᾶται τῷ
ἁρμῷ […]. ἔξω ἔξοι, πέδον πέδοι […], ἔνδον ἔνδοι […],
οἶκος οἴκοι; sim. Apoll. Dysc. GG II.1 176, 28-177, 1; 177, 8-
11; Schol. Dion. Thr. GG I.3 278, 1-5 (cfr. Ps. Arcad. acc. 208,
15; Sud. π 3128; Steph. Byz. 439, 8; 539, 15). È possibile che il
lemma di 86, 8 sia stato aggiunto al lessico dallo stesso Prisciano
al lessico, che lo traeva da una fonte grammaticale. Questa ipo-
tesi renderebbe anche conto della parziale violazione dell’ordine
alfabetico, giacché un lemma in πυ- è collocato tra quelli in
πο-. Il grammatico potrebbe essere stato indotto a richiamare
questi ulteriori avverbi in -οι dal lemma precedente, ποῖ. In
questo caso il ragionamento che avrebbe guidato l’intervento di
Prisciano sulla sua fonte sarebbe stato di tipo morfologico oltre
che sintattico: a un avverbio in -οι, ποῖ, che esprime il moto a
luogo, egli avrebbe inteso accostare delle forme con la medesi-
ma terminazione ma che hanno valore di stato in luogo. La
396 COMMENTO

differente funzione logica di ποῖ e Πυθοῖ (et sim.) è chiarita


dallo stesso Prisciano per mezzo delle indicazioni ad locum e in
loco poste immediatamente dopo i lemmi delle due voci.
LEMMA LATINO. L’uso del locativo o dell’ablativo semplice per
esprimere lo stato in luogo con nomi di città è discusso anche
in precedenti libri dell’Ars (GL III 66, 4-11 Et sciendum, quod
propria civitatium nomina, si primae vel secundae sint declinationis,
genetivo quidem casu pro adverbio in loco accipiuntur, ut ‘Romae sum’
vel ‘Tarenti’ […]; sin tertiae sint, ablativo [...], ut ‘Carthagine sum’
[…]; idem et in semper pluralibus invenitur, ut ‘Athenis sum’; cfr.
GL III 64, 11-17; 72, 2-3; 73, 9-10; 134, 9-11) e accennato in
un’altra voce del lessico (47, 17- 48, 2), che verte sull’impiego
dei sintagmi preposizionali anche con nomi di città in luogo del
locativo e ablativo semplice.
Mentre vi è unanimità tra i grammatici latini sulla qualifica-
zione del locativo singolare della seconda declinazione come
‘genitivo’, riguardo alla prima e terza declinazione essi si divi-
dono tra quanti prescrivono per la prima l’uso del genitivo e
per la terza dell’ablativo (oltre a Prisciano, Char. 243, 23-244, 3;
Diom. GL I 404, 33-405, 8) e quanti, invece, raccomandano per
entrambe queste declinazioni l’uso del dativo con valore di stato
in luogo (Cledon. GL V 22, 3-14; 64, 30-65, 3; Serv. GL IV
416, 5-16; Explan. in Don. GL IV 511, 6-16; Pomp. GL V 253,
3-36; cfr. Char. 244, 26; Mar. Victorin. GL VI 202, 10-12). Più
generiche formulazioni, dalle quali non si evince con sicurezza
quale sia la posizione accolta nei passi in questione, si leggono
in Char. 237, 7-13; 241, 11-15; Ps. Prob. inst. GL IV 155, 14-
16; Don. mai. 643, 9-10; Cledon. GL V 65, 14-16; 69, 3-5.
PROBLEMI TESTUALI. Le parole ἐν Πυθοῖ, espunte da van
Putschen per primo e quindi dagli editori successivi, assai diffi-
cilmente potrebbero essere considerate autentiche; si trovano,
infatti, a un’eccessiva distanza dal primo lemma Πυθοῖ per
poter essere intese come un suo genuino interpretamentum. Tale
glossa inoltre risulterebbe ridondante rispetto alla spiegazione, in
loco, che immediatamente la segue. Si confronti comunque
Apoll. Dysc. GG II.1 177, 8-11 παρὰ τὸ οἶκος τὸ οἴκοι
ἐγένετο, σημαῖνον τὸ ἐν οἴκῳ, παρά τε τὸ Πυθώ ‹τὸ›
86, 12-15 397

Πυθοῖ, καὶ παρά τε τὸ Μέγαρα τὸ Μεγαροῖ, σημαῖνον τὸ


ἐν Μεγάροις […] καὶ παρὰ τὸ μὲσος τὸ μέσσοι ἐγένετο,
σημαῖνον τὸ ἐν μέσῳ, dove alcuni degli avverbi lemmatizzati
da Prisciano, tranne Πυθοῖ, sono glossati con i corrispondenti
complementi di stato in luogo con ἐν e il dativo. È possibile
che la spiegazione relativa a Πυθοῖ sia caduta per un saut du
même au même (invece del solo articolo integrato da Bekker e
Schneider, si potrebbe ad esempio ripristinare παρὰ τε τὸ
Πυθώ ‹τὸ Πυθοῖ, σημαῖνον τὸ ἐν› Πυθοῖ).

86, 12-15 πότερα con funzione avverbiale: utrum con


funzione avverbiale
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con osservazione
aggiuntiva – citazione greca (Plat. Resp. 598a1-2) – lemma
latino, con osservazione aggiuntiva – exemplum fictum latino.
LEMMA LATINO. Prisciano nota un’opposizione tra greco e
latino (Nos vero), in quanto nella prima lingua l’avverbio inter-
rogativo che può trovarsi in nesso sia con singolari sia con plu-
rali corrisponde a un neutro plurale (πότερα), nella seconda,
invece, a un neutro singolare (utrum). Questo rilievo non è in
vero del tutto appropriato, dal momento che in greco anche
πότερον ha funzione avverbiale e si può trovare sia con singo-
lari sia con plurali (cfr. LSJ s. v. πότερος, II), ma Prisciano si
sarà fondato per le sue considerazioni solamente sui dati forniti-
gli dal lessico atticista, nel quale πότερον non è menzionato.
L’uso avverbiale di utrum – cioè lo stesso cui fa riferimento
Prisciano nel lessico – è ricordato anche da Carisio (244, 13, tra
gli adverbia percontandi) e Diomede (GL I 404, 15, tra gli avverbi
che esprimono dubitatio).
PROBLEMI TESTUALI. Plat. Resp. 598a1-2 è citato con il taglio
centrale delle parole αὐτὸ τὸ ἐν τῇ φύσει ἕκαστον davanti a
δοκεῖ, attribuibile alla volontà dell’escertore, e con le omissioni
di ἐπιχειρεῖν dopo σοι ed ἔργα dopo δημιουργῶν. Anche
queste parole non sono indispensabili a illustrare il lemma, ma
non si può escludere, in linea di principio, che fossero già as-
senti dal testo platonico adoperato dal compilatore del lessico.
398 COMMENTO

86, 16-18 πονηρός con accusativo di relazione: accusati-


vo di relazione
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca
(Phryn. Com. fr. 56 K.-A.) – citazione latina (Verg. Aen. 1, 320).
LEMMA GRECO. L’accusativo di relazione è oggetto anche di
altri lemmi degli Atticismi (14, 13; 34, 13); vd. supra, ad locc.
LEMMA LATINO. Prisciano si sofferma sull’accusativo di relazio-
ne, sulla scorta della sua fonte atticista, anche in altre voci del
lessico (14, 16-15, 3; 30, 9-11; 30, 12-31, 7): vd. supra, p. 131.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 320 è richiamato come
esempio di accusativo di relazione anche in GL II 362, 19-20;
III 220, 21-22; Att. 34, 13 (vd. supra, ad loc.).
PROBLEMI TESTUALI. Il nome Φρύνιχος, ripristinato per pri-
mo da Scaligero, è trasmesso nei codici con la corruttela di φ in
θ (ΘΡΥΝιΧΟC β; εΡΥΝΙΧΟC γ), che si presenta solo in un altro
punto del lessico (80, 3 φασιν] ΘαCιΝ RV; ΤαCιΝ T; εαCιΝ
γ); cfr. Rosellini 2015a, p. CXLIV n. 185. Lo scambio inverso è,
invece, in 111, 11 παρακαθημένων] ΠαΡαΚαΦΗΜεΝωΝ α.

87, 1-5 προσπαίζω con accusativo: inrideo con accusati-


vo, inludo con dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Plat. Menex. 235c6
προσπαίζεις) – citazioni latine (Ter. Eun. 424- 425; Verg.
Aen. 2, 64) – lemma latino secondario, con glossa – citazione
latina (Ter. Eun. 250).
LEMMA LATINO. La sintassi di inludo è trattata anche da Arusia-
no Messio (48, 3-7 Di Stefano), che oltre alla costruzione del
verbo con il dativo registra anche quella con l’accusativo e con
in e l’ablativo o accusativo. Le due reggenze di inludo, del dati-
vo e dell’accusativo, sono inoltre incluse in alcune raccolte di
idiomata casuum (Char. 386, 9; Idiom. cas. GL IV 568, 17; 571,
17-18; Consent. GL V 385, 15). In particolare, Diomede con-
sidera più comune la reggenza del dativo: GL I 320, 1-7 Idio-
mata quae veteres quidem per accusativum extulerunt, nos autem per
dativum secundum Graecos efferimus […]: inludo hominem, nos inlu-
do homini. Questa osservazione non è però verificata: nei testi
conservati, infatti, sia la costruzione di illudo con il dativo sia
87, 6-11 399

quella con l’accusativo sono diffusamente attestate a partire


rispettivamente da Cicerone e Terenzio (vd. ThlL s. v. illudo
[Ehlers], VII.1 389, 1-51).
Il nesso di adrideo con il dativo è descritto anche in Oxford,
Bodl. Libr., Add. C 144, f. 79r adrideo parenti adrideo infantibus.
CITAZIONI LATINE. L’uso di inludo con il dativo in Verg. Aen.
2, 64 è discusso anche in Serv. Aen. 2, 64 INLUDERE CAPTO et
‘inludo tibi’ dicimus, ut hoc loco, et ‘inludo te’, ut ‘verbis virtutem
inlude superbis’, et ‘inludo in te’; 4, 591 IBIT ET INLUSERIT […] et
sic dixit ut ‘certantque … capto’, dove il confronto istituito dal
commentatore tra i due passi deve riposare sull’attestazione in
entrambi della costruzione di inludo con il dativo (4, 591 nostris
inluserit advena regnis?). Cfr. Eugraph. Ter. Haut. 741 DIGNAM
ME PUTAS QUAM INLUDAS per accusativum casum hic dictum est. et
Virgilius ‘certantque … capto’ per dativum; item ipse ‘i, verbis virtu-
tem illude superbis’.
Ter. Eun. 250 e 424-425 sono citati anche in 55, 9-10; 91, 7-
10: vd. supra, p. 250. In 55, 9-10, dove il primo passo occorre in
forma più estesa con l’inclusione del v. 249 hisce ego non paro me
ut rideant, sembrerebbe che entrambe le citazioni siano riferite alla
costruzione di rideo con l’accusativo (vd. supra, ad loc.). In 91, 7-8
pare, invece, che Ter. Eun. 249-250, pur citato in forma più
completa (hisce ego … adrideo) che in 87, 5, illustri, come in que-
sta voce la costruzione di adrideo con il dativo (cfr. infra, ad loc.).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Verg. Aen. 2, 64 Pri-
sciano si accorda con la maggior parte dei testimoni virgiliani
diretti e indiretti nella lezione certantque contro certatque di Rb.
La forma plurale del verbo, coordinato ad sensum a un singolare
collettivo (2, 63- 64 undique visendi studio Troiana iuventus / cir-
cumfusa ruit certantque inludere capto), è apertamente difesa dal
Servio danielino (Aen. 2, 64 CERTANT cum supra ‘iuventus ruit’
dixerit, subiunxit ‘certant’. figuratum est, quia iuventus enuntiatione
singulare est, intellectu plurale).

87, 6-11 προοράομαι con genitivo o accusativo: prospicio


con dativo o accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (προορῶνται) –
400 COMMENTO

citazioni greche (Thuc. 4, 64, 1; Demosth. 18, 27) – citazioni


latine (Verg. Aen. 1, 126-127; 6, 357; Ter. Haut. 961).
LEMMA LATINO. Sulla sintassi di prospicio, già trattata in 28, 8-11
e 41, 6-8, vd. supra, pp. 115-116.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 126-127 e Ter. Haut. 961
occorrono anche in 28, 10-11 e 41, 7 (vd. supra, ad locc.), dove
il passo terenziano è citato, in forma più ridotta (tibi prospexi).
Verg. Aen. 1, 126-127 è ripetuto inoltre in 109, 10-11, con un
taglio della citazione più ampio, che include per intero il v.
127. Verg. Aen. 6, 357 non conosce, invece, altre citazioni
nella tradizione grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. Thuc. 4, 64, 1 è riportato con la variante
προειδόσιν αὐτούς per προειδομένους αὐτῶν della tradi-
zione diretta. La lezione attestata da Prisciano è certamente dete-
riore e non è facile stabilire se il grammatico potesse comunque
riconoscere un senso nella citazione in questa forma. Anche la
lezione dei codici tucididei è tuttavia per lo più corretta in
προιδόμενος αὐτῶν dagli editori. Alberti mette a testo ἀξιῶ
προϊδόμενος αὐτῶν, registrando in apparato le lezioni προϊ-
δόμενος di Pi3 (Par. gr. 1638, XV sec.; questa forma era già
stata congetturata da Reiske 1761, III, p. 39, e Dobree 1883, I,
p. 45) e προειδομένους dei restanti testimoni. Nel periodo
completo, Καὶ ἐγὼ μέν, ἅπερ καὶ ἀρχόμενος εἶπον, πόλιν
τε μεγίστην παρεχόμενος καὶ ἐπιών τῷ μᾶλλον ἢ
ἀμυνόμενος ἀξιῶ προϊδόμενος αὐτῶν ξυγχωρεῖν, καὶ μὴ
τοὺς ἐναντίους οὕτω κακῶς δρᾶν ὥστε αὐτὸς τὰ πλείω
βλάπτεσθαι, μηδὲ μωρίᾳ φιλονικῶν ἡγεῖσθαι τῆς τε
οἰκείας γνώμης ὁμοίως αὐτοκράτωρ εἶναι καὶ ἧς οὐκ
ἄρχω τύχης, ἀλλ’ ὅσον εἰκὸς ἡσσᾶσθαι, gli editori correg-
gono inoltre αὐτούς dei codici in αὐτός. Anche Classen –
Steup 1900-22, IV, p. 128, si pronunciano in favore della cor-
rezione dei due accusativi in nominativi osservando che
προειδομένους e αὐτούς «mit dem folgenden φιλονικῶν
und mit καὶ τοὺς ἄλλους κτἑ. in § 2 unvereinbar sind»; le due
correzioni sono date per scontate da Gomme 1956, III, p. 519,
mentre non si trova alcun cenno alla questione nel commento di
Hornblower 1996. In effetti sia le proposizioni successive a ὥστε
... βλάπτεσθαι (μηδὲ ... φιλονικῶν ἡγεῖσθαι ... αὐτοκρά-
87, 12- 88, 4 401

τωρ εἶναι ... ἧς οὐκ ἄρχω) sia le prime parole del paragrafo
seguente (§ 2 καὶ τοὺς ἄλλους δικαιῶ ταὐτό μοι ποιῆσαι)
suggeriscono che soggetto degli infiniti ξυγχωρεῖν, δρᾶν e
βλάπτεσθαι debba essere sempre il nominativo singolare che è
soggetto del verbo reggente ἀξιῶ e dei participi ἀρχόμενος,
παρεχόμενος, ἐπιών, ἀμυνούμενος. Sarebbe possibile con-
servare gli accusativi solo a condizione di ammettere un anaco-
luto per cui il soggetto dei primi tre infiniti del periodo
ξυγχωρεῖν, δρᾶν e βλάπτεσθαι sarebbe il participio sostanti-
vato προειδομένους, mentre dopo μηδὲ ... φιλονικῶν il
soggetto di ἡγεῖσθαι e ἡσσᾶσθαι, entrambi ancora retti da
ἀξιῶ, coinciderebbe con quello di quest’ultimo verbo.
Nel passo tucidideo Classen – Steup (ibid.) stigmatizzano
inoltre «das fehlerhafte Augment des Part. aor.», escludendo
evidentemente a priori che possa trattarsi di un participio
perfetto. Il perfetto προοῖδα occorre in Tucidide sei volte
(1, 20, 2; 2, 48, 3; 2, 51, 6; 4, 126, 4; 6, 56, 3; 8, 51, 3),
sempre all’attivo e per lo più al participio (con l’eccezione
dell’infinito προειδέναι in 2, 51, 6). L’aoristo προεῖδον,
poco più frequente, conta dieci attestazioni (1, 37, 1; 1, 51,
1; 1, 83, 3; 1, 122, 1; 1, 141, 7; 2, 2, 3; 3, 22, 6; 4, 62, 3; 7,
25, 7; 8, 84, 3), anche in questo caso sempre all’attivo e in
prevalenza al participio (5 occorrenze su 10). Dal punto di
vista della diatesi dunque sia προειδομένους sia προϊδόμε-
νος appaiono piuttosto estranei all’usus tucidideo, col quale
potrebbe risultare più coerente, almeno quanto alla diatesi, la
variante προειδόσιν testimoniata da Prisciano. Si può osser-
vare, nell’eventualità che il participio in 4, 64, 1 abbia il significa-
to di “preoccuparsi” piuttosto che di “prevedere”, che lo stesso
verbo, all’infinito aoristo, occorre già in 4, 62, 2 ἃ χρὴ σκε-
ψαμένους μὴ τοὺς ἐμοὺς λόγους ὑπεριδεῖν, τὴν δὲ αὑτοῦ
τινὰ σωτηρίαν μᾶλλον ἀπ’ αὐτῶν προϊδεῖν (dove parimenti
si trova un participio sostantivato non preceduto da articolo).

87, 12-88, 4 προέχω con genitivo o accusativo: praesto


con accusativo o dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (προέχοντες) – cita-
zione greca (Plat. Com. fr. 117 K.-A.) – citazione latina (Ter.
402 COMMENTO

Andr. 55) – citazione greca (Xenoph. Anab. 3, 2, 19) – lemma


latino – citazioni latine (Verg. Aen. 11, 438; Ter. Eun. 232-233).
LEMMA GRECO. Προέχω nel significato di “superare, eccellere
rispetto a” regge normalmente il genitivo della persona; assai più
raro è, con questo valore, il nesso con l’accusativo, la cui unica
occorrenza nota in età classica è proprio nel passo di Senofonte
citato da Prisciano (Anab. 3, 2, 19; cfr. LSJ s. v. προέχω, II.3).
La terza parte del lemma, καὶ ‘πολλῶν πάντων’, non de-
scrive un’ulteriore reggenza del verbo – quella del genitivo è,
infatti, enunciata per prima per mezzo del pronome τούτων –
bensì riproduce un sintagma presente nel primo esempio della
voce, Plat. Com. fr. 117 K.-A. Quest’ultimo membro del lem-
ma greco potrebbe doversi a una trascuratezza da parte del
compilatore del lessico fonte, che avrebbe conservato in essa il
complemento attestato nella citazione protolemmatica (πολλῶν
πάντων) accanto a un’espressione più generica (τούτων). Se
però si considera che πολλῶν πάντων è proprio l’elemento
che nel frammento di Platone Comico ha attratto l’attenzione
di Prisciano, il quale lo confronta col latino plerique omnes (vd.
infra), a prescindere da quale fosse il lemma principale della
voce, si può anche suggerire che le parole καὶ ‘πολλῶν
πάντων’ siano state aggiunte dallo stesso grammatico al lemma
della sua fonte atticista. Sull’ipotesi alternativa di un guasto nella
tradizione manoscritta dell’Ars vd. infra.
LEMMA LATINO. Prisciano tratta di praesto anche nel capitolo
del libro XVIII sulle costruzioni verbali, iscrivendo questo ver-
bo tra gli activa che reggono insieme l’accusativo e il dativo (GL
III 268, 12-18); poco oltre, nella stessa sezione dell’Ars, ricorda,
invece, la sola reggenza del dativo da parte di praesto, elencato
tra gli acquisitiva (GL III 272, 27-273, 2; cfr. GL III 169, 28).
Questo verbo è inoltre menzionato, ma con un interesse se-
mantico più che sintattico, in 109, 1-2 (vd. ad loc.).
La costruzione di praesto con il dativo della persona è regi-
strata anche in Arus. 77, 4 Di Stefano PRAESTAT ILLE ILLI pro
‘melior est ille illo’. Questa reggenza e quella alternativa dell’ac-
cusativo inoltre sono registrate in alcune raccolte di idiomata ca-
suum, dove corrispondono a due diversi significati del verbo,
87, 12- 88, 4 403

“supero” e “do” (Diom. GL I 313, 9-13 praesto illi dativo casu


dicimus [...]; sed et accusativo Vergilius, ‘vel magnum … Achillen’;
319, 1-2 praesto omnibus et omnes melior sum, praesto autem tibi prae-
beo tibi; Idiom. cas. GL IV 571, 30-31 praesto inopi διαφέρω τοῦ
πτωχοῦ, παρέχω τῷ ἀπόρῳ, praesto illum ὑπερβάλλω
ἐκεῖνον; cfr. Diom. GL I 366, 10-11; ThlL s. v. 1. praesto [Ram-
minger], X.2 906, 36; s. v. 2. praesto [Ramminger], X.2 913, 29.
Vd. anche, senza osservazioni di tipo semantico, Char. 383, 18-
19; 386, 9). Se questo tipo di distinzione era presente a Priscia-
no, egli doveva aderire a una dottrina simile a quella esposta in
Diom. GL I 319, 1-2: nella voce in esame, infatti, confronta
praesto, costruito sia con l’accusativo sia con il dativo, con
προέχω, che presuppone il valore di “supero” nel verbo latino.
CITAZIONI LATINE. La costruzione di praesto con l’accusativo in
Verg. Aen. 11, 438 è rilevata anche da Serv. ad loc. MAGNUM
PRAESTET ACHILLEM et ‘praesto illum’, id est melior illo sum, e
‘praesto illi’ dicimus. Per lo stesso motivo il verso è citato da Dio-
mede (GL I 313, 12-13, sul quale vd. supra). Ramminger avan-
za il dubbio che il passo virgiliano, nel quale sia Servio sia Pri-
sciano assegnano a praesto il significato di “supero”, costituisca,
invece, un’attestazione di praesto come “presento, mostro” (ThlL
s. v. 1. praesto, X.2 907, 53-55; s. v. 2. praesto, X.2 923, 2- 4).
La sintassi di Ter. Eun. 232-233, che Prisciano considera
evidentemente un esempio di praesto con il dativo, viene discus-
sa da Donato ad loc., il quale riferisce diverse proposte di distinc-
tio del passo: § 5 HOMINI HOMO QUID PRAESTAT alii distinguunt
‘quid praestat stulto intellegens’, alii ‘stulto intellegens quid interest’,
quia sic veteres loquebantur (cfr. Eugraph. Ter. Eun. 232; Phorm.
790). Quale esempio della costruzione di praesto con il dativo
della persona, il passo è citato inoltre in Arus. 77, 4-5 (con un
taglio più ridotto: Homo … intelligens).
Ter. Andr. 55 non è evidentemente riferito al costrutto og-
getto del lemma greco, bensì al nesso πολλῶν πάντων, attesta-
to in Plat. Com. fr. 117 K.-A. L’espressione pleonastica del
passo terenziano è rilevata anche da Donato ad loc., che consi-
dera superfluo l’uso di plerique: § 1 hic ergo ‘plerique’ ex abundanti
positum est, ‘omnes’ vero necessario additum est – ut alibi ‘iam calesces
404 COMMENTO

plus satis’. In un altro scolio donatiano al medesimo passo si


nega, invece, che plerique sia pleonastico e si qualifica l’intera
locuzione come un arcaismo: § 3 PLERIQUE OMNES F. ἀρχαισ-
μὸς est. nam errat, qui ‘plerique’ παρέλκον intellegit aut qui subdi-
stinguit ‘plerique’ et sic infert ‘omnes’. hoc enim pro una parte orationis
dixerunt veteres eodem modo, quo Graeci ‘πάμπολλα’ et Latini ‘plus
satis’. Un ulteriore scolio coniuga le dottrine esposte nei due
precedenti: § 4 Figurate Terentius: παρέλκον τῷ ἀρχαισμῷ. Il
nesso plerique omnes è considerato proprio del latino arcaico anche
in Don. Ter. Eun. 85, 3-4; Eugraph. Ter. Andr. 55; Haut. 830.
L’espressione plerique omnes in Ter. Andr. 55, qualificata come
elocutio, è discussa inoltre da Serv. Aen. 1, 181, che osserva la
sequenza in essa di un termine più specifico (plerique) e uno più
generico (omnes) paragonabile al virgiliano Anthea si quem. Del
nesso plerique omnes, discretamente attestato nel teatro arcaico
(vd. ThlL s. v. plerusque [Spoth], X.1 2428, 56- 60; s. v. omnis
[Ehlers], IX.2 622, 8-31), doveva trattare anche Gellio istituen-
do un confronto con delle parallele espressioni greche nel per-
duto libro VIII, che Prisciano però ancora leggeva (vd. De Non-
no 2009, p. 268 n. 62): 8, 12 tit. Quid significet in veterum libris
scriptum ‘plerique omnes’; et quod ea verba accepta a Graecis videntur.
PROBLEMI TESTUALI. Nel lemma greco della voce τούτους è
un’emendazione del tràdito ΤΟΥΤΟΙC proposta da Ferri 2014,
p. 98: essa consente di ripristinare una piena coerenza tra il
lemma e gli esempi proposti, che attestano solo la costruzione
di προέχω con il genitivo (Plat. Com. fr. 117 K.-A. πολλῶν
πάντων) e con l’accusativo (Xenoph. Anab. 3, 2, 19 ἡμᾶς).
Ancora nel lemma della voce le parole πολλῶν πάντων
sono state oggetto di diverse proposte di correzione intese o a
normalizzare questa espressione inusitata sostituendo a πολλῶν
un dativo o un neutro avverbiale (πολλῷ Cotton, Cobet, Hertz;
πολλῇ Krehl; πολύ Krehl in apparato) ovvero a istituire una
simmetria rispetto ai primi due membri del lemma (καὶ πᾶσιν
ἢ πάντων Scaligero, p. 740). Quest’ultimo intervento non si
raccomanda perché produrrebbe nel lemma semplicemente una
ridondanza diversa da quella data dalla compresenza di τούτων
e πολλῶν πάντων. L’ipotesi alternativa di emendare πολλῶν
87, 12- 88, 4 405

in πολλῷ (vel sim.) presuppone una correzione analoga nel fr.


117 di Platone Comico, nel quale effettivamente Kassel – Aus-
tin stampano πολλῷ, congetturato da Scaligero (p. 740).
Πολλῶν πάντων non conosce altre attestazioni nella letteratu-
ra greca conservata; l’unica forma della flessione di questo sin-
tagma a contare delle occorrenze in epoca classica è il neutro
πολλὰ πάντα (Herod. 1, 203; 2, 35; 5, 67; Arist. cael. 292b9,
sempre con l’articolo τὰ e con valore avverbiale). Anche
nell’eventualità che πολλῶν sia, come ritengono Kassel – Aus-
tin, corruttela di πολλῷ, certamente però Prisciano leggeva già
tale forma nella sua fonte atticista poiché solo il nesso πολλῶν
πάντων giustifica il richiamo, da parte del grammatico latino,
di Ter. Andr. 55 plerique omnes. Non risulta dunque opportuno
correggere il genitivo plurale in un dativo singolare né nel lem-
ma della voce né nella citazione che lo accompagna.
Nel fr. 117 di Platone Comico Kassel – Austin mettono a
testo anche la correzione εὖ κἀνδρείως (Cotton) del tràdito
ΟΥΚαΝΔΡΙωC. L’espressione εὖ κἀνδρείως occorre anche in
Ar. Thesm. 656, mentre οὐκ ἀνδρείως non è altrimenti atte-
stato, sebbene sia discretamente documentato il nesso οὐκ
ἀνδρεῖος (in varie forme della flessione dell’aggettivo). Lo
scambio di ε e ο presupposto dall’emendazione è piuttosto
semplice a prodursi a partire da una e di forma latina (cfr. Havet
1911, p. 164). Se si accoglie nel frammento comico l’emenda-
zione messa a testo dagli editori, potrebbe dunque non doversi
escludere che il passaggio da ευκ a ουκ si sia prodotto nel corso
della trasmissione manoscritta dell’Ars piuttosto che in una fase
della tradizione lessicografica greca a essa anteriore.
Nella citazione di Xenoph. Anab. 3, 2, 19 Prisciano omette
δέ dopo ἐνί e attesta la variante προέχοντες per προέχουσιν,
inaccettabile nel contesto di origine, nel quale la frase escerpita
dal lessicografo rappresenta una proposizione indipendente. È
possibile che προέχοντες non fosse presente in origine nella
pericope di testo selezionata dal compilatore del lessico fonte,
bensì che abbia obliterato il genuino προέχουσι(ν) in un suc-
cessivo stadio della tradizione lessicografica per assimilazione a
προέχοντες del lemma e della citazione precedente, Plat.
406 COMMENTO

Com. fr. 117 K.-A. L’omissione di δέ è condivisa da Prisciano


con i deteriores della tradizione senofontea oltre che con la se-
conda mano correttrice del codice C (Par. gr. 1640, XIV sec.),
che cancella la particella. Marchant e Masqueray mettono a
testo δέ, che Hude – Peters, invece, espungono. Nel § 19 si ha
l’articolazione Οὐκοῦν τῶν ἱππέων πολὺ ἡμεῖς ἐπ’ ἀσφα-
λεστέρου ὀχήματός ἐσμεν· οἱ μὲν γὰρ ἐφ’ ἵππων κρέμαν-
ται […]· ἡμεῖς δ’ ἐπὶ γῆς … πολὺ μὲν ἰσχυρότερον παίσο-
μεν .., πολὺ δὲ μᾶλλον … τευξόμενθα. Ἑνὶ δὲ μόνῳ προέ-
χουσιν οἱ ἱππεῖς ἡμᾶς· φεύγειν αὐτοῖς ἀσφαλέστερόν
ἐστιν ἢ ἡμῖν. Il δέ nella frase citata da Prisciano non si oppone
dunque a un precedente μέν (a οἱ μὲν corrisponde, infatti, il
più vicino ἡμεῖς δ’), bensì segna un’antitesi rispetto alla prima
proposizione del paragrafo, come si ricava anche dalla ripetizio-
ne dell’aggettivo ἀσφαλέστερος all’inizio e alla fine del brano.
L’articolazione sostantivo o pronome – δέ – μόνος è piuttosto
frequente nella prosa senofontea (Hell. 1, 4, 16 αὐτοὺς δὲ
μόνους; Mem. 4, 3, 9 ἐκεῖνο δὲ μόνον; Symp. 8, 4 σὺ δὲ
μόνος; Cyr. 8, 7, 20 αὕτη δὲ μόνη; Ages. 1, 5 αὕτη δὲ μόνη;
rep. Lac. 13, 5 Λακεδαιμονίους δὲ μόνους); la stessa struttura
occorre una sola volta in Tucidide (6, 91, 2 Συρακόσιοι δὲ
μόνοι), mentre non è mai attestata in Erodoto e sembra essere
piuttosto rara anche nell’oratoria (Demosth. 23, 167; 34, 32; Ps.
Demosth. 40, 59; mai in Eschine e Lisia).
Ancora nell’esempio tratto da Senofonte, Prisciano si accor-
da con la totalità della tradizione diretta nel documentare il
pronome ἡμᾶς, espunto da Rehdantz. Marchant e Hude –
Peters seguono Rehdantz, mentre Masqueray accoglie a testo
ἡμᾶς. L’accusativo della persona, molto raro in dipendenza da
προέχω nel significato di “superare” (vd. supra), è sostenuto
dalla testimonianza di Prisciano soprattutto perché negli Atticis-
mi il passo dell’Anabasi è citato proprio a cagione della costru-
zione di προέχω con l’accusativo ἡμᾶς. Se anche si ritenesse il
pronome frutto di un’interpolazione, questa dunque dovrebbe
essersi prodotta in una fase molto alta della tradizione di Seno-
fonte, non posteriore al I/II d. C., epoca in cui si colloca la
fonte atticista di Prisciano (vd. supra, pp. XLIII; LXVII).
88, 5-7 407

L’erronea attribuzione di Verg. Aen. 11, 438 al libro XII


dell’Eneide (Vergilius in XII) si ripete anche in 109, 2, sicché pare
più opportuno ricondurre il numerale XII a un lapsus del gram-
matico che a due errori di tradizione prodottisi indipendente-
mente nei due passi (vd. Rosellini 2015a, p. CXLIV e n. 187).
Nel testo dell’esempio virgiliano solo i codici EM e R post
correctionem attestano la lezione superiore praestet, in accordo con
la tradizione diretta, mentre gli altri manoscritti sono latori
della variante praestat (cfr. Rosellini 2015a, p. CXIX). Quest’ul-
tima è presente, in RYWD, anche in 109, 3, dove tuttavia la
maggior parte dei codici (e gli stessi RW post correctionem) reca-
no praestet. In questo secondo passo l’indicativo appare garanti-
to anche dalla glossa che il grammatico fa seguire alla citazione,
pro ‘superest’. È possibile che l’alterazione di praestet in praestat
si sia prodotta dapprima in uno solo dei due contesti, più pro-
babilmente nel primo (forse anche per assimilazione alla cita-
zione di Ter. Eun. 232-233 immediatamente successiva), e che
per collazione con questo primo passo l’errore sia stato ripro-
dotto da alcuni copisti anche nel secondo, dove però la lezio-
ne d’archetipo sembra essere stata praestet. La corruttela di
praestet in praestat in 88, 3 potrebbe risalire anche allo stesso
Prisciano, ma questa ipotesi implicherebbe una sensibilità sin-
tattica del grammatico piuttosto inferiore a quella di cui egli
normalmente dà prova.

88, 5-7 προσήκων con genitivo o dativo: cognatus, adfi-


nis, frater, amicus, inimicus con genitivo o dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (προσήκοντες) –
lemma latino.
LEMMA LATINO. La costruzione di adfinis, cognatus e frater (cui
qui si aggiungono amicus e inimicus) con il genitivo o dativo di
possesso è trattata da Prisciano anche in GL III 213, 2-214, 1;
218, 15-20; 219, 19-27; Att. 15, 8-10: vd. supra, p. 50.

88, 8-15 προσήκω con dativo o προσήκει con genitivo e


dativo: venit in mentem con genitivo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (προσήκει) – osser-
408 COMMENTO

vazione teorica sul latino – citazioni latine (Cic. div. in Caec. 41;
Verr. 2, 5, 124).
LEMMA GRECO. L’espressione προσήκει τοῦ κλήρου è impie-
gata due volte da Iseo nell’orazione Περὶ τοῦ Δικαιογένους
κλήρου (5, 14 οὐδὲν ἔτι προσήκει Δικαιογένει τοῦ κλήρου;
5, 16 κατὰ δόσιν μὲν οὐδενὶ προσῆκεν τοῦ κλήρου; cfr. Ps.
Demosth. 43, 5 οὐδαμόθεν αὐτῷ προσῆκεν οὐδὲν τοῦ
κλήρου τοῦ Ἁγνίου), dalla quale potrebbe essere stato ricavato
il lemma di questa voce.
LEMMA LATINO. L’espressione venit in mentem con il genitivo è
inclusa anche in alcune raccolte di idiomata casuum (Char. 381,
26-27; Diom. GL I 311, 19; Dosith. 86, 4 Tolkiehn), in due
delle quali essa è considerata alternativa a quella con il nomina-
tivo (Char. 381, 23-24 venit mihi in mentem huius rei et venit mihi
in mentem haec res; Idiom. cas. GL IV 566, 21-22 venit mihi in
mentem huius rei et haec res), cioè all’uso personale della medesi-
ma espressione (cfr. ThlL s. v. mens [Hofmann], VIII 723, 56-
82). La costruzione di venit in mentem con il genitivo è conside-
rata un arcaismo da Don. Ter. Phorm. 154, 3 UBI IN MENTEM
EIUS ADVENTI VENIT sic veteres genitivo casu proferebant. Il passo
terenziano cui si riferisce questo scolio è anche il primo degli
esempi impiegati da Prisciano nel libro XVII per illustrare l’uso
di in mentem venit con il genitivo (GL III 188, 3-10).
CITAZIONI LATINE. Cic. div. in Caec. 41 esemplifica la costruzio-
ne di venit in mentem con il genitivo anche in GL III 188, 5-8 (in
forma lievemente più ampia, che include la congiunzione nam
davanti a ita, ma con il taglio centrale di quo die ... dicendum sit);
Att. 91, 3-4; 106, 7- 8 (in forma ridotta: ut cum … mentem). L’uso
sintattico in questione è descritto come uno scambio di genitivo
e nominativo già in GL III 188, 5 genetivum posuit pro nominativo.
In questo passo illius ... temporis di Cic. div. in Caec. 41 è glossato,
infatti, con pro ‘illud tempus’. Come dichiarata ripresa di Prisciano,
entrambi i luoghi delle Verrinae citati nella voce in esame occor-
rono poi in Quaest. gramm. GL Suppl. 172, 15-173, 3, dove il
genitivo è considerato dapprima sostitutivo del nominativo (Fate-
tur idem Priscianus genetivum esse pro nominativo) e in seguito, inve-
ce, in aperta opposizione alla dottrina priscianea, di de con l’abla-
88, 8-15 409

tivo (quod omnino nullatenus est verum, sed figurate Graeco videlicet
more genetivus est pro ablativo, idest pro [...] ‘de illo tempore’, ‘de Tyn-
daritano’, ‘de Segestano [...] venit in mentem’ et cetera).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Cic. div. in Caec. 41 in
GL III 188, 5- 8 e Att. 88, 10-13 Prisciano attesta la sequenza
mihi temporis in accordo con il ramo β dei codici ciceroniani,
mentre in Att. 91, 3- 4 e 106, 7-8 testimonia la variante temporis
mihi, condivisa con la famiglia α della tradizione diretta e con
Donato (Ter. Hec. 580, 2; Ad. 681). Difficilmente tuttavia si
dovranno ricondurre le due diverse lezioni attestate dal gram-
matico all’utilizzo ora di un ramo della tradizione ciceroniana
ora dell’altro: è più verosimile, infatti, che egli abbia conosciuto
il brano nella forma propria di una sola delle due famiglie di
manoscritti delle Verrinae (forse più probabilmente β, giacché
l’accordo con questo ramo di tradizione si verifica nelle due
occorrenze della citazione con un taglio più ampio) e che in
altri due passi lo abbia richiamato a memoria con qualche im-
precisione. A sostegno della sequenza mihi temporis si può osser-
vare che nelle altre attestazioni in Cicerone della medesima
costruzione di venit in mentem il dativo precede per lo più il
genitivo (Verr. 1, 51 tibi paternae legis Aciliae; 2, 5, 124 mihi Tyn-
daritani illius; Sull. 19 mihi patriae; cfr. Verr. 2, 4, 110 mihi fani
loci religionis illius; fin. 5, 2 mihi Platonis). Sulla tradizione mano-
scritta delle Verrinae vd. Rouse – Reeve in Reynolds 1983, pp.
68-73; Reeve 2016.
In tutte le tre occorrenze dell’esempio ciceroniano nel lessi-
co Prisciano inoltre testimonia la forma venit, in accordo con la
tradizione diretta, mentre in GL III 188, 5-8 si trova veniat: que-
sta lezione, se non si deve a un errore nella tradizione dell’Ars (ad
es. per il fraintendimento di una -t occhiellata), potrebbe essere
spia di qualche incertezza riguardo all’uso dei modi verbali in
questo periodo già nella tradizione antica delle Verrinae oppure
da parte di Prisciano. In S. Rosc. 59, la cui struttura sintattica è
simile a quella di div. in Caec. 41, cum introduce un congiuntivo
(ita neglegens esse coepit ut, cum in mentem veniret ei, resideret). Al-
trove, invece, Cicerone adotta sempre l’indicativo, ma in tutti i
casi la proposizione temporale introdotta da cum dipende da una
410 COMMENTO

principale all’indicativo: Verr. 2, 5, 124 cum mihi Tyndaritani


illius venit in mentem […], tum […] considero; Sull. 19 sed cum mihi
patriae […] veniebat in mentem […], tum denique resistebam; fam. 9,
15, 4 cum in mentem venit, ponor ad scribendum; Att. 9, 5, 14 cum
autem Dolabellae venit in mentem, paulum respiro.
A una svista di Prisciano potrebbe doversi ricondurre l’omis-
sione in Att. 88, 13 di toto davanti a corpore (l’aggettivo è corret-
tamente testimoniato in GL III 188, 5- 8).

88, 16-17 προσήκω con accusativo: attineo con ad e ac-


cusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (προσήκει) – cita-
zione latina (Ter. Eun. 744-745).
LEMMA GRECO. L’uso transitivo di προσήκω, implicito nel
lemma priscianeo, non è altrimenti noto (vd. LSJ s. v. προσή-
κω). Forse è possibile che il lemma di questa voce sia stato for-
mulato a partire da un passo in cui προσήκει reggeva l’accusa-
tivo e l’infinito. In particolare il compilatore del lessico fonte
potrebbe aver fatto riferimento a un’occorrenza di προσήκει
con l’accusativo e l’infinito nella quale l’infinito era sottinteso:
vd. ad es. Demosth. 18, 180 ἐγὼ δὲ πάντα ὅσα προσῆκε τὸν
ἀγαθὸν πολίτην ἔπραττον; 23, 164 τὶ δὲ προσῆκεν, ὦ
ἄνδρες Ἀθηναῖοι, τὸν ὡς ἀληθῶς ἁπλοῦν καὶ φίλον; Isocr.
Antid. 119 δεύτερον τί προσήκει τὸν στρατηγὸν τὸν ἀγα-
θόν; Thuc. 2, 46, 2 νῦν δὲ ἀπολοφυράμενοι ὃν προσήκει
ἑκάστῳ ἄπιτε (vd. LSJ s. v. προσήκω, II.2.b).
LEMMA LATINO. Il confronto istituito in questa voce tra lemma
greco e latino sembra essere esclusivamente semantico e non
anche sintattico, giacché Prisciano ha accostato alla costruzione
di προσήκω con l’accusativo semplice quella di attineo con ad e
l’accusativo. La corrispondenza semantica dei due verbi è atte-
stata anche nei glossari bilingui medievali (CGL II 23, 4; 421,
29). Sulla costruzione di attineo con ad e l’accusativo, descritto
anche in 29, 6-9 e 89, 1-2, vd. supra, p. 119.
CITAZIONI LATINE. Ter. Eun. 744-745 illustra la costruzione di
attineo con ad e l’accusativo anche in 29, 8-9: vd. supra, ad loc.
PROBLEMI TESTUALI. Scaligero (p. 741), seguito da van Putschen
88, 18-89, 2 411

e Krehl, emendava il tràdito Νε in μοι; tuttavia, come risulta


dalle considerazioni esposte sopra circa il senso del lemma greco
di questa voce, appare opportuno limitarsi a correggere in με.

88, 18- 89, 2 προσήκω con dativo e κατά e accusativo o


con doppio dativo o con dativo o con genitivo: attineo
con ad e accusativo o con dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (προσήκων) – lem-
ma latino. È possibile che le due coppie di costrutti qui assegna-
ti a προσήκων rappresentassero in origine due lemmi distinti
nella fonte di Prisciano, che li avrebbe unificati perché entrambi
egualmente corrispondenti al latino attinens.
LEMMA GRECO. La costruzione di προσήκω con il dativo è già
descritta in 88, 5-15 a proposito dell’uso impersonale del verbo,
mentre qui si tratta di quello personale.
Il nesso del participio προσήκων con il genitivo πράγμα-
τος, descritto nella seconda parte del lemma, è attestato in Plat.
Leg. 643b6-7 ἐν τοῖς τοῦ πράγματος ἑκάστοις προσή-
κουσιν (cfr. LSJ s. v. προσήκω, III.1). Questo passo potrebbe
essere stato presente al lessicografo atticista, a meno che questi
non abbia impiegato il sostantivo πρᾶγμα come un generico
indicatore della reggenza del verbo (cfr. Ferri 2014, p. 105).
LEMMA LATINO. La costruzione di attineo con ad e l’accusativo
è trattata anche in altre due voci del lessico (29, 6-9; 88, 16-
17). Quella con il dativo, menzionata solamente in questa voce,
è estremamente rara, nota altrove solamente in Fronto p. 150,
19-20 vinctus perpetuis quibusdam vinculeis attineatur; Paneg. 10, 24
moribundi sedilibus attineri, dove però il verbo ha diatesi passiva e
il significato concreto di “tenere (legato), trattenere” piuttosto
che quello astratto di “appartenere, riguardare” (vd. ThlL s. v.
attineo [von Mess], II 1142, 63- 67). Non è dunque opportuno
mettere in relazione il lemma priscianeo attinens … illi con que-
sto particolare uso del verbo; il grammatico avrà inteso piuttosto
tradurre alla lettera il lemma greco προσήκων τῷ πράγματι.
Frequentius è usato nel confronto con il greco, per segnare
una differenza morfologica o sintattica tra le due lingue, anche
in GL II 219, 9; III 214, 14; Att. 96, 2; 107, 12. Nella voce in
412 COMMENTO

esame, poiché la reggenza del dativo è certamente un tratto


comune a προσήκω e attineo, la difformità rilevata da Prisciano
rispetto al lemma greco poteva risiedere nell’assenza, nel lemma
latino, di un complemento di limitazione corrispondente a
κατὰ γένος e γένει.
PROBLEMI TESTUALI. La correzione di attines in attinens, nel
lemma latino della voce, è sostenuta dal confronto con il lemma
greco, che contiene il participio presente προσήκων. L’uso
della seconda persona singolare nei lemmi latini degli Atticismi è
peraltro attestato in un solo altro passo, dove è motivato dalla
presenza della stessa persona verbale nel lemma greco corri-
spondente (46, 11-12 ἐπιδείξεις/ostendes).

89, 3- 6 προΐεμαι con genitivo o accusativo: participio pre-


sente di verbi transitivi con accusativo o genitivo oggettivo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (προιεμένους) –
lemma latino, con osservazione teorica.
LEMMA GRECO. Il lemma di Prisciano può essere confrontato,
per la reggenza del genitivo, con Demosth. 2, 2 πόλεων καὶ
τόπων [...] προιεμένους, per quella dell’accusativo, con De-
mosth. 9, 73 τὰ οἰκει’ αὐτοὺς προιεμένους; 34, 52 τὰ
ἑαυτῶν προϊεμένους; 37, 36 τοὺς προϊεμένους τὰ ἑαυτῶν;
Dinarch. 4, 107 τοὺς χρημάτων ἕνεκα προϊεμένους τὰ τοῦ
δήμου συμφέροντα. È verosimile che uno o più di questi pas-
si siano alla base del lemma in esame; in particolare, Demosth.
2, 2 è l’unica attestazione nota di προΐεμαι con il genitivo.
LEMMA LATINO. La costruzione dei participi presenti di verbi
transitivi con l’accusativo o il genitivo oggettivo a seconda che
essi abbiano funzione verbale o nominale è un tema più volte
affrontato da Prisciano sia nel lessico (24, 1-5; 50, 1-6; 59, 11-13)
sia in precedenti sezioni dell’Ars (vd. supra, commento ad locc.).
PROBLEMI TESTUALI. Krehl e Hertz (GL III 353, 6) corregge-
vano προιεμένους in προιέμενος, riportando così il lemma al
nominativo normalmente atteso. Anche in altre voci degli Atti-
cismi tuttavia il lemma greco conserva tratti specifici della cita-
zione protolemmatica, quale potrebbe essere in questo caso il
participio in accusativo plurale (un altro lemma in un caso di-
89, 7-10 413

verso dal nominativo è in 52, 1 ἰδίοις). Sembra pertanto prefe-


ribile evitare di normalizzare il lemma di questa voce.

89, 7-10 πράως: clementer


STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Plat. Lys. 211e2-3
πράως ἔχω), con glossa latina, con glossa semantica – citazione
latina (Sall. Iug. 22, 1).
LEMMA GRECO. L’assenza di un lemma formulato in astratto
rende piuttosto incerta, in questa voce, l’individuazione del
fenomeno linguistico che il lessicografo atticista intendeva rile-
vare in Plat. Lys. 211e2-3. Se, infatti, l’attenzione di Prisciano è
stata senza dubbio attratta, nel passo platonico, dal significato di
πράως, non si può ascrivere con certezza questa stessa osserva-
zione al compilatore del lessico fonte, anche perché nessun’altra
fonte antica o medievale in lingua greca tratta del significato di
πρᾴος o πράως. La voce è inoltre collocata in una lunga serie
di lemmi in προ- o προσ- (87, 1-94, 10) e si potrebbe ipotiz-
zare che intenzione del lessicografo greco fosse di trattare
dell’antitesi πρὸς μέν … πρὸς δέ (cfr. 101, 7 Illi ‘τινὲς μέν,
τινὲς δέ’; 105, 12 Illi ‘τότε μέν, τότε δὲ’ καὶ ‘τοῦτο μέν,
τοῦτο δέ’) o dell’espressione πρὸς τὴν κτῆσιν; d’altra parte
questo aspetto non deve essere troppo enfatizzato giacché l’or-
dinamento alfabetico del lessico è osservato più sistematicamen-
te solo per le prime due lettere di ciascun lemma. Nell’eventua-
lità che questa voce sia stata effettivamente alfabetizzata a partire
da πράως invece che da πρός, si potrebbe ipotizzare che in
essa si trattasse della costruzione di ἔχω con avverbio (πράως e
ἐρωτικῶς; cfr. 61, 6- 8 con commento ad loc.).
LEMMA LATINO. Nessun’altra fonte antica tratta di clemens e
clementer sotto il profilo semantico.
CITAZIONI LATINE. Sall. Iug. 22, 1 non è citato altrove nella
produzione grammaticale ed erudita latina.

89, 11-17 προσέρχομαι con dativo o accusativo o πρός e


accusativo: adeo con ad e accusativo o accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (προσέρχονται) – ci-
tazioni greche (Demosth. 19, 2; Thuc. 4, 121, 1) – citazioni lati-
414 COMMENTO

ne (Ter. Andr. 315; Verg. Aen. 10, 149; georg. 3, 402) – citazione
greca (Aristom. fr. 4 K.-A.) – citazione latina (Ter. Phorm. 403).
CITAZIONI GRECHE. Il fr. 4 K.-A. dei Βοηθοί di Aristomene è
l’unico dei frammenti di questa commedia trasmessi da Priscia-
no a recare il nome corretto dell’autore (Aristomenes XFI, e corr.
TR: C(h)ristomenes cett.; Aristophanes solamente in Q); i frr. 2-3
(GL III 194, 21-24; Att. 70, 12-13) sono, infatti, attribuiti nei
manoscritti ad Aristofane per una confusione che risale al lessico
fonte (vd. supra, pp. 324-325).
LEMMA LATINO. Adeo equivale a προσέρχομαι anche nei glos-
sari bilingui medievali (CGL II 8, 16; 10, 42; 421, 10).
La costruzione di adeo con ad e l’accusativo è ricordata da
Prisciano anche in 17, 8, quale esempio di uso pleonastico della
preposizione (cfr. commento ad loc.). All’uso transitivo di adeo il
grammatico accenna anche nel libro VIII, dove osserva che
questo e altri composti dell’intransitivo eo possono formare il
passivo e sono dunque verba activa: GL II 398, 19-398, 25 sunt
alia, quae in compositione mutant significationem, ut ‘eo’ neutrum,
similiter ‘facio’ […], item ‘venio’, ‘sedeo’ faciunt activa: ‘adeo’ et
‘adeor’ […]. Ovidius in IIII fastorum: ‘sol aditus […]’. Entrambi
gli usi sintattici descritti nella voce in esame sono registrati in
Arus. 11, 15-18 Di Stefano; solo la reggenza dell’accusativo
semplice, inoltre, in alcune raccolte di idiomata casuum (Char.
384, 4; Diom. GL I 315, 9; Idiom. cas. GL IV 568, 7).
CITAZIONI LATINE. Ter. Andr. 315 esemplifica l’uso pleonastico
di ad in nesso con adeo anche in GL III 194, 17; Att. 17, 8 (vd.
ad loc.). Verg. Aen. 10, 149 è citato anche da Non. 237, 35-36,
ma con un interesse semantico piuttosto che sintattico, sotto il
lemma Aditus, interpellatio. Verg. georg. 3, 402 e Ter. Phorm. 403
non conoscono altre occorrenze in ambito grammaticale. Il luo-
go delle Georgiche è erroneamente introdotto col titolo in bucoli-
co probabilmente per una svista dello stesso Prisciano, forse
favorita dal contenuto del verso, con la menzione di un pastor.
Si può, invece, escludere che il grammatico avesse citato anche
un passo delle Bucoliche e che questo sia andato perduto, per un
errore di tradizione, insieme all’indicazione di provenienza di
georg. 3, 402: adeo, infatti, non occorre mai nelle Bucoliche.
89, 18-21 415

PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Thuc. 4, 121, 1 contiene


la variante ὡς ἀθλητήν per ὥσπερ ἀθλητῇ. La lezione della
tradizione diretta appare più conforme all’usus tucidideo: nelle
Storie, infatti, προσέρχομαι regge sempre il dativo (1, 72, 2; 1,
75, 2; 2, 81, 5; 4, 36, 1; 4, 70, 2; 5, 59, 5; 7, 72, 3).
Prisciano cita Ter. Phorm. 403 con l’inversione in adi magistra-
tus di magistratus adi, testimoniato dai codici terenziani e nei lem-
mi dei commenti ad loc. di Donato ed Eugrafio (entrambi privi di
interpretamentum). La variante priscianea è deteriore, in quanto
produrrebbe un senario giambico con penultimo elemento lungo
(magis|tratus). Sebbene il grammatico, che non cita il verso per
intero ma limitatamente alle due parole in questione, potesse non
avvedersi di questa difficoltà, occorrerà considerare anche questo
tra gli indizi della trascuratezza, da un punto di vista metrico,
delle citazioni di Terenzio nell’Ars Prisciani (vd. supra, p. LXX).
Sulla corruttela di Aristomenes in C(h)ristomenes nella maggior
parte dei codici priscianei vd. Rosellini 2015a, pp. XCV-XCVI.

89, 18-21 προσεύχομαι con accusativo o dativo: precor


con accusativo, supplico con dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (προσηύχοντο) –
citazione greca (Herod. 1, 60) – citazioni latine (Verg. Aen. 5,
529-530; Ter. Andr. 312).
LEMMA GRECO. Προσεύχομαι occorre come lemma greco
secondario anche in 49, 3- 4. In quel passo tuttavia viene richia-
mata solamente la costruzione del verbo con l’accusativo, men-
tre nella voce in esame è menzionata anche quella con il dativo.
LEMMA LATINO. Sugli usi sintattici di precor e supplico, ai quali
sono dedicate anche altre voci degli Atticismi (49, 3-7; 55, 4-5;
103, 16-17), vd. supra, p. 218.
CITAZIONI LATINE. Ter. Andr. 312 esemplifica la costruzione
di supplico con il dativo, con diversi tagli della citazione, anche
in GL III 276, 18-20; Att. 49, 4-6; 103, 17 (vd. supra, p. 219).
Verg. Aen. 5, 529-530 non è citato in altri testi grammaticali.
PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Herod. 1, 60 reca la le-
zione προσηύχοντο (presente anche nel lemma formulato a
partire da questo passo) in luogo di προσεύχοντο, messo a
416 COMMENTO

testo dagli editori dello storico greco. La forma aumentata


dell’imperfetto può essere considerata uno dei tratti di atticizza-
zione del testo erodoteo (vd. LSJ s. v. εὔχομαι) osservabili nel
lessico di Prisciano (cfr. supra, pp. L-LI).

90, 1- 4 προσφωνέω con accusativo o dativo: adloquor e


adfor con accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (προσφωνεῖν) –
citazione greca (Isocr. Ad Dem. 20) – citazioni latine (Verg.
Aen. 6, 466; 2, 700).
LEMMA GRECO. Della seconda costruzione di προσφωνέω
descritta nel lemma, ma priva di esemplificazione, non si cono-
scono attestazioni anteriori all’età imperiale (vd. LSJ s. v.). È
possibile che il lessicografo atticista avesse presenti delle occor-
renze classiche di questo costrutto, per noi perdute.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di adloquor e προσ-
φωνέω è attestata anche nello Ps. Cirillo (CGL II 423, 38).
La costruzione di adloquor con l’accusativo è inclusa anche
nelle raccolte di idiomata casuum di Char. 383, 29; Diom. GL I
315, 16. La sintassi di adfor non è trattata da altri grammatici.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 2, 700 è citato in quanto attesta-
zione di adfor anche in part. 87, 24-25 Passalacqua, con un inte-
resse però morfologico per il composto di for e non sintattico.
Verg. Aen. 6, 466 non occorre altrove in ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. La corruttela di te in ae nei rami βγ della
tradizione, corretta in alcuni codici forse per conoscenza diretta
del testo virgiliano, potrebbe essere annoverata tra gli indizi del
fatto che già il modello dell’archetipo α fosse vergato in minu-
scola; lo scambio di t e a si può spiegare, infatti, come errore di
natura grafica, in una scrittura minuscola con t occhiellata, facil-
mente confusa con una a in forma di ct o cc accostate (vd. Ro-
sellini 2014a, p. 351 n. 34; 2015a, p. XCV).

90, 5- 6 προσφέρομαι con dativo o πρός e accusativo:


offero con dativo o ad e accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (προσηνέχθησαν) –
lemma latino.
90, 7-22 417

LEMMA GRECO. Il lemma della voce in esame sembra essere


stato formulato a partire Isocr. Plat. 37 οὐχ ὡς συμμάχοις
ὑμῖν προσηνέχθησαν, ἀλλ’ ἅπερ ἂν εἰς τοὺς πολεμιω-
τάτους ἐξαμαρτεῖν ἐτόλμησαν, dove è attestata la costruzio-
ne di προσφέρομαι con il dativo e si trova il pronome di se-
conda persona plurale impiegato anche nel lemma priscianeo; si
può inoltre confrontare, nella stessa orazione, § 8 διὰ τοῦτο
πρὸς ἡμᾶς οὕτω προσηνέχθησαν, ὅτι συντελεῖν αὐτοῖς
οὐκ ἠθέλομεν, dove il verbo regge πρός e l’accusativo.
LEMMA LATINO. Anche i glossari medievali prevedono la corri-
spondenza semantica di προσφέρω e offero (CGL II 421, 33;
423, 25; III 508, 48).
La sintassi di offero non è discussa da altri grammatici.

90, 7-22 πρὸς ποδῶν e πρὸς κεφαλῆς: preposizioni che


reggono due casi
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – osservazione teorica
sul latino – lemma latino secondario, con osservazione aggiunti-
va – citazione latina (Sall. Catil. 36, 2) – osservazione aggiuntiva
– lemma latino secondario, con osservazione aggiuntiva – cita-
zioni latine (Verg. Aen. 3, 427; georg. 3, 53; Aen. 10, 210-211)
– osservazione teorica.
LEMMA LATINO. Al tema delle preposizioni con doppia reggen-
za Prisciano dedica ampio spazio nel libro XIV e, limitatamente
a singole preposizioni, nel lessico finale (78, 13-15 praeter; 110,
2 sub). Anche l’osservazione che le preposizioni latine, ad ecce-
zione di tenus, si costruiscono solamente con l’accusativo e
l’ablativo e non anche con il genitivo è formulata in altre voci
degli Atticismi (22, 11-14; 110, 2-3; vd. supra, pp. 87- 88). La
doppia reggenza di in, super, sub, subter è discussa dalla maggior
parte dei grammatici latini (vd. i loci similes indicati da Groupe
Ars Grammatica 2013, pp. 136-140). Donato, esplicitamente
chiamato in causa a questo proposito, è citato più volte da Pri-
sciano anche nel libro XIV (GL III 27, 20; 41, 16; 51, 19; cfr.
GL II 596, 10; III 91, 20), ma riguardo a questioni diverse da
quella trattata nella voce in esame. Egli si occupa delle preposi-
zioni con doppia costruzione in min. 601, 6-16; mai. 650, 4-
418 COMMENTO

651, 4. Sugli adverbia praepositiva, evocati nella voce in esame


accanto alle preposizioni, cfr. supra, p. 191.
CITAZIONI LATINE. Sall. Catil. 36, 2 esemplifica il nesso di
praeter con l’ablativo anche in GL III 188, 14-15; Att. 78, 14
(vd. supra, pp. 357-358). Verg. Aen. 3, 427 e georg. 3, 53 occor-
rono anche in 22, 14-16; 78, 16-19, per illustrare rispettiva-
mente la costruzione di tenus con l’ablativo e con il genitivo
(cfr. supra, pp. 87- 88). Verg. Aen. 10, 210-211, richiamato da
Prisciano solamente in questo luogo, esemplifica l’uso di tenus
con il genitivo anche in Diom. GL I 409, 18 (con un taglio più
ridotto: laterum … nanti); Arus. 96, 15-16 Di Stefano (dove è
omesso il v. 211, mentre è incluso nella citazione il v. 212; cfr.
Di Stefano 2011, p. 167). Lo stesso passo è citato inoltre, con
un interesse semantico, in Non. 377, 35-37 (laterum … praefert),
a sostegno dell’osservazione che tenus [...] significatione varietur,
tamen maxime finem terminumque designat. Sulla condivisione, da
parte di Prisciano, degli esempi relativi a tenus con molti altri
grammatici vd. anche Spangenberg Yanes ics. [a].

90, 23-91, 4 προσκέπτομαι con genitivo o accusativo:


venit in mentem con genitivo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (προεσκέψαντο) –
citazione greca (Antiph. or. 15 fr. 51 Thalheim) – citazione
latina (Cic. div. in Caec. 41).
LEMMA LATINO. La costruzione impersonale di venit in mentem
con il genitivo è trattata anche in 88, 8-15; 106, 7-9, dove
l’espressione latina è parimenti accostata a sintagmi greci col
genitivo su base esclusivamente sintattica e non anche semanti-
ca. In questo caso il carattere generico del confronto istituito tra
le due lingue è rivelato anche dall’uso dell’aggettivo simile (cfr.
Spangenberg Yanes 2014, pp. 116-118). Sul trattamento del
lemma venit in mentem da parte di Prisciano e altri grammatici
vd. supra, p. 408.
CITAZIONI LATINE. Cic. div. in Caec. 41 è citato anche, in for-
ma più estesa, in GL III 188, 5- 8; Att. 88, 10-13; 106, 7- 8 (vd.
supra, pp. 408- 409).
PROBLEMI TESTUALI. La corruttela di σωτηρίας in αΤΗΡΙαC
91, 5-10 419

può essere annoverata tra gli indizi di almeno un passaggio del


testo in minuscola anteriore all’archetipo α, giacché presuppone
la confusione di ω con una a minuscola latina in forma di due cc
accostate. Nella stessa parola l’omissione iniziale di C- si può
spiegare come aplografia in una sequenza di segni molto simili
tra loro (Cω- oppure Ccc-, scil. Cα-).

91, 5-10 προσγελάω con accusativo o dativo: (ad/in)rideo


con accusativo o dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (προσγελᾷ) – cita-
zione greca (Aeschn. 3, 87) – citazioni latine (Ter. Eun. 249-
250; Ad. 548; 864; Eun. 424-425).
CITAZIONI GRECHE. Il taglio della citazione di Eschine (3, 87),
con l’inclusione delle parole τοὺς Φωκικοὺς ξένους, sembra
presupporre un’interpunzione diversa da quella adottata dagli
editori moderni di Eschine, che considerano ξένους comple-
mento oggetto del participio immediatamente successivo, δια-
βιβάσας, invece che di quello precedente, προσγελῶν (§§
86-87 Καλλίας ὁ Χαλκιδεύς […], ὅ τ’ ἀδελφὸς αὐτοῦ
Ταυροσθένης, ὁ νυνὶ πάντας προσγελῶν, τοὺς Φωκικοὺς
ξένους διαβιβάσας, ἦλθον ἐφ’ ἡμᾶς ὡς ἀναιρήσοντες).
LEMMA LATINO. Dei tre verbi confrontati da Prisciano con
προσγελάω nella voce in esame, adrideo compare come equi-
valente semantico del lemma greco anche nei glossari bilingui
medievali (CGL II 420, 39; III 156, 37). Sulla sintassi di adrideo,
rideo e inrideo, trattata anche in 55, 9-11; 87, 1-5, vd. ad locc.
CITAZIONI LATINE. Ter. Ad. 548; Eun. 249-250; 424- 425 sono
citati anche in 55, 8-10; i due passi dell’Eunuchus inoltre in 87,
2-5: vd. supra, p. 399. Ter. Ad. 864 non conosce, invece, altre
attestazioni in ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. Prisciano si accorda con i testimoni kΠ9
di Eschine nell’omissione, dopo πάντας, di δεξιούμενος καὶ,
trasmesso, invece, in βf (cfr. Schol. Aeschn. 3, 194 προσγελῶν]
οἷον προσεταιριζόμενος, ὃν τρόπον φαμὲν ‘προσσαίνων’).
In questo caso non è dunque possibile ascrivere con certezza
l’assenza del secondo participio e della congiunzione dall’escerto
priscianeo a un taglio intenzionale ad opera del lessicografo
420 COMMENTO

piuttosto che alla dipendenza da un testo antico di Eschine già


privo di queste due parole. Potrebbe essere significativo a que-
sto proposito che Prisciano rechi un testo identico a quello del
codice k (Par. gr. 2998), che da solo rappresenta uno dei quat-
tro rami della tradizione medievale dell’orazione Contro Ctesi-
fonte, del quale Dilts osserva il frequente accordo con i fram-
menti papiracei (in questo passo Π9). L’editore stampa il passo
quale è testimoniato da kΠ9 e dal nostro grammatico. Sulla
tradizione manoscritta di Eschine vd. Dilts 1997, pp. VII-XIX.

91, 11-13 προκρίνω con accusativo e infinito: praepono


con accusativo e infinito
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (προκρίνας) – lem-
ma latino.
LEMMA GRECO. Il lemma della voce è una citazione in forma
anonima di Isocr. Paneg. 4, riprodotto senza alterazioni; vd.
Fassino 2014, pp. 252 e 262; Spangenberg Yanes 2014, p. 133.
LEMMA LATINO. Il lemma latino proposto da Prisciano costitui-
sce, sia pure con delle variazioni nel lessico (τῶν λόγων/amico-
rum) e nella flessione di alcuni termini (al participio aoristo
προκρίνας corrisponde l’indicativo presente praepono, al plurale
τούτους καλλίστους il singolare hunc optimum), un calco sintat-
tico di quello greco, da cui risulta un costrutto non altrimenti
attestato in latino. Anche da un punto di vista semantico l’equi-
valenza stabilita dal grammatico tra praepono e προκρίνω pre-
senta delle difficoltà: i due verbi, infatti, sono sovrapponibili
solamente nel significato di “preferire”, ma nel lemma greco
προκρίνω ha piuttosto il valore temporale di “giudico prima”,
il solo in cui il verbo possa reggere una proposizione infinitiva.
Nel tradurre impropriamente προκρίνας con praepono Prisciano
potrebbe essersi appoggiato a uno strumento glossografico bilin-
gue: in alcuni testi conservati di questo genere, infatti, i due ver-
bi sono accostati in relazione al significato di “preferire” (cfr.
CGL II 418, 30; Idiom. cas. GL IV 567, 14); sulla questione vd.
più dettagliatamente Spangenberg Yanes 2014, pp. 132-136.
Prisciano si occupa della sintassi di praepono anche nel capito-
lo del libro XVIII sulle costruzioni verbali, dove però si soffer-
91, 14-16 421

ma su un uso del verbo, con l’accusativo e il dativo, diverso da


quello esaminato nel lessico finale: GL III 268, 12-18 Sunt ta-
men tam ex his [scil. deponentibus] quaedam quam ex activis, quae
cum accusativo etiam dativo adiunguntur, quae sunt acquisitiva […];
similiter dicimus ‘praepono tibi illum’. Questa costruzione è regi-
strata anche in alcune raccolte di idiomata (Char. 382, 17;
Diom. GL I 320, 30; Idiom. cas. GL IV 567, 14; cfr. Char. 384,
6, con il solo accusativo).

91, 14-16 προσοικέω con accusativo o dativo: accolo con


accusativo o ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (προσοικοῦσι) –
citazione greca (Thuc. 1, 24, 1) – lemma latino.
LEMMA LATINO. L’equivalenza semantica di προσοικέω e
accolo è descritta anche nello Ps. Cirillo (CGL II 422, 26).
L’espressione fluvium accolere è attestata in Naev. trag. 62 (=
Cic. orat. 152); Hist. Aug. Did. 1, 7. Non si conoscono, inve-
ce, altre occorrenze di fluvio accolere né in generale della co-
struzione del verbo con il dativo (con ablativo una sola volta
in Plin. nat. 4, 98 toto autem mari ad Scaldim usque fluvium Ger-
maniae accolunt gentes; cfr. ThlL s. v. accolo [Kempf], I 330, 2-9).
L’uso normalmente attestato di accolo è, infatti, quello transiti-
vo (vd. ibid. 329, 67-330, 1). Poiché è piuttosto improbabile
che Prisciano, nel formulare il lemma latino della voce con il
sostantivo fluvius, facesse riferimento al frammento di Nevio e
al contempo però non si può giustificare questa scelta lessicale
con la traduzione letterale del lemma greco, forse è possibile
che il grammatico avesse presenti uno o più passi nei quali
accolo si trova in nesso con un nome proprio di fiume. In par-
ticolare, tra le opere latine più citate negli Atticismi, si vedano
Verg. georg. 4, 288 accolit … Nilum e Liv. 4, 52, 5 qui Etruscum
mare quique Tiberim accolunt.
PROBLEMI TESTUALI. Nel lemma greco della voce Scaligero (p.
742), seguito da van Putschen e dagli editori successivi, correg-
ge i tràditi ΤΟΥΤΟΥC e ΤΟΥΤΟΙC in τόπους e τόποις, verosi-
milmente a partire dalla lectio singularis ΤΟΠΟΙC di W; proprio
questo manoscritto è, infatti, la fonte principale della collazione
422 COMMENTO

dell’umanista nella seconda metà degli Atticismi (vd. Spangen-


berg Yanes 2016, pp. 353-357). Le due congetture scaligeriane,
sebbene siano coerenti con un modo di esprimere la reggenza
dei lemmi attestato anche altrove nel lessico priscianeo (41, 17-
42, 1 Illi ‘ἐγκατέσκηψεν εἰς τόνδε τὸν τόπον’ καὶ ‘ἐν τῷδε’
καὶ ‘τῷδε’ καὶ ‘περὶ τόνδε’; 92, 14-15 Et ‘προσέσχε πρὸς
τόνδε τὸν τόπον’), potrebbero tuttavia non essere necessarie.
Almeno per la costruzione di προσοικέω con il dativo si cono-
sce, infatti, anche un’occorrenza del verbo con oggetto animato
in età classica (Isocr. Paneg. 70 ἡμῖν; con oggetti inanimati vd.
Plat. Tim. 22d2-3 ποταμοῖς καὶ θαλάττῃ; Xenoph. vect. 1, 8
πόλεσι). Inoltre, sia nei due lemmi priscianei sopra citati sia
nelle poche altre attestazioni note di questo modo di esprimere
la reggenza di un lemma in lessici greci, il sostantivo τόπος è
sempre al singolare e accompagnato da un aggettivo dimostrati-
vo o da un articolo (Antiatt. π 36 εἰς τὸν τόπον; Etym. Sym. II
10, 11 ἐν τῷδε τῷ τόπῳ καὶ εἰς τόνδε τὸν τόπον; Lex. Vin-
dob. γ 22 εἰς τόνδε ἢ πρὸς τόνδε τὸν τόπον; κ 54 εἰς τόνδε
τὸν τόπον; Synt. Laur. μ 14 τῶν τόπων), che mancherebbe,
invece, in Prisc. Att. 91, 14. Sebbene nell’e-sempio greco della
voce in esame (Thuc. 1, 24, 1) il pronome αὐτήν retto da
προσοικέω sostituisca un nome di città (la frase precedente è
Ἐπίδαμνός ἐστι πόλις ἐν δεξιᾷ ἐσπλέοντι ἐς τὸν Ἰόνιον
κόλπον), non si può escludere che il lessicografo atticista cono-
scesse anche delle attestazioni del verbo in nesso con un nome
di popolo (o un pronome) al dativo plurale e che a partire da
una di queste abbia espresso la reggenza di προσοικέω, nel
lemma, con dei pronomi dimostrativi maschili al plurale. Vale
notare del resto che, se il lemma contiene la terza persona plu-
rale προσοικοῦσι come nel passo tucidideo, che per questo
motivo potrebbe essere identificato come citazione protolem-
matica, d’altra parte i plurali τόπους καὶ τόποις, così come i
tràditi τούτους καὶ τούτοις, non riprodurrebbero fedelmente
il complemento oggetto dell’esempio, αὐτήν; dunque il con-
fronto con Thuc. 1, 24, 1 non reca un sostegno decisivo alle
due congetture di Scaligero. Rispetto alle lezioni d’archetipo
τούτους e τούτοις, la variante ΤΟΠΟΙC di W si può spiegare
91, 17-92, 2 423

piuttosto facilmente a partire dalla confusione di Υ e Ι


(ΤΟΥΤΟΙC > ΤΟΙΤΟΙC > ΤΟΠΟΙC).

91, 17-92, 2 προσβλέπω con accusativo: aspicio con


accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (προσέβλεψα) –
citazione greca (Plat. Resp. 336d7- 8) – citazioni latine (Cic.
Mil. 33; Verg. Aen. 1, 393).
LEMMA LATINO. La sintassi di aspicio è trattata anche in 41, 6- 8:
vd. supra, ad loc.
CITAZIONI LATINE. L’estratto di Cic. Mil. 33 è erroneamente
introdotto con la dicitura Cicero in Verrinis; l’indicazione di
provenienza dell’esempio è, invece, corretta nella sua seconda
occorrenza nel lessico, in forma ampliata (et aspexit … minaba-
tur): 109, 8 Cicero pro Milone. È pertanto probabile che l’errore
si debba a un lapsus memoriae dello stesso Prisciano piuttosto che
alla dipendenza da una fonte intermedia già caratterizzata da una
falsa attribuzione del passo. Vale notare a questo proposito che
in tutti gli altri casi, in cui Prisciano adotta l’indicazione generi-
ca in Verrinis invece di riferimenti più puntuali alle singole ora-
zioni della raccolta, manca una citazione verbatim di Cicerone,
del quale si richiama solamente un certo uso linguistico, e non è
sempre possibile rintracciare nel corpus delle Verrinae il luogo cui
alludeva il grammatico: GL II 201, 5 quibus frequenter casibus in
Verrinis utitur Cicero (a proposito delle forme di dativo e ablativo
schematis, emblematis, peripetasmatis, toreumatis, delle quali solo la
seconda e la terza occorrono in Cic. Verr. 2, 4, 28; 2, 4, 37,
citati esplicitamente in GL II 357, 4- 6); 357, 3 Cicero frequenter
in Verrinis (riguardo a peripetasmatis e emblematis, di cui effettiva-
mente si citano delle attestazioni, introdotte dall’indicazione in
libro de signis, e a toreumatis, che non è mai adoperato, invece,
dall’Arpinate); 527, 11 idem tamen Cicero in Verrinis (a proposito
della forma praecellunt, mai attestata in Cicerone; cfr. Verr. 2, 4,
118 antecellant?); fig. num. 14, 8-9 Passalacqua eorum pleraque in
Verrinis Ciceronis licet invenire (per i compendi I, II, IIS, X per
alcune unità di misura di pesi, di cui è difficile verificare la pre-
senza in determinati luoghi delle orazioni, a causa dell’evidente
424 COMMENTO

inattendibilità della tradizione manoscritta a questo riguardo). Il


titolo generico in Verrinis è quello utilizzato di preferenza da
altri grammatici latini (Cledon. GL V 42, 31; Pomp. GL V
207, 31; Ps. Aug. reg. 139, 16 Martorelli; Sacerd. GL VI 460,
12; Ps. Serg. GL VII 538, 10), che solo di rado ricorrono al
genitivo Verrinarum e al numero del libro (Cledon. GL V 12,
16; 60, 15; Pomp. GL V 153, 31; Eutych. GL V 475, 9).
PROBLEMI TESTUALI. Plat. Resp. 336d7-8 è citato con l’omis-
sione di ὑπὸ τοῦ λόγου dopo ἡνίκα, che si deve probabil-
mente a un taglio intenzionale ad opera del lessicografo atticista,
e con la lezione ἤρξατο per ἤρχετο della tradizione diretta.
Questa variante, che adegua il tempo verbale della subordinata a
quello della proposizione reggente (προσέβλεψα), potrebbe
risultare una lectio facilior. Inoltre, nel corpus platonico, quando il
predicato verbale della proposizione reggente è all’indicativo
aoristo, ἡνίκα regge abitualmente l’imperfetto (Symp. 198c6;
Euthyd. 283b9; Gorg. 515e13; Resp. 374a5); la stessa congiuzio-
ne si trova con l’aoristo indicativo, invece, solo in dipendenza
da un tempo principale (Theaet. 191a8; Gorg. 509e5; Leg. 783-
b5). Anche in base all’usus linguistico di Platone la forma testi-
moniata da Prisciano sembra dunque deteriore.
Nella citazione di Cic. Mil. 33 le famiglie βγ dei codici pri-
scianei recano la corruttela aspexi (emendato in aspexit in alcuni
testimoni di questi due rami e presente anche come lezione di
prima mano in δFWD, che forse correggono in base al con-
fronto con la seconda occorrenza dello stesso esempio in 109, 9
o con la tradizione diretta ciceroniana). L’errore, che si potreb-
be spiegare come un’aplografia favorita dalla somiglianza grafica
delle lettere I e T, deve comunque essere ascritto alla tradizione
manoscritta dell’Ars e non allo stesso Prisciano, che cita corret-
tamente il passo in 109, 8-10 e che difficilmente avrebbe potuto
accogliere come dotata di senso l’espressione aspexi me.

92, 3- 4 πρὸς τὰ κέντρα: adversum stimulos


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione latina
(Ter. Phorm. 77-78).
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di stimulus e
92, 3- 4 425

κέντρον, implicata dal confronto che Prisciano stabilisce tra il


lemma greco della voce e Ter. Phorm. 78, è ampiamente atte-
stata nei glossari medievali (CGL II 188, 34; 347, 47; 491, 64;
516, 41; 543, 11; III 148, 1; 204, 46; 357, 82; 497, 25; cfr. Ars
Bob. 33, 10 De Nonno stimulus κέντρον), così come quella di
calx e λάκτισμα, il sostantivo deverbativo di λακτίζω (CGL II
545, 18; III 176, 35; 440, 53; 567, 62).
CITAZIONI LATINE. Ter. Phorm. 78 è citato in forma anonima,
come esempio di paroemia, in Char. 364, 20-21; Diom. GL I
462, 31; Don. mai. 673, 3; Pomp. GL V 311, 33; Sacerd. GL
VI 462, 27-28; Iul. Tol. 218, 411- 412bis. Il carattere proverbiale
dell’espressione è rilevato anche nel commento ad loc. di Donato,
il quale osserva altresì l’ellissi del verbo: § 1 ADVERSUM STIMU-
LUM CALCES παροιμία cum ἐλλείψει: deest enim ‘iactare’ (cfr.
Eugraph. Ter. Phorm. 77). Lo stesso passo illustra inoltre il gene-
re maschile di stimulus in Dub. nom. 811, 780-781 Glorie, dove
il nome del poeta è indicato e la citazione ha forma identica a
quella testimoniata da Prisciano (namque ins‹c›itia est, / adversus
stimulos calces). In tutte le altre occorrenze di questo esempio in
ambito grammaticale, così come nei lemmi dei commenti ad
loc. di Donato ed Eugrafio, la citazione è circoscritta, invece,
alle parole adversum … calces e attesta la lezione stimulum in ac-
cordo con la tradizione diretta di Terenzio (si noti la variante
contra per adversum in Char. 364, 20-21 e Iul. Tol. 218, 412).
PROBLEMI TESTUALI. La forma verbale aspexi all’inizio della
voce, che potrebbe aver obliterato parte della citazione greca o
della sua indicazione di provenienza, sembrerebbe dovuta alla
ripetizione di aspexi‹t› (forse posteriore all’aplografia di -t in que-
st’ultima) dalla voce precedente (92, 1), eventualmente favorita
da una particolare distribuzione del testo in righi. Un’altra possi-
bilità è che aspexi sia stato vergato come richiamo marginale di
92, 1 aspexi‹t› in qualche stadio della tradizione anteriore all’ar-
chetipo e poi erroneamente incorporato nel testo principale, in
un punto di poco successivo a quello cui faceva riferimento.
La corruttela ΠΠΟCΟΝωΙ ha ricevuto diverse proposte di
emendazione, nessuna delle quali finora è risultata del tutto
soddisfacente. La congettura ἵππος ὄνῳ di Bücheler, messa a
426 COMMENTO

testo da Diehl in Iamb. adesp. fr. 13 con l’espunzione di τά,


implica però una lunga ‘irrazionale’, con soluzione, in sede pari
(ἵπ|πος ὄνῳ); inoltre le parole ἵππος ὄνῳ, che potrebbero
introdurre un discorso diretto, mal si conciliano con l’uso della
terza persona nell’imperativo λακτιζέτω. Scaligero, al quale si
deve anche la correzione del tràdito μοι in μή, leggeva in un
codice πρὸς ὄνος e in un altro πρὸς ὄνῳ (p. 742) e propose
di correggere in πηρὸς ὄνος. Questa emendazione, forse meno
problematica da un punto di vista metrico (πηρὸς ὄ|νος con
soluzione del primo longum in due brevi), contrasta però con
l’uso lessicale della commedia attica – da cui provengono tutti i
frammenti giambici citati da Prisciano –, nella quale non è mai
attestato l’aggettivo πηρός. Un’ipotesi alternativa, già additata
da Nauck (vd. Hertz in apparato a GL III 356, 13), potrebbe
essere di interpretare, con una lieve correzione, ΠΠΟCΟΝωΙ
come ἱπποκόμῳ, considerando questa parola parte dell’indica-
zione di provenienza del passo piuttosto che del dettato della
citazione. Ἱπποκόμος è il titolo di una commedia di Menan-
dro, della quale si tramandano tre frammenti (193-195 K.-A.),
conservati in Diog. L. 6, 83; Poll. 10, 80; 10, 98. Sebbene man-
chino testimonianze utili a ricostruire la trama della commedia,
le parole citate da Prisciano, πρὸς τὰ κέντρα μὴ λακτιζέτω,
potrebbero in effetti risultare appropriate in un dramma intito-
lato Lo scudiero. Come in 56, 7-9, dove il grammatico affianca al
lemma κόπτειν τὰ ῥήματα la locuzione terenziana (Haut. 242)
sermones caedimus (vd. supra, ad loc.), anche nella voce in esame
con il confronto istituito tra le due lingue – tanto più pregnante
se Prisciano leggeva ancora nella sua fonte l’attribuzione a Me-
nandro della frase πρὸς τὰ κέντρα μὴ λακτιζέτω – egli po-
trebbe aver inteso suggerire un’imitazione del commediografo
greco da parte di Terenzio. Meno sostenibile, da un punto di
vista paleografico, è l’altra proposta di Nauck, ἱππόνῳ
(ἱππό[σο]νῳ), titolo di un dramma perduto di Sofocle, sebbene
non si possa in linea di principio escludere la presenza
dell’espressione proverbiale πρὸς τὰ κέντρα μὴ λακτιζέτω in
tragedia: altre occorrenze della medesima locuzione si trovano,
infatti, in Aesch. Ag. 1624; Eur. Ba. 795; fr. 604 Kannicht.
92, 5-8 427

Ter. Phorm. 77-78 è citato da Prisciano con la variante stimu-


los per stimulum della tradizione diretta e delle altre fonti di
tradizione indiretta tranne Dub. nom. 811, 780-781 Glorie, che
si accorda con il nostro grammatico e reca inoltre la forma più
recente adversus in luogo di adversum, propria soprattuto dei
poeti scenici arcaici (ThlL s. v. adversus [von Mess], I 850, 59-
82). Se, come suggerisce la maggior estensione della citazione
in Prisciano rispetto ad altri grammatici, egli ha tratto questo
esempio direttamente dal testo di Terenzio piuttosto che da una
fonte intermedia, è possibile che sia stato indotto a citarlo con il
plurale stimulos per il confronto con il lemma greco, in cui si
trova πρὸς τὰ κέντρα. In Dub. nom. 811, 780-781, invece,
l’accusativo plurale è funzionale a dimostrare il genere maschile
di stimulus, mentre il singolare stimulum sarebbe stato ambiguo;
sembra di poterne dedurre che l’autore di questo testo leggesse
con sicurezza il plurale in Terenzio o, più probabilmente, in
una fonte intermedia. La testimonianza di questo scritto gramma-
ticale anonimo, benché posteriore all’Ars Prisciani (VI-VIII sec.),
potrebbe autorizzare l’ipotesi che la variante stimulos negli Atti-
cismi non si debba a un lapsus di Prisciano bensì circolasse effet-
tivamente nella tradizione (diretta e/o indiretta) di Terenzio.

92, 5-8 προσκαθέζομαι con accusativo: adsideo con ac-


cusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (προσκαθεζόμενοι)
– citazione greca (Thuc. 1, 26, 5) – citazione latina (Iuv. 11,
201-202).
CITAZIONI GRECHE. Il nesso di προσκαθέζομαι con l’accusa-
tivo semplice in Thuc. 1, 26, 5 viene rilevato nello scolio ad
loc., che considera questo costrutto tipico dell’uso linguistico
dello storico greco e vi contrappone la reggenza del dativo, pro-
pria della κοινή: τὴν πόλιν Θουκυδίδειον, τῇ πόλει κοινόν.
La stessa espressione lemmatizzata in Prisciano occorre effettiva-
mente altre due volte nell’opera di Tucidide (1, 61, 3; 5, 61, 4).
LEMMA LATINO. Alcuni grammatici postulano per adsideo, in-
sieme alla normale reggenza del dativo (vd. ThlL s. v. adsideo
[Vollmer], II 877, 35- 879, 28 passim), anche quella dell’accusa-
428 COMMENTO

tivo (Char. 386, 5; Diom. GL I 314, 25; Idiom. cas. GL IV 571,


12; Arus. 9, 20-10, 4 Di Stefano). Quest’ultima, che avrebbe
potuto costituire dal punto di vista di Prisciano un più appro-
priato corrispettivo latino dell’uso transitivo di προσκαθέζο-
μαι, è piuttosto rara (ThlL s. v. adsideo, II 877, 25-32 e 66-68,
con esempi in Verg. Aen. 11, 304; Sall. hist. fr. 4, 13; poi in
Apuleio più volte) e forse era rimasta inosservata dal nostro
grammatico; la sua menzione nelle raccolte di idiomata sembra
doversi alla confusione con adsido, al quale Vollmer assegna Sall.
Iug. 11, 3 dextra Adherbalem adsedit (citato in Arus. 10, 3 ADSI-
DET ILLUM IN ILLA PARTE) e qualche altra occorrenza del verbo
con il complemento oggetto (ThlL s. v. adsido, II 879, 56-57 e
64; cfr. Diom. GL I 320, 1~6 Idiomata quae veteres quidem per
accusativum extulerunt, nos autem per dativum secundum Graecos
efferimus: […] adsido socium, nos adsido socio).
CITAZIONI LATINE. Iuv. 11, 201-202 non è citato altrove nella
produzione grammaticale latina. Alla costruzione del lemma
greco con l’accusativo Prisciano affianca un esempio di adsideo
con il dativo: egli sembra dunque rinunciare a proporre un equi-
valente latino anche sintattico oltre che semantico del lemma
greco. D’altra parte la forma sospetta del lemma greco tràdito
dai manoscritti, del tutto identico all’esempio che lo segue, po-
trebbe suggerire che esso sia stato del tutto obliterato dalla ripe-
tizione erronea della citazione tucididea (sono debitrice di que-
sta osservazione a Michela Rosellini). Se è piuttosto frequente,
infatti, che negli Atticismi una pericope di una citazione sia ri-
prodotta, anche senza modifiche, con funzione di lemma all’ini-
zio di una voce (vd. Rosellini 2012a, pp. 201-202; cfr. Visconti
2014, p. 298 n. 53), non accade però mai, al di fuori della voce
in esame, che l’estensione del lemma così ricavato sia identica a
quella della citazione da cui è tratto. Nell’ipotesi di un guasto
testuale, si potrebbe anche suggerire che in origine nel lemma
venissero descritte entrambe le costruzioni di προσκαθέζομαι,
con l’accusativo o con il dativo, che lo scoliasta a Thuc. 1, 26, 5
ripartisce tra uso tucidideo (cioè forse attico) e di κοινή (vd.
supra). Il nostro grammatico avrebbe dunque potuto leggere
nella sua fonte atticista, ad esempio, ‘Προσκαθεζόμενοι τὴν
92, 9-11 429

πόλιν’ ‹καὶ ‘τῇ πόλει’›, e aver correttamente individuato in


Iuv. 11, 201-202 un termine di confronto non solo semantico
ma anche sintattico di una parte del lemma greco.

92, 9-11 πρῶτον μὲν, ἔπειτα δέ: primo o primum quidem


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino.
LEMMA GRECO. La terza forma di correlazione descritta nel
lemma priscianeo non è altrimenti attestata (vd. LSJ s. v.
πρότερος, III.3.a).
LEMMA LATINO. Delle espressioni confrontate da Prisciano con
il lemma greco di questa voce hanno ampia circolazione nel
latino classico solamente nunc vero (a partire da Ter. Ad. 717;
Lucil. 1228, poi molto frequente soprattutto in prosa) e primo
quidem (da Cicerone e Livio, solamente in prosa); meno comu-
ne è primum quidem, che occorre sporadicamente in Cicerone
(ac. 1, 49; 1, 56; Tusc. 1, 12, 26) e poi si diffonde soprattutto dal
II/III secolo d. C. (Ulp. dig. 1, 3, 34 praef.; 1, 7, 17, 2; 30, 1,
47 praef.; Fronto p. 41, 10; Apul. Plat. 2, 28; met. 5, 29; 8, 4;
10, 24; Macr. somn. 2, 4, 13; Firm. math. 1, 3, 4; 1, 5, 4; 2, 29,
15; 6, 15, 19; Iul. Val. 3, 22 l. 487; Hist. Aug. Alex. 14, 3; Pri-
sc. rhet. 46, 24 Passalacqua). Secundo vero, invece, si legge una
sola volta in Boezio (in herm. comm. 24b9), deinde vero in Schol.
Hor. epist. 2, 2, 41, mentre secundum vero non è altrimenti atte-
stato. Il nostro grammatico pertanto sembra solo in parte aver
elaborato questa voce tenendo conto di reali usi linguistici lati-
ni; in parte, invece, si è limitato a coniare delle espressioni lati-
ne analogiche rispetto a quelle del lemma greco.

92, 12-93, 5 προσέχω τὸν νοῦν con dativo o con πρός e


accusativo: animum adverto
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (προσέχετε) – cita-
zione greca (Demosth. 24, 19) – lemma greco secondario –
citazione greca (Herod. 1, 2) – citazioni latine (Ter. Andr. 8;
Eun. 397; Verg. Aen. 6, 410). Come già indicato da Visconti
2014, p. 290 n. 22, la presenza di due lemmi greci, entrambi
formulati secondo modalità espressive proprie del lessicografo
atticista, suggerisce che Prisciano abbia trattato come una voce
430 COMMENTO

unitaria due lemmi in origine distinti nella sua fonte, relativi


rispettivamente al nesso προσέχω τὸν νοῦν e all’uso intransiti-
vo di προσέχω come verbo di movimento.
CITAZIONI GRECHE. L’esempio erodoteo (1, 2) che accompa-
gna il lemma greco secondario, προσέσχε πρὸς τόνδε τὸν
τόπον, non gli è del tutto pertinente, in quanto attesta il nesso
di προσέχω con εἰς e l’accusativo piuttosto che con πρός e
l’accusativo.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di προσέχω con
adverto è attestata anche nello Ps. Cirillo (CGL II 421, 17; 423,
41), così come quella con animadverto (CGL II 421, 17).
L’uso di animum adverto è proprio del poeti scenici arcaici e
di Lucrezio; piuttosto raro in Cicerone, dal I secolo a. C. viene
per lo più sostituito dalla forma univerbata animadverto (vd. ThlL
s. v. animadverto [Klotz], II 74, 36-38). La sintassi di adverto è
discussa anche da Diomede, che si sofferma, diversamente da
Prisciano, sulla costruzione del verbo con un oggetto animato,
distinguendo un uso transitivo antico e uno posteriore con il
dativo: GL I 320, 1~6 Idiomata quae veteres quidem per accusativum
extulerunt, nos autem per dativum secundum Graecos efferimus: […]
adverto te, nos adverto tibi. Questa osservazione risulta solo par-
zialmente verificata, in quanto la costruzione del verbo con il
dativo di direzione non esclude la presenza di un complemento
oggetto (vd. ThlL s. v. adverto [Kempf], I 861, 74- 862, 1), e
l’uso transitivo di adverto è noto solamente con oggetti inanima-
ti (ibid. 862, 32- 42 e 62-75; 863, 15- 48).
CITAZIONI LATINE. Ter. Andr. 8 è discusso, in relazione alla
locuzione animum advertere, anche da Donato ad loc., che con-
trappone questa forma ‘piena’ dell’espressione a quella ellittica
attendite, che sarebbe propria di un uso linguistico più tardo: § 7
ANIMADVERTITE legitur et ‘attendite’. unde manifestum est et ‘atten-
dite’ et ‘advertite’ non esse plenum, nisi addideris ‘animum’; cfr. Eun.
44 ANIMADVERTITE nos ἐλλειπτικῶς dicimus ‹advertite ut› atten-
dite, veteres plene animum advertite. L’osservazione del commenta-
tore antico risulta verificata: i sintagmi animum adverto e animum
attendo sono, infatti, attestati già nel teatro arcaico, a partire da
Plauto (vd. ThlL s. v. animadverto [Klotz], II 74, 36- 48; s. v.
92, 12-93, 5 431

attendo [Bannier], II 1119, 57-79); adverto e attendo, nel signifi-


cato di “accorgersi, notare, avvertire”, in assenza di animum,
sono in uso solo dal I secolo a. C. (vd. ThlL s. v. adverto [Voll-
mer], I 862, 43- 864, 22; s. v. attendo [Bannier], II 1119, 80-
1121, 47). Ter. Andr. 8 occorre inoltre in Arus. 16, 17 Di Ste-
fano ATTENDO ANIMUM. Ter. Andr. ‘Animum attendite’, con la
variante attendite per advertite (vd. infra); Non. 39, 14-16, presso
il quale la citazione è però motivata dall’espressione vitio dent.
L’ultimo esempio della voce, Verg. Aen. 6, 410 advertit puppim,
segna un’estensione della riflessione di Prisciano dalla specifica
locuzione animum advertere in generale all’uso transitivo di adverto.
PROBLEMI TESTUALI. L’omissione di ὦ ἄνδρες δικασταί nella
citazione di Demosth. 24, 19 si deve probabilmente a un taglio
intenzionale operato dall’estensore del lessico fonte.
Nella citazione di Herod. 1, 2 Prisciano si accorda con la
totalità dei testimoni medievali dello storico greco nella lezione
προσχόντας, che gli editori correggono in προσσχόντας.
Προσχόντας sarebbe a rigore una forma della flessione di
προέχω piuttosto che di προσέχω; se però nella tradizione
diretta di Erodoto il copista responsabile della corruttela poteva
non avvedersi di questo fatto, il compilatore del lessico fonte di
Prisciano, invece, considerava certamente il passo erodoteo
un’attestazione di προσέχω, giacché lo pose sotto il lemma
προσέσχε πρὸς τόνδε τὸν τόπον. Occorre dunque o ipotiz-
zare che la coincidenza di Prisciano e dei codici erodotei sia
casuale e che nel lessico atticista il passaggio da προσσχόντας a
προσχόντας si sia prodotto in una fase posteriore all’inseri-
mento del passo nella tradizione lessicografica, oppure, se la
citazione presso il nostro grammatico è prova dell’antichità della
lezione προσχόντας nella tradizione delle Storie, che un lessi-
cografo di I-II secolo d. C. potesse considerare tale forma una
voce di προσέχω. Certamente deteriore è poi la variante φησί
– ΦιCι nei manoscritti, con un errore di itacismo emendato da
Scaligero (p. 743), mentre van Putschen e gli editori successivi
correggevano in φασί sulla base della tradizione diretta (vd.
Spangenberg Yanes 2016, pp. 365-366): il contesto erodoteo
richiede, infatti, la terza persona plurale, che riprende quella di
432 COMMENTO

1, 1 Περσέων μέν νυν οἱ λόγιοι Φοίνικας αἰτίους φασὶ


γενέσθαι τῆς διαφορῆς. La forma φησί verosimilmente dun-
que non era in origine presente nel testo di Erodoto impiegato
dal compilatore del lessico atticista, bensì sarà una corruttela
generatasi in qualche fase della tradizione lessicografica, quando
non era più possibile attingere al contesto erodoteo. La citazio-
ne conservata da Prisciano attesta inoltre alcune banalizzazioni
morfologiche del dettato erodoteo (εἰς per ἐς e βασιλέως per
βασιλέος, quest’ultima in accordo con i codici CPTMQSV
della tradizione diretta) e l’aggiunta di καί all’inizio del passo.
Prisciano cita Ter. Andr. 8 con la lezione animum advertite in
accordo con la tradizione diretta, in questo caso rappresentata
dal solo ramo Σ. Gli altri testimoni indiretti recano le varianti
animadvertite (nei lemmi di Don. Ter. Andr. 8, 7; Eugraph. Ter.
Andr. 8) e animum adtendite (Arus. 16, 17; Don. Ter. Andr. 8, 7
legitur et ‘attendite’; ancora diverso Non. 39, 16 animo adtendite),
messa a testo da Kauer – Lindsay – Skutsch (cfr. Di Stefano
2011, p. 112). La stessa incertezza testuale si dà anche in Ter.
Eun. 44 (animum attendite] animum advortite schol. C, schol. P,
DGLp, Ev; animadvertite Don., Eugraph.); Phorm. 24 (animum
attendite codd., Don.: animadvertite Eugraph.). Nelle altre due
occorrenze della locuzione in Terenzio (Hec. 28; Phorm. 866) i
manoscritti attestano unanimemente animum attendere. Per
quanto concerne la questione della frequente condivisione di
esempi letterari da parte di Prisciano e Arusiano, poiché negli
Exempla elocutionum il passo, con la variante attendite, è collocato
proprio sotto il lemma ATTENDO ANIMUM, appare ragionevole
concludere che nell’eventuale repertorio di loci classici utilizzato
da Arusiano si leggesse effettivamente animum attendite. Priscia-
no potrebbe pertanto aver citato autonomamente Ter. Andr. 8;
resta, invece, significativo l’accordo in ‘errore’ di Arusiano e
Nonio nel ricorso a questo esempio.

93, 6-7 προσβάλλω con dativo o accusativo: applico con


dativo e accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (προσβάλλει) –
citazione latina (Verg. Aen. 12, 303).
93, 8-9 433

LEMMA LATINO. L’equivalenza semantica di προσβάλλω e


applico è attestata anche nello Ps. Filosseno (CGL II 18, 30).
La sintassi di applico è trattata anche da Arusiano Messio (11,
8-10 Di Stefano), che alla costruzione con dativo, del tutto
comune sin dall’età arcaica (vd. ThlL s. v. applico [Bannier], II
296, 8-25 e 44-59) affianca quella più rara con ad e l’accusativo
(vd. ibid. 296, 25- 44).
CITAZIONE LATINA. Verg. Aen. 12, 303 è citato come esempio
di applico con il dativo anche in Arus. 11, 8 Di Stefano.
PROBLEMI TESTUALI. Sull’opportunità di correggere il numera-
le nell’indicazione di provenienza dell’esempio virgiliano, erro-
neamente assegnato dai codici al libro XI invece al XII, alle
considerazioni di carattere generale espresse da Rosellini 2015a,
p. CXLV n. 188, si può aggiungere, nel caso specifico, che il
passo è citato per lo stesso motivo da Arusiano con la corretta
indicazione del libro (11, 8 Virg. Aen. XII) ed è dunque proba-
bile che il numerale XII fosse anche nella fonte comune a que-
sto grammatico e a Prisciano.

93, 8-9 πρὸς μέρος e ἐν μέρει: ad partem, in parte, ex parte


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di pars e μέρος è
attestata anche nei glossari bilingui (CGL II 142, 20; 367, 61;
499, 29; 508, 21; 546, 7; III 77, 7; 184, 20; 339, 43; 459, 15).
I tre nessi preposizionali lemmatizzati da Prisciano, ad partem,
in parte ed ex parte sono ampiamente attestati nella letteratura
latina sin dall’età arcaica (in e ad) o tardorepubblicana (ex), ma
sempre accompagnati da un aggettivo o un genitivo di specifi-
cazione (vd. ThlL s. v. pars [Teßmer], X.1 479, 39-486, 66 pas-
sim), col significato di “dalla … parte” oppure “dalla parte di ...”.
Le espressioni greche πρὸς μέρος e ἐν μέρει possono, invece,
essere usate senza ulteriori specificazioni con il valore distributi-
vo di “in parti”, “in proporzione”, “a turno” (LSJ s. v. μέρος).

93, 10-11 πρᾶγμα ποιέομαι: id … negotii dare


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (πρᾶγμα ποιεῖσθαι),
con glossa semantica – citazione latina (Ter. Andr. 2).
434 COMMENTO

LEMMA GRECO. E. Müller 1911, p. 2, e Ferri 2014, p. 109 n. 46,


individuano la citazione protolemmatica di questa voce in He-
rod. 7, 150 ταῦτα ἀκούσαντας Ἀργείους λέγεται πρῆγμα
ποιήσασθαι; se il riconoscimento è corretto, si può osservare,
nella fonte di Prisciano, l’atticizzazione di πρῆγμα in πρᾶγμα.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di πρᾶγμα e
negotium, suggerita dal confronto istituito da Prisciano tra il
lemma greco e Ter. Andr. 2, è attestata anche nei glossari bilin-
gui (CGL II 133, 17; III 152, 64; 336, 30 e 32-33; 339, 50;
457, 43; 502, 69).
CITAZIONI LATINE. Nessun altro grammatico latino si sofferma
sull’espressione id … negotii … dari in Ter. Andr. 2.
PROBLEMI TESTUALI. Ter. Andr. 2, citato in questa voce con il
genitivo negotii, occorre anche in metr. Ter. 24, 18-21 (con inclu-
sione dei vv. 1 e 3), dove illustra l’uso del trimetro giambico nei
prologhi terenziani, con la variante negotium. Con un analogo
interesse metrico il passo è citato, con il genitivo, in Pomp. GL
V 302, 5-8 (vv. 1-3); Rufin. metr. 12, 1-3 D’Alessandro (vv. 1-2).

93, 12-14 προσπίπτω τοῖς γόνασιν o πρός τὰ γόνα con


genitivo o dativo: genua amplector e genibus voluto
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (προσπίπτει) – cita-
zione latina (Verg. Aen. 3, 607- 608).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 3, 607-608 è citato anche in
Arus. 100, 10-11 Di Stefano, sotto il lemma VOLUTANS SUIS
GENIBUS. Come osserva Di Stefano 2011, p. 170, l’impiego di
questo passo per illustrare la costruzione di voluto con il dativo è
inappropriato, in quanto genibusque dipende piuttosto da haerebat
(sebbene possa essere retto ἀπὸ κοινοῦ anche dal participio). Il
fraintendimento della sintassi di Aen. 3, 607- 608 appare meno
grave da parte di Prisciano, che non ha enunciato un preciso
lemma latino della voce in esame, bensì si è limitato a notare
una sua affinità generica (huic simile est) con il lemma greco.
Non si può anzi escludere che il nostro grammatico abbia visto
nel luogo virgiliano un termine di confronto valido non sola-
mente per προσπίπτω con il dativo (genibusque volutans haere-
bat) ma anche per il nesso del verbo con πρός e l’accusativo
93, 15-18 435

(accusativo semplice in genua amplexus). In ambito grammaticale


Verg. Aen. 3, 607- 608 è inoltre richiamato da Carisio e Diome-
de a proposito del participio volutans, che avrebbe valore passivo
o riflessivo (Char. 346, 19-24 = Diom. GL I 402, 16-20).
PROBLEMI TESTUALI. La forma γόνα, recata dai codici nella
seconda parte del lemma greco, non è altrimenti attestata. È
verosimile che l’estensore del lessico fonte avesse effettivamente
utilizzato la forma attesa γόνατα, forse con riferimento a De-
mosth. 19, 198 προσπίπτει πρὸς τὰ γόνατα τῷ Ἰατροκλεῖ,
l’unica attestazione nota del costrutto descritto nell’ultima parte
del lemma (cfr. E. Müller 1911, p. 2). Dal punto di vista di
Prisciano tuttavia la correzione di γόνα in γόνα‹τα›, adottata
da Krehl ma non da Hertz (GL III 357, 21) e Rosellini, non
sembra indispensabile: il grammatico potrebbe, infatti, aver
recepito un testo del lessico greco già corrotto e aver creduto
possibile l’esistenza di un neutro plurale γόνα.
Nella citazione di Verg. Aen. 3, 607-608 i codici, ad ecce-
zione del ramo δ (che, come gli è proprio, avrà corretto per
conoscenza diretta del testo virgiliano), recano la corruttela genu
in luogo di genua della tradizione diretta e delle restanti fonti di
tradizione indiretta. L’aplografia di -a nella sequenza (ge)nua a-
si spiegherebbe piuttosto semplicemente in una scrittura minu-
scola altomedievale, nella quale la a avesse la forma aperta, facil-
mente confondibile con la u. D’altra parte anche in maiuscola la
sequenza di due lettere identiche poteva essere soggetta ad aplo-
grafia. Arus. 100, 10 riporta il passo con la variante amplectens
per amplexus, che certamente si deve alla confusione con Verg.
Aen. 10, 523 et genua amplectens effatur talia supplex, come prova
anche l’erronea indicazione di provenienza dell’esempio, Virg.
Aen. X (vd. Di Stefano 2011, p. 170). L’attribuzione del passo
al libro X suggerisce che i due luoghi fossero confusi già nella
fonte degli Exempla elocutionum, che doveva già attestare amplec-
tens; è dunque probabile che Prisciano abbia citato Verg. Aen.
3, 607- 608 indipendentemente dalla fonte comune ad Arusiano.

93, 15-18 πρός e accusativo: secundum e accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Demosth. 19,
436 COMMENTO

226 πρὸς ὑμᾶς) – lemma latino – citazione latina (Lucan. 8,


332-333).
CITAZIONI GRECHE. Il genitivo semplice παραπρεσβείας è
un modo di esprimere il titolo dell’orazione non altrimenti
attestato: non si può escludere una corruttela (ad esempio
l’omissione di περί o uno scambio di caso, dal dativo
ΠαΡαΠΡεCΒεΙαΙ a ΠαΡαΠΡεCΒεΙαC) in qualche stadio della
tradizione del lessico fonte di Prisciano o forse anche dell’Ars.
LEMMA LATINO. Nel libro XIV Prisciano glossa secundum con
delle preposizioni greche diverse da πρός (GL III 26, 27-28
‘secundum’ quoque, quando pro κατά et μετά accipitur, loco praepo-
sitionis est), alla quale viene invece accostato nella voce in esa-
me. Il valore di “conformemente a, secondo” assegnato a secun-
dum negli Atticismi è attestato già in Ter. Eun. 1090 conlaudavi
secundum facta et virtutes tuas; in generale tuttavia Hofmann –
Szantyr, p. 249, osservano la rarità dell’uso preposizionale di
secundum nel latino classico rispetto all’epoca tardoantica, nella
quale esso si diffonderebbe molto maggiormente, spesso anche
in corrispondenza di un ipotesto greco con κατά (cfr. Lund-
ström 1955, pp. 172-173).
CITAZIONI LATINE. Lucan. 8, 332-333 illustra l’uso preposizio-
nale di secundum anche in GL III 26, 27-27, 3. Si noti che il
passo di Lucano attesta un valore di secundum, locale, diverso da
quello descritto dal lemma latino della voce e richiesto dal con-
fronto con Demosth. 19, 226 (cfr. OLD s. v. secundum, 2).

94, 1-5 προμηθέομαι con genitivo o accusativo: consulo,


provideo, prospicio con dativo o accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (προμηθοῦμαι) –
citazioni greche (Plat. Crit. 44e1-2; Herod. 9, 108) – lemma
latino, con osservazione aggiuntiva.
LEMMA LATINO. La sintassi di provideo e prospicio è trattata anche
in GL III 272, 13; 273, 27-28; Att. 28, 8, dove a entrambi i
verbi si ascrive la reggenza sia dell’accusativo sia del dativo (vd.
supra, ad loc.; per il solo prospicio cfr. anche 28, 8; 41, 7- 8; 87, 8-
10; 109, 10). Prisciano tratta di consulo anche nel capitolo del
libro XVIII sulle costruzioni verbali, dove lo include tra i supe-
94, 1-5 437

reminentia, che reggono il dativo, osservando però che, con un


diverso significato, il verbo può anche essere usato transitiva-
mente: GL III 273, 23-274, 1 supereminentia vel subiecta sunt, ut
‘[…] consulo tibi’; nam ‘consulo te’ interrogativum est et tunc habet
passivum. Le due reggenze di consulo sono registrate anche da
Arus. 20, 15-18 Di Stefano, il quale prende in esame però solo
attestazioni del verbo con oggetti inanimati. Prisciano e gli altri
grammatici che si occupano della sintassi di consulo in alcune
raccolte di idiomata (Char. 382, 23 consulo tibi; 383, 25 consulo
praeceptorem; Diom. GL I 313, 5 consulo tibi; 315, 2 consulo praecep-
torem; Idiom. cas. GL IV 571, 11 consulo infanti; Beda orth. 16, 218
Jones consulo tibi; cfr. anche Char. 332, 23; Diom. GL I 399, 16)
fanno, invece, riferimento al suo uso con oggetti animati.
PROBLEMI TESTUALI. Plat. Crit. 44e1-2 è citato con la variante
εἰπέ μοι, ὦ Σώκρατες per τάδε δέ, ὦ Σώκρατες, εἰπέ μοι:
l’omissione di τάδε δέ si potrebbe imputare a un’intenzionale
riduzione del passo ad opera del lessicografo atticista. L’inver-
sione di ὦ Σώκρατες … εἰπέ μοι in εἰπέ μοι, ὦ Σώκρατες
potrebbe di conseguenza aver avuto luogo per un adeguamento
dell’ordo verborum del passo a seguito del taglio del complemento
oggetto, allo scopo di evitare che il vocativo si trovasse in prima
posizione nella frase; questa ulteriore alterazione non potrebbe
certamente essere ‘meccanica’. Ad eccezione di questo passo,
nei dialoghi platonici εἰπέ μοι precede sempre il vocativo (vd.
Plat. Crit. 50a9; Phaedr. 229b4; Euthyd. 283b4; 302b4; Prot.
311b2; 311b8; 311d6; Gorg. 447d6; 481b6; 481b10; 489b7;
Hipp. mai. 292c6; Resp. 343a3); anche il complemento oggetto
in dipendenza da εἰπέ μοι è molto raro (altrove solo in Crat.
429d8, dove manca però il vocativo) e di norma direttamente
seguito da un’interrogativa diretta. La variante εἰπέ μοι, ὦ
Σώκρατες, più coerente con l’usus platonico, potrebbe dunque
aver caratterizzato già il testo del Critone impiegato dal compila-
tore del lessico. Nello stesso passo Prisciano si accorda in lezio-
ne superiore con i codici BT nell’attestare dopo γε la negazione
μή, omessa in W (vd. Menchelli 2014, p. 232).
Nella citazione di Herod. 9, 108 il grammatico reca la forma
attica ἀδελφόν invece dello ionico ἀδελφεόν della maggior
438 COMMENTO

parte dei testimoni diretti; l’accordo in questa lezione con il


codice T di Erodoto deve essere ritenuto casuale.

94, 6-7 πρὸς πατρός: a patre


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino.
LEMMA GRECO. Il locus classicus, a partire dal quale è stato for-
mulato il lemma di questa voce è stato riconosciuto da E. Mül-
ler 1911, p. 2, e Valente 2012, p. 318, in Demosth. 57, 17
δεῖξαι πρὸς ὑμᾶς ἐμαυτὸν Ἀθηναῖον ὄντα καὶ τὰ πρὸς
πατρὸς καὶ τὰ πρὸς μητρός.
LEMMA LATINO. Le espressioni a patre e a matre, che presup-
pongono un uso della preposizione ab non altrimenti attestato,
devono essere considerate delle traduzioni ad verbum del lemma
greco. La preposizione latina più adatta a rendere πρός in locu-
zioni del tipo “da parte di padre” è, infatti, ex, che lo stesso
Prisciano impiega con questo valore in GL III 264, 20-265
Platon in Alcibiade priore: ‘πρὸς πατρός τέ σοι φίλους καὶ
συγγενεῖς πλείστους εἶναι καὶ ἀρίστους [...]’. quod nos […]:
‘ex patre tibi amicos et cognatos plurimos esse et optimos [...]’, proprio
in corrispondenza di un’espressione greca identica a quella lem-
matizzata negli Atticismi. Vd. più dettagliatamente Spangenberg
Yanes 2014, p. 126.

94, 8-10 πρός con dativo con valore di stato in luogo:


apud e ad con accusativo con valore di stato in luogo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con glossa sintattica
– lemma latino, con glossa sintattica – citazione latina (Verg.
Aen. 1, 24).
LEMMA GRECO. L’espressione πρὸς τῷ διαιτητῇ è quasi esclu-
siva dell’uso di Demostene (27, 49 e 53; 29, 31; 36, 33; 39, 22;
41, 12; 45, 8 e 23-25 e 60; 54, 29-30; inoltre Ps. Demosth. 40,
10 e 31; 43, 31; 46, 5; 47, 5-6 e 47; 49, 21 e 34 e 43 e 55; 59,
60bis; Lys. 10, 6); è dunque assai probabile, come già notato da
Ucciardello 2014, p. 34 n. 5, che nella formulazione di questo
lemma l’estensore del lessico fonte avesse in mente uno o più
passi del corpus demostenico. Il sintagma alternativo con cui è
glossato il lemma della voce in esame, παρὰ τῷ διαιτητῇ, è
94, 11-15 439

anch’esso circoscritto all’uso demostenico, ma molto più raro


(29, 58; 36, 18).
LEMMA LATINO. L’equivalenza di arbiter e διαιτητής è postula-
ta anche nei glossari medievali (CGL II 19, 5; 25, 12; 271, 28).
Prisciano si occupa di ad anche nel libro XIV, dove adotta
però una formulazione meno chiara che nel lessico, evitando di
distinguere tra gli usi della preposizione con funzione di stato in
luogo e di moto a luogo: GL III 37, 7-10 ‘Ad’ […] plerumque
proximitatem significat, ut ‘[...] ad Troiam’ pro ‘iuxta Troiam’, ‘ad
urbem’ pro ‘iuxta urbem’, ‘ad balneas Pallacinas’ pro ‘iuxta balneas’.
Anche Servio rileva in ad una nozione di vicinanza: GL IV 419,
15-16 ergo ‘ad urbem’ quod dixit, propinquantis significatio habetur,
non ingredientis. Nel libro XIV Prisciano postula anche esplicita-
mente il valore di stato in luogo di apud, l’altro lemma latino
della voce in esame: GL III 40, 12 ‘Apud’ unam habet significatio-
nem in loco, ut ‘apud Numantiam’ (cfr. Serv. GL IV 419, 5- 6;
Explan. in Don. GL IV 517, 18-19; Pomp. GL V 273, 16).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 24 è citato anche in GL III
30, 18-19, dove genericamente illustra il valore locale di ad.
Alcuni manoscritti inoltre recano questo stesso esempio, in forma
però corrotta, come aggiunta marginale ad Att. 41, 16: vd. Ro-
sellini 2015a, p. CXXX; cfr. supra, commento ad loc. Lo stesso
verso è utilizzato anche da altri grammatici, che parimenti vi
rilevano il valore di stato in luogo del complemento ad Troiam,
per lo più giustificato con il criterio dell’auctoritas (Serv. GL IV
419, 6- 8 sed ad non numquam auctoritate etiam in loco reperitur, ut
[…] ‘ad Troiam ... Argis’; Pomp. GL V 273, 17-19 tamen omnes
antiqui et idonei et firmi auctores iunxerunt quasi in loco, ‘prima …
Argis’; sim. Explan. in Don. GL IV 517, 19-21; cfr. Arus. 9, 1-2).

94, 11-15 πυνθάνομαι con participio predicativo: audio


con participio predicativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca (Xe-
noph. Cyr. 7, 3, 7) – osservazione teorica sul latino – lemma lati-
no, con osservazione aggiuntiva – citazione latina (Iuv. 10, 81).
LEMMA GRECO. Il lemma della voce è stato probabilmente
formulato a partire da Herod. 4, 43 τούτου δὲ τοῦ
440 COMMENTO

Σατάσπεος εὐνοῦχος ἀπέδρη ἐς Σάμον, ἐπείτε ἐπύθετο


τάχιστα τὸν δεσπότεα τετελευτηκότα.
LEMMA LATINO. L’equivalenza di costrutti infinitivi e partici-
piali è più volte osservata da Prisciano sia negli Atticismi sia in
altre sezioni dell’Ars (vd. supra, p. 295).
CITAZIONI LATINE. Iuv. 10, 81 non conosce altre citazioni in
ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Xenoph. Cyr. 7, 3, 7
Prisciano si accorda con la famiglia y della tradizione diretta
nella lezione πυνθάνωνται, mentre il resto dei codici della
Ciropedia recano il singolare πυνθάνηται. Il grammatico testi-
monia inoltre l’ulteriore variante ὅπου, preferita da Gemoll –
Peters alle lezioni ὅποι (yAHV) e ὅπῃ (xG) dei testimoni di-
retti. Sulla tradizione manoscritta della Ciropedia, divisa in tre
famiglie principali (x = CE; y = DF; z = AGH) e alcuni codici
di meno chiara collocazione nello stemma (V nel passo di no-
stro interesse), vd. Gemoll – Peters 1968, pp. V-VIII.
L’indicazione di provenienza della citazione di Giovenale è priva
del numero di libro: la preposizione in così sospesa ha generato
nei manoscritti una serie di corruttele o tentativi di integrazio-
ne. Il numerale I, aggiunto in FIWDO e TR p. c., fornirebbe
peraltro un’indicazione errata, giacché il passo citato di Giove-
nale avrebbe dovuto essere riferito piuttosto al libro IV. In tutte
le citazioni di Giovenale nel lessico, tranne quella in esame e
un’altra in 98, 9, dove parimenti l’indicazione del numero di
libro è lasciata in sospeso, Prisciano osserva, infatti, una riparti-
zione delle Satire in libri del tutto identica a quella testimoniata
dai manoscritti del poeta latino. In generale sulle citazioni in-
complete, indici di una mancata revisione finale del testo da parte
di Prisciano, vd. Rosellini 2015a, pp. XCVII-XCVIII e CXLIV.

94, 16-17 σέμνυνομαι con accusativo o ἐπί e dativo:


laetor con accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (σέμνυνεται) – cita-
zione latina (Sall. Catil. 51, 29).
LEMMA GRECO. La costruzione di σέμνυνομαι con l’accusati-
vo, assai più rara di quella con ἐπί e il dativo o con il dativo
94, 16-17 441

semplice (vd. LSJ s. v., II), è attestata solo in epoca imperiale


(ad es. Herodian. 5, 7, 3; Heliod. 2, 34, 2). Prisciano ne testi-
monierebbe, invece, indirettamente la diffusione già nel dialetto
attico di età classica (cfr. supra, p. XLIV).
Ferri 2014, p. 109 n. 46, ha individuato due loci classici che
potevano in origine corredare questo lemma in Demosth. 18,
256 οὔτ’ εἴ τις ἐν ἀφθόνοις τραφεὶς ἐπὶ τούτῳ σεμνύνεται;
Plat. Gorg. 512b8-9 σεμνύνων τὸ πρᾶγμα. Rispetto al primo
passo occorre tuttavia notare che si conoscono diverse altre
occorrenze di σεμνύνομαι con ἐπί e il dativo nella letteratura
attica di età classica (ad es. Plat. Theaet. 175a5-6; Isocr. Big. 29;
Demosth. 19, 235) e che la presenza della terza persona singola-
re sia nel lemma priscianeo sia nel luogo demostenico non è di
per sé sufficiente a provare la conoscenza di quest’ultimo da parte
del compilatore del lessico fonte: è piuttosto frequente, infatti,
che i lemmi degli Atticismi siano ricondotti alla terza persona
singolare anche quando la citazione protolemmatica attesta una
diversa forma del verbo (vd. supra, p. XLV). Similmente, nel
confronto con Plat. Gorg. 512b8-9 non sembra opportuno
sopravvalutare la presenza dell’accusativo τὸ πρᾶγμα: questo
sostantivo è, infatti, utilizzato per indicare la reggenza anche di
altri lemmi priscianei, non necessariamente ricavati da loci
classici contenenti il termine πρᾶγμα (vd. supra, p. XLVI). Il
passo del Gorgia costituisce peraltro un’attestazione di
σεμνύνω all’attivo, mentre il lemma degli Atticismi concerne
la forma mediopassiva del verbo – un aspetto che certamente
non dovette sfuggire a Prisciano, il quale ha, infatti, istituito
un confronto con laetor.
LEMMA LATINO. Sulla costruzione di laetor con l’accusativo di
relazione, già trattata in 39, 1-2, vd. supra, ad loc.
CITAZIONI LATINE. Sall. Catil. 51, 29 è citato anche in 39, 2,
ancora a proposito dell’uso di laetor con l’accusativo.
PROBLEMI TESTUALI. La corruttela di ea in et si trova anche
nella citazione di Sall. Catil. 51, 29 in 39, 2. Il lemma latino di
quella voce (‘laetor his’ et ‘haec’) garantisce che Prisciano leggeva
l’accusativo ea e che pertanto l’errore si deve essere verificato
indipendentemente nei due passi, probabilmente per un frain-
442 COMMENTO

tendimento di natura grafica a partire da una minuscola altome-


dievale (vd. Rosellini 2014a, p. 351 n. 34; 2015a, p. XCV).

95, 1-5 στέφομαι con dativo o accusativo: coronor con


accusativo o ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (στέφεται) – lemma
latino – lemma latino secondario – citazioni latine (Hor. epist.
1, 1, 50; Verg. Aen. 7, 417- 418; 10, 681- 682).
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di corono e
στέφω è attestata anche in Dosith. 103, 14 Tolkiehn e nello Ps.
Cirillo (CGL II 437, 44).
La costruzione di corono con l’ablativo e il complemento
oggetto è comunemente in uso a partire dal I secolo a. C./I d.
C. (vd. ThlL s. v. corono [Gudeman], IV 990, 12-20 e 53-69;
991, 22-32), mentre non si conoscono altre occorrenze, oltre a
quella oraziana riportata da Prisciano, dell’uso del verbo con
l’accusativo di relazione indicante la gara nella quale si viene
incoronati (in Hor. carm. 2, 7, 7 coronatus nitentes malabathro
Syrio capillos l’accusativo esprime, infatti, la parte del corpo; cfr.
ThlL s. v. corono, IV 990, 69-70). La sintassi di corono non è
discussa da altri grammatici latini. La costruzione del lemma
secondario della voce, induo, con l’ablativo o l’accusativo di
relazione è trattata anche in 50, 16-17; 82, 15: vd. ad locc.
In generale l’uso figurate dell’accusativo di relazione con i
verbi passivi è discusso in più voci degli Atticismi (cfr. 11, 7-
11; 13, 6-10; 30, 12-31, 7; 34, 13-14; 50, 16-21; 115, 4-10,
con commento ad locc.), oltre che nel libro VIII e nella prima
metà del XVIII (GL II 374, 27-375, 8; 391, 20-392, 5; III
269, 27-270, 5).
CITAZIONI LATINE. Il confronto tra coronari … Olympia in Hor.
epist. 1, 1, 50 e il nesso di στέφομαι con l’accusativo di relazio-
ne è sostenuto anche da Gudeman, che considera l’espressione
oraziana un grecismo (ThlL s. v. corono, IV 990, 78- 80).
Verg. Aen. 10, 681-682 illustra la costruzione di induo con
l’ablativo anche in 82, 17 (vd. commento ad loc.). Verg. Aen. 7,
417- 418 è citato anche da Consent. GL V 370, 3-5, con un
interesse però diverso da quello di Prisciano, cioè per provare
95, 6-14 443

che induo, anche nella forma attiva, ha comunque una vis passiva,
in quanto l’azione espressa dal verbo si esercita sul soggetto.
Non sembra dunque esservi un rapporto tra i due grammatici
nell’utilizzo di questo esempio.
PROBLEMI TESTUALI. L’incompletezza dell’indicazione di pro-
venienza del passo oraziano, lasciata da Prisciano in sospeso, si
accompagna a un’imprecisione nel dettato stesso della citazione
(Hor. epist. 1, 1, 50 magna coronari contemnat Olympia), probabil-
mente per un errore di memoria del grammatico.

95, 6-14 pleonasmo ed ellissi di σύν: pleonasmo ed


ellissi di cum
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca (De-
mosth. 18, 314) – lemma latino – citazioni greche (Ar. Eq. 2-3;
Hom. Il. 8, 24), con glossa sintattica – osservazione teorica sul lati-
no – citazione latina (Verg. Aen. 9, 815-816), con glossa sintattica.
LEMMA GRECO. L’uso pleonastico delle preposizioni dopo
verbi composti con le stesse è discusso, sia sul versante greco sia
su quello latino, anche in GL III 194, 7-195, 12; Att. 17, 5-9
(vd. ad loc.). Nel primo passo sono richiamati tre esempi relativi
al nesso di verbi composti con σύν e complementi espressi con
μετά e il genitivo (Isocr. Paneg. 146 μεθ’ οὗ συνηκολού-
θησαν; Aristom. fr. 3 K.-A. μετ’ ἐμοῦ ξυνέσῃ; Isocr. Ad Nic.
27 μεθ’ ὧν … συνδιατρίψεις), probabilmente tratti da un
lemma del lessico atticista di contenuto analogo a quello in
esame ma riferito a μετά (vd. Spangenberg Yanes 2017a, p. 663).
Anche l’ellissi della preposizione è oggetto di una sezione del
libro XVII (GL III 195, 13-21), nella quale il grammatico cita
proprio degli esempi relativi a σύν (Hom. Il. 8, 24) e cum
(Verg. Aen. 8, 546; 5, 414), cioè i lemmi della voce in esame.
CITAZIONI GRECHE. Demosth. 18, 314 è riportato anche in 77,
12-13, con un taglio diverso (πρὸς … παραβάλλειν ἐμέ) e a
proposito di παραβάλλω. Hom. Il. 8, 24, citato da Prisciano
per l’ellissi della preposizione anche in GL III 195, 17-19, è
considerato un esempio di questo fenomeno anche nello scolio
ad loc. e in Hesych. α 8388; Schol. Eur. Ph. 3. L’ellissi della
preposizione in Ar. Eq. 3 è rilevata anche in Schol. vet. Ar. Eq.
444 COMMENTO

3a Ἀττικὸν τὸ σχῆμα καὶ ἡ σύνταξις τοῦ λόγου, ὡς εἰ


λέγοιμεν, αὐτοῖς ὅπλοις, αὐτοῖς ἵπποις.
LEMMA LATINO. Il nesso di convenio con cum e l’ablativo è regi-
strato anche in Char. 385, 6-7; Diom. GL I 316, 4.
CITAZIONI LATINE. L’ellissi della preposizione in Verg. Aen. 9,
815 è notata anche da Serv. Aen. 9, 812 OMNIBUS ARMIS ‘cum’
minus est. Per motivi diversi il luogo virgiliano è citato in Arus.
28, 19-20 Di Stefano, sotto il lemma DAT IN ILLUD; Non. 387,
3- 6, a proposito del significato di saltus.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Demosth. 18, 314, qui
diversamente che nella sua occorrenza in 77, 11-13, è aggiunto
il καί iniziale ed è omesso ἐμέ dopo παραβάλλειν. Il prono-
me personale potrebbe essere stato tagliato dal compilatore del
lessico fonte perché inessenziale alla comprensione della sintassi
del passo, mentre in 77, 11-13, dove la citazione si arresta im-
mediatamente prima di τὸν συνζῶντα, era necessario conser-
vare ἐμέ come complemento oggetto di ἐξετάζειν καὶ
παραβάλλειν. Nella seconda parte del periodo, esclusa dal
taglio della citazione in 77, 11-13, Prisciano attesta inoltre
συνζῶντα per νῦν ζῶντα della maggior parte dei testimoni
diretti, tranne i codici AF, latori della lezione συζῶντα. Que-
st’ultima, respinta dagli editori di Demostene, potrebbe ricevere
sostegno proprio dalla presenza della forma assai vicina,
συνζῶντα, negli Atticismi priscianei. Il grammatico latino tro-
vava, infatti, certamente tale lezione già nella sua fonte atticista,
giacché è proprio il nesso pleonastico di συνζῶντα con μετά e
il genitivo a motivare l’impiego di questo passo sotto il lemma
σύν. Purtroppo non è possibile ricavare ulteriori dati a sostegno
dell’una o dell’altra variante, giacché sia il nesso νῦν ζάω (cfr.
Demosth. 60, 11) sia il verbo συζάω (cfr. Demosth. 1, 14; 19,
69; Ps. Demosth. 40, 57) sono molto rari nel corpus demosteni-
co e il secondo è comunque sempre costruito col dativo sem-
plice, non con μετά e il genitivo.
Nella citazione di Ar. Eq. 2-3 la variante αὐταῖς διαβολαῖς
per αὐταῖσι βουλαῖς della tradizione diretta e degli scolî ad loc.
sembra dovuta alla confusione con i vv. 6-7 della stessa comme-
dia: κάκιστα δῆθ’ οὗτός γε πρῶτος Παφλαγόνων / αὐταῖς
95, 15-96, 7 445

διαβολαῖς. Proprio il v. 7 è citato come esempio di ellissi di


σύν, lo stesso fenomeno trattato da Prisciano, in Phryn. praep.
fr. 285 [= Sud. α 4466]; Schol. Hom. Il. 3, 2b1. L’ellissi della
preposizione nel v. 7 dei Cavalieri è osservata anche negli scolî
ad loc. (7a-7c), in uno dei quali questo verso viene esplicitamen-
te confrontato con il v. 3 della commedia (7a αὐταῖσι διαβο-
λαῖς· ὅμοιον καὶ τοῦτο τὸ σχῆμα τῷ ‘αὐταῖσι βουλαῖς’).
La prima occorrenza della citazione di Hom. Il. 8, 24 nell’Ars
(GL III 195, 18-19) è caratterizzata dalla variante κε per τε. Nel
lessico, invece, i manoscritti recano concordemente Γε, che non
è però necessario ritenere un’ulteriore variante rispetto alla tradi-
zione diretta: considerata la facile confusione di Γ e Τ in maiu-
scola, è preferibile collocare la genesi di questa lezione nella
trasmissione manoscritta dell’Ars Prisciani piuttosto che attribuir-
la a un errore di memoria del grammatico o alla sua fonte.
La corruttela di Aristophanes in c(h)ristophanes in parte dei
manoscritti si verifica anche in 75, 6; 80, 1; 81, 5; 99, 1 (cfr. 89,
16): vd. supra, p. 364.

95, 15-96, 7 genitivo di pertinenza


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (συγγνώμης οὐκ
ἔστιν), con glossa latina – citazione greca (Demosth. 37, 53) –
citazione latina (Sall. Iug. 85, 10) – osservazione teorica aggiun-
tiva – citazioni latine (Ter. Andr. 118-120; Cic. Phil. 2, 4).
CITAZIONI GRECHE. Come hanno riconosciuto E. Müller
1911, p. 2, e Ferri 2014, p. 107, Demosth. 37, 53 è citazione
protolemmatica anche di una successiva voce del lessico, nella
forma attuale priva di esempi greci (102, 15 Attici ‘τοῦ
πλείονός ἐστιν οὗτος’; vd. anche infra, ad loc.).
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di venia e
συγγνώμη è istituita anche nei glossari medievali (CGL II 205,
63; 440, 51; III 466, 11).
Il genitivo di pertinenza è trattato da Prisciano anche nella
prima metà del libro XVIII, dove il grammatico confronta le
due lingue, osservando che il greco ammette esclusivamente il
costrutto con il genitivo, mentre il latino offre l’alternativa
dell’ablativo di limitazione (GL III 214, 14-15 et Graeci quidem
446 COMMENTO

in huiuscemodi sensu genetivo tantum utuntur, Latini vero etiam abla-


tivo frequentius; sim. 221, 10-13; cfr. 224, 13-15).
CITAZIONI LATINE. Sall. Iug. 85, 10 e Ter. Andr. 118-120 illu-
strano rispettivamente il genitivo di pertinenza e l’ablativo di
limitazione anche nella prima metà del libro XVIII (GL III 221,
19-24). Il passo sallustiano è richiamato inoltre, a proposito del
medesimo uso linguistico, in Att. 103, 1-2. Ter. Andr. 118-120
è ripetuto per lo stesso motivo in GL III 214, 17-20 e, a propo-
sito dell’avverbio fortasse, in GL III 87, 4-5 (dove la citazione ha
un taglio più ridotto: forma. – bona fortasse). Sull’espressione
forma bona cfr. Bagordo 2001, pp. 40- 41.
Cic. Phil. 2, 4 non conosce altre occorrenze negli scritti di
Prisciano né presso altri grammatici. L’uso del dativo del gerun-
dio con sum è per lo più circoscritto in età repubblicana e pro-
toimperiale a solvo e costituisce un’espressione tipica della lingua
giuridico-economica; in età imperiale e in modo più accentuato
nella letteratura cristiana tardoantica esso si estende progressiva-
mente ad altri verbi (cfr. ad es. Ov. met. 9, 684- 685 iamque
ferendo / vix erat illa gravem maturo pondere ventrem; 15, 403 cum
dedit huic aetas vires onerique ferendo est; vd. Forcellini s. v. solvo,
B.1.b; OLD s. v. solvo, 18c; Aalto 1949, p. 64; Hofmann –
Szantyr, p. 377; Ramsey 2003, p. 167).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Demosth. 37, 53 la
variante μήτε ἄλλου τινός per μήτε ἄλλου μηδενός soppri-
me la doppia negazione.
Sall. Iug. 85, 10, citato nella voce in esame con l’omissione
di veteris prosapiae ac dopo homines, è completo, invece, di que-
sto primo genitivo in GL III 221, 19-20; Att. 103, 1-2. In tutte
le tre occorrenze dell’esempio nell’Ars si osservano poi l’omis-
sione di ac davanti a multarum e la variante ac tra imaginum e
nullius in luogo di et dei codici sallustiani. L’asindeto testimo-
niato da Prisciano tra i primi due genitivi, veteris prosapiae e
multarum imaginum, sembra più conforme alla predilezione di
Sallustio per il cosiddetto “tricolon variato”, con asindeto tra i
primi due membri e polisindeto tra il secondo e il terzo (vd.
Fanetti 1981, pp. 5- 6; 1983, pp. 4-5; Oniga 1990, p. 39) e
potrebbe dunque rappresentare una pregevole variante rispetto
96, 8-13 447

al testo tràdito per via diretta. Il plurale homines (non registrato


negli apparati critici di Kurfess e Reynolds) per hominem dei
codici sallustiani è probabilmente, invece, una lezione inferiore:
nel contesto di provenienza hominem è, infatti, apposizione di
un accusativo singolare (Si quem ex illo globo nobilitatis ad hoc aut
aliud tale negotium mittatis, hominem veteris prosapiae ecc.).
Ter. Andr. 118-120 (interea inter mulieres / quae ibi aderant
forte unam aspicio adulescentulam / forma... – bona fortasse – et voltu,
Sosia, / adeo modesto, adeo venusto ut nil supra) si presenta in cia-
scuna delle sue occorrenze nell’Ars (tranne GL III 87, 5 forma
bona fortasse) con lievi varianti rispetto sia alla tradizione diretta
sia alle altre citazioni dello stesso passo in Prisciano. Anche il
taglio dell’esempio varia da un luogo all’altro. Nei tre luoghi
del libro XVIII (compresa la voce in esame) è attestata la con-
giunzione ac per et della tradizione diretta: si tratta dell’unica,
tra le varianti con le quali Prisciano cita questo passo, che po-
trebbe essersi trovata già nel testo terenziano noto al grammati-
co. Le forme vultu in luogo di voltu (GL III 221, 22; Att. 96, 4;
è probabile che si debba mettere a testo vultu, diversamente da
quanto fa Hertz, anche in GL III 214, 19: vd. apparato ad loc.,
la stessa grafia è anche nel codice Z) e fortassis invece di fortasse
(Att. 96, 4) potrebbero, infatti, anche essersi prodotte nella
tradizione manoscritta dell’Ars. Bona fortasse potrebbe essere
stato omesso intenzionalmente da Prisciano in GL III 214, 18 e
221, 21; egli tuttavia certamente conosceva il passo dell’Andria
con queste due parole, giacché le include nelle citazioni dello
stesso in GL III 87, 5; Att. 96, 3. La variante video unam per
unam aspicio in GL III 214, 18 e l’omissione di aderant forte dopo
ibi in Att. 96, 3-4 (a causa della quale l’avverbio risulta legato al
verbo aspicio invece che alla proposizione relativa quae … ade-
rant) possono dipendere da errori di memoria del grammatico.

96, 8-13 σύνοιδα con participio in dativo o nominativo:


conscius sum con participio in dativo e nominativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca
(Isocr. Phil. 79) – lemma latino – lemma latino secondario –
citazione latina (Verg. Aen. 2, 377).
448 COMMENTO

LEMMA LATINO. Σύνοιδα è reso con conscius sum anche nello


Ps. Filosseno (CGL II 112, 9); più spesso i glossari medievali
attestano la semplice corrispondenza di conscius a participi e
aggettivi corradicali di σύνοιδα (συνίστωρ in CGL II 112, 10;
446, 47; III 158, 37; 375, 16; 443, 39; συνειδώς in CGL II
445, 5- 6; 446, 39).
Conscius, di cui diverse fonti grammaticali registrano la reg-
genza del genitivo (Arus. 22, 13 Di Stefano; Diom. GL I 312,
7; App. Prob. 2, 14 Asperti-Passalacqua; Explan. in Don. GL IV
553, 17; 556, 14-15; Dosith. 86, 15 Tolkiehn), è menzionato
per la costruzione con il participio solamente negli Atticismi
priscianei. Nessuno dei due usi sintattici assegnati dal nostro
grammatico al nesso conscius sibi esse risulta altrimenti attestato:
conscius sibi non regge mai il participio, né concordato con l’ag-
gettivo né con il pronome (cfr. ThlL s. v. conscius [Spelthahn],
IV 372, 25-373, 42). Il lemma latino formulato da Prisciano in
questa voce deve pertanto essere inteso come una traduzione
letterale di quello greco. Non a caso il grammatico sposta di
seguito l’attenzione su altre espressioni, realmente in uso e lata-
mente paragonabili al lemma greco della sua fonte: la prima a
cagione dell’alternativa tra parte nominale, concordata con il
soggetto, o dativo, concordato con il pronome personale
(σύνοιδα ἐμαυτῷ … ποιοῦντι καὶ … ποιῶν / nomen est mihi
Iulus et … Iulo); la seconda per la dipendenza di un participio
predicativo in nominativo da un verbo di percezione attivo
(σύνοιδα … ποιῶν / sensit … illapsus).
Nel lemma secondario ‘nomen est mihi Iulus’ et ‘Iuli’ et ‘Iulo’
et ‘Iulum’ non è chiaro quale interpretazione sintattica si debba
dare all’accusativo Iulum. Le altre tre costruzioni sono diffusa-
mente attestate nella lingua letteraria (vd. Hofmann – Szantyr,
pp. 90-91; Löfstedt 1956, II, pp. 108-109); non si conoscono,
invece, occorrenze di quella con l’accusativo, la cui presenza
non è in alcun modo giustificata in un simile contesto sintatti-
co. Come mi suggerisce Michela Rosellini, è possibile che Pri-
sciano abbia in qualche modo sovrapposto l’espressione nomen
mihi est a nomen habeo e per questo motivo abbia previsto anche
il costrutto con l’accusativo. In alternativa si può ipotizzare che
96, 8-13 449

il grammatico si sia lasciato ‘trascinare’ dal paradigma e abbia


automaticamente aggiunto l’accusativo dopo nominativo, geni-
tivo e dativo. Una svista simile potrebbe essere sfuggita anche
alla penna di un copista (al più tardi nell’archetipo α) e in tal
caso et Iulum dovrebbe essere espunto.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 2, 377 è la citazione più spesso
addotta da Prisciano negli Atticismi a proposito di costrutti parti-
cipiali: essa occorre anche in 46, 12; 56, 15; 58, 2; 82, 2 (vd.
commento ad locc.).
PROBLEMI TESTUALI. La citazione dal Filippo di Isocrate è impro-
priamente introdotta, nei manoscritti, dal titolo ΦιΛιΠΠιΚωΝ.
Fassino 2014, pp. 265-266, ritiene che quest’indicazione erro-
nea risenta dell’influsso delle più celebri Filippiche demosteniche
(cfr. Rosellini 2015a ad loc.) e debba essere conservata nel testo.
Essa è, invece, opportunamente corretta da Krehl, Hertz (GL
III 360, 10) e Rosellini in Φιλιππικῷ piuttosto che nel più
ovvio Φιλίππῳ (così Scaligero, p. 744, seguito da van Put-
schen). Il titolo Φιλιππικῷ è, infatti, più volte attestato nel
lessico di Arpocrazione per introdurre citazioni dal Filippo, seb-
bene Bekker e Dindorf emendino sistematicamente la forma
tràdita dai codici in Φιλίππῳ (25, 4; 148, 4; 158, 9; 215, 18; il
titolo è esatto, invece, in 31, 6; 42, 15; 49, 14). Questo errore,
che godeva dunque di qualche circolazione in ambito lessico-
grafico, doveva essere già presente nella fonte atticista di Priscia-
no. L’ulteriore passaggio da ΦιΛιΠΠιΚωι a ΦιΛιΠΠιΚωΝ po-
trebbe aver avuto luogo nella tradizione manoscritta dell’Ars
Prisciani per assimilazione al genitivo plurale con cui frequente-
mente sono introdotte le citazioni dalle Filippiche demosteniche
o per qualche confusione di natura grafica. Una confusione
simile a quella ipotizzata nel passo in esame è attestata in 74, 13,
dove l’Ipparco di Platone è citato con il titolo Ἱππαρχικῷ (vd.
supra, ad loc.).
Nella citazione isocratea il lemma della voce, σύνοιδα al
perfetto, garantisce che il tràdito CΥΝειδειC di α deve essere
interpretato come συνειδῇς, in accordo con i codici ΓE di
Isocrate, e non come συνιδῇς di ΛΠ (supponendo un errore
di itacismo). Sulle desinenze -εις/-ῃς vd. supra, pp. XLIX-L. La
450 COMMENTO

nasale finale in ἐξαμαρτάνων, ripristinata da Scaligero (p.


744), può essere caduta perché immediatamente seguita da una
seconda N (Nostri) oppure perché in qualche stadio della tradi-
zione era notata per mezzo di un compendio, poi omesso per
errore. Sull’assenza di aspirazione in τ’ ὅταν vd. Rosellini
2015a, p. CXLII; la tradizione diretta si divide tra θ’ (ΓΛΠN) e
τε (Θ); cfr. Fassino 2014, p. 279.

96, 14-16 συλάω con doppio accusativo o accusativo e geni-


tivo: depilor con doppio accusativo o accusativo e genitivo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (συλήσας) – lemma
latino.
LEMMA GRECO. Il lemma, che pone un’alternativa tra la costru-
zione di συλάω con due accusativi e quella con l’accusativo e il
genitivo, registra più propriamente – in termini moderni – la
costruzione con il doppio accusativo, della cosa e della persona,
o con l’accusativo della cosa e il genitivo di possesso (quest’ulti-
mo dunque non direttamente dipendente dal verbo).
Ferri 2014, p. 109 e n. 45, ha proposto di identificare i luo-
ghi classici soggiacenti al lemma di questa voce in due brani
dell’orazione di Demostene Contro Timocrate (§ 120 τὰ μὲν
ἱερά, τὰς δεκάτας τῆς θεοῦ καὶ τὰς πεντεκοστὰς τῶν
ἄλλων θεῶν, σεσυληκότες; § 182 τὴν μὲν γὰρ θεὸν τοὺς
στεφάνους σεσυλήκασιν; il primo passo era stato individuato
già da E. Müller 1911, p. 2). L’espressione di Demosth. 24, 182
si ritrova identica nella Contro Androzione (§ 74), alla quale è
attribuita la citazione di quella pericope in Lex. Coisl. σ 171,
dove essa illustra la costruzione di συλάω col doppio accusati-
vo. Sembrerebbe dunque più probabile anche nel lessico pri-
scianeo un riferimento a questa seconda orazione. Non si può
però concludere con certezza che qui il lemma sia stato formu-
lato a partire da uno dei luoghi demostenici sopra citati: esso
contiene, infatti, il participio aoristo συλήσας, mentre in en-
trambi i passi dell’orazione Contro Timocrate il verbo è al perfet-
to, indicativo (σεσυλήκασιν) e participio (σεσυληκότες), e
non vi sarebbe stato motivo per il lessicografo di volgere dei
perfetti all’aoristo. È pertanto possibile che egli conoscesse
96, 17-97, 3 451

un’attestazione di συλάω al participio aoristo attivo, per noi


non più recuperabile, e che da questa abbia ricavato il lemma.
LEMMA LATINO. Nel lemma latino di questa voce, che costitui-
sce un calco sintattico del lemma greco, è anche notevole dal
un punto di vista morfologico e semantico l’uso del participio
depilatus con valore attivo. Il confronto col trattamento dei
composti di pīlo e pĭlo nella glossografia bilingue (CGL II 65,
58; 105, 1-2; 111, 20-22; 241, 10; cfr. Dosith. 103, 16 Tol-
kiehn) consente di ipotizzare che, sul modello di alcune coppie
di composti di questi due verbi omografi, Prisciano abbia co-
niato la forma depilatus presupponendo un non altrimenti atte-
stato *depīlor. Il valore attivo del participio perfetto depilatus –
come se si trattasse di un verbo deponente – è probabilmente
motivato dall’esigenza di conservare in latino insieme la diatesi
e il tempo del participio aoristo attivo συλήσας; vd. più appro-
fonditamente Spangenberg Yanes 2014, pp. 136-140.

96, 17-97, 3 συνίημι con genitivo o accusativo: intellego,


sentio con accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca
(Plat. Ion 530c1-3) – lemma latino.
LEMMA GRECO. Il confronto con Lex. Coisl. σ 11, dove la
costruzione di συνίημι con l’accusativo è illustrata per mezzo di
Demosth. 18, 111 τῶν μὲν οὖν λόγων, οὓς οὗτος ἄνω καὶ
κάτω †κυκῶν† ἔλεγε περὶ τῶν παραγεγραμμένων νόμων,
οὔτε μὰ τοὺς θεοὺς ὑμᾶς οἶμαι μανθάνειν †οὐδ’† αὐτὸς
ἐδυνάμην συνεῖναι τοὺς πολλοὺς †αὐτῶν†, autorizza l’ipo-
tesi che il compilatore del lessico fonte di Prisciano abbia for-
mulato il lemma, in cui la reggenza è espressa per mezzo di
λόγων e λόγους, a partire da questo passo.
LEMMA LATINO. Intellego è indicato come equivalente semanti-
co di συνίημι anche nello Ps. Cirillo (CGL II 446, 17 e 41).
L’uso transitivo di intellego non è registrato da altri grammati-
ci. Sulla costruzione di sentio con l’accusativo, trattata da Pri-
sciano in altre voci del lessico (8, 1; 25, 13-14; 26, 1) e in pre-
cedenti sezioni dell’Ars, vd. supra, p. 7.
PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Plat. Ion 530c1-3 è carat-
452 COMMENTO

terizzata dall’omissione di ποτε – probabilmente tagliato già nel


lessico fonte perché inessenziale a illustrare il lemma della voce
– dopo γένοιτο. Prisciano inoltre si accorda in lezione corretta
con i codici SF di Platone sia in quanto attesta l’aggettivo
ἀγαθός, omesso da TW, sia nella forma συνείη rispetto alle
varianti deteriori συνιείη di Wf e συνίη di T; per una discus-
sione più dettagliata vd Menchelli 2014, p. 226.
La corruttela di ὑπὸ τοῦ ποιητοῦ in ΥΠΟιΗΤΟΥ può essere
avvenuta per un saut du même au même da -πο a πο-.

97, 4-5 συγγιγνώσκω con accusativo: ignosco con accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Herod. 1, 91
συνέγνω) – lemma latino.
CITAZIONI GRECHE. Herod. 1, 91 è citato anche in Phot. lex.
α 1139 = Sud. α 1497, ma a proposito della forma ἁμαρτάς
(cfr. Antiatt. α 53; vd. Valente ad loc. e 2014, pp. 67- 68).
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di ignosco e
συγγιγνώσκω è attestata anche nella glossografia bilingue
(CGL II 76, 55; 79, 51; 439, 59; 440, 50).
Nessun altro grammatico tratta della sintassi di ignosco.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Herod. 1, 91 l’omissio-
ne delle parole ἑωυτοῦ εἶναι produce un costrutto e un senso
del tutto diversi (συγγιγνώσκω, “perdono”, con l’accusativo,
cfr. LSJ s. v., IV) da quelli del testo tràdito per via diretta
(συγγιγνώσκω, “ammetto, confesso”, con l’accusativo e l’infi-
nito, LSJ s. v., II.2). Difficilmente si tratterà di un taglio inten-
zionale operato dal compilatore del lessico. In questo caso però,
più che a una vera variante antica del testo erodoteo, si potreb-
be pensare a un guasto nella trasmissione manoscritta della fonte
di Prisciano ovvero a una citazione mnemonica imprecisa. La
mancanza dell’infinito implicherebbe, infatti, una configurazio-
ne completamente diversa del contesto di origine, nel quale ad
ἁμαρτάδα seguono le parole καὶ οὐ τοῦ θεοῦ, che in assenza
di ἑωυτοῦ εἶναι non danno senso. Il lemma latino affiancato da
Prisciano all’esempio greco, ignoscit culpam, garantisce in ogni
caso che il nostro grammatico già leggeva la citazione nella
forma conservata dai manoscritti.
97, 6-8 453

97, 6-8 συχνός maschile e femminile: stirps, finis, silex


maschili e femminili
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con osservazione
aggiuntiva – lemma latino.
LEMMA GRECO. Nella forma tràdita, il lemma non dà senso,
giacché prescrive l’uso sia al maschile sia al femminile di συχνός,
che è un aggettivo a tre terminazioni; questo tipo di osservazio-
ni si applica, infatti, solitamente a sostantivi ovvero aggettivi a
una o due uscite, come si verifica anche per i lemmi latini della
voce in esame. È dunque probabile che la forma συχνός, ben-
ché ripetuta due volte, sia corruttela di un altro termine, forse
un nome di pianta o frutto, come suggerisce l’uso di foetus nella
glossa che Prisciano fa seguire al lemma (vd. infra).
LEMMA LATINO. L’osservazione del duplice genere di stirps e
silex risale alla prima età imperiale: Quint. inst. 1, 6, 2 poetas
metri necessitas excusat, nisi si quando nihil impediente in utroque
modulatione pedum alterum malunt, qualia sunt ‘imo de stirpe reci-
sum’ [...] et ‘silice in nuda’ et similia; Gell. 13, 21, 12 in illo quoque
itidem Vergilii versu: ‘haec finis Priami fatorum’, si mutes ‘haec’ et
‘hic finis’ dicas, durum atque absonum erit, respuentque aures, quod
mutaveris. Sicut illud contra eiusdem Vergilii insuavius facias, si mu-
tes: ‘quem das finem, rex magne, laborum?’ Nam si ita dicas: ‘quam
das finem’, iniucundum nescio quo pacto et laxiorem vocis sonum fece-
ris. Il genere maschile di stirps è a più riprese attribuito da Festo
all’uso degli antiqui, cioè degli autori arcaici, come si desume
dalle citazioni in prevalenza enniane addotte dal lessicografo
(136, 15; 364, 2-4; 412, 13-30; 446, 9-10). Stirps, finis e silex
sono poi citati quali esempi di dubium genus dalla maggior parte
dei grammatici di IV-V secolo. Tutti i tre termini figurano
negli elenchi di nomina incerti generis di Diom. GL I 327, 11-12;
Don. mai. 620, 7-9; Consent. GL V 345, 25-30 (cfr. Pomp.
GL V 163, 25-27, dove manca silex) e ciascuno di essi è soven-
te oggetto di specifiche trattazioni (vd. su stirps Char. 140, 4-14;
Serv. Aen. 3, 94; 7, 99; Serv. auct. Aen. 1, 626; Non. 226, 28-
227, 3; Cledon. GL V 40, 4-5; Consent. GL V 345, 26-30; Ps.
Prob. nom. 66, 23-26 Passalacqua; Prisc. GL II 168, 5-12; 169,
6-17; 322, 12; su finis Char. 352, 4- 6; 456, 8; Ars Bob. 37, 9-11
454 COMMENTO

De Nonno; Serv. Aen. 2, 554; Non. 205, 5-20; Ps. Prob. inst.
GL IV 124, 16-21; nom. 65, 22- 66, 3 Passalacqua; Explan. in
Don. GL IV 538, 34-539, 2; Phoc. 40, 4 Casaceli; Prisc. GL II
141, 16-17; 160, 10-12; su silex Diom. GL I 453, 36-454, 2;
Serv. Aen. 8, 233; Non. 225, 18-24; Explan. in Don. GL IV
493, 4-7; Pomp. GL V 159, 34-160, 4; Ps. Prob. nom. 64, 21-
65, 3 Passalacqua; Phoc. 44, 1 Casaceli; Prisc. GL II 164, 11-
13; 167, 4-7; Dub. nom. 810, 771-774 Glorie. Silex è menzio-
nato inoltre per il solo genere femminile in Char. 454, 67; Ars
Bob. 16, 23-25 De Nonno; 33, 26). Le osservazioni presenti
nella tradizione grammaticale antica circa il doppio genere dei
tre sostantivi sono confermate dagli studi lessicografici moderni,
dai quali risulta però una non pari diffusione dei due generi per
ciascun vocabolo. Finis, di cui è più comune il maschile del
femminile, è comunque attestato in entrambi i generi dall’età
arcaica e sino alla letteratura tardoantica (ThlL s. v. finis [Bauer],
VI 787, 6- 82). Anche silex conosce al femminile solamente
qualche sporadica occorrenza nella poesia di età augustea e pro-
toimperiale (Verg. ecl. 1, 15; Aen. 6, 471; 6, 602; 8, 233; catal.
9, 46; Manil. 1, 856, per imitazione virgiliana; Ov. met. 9, 6,
14; trist. 4, 6, 14; cfr. Forcellini s. v. silex). Il solo autore che usi
esclusivamente il femminile è Virgilio, mentre Manilio e Ovi-
dio impiegano anche (e più spesso, nel caso del secondo poeta)
il maschile (Manil. 5, 281; Ov. met. 2, 706; 7, 107; 9, 225; 9,
304; 10, 242; 11, 45; Pont. 4, 10, 3), che è peraltro il genere più
anticamente attestato per questo sostantivo (Cato agr. 18, 5;
Lucr. 1, 571; 2, 449; 5, 313). Per stirps si verifica la situazione
inversa, con un numero molto ridotto di occorrenze al maschi-
le, concentrate prevalentemente nella letteratura di età repub-
blicana (Cato agr. 40, 2; Enn. ann. 6, 166; trag. 363; Pacuv. trag.
52; 421; Com. pall. inc. 105; Cic. Phil. 1, 13; Verg. Aen. 12,
208; 12, 770; 12, 781; Colum. 5, 9, 13; Apul. apol. 90), e un
centinaio di attestazioni al femminile da Acc. trag. 596 a Hist.
Aug. Claud. 1, 1 (cfr. Forcellini s. v. stirps).
PROBLEMI TESTUALI. Schoemann (apud Hertz in GL III, p.
384) ha proposto di correggere il lemma greco della voce in
στρύχνος, nome di diverse piante che producono bacche.
97, 6-8 455

Questa congettura risulta poco plausibile perché non si spiega


facilmente la genesi dell’errore e soprattutto perché questo raro
sostantivo è attestato per lo più come neutro e sporadicamente
come maschile, mai come femminile; esso inoltre occorre sol-
tanto in autori di età ellenistica e imperiale (vd. LSJ s. v.
στρύχνον). Appare più ragionevole la proposta di Schaefer,
σχοῖνος (riferita anch’essa in GL III, p. 384): questo termine è
attestato in età classica sia al maschile (Herod. 2, 6bis; 2, 9; 2, 29;
2, 149; Ar. Ach. 230; Men. Dysc. 592) sia al femminile (Ar.
Plut. 541; fr. 36 K.-A.). Il doppio genere di σχοῖνος, cui ac-
cenna anche Ateneo (3, 122a τὴν σχοῖνον ἢ τὸν σχοῖνον), è
implicitamente rilevato in Schol. vet. Ar. Ach. 229a πρὶν ἂν
σχοῖνος· […] παρατηρεῖν δὲ δεῖ ὅτι ἀρσενικῶς: è dunque
possibile che la questione fosse trattata anche in ambito lessico-
grafico. La corruttela di σχοῖνος in CΥΧΝΟC si può spiegare a
partire da un errore di itacismo, *CΧΥΝΟC; la metatesi di
*CΧΥΝΟC in CΥΧΝΟC potrebbe essere l’esito di una involonta-
ria banalizzazione o dell’intervento di un copista semidoctus. In
quest’ultimo caso sembrerebbe necessario collocare la genesi
dell’errore in una fase della tradizione lessicografica greca ante-
riore al momento in cui il lessico atticista pervenne nelle mani
di Prisciano. D’altra parte se si correggesse CΥΧΝΟC in σχοῖνος
negli Atticismi priscianei, risulterebbe più chiaro il rapporto tra il
lemma greco e le successive considerazioni del grammatico sulla
lingua latina. Il fatto che σχοῖνος possa significare “giunco” ma
anche “corda” o ancora essere usato come unità di misura (LSJ
s. v., I.1; II.; III.) potrebbe, infatti, aiutare a comprendere l’os-
servazione et magis femininum ipse foetus est, la quale sembra im-
plicare che il vocabolo possa indicare anche qualcos’altro oltre
che un vegetale. Il grammatico potrebbe aver inteso precisare
che al sostantivo è più appropriato il femminile quando esso
designa la pianta, il maschile quando si riferisce al prodotto
tratto dalla pianta. Che il termine f(o)etus possa riferirsi, nell’uso
priscianeo, sia a piante sia a frutti o semi lo suggerisce il con-
fronto con GL II 150, 20-151, 2 terrae quoque fetus, si sint in ‘er’
desinentes tertiae declinationis, neutri sunt generis: ‘siler, papaver, laser,
cicer, siser’. excipitur ‘haec acer’, dove compaiono anche nomi di
456 COMMENTO

alberi, arbusti e piante a fusto erbaceo (per il nesso terrae fetus cfr.
GL II 167, 2; in GL II 154, 11-13 fetus indica, invece, i frutti di
un albero; cfr. ThlL s. v. 1. fetus [Leonhardi], VI 638, 55- 639,
39). Se si accoglie questa interpretazione della frase et magis ...
foetus est, occorre di conseguenza collocare la corruttela di σχοῖ-
νος in CΥΧΝΟC all’interno della tradizione dell’Ars Prisciani piut-
tosto che del lessico fonte, sia pure in una fase molto alta, nella
quale le pericopi di testo in greco erano ancora comprese e pote-
vano essere soggette a errori di natura fonetica e banalizzazioni.

97, 9-10 τελευτάω con ὑπό e il genitivo: obeo, morior con


a/ ab e l’ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Herod. 3, 65), con
glossa latina.
LEMMA LATINO. Obeo figura come equivalente semantico di
τελευτάω anche nello Ps. Cirillo (CGL II 453, 5). Nel lessico
priscianeo id/hoc est introduce abitualmente delle glosse dei
lemmi greci, che ne spiegano il significato con espressioni cor-
renti in latino senza proporsi come suoi corrispettivi in questa
lingua. Nella voce in esame, invece, id est sembra premesso a
una traduzione letterale, a calco, del lemma greco (di solito
introdotta da nos/nostri/Latini/Romani; vd. Spangenberg Yanes
2014, pp. 115-117). La costruzione di obeo con a/ab e l’ablativo
non è, infatti, altrimenti attestata (vd. ThlL s. v. obeo [Quadl-
bauer], IX 48, 45- 49, 52). Tuttavia il sintagma analogo con
morior conosce qualche occorrenza nella prima età imperiale
(Sen. contr. exc. 5, 3 moriuntur non alter ab altero sed uterque a patre;
Val. Fl. 7, 484- 485 an me mox merita morituram patris ab ira /
dissimulas?) ed è poi piuttosto diffuso nella letteratura cristiana
tardoantica, dove per lo più traduce un ipotesto greco con ἀπό
o ἐκ (vd. ThlL s. v. morior [Lumpe], VIII 1493, 33- 40). Questo
dato e l’ordo verborum della voce priscianea – per il quale a suis
potrebbe del resto essere connesso solo al secondo verbo, mor-
tuus est, e non anche a obiit – non consentono di escludere che id
est introduca, come d’abitudine, una parafrasi o traduzione espli-
cativa del lemma greco piuttosto che un suo calco sintattico.
PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Herod. 3, 65 attesta la
97, 11-14 457

normalizzazione in senso attico di due forme ioniche, ἑωυτοῦ


οἰκηιοτάτων, in ἑαυτοῦ οἰκειοτάτων. Occorre tuttavia os-
servare che nella lezione d’archetipo ΟιΚιωΤαΤωΝ, a partire
dalla quale gli editori priscianei ripristinano οἰκειοτάτων,
l’errore di itacismo potrebbe anche oscurare -ηι- della forma
ionica dell’aggettivo. La variante οἰκειοτάτων è comunque
presente anche nei codici SV della tradizione diretta. Sulla non
sistematica atticizzazione dei tratti ionici della lingua di Erodoto
nel lessico priscianeo vd. supra, pp. L-LI.

97, 11-14 τἀυτόν con dativo o con proposizione relati-


va: idem con dativo o con proposizione relativa
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino –
citazione latina (Iuv. 14, 30).
LEMMA LATINO. Il nesso di idem con il dativo, sporadicamente
attestato a partire dal I secolo a. C., è considerato da J. B. Hof-
mann un grecismo sintattico e occorre, infatti, con maggiore
frequenza nella letteratura cristiana di epoca tardoantica, sovente
per imitazione di un ipotesto greco (ThlL s. v. idem, VII.1 199,
83-200, 19). La correlazione di idem e del pronome relativo è,
invece, ampiamente attestata sin dall’età arcaica (ibid. 194, 67-
197, 70). Prisciano comunque non sembra essere stato in grado
di individuare esempi letterari di questo costrutto, giacché
l’unica citazione che egli adduce, Iuv. 14, 30, è solo generica-
mente pertinente al lemma della voce, in quanto attestazione
del pronome idem.
CITAZIONI LATINE. Iuv. 14, 30 è citato anche in precedenti
libri dell’Ars (GL II 298, 15-16; 304, 15-17; 590, 3-5; III 10,
19-20), ma a proposito della scansione bisillabica di eis- in eisdem.
PROBLEMI TESTUALI. In base al confronto tra il lemma greco e
quello latino della voce Rosellini ipotizza in apparato che il
secondo καί si debba espungere. Questa congiunzione (col
valore di “anche”) tuttavia poteva servire, nelle intenzioni del
lessicografo greco, a rendere più chiara la sintassi, separando i
due pronomi dimostrativi, uno dei quali è parte nominale della
proposizione relativa, l’altro è soggetto della principale.
Nell’impossibilità di risolvere del tutto i sospetti destati dal testo
458 COMMENTO

tràdito si può altrimenti congetturare che il lemma sia lacunoso


e che esso descrivesse in origine non due ma tre costrutti alter-
nativi. Il lessicografo atticista potrebbe aver registrato, accanto
alla costruzione di ταὐτόν con la proposizione relativa, quella
con il καί con valore comparativo; si potrebbe pertanto sugge-
rire di integrare come segue: ‘ταὐτὸν τῷδέ ἐστιν’ καὶ
‘ταὐτὸν ὅπερ τόδε’ ‹καὶ ‘ταὐτόν› καὶ τόδε ἐστίν’. In ogni
caso l’omissione dovrebbe aver sfigurato già il lessico fonte di
Prisciano: la formulazione da lui adottata nel lemma latino pro-
va, infatti, che egli leggeva nella sua fonte un lemma bipartito.
Sulla corruttela del numerale V in II nell’indicazione di pro-
venienza di Iuv. 14, 30 vd. Rosellini 2015a, p. CXLV n. 188.
Prisciano cita il passo con la lezione moechos in accordo col ramo
Φ della tradizione diretta; i codici PU della stessa recano, invece,
il singolare moechum, messo a testo da Willis. Sulla tradizione bipar-
tita di Giovenale vd. Tarrant in Reynolds 1983, pp. 200-205.

97, 15-98, 12 ταλαιπωρέω con accusativo: ruo, moror


transitivi e intransitivi
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (τεταλαιπώρηκεν) –
citazione greca (Isocr. De pace 19), con glossa semantica – osser-
vazione teorica – lemma latino – citazioni latine (Verg. Aen. 7,
753-754; 1, 84- 85), con glosse sintattiche – lemma latino se-
condario – citazioni latine (Verg. Aen. 1, 670- 671; Iuv. 11, 54-
55; Verg. Aen. 4, 325-326), con glossa sintattica.
CITAZIONI GRECHE. Isocr. De pace 19 esemplifica l’uso transi-
tivo di ταλαιπωρέω anche in Lex. Coisl. τ 8; Th. Mag. ecl.
364, 11-12.
LEMMA LATINO. La possibilità di usare ruo e moror con valore sia
transitivo sia intransitivo è menzionata anche in 38, 4- 6; 56, 10-
12: vd. supra, ad locc.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 84-85 è utilizzato come
esempio della significatio activa di ruo anche nel libro VIII (GL II
393, 22-25); altre volte Prisciano richiama questo passo per illu-
strare l’uso del verbo semplice in luogo del composto eruunt
(GL III 31, 11-12; 110, 24-26; 193, 3-6), e ancora a proposito
dell’avverbio una (GL III 64, 3-5; 65, 27-28; 87, 12-13). Il
97, 15-98, 12 459

valore transitivo di ruo nel luogo virgiliano è riconosciuto anche


da Nonio – che lo pone sotto il lemma di tipo semantico, Ruere,
eruere, levare (380, 13-15) – e più esplicitamente da Servio (georg.
1, 105 [= Brev. expos. Verg. georg. 1, 105] RUIT autem evertit,
dissipat: nam modo agentis est, ut ‘una … ruunt’; Serv. auct. Aen. 1,
85 RUUNT autem modo eruunt; cfr. Serv. georg. 2, 308 ET RUIT
ATRAM egerit, emittit, ruere facit: nam modo agentis est).
Anche due degli esempi relativi all’uso rispettivamente tran-
sitivo (Iuv. 11, 54-55) e intransitivo (Verg. Aen. 4, 325-326) di
moror sono già richiamati insieme, per lo stesso motivo, nel libro
VIII (GL II 389, 17-28). Verg. Aen. 1, 670- 671 e 7, 573-574
non occorrono altrove nella tradizione grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Isocr. De pace 19 Pri-
sciano attesta la lezione κατὰ πάντας τρόπους, presente an-
che in uno dei due testimoni diretti papiracei disponibili per
questa pericope dell’orazione (p47; κατὰ πάντας τοὺς
τρόπους p46). Il resto della tradizione diretta e indiretta reca
καί invece di κατά, dividendosi poi tra l’accusativo plurale (Γ,
Th. Mag. ecl. 364, 11) e singolare (ΛΠN, Lex. Coisl. τ 8). Co-
me ha argomentato Fassino 2014, pp. 275-276, l’esame dell’usus
isocrateo consente di stabilire la superiorità della lezione καὶ
πάντα τρόπον rispetto alle altre varianti (Mathieu – Brémond
e Mandilaras mettono, invece, a testo καὶ πάντας τρόπους;
vd. anche Petrova 2006, p. LII).
In Verg. Aen. 1, 670 Prisciano si accorda con la maggior
parte dei testimoni diretti (F2MγRω) e indiretti (Serv. auct.
Aen. 1, 664; Claud. Don. Aen. 1, 670 p. 132, 29, dove imme-
todicamente Georgii corregge in nunc) nella lezione hunc, alla
quale gli editori virgiliani preferiscono però nunc del solo codice
F. La variante hunc sembra deteriore sia perché il deittico si
troverebbe a una distanza eccessiva dal sostantivo cui fa riferi-
mento (v. 667 Aeneas) sia perché l’avverbio nunc appare neces-
sario a scandire il passaggio, segnato anche dal cambio dei tempi
verbali, dalle precedenti peregrinazioni di Enea, appena ricordate
(vv. 667-669), alla sua attuale collocazione presso Didone (vv.
670- 672). La corruttela di nunc in hunc (e viceversa) può avvenire
piuttosto facilmente per una confusione di natura grafica. Pri-
460 COMMENTO

sciano comunque conosceva certamente il passo con la lezione


hunc (che non è dunque un errore della tradizione dell’Ars): il
pronome in accusativo è, infatti, presupposto dal fatto che il
grammatico cita Verg. Aen. 1, 670 per esemplificare la significa-
tio activa di moror (cfr. GL II 389, 17-19 ‘moror’ commune est et
absolutum; modo enim activam, modo passivam habet significationem,
modo absolutam: activam, quando accusativo iungitur, ut ‘moror te’).
L’indicazione di provenienza di Iuv. 11, 54-55 è incompleta:
alcuni copisti hanno tentato di sanare l’assenza del numerale (in
I morantur θJUO, QX post corr.; in IIII morantur T post corr.),
mentre in altri manoscritti essa ha dato adito a ulteriori corrut-
tele (morantur REIF; mo in I rantur X ante corr.). Nel libro VIII,
invece, il passo è correttamente introdotto con Iuvenalis in IIII
(GL II 389, 19-20). Sia lì sia negli Atticismi Prisciano cita il
passo con la lezione et fugientem (messa a testo da Willis) in ac-
cordo con il codice G di Giovenale, mentre il resto della tradi-
zione diretta si divide tra effugientem (PΦ) e fugientem (OTU).
Nella citazione di Verg. Aen. 4, 325-326 la maggior parte dei
codici priscianei attesta destruit (TVXEIMUYJ) per destruat della
tradizione diretta (presente anche come lezione di prima mano
nei codici RFDW di Prisciano e ripristinata dai correttori di
OTY, per conoscenza diretta del testo virgiliano o in base al
confronto con GL II 389, 26-28). Il congiuntivo è testimoniato
anche da Serv. ad loc. e dallo stesso Prisciano in GL II 389, 26-28.

98, 13-18 τεκμήριον con genitivo o dativo: argumentum


con genitivo o dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca
(Plat. Menex. 237e1-2) – lemma latino – lemma latino seconda-
rio – citazione latina (Verg. Aen. 8, 198).
LEMMA LATINO. L’alternativa tra il genitivo e il dativo di pos-
sesso è oggetto anche di altre voci degli Atticismi (15, 7-10; 88,
5-7): vd. supra, commento ad locc.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 8, 198 non conosce altre occor-
renze in ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Plat. Menex. 237e1-2 è
omesso τε dopo τῶνδε: la congiunzione può essere caduta per
99, 1-12 461

errore nella tradizione manoscritta del lessico fonte o dell’Ars


Prisciani. È degno di nota inoltre l’accordo di Prisciano con il
codice F di Platone nella lezione ὅτι, superiore a τί dei restanti
testimoni diretti (vd. Menchelli 2014, p. 227).

99, 1-12 τέως ἕως: interea dum


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino –
citazione greca (Ar. Pax 31-32) – citazioni latine (Verg. georg. 3,
284-285; 3, 63) – osservazione teorica aggiuntiva – citazione
latina (Verg. georg. 1, 83), con glossa semantica.
LEMMA GRECO. La giustapposizione di τέως ἕως è attestata in
età classica solamente nel luogo aristofaneo citato da Prisciano
(Pax 31-32); la correlazione dell’avverbio e della congiunzione
è comunque in uso sin dai poemi omerici (vd. LSJ s. v. τέως).
CITAZIONI GRECHE. Ar. Pax. 31-32 è citato, a proposito di
τέως ἕως, anche in Schol. vet. Plat. Hipparch. 229d, dove però
lo scoliasta si esprime nei termini di un uso di τέως col signifi-
cato di ἕως (καὶ ἔτι ἐν τῇ Εἰρήνῃ εὕρηται ἀντὶ τοῦ ἕως; cfr.
Schol. vet. Ar. Pax 32β παρατηρητέον ὅτι ἐνταῦθα ‹ἀ›διαφό-
ρως ἐχρήσατο ‘τέως’ καὶ ‘ἕως’). L’esegesi sintattica proposta
nel primo degli scolî al passo della Pace è, invece, congruente
con quella datane negli Atticismi priscianei: Schol. vet. Ar. Pax
32α ὅτι ἐκ παραλλήλου κεῖται τὸ ‘ἕως’ καὶ ‘τέως’.
LEMMA LATINO. Una delle locuzioni greche con le quali Pri-
sciano spiega i diversi significati di interea, ἐν τῷ μεταξύ, glossa
l’avverbio latino anche nello Ps. Filosseno (CGL II 89, 42);
altrove il nostro grammatico usa questa espressione greca per
tradurre inter (GL III 42, 24; 43, 1-6).
Prisciano non si occupa mai dell’espressione interea dum al di
fuori degli Atticismi, mentre tratta del solo interea anche nei libri
XIV-XV (GL III 43, 5; 43, 12-13; 65, 25) e nelle Partitiones,
dove esso è più volte definito come adverbium di tempo o luogo
(78, 9 Passalacqua; 113, 9; 114, 24; 118, 24). Il valore tempora-
le di interea è rilevato anche da Char. 243, 3; Don. Ter. Andr.
363; Serv. Aen. 10, 1; 10, 833; gli altri usi assegnati da Prisciano
all’avverbio non sono discussi da altri grammatici.
CITAZIONI LATINE. Verg. georg. 3, 63 è citato anche in Non.
462 COMMENTO

389, 1-2; 433, 20-22, ma con un interesse semantico piuttosto


che sintattico, sotto i lemmi superare e iuventa. Verg. georg. 1, 83
e 3, 284-285 non sono citati altrove in ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Ar. Pax 31-32 contiene la
variante διαλάθῃς per λάθῃς della tradizione diretta. La le-
zione διαλάθῃς, deteriore perché viola il metro, potrebbe
essersi prodotta per assimilazione al successivo διαρραγείς
nella tradizione manoscritta dell’Ars Prisciani o già del lessico
fonte. Il grammatico latino, infatti, non avrebbe forse avuto
difficoltà ad accogliere il verso anche come ipermetro. Sulla
desinenza -εις per -ῃς, con la quale i codici priscianei traman-
dano διαλάθῃς, vd. supra, pp. XLIX-L.
Prisciano cita Verg. georg. 3, 63 con la lezione iuventus, in
accordo con i codici virgiliani Mbhn e con Non. 389, 2, mentre
la maggior parte dei testimoni diretti (M2Rωγ) reca iuventas,
messo a testo da Geymonat e Conte. Un’ulteriore variante,
iuventa, è documentata da Non. 433, 21. Il passaggio da iuventas
a iuventus può avvenire facilmente in alcune minuscole altome-
dievali a causa della somiglianza delle lettere -a- e -u-, sicché si
potrebbe ricondurre iuventus in Prisciano a un errore di trasmis-
sione dell’Ars. La presenza però della medesima lezione già nel
Mediceo virgiliano (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana,
Plut. 39.1 + Vat. lat. 3225-II, V sec.) consente di stabilire che si
tratta di una variante antica (o tardoantica), che anche Prisciano
potrebbe aver conosciuto (cfr. Ribbeck 1866, pp. 213-216;
Dierschke 1913, pp. 50-55; De Nonno 1988, p. 281; Timpana-
ro 2001, p. 142). Si può inoltre osservare che la lezione testi-
moniata dal grammatico è la più conforme all’usus di Virgilio,
nelle cui opere si contano 27 occorrenze di iuventus (tutte tràdi-
te uniformemente), 11 di iuventa (anch’esse tutte trasmesse con-
cordemente), e solamente 3 di iuventas, per tutte le quali parte
della tradizione diretta (e indiretta) reca le varianti iuventus e
iuventa (oltre a georg. 3, 63, si tratta di Aen. 5, 398; 8, 160). La
frequente alternanza di queste tre forme nelle tradizioni mano-
scritte degli autori latini è osservata anche in ThlL s. v. iuventa
[Heck], VII.2 740, 72-77; s. v. iuventas [Heck], VII.2 742, 36-
38; s. v. iuventus [Heck], VII.2 743, 35-37.
99, 13-15 463

La lezione superest è, invece, una variante testimoniata dal


solo Prisciano per superat della tradizione diretta, attestato anche
da Nonio e Servio (nel lemma del commento ad loc.). Nello
stesso verso infine Prisciano e i codici virgiliani tramandano
concordemente interea … dum, garantiti presso il nostro gram-
matico dal lemma della voce in esame; Nonio, invece, cita due
volte il passo con la variante cum e in 433, 20-22 sostituisce
anche praeterea a interea.

99, 13-15 τελευτάω τὸν βίον: vitam finio


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (τελευτᾶν) – citazione
greca (Plat. Crit. 43d5-6) – lemma latino, con glossa semantica.
LEMMA LATINO. Il nesso vitam finire, trattato all’interno della
produzione grammaticale latina solamente da Prisciano, è piut-
tosto diffuso, soprattutto in prosa, a partire dal I secolo d. C.
(Liv. 25, 6, 16) e per tutta l’età imperiale.
PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Plat. Crit. 43d5-6 diverge
dalla tradizione diretta per la lezione ἤδη in luogo di δή. La
variante priscianea potrebbe essere migliorativa del senso della
frase, considerata la presenza del complemento di tempo εἰς
αὔριον. D’altra parte è difficile valutare se sia più appropriata
all’usus di Platone la locuzione ἀνάγκη ἤδη o ἀνάγκη δή: en-
trambe, infatti, occorrono con notevole frequenza nei dialoghi
platonici: ἀνάγκη ἤδη in Theaet. 188a7; Parm. 146c4-5; 151a8-9;
158b6-7; Leg. 858b1 (cfr. ἀναγκαῖον ἤδη in Men. 89c2; Resp.
441c9; Leg. 669a2); ἀνάγκη δή in Soph. 258a8; 264b2; Phaedr.
239a7- 8; Resp. 565d10; 566a2; Leg. 887c8 (cfr. ἀναγκαῖον
δή in Pol. 293c5; Symp. 180e1; 207a3; Resp. 574a3). Parimenti
mancano elementi sufficienti a stabilire se sia poziore l’ordo ver-
borum testimoniato da Prisciano, con la trasposizione del prono-
me σε dopo ἔσται, mentre nei codici platonici esso si colloca
dopo βίον. Si può solamente osservare che, nella forma attestata
dal grammatico, il periodo si conclude con un triplice trocheo,
mentre è meno immediatamente riconoscibile la clausola del
testo della tradizione diretta (doppio spondeo, con soluzione del
primo spondeo in un dattilo, oppure cretico + molosso, con
soluzione della prima sillaba lunga del molosso in due brevi).
464 COMMENTO

99, 16-20 complemento di tempo in dativo o genitivo o


παρά e accusativo o κατά e accusativo o accusativo:
accusativo di tempo continuato
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (τῇδε τῇ ἡμέρᾳ) –
citazioni latine (Verg. Aen. 1, 683- 684; 3, 583-584).
LEMMA GRECO. I sintagmi preposizionali con κατά o παρά e
l’accusativo (ἡμέραν o νύκτα) non sono attestati, nella lettera-
tura conservata, prima dell’età imperiale; il lessico priscianeo
potrebbe dunque indirettamente testimoniarne l’uso già in epoca
classica (cfr. supra, p. XLIV). In generale, l’espressione del comple-
mento di tempo è oggetto di numerose voci degli Atticismi: cfr.
60, 17; 64, 13; 78, 6; 85, 4; 106, 3, con commento ad locc.
LEMMA LATINO. L’accusativo di tempo continuato è trattato da
Prisciano a più riprese, negli Atticismi (31, 13-15; 48, 5-10; 61,
3-5; 64, 15-18; 78, 7- 8; 85, 6-12): vd. commento ad locc.
CITAZIONI LATINE. L’impiego dell’accusativo in Verg. Aen. 3,
583 è notato anche da Servio ad loc., il quale lo considera prefe-
ribile a un altro uso non esplicitato (NOCTEM ILLAM melius per
accusativum dixit), forse da intendersi come ablativo di tempo
determinato (la nozione di continuità in questo luogo virgiliano
è meno evidente che altrove).
PROBLEMI TESTUALI. Nell’ultimo membro del lemma la corre-
zione di τὴν ἡμέραν in ἡμέραν (Hertz, GL III 363, 6) o τήν-
δε ἡμέραν (Krehl) non è necessaria, come prova la formulazio-
ne del secondo membro dello stesso lemma, relativo all’uso del
genitivo semplice: anche in esso il sostantivo è preceduto dal solo
articolo (τῆς ἡμέρας), che non è ripetuto davanti a νυκτός.

100, 1-2 ἐπινίκια θύω: foedus ico


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (τῇ ὑστεραίᾳ τὰ
ἐπινίκια ἔθυεν) – citazione latina (Verg. 12, 314), con glossa
semantica. Questa voce, apparentemente collocata extra ordinem,
sembra derivare dalla separazione del lemma seguente in due
voci distinte a opera dello stesso Prisciano: questi, trovando
sotto il lemma τῇ ὑστεραίᾳ – correttamente posto nella se-
quenza alfabetica – un esempio (ancora corredato dell’indica-
zione di provenienza, ora perduta, o già anepigrafo), che conte-
100, 1-2 465

neva oltre al complemento di tempo anche il nesso ἐπινίκια


θύειν, ha rivolto a quest’ultimo la propria attenzione, facendo-
ne un lemma a sé stante. Vd. più diffusamente Rosellini 2012a,
p. 205; Spangenberg Yanes ics. [a].
LEMMA GRECO. Il lemma, riprodotto in forma anonima, è
ricavato da Plat. Symp. 173a6-7. Come risulta dal parallelo lati-
no proposto e dalla glossa con cui esso stesso è spiegato (‘...
foedus’, pro ‘foederis hostia’), Prisciano doveva interpretare come
una metonimia anche τὰ ἐπινίκια, assegnandogli evidenteme-
ne il valore di «feast in honour of it» (vd. LSJ s. v. ἐπινίκιος,
II.2, dove si osserva che il neutro sostantivato al plurale può
avere anche il senso proprio di «sacrifice for a victory»). Il nesso
ἐπινίκια θύειν è attestato in età classica solamente nel luogo
platonico riportato negli Atticismi.
LEMMA LATINO. Mediante l’espressione huic simile, indice di un
confronto solo sintattico o alla lontana tra le due lingue, viene
affiancato al lemma greco il nesso metonimico foedus icere (sul
quale vd. ThlL s. v. 2. foedus [Vollmer], VI 1006, 83-1007, 2; s.
v. ico [Köstermann], VII.1 161, 16-27), che non è trattato da
altri grammatici.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 12, 314 è riportato anche in
GL II 496, 18-21 (dove la citazione include parte del verso
successivo), quale attestazione del verbo semplice icio. Prisciano
ritiene, infatti, impropriamente che il verbo semplice da cui
derivano i composti in -icio possa essere non solo iacio ma anche
icio, in verità non attestato al di fuori della trattatistica gramma-
ticale se non in sporadici luoghi testualmente incerti, dove si
ripristina facilmente iacio o un suo composto (vd. ThlL s. v. ico
[Köstermann], VII.1 158, 16-22).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Plat. Symp. 173a6-7 il
relativo ᾗ potrebbe essere stato omesso dopo ὑστεραίᾳ perché
non serviva a illustrare il fenomeno linguistico in esame.
La citazione di Verg. Aen. 12, 314, correttamente introdotta
in GL II 496, 18-19 dalla dicitura unde Virgilius in XII, presenta
negli Atticismi l’indicazione incompleta Vergilius in... (sottoposta
in diversi codici a tentativi di integrazione o, viceversa, all’ulte-
riore omissione della preposizione). Come in altri casi simili,
466 COMMENTO

occorre imputare l’assenza del numerale in questa voce alla


mancanza di finitura del lessico da parte dello stesso Prisciano
(vd. supra, p. LV).
L’espunzione di est è sostenuta dall’usus scribendi di Prisciano,
che esplicita la copula dopo (huic) simile solamente quando se-
gue un neutro (Att. 30, 9 huic simile est illud Vergilianum; 31, 9;
51, 4; 52, 3; 59, 7; 66, 16; 70, 13) o un lemma citato come in
discorso diretto (GL III 192, 27 simile huic est ‘Romulus populus’
et ‘Romula gens’; Att. 18, 12; 30, 12-13; 47, 13), mai, invece, al
di fuori del passo in esame, quando segue un nome proprio al
maschile; in questi casi, infatti, occorrerà piuttosto sottintendere
un verbum dicendi (GL III 190, 9 huic simile Terentius in Andria;
Att. 34, 13; 35, 6; 37, 9; 42, 5; 61, 9; 82, 2; 91, 3; 100, 9; 102,
8; 115, 5- 6). Est può facilmente essere stato interpolato da un
lettore poco accorto ma che aveva presente il nesso huic simile
est, che ricorre più volte nell’Ars.

100, 3- 6 ὑστεραῖα e προτεραῖα, προτέρα con o senza


ἡμέρα: pridie, postridie
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (τῇ ὑστεραίᾳ) – lem-
ma latino – lemma latino secondario – citazione latina (Cic. Ca-
til. 1, 1). La voce è impropriamente alfabetizzata tra quelle in τ- a
partire dall’articolo τῇ, che precede il vero lemma, ὑστεραίᾳ.
LEMMA GRECO. Mancano elementi utili a stabilire che l’atten-
zione del lessicografo atticista fosse rivolta, anche in questa vo-
ce, al caso in cui è espresso il complemento di tempo (cfr. supra,
p. 131, con ulteriori rimandi) ovvero a questioni morfologiche
o semantiche. Prisciano in ogni caso sembra aver interpretato il
lemma della sua fonte con riferimento alla possibilità di espri-
mere o sottintendere il sostantivo ἡμέρᾳ accanto agli aggettivi
ὑστεραίᾳ, προτεραίᾳ e προτέρᾳ, ovvero all’alternativa tra i
sintagmi con il sostantivo espresso, τῇ ὑστεραίᾳ/προτεραίᾳ
ἡμέρᾳ, e quello con il sostantivo sottinteso, τῇ προτέρᾳ, senza
notare la diversa forma dell’aggettivo.
LEMMA LATINO. Per le corrispondenze semantiche tra lemmi
greci e latini istituite da Prisciano cfr. Dosith. 60, 13 Tolkiehn (=
§ 40 Bonnet) pridie πρὸ μιᾶς, postridie τῇ ὑστέρᾳ. La corrispon-
100, 3-6 467

denza di posterior e ὕστερος si trova anche in CGL II 468, 53;


quella di prior e πρότερος in CGL II 159, 20 (cfr. prius/πρότε-
ρον in CGL II 424, 2), di superior e πρότερος in CGL II 424, 3.
Pridie e postridie sono menzionati insieme anche nel libro XV,
tra gli avverbi in -ē formati a partire da sostantivi della quinta
declinazione (GL III 71, 16-17); il secondo dei due lemmi è
indicato anche quale avverbio temporale relativo al tempo futuro
(GL III 81, 20). Entrambe le forme sono inoltre elencate tra gli
avverbi di tempo determinato in Char. 243, 8-11 temporis finita
adverbia; Dosith. 60, 7- 8 Tolkiehn (= § 40 Bonnet) significant
enim tempus finitum σημαίνει γὰρ χρόνον ὡρισμένον. La preci-
sazione, data da Prisciano nella voce in esame, che pridie e postri-
die corrispondono ai lemmi greci quando sono utilizzati adverbia-
liter si giustifica alla luce di alcuni luoghi del libro XIV, nei quali
si osserva che pridie – così come altri avverbi di tempo – può
anche essere impiegato come una preposizione (GL III 36, 5-6;
44, 22-25: il riferimento è alla locuzione pridie Kalendas et sim.).
CITAZIONI LATINE. La citazione di Cic. Catil. 1, 1 non occorre
altrove in testi grammaticali. L’opzione di Prisciano per questo
esempio, che attesta un complemento di tempo costruito con
un sostantivo (nox) diverso da quello impiegato nel lemma lati-
no e corrispondente al lemma greco di partenza (dies), è piutto-
sto sorprendente, se si considera la frequenza dei sintagmi poste-
riore, postero e superiore die – come degli avverbi pridie e postridie –
nella letteratura latina conservata.
PROBLEMI TESTUALI. La variante tegeris di α per egeris della
tradizione diretta (lezione anche di QFRJ e dei correttori di
TXYO, Frg. Marb.) è probabilmente un errore connesso con la
presenza di nocte et nell’ultima parte del lemma latino che prece-
de la citazione, [nocte et] superiore. Le due parole, espunte da
Rosellini (Hertz in GL III 363, 18, invece, le conservava; Krehl
le trasponeva dopo priore die), potrebbero a loro volta essere
state interpolate per avvicinare maggiormente il lemma alla
citazione ciceroniana. L’inautenticità delle parole nocte et sembra
confermata dal genere dell’aggettivo postero, concordato sola-
mente con die: se Prisciano avesse realmente inteso elencare dei
complementi costruiti sia con die sia con nocte, sarebbe stato,
468 COMMENTO

infatti, più conforme al suo usus scribendi ripetere l’aggettivo al


maschile e al femminile (o avrebbe potuto impiegare il femmi-
nile per entrambi i sostantivi).
L’ipotesi, avanzata da Rosellini in apparato, che davanti a
hoc, nella formulazione del lemma latino (Nos ‘pridie’ … hoc
dicimus), si debba integrare pro, riceve sostegno dal confronto
con 20, 10 Romani pro hoc ‘inter se’ dicunt; 29, 11 Pro hoc Latini
dicunt. Nelle opere di Prisciano non si trovano, invece, dei pa-
ralleli per l’espressione pleonastica hoc dicimus.

100, 7-13 τηλικοῦτος correlato con ἡλίκος o ὅσος: qualis


correlato con hic
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (τηλικαύτην) – cita-
zione greca (Isocr. Archid. 104) – citazione latina (Iuv. 7, 56),
con glossa sintattica – osservazione teorica aggiuntiva.
CITAZIONI GRECHE. Isocr. Archid. 104 è certamente il luogo
classico dal quale è stato ricavato anche il lemma della voce, de-
clinato all’accusativo femminile singolare come in questo passo.
LEMMA LATINO. Come segnala la locuzione huic simile, il rap-
porto tra il lemma greco della voce e il fenomeno latino che gli
viene accostato è prevalentemente sintattico. Il punto di contat-
to tra le due lingue è individuato nella generica possibilità di
correlare dei pronomi indefiniti (τηλικοῦτος, talis) non solo
con i corrispondenti relativi indefiniti (ἡλίκος, talis) ma anche
con pronomi di altro tipo: ancora un relativo indefinito nel
lemma greco (ὅσος), un dimostrativo nell’esempio latino
(hunc). Da un punto di vista semantico, invece, i lemmi greci
τηλικοῦτος, ἡλίκος e ὅσος corrispondono piuttosto a tantus e
quantus (cfr. CGL II 324, 7; 388, 4 e 14 e 16; 455, 7; III 152,
35-36) che a talis e qualis.
CITAZIONI LATINE. Iuv. 7, 56 non è citato altrove nella tradi-
zione grammaticale latina.
PROBLEMI TESTUALI. Isocr. Archid. 104 è riportato con la for-
ma γεγονυῖαν in luogo di γεγενημένην della tradizione diret-
ta. La variante testimoniata da Prisciano è inclusa da Fassino
2014, p. 279, tra quelle superiori o adiafore; B. Keil 1885, pp.
128-130, preferiva, invece, la lezione dei codici isocratei in base
100, 14-15 469

all’usus dell’autore («Ut enim ‘γεγονώς’ apud eum semper est


‘natus’, ita γεγενημένος semper ‘factus’»).

100, 14-15 τὴν ἄλλως: aliter in nesso con un aggettivo


STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Demosth. 19, 181)
– citazione latina (Verg. Aen. 2, 428).
LEMMA GRECO. L’assenza di un lemma greco formulato in
astratto impedisce di stabilire da quale punto di vista il lessico-
grafo atticista trattasse l’espressione τὴν ἄλλως (nella quale si
sottintende ἄγουσαν ὁδόν; vd. LSJ s. v. ἄλλως, II.3) sotto il
profilo del significato; certamente, invece, Prisciano la ha consi-
derata dal punto di vista della sintassi per la giustapposizione di
un avverbio e di una parte variabile del discorso, come prova il
confronto istituito con il latino aliter visum (Verg. Aen. 2, 428).
LEMMA LATINO. Aliter corrisponde ad ἄλλως anche nei glossari
medievali (CGL II 14, 47; III 127, 48).
Prisciano non tratta altrove dell’accostamento di un avverbio
a un aggettivo sostantivato o sostantivo; solo genericamente si
possono richiamare gli accenni, nei libri XV e XVII, all’uso di
avverbi in luogo di aggettivi o sostantivi (GL III 77, 18-27;
193, 13-194, 1, su questo secondo passo cfr. supra, p. 177).
CITAZIONI LATINE. L’uso dell’avverbio in Verg. Aen. 2, 428 è
discusso, ma solo con un interesse semantico, in Serv. auct. ad
loc. e Don. Ter. Andr. 4, 2.

100, 16-17 καλὴν τὴν ὥραν: ?


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione latina
(Sall. Catil. 20, 10).
LEMMA GRECO. L’espressione lemmatizzata non occorre in
alcun testo greco conservato. Il nesso di ὥρα con aggettivi e
sostantivi appartenenti all’area semantica della bellezza è piutto-
sto frequente (vd. LSJ s.v. ὥρα, B.II.2). Sull’accusativo di tem-
po τὴν ὥραν cfr. ibid., B.4.
CITAZIONI LATINE. Sall. Catil. 20, 10 è citato, con un taglio
più breve, anche in GL III 49, 24-25 Sallustius in Catilinario:
‘prô deum atque hominum fidem’, a proposito dell’uso di pro come
interiezione. La presenza di questa citazione latina sotto il lem-
470 COMMENTO

ma greco καλὴν τὴν ὥραν è spiegata da Rosellini 2016, pp.


353-355, come un richiamo al senso generale del contesto di
provenienza dell’espressione escerpita, che «ruota […] intorno
al concetto di “cogliere il momento”» (ibid., p. 354 n. 36).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione sallustiana Prisciano, che
attesta nobis in manu con ordine inverso rispetto alla tradizione
diretta (in manu nobis), si accorda inoltre con solo parte di que-
st’ultima (αNε) nella lezione nobis, mentre i restanti testimoni
recano vobis (VP2A2βKH).

101, 1- 6 τιμάω e τιμάομαι con accusativo: lis aestimat?


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (τιμῶ) – lemma lati-
no – osservazione teorica aggiuntiva – citazioni latine (Verg.
georg. 2, 425; Aen. 11, 660), con glossa morfologica.
LEMMA LATINO. Il primo lemma latino affiancato da Prisciano a
quello greco e trasmesso, a quanto pare, in forma corrotta, lis
aestimat‹...›, riproduce il sintagma, litem aestimare, frequente so-
prattutto in Cicerone (Cic. Verr. 1, 38; 2, 1, 95; 2, 1, 96; 2, 3,
184; 2, 4, 22bis; Cluent. 115bis; 116ter; Rab. Post. 8; 9; 12; Mur.
22; fam. 3, 9, 1; 8, 8, 3), spesso accompagnato dal genitivo di
stima o dall’ablativo di pena (vd. ThlL s. v. aestimo [Prinz], I
1098, 70-1099, 11). La probabile caduta di alcune lettere dopo
aestimat impedisce di valutare in che rapporto il lemma latino si
ponesse rispetto a quello greco dal punto di vista sintattico, se
cioè il grammatico si fosse limitato a proporre un corrispettivo
semantico del lemma della sua fonte (ad es. lis aestimat‹ur› o
aestimat‹a est›) – rimandando all’osservazione successiva l’indivi-
duazione di un parallelismo morfologico-sintattico tra le due
lingue – ovvero se avesse coniato, come altre volte avviene, un
calco sintattico del lemma greco (ad es. lis aestimat ‹et aestimatur›)
con un costrutto non altrimenti attestato in latino.
Il resto della voce è dedicato ad alcuni verbi che possono
avere forma sia attiva sia deponente e in quanto tali sono acco-
stati a τιμάω, di cui il lemma greco registra la costruzione con
l’accusativo sia all’attivo sia al medio. Lo stesso argomento è
esposto più distesamente nel libro VIII, dove i casi rispettiva-
mente di bellor e nutrior e quello di mereor sono trattati in modo
101, 1- 6 471

lievemente diverso che nel lessico. Lì, infatti, Prisciano iscrive i


primi due verbi nella categoria di quelli che sono normalmente
di forma attiva e formano il passivo, ma al passivo possono ave-
re anche valore deponente (GL II 390, 21-26 Sunt quaedam,
quae, cum sint passiva, sine dubio tamen inveniuntur ab auctoribus pro
activis prolata; sul solo nutrior cfr. anche GL II 432, 3-9). Me-
reo(r), invece, appartiene a una categoria nella quale sono consi-
derate altrettanto comuni la forma attiva e quella deponente del
verbo (GL II 395, 25-396, 9 Sunt, quae tam activa quam passiva
voce unum atque idem significant, ut ‘mereo’ et ‘mereor’; cfr. 388,
13-15). L’uso deponente di bellor e nutrior risulta in effetti raro
(vd. ThlL s. v. bello [B. A. Müller], II 1816, 82-1817, 1, dove le
uniche altre occorrenze di bellor sono indicate in Sil. 2, 349
nudis bellantur equis, probabile imitazione virgiliana, e Comm.
instr. 1, 33, 8 bellaris; similmente Forcellini s. v. nutrio conosce
l’uso deponente del verbo solo in Verg. georg. 2, 425, citato da
Prisciano). Negli Atticismi il grammatico si esprime con minore
precisione, raccogliendo anche nutrio(r) e bello(r) – con l’ulterio-
re aggiunta di populo(r) – sotto una definizione pressoché identi-
ca a quella applicata nel libro VIII al solo mereo(r): 101, 2-3
multis verbis tam activae quam passivae vocis similiter in una eademque
significatione utimur. Il raro uso deponente di bellor è registrato, in
relazione allo stesso passo virgiliano citato da Prisciano, anche
da Diomede, Sacerdote e Nonio (vd. infra); quello di nutrior
ancora da Diomede, che condivide con Prisciano anche l’esem-
plificazione di questo lemma (vd. infra), e in Non. 478, 13 NU-
TRITUR et NUTRICATUR, pro nutrit et nutricat.
Rispetto ai rari bellor e nutrior, assai più solidamente attestato
è l’uso deponente (o semideponente) di mereo(r) (vd. ThlL s. v.
mereo [Bulhart], VIII 802, 19-22) e populo(r) (vd. Forcellini s. v.
populo). La possibilità di usare mereo(r) anche come deponente è
cursoriamente registrata tra gli idiomata dell’accusativo in Char.
384, 9-10 mereo beneficium et mereor; Dosith. 87, 10 Tolkiehn
mereo et mereor honorem (cfr. Non. 468, 13 MERET, pro meretur).
La duplice forma di populo(r), attiva e deponente, è osservata da
numerosi altri grammatici (Diom. GL I 400, 18; 401, 3-5;
Don. mai. 636, 9-11; Cledon. GL V 59, 16-17; Pomp. GL V
472 COMMENTO

233, 7-9; Consent. GL V 369, 12-15; Non. 471, 11; Beda orth.
44, 918-920 Jones; cfr. Char. 215, 1 e 14-17; Cledon. GL V
56, 24, dove populor è iscritto tra i communia verba) In contraddi-
zione con i dati raccolti negli studi lessicografici moderni, Ser-
vio considera l’alternanza tra le due forme propria degli antiqui
o veteres o maiores (tra i quali, in questo caso, Virgilio), mentre
nel latino a lui coevo (nunc, modo) sarebbe in uso solo il depo-
nente (Aen. 1, 527; 4, 403; 12, 263; georg. 1, 193; Serv. auct.
georg. 1, 185; cfr. Serv. Aen. 6, 286).
CITAZIONI LATINE. Verg. georg. 2, 425 e Aen. 11, 660 occorro-
no già due volte insieme in GL II 390, 22-26; 393, 16-21. In
GL II 393, 20 la citazione di Aen. 11, 660 ha un taglio appena
più ampio, con inclusione di pictis davanti a bellantur. Verg.
georg. 2, 425 è citato anche una terza volta, ancora a cagione
della forma deponente nutritor, in GL II 432, 6- 8. Sull’eventua-
lità che questi esempi letterari derivino a Prisciano da Capro – il
quale è considerato fonte principale della trattazione dei verbi
con doppia significatio (cioè di forma passiva con valore sia de-
ponente sia passivo) e doppia forma, attiva e passiva, nel libro
VIII (GL II 379, 2-387, 12; 390, 26-391, 3; 392, 6-393, 13;
396, 10-397, 3) – vd. Neumann 1881, p. 51; G. Keil 1889, pp.
53-55; Jeep 1893, p. 211 n. 3; cfr. De Nonno 2014, pp. 73-76.
L’uso deponente di bellor e nutrior nei due luoghi virgiliani è
rilevato anche da altri grammatici: Diomede cita Verg. georg. 2,
425 come esempio di solecismo per qualitates verborum (GL I
454, 27-29 finxit enim commune verbum nutritor ab eo quod erat
activum nutrio, cum deberet dicere nutrito), Aen. 11, 660 nel capito-
lo De diversa verborum positione (GL I 382, 4-5). Questa seconda
citazione illustra inoltre il solecismo per genera verborum in Sa-
cerd. GL VI 450, 10 e occorre nel libro VII De contrariis generi-
bus verborum di Nonio (472, 7- 8 BELLANTUR, pro bellant). La
particolare forma del verbo nei due passi viene inoltre osservata
da Servio negli scolî ad locc. (per Aen. 11, 660 vd. anche Serv.
Aen. 1, 4; 1, 104; 1, 317). Questo grammatico, come Prisciano,
accosta tra loro i due luoghi nel commento a Aen. 11, 660.
PROBLEMI TESTUALI. L’espressione lis aestimat‹...›, che Hertz
correggeva in lis aestimatur ma espungeva ritenendola una glossa
101, 7-8 473

interpolata da qualche copista (GL III 364, 8), è più probabil-


mente autentica, benché sfigurata da una corruttela apparente-
mente non sanabile. La resa lessicale di τιμάω e ἀδίκημα con
aestimo e lis non trova riscontro nella glossografia bilingue me-
dievale; la corrispondenza istituita tra τιμάω/τιμάομαι
ἀδίκημα e litem aestimare non è dunque banale e sembra frutto
della riflessione originale di Prisciano (che poteva ben conosce-
re una o più attestazioni del sintagma latino in Cicerone, so-
prattutto nelle Verrinae) piuttosto che della glossa di uno scriba
sciolus entrata nel testo in qualche stadio della sua tradizione.

101, 7- 8 τινὲς μέν … τινὲς δέ: quidam … quidam, alii …


alii, hi … illi
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino.
LEMMA LATINO. Prisciano discute della correlazione alii … alii
anche nel libro XVII (GL III 181, 6-182, 6), dove la sua atten-
zione si appunta però sulla concordanza a senso di singolare e
plurale in espressioni del tipo gens Romana fuit, alii fortes, alii
sapientes (GL III 181, 28-182, 1). Nessun altro grammatico si
occupa di questa correlazione e di quidam … quidam e hi … illi.

101, 9-11 τί con genitivo della cosa e dativo della persona e


μέλει espresso o sottinteso: quid con dativo della persona
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazioni latine
(Ter. Ad. 677- 678; Iuv. 8, 142).
CITAZIONI LATINE. Ferri 2014, p. 111, ritiene che per mezzo
della citazione di Ter. Ad. 677- 678 Prisciano volesse esemplifi-
care «un cambio di costruzione all’interno della stessa frase»,
cioè il passaggio da una costruzione in cui la cosa o persona
oggetto di attenzione è in nominativo (τοῦτο/ista nostra) a una
in cui la stessa entità è espressa in un caso indiretto
(τούτων/cum illis). In questa prospettiva, il secondo esempio,
Iuv. 8, 142, illustrerebbe un terzo uso sintattico, privo di un
equivalente nel lemma greco della voce, cioè la costruzione in
cui la cosa oggetto di attenzione è rappresentata da un’intera
proposizione infinitiva. L’osservazione di Ferri su Ter. Ad. 677-
678 riposa però su una duplice correzione del lemma greco,
474 COMMENTO

accolta anche da Rosellini, sulla quale vd. infra. I due esempi


latini della voce non occorrono altrove in ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. Nella prima parte del lemma greco, il
neutro singolare τοῦτο è un’emendazione di Krehl. La locuzio-
ne τί μοι τοῦτο sembra essere esclusiva della lingua comica (Ar.
Eccl. 521 ὅ τί μοι τοῦτ’ ἔστιν; Men. Epitr. 133 τί δέ μοι
τοῦτο; Sam. 362 τί δέ μοι τοῦτο, παῖ; cfr. LSJ s. v. τίς,
B.I.8.c). Non si può però del tutto escludere che il tràdito
ΤΟΥΤωΝ sia corretto: un’espressione assai simile a quella che
risulterebbe se si mettesse a testo questa lezione si trova in De-
mosth. 37, 57 ἀλλὰ τί τούτων ἐμοὶ πρὸς σέ, Πανταίνετε,
che avrebbe potuto essere citato sotto il lemma in esame in qual-
che stadio della tradizione lessicografica. L’orazione Contro Pan-
teneto rientrava certamente tra quelle impiegate dal lessicografo
atticista (è citata in GL III 172, 2-3; Att. 95, 16; cfr. 102, 15). Se
il primo costrutto lemmatizzato fosse stato τί μοι τούτων, il
lemma nel suo insieme potrebbe aver riguardato la possibilità di
sottintendere (τί μοι τούτων) o esplicitare il verbo (τί μοι
‹μέ›λει τούτων) nella stessa espressione. L’attenzione di Prisciano
si sarebbe appuntata soprattutto sul primo dei due costrutti,
come proverebbero gli esempi latini addotti, in entrambi i quali
il predicato verbale della proposizione interrogativa è sottinteso.
Ancora Ferri 2014, p. 111, nella seconda metà del lemma
greco congettura la correzione del tràdito Δει in ‹μέ›λει, richia-
mando il confronto di Att. 60, 7 ‘μέλει μοι ταῦτα’ καὶ
‘τούτων’ e di alcune attestazioni letterarie di questa locuzione
(Demosth. 9, 16; Men. Sam. 362; Phasm. 28 τί δ’ ἐμοὶ μέλει
τοῦτο, dove la lezione del papiro Membr. Petropol. 388 è
δεcοι, corretta da Wilamowitz; Georg. 33-34 τί δ’ ἡμῖν, εἰπέ
μοι, / ‹τούτου› μέλει, dove l’integrazione proposta da Nicole
corrisponde a uno spazio lasciato bianco nel P. Genau 155).
Ferri dà però per scontata l’emendazione di ΤΟΥτωΝ in τοῦτο
nel primo membro del lemma greco e su questa fonda il suo
ragionamento relativo alla seconda proposizione del lemma. La
costruzione di δεῖ con il genitivo e il dativo di vantaggio, che si
legge nella forma tràdita del lemma priscianeo (adesso accolta da
Rosellini), occorre più volte nella letteratura attica di età classi-
101, 12-102, 6 475

ca, sia in prosa sia in poesia (vd. LSJ s. v. δεῖ, II.2). Tuttavia
non si può del tutto respingere l’ipotesi di una corruttela nella
forma verbale, giacché non si conosce alcuna attestazione sicura
di δεῖ con il genitivo e il dativo in proposizioni interrogative
introdotte da τί. Eur. Hel. 578 τί σοι δεῖ πίστεως σαφεσ-
τέρας, stampato in questa forma dalla maggior parte degli edi-
tori moderni, è, infatti, il risultato, della correzione del tràdito
τί σου δεῖ; τίς ἔστι σοῦ σοφώτερος.

101, 12-102, 6 τιμωρέω con dativo e accusativo: ulciscor


con accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Plat. Apol. 28c6-7
τιμωρήσεις) – osservazione teorica sul latino – citazioni latine
(Verg. Aen. 4, 656; 2, 670) – lemma latino secondario, con
osservazione aggiuntiva – lemma latino secondario, con osser-
vazione aggiuntiva – citazione latina (Pers. 5, 88) – lemma lati-
no secondario, con osservazioni aggiuntive.
CITAZIONI GRECHE. Plat. Apol. 28c6-7 costituisce un’attesta-
zione dell’uso di τιμωρέω con il dativo (di vantaggio) della
persona che viene vendicata e l’accusativo esprimente il delitto
che viene punito. In assenza di un lemma greco formulato in
astratto non è possibile stabilire se il lessicografo atticista inten-
desse effettivamente richiamare l’attenzione su entrambi i casi
retti dal verbo; certamente in questo modo il passo platonico è
stato interpretato da Prisciano, come prova l’osservazione Nostri
in utraque significatione (cioè sia per esprimere la persona da ven-
dicare sia per l’atto da castigare) accusativo utuntur.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di τιμωρέομαι
(al mediopassivo, mentre negli Atticismi si cita un’occorrenza del
verbo all’attivo) e ulciscor è attestata anche nello Ps. Cirillo (CGL
II 456, 1); nei glossari mancano riscontri per l’equivalenza di-
retta di τιμωρέω e vindico, il secondo verbo trattato da Priscia-
no (ma cfr. CGL II 208, 57 vindicta τιμωρια). L’accostamento
di ulciscor e vindico è ampiamente documentato nei glossari latini
(CGL IV 194, 33 e 47; 297, 14 e 24; 402, 29; 470, 10; 580, 15).
L’ultimo lemma latino della voce in esame, adsertio, che
Prisciano ritiene attestato apud Livium in multis … locis, non si
476 COMMENTO

incontra mai nelle sezioni conservate dell’opera liviana. Lo


storico impiega, invece, molte volte adsero, di cui adsertio è un
deverbativo, in entrambi i significati postulati da Prisciano, a
servitute in libertatem (3, 45, 2 qui adserantur in libertatem; 8, 5, 4
quamquam armis possumus adserere Latium in libertatem) e a libertate
in servitium (3, 44, 5 M. Claudio clienti negotium dedit, ut virginem
in servitutem adsereret; 34, 18, 2 huic ex usurpata libertate in servitu-
tem velut adserendi erant; 35, 16, 11 ius post tot saecula adserendi eos
in servitutem faciet), esplicitando sempre il complemento di moto
a luogo e in un caso anche quello di moto da luogo (34, 18, 2).
È probabile che il grammatico avesse in mente proprio uno o
più dei passi appena citati. La menzione del sostantivo adsertio
invece che del verbo adsero potrebbe doversi a un lapsus di me-
moria, ma è anche possibile che Prisciano non intendesse affatto
attribuire a Livio l’uso specifico della voce adsertio, bensì solo
riferirsi genericamente all’area semantica di adsero e dei suoi
derivati. Adsertio peraltro è in uso solo a partire da Quintiliano,
ma non diviene comune che nel IV secolo (vd. ThlL s. v. adser-
tio [Bannier], II 868, 75- 870, 36): forse Prisciano non sarebbe
caduto nell’errore di attribuirlo a un autore di età augustea. Sia
nel caso di un ricordo impreciso sia di un richiamo volutamente
generico, l’inclusione di adsertio nei frammenti di Livio (fr. 78)
dovrebbe essere messa in dubbio. La frequente imprecisione e
genericità delle citazioni di Livio in Prisciano è notata già da
Jeep 1909, pp. 19-20; Wessner 1919, p. 114; De Nonno 2009,
p. 260 n. 40; Rosellini 2011, p. 184; cfr. supra, pp. 53; 92; 251.
CITAZIONI LATINE. Pers. 5, 88 è citato anche in GL II 583, 11-
12; III 166, 17-18; 205, 11-12, sempre però per la concordanza
di meus con un soggetto di prima persona singolare (recessi).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Plat. Apol. 28c6-7 non
si può stabilire con certezza se εἰ davanti a τιμωρήσεις sia stato
intenzionalmente omesso dal compilatore del lessico fonte o se
sia caduto per un guasto meccanico nella tradizione lessicografi-
ca greca, o ancora se la congiunzione fosse già assente dal testo
platonico adoperato dal lessicografo. Non vi è comunque moti-
vo di dubitare che il testo pervenisse a Prisciano già privo di εἰ.
102, 7-8 477

102, 7- 8 concordanza a senso di numeri diversi


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (τίνα) – citazione
latina (Ter. Ad. 634).
LEMMA GRECO. Il lemma della voce costituisce una citazione
adespota di Aeschn. 3, 165, come ha chiarito Ferri 2014, p. 90.
Nella forma ricostruita da Rosellini, il lemma concerne al con-
tempo lo schema Atticum, cioè la concordanza di un verbo sin-
golare (ἤν) con un soggetto neutro plurale (qui il pronome; vd.
Kühner – Gerth II.1, p. 64; Schwyzer II, pp. 607- 608; Cooper
1998, I, p. 95; II, p. 1015), e la concordanza a senso di un pro-
nome relativo con un sostantivo di un numero diverso (vd.
Kühner – Gerth II.1, pp. 55-56). Per un’ipotesi di ricostruzione
alternativa vd. infra.
LEMMA LATINO. Il confronto istituito da Prisciano con Ter.
Ad. 634 è motivato dall’osservazione, nel passo latino, della
concordanza a senso di un singolare con un plurale. A torto
Luscher 1912, p. 35 n. 4, afferma che il luogo terenziano non
ha alcuna pertinenza al lemma greco di questa voce e che è
stato erroneamente trasposto in questo punto da GL III 184 (a
distanza di decine di pagine!) oppure ripetuto da Att. 35, 6-7.
CITAZIONI LATINE. Ter. Ad. 634 illustra la concordanza a senso
di un singolare e un plurale anche in 35, 6-7 (vd. supra, ad loc.).
Il fatto che questo esempio e il primo lemma greco sotto cui è
posto (εἰπέ μοι con soggetto plurale) presentano la concordan-
za a senso tra soggetto e predicato verbale non è un dato suffi-
ciente a concludere che Prisciano cogliesse anche nel lemma di
102, 7 questo tipo di accordo (τίνα … ἦν, nella prima parte del
lemma) invece che il nesso di un soggetto e una parte nominale
in numeri diversi (τί … ἅ, nella seconda parte del lemma).
L’esempio latino è, infatti, introdotto con simile, che indica solo
una generica affinità sintattica tra le due lingue, cioè in questo
caso la possibilità di realizzare in entrambe la concordanza a
senso di numeri differenti. Del resto non si può nemmeno
escludere che il grammatico latino (e forse anche il lessicografo
atticista?) intendesse le due parti del lemma greco come diversi
casi di accordo ad sensum di plurali e singolari, cogliendo sia lo
schema Atticum nel primo membro sia la constructio κατὰ
478 COMMENTO

σύνεσιν nel secondo. Sulle varie ipotesi di ricostruzione del


lemma greco vd. infra.
PROBLEMI TESTUALI. Il luogo di Eschine tacitamente citato nel
lemma priscianeo diverge in più punti dalla tradizione diretta
(ἐνταῦθ’ ἡμῖν ἀπόδειξιν ποίησαι, Δημόσθενες, τί ποτ’ ἦν
ἃ ἔπραξας καὶ τί ποτ’ ἦν ἃ ἔλεγες). I codici priscianei testi-
moniano ἅ ἔλεγες anche nella prima proposizione relativa, in
luogo di ἃ ἔπραξας, che Rosellini ripristina accogliendo una
proposta di Ferri 2014, p. 90 n. 15. Nella seconda proposizione
interrogativa inoltre è omesso il pronome interrogativo, che
Christ 1862, p. 149, e Ferri (ibid.) propongono di integrare
nella forma plurale τίνα, messa a testo da Rosellini. La tradizio-
ne diretta ha, invece, il singolare τί in entrambe le occorrenze
(cfr. Ferri 2014, p. 90 n. 16). Prisciano si accorda inoltre con i
codici fk di Eschine nella lezione καί (accolta da Dilts), mentre
il ramo β della tradizione diretta reca ἤ (messo a testo da Blass).
Nella prima parte del lemma la lezione ἅ ἔλεγες potrebbe
però essere genuina e non un errore di anticipazione della se-
conda parte del periodo: tutta la pericope di testo greco intro-
dotta da Attici in questa voce, infatti, potrebbe non essere ne-
cessariamente una citazione, anonima ma precisa nel dettato, di
Eschine bensì un lemma, diviso in due cola e formulato a partire
dalla sola seconda parte del passo dell’oratore attico. Il primo
membro del lemma, τίνα ποτὲ ἦν, ἃ ἔλεγες, riguarderebbe la
concordanza di un verbo singolare con un soggetto neutro
plurale. Nel secondo membro si potrebbe integrare τί invece
che τίνα: l’omissione di τί davanti a π-οτε sarebbe avvenuta
ancora più facilmente che quella del pronome plurale (cfr. Rosel-
lini 2014a, pp. 352-357; 2015a, pp. XXXVI-XXXVIII). La seconda
parte del lemma, così ricostruita, concernerebbe l’uso alternati-
vo a quello descritto nel primo colon, e cioè la normale concor-
danza di un predicato singolare con un soggetto singolare. La
congiunzione καί potrebbe dunque coordinare tra loro le due
parti del lemma greco piuttosto che appartenere alla citazione
anonima di Eschine. L’ipotesi che le due coppie di proposizioni
introdotte da Attici siano due membri del lemma, relativi a due
usi sintattici alternativi, piuttosto che parti di un’unica citazione
102, 9-11 479

era anche implicita nella proposta di emendazione del passo


avanzata da Christ 1862, p. 149 (‘τίνα ποτ’ ἦν ἃ ἔλεγες’ καὶ
‘τίνα ποτ’ ἦν ὃ ἔλεγες’), e nella costituzione del testo adottata
da Hertz (GL III 365, 11 ‘τίνα πόθεν, ἃ ἔλεγες;’ καὶ ‘πόθεν,
ἃ ἔλεγες’), benché entrambe siano da respingere.
Il nesso di τί ποτε con ἐστίν, seguito da una proposizione
relativa, è attestato anche in Demosth. 24, 81 τί ποτ’ ἦν δι’ ὃ
… ὤκνησεν; Xenoph. Mem. 2, 7, 3 τί ποτέ ἐστιν, ἔφη, ὅ τι
… δύναται παρέχειν. Si noti che in entrambi i passi il prono-
me relativo è al singolare, concordato col pronome interrogati-
vo. La locuzione alternativa, τίνα ποτέ ἐστιν, da cui parimenti
dipende una relativa, occorre in Aeschn. 1, 154 τίνα ποτ’
ἐστὶν ἃ ἀντιγέγραμμαι. Anche qui il pronome interrogativo e
quello relativo concordano per numero, essendo entrambi plu-
rali. Solamente nella tradizione diretta di Aeschn. 3, 165 il pro-
nome interrogativo singolare di τί ποτ’ ἦν concorda a senso con
un relativo plurale, ἃ ἔπραξας e ἃ ἔλεγες. Considerate le poche
altre attestazioni, in età classica, di τί ποτέ ἐστιν e τίνα ποτέ
ἐστιν seguiti da una proposizione relativa, la variante τίνα,
testimoniata da Prisciano (prima metà del lemma) in Aeschn. 3,
165, appare più coerente con l’uso linguistico attico rispetto a
τί della tradizione diretta. Nell’ipotesi poi che il lemma priscia-
neo debba essere ricostruito nella forma ‘τίνα ποτὲ ἦν, ἃ
ἔλεγες’ καὶ ‘‹τί› ποτὲ ἦν, ἃ ἔλεγες’, si potrebbe ulteriormente
suggerire che esso vertesse non sullo schema Atticum (τίνα con
predicato singolare, ἦν), bensì sull’alternativa tra una concor-
danza puntuale di pronome interrogativo e relativo (τίνα … ἅ)
oppure a senso (τί … ἅ). Il confronto istituito da Prisciano con
Ter. Ad. 634 aperite aliquis non è purtroppo dirimente, giacché
esso risulta appropriato sia allo schema Atticum sia alla concor-
danza a senso di un pronome singolare con uno plurale.

102, 9-11 uso ridondante di τι: uso ridondante di aliquid


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazione greca
(Plat. Symp. 175b1-2) – citazione latina (Ter. Andr. 447).
LEMMA LATINO. Riguardo all’uso supervacuus di alcune parti del
discorso cfr. GL III 110, 6- 8. L’espressione ex supervacuo, che
480 COMMENTO

non occorre presso altri grammatici, è utilizzata da Prisciano


una sola altra volta, sempre nel lessico (71, 15).
CITAZIONI LATINE. Ter. Andr. 447 non conosce altre occor-
renze in ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. Ter. Andr. 447 è riportato con la lezione
aliquid in luogo di aliquantum (aliquantulum nel codice E), che
potrebbe doversi a un lapsus memoriae del grammatico piuttosto
che essere una variante antica del testo terenziano.

102, 12-14 τίνος ἀγαθόν;: cui bono?


STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Men. fr. 515 K.-
A.), con glossa semantica in latino – citazione latina (Cic. Phil.
2, 35), con glosse semantiche e sintattiche. La voce è collocata
tra i lemmi in τ- perché alfabetizzata, piuttosto che a partire dal
vero vocabolo-lemma, dal termine che ne esprime la reggenza
(cfr. supra, pp. XLIV-XLV).
LEMMA GRECO. Il nesso del neutro ἀγαθόν con il genitivo
con valore finale non è altrimenti noto (cfr. LSJ s. v. ἀγαθός).
CITAZIONI GRECHE. La locuzione τίνος ἀγαθόν, introdotta
da Πλάτων ἐπιταφίῳ, non si incontra mai nel Menesseno. La
stessa espressione è, invece, attestata in Men. fr. 515 K.-A.,
trasmesso da Fozio proprio quale esempio della costruzione di
ἀγαθόν col genitivo per esprimere il complemento di fine: lex.
α 75 ἀγαθὸν τίνος· ἀντὶ τοῦ τίνος ἕνεκα. Μένανδρος·
‘τίνος τὸ ἀγαθὸν τοῦτ’ ἔστιν;’ (vd. Valente 2012, p. 318).
Come suggeriva Hertz in apparato a GL III 365, 17, può aver
avuto luogo una lacuna, ma già nella tradizione lessicografica
anteriore a Prisciano, il quale avrebbe letto questa pericope di
testo greco nella stessa forma in cui noi la possediamo.
LEMMA LATINO. Il nesso del dativo bono con il genitivo o il
dativo della persona per esprimere il complemento di vantaggio
o fine è in uso sin dal teatro arcaico (vd. ThlL s. v. bonus [Sin-
ko], II 2100, 53- 68 e 74- 82); Sinko non conosce, invece, atte-
stazioni del sintagma ad bonum, impiegato da Prisciano per glos-
sare Cic. Phil. 2, 35 (vd. ibid. 2100, 68-73). Nel formulare la
glossa il grammatico potrebbe aver fatto riferimento alla fre-
quente equivalenza del dativo di direzione e di ad con accusati-
102, 15-103, 2 481

vo (quest’ultimo conosce un’espansione nel latino tardo: vd.


Hofmann – Szantyr, pp. 86 e 220).
CITAZIONI LATINE. Il taglio della citazione di Cic. Phil. 2, 35
presuppone un’interpretazione sintattica del passo diversa da
quella modernamente accolta. Nel contesto di origine (Quod si te
in iudicium quis adducat usurpetque illud Cassianum, ‘cui bono fuerit’,
vide, quaeso, ne haereas) illud Cassianum non è, infatti, il soggetto
dell’interrogativa diretta ma il complemento oggetto di usurpet.
PROBLEMI TESTUALI. Poiché non si individuano, nel Menesseno
platonico, passi che possano aver corredato in origine la voce in
esame, si può supporre che la citazione perduta da questo dialo-
go si riferisse al lemma precedente (102, 9 Attici ‘τι’ ex superva-
cuo adiciunt) o a un altro lemma ancora, del quale non si conser-
verebbe altra traccia che l’indicazione Πλάτων ἐπιταφίῳ. Solo
dubitativamente si può richiamare Menex. 236e3 δεῖ δὴ
τοιούτου τινὸς (λόγου), un passo che forse avrebbe potuto
anche essere connesso all’uso ridondante di τις/τι.

102, 15-103, 2 genitivo di pertinenza


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (τοῦ πλείονος), con
glossa sintattica – osservazione teorica sul latino – citazione
latina (Sall. Iug. 85, 10).
LEMMA GRECO. Il lemma è ricavato, come hanno riconosciuto
E. Müller 1911, p. 2, e Ferri 2014, p. 107, da Demosth. 37, 53
μήτε συγγνώμης μήτ’ ἄλλου μηδενός εἰσιν ἀλλ’ ἢ τοῦ
πλείονος. Il luogo demostenico è direttamente citato negli
Atticismi, ancora a proposito del genitivo di pertinenza, in 95,
16-96, 1 (vd. commento ad loc.).
LEMMA LATINO. Sul trattamento del genitivo di pertinenza
nella tradizione grammaticale latina vd. supra, pp. 445- 446.
CITAZIONI LATINE. Sall. Iug. 85, 10 è citato quale esempio del
genitivo di pertinenza anche in GL III 221, 8-9; Att. 96, 1-2
(vd. supra, ad loc.).
PROBLEMI TESTUALI. Sulle varianti attestate da Prisciano nel
passo di Sallustio vd. supra, pp. 446- 447.
482 COMMENTO

103, 3-13 infinito sostantivato al genitivo con valore


finale: causa o gratia con genitivo del gerundio
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (τοῦ), con glossa
sintattica – citazioni greche (Thuc. 1, 23, 5; Demosth. 18, 107),
con glosse sintattiche – osservazione teorica sul latino.
LEMMA GRECO. L’ellissi di ἕνεκα davanti all’infinito sostantiva-
to in genitivo, nell’espressione della proposizione finale, è trat-
tata anche in 42, 15- 43, 4 (vd. commento ad loc.). Nella voce in
esame questo particolare uso sintattico non è descritto come
un’omissione della preposizione, bensì come l’equivalenza
dell’articolo in genitivo alla preposizione stessa (103, 3 ‘Τοῦ’
ἀντὶ τοῦ ‘ἕνεκα’).
CITAZIONI GRECHE. Thuc. 1, 23, 5 è citato anche in 42, 16,
ancora a proposito dell’infinito finale (vd. commento ad loc.);
sull’indicazione ἐν τῷ προοιμίῳ cfr. supra, pp. 186-187.
LEMMA LATINO. In questa voce Prisciano sembra escludere la
possibilità di fornire un puntuale equivalente latino dell’infinito
sostantivato al genitivo con valore finale, giacché egli osserva
che il genitivo del gerundio, con la medesima funzione, richie-
de di essere retto da causa o gratia (nos gerundiis … utimur, adden-
tes tamen ‘causa’ vel ‘gratia’). In 42, 18-43, 4 egli era stato, inve-
ce, in grado di individuare un più appropriato parallelo latino
del lemma greco nell’ellissi di causa/gratia davanti al genitivo del
gerundio o gerundivo (vd. commento ad loc.).
PROBLEMI TESTUALI. Nella glossa del lemma greco, l’integra-
zione di τοῦ dopo ἕνεκα, messa a testo da Krehl e Hertz (GL
III 366, 3), non è necessaria, come ha riconosciuto Rosellini a
partire dal confronto con Phot. lex. τ 397 τοῦ· τίνος ἢ ἕνεκα;.
Nella citazione di Thuc. 1, 23, 5 ζητῆσαι è un’emendazio-
ne di van Putschen per il tràdito ζΗCαι, esito di un’aplografia.
Nell’escerto di Demosth. 18, 107 Prisciano omette ἄν dopo
ἀναλῶσαι. Altre due omissioni, di γε dopo ἆρα e di ἐθέλειν
dopo ποιεῖν, sono condivise dal grammatico con parte della
tradizione diretta (rispettivamente SY a. c. e A, Y a. c.) e consi-
derate varianti superiori da Dilts, che non mette a testo nessuna
delle due parole (cfr. E. Müller 1911, p. 10).
103, 14-19 483

103, 14-19 δέομαι con accusativo o genitivo: egeo con


genitivo o accusativo o ablativo, supplico con dativo,
quaeso con accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Isocr. Plat. 2
τοιούτων δεησόμενοι) – osservazione aggiuntiva – lemmi
latini – citazioni latine (Ter. Andr. 312; Cic. S. Rosc. 34). La
voce è alfabetizzata a partire dal termine che nella citazione-
lemma esprime la reggenza, τοιούτων, piuttosto che dal voca-
bolo di cui realmente si tratta qui la sintassi, δέομαι (cfr. 82, 1;
104, 11; 105, 3; 105, 8).
LEMMA LATINO. La sintassi di quaeso e supplico è trattata anche
in 49, 4-7 (cfr. 89, 20-21), quella di egeo in 86, 5- 6, dove però
si registra di questo verbo solo la reggenza del genitivo e
dell’ablativo (vd. commento ad locc.). Le tre costruzioni di egeo
sono descritte anche da Serv. auct. Aen. 4, 373, che non a caso
illustra quella con l’accusativo mediante un passo di Plauto
(Men. 121 neque quicquam eges). L’uso transitivo del verbo è, infat-
ti, limitato a pochissime occorrenze in età arcaica e presso l’ar-
caista Gellio (Plaut. Men. 121; Cato or. inc. fr. 10; Gell. 9, 8, 3),
oltre che nella letteratura cristiana di epoca tarda (vd. ThlL s. v.
egeo [Rubenbauer], V.2 235, 54-60; 237, 79-238, 5). Le tre reg-
genze di egeo sono inoltre registrate in Beda orth. 23, 390 Jones;
la possibilità di un uso transitivo di egeo è, invece, negata da Ps.
Asper GL Suppl. 60, 29 egeo pane et panibus, non panem et panes.
Indigeo, la cui costruzione con il genitivo è esemplificata
nella voce in esame da Cic. S. Rosc. 34, è menzionato più volte
nell’Ars quale esempio tipico di verbo che regge il genitivo (GL
III 159, 26; 168, 5; 169, 28). Lo stesso uso sintattico è descritto
anche in Arus. 52, 19 Di Stefano. Altri grammatici conoscono
di questo verbo oltre alla reggenza del genitivo anche quella
dell’ablativo (Char. 386, 2; Diom. GL I 319, 28; cfr. Serv. ecl.
2, 71) o solo quest’ultima (Char. 384, 24; Diom. GL I 315, 29;
App. Prob. 2, 104 Asperti-Passalacqua). L’uso di indigeo con il
genitivo è più anticamente documentato (da Plauto) e più co-
mune in epoca repubblicana e protoimperiale (vd. ThlL s. v.
indigeo [Rubenbauer], VII.1 1172, 68-70; 1173, 1-7; 1173, 61-
1174, 34) rispetto a quello con l’ablativo, che, pur essendo atte-
484 COMMENTO

stato a partire da Sisenna e Cicerone, è diffuso soprattutto in età


imperiale e tardoantica (ibid. 1173, 8-32; 1174, 35-1175, 31).
CITAZIONI LATINE. Ter. Andr. 312 esemplifica la costruzione
di supplico con il dativo anche in GL III 276, 19; Att. 49, 4; 89,
20 (cfr. supra, p. 219).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Isocr. Plat. 2 Priscia-
no si accorda con ΓΘ della tradizione diretta nella lezione
superiore τοιούτων (περὶ τοιούτων ΛΠ; περὶ τούτων N);
vd. Fassino 2014, p. 281.

103, 20-104, 4 τὸν αὐτὸν τρόπον … οὕτως: quem ad mo-


dum … sic
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Demosth. 1, 15
τὸν αὐτὸν τρόπον) – lemma latino, con glossa sintattica.
LEMMA GRECO. La correlazione di sintagmi nominali e avverbi
è oggetto anche di una precedente voce del lessico (72, 3- 6: vd.
commento ad loc.).
CITAZIONI GRECHE. Demosth. 1, 15 è citato anche in 72, 6, a
proposito però dell’espressione τὸν αὐτὸν τρόπον, ὥσπερ; ivi
la citazione si arresta a δανειζόμενοι, qui, invece, include tutto
il periodo allo scopo di illustrare la correlazione di τὸν αὐτὸν
τρόπον e οὕτως (cfr. supra, p. 332).
LEMMA LATINO. La correlazione di sintagmi nominali e avver-
bi, descritta nella voce in esame per mezzo dell’exemplum fictum,
‘quem ad modum … sic ...’, pro ‘ut … sic ...’, riceve una formula-
zione teorica più generale in 72, 10-12 Frequentissimae tamen
sunt huiuscemodi figurae quibus adverbia nominibus vel participiis vel
pronominibus redduntur. In entrambi i casi l’articolazione sintattica
in questione è qualificata come figura.
PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Demosth. 1, 15 presenta
qui, rispetto alla tradizione diretta, la variante ὅνπερ per
ὥσπερ, che si trova, invece, in 72, 5, dove l’avverbio è glossato
proprio con ὅνπερ. La lezione ὅνπερ è testimoniata, in una
citazione del medesimo passo, anche in RhG XIV 213, 5. Le
due tipologie di correlazione occorrono in Demostene con pari
frequenza (οὕτως … ὅνπερ in 8, 18; 20, 2; 20, 61; 23, 129;
36, 48; 39, 7; 51, 2; exord. 55, 2; cfr. Ps. Demosth. 11, 4;
104, 5-10 485

οὕτως … ὥσπερ in 4, 22; 4, 39; 9, 30; 9, 33; 25, 21; 57, 66;
cfr. Ps. Demosth. 10, 43), sicché non è possibile esprimere una
preferenza per l’una o l’altra lezione sulla base dell’usus dell’ora-
tore. Prisciano attesta qui poi οὕτως per οὕτω e omette
τόκοις dopo μεγάλοις: il sostantivo è secondo E. Müller 1911,
p. 5, un’interpolazione a scopo esplicativo, ma gli editori lo
conservano. In accordo, invece, con i codici demostenici il
grammatico testimonia ἄν dopo ἡμεῖς, che Dobree, seguito da
Butcher e Dilts, espunge perché il verbo della proposizione è
un congiuntivo (φανῶμεν).

104, 5-10 τὸ ἐπί con dativo o accusativo della persona:


per e accusativo della persona
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazioni greche (Xenoph. Cyr. 5,
4, 11; Lys. Agorat. 58), con osservazione aggiuntiva – citazione
latina (Cic. Lig. 25) – citazione greca (Plat. Crit. 45d2-3), con
osservazione sintattica aggiuntiva.
LEMMA GRECO. La nota quod plerique dicunt ‘τὸ ὅσον ἐπὶ σοί’,
piuttosto che provenire dalla fonte atticista di Prisciano, potreb-
be essere un’aggiunta di quest’ultimo: essa fa riferimento, infatti,
a un uso linguistico non attestato prima dell’età imperiale (ad es.
Epict. Diss. 2, 7, 14; Clem. Alex. Paedag. 2, 11, 63, 2; Strom. 6,
16, 148, 1). Non costituisce un ostacolo a questa ipotesi la pre-
senza della medesima espressione in Hesych. τ 1144 τὸ ὅσον
ἐπ’ ἐμοί· τὸ κατὰ δύναμιν, considerata la scarsezza di signifi-
cativi punti di contatto tra il lessico di Prisciano e quello di
Esichio e l’assenza nel lemma di quest’ultimo di indicazioni che
lo riconducano alla tradizione atticista.
LEMMA LATINO. Il particolare uso di per attestato in Cic. Lig.
25 (per me licet) è discusso (ma senza riferimenti al luogo cicero-
niano) anche da Carisio, il quale lo confronta con quello analo-
go di ἐπί (303, 15-17 pro eo […] quod est ἐπί apud Graecos sumi-
tur, ἐπὶ ἐμοῦ ἢ ἐπὶ σοῦ γέγονεν, quasi per me aut per te factum
est). Diversamente da Prisciano, Carisio sembra attribuire a ἐπί
la reggenza del genitivo, non altrimenti attestata per questo
valore della preposizione (vd. LSJ s. v. ἐπί); occorre tuttavia
notare che, almeno per il pronome di seconda persona, Barwick
486 COMMENTO

registra la variante al dativo (CΟΙ) del codice P (Par. lat. 7560).


Considerata in generale l’estrema facilità dello scambio di Ι e Υ
nella trasmissione dei Graeca nei manoscritti latini, non si può
ritenere del tutto sicuro che i pronomi personali nel passo cari-
siano siano al genitivo piuttosto che al dativo.
CITAZIONI LATINE. Cic. Lig. 25 non è citato da altri grammatici.
PROBLEMI TESTUALI. In Lys. Agorat. 58 l’omissione di εἶναι
davanti a ἐσώθης, non indispensabile alla comprensione del
passo, potrebbe dipendere da un intenzionale abbreviamento a
opera del lessicografo. Più interessante è che Prisciano confermi
l’accusativo della tradizione diretta in ἐπ’ ἐκεῖνον, garantito dal
fatto che nel lessico il brano è citato proprio a questo riguardo
(Λυσίας ad accusativum κατὰ Ἀγοράτου). In Lisia, infatti, Scali-
gero proponeva di emendare ἐκεῖνον in ἐκείνῳ. Anche il nesso
di τὸ ἐπί con l’accusativo gode però di qualche circolazione nella
letteratura attica di età classica (vd. LSJ s. v. ἐπί, C.III.2), sicché
non vi è motivo di dubitare della correttezza della lezione ἐκεῖνον
in Lisia (conservata, infatti, da Carey).
Nella citazione di Cic. Lig. 25 Hertz (GL III 367, 9) mette-
va a testo la lezione del solo R (e dei correttori di TY), si vultis
gloriemini (vultis gloriemini F). L’accoglimento da parte di Rosel-
lini della lezione d’archetipo, si vis gloriari, consente ora di con-
statare l’accordo di Prisciano piuttosto con i codici hm di Ci-
cerone, due rappresentanti della famiglia γ delle orazioni cesa-
riane. In luogo di vis gli altri testimoni diretti recano vultis
(CAHVBa) o velitis (DE); gloriari è lezione anche di due codici
del ramo β (DE, e B p. c.), mentre l’intera famiglia α (CAHV)
e i codici B della famiglia β e a di γ attestano gloriemini. Nelle
altre citazioni dalla Pro Ligario (e dalla Pro Marcello e Pro Deiota-
ro) nell’Ars non si osservano ulteriori casi di accordo significati-
vo con hm né in generale con γ.
Nello stesso estratto ciceroniano l’omissione di vel davanti a
cum mendacio potrebbe doversi a un’imprecisione del grammati-
co. La presenza di vel nel testo principale di R e come integra-
zione interlineare in TY è segno, accanto alle lezioni si vultis
gloriemini e cum mendacio/-tio (di prima mano in RFXV, corre-
zione in TY per commendatio di α), del fatto che in questi mano-
104, 11-105, 2 487

scritti la citazione dalla Pro Ligario è stata collazionata con un


esemplare della tradizione diretta. Sulla trasmissione delle ora-
zioni cesariane, divisa in tre famiglie, vd. Rouse – Reeve in
Reynolds 1983, pp. 58-59 e 65- 67.

104, 11-105, 2 διαφέρω con dativo o accusativo di limi-


tazione: differt, distat, interest, praestat con accusativo o
ablativo di limitazione
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (τοσούτῳ
διήνεγκεν) – citazioni greche (Aeschn. Socr. fr. 13 Dittmar;
Isocr. De pace 143) – lemmi latini.
LEMMA GRECO. Il lemma greco di questa voce non sembra
ricavato da nessuna delle citazioni che lo corredano, bensì da
Isocr. Phil. 111-112 τοσοῦτον διήνεγκε τῇ στρατηγίᾳ τῶν
πρὸς τὴν αὐτὴν ταύτην ὕστερον πολεμησάντων, ὅσον οἱ
μὲν μετὰ τῆς τῶν Ἑλλήνων δυνάμεως ἐν ἔτεσι δέκα μόλις
αὐτὴν ἐξεπολιόρκησαν, l’unica attestazione nota, in età classi-
ca, di τοσοῦτον/-ῳ … ὅσον/-ῳ in nesso con διήνεγκε.
CITAZIONI GRECHE. Aeschn. Socr. fr. 13 Dittmar riflette pie-
namente il lemma della voce, in quanto attesta sia la correlazio-
ne τοσούτῳ … ὅσον sia il nesso di διαφέρω con il dativo
τοσούτῳ. Isocr. De pace 143 è citato, invece, solamente per la
correlazione τοσοῦτον … ὅσον.
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica sia di τοσοῦτος
con tantus sia di ὅσος con quantus trova riscontro nei glossari
medievali (CGL II 166, 33; 195, 30 e 32 e 34; 388, 4-5 e 13-
18; 457, 33-37 e 39; III 6, 52; 151, 63-64; 152, 35-37), così
come quella di διαφέρω con differo e praesto (CGL II 49, 15 e
24; 275, 30-31).
Alla correlazione di tantus e quantus Prisciano accenna anche
nel libro XVII (GL III 128, 16-129, 4).
PROBLEMI TESTUALI. La correzione, nel lemma, del tràdito
ΤΟCΟΥΤΟΥ in τοσούτῳ è una proposta da Ferri 2014, p. 96 n.
30, sostenuta dal fatto che l’uso intransitivo di διαφέρω con il
genitivo non è altrimenti attestato.
Isocr. De pace 143 è citato con alcune varianti rispetto alla
tradizione diretta, considerate inferiori da Fassino 2014, p. 279:
488 COMMENTO

μακαριώτατοι per μακαριστότεροι (ΓΛNsl) o μακαριστό-


τερον (Πνit) o μακαριστότατοι (p46, θλ); δόξας per δωρεάς
(p46, ΓΛΠNλ) o τιμάς (θ). Il superlativo, a prima vista inap-
propriato al contesto (“tanto risultano essere i più felici tra colo-
ro/più felici di coloro che reggono le tirannidi con la violenza,
quanto gli assassini di tali uomini ricevono i più grandi onori
dai concittadini”), potrebbe ricevere sostegno dalla presenza di
μεγίστας nella proposizione relativa. D’altra parte questo se-
condo superlativo potrebbe a sua volta aver favorito la semplifi-
cazione e regolarizzazione della sintassi del periodo, con la so-
stituzione di μακαριστότατοι/μακαριώτατοι a μακαριστό-
τεροι. A sostegno del comparativo cfr. Panath. 121 οἳ τοσοῦ-
τον βελτίους ἐγένοντο τῶν τὰς δυναστείας ἐχόντων, ὅσον
περ ἄνδρες οἱ φρονιμώτατοι καὶ πραότατοι διενέγκοιεν
ἂν θηρίων τῶν ἀγριωτάτων; inoltre Paneg. 172 ὅσῳ μικρο-
ψυχότεροι τυγχάνουσιν ὄντες οἱ προεστῶτες ἡμῶν, το-
σούτῳ τοὺς ἄλλους ἐρρωμενεστέρως δεῖ σκοπεῖν.

105, 3-7 δεῖ con accusativo o genitivo: deest con accusa-


tivo o ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (τοσοῦτον …
ἐδέησεν) – lemma latino – citazione latina (Cic. Marcell. 25).
LEMMA GRECO. La citazione protolemmatica di questa voce è
stata individuata da Valente 2012, pp. 318-319, in Isocr. Hel. 63
τοσούτου δ’ ἐδέησεν ἀκόντων τι ποιεῖν τῶν πολιτῶν (cfr.
Fassino 2014, pp. 262-263).
CITAZIONI LATINE. Cic. Marcell. 25 non è citato altrove né da
Prisciano né da altri grammatici.
PROBLEMI TESTUALI. Il lemma greco registra un’alternativa tra
l’accusativo (τοσοῦτον) e il genitivo (τοσούτου), che è pre-
sente anche all’interno della stessa tradizione diretta del passo da
cui esso è ricavato (Isocr. Hel. 63): τοσούτου δ’ Γ1; τοσοῦτον
ΔEZ; τοσούτων Θ. Valente 2012, p. 319, suggerisce che il
compilatore del lessico fonte fosse a conoscenza di questo stato
della tradizione e lo abbia voluto riflettere nella formulazione
del lemma; sia il genitivo singolare sia l’accusativo singolare
sarebbero dunque lezioni antiche. Questo però sarebbe l’unico
105, 8-11 489

caso in cui un lemma greco degli Atticismi registra delle varianti


testuali di un luogo classico, sicché appare più prudente consi-
derare l’indicazione ‘τοσοῦτον’ καὶ ‘τοσούτου’ un riferimen-
to generico alla doppia costruzione di δέομαι. In questa pro-
spettiva non è possibile stabilire quale delle due lezioni il lessi-
cografo leggesse nel passo di Isocrate.
Nella citazione di Cic. Marcell. 25 nondum, che nella tradi-
zione diretta si trova davanti a quae, è trasposto dopo cogitas: la
sintassi ne risulta semplificata, giacché viene eliminato il forte
iperbato tra l’avverbio e il verbo al quale è collegato (ieceris).
Prisciano può aver banalizzato l’ordo verborum citando il passo a
memoria oppure ne poteva conoscere un testo alterato in que-
sto punto, forse con destinazione scolastica.

105, 8-11 complemento di età in genitivo o dativo:


annos natus con numerale
STRUTTURA DELLA CITAZIONE. Lemma greco (τόσων ἐτῶν)
– citazione greca (Aeschn. Socr. fr. 3 Dittmar) – citazione latina
(Ter. Eun. 693).
LEMMA GRECO. L’indicazione dell’età in genitivo semplice in
assenza del participio γεγονώς è rara, ma se ne conoscono
almeno due occorrenze in Plat. Leg. 721b; Phaedr. 248e (vd.
LSJ s. v. ἔτος). La locuzione alternativa con il dativo non è,
invece, altrimenti attestata.
CITAZIONI GRECHE. Sebbene il lemma greco concerna
l’espressione del complemento di età in genitivo o dativo, il
solo esempio conservato da Prisciano contiene, invece, il sin-
tagma all’accusativo (Aeschn. Socr. fr. 3 Dittmar ἔτη πεντή-
κον‹τ›α) in nesso con il participio γεγονώς (su questo costrutto
cfr. 48, 11-13, con commento ad loc.). È difficile stabilire se
l’assenza di riferimenti all’accusativo nel lemma si debba a una
trascuratezza del lessicografo atticista ovvero a un guasto testua-
le, che potrebbe essere intervenuto nel corso della tradizione
manoscritta sia del lessico fonte sia, più tardi, dell’Ars Prisciani.
LEMMA LATINO. L’indicazione dell’età per mezzo del nesso di
natus con l’accusativo annos e il numerale cardinale è registrata
anche in 48, 11-14 (vd. commento ad loc.).
490 COMMENTO

CITAZIONI LATINE. Ter. Eun. 693 è citato anche in 48, 13 (vd.


commento ad loc.).
PROBLEMI TESTUALI. Sulle varianti testimoniate da Prisciano in
Ter. Eun. 693, vd. supra, p. 214.

105, 12-16 μέν … δέ: cum … tum


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (τότε μέν, τότε δέ) –
lemma latino – citazione latina (Cic. Deiot. 1).
LEMMA LATINO. La correlazione di cum e tum non è trattata
altrove da Prisciano né da altri grammatici.
CITAZIONI LATINE. La citazione dall’orazione Pro Deiotaro è
impropriamente attribuita alla Pro Ligario; l’errore può dipende-
re da un lapsus memoriae del grammatico, favorito dal fatto che
entrambe le orazioni appartengono al corpus delle cesariane.
Considerata tuttavia la presenza anche nella Pro Ligario di alcune
occorrenze dei correlativi cum … tum (§ 10 homo cum ingenio
tum etiam doctrina excellens; § 35 cum hoc est animi, tum etiam inge-
nii tui), non si può del tutto escludere l’eventualità che Priscia-
no avesse citato anche un passo di questo discorso e che esso sia
andato perduto nel corso della tradizione dell’Ars, insieme
all’indicazione di provenienza dell’esempio tratto dalla Pro Deio-
taro, per un saut du même au même (da cum a cum).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Cic. Deiot. 1 Prisciano
e il ramo α della tradizione diretta attestano la sequenza multa
me, mentre le altre due famiglie (βγ) recano me multa. L’accor-
do del grammatico – sempre in lezione superiore – con il primo
ramo della tradizione delle orazioni cesariane, e soprattutto con
il codice H (London, British Library, Harley 2682), si verifica
anche in altre due citazioni all’interno dell’Ars: Marcell. 21 (quod
si H, Prisc. in GL II 181, 12-14 = 226, 4-5; ut si cett.) e Deiot.
33 (nomine optimi viri H, Prisc. in GL III 273, 19-21 = Att. 58,
8-10; hominis nom. opt. viri CAV; nom. opt. hominis β; nom. viri
opt. γ). Non sembra comunque possibile individuare un ramo o
un singolo testimone latore di un testo più vicino a quello noto
a Prisciano, che altre volte si accorda, invece, con la famiglia γ
(vd. supra, commento a 104, 7- 8), altre ancora con diverse co-
stellazioni di testimoni diretti: Marcell. 2 (vetere Vγ, Prisc. in GL
105, 17-106, 2 491

II 263, 14-15; veteri Hβ; om. A); Deiot. 8 (in proeliis αγ, Prisc.
in GL II 93, 18-20; in om. β); Deiot. 31 (confero Cαa, Prisc. in
Att. 77, 13-14; comparo βσ. Su questo passo vd. pp. 352-353).

105, 17-106, 2 τοίνυν pospositivo, τοιγαροῦν prepositivo:


autem, igitur, ergo sia pospositivi sia prepositivi
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino.
LEMMA LATINO. Della posizione di autem all’interno della frase
Prisciano si occupa anche nel libro XVI, dove include questa in
un elenco di coniunctiones quae semper supponuntur e specifica che
tamen antiqui solebant etiam praeponere (GL III 104, 22-23). La
dottrina esposta in quel passo è dunque coerente con la voce
del lessico e anzi, più precisa, in quanto fornisce anche un’indi-
cazione cronologica circa l’uso prepositivo di autem. In assenza
di esempi letterari, non è tuttavia possibile chiarire a quali auto-
ri il grammatico facesse riferimento con il termine antiqui. Au-
tem ed ergo sono inoltre citati da Prisciano con un interesse se-
mantico in Att. 16, 5-12; 71, 11-13 (vd. supra, ad locc.).
L’uso di autem a inizio di colon è discusso già da Quintiliano,
che lo annovera tra i solecismi (inst. 1, 5, 39 transmutatione, qua
ordo turbatur, […] ‘autem non habuit’) e poi da diversi grammatici
tardoantichi (Char. 352, 25-27; Diom. GL I 455, 14-16; Don.
mai. 657, 15-16; Cledon. GL V 74, 12-16). L’uso pospositivo
di autem è indicato come la norma anche in Serv. GL IV 418,
26-28; Ps. Asper GL Suppl. 57, 28; Ps. Serg. GL Suppl. 157,
32-158, 1. L’impiego di autem anche in posizione iniziale è
ammesso, invece, da Cledon. GL V 74, 12-16 autem secundum
licentiam antiquorum etiam praeponitur, ut Plautus ‘autem fac’ et
‘autem haec mulier’ pro ‘haec autem mulier’. illic enim hysterologiam
fecit; Pomp. GL V 269, 17-18 similiter ‘hoc autem fac’ pro eo quod
est ‘autem hoc fac’. sed ista praeposita invenitur apud comicos, in elocu-
tione communi postponitur. Questi due grammatici fanno riferi-
mento alla lingua dei comici arcaici, sebbene non sia possibile
identificare i passi citati da Cledonio in alcuna opera conservata.
Al di fuori dei due brani appena riportati e dell’Ars Prisciani non
si conoscono attestazioni di autem a inizio di frase (vd. ThlL s. v.
autem [Münscher], II 1576, 84-1578, 3). Le affermazioni dei
492 COMMENTO

grammatici tardoantichi in contrasto con questo dato potrebbe-


ro spiegarsi con una diversa nozione di “posizione iniziale” e
“uso prepositivo” rispetto a quella presente agli studi moderni.
Si confronti dubitativamente la seconda delle due espressioni
attribuite da Cledonio a Plauto, autem haec mulier, con Plaut.
Men. 906 condigne autem haec meretrix fecit; Merc. 792 ecce autem
haec abiit: in entrambi i passi autem precede, sì, il soggetto della
frase, ma di essa occupa la seconda posizione, non la prima.
Anche la posizione di igitur nella frase è trattata per primo da
Quintiliano, il quale nota che alcuni autori impiegano questo
avverbio anche a inizio di frase (inst. 1, 5, 39 ex quo genere an sit
‘igitur’ initio sermonis positum dubitari potest, quia maximos auctores
in diversa fuisse opinione video, cum apud alios sit etiam frequens,
apud alios numquam reperiatur). In epoca tardoantica molti gram-
matici annoverano igitur tra le congiunzioni mediae o communes,
cioè sia prepositive sia pospositive (Serv. GL IV 418, 28-30;
Cledon. GL V 74, 15-18; Pomp. GL V 269, 19-20); in parti-
colare Ps. Asper GL Suppl. 57, 29 menziona allo stesso proposi-
to anche ergo, il terzo lemma latino della voce degli Atticismi. Il
duplice ordo verborum di ergo e igitur è confermato dagli studi
linguistici moderni (vd. ThlL s. v. ergo [Rehm], V.2 760, 26-
761, 78; s. v. igitur [Skutsch-Rehm], VII.1 253, 42-254, 46).

106, 3-9 complemento di tempo in dativo o genitivo o


ἐν e dativo o accusativo o κατά e accusativo: comple-
mento di tempo con super e ablativo, venit in mentem con
genitivo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (τούτῳ τῷ χρόνῳ) –
osservazione teorica sul latino – citazioni latine (Verg. Aen. 9,
61- 62; Cic. div. in Caec. 41; Verr. 2, 4, 110). La voce è alfabe-
tizzata a partire dall’attributo (τούτῳ) piuttosto che dal sostanti-
vo (χρόνῳ) nel sintagma lemmatizzato.
LEMMA GRECO. L’espressione del complemento di tempo è
oggetto anche di altri lemmi del lessico: vd. supra, p. 131.
LEMMA LATINO. Per la discussione dei complementi di tempo
in latino da parte di Prisciano vd. supra, p. 131.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 9, 61 è citato, limitatamente al
106, 3-9 493

sintagma nocte super media, anche in Arus. 91, 5- 6 Di Stefano


SUPER HAC RE pro ‘plus hac re’. Virg. Aen. IX ‘In nocte super
media’, idest ‘plus media’, dove l’aggiunta di in davanti a nocte è
sospetta di corruttela e veniva espunta dagli editori precedenti a
Di Stefano. Il lemma, sotto cui il luogo virgiliano è citato, pre-
vede, infatti, l’uso della sola preposizione super. Il complemento
di tempo è discusso anche nel commento ad loc. di Servio quale
esempio di syllepsis.
Cic. div. in Caec. 41 esemplifica l’uso del genitivo in luogo
del nominativo in GL III 188, 5-8; Att. 88, 10; 91, 3 (vd. supra,
pp. 408- 409). In questa voce il passo è, invece, richiamato a
cagione del preciso sintagma illius temporis, che Prisciano accosta
al complemento di tempo greco in genitivo semplice. Cic. Verr.
2, 4, 110, addotto di seguito, non è, invece, pertinente al lem-
ma greco di partenza e rivela che l’attenzione del grammatico si
è spostata dai complementi di tempo alla costruzione di venit in
mentem con il genitivo, già attestata nell’esempio precedente.
PROBLEMI TESTUALI. L’omissione di τοῦ nel lemma della voce
si spiega come aplografia nella sequenza ΤΟΥΤΟΥΤΟΥ; l’inte-
grazione dell’articolo, già compiuta da Krehl, è sostenuta dal
confronto con gli altri membri del lemma.
Nella citazione di Verg. Aen. 9, 61 i codici priscianei si divi-
dono tra maribus e matribus; questa seconda lezione poteva facil-
mente essere ripristinata anche da uno o più copisti per cono-
scenza diretta del testo virgiliano, tuttavia il senso stesso della
frase (“dopo la metà della notte, gli agnelli, al riparo sotto i
ventri delle madri, emettono belati”) rende piuttosto improba-
bile che la forma maribus risalga a Prisciano. È più verosimile
che la -t- sia caduta per errore nella tradizione manoscritta
dell’Ars, sicché opportunamente Rosellini stampa matribus.
Nei codici θOM la citazione di Cic. div. in Caec. 41 è intro-
dotta da in Verrinarum I (accolto a testo da Hertz in GL III 369,
11) invece che dal semplice Verrinarum I. Il confronto con
un’altra occorrenza del medesimo esempio in GL III 188, 5
(Cicero Verrinarum I) e di altri passi delle Verrinae in GL II 380, 7
(Cicero tamen Verrinarum III) e Att. 29, 14-15 (Cicero Verrinarum
II) consente però di difendere la lezione dell’archetipo, che
494 COMMENTO

anche in questo punto doveva essere privo della preposizione.


Anche nelle citazioni da altri autori, del resto, Prisciano alterna
la formula con il numerale preceduto da in e da solo e non è
necessario né opportuno ricondurre tutte le indicazioni di pro-
venienza di un esempio, prive della preposizione, ad altrettanti
errori di omissione nella tradizione manoscritta dell’Ars. La
corruttela di ut cum in vatum in questa stessa citazione si spiega
come errore di natura grafica per il fraintendimento di una
minuscola altomedievale con a di forma aperta.
Cic. Verr. 2, 4, 110 è riportato con la variante regionis, che
appare più banale di religionis della tradizione diretta e meno
appropriata al contesto di provenienza, nel quale Cicerone rie-
voca una sua visita al santuario di Cerere a Enna e religio com-
pare poco oltre, questa volta non coordinato a fanum ma come
sostantivo di cui esso è specificazione: § 111 Cereris numen,
sacrorum vetustatem, fani religionem istius sceleratissimi atque audacis-
simi supplicio expiari volebant.

106, 10-15 nesso di avverbi con articoli: nesso di avverbi


con aggettivi o sostantivi
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (τὸ περὶ ὄρθρον) –
osservazione teorica sul latino – citazioni latine (Pers. 1, 49; 5,
68; Verg. georg. 3, 325; Aen. 7, 204; Lucan. 1, 66).
LEMMA LATINO. Il nesso di avverbi con parti variabili del discor-
so, cioè aggettivi, è trattato da Prisciano anche in precedenti
passi dell’Ars e da altri grammatici, per lo più in relazione ai loci
classici riportati nella voce in esame; cfr. Uría 2016, pp. 138-141.
CITAZIONI LATINE. Pers. 1, 49 occorre a proposito dell’uso
sostantivato dell’avverbio anche in GL II 552, 9, dove è privo
dell’indicazione di provenienza. Lo stesso esempio è inoltre
presente nei manoscritti anche in Att. 77, 6, dove tuttavia Ro-
sellini lo espunge (vd. supra, ad loc.).
Pers. 5, 68 è citato come esempio del passaggio dell’adverbium
in nomen anche in Serv. Aen. 5, 19, in forma identica alla tradi-
zione diretta, mentre Prisciano riecheggia il passo in modo piut-
tosto impreciso (vd. infra). In GL II 552, 9 (cras alterum) egli
potrebbe aver confuso il passo di Persio con Verg. ecl. 3, 71 cras
106, 10-15 495

altera. Oppure cras alterum potrebbe essere una variante per aliud
cras, le ultime due parole dello stesso verso di Persio, forse sug-
gerita dalla presenza di altera nel verso precedente: sed cum lux
altera venit, / iam cras hesternum consumpsimus; ecce aliud cras /
egerit hos annos et semper paulum erit ultra. L’espressione aliud cras
è citata, a proposito della concordanza di avverbi con parti va-
riabili del discorso, in Pomp. GL V 136, 6-7 item quo modo dicit
Persius ‘aliud cras’: aliud cras si habet genus, sine dubio nomen est.
Le espressioni virgiliane mane novum (georg. 3, 325) e sponte
sua (Aen. 6, 82 = Aen. 7, 204; ecl. 4, 45; 8, 106; georg. 2, 11;
2, 47) sono più volte richiamate in coppia nell’Ars, sempre
quali esempi del nesso di avverbi con aggettivi: GL II 552, 8-9
et adverbium loco nominis, ut ‘mane novum’ et ‘sponte sua’ et ‘euge
tuum et belle’ et ‘cras alterum’; III 34, 15-16; 68, 5-7; 84, 27- 85,
1; 148, 20. Come negli Atticismi, in GL III 34, 14-16 la cita-
zione dei due sintagmi è introdotta dal solo nome Vergilius,
senza l’indicazione dell’opera e del numero di libro. In GL II
552, 8-9; III 68, 5-7; 148, 20 manca anche il nome del poeta.
Inoltre in GL III 68, 5-7 i codici recano ‘sponte sua’ et ‘mane
primo’, con assimilazione del secondo sintagma al caso del
primo. In GL III 87, 26- 85, 1 del primo dei due nessi si preci-
sa, invece, la provenienza da libro VII dell’Eneide (204); il
secondo è però ancora introdotto genericamente da similiter et.
Le due locuzioni sono discusse anche da altri grammatici: mane
novum in Ad Caelest. GL IV 246, 7; Serv. GL IV 416, 19; 428,
22; Aen. 4, 341; 5, 19; Pomp. GL V 136, 3; 255, 35; sponte
sua in Serv. georg. 2, 11.
Anche Lucan. 1, 66 è adoperato come esempio dell’uso
sostantivato degli avverbi già in precedenti libri dell’Ars (GL III
77, 22-23; 85, 2-3; 193, 17-20).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Lucan. 1, 66 parte dei
codici priscianei (βOMJ) sono latori della variante inferiore
carmine per carmina; la stessa corruttela è anche presente come
lezione di prima mano in DWp in GL III 193, 20 (dove i cor-
rettori di Dp ripristinano il neutro plurale).
496 COMMENTO

107, 1- 4 complemento di modo in accusativo o genitivo


di qualità: in modum con genitivo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (τοῦτον τὸν τρόπον)
– citazione latina (Sall. Catil. 12, 3) – citazione greca (Demosth.
20, 91).
LEMMA GRECO. L’espressione del complemento di modo in
accusativo semplice è lemmatizzata anche in 67, 9 (vd. ad loc.).
CITAZIONI GRECHE. Il passo introdotto con Θουκυδίδης
δευτέρᾳ corrisponde in vero a Demosth. 20, 91: è probabile
che il testo della citazione tucididea sia andato perduto in
qualche fase della tradizione insieme all’indicazione di prove-
nienza dell’esempio demostenico. Allo stato attuale delle ricer-
che non è però possibile individuare quale luogo dell’opera di
Tucidide, e specificamente del libro II, potesse essere stato
escerpito dal lessicografo atticista. Lo storico greco, infatti,
non impiega quasi mai l’accusativo o il genitivo semplice di
τρόπος per esprimere il complemento rispettivamente di
modo e di qualità (l’unica eccezione è τὸν αὐτὸν τρόπον in
7, 39, 2; 7, 84, 2; 8, 53, 1, comunque in libri diversi da quello
indicato da Prisciano).
LEMMA LATINO. L’espressione del complemento di modo con
in e l’accusativo modum è già richiamata in 36, 15-16: vd. ad loc.
CITAZIONI LATINE. Sall. Catil. 12, 3 non è citato altrove in
ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. Demosth. 20, 91 è riportato da Prisciano
con la variante ἕως μὲν per τέως della tradizione diretta, nella
quale la particella μέν si trova immediatamente prima della
proposizione temporale (καὶ γάρ τοι τότε μέν, τέως …
ἐνομοθέτουν, ripreso all’inizio del periodo successivo da
ἐπειδὴ δὲ […] κατασκεύασαν αὑτοῖς ἐξεῖναι νομοθετεῖν).
La citazione di Sall. Catil. 12, 3 attesta la variante videas per
cognoveris della tradizione diretta; la vicinanza, nel contesto di
origine, dell’infinito visere suggerisce che la lezione testimoniata
da Prisciano sia inferiore dal punto di vista stilistico.
107, 5-13 497

107, 5-13 complemento di tempo in dativo o accusati-


vo: numerale in ablativo o accusativo con kalendas o
kalendarum
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (τρίτῃ ἡμέρᾳ), con
glossa semantica in latino – lemma latino, con glossa sintattica –
citazione latina (Cic. Catil. 1, 7), con glossa sintattica – osserva-
zione teorica aggiuntiva.
LEMMA GRECO. Sull’uso dell’accusativo semplice con un nu-
merale ordinale per esprimere il complemento di tempo con il
valore di “da … giorni”, forse oggetto anche di un precedente
lemma degli Atticismi (12, 3-5; 31, 8-12), vd. supra, p. 29.
La citazione protolemmatica di questa voce è stata indivi-
duata da Valente 2012, p. 319, in Xenoph. Cyr. 6, 3, 11 καὶ
ἐχθὲς δὲ καὶ τρίτην ἡμέραν τὸ αὐτὸ τοῦτο ἔπραττον (cfr.
Or. fr. A 79 = Ps. Zon. lex. 1744, 21).
LEMMA LATINO. Le locuzioni latine per indicare la data sono
trattate da Prisciano anche in 48, 5-10: vd. commento ad loc.;
cfr. inoltre Hofmann – Szantyr, pp. 42 e 148.
CITAZIONI LATINE. Cic. Catil. 1, 7 è citato anche in 48, 6 (in
forma più breve: qui dies … Novembrium), dove Prisciano si
sofferma sull’uso del genitivo kalendarum in alternativa ad ante
kalendas. Nella voce in esame, invece, l’interesse del grammati-
co è rivolto al caso in cui sono espressi il sostantivo diem e il
numerale ordinale che lo accompagna.
PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Cic. Catil. 1, 7 in questa
voce presenta delle varianti rispetto sia alla tradizione diretta sia
alla prima occorrenza dell’esempio in 48, 6- 8. In 107, 8-11,
infatti, Prisciano cita il passo con due volte in ante diem sextum
per ante diem sextum. Anche parte dei manoscritti ciceroniani
recano questa variante: ante (anti B) diem Bαβo; in ante diem h;
ante γ || ante diem αγ; in ante diem βx. Dell’espressione in ante
diem si conoscono solamente dieci attestazioni nella letteratura
latina conservata, tutte in Cicerone e Livio (cfr. ThlL s. v. dies
[Pflugbeil], V.1 1039, 72-75): Cic. Catil. 1, 7 Dixi ego idem in
senatu caedem te optimatium contulisse in a. d. V. Kal. Nov.; Phil.
3, 20; Att. 1, 16, 13; 2, 20, 6; Liv. 41, 16, 5; 41, 17, 5; 43, 16,
12; 45, 3, 2. Si noti che una delle pochissime altre attestazioni
498 COMMENTO

di tale espressione segue a breve distanza, nel contesto origina-


rio, il passo citato da Prisciano. Le due varianti testimoniate dal
grammatico, in ante diem XII e in ante diem VI, sono certamente
deteriori giacché l’espressione con in è utilizzata altrove solo in
riferimento a eventi futuri (la prima data enunciata da Cicerone
riguarda, invece, un fatto passato) ed è per lo più introdotta da
un verbo dal significato di “destinare, fissare a, rimandare” (ad
es. edico, differo. La seconda data presente nella citazione, che
pur concerne un evento futuro, è parte nominale di qui dies
futurus esset). Non è impossibile pertanto che Prisciano stesso,
nel citare una seconda volta il passo, che aveva riferito in modo
corretto in 48, 6- 8, abbia erroneamente esteso alle prime due
date ivi menzionate la stessa struttura sintattica della terza data,
esclusa dalla sua citazione, in ante diem V.

107, 14-108, 3 ὑπακούω con dativo o genitivo: oboedio e


ausculto con dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ὑπακούοντες) –
citazioni greche (Demosth. 3, 24; 18, 20) – lemma latino – cita-
zioni latine (Sall. Catil. 1, 1; Ter. Andr. 209), con glossa semantica.
LEMMA GRECO. La citazione protolemmatica di questa voce, il
cui lemma, con il participio ὑπακούοντες, non sembra ricava-
to da nessuno dei due luoghi demostenici riportati di seguito,
potrebbe essere stata Thuc. 4, 56, 2 Ἀθηναίων ὑπακούοντες
ὅμως πρὸς τὴν ἐκείνων γνώμην αἰεὶ ἕστασαν.
CITAZIONI GRECHE. Demosth. 3, 24 illustra la costruzione di
ὑπακούω con il dativo anche in Lex. Coisl. υ 1, dove l’esem-
pio include anche la proposizione successiva a quella riportata
da Prisciano (ὥσπερ ἐστὶ προσῆκον βάρβαρον Ἕλλησιν).
Lo stesso luogo demostenico potrebbe essere adombrato anche
nelle citazioni anepigrafe e incomplete di Synt. Par. 29r, 10 =
Synt. Vindob. 215v, 3 ὑπήκουσεν αὐτῷ ὁ βάρβαρος; An.
Ox. IV 301, 11 Cramer ὑπήκουσεν αὐτῷ ὁ τὴν.
LEMMA LATINO. La costruzione di oboedio è discussa anche nel
capitolo del libro XVIII sulla sintassi verbale, dove questo lem-
ma è elencato tra i subiecta verba, da cui dipende il dativo (GL
III 274, 2). La reggenza del dativo è inoltre registrata in Arus.
108, 4-6 499

73, 14-17 e negli idiomata casuum di Explan. in Don. GL IV


556, 19; Oxford, Bodl. Libr., Add. C 144, f. 79r oboedio praecep-
tis oboedio disciplinae. Della sintassi di ausculto Prisciano tratta
anche in Att. 10, 3-9; 52, 11-17 (vd. ad locc.).
CITAZIONI LATINE. Sall. Catil. 1, 1 illustra la costruzione di
oboediens con il dativo anche in Arus. 73, 14-15 Di Stefano
(dove la citazione comprende anche pecora davanti a quae). Ter.
Andr. 209 ricorre negli Atticismi, a proposito della costruzione
di ausculto con il dativo, anche in 10, 5; 52, 14 (vd. ad locc.).
PROBLEMI TESTUALI. Demosth. 3, 24 è citato in Lex. Coisl. υ 1
con la variante ὑπήκουσε per ὑπήκουε (cfr. Synt. Par. 29r, 10;
Synt. Vindob. 215v, 34; An. Ox. IV 301, 11 Cramer). Giacché
il lessico usato da Prisciano condivide la lezione ὑπήκουε con
la tradizione diretta, è probabile che ὑπήκουσε sia un’innova-
zione intervenuta già all’interno della tradizione indiretta lessi-
cografica del passo, in uno stadio posteriore alla fonte comune
al nostro grammatico e al lessico coisliniano (vd. supra, p. LIII).
Nella citazione di Demosth. 18, 20 Cotton, Krehl, Hertz
(GL III 370, 17) e Rosellini correggono εΠΗΚΟΥCαΤε dei
codici priscianei in ὑπηκούσατε sulla base della tradizione
diretta e del confronto con il lemma sotto il quale il passo è
riportato. Non sarebbe però inaccettabile in Prisciano la forma
tràdita, considerata la frequente presenza, nei lessici greci, di
esempi relativi a corradicali dei lemmi piuttosto che agli stessi.
In ogni caso si tratterebbe di una variante inferiore: Demostene,
infatti, non adopera mai ἐπακούω, mentre impiega spesse volte
ὑπακούω (3, 24; 6, 11; 8, 75; 14, 12; 18, 20; 18, 36; 18, 156;
18, 204; 19, 257; 19, 266; 19, 290; 39, 35; 21, 206; 60, 18; cfr.
Ps. Demosth. 10, 4; 10, 51; 50, 51; 58, 10). Nella medesima
citazione si osserva l’accordo in lezione corretta di Prisciano
con la maggior parte della tradizione diretta, che attesta l’artico-
lo τῷ, contro il solo codice A, che lo omette.

108, 4- 6 ὑπήκοος con dativo o genitivo: dicto audiens


con dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ὑπήκοοι) – citazio-
ne greca (Xenoph. Cyr. 4, 2, 1) – lemma latino.
500 COMMENTO

LEMMA LATINO. La corrispondenza qui istituita tra ὑπήκοος e


dicto audiens trova riscontro nei glossari bilingui medievali (CGL
II 48, 47; III 6, 69).
Il lemma formulato da Prisciano potrebbe riecheggiare,
come indica Rosellini in apparato, Cic. Verr. 2, 1, 114 si potest
tibi dicto audiens esse quisquam, un passo che il nostro grammati-
co cita esplicitamente in GL III 261, 12-15, a proposito però
del congiuntivo vindicasset, che segue a breve distanza nel con-
testo ciceroniano. Il sintagma dicto audiens (sul quale vd. ThlL
s. v. audio [Diehl], II 1289, 45- 82; s. v. dico [Lommatzsch], V.1
993, 68-71) figura anche in alcune raccolte di idiomata del
dativo (Diom. GL I 314, 9; Dosith. 87, 7 Tolkiehn; Exc. An-
dec. § VI De Nonno; Aug. ars 103 Bonnet; cfr. Explan. in
Don. GL IV 556, 18). Apparentemente in queste opere viene
registrata solamente la costruzione di audiens con il participio
in dativo, dicto; sembra tuttavia che in un più antico stadio
della tradizione della fonte comune a questi testi si prendesse
in esame il nesso dell’intero sintagma dicto audiens con il dati-
vo, come avviene in Prisciano. La forma completa del lemma
si conserva solo in Oxford, Bodl. Libr., Add. C 144, f. 79v
dicto audiens patri dicto audiens pręceptoribus (e in Diom. GL I
314, 9, dove sarà opportuno interpungere diversamente che
nell’edizione di Keil: dicto audiens patri, invidus bono); sulla que-
stione vd. Barwick 1922, p. 60 n. 1; Spangenberg Yanes
2017d, pp. 77- 81.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Xenoph. Cyr. 4, 2, 1
Prisciano attesta l’ordo verborum ὑπήκοοι τῶν Ἀσσυρίων
ἦσαν, in accordo con i rami x e y della tradizione diretta (e così
stampano Gemoll – Peters), contro il ramo z della stessa, latore
della variante ὑπήκοοι ἦσαν τῶν Ἀσσυρίων (messa a testo da
Marchant e Bizos). Marchant 1910, p. IX, rileva comunque
come l’accordo di Prisciano con i codici CEDF sia segno
dell’antichità della divisione della tradizione di Senofonte in due
famiglie (per un caso simile vd. commento a 94, 11-12).
108, 7-11 501

108, 7-11 complemento di argomento con ὑπέρ e geni-


tivo: complemento di argomento con de e ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino –
citazioni greche (Demosth. 4, 1; 4, 1) – citazione latina (Verg.
Aen. 1, 750).
LEMMA LATINO. Dell’impiego di super con l’ablativo per espri-
mere il complemento di argomento (vd. Forcellini s. v. super,
B.II.2; Hofmann – Szantyr, p. 281) si occupa la maggior parte
dei grammatici tardoantichi, per lo più in relazione allo stesso
locus classicus citato da Prisciano (Verg. Aen. 1, 750; vd. infra).
Presso alcuni autori la trattazione di questa particolare funzione
di super si intreccia a quella della duplice reggenza della preposi-
zione, nella misura in cui si afferma che super regge l’ablativo
quando ha il valore di de (Char. 303, 7-11; Don. min. 601, 13-
14; mai. 651, 3- 4; Cledon. GL V 26, 3- 4) o, più precisamente,
che assume anche il caso della preposizione di cui riveste il
significato (Serv. GL IV 420, 12-17 sciendum est etiam, praeposi-
tiones utriusque casus quotiens pro aliis praepositionibus ponuntur, illis
eas casibus iungi, quibus iunguntur illae pro quibus ponuntur [...]. item
‘super Priamo rogitans’: quoniam ‘super’ ‘de’ significat, ablativo iun-
genda est; sim. Aen. 1, 750; Pomp. GL V 277, 12-27).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 750 è citato da Prisciano per
illustrare l’espressione del complemento di argomento con super
e l’ablativo anche nei libri XIV e XVII (GL III 55, 13-15 ‘su-
per’ tamen quando loco ‘de’ ponitur, sine dubio ablativo iungitur, ut
‘multa ... multa’; 195, 22-196, 2 Aliae [scil. praepositiones] pro aliis
ponuntur, ut Virgilius in I Aeneidis: ‘multa ... multa’, ‘super Priamo’
pro ‘de Priamo’). Il luogo virgiliano è inoltre riportato in GL III
45, 26-27 – dove fonte della citazione è dichiaratamente Cen-
sorino – nella discussione sul duplice uso di super e altre prepo-
sizioni sia come preposizioni sia come avverbi (cfr. supra, pp. 84;
183). Verg. Aen. 1, 750 è l’esempio tipicamente proposto ri-
guardo all’uso di super col valore di de anche nella restante pro-
duzione grammaticale latina: Arus. 91, 7- 8 Di Stefano; Char.
299, 12-13; 303, 7-11; Diom. GL I 413, 14; Don. min. 601,
13-14; mai. 651, 3- 4; Serv. GL IV 420, 12-17; Cledon. GL V
26, 3- 4; Pomp. GL V 277, 12~27; Audax GL VII 355, 20-25;
502 COMMENTO

Dosith. 68, 23 Tolkiehn; 71, 20-21; Iul. Tol. 107, 225; Beda
orth. 47, 999 Jones. Il particolare valore rivestito dalla preposi-
zione in questo passo è rilevato anche da Serv. ad loc.; Aen. 10,
42 SUPER IMPERIO id est de imperio, ut ‘multa ... rogitans’.
PROBLEMI TESTUALI. Nel primo dei due estratti di Demosth. 4,
1 Prisciano omette ἄνδρες davanti ad Ἀθηναῖοι; il sostantivo
è assente anche dalle citazioni del passo in Hermog. id. pp. 284,
9-11 Rabe; 292, 7- 8; Ps. Hermog. heur. p. 175, 4-5 Rabe;
Anon. RhG III 137, 7-9 Spengel; 147, 10-11; Syr. Hermog. id.
p. 27, 20-21 Rabe. La tradizione indiretta di ambito retorico
non è tuttavia uniforme su questo punto giacché in parte essa si
accorda con i codici demostenici (Schol. Hermog. RhG VII.2
809, 22-23; 809, 27-29; 810, 11-13; 811, 11-13; ὦ ἄνδρες
Ἀθηναῖοι è inoltre presente come varia lectio in Ps. Hermog.
heur. p. 175, 9-11) oppure omette il vocativo per intero (Ps.
Hermog. heur. p. 175, 9-11; Schol. Hermog. RhG VII.1 57, 10-
11; VII.2 811, 14).
Nella stessa citazione Prisciano testimonia inoltre la variante
σκοπεῖν, in accordo con il solo Hermog. id. p. 284, 9-11.
Nella tradizione diretta σκοπεῖν è comunque presente nel
contesto di origine dell’escerto, nella prosecuzione della secon-
da frase del brano di Demostene riportata da Prisciano: ἐπειδὴ
δ’ ὑπὲρ ὧν πολλάκις εἰρήκασιν οὗτοι πρότερον συμβαίνει
καὶ νυνὶ σκοπεῖν. Anche λέγειν occorre una seconda volta,
alla fine del primo periodo citato negli Atticismi: εἰ μὲν περὶ
καινοῦ ... λέγειν, ἐπισχὼν ἂν ἕως οἱ πλεῖστοι τῶν
εἰωθότων γνώμην ἀπεφήναντο, εἰ μὲν ἤρεσκέ τί μοι τῶν
ὑπὸ τούτων ῥηθέντων, ἡσυχίαν ἂν ἦγον, εἰ δὲ μή, τότ’ ἂν
αὐτὸς ἐπειρώμην ἃ γιγνώσκω λέγειν. Più testimoni di tradi-
zione indiretta potevano dunque piuttosto facilmente, e in mo-
do indipendente l’uno dall’altro (come nel caso di Prisciano ed
Ermogene), confondere frasi differenti dello stesso brano e so-
stituire un infinito con l’altro (cfr. E. Müller 1911, pp. 6-7).
Nel secondo esempio tratto da Demosth. 4, 1 il solo Priscia-
no omette πολλάκις davanti a εἰρήκασιν.
108, 12-109, 4 503

108, 12-109, 4 ὑπερέχω con genitivo o accusativo: supero


con ablativo di limitazione
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ὑπερέχει) – citazio-
ne greca (Plat. Phaed. 96e3- 4) – lemma latino – citazione latina
(Iuv. 14, 200-201) – lemma latino secondario, con glossa se-
mantica – citazioni latine (Verg. Aen. 11, 438; 1, 501), con
glossa semantica.
LEMMA LATINO. Mentre il lemma greco della voce concerne i
casi in cui è espressa la persona che si supera, Prisciano ha rivol-
to la sua attenzione, nell’esempio platonico addotto dalla sua
fonte, al nesso del verbo con l’accusativo di relazione (ἥμισυ ...
ὑπερέχειν), che egli confronta con il latino dimidio superat. Nel
prosieguo della voce il grammatico ha portato il discorso su un
livello più generico della comparazione tra le due lingue, citan-
do un’attestazione di dimidio (ma non in nesso con supero) e poi
due occorrenze di verbi di significato affine, praesto e superemi-
neo, con l’accusativo della persona. Solo questi ultimi due esem-
pi risultano pertinenti al lemma greco di partenza. Per l’espres-
sione dimidio pluris cfr. commento a 84, 1.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 11, 438 occorre anche in 88, 2-
3: vd. commento ad loc.
PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Plat. Phaed. 96e3- 4 con-
tiene la variante ἥμισυ, presente anche nel codice B di Platone;
gli altri testimoni della tradizione diretta (TW) e il correttore
dello stesso B recano, invece, ἡμίσει, che è la forma messa a
testo da Burnet. Menchelli 2014, p. 223 n. 56 e p. 233, nota a
questo proposito che l’unico ramo della tradizione platonica
con cui Prisciano si accordi – sia pur raramente – in innovazio-
ne è quello rappresentato da B (cfr. 19, 2-3 con commento ad
loc.). La superiorità della forma al dativo testimoniata da TW è
confermata dal confronto con Phaed. 101b6-7 καὶ τὸ δίπηχυ
τοῦ πηχυαίου ἡμίσει μεῖζον εἶναι; non si conoscono altre
occorrenze di ἥμισυ come accusativo di relazione in Platone.
I codici priscianei sono latori nella citazione di Iuv. 14, 200-
201 della lezione partes (portes U, e corr. X) in luogo di pares della
tradizione diretta; quest’ultima forma è certamente superiore sia
perché sintatticamente non darebbe senso nel contesto un accu-
504 COMMENTO

sativo o nominativo mentre è necessario un verbo che introdu-


ca la proposizione relativa quod vendere possis, sia perché partes
viola il metro. Le difficoltà non solo di metro ma anche di si-
gnificato e sintassi prodotte dalla lezione partes confortano la
scelta degli editori di Prisciano di ripristinare pares; è poco pro-
babile, infatti, che il grammatico potesse accogliere un testo
giovenaliano già sfigurato da tale corruttela.
La citazione di Verg. Aen. 11, 438 è introdotta, come in 88,
2, dall’errata indicazione del libro del poema, XII invece che
XI; proprio la ricorrenza del medesimo errore in due diversi
luoghi dell’Ars consente di stabilire che non si tratta di una
banale corruttela del numerale bensì di una svista dello stesso
grammatico, che pertanto è opportuno non correggere (vd.
Rosellini 2015a, pp. CXLIV-CXLV e n. 187; cfr. supra, p. 407).

109, 5-7 ὑπεροράω con genitivo o accusativo: despicio,


contemno e aspernor con l’accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ὑπερορᾷ) – citazio-
ne greca (Demosth. 24, 9) – lemma latino.
CITAZIONI GRECHE. Demosth. 24, 9 esemplifica l’uso transiti-
vo di ὑπεροράω anche in Lex. Coisl. υ 10 (dove la citazione
ha un taglio più ampio: Τιμοκράτης οὑτοσὶ τοσοῦθ’
ὑπερεῖδεν ἅπαντα τὰ πράγματα).
LEMMA LATINO. Despicio è impiegato come equivalente di
ὑπεροράω anche nello Ps. Filosseno (CGL II 45, 31).
Sulla sintassi di despicio e contemno, trattata anche in 54, 5 e
80, 15, vd. ad locc. In quelle due voci del lessico a questi verbi è
affiancato il semplice sperno; solo nel passo in esame Prisciano si
occupa, invece, del composto aspernor. L’uso transitivo di que-
st’ultimo verbo, segnalato già nel capitolo del libro XVIII sulle
costruzioni verbali (GL III 277, 18-21), è registrato anche in
Arus. 17, 3-5 Di Stefano e alcune liste di idiomata (Diom. GL I
315, 12; Idiom. cas. GL IV 569, 2; cfr. Beda orth. 16, 220 Jones).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Demosth. 24, 9 Pri-
sciano si accorda col manoscritto A della tradizione diretta nella
lezione τοσοῦτον (vd. anche da E. Müller 1911, p. 10); i codi-
ci SF e il lessico coisliniano recano, invece, τοσοῦθ’, che pre-
109, 8-11 505

suppone la flessione dell’aggettivo al dativo o genitivo piuttosto


che all’accusativo (cfr. Petrova 2006, p. XXXIV).

109, 8-11 ὑποβλέπω con accusativo o dativo: aspicio con


accusativo, prospicio con dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ὑποβλέπει) – cita-
zioni latine (Cic. Mil. 33; Verg. Aen. 1, 126-127).
LEMMA GRECO. Della due costruzioni di ὑποβλέπω qui de-
scritte quella con il dativo non è altrimenti nota (cfr. LSJ s. v.).
LEMMA LATINO. Sulla sintassi di aspicio e prospicio, trattata anche
in altre voci del lessico (28, 8-11; 41, 6- 8; 87, 6-11; 91, 17-92,
2; 94, 1-5), vd. supra, pp. 116-117.
CITAZIONI LATINE. Cic. Mil. 33 illustra l’uso transitivo di aspi-
cio anche in 92, 1 (vd. ad loc.). Verg. Aen. 1, 126-127 occorre
anche in 28, 10-11; 41, 7; 87, 8 (vd. supra, pp. 117-118).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Cic. Mil. 33 Prisciano
omette il verbo solebat dopo tum. Mancano elementi sufficienti
a chiarire se si tratti di un lapsus memoriae del grammatico o di
una variante antica già nel testo ciceroniano da lui adoperato;
meno probabilmente, invece, Prisciano avrà intenzionalmente
omesso il solo verbo, giacché questo taglio non gli avrebbe
consentito un significativo abbreviamento del passo. La com-
prensibilità della sintassi del periodo non è comunque inficiata
dall’assenza del predicato verbale, che si può considerare sottin-
teso e ricavare a senso dalla proposizione precedente (aspiciebat o
aspexit). Lo stesso passo è riportato in forma integra, invece, in
Quint. inst. 9, 2, 56 e nel lemma di Ascon. Mil. 40 (con la va-
riante tunc per tum).

109, 12-110, 6 ὑπό con genitivo o dativo o accusativo:


sub con accusativo o ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazioni greche
(Demosth. 5, 4; Herod. 1, 17; Isocr. Paneg. 16; Herod. 1, 51) –
lemma latino, con osservazione teorica aggiuntiva – citazioni
latine (Verg. Aen. 2, 442-443; 8, 515-516) – lemma latino se-
condario, con glossa semantica.
CITAZIONI GRECHE. La citazione di Demosth. 5, 4 è impro-
506 COMMENTO

priamente introdotta dall’indicazione Φιλιππικῶν Α, che fa-


rebbe riferimento alla prima Olintiaca piuttosto che all’orazione
Sulla pace. Il confronto con il lessico coisliniano, nel quale il
medesimo esempio è riportato sotto il lemma μνημονεύω (μ
2), non è utile sotto questo profilo in quanto in questa fonte le
orazioni demosteniche sono sempre citate secondo il titolo
individuale (in questo caso ἐκ τοῦ Περὶ τῆς εἰρήνης) piuttosto
che mediante l’indicazione del numero di libro all’interno del
corpus dei Φιλιππικοὶ λόγοι. Hertz correggeva, nell’indicazio-
ne numerica del libro, il tràdito Α in δ (GL III 372, 9), che
tuttavia indicherebbe la prima Filippica, non l’orazione Sulla pace
(né sembra persuasiva la sua osservazione in apparato a GL III
366, 19 che «Philippicae primae adnecti solet»; altrove negli
Atticismi si intende, infatti, come ‘quarta Filippica’ sempre la
prima Filippica: 77, 16; 108, 8).
Risulta erronea anche l’indicazione di provenienza di Isocr.
Paneg. 16, impropriamente attribuito a Demosthenes Philippicis.
Spengel 1826, p. 611, ha ipotizzato che fosse qui citato in origi-
ne anche Demosth. 6, 7 τί δήποτε; ὅτι πρὸς πλεονεξίαν,
οἶμαι, καὶ τὸ πάνθ’ ὑφ’ αὑτῷ ποιήσασθαι τοὺς λογισμοὺς
ἐξετάζων, καὶ οὐχὶ πρὸς εἰρήνην οὐδ’ ἡσυχίαν οὐδὲ
δίκαιον οὐδέν, εἶδε τοῦτ’ ὀρθῶς. Hertz (in apparato a GL
III 372, 11) suggerisce che l’applicazione del titolo Demosthenes
Philippicis a Isocr. Paneg. 16 si debba piuttosto alla confusione,
da parte del compilatore del lessico fonte, di questo passo con
Ps. Demosth. 10, 51 τὸν μὲν γὰρ ἄλλον ἅπαντ’ εἰς δύο
ταῦτα διῄρητο τὰ τῶν Ἑλλήνων, Λακεδαιμονίους καὶ
ἡμᾶς, τῶν δ’ ἄλλων [Ἑλλήνων] οἱ μὲν ἡμῖν, οἱ δ’ ἐκείνοις
ὑπήκουον (vd. anche Garcea – Giavatto 2007, p. 75). Fassino
2014, pp. 265-266, ipotizza invece che il contenuto stesso del
luogo isocrateo ne abbia favorito l’inconsapevole «attribuzione
‘nobilitante’» alle Filippiche di Demostene. Lo studioso chiama il
confronto di 96, 9, dove egli ritiene che il tràdito
ΦΙΛΙΠΠΙΚωΝ, col quale è introdotta una citazione di Isocr.
Phil. 79, sia il frutto di un’altra assimilazione alle più celebri
Filippiche demosteniche; in quel passo però gli editori di Priscia-
no correggono in Φιλιππικῷ, ripristinando un titolo piuttosto
109, 12-110, 6 507

diffuso in ambito lessicografico per il Filippo isocrateo e non


necessariamente imputabile all’influsso delle Filippiche (cfr. supra,
ad loc.). In 109, 15 si può in alternativa congetturare che nel
corso della tradizione (del lessico fonte o degli stessi Atticismi
priscianei) sia caduta una citazione di Demostene insieme all’in-
dicazione di provenienza del passo di Isocrate; non è tuttavia
possibile individuare l’esempio eventualmente perduto, giacché
il lemma della voce concerne genericamente l’uso della preposi-
zione ὑπό con il genitivo o dativo o accusativo e ciascuno dei
tre costrutti conta decine di occorrenze nel corpus demostenico.
Il titolo generico Philippicis, privo del numero di libro, è
impiegato anche in 26, 4-5; 78, 1; 111, 6, e sembra tradurre
un’indicazione già presente nella fonte greca di Prisciano (cfr.
11, 12 Δημοσθένης Φιλιππικοῖς; sim. 60, 15; 23, 1 Δημοσ-
θένης Φιλιππικῷ; sim. 61, 12).
LEMMA LATINO. L’equivalenza di ὑπό e sub è postulata anche
nei glossari medievali (CGL II 190, 9; 465, 23).
Sia Prisciano (GL III 53, 27~54, 14) sia gli altri grammatici
che registrano la doppia reggenza di sub, distinguono tra la
funzione di moto a luogo espressa dalla preposizione in nesso
con l’accusativo e quella di stato in luogo in nesso con l’ablativo
(Arus. 91, 20-22 Di Stefano; Char. 299, 8-9; 306, 22-307, 2;
Diom. GL I 410, 18-21; Ps. Prob. inst. GL IV 147, 25-37;
Don. min. 601, 6-8; mai. 4-7; Serv. GL IV 419, 35-420, 4;
Explan. in Don. GL IV 517, 32-518, 16; Cledon. GL V 25,
20-29; Pomp. GL V 276, 2-28; Ps. Aug. reg. 133, 4- 8 Marto-
relli; 135, 18-137, 7; Mar. Victorin. GL VI 204, 9-12; Audax
GL VII 352, 14-30; la duplice costruzione di sub è inoltre
ricordata, ma senza ulteriori indicazioni, in Char. 264, 1; 309,
19-20; Serv. GL IV 443, 7-10; Explan. in Don. GL IV 561, 30-
33; Ps. Asper GL V 554, 9-11; Sacerd. GL VI 429, 11-13;
Dosith. 68, 5 Tolkiehn; Agroec. orth. 77, 1 Pugliarello). Sul
trattamento delle preposizioni con doppia reggenza nella tradi-
zione grammaticale latina vd. anche supra, pp. 100-101; 389-
390; 417- 418; 501.
L’espressione sub oculis è diffusa in prosa sin dal I secolo a. C.
ed è adoperata dallo stesso Prisciano (GL III 144, 6; 150, 22).
508 COMMENTO

L’assenza in latino di preposizioni che reggano il genitivo è


rilevata anche in 22, 11-16; 90, 19-22: vd. supra, ad locc.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 2, 442- 443 è riportato a propo-
sito di sub anche nel libro XIV (GL III 53, 29). Il medesimo
esempio ricorre in Don. min. 601, 10; mai. 650, 8; Arus. 92, 1-
2 Di Stefano (inoltre in Ps. Prob. inst. GL IV 96, 16-17, ma per
illustrare l’alternativa tra -es e -is nella desinenza dell’accusativo
plurale della terza declinazione). Verg. Aen. 8, 515-516 è citato,
come esempio dell’uso di sub con l’ablativo, anche da Carisio, il
quale osserva che il caso retto dalla preposizione non è in que-
sto luogo determinato dalla sua funzione logica di moto a luogo
ovvero stato in luogo: 307, 3- 6 cum vero nulla loci significatio est,
indistincte praeponitur.
PROBLEMI TESTUALI. La citazione di Demosth. 5, 4 reca la
variante μνημονεύσαντες, inferiore a μνημονεύσαντας della
tradizione diretta perché non appropriata alla sintassi del conte-
sto (Lex. Coisl. μ 2 ha un’altra corruttela, μνημονευσάντων).
Il passaggio dall’accusativo al nominativo, una volta che la frase
era stata escerpita e non se ne poteva più recuperare il contesto
di origine, potrebbe essere avvenuto per una sorta di banalizza-
zione sintattica. Nello stesso esempio è omesso ποτε dopo
πρότερον, secondo la tendenza tipica del lessico fonte a trala-
sciare elementi del discorso scarsamente rilevanti dal punto di
vista sintattico o semantico.
La citazione di Herod. 1, 17 è caratterizzata dalla variante
ἐστρατεύοντο per ἐστρατεύετο della tradizione diretta. La
forma al singolare è necessaria, nel contesto di provenienza del
passo, poiché il soggetto sottinteso della frase è Ἀλυάττης (1,
16); l’alterazione nel plurale sarà dunque avvenuta probabil-
mente all’interno della tradizione lessicografica, quando del
brano non era più attingibile il contesto. Nello stesso esempio
Prisciano attesta il genitivo plurale αὐλῶν, presente anche nel
codice M della famiglia romana di Erodoto, mentre il resto dei
testimoni diretti ha αὐλοῦ. Sia il singolare sia il plurale sono
linguisticamente corretti nel contesto, dove il sostantivo è se-
guito da due attributi singolari tra loro coordinati, γυναικηίου
τε καὶ ἀνδρηίου.
110, 7-9 509

Nella citazione di Isocr. Paneg. 16 le lezioni priscianee τῶν


μέν per τῶν γάρ della maggior parte dei testimoni diretti
(ΓΘΛΠNS, p81; των με[ν γ]α[ρ] p80), ὑμῖν per ἡμῖν e ἦσαν
per εἰσίν sono inferiori, giacché sono garantiti dal contesto sia il
tempo presente del verbo (cfr. § 16 οἰκοῦσι) sia la prima perso-
na del pronome (cfr. § 15 τὰς πρὸς ἡμᾶς αὐτοὺς ἔχθρας).
Fassino 2014, pp. 264-265, ritiene che si tratti di alterazioni
intervenute nella tradizione lessicografica, quando il contesto
del passo non era più recuperabile (cfr. ibid. pp. 279-280).

110, 7-9 ὑπομένω con accusativo e infinito o con parti-


cipio predicativo o con genitivo assoluto: patior con
accusativo e infinito o con participio predicativo o con
ablativo assoluto
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ὑπομένομεν) –
lemma latino.
LEMMA LATINO. Patior e ὑπομένω sono affiancati da un punto
di vista semantico anche in Dosith. 100, 1 e 13 Tolkiehn e nei
glossari medievali (CGL II 143, 17 e 22; 467, 3).
Il nesso di patior con il participio presente in accusativo,
rarissimo in epoca classica (Verg. Aen. 1, 386; Stat. Theb. 1,
481), occorre con maggiore frequenza solo a partire da Apuleio
e talvolta è motivato da un ipotesto greco (ad es. Rufin. Ada-
mant. 3, 1 paucis volentem me disputare vobiscum et dogma sanissimum
defendentem quaeso patiemini [= ἀνάσχεσθε]; vd. ThlL s. v. patior
[Kruse], X.1 724, 57-69). La costruzione del verbo con l’accusa-
tivo e l’infinito è, invece, piuttosto comune sin dal teatro arcai-
co (ThlL s. v. patior, X.1 726, 23-727, 27). Nessuno degli usi
sintattici di patior descritti nella voce in esame è trattato altrove
nella tradizione grammaticale latina. L’uso transitivo del verbo
è, invece, richiamato in precedenti voci degli Atticismi (8, 9; 26,
1-2; 27, 3; 55, 1-3) e da altri grammatici (vd. supra, p. 9).

110, 10-15 ὑπόγυον: e vestigio


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con spiegazione
semantica – lemma latino, con spiegazione semantica – citazio-
ne latina (Cic. div. in Caec. 57).
510 COMMENTO

LEMMA GRECO. L’osservazione dicunt … fit che segue al lemma


greco traduce verosimilmente un’indicazione già presente nella
fonte atticista di Prisciano, come suggerisce il confronto con
Moer. υ 8 ὑπόγυιον δεῖ τάττειν ἐπὶ τοῦ μέλλοντος, οὐκ ἐπὶ
τοῦ παρεληλυθότος; sim. Th. Mag. ecl. 371, 10-12. Prisciano
tuttavia si limita a segnalare i due valori che l’avverbio – come
l’aggettivo corrispondente – può assumere (“recente” o “immi-
nente”), senza individuarne uno come più corretto dell’altro
(vd. LSJ s. v. ὑπόγυιος). Al grado positivo l’avverbio è attesta-
to solamente in CGL II 465, 44 υπογυον nuper; l’unica occor-
renza letteraria nota è Isocr. Evag. 81 ὑπογυιότατον.
LEMMA LATINO. La locuzione metaforica e vestigio è registrata
anche in Char. 418, 21 (cfr. Forcellini s. v. vestigium, III.3).
CITAZIONI LATINE. Cic. div. in Caec. 57 è citato anche da Iul.
Ruf. rhet. 5 p. 39, 26-28, come esempio di διασυρμός. Si
tratta di una coincidenza casuale, come provano sia il diverso
motivo della citazione nei due autori sia il fatto che Giulio Ru-
finiano omette la locuzione e vestigio, proprio in relazione alla
quale il passo è riferito da Prisciano.
PROBLEMI TESTUALI. Cic. div. in Caec. 57 è riportato con
l’omissione di ex homine dopo vestigio e la variante quasi quodam
(Ciceraeo poculo) per tamquam aliquo della tradizione diretta (Giu-
lio Rufiniano testimonia l’ulteriore variante tamquam epoto Cir-
caeo). Sia la sequenza di tamquam aliquis + sostantivo sia quella di
quasi quidam + sostantivo sono molto frequenti nella lingua di
Cicerone (limitatamente alle Verrinae vd. per la prima 2, 1, 96;
2, 1, 153; 2, 3, 68; per la seconda 2, 2, 7; 2, 2, 187; 2, 5, 2; 2,
5, 51), sicché non è possibile valutare quale delle due sia più
appropriata all’usus dell’oratore né escludere che la lezione testi-
moniata da Prisciano fosse una variante antica al testo ciceronia-
no piuttosto che l’esito di una citazione mnemonica del gram-
matico. Prisciano si accorda inoltre con Giulio Rufiniano e il
ramo β della tradizione diretta nella lezione superiore Circaeo,
mentre i codici del ramo α recano Circe, i recentiores e Ps. Asco-
nio (ad loc.) Circes. Infine le prime due parole del periodo, sed
repente, assenti dall’escerto di Prisciano, possono essere state
intenzionalmente tralasciate dal grammatico perché non neces-
110, 16-111, 2 511

sarie a illustrare l’uso linguistico di suo interesse. Il taglio


dell’esempio nella voce in esame non può dunque essere addot-
to a sostegno dell’ipotesi di espunzione di repente in Cicerone
avanzata da Kayser (vd. A. Klotz ad loc.).

110, 16-111, 2 ὑπέρ con accusativo o genitivo: super con


ablativo o accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazioni latine
(Verg. Aen. 6, 203; ecl. 1, 80; Aen. 1, 379).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 6, 203 ed ecl. 1, 80 sono già
citati a proposito di super nel libro XIV (GL III 55, 6-8). Verg.
Aen. 6, 203 occorre inoltre, come esempio dell’uso della prepo-
sizione, in Diom. GL I 411, 1; 413, 34; Don. mai. 650, 12;
Explan. in Don. GL IV 518, 20; Cledon. GL V 24, 33; Ps. Aug.
reg. 137, 11-12 Martorelli; Sacerd. GL VI 428, 31; Audax GL
VII 355, 27; Arus. 91, 13-14 Di Stefano; Schol. Hor. carm. 1, 9,
5; cfr. Serv. Aen. 1, 176; 6, 203. Verg. ecl. 1, 80 è citato anche in
Audax GL VII 355, 27; Arus. 91, 12 Di Stefano.

111, 3- 4 ellissi di ἡμέραν: ellissi di diem


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ὑστέραν), con spie-
gazione sintattica – osservazione teorica sul latino.
LEMMA GRECO. È difficile stabilire se l’osservazione dell’ellissi
di ἡμέραν nel lemma di questa voce fosse già nella fonte attici-
sta di Prisciano o se, invece, sia uno sviluppo originale del gram-
matico latino. In questo caso si potrebbe suggerire che il lemma
vertesse in origine sull’alternativa morfologica tra ὑστεραῖα e
ὕστερα e tra προτεραῖα e πρότερα, alla quale potrebbe esse-
re stato dedicato anche il lemma di 100, 3 Illi ‘τῇ ὑ‹σ›τεραίᾳ’
καὶ ‘τῇ προτεραίᾳ ἡμέρᾳ’ καὶ ‘τῇ προτέρᾳ’ (cfr. ad loc.).
LEMMA LATINO. L’ellissi di dies, alla luce della quale Prisciano
potrebbe aver interpretato anche un precedente lemma degli
Atticismi (100, 3; vd. commento ad loc.), è sporadicamente atte-
stata con aggettivi di significato equivalente a πρότερος e
ὕστερος (vd. ad es. ThlL s. v. prior [Breimeier], X.2 1329, 9-
11; s. v. posterus [Buchwald], X.2 204, 43-71).
PROBLEMI TESTUALI. Le lezioni ΥCΤεΡεαΝ e ιCΤεΡeαΝ di R e
512 COMMENTO

W potrebbero essere correzioni per congettura sul modello


della seconda coppia di lemmi, προτεραν καὶ προτεραίαν
(ΠΡΟΤεΡεΑΝ nei codici); cfr. Rosellini 2015a, p. CXVII n. 119;
Spangenberg Yanes ics [b].

111, 5- 8 ὑπό con dativo o accusativo ποιέομαι: sub impe-


rio o sub imperium facere
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazioni greche (Demosth. 18, 71
ὑφ’ ἑαυτῷ; 10, 10 ὑφ’ ἑαυτόν) – lemma latino.
LEMMA GRECO. Le diverse reggenze di ὑπό sono lemmatizzate
anche in 109, 12-110, 6.
LEMMA LATINO. Le espressioni sub imperium e sub imperio non
sono attestate in nesso con il verbo facio al di fuori del lessico
priscianeo. L’uso di facio da parte del grammatico potrebbe spie-
garsi come un calco lessicale del lemma greco (ποιέομαι); vd.
anche Spangenberg Yanes 2014, p. 129 n. 25. Sub imperium è
impiegato in nesso con vari verbi (cogo, redigo, venio, cado) per
esprimere l’atto di sottomettere qualcuno o di finire sotto il
dominio di qualcuno, in prosa a partire dal I secolo a. C. (Caes.
Gall. 5, 29, 4; Cic. Verr. 2, 1, 55; Font. 12; Nep. Timoth. 2, 1;
Sall. Iug. 18, 12). Contrariamente a quanto sembrerebbe preve-
dere il lemma priscianeo, il sintagma all’ablativo, sub imperio, è
usato sempre in nesso con verbi che esprimono una condizione
già stabile (sum, dego, regor, habeor) piuttosto che un cambiamen-
to di stato (cfr. ThlL s. v. imperium, VII.1 758, 38- 41). Alcune
espressioni simili a quella lemmatizzata da Prisciano sono rac-
colte in Arus. 92, 10-11 Di Stefano SUB ILLAM REM COEGIT.
Virg. Aen. VII ‘... sub arma coactam Hesperiam’; 96, 4-5 SUB
praepositio geminata. Cic. de praetura urbana ‘Sub imperium ... sub-
iunxit’ (in questo secondo passo l’attenzione del grammatico è
tuttavia rivolta all’uso pleonastico della preposizione in dipen-
denza da un verbo composto con la stessa).
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Demosth. 18, 71 i
codici priscianei recano la lezione ΥΦ εαΥΤΟΝ, che gli editori,
a partire da Krehl, hanno opportunamente corretto in ὑφ’
ἑαυτῷ, sulla base della tradizione diretta e, soprattutto, del
successivo lemma latino, ‘sub imperio suo’ et ‘sub imperium suum
111, 9 513

facit gentes’, che sembra presupporre due costrutti alternativi


anche in greco. Gli altri testimoni di tradizione indiretta di
Demosth. 18, 71 si dividono tra ὑφ’ ἑαυτόν (Alex. RhG III
17, 21 Spengel; Joann. RhG VI 373, 31) e ὑφ’ αὑτῷ (Syr. In
Hermog. id. p. 72, 8 Rabe; Schol. Hermog. RhG VII.2 1054, 5). I
manoscritti di Prisciano sono latori, in vero, della variante
all’accusativo contro il dativo dei codici demostenici anche
nella citazione successiva (10, 10), sicché si potrebbe restare in
dubbio su quale dei due esempi si debba correggere ripristinan-
do il dativo. La successione dei sintagmi con l’ablativo e l’accu-
sativo nel lemma latino sostiene però la scelta degli editori di
emendare la prima citazione demostenica invece che la seconda,
ottenendo così negli esempi greci la sequenza di un costrutto
col dativo e uno con l’accusativo. Se nella citazione di Demo-
sth. 10, 10, come sembra opportuno, si conserva ὑφ’ ἑαυτόν
(ὑφ’ αὑτῷ nella tradizione diretta), si può osservare l’accordo
di Prisciano nel caso del pronome riflessivo (ma non nella for-
ma) con Schol. Demosth. 10, 5 ὑφ’ αὑτόν. L’usus demostenico
prevalente sembra comunque essere quello di ὑπό con il dati-
vo, attestato in nesso con ποιέομαι altre 12 volte nel corpus
dell’oratore attico (6, 7; 7, 41; 8, 60; 9, 21; 10, 62; 16, 4; 16,
28; 18, 40; 18, 44; 19, 67; 19, 77; 23, 179; cfr. 23, 15; Ps. De-
mosth. 59, 94; faccio riferimento in questo spoglio all’edizione
di Dilts). L’unica occorrenza sicura di ποιέομαι con ὑπό e
l’accusativo è significativamente in una pericope di testo che
non corrisponde a parole dello stesso Demostene bensì
all’estratto di un’epistola di Filippo alla βουλή ateniese, riporta-
to come documento (18, 39 ὑφ’ ἑαυτοὺς πεποιημένους).

111, 9 ὑφίσταμαι con accusativo: sustineo con accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (ὑφίστατο) – lemma
latino.
LEMMA LATINO. L’uso transitivo di sustineo è rilevato già nel
capitolo del libro XVIII sulle costruzioni verbali, dove questo
verbo è incluso nella categoria di quelli quae per obtinentiam, id
est κατὰ ἐπικράτειαν, dicuntur (GL III 274, 13-14). La costru-
zione di sustineo con l’accusativo è inoltre registrata in Idiom.
514 COMMENTO

cas. GL IV 568, 35 (cfr. Diom. GL I 315, 21 sustineo me arte


mea; Dosith. 88, 5 Tolkiehn sustineo me hac re, dove però l’at-
tenzione dei due grammatici è rivolta al complemento di mezzo
e, infatti, il sintagma è incluso tra gli idiomata dell’ablativo).

111, 10-14 ὑπολαμβάνω: suscipio


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con glossa semantica
in latino – citazione greca (Plat. Prot. 320c5- 6) – citazione lati-
na (Verg. Aen. 6, 723), con glossa semantica.
LEMMA LATINO. Né nella produzione grammaticale ed esegeti-
ca latina né nei glossari latini si trovano altri riferimenti all’uso
di suscipio col valore di “rispondere” (sul quale vd. Forcellini s.
v. suscipio, II.7).
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 6, 723 non è citato altrove in
ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. Prisciano riporta Plat. Prot. 320c5- 6 con
la variante ἐπεξιέναι per διεξιέναι della tradizione diretta:
entrambi i verbi sono impiegati da Platone con grande frequen-
za nel significato di “esporre, passare in rassegna” (cfr. LSJ s. v.
ἐπέξειμι, III.2; s. v. διέξειμι, II), sicché non si può escludere
che ἐπεξιέναι fosse una variante antica, presente già nel testo
platonico adoperato dal compilatore del lessico fonte di Priscia-
no (cfr. Menchelli 2014, p. 232).

112, 1-3 participio congiunto pleonastico


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (φαθὶ λέγων) –
citazione greca (Ar. fr. 107 K.-A.) – lemma latino, con osser-
vazione teorica.
LEMMA LATINO. Per l’equivalenza semantica di dico e λέγω vd.
supra, p. 260.
Il nesso pleonastico di alcuni participi congiunti con verbi di
significato affine non è osservato da altri grammatici latini.
Questa struttura è piuttosto rara, soprattutto nel latino classico.
In particolare per il nesso di dicens e loquor, che Prisciano propo-
ne come traduzione letterale del lemma greco, come prova
l’uso della seconda persona singolare dell’imperativo, cfr. Porph.
Hor. sat. 1, 1, 1 locuntur dicentes; 1, 1, 6 signate autem locutus est
112, 4-9 515

dicens; Serv. Aen. 4, 646 ubi de gradibus loquitur dicens; 6, 144 hones-
te locutus est dicens; 10, 275 cum de stella loqueretur […] dicens; georg.
1, 33 secundum Chaldaeos locutus est dicens. Espressioni di questo
tipo, diffuse in ambito esegetico, potevano essere presenti anche
al nostro grammatico; occorre tuttavia osservare che nei passi
sopra citati il participio introduce di norma un discorso diretto
(o una proposizione infinitiva) mentre il verbo reggente ha uso
assoluto o da esso dipendono dei complementi di argomento o
di modo, sicché il pleonasmo è meno marcato che in Ar. fr.
107 K.-A. (almeno nella forma in cui esso ci è conservato).
PROBLEMI TESTUALI. Nel lemma greco, φαθί è una congettu-
ra di Spengel 1826, p. 627, sul tràdito ΦαΟΙ; la correzione è
garantita dal confronto sia con la citazione protolemmatica di
Ar. fr. 107 K.-A., che contiene la medesima espressione, sia con
la traduzione latina loquere dicens.
In Ar. fr. 107 Kassel – Austin accolgono la congettura εἴ γ’
ἐγκιλικίσαιμ’ di Bergk, sostenuta dal confronto di Pherecr. fr.
176 K.-A. ἀεί ποθ’ ἡμῖν ἐγκιλικίζουσ’ οἱ θεόι, l’unica altra
attestazione classica di ἐγκιλικίζω (vd. LSJ s. v.).

112, 4-9 φαίνομαι con participio predicativo o infinito:


video con infinito
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (φαίνει) – citazione
greca (Aeschn. Socr. fr. 28 Dittmar) – osservazione teorica sul
latino – citazione latina (Ter. Ad. 827-828).
LEMMA GRECO. La costruzione di φαίνω con l’infinito o il
participio predicativo del soggetto è altrimenti nota soltanto per
la diatesi mediopassiva del verbo (vd. LSJ s. v. φαίνω, B.II): è
possibile che la forma φαίνει, attestata da Prisciano sia nel lem-
ma della voce sia nella citazione protolemmatica di Aeschn.
Socr. fr. 28 Dittmar, debba essere interpretata come una secon-
da persona singolare mediopassiva piuttosto che una terza per-
sona singolare attiva. Sull’uso della desinenza -ει in luogo di -ῃ
o -ηι vd. supra, pp. XLIX-L.
LEMMA LATINO. Prisciano rileva più volte l’equivalenza di costrut-
ti participiali e infinitivi nei libri XVII-XVIII: vd. supra, p. 295.
CITAZIONI LATINE. Ter. Ad. 827- 828 è richiamato anche in
516 COMMENTO

altre voci degli Atticismi sia a proposito della costruzione di video


con l’infinito, come nella voce in esame (63, 6), sia del comple-
mento inter se (20, 12): vd. supra, commento ad locc.
PROBLEMI TESTUALI. Il dativo femminile Ἀσπασίᾳ è una
correzione di Cotton per la lezione αCΠαCιε concordemente
trasmessa dai codici priscianei. La forma tràdita potrebbe in vero
essere interpretata come il vocativo singolare di Ἀσπάσιος (un
nome attestato in Attica in età classica e ellenistica: vd. IG II2
1009; 7394; 10272; SEG 19: 173) e considerata parte della
citazione piuttosto che della sua indicazione di provenienza,
soprattutto se si intende φαίνει come una seconda persona
singolare mediopassiva (vd. supra). Tuttavia l’esistenza di un
dialogo di Eschine Socratico intitolato Ἀσπασία è testimoniata
da più fonti antiche e medievali (vd. Aeschn. Socr. frr. 15-33
Dittmar) e conforta l’emendazione di Cotton, accolta dai suc-
cessivi editori di Prisciano.

112, 10-15 φεῦ con genitivo: pro con accusativo o no-


minativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Citazione greca (Xenoph. Ages. 7, 5)
– lemma latino – citazione latina (Ter. Phorm. 351-352) – osser-
vazione teorica aggiuntiva – citazione latina (Ter. Ad. 447- 448).
LEMMA LATINO. L’uso di pro con l’accusativo o il nominativo
con funzione esclamativa è osservato anche in Char. 305, 22-
23; Sacerd. GL VI 447, 5-7.
CITAZIONI LATINE. Prisciano cita Ter. Phorm. 351-352 quale
esempio dell’uso esclamativo di pro con l’accusativo (fidem).
Questa interpretazione sintattica è inconciliabile con quella data
da Donato, che disponeva di un testo evidentemente privo di
fidem: Phorm. 351, 4 PRO DEUM IMMORTALIUM ἔλλειψις: deest
‘fidem’ aut quid tale (sul problema testuale vd. infra). Ter. Ad.
447 è citato, a proposito dell’interiezione, anche in Sacerd. GL
VI 447, 5, con un taglio più breve (pro … indignum).
PROBLEMI TESTUALI. In Xenoph. Ages. 7, 5 Prisciano testimo-
ni il pronome σοῦ, assente dai codici senofontei ma messo a
testo da Marchant. A sostegno dell’una o l’altra lezione non è
possibile richiamare l’usus dello storico greco, nei cui scritti φεῦ
113, 1 517

occorre sole altre tre volte (Symp. 4, 28; con genitivo in Cyr. 3,
1, 39 φεῦ τοῦ ἀνδρός; seguito dal vocativo, come in Ages. 7,
5, ma senza genitivo in Cyr. 7, 3, 8 φεῦ, ὦ ἀγαθὴ καὶ πιστὴ
ψυχή, οἴχῃ). Prisciano, nella cui fonte proprio il genitivo mo-
tivava la citazione del luogo senofonteo, documenta indiretta-
mente la presenza del pronome – in un testo di Senofonte che
non ha avuto discendenti nella tradizione medievale – già nel I-
II secolo d. C.
L’aggiunta di fidem, assente dalla tradizione diretta e da Don.
ad loc., nella citazione di Ter. Phorm. 351-352 potrebbe essere
dovuta alla confusione tra l’espressione pro deum immortalium
(attestata anche in Cic. phil. fr. 1, 8) e il più comune pro deum
fidem (Ter. Andr. 237; Eun. 943; Liv. 3, 67, 7; 44, 38, 10; Apul.
met. 7, 27) o pro deum atque hominum fidem (Plaut. Curc. 694;
Epid. 580; Ter. Andr. 246; Haut. 61; Hec. 198; Cic. orat. 155;
Sall. Catil. 20, 10; Calp. decl. 20; 34; cfr. pro deum hominumque
fidem in Cic. Rosc. com. 23; 50; div. in Caec. 7; Verr. 2, 3, 137; 2,
4, 7). Quest’ultima locuzione è peraltro citata – in forma anoni-
ma – anche da Char. 305, 23 nella discussione dell’uso esclama-
tivo di pro. L’inserzione di fidem in Phorm. 351, che renderebbe
il verso ipermetro se considerato nella sua interezza, è, invece,
metricamente accettabile in base al taglio con cui Prisciano ha
riportato il passo, con l’omissione di iam ego hunc agitabo davanti
a pro. Almeno in questo caso il probabile errore di memoria del
grammatico non rivela anche una disattenzione per la metrica.

113, 1 φθόνον συνάγω con dativo: invidiam colligo con


dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino.
LEMMA GRECO. Il lemma della voce sembra ricavato, come
hanno indicato E. Müller 1911, p. 2, e Ferri 2014, p. 109 n. 46,
da Demosth. 21, 29 βουλόμενος φθόνον τιν᾽ ἐμοὶ διὰ
τούτων τῶν λόγων συνάγειν.
LEMMA LATINO. La costruzione di colligo con il dativo non è
altrimenti attestata (vd. ThlL s. v. colligo [Wulff], III 1620, 15-
68), sicché probabilmente il lemma formulato da Prisciano deve
essere inteso come una traduzione ad verbum del lemma greco.
518 COMMENTO

113, 2-3 φιλοτιμέομαι con accusativo o dativo: indulgeo


con dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (φιλοτιμοῦμαι) –
citazione latina (Iuv. 2, 165).
LEMMA GRECO. Non si conoscono occorrenze di φιλοτιμέ-
ομαι con l’accusativo o il dativo dell’oggetto inanimato in età
classica (vd. LSJ s. v.); entrambi questi usi sintattici sarebbero
limitati a sporadiche attestazioni in età imperiale e tardoantica.
La testimonianza priscianea potrebbe quindi consentire, come
anche in altri casi, di retrodatare questi due usi linguistici alla
letteratura attica di età classica (cfr. supra, p. XLIV).
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di φιλοτιμέομαι
con indulgeo è attestata anche nello Ps. Cirillo (CGL II 472, 1).
In questa voce, nella ricerca di un parallelo sintattico latino
per il lemma greco, Prisciano ha trascurato il fatto che quest’ul-
timo prevede un oggetto inanimato (τοῦτο) piuttosto che ani-
mato (Iuv. 2, 165 tribuno) del verbo. Al di là del passo di Giove-
nale addotto dal grammatico, indulgeo tuttavia può reggere il
dativo di oggetti sia animati che inanimati (ThlL s. v. indulgeo
[Bulhart], VII.1 1250, 63). La costruzione del verbo latino con
il dativo è postulata anche nel capitolo del libro XVIII sulla
sintassi verbale (GL III 273, 2). Indulgeo è inoltre menzionato in
alcuni exempla ficta in precedenti luoghi dell’Ars quale verbo che
tipicamente regge il dativo (GL III 177, 3; 223, 21). La costru-
zione con il dativo è descritta anche da Arusiano Messio, che
assegna inoltre a questo verbo la reggenza dell’accusativo e
dell’ablativo (46, 5-9 Di Stefano).
CITAZIONI LATINE. Prisciano potrebbe essersi servito di un
esempio dell’uso di indulgeo (Iuv. 2, 165) diverso da quelli rac-
colti da Arusiano, e verosimilmente già dalla fonte di quello,
perché trovava nel passo di Giovenale un oggetto espresso in
accusativo (sese), che offriva in un certo senso un parallelo an-
che per il primo costrutto del lemma greco φιλοτιμέομαι. Può
essere utile ricordare a questo proposito che, per illustrare la
formazione del supino di indulgeo nel libro IX libro, Prisciano
già aveva proposto un passo nel quale il verbo è usato transitiva-
mente e al contempo regge un dativo: Amm. 14, 1, 4 tamquam
113, 4- 8 519

licentia crudelitati indulta (GL II 486, 1-2). Iuv. 2, 165 non è


citato altrove nella tradizione grammaticale latina.

113, 4- 8 φορέω con accusativo: gesto, gero con accusativo


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (φορεῖν) – citazioni
latine (Verg. Aen. 7, 246-247; 1, 336; 1, 653- 654).
LEMMA LATINO. L’uso transitivo di gero è rilevato anche da
Arusiano (42, 12-13 Di Stefano GERENS NEGOTIUM), il quale
però fa riferimento a un significato del verbo, “gestire, ammini-
strare”, diverso da quello presupposto da Prisciano nel confron-
to con φορέω, “portare” (cfr. ThlL s. v. gero [Kapp – Meyer],
VI 1930, 43-1932, 8; 1939, 1-1940, 55; 1946, 21- 80). Nessun
altro grammatico tratta della sintassi di gesto.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 653-654 e 7, 246-247 sono
accostati, in relazione ai termini gestamen e gero, gesto, anche in
Serv. Aen. 1, 647; 1, 653 (cfr. 7, 246).
PROBLEMI TESTUALI. La corruttela di natarum in naturam, recata
da diversi codici priscianei (LVOMU) nella citazione di Verg.
Aen. 7, 247, si può spiegare come un errore di natura grafica
dovuto alla somiglianza delle lettere a e u in alcune scritture mi-
nuscole altomedievali; la confusione può essere stata inoltre favo-
rita dal fatto che naturam, sebbene alteri la sintassi del passo, era
una forma certamente più familiare ai copisti di natarum.

113, 9-10 φρόνησις con genitivo o περί e genitivo: pru-


dentia con genitivo o de e ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – lemma latino.
LEMMA GRECO. Entrambi i sintagmi con φρόνησις descritti
nel lemma trovano riscontro nell’uso letterario di età classica
(vd. LSJ s. v. φρόνησις). In particolare Isocr. Plat. 61 εἴ τις
ἄρα τοῖς ἐκεῖ φρόνησίς ἐστιν περὶ τῶν ἐνθάδε γιγνομένων
presenta una formulazione – con φρόνησίς ἐστιν, περί e il
genitivo e il dativo di possesso – molto vicina a quella del lem-
ma priscianeo al punto che si potrebbe proporre l’identificazio-
ne della citazione protolemmatica nel luogo isocrateo.
LEMMA LATINO. La costruzione di prudentia con il genitivo
oggettivo è piuttosto comune nel latino letterario a partire da
520 COMMENTO

Cicerone (vd. ThlL s. v. prudentia [Hajdú], X 2381, 62- 66);


quella con de e l’ablativo occorre, invece, solo sporadicamente
in testi cristiani di epoca tarda (vd. ibid. 2381, 72-74). È pertan-
to possibile che almeno la seconda parte del lemma latino non
faccia riferimento a un uso linguistico effettivamente presente a
Prisciano nel latino letterario ma costituisca una semplice tradu-
zione letterale del lemma greco con περί e il genitivo.

113, 11-13 φροντίζω con genitivo o accusativo o περί e


genitivo: curo con accusativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (φροντίζει) – cita-
zione greca (Men. fr. 241 K.-A.) – lemma latino. Altre due
redazioni della voce sono in 7, 1- 4; 27, 6- 8 (vd. commento ad
locc.). Questa occorrenza del lemma φροντίζω, correttamente
inserita nell’ordine alfabetico, ha struttura identica a quella
della voce ἐμποδίζω in 40, 11-14, anch’esso un lemma alfa-
beticamente ordinato con doppioni extra ordinem tra le voci in
α- (vd. supra, pp. 1; 3- 4).
LEMMA GRECO. Φροντίζω è il lemma greco anche delle voci
in 7, 1-4 e 27, 6-8; qui però sono registrate, oltre che la reg-
genza dell’accusativo (sulla quale vd. supra, pp. 1-2), anche
quelle del genitivo semplice e di περί e con il genitivo, sebbene
sia esemplificata solo la prima delle tre.
LEMMA LATINO. Con le parole sic nos ad accusativum il gramma-
tico evidenzia il tratto sintattico comune al verbo greco e a
quello latino (cfr. 80, 16; 81, 6; 109, 6). Sulla costruzione di
curo con l’accusativo e la sua corrispondenza semantica con
φροντίζω vd. supra, p. 2. La mancanza di esempi di autori
latini sotto questo lemma si spiega forse con il fatto che il gram-
matico era consapevole di averne già forniti nelle altre redazioni
della voce (cfr. 40, 14 ut iam ostendimus, con commento ad loc.).
PROBLEMI TESTUALI. Il verso di Menandro, nella forma in cui
è trasmesso dai codici priscianei, presenta delle difficoltà metri-
che, alle quali Meineke (Misog. fr. 10) ovviava correggendo οὐ
in οὐδέ o οὐχί ma conservando il tràdito τὰ βίου. La maggior
parte delle altre proposte di correzione del verso si fondano,
invece, sul ripristino del nome proprio Τίβιος (Bergk 1838, p.
113, 14-114, 3 521

107, cfr. Men. fr. 172 K.-A.) o Τίβειος (Headlam 1908, p. 5),
mediante l’integrazione di Τι-, accolta da Koerte (fr. 281) e
Kassel – Austin (i quali ritengono che in Τι- la vocale sia breve:
cfr. Men. Her. 21; 29; Perinth. 3; contra Kock CAF III fr. 330).
Headlam 1908, p. 5, ritiene che il grammatico leggesse il testo
già corrotto. Ellis 1890, p. 137, che considera, invece, corretta
la lezione τὰ βίου ma integra dopo queste parole γάρ, spiega
l’omissione dell’avverbio con la sua irrilevanza allo scopo di
esemplificare la costruzione di φροντίζω con l’accusativo: egli
presuppone dunque un taglio intenzionale da parte del gram-
matico. Applicando a questa argomentazione la distinzione tra
Prisciano e la sua fonte greca, su cui Ellis non si sofferma, si
dovrebbe comunque dedurre che il grammatico latino già leg-
gesse il verso di Menandro nella forma in cui è giunto anche a
noi. Tanto più se, invece, si accoglie nel frammento comico
l’emendazione di τὰ βίου in τὰ ‹Τι›βείου, occorre osservare
che Prisciano non disponeva di un contesto da cui evincere la
necessità della presenza di un nome proprio di persona in que-
sto verso. Egli avrebbe potuto non rilevare il difetto metrico del
verso così trasmesso (e ciò vale anche qualora si preferiscano le
emendazioni proposte da Meineke e Ellis); perciò non sembra
necessario correggere βίου in βιότου nel testo priscianeo, co-
me fa Hertz (GL III 376, 1), quand’anche l’emendazione, già
proposta da Bentley, fosse appropriata al verso comico. Del
resto un’espressione quale τὰ βίου … δεῖ φροντίσαι poteva
forse apparire coerente con la vocazione gnomica apprezzata
dagli antichi nella commedia menandrea.

113, 14-114, 3 χάριν ἔχω o οἶδα con dativo: gratias ago o


refero con dativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco – citazioni greche
(Demosth. 51, 2; Isocr. Hel. 57) – citazioni latine (Ter. Eun.
391; 750).
LEMMA LATINO. La corrispondenza semantica di χάρις e gratia è
ampiamente attestata anche nei glossari medievali (CGL II 35,
42 e 47; 475, 42- 43 e 47; 534, 60; III 7, 23; 96, 24; 164, 11;
168, 23; 291, 48; 407, 23; 424, 25; 524, 34).
522 COMMENTO

Le espressioni gratias ago e refero, sulle quali Prisciano richia-


ma l’attenzione per mezzo delle citazioni di Ter. Eun. 391 e
750, non sono trattate da altri grammatici.
CITAZIONI LATINE. I due esempi latini proposti in questa voce
non conoscono altre occorrenze in ambito grammaticale.
PROBLEMI TESTUALI. Isocr. Hel. 57 è citato con la variante
εἰδότες per ἔχοντες della tradizione diretta. La lezione testi-
moniata da Prisciano sembra essere presupposta anche dalla
ripresa del luogo isocrateo in Ps. Lucian. Charid. 23 p. 402, 16-
18 Macleod (πλείω χάριν ἂν εἰδείη τῷ πολλὰ προστάττοντι
μᾶλλον ἢ τῷ μηδ’ ὁτιοῦν ἐπαγγέλλοντι) e sembra dunque
aver conosciuto qualche circolazione nella tradizione isocratea
della prima età imperiale. La locuzione più conforme all’usus di
Isocrate è comunque χάριν ἔχειν, attestata altre 34 volte negli
scritti dell’oratore (Big. 38 πλείω χάριν ἔχοιτε; Evag. 2 πλείω
χάριν ἔχειν; Antid. 95 ἂν ἔχοιτέ μοι πλείω χάριν; epist. 2, 1
πλείω χάριν ἔχειν; 9, 6 πλείω χάριν ἔχουσιν; inoltre Callim.
58; 62; Lochit. 4; Big. 15; Aegin. 2; Ad Dem. 45; Hel. 20; Busir.
6; Paneg. 107; Evag. 10; 19; De pace 14; 130; Antid. 99; 106;
165; 287; Phil. 23; 34; 75; 154; Panath. 16; 69; 202; 216; 259;
epist. 3, 6; 4, 9; 8, 8), mentre χάριν εἰδέναι conta solamente due
occorrenze (Paneg. 157; 175); cfr. Fassino 2014, pp. 276-277.
Nella citazione di Ter. Eun. 750 Prisciano testimonia, in
accordo con il lemma di Don. ad loc., refertur per referetur della
tradizione diretta: entrambe le lezioni rispettano il metro. Il
grammatico attesta inoltre le varianti tibi per ita e ut per uti. Il
pronome personale è presente anche nel codice A di Terenzio
davanti a ita ed è aggiunto nell’interlineo di G dopo referetur. A
questo proposito si può osservare una lieve propensione del com-
mediografo per la costruzione di refero/habeo gratiam con il dativo
della persona (Andr. 770; Eun. 911; Phorm. 337; 338; 894; Hec.
346; 583-584; 653; 741; 798; Ad. 971) piuttosto che per quella
assoluta (Andr. 42; Eun. 385; 719; 1091; Phorm. 54; 56; Ad. 887).

114, 4-10 χάριν σήν: vicem tuam


STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con glossa sintattica
– citazione greca (Plat. Phaedr. 234e8-9) – lemma latino, con
114, 11-115, 3 523

glossa sintattica – lemma latino secondario, con glossa sintattica


– citazioni latine (Verg. Aen. 1, 2; Ter. Eun. 693), con glosse
sintattiche – osservazione teorica aggiuntiva.
LEMMA LATINO. L’espressione vicem tuam doleo è registrata an-
che da Arusiano Messio (26, 21 Di Stefano DOLEO VICEM
TUAM, idest ‘per te doleo’) e in alcune raccolte di idiomata casuum
(Char. 382, 1-2 doleo vicem tui et vicem tuam; 385, 23; Diom. GL
I 311, 19-20; cfr. Beda orth. 86, 9 Jones). Il confronto tra questi
testi, nei quali la locuzione in questione è sempre interpretata dal
punto di vista della reggenza di doleo, e gli Atticismi, dove essa è
riferita più in generale al fenomeno dell’ellissi della preposizione
davanti a vicem, al punto che la presenza del verbo doleo nel
lemma risulta accessoria (e potrebbe essere il ‘relitto’ di una fonte,
forse l’Ur-Arusianus, nella quale questa locuzione era trattata co-
me negli scritti grammaticali sopra citati), consente di constatare
il maggior grado di evoluzione, nel senso di una maggiore astra-
zione, dell’analisi sintattica fornita da Prisciano rispetto ai suoi
predecessori. L’ellissi di ante davanti a kalendas (et sim.) è trattata
più approfonditamente in 107, 5-13 (cfr. 48, 6- 8): vd. ad loc.
CITAZIONI LATINE. Verg. Aen. 1, 2 e Ter. Eun. 693 occorrono
anche in altre voci degli Atticismi per illustrare, come nella voce
in esame, rispettivamente l’ellissi di in (37, 1) e la locuzione
annos natus con il numerale ordinale (48, 13); vd. ad locc.
PROBLEMI TESTUALI. La variante εἰ δοκεῖ, attestata da Priscia-
no in Plat. Phaedr. 234e8-9 per εἰ γὰρ δεῖ della tradizione di-
retta, è inferiore, come ha dimostrato Menchelli 2014, p. 221.

114, 11-115, 3 χαμᾶθεν con funzione di stato in luogo:


humi locativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco, con spiegazione
sintattica – citazione greca (Crat. fr. 328 K.-A.), con esegesi
sintattica – osservazione teorica – citazioni latine (Sall. Iug. 48,
3; Verg. Aen. 4, 373-374), con glossa ed esegesi sintattica.
LEMMA GRECO. L’uso di χαμᾶθεν con funzione di stato in
luogo invece che di moto da luogo non è altrimenti noto.
CITAZIONI GRECHE. Sull’individuazione della commedia di
provenienza del fr. 328 K.-A. di Cratino, connessa al problema
524 COMMENTO

della costituzione del testo di questo passo del lessico priscianeo,


vd. infra. Impropriamente LSJ s. v. χαμᾶθεν considerano Crat.
fr. 296 Kock (= 328 K.-A.) un’attestazione di χαμόθεν, che è
messo a testo solamente da Meineke (fr. 138, 2); i codici pri-
scianei attestano, infatti, concordemente la lezione χαμᾶθεν.
LEMMA LATINO. L’uso di humi con funzione di stato in luogo è
registrato anche in Diom. GL I 405, 11-12; Arus. 45, 13 Di Stefano.
CITAZIONI LATINE. Sall. Iug. 48, 3 esemplifica l’uso locativo di
humi anche in Arus. 45, 13-14 Di Stefano (dove è omesso quae
all’inizio della citazione).
La questione della distinctio di Verg. Aen. 4, 373-374 è af-
frontata anche da Servio, il quale propende per la seconda ipo-
tesi prospettata da Prisciano, connettendo litore a egentem: Aen.
4, 373 et est separandum ‘eiectum’; 4, 374 LITORE EGENTEM id est
‘egentem litoris’. È possibile che il nostro grammatico, il quale
accenna a quidam sostenitori di questa interpretazione sintattica
del passo, avesse presenti proprio gli scolî serviani ad loc.
PROBLEMI TESTUALI. Nella citazione di Cratino Hertz (GL III
376, 20-21) metteva a testo la congettura ὅστ’ ἐν πυτίνῃ (cfr.
Scaligero, p. 752, ὅστ’ ἐν πιτύνῃ) considerando queste parole
parte dell’espressione introduttiva dell’esempio piuttosto che
dello stesso. Il confronto con Eur. Ba. 1068-1069 ὣς κλῶν’
ὄρειον ὁ ξένος χεροῖν ἄγων / ἔκαμπτεν ἐς γῆν e l’esistenza
del composto πιτυοκάμπτης (vd. LSJ s. v.) confortano però la
scelta di conservare il tràdito ὃς τὴν πίτυν e includere tali pa-
role nel testo del frammento (già adottata da Kassel – Austin,
che lo pubblicano tra quelli incertae sedis invece che tra quelli
della Poetina; vd. anche Cobet 1858a, p. 150).
Prisciano cita Sall. Iug. 48, 3 con la lezione gignuntur, in
accordo con la tradizione diretta; la variante nascuntur in Arus.
45, 13 si spiega come errore di assimilazione al lemma HUMI
NASCUNTUR, a sua volta derivato dalla citazione, nel medesimo
contesto, di Verg. ecl. 3, 92 humi nascentia fraga (cfr. Di Stefano
2011, p. 137). Ancora nella citazione sallustiana, negli Atticismi,
la corruttela di arido in crido è da annoverare – come osserva
Rosellini 2015a, p. XCV – tra gli indizi di almeno un passaggio
del testo in minuscola prima dell’archetipo α.
115, 4-10 525

Sull’aggiunta delle locuzioni humi sto, humo exeo, humum


revertor, nel testo o in margine, nei codici FRQ (e delle sole
ultime due nell’interlineo di X), da ritenersi inautentica vd.
Rosellini 2015a, p. CXXIII.

115, 4-10 χορτάζομαι con genitivo o accusativo: pascor


con accusativo o ablativo
STRUTTURA DELLA VOCE. Lemma greco (χορταζόμενοι) –
citazione greca (Crat. fr. 149, 1 K.-A.) – citazioni latine (Verg.
georg. 3, 314; Aen. 2, 215) – lemma latino secondario – citazio-
ne latina (Ter. Ad. 765).
LEMMA GRECO. La costruzione di χορτάζομαι con il genitivo
della cosa è piuttosto comune; l’unica occorrenza nota, invece,
del nesso del verbo con l’accusativo di relazione è proprio il
frammento di Cratino (149, 1 K.-A.) trasmesso da Prisciano
(vd. LSJ s. v. χορτάζω, II).
CITAZIONI GRECHE. Il fr. 149 K.-A. di Cratino è conservato,
in forma più ampia, da Ateneo (3, 99f).
LEMMA LATINO. Satio corrisponde a χορτάζω anche nei glos-
sari bilingui (CGL II 179, 1; 478, 3; III 80, 74).
Delle due costruzioni assegnate da Prisciano a satio(r) Forcel-
lini (s. v. satio, II.2) registra solo quella con il genitivo della
cosa, che considera un’alternativa meno comune a quella con
l’ablativo, mentre non conosce affatto quella con il doppio
accusativo (o, al passivo, con l’accusativo dell’oggetto inanima-
to). Il lemma latino della voce potrebbe dunque essere solo un
calco sintattico di quello greco, come anche suggerisce il fatto
che Prisciano non produce esempi per satior, ma per il corradi-
cale satur (Ter. Ad. 765). Le parole introduttive del lemma, Sic
ergo possumus dicere, potrebbero valere come indicazione di un
possibile (nuovo) uso sintattico piuttosto che come registrazione
di un sintagma di cui Prisciano conoscesse delle attestazioni nel
latino letterario (cfr. GL II 442, 7-16, su cui vd. Rosellini 2016,
pp. 337-338). L’unica reggenza di satio(r) nota ad altri gramma-
tici è quella dell’ablativo (Char. 384, 16; Diom. GL I 316, 5;
Idiom. cas. GL IV 569, 28; cfr. Char. 385, 7; Diom. GL I 315,
20; Idiom. cas. GL IV 569, 12).
526 COMMENTO

CITAZIONI LATINE. Ter. Ad. 756 illustra la costruzione di satur


con il genitivo anche in Arus. 93, 7- 8 Di Stefano (dove è
omesso il sed iniziale).
PROBLEMI TESTUALI. In Crat. fr. 149, 1 Prisciano attesta
ἦσθε, che Kassel – Austin considerano lezione superiore in
quanto restituisce un verbo di modo finito e numero plurale,
da concordare con lo stesso soggetto di πανημέριοι
χορταζόμενοι, mentre i codici di Ateneo recano ἦσθαι,
probabile corruttela per itacismo.
INDICE DEL VOLUME

PREMESSA V

ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE IX

NOTA INTRODUTTIVA XLIII


1. Lessico atticista XLIII
1.1 Struttura e formulazione dei lemmi XLIV
1.2 Peculiarità ortografiche e dialettali XLVIII
1.3 Rapporti con altri lessici atticisti di età
imperiale e bizantina LII
2. Struttura del testo nella rielaborazione
priscianea LIII
2.1 Ordinamento alfabetico LVII
2.2 Formulazione dei lemmi latini LIX
3. Fonti latine LXI
3.1 Ur-Arusianus LXII
3.2 Letteratura esegetica LXIII
3.3 Trattazioni grammaticali e retoriche delle
figurae LXIV
3.4 Prisciano fonte di Prisciano LXV
4. Uso delle citazioni LXVII
4.1 Esempi greci LXVII
4.2 Esempi latini LXIX
5. Criteri del commento LXX

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